Walter Benjamin Opere complete
E in a u d i
Non si faceva illusioni, Walter Benjamin, su quale sarebbe stato il destino dell’Eu ropa alla fine degli anni Trenta. E sapeva che per lui e per i suoi compagni di esilio l’esistenza sarebbe diventata ancora più difficile allorché il conflitto - giudicato ormai inevitabile dopo l’annessione tedesca dell’Austria e di gran parte della Cecoslovacchia - avrebbe coinvolto la Francia, il paese che da molti anni lo ospitava. Si aggiunga che anche dall’Unione Sovietica, in cui molti intelettuali avevano riposto le proprie spe ranze, giungevano segnali inequivocabili, ultimo fra i quali il patto Hitler-Stalin nell’estate del 1939. In questa situazione, ulteriormente aggravata dai costanti problemi di mera sussi stenza, Benjamin riuscì tuttavia a tornare su Kafka, uno dei suoi autori prediletti, a redigere un nuova stesura di Infanzia berlinese intorno al millenovecento, e soprattut to ad affrontare quel libro su Baudelaire che, se fosse stato portato a termine, sa rebbe senza dubbio diventato una delle sue opere più significative. Del vastissimo materiale accumulato su questo tema, il presente volume propone per la prima vol ta in italiano il saggio La Parigi del secondo Impero in Baudelaire, la rielaborazione del medesimo testo {Su alcuni motivi in Baudelaire), l’edizione integrale di Parco centra le, le Note sui Quadri parigini di Baudelaire nonché una serie di frammenti anch’essi inediti in Italia. Espressione definitiva dell’atteggiamento estremo del filosofo ber linese sono infine le celebri tesi Sul concetto di storia, redatte nella primavera del 1940. Poco prima dell’ingresso della Wehrmacht a Parigi il 14 giugno, Benjamin la sciò la città, approdando dopo diverse tappe a Port Bou, nei Pirenei. Da qui inten deva attraversare la frontiera e raggiungere la Spagna. Venne tuttavia respinto dal le guardie di frontiera spagnole, e temendo di essere riconsegnato ai tedeschi si tol se la vita nella notte tra il 25 e il 26 settembre.
Hermann Schweppenhauser è professore emerito di Filosofia all’università di Lùneberg. Accanto a una vasta attività di pubblicista, è curatore, con Rolf Tiedemann, dell’e dizione tedesca delle opere complete di Walter Benjamin. Rolf Tiedemann ha diretto per molti anni il Theodor W. Adorno Archiv di Fran coforte sul Meno. Autore di numerosi saggi, ha curato l'opera omnia tanto di Ador no quanto dello stesso Benjamin.
In sopracoperta; Una fotografia di Gisèle Freund / © Grazia Neri.
ISBN 88-06-18216-1
9 788806 18?168 € 95,00
opere complete di 'Walter Benjamin a cura di Rolf Tiedemann e Hermann Schweppenhàuser Edizione italiana a ciora di Enrico Ganni Volume VII
Opere complete di Walter Benjamin I (1 9 0 6-1922)
II (1 9 2 3 -1 9 2 7 )
III (1 9 28-1929)
IV (1 9 30-1931)
V (I932-I933)
VI (I934-I937)
VII (1 9 3 8 -1 9 4 0 )
VIII Frammenti IX I «passages» di Parigi
Walter Benjamin
S critti 1 9 3 8 - 1 9 4 0 A cura di Rolf Tiedemann Edizione italiana a cura di Enrico Ganni con la collaborazione di Hellmut Riediger
Giulio Einaudi editore
Titolo originale Gesammelte Schriften © 1972-1989 Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main © 2006 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino Traduzioni-. Francesca Boarini 93-100, 416-30, 438-39; Gianfranco Bonola e Michele Ranchetti 483-317; Margherita Botto 5-8, 77-80, 254-63, 465-66, 479-82; Cinzia Cerrato 242-45; Enrico Filippini 270-97, 300-31,332-58; Enrico Ganni 17-61,101-78,518-20; Ugo Marcili 230-31, 240241, 376-77, 467; Ginevra Quadrio-Curzio vn-xx, 298-99, 332-42, 323-74; Anna Maria Mariet ti 9-16, 62-76, 81-84, 89-92, 234-39, 249-53, 264-69, 468-69, 473-73; Giulio Schiavoni 83-88, 210-33. 343 ' 3 *> 359 ’75 >431 -37 . 44°-64, 476-78; Renato Solmi 378-413; Renato Solmi ed Enri co Ganni 179-209. Redazione: Rossetto Editing, Moncalieri (TO) www.einaudi.it ISBN
88-06-18216-1
Indice
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Prefazione
XI Cronologia delk vita di Walter Benjamin (gennaio 1938 - settembre 1940)
Scritti 1938-1940 1938
5 Dipinti cinesi alla Bibliothèque Nationale 9 Un istituto tedesco di libera ricerca 17 Infanzia berlinese intorno al millenovecento. [Ultima redazione (1938)] 60 [Appendice a Infanzia berlinese intorno al millenovecentó\ 62 Una cronaca dei disoccupati tedeschi 70 Anni di crisi del primo romanticismo 73 Albert Béguin, L 'anima romantica e il sogno. Saggio sul romanticismo tedesco e la poesia francese 76 Curriculum vitae [V] 81 85 89 93 loi 179 210 234 238 240 242 244
Max Brod, Franz Kafka. Una biografia. (Ricordi e documenti) [Appendice a Max Brod, Vranz Kafka. Una biografia] II paese in cui non si può nominare il proletariato Appunti di diario La Parigi del Secondo Impero in Baudelaire Parco centrale [Appendice a La Parigi del Secondo Impero in Baudelaire] Roger Caillois, L ’aridità Romanzo di ebrei tedeschi Louise Weiss, Souvenirs d ’une enfance répuhlicaine RoUand de Renéville, L ’expérience poétique Léon Robin, La morale antique
Indice
VI
1939
. 249 254 257 264 270 298 300 332 343 352 359 376 378 416 440 465 467 468
Richard Hònigswald, Filosofia e linguaggio Louis Dimier, De l ’esprit à la parole. Leur bruille et leur accord Dolf Sternberger, Panorama o vedute del xrxsecolo Encyclope'die Francaise, voli. XVI e XVII: Arts et littératures dans la societé contemporaine Commenti a poesie di Brecht SuU’Institut fiir Sozialforschung L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica [seconda stesura] [Appendice a L ’opera d ’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnicà\ Note sui Quadri di Parigi di Baudelaire Che cos’è il teatro epico? [seconda stesura] Tedeschi dell’ottantanove [Appendice a Tedeschi dell’ottantanove] Su alcuni motivi in Baudelaire [Appendice a Su alcuni motivi in Baudelaire] 1 regressi della poesia. Di Cari Gustav Jochmann Sogno dell’ii- i2 ottobre 1939 Appunto su Brecht Jean Rostand, Ereditarietà e razzismo 1940
473 476 479 483 494 518
Henri-Irénée Marrou, Saint Augustin et la fin de la culture antique [Su Scheerbart] Una lettera di W alter Benjamin su Lo sguardo di Georges Salles Sul concetto di storia [Appendice a Sul concetto di storia] Curriculum vitae dott. Walter Benjamin
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Note
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Indice dei nomi
Prefazione
Per i suoi xiltimi anni di vita, Benjamin stesso ha coniato l’im magine dell’uomo che insediatosi comodamente «nelle fauci di un coccodrillo» le «mantiene aperte per mezzo di controvenature». Emigrato a Parigi, non si faceva ormai nessuna illusione sull’im minenza di una guerra che lo avrebbe letteralmente collocato fra i due fronti. La Francia era per forza di cose destinata a diventa re un campo di battaglia dal quale Benjamin, espropriato ed esi liato dai tedeschi, difficilmente avrebbe potuto fuggire. A questo veniva però ad aggiungersi la crescente mancanza di una patria spi rituale: il carattere inoppugnabilmente totalitario della situazione nell’Unione Sovietica di Stalin aveva privato il comunista della sua identità di intellettuale rivoluzionario. N el dicembre del 1937 Benjamin si imbattè nell’opera di Blanqui L ’Etem itépar les astres, la cui «visione infernale del mondo» considerava affine alla sua: «nella forma di una visione naturale, [essa era] il complemento di un ordinamento sociale dal quale [Blanqui] alla fine dei suoi gior ni, [...] doveva considerarsi vinto» [cfr. L, 331-32]. Fra il 1938 e il 1940, su come andava il mondo Benjamin la pensava più o me no allo stesso modo. Le speranze che lui e i suoi amici avevano per lungo tempo ri posto nell’Unione Sovietica erano state annientate al più tardi con i processi di Mosca (il terzo si concluse nel marzo del 1938 con l’e secuzione di Bucharin); il patto tra Hitler e Stalin nell’agosto del 1939 non fu che una sorta di sigillo apposto sotto queste condan ne. Dopo l’«annessione» dell’Austria al Reich tedesco nel marzo del 1938, nell’autunno dello stesso anno le potenze occidentali riu nite alla conferenza di Monaco permisero che Hitler occupasse an che gran parte della Cecoslovacchia. In novembre in Germania eb be luogo il grande pogrom in seguito al quale gli ebrei perdettero i loro ultimi diritti. La costituzione forzata di un «Protettorato del Reich di Boemia e Moravia» e l ’entrata delle truppe tedesche nel resto della Cecoslovacchia costrinsero Francia e Gran Bretagna a
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Scritti
mettere fine alla loro politica dell’appeasement. L’attacco tedesco alla Polonia il i ° settembre del 1939 portò, due giorni dopo, alla dichiarazione di guerra da parte di Francia e Gran Bretagna: era cominciata la seconda guerra mondiale. Benjamin, che nonostante la profonda inquietudine per gli av venimenti politici - di cui si hanno molteplici testimonianze nel l ’epistolario - a quanto pare prosegui tranquillamente il suo lavo ro di scrittore, nel gennaio del 1938 era riuscito a installarsi nella sua prima vera casa dall’inizio dell’esilio. Aveva ripreso Infanzia berlinese intorno a l millenovecento redigendone ima ulteriore ste sura, era tornato nuovamente su Kafka con significative riflessio ni inedite; la sua preoccupazione principale riguardava tuttavia il libro su Baudelaire, estratto dai Passages e destinato a configurar si come modello in miniatura degli stessi; nel settembre del 1938 portò a termine, già in «una sorta di gara con la guerra», La Pari gi del Secondo Impero in Baudelaire, e nel luglio del 1939 la riela borazione dello stesso testo sulla base dei rilievi mossi da Adorno con il titolo Su alcuni m otivi in Baudelaire. Mentre im numero crescente di Stati entrava in guerra contro i tedeschi, la Germania in settembre occupava la Polonia, che H it ler e Stdin si sarebbero poi divisi. Sul fronte occidentale, invece, la guerra non procedette in modo significativo fino alla primavera del 1940. Dall’ottobre del 1939 in Germania prese il via, sotto il nome di «eutanasia», l’eliminazione sistematica di malati; i campi di concentramento furono definitivamente trasformati in fabbri che destinate all’armientamento di esseri umani. All’aggressione contro Norvegia e Danimarca nell’aprile del 1940 fece seguito quel la contro Olanda, Belgio e Francia; Parigi fu occupata il 14 giugno. Benjamin, che aveva 47 anni ed era malato di cuore, in quanto immigrato tedesco fu internato immediatamente dopo lo scoppio della guerra, inizialmente per circa 12 giorni fuori Parigi, poi in un campo di Nevers, sul corso settentrionale della Loira. Tornato a Parigi, riprese ancora una volta a lavorare al libro sui Passages, e nella primavera del 1940 scrisse le tesi Sul concetto di storia, in cui è documentato il risveglio da quell’autoinganno della sinistra che Benjamin aveva condiviso con molti intellettuali della sua genera zione. Appena prima dell’ingresso dei tedeschi a Parigi, Benjamin lasciò la città e in treno si diresse a Lourdes, nella zona ancora li bera della Francia, dove rimase fino alla fine di agosto. Dopo ave re ottenuto un visto per gli Stati Uniti grazie agli sforzi di Horkhei mer si diresse a Marsiglia: non avendo un visto francese per l ’e spatrio era costretto a passare illegalmente la frontiera con la
Prefazione
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Spagna. Quando gli spagnoli gli prospettarono di rimandarlo in Francia, Benjamin si tolse la vita nella notte fra il 25 e il 26 set tembre nella cittadina di confine di Port-Bou. La sua tomba non esiste più. La sostituisce una scultura paesaggistica dell’artista israeliano Dani Karavan. L’amico Brecht gli scrisse l’epitaffio: Per il suicidio del profugo W. B . Ho saputo che h a i^ a to la mano contro te stesso prevenendo il macellaio. Esule da otto anni, osservando l’ascesa del nemico, spinto alla fine a un’invalicabile frontiera hai valicato, dicono, una frontiera valicabile. Imperi crollano. I capibanda incedono in veste di uomini di stato. I popoli non si vedono pid sotto le armature. Cosi il futuro è nelle tenebre, e le forze del bene sono deboli. Tutto questo hai veduto quando hai distrutto il torturabUe corpo.
Cronologia della vita di Walter Benjamin (gennaio 1938 - settembre 1940)
1938 Alla fine di dicembre del 1937 - probabilmente appena dopo Natale - Benja min è a San Remo, dove trova É figlio Stefan e vede per l’ultima volta gli Ador no. Poco prima di morire, Adorno ha rievocato quell’incontro: «L’ultima sera che passam|no con Benjamin, nel gennaio del 1938 sul molo di San Remo, mia moglie e io, già allora convinti dell’imminenza della guerra e dell’inevitabile ca tastrofe cui andava incontro la Francia, consigliammo insistentemente a Benja min di tentare di emigrare al pid presto in America; tutto il resto si sarebbe poi deciso là. Benjamin rifiutò, e disse testualmente: “In Europa ci sono posizioni da difendere” ». I colloqui tra gli amici sono dedicati al saggio su Wagfier di Ador no e al Baudelaire di Benjamin, di cui l’autore ritiene che sarà influenzato in ma niera decisiva dalla scoperta della Etemité par ks astres, una speculazione cosmo logica di Auguste Blanqui improntata a un profondo pessimismo; in effetti, so prattutto nel secondo exposé dei Passages si trovano tracce di questa lettura. L’8 gennaio gli Adorno lasciano la città ligure, mentre Benjamin rimane fino al 20 gennaio. Il giorno successivo entra nella sua prima vera casa da quando ha dovuto abbandonare Berlino nel marzo 1933: 10 rue Dombasle, nel 15° arrondissement. Il monolocale si trova all’ultimo piano. Il 7 febbraio scrive a Horkhei mer: «Da ieri l’installazione della mia stanza è più o meno conclusa. Si trova al settimo piano e ha la vista libera sopra l’infilata delle case. Il fatto che sia orien tato a nord non è un difetto, dato che l’estate parigina è spesso torrida; un pre gio notevole è la terrazza, sulla quale la sera tardi ci si può trattenere anche in più persone-. Comunque sia, lo spazio, quando gli scaffali vuoti ospiteranno la mia biblioteca, che si trova ora da Brecht, si presenterà in modo che potrò rice vere senza imbarazzo anche i locali». Uno dei suoi vicini è Arthur Koestler, il cui Testamento spagnolo - «un ottimo libro» - sarà uno dei primi testi che Benjamin leggerà nella nuova casa; i collegamenti con la Bibliothèque Nationale sono «ec cellenti». In viaggio verso New York, l’i i febbraio passa da Parigi Scholem, che Benja min non vede da più di dieci anni, dal 1927. Si ferma cinque giorni. Scholem ha raccontato come «l’aspetto esteriore» di Benjamin fosse «alquanto mutato. Si era appesantito, aveva qualcosa di più trasandato nel contegno, portava baffi mol to più folti. I suoi capelli si erano notevolmente ingrigiti». Retrospettivamente Benjamin cosi parla del loro incontro: «La prevista disputa filosofica si è svolta nelle debite forme. Se non mi sbaglio gli ha dato di me un’immagine che è all’incirca quella di chi si è comodamente insediato nelle fauci di un coccodrillo che mantiene aperte per mezzo di controvenature». Stando a Scholem, la di scussione con Benjamin ebbe luogo «in un’atmosfera piuttosto carica e concita ta, che la portò in due o tre momenti a toccare punti di alta drammaticità, allor
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Scritti
ché si trattò di affrontare il personale atteggiamento di Walter, il suo rapporto con rin stitu t fiir Sozialforschung e con Brecht, nonché i processi di Mosca, che in quei mesi tenevano tutto il mondo con il fiato sospeso». Il i6 febbraio Adorno e la moglie si imbarcano sulla Champlain e lasciano l’Europa per New York. Il 7 marzo, nella sua prima lettera dagli Stati Uniti, Adorno scrive a Benjamin: «Se avessimo qui Lei, saremmo completamente sod disfatti, per quanto sia possibile esserlo in un mondo i cui interessi sono per una metà nelle mani della politica di Chamberlain con Hitler e per l’altra nelle mani della giustizia di Stalin». Per la rivista «Ma6 und W ert», edita da Thomas Mann, fra gennaio e mar zo del 1938 Benjamin scrive il saggio Ufi istituto tedesco di libera ricerca, dedica to al lavoro dell’Institut fiir Sozialforschung; con il redattore Ferdinand Lion, deve sostenere spiacevoli discussioni a proposito della tendenza politica e della Ivmghezza del testo prima che questo venga pubblicato in forma fortemente ri dotta. Ciò nonostante, con «Mafi und W ert», improntata a un certo conserva torismo culturale, si apre per lui un nuovo luogo di pubblicazione, sul quale usciraimo sia recensioni sia brani di Infanzia berlinese. Nel terzo dei processi di Mosca, il 13 marzo, vengono dichiarati colpevoli e giustiziati, tra gli altri, Bucharin e Rykov. Se già in precedenza non era politicamente lecito farsi illusioni sulla situazione in Unione Sovietica, adesso era quasi criminale. Horkheimer, fra tutti il più esperto di questioni politiche ed econo miche, e al tempo stesso il più sensibile dal punto di vista morale, fu verosimil mente il primo ad affrancarsi da ogni illusione, mentre Adorno, come molti ra dicali di sinistra, ancora per un certo tempo pensò di poter distinguere tra Lenin e Stalin. Il distacco risultò senza dubbio ancora più difficile per Benjamin che più a lungo degli altri fu propenso al compromesso e abbandonò definitivamente que sta «menzogna» solo in seguito al patto tra Hitler e Stalin. Il 9 marzo 1938 tra smette al Ministero di Giustizia la sua richiesta - sostenuta fra gli altri da André Gide, Paul Valéry e Jules Romains - di naturalizzazione in Francia. Il 12 marzo le truppe tedesche entrano in Austria; Arthur Seyfi-Inquart, il cancelliere nazionalsocialista, opera l’Anschlufi, e Hitler può annimciare «alla sto ria il ritorno della [sua] patria nel Reich tedesco»; la grande maggioranza della popolazione austriaca vota il 10 di aprile a favore dell’«annessione». Stefan Benja min, che ha fatto le scuole a Vienna, lascia la città un istante prima che vi entri no i nazisti per raggiungere la madre a San Remo. «Il fatto terribile», scrive Benja min alla fine di marzo a Karl Thiemé, «nel caso dell’Austria non meno che in quello della Spagna, mi sembra essere che il martirio non viene accettato in no me della propria causa, ma piuttosto in quello di una proposta di compromesso: sia esso il compromesso tra la preziosa cultura nazionale austriaca e uno scelle rato sistema economico e statale, oppure quello tra il pensiero rivoluzionario in Spagna, il machiavellismo del gruppo dirigente russo e il mammonismo di quel lo locale [...] Quanto alla sorte che si prospetta agli ebrei austriaci, di cui nep pure quelli abbienti hanno la possibilità, che invece era data in Germania, di fug gire, è insopportabile anche solo a pensarci». Il 13 aprile l’incontro con Friedrich PoUock «in un piccolo ristorante nei pres si di Notre Dame». Verso la metà di aprile Benjamin scrive che la sua «atten zione e [il suo] tempo» sono «dedicati quasi interamente» al Baudelaire: «Non ne ho scritto nemmeno una riga; ma da una settimana sto stendendo lo schema generale dell’opera». Sempre in aprile - il 1° maggio Benjamin scrive «nelle ul
Cronologia della vita di Walter Benjamin
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time settimane» - amplia e rielabora profondamente VInfanzia berlinese. Ma il 13 maggio afferma che «durante l’esilio il lavoro è maturato; nessuno degli ultimi cinque anni è passato senza che gli dedicassi almeno uno o due mesi». A New York ha luogo, per così dire nel segno di Benjamin, il primo incontro dei suoi due amici più intimi. Adorno scrive: «Prima di tutto Scholem. [...] In qualche modo sono [.. .] riuscito a rompere lo speli, ed egli ha concepito Una sor ta di fiducia nei miei confronti, che mi pare stia crescendo. [...] Non è facile per me rendere la mia impressione personale di Scholem. Si propone un tipico caso di conflitto tra dovere e inclinazione. La mia inclinazione entra fortemente in gioco laddove egli si fa avvocato del motivo teologico della Sua, e forse posso di re anche della mia filosofia, e non Le sarà sfuggito che una serie di suoi argomenti contro la rinuncia al motivo teologico (come ad esempio quello che, in verità, nei Suoi scritti non meno che nei miei, esso non risulta eliminato dal metodo) coin cidono con le mie digressioni sanremesi; per poi tacere della pietra filosofale e dello scandalo [ossia Brecht] in Danimarca. Ma subito entra in azione il dovere, e mi costringe ad ammettere che mi pare che la Sua metafora del foglio di carta assorbente e la Sua intenzione di mobilitare nell’anonimato la potenza dell’e sperienza teologica nella profanità, rispetto alle salvazioni scholemiane abbia il vantaggio di possedere la decisiva forza probativa. Cosi mi sono attenuto alla li nea generale definita tra di noi a San Remo, e cioè gli ho bensì concesso il mo mento del “corpo estraneo”, ma affermando la necessità che esso penetri». E Scholem dal canto suo scrisse: «Nel frattempo ho visto tre volte Wiesengrund e una volta anche Horkheimer, [...] qualche giorno fa. Horkheimer pareva an noiarsi mortalmente con me (educatamente), cosa che non potrei affermare di Wiesengrund, con cui potei allacciare rapporti molto umani. Mi piace enorme mente, e abbiamo trovato molte cose di cui parlare. Penso di coltivare intensa mente i rapporti con lui e la moglie. Parlare con lui è gradevole e stimolante, e ho trovato un modo per comunicare con lui. Non ti devi stupire se pensiamo mol to a te». Dopo la morte di Benjamin tra Adorno e Scholem si svilupperà im’amicizia duratura. Benjamin legge il primo volume, ancora inedito, di Xìber den Prozefi der Zivilisatìon [Il processo di civilizzazione] di Norbert Elias, e ne progetta una recen sione che però non scriverà. Un destino simile avrà anche l’idea di recensire per «MaB und Wert»la Introduction à la philosophie de l'Histoire [Introduzione alla filosofia della storia] di Raymond Aron. In fuga da Barcellona arriva a Parigi Alfred Cohn, compagno di scuola di Benjamin, che egli cercherà di aiutare in tutti i modi: «Attualmente vive qui in uno stato di estrema indigenza». In primavera Benjamin «per sei settimane [è] soggetto a forti attacchi di emicrania cronica». In una lunga lettera a Scholem del 12 giugno 1938 che avrebbe dovuto esse re sottoposta all’editore Salman Schocken, Benjamin dispiega una severa critica della biografia di Kafka di Max Brod e sviluppa la sua immagine dello scrittore praghese in riflessioni che presentano aspetti nuovi e in parte indipendenti ri spetto al saggio del 1934. Scholem aveva pregato Benjamin di prendere posizio ne sul libro di Brod per convincere Schocken ad affidargli l’incarico per un suo libro su Kafka. Questa speranza non si realizzerà. Alla fine Benjamin estrapolerà dalla lettera la prima parte, dedicata esclusivamente a Brod, e la offrirà come re censione a Lion per «MaB und W ert», anche questa volta inutilmente. Lettera e recensione saranno pubblicate solo postume nel 1966 e nel 1972.
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Il 19 giugno, appena prima di partire per raggiungere Brecht in Danimarca, Benjamin scrive esaustivamente ad Adorno a proposito del suo Wagner e del pro blema della «salvazione» filosofica. A partire dal 22 giugno a Skosvsbostrand di scussioni con Brecht sulla situazione in Unione Sovietica dopo l’ucdsione di Bucharin, su Lukàcs e sulla politica culturale russa; sullo sfondo però c’è il lavoro al Baudelaire, portato avanti in condizioni di semiclausura. « Siedo davanti a un mas siccio tavolone in ima mansarda, alla mia sinistra la riva del mare e il silenzioso e stretto Sund, che sulla sponda opposta è delimitato dal bosco. Vi è un relativo si lenzio; il rumore dei motori delle barche che passano è tanto pili gradito, in quan to ti permette di sollevare di tanto in tanto la testa dal tavolo e osservarle. Ac canto c’è la casa di Brecht; ci sono due bambini ai quali voglio bene; la radio; la cena; l’accoglienza più cordiale e dopo cena una o due lunghe partite a scacchi. I giornali qui arrivano con tanto ritardo che è piti facile trovare Ùcoraggio di aprir li». Alla fine di agosto Benjamin deve però correggersi: «A ciò si aggiunge che devo traslocare; gli schiamazzi dei bambini rendono inutilizzabile la casa in cui ho alloggiato finora. La cambio con un’altra, abitata da un malato di mente. Felizitas forse si ricorda della forte idiosincrasia che da sempre ho nei confronti di questi malati! In verità qui non esiste una soluzione abitativa decente». Dopo avere trascorso dieci giorni a Copenhagen per far battere a macchina il manoscritto del Baudelaire, il 28 settembre Benjamin spedisce a Horkheimer La Parigi del Secondo Impero in Baudelaire, il suo primo lavoro sul poeta, «seconda parte del libro [allora in progetto] su Baudelaire». A proposito delle ultime due settimane di lavoro Benjamin scrive; «è stata una sorta di gara con la guerra». Il 29 e 30 settembre del 1938 Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia con il Patto di Monaco trovano un’intesa sul destino della Cecoslovacchia, senza tut tavia consultarla. Il giorno successivo, le truppe tedesche occupano il territorio dei Sudeti, con il quale la Cecoslovacchia perde gran parte delle sue risorse eco nomiche e circa 5 milioni di abitanti dei quali il 25 % sono Cechi e Slovacchi. In questo modo la guerra è ancora una volta procrastinata. Prima di iniziare, il 17 ottobre, il viaggio di ritorno, Benjamin invia a Parigi i libri che aveva depositato a casa di Brecht. Il 20 ottobre rientra nella capitale francese, dove ora frequenta più spesso Adrienne Monnier, Pierre Missac, Gisèle Freund, Hannah Arendt, e anche Franz Hessel, fuggito dalla Germania so lo di recente. Sua sorella Dora, che abita nelle vicinanze, si ammala gravemente, Georg, il fratello è tuttora in carcere in Germania. Il 9 novembre del 1938, gior no del grande pogrom in Germania («gli avvenimenti [...] che così terribilmen te pesano su di noi»), partecipa a un ricevimento della rivista «Cahiers du Sud», con Paul Valéry, Léon-Paul Fargue e Jules Supervielle. Su incarico dell’istituto per la Ricerca Sociale il 10 novembre 1938 Adorno scrive quella lettera sul primo saggio baudelairiano che in sostanza ne implica £ rifiuto; «Saprà comprendere come la lettura del saggio, dei cui capitoli uno si in titola il flàneur, un altro addirittura la modernità, abbia prodotto in me una cer ta delusione? [...] Il lavoro non La rappresenta nel modo in cui proprio questo lavoro deve rappresentarLa. E poiché sono fermamente e irremovibilmente con vinto che Le sarà possibile produrre un manoscritto del Baudelaire di compiuta efficacia, vorrei pregarLa insistentemente di rinunciare alla pubblicazione della versione attuale e di scriverne l’altra». Il «colpo» che la risposta infligge a Benja min emerge chiaramente dalla sua replica del 9 dicembre 1938. Ciò nonostante, si dice disposto a rielaborare il testo; «Una verifica della struttura complessiva
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sarà quindi la mia prima mossa». Nel frattempo Benjamin aveva letto le bozze del saggio adorniano Sul carattere di feticcio in musica e m ila regressione dell’a scolto, forse senza riconoscervi appieno quella «risposta» alla sua teoria della riproduzione che nelle intenzioni di Adorno esso rappresenta.
1939 In un «opuscolo programmatico» dell’istituto, Benjamin ha la soddisfazione di trovare «il primo compendio bibliografico» delle sue «cose», ossia una bi bliografia ragionata dei suoi scritti. NeUe intenzioni di Horkheimer, l’opuscolo avrebbe dovuto attirare sull’istituto, il cui patrimonio si era drasticamente ri dotto, l’attenzione delle fondazioni americane. Nel gennaio del 1939 Benjamin riprende la stesura delle lettere sulla letteratura, con le quali intendeva informa re Horkheimer e gli amici di New York sulle più recenti pubblicazioni francesi, ■e che non tìrano destinate alla pubblicazione. Al centro della pitì recente lettera c’è la posizione degli autori francesi riguardo alle violenze antisemite in Germa nia. Sempre in gennaio, ma forse addirittura prima, Benjamin scrive alcune im portanti recensioni che saranno pubblicate solo postume, come quelle di Philosophie und Sprache [Filosofia e linguaggio] di Honigswald e di Panorama di Sternberger, in cui crede di riconoscere uno «sfacciato tentativo di plagio» ai danni del suo lavoro. Nel contesto della revisione del Baudelaire va assumendo un pe so sempre maggiore la riflessione sul concetto di progresso storico. All’inizio del 1939, quando l’antisemitismo comincia ad assumere un carat tere violento anche in Italia, la ex moglie e il figlio di Benjamin lasciano il paese e si rifugiano a Londra. Il 4 febbraio Benjamin viene privato della cittadinanza tedesca, probabilmente senza esserne informato. Tra le sue letture segnala posi tivamente l’ultimo libro di Lev èestoy, Athen und Jerusalem [Atene e Gerusa lemme]: «Mi pare che la filosofia di Sestov sia abbastanza ammirevole ma del tutto inutile. Tanto di cappello invece di fronte al commentatore e anche il suo modo di scrivere sembra straordinario». Resta «molto colpito» anche dal libro di Hannah Arendt su Rahel Varnhagen. In occasione di un concerto, Benjamin rivede Soma Morgenstern, che «è fuggito da Vienna all’ultimo istante»; legge il romanzo di Morgenstern Der Sohn des verlorenen Sohns [Il figlio del figjiol pro digo], che era uscito a Berlino già nel 1935, ma poteva essere venduto soltanto a ^ ebrei. Alla fine di febbraio Benjamin inizia a rielaborare il Baudelaire, inizialmente senza entusiasmo: «Di tutti i procedimenti letterari le rielaborazioni sono quel le che mi piacciono meno». Ma una successiva lettera di Adorno del 1° febbraio 1939 conduce Benjamin «in una cella della problematica», in cui ritiene di po tersi «insediare»: adesso può dedicarsi «nell’usuale forma monografica» al tema del fldneur nel contesto complessivo dei Passages. In una lettera del 23 febbraio, Horkheimer lo informa che «in un tempo non troppo lontano, potrebbe arrivare il giorno in cui ci troveremo costretti a farLe sapere che anche con tutta la buona volontà non siamo più in grado di prolungarLe il contratto di ricerca». Un’ipotesi molto inquietante, dato che dal 1934 Benjamin vive quasi esclusivamente dei compensi dell’Institut fiir Sozialforschung. Nel marzo del 1939 scrive in francese l'exposé Paris, Capitale du xix" siècle: gli era stato richiesto da Horkheimer nel quadro dei suoi tentativi di trova
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re un mecenate americano per il lavoro del collega. La minaccia di una sospen sione dei pagamenti, in realtà mai avvenuta, contribuisce a far sì che Benjamin prenda finalmente in seria considerazione la possibilità di trasferirsi negli Usa. «Sinora», scrive a un altro potenziale mecenate, «non ho mostrato un eccessivo interesse per un trasferimento in America. Sarebbe bene che chi dirige l’istitu to avesse la certezza che su questo punto c’è stato un cambiamento giustificato dal crescente pericolo di una guerra e dall’antisemitismo dilagante». A marzo Benjamin invia a Brecht i Commenti ad alcuni suoi componimenti; il poeta tuttavia non può o non vuole far nulla per la loro pubblicazione. Ad apri le o a maggio risale Cos'è il teatro epico?, il secondo saggio con questo titolo, che è pubblicato anonimo su «Mafi und W ert». Tra i lavori di una certa importanza della primavera del 1939 si annovera una recensione dei volumi XVI e ^ ^ I del la Encyclopédie franfaise che però non va oltre la realizzazione delle bozze della «Zeitschràt fiir Sozialforschung». A maggio Benjamin prende parte agE Bntretiens di Pontigny, che si tengono in un’abbazia benedettina del xn secolo. Può utilizzare la biblioteca che l’ospite Paul Desjardins rende accessibile ai partecipanti, lavora al secondo saggio su Bau delaire e tiene una conférence sul proprio lavoro; basandosi su una versione ste nografata della stessa redige in seguito le Notes sur les Tabkaux parìsiens de Bau delaire. Tornato a Parigi, lavora letteralmente «giorno e notte» per concludere Su al cuni motivi in Baudelaire, il cui manoscritto viene spedito il i ° agosto. Tra le let ture estive di Benjamin ci sono Le mur [Il muro] di Sartre, le Pièces sur l’art [Scrit ti sull’arte] di Valéry, Gestalten und Probleme [Figure e problemi] di Eugen G ott lob Winkler e il manoscritto del KarlMarx di Karl Korsch. Fino alla fine del mese - il 23 agosto è siglato il patto di non aggressione tra Hitler e Stalin - è ancora impegnato dalle
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Nello Chàteau de Vernuche incontra tra gli altri Hermann Kesten, HannsErich Kaminski e il direttore d’orchestra Hans Bruck. Qui lo raggitmge anche il testo di un telegramma firmato da Horkheimer e Gretel Adorno a proposito del suo secondo saggio su Baudelaire: «Votre étude admirable sur Baudelaire nous est venue comme trait de lumière. Nos pensées sont avec vous». Benjamin si ri fugia soprattutto nel gioco degli scacchi: nella prima fase della detenzione non riesce quasi a dedicarsi alla lettura. E probabilmente la lealtà dimostratagli dagli amici non solo di New York, ma anche francesi - tra gli altri Adrienne Monnier, Sylvia Beach e Bryher [ovvero Winifred EUerman], e poi Paul Desjardins, Pier re Missac e Jean Ballard - a restituirgli la forza interiore, così che dopo qualche tempo torna a leggere e scrivere. Partecipa ai preparativi per un giornale del cam po e per la prima volta legge le Confessions di Rousseau. Il 25 novembre del 1939 Benjamin torna a Parigi, prima della maggior parte degli altri internati. Il suo rilascio avviene in base alla decisione di una commis sione interministeriale influenzata in maniera decisiva da Henri Hoppenot, che ricopre una posizione importante al Quai d ’Orsay ed è molto amico di Adrien ne Monnier. Benjamin può tornare alla sua abitazione parigina e riprendere il la voro alla Bibliothèque Nationale. Fino a maggio inoltrato del 1940 continua a trascrivere brani destinati ai Passages. Il 30 novembre del 1939 scrive a Horkhei mer: «Une chose à vous proposer, ce serait une étude comparée des Confessions de Rousseau et du “Journal” de Gide». Horkheimer lo lascia libero di scegliere se come prossimo lavoro preferisce affrontare questa ricerca o proseguire lo stu dio su Baudelaire; Benjamin decide infine per il Baudelaire, che però non farà in tempo a riprendere. Dopo che il Pen-Club francese si era adoperato per la liberazione dal campo, sostenuto da Alfred Doblin e Hermann Kesten, Benjamin fa richiesta per esse re ammesso nel Pen tedesco in esilio: viene ammesso il 24 gennaio 1940. Volen do raccogliere la somma necessaria per un viaggio a New York, prega Stephan Lackner, che si trova già negli Usa, di cercare un acquirente per il suo Angelus Novus di Klee; in realtà E quadro è stato poi trovato nel lascito di Benjamin. Legge le bozze del saggio di Horkheimer Die Juden und Europa [Gli ebrei e l’Europa]: «Depuis bien des années, il n ’y en a pas eu d ’analyse politique qui m’ait impressioné à ce point. C’est le son de cloche que nous avons attendu pen dant très longtemps».
1940 A Benjamin viene diagnosticata una miocardite che lo costringe a fermarsi per strada ogni tre o quattro minuti. Alla fine di aprile la diagnosi è di tachicar dia e ipertrofia cardiaca, cui si aggiunge l’ipertensione. Poiché il suo apparta mento non è sufficientemente riscaldato, all’inizio dell’anno è costretto a passa re a letto metà della giornata. Il giorno in cui per la prima volta torna alla Bi bliothèque Nationale è per lui una piccola festa. All’inizio di gennaio l’ultimo fascicolo della «Zeitschrift fiir SozisJforschung» uscito in Europa e in lingua te desca, accanto ai fragmente iiber Wagner [Frammenti su Wagner] di Adorno e al citato Die Juden und Europa di Horldieimer, contiene Su alcuni motivi in Baude laire di Benjamin nonché la sua introduzione a Ruckschritte der Poesie [Regressi della poesia] di Cari Gustav Jochmann.
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In modo indipendente dall’istituto per la ricerca sociale, che si adopera per procurare a Benjamin un visto turistico per gli Usa, già dal novembre dell’anno precedente sono in corso tentativi di permettergli l’immigrazione da parte del National Refugee Service di New York; Benjamin inoltra domanda di immigra zione presso il consolato americano di Bordeaux sulla base di un affidavit pro curatogli dall’organizzazione citata. Probabilmente nel febbraio del 1940 Benjamin inizia la stesura di quelle tesi Sul concetto di storia che segnano il suo ridestarsi «dallo shock del patto HitlerStalin» (Scholem II}. Il testo propone riflessioni che l’autore affermò di avere «ser bato» in sé, anzi di avere anche «protetto» da se stesso, per una ventina d’anni; il tema è una critica di quel concetto di progresso che agisce nel marxismo come nell’idealismo. Benjamin non pensa a una pubblicazione: «spalancherebbe porte e finestre a un entusiastico fraintendimento», cosa che fecero a sufficienza anche come pubblicazione postuma. Sempre in febbraio, Benjamin riprende, ora in fran cese, le sue lettere sulla situazione in Francia. L’ultima missiva tratta tra l’altro di L ’age d’homme [Età d’uomo] di Michel Leiris, del Lautréamont di Bachelard e di Verge cantre Quinette [Vorge contro Quinette] di Jules Romains. Sull’introdu zione allo Jochmann si verifica una spiacevole controversia con Werner Kraft che aveva riscoperto e fatto conoscere a Benjamin lo scrittore ormai dimenticato. In vista dell’emigrazione Benjamin prende lezioni di inglese, insieme a Han nah Arendt; alla fine di aprile fa un primo tentativo con un autore inglese e af fronta «i meravigliosi Examples ofAntitheta di Bacon». Comincia a leggere Light in August [Luce d’agosto] di Faulkner, ma nella traduzione francese. Tra le sue letture ci sono inoltre Le Regard [Lo sguardo] di Georges Salles, che Benjamin recensisce per Adrienne Monnier, e La vie des formes [Vita delle forme] di Hen ri Focillon, come anche Heart ofdarkness [Cuore di tenebra] di Joseph Conrad e Au Chàteau d ’Argol [Nel castello di Argol] di Julien Gracq. Il IO maggio inizia l’offensiva tedesca contro Olanda, Belgio e Francia, il 3 giugno ha luogo il primo attacco aereo su Parigi. La città è occupata dalle trup pe tedesche il 14 giugno. Alla fine di aprile viene aperto il campo di conceritramento di Auschwitz, di cui il 4 maggio Hòss diventa comandante. La prima «se lezione» avviene il 28 luglio, il 3 settembre ha inizio lo sterminio degli ebrei nel le camere a gas. È del 7 maggio una lunga lettera ad Adorno che contiene un resoconto della lettura del saggio adorniano sul carteggio tra George e Hofmannsthal; quando nel 1955 il testo sarà pubblicato, l’autore lo dedicherà alla memoria di Benjamin. Nel maggio 1940, quando gli emigranti tedeschi a Parigi devono confluire in pun ti di raccolta per essere internati, Henri Hoppenot interviene in favore di Benja min, come anche di Siegfried Kracauer, Arthur Koestler e Hanns-Erich Kaminski. Alla metà di giugno, uno o due giorni prima che i tedeschi entrino a Parigi, Benjamin fugge insieme alla sorella Dora: «Riuscì a salire sull’ultimo treno che lasciava la città» (Hannah Arendt). Può portare con sé soltanto la sua maschera antigas e il suo necéssaire. Prima di partire, divide i suoi manoscritti in tre par ti: i materiali considerati irrilevanti restano nella sua abitazione; la parte più im portante - il manoscritto dei Passages nonché quelli di tutti i lavori non ancora pubblicati - vengono affidati a Georges Bataille, che li nasconde alla Bibliothèque Nationale. Non si sa dove sia stata lasciata la terza parte che quanto a di mensioni era la più cospicua; è lecito immaginare che sia rimasta a Parigi, pro babilmente depositata presso qualche altro conoscente.
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Benjamin si dirige a Lourdes, nei Pirenei, dove confluiscono molti emigranti in fuga da quelli che un tempo furono loro compatrioti. Lourdes si trova nella parte ancora libera della Francia e inoltre non è lontana dalla frontiera spagno la, che tutti devono passare. Dora è stata internata nel campo di Giura, distante soltanto 60 chilometri in linea d ’aria da Lourdes e potrà raggiungere il fratello dopo il rilascio; resterà con lui fino alla di lui partenza per Marsiglia, alla metà di agosto. Mentre ancora all’inizio di agosto Benjamin parla della «assoluta in certezza» in cui si trova riguardo ai propri scritti, prima della metà del mese la terza parte lo raggiunge a Lourdes; sembra che qualche conoscente si sia ancora una volta recato nella Parigi occupata e abbia portato con sé il materiale che Benja min affiderà poi alla sorella. Fra le letture di queste settimane, le memorie del cardinale de Retz, Le rouge et k noir [Il rosso e il nero] di Stendhal e l’ultimo vo lume dei ThthaulU di Roger Martin du Gard. Il passatempo più gradevole sono gli scacchi, sebbene i compagni di gioco non siano proprio all’altezza. Nell’ulti ma settimana di luglio Benjamin scrive a Cari Jacob Burckhardt pregandolo di rendergli possibile un breve soggiorno in Svizzera, dato che in Francia prevede «di trovar[si] in brevissimo tempo in una situazione che deve essere definita sen za scampo». Il 16 agosto Benjamin lascia Lourdes in treno per Marsiglia, dove incontra ancora numerosi amici e conoscenti, come Siegfried Kracauer e Fritz Frankel, Arthur Koestler e Hans Sahl. L’hotel in cui abita è sconosciuto, la corrispon denza arriva al fermo posta. Poiché il collegamento postale diretto è periodica mente interrotto o difficile, le comunicazioni con l’istituto a New York vengo no mantenute tramite Juliane Favez, che rappresenta l’istituto a Ginevra. Già il 3 agosto quest’ultima ha ricevuto un telegramma in cui Benjamin viene infor mato che a Marsiglia lo aspetta un visto americano del massimo livello di prio rità. L’affidavit di Horkheimer è datato 6 agosto. A Marsiglia Benjamin riesce a procurarsi visti di transito per la Spagna e il Portogallo, ma non un visto di usci ta francese. «Le séjour à Marseille est une terrible épreuve de nerfs», si legge in una del le ultime lettere. Alla fine Benjamin decide di lasciare il paese illegalmente, in sieme a Henni Gurland, una conoscenza occasionale, e al di lei figlio, il dicias settenne Joseph. Probabilmente il 23 settembre, un lunedi, il gruppo lascia la città in direzione di Perpignan e, più in là, della frontiera spagnola. A Port-Vendres, ormai in vista del confine, il gruppetto scende dal treno e va a trovare Li sa Fittko, una emigrante il cui marito Benjamin ha conosciuto l’anno preceden te nel campo di Vernuche e incontrato nuovamente ora a Marsiglia. Il 25 set tembre Lisa Fittko conduce Benjamin e i due Gurland da Banyuls attraverso i Pirenei fino all’ultima collina prima della frontiera, da cui si intraw ede già la strada per Port-Bou. Benjamin e i suoi compagni di viaggio si presentano alla stazione della poli zia di frontiera per adempiere alle formalità per l’entrata in Spagna. Vengono a sapere che pochi giorni prima è stata diramata una nuova disposizione che proi bisce di lasciare entrare in Spagna persone prive di nazionalità. Il minacciato reimpatrio dei profughi in Francia equivarrebbe a una consegna ai tedeschi. Il gruppo trascorre la notte tra il 25 e il 26 settembre in un alberghetto, il Fonda Francia, che più tardi si chiamerà Hostal International. Benjamin muore il 26 settembre 1940, attorno alle 22, in seguito all’avvelenamento causato dalle pa stiglie di morfina che ha ingerito la sera precedente. Per un’ironico gioco della storia, il giorno prima del suicido di Benjamin a Berlino viene presentato il film
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Jud Sufi [SiiB l’ebreo] di Veit Harlan con Werner KrauB e Heinrich George, che come nessun altro vanifica la teoria dell’Open? d ’arte nell'epoca della sua riprodu cibilità tecnica e la sua speranza in una funzione emancipatoria del medium film: la pellicola contribuirà a far sf che la popolazione tedesca accetti la «soluzione fi nale della questione ebraica» e ne sia complice. E stato in varie occasioni messo in dubbio che la morte di Benjamin sia stata un suicidio. Ma si tratta di ipotesi poco credibili. Heimy Gurland comprerà una tomba per cinque anni nel cimitero di Port-Bou. Qui - in un loculo, una sorta di colombario con il numero 563 - Benjamin viene seppellito il 28 settembre del 1940. Nessuno di quelli che lo hanno conosciuto prende parte alla cerimonia. Al la fine del 1945, la tomba viene riassegnata una prima volta, più tardi trasfor mata in doppia sepoltura con quella sottostante. I resti di Benjamin saranno tra sferiti nell’ossario del cimitero.
SCRITTI 1938-1940
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Dipinti cinesi alla Bibliothèque Nationale
N ell’ottobre scorso è stata esposta alla Bibliothèque Nazionale una collezione di dipinti cinesi appartenente a J. P. Dubosc che per il suo interesse merita di essere segnalata. Il pubblico ha po tuto vedere capolavori in cui ha raramente modo di imbattersi, mentre gli intenditori hanno approfittato dell’occasione per indi viduare una ricongiunzione di valori che oggi si verifica in que st’ambito. Va ricordata, qui, la mostra allestita a Oslo nel 1936 dal dottor O. Sirén, che aveva già richiamato l ’attenzione sulla pit tura cinese del xvi, xvn e xvm secolo. La fama dei dipinti appartenenti alle epoche che abbiamo ap pena citato è ben consolidata in Cina e in Giappone; ma da noi, per un certo partito preso e una certa ignoranza, si è caldeggiata soprattutto la pittura cinese di epoca Sung (x, xi, xn secolo) con cedendo uno sguardo anche all’epoca Yuan (xn, xrv), considerata per altro il prolungamento del periodo precedente. Questa ammi razione alquanto confusa per i «Sung-Yuan» si trasformava subi to in disprezzo al solo menzionare le dinastie Ming e Ch’ing. Ora, va detto anzitutto che l’autenticità di molti dipinti cosid detti Sung o Yuan è assai discutibile. Gli scritti di Arthur Waley, del dottor Sirén, hanno sufficientemente indicato quanto siano ra ri i quadri che è possibile attribuire con certezza all’epoca cosid detta «classica» della pittura cinese. A quanto pare, dunque, ci è estasiati soprattutto per delle copie. Ma senza entrare nel merito della vera grandezza della pittura cinese delle epoche Sung e Yuan, la mostra della Bibliothèque Nazionale ci ha almeno permesso di correggere il giudizio che era stato espresso con molta disinvoltu ra sui pittori cinesi delle dinastie Ming e Ch’ing. A dire il vero, non era neppure il caso di citare uno solo di quei pittori. Non ne valeva la pena. La condanna colpiva in blocco, come decadenti, la «pittura M ing», la «pittura Ch’ing». Georges SaUes, a cui siamo grati di averci presentato la colle zione Dubosc, insiste tuttavia sul perdurare dell’antica maestria
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nei pittori più recenti. Si tratta, sostiene, di un’«arte la cui tecni ca è ormai fissata - sfaccettature mallarmeane intagliate nel vivo del vecchio verso alessandrino». Questa mostra ha suscitato il nostro interesse anche per un al tro aspetto, che si ricollega più direttamente alla persona stessa del collezionista. Dubosc, che ha vissuto in Cina per quasi dieci anni, è diventato un eminente esperto di arte cinese grazie a una for mazione estetica che è invece essenzialmente occidentale. Dalla sua prefazione emerge, fra le righe, quale valore abbia avuto per lui, in particolare, l’insegnamento di Paul Valéry. N on sorpren derà quindi il suo interesse per la condizione del letterato, che in Cina è inscindibile da quella di pittore. E im fatto capitale e abbastanza strano agli occhi degli europei: il nesso che ci viene rivelato fra il pensiero di un Valéry, che a pro posito di Leonardo da Vinci dice che «per filosofia ha la pittura», e la visione sintetica dell’Universo che caratterizza quei pittori-filosofi cinesi. «Pittore e grande letterato», «calligrafo, poeta e pitto re»: cosi vengono abitualmente designati i maestri della pittura. I quadri stessi dimostrano quanto tali denominazioni siano fondate. M olti di questi dipinti recano legenda importanti. Senza con tare quelle aggiunte in seguito da collezionisti, le più interessanti sono quelle di mano degli artisti stessi. M olteplici sono i temi di queste calligrafie che in certo modo fanno parte del quadro. Vi tro viamo commenti o riferimenti a celebri maestri. Ancor più spes so, semplici annotazioni personali. Eccone alcune che potrebbero essere tratte da un diario come da una raccolta di liriche: Sugli alberi la neve è ancora ghiacciata... Per un intero giorno non mi stanco di questo spettacolo. Ts’ien Kiang In un padiglione al centro delle acque, al riparo da tutto Ho finito ì leggere i canti di «Pin» Quelli del settimo mese. Lieu Wang-Ngan
«Q uesti pittori sono dei letterati», dice Dubosc. E aggiunge: «Tuttavia la loro pittura è all’opposto di ogni forma di letteratura». L’antinomia che egli così indica potrebbe costituire la soglia che dà autenticamente accesso a questa pittura - antinomia che trova la propria «soluzione» in un elemento intermedio, il quale, lungi dal costituire un giusto mezzo fra letteratura e pittura, abbraccia intimamente ciò a cui esse sembrano contrapporsi nel modo più ir riducibile, vale a dire il pensiero e l ’immagine. Intendiamo la cal
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ligrafia cinese. «La calligrafia cinese in quanto arte - dice il saggio LinYu-t’ang - implica [...] il culto e l ’apprezzamento della bellez za astratta della linea e della composizione in caratteri assemblati in modo tale da dare l’impressione di un equilibrio instabile [...] In questa ricerca di tutti i tipi teoricamente possibili del ritmo e delle forme di strutture che compaiono durante la storia della cal ligrafia cinese, si scopre che sono stati incorporati e assimilati pra ticamente tutte le forme organiche e tutti i movimenti degli esse ri esistenti in natura [...]. L’artista [...] si impadronisce dei sottili trampoli della cicogna, delle forme scattanti del levriero, delle zam pe massicce della tigre, della criniera del leone, della pesante an datura dell’elefante e li tesse in una rete di magica bellezza». La calligrafia cinese - quei «giochi d’inchiostro», per ripren dere l ’espressione con cui Dubosc designa i quadri stessi - si pre senta quindi come una cosa eminentemente mobile. Benché i se gni abbiano un legame e una forma fissati sulla carta, la moltitu dine delle «somiglianze» che essi racchiudono li mette in moto. Quelle somiglianze virtuali che si trovano espresse sotto ogni trat to di pennello formano uno specchio in cui si riflette il pensiero in questa atmosfera di somiglianza o di risonanza. D i fatto, queste somigUanze non si escludono l’un l’altra; si in trecciano e formano un insieme che sollecita il pensiero come la brezza sollecita una vela di organza. Significativo, a tale proposi to, è il nome con cui i cinesi designano questa scrittura: «hsie-yi», pittura di idea. E proprio dell’essenza dell’immagine contenere un che di eter no. Questa eternità si esprime nella fissità e stabilità del tratto, ma può anche esprimersi, più sottilmente, integrando nell’imma gine stessa ciò che è fluido e mutevole. Da questa integrazione la calligrafia trae tutto il suo significato. Parte alla ricerca deU’immagine-pensiero. «In Cina - dice Salles - l’arte di dipingere è an zitutto arte di pensare». E pensare, per il pittore cinese, significa pensare per somiglianza. Poiché, d’altro canto, la somiglianza ci appare soltanto come in un lampo, poiché nulla è più sfuggente dell’aspetto di una somiglianza, il carattere fuggevole e intriso di mutamento di queste pitture si confonde con la loro intelligenza del reale. Ciò che esse fissano ha sempre soltanto la fissità delle nuvole. Ed è questa la loro autentica ed enigmatica sostanza, fat ta di mutamento, come la vita. Perché i pittori di paesaggi vivono sino a una così tarda età ? si domanda il pittore filosofo. «Perché la nebbia e le nubi offrono loro nutrimento».
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La collezione di Dubosc suscita queste riflessioni. Ed evoca mol ti altri pensieri. Renderà uno straordinario servigio alla conoscen za dell’Oriente. Merita di durare. Merito che il museo del Louvre, acquistandola, ha appena sancito.
Un istituto tedesco di libera ricerca
Quando, nel 1933, incominciò la diaspora degli studiosi tede schi, non c’era alcun campo la cui padronanza avrebbe potuto pro curare loro un prestigio esclusivo. Eppure gli sguardi dell’Europa erano diretti su di loro ed esprimevano qualcosa di più della par tecipazione. In questi sguardi era contenuta una domanda, come quella che è rivo ta a coloro che si sono trovati di fronte a un pe ricolo inconsueto, che sono stati colpiti da una nuova forma di ter rore. Passò un certo tempo, prima che le vittim e avessero fissato nel proprio intimo la riproduzione di ciò che era comparso davan ti a loro. Ma cinque anni sono un periodo lungo. Usati per consi derare una stessa, identica esperienza, da ciascuno alla propria ma niera e nel suo campo, dovevano bastare perché un gruppo di ri cercatori rendesse conto a sé e agli altri di quello che era accaduto a loro, come ricercatori, e avrebbe condizionato il loro futuro la voro. Non da ultimo essi erano tenuti a questo rendiconto, forse, nei confronti di coloro che nell’esilio avevano loro dimostrato fi ducia e amicizia. Il gruppo di cui parliamo si è raccolto nella repubblica tedesca intorno all’Institut fiir Sozialforschung di Francoforte. N on si può dire che in origine fosse caratterizzato da un’unica, particolare spe cializzazione. Il direttore dell’istituto. Max Horkheimer, è un fi losofo, il suo più stretto collaboratore, Friedrich PoUock, è un eco nomista. Accanto a loro ci sono lo psicoanalista Fromm, il teorico dell’economia politica Grossmann, i filosofi Marcuse e Rottweiler, che è anche teorico di estetica musicale, lo storico della lette ratura Lòwenthal, e vari altri. L’idea intorno a cui si è raccolto questo gruppo è «che oggi la teoria della società si può sviluppare solo in stretta connessione con una serie di discipline, anzitutto con l’economia politica, la psicologia, la storia e la filosofia». D ’al tro lato gli studiosi che abbiamo nominato hanno in comune lo sforzo di adeguare il lavoro della loro particolare disciplina al li vello raggiunto dallo sviluppo sociale e dalla sua teoria. Ciò che è
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qui in questione può essere difficilmente presentato come una dot trina, e certamente non come sistema. Appare soprattutto come l’espressione di un’esperienza inalienabile che pervade tutte le ri flessioni. Essa dice che il rigore metodologico a cui la scienza aspi ra merita il suo nome solo se essa include nel suo orizzonte non soltanto l ’esperimento realizzato nell’ambiente segregato di un la boratorio, ma anche in quello libero della storia. Negli ultimi an ni i ricercatori di origine tedesca hanno dovuto rendersi conto di questa necessità più di quanto potessero augurarsi. Essa li ha por tati a sottolineare lo stretto legame tra il loro lavoro e la corrente realistica della filosofia europea, quale si è sviluppata nel secolo xvn prevalentemente in Inghilterra, nel secolo xvm in Francia e nel secolo xix in Germania. Un Hobbes e un Bacone, un Diderot e un d’Holbach, un Feuerbach e un N ietzsche avevano chiara mente presente la portata sociale della loro ricerca. Questa tradi zione ha acquistato nuovamente autorità, e la sua prosecuzione go de oggi di un interesse sempre maggiore. Nelle grandi democrazie, specidmente in Francia e in Ameri ca, la solidarietà del mondo della cultura ha dato a questi ricerca tori tedeschi qualcosa di più di un rifugio. In America alla Co lumbia University è annesso un Institute for Social Research, men tre in Francia l ’Ecole Normale Superieure comprende un Institut des Recherches Sociales. Ovunque è ancora possibile una libera discussione scientifica, essa ha luogo all’interno di questo gruppo di lavoro. M olti motivi inducono a ricondurre questa discussione, dalle più recenti parole d’ordine e locuzioni, alle questioni di fon do della filosofia europea tuttora non chiarite. Il fatto che esse non siano ancora state chiarite è strettamente connesso con lo stato di emergenza sociale. E questo il motivo di una discussione sul positivismo - sulla «fi losofia empirica», come si dice oggi - che è stata condotta dall’i stituto negli ultimi anni. Il suo principale interlocutore era rap presentato dalla scuola viennese di Neurath, Carnap, Reichenbach. Già nel 1932, in Osservazioni sulla scienza e la crisi, Horkheimer at tirò l’attenzione sulla tendenza, così caratteristica per il positivi smo, a considerare la società borghese come eterna e a minimizza re le sue contraddizioni - quelle teoriche come quelle pratiche. Tre anni dopo il saggio Sul problema della verità colloca tale osserva zione in un contesto più ampio. La ricerca tiene conto dell’intero contesto della filosofia occidentale, poiché la sottomissione acriti ca al sussistente che accompagna il relativismo del ricercatore po sitivo come la sua ombra appare per la prima volta in Descartes,
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« nell’unione del dubbio metodico universale [...] con il suo since ro cattolicesimo» («Zeitschrift £iir Sozialforschung», IV, n. 3, p. 322). Due anni più tardi si dice: «La teoria nel senso tradizionale, istituito da Descartes, come è operante nell’esercizio di tutte le scienze specialistiche, organizza l ’esperienza sulla base di proble mi che emergono in connessione con la riproduzione della vita al l’interno della società contemporanea» («ZfS», VI, 3, p. 625). A rigore criticare il positivismo significa analizzare l ’« attività»' scien tifica. Non a caso essa si è disinteressata delle cose dell’umanità, e le è stato tanto più facile stipulare un contratto di servizio con i potenti. «Il girare a vuoto di certe parti dell’attività accademica cosf come l’acume inconcludente, la formazione ideologica meta fisica e non metafisica harmo [...] il loro sigmficato sociale, senza essere veramente conformi agli interessi di una qualsiasi maggio ranza della società degna di nota» («ZfS», VI, 2, p. 261). Quali speranze potrebbero riporre, in particolare, nell’attività scientifica, gli studiosi esiliati, dal momento che la sua funzione più positiva - tutelare le relazioni internazionali fra i ricercatori è oggi impedita in così larga misura ? Singoli rami della scienza, co me la psicoanalisi, sono preclusi a interi paesi; alcune dottrine del la fisica teorica sono proscritte; l ’autarchia minaccia lo scambio in tellettuale, non foss’altro che per motivi materiali; i congressi, che avrebbero lo scopo di assicurarlo, sono colmi di tensioni politiche non risolte. La teoria è diventata il cavallo di legno e Vuniversitas litterarum una nuova Troia in cui i nemici del pensiero e della ra gione hanno cominciato a uscire dal loro nascondiglio. Tanto più è importante contrastare il predominio dei rapporti attuali sul l’andamento della ricerca con l ’attualizzazione di quest’ultima. Questo intento è comune ai contributi della «Zeitschrift fiir Sozi alforschung »^. Sui suoi obiettivi più precisi informa una discus sione con il pragmatismo, che aveva anticipato tale attualizzazione alla propria maniera - in verità quanto mai problematica. Una teoria della conoscenza scientifica soprattutto in America se non poteva eludere il positivismo a maggior ragione non pote va ignorare il pragmatismo. Il pragmatismo si distingue da que st’ultimo soprattutto per la concezione del rapporto tra teoria e prassi. Secondo il positivismo la teoria volta le spalle alla prassi; secondo U pragmatismo deve fare di essa il proprio criterio. Se* Nell’originale «B etrieb» [N.d.T.]. ’ «Z eitschrift fiir Sozialforschung», pubblicato a cura dell’Institut fiir Sozialforschung da Max Horkheim er, Verlag von C. L. Hirschfeld, Leipzig 1932 sg.; dalla seconda anna ta, n. 2: Félix Alcan, Paris 1933 sgg. [N.d.A.].
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condo il pragmatismo la conferma della teoria nella prassi è il cri terio della sua verità. Invece per il pensatore critico «la prova, la dimostrazione che il pensiero e la realtà oggettiva coincidono» co stituisce «a sua volta un processo storico, che può venire ostaco lato e interrotto» («ZfS», IV, 3, p. 346). Il pragmatismo cerca in vano di non tenere conto dello stato di cose storico, facendo del la prima «prassi» migliore U criterio del pensiero. Invece per la teoria critica «le categorie del meglio, dell’utile, del funzionale» («ZfS», VI, 2, p. 261) con cui esso opera non possono essere ac cettate acriticamente, senza riflettere su di esse. Essa concentra, in particolare, la sua attenzione su quel punto dove la concettua lizzazione scientifica comincia a privarsi del ricordo critico della prassi sociale, per accondiscendere alla sua sublimazione. «Nella misura in cui al posto dell’interesse per una società migliore [...] è subentrato lo sforzo di giustificare l ’eternità di quella presente, nella scienza si è introdotto un fattore di impedimento e disorga nizzazione» («ZfS», I, 1-2, p. 3). Tale sforzo tende a nasconder si dietro l ’apparenza del rigore concettuale; stanarlo era lo scopo in vista del quale erano trattati, nella rivista, alcuni dei concetti fondamentali della critica della conoscenza e della scienza, i con cetti di verità, di essenza, di dimostrazione, di egoismo, di «na tura» umana. Chi ha subito un torto tende a convincere se stesso e gli altri dell’ineccepibile legittimità del proprio essere e agire. Ciò è anche accaduto in ogni emigrazione. Il mezzo piò salutare contro questa tendenza consisterà nel cercare, nel torto subito, il diritto. Non si può affermare che gli intellettuali abbiano previsto il futuro, e an cora meno che gli abbiano sbarrato la strada. Dalla scienza «posi tiva», che è diventata così spesso complice della violenza e bruta lità, oltre i titolari delle loro cattedre, gli sguardi devono spostar si sulla «libera intellighenzia». Essa pretendeva una forma di primato che in quanto tale non le spetta. Il compito che si pone attualmente ai ricercatori liberi è di considerare le possibilità loro proprie, a loro riservate di arrestare la ritirata dell’umanità che si sta verificando in Europa. A questo scopo essi non «hanno biso gno di essere istruiti dall’accademia circa la loro cosiddetta collo cazione scientifica» («ZfS», VI, 2, p. 275). Ma altrettanto sterile è il mero ricorso agli slogan, qualunque sia la loro provenienza. «L’intellettuale che si limita a considerare con sguardo adorante e a proclamare la forza creatrice del proletariato [...] ignora il fat to» che l ’assenza di uno sforzo teorico che potrebbe anche por tarlo, in una maniera forse utile, «in un temporaneo contrasto con
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le masse, rende queste masse più cieche e piò deboli del necessa rio» («ZfS», VI, 2, p. 268). Non è la sublimazione del proletaria to che può dissolvere il nimbo imperiale di cui si sono circondati coloro che aspirano al dominio millenario. In questa cognizione è già implicito l ’oggetto di una teoria critica della società. I lavori dell’istituto per la Ricerca Sociale convergono in una critica della coscienza borghese. Questa critica non avviene dall’e sterno, ma nella forma di un’autocritica. Non è legata al momento attuale, ma è rivolta all’origine. I confini più esterni sono traccia ti dai lavori di Erich Fromm le cui ricerche risalgono a Freud e, più su, fino a Bachofen. Freud ha indicato i nimierosi strati che si so no accimiulati e intrecciati nella pulsione sessuale. Le sue scoperte hanno carattere storico; ma concernono più spesso la preistoria che le epoche storiche dell’umanità. Fromm pone con energia il pro blema delle variabili storiche della pulsione sessuale. (Analoga mente, altri studiosi del gruppo hanno posto H problema delle va riabili storiche della percezione umana). Fromm fa un uso molto cauto dell’idea di strutture istintuali «naturali»; ciò che gli impor ta è di accertare il condizionamento dei bisogni sessuali in società storicamente date, dove gli sembra errato considerarli di volta in volta come omogenei: «La classe dipendente deve reprimere le sue pulsioni in misura maggiore di quella dominante» {Studien ùber Autorìtat und Famìlie [Studi sull’autorità e la famiglia]). Ricerche condotte nell’Institut fùr Sozialforschung, Parigi 1936 {Schrìften des Instìtuts fùr Sozialforschung, a cura di Max Horkheimer, voi. V]. Le ricerche di Fromm concernono la famiglia come elemento di trasmissione grazie al quale le energie sessuali influenzano la strut tura sociale, mentre le energie sociali influenzano la struttura ses suale. L’analisi della famiglia lo riconduce a Bachofen. Fromm fa propria la sua teoria dell’ordine polare della famiglia, matricentrico e patricentrico, che a loro tempo Engels e Lafargue avevano considerato come una delle maggiori conquiste storiche del seco lo. La storia dell’autorità, nella misura in cui è la storia della cre scente integrazione della coazione sociale da parte della vita inte riore dell’individuo, coincide sostanzialmente con la famiglia patricentrica. «La stessa autorità dtìpaterfam tlias si fonda in ultima analisi sulla struttura autoritaria della società nel suo insieme. N ei confronti del figlio il capofamiglia è sf il primo mediatore (dal pun to di vista temporale) dell’autorità sociale, ma (dal punto di vista del contenuto) non è il modello di quest'ultima, bensì la sua co pia» (op. cit., p. 88). L’interiorizzazione della coazione sociale, che nella famiglia estremamente patriarcale che si forma nell’età
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moderna assume un carattere sempre più tetro, sempre più ostile alla vita, è l’oggetto principale della critica di Fromm esplicitata in modo pregnante nel saggio Significato sociopsicologico della teo ria matriarcale^ dove si dice: «Anche se già i più progrediti filoso fi dell’illuminismo francese si sono liberati dalla struttura senti mentale e mentale patricentrica, tuttavia diventa propriamente soggetto [...] di tendenze matricentriche quella classe in cui gli im pulsi verso una vita dedicata interamente al lavoro derivano so stanzialmente da una coazione economica, e solo in parte da una coazione interiorizzata» («ZfS», III, 2, p. 225). Le teorie di Fromm sono verificate da Horkheimer in un sag gio sulla situazione della coscienza di coloro che hanno guidato le lotte di emancipazione della borghesia. L’autore definisce la sua ricerca su Egoismo e movimento di liberazione un contributo all’« an tropologia dell’epoca borghese». La sua visione della storia dell’e mancipazione borghese traccia im grande arco che va da Cola di Rienzo a Robespierre. Il raggio di quest’arco è determinato da una riflessione di cui.è evidente l’analogia con quelle citate qui sopra. «Quanto più è assoluto il dominio della società borghese [...] tan to più gli uomini sono reciprocamente indifferenti e ostili». Ma «nel sistema di questa realtà egoistica la critica dell’egoismo si con viene meglio delia sua aperta difesa, poiché esso si basa in misura crescente sul rinnegamento del suo carattere». «N ell’età moderna il rapporto di dominio è nascosto economicamente dall’apparente indipendenza dei soggetti economici, filosoficamente dal [...] con cetto di un’assoluta libertà dell’uomo, ed è interiorizzato median te l ’addomesticamento e la mortificazione delle pretese libidiche» («ZfS», V, 2, pp. 165, 169, 172). Tra i passi più significativi del saggio ci sono quelli in cui l ’autore imprende a ricondurre la spi ritualizzazione, la dovizia oratoria solenne e anche ascetica che è comune ai movimenti rivoluzionari della borghesia alle energie del le masse scatenate «dirette già durante il movimento dall’esterno verso l ’interno» («ZfS», V, 2, p. 188). Ciò accade in particolare con riguardo alla Rivoluzione francese. Le masse che essa aveva messo in azione come forza istintuale storica alla fine erano mol to lontane dal vedere soddisfatte le loro rivendicazioni. «Robe spierre è un capo borghese. Il principio della società che egli rap presenta contiene la contraddizione con la sua idea di una giusti zia universale. La cecità verso questa contraddizione imprime sul suo carattere il sigillo della fantasticheria, nonostante tutta la sua appassionata razionalità» («ZfS», V, 2, p. 209). Come da ultimo a questa fantasia si unisca il terrore, e quale interiorizzazione sia
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ciò che può manifestarsi come crudeltà - questi motivi si chiari scono in una prospettiva storica che si conclude nell’attualità dei nostri giorni. In effetti una serie di altri studi sviluppa gli stessi temi considerando fenomeni del presente. Hektor Rottweiler stu dia il jazz come complesso sintomatico sociale; Lòwenthal risale alla preistoria dell’ideologia autoritaria in Knut Hamsun; Kracauer studia la propaganda negK stati autoritari. Questi studi hanno in comune il fatto di evidenziare, nelle opere della letteratura e del l’arte, da un lato la tecnica della produzione e dall’altro la socio logia della fruizione. In questo modo possono avvicinarsi a ogget ti a cui una critica basata sul puro gusto non riesce facilmente ad accedere. Al centro di un lavoro scientifico che si prende sul serio ci so no problemi metodologici. Quelli toccati qui costituiscono insie me il centro di un’altra area di problemi, concentrica, appunto, con quella dell’Institut fiir Sozialforschung. Ai nostri giorni i li beri scrittori parlano molto dell’«eredità ciilturale» tedesca. Ciò è comprensibile se si considera il cinismo con cui oggi viene scritta la storia tedesca, e amministrato il patrimonio tedesco. Ma non si guadagnerebbe nulla, se, d’altro lato, coloro che tacciono in patria o che all’estero possono parlare per loro rivelassero la sufficienza degli eredi legittimi, se venisse di moda l’ingiustificato orgoglio di un altro «omnia mea mecum porto». Poiché ai nostri giorni le pro prietà intellettuali non sono affatto garantite più di quelle mate riali. E i pensatori e ricercatori che conoscono ancora una libertà della ricerca hanno il compito di distanziarsi dall’idea di un patri monio di beni culturali disponibile una volta per tutte, inventa riato una volta per tutte. A loro in particolare deve stare a cuore l’elaborazione di un concetto critico della cultura da contrapporsi a quello «affermativo» («ZfS», VI, i , pp. 54 sgg.). Come altre fal se ricchezze, quest’ultimo concetto deriva dal periodo dell’imita zione dello stile rinascimentale. Mentre la considerazione delle condizioni tecniche delle creazioni culturali, della loro ricezione e della loro sopravvivenza crea lo spazio per una tradizione auten tica a spese delle comode convenzioni. Il dubbio sul «concetto affermativo di cultura» è un dubbio te desco, e deve essere annoverato tra quelli che sono stati chiara mente espressi ed enunciati in tutto il loro peso in questa stessa se de («MaÈ und W ert», I, 4). «La sconfitta della democrazia, - si diceva, - è così pericolosa perché lo spirito a cui essa si richiama sta agonizzando». Questa frase indica implicitamente da che cosa dipende, in ultima istanza, la salvezza dell’eredità culturale. Se con
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sideriamo i momenti del presente, il risultato finale è che tutto «ciò che è già stato raggiunto gli è dato soltanto come qualcosa che è in pericolo e sta scomparendo» («ZfS», VI, 3, p. 640). E ancora pos sibile isolare, dal processo di disgregazione della società democra tica, gli elementi che - legati ai suoi primordi e al suo sogno - non rinnegano la solidarietà con una società futura, con l’umanità stes sa ? Gli studiosi tedeschi che hanno abbandonato il loro paese non avrebbero salvato molto e avrebbero avuto poco da perdere, se la risposta a questa domanda non fosse un «sì». Il tentativo di leg gerlo sulle labbra della storia non è un tentativo accademico.
Infanzia berlinese intorno al millenovecento. [Ultima redazione (1938)]
Colonna della Vittoria, brano biscotto, con lo zucchero invernale dei giorni dell’infanzia.
Premessa. N el 1932, mentre ero all’estero, iniziai a rendermi conto che presto avrei dovuto dire addio per molto tempo, forse per sempre, alla città in cui ero nato. Mella mia vita interiore avevo più volte sperimentato come fos se salutare H metodo della vaccinazione; lo seguii anche in questa occasione e intenzionalmente feci emergere in me le immagini quelle dell’infanzia - che in esilio sono solite risvegliare più in tensamente la nostalgia di casa. La sensazione della nostalgia non doveva però imporsi suUo spirito come il vaccino non deve imporsi su un corpo sano. Cercai di contenerla restando fedele non al cri terio della causale irrecuperabilità biografica del passato bensì a quella, necessaria, di ordine sociale. Ciò ha comportato che i tratti biografici che si delineano piut tosto nella continuità che nella profondità dell’esperienza, in que sti brani restino del tutto sullo sfondo. E con essi le fisionomie quelle deUa mia famiglia al pari di quelle dei miei compagni. Mi sono invece sforzato di impadronirmi di quelle immagini in cui l ’esperienza della grande città si sedimenta in un bambino della borghesia. Ritengo possibile che a tali immagini sia riservato un partico lare destino. Non sono ancora attese da forme ben modellate co me quelle di cui, nel sentimento della natura, da secoli dispongo no i ricordi di un’infanzia trascorsa in campagna. Le immagini del la mia infanzia nella grande città invece sono forse idonee a preformare nel loro intimo l’esperienza storica successiva. Alme no in queste, spero, appare comprensibile quanto colui di cui qui si parla in una fase successiva fece a meno della sicurezza che era toccata alla sua infanzia.
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Logge. Come una madre che accosti il neonato al petto senza svegliar lo, così la vita procede per lungo tempo con i ricordi ancora graci li dell’infanzia. E nulla irrobustì i miei più della vista sui cortili con le loro buie logge. Una di esse, che in estate era ombreggiata da una marquise, fu per me la cuUa in cui la città depose il nuovo cittadino. Le cariatidi che sorreggevano la loggia del piano suc cessivo avevano forse momentaneamente abbandonato il loro po sto per cantare accanto a essa una canzone che niente, è vero, con teneva di ciò che più tardi mi aspettava, e che tuttavia recava la parola magica grazie alla quale l’aria dei cortili anche in seguito non smise di inebriarmi. Credo che una traccia ve ne fosse anco ra fra i vigneti di Capri, dove tenni tra le braccia l’amata; e in que sta stessa aria vivono le immagini e le allegorie che dominano il mio pensiero come le cariatidi all’altezza delle logge dominano sui cortili del W esten berlinese. Il ritmo della ferrovia virbana e dei battipanni mi cullava nel son no. Era la conca in cui si formavano i miei sogni. Prima quelli infor mi, forse percorsi dallo scorrere dell’acqua o dall’odore del latte, poi quelli tessuti a lungo: sogni di viaggi e di pioggia. Qui, sul re tro, la primavera innalzava i primi getti davanti a un muro grigio; e quando, più oltre nel corso dell’anno, un polveroso tetto di fo glie sfiorava mille volte al giorno il muro della casa, lo strusciare dei rami fu per me un apprendistato di cui non ero all’altezza. Per ché nel cortile tutto per me si tramutava in cenno. Innumerevoli erano i messaggi presenti nel chiacchiericcio provocato daU’alzarsi degli avvolgibili verdi, e innumerevoli gli infausti annimci, che saggiamente non decifrai, impliciti nel fragore delle saracinesche quando, verso sera, venivano rumorosamente chiuse. In cortile, ad attirare più spesso la mia attenzione era il punto dove cresceva l’albero. Era ricavato nel selciato, nel quale affon dava un ampio collare di ferro attraversato da sbarre che forma vano una grata sopra la nuda terra. Che il terreno fosse protetto in quel modo non mi pareva un caso; talvolta rimuginavo su ciò che accadeva nella scura fossa da cui usciva il tronco. Più tardi estesi questa fantasticheria alle fermate delle carrozze. Qui gli alberi era no radicati allo stesso modo, e in più avevano tutt’intorno una re cinzione. I vetturini vi appendevano le loro pellegrine, mentre con un getto che spazzava via i resti del fieno e dell’avena riempivano il bacino scavato nel marciapiede. Questi punti di sosta, la cui pa
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ce solo raramente era turbata dal sopraggiungere o dal ripartire del le carrozze, erano per me remote province del mio cortile. Fili per la biancheria correvano da una parete all’altra della log gia; la palma sembrava tanto più smarrita in quanto da molto tem po ormai non era il continente nero a essere considerato sua patria ma l’attiguo salone. Cosf esigeva la legge del luogo, attorno a cui un tempo si erano trastullati i sogni degli abitanti. Prima che esso fosse preda dell’oblio, l ’arte aveva a volte intrapreso il tentativo di trasfigurarlo. Nel suo territorio penetrarono di soppiatto ora una lampada, ora un bronzo, ora un vaso cinese. E sebbene queste an ticaglie raramente facessero onore al luogo, tuttavia si accordava no con quel tanto di antiquato che aveva in sé. Il rosso pompeia no, che in un’ampia fascia correva lungo la sua parete, era lo sfon do obbligato delle ore accumulatesi in questa solitudine. Il tempo invecchiava in questi locali ombrosi aperti sui cortili. E proprio per questo il mattino, quando lo incontravo nella nostra loggia, era mattino già da tanto tempo che qui più che in ogni altro luogo sem brava se stesso. Non fui mai io ad aspettarlo; era già sempre 11 ad attendere me. Era li da tempo, era per così dire già fuori moda, quando finalmente lo scovavo. Più tardi riscoprii i cortili dal terrapieno della ferrovia. Quan do in afosi pomeriggi estivi li osservavo dallo scompartimento del treno, l’estate sembrava essersi imprigionata in loro e svincolata dal paesaggio. E i gerani che occhieggiavano dalle cassette con i loro fiori rossi, si accordavano all’estate meno dei rossi materassi che al mattino erano stesi a prendere aria suUe ringhiere. Nella log gia, per sedersi, c ’erano sedie da giardino in ferro che sembrava no cinte da rami o da canne. Le avvicinavamo quando a sera si ra dunava il piccolo circolo di lettura. Da una coppa fiammeggiante di rosso e di verde, la luce a gas splendeva sui libretti delle edi zioni Reclam. L’ultimo sospiro di Romeo girava per il nostro cor tile alla ricerca dell’eco che la cripta di Giulietta teneva in serbo per lui. Dall’epoca in cui ero bambino, le logge sono cambiate meno de gli altri locali. Non soltanto per questo mi sono vicine. E piutto sto per il conforto che la loro inabitabilità offre a chi fatica a tro vare dimora. La casa del berlinese ha in loro i propri confini. Ber lino - anzi il dio stesso della città - comincia qui. Nelle logge è così presente a se stesso, che accanto ad esso niente di effimero riesce a imporsi. Sotto la sua tutela spazio e tempo ritrovano se stessi, e l ’uno ritrova l’altro. Entrambi giacciono qui ai suoi pie di. Il bambino invece, che una volta era stato loro complice, ades-
Scritti SO, contornato da questo gruppo, si trattiene nella sua loggia co me in un mausoleo destinatogli da molto tempo.
Kaiserpanorama. Una grande attrattiva del Kaiserpanorama consisteva nel fatto che era indifferente dove si cominciasse il giro delle vedute di ter re lontane. Infatti, poiché la struttura con dinnanzi le sedie era di forma circolare, ciascuna veduta scorreva davanti a tutte le po stazioni, e da queste, attraverso una doppia finestra, si osservava la sua sbiadita lontananza. Posto se ne trovava sempre. E specialmente verso la fine della mia infanzia, quando la moda già volge va le spalle al Kaiserpanorama, ci si abituò a viaggiare in un loca le semideserto. La musica, che rende così stancante viaggiare con il film, nel Kaiserpanorama non esisteva. M i sembrava che le fosse superiore un effetto insignificante, anzi addirittura fastidioso. Era uno scam panellio che risonava pochi secondi prima che l’immagine si spo stasse con uno scatto per lasciar posto inizialmente a un vuoto e poi all’immagine successiva. E ogni volta che echeggiava, le mon tagne dalla vetta ai piedi, le città con tutte le loro lucenti finestre, le stazioni con il loro fumo giallo, i vigneti fin nella più minusco la foglia risultavano permeati dal dolore dell’addio. Mi convince vo che per quella volta era impossibile sfruttare appieno la mera viglia di quei luoghi. E allora nasceva il proposito, mai mantenu to, di tornare di nuovo il giorno dopo. Ma prima ancora che avessi preso una decisione, l’intera struttura, da cui mi separava il rive stimento in legno, trasaliva; l’immagine barcollava nella sua pic cola cornice per svignarsela presto verso sinistra. Le arti che qui sopravvivevano sono morte con il xx secolo. Quando ebbe inizio, avevano nei bambini il loro ultimo pubblico. Le terre lontane non sempre erano loro estranee. Lo struggimen to che provocavano poteva essere un richiamo verso casa e non verso l’ignoto. Così, davanti al trasparente della cittadina di Aix, un pomeriggio cercai di convincermi di avere un tempo giocato sul lastrico, scortato dai vecchi platani, del Cours Mirabeau. Se pioveva, non indugiavo fuori, davanti all’elenco delle cin quanta immagini. Entravo, e là dentro, nei fiordi e sotto le palme da cocco, ritrovavo la stessa luce che di sera illuminava il mio scrit toio mentre facevo i compiti. A meno che un qualche guasto dell ’iUuminazione non facesse all’improvviso ritrarre il colore dal pae
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saggio che allora giaceva riservato sotto un cielo di cenere; e sem brava che avrei quasi potuto percepire il vento e le campane, se solo avessi prestato maggiore attenzione.
Colonna della Vittoria. Si levava sulla grande piazza come la data in rosso di un calen dario da tavolo. Con l’vdtimo Anniversario di Sedan la si sarebbe dovuta strappare via. Quando ero piccolo non ci si poteva immagi nare un anno senza quell’Anniversario. Dopo la battaglia di Sedan erano rimaste solo le parate. Cosi, quando nel millenovecentodue Ohm Kruger, perduta la guerra dei Boeri, sfilò lungo la TauentzienstraSe, mi ritrovai con la mia governante tra la gente a osservare stupiti un signore che in cilindro si reggeva ai sedili e «aveva con dotto una guerra». Così si diceva. A me la cosa sembrava grandio sa e insieme ambigua; come se quell’uomo avesse «condotto» un ri noceronte o im dromedario, e così si fosse acquistato la fama. Del resto che altro ci si poteva aspettare dopo Sedan? Con la disfatta della Francia, la storia mondiale sembrava essere scesa nel suo glo rioso sepolcro, di cui questa colonna era la stele. Da ginnasiale salii gli ampi gradini che portavano ai sovrani del viale della Vittoria; il mio interesse andava solo ai due vassalli che da entrambi i lati ornavano la parte posteriore di quella struttura marmorea. Erano più in basso rispetto ai rispettivi sovrani e più facilmente osservabili. Fra tutti prediligevo il vescovo che regge va il duomo nella mano destra guantata. Con la scatola delle co struzioni Anker riuscivo già a riprodurne uno più grande. Da al lora, mai mi sono imbattuto in ima santa Caterina senza cercare la sua ruota, né in una santa Barbara senza cercare la sua torre. M i era stato spiegato da dove provenivano gli ornamenti della Colonna. Tuttavia non avevo ben capito la storia delle canne di cannone di cui era fatta: se cioè i Francesi fossero andati in guer ra con cannoni d ’oro, oppure se i cannoni li avessimo fusi noi con l’oro sottratto ai Francesi. La base della Colonna era circondata da un ambulacro. Non sono mai entrato in questo locale, invaso dalla fioca luce riflessa dall’oro degli affreschi. Temevo di trovar vi raffigurazioni che avrebbero potuto ricordarmi le illustrazioni di un libro nel quale una volta mi ero imbattuto nel salotto di una vecchia zia. Era un’edizione di lusso deU’J«/emo di Dante. Sotto sotto, quegli eroi, le cui gesta vivevano nell’oscurità dell’ambula cro, mi sembravano maledetti al pari delle torme di dannati che
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facevano penitenza flagellati dai turbini, imprigionati in arbusti sanguinanti, raggelati in blocchi di ghiaccio. Così questo ambula cro era l ’inferno, l ’esatto contraltare del girone della Grazia che in alto circondava la sfavillante Vittoria. In certe giornate lassù c’erano delle persone. Sullo sfondo del cielo mi apparivano orlate di nero come le figurine da incollare negli album. Non prendevo forse in mano, quando avevo messo da parte la scatola delle co struzioni, forbici e barattolo della colla per distribuire questi pu pazzetti su portali, nicchie e davanzali ? Creature di un simile bea to capriccio erano le persone lassù nella luce. Erano circonfuse da un’eterna domenica. O era un eterno Anniversario di Sedan?
Telefono. Dipenderà dalla struttura dell’apparecchio o da quella della me moria - certo è che quando tornano a risuonare i rumori delle pri me conversazioni telefoniche mi si presentano all’orecchio diver si da quelli di oggi. Erano rumori notturni. Nessuna musa li an nuncia. La notte da cui provenivano era la stessa che precede ogni nascita autentica. E neonata era la voce che sonnecchiava negli apjarecchi. Fin nel giorno e nell’ora il telefono mi fu fratello gemelo. Potei essere testimone di come si lasciò alle spalle le umiliazio ni del suo noviziato. Quando lampadari a corona, parafuochi e pal me da salotto, consolle, guéridon e balaustre dei bow window, che allora si pavoneggiavano nelle stanze di riguardo, erano ormai da tempo desueti e defunti, l ’apparecchio telefonico, simile a un eroe leggendario rimasto abbandonato in una forra, si lasciò alle spalle il tetro corridoio e fece il suo regale ingresso nelle stanze chiare e luminose, che ora ospitavano una generazione più giovane, per la quale rappresentò la consolazione della solitudine. Ai disperati che volevano lasciare questo mondo malvagio ammiccò con la luce del l ’estrema speranza. Con gli abbandonati divise il giaciglio. La vo ce stridula che lo aveva caratterizzato quando era in esilio, appa riva attutita ora che tutti aspettavano la sua chiamata. N on molti fra coloro che usano l’apparecchio sanno quale scom piglio la sua comparsa provocò allora nelle famiglie. Il suono con cui si annunciava fra le due e le quattro, quando l’ennesimo com pagno di scuola desiderava parlarmi, era un segnale d’aUarme che minacciava non solo il riposo pomeridiano dei miei genitori, ma l’epoca nel cui grembo essi si abbandonavano al sonno. I malinte si con i centralini erano la norma, per non parlare delle minacce e
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delle imprecazioni con cui mio padre strapazzava l’ufficio reclami. Le sue orgie supreme, tuttavia, erano con la manovella, alla qua le, dimentico di se stesso, si dedicava per interi minuti. La sua ma no era un derviscio in preda al delirio. A me batteva il cuore, ero certo che in questi casi all’impiegata, a punizione della sua negli genza, sarebbe subito venuto un colpo. A quell’epoca il telefono se ne stava, incompreso ed esiliato, fra il gasometro e il cassone della biancheria sporca, in un angolo del corridoio più interno, da dove E suo squillo amplificava gli orrori dell’appartamento berlinese. Quando io, a mala pena padbrone dei miei sensi, dopo lungo brancolare per il cupo cunicolo arrivavo a bloccare quel tumulto, staccando i due ricevitori pesanti come at trezzi da ginnastica e infilandoci la testa, mi consegnavo senza remissione alla voce che mi arrivava. E nulla mitigava la violenza con cui mi assaliva. Impotente, pativo che annullasse la mia co scienza del tempo, i miei propositi, le mie incombenze; e come il medium obbedisce alla voce che di lui si impossessa dall’aldilà, co sì io mi arrendevo a qualsiasi proposta che mi giungesse attraver so U telefono.
A caccia di farfalle. A parte qualche viaggio di tanto in tanto, ogni estate, quando ancora non andavo a scuola, ci trasferivamo in un’abitazione esti va dei dintorni. A lungo li rammentò, alla parete della mia came ra, la spaziosa bacheca con l ’abbozzo di una collezione di farfallé, i cui più vecchi esemplari erano stati catturati nel giardino ai pie di del Brauhausberg*. Cavolaie dai bordi smussati, cedroncelle dal le ali troppo pallide ricordavano le ardenti cacce che dai sentieri ben curati del giardino tante volte mi avevano strappato verso la vegetazione selvaggia, dove affrontavo impotente quella coi^iura di vento e profumi, di fronde e sole, che forse presiedevano al vo lo delle farfalle. Svolazzavano verso un fiore, vi si libravano sopra. Con il reti no alzato, aspettavo solo che arrivasse a compimento l’incantesi mo che dal fiore sembrava esercitarsi su quel paio d’ali, ed ecco che l ’esile corpo a piccole scosse scivolava via di lato per ombreg giare, altrettanto immoto, un altro fiore, abbandonandolo, altret‘ Il nome che poco oltre suggerisce a Benjamin l’impiego dei vocaboli ila u e (azzurro), behausen (ospitare) e Berg (monte), significa «M onte della fabbrica di birra» [N .i/.T].
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tanto repentinamente, senza averlo toccato. Quando una vanessa o una sfinge, che avrei facilmente potuto superare, si prendeva gio co di me col suo temporeggiare, ondeggiare e sostare, allora avrei desiderato dissolvermi in luce e aria, solo per avvicinarmi inos servato alla preda e poterla sopraffare. E il mio desiderio si rea lizzava a tal punto che ogni vibrare e oscillare di quelle ali in cui mi ero smarrito sfiorava o inondava anche me. Cominciava a va lere tra noi l’antico canone della caccia: quanto più io stesso con tutte le fibre aderivo all’animale, quanto più nell’intimo divenivo farfalla, tanto più l’insetto nel suo agire assumeva il colore dell’u mana determinazione, e infine era come se la sua cattura fosse il prezzo in virtù del quale unicamente potevo riappropriarmi del mio essere uomo. Ma quando tutto si era compiuto, era faticoso il cammino per procedere dal teatro delle mie fortune venatorie al campo dove dal vascolo emergevano etere, ovatta, pinzette e spil li dalle testine multicolori. E com’era ridotta la bandita di caccia alle mie spalle! L’erba era stata calpestata, i fiori spezzati; il pre datore aveva, per sovraggiunta, gettato il suo corpo dietro all’ac chiappafarfalle; e sopra tanta devastazione, rozzezza e violenza la spaventata farfalla se ne stava, tremante e tuttavia piena di gra zia, in una piega della reticella. Lungo questo faticoso cammino lo spirito della condannata a morte migrava nel cacciatore. Aveva or mai appreso alcune leggi del segreto linguaggio nel quale questa farfalla e i fiori s’erano intesi sotto i suoi occhi. La sua brama di uccidere si era ridimensionata mentre era cresciuta la sua fiducia. L’aria in cui allora questa farfalla si cullava è oggi tutta per meata da una parola che per decenni non mi è più capitato di sen tire o pronunciare. Essa ha conservato quel carattere insondabile con cui i nomi dell’infanzia vanno incontro all’adulto. L’esser sta ti taciuti tanto a lungo li ha trasfigurati. In questo modo, per l’a ria vibrante di farfalle, tremola la parola «Brauhausberg». Sul Brauhausberg presso Potsdam avevamo la nostra abitazione esti va. Ma il nome ha perso ogni gravità, non conserva proprio nien te di una fabbrica di birra, ed è semmai un monte ammantato di azzurro che sorgeva d’estate per ospitare me e i miei genitori. Ed è per questo che la Potsdam della mia infanzia si colloca in un’a ria così azzurra, come se le sue antiope o i suoi ammiragli, le sue pavonie e le sue aurore costellassero uno di quegli splenàdi smal ti di Limoges, in cui i merli e le mura di Gerusalemme campeg giano su uno sfondo azzurro cupo.
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Tiergarten. N on sapersi orientare in una città non significa molto. Ci vuo le invece una certa pratica per smarrirsi in essa come ci si smarri sce in una foresta. I nomi delle strade devono parlare all’errabon do come lo scricchiolio dei rami secchi, e le viuzze del centro gli devono scandire senza incertezze, come in montagna im avvalla mento, le ore del giorno. Q uest’arte l ’ho appresa tardi; essa ha esaudito il sogno, le cui prime tracce furono i labirinti sulle carte assorbenti dei miei quaderni. N o, non le prime, poiché le prece dette quell’altro che a esse è sopravvissuto. La via verso questo la birinto, cui non è mancata la sua Arianna, passava sul ponte Bendler, il cui dolce arco fu per me il primo pendio collinare. Non lon tano da lì era la meta; Federico Guglielmo e la regina Luisa. Emergevano dalle aiuole su tondi piedestalli e parevano ammalia ti dalle magiche curve che un corso d ’acqua disegnava davanti a loro nella sabbia. Più che ai regnanti, però, rivolgevo la mia at tenzione ai piedestalli, perché le scene che vi erano rappresenta te, pur non essendo chiari i riferimenti, erano più vicine. Che que sto labirinto avesse una sua importanza, l’ho avvertito da sempre in quell’ampio e insignificante spiazzo che per nulla lasciava pre sagire come qui, solo a pochi passi dalla fila delle carrozze e delle vetture di piazza, dormisse la parte più misteriosa del parco. N e ebbi molto presto un segno. In quel punto, infatti, o non lontano, deve aver avuto la sua dimora quell’Arianna alla cui pre senza per la prima volta avvertii ciò di cui solo più tardi appresi il nome: l’amore. Purtroppo alla sua sorgente compare la «Fràulein» che si posò su di essa come algida ombra. E così questo parco, che come nessun altro sembrava aperto ai bambini, per me era sbar rato da difficoltà e ostacoli insuperabili. Raramente distinguevo i pesci rossi nello stagno. Quante cose prometteva, col suo nome, il Hofjàgerallee^ e quanto poche ne manteneva. Quante volte cer cai invano la boscaglia in cui si trovava un chiosco dalle torrette rosse, bianche e blu in stile scatola di costruzioni Anker. Incon solabile a ogni primavera torna il mio amore per il principe Luigi Ferdinando, ai cui piedi c’erano i primi crochi e i primi narcisi. Un corso d’acqua che mi separava da loro me li faceva apparire così intoccabili come se fossero stati sotto una campana di vetro. Co sì, in quest’algida bellezza doveva poggiare la natura principesca, ^ Il «Viale dei Cacciatori di Corte» [N .i/.T],
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e compresi perché Luise von Landau, con la quale fino alla sua morte avevo condiviso la cerchia, doveva avere dimora lungo il Liitzowufer di fronte al piccolo tratto di vegetazione selvaggia i cui fiori vengono bagnati dalle acque del canale. Più tardi scoprii nuovi cantucci; di altri perfezionai la cono scenza. Eppure su questo nessuna ragazza, nessuna esperienza, nes sun libro potè dirmi alcunché di nuovo. Quando perciò, trent’anni pili tardi, una persona esperta dei luoghi, un contadino di Berlin o \ si prese cura di me per fare ritorno dopo lunga separazione comune dalla città, i suoi percorsi solcarono questo parco in cui egli seminava la semente del silenzio. Avanzava lungo i viottoli, e ognu no si faceva scosceso. Conducevano giù, se non alle Madri di ogni esistere, certamente a quelle di questo parco. N ell’asfalto che cal pestava, i suoi passi destavano un’eco. La luce a gas che illumina va il nostro selciato spandeva su quel terreno un chiarore ambiguo. Le piccole scale, gli atri a colonnato, i fregi e gli architravi delle vil le del Tiergarten - fummo noi a prenderli per la prima volta in pa rola. Soprattutto le trombe delle scale che con le loro vetrate era no rimaste le stesse, anche se all’interno, dove si abitava, molto era stato cambiato. Ricordo ancora i versi che dopo la scuola colma vano gli intervalli del mio battito cardiaco quando salendo le sca le riprendevo fiato. M i si presentavano in una luce soffusa dalla vetrata da cui, sospesa come la Madonna Sistina, una donna fuo riusciva da una nicchia reggendo in mano una corona. Sollevando con il pollice le cinghie deUa cartella che avevo in spalla leggevo; «Il lavoro è il decoro dell’uomo I La prosperità il premio della fa tica». In basso la porta si richiudeva con un sospiro, come uno spet tro che fa ritorno nella sua tomba. Fuori forse pioveva. Una delle variopinte vetrate era rimasta aperta, e accompagnati dal ticchet tio della pioggia si continuava a salire le scale. Fra le cariatidi e gli atlanti, fra i putti e le pomone che allora mi avevano osservato, le più vicine mi erano ora quelle polverose figure della famiglia dei numi tutelari che proteggono l ’ingresso nella vita e nella casa. Ben sanno infatti cosa significhi attendere. E cosi per loro era lo stesso aspettare un estraneo, il ritorno delle antiche divinità, o il bambino che trent’anni prima, con la sua car’ Benjamin allude al titolo del racconto fantastico di Louis a rag o n , Lepaysan de Paris [11 contadino di Parigi], 1926, con un omaggio all’amico Franz Hessel (1880-1941) e al ce
rnirne interesse per la letteratura francese del surrealismo. A Hessel, Benjamin dedicò il saggio Die Wiederkehr des Vlaneun - Zu Franz Hessek «Spaziergang in Berlin» [trad. it. Il ri torno delflàneur, in w a l te r bet^jamin. Ombre corte, Einaudi, Torino 1993, pp. 468 sgg.] [N.ii.T.].
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tella, era passato accanto al loro piede. N el loro segno il vecchio W esten si trasformò nel W esten antico dal quale ai naviganti, che jrima di ormeggiarsi al ponte di Ercole lentamente fanno risalire ungo il Landwehrkanal il vascello con i pomi delle Esperidi, giun gono i venti di ponente. E come nella mia fanciullezza, l ’idra e U leone nemeo ritrovavano il loro posto nella selvaggia vegetazione intorno al GroJSer Stern.
In ritardo. L’orologio nel cortile della scuola sembrava danneggiato dalla mia colpa. Segnava «in ritardo». E nel corridoio, attraverso le por te delle aule che sfioravo arrivava il brusio di una consultazione segreta. Là dietro maestri e alunni erano amici. Oppure tutti ta cevano, come se si aspettasse qualcuno. Cautamente posavo la ma no sulla maniglia. Il sole inondava il punto dove esitavo. Allora immolavo la mia giornata ancora acerba, ed entravo. Nessuno sem brava conoscermi o anche solo vedermi. All’inizio della lezione, il maestro aveva messo sotto sequestro il mio nome, come il diavo lo aveva fatto con l ’ombra di Peter Schlemihl. N on sarebbe più toccata a me. Buono buono, lavoravo con gli altri fino a quando suonava la campana. Ma nel farlo non c’era grazia.
Libri per ragazzi. Quelli che amavo di più provenivano dalla biblioteca scolastica. Nelle classi inferiori li assegnavano. Il maestro pronunciava il mio nome, e al di sopra dei banchi il libro partiva per il suo viaggio; un allievo lo spingeva all’altro, oppure si librava sopra le teste finché arrivava a me che avevo alzato la mano. Sulle pagine restava im pressa l’impronta delle dita che lo avevano sfogliato. Il capitello che rifiniva la rilegatura e che sporgeva sopra e sotto era tutto sporco. In particolare il dorso però doveva averne passate di brutte; ecco perché le due metà della copertina si spostavano da sole e il taglio formava gradini e terrazze. E alle sue pagine erano talora appesi, come limghi filamenti ai rami degli alberi, i fragili fili di una rete, in cui una volta mentre imparavo a leggere m’ero impigliato. Il libro stava aperto sopra Ìl tavolo troppo alto. Leggendo, mi tappavo le orecchie. Non c’era già stato un tempo in cui avevo sen tito narrare senza voce? Non da mio padre, però. Talvolta, d ’in
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verno, quando nella calda stanza me ne stavo alla finestra, era in vece il turbinio di neve a narrare così senza rumore. N on avevo mai capito con precisione cosa mi raccontasse perché troppo fittam ente e incessantemente il noto si avvicendava all’ignoto. Avevo appena stretto amicizia con uno sciame di fiocchi, e già mi accorgevo come avesse dovuto cedermi a un altro che s’era im provvisamente mescolato al primo. Ora però era arrivato il mo mento di seguire, nel turbinio delle lettere, le storie che quando ero alla finestra mi si erano sottratte. I paesi lontani che vi incon travo danzavano confidenzialmente l’uno intorno all’altro come i fiocchi di neve. E poiché quando nevica la lontananza non ci con duce più verso l ’esterno, ma verso l’interno, Babilonia e Baghdad, Akko e l ’Alaska, Troms0 e il Transvaal erano dentro di me. La mi te aria da romanzone d’avventure che li pervadeva si insinuò così incontrastatamente nel mio cuore col sangue e il periglio, che re stò per sempre fedele ai consunti volumi. O restò fedele a volumi più vecchi, irreperibili? E cioè a quel li meravigliosi che solo una volta in sogno mi fu concesso rivede re ? Come si chiamavano ? Sapevo solo che erano proprio questi li bri scomparsi ormai da tempo che non ero più riuscito a trovare. Adesso però erano in un armadio, che al risveglio mi resi conto di non aver mai visto prima. N el sogno mi sembrava vecchio e fami liare. I libri non erano disposti in verticale ma in orizzontale; e precisamente nell’angolo più minaccioso. In essi c’era aria di temjesta. Aprirne uno, mi avrebbe condotto nel bel mezzo del gremDo in cui, cangiante e fosco, si rannuvolava un testo gravido di coori. Erano gorgoglianti e sfuggenti, sempre trapassavano in un violetto che sembrava provenire dalle viscere di un animale ma cellato. Innominabili e carichi di significato come queU’esecrabile violetto erano i titoli, ciascuno dei quali mi sembrava più bizzar ro e più familiare del precedente. Ma prima ancora di potermi impadronire anche di uno soltanto di essi, mi ridestavo senza aver sfiorato, neppure in sogno, i vecchi libri per ragazzi.
Mattini d ’inverno. La fata, presso la quale si ha diritto a un desiderio, c’è per ognu no. Solo pochi però riescono a ricordarsi il desiderio che hanno espresso; così, nel corso della loro vita, solo pochi si accorgono che si è realizzato. Io so bene quale mi fu esaudito, e non voglio dire che esso sia stato più ragionevole di quello dei bambini delle favole. Si
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formava in me con il lume che d ’inverno, presto, alle sei e mezzo del mattino, si avvicinava al mio letto e proiettava sul soffitto l ’om bra della governante. Nella stufa veniva acceso il fuoco. Presto la fiamma, come compressa in un cassetto troppo angusto dove a cau sa del carbone non poteva quasi muoversi, volgeva lo sguardo ver so di me. Eppure era qualcosa di impetuoso ciò che K vicino inizia va a trovare una propria sistemazione, qualcosa che era più piccolo di me e per raggiungere il quale la domestica doveva chinarsi mol to. Dopo averlo accudito, metteva una mela a cuocere nel tubo del la stufa. Ben presto sul pavimento, al centro di guizzi rossastri, si delineava la grata dello sportello. E alla mia spossatezza sembrava che quell’immagine le sarebbe stata sufficiente per tutta la giorna ta. Cosf era sempre a quell’ora; solo la voce della bambinaia gua stava il processo col quale il mattino d’inverno era solito sposarmi con gH oggetti della mia camera. La persiana non era ancora aper ta, e io già scostavo il gancetto dello sportello per spiare la mela nel tubo. Certe volte non aveva ancora quasi modificato il suo aroma. E allora pazientavo fino a quando mi pareva di cogliere lo spumoso profumo che emanava da una cellula della giornata invernale più profonda e discreta persino di quella da cui proveniva il profumo dell’albero nella notte di Natale. Ed ecco la mela, il frutto bnmo e caldo, comparirmi davanti familiare e tuttavia cambiata, come un buon conoscente che fosse stato in viaggio. Era il viaggio nell’oscu ro paese del calore della stufa, da cui la mela aveva assorbito l’aro ma di tutte le cose che il giorno mi teneva in serbo. Nessuna mera viglia perciò se ogni volta che mi scaldavo le mani alle sue lucenti gote esitassi prima di addentarla. Avvertivo che il volatile messag gio consegnato al suo profumo poteva facilmente sfuggirmi nel tra gitto lungo il palato. Quel messaggio che talvolta mi rincuorava al punto di essermi di consolazione ancora mentre mi recavo a scuola. Una volta arrivato, però, al contatto con il mio banco si rifaceva vi va decuplicata tutta la spossatezza che prima sembrava svanita. E con essa tornava quel desiderio: poter dormire. Mille e miUe volte l’ho espresso: e più tardi si realizzò veramente. Passò però molto tempo prima che lo riconoscessi nel fatto che si era sempre dimo strata vana la speranza di un impiego sicuro e un pasto assicurato.
Steglitzer Strabe angolo Genthiner Strafie. In ogni infanzia, a quei tempi, svettavano ancora le zie che non lasciavano più la loro casa, che ogni volta che arrivavamo in visita
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con la mamma, erano H ad aspettarci, ci davano il benvenuto sem pre con la stessa cuffietta nera e lo stesso vestito di seta, suUa stes sa poltrona e dallo stesso bow window. Come fate che esercitano il loro influsso su un’intera vallata senza mai scendervi, dominavano intere strade senza mai mostrarsi. A queste entità apparteneva zia Lehmann. Il suo schietto nome tedesco-settentrionale le garantiva il diritto di occupare per tutta la vita il bow window sotto il quale la Steglitzer Strafie sfocia nella Genthiner StraBe. L’angolo è fra quelli rimasti quasi intoccati dai mutamenti degli ultimi trent’anni. Solo che in questo tratto di tempo è caduto il velo che me lo rico priva da bambino. Perché allora per me non prendeva ancora il no me da Steglitz. Era l’uccello Stieglitz"' ad averglielo dato. E la zia non dimorava forse nella sua gabbia come un uccello parlante ? Quando vi entravo, risuonava sempre del cinguettio di questo pic colo uccello nero che era volato sopra tutti i nidi e i poderi della Marca, ove un tempo, sparsa qua e là, aveva risieduto la sua stirpe, e che conservava nella memoria i nomi di entrambi - dei luoghi e dei congiunti - che spesso coincidevano. La zia conosceva i matri moni, le dimore, gli eventi lieti e tristi dei vari Schònflies, Ratwitscher, Landsberg, Lindenheim e Stargard, che un tempo, commer cianti di bestiame o di cereali, avevano risieduto nella Marca o nel Meclemburgo. I loro figli però, e forse già i loro nipoti, abitavano nel vecchio Westen, in strade che portavano il nome di generali prus siani e talvolta anche delle piccole città dalle quali provenivano. Spesso, quando anni dopo il mio espresso sfrecciava davanti a que sti luoghi remoti, al di là del terrapieno vedevo casupole, poderi, granai e frontoni, e mi chiedevo se non erano proprio questi i posti le cui ombre i genitori di quelle vecchie nonnine, alle quali da pic colo facevo visita, tanto tempo prima si erano lasciati alle spalle. Quando andavo da loro una voce tremula e scostante mi dava un freddo buon giorno. Ma nessuna era cosi finemente tessuta e in accordo con ciò che mi aspettava come quella di zia Lehmann. Non appena ero entrato, aveva infatti cura che mi si mettesse davanti il grande cubo di vetro in cui era racchiusa un’intera miniera vi vente, dove minuscoli minatori, cavatori, ingegneri, con carriole, martelli e lanterne si muovevano al ritmo di un meccanismo a oro logeria. Il giocattolo - se così lo si può chiamare - proveniva da un’epoca che anche al rampollo di un’agiata famiglia borghese an cora concedeva di gettare lo sguardo su macchinari e luoghi di la voro. E fra questi, la miniera era da sempre la più adatta, perché ^ Gioco di parole fra Steglitz, un sobborgo di Berlino, e Stieglitz, «cardellino» [N.d.T.].
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non mostrava solo i tesori estratti grazie a un duro lavoro, ma an che quell’argenteo splendore proveniente dalle sue vene in cui si era smarrito il Biedermeier di Jean Paul, Novalis, Tieck e Werner. Doppiamente custodito era questo appartamento con il bow window, come si conviene a luoghi che contengono cose tanto pre ziose. Subito dopo il portone, a sinistra nell’atrio, c’era la scura porta d ’ingresso col campanello. Dopo che si era aperta, davanti a me saliva una scala ripida e mozzafiato come più tardi ne ho viste solo in case di contadini. N el fioco chiarore dell’iUuminazione a gas che scendeva dall’alto, compariva una vecchia domestica, sot to la cui protezione subito dopo varcavo la seconda soglia che in troduceva nell’ingresso di questo tetro appartamento. Senza una di queste vecchie, tuttavia, non avrei neanche potuto concepirlo. Poiché con la loro signora condividevano un tesoro di memorie, anche se riservate, non solo la capivano all’istante, ma erano an che in grado di farne decorosamente le veci con qualunque visita tore. Più che mai davanti a me, che di solito sapevano trattare me glio della loro padrona. Per questo motivo avevo poi per loro sguardi di ammirazione. Erano di norma più imponenti delle loro padrone e quindi succedeva che il salone là dentro, nonostante la miniera e la cioccolata, avesse meno da dirmi dell’ingresso dove al mio arrivo la vecchia domestica mi toglieva il cappottino come per liberarmi da un peso e, quando andavo via, mi calava sulla fronte il berretto come a volermi benedire.
Due immagini enigmatiche. Fra le cartoline della mia collezione ce n’erano alcune la cui par te scritta mi s’è stampata nella memoria più dell’illustrazione. Re cavano l ’amabile, chiara firma: Helene Pufahl. Era il nome della mia maestra. La P con cui iniziava, era la P di persistenza, di pun tualità, di primo della classe; f significava fedele, fermo, fidato, e quanto alla 1 finale, era il simbolo di ligio, lodevole e laborioso. Cosicché questa firma, se fosse consistita solo delle consonanti co me nella grafia semitica, sarebbe stata non soltanto il luogo della perfezione calligrafica, ma anche l ’origine di tutte le virtù. Della cerchia della signorina Pufahl facevano parte ragazzi e ra gazze delle migliori famigUe del W esten borghese. Ma non si sot tilizzava su ogni singolo caso, e cosi in questo ambiente borghese potè smarrirsi anche una nobile. Si chiamava Luise von Landau, e quel nome ben presto mi affascinò. Fino a oggi è rimasto vivo in
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me, anche se non fu per questo motivo. Fu invece il primo fra quelK dei coetanei su cui sentii cadere l’accento della morte. Avvenne quando, lasciata ormai quella cerchia, andavo in quinta. Ogni vol ta che raggiungevo il Liitzowufer, con lo sguardo cercavo la sua abitazione. Si dà il caso che di fronte, suU’altra riva, ci fosse un piccolo giardino digradante verso l’acqua. Con l’andar del tempo 10 intrecciai cosi profondamente al nome amato, da convincermi alla fine che quell’aiuola di fiori splendente e inavvicinabile fosse 11 cenotafio della piccola defunta. La signorina Pufahi fu sostituita dal signor Knoche. Ormai an davo a scuola. Quel che avveniva in classe per lo più mi ripugna va. Ma non è durante imo dei suoi processi che il ricordo incontra il signor Knoche, bensì nel ruolo del veggente che predice il futu ro. Avevamo l’ora di canto. Si studiava la «Canzone dei cavalie ri» del Wallenstein: «A cavallo, a cavallo camerati! I Muoviamo al campo, dov’è libertà! I Soltanto in campo sono i cuor pesati, I fa prova l’uomo di forza o di viltà». Il signor Knoche volle sapere dalla classe cosa mai significasse il penultimo verso. Naturalmen te nessuno riuscì a rispondere. Il signor Knoche sembrò contento, e commentò: «Lo capirete quando sarete grandi». A ll’epoca mi sembrava che un fiume di anni separasse la mia età dalla sponda dell’essere adulto, sponda tanto lontana quanto quella del canale sxil quale si affacciava l’aiuola e che nelle passeg giate con la bambinaia non avevo mai raggiunto. In seguito, quan do nessuno mi prescriveva più il percorso e ormai capivo anche la «Canzone dei cavalieri», talvolta passai molto vicino all’aiuola sul Landwehrkanal. Ora però sembrava fiorire più raramente. E del nome che un tempo avevamo conservato insieme, non sapeva più di quanto il verso della «Canzone dei cavalieri», ora che la capi vo, contenesse di quel significato che il signor Knoche aveva pro messo di rivelarci nell’ora di canto. La tomba vuota e i cuor pesa ti - due immagini enigmatiche, della cui soluzione la vita mi ri marrà sempre debitrice.
Mercato coperto. Innanzitutto non si pensi che si dicesse Markt-HaUe’. N o, si pronunciava «Mark-ThaUe», e come queste due parole, neU’as’ In tedesco appunto il «m ercato coperto»; nel successivo Mark-ThaUe vi è forse un’e co della parola Tal, «valle», che ben si inserisce nell’immagine del mercato come luogo di fertilità [N .d.T .l
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suefazione del linguaggio, si erano logorate al punto che nessuna conservava il proprio senso originario, cosi nell’assiduità del mio girovagare attraverso il mercato si erano consumate tutte le im magini che esso concedeva, tanto che nessuna pili si offriva all’o riginario concetto di compra o vendita. Lasciato alle spalle l ’in gresso con le sue pesanti porte che oscillavano su molle poderose, subito lo sguardo si fissava su mattonelle rese sdrucciolevoli dal l’acqua dei pesci o dei risciacqui, dove era facile scivolare su ca rote o foglie di lattuga. Dietro le postazioni in rete metallica, cia scuna contrassegnata da un numero, troneggiavano donne dai mo vimenti impacciati, sacerdotesse della Cerere venale, rivendugliole di tutti i frutti dei campi e degli alberi, di tutti gli uccelli, pesci e mammiferi commestibili, mezzane, intangibili colossi fasciati di lana, che comunicavano da banco a banco ora con un lampo dei grossi bottoni, ora con una manata sul grembiule, ora con un so spiro che gonfiava loro il petto. N on era forse vero che qualcosa ribolliva, sgorgava e si enfiava sotto gli orli delle loro vesti, non era questo il suolo autenticamente fecondo ? N on era forse un dio del mercato a versare nel loro grembo la merce: bacche, crostacei, funghi, pezzi di carne e di cavolo, fecondando invisibile quelle donne che gli si davano mentre, appoggiate ai barili o con la sta dera dalle catenelle afflosciate fra le ginocchia, scrutavano indo lenti e silenziose la sfilata delle massaie cariche di borse e reti che a fatica cercavano di pilotare la prole attraverso gli sdrucciolevoli e puzzolenti corridoi.
La febbre. L’inizio di ogni nuova malattia insegnava ogni volta daccapo con quale sicura discrezione, con quanto riguardo e con quanta abi lità il contrattempo venisse a trovartni. Lungi da esso l’idea di da re nell’occhio. Cominciava con qualche chiazza sulla pelle, con un malessere. Era come se la malattia fosse abituata a pazientare sino a quando il medico non le avesse procurato un alloggio. Quello ve niva, mi visitava, e insisteva soprattutto che aspettassi il seguito a letto. M i vietava di leggere. D ’altronde avevo da fare cose più im portanti. Perché ora, finché ero in tempo e non avevo la testa trop po confusa, iniziavo a riflettere su quanto stava per accadere. Mi suravo la distanza tra letto e porta e mi chiedevo per quanto tem po ancora la mia voce avrebbe potuto superarla. Nel pensiero già mi figuravo il cucchiaio, il bordo gremito delle esortazioni di mia
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madre, e come, dopo essere stato dapprincipio avvicinato cauta mente alle mie labbra, all’improvviso facesse prorompere la sua ve ra natura, versandomi impietosamente in gola l’amara medicina. Come l’ebbro prova talvolta a fare un calcolo o un ragionamento solo per accertarsi di esserne ancora capace, così io contavo i cer chi che il sole faceva oscillare sul soffitto della camera e ordinavo in sempre nuovi fasci le losanghe della tappezzeria. Sono stato spesso ammalato. Da qui proviene forse quella che altri in me definiscono pazienza, ma che in realtà non assomiglia ad alcuna virtù: la tendenza a vedere tutto ciò a cui tengo avvici narsi a me da lontano come le ore al mio letto di ammalato. È per questo che quando faccio un viaggio mi viene a mancare la gioia maggiore se non ho potuto aspettare a lungo il treno in stazione, e cosf si spiega anche perché il fare regali sia diventato per me una passione; infatti io, il donatore, scorgo con grande anticipo ciò che per l’altro costituisce una sorpresa. Anzi, il bisogno di guardare al l ’avvenire sorretto dal tempo dell’attesa, come un ammalato dal lo strato di cuscini dietro la schiena, ha fatto sf che più tardi le donne mi sarebbero parse tanto più desiderabili quanto più pa zientemente e lungamente le avessi attese. Il mio letto, che di norma era il luogo di un’esistenza quanto mai riservata e silenziosa, acquistava ora ruolo e dignità pubbli che. Per lungo tempo non sarebbe più stato il segreto teatro delle mie avventure serali; leggere romanzoni d ’avventura e giocare con le candele. Sotto il cuscino non c’era più il libro che, dopo il rito proibito, vi veniva sospinto ogni notte con l’ultima riserva di ener gia. E anche le colate di lava e i focolai d’incendio che facevano sciogliere la stearina, in quelle settimane venivano meno. Anzi, ciò di cui la malattia mi derubava forse era solo quell’affannato, si lenzioso gioco che per me non fu mai disgiunto da una segreta pau ra - precorritrice di quella successiva che avrebbe accompagnato un analogo gioco in un analogo margine della notte. C’era voluta la malattia per procurarmi la coscienza pulita. Essa aveva la stes sa freschezza del lenzuolo liscio e teso che la sera mi accoglieva nel letto rifatto. Per lo più era mia madre a sistemarmelo. Dal divano la vedevo scuotere cuscini e federe, e intanto pensavo alle sere in cui mi avevano fatto il bagno e poi portato la cena a letto su un vassoio di porcellana. Attraverso un cespuglio di lamponi selvati ci, sotto lo smalto, spuntava una donna nell’atto di spiegare al ven to uno stendardo con la massima: «Vai in Oriente, vai in Occi dente, meglio di casa propria non c’è niente». E il ricordo della cena e del cespuglio di lamponi era tanto più piacevole in quanto
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il corpo si credeva affrancato in eterno dal bisogno di nutrirsi. In compenso era avido di storie. L’impetuosa corrente di cui erano piene attraversava anche lui, trascinando via con sé, come detriti, il male. Il dolore era un argine che solo all’inizio opponeva resi stenza alla narrazione; in seguito, quando questa si era rafforzata, veniva minato alla base e sospinto nell’abisso dell’oblio. Erano le carezze a preparare il letto a questo fiume. Le amavo, perché nel la mano di mia madre scorrevano le storie che in seguito avrei ascol tato da lei. Grazie ad esse tornava alla luce quel poco che venni a sapere dei miei antenati. M i venivano evocate la carriera di un avo, le regole di vita del nonno, quasi a volermi far capire quanto fos se prematuro privarmi, con una morte precoce, dei forti atout che grazie alla mia origine avevo in mano. Due volte al giorno mia ma dre verificava fino a che punto l’avessi sfiorata. Quindi con il ter mometro si avvicinava circospetta alla finestra o alla lampada, ma neggiando il sottile tubetto come se vi fosse racchiusa la mia vita. Più tardi, quando crebbi, l ’indagare la presenza dell’anima nel cor po non fu per me più difficile del decifrare, nell’esile colonnina, dove sempre si sottraeva al mio sguardo, la posizione del filo del la vita. Farsi provare la febbre affaticava. Dopo preferivo starmene tut to solo, per potermi occupare dei miei cuscini. In una fase in cui monti e colline non avevano ancora molto da dirmi, avevo infatti familiarizzato con le creste dei miei cuscini. D el resto ero in com butta con le potenze che le avevano generate. Così talvolta face vo in modo che in quella catena montuosa si aprisse una caverna. Ci strisciavo dentro; tiravo la coperta sulla testa e tendevo l’orec chio verso quella gola oscura, nutrendo di tanto in tanto il silen zio con parole che essa restituiva sotto forma di storie. Talvolta intervenivano anche le dita che mettevano in scena un avveni mento; oppure facevano «negozio» tra loro e, dietro il banco for mato dai due medi, i mignoli si inchinavano zelanti al cliente, cioè a me stesso. Ma la mia voglia e anche la forza di sovraintendere al loro gioco via via diminuiva. Da ultimo seguivo quasi senza inte resse l’agitarsi delle mie dita che, come gentaglia indolente e infi da, si affaccendavano alla periferia di una città divorata da un in cendio. Impossibile fidarsi di loro. Infatti anche se si erano allea te senza malizia - non si poteva mai essere certi che le due schiere, in silenzio come erano comparse, non andassero poi ciascuna di nuovo per la propria strada. E questa era talvolta una strada proi bita, al cui termine una dolce sosta permetteva di fermare lo sguar do sulle seducenti visioni che si agitavano sul velo infuocato die
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tro le palpebre chiuse. Perché non c’era cura o amore che riuscis se a collegare del tutto la camera dov’era il mio letto aUa vita del la nostra casa. Dovevo aspettare fino a sera. Allora, quando la por ta si apriva davanti alla lampada, e la cupola del paralume, on deggiando sulla soglia, si muoveva verso di me, era come se la dorata sfera della vita che faceva turbinare ogni ora del giorno avesse per la prima volta trovato la strada verso quell’isolato cas setto che era la mia camera. E prima ancora che la sera avesse po tuto mettersi a suo agio, cominciava per me una vita nuova; o me glio, quella vecchia contrassegnata d ^ a febbre, alla luce della lam pada da un istante all’altro sbocciava. Il solo fatto di essere coricato mi consentiva di trarne un vantaggio che altri non sarebbero riu sciti a procurarsi cos£ facilmente. Approfittavo della mia tran quillità e salutavo la luce proiettando ombre cinesi suUa parete ac canto al letto. I giochi ai quali avevo lasciato che le mie dita si ab bandonassero, tornavano ora sulla tappezzeria, ma più indefiniti, 5Ìù grandi, più misteriosi. «Invece di aver paura delle ombre dela sera - cosi stava scritto nel mio libro dei giochi - i bambini al legri ne approfittano per divertirsi». E seguivano istruzioni ricca mente illustrate, secondo le quali suUa parete si potevano proiet tare stambecchi e granatieri, cigni e conigli. Io stesso però raramente andai oltre le fauci di un lupo. Solo che erano così gran di e così spalancate da sembrare quelle di Fenri, che, proprio in quella stessa camera dove si lottava per strapparmi alla malattia dell’infanzia, facevo mettere in movimento nel ruolo di distrutto re del mondo. Un bel giorno la malattia se ne andava. L’approssi marsi della guarigione, come la nascita, allentava legami che la feb bre era tornata dolorosamente a rinsaldare. Nella mia esistenza, le persone di servizio riprendevano a sostituire la mamma con mag giore frequenza. E una mattina, dopo lunga parentesi, con esili forze mi abbandonavo di nuovo al rumore del battipaimi: entrava dalle finestre e nel cuore del bambino si scolpiva più pro fondamente che la voce dell’amata nel cuore dell’uomo, quel bat tere che era l’idioma degli strati inferiori, di autentici adulti, che mai si interrompeva, mai divagava, talvolta se la prendeva como da, che, lento e attutito, si teneva pronto a tutto, che talvolta ri cadeva in un imprevedibile galoppo, come se là fuori ci si dovesse affrettare prima della pioggia. Impercettibilmente, come quando aveva iniziato a occuparsi di me, la malattia se ne andava. Quando stavo ormai per dimenticar la del tutto, mi inviava tuttavia un ultimo saluto dalla mia pagel la. In calce alla quale era registrata la somma delle ore perdute. Non
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mi apparivano grigie e monotone come quelle in cui ero stato pre sente, ma anzi si allineavano come variopinti nastrini sul petto de gli invalidi. Sì, l ’annotazione: «Centosettantatre ore di assenza», ai miei occhi rappresentava una lunga serie di decorazioni.
La lontra. Come dalla casa in cui abita e dal quartiere in cui vive ci si fa un’idea della natura e del carattere di una persona, così io mi com portavo nei confronti degli animali del Giardino zoologico. Dagli struzzi, schierati davanti a uno sfondo di sfingi e di piramidi, al l’ippopotamo, che abitava la sua pagoda come uno stregone in pro. cinto di fondersi col demone suo signore, non c’era quasi animale la cui abitazione non fosse per me motivo di amore o timore. Più rari tra loro erano quelli cui già la posizione della dimora conferi va qualcosa di singolare - si trattava per lo più di abitanti della pe riferia: di quelle parti cioè che mettevano il Giardino zoologico in contatto con le mescite di caffè o con l ’area delle esposizioni. E fra tutti gli abitanti di queste zone, l’animale più notevole era la lontra. D ei tre ingressi, il più vicino ad essa era quello dalla parte del ponte Lichtenstein. Era l ’ingresso di gran lunga meno fre quentato, e conduceva anche alla zona più trascurata del Giardi no. Con i bianchi globi dei suoi lampioni, il viale che accoglieva il visitatore ricordava un passeggio abbandonato di Eilsen o di Bad Pyrmont, e ancora molto tempo prima che questi luoghi cono scessero un degrado tale da essere più antichi delle terme, que st’angolo del Giardino zoologico mostrava già i tratti dell’avveni re. Era un angolo profetico. Infatti, come ci sono piante di cui si racconta che abbiano il potere di lasciar scrutare nel futuro, così esistono luoghi che hanno questo medesimo dono. Per lo più so no posti abbandonati, o anche cime accostate a un muro, vicoli ciechi o giardini davanti alla casa, dove non si trattiene mai nes suno. In luoghi simili è come se tutto ciò che propriamente deve ancora accaderci fosse già passato. Era dunque in quella parte del Giardino zoologico che, ogni qual volta mi ci perdevo, potevo get tare lo sguardo oltre l ’orlo di una vasca che si ergeva come al cen tro di un parco termale. Era il recinto della lontra. Recinto è la pa rola giusta; il parapetto del bacino dove stava l ’animale era infat ti dotato di robuste sbarre. Sullo sfondo, l’ovale della vasca era circondato da un piccola costruzione di scogli e grotte artificiali. Era stata pensata come dimora della lontra; lì però, non riuscii mai
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a vederla. E così rimanevo spesso, in un’attesa senza fine, davan ti a questa impenetrabile, nera profondità, con la speranza di sco prirla da qualche parte. E quando infine accadeva, era sicuramen te solo per un attimo, poiché subito il luccicante ospite della ci sterna tornava a eclissarsi nella sua umida notte. Certo, non era propriamente una cisterna quella in cui veniva tenuto. Tuttavia, quando guardavo quelle acque, mi sembrava sempre che la piog gia si riversasse in tutti i tombini della città solo per sfociare in quella vasca e nutrirlo. A vivere in quel luogo era infatti un ani male viziato, al quale la vuota, umida grotta faceva più da tempio che da rifugio. Era l’animale sacro deU’acqua piovana. Non avrei però potuto dire se si fosse generato in quelle acque naturali e di scarico, o semplicemente si nutrisse dei suoi torrenti e rigagnoli. Era sempre straordinariamente indaffarato, come se in quegli abis si fosse indispensabile. E io avrei potuto trascorrere, la fronte ap poggiata alla grata, dolci, lunghi giorni, senza saziarmi della sua visione. E anche in questo si confermava la sua segreta parentela con la pioggia. Perché un dolce, lungo giorno mai mi era più dol ce, mai più lungo di quando la pioggia, con i suoi denti ora fitti ora radi, ne lisciava lentamente le ore e i minuti. Docile come una bambinetta, offriva il capo a questo grigio pettine. E io allora ri manevo a guardarlo insaziabile. Aspettavo. Non che cessasse. Ma che scrosciasse sempre più vigorosa. La sentivo tambureggiare con tro i vetri, irrompere dalle gronde e gettarsi gorgogliando nei tu bi di scolo. Nella benevola pioggia mi sentivo al sicuro. Mi sus surrava del mio futuro, come si canta una ninnananna accanto al la culla. Comprendevo bene che in essa si cresce. In quelle ore, dietro la cupa finestra mi sentivo vicino alla lontra. Ma di questo mi rendevo realmente conto soltanto quando mi ritrovavo la vol ta successiva davanti al recinto. Allora dovevo di nuovo aspettare a lungo prima che il corpo nero, luccicante guizzasse in superficie, per reimmergersi subito, chiamato da indilazionabili impegni.
Isola dei pavoni e Glienicke. L’estate mi avvicinava agli HohenzoUern. A Potsdam, alle no stre abitazioni estive erano infatti contigui il Neues Palais e Sanssouci, il Wildpark e Charlottenburg, e, a Babelsberg, il Castello con i suoi giardini. La vicinanza di questi giardini dinastici non ha mai intralciato i miei giochi, poiché facevo mie le zone che vive vano all’ombra degli edifici reali. Si sarebbe potuta scrivere la sto
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ria del mio dominio che aveva inizio con l’investitura da parte di un giorno d ’estate e durava sino al momento in cui il mio regno tornava al tardo autunno. La mia esistenza, del resto, era tutta spe sa in battaglie per quelle mie terre. N on riguardavano un antiimperatore, ma quella terra stessa e gli spiriti che mobilitava contro di me. Fu sull’isola dei pavoni, un pomeriggio, che subii la sconfitta più severa. Mi era stato chiesto di cercare nell’erba delle penne di pavone. Quanto più seducente mi apparve a quel punto l’isola, luo go di ritrovamento di trofei così affascinanti. Ma quando ebbi per lustrato inutilmente in lungo e in largo i prati alla ricerca di quan to mi era stato promesso, più che l’astio contro gli animali, che con il loro inviolato tesoro di penne passeggiavano davanti alle volie re, si impadronì di me lo scoramento. Per un bambino un ritrova mento è ciò che per un adulto è una vittoria. Avevo cercato qual cosa che l’isola avrebbe potuto consegnare a me solo, qualche co sa che a me solo avrebbe potuto svelare. U n’unica penna mi sarebbe bastata per prenderne possesso - non solo dell’isola, ma anche del pomeriggio, della traversata in traghetto da Sakrow, con quell’unica penna tutto ciò sarebbe diventato incontestabilmente mio. L’isola era perduta, e con lei una seconda patria: la terra dei pavoni. E solo allora, prima di tornare a casa, sulle scintillanti fi nestre della corte del castello decifrai i cartelli che lo splendore del sole vi stampava: oggi non dovevo penetrare all’interno. Come allora il mio dolore non sarebbe stato tanto inconsolabi le se, con la penna che mi era sfuggita, non avessi perduto anche una terra avita, così un giorno il piacere di aver imparato ad an dare in bicicletta non sarebbe stato tanto grande se in quel modo non avessi anche conquistato nuovi territori. Successe in uno di quei padiglioni asfaltati dove, ai tempi in cui il ciclismo era di mo da, l ’arte che oggi i bambini si trasmettono l’un l’altro, veniva in segnata con lo stesso impegno con cui si insegna a guidare l ’auto mobile. Il padiglione si trovava in campagna, nei pressi di Glienicke; risale a un’epoca in cui sport e aria aperta non erano ancora inscindibili. Inoltre, le varie forme di allenamento non si erano an cora unificate. Con propri spazi e con un appariscente vestiario, ciascuna mirava gelosamente a distinguersi da tutte le altre. Ed egualmente tipico di quell’età pionieristica era il fatto che nello sport - almeno in quello che si praticava in quel posto - fossero le eccentricità a dare il la. Ecco perché in quei padiglioni, accanto al le biciclette da uomo, da donna e da bambino, si vedevano circo lare dei telai più moderni la cui ruota anteriore era di quattro, cin
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que volte più grande di quella posteriore, e il cui aereo sellino era lo scranno sul quale gli acrobati provavano i loro numeri. Spesso le piscine prevedono vasche separate per nuotatori e non nuotatori; anche qui si poteva parlare di una analoga distinzione. E precisamente tra chi doveva esercitarsi sull’asfalto e chi poteva abbandonare il padiglione e pedalare nel parco. Ci volle un bel po’ prima che fossi promosso in questo secondo gruppo. Ma un bel giorno d’estate mi lasciarono andare all’aperto. Ero stordito. Il sentiero era ghiaioso; i sassolini scricchiolavano; per la prima vol ta non c’era riparo dal sole, che mi accecava. L’asfalto era all’om bra, comodo e senza un preciso percorso. Qui invece, i pericoli erano in agguato a ogni curva. La bicicletta sembrava procedere da sola, sebbene non fosse a ruota libera e il terreno ancora pia neggiante. Per me era come se prima di allora non l’avessi mai mon tata. N el manubrio cominciò a manifestarsi ima volontà autono ma. Ogni impervietà poteva farmi perdere l’equilibrio. Da tempo non ero più abituato a cadere, ma ora succedeva che la forza di gravità avanzasse diritti cui aveva abdicato da anni. D ’un tratto, dopo una breve salita, il sentiero cominciò repentinamente a scen dere, l’ondulazione che mi fece scivolare d ^ a sua sommità, da vanti alla gomma si disintegrò in una nuvola di polvere e pietrisco, i rami mi sfiorarono il viso, e quando ormai avevo perso ogni spe ranza di riuscire a fermarmi, all’improvviso mi arrise la lieve so glia davanti all’ingresso. Con il cuore in gola, ma con tutto lo slan cio che il pendio appena percorso mi aveva impresso, mi tuffai nel l’ombra del padiglione. Quando scesi di sella, fu con la certezza che grazie al congiungimento con quell’ondulazione, proprio co me ducati o reami per matrimonio divengono appannaggio della Casa imperiale, quell’estate senza alcuna fatica avrei avuto in do te Kohlhasenbriick con la sua stazione ferroviaria, il lago di Griebnitz con i suoi pergolati declinanti verso i pontili, il castello di Babelsberg con i suoi merli severi, i profumati orti di Glienicke.
Un annuncio di morte. Avrò avuto forse cinque anni. Una sera, ero già a letto, com parve mio padre. Venne per darmi la buona notte. Fu forse in par te contro la sua intenzione che mi diede la notizia della morte di un cugino. Era un uomo un po’ in là con gli anni, con il quale non avevo quasi contatti. M io padre integrò la notizia con tutti i par ticolari. N on colsi tutto del suo discorso. Quella sera, invece, mi
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si impresse nella mente la camera, come se avessi saputo che un giorno avrei dovuto fare i conti con essa. Ero ormai adulto quan do venni a sapere che il cugino era morto di sifilide. Mio padre era venuto H per non restare solo. Ma era passato a trovare la mia ca mera, non me. I due non avevano bisogno di un confidente.
Blumeshof 12’". Nessun campanello aveva suono più amico. Oltre la soglia di quella casa ero al sicuro persino più che in quella paterna. Fra l’al tro non si diceva Blumes-Hof ma Blume-zof, ed era im enorme fio re di felpa che dal suo involucro increspato mi sfiorava il viso. Al suo interno c’era la nonna; la madre di mia madre. Era vedova. Quando si andava a trovare l’anziana signora nel suo bow window ornato da una piccola balaustra, con in terra im tappeto e davan ti il Blumeshof, riusciva difficile immaginare che ogni qualche an no si fosse aggregata alla «Viaggi Stangen» per intraprendere lun ghe crociere e persino spedizioni nel deserto. Fra tutti gli appar tamenti signorili che frequentavo, questo era l’unico cosmopolita. Non che vedendola lo si notasse. Ma che le cartoline illustrate in viate in occasione dei suoi viaggi arrivassero da Madonna di Cam piglio o Brindisi, da Westerland o Atene - da tutte spirava l’aria del Blumeshof. E la grande, piacevole grafia che lambiva la base delle immagini o si rannuvolava nel loro cielo, le mostrava a tal punto abitate da mia nonna da trasformarle in colonie del Blu meshof. Quando poi la sua madrepatria tornava a schiudersi, ne calpestavo l’assito pieno di trepidazione, come se anch’esso aves se danzato con la sua padrona sulle onde del Bosforo e nei tappe ti persiani ancora si nascondesse la polvere di Samarcanda. Con quali parole definire il quasi immemorabile senso di sicu rezza borghese che emanava da quell’appartamento ? Un inventa rio nelle sue numerose stanze oggi non farebbe onore ad alcun ri gattiere. Infatti, sebbene i prodotti degli anni Settanta fossero tan to più solidi di quelli successivi dello stile liberty - la caratteristica che li rendeva inconfondibili era la neghittosità con cui abbando navano le cose al corso del tempo, e con cui, per quel che riguar dava il loro futuro, si affidavano unicamente alla solidità del ma teriale e mai a un calcolo razionale. A dominare era un tipo di mo‘ Blumeshof (recte-, Mumes Hof), alla lettera «Corte dei fiori», una via a sud del Tiergarten, era l’indirizzo della nonna materna di Walter Benjamin [N.
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bilio che a causa del capriccio con cui riuniva in sé gli ornamenti di molti secoli, era compenetrato di se stesso e della loro durata. La miseria non poteva trovare accoglienza in stanze in cui non ne otteneva nemmeno la morte. In esse non c’era posto per morire; cosi i loro inquilini morivano nei sanatori, mentre i mobili già al la prima successione ereditaria finivano in un negozio. La morte in essi non era prevista. Per questo di giorno apparivano così confortevoli e di notte diventavano lo scenario di sogni paurosi. Appena vi accedevo, la tromba delle scale risultava abitata da un incubo che prima appesantiva e toglieva forza a tutte le membra, e alla fine, quando dalla sospirata soglia mi separavano ormai so lo pochi passi, mi prendeva in suo potere. Siffatti sogni furono il prezzo con cui mi guadagnai la sicurezza. La nonna non morì nel Blumeshof. Di fronte a lei abitò per lun go tempo la madre di mio padre, che era più vecchia. Anche lei morì altrove. Così quella strada divenne per me l’eliso, il regno delle ombre di nonne immortali eppure defunte. E poiché, una vol ta che ha gettato un velo su di un luogo, volentieri la fantasia la scia che gli orli ne siano increspati da inconcepibili umori, essa tra sformò un vicino negozio di generi coloniali in un monumento del noimo, che era mercante, solo perché anche il suo proprietario si chiamava Georg. Il busto di quell’uomo morto ancor giovane era collocato, in grandezza naturale e come pendant di quello di sua moglie, nel corridoio che portava alle parti meno frequentate del l’appartamento. Occasioni mutevoli le richiamavano in vita. La vi sita di una figlia sposata riapriva una stanza guardaroba ormai in disuso; un’altra stanza sul retro mi accoglieva quando gli adulti fa cevano il riposo pomeridiano; una terza era quella da cui proveni va il crepitare della macchina da cucire nei giorni in cui una sarta veniva a lavorare in casa. Fra quei locali defilati il mio preferito era la loggia, vuoi perché, ammobiliata più modestamente, era me no apprezzata dagli adulti, vuoi perché vi saliva, smorzato, il ru more della strada, vuoi infine perché mi consentiva di spingere lo sguardo su altri cortili con portinai, bambini e suonatori d’orga nino. Erano peraltro più voci che non forme quelle che mi si of frivano dalla loggia. Inoltre il quartiere era elegante e l’animazio ne nei cortili mai febbrile; qualcosa della pacatezza dei ricchi, a fa vore dei quali si svolgeva il lavoro, si era trasmessa a quest’ultimo e una traccia della domenica sedimentava sul fondo della settima na. Per questo la domenica era la giornata della loggia. La dome nica, che le altre stanze, quasi non fossero stagne, non riuscivano mai a contenere, al punto che essa ne traboccava - solo la loggia.
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che dava sul cortile con le barre per battere i tappeti e con le altre logge, poteva contenerla. E nessuna vibrazione del carico di cam pane con il quale le chiese dei Dodici Apostoli e di San Matteo la investivano andava perduta, ma tutte vi restavano accumulate fi no a sera. Le stanze di questo appartamento non solo erano numerose ma in parte anche molto spaziose. Per dire buon giorno alla nonna se duta nel suo bow window, dove accanto al cestino da lavoro ben presto sarebbero spuntate per me frutta o cioccolata, dovevo su perare l’enorme sala da pranzo e poi attraversare la stanza con il bow window. Soltanto il giorno di Natale l’appartamento rivela va a cosa fossero propriamente destinate queste sale. A causa del la quantità dei beneficiati, le lunghe tavole che servivano alla di stribuzione dei doni erano apparecchiate fitte fitte. Ogni posto era appiccicato all’altro e non si era mai al sicuro da perdite territo r i^ quando al pomeriggio, finito il grande pranzo, c’era ancora da apparecchiare per un vecchio factotum o per il figlio del portiere. Ma la maggiore difficoltà della giornata non consisteva in questo, bensì nell’inizio, quando si apriva la porta a battenti. Sullo sfon do della grande sala luccicava l’albero. Sulle lunghe tavole non c’e ra un posto da cui non si mostrasse, seducente, almeno un piatto variopinto con il marzapane e i rami d’abete; da molti poi ammic cavano libri e giocattoli. Meglio però non lasciarsi troppo andare. Mi sarei potuto rovinare la giornata se mi fossi affrettato a pre gustare regali che poi si sarebbero rivelati legittima proprietà al trui. Per evitarlo, restavo li imbambolato sulla soglia, sulle labbra un sorriso di cui nessuno avrebbe potuto dire se me lo suscitava lo splendore dell’albero o quello dei doni a me destinati ai quali, so praffatto, non osavo avvicinarmi. Ma a determinare il mio com portamento era infine un terzo motivo, più profondo di quelli sup posti e persino di quello vero. Per il momento infatti i regali ap partenevano più al donatore che a me stesso. Erano ritrosi; avevo paura di afferrarli malaccortamente davanti agli occhi di tutti. Sol tanto nell’ingresso, dove la ragazza H avvolgeva per noi in carta da pacco e la loro forma scompariva in fagotti e pacchettini lascian doci in pegno un peso, eravamo finalmente sicuri delle nostre nuo ve sostanze. Questo accadeva dopo molte ore. Quando infine uscivamo nel crepuscolo con le nostre cose legate e ben strette sottobraccio, e la carrozza aspettava davanti al portone, la neve giaceva immaco lata su cornicioni e stecconate, e più grigia sul selciato, dal Lùtzowufer si levava lo scampanellio di una slitta, e i lampioni a gas che
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si accendevano uno dopo l’altro tradivano l’itinerario del lampio naio che anche in questa dolce sera aveva dovuto caricarsi in spal la l’asta - allora la città era tutta afflosciata su se stessa come un sacco, carico di me e della mia felicità. Serata d ’inverno. Qualche volta, nelle serate d’inverno, mia madre mi portava con sé a fare acquisti. Quella che si distendeva davanti a me nel chiarore della luce a gas era una Berlino buia e sconosciuta. Re stavamo nel vecchio Westen, le cui strade erano più tranquille e discrete di quelle preferite in seguito. Non si riusciva più a scor gere con chiarezza i bow window e le colonne, e suUe facciate era apparsa la luce. Che dipendesse dai tendoni, dalle tende di mus sola o dalle reticelle sotto i lampioni - questa luce tradiva poco del le stanze illuminate. Era occupata solo con se stessa. Mi attirava e mi rendeva meditabondo. Avviene ancora oggi nel ricordo. Al lora di preferenza mi accompagna verso una delle mie cartoline il lustrate. Vi è raffigurata una piazza di Berlino. Le case che la in corniciavano erano di un azzurro tenue, il cielo notturno, nel qua le c’era la luna, di un colore più cupo. Sullo strato di cartone azzurro, la luna e tutte le finestre mancavano. Bisognava tenerle contro la lampada, allora dalle nuvole e dalle file delle finestre pe netrava un lucore giallognolo. Non conoscevo quella zona. Sotto vi era scritto «HaUesches Tor»^ La porta e l’atrio vi erano uniti e formavano la grotta rischiarata in cui ritrovo il ricordo della Ber lino d’inverno. Krumtne Strafié. La fiaba narra talvolta di passages e gallerie ingombre su en trambi i lati di botteghe piene di seduzioni e pericoli. Da bambi no conoscevo bene un tale percorso; si chiamava Krumme Strafie. Dove presenta il gomito più accentuato era l’antro più buio: la pi scina con i muri di mattoni invetriati. Nella vasca, l’acqua veniva cambiata più volte la settimana. Allora sul portone c’era scritto «Provvisoriamente chiusa», e io godevo di un periodo di libertà. ’ «Porta di Halle», nella zona meridionale della città. Oltre a designare la città sasso ne, Halle ha però anche il significato di «atrio, sala, galleria» [N. d. T.]. “ Alla lettera «Strada storta» [N.
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Mi aggiravo davanti alle vetrine e nutrivo il mio umore con la mas sa di oggetti morti che esse custodivano. Di fronte alla piscina c’e ra un banco dei pegni. Il marciapiede era assediato dai rigattieri con le loro carabattole. Era il passeggio’ in cui erano di casa anche gli abiti smessi. Dove la Krumme StraCe sfociava nel Westen, c’era un negozio di cancelleria. Gli sguardi non iniziati nella sua vetrina venivano catturati dai giornaletti di Nick Carter. Io però sapevo dove, sul lo sfondo, dovevo cercare le opere più sconce. In quel punto non c’era molto passaggio. Potevo scrutare a lungo attraverso il vetro, creandomi dapprima un alibi con i compassi, le ostie da sigillo e i libri contabili, per poi puntare repentinamente verso il grembo di quella creazione cartacea. L’istinto indovina ciò che in noi si ri velerà più resistente; e con esso si fonde. Nella vetrina, fiori di car ta e lampioncini celebravano quell’insidioso avvenimento. Non lontano dalla piscina c’era la sala di lettura municipale. Con le sue balconate in ferro, non la consideravo né troppo alta, né trop po algida. Sentivo che quello era il mio territorio. Il suo odore in fatti la precedeva. Attendeva sotto quello umido e freddo che mi accoglieva nella tromba delle scale, come sotto un sottile strato pro tettivo. Aprivo solo timidamente la porta di ferro. Entrato nella sala, il silenzio iniziava a farsi carico delle mie forze. In piscina era lo schiamazzo delle voci, che si mescolava al fru sciare delle tubature, a disgustarmi maggiormente. Si faceva stra da sin dall’ingresso dove ognuno doveva procurarsi il contrasse gno d’osso. Porre il piede oltre la soglia significava prendere con gedo dal mondo superiore. Dopo, all’interno, nulla più proteggeva dalla massa d’acqua ricoperta da una volta. Era la residenza di una torva dea che si riprometteva di metterci al suo seno e di abbeve rarci dalle fredde cavità sino a quando lassù nulla avrebbe più avu to ricordo di noi. In inverno, quando dalla piscina andavo a casa, il gas era già ac ceso. Questo non mi impediva di fare una deviazione che a tradi mento, come se avessi voluto coglierlo di sorpresa, mi riportava al mio angolo. Anche nel negozio ardeva una luce. Una parte rischia rava la merce esposta e si mescolava con quella dei lampioni. In una simile penombra la vetrina prometteva ancora più del solito. Ora infatti l’incantesimo che l’esplicita lussuria proposta su giornaletti e cartoline scherzose esercitava su di me, si rafforzava con la con sapevolezza di essermi messo alle spalle il dovere quotidiano. Po’ Nell’originale Strich, che è il «marciapiede», il «passeggio» delle prostitute [N.
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tevo cautamente portare a casa sotto la mia lampada quanto avve niva in me. Anzi, persino il letto mi riconduceva spesso verso il ne gozio e il fiume di persone che aveva percorso la Krumme Strafie. Incontravo ragazzotti che mi urtavano. Ma l’arroganza che strada facendo avevano risvegliato in me, non si ripresentava. Il sonno ru bava alla quiete della mia camera un fruscio che in un istante mi ri compensava per quello odiato della piscina. Il calzino. Il primo armadio che si apriva quando volevo era il comò. Do vevo solo tirare il pomello e dalla serratura l’anta scattava verso di me. Fra tutte le camicie, grembiuli, magliette che vi erano custo dite c’era la cosa che trasformava il comò in im’awentura. Dove vo farmi strada fin nell’angolo più riposto; allora incontravo i miei calzini, che se ne stavano l’uno accanto all’altro, arrotolati e rin calzati come si usava un tempo. Ogni paio aveva le sembianze di una piccola borsa. Nessun piacere era più grande dell’immergere la mano quanto più a fondo possibile nel suo interno. Non lo fa cevo per il tepore. Ad attirarmi verso il fondo era «il regalo» che avevo sempre in mano in quell’interno arrotolato. Quando lo te nevo ben saldo in pugno ed ero certo del possesso della tenera mas sa lanosa, aveva inizio la seconda fase del gioco che portava alla ri velazione. Ora infatti mi accingevo a estrarre «il regalo» dalla sua borsa lanosa. Lo tiravo sempre più verso di me, sino a quando lo sconcerto era al colmo: avevo estratto «il regalo», ma «la borsa» in cui era stato custodito non c’era più. Ripetevo di continuo la dimostrazione di questo avvenimento. Mi insegnò che forma e con tenuto, custodia e custodito sono la stessa cosa. Mi educò a estrar re la verità dalla poesia con la stessa cautela con cui la mano in fantile estraeva il calzino dalla «borsa». La Comarehlen. In un’antica filastrocca infantile si parla della comare Rehlen“. “ La fiaba, intitolata Wundergarten [Giardino incantato], è compresa nel volume di MA Tori Alte Deutsche Kinderlieder, Reime, Scherze und Singspiele, Verlag Karl Robert Langewiesche, Kònigstein im Taunus - Leipzig 1925. Unendo «comare» e Rehlen si è cercato di riprodurre la parola Mummerehlen, che Benjamin crea fondendo M.uhme («comare», appunto, ma anche «zia, vecchia») con Rehlen. Comarehlen tuttavia riRIA KUHN, Macht aufdas
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Siccome «comare» non mi diceva niente, questa creatura divenne per me uno spettro: la Comarehlen. Per tempo appresi ad avvolgermi nelle parole che in fondo era no nuvole. Il dono di scorgere somiglianze non è in effetti altro che un debole retaggio dell’antica coazione a divenire simili e a comportarsi in modo simile. Su di me la esercitavano le parole. Quelle che mi facevano assomigliare ad abitazioni, mobili, vesti ti, non a bambini esemplari. Ero deturpato dalla somiglianza con tutto ciò che mi circondava. Vivevo come un mollusco nella con chiglia del XIX secolo che ora mi sta davanti come un guscio vuo to. Accosto la conchiglia all’orecchio. Cosa sento? Non il fragore delle artiglierie o della musica da ballo offenbachiana, e nemme no il tramestio dei cavalli sul selciato o le fanfare del cambio del la guardia. No, quel che sento è il breve strepitare dell’antracite che dal contenitore di lamiera cade in una stufa di ferro, e il sor do schiocco con cui si accende la fiamma della reticella, e il tin tinnare dei globi dei lampioni sull’anello di ottone quando passa un veicolo. Altri rumori ancora, come il tintinnio del cestello del le chiavi, i due campanelli della scala padronale e di quella di ser vizio; infine c’è anche una breve filastrocca infantile. «Della Comarehlen ti voglio raccontare». Il versetto è defor mato; tuttavia contiene tutto il mondo deformato dell’infanzia. Quando lo sentii recitare la prima volta, la comare Rehlen, che un tempo lo abitava, era già perduta. La Comarehlen però era anco ra più difficile da rintracciare. A lungo la sostituì il motivo a lo sanga che guazzava nel piatto fra i vapori dell’orzo o del sagù. Lo raggiungevo piano piano a furia di cucchiaiate. Quello che di lei si raccontava - o che mi si voleva raccontare - non lo so. Lei stessa non mi confidò nulla. Forse non aveva quasi voce. Il suo sguardo giungeva dagli incerti fiocchi della prima neve. Se mi avesse col pito un’unica volta, ne sarei stato consolato per tutta la vita. Nascondigli. Nell’appartamento conoscevo già tutti i nascondigli e vi facevo ritorno come in una casa in cui si è certi di trovare tutto come lo si era lasciato. Mi batteva il cuore. Trattenevo il respiro. Qui ero racchiuso nel mondo della materia. Mi diveniva straordinariamente produce solo a livello fonico il fraintendimento del bambino. In realtà Mumme riecheggia il verbo vermummen, con il significato di «mascherare, camuffare, travestire», uno dei con cetti ricorrenti di Infamia berlinese [N. à. T.].
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chiaro, si accostava a me senza parole. Nello stesso modo solo chi sta per essere impiccato prende coscienza di cosa siano corda e le gno. Il bambino che sta dietro la portiera diviene a sua volta qual cosa di fluttuante e di bianco, uno spettro. Il tavolo da pranzo sot to U quale si è accoccolato lo trasforma nel ligneo idolo di un tem pio che ha nelle gambe intagliate le quattro colonne. E dietro una porta è porta lui stesso, la fa sua sotto forma di pesante maschera, e come uno stregone colpirà con un incantesimo tutti gli ignari che entrano. A nessun costo deve essere scoperto. Se l’orologio batte le ore nel momento in cui fa delle boccacce, gli viene detto, resterà così com’è. Quanto c’è di vero, lo appresi nel nascondiglio. Chi mi scopriva, poteva farmi irrigidire sotto il tavolo sotto forma di idolo, contessermi per sempre nella tenda come spettro, imprigio narmi per tutta la vita nella pesante porta. Perciò, quando mi af ferravano, con un urlo potente scacciavo il demone che mi tra sformava - anzi, non aspettavo tanto, e lo prevenivo con un urlo di autoliberazione. Per questo la lotta con il demone non mi stan cava mai. L’appartamento era allora l’arsenale delle maschere. Una volta all’anno, tuttavia, in punti misteriosi, nelle loro orbite cave, nelle loro bocche impietrite, si trovavano regali. L’esperienza ma gica diventava scienza. Da ingegnere esorcizzavo gli incantesimi del cupo appartamento dei genitori, e mi mettevo alla ricerca del le uova di Pasqua. Uno spettro. Fu una sera del mio settimo od ottavo anno di vita davanti al la nostra abitazione estiva di Babelsberg. Una delle domestiche si attarda presso il cancello che dà su non so quale viale. Il grande giardino, nelle cui zone periferiche mi sono aggirato, per me si è già chiuso. È giunta l’ora di andare a letto. Forse mi sono saziato del mio gioco preferito e in qualche punto della recinzione, in mez zo alla sterpaglia, mi sono messo a tirare, con le frecce di gomma della mia pistola Heureka, contro gli uccelli di legno che, all’urto del proiettile, cadevano dal bersaglio dove se ne stavano circon dati dal fogliame dipinto. Per tutto il giorno avevo conservato un segreto - era il sogno della notte precedente. Nel quale mi era apparso uno spettro. D if ficilmente avrei potuto descrivere il luogo dove si stava affaccen dando. E tuttavia somigliava a un posto che conoscevo, pur non essendo accessibile. Era, nella stanza dove dormivano i genitori,
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un angolo celato da una tenda di felpa di un viola sbiadito, dietro la quale mia madre appendeva le sue vestaglie. L’oscurità dietro la portiera era impenetrabile: l’angolo era il pendant malfamato del Paradiso che mi schiudeva l’armadio della biancheria della mam ma. Sui suoi ripiani, lungo i quali, ricamati in blu su bordure bian che, si snodavano alcuni versi della Campana di Schiller, erano di sposte in bell’ordine biancheria da letto e per la casa, lenzuola, fe dere, tovaglie, tovaglioli. Un profumo di lavanda proveniva dai sacchettini di seta rigonfi che penzolavano sul rivestimento pie ghettato della parte interna delle due ante. In tal modo l’antico, segreto incantesimo del filare e del tessere, che una volta risiede va nell’arcolaio, si era diviso in un Inferno e in un Regno celeste. Ebbene, il sogno originava dal primo: uno spettro che armeggia va attorno a un telaio di legno da cui pendevano pezze di seta. Lo spettro rubava queste pezze. Non le arraffava, né le portava via; di per sé, con loro e a loro non faceva nulla. E tuttavia sapevo che le rubava; come i personaggi delle favole che assistono a un ban chetto di spiriti sanno che questi stanno banchettando, anche se non li vedono né bere né mangiare. Era questo il sogno che mi ero tenuto per me. La notte successiva, a un’ora insolita - ed era come se un se condo sogno scivolasse nel primo - vidi i genitori entrare nella mia stanza. Che si chiudevano dentro, non lo vidi già più. Il mattino seguente, quando mi svegliai, non c’era niente per colazione. L’ap partamento, compresi, era stato svaligiato. A mezzogiorno arriva rono dei parenti con le cose più urgenti. Nottetempo era penetra ta in casa una numerosa banda di ladri. E per fortuna, si conven ne, il rumore prodotto ne aveva fatto intuire le dimensioni. La pericolosa visita era durata fin verso mattina. Invano i genitori avevano atteso l’alba dietro la finestra della mia camera nella spe ranza di poter fare qualche segnale verso la strada. SuUa faccen da, dovetti dire la mia anch’io. Del comportamento della dome stica che la sera si era attardata davanti al cancello, non sapevo nulla. E di ciò che credevo di sapere - del mio sogno - non parlai. Un angelo di Natale. Gli abeti davano il via. Un mattino, mentre andavamo a scuo la, agli angoli delle vie aderivano i verdi sigiUi che in cento punti sembravano assicurare la città come un’enorme confezione nata lizia. Poi un bel giorno esplodeva e dal suo grembo sgorgavano gio
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cattoli, noci, paglia e addobbi per l’albero: era il mercato di Na tale. Insieme a loro però sgorgava anche qualcos’altro: la miseria. Come sul rituale piatto natalizio, accanto al marzapane potevano figurare mele e noci con un po’ di similoro, così nei quartieri più eleganti si potevano incontrare dei poveri con fili d’argento e can dele variopinte. I ricchi mandavano avanti i loro bambini per com perare da quelli dei poveri pecorelle di lana, o per distribuire ele mosine che per vergogna non riuscivano a consegnare di persona. Nel frattempo sulla veranda già aveva preso posto l’albero che mia madre aveva comperato in segreto e fatto portare in casa dalla sca la di servizio. E ancor più meraviglioso di tutto ciò che gli confe riva la luce delle candele era il modo in cui la festa imminente si intesseva ogni giorno più fittamente tra i suoi rami. Nei cortili gli organetti iniziavano a dilatare l’ultima attesa con i loro corali. E ciò nondimeno anche questa finalmente si consumava, e tornava uno di quei giorni di cui qui ricordo il più remoto. Aspettavo nella mia stanza che si decidessero ad arrivare le sei. Nessuna festa della vita successiva conosce quest’ora che vibra nel cuore del giorno come una freccia. Era già buio, e tuttavia non ac cendevo la lampada per non distogliere lo sguardo dalle finestre dall’altra parte del cortile dietro le quali si vedevano ora le prime candele. Di tutti gli istanti di cui è iEatta l’esistenza dell’albero di Natale, era il più timoroso, quello in cui esso immola all’oscurità rami e aghi per non essere altro che una costellazione inavvicina bile e tuttavia vicina nella tetra finestra di un appartamento sul re tro. E mentre una tale costellazione di tanto in tanto gratificava una delle finestre abbandonate, mentre altre seguitavano a rima nere buie, e altre, ancor più desolate, languivano nella luce a gas di quelle sere precoci, mi sembrava che quelle finestre natalizie rac chiudessero in sé la solitudine, la vecchiaia e lo stento, tutto ciò di cui la povera gente taceva. Poi di nuovo mi ricordavo della distri buzione dei regali che i miei genitori stavano preparando. Ma non appena mi ero staccato dalla finestra, con il cuore pesante come può renderlo solo la vicinanza di una felicità sicura, avvertivo nel la stanza una presenza estranea. Era solo un alito di vento, così che le parole che si formavano sulle mie labbra sembravano le pieghe che una vela inerte all’improvviso crea con una fresca brezza: «Ogni nuovo anno I il bambin Gesù I in terra fa ritorno I tra gli uo mini quaggiù» - con queste parole l’angelo, che in esse aveva ini ziato a formarsi, s’era subito dileguato. Non restavo molto nella stanza vuota. Mi chiamavano da quella di fronte, dove ora l’albe ro splendeva in quella gloria che me lo rendeva estraneo, sino a
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che, mutilato della base, sommerso nella neve o lucente nella piog gia, concludeva la festa là dove un organetto l’aveva iniziata. Disgrazie e delitti. La città tornava a promettermeli ogni giorno e alla sera ne re stava debitrice. Se accadevano, ecco che, non appena giungevo sul luogo, erano già scomparsi come dèi che abbiano solo qualche at timo da dedicare ai mortali. Una vetrina svaligiata, la casa da cui era stato portato via un cadavere, il punto della carreggiata dove era caduto un cavallo - io vi mettevo radici per saziarmi del fug gevole alito lasciato dall’avvenimento. Ma svaniva subito - di sperso e portato via dalla massa dei curiosi sparpagliatasi ai quat tro venti. Chi poteva competere con i vigili del fuoco trasportati da veloci cavalli sul luogo di ignoti incendi, chi scrutare attraver so i vetri opalini dell’ambulanza? Era su questi veicoli che disgra zie di cui non riuscivo a cogliere le tracce scorrevano e si lancia vano per le strade. Ma talvolta utilizzavano vetture ancora più strane, che tuttavia custodivano il loro segreto con altrettanta osti natezza quanto i carrozzoni degli zingari. E anche in quelle erano i finestrini ad avere un che di sinistro. Erano protetti da sbarre di ferro. Per quanto la distanza tra l’una e l’altra fosse tanto ridotta che in nessun caso un uomo avrebbe potuto passarci in mezzo, tut tavia con il pensiero seguivo sempre i malfattori che, così mi rac contavo, vi erano tenuti prigionieri. Allora non sapevo che si trat tava solamente di veicoli adibiti al trasporto di incartamenti, ma proprio per questo a maggior ragione li consideravo opprimenti contenitori di sventure. Anche il canale in cui l’acqua pure si tra scinava cosi torbida e lenta come se fosse in confidenza con ogni tristezza, rinviava di giorno in giorno le mie aspettative. Inutil mente ognuno dei suoi numerosi ponti era fidanzato, tramite un salvagente, con la morte". Ogni volta che ci passavo, li trovavo immacolati. E alla fine imparai ad accontentarmi dei cartelloni che illustravano gli esercizi di rianimazione per gli affogati. Ma questi nudi mi lasciavano indifferente come i guerrieri in pietra del Mu seo di Pergamo. Alle disgrazie si era provvisto ovunque; la città e io le avrem mo accolte con ogni premura, ma non si decidevano mai a mo strarsi. Se solo quache volta avessi potuto spiare attraverso le im“ Briicke (ponte) in tedesco è femminile, Tod (morte), maschile [N.
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poste sbarrate dell’ospedale Elisabeth! Percorrendo la Liitzowstrafie avevo notato che qui alcune imposte rimanevano chiuse an che in pieno giorno. In seguito alla mia domanda, avevo saputo che in quelle stanze c’erano «i gravi». Quando sentivano parlare dell’angelo della morte che con il dito indicava le case degli egi ziani il cui primogenito era destinato a morire, gli ebrei devono es sersele immaginate con il medesimo terrore con cui io pensavo a queste finestre dalle imposte sempre chiuse. Ma compiva davvero la sua opera - l’angelo della morte? O invece un giorno le impo ste si aprivano e l’ammalato grave si affacciava, convalescente, al la finestra? Non si sarebbe potuto dare loro una mano - alla mor te, al fuoco, o anche solo alla grandine che tambureggiava contro i miei vetri senza mai romperli? E non è sorprendente che, quan do disgrazie e delitti finalmente si verificavano, questo evento an nullasse tutto intorno a sé, anche il confine tra sogno e realtà ? Co sì non so più se esso avesse origine da un sogno o soltanto vi ri corresse ripetutamente. In ogni caso fu subito presente al contatto con la «catena». «Non dimenticare di mettere prima la catena», dicevano quan do mi si permetteva di aprire la porta. La paura di un piede che si infila nella porta mi è rimasta fedele per tutta l’infanzia. E al cen tro di queste paxire si espande, senza fine come il tormento infer nale, l’angoscia, sopravvenuta evidentemente proprio perché la ca tena non c’era. NeUo studio di mio padre c’è un signore. Non è mal vestito, e sembra non notare affatto la presenza di mia madre, parla come se lei non ci fosse, come se fosse fatta di aria. E a maggior ra gione considera irrilevante la mia presenza nella stanza accanto. Il tono con cui parla è forse cortese e non molto minaccioso. Più sub dolo è un certo silenzio, quando tace. In quell’appartamento non c’è telefono. La vita di mio padre è appesa a un filo. Forse non se ne renderà conto, e mentre si alza dallo scrittoio, dal quale non ha trovato il tempo di scostarsi, per scacciare quel signore che si è in trodotto a forza e ha ormai messo radici, questi lo avrà prevenuto, chiudendo e impadronendosi della chiave. A mio padre è preclusa ormai la ritirata, e della mamma l’altro seguita a non curarsi. Pro prio questo suo modo di ignorarla è terrificante come se lei fosse in combutta con lui, con quell’assassino e ricattatore. Poiché però anche questa atrocissima prova svanì senza rive larmi il suo enigma, ho sempre avuto comprensione per chi si pre cipita verso il primo segnalatore d’incendio che gli capita a tiro. Stanno sulla strada come altari, davanti ai quali si invoca la dea della sventura. Allora mi figuravo il minuto, ancora più eccitante
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dell’apparizione del carro, in cui l’unico passante percepisce il suo segnale ancora lontano. Quasi sempre con questo già finiva la par te migliore della sventura. Perché, anche ammesso che ci fosse dav vero un incendio, il fuoco non lo si riusciva a vedere. Era come se la città custodisse gelosamente la rara fiamma, la nutrisse all’in terno di cortili e capriate, e rifiutasse a chiunque la visione del fiammante, splendido volatile che aveva allevato. È vero che ogni tanto dall’interno uscivano dei vigili del fuoco, ma non avevano l’aria di essere all’altezza della scena di cui dovevano essere per meati. Quando poi arrivava un secondo carro con lance, scale e serbatoi, dopo le prime rapide manovre anch’esso sembrava adat tarsi allo stesso andazzo, e il vigoroso drappello di rinforzo muni to di elmo, più che il nemico, pareva essere il custode di un fuoco invisibile. In genere però non seguivano altri carri, e in compenso d’un tratto ci si accorgeva che era scomparsa anche la polizia e che l’incendio era spento. Nessuno voleva confermare che fosse stato appiccato. I colori. Nel nostro giardino c’era un chiosco decrepito e abbandonato. Lo amavo per le sue vetrate multicolori. Quando all’interno pas savo di vetro in vetro, mi trasformavo; mi coloravo come il pae saggio che, ora avvampante ora polveroso, ora sommesso ora lus sureggiante, stava nella finestra. La stessa cosa mi accadeva dise gnando a china, quando le cose mi schiudevano il loro grembo non appena le assalivo in una umida nuvola. Qualcosa di simile avve niva con le boUe di sapone. Attraversavo la stanza dentro di loro e mi mescolavo al gioco di colori della volta sino a quando scop piava. Nel cielo, con un monile, in un libro, mi perdevo nei colo ri. I bambini sono loro preda ovunque. Allora si poteva compera re la cioccolata in graziose confezioni raccolte a forma di croce, in cui ogni tavoletta era avvolta per proprio conto in stagnola colo rata. Quella piccola costruzione, tenuta insieme da un ruvido cor doncino dorato, faceva sfoggio di verde e d’oro, di azzurro e di arancione, di rosso e d’argento; due pezzi dello stesso colore non erano mai vicini. Da questo sfavillante reticolato un giorno irrup pero su di me i colori, e avverto ancora la dolcezza di cui i miei oc chi si saziarono allora. Era la dolcezza della cioccolata, con cui i colori volevano sciogliersi più nel mio cuore che sulla lingua. In fatti, prima che avessi ceduto alle lusinghe dei dolciumi, il senso
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superiore aveva in me decisamente sopraffatto quello meno nobi le, e mi aveva distolto. Il cestino da lavoro. Ci era ormai ignoto il fuso che aveva punto la Bella Addor mentata facendola sprofondare in un sonno secolare. Ma come la madre di Biancaneve, la regina, se nevicava sedeva alla finestra, così anche nostra madre stava seduta alla finestra col suo cestino da lavoro, e se dal dito non le cadevano tre gocce di sangue era so lo perché per cucire portava un ditale. In compenso era di un ros so stinto la sua punta, e minuscole cavità la ornavano come tracce di precedenti punture. Se lo si teneva controluce, ardeva al fondo dell’oscura cavità che il nostro indice conosceva tanto bene. Ci im padronivamo infatti volentieri della piccola corona che segretamente poteva incoronarci. Quando la infilavo sul dito, comprende vo come la servitù definiva mia madre. Diceva che era un’« affabile signora», ma mutilava la prima parola; per molto tempo credetti che dicesse «abile signora»”. Nessun titolo avrebbe potuto espri mere in maniera più eloquente la pienezza di poteri di mia maàre. Come tutte le residenze di sovrani, anche la sua accanto al ta volino da lavoro aveva la propria sfera di influenza. Di tanto in tanto la subivo. Vi sostavo immobile e col fiato sospeso. La mam ma aveva scoperto, prima che potessi accompagnarla in visita o a far le spese, che il mio vestito aveva bisogno di un qualche ritoc co. E ora teneva in mano la manica della mia blusa da marinaretto, in cui avevo già infilato il braccio, per fissare il risvolto bian co e blu, oppure per dare, con qualche rapido punto, il giusto «pii» alla seta del nodo alla marinara. Io, intanto, me ne stavo H e mor dicchiavo l’elastico sudaticcio e acidulo di sapore del berretto. In momenti come questi, in cui gli attrezzi per cucire esercitavano maggiormente il loro potere, cominciavano a destarsi in me di spetto e indignazione. Non solo perché questa cura per il vestito che in fondo avevo già indosso metteva a dura prova la mia pa zienza - no, più ancora perché ciò cui venivo sottoposto non era davvero in relazione con il variopinto spiegamento di sete, aghi sottili e forbici dalle diverse misure distesi davanti a me. Mi co glieva il dubbio che per sua natura la scatola non fosse realmente “ Storpiando gnadige Vrau («gentile signora»), si ottiene g«a Fraa, che nella pronuncia richiama Nàhfrau («signora cucitrice») [N.d.T.].
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destinata al cucire. Un dubbio rafforzato dal fatto che i rocchetti di refe e di filo mi tormentavano con equivoche lusinghe. Esse ave vano origine nella cavità destinata al perno che, ruotando, con sentiva di avvolgere il filo sul rocchetto. Adesso il foro era rico perto su entrambi i lati dall’ostia da sigillo nera con impressi in let tere dorate il numero e il nome della ditta. Troppo grande era la tentazione di premerla al centro con la punta delle dita, troppo profonda la voluttà quando si lacerava e riuscivo a sentire il foro. Accanto alla regione superiore del cestino, dove questi rocchetti stavano allineati l’uno accanto all’altro, dove scintillavano i libretti portaaghi neri e ogni forbice era infilata nel proprio fodero di pel le, c’era il tenebroso sottosuolo, il caos, dove regnava il gomitolo disfatto, dove si mescolavano avanzi di fettucce elastiche, uncini, gancetti e ritagli di seta. In mezzo a questi scarti c’erano anche dei bottoni; alcuni di forme tali, come non si sono mai viste su un ve stito. Di simili ne ritrovai molto più tardi: ed erano le ruote del cocchio di Thor, il dio del tuono, come lo aveva raffigurato, in torno alla metà del secolo, un ignoto maestro in un libro di scuo la. Ci sarebbero voluti molti anni perché il mio sospetto che tutto il cestino fosse destinato ad altro che al lavoro di cucito, trovasse una conferma in una sbiadita illustrazione. La madre di Biancaneve cuce e fuori nevica. Più intenso nel paese si fa il silenzio, più questo silenziosissimo tra i lavori dome stici è tenuto in considerazione. Quanto prima nella giornata si fa ceva buio, tanto più spesso noi chiedevamo le forbici. Anche noi adesso passavamo un’ora seguendo con gli occhi l’ago da cui pen deva un grosso filo di lana. Zitto zitto, ognuno si era preso le sue cose da cucire - piatti di cartone, nettapenne, astucci - su cui, se guendo il disegno, ricamava dei fiori. E mentre la carta, crepitan do sommessamente, liberava il percorso dell’ago, di tanto in tan to io cedevo alla tentazione di perdermi nel reticolo del rovescio, che, a ogni punto con cui sul davanti mi avvicinavo alla meta, di ventava sempre più aggrovigliato. La luna. La luce che piove dalla luna non è destinata alla scena del no stro esistere diurno. Il cerchio che essa indistintamente rischiara, sembra essere quello di una terra rivale o secondaria. Non è quel la che la luna segue da satellite, ma quella a sua volta trasformata in satellite della luna. Il suo vasto petto, il cui respiro era il tem
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po, non si muove più; finalmente la creazione è tornata alle origi ni, e può nuovamente indossare il velo vedovile che il giorno le aveva strappato. Questo mi faceva capire il pallido raggio che at traverso la persiana penetrava fino a me. Il mio sonno era inquie to; la luna lo sezionava con il suo andare e venire. Quando c’era lei nella camera e io mi svegliavo, ne venivo scacciato, perché sem brava che la stanza non volesse ospitare nessuno all’infuori di lei. La prima cosa su cui cadeva il mio sguardo erano le due catinelle color crema del lavamano. Di giorno non mi capitava mai di pre starvi attenzione. Ma alla luce lunare, la striscia blu che correva lungo la parte superiore mi turbava. Simulava una sorta di fettuc cia che entrava e usciva da un tessuto. E in effetti: l’orlo delle ca tinelle era increspato come una gorgiera. Fra le due erano siste mate delle brocche panciute, fatte della stessa porcellana e ornate dello stesso motivo floreale. Quando scendevo dal letto, tintinna vano, e questo tintinnio, attraverso il ripiano di marmo, si tra smetteva alle vaschette e bacinelle della toletta. Ma per quanto mi facesse piacere carpire un segno di vita - fosse anche solo l’eco del la mia - all’atmosfera notturna, era però un segno insidioso che come un falso amico attendeva il momento di ingannarmi. Avve niva quando con la mano sollevavo la caraffa per versare acqua in un bicchiere. Il gorgogliare di quell’acqua, il rumore con cui de ponevo prima la caraffa e poi il bicchiere - ogni cosa giungeva al mio orecchio sotto forma di ripetizione. Perché sembrava che il passato avesse già occupato tutti i luoghi di quella terra seconda ria in cui ero rapito. Dovevo rassegnarmi all’idea. E quando poi mi accostavo al letto, era sempre con la paura di trovarci steso me stesso. La paura svaniva del tutto solo quando sotto la schiena sentivo il materasso. Allora mi addormentavo. La luce della luna abban donava a poco a poco la mia camera. E spesso era già immersa nel l’oscurità quando mi risvegliavo una seconda o una terza volta. La mano era la prima a dover trovare il coraggio per affacciarsi oltre il fossato del sonno in cui aveva trovato riparo dal sogno. Quan do poi il tremulo lumino da notte aveva placato lei e me, risulta va che del mondo nulla più esisteva se non un unico, ostinato in terrogativo. E questo era; perché mai esiste qualcosa nel mondo, perché esiste il mondo stesso ? Con sbigottimento mi accorgevo che nel mondo niente poteva costringermi a pensare il mondo stes so. Il suo non-essere non mi sarebbe risultato in alcun modo più problematico del suo essere che sembrava ammiccare al non-esse re. Quando la luna ancora splendeva, il mare e i suoi continenti
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non avevano molto in più del mio lavamano. Della mia stessa esi stenza non era rimasto altro che il sedimento del suo abbandono. Due fanfare. Mai musica ebbe qualcosa di tanto disumano, di spudorato co me quella della banda militare che tra una mescita del caffè e l’al tra dello zoo temperava il fiume di persone incanalato lungo la Làsterallee*’. Oggi capisco cosa determinasse la forza di quella cor rente. Per il berlinese, in fatto di amoreggiamenti non esisteva scuola migliore di questa, circondata dagli spiazzi sabbiosi degli gnu e delle zebre, dagli alberi spogli e dalle scogliere dove nidifi cavano condor e avvoltoi, dai puzzolenti recinti dei lupi e dai luo ghi di cova dei pellicani e degli aironi. I richiami e gli schiamazzi di questi animali si mescolavano al fragore dei timpani e dei tam buri. Questo era il clima in cui, mentre con accentuato zelo si ri volgeva all’amico, per la prima volta lo sguardo del ragazzo cercò di stringersi a una passante. E così intenso fu il suo sforzo di non tradirsi né con la voce né con lo sguardo, che della passante non vide nulla. Molto tempo prima aveva conosciuto un’altra fanfara. E quan to diverse erano le due: questa che, soffocante e seducente, flut tuava fra tetti di tela e di foglie, e quella più antica, che, pura e squillante, si librava nell’aria fredda come sotto una sottile cam pana di vetro. Allettava dall’isola Rousseau e invogliava i pattina tori sul Neuer See a curve e volteggi. C’ero anch’io fra loro, ben prima di conoscere l’origine del nome di quest’isola e di rendermi conto della difficoltà della sua grafia. Per la sua posizione, e ancor più per la sua vita attraverso le stagioni, questa pista di pattinag gio non aveva uguali. Come agiva, infatti, sulle altre l’estate ? Le trasformava in campi da tennis. Qui invece, sotto i lunghi rami che gli alberi protendevano dalla riva, si dispiegava quel medesi mo lago che, incorniciato, mi attendeva nella buia sala da pranzo della nonna. All’epoca infatti lo si dipingeva volentieri, con il suo labirinto di corsi d’acqua. E ora, al ritmo di un valzer viennese, si scivolava sotto quegli stessi ponti, dai quali, appoggiati ai para5etti, d’estate si stava a osservare il pigro scorrere delle barche sul’acqua scura. C’erano tortuosi sentieri nei pressi e soprattutto di” Il verbo lastem ha il significato di «imprecare, sparlare»; si tratterebbe quindi del «Viale dei pettegolezzi, delle imprecazioni»; visto il contesto, non va tuttavia escluso un riferimento al sostantivo Laster, «vizio» [N.Ì.T.].
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screti rifugi - panchine «solo per adulti». Queste circondavano anche il recinto della sabbia, al centro del quale i piccoli scavava no o se ne stavano assorti sino a quando un altro non li urtava o dalla panchina non li chiamava la bambinaia che dietro la carroz zina leggeva diligentemente il suo avvincente romanzone e quasi senza sollevare gli occhi teneva a bada il bambino. Tanto a proposito di queste rive. Il lago invece in me vive an cora nel ritmo dei piedi impacciati dai pattini che dopo una scor ribanda sul ghiaccio tornavano a sentire il pavimento di legno e ir rompevano in una stanzetta dove ardeva una stufa di ferro. Nei pressi c’era la panca, dove, prima di decidersi a slacciarlo, un’ul tima volta si soppesava il carico che appesantiva i piedi. Quando poi la coscia riposava obliqua sul ginocchio e il pattino si allenta va, sembrava che ai nostri piedi spuntassero ali, e con passi che ammiccavano al suolo gelato uscivamo all’aperto. Dall’isola la mu sica mi accompagnava ancora per un tratto verso casa. L ’omino con la gobba. Finché ero piccolo, andando a passeggio mi divertivo a sbir ciare attraverso le grate orizzontali che permettevano di soffer marsi davanti a una vetrina anche quando proprio sotto di essa si apriva un pozzetto. Serviva a fornire un po’ di luce e di aria alle finestre degli scantinati sottostanti. Più che verso l’aperto, sem bravano rivolte al sottosuolo. Da ciò la curiosità con cui sbircia vo tra le sbarre di ogni grata su cui mi trovassi per cogliere dal se minterrato l’immagine di un canarino, di una lampada o di un in quiiino. Se di giorno fallivo nell’intento, la notte successiva talvolta i ruoli si invertivano e in sogno da quelle finestrelle m: prendevano di mira sguardi capaci di farmi prigioniero. A scoc Carli erano gnomi dai berretti a punta. Non appena erano riuscit a raggelarmi dallo spavento, scomparivano. Ero quindi perfetta mente preparato quando nel mio Deutsches Kinderbuch mi imbat tei nei versi: «In cantina voglio andare, 1il mio vino voglio bere I un omino con la gobba ahimè compare I e si beve il mio bicchie re». Conoscevo questa genia sempre pronta a burle e dispetti, ed era scontato che si trovasse a proprio agio in cantina. «Gentaglia», ecco cos’era. Lo spillo e l’ago - i due compari notturni che sul monte delle noci apostrofano Galletto e Gallinella perché sta per diventare buio pesto - erano della stessa risma. Loro forse del gobbetto ne sapevano di più. A me non si avvicinava. Soltanto oggi
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SO come si chiamava. Me lo svelò mia madre. «Un saluto dal si gnor maldestro», mi diceva quando cadevo o rompevo qualcosa. E ora capisco di cosa parlasse. Parlava dell’omino con la gobba che mi aveva guardato. E quando l’omino getta lo sguardo su una persona, questa non riesce a stare attenta. Né a se stessa, né al l’omino. Si ritrova turbata davanti ai cocci: «In cucina voglio an dare, I a scaldare il mio brodino; I im omino con la gobba ahimè compare I e mi rompe il pentolino». Quando compariva, restavo con un palmo di naso. E intanto le cose si ritraevano, sino a che, passato un anno, il giardino divenne un giardinetto, la mia came ra una cameretta, la panca una panchetta. Le cose si assottiglia vano, ed era come se spuntasse loro una gobba che le assimilava aU’omino. L’omino mi anticipava sempre. E neU’anticiparmi in tralciava il mio cammino. In realtà quel grigio funzionario, non faceva che riscuotere, di ogni cosa cui volgevo la mia attenzione, la metà del dimenticare: «Nella stanza voglio andare, I a mangia re il panpepato; I un omino con la gobba .ahimè compare, 1 e metà ne ha già mangiato». Spesso si presentò l’omino. Io però non lo vidi mai. Fu sempre solo lui a vedere me. Mi vide nel nascondi glio e davanti al recinto della lontra, nei mattini d’inverno e da vanti al telefono nel corridoio che porta alla cucina, ai piedi del Brauhausberg con le farfalle e sulla mia pista da pattinaggio al suo no della fanfara. Da molto tempo ormai ha abdicato. Ma la sua voce, che è come il sussurro della retina del gas, da oltre la soglia del secolo mi bisbiglia le parole: «Prega bambino mio, 1 per l’o mino con la gobba prega Iddio».
[Appendice a Infanzia berlinese intorno a l millenovecento]
La giostra ^ Il ripiano con i suoi servizievoli animali gira radendo il terreno. E l’altezza in cui meglio si sogna di volare. Attacca la musica, e con una stratta il bambino si allontana dalla madre. Dapprima pro va paura ad abbandonarla. Poi però si accorge di quanto lui stes so sia fedele. Come un fedele sovrano, troneggia su un mondo che gli appartiene. Lungo la tangente sono schierati alberi e indigeni. All’improvviso, in un oriente riemerge la madre. Poi dalla giungla ecco svettare una cima, come quella che il bambino ha visto già migliaia di anni prima, come appunto quella che ha visto poc’an zi nella giostra. Il suo animale gli è affezionato, ed egli procede sul suo muto pesce come un muto Arione, un ligneo Giove taurino lo rapisce come Europa immacolata. Da tempo ormai l’eterno ritor no di tutte le cose è parte della saggezza del fanciullo, e la vita è divenuta un’atavica ebbrezza di dominio con l’assordante orga netto al centro come tesoro della corona. Quando il suo ritmo ral lenta, lo spazio inizia a balbettare e gli alberi a tornare in sé. La giostra diventa un terreno malsicuro. Ed emerge la madre, questo stabile ormeggio, intorno al quale, approdando, il bambino assi cura la gomena dei suoi sguardi. Risveglio del sesso In una di quelle strade che in seguito percorsi nottetempo du rante i miei vagabondaggi senza fine, quando giunse il momento mi sorprese, nelle circostanze più strane, il risveglio dell’istinto sessuale. Era il Capodanno ebraico, e i miei genitori avevano sta bilito di sistemarmi in una qualche cerimonia religiosa. Probabile che si trattasse della Comunità riformata, alla quale mia madre, per tradizione famigliare, guardava con una certa simpatia. Per quella festività ero stato affidato a un lontano parente che dove vo andare a prendere. Ma, vuoi che avessi dimenticato il suo in
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dirizzo, vuoi che non sapessi orientarmi in quella zona - si faceva sempre più tardi, e sempre più disperato il mio errare. Era fuori discussione che potessi avventurarmi da solo nella Sinagoga, visto che il biglietto d’invito lo aveva il mio accompagnatore. La colpa principale dei miei guai era l’antipatia per la persona quasi scono sciuta cui ero stato affidato, e la diffidenza verso le cerimonie re ligiose che facevano prevedere solo imbarazzi. Nel pieno del mio smarrimento d’un tratto fui sommerso da una dolorosa ondata di angoscia - «troppo tardi, la Sinagoga l’ho persa» - e nello stesso istante, prima ancora che potesse rifluire, da una seconda di com pleta assenza di scrupoli - «vada come vada, non me ne importa niente». Ed entrambe le ondate confluirono irrefrenabili nella pri ma grande sensazione di piacere, in cui la profanazione del giorno festivo si mescolò alla ruffianeria della strada che in quell’occa sione per la prima volta mi fece intuire quali servigi avrebbe reso agli istinti risvegliati.
U na cronaca dei disoccupati tedeschi A proposito del romanzo II salvataggio di Anna Seghers
I tentativi degli scrittori di riferire sull’esistenza e suUe condi zioni di vita dei proletari sono stati ostacolati da pregiudizi che non era possibile superare in un giorno. Uno dei più tenaci vedeva nel jroletario il « semplice uomo del popolo» che è in contrasto con coui che appartiene a un ceto sociale più elevato non tanto dal pun to di vista della cultura, quanto da quello della differenziazione. Nel secolo xvm la borghesia in ascesa tendeva naturalmente a ve dere nell’oppresso un figlio della natura. Dopo la vittoria di que sta classe essa non metteva più a confronto l’oppresso - di cui nel frattempo aveva essa stessa lasciato il posto al proletariato - con la degenerazione feudale, ma con la propria interna articolazione, con la sfumata individualità borghese. La forma in cui essa veniva espo sta era il romanzo borghese; oggetto di questo incalcolabile «de stino» del singolo, di fronte al quale ogni illuminismo doveva ri velarsi insufficiente. Negli ultimi anni del secolo scorso e agli inizi del nostro alcuni romanzieri hanno cominciato a mettere in crisi questo privilegio borghese. Non si può negare che, tra gli altri, Hamsun nei suoi li bri ha fatto piazza pulita dell’«uomo semplice», e i suoi successi so no dovuti in parte alla natura molto complessa della sua piccola gen te di campagna. Poi il privilegio di cui si parla è stato scosso da cer ti eventi sociali. È scoppiata la guerra, e negli anni del dopoguerra la psichiatria si è trovata arricchita di una nuova disciplina - la ne vrosi di guerra - in cui l’«uomo del popolo» vedeva riconosciuti i suoi diritti più di quanto potesse desiderare. Dopo alcuni anni la disoccupazione di massa entrò nel paese. Con la nuova miseria si delinearono nuove perturbazioni dell’equilibrio, nuove ideazioni deliranti e nuove anormalità nel comportamento di coloro che ne erano colpiti. Da soggetti della politica costoro diventavano trop po spesso oggetti patologici dei demagoghi. Con il « Volksgenosse» [connazionie] il «semplice uomo del popolo» ha avuto la sua re surrezione - impastata con la materia dei nevrotici, dei denutriti
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e dei malriusciti. In effetti il nazismo ha trovato una condizione della sua crescita nella crisi della coscienza di classe del proletaria to a cui quest’ultimo è stato esposto con la disoccupazione. Il nuo vo libro di Anna Seghers ha a che fare con questo processo. Si svol ge in un paese di minatori dell’alta Slesia e racconta quello che ac cade dopo la chiusura della sua miniera. Abbastanza poco, se si guarda dall’alto. Poiché anche qui regna l’ingiustizia, e la ribellio ne è rara. «Anche i più rossi, i più scalmanati, quelli che volevano fare a pezzi questo insopportabile mondo, dicevano apertamente; “Adesso si comincia a mangiare cavoli”, o “addio all’apparecchio radio”. Non erano parole adatte a loro, sulle loro labbra non ave vano senso pensava Bentsch» (p. 97). Bentsch ha la voce di Anna Seghers. Nel suo racconto è il personaggio principale. E un mina tore di una certa età, posato, che non sparla del Signore e del suo pastore. Per natura non è affatto un cervello politico, e radicale meno che mai. Dobbiamo ammettere: fa la sua strada da solo. Mol ti, oggi, devono camminare da soli. Anche i proletari che sono ugudmente lontani sia dalla vuota sottigliezza del borghese sia dal la mendace semplicità del «connazionale». Del resto è una strada lunga. Porta Bentsch nel campo della lotta di classe. Il libro tocca la situazione politica con molta cautela. Essa può essere paragonata a un viluppo di radici. Quando l’autrice lo leva con mano delicata, le resta attaccato l’humus dei rapporti privati di vicinato, erotici, familiari. Mentre le entrate di questi proletari si riducono sempre di più, nello stesso tempo si riducono anche le loro esperienze, che essi cercano di sfruttare il più possibile. Diventano prigionieri di abi tudini inconcludenti; diventano pignoli; tengono il conto di ogni centesimo del loro limitato bilancio psichico. Poi si risarciscono con esaltazioni per cui trovano presto pronti problematici ragio namenti o logori piaceri. Diventano labili, discontinui e impreve dibili. Il tentativo di vivere come gli altri H allontana sempre più da questi, e tocca loro la stessa sorte toccata a Findlingen, il vil laggio di minatori dove abitano. «S’erano anche messi a rivoltare la terra in strani posti, per coltivare fagioli, o radici di rabarbaro, ma appunto questo rendeva Findlingen sempre più dissimile da un villaggio vero» (p. 100). Tra le benedizioni del lavoro c’è quella che esso soltanto con sente di sentire la delizia dell’inoperosità. Kant dice che la stan chezza del riposo serale è un sommo godimento dei sensi. L’ozio senza lavoro è un tormento. A tutte le privazioni dei disoccupati si aggiunge anche questo. Soggiacciono al trascorrere del tempo
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come a uno spirito maligno, da cui sono ingravidati contro la loro volontà. Non partoriscono, ma hanno voglie eccentriche come le donne incinte. Ognuna di esse è più istruttiva di intere inchieste sui disoccupati. «Quando gli ultimi visitatori se ne andavano, Bentsch aveva sempre voglia di uscire anche lui e di chiudere la porta della cucina non dall’interno ma dall’esterno. Ma quel desi derio gli pareva così strano e assurdo, che si affrettava ogni volta a sbadigliare e a dire: “Là, finalmente”» (p. 115). Si resta stupe fatti se si considera quanto poco questa cucina rappresenta un ri fugio, un ricovero. Essa è il pendant della «grande, poco usata su perficie del Bismarckplatz» (p. 320), sulla quale sta il cielo «fred do e giallastro» (p. 42). Nella cucina come nella piazza non c’è un tetto suUa testa. Per questo Bentsch non sa decidersi ad andare a letto, e spesso siede nella cucina buia come se fosse seduto su una panca del Bismarckplatz. Allora gli viene in mente che dallo scop pio della guerra sono passati quindici anni. Erano «trascorsi in un baleno. Non provava sgomento; soltanto si meravigliava sempre che tutto quello fosse passato. Un senso di stupore. Eppure qual cuno doveva sapere chi era lui. Come mai Egli non l’aveva desti nato a qualcos’dtro?» (p. 115). Mentre il pensiero dei disoccupati continua a ruotare attorno alla loro miniera, senza che essi sappiano bene perché, si è avvia to un processo decisivo. Fuori, nel mondo, non si tratta più di un’impresa mineraria in più o in meno. Si tratta della stessa sus sistenza del capitalismo. I teorici dell’economia politica comincia no a studiare la teoria della disoccupazione strutturale. Ma la teo ria di cui la gente di Findlingen si deve appropriare suona: per po ter tornare nella miniera, dovete conquistare lo stato. Per entrare nella testa della gente questa verità deve superare infinite diffi coltà. Dapprima si è fatta strada soltanto in pochi. La sostiene Lo renz, un giovane disoccupato che prima di essere assassinato lascia dietro di sé, nel grigio villaggio, la traccia luminosa che Bentsch non dimenticherà mai. Questi pochi sono la speranza del popolo. Anna Seghers riferi sce di quest’ultimo. Ma esso non costituisce il pubblico dei suoi lettori. Ancora meno esso gli può parlare, oggi. Soltanto il suo sus surrare può giungere a loro. La coscienza à questo fatto non ab bandona la narratrice neanche un istante. Racconta con pause, co me uno che aspetta segretamente gli ascoltatori qualificati e, per guadagnare tempo, talvolta si ferma. «Quanto più tarda è la sera, tanto più belli gli ospiti». Questa tensione attraversa tutto il libro. Esso è molto lontano dalla prontezza del reportage, che non sta
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troppo a chiedersi quali sono propriamente le persone a cui si ri volge. Ma è altrettanto lontano dal romanzo, che in fondo pensa soltanto al lettore. La voce della narratrice non ha abdicato. Nel libro sono incluse molte storie che aspettano l’ascoltatore. Nella ricchezza di personaggi del libro non si esprime la lega lità del romanzo, in cui i personaggi episodici compaiono nel mez zo di un personaggio principale. Questo mezzo - il «destino» manca. Bentsch non ha un destino: se ne avesse uno, sarebbe abo lito nel momento in cui, alla fine della storia, egli è sparito, come un anonimo, tra i futuri fuorilegge. Delle conoscenze che il letto re fa, egli se ne ricorderà prima di tutto come di testimoni. Si trat ta di martiri nel senso esatto della parola {martyr in greco signifi ca «testimonio»). Il libro della Seghers è una cronaca; Arma Seghers è la cronista dei disoccupati tedeschi. La base della sua cronaca è un soggetto che, se si vuole, costituisce la trama roman zesca del libro. Cinquantatre minatori sono sepolti da una frana; il 19 novembre 1929 sette di loro, che sono ancora vivi, vengono tratti in salvo da un cunicolo. E questo «il salvataggio». Esso uni sce i sette, che formerarmo un gruppo. La narratrice li segue con una muta domanda: quale esperienza sussisterà accanto a quella che hanno fatto gli uomini perduti nel pozzo, quando si sono di visi l’ultima acqua e l’ultimo pezzo di pane? Potranno conferma re, nella catastrofe della società, la solidarietà che hanno dimo strato nella catastrofe naturale ? - Non sono ancora stati dimessi dall’ospedale che giungono a loro i cupi segni di questa catastro fe: «Forse succederà come a L. La miniera non rende più. Pro porranno la chiusura» (p. 31). La proposta viene fatta e si procede in conseguenza. «Per ventisei settimane si prendono undici marchi e trentacinque di sussi dio di disoccupazione; poi otto marchi e ottanta. Ventisei setti mane è il minimo; dipende dalla città; questo si chiama la crisi; poi c’è l’assistenza: fa sei marchi e cinquanta con im supplemento di due marchi al mese per ciascun bambino. Dopo non c’è più nien te» (p. 94). Queste cose i lettori le apprendono dal libro, gli inte ressati dalla voce di una certa Katharina che passa attrayerso Urac conto come la fanciulla giunta da un paese straniero. E una fore stiera in parecchi sensi. E così questa notizia portata dal «suono inconsueto» di una voce tranquilla assomiglia a un giudizio che è pronunciato sui disoccupati da una lontana distanza. Esso conti nuerà a determinare la vita che è stata tratta in salvo dal cunicolo. Nel suo triste corso cade il primo anniversario dell’avvenimen to che si chiama «il salvataggio» e che porta con sé proprio la ro
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vina dei salvati. «È passato soltanto un anno ?», ci si chiede. Ai di soccupati questo anno sembra più lungo di quello in cui facevano i loro turni. Sono seduti nella bettola di Aldinger. « “[...] Bentsch, tu ci hai parlato fino a spappolarti la lingua. Ci hai detto e ripetu to che saremmo usciti da quella trappola; se avessi saputo cosa ci succedeva qui fuori avresti fatto lo stesso tanta fatica?” “Sì”. Non ci aveva mai pensato, ma ne era sicuro. “Sf?” disse Sadovski stu pefatto. A tavoli vicini stavano con le orecchie tese. “Certo si vuol sempre venir fuori. Essere con tutti gli altri”. Bentsch fece un ge sto col braccio verso tutti i presenti» (pp. 219 sg.). Appena meno muta della muta domanda di cui si trattava è la risposta che le vie ne data in questo modo. La cronaca è distinta dall’esposizione storica in senso moderno dal fatto che le manca la prospettiva temporale. Le sue descrizio ni sono estremamente simili a quelle forme di pittura che prece dono la scoperta della prospettiva. Quando le figure delle minia ture o delle prime tavole vengono incontro all’osservatore su uno sfondo d’oro, i loro tratti risaltano chiaramente ai suoi occhi non meno che se il pittore le avesse collocate in un ambiente naturale o in uno spazio chiuso. Esse confinano con uno spazio trasfigura to, senza perdere di precisione. Analogamente, i caratteri del cro nista medievale confinano con un tempo trasfigurato, che può in terrompere repentinamente il loro agire. Il regno di Dio li rag giunge come una catastrofe. Non è certamente questa catastrofe che attende i disoccupati di cui «il salvataggio» è la cronaca. Ma è una specie della sua immagine negativa, la venuta deU’Anticristo. Come è noto, quest’ultimo scimmiotta la benedizione mes sianica che era stata promessa. Cosi il Terzo Reich scimmiotta il socialismo. La disoccupazione ha fine perché il lavoro forzato è stato legalizzato. Nel libro della Seghers solo poche pagine hanno a che fare con l’«esplosione della nazione». Ma l’orrore dei covi nazisti difficilmente è stato mai evocato come lo è in esse, che del le loro pratiche non svelano più di quello che può apprendere una ragazza che chiede del suo amico, un comunista, in una caserma delle SA. La narratrice ha osato guardare negli occhi la sconfitta che la ri voluzione ha subito in Germania dando prova di una capacità vi rile, più necessaria di quanto sia diffusa. Questo atteggiamento ca ratterizza il suo libro anche altrove. Lontana da lei è ogni inten zione di esibire descrizioni pietose. Il rispetto per il lettore, che le vieta il facile appello alla sua pietà, è unito, in lei, con il rispetto per la gente umiliata che ha costituito il suo modello. Deve rin
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graziare questo riserbo, se tutte le volte che chiama le cose per no me lo stesso spirito del popolo prende le sue parti. E quando un di soccupato forestiero, sbattuto nell’ufficio del bollo di Findlingen, si orienta sulla constatazione: «Qui c’è proprio lo stesso puzzo di Kalingen», l’autrice fissa, con un unico gesto, la stessa società di classe. Essa possiede prima di tutto i mezzi di usare con parsimo nia il linguaggio, in una maniera che non ha niente a che fare con la falsa semplicità che è consueta nell’arte regionale moderna. Ri corda piuttosto l’autentica arte popolare - a cui si era richiamato il «Cavaliere azzurro» - , il modo in cui mediante piccoli sposta menti del consueto sono messi in luce angoli riposti della vita quo tidiana. Quando la polizia perquisisce la stanza di Bentsch, sua mo glie scambia un’occhiata con lui. «Egli le fece un piccolo sorriso. Era come se avessero vissuto insieme tutti quegli anni solo per eser citarsi per quel minuto If» (pp. 498 sg.). Oppure: «Katharina non contava, proprio come il gatto» (p. 118). Si sta parlando della singolare creatura, della figliastra di Bentsch che è ospite nella sua fam i^a. Ma non vi è domiciliata più di quan to lo sia Melusina quando soggiorna per un certo tempo presso un uomo. Aspira a tornare nel palazzo che è costruito sul fondo del la fonte. Cosi Katharina ha nostalgia di casa sua. Ma la creatura umana non ha ancora una sua casa. Katharina pulisce la finestra: «Dove erano i vetri che non si sarebbe mai stancata di strofinare, perché una luce chiara ma non abbagliante illuminasse tutti gli an goli della stanza, con la tavola apparecchiata, il letto preparato, non alla svelta e di ripiego, ma da sempre e per sempre? [...] fi nalmente, Katharina! » (p. 118). Essa muore in seguito a un abor to. Ha percorso tutto il suo stretto sentiero in silenzio e più in fret ta di quanto si pensasse. E venuta, non ha saputo arrangiarsi ed è scomparsa. Ma questa Katharina non sarebbe quello che è e man cherebbe della sua parte migliore, se non stesse soltanto al di qua dell’esperienza della vita, ma anche e altrettanto al di là di essa. In questo senso è sorella della Katherlieschen con cui la fiaba fa capire così bene quale promessa rappresentano le vergini folli per la gente saggia. Il loro sorriso non è in accordo col mondo, e loro non sono in accordo con se stesse. Non hanno fretta di avere un proprio domicilio, finché il cuore nel mondo è soltanto un rifugio non il centro. «Devo farmi venire in mente qualcosa?», pensa Katharina, che ha appena ascoltato un saggio consiglio di Bentsch a una terza per sona. «Rifletté a lungo, ma non le venne in mente nulla. Non pos sedeva niente e non le mancava niente. Non aveva nessun proget
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to per il quale le occorresse guida e consiglio. Era assolutamente disorientata» (p. 120). Queste parole schiudono ai nostri òcchi la forma epica del libro. Il disorientamento e il sigillo della persona lità incommensurabile in cui il romanzo borghese ha il suo eroe. Come si è detto, esso ha a che fare con l’individuo nel suo isola mento, che non può più esprimersi sui suoi interessi più importanti in maniera esemplare, è esso stesso disorientato e non sa dare nes sun consiglio. Quando il libro sfiora questo segreto, sia pure in consapevolmente, rivela come quasi tutti i romanzi significativi de gli ultimi anni, come la stessa forma del romanzo siano coinvolti in un processo di ristrutturazione. La struttura dell’opera permette ampiamente di riconoscere questo fatto. Le manca l’articolazione in episodi e sviluppo prin cipale. Ritornano forme epiche più antiche, la cronaca, il libro di lettura. Nel libro sono inserite in abbondanza storie brevi, che spesso costituiscono dei punti culminanti. Ad esempio quella del 19 novembre 1932, quando l’anniversario del salvataggio ritorna per l’ultima volta nel corso della narrazione. Nessuno lo festeggia più: in questo modo si può sentire che cosa aveva significato. Per questi disoccupati rappresenta tutto ciò che aveva mai illuminato la loro vita. Di questo giorno potrebbero dire che è la loro Pasqua, la loro Pentecoste e il loro Natale. Ora è caduto in dimenticanza, e il loro mondo è stato invaso dalle tenebre. «L’ora in cui di soli to celebravano l’anniversario era passata da tempo. “Davvero, si sono dimenticati di me, - pensava Zabusch. - Oppure preferisco no restare tra loro. Con me non c’è da far complimenti”. “Accen di la luce”, disse la moglie. “Accendila tu”, rispose Zabusch. Co si nessuno l’accese. Alla fine non sopporta più il buio. Scende lun go la FindlingerstraBe, apre la porta dell’osteria di colpo. “Chiara o scura ?” Zabusch non rispose alla domanda dell’oste, si guardò intorno sbalordito. Al primo momento credette di aver aperto una porta sbagliata. Ma nella Findlingerstrafie altre osterie non ce n’erano. E quello li era proprio Adlinger, lo riconosceva. Ma il loca le era cambiato, non c’era una faccia conosciuta. Molti si misero a ridere. [...]. “Avanti, avanti. C’è ancora posto. Siediti, camera ta”. Tutti quei nazi gremivano le sedie e le panche - quella panca d’angolo l’anno scorso non c’era - con le ginocchia larghe e i go miti divaricati di chi si sente a casa sua» (pp. 450 sg.). Questo crol lo che all’uomo di cui nessuno ha bisogno, di cui lo stesso calen dario rinuncia a contare i giorni, all’uomo abbandonato che di mora nell’abisso schiude un abisso più profondo, ossia il raggiante inferno nazista, dove lo stesso abbandono festeggia se stesso: que-
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Sto crollo concentra gli anni di cui narra il libro nell’orrore di un unico momento. Riusciranno questi uomini a liberam i Abbiamo la sensazione che per queste povere anime ormai ci sia soltanto una redenzione. Da quale parte dovrà venire, l’autrice lo suggerisce quando, nella sua relazione, incontra i bambini. Nessun lettore potrà dimenti care tanto facilmente i figli dei proletari di cui parla. «Allora c’e rano molti bambini come Franz in quei luoghi. Qualche padre si tirava dietro i suoi, oppure venivano spontaneamente ddle case vicine o anche lontane, spuntavano appena di sopra Torlo del ta volo dove si piegavano i manifestini, sgusciavano tra le gambe dei grandi, o correvano ansanti a portare una lettera o un pacco di gior nali o a cercare qualcuno di cui occorreva subito la presenza. Por tati lì da un padre o capitati [...] per curiosità, o anche attratti da ciò che attrae gli uomini, e forse già legati fino alla morte» (pp. 440 sg.). Anna Seghers ha costruito il suo libro nella prospettiva di questi bambini. Forse il ricordo dei disoccupati da cui discen dono un giorno comprenderà quello della loro cronista. Nei loro occhi vi sarà certamente il riflesso dei vetri di cui sogna Katharina mentre pulisce le finestre - dei vetri «che non si sarebbe mai stancata di strofinare, perché una luce chiara ma non abbagliante illuminasse tutti gli angoli della stanza, con la tavola apparecchia ta, il letto preparato, non alla svelta e di ripiego, ma da sempre e per sempre».
A nni di crisi del primo romanticismo
Due volumi, che comprendono circa seicento lettere, rendono accessibili la conclusione del movimento del primo romanticismo e gli ultimi anni di vita di coloro che ne fanno parte. Il nucleo del la presente raccolta (pubblicata da Josef Korner) è formato da let tere ricevute da A. W. Schlegel negli anni tra il 1804 e il 1812. In forma frammentaria la pubblicazione si estende oltre quest’epoca e porta fino alla soglia della sua morte, avvenuta nel 1845. Per il resto contiene una grande quantità di lettere che furono scritte dallo stesso A. W. Schlegel. Per l’edizione completa sono previsti tre volumi. In effetti i due presenti contengono soltanto i documenti: la loro spiegazione e la registrazione è riservata al terzo volume. Un volume intero non sarà affatto eccessivo per la spiegazione di queste fonti. Finché manca, un’indicazione può avere soltanto carattere provvisorio. Del resto, anche se volesse limitarsi a dare alcuni esempi di un fu turo indice delle persone o degli argomenti, comprenderebbe un cospicuo numero di pagine. Il materiale è insolitamente denso ed estremamente complesso, anche se è per lo più di natura privata. Un grande spazio occupano le lettere - a volte incresciose - di Sophie Bernardi, nata Tieck. Il loro tema dominante è il plurien nale processo di separazione, in cui è stato coinvolto un non pic colo numero di contemporanei importanti. A. W. Schlegel, impli cato nel processo da una testimonianza di Fichte, si difende dal fi losofo in uno scritto che costituisce uno dei più pittoreschi documenti della letteratura epistolare tedesca. Seguire tali arabeschi, oppure tenere dietro a quelli non meno intricati della conversione di Friedrich Schlegel, dell’educazione dei figli della Staèl, dapprima potrà farlo soltanto il curatore. Tut ta una quantità di annotazioni a margine buffonesche, non di ra do astiose, con cui i corrispondenti del circolo accompagnano i pro cessi che hanno luogo in sdtri gruppi letterari della Germania di al lora - l’esecuzione del Guglielmo Teli, l’uscita delle Ajfinità elettive.
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lo sviluppo della teoria goethiana dell’arte, infine l’uscita di scena dei grandi - Schiller, Kleist, Goethe - , farà presto il suo ingresso solenne nelle dissertazioni. Il successivo autoisolamento di questo circolo fa un effetto deprimente; a volte porta a formulazioni biz zarre. «Poeti, scriva, caro buon fratello - così si rivolge ad August Wilhelm la cognata Dorothea - le vostre opere saranno le pirami di che sole resteratmo tra le rovine del tempo, e mostreranno ai po steri che qui abitava un nobile popolo» (lettera del 23 luglio 1809). Questo autoisolamento si rivela particolarmente infelice nei con fronti della nuova generazione. La genuina passione per le anti chità tedesche non ha impedito a Friedrich Schlegel di parlare dei fratelli Grimm in modo altrettanto insensato quanto sprezzante. In ogni caso non si potrà ignorare che la massima parte di que sti documenti proviene dall’epoca dell’egemonia napoleonica (co me si può avvertire anche nelle citate parole di Dorothea). Essi mostrano come lo spodestamento del popolo tedesco non si dis solve affatto sotto i raggi del potere spirituale tedesco, come po trebbe pensare chi prendesse in considerazione soltanto Weimar. Le difficoltà della comunicazione epistolare all’interno della Ger mania, di cui si parla in numerosi scritti, bastano da sole a dare un’immagine della disorganizzazione della vita borghese. Inoltre ci sono le reazioni immediate alla tirannide; in nessun altro più spontanee che in Friedrich Schlegel. Una bella lettera di Clause witz rientra nello stesso contesto. Infine sono non da ultimo cir costanze politiche, quelle che si delineano nella diaspora della pri ma scuola romantica - una diaspora che creò un contrasto tra que sti anni e i tempi in cui la scuola teneva la sua rivista militare a Jena. Friedrich Tieck, lo scultore, fa la fame a Roma; Friedrich Schlegel a Colonia conduce una disperata lotta per l’esistenza, fin ché non trova ricovero a Vienna presso il Metternich; un’esisten za cosmopolitica come quella che suo fratello conduceva nel ca stello di Coppet presso Madame de Staél fuori del distretto goethiano era possibile soltanto all’estero. La stessa natura di tale raccolta di lettere fa sì che il peso speci fico del tutto raramente sia quello delle sue parti. Tuttavia tra que ste lettere molte hanno una particolare importanza umana, altre ima particolare importanza storica. L’una e l’altra sono congiunte nella lettera con cui August Ludwig Hiilsen - allievo di Fichte, ami co di Fouqué - reagisce, nel 1803, alla svolta reazionaria dei fra telli Schlegel che si sta appunto delineando. Poche lettere sono pa ragonabili a questa. Hiilsen parla delle loro ricerche sulla cavalle ria. « Preghiamo il cielo, - amutnonisce, - che le vecchie rocche non
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siano nuovamente costruite. Ditemi, cari amici, che cosa significa questo. Io non lo so. [...]. Vorreste trascegliere l’aspetto più splen dente della cavalleria, esso diventa di nuovo molto oscuro, se ap pena vogliamo considerarlo nel complesso. Friedrich ama andare in Svizzera e in particolare nel VaUese. I bambini gli raccontano an cora dei tiranni di un tempo, mentre gli dicono il nome delle roc che orgogliose, e il ricordo dei loro tiranni appare indistruttibile nelle macerie. Ma questa considerazione non è affatto necessaria. Basta osservare che questa realtà non può esistere con nessun or dinamento divino della vita. E si desidererebbe molto di più che la grande massa che chiamiamo il popolo desse delle bastonate in te sta a tutti noi, dotti e cavalieri, poiché la nostra importanza e i no stri privilegi possono fondarsi soltanto sulla sua miseria. Ospizi di mendicità, penitenziari, arsenali e orfanotrofi stanno accanto ai templi dove vogliamo venerare la divinità. [...]. E vero che il pri mo scopo dei tuoi studi non era quello di ricondurre le forme so ciali a quella originaria ed eternamente permanente, e quindi di stinguere, in esse, [...] il necessario dall’accidentale. Ma per uno spirito critico come il tuo questo tipo di considerazione e più na turale di qualsiasi fenomeno letterario. [...]. Se parliamo dell’uo mo, da noi tutti in quanto filosofi e artisti non dipende proprio nul la; poiché la vita di un individuo nelle sue richieste alla società sia pure la più misera - vale molto di più della più alta fama che possiamo ottenere noi dotti e cavalieri. [...]. Per un’inteUigenza che sappia osservare anche nella società meno colta il divino si rivela molto più di quanto noi possiamo mai rappresentarlo con le arti e le scienze più raffinate, ogni volta che un figlio della libertà è di ventato sua vittima» (lettera del i8 dicembre 1803). La lettera fa parte dei rari documenti in cui il motivo dell’illu minismo vibra con quel suono impareggiabile che esso assume sul la cassa armonica del romanticismo. Essa denuncia l’immaturità della borghesia tedesca, che in questi «anni di crisi» è diventata fatale al primo romanticismo. N ell’atteggiamento forzatamente voltairiano di August Wilhelm Schlegel questa immaturità non fa altro che manifestarsi in una forma diversa da quella in cui viene in luce nell’esito ultramontano di Friedrich Schlegel. Non è anco ra giunto il tempo in cui di fronte agli insegnamenti di storia let teraria, alle immagini di paesaggio o di vita privata, alle bellezze linguistiche e agli autoritratti che incontra in queste lettere un let tore tedesco possa dimenticare il loro valore di testimonianza sto rica. Con tanta maggiore gratitudine accoglierà questi importan tissimi documenti ritrovati nel castello di Coppet.
Albert Béguin, L ’anima romantica e il sogno. Saggio sul romanticismo tedesco e la poesia francese
La maggior parte della vasta opera di Béguin è dedicata a ri cerche sul romanticismo tedesco. Se esse sono seguite da una più breve caratterizzazione del romanticismo francese, questa dispo sizione non è determinata dagli interessi della storia comparata della letteratura (da cui Béguin si distingue - p. 320). Nel roman ticismo tedesco l’autore non vede il padre di quello francese, ma il fenomeno romantico per eccellenza, su cui deve compiersi l’ini ziazione a questo movimento spirituale. Per Béguin in effetti si tratta di un’iniziazione. L’oggetto, egli scrive, interessa «quella parte più segreta di noi stessi [...] dove noi non sentiamo più che un desiderio, il desiderio di accedere al linguaggio dei cenni e dei segni, e comprendere così la sorpresa di cui la vita umana riempie colui che per un momento si rende conto di tutta la sua singola rità, dei suoi pericoli, delle sue angosce, della sua bellezza e dei suoi tristi confini» (p. xvn). Le considerazioni dell’ultima parte concernono la poesia surrealistica e determinano fin dall’inizio l’o rientamento dell’autore - mostrando ancora una volta come egli si sforzi di uscire dalla sfera della ricerca accademica. Bisogna ag giungere che questo lavoro non è affatto inferiore a quest’ultima, per il rigore con cui è maneggiato, se non il metodo, certamente l’apparato. Il libro è fatto^in maniera esemplare, con precisione, senza sfoggio di dottrina. È in parte merito di questo modo in cui è fatto, se nonostante la problematicità del suo atteggiamento di base nei particolari esso fa un effetto assai originale e avvincente. Le debolezze dell’opera sono chiaramente rivelate dalle sue for mulazioni leali. Dice l’autore: «L’obiettività, che certamente può e deve costituire la legge delle scienze descrittive, non può avere un’influenza fruttuosa sulle scienze dello spirito. In questa sfera ogni ricerca “disinteressata” implica un imperdonabile tradimen to del proprio Io e dell’“oggetto” della ricerca» (p. xvn). Non si vorrà eccepire nulla a questa affermazione. L’errore nasce soltan to quando l’intensità dell’interesse viene equiparata alla sua im
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mediatezza. L’interesse immediato è sempre un interesse sogget tivo, e nella scienza dello spirito non ha diritto di cittadinanza più che in qualsiasi altra. Il problema non può essere quello, imme diato, che chiede se le teorie romantiche del sogno erano «esatte»; dovrebbe invece considerare la costellazione storica da cui le sud dette ricerche romantiche scaturiscono. In questo interesse me diato, che è diretto in primo luogo sulla collocazione storica delle intenzioni romantiche, la nostra partecipazione personale, attua le all’oggetto si affermerà in modo più legittimo che nell’appello all’interiorità, che si rivolge direttamente ai testi per strappare lo ro di bocca la verità. E il libro di Béguin incomincia con un sif fatto appello, e quindi ha forse favorito certi fraintendimenti. André Thérive, che sul «Temps» cura la critica letteraria nel senso della tradizione laica, a proposito di questo libro osserva che dipende dall’opinione che noi abbiamo della destinazione dell’u manità, se possiamo dichiararci d’accordo, o invece dobbiamo tro vare molto urtante che «lo spirito sia rimandato alle tenebre co me aU’unico luogo in cui gli toccano la gioia, la poesia, il dominio segreto sull’universo» («Le Temps», agosto 1937). Bisogna forse aggiungere che il cammino attraverso gli iniziati dei tempi passa ti attrae l’adepto soltanto se essi sono delle autorità, se gli vengo no incontro come testimoni. Nel caso dei poeti questo si verifica solo in casi eccezionali; certamente non si verifica in quello del poeta romantico. Soltanto Bitter potrebbe essere inteso come un iniziatore in senso rigoroso. Lo consente la natura non soltanto dei suoi pensieri, ma prima di tutto della sua vita. Si può poi pen sare a Novalis e a Caroline von Gùnderode - per lo più i roman tici erano troppo coinvolti nell’industria letteraria, per poter fi gurare come «custodi del limitare». Sono questi stati di fatto che spesso rimandano Béguin ai procedimenti consueti alla storia del la letteratura. Gli si concederà che non corrispondono del tutto al suo tema. Il che può essere un argomento contro di essi, ma an che contro il tema. Chi intraprende un’analisi - ci ricorda Goethe - veda se alla sua base sta anche un’autentica sintesi. Per quanto attraente sia l’oggetto trattato da Béguin, il problema è come sia possibile con ciliare l’atteggiamento con cui l’autore gli si è avvicinato con il consiglio goethiano. L’esecuzione della sintesi è il privilegio di una conoscenza storica. In effetti il modo in cui è delineato il tema nel titolo promette una costruzione storica. Essa avrebbe portato lo stato di coscienza dell’autore e quindi anche il nostro ad affermarsi in modo più durevole di quanto non accada nella considerazione
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degli attuali fenomeni del surrealismo e della filosofia esistenzia listica. Avrebbe dovuto constatare come il romanticismo porti a compimento un processo che era iniziato nel secolo xvni: la seco larizzazione della tradizione mistica. Alchimisti, Illuminati e Ro sacroce avevano avviato il processo che si conclude col romantici smo. La tradizione mistica non aveva superato indeime questo pro cesso. Lo avevano dimostrato le aberrazioni del pietismo, così come teurgi del tipo di un CagHostro o un Saint-Germain. La cor ruzione delle dottrine e dei bisogni mistici era ugualmente grande nei ceti inferiori e superiori. L’esoterismo romantico si è sviluppato in connessione con tale esperienza. E stato un movimento di restaurazione, con tutte le violenze che tale movimento comporta. Con Novalis la mistica ave va potuto infine affermare la propria autonomia, sospesa sopra la terraferma dell’esperienza religiosa; e con Ritter ancora di più. Ma l’esito finale non soltanto del tardo romanticismo, ma già di Frie drich Schlegel, mostra come la scienza occulta sia nuovamente in procinto di tornare nel grembo della Chiesa. Nell’epoca della com pleta secolarizzazione della tradizione mistica cadono gli inizi di uno sviluppo sociale e industriale che metteva in discussione un’e sperienza mistica che aveva perso la sua sacralità. La conseguenza fu la conversione - per un Friedrich Schlegel, un Clemens Bren tano, uno Zacharias Werner. Altri, come Troxler o Schindler, tro varono rifugio in un appello alla vita onirica, alle manifestazioni vegetative e animali dell’inconscio. Realizzarono una ritirata stra tegica e sgombrarono terreni di vita mistica superiore per poter af fermare tanto meglio quella insita nella natura. Il loro appello al la vita onirica fu un segnale di pericolo; non indicava tanto la via verso la terra natale dell’anima, quanto il fatto che essa era già sta ta ostruita. Béguin non si è reso conto di questo. Non tiene conto della pos sibilità che il nucleo reale, sintetico dell’oggetto, quale si rivela al la conoscenza storica, potrebbe emanare una luce tale da distrug gere le teorie romantiche sul sogno. Questa insufficienza ha lasciato le sue tracce nel metodo dell’opera. Dedicandosi separatamente ai singoli autori romantici, essa rivela come la sua fiducia nella forza sintetica della sua impostazione non sia illimitata. E vero che que sta debolezza ha anche un vantaggio. Dà all’autore la possibilità di dimostrare una capacità di caratterizzazione individuale che spes so è veramente affascinante. Sono i ritratti che rendono il Ubro de gno di essere letto, nonostante la sua impostazione. Già il primo, che disegna i rapporti dello sveglio G. Ch. Lichtenberg con la vi
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ta onirica del suo prossimo e propria, dà un’idea dell’elevata capa cita fisiognomica di B[éguin]. Il lavoro su Victor Hugo, che occu pa poche pagine del secondo volume, rappresenta un capolavoro. Quanto più il lettore si addentra nei particolari di questi piccoli gioielli fisiognomici, tanto più spesso troverà la correzione di un pregiudizio che avrebbe potuto minacciare il libro. Proprio nel mo do in cui lo presenta Béguin, un personaggio come G. H. Schubert permette di constatare l’importanza molto relativa di certe specu lazioni esoteriche dei romantici, con una chiarezza che fa tanto più onore alla lealtà dello storico, quanto più modesto è il profitto che esse assicurano alla loro utilizzazione diretta.
Curriculum vitae [V]
Sono nato a Berlino il 15 luglio 1892. Dopo aver frequentato il liceo e trascorso due anni come interno in un istituto del tipo Landemehungsheìme ho sostenuto l’esame nel 1912. Poi ho stu diato filosofia e letteratura tedesca e francese alle università di Fri burgo (Germania), Berlino, Monaco e Berna, dove ho conseguito con lode la laurea in filosofia nell’estate del 1919. Negli anni suc cessivi ho continuato a occuparmi di filosofia, critica e traduzio ne. Accanto ai numerosi testi apparsi soprattutto sulle pagine let terarie della «Frankfurter Zeitung» e sulla «Literarische Welt», ho pubblicato un libro sulle origini della tragedia tedesca, che è stato accolto molto favorevolmente dalla critica sia letteraria sia accademica. Un’opera sulle Affinità elettive di Goethe mi è valsa l’attenzione di Hugo von Hofmannsthal, che ha pubblicato diversi miei saggi sui suoi «Neue Deutsche Beitràge», cui aveva accesso solo una élite di scrittori tedeschi. Come traduttore mi sono oc cupato soprattutto di Baudelaire e di Marcel Proust. Ho pubbli cato vari volumi della grande opera di Proust, in collaborazione con Franz Hessel. Essendo da tempo interessato alle ricerche bi bliografiche, ho intrapreso, per conto di un grande collezionista tedesco, una bibliografia dei testi del o sul filosofo e fisico Lichten berg. Benché terminata, quest’opera non ha potuto essere pubbli cata a causa delle recenti vicende tedesche. Aggiungerò infine che ho collaborato aìl’Encyclopaedia judaica: Walter Benjamin Soggiorni a partire dal 19 marzo 1933 19 marzo 1933 - 5 aprile 1933
Parigi, Hotel Istria, rue Campagne-Première 29 8 aprile - 25 settembre 1933 Ibiza, San Antonio 6 ottobre 1933 - 26 ottobre 1933 Parigi, Hotel Regina, Passy
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26 ottobre 1933 - 23 marzo 1934 17 aprile 1934 - 23 giugno 1934
15 luglio 1934 - 20 ottobre 1934
5 marzo 1935 - 21 aprile 1935 21 aprile 1935 - 12 luglio 1935
12 luglio 1935 - I ottobre 1935 I ottobre 1935 - 20 ottobre 1937 20 ottobre 1937 - 26 gennaio 1938 26 gennaio 1938 sino a oggi
Parigi, Palace Hotel, rue du Four i Parigi, Hotel Floridor, place Denfer-Rochereau 28 Nizza, Hotel du Petit Pare; Monaco, Hotel de MarseiUe; Sanremo, Villa Verde Parigi, Villa Robert Lindet 7 Parigi, hotel Floridor, place DenferRochereau 28 Parigi, Villa Robert Lindet 7 Parigi, rue Bénard 23 Paris, Villa Robert Lindet 7 Paris, rue Dombasle IO
Scelta dei miei saggi sulla letteratura francese (in tedesco) Paul Valéry all’Ecole Normale Conversazione con Colette Conversazione con Benjamin Crémieux Conversazione con André Gide André Gide e la Germania Marcel Proust Il Surrealismo Julien Green Diario di un soggiorno a Parigi Paul Valéry
«Die Literarische Welt», 1926. ivi, 1927. ivi, 1927. ivi, 1928. «Deutsche AUgemeine Zeitung», 1928. «Die Literarische Welt», 1929. ivi, 1929. «Neue Schweizer Rundschau», 1930. «Die Literarische Welt», 1930. ivi, 1931.
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André Gide: Edipo La posizione sociale dello scrittore francese
«Blàtter des Hessischen Landestheaters», 1931. « Zeitschrift fiir Sozialforschung», 1934.
Le mie principali traduzioni Charles Baudelaire, Tableaux parisiens, Wiebbach, Heidelberg 1923. Honoré de Balzac, Ursule Mirouet, Rowohlt, Berlin. Marcel Proust, A l’ombre des jeunes filles en fleurs, Die Schmiede, Berlin. Marcel Proust, Le cóté de Guermantes, Piper, Miinchen. Marcel Jouhandeau, Mademoiselle Cécile, Kiepenheuer, Berlin 1930. Le mie pubblicazioni francesi Marseille L ’ceuvre d ’art à Vépoque de sa reproduction mécanisée L ’angoisse mythique chez Goethe Peintures chinoises à la Bibliothèque Nationale
«Cahiers du Sud», gennaio 1935. «Zeitschrift fiir Sozialforschung», I, 1936. «Cahiers du Sud», maggio 1937. «Europe», gennaio 1938.
Bibliografia Il concetto di critica nel romanticismo tedesco (Berna 1920) Charles Baudelaire, Tableaux parisiens, traduzione tedesca con una prefazione sul ruolo del traduttore (Heidelberg 1923) Goethe, Affinità elettive (Monaco 1924-25) Marcel Proust, Im Schatten der Jungen Màdchen {AWombra del le fanciulle in fiore} - Gegend um Guermantes tic] [7 Guermantes], traduzione tedesca di Walter Benjamin e Franz Hessel (Berlino) Il dramma barocco tedesco (Berlino 1928)
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Personalità che hanno appoggiato la mia domanda Louis Aragon, direttore di «Ce Soir». Jean-Richard Bloch, direttore di «Ce Soir». C. Bouglé, direttore dell’Ecole Normale Supérieure. Jean Cassou, vice conservatore del Musée du Luxembourg. André Gide. Louis Guilloux. Lucien Lévy-Bruhl, membro dell’Institut. Henry Lichtenberger, professore alla Sorbona. Adrierme Monnier. Jean Paulhan, direttore della «Nouvelle Revue Fran9aise». Jules Romains, presidente del Pen Club. Paul Valéry, deU’Académie Fran^aise.
Max Brod, Franz Kafka. Una biografia. (Ricordi e documenti)
Il libro è caratterizzato da una fondamentale contraddizione fra la tesi dell’autore da un lato e il suo atteggiamento daU’altro. Do ve il secondo è tale da screditare in una certa misura la prima, per tacere delle perplessità che essa suscita in se stessa. La tesi è che Kafka ha percorso la strada verso il sacro (p. 65). D ’altro lato l’at teggiamento del biografo è caratterizzato da una completa bono mia. La mancanza di distanza è la sua proprietà più spiccata. Che questo atteggiamento abbia potuto unirsi con questa con cezione dell’oggetto è un fatto che priva preliminarmente il libro di ogni autorità. Il modo in cui ciò è accaduto è illustrato ad esem pio dalla locuzione con cui una fotografia del «nostro Franz» (p. 127) è presentata al lettore. L’intimità con il sacro è tipica di una determinata forma della storia della religione - del pietismo. L’at teggiamento di Brod biografo è quello pietistico di un’ostentata intimità; in altri termini, l’atteggiamento più privo di pietà che si possa pensare. Questa scarsa pulizia nell’economia dell’opera è favorita da abi tudini che l’autore ha potuto acquistare nell’esercizio della sua pro fessione. In ogni caso è praticamente impossibile ignorare le trac ce che la routine giornalistica ha lasciato nella stessa formulazio ne della sua tesi: «La categoria del sacro [...] è la sola che consenta di considerare nel modo giusto la vita e l’attività creativa di Kafka» (p. 65). E necessario osservare che il sacro è un ordine riservato alla vita, a cui il creare non spetta in nessun caso ? E occorre dire che il predicato del sacro fuori di una concezione religiosa fonda ta nella tradizione è semplicemente un fiore retorico ? Brod manca di ogni senso di quel rigore pragmatico che si de ve pretendere da una prima biografia di Kafka. «Non sapevamo che cosa fossero gli alberghi di lusso, eppure eravamo allegri e spen sierati» (p. 128). L’evidente mancanza di tatto, del senso per i li miti e le distanze fa sì che un testo che il suo oggetto obblighe rebbe a un certo stile sia invece pervaso da clichés giornalistici. Ciò
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non è tanto la causa, quanto piuttosto una testimonianza della mi sura in cui Brod fu incapace di qualsiasi intuizione originale sulla vita di Kafka. Questa incapacità di rendere ragione alla cosa stes sa diventa particolarmente urtante quando Brod (p. 242) viene a parlare della famosa disposizione testamentaria con cui Kafka lo incarica di distruggere i suoi manoscritti. Sarebbe stato questo il momento più opportuno per sviluppare certi aspetti fondamenta li dell’esistenza di Kafka. (E chiaro che egli non aveva l’intenzio ne di portare davanti ai posteri la responsabilità di un’opera di cui tuttavia conosceva la grandezza). Dopo la morte di Kafka il problema è stato ampiamente di scusso; s^ebbe stato logico che il biografo si soffermasse a consi derarlo. E vero che ciò avrebbe comportato un esame di coscien za. Kafka aveva dovuto affidare i suoi manoscritti a colui che non avrebbe voluto eseguire la sua ultima volontà. E da un onesto esa me delle cose non sarebbero usciti danneggiati né il testatore ne il suo biografo. Ma esso richiede la capacità di misurare le tensioni da cui è stata percorsa la vita di Kaflca. Che Brod non abbia questa capacità, lo dimostrano i passi in cui si accinge a spiegare il significato dell’opera di Kafka o il suo modo di scrivere. Si limita a spunti dilettanteschi, la stranezza del la natura di Kafka e del suo modo di scrivere non è certamente «apparente», come ritiene Brod, né si rende conto del significato delle esposizioni di Kafka dichiarando che esse sono «semplicemente vere, e nuU’altro» (p. 68). Tali excursus sull’opera di Kafka hanno la precisa funzione di rendere a priori problematica l’inter pretazione brodiana della sua Weltanschauung. Quando Brod di ce che Kafka si trova sulla linea di Buber (p. 24), ciò equivale a cercare la farfalla nella rete suUa quale, svolazzando al di sopra di essa, getta la sua ombra. L’«interpretazione per così dire realistico-ebraica» (p. 229) del Castello cancella i tratti repellenti e orri bili che possiede il mondo superiore di Kafka, a favore di un’in terpretazione edificante che al sionista Brod dovrebbe essere par ticolarmente sospetta. Questa facilità che si addice così poco al suo oggetto a volte si rivela persino al lettore che non va troppo per il sottile. La com plessa problematica di simbolo e allegoria, che Brod considera ri levante per l’interpretazione di Kafka, egli l’illustra con l’esempio dell’«intrepido soldatino di stagno», che rappresenterebbe un sim bolo perfetto perché non solo «esprime molte cose [...] che si per dono nell’infinito», ma è anche vicino a noi «col suo destino per sonale e dettagliato di soldato di stagno» (p. 237). Ci piacerebbe
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sapere come si presenta la stella di Davide alla luce di questa teo ria del simbolo. Un certo senso della debolezza della propria interpretazione di Kafka rende Brod suscettibile verso quella degli altri. Che egli scar ti con un gesto della mano l’interesse non poi cosi folle dei surrea listi per Kafka così come le interpretazioni in parte interessanti dei brevi scritti di prosa da parte di Werner Kraft‘ è un fatto che non fa una buona impressione. Per di più lo vediamo impegnato a sva lutare anche i futuri scritti su Kafka. «Così si potrebbe spiegare e spiegare (e lo si farà), ma necessariamente senza fine» (p. 69). Si avverte chiaramente come l’accento cada sulla parentesi. Che le «molte miserie e sofferenze private e accidentali di Kafka» contribuiscano alla comprensione della sua opera più del le «costruzioni teologiche» (p. 213), è un’affermazione che non si ascolta volentieri, comunque, da colui che è abbastanza deciso da collocare la propria esposizione di Kafka sotto il concetto del sa cro. Lo stesso gesto sprezzante è rivolto verso tutto ciò che disturba il sodalizio di Brod con Kafka - verso la psicoanalisi come verso la teologia dialettica. E gli permette di confrontare lo stile di Kafka con la «falsa esattezza» di Balzac (p. 69; dove non ha in mente nient’altro che quelle trasparenti rodomontate che non è affatto possibile separare dall’opera di Balzac e dalla sua grandezza). Tutto ciò è estraneo allo spirito di Kafka. A Brod manca trop po spesso la padronanza di sé, la pacatezza che era propria di Kafka. Non c’è nessuno che non possa essere conquistato da un’o pinione misurata, dice Joseph de Maistre. Il libro di Brod non con quista. Non è misurato né nel modo in cui fa la corte a Kafka, né nella confidenza con cui lo tratta. Entrambi gli atteggiamenti so no prefigurati nel romanzo che ha come argomento la sua amici zia con Kafka. Fra tutte le gaffes di questa biografia, le citazioni che sono tratte dal romanzo non sono affatto le minori. Che in quest’opera - Zauberreich derLiebe^ - lettori estranei abbiano po tuto vedere una violazione della pietà verso il defunto è un fatto che sorprende l’autore, come egli ammette. «Come sempre, anche questa volta si è frainteso. [...]. Non si è pensato che anche Plato ne aveva rappresentato in modo analogo - anche se molto più am pio - il suo maestro e amico Socrate, che per tutta la vita lo ac‘ I testi di Werner Kraft su Kafka, comparsi su giornali e riviste, sono stati ripresi in Vranz Kafka. Durchdringung und Geheimnis [Franz Kafka. Compenetrazio ne e mistero], Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1968 [N.
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compagnava continuando a vivere, a operare, a pensare con lui, e in questo modo lo aveva strappato alla morte, facendo di lui l’e* roe di quasi tutti i dialoghi, che egli scrisse dopo la morte di So- ' crate» (p. 82). i Ci sono poche probabilità che un giorno il Kafka di Brod pos sa essere classificato fra le grandi biografie fondamentali dei poe ti, accanto allo Hòlderlin di Schwab, al Biichner di Franzos, al Kel^, ler di Bachthold’. Tanto più deve indurre a riflettere, come testi monianza di un’amicizia che tra gli enigmi della vita di Kafka non è forse il minore. ’ C. T. Schwab pubblicò Hólderlins Leben ([Vita di Hòlderlin] 1846), J. Bachtold Gott fried Kellers Leben ([Vita di Gottfried Keller] 1913), mentre K. E. Franzos è il curatore di un’importante edizione delle opere di G. Biichner, uscita nel 1879 [N.i/.T.].
[Appendice a M ax Brod, Franz Kafka. Una biografia]
Da quanto ho scritto puoi vedere, caro Gerhard, perché non mi pare che un esame della biografia di Brod possa contribuire a in dicare qual è la mia immagine di Kafka - fosse pure soltanto in forma polemica. Naturalmente non sono certo che gli appunti se guenti riescano a disegnare quest’imjnagine in abbozzo. In ogni modo ti suggeriranno un aspetto nuovo, più o meno indipenden te dalle mie riflessioni precedenti. L’opera di Kafka è un ellisse con due fuochi molto distanti tra loro, che sono determinati rispettivamente dall’esperienza misti ca (che è anzitutto l’esperienza della tradizione) e dall’esperienza dell’uomo che vive nella grande città moderna. Quando uso que st’espressione mi riferisco a diverse cose. Parlo da un lato del cit tadino moderno, che sa di essere in balia di un apparato burocra tico impenetrabile la cui funzione è diretta da istanze che non so no chiare agli stessi orgam esecutivi, per tacere di coloro che subiscono passivamente. (E noto che è questo uno degli strati del significato dei romanzi, specialmente del Processo). D ’altro lato l’espressione «uomo che vive nella grande città moderna» si rife risce al contemporaneo dei fisici attuali. Se si legge il seguente pas so deìi’Immagine del mondo della fisica di Eddington, si ha l’im pressione di sentire Kafka. «Sono suUa soglia, in procinto di entrare nella mia stanza. E un’impresa complicata. In primo luogo devo lottare contro l’at mosfera, che preme sul mio corpo con la forza di un chilogrammo per centimetro quadrato. Poi devo cercare di approdare su una ta vola che vola intorno al sole alla velocità di 30 chilometri al se condo; una frazione di secondo di ritardo, e la tavola si è già al lontanata miglia e miglia. E quest’acrobazia deve essere compiuta mentre sono appeso a un pianeta sferico, con la testa verso l’e sterno, nello spazio, mentre un vento etereo di Dio sa quale velo cità soffia attraverso tutti i pori del mio corpo.^ Inoltre la tavola non è fatta di una sostanza stabile e compatta. E come se il piede
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poggiasse su uno sciame di mosche. Non cadrò attraverso di esso? No, perché se oso poggiarvi il piede una delle mosche mi colpisce e mi dà una spinta verso l’alto; ricado, e sono spinto verso l’alto da un’altra mosca, e cosi via. Dunque posso sperare che il risulta to complessivo sarà di restare sempre alla stessa altezza, grosso mo do. Ma se disgraziatamente dovessi tuttavia cadere attraverso il pavimento oppure essere sollevato con tanta violenza da volare fi no al soffitto, quest’incidente non infrangerebbe affatto le leggi di natura, ma sarebbe soltanto un incontro estremamente invero simile di fattori accidentali... Veramente, è più facile per un cam mello passare attraverso la cruna di un ago che varcare una soglia per un fisico. Che si tratti dell’ii^ esso à un fienile o di un cam panile, forse farebbe bene ad accontentarsi di essere solo un co mune mortale, e a limitarsi a passare, senza attendere che si siano risolte tutte le difficoltà che sono connesse con un ingresso scien tificamente ineccepibile». Non conosco, nella letteratura, un passo che abbia un piglio al trettanto kafkiano. Quasi tutti i punti di quest’aporia fisica po trebbero accompagnarsi senza difficoltà a brani della prosa kafkia na, e ci sono buoni motivi per credere che troverebbero posto mol ti di quelli «più incomprensibili». Dunque se si dice - come ho fatto io - che le corrispondenti esperienze di Kafka stavano in un rapporto di enorme tensione con quelle mistiche, si dice solo una mezza verità. Ciò che Kafka ha di veramente folle - folle nel sen so preciso del termine - è il fatto che a questo mondo recentissi mo, ultimissimo, gli abbia aperto l’accesso proprio la tradizione mistica. Naturalmente ciò non è stato possibile senza processi de vastanti (di cui parlerò subito), all’interno di questa tradizione. La sostanza della cosa è che evidentemente si doveva fare appello a niente di meno che alle forze di questa tradizione, perché un sin golo (che si chiamava «Franz Kafka») potesse essere confrontato con la realtà che è la nostra, e che trova la sua proiezione teoreti ca per esempio nella fisica moderna, e la sua proiezione pratica nel la tecnica della guerra. Voglio dire che il singolo non può quasi più esperire questa realtà e che il mondo di Kafka, spesso cosi sereno e popolato di angeli, è l’esatto complemento della sua epoca, che si accinge a sopprimere grandi masse degli abitanti di questo pia neta. Non è escluso che l’esperienza che corrisponde a quella del l’uomo privato Kafka sarà fatta da grandi masse soltanto in occa sione di questa loro eliminazione. Kafka vive in un mondo complementare. (Qui è strettamente af fine a Klee, la cui opera è sostanzialmente isolata, nell’ambito del
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la pittura, allo stesso modo in cui quella di Kafka è isolata nella letteratura). Kafka percepì il complemento, senza percepire ciò che lo circondava. Se si dice che si avvide del futuro senza avvedersi della realtà presente, si deve precisare che se ne avvide sostanzial mente come il singolo che ne è colpito. I suoi gesti di terrore be neficiano dello spazio magnifico che la catastrofe non conoscerà. Ma alla base della sua esperienza stava esclusivamente la tradizio ne, a cui Kafka si votò; nessuna lungimiranza, e neanche un «do no profetico». Kafka ascoltava la tradizione, e chi ascolta con sfor zo e fatica non vede. Questo ascoltare è faticoso soprattutto perché ciò che percepi sce colui che ascolta è assolutamente vago e confuso. Non c’è una dottrina che si potrebbe apprendere, né un sapere che si potreb be preservare. Le cose che vogliono essere afferrate al volo non so no destinate ad alcun orecchio. Ciò implica uno stato di cose che caratterizza rigorosamente l’opera di Kafka nel suo aspetto nega tivo. (Probabilmente la sua caratterizzazione negativa sarà sempre più fruttuosa di quella positiva). L’opera di Kafka rappresenta una malattia della tradizione. E accaduto che la saggezza fosse defini ta come il lato epico della verità. In questo modo la saggezza vie ne a configurarsi come un retaggio della tradizione; è la verità nel la sua consistenza haggadica. E questa consistenza della verità che è andata perduta. Kafka non fu affatto il primo ad affrontare questo stato di fatto. Molti gli si erano adeguati, attenendosi alla verità o a ciò che di volta in vol ta avevano ritenuto tale, e rinunciando alla sua trasmissibilità, a malincuore o anche a cuor leggero. Il tratto veramente geniale di Kafka fu che egli sperimentasse qualcosa di completamente nuovo; sacrificò la verità, per non rinunciare alla trasmissibilità, all’ele mento haggadico. Le opere di Kafka sono costitutivamente allego riche. Ma la loro sventura e la loro bellezza è che dovessero diven tare più che allegoriche. Non si prostrano semplicemente ai piedi della dottrina, come la Haggadah al cospetto della Halachah. Una volta accucciate le dànno improvvisamente una grossa zampata. Per questo in Kafka non si parla più di saggezza. Restano solo i prodotti della sua disgregazione. Sono due: da un lato la diceria delle cose vere (una sorta di giornale teologico dove si sussurra del malfamato e dell’obsoleto); l’altro prodotto di questa diatesi è la follia, che certo ha dissipato interamente il contenuto proprio del la saggezza, ma in compenso serba quell’elemento gentile e paca to di cui la diceria è sempre viva. La follia è l’essenza delle crea ture predilette da Kafka: da don Chisciotte agli assistenti e fino
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agli animali. (Probabilmente per lui essere animale significava so lo aver rinunciato alla figura e alla saggezza umane, per una sorta di pudore, di vergogna. Come un signore distinto che è capitato in una bettola e che rinuncia a pulire il suo bicchiere, per pudore). Kafka aveva certamente alcune convinzioni fermissime: in primo luogo, un individuo - per aiutare - dev’essere un folle; in secon do luogo, solo l’aiuto di un folle è veramente tale. Incerto è solo un punto: giova ancora all’uomo ? Forse giova piuttosto agli ange li (cfr. il passo VII, p. 209, sugli angeli a cui si dà qualcosa da fa re), per i quali potrebbe anche andare altrimenti. Come dice Kafka, è data una quantità infinita di speranza, solo non per noi. Questa frase racchiude veramente la speranza di Kafka. E la fonte della sua radiosa serenità. Ti affido tanto più tranquillamente quest’immagine pericolo samente accorciata dalla visione prospettica, in quanto la potrai chiarire con gli altri aspetti che ho sviluppato da altri punti di vi sta nel lavoro kafkiano uscito sulla «Jiidische Rundschau». Il trat to di questo lavoro che oggi mi disturba di più è l’intento apolo getico che gli era intrinseco e costitutivo. Per rendere giustizia al la figura di Kafka nella sua purezza e nella sua peculiare bellezza, non si deve mai dimenticare che è quella di un fallito. Le circo stanze di questo fallimento sono molteplici. Si potrebbe dire: una volta che fu certo dello scacco finale, tutto strada facendo gli riu scì come in sogno. Nulla è più degno di riflessione del fervore con cui Kafka ha sottolineato il proprio fallimento. Secondo me, la sua amicizia con Brod è anzitutto un punto interrogativo che egli ha voluto tracciare in margine ai propri giorni.
Il paese in cui non si può nominare il proletariato A proposito della prima rappresentazione di otto atti unici di Brecht
Il teatro dell’emigrazione può far suo solo un dramma politico. Dei drammi che dieci o quinàci anni fa avevano raccolto, in Ger mania, un pubblico politico, la maggior parte è stata superata da gli avvenimenti. Il teatro dell’emigrazione deve ricominciare da capo; non solo il suo palcoscenico, anche il suo dramma devono es sere costruiti ex novo. Il senso di questa situazione storica risultò vincolante per il pub blico della prima parigina di alcune parti di un nuovo ciclo dram matico di Brecht. Per la prima volta esso si è sperimentato come pubblico drammatico. Considerando questo nuovo pubblico e que sta nuova situazione del teatro, Brecht per parte sua ha inaugura to una nuova forma drammatica. Egli è uno specialista del comin ciare da capo. Negli anni 1920-30 non si è stancato di sottoporre la sua drammaturgia alla prova della realtà contemporanea. Si è ci mentato con numerose forme di teatro e con i più diversi tipi di pubblico. Ha lavorato sia il teatro di prosa sia per l’opera, e ha pre sentato i suoi prodotti davanti ai proletari di Berlino e all’avan guardia borghese dell’Occidente. Dunque Brecht ricominciò continuamente da capo più di ogni altro. Detto tra parentesi, ciò rivela il dialettico. (In ogni maestro dell’arte si cela un dialettico). Abbi cura - dice Gide - che lo slan cio che hai raggiunto non torni mai a vantaggio del tuo lavoro suc cessivo. Brecht ha operato secondo questa massima - e con parti colare coraggio nei nuovi drammi che sono dedicati al teatro del l’emigrazione. Insomma: dai tentativi dei primi anni si era sviluppato, da ul timo, un determinato, fondato standard di teatro brechtiano. Es so si qualificava come teatro epico, e come tale si contrapponeva a quello drammatico nel senso più stretto, la cui teoria era stata formulata per la prima volta da Aristotele. Brecht presentò quin di la sua teoria come «non aristotelica» - come Riemann aveva fondato una geometria «non euclidea». Riemann abolì il postula
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to delle parallele; ciò che è caduto in questa nuova teoria del tea tro è la «catarsi» aristotelica, la scarica degli affetti attraverso l’em patia, l’immedesimazione nel movimentato destino dell’eroe. Un destino che ha il movimento dell’onda, che trascina il pubblico con sé. (La famosa «peripezia» è la cresta dell’onda, che rotola caden do in avanti, fino a esaurirsi). Per parte sua il teatro epico avanza a scosse, e può essere quin di paragonato alle immagini della pellicola cinematografica. La sua forma fondamentale è quella dello shock con cui le ben distaccate situazioni singole del dramma si scontrano tra loro. I songs, le di dascalie, le convenzioni gestuali degli attori staccano una situa zione dall’altra. Si determinano cosf continui intervalli, che con trastano notevolmente all’illusione del pubblico. Questi interval li sono riservati alla sua presa di posizione critica, alla sua riflessione. (Analogamente, il teatro classico francese faceva po sto, in mezzo agli attori, alle persone di alta condizione, che ave vano le loro poltrone sul palcoscenico). Questo teatro epico aveva eliminato decisive posizioni di quel lo borghese, con l’aiuto di una regia ad esso superiore per metodo e precisione. E tuttavia questa conquista non era avvenuta una volta per tutte, ma caso per caso. Questo teatro epico non era an cora così consolidato, la cerchia di quelli che ne erano stati istrui ti non era ancora cosf ampia che esso avrebbe potuto essere co struito nell’emigrazione. Questa intuizione sta alla base del nuo vo lavoro di Brecht. Terrore e miseria del Terzo Reich è un ciclo composto di venti sette atti imici costruiti secondo le regole della drammaturgia tra dizionale. Talvolta il drammatico si accende come un lampo al ma gnesio alla fine di uno sviluppo apparentemente idilliaco. (Chi en tra dalla porta della cucina sono gli addetti al soccorso invernale, che portano un sacco di patate per una piccola famiglia; quelli che la lasciano sono le SA in mezzo a cui cammina la figlia che hanno arrestato). Altrove si rivela im elaborato intrigo. (Cosf nella Croce di gesso, dove il proletario riesce, con l’astuzia, a farsi rivelare da una SA uno dei trucchi con cui i complici della Gestapo lottano contro il lavoro illegale). Talvolta è la stessa contraddizione nei rap porti sociali che è rappresentata sul palcoscenico quasi senza tra sposizioni nella sua tensione drammatica. Mentre camminano in tondo nel cortile del carcere sotto gli occhi del guardiano, due pri gionieri parlano sottovoce tra loro; sono entrambi fornai; uno è in prigione perché non ha messo crusca nel pane; l’altro è stato arre stato un anno dopo perché ha messo della crusca nel suo impasto).
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Questi e altri drammi furono rappresentati per la prima volta il 21 maggio 1938 sotto l’attenta regia di S. Th. Dudow, davanti a un pubblico che li seguì con appassionata partecipazione. Dopo cinque anni di esilio, esso si trovava finalmente davanti a un pal coscenico dove si trattavano quelle esperienze politiche che gli spettatori avevano in comune. Steffi Spira, Hans Altmann, Gùnter Ruschin, Erich Schoenlank - gli attori che finora non aveva no sempre potuto esprimere pienamente tutte le loro capacità nei numeri singoli del cabaret politico - rivelavano un totale affiata mento, e mostravano quanto felicemente avessero utilizzato le esperienze a cui la maggioranza di loro era pervenuta nove mesi prima, con Ifucili della signora Carrar di Brecht. Helene Weigel rese giustizia alla tradizione che nonostante tut to si è conservata dal teatro brechtiano dei primi anni fino a que st’ultimo compreso. Le è riuscito di conservare tutta l’autorità del lo standard europeo della sua arte drammatica. Si sarebbe dato molto per poterla vedere nell’ultimo atto del ciclo, il Referendum, dove nella parte di una donna proletaria (una parte che ricorda quella, indimenticabile, òsYiai Madre) tiene vivo lo spirito del lavo ro illegale nei tempi della persecuzione. Il ciclo presenta per il teatro dell’emigrazione tedesca una chan ce politica e artistica che rende per la prima volta tangibile la sua necessità. I due momenti, quello politico e quello artistico, qui so no una cosa sola. Di fatto è facile vedere che recitare la parte di una SA o di un membro del tribunale del popolo rappresenta, per un attore emigrato, im compito del tutto diverso che ad esempio la parte di Jago per un attore di buon cuore. Nel primo caso l’em patia non è certo un procedimento adeguato; a parte il fatto che una «empatia» con l’assassino dei propri compagni non ci può es sere per nessun combattente politico. Un modo diverso, distanziante, di rappresentazione - epico, appunto - potrebbe acquista re qui validità e ottenere, forse, un nuovo successo. Il ciclo (e anche qui si legittima, trasformato, un elemento epi co) non esercita una minore attrattiva sul pubblico dei lettori che su quello degli spettatori. Se il teatro non ha a disposizione mez zi che potranno essere difficilmente mobilitati nella situazione che esso rappresenta, dovrà accontentarsi di una scelta più o meno ric ca dal ciclo. Essa può essere esposta a obiezioni critiche, e ciò si può dire anche di quella parigina. Non tutti gli spettatori hanno visto chiaramente ciò che si impone al lettore come tesi decisiva di tutti questi drammi. Si può formularla con una frase del profeti co Processo di Kafka: «Si fa della menzogna l’ordine del mondo».
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. Ognuno di questi atti brevi dimostra la stessa cosa: come il do minio del terrore, che si pavoneggia davanti ai popoli col nome di Terzo Reich, asservisca ineluttabilmente tutti i rapporti interu mani alla menzogna. Menzogna è la deposizione sotto giuramento davanti al tribunale {La ricerca del diritto), menzogna è la scienza che insegna norme che non è consentito applicare {La malattìa professtonak)\ menzogna e ciò che è attribuito alla pubblica colletti vità {Referendum), e ancora menzogna è ciò che è sussvirrato nelle orecchie del morente (J/discorso della montagna). È menzogna in culcata con la pressa idraulica quello che hanno da dirsi due sposi negli ultimi minuti della loro convivenza {La moglie ebrea)-, men zogna è la maschera che si mette la stessa compassione, quando osa ancora dare un segno di vita {Al servizio del popolo). Siamo nel pae se in cui non può essere fatto il nome del proletariato. Brecht mo stra che in questo paese le cose sono messe in modo che perfino il contadino non può più dar da mangiare alle proprie bestie senza mettere in gioco la «sicurezza dello stato» ijlcontadino dà da man giare alla scrofa). La verità che un giorno dovrà distruggere, come un fuoco pu rificatore, questo stato e il suo ordine, per ora è solo una debole scintilla. Lo alimenta l ’ironia del lavoratore, che davanti al mi crofono smentisce le parole che il presentatore gli mette in bocca; protegge questa scintilla il silenzio di quelli che non possono in contrare senza la massima cautela il compagno che è passato at traverso il martirio; e il testo del volantino per il Referendum, che è semplicemente un «No», non è altro che questa stessa piccola, debole scintilla. C’è da sperare che l’opera sia presto pubblicata in forma di li bro. Essa costituisce un intero repertorio per il teatro. Il lettore riceve un dramma nel senso in cui lo hanno realizzato Gli ultimi giorni dell’umanità di Kraus. Forse a questo dramma è dato sol tanto di accogliere in sé l’ancora incandescente attualità in modo che essa pervenga ai posteri come una bronzea testimonianza.
Appunti di diario
6 Marzo. Nelle ultime notti faccio dei sogni che si imprimono profondamente nella mia giornata. Questa notte, in sogno, ero a un ricevimento. Venivo trattato con gentilezza; penso che tale gen tilezza consistesse principalmente nel fatto che le signore si inte ressavano a me, facevano addirittura degli apprezzamenti sulla mia persona. Mi pare di ricordare di avere detto ad alta voce: ora non mi resterà più molto da vivere - come se quelle fossero le ultime manifestazioni d’amicizia prima della dipartita. Più tardi, poco prima del risveglio, ero in compagnia di una si gnora nelle sale di Adrienne Monnier. Dentro queste sale era al lestita una mostra di oggetti, che non riesco bene a ricordare. Tra le altre cose c’erano libri miniati, e inoltre piatti o arabeschi in fer ro battuto, che erano come smaltati. Le sale erano al pianterreno e davano sulla strada, dalla quale si poteva vedere dentro attraverso una grande lastra di vetro. Mi trovavo all’interno. Era evidente che la signora che era con me aveva trattato a lungo i suoi denti secondo la tecnica che questa mostra voleva promuovere. Vi aveva procurato un riflesso opale scente. Sui suoi denti il verde e il bluastro producevano un effet to scialbo. Mi sforzai di farle capire il più garbatamente possibi le, che quello non era il modo migliore di valorizzare quel mate riale. Prevenendo i miei pensieri, lei mi fece notare che la parte interna dei suoi denti era rivestita di rosso. In effetti, io avevo proprio voluto dire che per i denti i colori più forti sono anche piuttosto accesi. Ho sofferto molto a causa dei rumori nella mia stanza. Ieri not te il sogno ha fissato questa sensazione. Mi trovavo davanti a una mappa e allo stesso tempo ero dentro il paesaggio che vi veniva rappresentato. Il paesaggio era tremendamente desolante e spo glio; non sarebbe stato possibile dire se il suo stato di abbandono fosse quello dei deserti rocciosi o quello dello sfondo grigio, vuo to, popolato soltanto dei caratteri a stampa.
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Quei caratteri si incurvavano sul loro supporto quasi seguisse ro i contorni delle montagne; le parole da loro formate erano piut tosto distanti le une dalle altre. Io sapevo o ero venuto a sapere che mi trovavo nel labirinto del condotto uditivo. Allo stesso tem po, però, quella mappa era anche la mappa dell’inferno. 28 giugno. Mi trovavo in un labirinto di scale. Questo labirin to non era coperto da tutte le parti. Salivo; altre scale conduce vano giù in profondità. Su un pianerottolo mi resi conto di esse re giunto su una vetta. Lassù mi si schiudeva un’ampia veduta su tutto il paesaggio. Vidi altri in piedi su altre vette. Uno di questi altri fu colto improvvisamente da vertigine e precipitò. Questa vertigine si propagò; adesso, altri ancora precipitavano da altre vette negli abissi. Quando anch’io fui colto da questa sensazione, mi svegliai. Il 22 giugno sono arrivato da Brecht. Brecht sottolinea l’eleganza e la disinvoltura nel portamento di Virgilio e di Dante e le definisce come lo sfondo sul quale si sta glia il gesto solenne di Virgilio. Li chiama entrambi i «promeneurs». Sottolinea il valore classico dell’7 «^wo: «Lo si può legge re stando immersi nella natura». Brecht parla del suo radicato odio, ereditato dalla nonna, per i pretastri. Fa capire che anche quelli che hanno fatto propri e si so no occupati degli insegnamenti teorici di Marx, resteranno sem pre una cricca pretesca. Il marxismo si presta davvero troppo fa cilmente all’«interpretazione». Ha compiuto cent’anni ed è stato dimostrato... (a questo punto veniamo interrotti). « “Lo Stato de ve scomparire” Chi lo dice? Lo Stato». (Qui Brecht può riferirsi solo all’Unione Sovietica). Brecht si mette davanti alla poltrona sulla quale sono seduto io e, curvo, con fare circospetto - sta imitando lo Stato - dice, ri volgendo un’occhiata torva a dei mandanti (immaginari): «Lo so, devo scomparire». Una conversazione sul nuovo romanzo sovietico. Non lo se guiamo più. Allora passiamo alla poesia e alle traduzioni dalle lin gue più disparate della poesia russo-sovietica che sommergono «Das Wort». Brecht pensa che gli autori laggiù se la vedano brut ta. «Il fatto che in una poesia non compaia il nome di Stalin è già interpretato come una deliberata omissione».
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29 giugno. Brecht parla del teatro epico; cita il teatro per bam bini, in cui gli errori nella recitazione, fungendo da effetti di straniamento, conferiscono dei tratti epici alla rappresentazione. Qual cosa di simile può accadere anche nel teatro degli artisti girovaghi. Mi viene in mente la rappresentazione ginevrina del Cià, in occa sione della quale, nel vedere la corona sbilenca del re, trassi il pri mo spunto di ciò che poi, nove anni più tardi, esposi nel mio libro sul dramma barocco. Da parte sua, Brecht ricorda il momento a cui risale l’idea del teatro epico. Fu durante le prove à&]\!Edoardo II a Monaco. La battaglia che compare nell’opera deve occupare la scena per tre quarti d’ora. Brecht non riusciva a risolvere il pro blema dei soldati. (E come lui neppure Asja [Lacis], la sua aiutoregista). Alla fine si rivolse a [Karl] Valentin, allora suo intimo ami co, che assisteva alle prove; lo fece, ormai stremato, domandan dogli: «Dunque com’è la faccenda di questi soldati? Cosa fanno? Insomma, cos’è che non va in loro ?» Valentin: « Sono smorti e han paura». Questa osservazione fu quella decisiva. Brecht aggiunse: « Sono stanchi». Le facce dei soldati furono ricoperte di uno spes so strato di calce. E quel giorno si trovò la chiave di volta della rappresentazione. Poco dopo si ripresentò il vecchio tema «positivismo logico». Mi mostrai piuttosto intransigente e la conversazione rischiò di prendere una brutta piega. Si riuscì ad evitarlo perché Brecht, per la prima volta, riconobbe la superficialità delle sue formulazioni. Lo fece con la bella espressione: « al bisogno profondo corrisponde un intervento superficiale». Più tardi, quando ci trasferinmio a ca sa sua - dal momento che la discussione era avvenuta nella mia stan za: «E un bene quando ci si trova in una posizione estrema e si vie ne sorpresi da un’epoca reazionaria. Allora si perviene a uno stato intermedio». Cosi, disse, era successo a lui: era diventato mite. La sera: vorrei dare a qualcuno un piccolo dono per Asja; dei guanti. Brecht pensa che sia un problema. Potrebbe diffondersi la voce che Jahnn [Jehne?] le abbia portato un paio di guanti per ri pagarla dei suoi servizi di spionaggio. - «La cosa peggiore: che ven gano sempre liquidate intere cellule. Ma le loro disposizioni re stano presumibUmente valide». 1° luglio. Non appena accenno alla situazione russa ricevo ri sposte molto scettiche. Quando di recente ho chiesto se [Ernst] Ottwalt sta ancora in prigione, la risposta è stata: « Se è ancora in
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grado di starci, ci sta»*. Ieri la [Margarete] Steffin ha detto che di sicuro Tretjakov non è più in vita. 4 luglio. Ieri sera. Brecht (durante una conversazione su Baude laire): «Non sono mica contro l’asociale - sono contro il non-sociale». 21 luglio. Le pubblicazioni dei vari [Georg] Lukàcs, [Alfred] Kurella e compagnia dànno ancora molto filo da torcere a Brecht. Pensa comunque che non li si debba contestare sul piano teorico. Io porto la questione in ambito politico. Anche lì lui non si astie ne dal formulare le sue idee. «L’economia socialista non ha biso gno della guerra, perciò non può neppure sopportarla. “L’amore per la pace” del “popolo russo” esprime questo e solo questo: in un paese non ci può essere un’economia socialista. Con la milita rizzazione il proletariato russo è stato necessariamente ricacciato indietro, e ciò, almeno in parte, fino a stadi dello sviluppo storico da tempo superati. Quello monarchico compreso. In Russia vige il governo personale. Solo le teste di legno possono negarlo». Que sta fu una breve conversazione, che venne presto interrotta. - Co munque in quell’occasione Brecht rimarcò che con lo scioglimen to della Prima Internazionale Marx ed Engels sono stati strappa ti all’azione coordinata con il movimento operaio e che da quel momento si sono limitati a rivolgere i loro consigli, per di più di carattere privato e non destinati alla pubblicazione, a singoli capi di governo. Non è dunque un caso - per quanto spiacevole - che alla fine Engels si sia dato alle scienze naturali. Bela Kun, dice Brecht, è il suo più grande ammiratore in Rus sia. Brecht e Heine sono gli unici poeti tedeschi che egli prenda in considerazione. (In qualche occasione Brecht aveva alluso a una certa persona del comitato centrale che lo appoggiava). 25 luglio. Ieri mattina Brecht è venuto da me per portarmi la sua poesia dedicata a Stalin, intitolata II contadino al suo bue. In un primo momento non arrivai a comprendere il significato della cosa; ma quando poi, in un secondo momento, fui sfiorato dal pen * Nell’originale, gioco di parole con il verbo sitzen, che significa sia «stare seduti» che «essere in galera» [N.
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siero che si trattasse di Stalin, non osai fissarmelo nella mente. Questo effetto corrispondeva abbastanza da vicino all’intenzione di Brecht. Lo spiegò nel corso della conversazione che seguì, in cui tra le altre cose, sottolineò proprio gli aspetti positivi defia poesia. Disse che si trattava in realtà di un elogio a Stalin - il quale, a suo giudizio, ha meriti immensi. Ma non è ancora morto. E comun que, a lui, Brecht - non si addice una forma di elogio più entusia stica di questa; lui resta in esilio e aspetta l’arrivo dell’armata ros sa. Segue l’evolversi dei fatti russi; e anche gli scritti di Trotzky. Questi scritti dimostrano che esiste un sospetto; un sospetto fon dato, che impone di guardare con scetticismo alle faccende russe. Uno scetticismo da intendere nel senso dei classici. Se un giorno dovesse dimostrarsi valido, allora si dovrebbe combattere il regi me - e a quel punto, pubblicamente. «Ma purtroppo o grazie a Dio, scelga Lei», questo sospetto oggi non è ancora certezza. Derivar ne una politica come quella trotzkista è una responsabilità che non ci si può ancora assumere. «Che poi, d’altra parte, anche in Rus sia siano aU’opera bande di criminali, su questo non c’è dubbio. Lo dimostrano i delitti che commettono di tanto in tanto». Infi ne Brecht rileva che veniamo profondamente colpiti dai passi in dietro fatti nel nostro interno. «Abbiamo pagato per le nostre po sizioni; siamo pieni di cicatrici. E naturale per noi essere anche co sì sensibili». Verso sera Brecht mi trovò in giardino immerso nella lettura de Il Capitale. Brecht: «Trovo molto positivo che Lei si metta a stu diare Marx proprio adesso che ci si imbatte sempre meno in lui, soprattutto tra i nostri». Risposi dicendo che preferisco occupar mi dei libri di cui si è molto parlato soprattutto quando non sono più di moda. Venimmo alla politica letteraria russa. «Con questa gente» dissi io riferendomi a Lukdcs, Andor Gàbor, KureUa, «è difficile fare bella figura ed edificare uno stato». Brecht: «Oppu re solo uno stato, ma non una comunità. Sono infatti nemici giu rati della produzione. La produzione li mette a disagio. Non vi si può fare affidamento. Rappresenta l’imprevedibile. Non si sa mai che cosa ne vien fuori. E loro stessi non vogliono produrre. Vo gliono giocare a fare i funzionari e avere il controllo sugli altri. In ogni loro critica c’è una minaccia». - Venimmo, non so più bene come, a parlare dei romanzi di Goethe; Brecht conosce soltanto le Affinità elettive. Dice di avervi apprezzato l’eleganza del giovane scrittore. Quando gli dico che Goethe ha scritto il romanzo a sessant’anni, rimane sbalordito. Il romanzo non ha proprio nulla di piccolo-borghese. E questo è un pregio enorme. Ne sa qualcosa lui,
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dal momento che non c’è opera del teatro tedesco, anche la più si gnificativa, che non porti i segni della grettezza piccolo-borghese. Io notai che anche la ricezione de Le affinità elettive era avvenuta proprio in tal senso, era stata cioè pessima. Brecht: «Mi fa piace re. - I tedeschi sono un popolo di merda. Non è vero che parten do da Hitler non si possano trarre conclusioni sui tedeschi. Anche in me, tutto ciò che è tedesco è negativo. Ciò che è insopportabi le nei tedeschi è la loro ottusa indipendenza. Qualcosa di simile alle libere città imperiali come, per esempio, quella città di merda di Augusta non è mai esistita da nessuna parte. Lione non è mai stata una libera città; le libere città del Rinascimento erano cittàstato. - Lukàcs è un tedesco d’elezione. In lui non è rimasta nep pure la minima traccia della puszta». Ne Le più belle leggende del brigante Woynok della [Anna] Seghers, Brecht ha apprezzato il fatto che in esse si percepisca il se gno dell’emancipazione della Seghers dall’opera su commissione. «La Seghers non riesce a produrre su commissione, come se io sen za commissione proprio non sapessi come fare a scrivere». Ha ap prezzato anche che in queste storie il personaggio principale sia uno stravagante e un solitario. 26 luglio. Brecht ieri sera: «Non c’è più alcun dubbio - la lot ta contro l’ideologia è diventata una nuova ideologia». 29 luglio. Brecht mi legge parecchi scontri polemici con Lukàcs, studi per un saggio che deve pubblicare su «Das Wort». Sono at tacchi mascherati ma veementi. Brecht mi chiede consiglio per quanto riguarda la loro pubblicazione. Siccome poi mi racconta che Lukàcs in questo momento occupa una posizione di rilievo tra quelli di «là», allora gli dico che non ho consigli da dargli. «Qui si tratta di questioni di potere. A questo riguardo dovrebbe espri mersi qualcuno di quelli di là. Lei di amici If ne ha, no?». Brecht: «In realtà io di amici H non ne ho. E anche quelli di Mosca non ne hanno - come i morti». 3 agosto. Il 29 luglio in giardino, verso sera, abbiamo avuto una discussione suUa questione se sia o no il caso di accogliere nel nuo vo volume di poesie una parte del ciclo Canzoni per bambini. Io ero contrario, perché trovavo che il contrasto tra le poesie private e
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quelle politiche esprimesse con particolare efficacia l’esperienza dell’esilio e che non potesse essere sminuito in una sequenza ete rogenea. Volevo far capire che in questa proposta entrava ancora una volta in gioco il carattere distruttivo di Brecht, che mette su bito in discussione ciò che ha appena raggiunto. Brecht: «Lo so, di me si dirà: era un maniaco. Quando quest’epoca passerà ai po steri allora con lei passerà anche la capacità di comprendere la mia mania. Sarà il tempo a preparare il terreno per il maniaco. Ma ciò che vorrei veramente è che un giorno si possa dire: era un mania co medio». - Anche nel volume di poesie l’affermazione del me dio che dice che la vita continua nonostante Hitler, e che ci sa ranno sempre bambini non può essere trascurata. Brecht pensa al l’epoca senza storia della quale la sua poesia fornisce un’immagine agli artisti figurativi e di cui, qualche giorno più tardi, mi disse di ritenere il suo avvento più probabile della vittoria sul fascismo. Ma poi, sempre per motivare l’inserimento delle Canzoni per bam bini ne Le poesie dall’esilio emerse qualche altro rilievo e Brecht lo espresse davanti a me - restando in piedi, sul prato - con un im peto e una veemenza che ha solo di rado. «Nella lotta contro quel li non deve essere tralasciato nulla. Le cose che hanno in mente non sono di poco conto. Pianificano per i prossimi trentamila an ni. Cose mostruose. Crimini mostruosi. Non si fermano davanti a nulla. Distruggono tutto. Ogni cellula si contrae spasmodicamen te sotto i loro colpi. Per questo non dobbiamo dimenticarne nem meno una. Storpiano il bambino nel grembo materno. Non dob biamo trascurare i bambini per nessuna ragione». Mentre parlava così, sentivo agire in me una forza non meno intensa di quella del fascismo, intendo, una forza che scaturiva da profondità storiche non meno abissali di quella fascista. Era una sensazione molto stra na, nuova per me. Le corrispose ima svolta nel pensiero di Brecht. «Progettano distruzioni di portata colossale. Per questo non rie scono ad accordarsi neppure con la Chiesa, per quanto anch’essa abbia una prospettiva plurimillenaria. Mi hanno anche proletariz zato. Non solo mi hanno preso la mia casa, il mio laghetto con i pesci e la mia macchina, mi hanno rubato anche il mio teatro e il mio pubblico. Nella mia posizione non sono disposto ad ammet tere che Shakespeare abbia davvero avuto un così grande talento. Neanche lui sarebbe stato in grado di scrivere in serie. Comunque lui i suoi personaggi li aveva davanti. La gente che rappresentava era quella che gli era intorno. Con poca fatica, ha fatto uscire al cuni tratti del loro carattere; ne ha omessi però molti altri, e non meno importanti».
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Inizio di agosto. «In Russia domina una dittatura sul proleta riato. Intanto però bisogna evitare di contestarla, dal momento che questa dittatura compie ancora un lavoro pratico per il prole tariato - ovvero fintanto che essa contribuisce a mantenere l’e quilibrio tra proletariato e mondo contadino nella prospettiva ge nerale degli interessi proletari». Alcuni giorni dopo Brecht parlò di una «monarchia operaia» e io paragonai questo organismo a quei grotteschi scherzi di natura che vengono a galla dalla profondità degli abissi marini e hanno la forma di un pesce con le corna o di altre mostruosità. agosto. Una massima brechtiana: non riallacciarsi al buono Antico, ma al cattivo Nuovo.
La Parigi del Secondo Impero in Baudelaire
lin e capitale n’est pas absolument nécessaire à SÉNANCOUR I.
La bohème
In Marx la bohème ricorre in un contesto significativo: egli vi include infatti quei cospiratori di professione di cui si occupa nel l’ampia recensione alle memorie dell’agente di polizia de la Hodde, pubblicata nel 1850 dalla «Neue Rheinische Zeitung». Per far emergere la fisionomia di Baudelaire, è necessario soffermarsi sul la sua somiglianza con questo tipo di uomo politico che Marx ca ratterizza nei termini seguenti: «Con il formarsi di cospirazioni pro letarie, si sentì l’esigenza di suddividere il lavoro; i membri si di visero in cospiratori occasionali, conspirateurs d ’occasion, cioè operai che facevano cospirazione pur continuando a svolgere il loro lavo ro abituale, frequentavano solo le riunioni e si tenevano pronti a comparire nel posto in cui queste avevano luogo quando i capi lo comandavano; e cospiratori di professione, che dedicavano ogni lo ro attività alla cospirazione, da cui ricavavano i mezzi per vivere [...] La posizione di questa classe ne determina a priori le caratte ristiche [...] L’esistenza incerta, dipendente più dal caso che dalla loro attività, la vita sregolata, che ha come unico punto fisso le bet tole dei marchands de vin - luogo di incontro dei cospiratori - il con tatto inevitabile con ogni sorta di gente ambigua, collocano questi individui in quell’ambiente che a Parigi è detto bohème»**. Osserviamo di sfuggita che anche l’ascesa di Napoleone III eb be inizio in un ambiente affine a quello descritto. E noto come uno degli strumenti del suo periodo presidenziale sia stato la So * Proudhon, che noti vuole essere confuso con i cospiratori di professione, si definisce in alcune occasioni «un uomo nuovo - un uomo il cui obiettivo non è la barricata ma la di scussione; un uomo che potrebbe andare a cena ogni sera con il Capo della Polizia e confi darsi con tutti i de la Hodde di questo mondo» (cfr. g u s t a v e g e f f r o y , L'enfermé, Paris 1987, pp. 180-81) [N.(i.y4 .]. ‘ KARL MARX e FRIEDRICH ENGELS, Bespr. VOTI Adolph Chefiu, «Les Compimteurs». Paris 1830 und Lucie» de la Hodde, «La Naissance de la République en Février 1848» (1850), in «Die Neue Zeit», IV (1886), p. 555 [trad. it. Recensione ad A . Chenu, «Les Conspirateurs», e a L .d e la Hodde^ «La naissance de la République en Février 1848», in k a r l m a r x e F r ie d r ic h ENGELS, OpereX, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 317-18] [N.d.A.].
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cietà del io dicembre i cui quadri, secondo Marx, provenivano da quella «massa confusa, decomposta, fluttuante, che i francesi chia mano “la bohème” Divenuto imperatore. Napoleone ha perfe zionato le sue abitudini cospirative. Sorprendenti proclami e sma nia di circondarsi di mistero, aggressività improvvisa e impene trabile ironia sono espressioni tipiche della ragion di stato del Secondo Impero. Questi tratti si ritrovano anche negli scritti teo rici di Baudelaire, che il piò delle volte propone le sue opinioni in termini apodittici. La discussione non fa per lui, ed egU cerca di evitarla anche quando le profonde contraddizioni nelle tesi via via adottate richiederebbero un approfondimento. Il Salon de 1846 ad esempio è dedicato «ai borghesi»; Baudelaire intercede per loro e advocatus diaboli. In una fase suc il suo gesto non è quello cessiva - ad esempio nell’invettiva contro la scuola del bon sens per la «honnété bourgeoise» e per il suo autorevole referente, il notaio, usa invece gli accenti del più furioso bohémien’. Intorno al 1850 proclama che l’arte non può essere disgiunta dall’utile; qualche anno dopo è fautore dell’art pour l ’art. Il tutto, al pari di Napoleone III che improvvisamente e alle spalle del Parlamento passa dai dazi protettivi al libero scambio, senza mai cercare una mediazione di fronte al suo pubblico. Tali tratti spiegano perché la critica ufficiale - primo fra tutti Jules Lemaìtre - solo di rado colse la forza teorica presente nella prosa di Baudelaire. Così Marx prosegue la sua descrizione del conspirateur de pro fessioni «Per loro, l’unica condizione per una rivoluzione è che la loro congiura sia sufficientemente organizzata [...] Si buttano su trovate che dovrebbero compiere miracoli rivoluzionari: bombe incendiarie, macchine di distruzione dall’effetto magico, rivolte che dovrebbero avere un esito tanto più miracoloso e sorprenden te quanto meno hanno una base razionale. Tutti presi nell’elabo razione di questi piani, non hanno altro scopo che quello, imme diato, di far crollare il regime esistente, e nutrono profondo di sprezzo per l’indottrinamento, più teorico, degli operai sui loro interessi di classe. Di qui il loro risentimento, non proletario ma plebeo, per gli habits noirs (i vestiti neri), le persone più o meno ‘ KARL MARX, Der achtzehnte Brumaire des Louis Bomparte. Neue ei^àtizte Ausgabe mit einem Voruiortvon F. Engels, a cura e con un’introduzione di D[avid] Rjazanov, Wien-Betlin 1927, p. 73 [trad. it. Il i8 brumaio ài Luigi Bomparte, Editori Riuniti, Roma 1974, p. 133] [N .d.A .l ’ CHARLES BAUDELAIRE, (Euvres, a cura di Yves-Gérard Le Dantec, 2 voli., Paris 193132 (Bibliothèque de la Plèiade I e VII), II, p. 415 [trad. it. Opere, Mondadori, Milano 1996, p. 723] [N .d.A .l
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colte che rappresentano quest’altro aspetto del movimento, ma dalle quali come dai rappresentanti ufficiali del partito, essi non tossono mai rendersi del tutto indipendenti>/. In termini generai le concezioni politiche di Baudelaire non si discostano da quele dei cospiratori di professione or ora descritti. Che egli rivolga e sue simpatie alla reazione clericale o all’insurrezione del '48, il loro modo di manifestarsi è sempre spontaneo, le loro fondamen ta restano fragili. L’immagine che Baudelaire offrì di sé nelle gior nate di febbraio - appostato in una strada di Parigi con in mano un fucile a gridare «abbasso il generale Aupick»* è in questo sen so una conferma. Al più avrebbe potuto fare propria la seguente considerazione di Flaubert: «Di tutta la politica capisco un’unica cosa: la rivolta». Un’osservazione che andrebbe interpretata alla luce del seguente passo, posto a conclusione di un appunto trova to fra i suoi studi sul Belgio: «Io dico Viva la Rivoluzione! come se dicessi: Viva la Distruzione! Viva l ’Espiazione! Viva il Castigo! Viva la Morte! Non solo sarei felice di essere vittima, ma non mi dispiacerebbe essere carnefice, - per sentire la Rivoluzione in due modi! Abbiamo tutti lo spirito repubblicano nelle vene, come la sifilide nelle ossa. Siamo Democratizzati e Sifilizzati»’. Potremmo definire questi spunti di Baudelaire la metafisica del provocatore. In Belgio, dove furono scritti, per un certo periodo si pensò che Baudelaire fosse un informatore della polizia francese. Simili intese erano in sé assai diffuse, tanto che il 20 dicembre 1854 riferendosi ai letterati al soldo della polizia potè scrivere alla ma dre: « Il mio nome non comparirà nelle ignobili scartoffie di un go verno»*. Le voci che circolavano su Baudelaire non erano proba bilmente originate solo dalla sua inimicizia per il proscritto Hugo che in Belgio godeva di alta considerazione. Vi contribuì certamente la sua devastante ironia ed è addirittura possibile che egli abbia pro vato gusto a diffonderle. Il culte de la blague, che si ritrova in Geor ges Sorel e che è divenuto una componente inalienabile della pro paganda fascista, ha in Baudelaire una sua prima germinazione. Lo spirito con il quale Céline ha scritto le sue Bagatelles pour un mas sacre, il titolo stesso dell’opera, rimandano immediatamente a una * Il generale Aupick era il patrigno di Baudelaire [N.
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annotazione dei diari di Baudelaire: «Bella cospirazione da orga nizzare per lo sterminio della Razza Giudaica»’'. Il blanquista Rigault, che concluse la sua carriera di cospiratore come capo della polizia della Comune di Parigi, sembrava animato dal medesimo umorismo macabro cui spesso si fa cenno nelle testimonianze su Baudelaire. «Nonostante il suo sangue freddo», si legge in Les Hommes de la révolutìon de i 8 j i ài Ch. Prolès, «Rigault in ogni cosa che faceva aveva un che del burlone. Era una caratteristica che non lo abbandonava nemmeno del fanatismo»*. Persino il sogno terrori stico che Marx individua nei cospiratori ha una sua corrisponden za in Baudelaire. «Ma se potrò mai riacquistare il vigore e l’ener gia di cui ho goduto qualche volta», scrive alla madre il 23 dicem bre 1865, «darò sollievo alla mia collera con libri spaventosi. Vorrei mettere l’intera razza umana contro di me. Intrawedo in questo una soddisfazione che mi consolerebbe di tutto»’. Questa rabbia feroce - la rogne - era lo stato d ’animo che mezzo secolo di barri cate aveva alimentato nei cospiratori di professione parigini. «Sono loro», dice Marx a questo proposito «che innalzano le prime barricate e ne prendono il comando »‘“. E in effetti al cen tro del movimento cospirativo si colloca proprio la barricata che ha dalla sua la tradizione rivoluzionaria. Durante la rivoluzione di luglio in città ne erano state erette quattromila". A Fourier la lo ro costruzione appare come l’esempio più immediato di «travail non salarié mais passioné». Nei Misérables, Hugo ha descritto con grande efficacia quella rete di barricate, lasciando in secondo pia no coloro che vi combattevano: «L’invisibile polizia della som mossa vegliava dappertutto e manteneva l’ordine, vale a dire l’o scurità [...] L’occhio che avesse guardato dall’alto in quell’ammasso di ombre avrebbe forse intravisto qua e là, di tratto in tratto, lu ci indistinte, che facevan risaltare linee spezzate e bizzarre, pro fili di singolari costruzioni, qualche cosa di simile a luci erranti su rovine: là erano le barricate»‘^ Nell’appello a Parigi che intende' ID., CEuvres cit., II, p. 666 [trad. it. Opere cit., p. 1447] [N.rf.A.]. ’ c . PROLÈS, Raoul Rigault. La préfecture de polke sous la Commune. Les otages (Les Hommes de la révolutìon de 1871), Paris 1898, p. 9 ’ CHARLES BAUDELAIRE, Lettres à SU mère cit., p. 278 [trad. it. p. 338] [N.ii.A.]. “ KARL MARX e FRIEDRICH ENGELS, Bespr. voti Àdolph Chetiu c i t . , p . 5 5 6 [ tr a d . i t . p . 3 19] iK d.A :\. '* Cfr. AJASSON DE GRANDSAGNE e M . PLAUT, Révolution de i8 }o . Pian des combats aux 2 7 ,28 et z^juillet, Paris [s.d.] [N.
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va porre a conclusione delle Vkun du Mal e che è rimasto allo sta to di frammento, congedandosi dalla città Baudelaire non dimen tica di rievocare le barricate; ricorda i «magici cubetti di porfido che si innalzavano a fortezze»” . Queste pietre sono indubbiamente «magiche», giacché la poesia di Baudelaire non conosce le mani che le hanno messe in movimento. E probabile tuttavia che pro prio questo pathos sia debitore del blanquismo. Perché in termini assai simili il blanquista Tridon esclama: «O force, reine des barricades,... toiquibrilles dans l’éclair et dans l’émeute... c’est vers toi que les prisonniers tendent leurs mains enchaìnées»*". Come l’animale colpito a morte cerca rifugio nella sua tana, così nell’ul tima fase della Comune il proletariato si trincera dietro la barri cata. Il fatto che i lavoratori, esperti in questo tipo di lotta, non amassero la battaglia aperta che avrebbe dovuto sbarrare la stra da a Thiers, è fra le cause della sconfitta. Come scrive uno dei più recenti storici della Comune, «allo scontro in campo aperto» que sti lavoratori preferivano «la battaglia nel proprio quartiere [...] e quando era necessario la morte sulla barricata eretta con il porfi do delle vie di Parigi»*’. Blanqui, il più importante dei capi-barricata parigini, a quel l’epoca si trovava a Fort du Taureau, la sua ultima prigione. Nel saggio suUa rivoluzione di giugno, Marx vide in lui e nei suoi com pagni «i veri capi del partito proletario »“ . Il prestigio rivoluzio nario di cui Blanqui godeva allora, e che conservò sino alla morte, fu indubbiamente grande. Prima di Lenin, fra Ì proletari nessuna fisionomia ebbe maggiore notorietà della sua. Rimase impressa an che a Baudelaire, del quale si è conservato un foglio in cui, accan to ad altri disegni improvvisati, vi è una testa di Blanqui. - I con cetti impiegati da Marx nella sua descrizione degli ambienti co spirativi di Parigi non fanno che confermare il ruolo ibrido svoltovi da Blanqui. Vi sono dei buoni motivi se Blanqui è entrato nella storia come fautore del colpo di mano: rappresenta infatti il tipo dell’uomo politico che, come scrive Marx, considera suo compito «anticipare lo sviluppo del processo rivoluzionario, nel portarlo ar tificiosamente a una crisi, nell’improvvisare una rivoluzione sen(EuVTeS cit., I, p. 229 [N.d.A.]. La crìse de l'état moderne.Le «mythe» de «la classe ouvrière», in «Revue des deux mondes», 84“ annata, 6“ periodo, voi. 20, 1° marzo 1914, p. 105 [N.d.A.]. ” GEORGES LARONZE, Histoire de la Commune de i8 y i d'après des documents et des souvenirs inédits. La justice, Paris 1928, p. 532 “ KARL MARX, Ber achtzehnte Brumaire des Louis Bonaparte cit., p. 28 [trad. it. p. 58] “ CHARLES BAUDELAIRE, “ CHARLES BENOisT,
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2a che ne esistano le condizioni»". In altre descrizioni tuttavia, Blanqui sembra assomigliare piuttosto agli habits noirs, gli odiati concorrenti dei cospiratori di professione. Ecco come un testimo ne oculare descrive il club blanquista delle Halles: «Se si vuole ave re un’idea precisa delle impressioni immediate che il club rivolu zionario di Blanqui suscitava se paragonato ai due club del parti to dell’ordine, [...] conviene pensare da un lato al pubblico della Comédie Fran9aise nei giorni in cui si recitano Racine e Corneille, e dall’altro alla massa che riempie un circo equestre dove gli acrobati si esibiscono nei loro spericolati esercizi. Ci si trovava per cosf dire in una cappella consacrata al rito ortodosso della cospi razione. Le porte erano aperte a chiunque, ma tornavano solo gli adepti. Dopo il noioso défilé degli oppressi... si alzava il sacerdo te del luogo. Il pretesto dal quale prendeva lo spunto era di rias sumere le lamentele del suo assistito, del popolo, rappresentato dalla mezza dozzina di arroganti ed eccitati babbei che aveva ap pena finito di parlare. In redtà egli proponeva un’analisi della si tuazione. Il suo aspetto esteriore era distinto, gli abiti impeccabi li, la testa ben modellata, l’espressione tranquilla; solo negli occhi di tanto in tanto si scorgeva un bagliore selvaggio e foriero di sven ture: erano sottUi, piccoli, penetranti e di norma più benevoli che duri. La sua loquela era misurata, paterna e chiara; accanto a quel lo di Thiers, la meno declamatoria che mi sia capitato di sentire»'*. Blanqui è dunque descritto come un dottrinario. I tratti caratte ristici àéì'habit noir emergono anche nei dettagli. Era noto come «il vecchio» fosse solito montare in cattedra indossando guanti ne ri*. Ma la compassata società, l’impenetrabilità di Blanqui, assu mono un aspetto diverso se viste nella luce in cui le colloca un’os servazione di Marx. A proposito di questi cospiratori di profes sione, scrive che «sono gli alchimisti della rivoluzione, e con gli antichi alchimisti haimo in comune il dissesto mentale e l’ottusità delle idee fisse»‘’. L’immagine di Baudelaire a questo punto si fa largo spontaneamente: gli enigmi dell’allegoria nell’un caso, la sma nia di fare misteri del cospiratore nell’altro. * Baudelaire sapeva ben apprezzare simili dettagli. «Perché dunque», scrive, «i pove ri non mettono i guanti per mendicare ? Farebbero fortuna» (II, p. 424 [trad. it. Opere cit,, pp. 735-36]). Sebbene Baudelaire attribuisca la frase a uno sconosciuto, essa reca tuttavia la sua impronta [N.^i..4 .]. ” KARL MARX e FRIEDRICH ENGELS, Bespr. von Adolph Chenu c i t . , p. 5 5 6 [ tr a d . i t . p. 3 1 9 ] “ ResocontodiJ.-J. Weiss; cfr. g u s t a v e g e f f r o y , L ’enfermécit., pp. 346-48 [N.rf.^4 .]. “ KARL MARX e FRIEDRICH ENGELS, Bespr. von Aàolph Chenu cit., p. 556 [trad, it. p. 319] [N .d.A .l
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Con disprezzo, né poteva essere altrimenti, Marx parla delle oste rie dove il cospiratore si sentiva a casa propria. I fumi in cui erano immerse erano familiari anche a Baudelaire. In essi ha avuto origi ne la grande poesia dal titolo Le vin des chiffoniers, la cui stesura va probabilmente fatta risalire alla metà del secolo. In quel periodo, l’opinione pubblica dibatteva alcuni dei temi toccati da questo com ponimento. In primo luogo, l’imposta sul vino. L’Assemblea Co stituente della Repubblica si era cUchiarata d’accordo con l’abroga zione, come già era avvenuto nel 1830. Nelle Lotte di classe in Fran cia, Marx ha dimostrato come nell’abolizione di questa imposta una rivendicazione del proletariato urbano coincidesse con una riven dicazione dei contadini. L’imposta, che gravava nella stessa misu ra sul vino da tavola come su quello più pregiato, faceva diminuire il consumo, elevando «octrois alle porte di tutte le città al di sopra di 4000 abitanti, trasformando ogni città in un paese straniero con dazi protettivi contro il vino francese»” . «Con l’imposta sul vino», dice Marx, «il contadino assaggia il bouquet del governo». Dan neggiava però anche il cittadino costringendolo, per trovare vino a buon mercato, ad andare nei locali alla porte della città, dove si ven deva il vino senza imposte chiamato anche vin de la barrière. A sen tire H.-A. Frégier, capo-sezione presso il comando di polizia, l’ojeraio ostentava con molto orgoglio e arroganza questo consumo, ’unico che poteva permettersi. «Vi sono mogli che non si peritano a seguire il marito alla barrière, insieme ai figli che potrebbero già lavorare. In seguito si avviano verso casa mezzi ubriachi e fingono di essere più brilli di quanto sono per far vedere a tutti che hanno bevuto, e non poco. E a volte capita che i figli imitino i genitori»". «Non vi è dubbio», scrive un osservatore dell’epoca, «che il vino delle barrìères ha risparmiato non pochi colpi all’apparato governa tivo »“ . Il vino consente ai diseredati di sognare future vendette e futuri splendori. Così ne II vino degli straccivendoli-. On voit un chiffonier qui vient, hochant la tète, Buttant, et se cognant aux murs comme un poèta, Et, sans prendre scuci des mouchards, ses sujets, Epanche tout son cceur en glorieux projets. “ KARL MARX, Die Kkssenkàmpfe in Vmnkreich 1848 bis 1850, ripreso dalla «Neue Rheinischen Zeitung», Politisch-okonomische Revue, Hamburg 1850, con un’introduzio ne di Friedrich Engels, Berlin 1895, p. 87 [trad. it. Le lotte di classe in Francia i848-i8;o, in KARL MARX e FRIEDRICH ENGELS, O pereX àt., p. 118] [N.d.A.]. HONORÉ-ANTOINE FREM ER, Des closses dangereuses de la populatione dans les grandes viiles, et des moyens de les rendre meilleures, Paris 1840, voi. I, p . 86 [N.
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Il prete des serments, diete des lois sublimes, Tettasse les méchants, relève les victimes. Et sous le firmament comme un dais suspendu S’enivre des splendeurs de sa propre vertu^’.
Da quando, grazie ai nuovi procedimenti industriali, i rifiuti avevano acquisito un certo valore, nelle città i cenciaioli si erano fatti più numerosi. Lavoravano per un intermediario e rappresen tavano una sorta di industria domestica all’aperto. Il cenciaiolo in cantò un’intera epoca. I primi studiosi del pauperismo lo osserva rono affascinati, chiedendosi se vi fosse un limite alla miseria uma na. Nel suo libro Des classes dangereuses de la population, Frégier gli dedicò sei pagine. Le Play fornisce per gli anni 1849-50, vero similmente quelli in cui Baudelaire scrisse la sua poesia, il bilancio di un cenciaiolo parigino e della sua famiglia*. Naturalmente il cenciaiolo non può essere considerato parte del la bohème. Ma tutti coloro che facevano parte della bohème, dal lo scrittore al cospiratore di professione, potevano ritrovare nel cenciaiolo una parte di se stessi. Mosso da un senso di ribellione più o meno vano nei confronti della società, ciascuno di loro si ve * Il bilancio è un documento sociale non tanto per le rilevazioni, condotte su una de terminata famiglia, quanto per il tentativo di far apparire meno sconveniente la più profon da indigenza rubricandola in bell’ordine. Con l’ambizione di non lasciare nessuno dei loro tratti disumani sprovvisto del relativo articolo di legge il cui rispetto si può constatare pro prio in tale disumanità, gli stati totalitari hanno portato a fioritura un seme che, come di mostra questo esempio, già sonnecchiava in un precedente stadio del capitalismo. La quar ta sezione di questo bilancio di un cenciaiolo - bisogni culturali, divertimenti e igiene - si presenta come segue «Istruzione dei figli: la retta scolastica viene pagata dal datore di la voro della famiglia - 48 fr.oo; - acquisto libri - i fr.45. sussidi ed elemosine (i lavoratori di questo ceto sociale di norma non fanno l’elemosina); festività e ricorrenze: pasti di tu t ta la famiglia a una delle bamères di Parigi (8 gite all’anno): vino, pane e patate arrosto 8 fr.oo; - pasti a base di maccheroni - con burro e formaggio - e con l’aggiunta di vino, a Natale, il martedì grasso, a Pasqua e a Pentecoste: queste spese sono registrate nella prima sezione; - tabacco da masticare per il marito (cicche raccolte dal lavoratore stesso)... per un valore dai 5.00 ai 34.00 fr.; - tabacco da fiuto per la moglie (acquistato)... 18 fr.66; giocattoli e altri regali per il figlio - i fr.oo... corrispondenza con i parenti: lettere dei fra telli del lavoratore che vivono in Italia: in media una all’anno... Appendice. In caso di di sgrazie, gli aiuti più consistenti alla famiglia provengono da forme di beneficenza priva ta... Risparmio annuo (il lavoratore è del tutto incapace di guardare al futuro; gli preme soprattutto ottenere per la moglie e la figliolina tutto il benessere momentaneo consentito loro dalla situazione; non risparmia e spende ogni giorno tutto ciò che guadagna)» (fréDÉRic LE PLAY, Les ouvrìen européens, Paris 1855, pp. 274-75). “ Una sarcastica conside razione di Buret illustra lo spirito che animava simili indagini: «Poiché il senso di umanità, ma anche il semplice decoro, vieta di lasciare morire come bestie gli esseri umani, non si può negare loro l’elemosina di una bara» (e u g è n e B im E T , De la misère des classes laborìeuses en Angletene et en Vrance;de k nature de la misère, de son existence, de ses effets, des ses causes, et de l'insuffisance des remèdes qu'on lui a opposés jusqu’ici;avec l'indicatìon des moyens propresà en affranchir les sociétés, Paris 1840, voi. I, p. 266) [N.d.A.]. ” CHARLES BAUDELAIRE, CEuVres cit., I, p. 120 [N.d.A.].
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deva davanti un domani incerto. Al momento opportuno, ci si po teva schierare con chi scuoteva dalle fondamenta l’ordine sociale. Il cenciaiolo non è solo con il suo sogno. Ha dei compagni di stra da; anche intorno a loro aleggia l’odore di tini, anche loro sono in canutiti in battaglia. I suoi baffi pendono come vecchie bandiere. Nei suoi giri incontra quei mouchards, quegli spioni, sui quali nei sogni ha il potere*. Alcuni motivi sociali della vita quotidiana pa rigina sono presenti già in Sainte-Beuve, dove rappresentavano una conquista della poesia lirica; non per questo tuttavia lo erano anche della ragione. Nella mente di un privato cittadino colto, il nesso fra alcool e miseria assume una valenza assai diversa rispet to a quanto avviene in Baudelaire. Dans ce cabriolet de place j’examine L’homme qui me conduit, qui n’est plus que machine, ffideux, à barbe épaisse, à longs cheveux coUés: Vice et vin et sommeil diargent ses yeux soùles. Comment l’homme peut-il ainsi tomber ? pensais-je, Et je me reculais à l’autre coin su siège“ .
Questo l’inizio della poesia; il seguito ne costituisce l’edifican te esposizione. Sainte-Beuve si chiede se U suo animo non sia cor rotto quanto quello del vetturino. Quali fondamenta avesse il concetto più libero e più compren sivo che Baudelaire aveva dei diseredati risulta dalla litania inti tolata A bel et Cam che fa del contrasto tra i due fratelli biblici un contrasto eterno e inconciliabile fra due razze. Race d’Abel, dors, bois et mange: Dieu te sourit complaisemment. Race de Cain, dans la fange Rampe et meurs misérablement^’. * E avvincente seguire come la ribellione si faccia lentamente strada nelle differenti stesure degli ultimi versi della poesia. Nella prima stesura suonavano: «C’est ainsi que le vin règne par ses bienfaits, 1 E t change ses exploits par le gosier de l’homme. I Grandeur de la bonté de Celui que tout nomme, I Qui vous avait déjà donné le doux sommeil, I Et voulut ajouter le Vin, fils du Soleil, I Pour réchauffer le cceur et calmer la souffrance I De tous ces malheureux qui meurent en silence» (I, p. 605). Nel 1852 suonavano: «Pour apaiser le cceur et calmer la souffrance I De tous ces innocents qui meurent en silence, I Dieu leur avait déjà donné le doux sommeil; I II ajouta le vin, fiU sacré du Soleil» (I, p. 606). Nel 1857, infine, con un profondo cambiamento di significato: «Pour noyer la rancoeur et bercer l’indolance I De tous ces vieux maudits qui meurent en silence, I Dieu, touché de remords, avait fait le sommeil; I L’Homme ajouta le Vin, fils sacré du Soleil! » (I, p. 121). Appare evidente come solo con il contenuto blasfemo la strofa trovi una forma salda [N .d.A .l ” c [h a r l e s ] a [u g u s t in ] sa to te - b e u v e , Lei consolations, pensées d'aoùt, notes et sonnets un demierréve (poesie di Sainte-Beuve, 2“ parte), Paris 1863, p. 193 [N.(/.y4 .]. " CHARLES BAUDELAIRE, (Euvm cit., I, p. I 3 6 [N.d.A.^.
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La poesia si compone di sedici distici, in cui gli incipit dei ver si dispari e quelli dei versi pari sono, alternati, sempre uguali. Cai no, l’antenato dei diseredati, vi appare come il primo esponente di una razza che non può che essere quella proletaria. Nel 1838, Granier de Cassagnac pubblicò la sua Histoire des classes ouvrières et des classes bourgeoises. Quest’opera spiegava quale origine avessero i jroletari: essi costituiscono una classe di esseri inferiori, nata dal’incrocio fra delinquenti e prostitute. Baudelaire conosceva que ste speculazioni? È ben possibile. Certo è che erano note a Marx il quale in Granier de Cassagnac vedeva «il filosofo» della reazio ne bonapartista. Alla sua teoria della razza, il Capitale contrappo ne il concetto di «razza di peculiari possessori di merci»", con la quale è da intendersi il proletariato. In questa precisa accezione la razza che discende da Caino appare in Baudelaire, il quale tutta via non avrebbe saputo definire il concetto. E la razza di coloro che non posseggono altra merce se non la propria forza lavoro. La lirica di Baudelaire fa parte del ciclo intitolato Révolte*. Il tono di fondo delle tre poesie di cui si compone è blasfemo. Al sa tanismo di Baudelaire non si deve dare troppo peso. Se aveva un qualche significato, allora in quanto unico atteggiamento in cui Baudelaire era in grado di conservare a lungo una posizione non conformista. Per il suo contenuto teologico, l’ultima poesia del ci clo, Les lìtanìes de Satan, è il miserere di una liturgia ofita. Satana vi appare nella sua aureola luciferina: come custode del sapere profondo, come consigliere nelle abilità prometeiche, come patro no degli ostinati e degli irriducibili. Fra le righe fa capolino la te sta minacciosa di Blanqui. Toi qui fait au proscrit ce regard calme et haut Qui damne tout un peuple atour d’un échafaud^’.
* Il titolo è seguito da una nota introduttiva, soppressa nelle successive edizioni, che fa passare le poesie di questo gruppo per una riscrittura di alto livello «dei sofismi dell’i gnoranza e della rabbia». Di riscrittura in realtà non si può proprio parlare. Lo comprese la magistratura del Secondo Impero e lo comprendono anche i suoi successori. Lo rivela con grande nonchalance il barone Seillière nella sua interpretazione Le reniement de Saint Pierre e contiene i versi: «Révais-tu de ces jours... I Où, le coeur tout gonflé d ’espoir et de vaillance, I Tu fouettais tous ces vils marchands ì tour de bras, I Où tu fus maitre enfin? Le remords n ’a-t-il pas I Pénétré dans ton flanc plus avant que la lance?» (I, p. 136). L’i ronico esegeta interpreta questi remords nel senso di un’autoaccusa per avere perso «un’ec cellente occasione per imporre la dittatura del proletariato (e r n e s t s e i l l i è r e , Baudelaire, Paris 1931, p. 139) [N.d.A.]. “ KARL MARX, Dos Kapitul. Kritik derpolitischen Ókonomie, testo integrale sulla scorta della 2 “ edizione, voi. I, Berlin 1932, p. 173 [trad. it. Il Capitale. Critica dell’economia po litica, Editori Riuniti, Roma 1964, p. 204] [N.d.A.]. ” CHARLES BAUDELAIRE, CEuvreS cit., I, p. 138 [N.d.A.].
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Questo Satana, che nella sequela di invocazioni è definito an che «confessore di cospiratori», è diverso dall’infernale intrigan te che nelle poesie è chiamato Satana trismegisto e nei passi in pro sa Vostra Altezza e che ha la sua dimora ctonia nei pressi del bou levard. Lemaìtre ha messo in risalto la contraddizione che del diavolo fa «da un lato l’origine di ogni male, e dall’altro invece il grande sconfitto, la grande vittima»” . Chiedendosi cosa indusse Baudelaire a dare forma radicale-teologica al suo radicale rifiuto dei potenti, si affronta solo l’altra facciata del problema. Dopo la sconfitta del proletariato nell’insurrezione di giugno, la protesta contro i concetti borghesi di ordine e rispettabilità era meglio custodita nelle mani dei potenti che non in quelle degli op pressi. Chi si schierava a favore della libertà e del diritto, in Na poleone III non vedeva l’imperatore soldato che questi avrebbe voluto essere ad imitazione à suo zio, bensì un avventuriero fa vorito dalla fortuna. In questi termini hanno fissato la sua figura i Chàtìments. Nelle sue brillanti feste, nella corte che lo circonda va, la bohème dorée dal canto suo vedeva realizzati i propri sogni di una vita «libera». Se confrontati con l’entourage dell’impera tore come viene descritto dal Conte Viel-Castel nelle sue memo rie, una Mimi e uno Schaunard appaiono assai rispettabili e fili stei. Negli strati superiori era d’obbligo il cinismo, in quelli infe riori le idee ribellistiche. Nel suo Eloa, Vigny, sulla scia di Byron, aveva inneggiato in senso gnostico all’angelo caduto, a Lucifero. Barthélemy, d’altro canto, nella sua Némésis aveva associato il sa tanismo ai potenti; fece dire una Messe des agìos e cantare un Sal mo in onore della rendita” . A Baudelaire questa immagine bifronte di Satana è profondamente familiare. Dal suo punto di vista. Sa tana non parla solo a nome degli strati inferiori ma anche di quel li superiori. Per il seguente passo Marx non avrebbe potuto desi derare lettore più attento. «Quando i puritani», scrive nel Diciot to brumaio, «nel Concilio di Costanza, lamentavano la vita dissoluta dei papi [...] il cardinale Pierre d’AiUy gridò loro con vo ce di tuono: “Soltanto il diavolo in persona può salvare la Chiesa cattolica, e voi chiedete angeli”. Così la borghesia francese dopo il colpo di stato ha gridato: “Soltanto il capo della Società del 10 dicembre può ancora salvare la società borghese! Soltanto il fur to può ancora salvare la proprietà; soltanto lo spergiuro può sal“ jULES LEMAÌTRE, Les conUmporaìnes. Etudes etportraits littéraires, 4“ serie (14“ ed., Paris 1897), p. 30 [N.d.A.]. ” Cfr. [ a u g u s t e -m a r s e il l e ] b a r t h é l e m y , Némésis. Satire hehdomadaire, Paris 1834, voi. I, p. 225 («L’archevéché et la bourse») [N.d.A.].
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vare la religione; il bastardume, la famiglia; il disordine, l’ordi ne!” »’". Baudelaire, l’ammiratore dei gesuiti, nemmeno nei suoi momenti ribellistici volle rinnegare del tutto e per sempre questo salvatore. I suoi versi tacevano quanto la sua prosa non si era ne gata. E per questo che in essi fa la sua comparsa Satana. A lui de vono quell’energia sottile che anche nel momento della ribellione disperata consente di non rifiutare del tutto ubbidienza a colui contro il quale si erano ribellati l’inteUigenza e l’umanità. In Bau delaire la confessione di fede prorompe quasi sempre come un gri do di battaglia. Non intende rinunciare al suo Satana. E questi la vera posta in gioco nel conflitto che Baudelaire dovette sostenere con la propria incredulità; i sacramenti e le preghiere non c’entra no; si tratta della luciferina riserva mentale di poter imprecare quel Satana di cui si è abbracciata la fede. Con la sua amicizia per Pierre Dupont, Baudelaire intendeva professarsi poeta sociale. Gli scritti critici di d ’Aurevilly forni scono un ritratto di questo autore: «In questò talento e in questa testa, Caino ha il sopravvento sul mite Abele - il grezzo, affama to, invidioso e selvaggio Caino che è andato nelle città per assa porare il lievito dell’invidia che vi si accumula, ed essere parteci pe delle idee sbagliate che vi trionfano»” . Questa caratteristica spiega assai bene perché Baudelaire condividesse le opinioni di Du pont. Al pari di Caino, Dupont «è andato nelle città» e ha preso le distanze dall’idiUio. «Il canto come veniva inteso dai nostri pa dri..., ma anche la semplice romanza gli sono del tutto estranee»” . Dupont ha sentito che la crisi della poesia lirica andava di pari pas so con il progressivo distacco tra città e campagna. Uno dei suoi versi maldestramente lo ammette; vi si legge che il poeta «presta orecchio alternativamente alle foreste e alle masse». Le masse con traccambiarono la sua attenzione; nel 1848 Dupont era sulla boc ca di tutti. Quando le conquiste della rivoluzione svanirono l’una dopo l’altra, Dupont compose il suo Chant du vote. Nella poesia politica dell’epoca il suo refrain ha pochi uguali. E una delle foglie dell’alloro che Karl Marx rivendicò per la «fronte scura e minac ciosa»” degli insorti di giugno. KARL MARX,
Derttchtzehnte BrumaÌK des Louts Bonuparte cit., p. 124 [trad. it. pp. 220-
222] [ K d .A .l ” j [u i -e s - a m é d é e ] b a r b e y d ’a u r e v il l y , Lei aeuvres et les hommes (x k ® siècle), 3“ par te: Lespoètes, Paris 1862, p. 242 [N.d.A.]. “ PIERRE LAROUSSE, Grand dictionaire universel du x ix f siècle, voi. VI, Paris 1870, p. 1413 (article «Dupont») [N.ii.y4 .]. ” KARL MARX, Dem Andenken der ]unikampfer\ cfr. ¥uirl Marx ak Denker, Mensch und Revolutionàr. Ein Sammelbuch, a cura di D. Rjazanov, Wien-Berlin 1928, p. 40 [N.i.X.].
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Fais voir, en déjouant la ruse, O République! à ces pervers, Ta grande face de Méduse Au milieu de rouges éclairs!’^
Un atto di strategia letteraria fu l’introduzione a un volume di poesie dupontiane che Baudelaire scrisse del 1851. Vi si trovano le seguenti curiose osservazioni: «La puerile utopia della scuola dell’arte per l ’arte, escludendo la morale e spesso anche la passio ne, era necessariamente sterile». E più oltre, con evidente riferi mento ad Auguste Barbier: «Ma quasi sempre grande, venne a pro clamare con un linguaggio infiammato la santità dell’insurrezione del 1830 e a cantare le miserie dell’Inghilterra e dell’Irlanda, mal grado le sue rime insufficienti, malgrado i suoi pleonasmi, mal grado i periodi sospesi, la questione fia sistemata, e l’arte fu ormai inseparabile dalla morale e dall’utilità»” . La profonda ambiguità che ispira la poesia dello stesso Baudelaire qui è del tutto assente. Essa si faceva carico degli oppressi, ma sia delle loro illusioni che della causa. Prestava orecchio ai canti della rivoluzione, ma pre stava orecchio anche alla «voce superiore» che parla attraverso i rulli di tamburo delle esecuzioni. Quando, con il colpo di stato, Bonaparte arriva al potere, Baudelaire per un momento è adirato. «Poi considera gli avvenimenti dal “punto di vista provvidenzia le” e si sottomette come un monaco»’*. «Teocrazia e comuniSmo»” non erano convinzioni ma suggerimenti contrapposti bisbigliati al suo orecchio: e l’una era meno serafica, l’altro meno luciferino di quanto lui stesso probabilmente ritenesse. Non passò molto tem po, e Baudelaire prese le distanze dal suo manifesto rivoluziona rio e alcuni anni dopo scrive: «E a questa grazia, a questa tene rezza femminile, che Pierre Dupont è debitore dei suoi primi can ti. Per sua gran fortuna, l’attività rivoluzionaria, che trascinava allora quasi tutti gli spiriti, non aveva assolutamente distolto il suo dalla propria voce naturale»^^. La brusca rottura con Varipour l ’art per Baudelaire ebbe un valore solo come atteggiamento. Gli con sentì di rendere comune il margine di manovra che aveva a dispo sizione in quanto letterato. Era questo margine che Baudelaire ave” PIERRE DUPONT, Le chatit du vote, Paris 1850 [non impaginato] [N.rf.A.]. (Euvresàt., II, p p . 4 0 3 -5 [ tt a d . it . o p e r e d t . , p p . 7 1 1 -1 2 ] ^ PAUL DESjARDiNS, Poètes cotitemporaìm. Charles Baudelaire, in «Revue bieue. Revue politique et littéraire» (Paris), 3 “ serie, volume 14, 24“ annata, 2° semestre, n. i, 2 luglio 1887, p. 19 [K d .A .l ” CHARLES BAUDELAIRE, (Euvres cit., II, p. 659 [trad. it. opere cit., p. 1437] [N.d.A.]. Ibid., p. 555 [ihid., p. 975] [N.i.>4 .]. ” CHARLES BAUDELAIRE,
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va in più rispetto agli scrittori del suo tempo - non esclusi i più grandi. E ciò spiega in cosa fosse superiore alla prassi letteraria del suo tempo. La prassi letteraria quotidiana per centocinquant’anni aveva gravitato intorno alle riviste. Verso la fine del primo terzo del se colo le cose iniziarono a cambiare. Grazie al feuilleton, le belle let tere si conquistavano un mercato nei quotidiani. L’introduzione del feuilleton riassume in sé i cambiamenti che la rivoluzione di luglio aveva determinato nella stampa. Nel periodo della Restau razione, di un giornale non si poteva comprare un singolo nume ro; bisognava essere abbonati. Chi non poteva permettersi di spen dere 80 franchi, che erano una somma elevata, per l’abbonamen to annuale, dipendeva dai caffè dove spesso più persone si raccoglievano intorno alla stessa copia. Nel 1824 a Parigi vi era no 47 000 persone abbonate a un giornale, nel 1836 7000 e nel 1846, 200 000. In questo aumento svolse un ruolo decisivo il quo tidiano di Girardin «La Presse» che aveva introdotto tre impor tanti novità: la riduzione del prezzo dell’abbonamento a 40 fran chi, l’inserzione pubblicitaria e il romanzo d ’appendice. Nello stes so periodo la notizia breve e svincolata dal contesto cominciò a fare concorrenza all’articolo più meditato. Aveva il vantaggio di poter essere sfruttata commercialmente. A spianarle la strada fu la cosiddetta «réclame», termine con il quale ci si riferiva a una notizia all’apparenza indipendente, ma in realtà pagata daU’editore, con la quale nella parte redazionale si richiamava l’attenzio ne su un libro cui il giorno prima, o anche nello stesso numero, era dedicato una pubblicità. Già nel 1839 Sainte-Beuve si lamen tava dei suoi effetti deprimenti. «Come era possibile stroncare» nella parte critica «un prodotto... di cui due dita più sotto si di ceva che era il capolavoro dell’epoca? La forza di attrazione del la pubblicità, con i suoi caratteri sempre più grandi ebbe il so pravvento: era una montagna magnetica che deviava l’ago della bussola»” . La «réclame» segna l’inizio di un processo la cui con clusione è la notizia di borsa dei giornali pagata da chi ne trae van taggio. La storia dell’informazione non può essere disgiunta da quella della corruzione della stampa. La notizia non necessitava di molto spazio; era la notizia, non il fondo politico, né il romanzo d’appendice, a dare al giornale quel l’aspetto ogni giorno diverso, accortamente variato nell’impagina” CHARLES AUGUS-nN SAINTE-BEUVE, De la Uttémture industrielle, in «Revue des deux mondes», 4 “ serie, 1839, pp. 682-83 [N.d.A.].
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zione, che ne determinava parte del fascino. La notizia doveva es sere rinnovata di continuo: le sue fonti privilegiate erano i pette golezzi della città, gli intrighi teatrali, ma anche l’attualità. L’ele ganza a buon mercato che la contraddistingue e che sarà tipica an che del feuilleton, è evidente sin dagli esordi. Nelle sue Lettere parigine Mme de Girardin saluta la fotografia come segue: «AttuaLmente si fa un gran parlare dell’invenzione del signor Daguerre, e nulla è più buffo delle solenni spiegazioni che ne dànno i no stri eruditi da salotto. Il signor Daguerre può stare tranquillo, nes suno svelerà il suo segreto... La sua scoperta è davvero meravigliosa ma non se ne capisce niente; è stata spiegata troppo »■“. Lo stile da feuilleton non fu accettato né subito, né ovunque. Nel 1860 e nel 1868 furono pubblicati a Marsiglia e a Parigi i due volumi delle Revues parisiennes del barone Gaston de Flotte che avevano l’o biettivo di combattere la faciloneria con cui, soprattutto nei feuille ton della stampa parigina, si presentavano i dati storici. - Era nei caffè, al momento dell’aperitivo, che le notizie venivano colmate. «L’abitudine dell’aperitivo... si impose con l’avvento della stam pa scandalistica. Prima, quando esistevano solo i grandi giornali seri... l’ora dell’aperitivo era sconosciuta. Essa è la conseguenza logica della “Cronaca di Parigi” e dei pettegolezzi della città>/‘. La vita nei caffè assuefò i redattori ai ritmi delle agenzie di stampa prima ancora che di queste esistessero gli strumenti tecnici. Quan do, verso la fine del Secondo Impero, venne in uso il telegrafo elet trico, il boulevard perse il suo monopolio. Di disastri e delitti ci si poteva ormai rifornire in tutto il mondo. L’adattamento del letterato alla società in cui si collocava si compì dunque sul boulevard. Sul boulevard era a disposizione di qualunque avvenimento, frizzo o indiscrezione. Sul boulevard di spiegava il panneggio dei suoi rapporti con colleghi e gente di mon do; e dai risultati di questi rapporti dipendeva come le cocotte dal le loro capacità di travestimento*. Sul boulevard trascorre i suoi momenti di ozio che egli presenta alla gente come parte del suo orario di lavoro. Si comporta come se avesse appreso da Marx che il valore di ogni merce è determinato dal tempo di lavoro social * «Con un minimo di attenzione ci si accorge facilmente che una ragazza che alle otto indossa un vestito costoso ed elegante, è la stessa che alle nove arriva vestita da sartina e alle dieci da contadina» (f .- f .- a . b é k a u d , Les filici publiques de Paris, et la polke qui les régit, Paris-Leipzig 1839, voi. I, p. 51) [N .ì./l.]. " M M E EM iLE DE GIRARDIN n é e d e l p h in e GAY, CEuvres Compiètes, v o i. rV; Lettres pari siennes 1836-1840, Paris 1860, pp. 289-90 [N.d.A.]. “ GABRÈL GUILLEMOT, Le bohème. Physionomies parisiennes, illustrazioni di Hadol, Pa ris 1868, p. 72
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mente necessario alla sua produzione. Considerati i lunghi perio di di inoperosità che agli occhi del pubblico sono necessari al per fezionamento della sua forza lavoro, il valore di quest’ultima as sume tratti quasi fantastici. Il pubblico non era l’unico a fare si mili valutazioni. Gli elevati compensi pagati all’epoca per i feuilleton dimostrano che esse avevano la loro motivazione nella situazione sociale. In effetti esisteva un nesso tra il calo delle ta riffe di abbonamento, lo sviluppo delle inserzioni e la crescente importanza del feuilleton. «A causa di questo aggiustamento» - ossia la diminuzione del le tariffe di abbonamento - «il giornale è costretto a vivere degli annunci...; per ottenere molti annunci, il quarto di pagina che si era trasformato in un manifesto pubblicitario doveva essere visto dal maggior numero possibile di abbonati. Si rese necessaria un’e sca che si rivolgesse a tutti senza riguardo all’opinione personale, e U cvii valore consisteva nel fatto che alla politica sostituiva la cu riosità. .. Una volta fatto il primo passo, il prezzo dell’abbonamento a 40 franchi, con necessità quasi assoluta si arrivava al romanzo d’appendice, passando attraverso l’inserzione»'*^. Si spiegano cosi gli elevati compensi pagati per questi contributi. Nel 1845, Dumas sottoscrisse un contratto con il «Constitutionnel» e con la «Pres se» che gli garantiva per cinque anni un compenso minimo di 63 000 franchi per una produzione minima di diciotto volumi"”. Per i Mystères de Paris, Eugène Sue ottenne un anticipo di 100 000 franchi. Si calcola che fra il 1838 e il 1851, i compensi di Lamartine siano ammontati a 5 milioni di franchi. Per la Histoire des Girondins, che fu pubblicata inizialmente come feuilleton, aveva ri cevuto 600 000 franchi. I generosi compensi per prodotti lettera ri di consumo quotidiano provocarono necessariamente degli inconvenienti. Avveniva che gli editori, all’acquisto dei mano scritti, si riservassero il diritto di farli firmare da un autore di lo ro scelta. Ma questo presupponeva che alcuni romanzieri di suc cesso non andassero troppo per Hsottile con la loro firma. Il pamph let Fabrique de romans, Maison Alexandre Dumas et de** fornisce ulteriori ragguagli in proposito. La «Revue des deux mondes» al l’epoca scrisse: «Chi conosce i titoli di tutti i libri firmati dal siALFRED NETTEMENT, HistoÌK de U lìttémture frangane sous le Gouvemement de Juillet, Paris 1859^, voi. I, pp. 301-2 [N.i.y4 .]. Cfr. ERNEST LAVISSE, tìistoire de franco contemporaine .Depuis la révolution jusqu’à la paix de 19x9, voi. V: s. c h a r l é t y , La monarchie de juillet (1830-1848), Paris 1921, p. 352
Cfr. EUGÈNE DE [ja c q u o t ] m ir e c o u r t , Fabrique de romans. Maison Alexandre Dumas et Compagnie, Paris 1845 [N.i.A.].
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gnor Dumas ? E lui stesso li conosce ? Se non ha tenuto un registro di contabilità con il “dare” e r “avere”, avrà... certamente dimen ticato più d’uno dei figli di cui è il padre legittimo, Ìl padre natu rale o il padre adottivo»'”. Si raccontava che Dumas nei suoi scan tinati occupasse un’intera compagnia di letterati poveri. E ancora nel 1855, dieci anni dopo le considerazioni della grande «Revue», in un piccolo organo di stampa della bohème si trova la seguente pittoresca descrizione della vita di un romanziere di successo che l’autore chiama de Santis: «Una volta arrivato a casa, il signor de Santis chiude a chiave per bene... e apre una porticina nascosta dietro la sua biblioteca. - Entra cosi in imo stanzino assai sporco e scarsamente illuminato. Qui, in mano una limga penna d’oca, si trova un tale dai capelli arruffati e dallo sguardo torvo eppure ser vile. In lui si riconosce da un miglio l’autentico romanziere di raz za, anche se si tratta solo di un ex-funzionario ministeriale che ha appreso l’arte di Balzac leggendo il “Constitutionnel”. E lui il ve ro autore de La Cripta-, è lui il romanziere»*■“. Durante la Secon da Repubblica, il parlamento cercò di opporsi alla diffusione del feuilleton. Su ogni nuova puntata di un romanzo gravò un cente simo di imposta. Con le leggi reazionarie suUa stampa, che limi tando la libertà d’opinione accentuavano il valore del feuilleton, la disposizione fu abrogata poco tempo dopo. Gli elevati compensi per il feuilleton nonché la sua vasta diffu sione, procuravano agli scrittori che vi coUaboravano una immen sa popolarità fra i lettori. Al singolo si presentava l’occasione di mettere a frutto abbinati fama e mezzi: la carriera politica gli si schiudeva quasi da sé. Si venivano cosi a determinare nuove forme di corruzione che potevano avere conseguenze più gravi dell’abu so di nomi di autori famosi. Una volta risvegliatasi l’ambizione po litica, il regime non esitava a mostrare al letterato la retta via. Nel 1846 Salvandy, il Ministro delle colonie, propose ad Alexandre Du mas di intraprendere, a spese del governo - che per l’impresa stan ziò IO 000 franchi - un viaggio a Tunisi per fare propaganda a fa vore delle colonie. La spedizione fu un fo m e n to , inghiottì molto denaro e si concluse con una interrogazione alla Camera. Maggio re fortuna ebbe Sue che sulla scorta del successo dei Mystères de Pa * L ’im p ie g o d e i « n e g ri» n o n e ra lim ita to a l fe u ille to n . P e r i d ia lo g h i d e lle su e o p e re , S c rib e u tiliz z a v a u n a se rie d i c o lla b o ra to ri a n o n im i
" PAULiN LiMAYRAC, D u r o m a n a c tu e l e t d e n o s r o m a n c ìe n , in « R e v u e d e s d e u x m o n d e s» , v o lu m e 2, 1 4 “ a n n a ta , n u o v a se rie , 1 8 4 5 , p p . 9 5 3 -5 4 [N .ii.y l.]. “ PAUL SAULNiER, D u T o m a n e n g e n e r a i e t d u r o m a n c ie r m o d e r n e e n p a r tic u lie r , i n « L e b o h è m e . J o u rn a l n o n p o litiq u e » , i “ a n n a ta , n . 5 , 2 9 a p rile 1 8 5 5 , p . 2
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ris non solo portò il numero degli abbonati al «Constitutionnel» da 3600 a 20 000, ma nel 1850 fu eletto deputato con i voti di 130 000 lavoratori di Parigi. GH elettori proletari non ne ebbero molti van taggi; Marx definisce l’elezione un «commento sentimentale»” agli aumenti di seggi avuti in precedenza. Se ai privilegiati la lettera tura era in grado di spianare la strada della carriera politica, la car riera stessa poteva essere utilizzata per un’analisi critica delle loro opere. Lamartine è un esempio in questo senso. I successi decisivi di Lamartine, le Méditations e le Harmonies, risalgono a una fase in cui i contadini francesi ancora usufruivano dei terreni conquistati. Nella sua ingenua poesia ad Alphonse Kerr, il poeta ha paragonato il suo agire a quello del vignaiolo: Tout homme avec fierté peut vendre sa sueur! Je vends ma grape en fruit comme tu vends ta fleur, Heureux quand son nectar, sous mon pied qui la foule, Dans mes tonneaux nombreux en ruisseaux d’ambre coule, Produissant à son maitre, ivre de sa cherté, Beaucoup d’or pour payer beaucoup de liberté!'^*
Questi versi, in cui Lamartine esalta la sua prosperità perché di natura contadina, e si vanta dei guadagni che il suo prodotto gli procura sul mercato, sono istruttivi soprattutto se considerati non tanto dal lato morale* quanto come espressione della coscienza di classe di Lamartine che era quella del piccolo contadino. Ciò co stituisce un pezzo di storia della poesia di Lamartine. Negli anni quaranta la situazione del piccolo contadino si era fatta critica. Era indebitato. Il suo piccolo appezzamento di terreno non «si trova più nella cosiddetta patria, ma nel registro delle ipoteche»'”. In questa situazione l’ottimismo contadino, che è alla base della vi sione trasfigurata della natura propria della lirica di Lamartine, si dissolve. «Ma se la piccola proprietà appena sorta, nel suo accor do con la società, nella sua dipendenza dalle forze della natura e nella sua sottomissione all’autorità che la difendeva dall’alto, era naturalmente religiosa, la piccola proprietà rovinata dai debiti, in * In una lettera aperta a Lamartine, l’ultramontano Louis Veuillot scrive; «Davvero non sapete che “essere liberi” significa invece disprezzare l’oro ! E per procurarsi la libertà che si acquista con l’oro, Voi producete i Vostri libri in modo altrettanto commerciale del la Vostra verdura e del Vostro vino! » (louis VEUttLOT, Page choisit avec m e introduction critiquepar Antoine Albakt, Lyon-Paris 1906, p. 31) [Kd-A.]. ” KARL MARX, Der ochtzehnte Brumaire des Louis Bonaparte cit., p. 68 [trad. it. p. 125] “ a l p h o n s e DE LAMARTINE, CEuvres poétiques complètes, Gallimard, Paris 1963, p. 1506 («Lettre à Alphonse Karr») [N.Ì./4 .]. ” KARL m a Rx , Derachtzehnte Brumaire des Louis Bonaparte cit., pp. 122-23 [trad. it. pp. 218-19] [N.
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rottura con la società e con l’autorità, spinta al di là della sua gret tezza, è naturalmente irreligiosa. Il Cielo era un supplemento gra dito per il piccolo pezzo di terreno appena conquistato, tanto più che a esso erano dovuti il buono e il cattivo tempo; ma diventa un insulto quando lo si vuole imporre come risarcimento per il pezzo di terreno stesso»’”. Le poesie di Lamartine erano state appunto le nubi in questo cielo, come Sainte-Beuve aveva scritto già nel 1830: «L’opera poetica di André Chénier... è in un certo senso il paesaggio sopra il quale Lamartine ha dispiegato il suo cielo»” . Questo cielo crollò definitivamente quando del 1849 i contadini francesi votarono a favore della presidenza di Bonaparte. Lamar tine aveva contribuito a rendere possibile quel voto*. «Non ave va probabilmente previsto», scrive Sainte-Beuve sul ruolo da lui avuto nella rivoluzione, «di essere destinato a diventare l’Orfeo che con il suo arco d ’oro guidava e moderava quell’invasione di Barbari»” . Baudelaire lo definisce seccamente «già un po’ putta na, un po’ prostituta»” . Baudelaire aveva indubbiamente un occhio clinico per i lati pro blematici di questo brillante personaggio. Questo si spiega forse con il fatto che lui stesso nello splendore non si era mai trovato. Poiché sostiene che Baudelaire evidentemente non poteva scegliere dove piazzare i suoi manoscritti*^. «Baudelaire», scrive Ernest Raynaud, «doveva fare i conti... con costimii banditeschi; aveva a che fare con editori che speculavano suUa vanità della gente di mon do, dei dilettanti e dei principianti e che accettavano manoscritti solo se si sottoscrivevano degli abbonamenti»” . Il comportamen to di Baudelaire è conforme a questa situazione oggettiva. Conse gna a più redazioni uno stesso manoscritto, dà l’assenso a ristam * Sulla scorta delle relazioni di Kisselev, all’epoca ambasciatore russo a Parigi, Pokrowski ha dimostrato che gli avvenimenti si sono verificati come Marx li aveva spiepti, nelle Lotte di classe in Francia. Il 6 aprile 1849, Lamartine aveva garantito all’ambasciato re che avrebbe concentrato le truppe nella capitale - una misura che la borghesia cercò di giustificare con le manifestazioni operaie del 16 aprile. L’osservazione di Lamartine, che per concentrare le truppe avrebbe avuto bisogno di circa dieci giorni, getta in effetti una luce ambigua su quella manifestazione (cfr. m [ic h a il ] n . p o k r o w s h , Historische Aufsatze. Ein SatnmeÒjand, Wien-Berlin 1928, pp. 108-9) [N.(/.i4 .]. “ Ibid., p. 122 [trad. it. p. 217] [N.Ì./4 .]. CHARLES-AUGUSTiN SAINTE-BEUVE, Vie,poésies etpensées de Joseph Delome, nuova edi zione notevolmente ampliata, Paris 1863. pp. 159-60 [N.rf.A.]. ” ID., Les consolations cit., p. 118 [N.d.A.]. ” Cfr. FRANCOIS PORCHE, La vie douloureuse de Charles Baudelaire, Paris 1926, p. 248 m .d .A .l ’*Ibid.,p. i5 6 [N .d .A .l ” ERNEST RAYNAUD, Ch. Baudelaire. Elude biographique et critique suivi d ’un essai de bibliographieetd'iconographiehaudelairiennes, Paris 1922, p. 319 [N.d.A.I.
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pe senza segnalarle come tali. Considerò il mercato molto presto senza alcuna illusione. Nel 1846 scrive: «Per bella che sia una ca sa, essa è innanzitutto - prima che la sua bellezza sia dimostrata, - un tanti metri di altezza su tanti di larghezza. - Lo stesso la let teratura, che è la materia più invalutabUe, - è prima di tutto un riempire colonne; e l’architetto letterario, il cui nome da solo non è una possibilità di guadagno, deve vendere ad ogni costo»’*. Sul mercato letterario Baudelaire sino alla fine non migliorò la propria posizione. E stato calcolato che con la sua intera opera abbia gua dagnato non più di 15 000 franchi. «Balzac si rovina bevendo caffè, Musset si distrugge con l’as senzio..., Murger muore... in un sanatorio come in questo mo mento anche Baudelaire. E nessuno di questi scrittori è stato so cialista!»” scrive Jules Troubat, segretario privato di Sainte-Beuve. Baudelaire ha certamente meritato il riconoscimento che l’ultima frase intendeva tributargli. Non per questo gli fece difet to una chiara presa d’atto della reale situazione in cui si trovava il letterato; egli era solito confrontarlo - senza escludere se stesso con la prostituta. Ne parla il sonetto alla musa corruttibile. La mu se vènule. La grande poesia introduttiva Au lecteur colloca il poeta nella svantaggiosa posizione di colui che si fa lautamente pagare le proprie confessioni. Una delle prime poesie, non inserita nelle Fkurs du mal, è rivolta a una ragazza di strada. La seconda strofa suona: Pour avoir des souliers, elle a vendu son àme; Mais le bon Dieu rirait si, près de cette infàme, Je tranchais du tartufa et singeais la hauteur, Moi qui vends ma pensée et qui veux étre auteur’*.
L’ultima strofa, «Cette bohéme-là, c’est mon tout», accoglie questa creatura prontamente nella comunità della bohème. Baude laire sapeva quale era la reale condizione del letterato: si reca sul mercato nei panni del flàneur, a sua detta per guardarsi intorno, in realtà già per trovare un acquirente. (Euvrez c l t ., II, p. 3 8 5 [ tr a d . i t . opere c i t ., p. 7 0 1 ] ” Cfr. EUGÈNE CRÉPET, Charles Baudelaire. Elude hiographique, reme et mise à jour par Jacques Crépet, Paris 1906, pp. 196-97 [N.
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n. Ilflàneur Una volta raggiunto il mercato, lo scrittore si guardava intorno come in un panorama. Un genere letterario specifico ha registra to i suoi primi tentativi di orientarsi. E una letteratura panoramatica. Non a caso Le livre des Cent-et-un, Les Frangais peints par eux-mèmes, Le dìable à Paris, La grande ville godettero dei favori della capitale nello stesso periodo dei panorami. Questi libri con sistono in singoli schizzi la cui veste anedottica in un certo senso riproduce il primo piano dei citati panorami (rappresentato pla sticamente) e il contenuto informativo l’ampio sfondo. Numerosi autori diedero il loro contributo. Queste raccolte sono quindi un sedimento dello stesso lavoro letterario collettivo a cui Girardin diede una sede con 'Afeuilleton. Erano l’abito elegante di una let teratura che per sua natura era destinata a essere consumata in strada. In questo contesto avevano un posto privilegiato gli insi gnificanti fascicoli in formato tascabile chiamati «physiologies». Si mettevano sulle tracce dei tipi umani in cui ci si può imbattere girando per un mercato. Dal venditore ambulante dei boulevard, agli eleganti nel foyer dell’opera non vi era figura della vita pari gina che non fosse tratteggiata dal physiologue. Il grande momen to di questo genere si ha all’inizio degli anni quaranta. E l’alta scuola del feuilleton', la generazione di Baudelaire l’ha frequenta ta. Il fatto che a Baudelaire stesso non dicesse molto, dimostra quanto presto egli segui la propria strada. Nel 1841 si contavano settantasei nuove fisiologie*. A partire da quell’anno il genere perse di importanza, per scomparire del tutto insieme alla monarchia borghese. Si trattò sin dal principio di un genere piccolo-borghese. Monnier, il maestro di questa let teratura, era un filisteo dotato di una insolita capacità di auto-os‘ Cfr. CHARLES LOUANDRE, StaHsHque littéraire. De la production intellectuelle en France depuis quìnze ans. Demière partìe, in «Revue des deux mondes», volume 20, 17“ annata, nuova serie, 15 novembre 1847, pp. 686-87 [N.ii.yl.].
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servazione. Le fisiologie non superarono mai l’orizzonte più limi tato. Dopo avere affrontato i tipi umani, venne il turno della fi siologia della città. Apparvero Paris la nuit, Paris à table, Paris dans l ’eau, Paris à chevai, Paris pittoresque, Paris marie. Esaurita anche questa vena, fu la volta delle «fisiologie» dei popoli. Né ci si di menticò della «fisiologia» degli animali che da sempre hanno fun to da inoffensivi modelli. Era la inoffensività a contare. Nei suoi studi suUa storia della caricatura, Eduard Fuchs mette in eviden za come all’origine delle fisiologie vi fossero le cosiddette leggi di settembre, ossia l’inasprimento della censura del 1836, che al l’improvviso allontanarono dalla politica un gruppo di artisti ca paci e cresciuti alla scuola della satira. Se questo era stato possi bile nella grafica, a maggior ragione la manovra del governo do veva riuscire in ambito letterario. Qui infatti, non vi era un’energia politica paragonabile a quella di un Daumier. La reazione è quin di il presupposto « a partire dal quale si comprende la grandiosa ri vista della vita borghese che... si inaugurò in Francia,.. Tutto sfi lava. .. i giorni di gioia e di dolore, il lavoro e il riposo, i costumi coniugali e quelli degli scapoli, la famiglia, la casa, i figli, la scuo la, la sazietà, il teatro, i tipi umani, i mestieri»^. La flemma di queste descrizioni si addice eX].’habitus del flàneur che erborizza sull’asfalto. Già allora tuttavia in città non si pote va andare a zonzo ovunque. Gli ampi marciapiedi, prima di Haussmann, erano rari; quelli stretti non offrivano molta protezione dalie carrozze. La flànerie difficilmente avrebbe avuto H significa to che ha avuto SQtaa.ìpassages. « I passages, recente invenzione del lusso industriale», scrive una Guida illustrata di Parigi nel 1852, «sono corridoi ricoperti di vetro e delle pareti rivestite di marmo, che attraversano interi caseggiati, i cui proprietari si sono uniti per queste speculazioni. Sui due lati di questi corridoi, che ricevono luce dall’alto, si succedono i negozi più eleganti, sicché un pas saggio del genere è una città, anzi un mondo in miniatura». In que sto mondo il flàneur è di casa; è lui H cronista e U filosofo del «luo go preferito dai fumatori e da chi va a passeggio, del palcoscenico delle più strane piccole occupazioni»’. IXflàneur stesso vi trova un rimedio infallibile contro quella noia che facilmente prospera sot to lo sguardo di basilisco di una reazione ormai satura. Baudelai re riporta la seguente considerazione di Guys; chi «si annoia in * EDUAKD FUCHS, T>ie Karikatur der europàischen Vólker. Erster Teil: Vom Altertum bis lum Jahre 1848, 4 “ ed., Miinchen 1921, p. 362 [N.d.A.]. ’ FERDINAND VON GALL, Paris und seitie Salons, voi. 2, Oldenburg 1845, p. 22 [N.d.A.].
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mezzo alla folla è un imbecille. Sì, un imbecille, e io lo disprez zo»'*. I passages sono una via di mezzo fra la strada e Vìnténeur. Se si vuole parlare di un espediente delle fisiologie, è quello ormai sperimentato del feuilleton-, ossia fare del boulevard un intérieur. Per 'Aflàneur, che fra i caseggiati è di casa come il borghese fra le sue quattro mura, la strada si trasforma in abitazione. Le splendi de insegne commerciali smaltate sono un ornamento che equivale e supera il quadro a olio nel salotto del borghese; i muri sono la scrivania sulla quale appoggia il suo bloc-notes; le edicole dei gior nali, le sue biblioteche, e le terrazze dei caffè, i bow window dai quali dopo il lavoro osserva la propria casa. Che la vita in tutta la sua ricchezza, in tutta la inesauribile varietà prosperasse solo fra le grigie pietre del selciato e sullo sfondo grigio del dispotismo questa era la segreta convinzione politica che ispirava la lettera tura di cui facevano parte le fisiologie. Questa letteratura era sospetta anche a livello sociale. I tipi strambi o semplici, attraenti o scostanti che le fisiologie presen tano al lettore in lunga serie hanno una cosa in comune: sono inof fensivi, di perfetta bonomia. Una simile visione del prossimo era troppo lontana dall’esperienza per non avere cause insolitamente profonde. Era originata da una inquietudine del tutto particola re. La gente doveva fare i conti con un fatto nuovo, abbastanza sorprendente, peculiare delle metropoli. Simmel ha dato una fe lice definizione di questa problematica. «Chi vede senza sentire è molto... più turbato di chi ascolta senza vedere. E un aspetto caratteristico della sociologia della grande città. I rapporti reci proci fra gli uomini nelle grandi città si distinguono per una for te prevalenza dell’attività della vista su quella dell’udito. La cau sa principale di questo fatto sono i pubblici veicoli. Prima del l’avvento degli omnibus, delle ferrovie e dei tram nel secolo decimonono, la gente non si era mai trovata in condizione di do ver stare, per minuti e anche ore intere, a guardarsi in faccia sen za rivolgersi la parola»’. Come riconosce anche Simmel, la nuova condizione non era tranquillizzante. Già Bulwer, nell’Eugene Aram, aveva corredato la sua descrizione degli abitanti della me tropoli con un riferimento all’osservazione goethiana, secondo cui ogni essere umano, il migliore come il più meschino, porterebbe con sé un segreto che, se risaputo, lo renderebbe odioso agli al * CHARLES BAUDELAIRE, (Euvres c i t . , II, p . 333 [trad. i t . Scritti sull'arte, Einaudi, Tori no 1981, p. 286] [N.(i.y4 .]. ’ g [ e o r g ] s i m m e l , Mélanges de philosophie re'lativiste. Contrìbution à la culture philosophique, traduzione di A, Guillain, Paris 1912, pp. 26-27 [N.d.A.].
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tri‘. Le fisiologie erano fatte apposta per mettere in disparte come irrilevanti questo tipo di considerazioni altrettanto inquietanti. Rappresentavano per così dire i paraocchi dell’« ottuso animale di città»’ cui fa cenno Marx. Fino a che punto, quando era necessa rio, limitassero lo sguardo, risulta da una descrizione del proleta riato nella Physiologie de l ’industriefrangaise di Foucaud: «Per l’o peraio il piacere tranquillo è addirittura spossante. Per quanto la sua casa in una giornata possa essere immersa nel verde, invasa dal profumo dei fiori e animata dal canto degli uccelli, se non ha nien te da fare, egli è sordo alle bellezze della solitudine. Se invece al suo orecchio da lontano giunge il rumore o il fischio acuto di una fabbrica, se sente l’uniforme strepitare del mulino di una mani fattura, subito il suo viso si rasserena... Non avverte più il deli cato profumo dei fiori. Il fumo delle alte ciminiere, i colpi assor danti dell’incudine gli comunicano un fremito di gioia. Egli si ri corda dei giorni felici in cui il suo lavoro era guidato dall’ingegno dell’inventore»*. Leggendo questa descrizione, l’imprenditore si sarà forse coricato con l’animo un po’ più tranquillo del solito. La cosa più ovvia era effettivamente di dare alla gente un’im magine positiva del prossimo. Così facendo, le fisiologie tesseva no a loro modo la fantasmagoria della vita parigina. Il loro modo di procedere tuttavia non poteva portare lontano. Le persone si conoscevano in quanto debitori e creditori, commessi e clienti, da tori di lavoro e dipendenti - e soprattutto si conoscevano in quan to concorrenti. Proporre dei loro interlocutori l’immagine di un originale inoffensivo alla lunga non aveva prospettive. Fu per ta le motivo che in questo genere letterario emerse assai presto una prospettiva diversa, in grado di agire con ben maggiore efficacia. Essa risaliva ai fisiognomici del xvm secolo. Con i loro ben più fondati studi tuttavia aveva poco da spartire. In Lavater o in Gali, accanto allo spirito speculativo e all’esaltazione, entrava in gioco anche autentica empiria. I fisiologi vivevano di credito sulle loro spalle, senza aggiungere nulla di proprio. Assicuravano che, anche senza precise cognizioni, tutti erano in grado di capire professio ne, carattere, origine e modo di vita dei passanti e presentavano questo talento come una facoltà che le fate dànno in dote agli abi‘ Cfr. [EDWARD GEORGE b u l w e r -l y t t o n ], Ettgene Amm ,a tale, dall’autore di «Pelham», «Devereux», etc., Paris 1832, p. 314 [N.d.A.]. ’ Marx und Engels ùber Feuerbach, La prima parte dell’Ideologia tedesca, in «Marx-Engels-Archiv» («Zeitschrift des Marx-Engels-Instituts in Moskau»), a cura di D. Rjazanov, Frankfurt a. M.), voi. I, 1926, p. 272 [N.
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tanti delle metropoli. Con simili certezze, soprattutto Balzac si trovava nel suo elemento. Si adattavano perfettamente alla sua predilezione per le asserzioni assolute. «Negli esseri umani», scri ve ad esempio, «il genio è così evidente che anche la persona più incolta, quando, per le vie di Parigi, si imbatte in un grande arti sta, capisce subito chi ha di fronte»’. Delvau, l’amico di Baudelai re e il più interessante fra i piccoli maestri del feuilleton, ritiene di potere distinguere le varie stratificazioni del pubblico di Parigi, come un geologo fa con gli strati delle rocce. Ma se questo era pos sibile, allora la vita nella metropoli era davvero assai meno in quietante di quanto probabilmente apparisse alla gente. Ed era pu ra retorica quando Baudelaire si chiedeva cosa fossero «i pericoli della foresta e della prateria paragonati agli scontri e ai conflitti quotidiani della civilizzazione? Che l’uomo pigli al laccio il suo gonzo sul Boulevard, o trafigga la sua preda in foreste inesplora te, non è forse l’uomo di sempre, vale a dire l’animale da preda più perfetto?»*®. Baudelaire per questa vittima usa il termine «dupe»; la parola definisce l’individuo ingannato, menato per il naso; a questi si con trappone il conoscitore dell’animo umano. Quanto più la metro poli diventa sinistra, tanto maggiore, si pensava, è la conoscenza dell’animo umano necessaria per agire in essa. In realtà, la crescente concorrenza induce il singolo soprattutto a far valere dispotica mente i suoi interessi. Quando si tratta di valutare il comporta mento di un essere umano conoscere con esattezza i suoi interessi sarà spesso molto più utile che non conoscere la sua indole. Il ta lento di cui 'Aflàneur tanto volentieri si vanta va perciò considera to piuttosto come uno degli idoli che già Bacone vedeva collocato sul mercato. Un idolo che Baudelaire non ha mai venerato. La sua fede nel peccato originario lo rendeva immune dalla fede nella co noscenza dell’animo umano. Era in sintonia con de Maistre che dal canto suo aveva studiato insieme il dogma e Bacone. I mezzucci rassicuranti offerti dai fisiologi furono presto liqui dati. Alla letteratura che ha continuato a interessarsi degli aspet ti inquietanti e minacciosi della vita cittadina, invece, era riserva to un grande futuro. Anche questa letteratura si occupa della mas sa. Tuttavia procede in modo diverso rispetto alle fisiologie. La definizione dei tipi la interessa poco; essa indaga piuttosto le fun zioni che sono proprie alla massa nella metropoli. Fra queste, co’ HONORÉ DE BALZAC,
Le coustti Potts, L. Conard, Paris 1 9 1 4 , p . 1 3 0 [ N .iì.A .] . (Euvres cit., II, p. 637 [ttad. it. Opere cit., p. 1401] [N.
CHARLES BAUDELAIRE,
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me sottolineava già un rapporto di polizia alla fine del xvm seco lo, se ne imponeva in particolare una. «È quasi impossibile», scri ve un agente della polizia segreta di Parigi nel 1798, «mantenersi onesti quando la popolazione è così densamente concentrata, quan do ogni individuo è per così dire sconosciuto aU’altro e quindi non deve arrossire al cospetto di nessuno»” . La massa qui è vista co me rifugio che protegge l’asociale dai suoi persecutori. Fra i suoi lati minacciosi questo è quello che si è annunciato per primo. Es so è all’origine del racconto d’investigazione. Nei periodi in cui regna il terrore, quando tutti sono un po’ co spiratori, a tutti si offrirà anche la possibilità di fare l’investiga tore. "L&flatterie è in questo senso un’ottima occasione. «L’osser vatore», dice Baudelaire, «è un principe che gode ovunque del l’incognito»*^. Il flàneur diviene così un investigatore suo malgrado: il senso sociale tuttavia ci guadagna perché risulta legittimato il suo oziare. La sua indolenza è solo apparente. Dietro a essa si ce la un vigile osservatore che non perde d ’occhio il malvivente. Co sì l’investigatore vede schiudersi ampi spazi alla propria consape volezza di sé. Sviluppa forme di reazione conformi al ritmo della metropoli. Coglie le cose al volo; in questo modo può sognare di essere affine all’artista. Tutti sono concordi nel lodare il tratto ra pido del disegnatore. Balzac ritiene addirittura che ogni natura d’artista sia legata alla facoltà di cogliere al volo*. - Il fiuto inve stigativo, unito alla gradevole nonchalance del flàneur, è il com pendio dei Mohicans de Paris di Dumas, dove il protagonista deci de di andare in cerca di avventura seguendo un pezzo di carta af fidato al gioco dei venti. Quale che sia la traccia segmta dal flàneur, sempre lo condurrà verso un delitto. Anche il racconto d ’investi gazione, quindi, nonostante il suo freddo calcolo, contribuisce al la fantasmagoria della vita parigina. Ancora non trasfigura il cri minale; tuttavia trasfigura i suoi antagonisti e soprattutto i terri tori in cui questi gli dànno la caccia. Messac ha dimostrato come si utilizzino riminiscenze cooperiane*’. L’aspetto interessante del l’influsso di Cooper è che non viene nascosto ma anzi messo in ri salto. Nel citato Mohicans de Paris appare evidente sin dal titolo; * In Seraphita Balzac parla di una «visione rapida, le cui percezioni mettono a disposi zione della fantasia in rapida successione i più vari paesaggi della terra» [N.if.X.]. “ Cfr. ADOLPHE SC31M IDT, Tableaux de la révolutìon frangaise. Publiés sur les papiers du département et de la polke secrète de Paris, 3 v o li., L e ip z ig 1 8 7 0 , p . 3 3 7 [N.d.A.]. “ CMARLES BAUDELAIRE, OEuvres c i t . , II, p . 3 33 [ tr a d . i t . Scritti sull’arie c i t . , p . 2 8 6 ]
m.d.AX
” Cfr. 1929
RÉGis MESSAC,
Le «Detective Novel» et l ’influence de la pensée scientifique, Paris
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l’autore promette al lettore di mostrargli a Parigi una foresta ver gine e una prateria. La xilografia sul frontespizio del terzo volu me mostra una strada allora poco frequentata, coperta da cespu gli; la didascalia della veduta dice: «La foresta vergine di via d ’Enfer». Il prospetto editoriale dell’opera, dietro la quale è lecito supporre la mano dell’entusiastico autore, mette enfaticamente in rilievo questa correlazione: «Parigi - i Mohicani... due nomi che si scontrano come il “Chi va là?”; di due giganteschi sconosciuti: li separa un abisso attraversato da quella luce elettrica che ha la sua fonte in Alexandre Dumas». In precedenza, già Févai aveva inserito un pellerossa in avventure metropolitane. Si chiama Tovah, e durante una gita in fiacre riesce a togliere lo scalpo ai suoi quattro accompagnatori bianchi senza che il vetturino se ne ac corga. I Mystères de Paris rimandano sin dall’inizio a Cooper, pro mettendo che i protagonisti dei bassifondi parigini «sono non me no lontani dalla civiltà dei selvaggi descritti con tanta maestria da Cooper». Ma è soprattutto Balzac a non stancarsi di indicare in Cooper il suo modello. «La poesia della paura, di cui sono piene le foreste americane dove si incontrano le tribù sul piede di guer ra - questa poesia che è tornata tanto utile a Cooper, permea an che i minimi dettagli della vita parigina. I passanti, i negozi, le vet ture di piazza o un tale che se ne sta appoggiato ad una finestra, tutto ciò interessava gli uomini della guardia del corpo di Peyrade quanto un tronco d’albero, una tana di castoro, una roccia, vina ca noa immobile o una foglia portata dalla corrente interessano il let tore di un romanzo di Cooper». Gli intrighi di Balzac sono ricchi di varianti narrative che si collocano fra il racconto di indiani e quello d’investigazione. I suoi Mohicani in spencer e Huroni in fi nanziera furono prontamente criticati*^. Hippolyte Babou invece, che era in stretto rapporto con Baudelaire, nel 1857 scrive retro spettivamente: «Quando Balzac... sfonda i muri per dare libero sfogo all’osservazione..., allora si origlia alle porte..., in una pa rola ci si comporta... da police detective, come dicono nella loro pruderie i nostri vicini, gU inglesi »“ . Il racconto d’investigazione, il cui interesse è dato da una co struzione logica che in quanto tale non è necessariamente propria del romanzo poliziesco, in Francia appare per la prima volta con le traduzioni dei racconti di Poe II mistero di Marie Roget, Il delit to della Rue Morgue, La lettera rubata. Traducendo tali modelli, “ Cfr.
Bakoc. Vhomnte et Voeuvre, Paris 1905, p. 83 [N.<ì.j4 .]. ^tiBO\j,LavéritésurlecasdeM.Champfleuty, Paris 1857, p. 30 [N.d.A.].
ANDRÉ LE BRETON,
HIPPOLYTE
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Baudelaire ha adottato questo genere letterario. L’opera di Poe era indubbiamente commensurabile alla sua; e Baudelaire sottoli nea tale dato di fatto, accettando il metodo con cui Poe mescola i diversi generi letterari. Poe fu imo dei maggiori tecnici della let teratura moderna. Come osserva Valéry‘‘, fu lui il primo a cimen tarsi con il racconto scientifico, con la moderna cosmogonia, con la rappresentazione di fenomeni patologici. Considerava tali ge neri precisi esiti di un metodo per il quale rivendicava validità ge nerale. E in questo ambito Baudelaire si schierò al suo fianco; nel senso di Poe scrive: «Non è lontano il tempo in cui si compren derà che qualsiasi letteratura che si rifiuti di procedere fraterna mente tra la scienza e la filosofia è una letteratura omicida e sui cida»". Il racconto d’investigazione, che fra le conquiste tecniche di Poe è quella maggiormente gravida di conseguenze, appartene va a una letteratura che soddisfava il postulato baudelairiano. L’a nalisi del racconto d ’investigazione è essenziale all’analisi dello stesso Baudelaire, indipendentemente dal fatto che egli non abbia scritto racconti di questo tipo. Da disiecta membra, le Vkun du mal ne presentano tre elementi decisivi: la vittima e il luogo del reato, (U«e martyre), l’assassino {Le vin de l ’assassin), la massa {Le crépuscule du soir). Manca il quarto, quello che consente alla ragione di penetrare questa atmosfera gravida di tensione. Baudelaire non ha scritto racconti d’investigazione, perché la struttura dei suoi istin ti non gli consentiva di identificarsi con l’investigatore. Il calco lo, il momento costruttivo era per lui sul versante dell’asociale. E completamente ancorato alla crudeltà. Baudelaire conosceva trop po bene de Sade per poter fare concorrenza a Poe*. L’elemento sociale originario del racconto d ’investigazione è la cancellazione delle tracce del singolo nella folla della metropoli. Poe tratta questo motivo minuziosamente ne II mistero di Marie Roget, il pili ampio dei suoi racconti polizieschi. Esso è allo stesso tempo il modello per l’uso di informazioni giornalistiche nella so luzione di delitti. L’investigatore di Poe, il Cavaliere Dupin, in questo caso lavora in base a resoconti della stampa quotidiana e non a sopralluoghi. L’analisi critica di questi articoli costituisce la struttura del racconto. Fra le altre cose è necessario stabilire quan do è avvenuto il delitto. Un giornale, il «Commercici», sostiene * «Bisogna sempre rifarsi a de Sade [...] per spiegare il male» (Ch a r l e s b a u d e l a ir e , (Euvres cit., II, p. 694 [trad. it. Opere cit., p. 1506]) [N.J.j4 .]. “ Cfr. CHARLES BAUDELAIRE, Les fleurs du mal. Ed. Grès, Paris 1928, introduzione di Paul Valéry [N.ii.A.]. ” iD., (Euvres cit., II, p. 424 [trad. it. Opere cit., p. 736] [N.d.A.'ì.
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che Marie Roget, la vittima, sia stata eliminata subito dopo avere lasciato l’appartamento della madre. «E impossibile che una per sona nota a tanta gente, come lo era questa giovane, possa essere passata davanti a tre blocchi di edifici senza essere stata vista da qualcuno. Questa può essere l’idea di un uomo che risiede da lun go tempo a Parigi, un uomo noto, un uomo le cui passeggiate per la città si sono limitate per lo più alla zona degli uffici pubblici. Egli va e viene, a intervalli regolari, entro un perimetro fisso, do ve sono molte le persone indotte a notare la sua persona per quel la comunanza di interessi che nasce dalla natura affine alle loro ri spettive occupazioni. Ma, in linea di massima, le passeggiate di Marie si possono immaginare saltuarie. Nel caso in questione, poi, si può pensare benissimo che molto probabilmente ella abbia fat to una strada molto diversa da quella che solitamente faceva. Il pa rallelo che, secondo noi, è sorto nella mente del “Commerciel”, potrebbe reggere soltanto nel caso di due individui che attraver sassero l’intera città. In questo caso, supponendo che le conoscenze personali dei due fossero uguali, sarebbero anche uguali le proba bilità di un ugual numero di incontri personali. Per parte mia, ri terrei non solo possibile, ma addirittura molto probabile che Ma rie possa avere deviato in un dato momento da una qualunque del le molte strade che corrono fra il suo domicilio e quello di sua zia, senza incontrare una sola persona che ella conoscesse o da cui el la fosse conosciuta. Ponendo questo problema nella sua giusta pro spettiva, non dobbiamo perdere di vista la grande sproporzione fra le conoscenze personali della più nota personalità di Parigi e la intera popolazione di Parigi stessa»**. Se si prescinde dal contesto che induce Poe a queste riflessioni, l’investigatore perde la sua competenza, ma il problema conserva il suo interesse. In forma modificata, è alla base di una delle poesie più famose delle Yleun du mal, il sonetto A une passante. La rue assourdissante autour de moi hurlait. Longue, mince, en grand deuil, douleur majestueuse, Une femme passa, d’une main fastueuse Soiilevant, balangant le feston e l’ourlet; Agile et noble, avec sa jambe de statue. Mois, je buvais, crispé comme un extravagant, Dans son oeil, d el livide od germe l’ouragan, La douceur qui fascine et le plaisir qui tue. “ EDGAR ALLAN POE, Histoires extmotdinaim, traduzione di Charles Baudelaire (Ch a r l e s BAUDELAIRE, Qiuvres complètes, voi. V, traduzioni I, Ed. Calmann-Lévy), Paris 1885, pp.
484-86 [trad. it. 1 racconti, Feltrinelli, Milano 1970, pp. 417-32]
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Un éclair... puis la nuit! - Fugitive beauté Dont le regard m’a fait soudainement renaìtre, N e te verrai-je plus que dans l’éternité? Ailleurs, bien loin d’ici! trop tard! jamais peut-étre! Car j’ignore où tu fuis, tu ne sais où je vais, O tois que j’eusse aimée, ó toi qui le savais!*’
Nel sonetto A une passante, la foUa non è il rifugio del crimina le, ma quello dell’amore che fugge il poeta. Si può dire che la poe sia ha come argomento la funzione della folla non nell’esistenza del borghese ma in quella dell’uomo guidato dall’eros. A prima vi sta la funzione appare negativa; ma non è cosi. Non solo la figura che affascina l’erotico non gli si sottrae nella folla, ma è anzi la fol la stessa a recargliela. L’estasi del cittadino è un amore non tanto al primo quanto all’ultimo sguardo. Il «jamais» è l’apice dell’in contro, in cui la passione, apparentemente frustrata, in realtà pro rompe come una fiamma dal poeta. In essa brucia; ma da essa non risorge alcuna fenice. La rinascita della prima terzina offre una prospettiva degli eventi che alla luce della strofa precedente ap pare assai problematica. Ciò che contrae convulsamente il corpo non è il turbamento di colui che è invaso da un’immagine in tutti gli anfratti del suo essere; ha piuttosto dello shock con cui un de siderio imperioso sorprende il solitario. L’inciso «comme un extravagant» quasi lo esprime; l’accento che il poeta pone sulla circo stanza che la donna è in lutto, non è adatto per tenerlo segreto. Esiste in realtà una profonda frattura tra le quartine che descri vono i fatti e le terzine che li trasfigurano. Thibaudet coglie solo gli aspetti superficiali, quando a proposito di questi versi dice che «potevano nascere solo in una metropoli»” . La loro figura inte riore si esprime nel fatto che in essi l’amore stesso risulta come se gnato dallo stigma della metropoli*. Dall’epoca ^ Luigi Filippo nella borghesia si nota la tendenza a compensare la mancanza di tracce della vita privata nella metro poli. Il tentativo avviene all’interno delle mura domestiche. Sem bra quasi che la borghesia abbia impegnato il proprio onore a non * Il motivo dell’amore per la passante è ripreso in una poesia del primo George, al qua le è tuttavia sfuggito l’elemento decisivo - la corrente in cui la donna, trasportata dalla fol la, passa accanto al poeta. Ne risulta una timida elegia. Come deve confessare alla sua da ma, gli sguardi del poeta sono «feucht vor sehnen fortgezogen I eh sie in deine sich zu tauchen trauten» ( s t e f a n g e o r g e , Hymnen Pilgerfahrten Algahal\lnm pellegrinaggi Elagabalo], Ber lin 1922’, p. 22; «Passati oltre, umidi di passione I prima di osare immergersi nei tuoi»)
[N.ii.X.].
CHARLES BAIIDELAIRE,
(EuVreS cit., I, p. 106 [N.d.A.].
“ ALBERT THIBAUDET, Intérieurs.BaudekÌK,Ffomentin,Amiel,
Paris 1924, p. 22 [N.
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far scomparire per volgersi di coni, se non la traccia dei suoi gior ni terreni, almeno quella dei suoi accessori e oggetti d’uso. E un in stancabile affannarsi a prendere l’impronta di un’infinità di ogget ti; si cercano custodie e astucci per pantofole e orologi da tasca, per termometri e portauova, per posate e ombrelli. Si preferiscono fo dere in velluto e in felpa che conservano l’impronta di ogni con tatto. Con lo stile makart - lo stile del Secondo Impero declinante - l’appartamento si trasforma in una sorta di guscio. Lo si conce pisce come astuccio dell’uomo nel quale adagiarlo con tutti i suoi aggeggi, custodendone la traccia come la natura custodisce nel gra nito una pianta morta. Non si può negare che il fenomeno presen ta due lati. Si sottolinea il valore reale o sentimentale degli ogget ti così custoditi. Essi vengono celati allo sguardo profano di chi non li possiede, e significativamente si tende a cancellarne i contorni. Non sorprende che il rifiuto di ogni controllo, che è una seconda natura dell’asociale, si ripresenti nella borghesia abbiente. - Que ste abitudini possono essere intese come l’illustrazione dialettica di un testo apparso in molte puntate nel «Journal officiel». Già nel 1836 Balzac aveva scritto Modeste Mignon: «Povere donne di Francia! certamente gradireste restare anonime, per continuare a tessere la trama del vostro piccolo romanzo d’amore. Ma come po tete riuscirvi in una civiltà che sulle pubbliche piazze fa registrare arrivo e partenza delle carrozze, che conta le lettere e che le tim bra due volte, prima quando vengono spedite e poi quando si con segnano, che dà dei numeri alle case e che presto nei suoi libri ca tastali avrà registrato tutto il paese... sino al più piccolo appezza mento»^*. A partire dalla Rivoluzione francese, una capillare rete di controlli si era progressivamente stretta intorno alla vita bor ghese. La numerazione delle case è un buon esempio del procede re della normazione nelle metropoli. A Parigi era stata resa obbli gatoria dall’amministrazione napoleonica. Nei quartieri proletari tuttavia questa semplice misura poliziesca aveva incontrato delle resistenze a proposito di Saint-Antoine, il quartiere degli ebanisti; ancora nel 1864 si diceva: « Se si chiede l’indirizzo a un abitante di questo quartiere periferico, dirà sempre il nome della sua casa, e mai il freddo numero ufficiale »“ . Simili resistenze alla lunga non potevano naturalmente contrapporsi al tentativo di compensare, grazie a una complessa rete di registrazioni, quell’assenza di tracce Modeste Mig;ion, Ed. du Siècle, Paris i 8 g o , p . 99 [N.d.A.]. Geschìchte derfranzósischen Arbeiter- Associationen, terza par te, Hamburg 1864, p. 126 [N.<ì.j4 .]. HONORÉ DE BALZAC,
“ SIGMUND ENGLANDER,
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che la scomparsa della gente nelle masse delle metropoli porta con sé. Queste tendenze danneggiarono Baudelaire al pari di un qua lunque criininale. In fuga dai creditori, trovò riparo nei caffè e nei circoli di lettura. Vi furono periodi in cui viveva contemporanea mente in due case - ma nei giorni in cui scadeva l’affitto spesso dor miva da amici in una terza. Così si aggirava per quella città dove il fldneur ormai non si sentiva più a casa. Ogni letto in cui si corica va era per lui un «lit hasardeux»". Per gli anni fra il 1842 e il 1858, Crépet ha rintracciato quattordici indirizzi parigini di Baudelaire. Al processo di controllo amministrativo dovevano venire in soc corso delle misure tecniche. Al principio del processo di identifi cazione il cui standard attuale è dato dal metodo Bertillon, si col loca l’identificazione della persona grazie alla firma. Nella storia di questo processo, l’invenzione della fotografia costituisce una ce sura. Per la criminalistica essa ha un significato non inferiore di quello avuto dalla stampa per la letteratura. Con la fotografia per la prima volta è possibile fissare in maniera duratura e univoca le tracce di un essere umano. Il racconto d’investigazione nasce nel momento in cui si consolida quella che fu la più incisiva limita zione dell’incognito dell’uomo. Da allora non hanno più avuto fi ne i tentativi di impedirgli di agire e di parlare. L ’uomo della folla, la famosa novella di Poe, è una sorta di ra diografia del racconto d’investigazione. Della veste esteriore, rapjresentata dal delitto, in questo caso si è fatto a meno. E rimasta soo l’ossatura: l’inseguitore, la foUa, uno sconosciuto che organizza il suo percorso per le vie di Londra facendo in modo di restare sem pre fra la folla stessa. Questo sconosciuto è ilflàneur. In questo sen so del resto lo ha inteso Baudelaire, quando nel suo saggio su Guys definisce il flàneur «L’homme des foules». Poe tuttavia descrive il proprio personaggio senza quella connivenza che è invece caratteri stica di Baudelaire. Per Poe, il flàneur è soprattutto uno che non è del tutto a proprio agio in compagnia di se stesso. Per questo cerca la foUa; e non si dovrà cercare molto lontano per trovare il motivo che lo spinge a nascondersi in essa. Poe cancella intenzionalmente la differenza tra asociale e flàneur. Quanto più risulta difficile rin tracciarlo, tanto più im uomo diventa sospetto. Rinunciando a in seguirlo a limgo, il narratore così riassume il senso delle proprie ri flessioni: « “Questo vecchio”, mi dissi, “è la personificazione, il ge nio del delitto. Egli non vuole essere solo. E l’uomo della foUa” »“ . CEuVreS c i t . , I, p . I I 5 Nouvelks histoìm extraordìnaires, traduzione di Charles Baudelaire
" CHARLES BAUDELAIRE, ” EDGAR AiXAN POE,
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L’autore non richiama l’interesse del lettore solo su quest’uo mo; esso si focalizzerà con intensità almeno pari sulla descrizione della folla. Per motivi sia documentari che artistici. La folla si im pone da entrambi i punti di vista. Il primo aspetto sorprendente è l’entusiasmo con cui il narratore segue lo spettacolo della folla. Lo segue, in un famoso racconto di E. T. A. Hoffmann, anche il cu gino alla sua finestra. Ma come è impacciato lo sguardo sulla folla di chi se ne sta seduto in casa propria. E come è penetrante inve ce quello dell’uomo che scruta attraverso le vetrate del caffè. Nel la differenza del punto di osservazione è contenuta tutta la diffe renza tra Berlino e Londra. Da un lato il cittadino privato, seduto nel suo bow window come in un palco; per osservare più da vicino il mercato, tiene a portata di mano un binocolo da teatro. Dall’al tro, l’anonimo cliente che entra nel caffè e che presto, attratto dal la folla che non cessa di calamitarlo, se ne riandrà. Da un lato un insieme di scenette di genere che nel complesso costituiscono un album di incisioni colorate, dall’altro uno spaccato in grado di ispi rare un grande acquafortista; una folla sterminata nella quale nes suno appare aU’altro del tutto decifrabile e nessuno del tutto im penetrabile. Al piccolo borghese tedesco sono imposti confini mol to stretti. Eppure Hoffmann, per predisposizione, apparteneva alla famiglia dei Poe e Baudelaire. Nelle note biografiche alla prima edizione dei suoi ultimi scritti si osserva: «Hoffmann non fu mai un grande amico della libera natura. Gli esseri umani, il comuni care con loro, l’osservarli, anche il solo vederli, era ciò che più gli stava a cuore. Quando d ’estate andava a passeggiare, il che, se il tempo era bello, avveniva quotidianamente verso sera,... non vi era osteria, non vi era pasticceria dove non entrasse per vedere chi c’era»". In seguito fu Dickens a lamentarsi più volte, mentre era in viaggio, per la mancanza di quei rumori della strada che ritene va indispensabili alla sua produzione letteraria. «Non so dire quan to mi manchino le strade», scrisse nel 1846 da Losanna, mentre era intento alla stesura di Dombey e figlio. «E come se dessero al mio cervello qualcosa, di cui esso, quando deve lavorare, non può fare a meno. Per una settimana, quindici giorni posso scrivere me ravigliosamente in un luogo appartato; poi mi basta una giornata a Londra per risollevarmi... Ma senza quella magica lanterna, la fatica, l’impegno di scrivere giorno dopo giorno, sono enormi... I (EuvKS complètes, vol. VI, traduzioni II, Ed. Calmann-Lévy), Paris 1887, p. 102 [trad. it. Iracconti cit., p. 41] [N.d.A.]. ” e [r n s t ] t [h e o d o r ] a [m a d e u s ] h o f f m a n n , Ausgewàhlte Schriften, voi. 15: Leben und NiJcA^jS, a cura di Julius EduardHitzig, voi. 3 .3 “ ed., Stuttgart 1839, pp. 32-34 [N.d.A.]. (CHARLES BAUDELAiRB,
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miei personaggi sembrano fermi se non hanno la folla intorno»". Fra le tante cose che Baudelaire criticava nell’odiata Bruxelles, una in particolare lo riempie di rabbia: «Niente esposizioni nelle bot teghe. La flànerìe, cosi amata dai popoli dotati di immaginazione, impossibile a Bruxelles. Niente da vedere, e strade impossibili»” . Baudelaire amava la solitudine; ma la voleva nella foUa. Nel corso del suo racconto, Poe fa scendere l’oscurità. Si sof ferma sulla città illuminata dalla luce a gas. L’immagine della stra da come ìntérieur, in cui si riassume la fantasmagoria del flàneur, è difficilmente separabile dall’illuminazione a gas. L’illuminazio ne a gas fu introdotta dapprima nei passages. Quando Baudelaire era bambino si cercò di utilizzarla anche all’aperto; furono instal late delle lanterne in place Vendóme. Con Napoleone III il nu mero dei lampioni a gas di Parigi cresce rapidamente” . In questo modo si aumentava la sicurezza della città; si faceva sentire a ca sa propria anche di notte la folla della strada; dall’immagine della metropoli si eliminava il cielo stellato con maggiore efficacia di quanto non facessero i suoi alti edifici. «Chiudo la tenda dietro il sole; è andato letto, come è giusto che sia; da questo momento in poi non vedo altra luce se non quella del gas»*” . AUa lima e alle stelle non si fa più nemmeno cenno. Nel periodo di massimo splendore del Secondo Impero i nego zi nelle strade principali non chiudevano prima delle dieci di sera. Fu il grande periodo del noctambulisme. «L’uomo», scriveva allo ra Delvau nel capitolo delle sue Heures parisiennes dedicato alla se conda ora dopo mezzanotte, «di tanto in tanto può riposare; gli sono concessi soste e tappe; tuttavia non ha il diritto di dormire»” . Sul lago di Ginevra, Dickens ricorda con nostalgia Genova, dove per i suoi vagabondaggi notturni aveva a disposizione due miglia di strada illuminata. In seguito, quando con tl declinare dei passa ges, passò di moda la flànerìe, e anche l’illuminazione a gas non fu più considerata elegante, a un ultimo flàneur che si aggirava tri* La stessa immagine in Crépuscule du soir. il cielo si chiude lentamente, come una gran de alcova; cfr. Ch a r l e s b a u d e l a ir e , (Euvres cit., I, p. io8 [N.d.A.]. “ Cit. ANON. [FRANZ m e h r in g ], Charles Dìckem, in «Die neue Zeit», 30 (1991/12), voi. I, p. 622 [N.d.A .1 ” CHARLES BAtJDELAiRE, (EuvKs c i t . , II, p. 710 [ t i a d . i t . La Capitale delle scimmie c i t . , p. 8] [N.d.A .1 “ Cfr. (MARCEL POETE [e t A L.]), La tmnsformatìon de Paris sous le Second Empire. Exposition de la Bibliothèque et des travaux historique de la ville de Paris. Organisée avec le concours des collections de P. Blondel [et al.], Paris 1910, p. 65 [N.d.A.]. ” jtJU E N LEMER, Paris au gaz, Paris 1861, p. 10 [N.^i.^.]. ” ALFRED DELVAU. Les heuresparisiennes, Paris i866, p. 206 [N.<ì.j4 .].
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Stemente per il Passage Colbert parve che il tremolio delle lanter ne ormai non esprimesse altro che il timore della fiamma di non essere pagata a fine mese” . Fu allora che Stevenson scrisse il suo lamento per la scomparsa delle lanterne a gas. Il suo rimpianto va soprattutto al ritmo con cui i lampionai nelle vie accendono le lan terne. In passato questo ritmo risaltava dall’uniformità del crepu scolo, ora invece da uno shock brutale con il quale intere città si trovano all’improvviso immerse nella luce dell’illuminazione elet trica. «Questa luce dovrebbe investire solo gli assassini o i crimi nali politici, oppure rischiarare i corridoi dei manicomi - l’orrore fatto per aumentare l’orrore»” . E lecito supporre che solo in una fase tarda l’iUuminazione a gas sia stata percepita in termini così idilliaci come nel necrologio di Stevenson. Lo conferma in parti colare il citato testo di Poe. L’effetto della luce non può essere de scritto in termini più sinistri: «I raggi delle lampade a gas, dap principio deboli nella loro lotta col giorno morente, avevano alla fine preso il sopravvento e su tutto gettavano una luce chiassosa e convulsa. Tutto era nero eppure splendido, come quell’ebano cui è stato paragonato lo stile di Tertulliano»” . «All’interno delle abi tazioni», scrive Poe in im altro passo, «U gas è assolutamente inam missibile. La sua luce incerta e dura offende l’occhio»’^. Tetra e confusa come la luce in cui si muove, appare anche la folla di Londra. Ciò non vale solo per la gentaglia che con la not te sbuca «dalle sue tane»” . Poe descrive in questi termini la clas se degli impiegati superiori: «Tutti avevano la testa leggermente calva, da cui la punta dell’orecchio destro, avvezza a reggere la penna, tendeva buffamente a staccarsi. Osservai che toglievano e rimettevano il cappello sempre con l’una o con l’altra mano, e por tavano orologi dalle corte catene d ’oro, massicce e antiche»” . Nel la sua descrizione Poe non ha puntato all’apparenza immediata. L’uniformità che viene attribuita ai piccoli borghesi a causa della loro esistenza nella folla è esagerata; il loro abbigliamento non è lontano dall’essere uniforme. Ancora più strana è la descrizione del modo in cui la folla si muove. «La maggior parte dei passanti C£r. LOUIS V E u n x o T , Lei odeurs de Paris, Paris 1914, p. 182 ” ROBERT LOUIS STEVENSON, Vir^tiibus Puerisque and OtherPapers, London, p. 192 (A Plea for Gas Lamps) [N .i./l.]. ” EDGAR ALLAN POE, Nouvelles Ustoires extraordinaires cit., p. 94 [trad. it. pp. 36-37] IK d .A .l ” iD ., Histoìres grotesques et sérieuses (CHARLES Ba u d e l a ir e , CEuvres compìètes, voi. X, Ed. Crépet-Pichois), Paris 1937, p. 207 ” ID ., Nouvelles histoìres extraordinaires c i t . , p . 94 [tx a d . i t . p . 36] [N.d.A.]. “ Ibid., pp. 90-91 [trad. it. p. 35] [N.(/./4 .].
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aveva l’aria soddisfatta delle persone d’affari cui tutto va bene. E sembravano intenti soltanto a farsi largo attraverso la folla. Le lo ro fronti erano aggrottate e i loro occhi giravano rapidamente. Se qualche passante li urtava, non mostravano alcun segno di impa zienza, ma si riassestavano gli abiti e via! per la loro strada. Altri, anch’essi numerosi, irrequieti ed eccitati, parlavano fra sé e gesti colavano, come se si sentissero soli proprio perché circondati da tanta folla. Se i loro passi venivano intralciati, subito cessavano di biascicare, ma raddoppiavano i loro gesti e aspettavano, con un sorriso sciocco e sgangherato sulle labbre che le persone che li ave vano ostacolati, passassero. Se venivano urtati, si sbracciavano in inchini a colui che li aveva urtati e avevano tutta l’aria di essere confusi e mortificati»*” . Si potrebbe credere che si tratti di mi serabili, di avvinazzati. In realtà si tratta di «gente per bene, com mercianti, procuratori e speculatori di borsa»” . Siamo di fronte a qualcosa che va oltre una psicologia delle classi**. Esiste una litografia di Senefelder che rappresenta un circolo di gioco. Nessuno dei personaggi che vi sono ritratti gioca alla ma niera consueta. Ognuno è occupato dalla propria passione; chi da una gioia contenuta, chi da diffidenza per il proprio partner, chi da cupa disperazione, chi da voglia di litigare; uno si accinge a to gliersi la vita. Nella sua stravaganza, questa incisione ricorda Poe. Tuttavia il soggetto di Poe è più ampio, e a esso corrispondono an che i suoi mezzi. In questa descrizione la sua maestrìa consiste nel fatto che egli esprime il disperato isolamento degli uomini nei lo ro interessi personali non, come Senefelder, nel variare delle loro * Un parallelo a questo passo si trova in Un jour de phiie (Un giorno di pioggia). La poe sia, anche se reca un’altra firma, dev’essere attribuita a Baudelaire (c£r. C h a r l e s B a u d e l a i r e , Vers retrouvés, introduzione e note di Jules Mouquet, Paris 1929). L’analogia fra l’ul timo verso e il riferimento di Poe a Tertulliano è tanto più significativa in quanto la poesia è stata scritta, al più tardi, nel 1843 ~ quando B audel^e dì Poe non sapeva ancora nulla («Chacun, nous coudoyant sur le trottoir glissant, I Egoiste et brutal, passe et nous éclabousse, I Ou, pour courir plus vite, en s’éloignat nous pousse. I Partout fange, déluge, obscurité du ciel: I Noir tableau qu’eùt rèvé le noir Ezéchiel! » : C h a r l e s b a u d e l a i r e , ^uvres cit., I, p. 211) ** L’immagine che Marx aveva dell’America, sembra essere della stessa sostanza del la descrizione di Poe. Sottolinea lo «slancio giovanilmente febbrile della produzione ma teriale» negli Stati Uniti, e la ritiene all’origine del fatto che non ci fu «né iJ tempo né l’op portunità di fare piazza pulita del vecchio mondo di fantasmi» ( k a r l m a r x , Derachtzehnte Brumaire des Louis Bonaparte cit., p. 30 [trad. it. p. 61]). In Poe, persino la fisionomia degli uomini d’affari ha un che di diabolico. Baudelaire descrive come all’avvento dell’o scurità nell’atmosfera si destano pigramente «dei demoni malsani, come uomini d ’affari» (CHARLES BAUDELAIRE, (Euvm Cit., I, p. io8). Forse questo passo del ii» io ; > ha subito l’influsso del testo di Poe [N.d.A.]. ” Ibid., p. 89 [trad. it. p. 34] [N.d.A.]. ” Ibid., pp. 89-90 [trad. it. p. 34] [N.d.A.].
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forme comportamentali, bensì nella insensata uniformità, sia dei loro abiti, sia del loro modo di fare. Il servilismo con cui chi vie ne urtato per di più si scusa consente di capire da dove provenga no gli strumenti che Poe impiega in questo passo. Provengono dal repertorio del clown. E Poe li usa in maniera simile a quella in se guito adottata dagli eccentrici. Nelle esibizioni dell’eccentrico è evidente un rapporto con l’economia. Nei suoi movimenti scon nessi imita sia le macchine, che dànno colpi alla materia, sia la con giuntura che ne dà alla merce. Le particelle della folla descritta da Poe determinano una mimesis assai simile allo «slancio giovanil mente febbrile della produzione materiale» e delle relative forme di commercio. La descrizione di Poe qui anticipa quanto in segui to, con le sue gabbie volanti e altri passatempi affini, riuscì a fare il luna park, che trasformò in eccentrico l’uomo qualunque. In Poe, la gente si comporta come se fosse in grado di esprimersi solo in seguito a un riflesso. Questo movimento appare ancora più disu mano per il fatto che sono coinvolti solo esseri umani. Se la foUa si ingorga, non accade per causa del traffico di vettxire - che non è mai menzionato - ma perché bloccata da altre folle. In una mas sa con queste caratteristiche, la flànerie non poteva fiorire. Nella Parigi di Baudelaire, non si era ancora giimti a questo pun to. C’erano ancora i traghetti sulla Senna, dove in seguito furono costruiti i ponti. Ancora nell’anno della morte di Baudelaire, a un impresario poteva venire in mente di far circolare cinquecento por tantine a uso dei cittadini agiati. Erano ancora in voga i passages, dove il flàneur era sottratto alla vista dei veicoli che non tollerano la concorrenza del pedone. C’era il passante che si infila tra la fol la; ma c’era anche il flàneur che ha bisogno di spazio e che non vuo le rinunciare alla sua vita da cittadino privato. Passeggia oziosa mente come personalità individuale; questo è il suo modo di pro testare contro la divisione del lavoro che fa della gente degli specialisti. E allo stesso modo protesta contro la loro laboriosità. Intorno al 1840 fu per qualche tempo di moda condurre tartaru ghe al guinzaglio nei passages. Il flàneur si faceva volentieri detta re il ritmo da loro. Se fosse stato per lui, il progresso avrebbe do vuto tenere questo passo. Ma non fu lui ad avere l’ultima parola, bensì Taylor, che dell’«Abbasso la flànerie'» fece una parola d’or dine” . Non pochi cercarono di farsi per tempo un’idea di ciò che avrebbe riservato il futuro. «Il flàneur», scrive Rattier nel 1857 ” Cfr. GEORGES FRIEDMANN, La cùse du pTogrès. Esquisse d'histoire des idées 1S95-J9JJ, Paris 1936^, p. 76 [N.d.A.].
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nella sua utopia Paris n ’existe pas, «che si era soliti incontrare per strada e davanti alle vetrine, questo personaggio futile, insignifi cante, eternamente curioso, sempre alla ricerca di emozioni a buon mercato, ed esperto solo di pavimentazione stradale, fiacre e lam pioni a gas... adesso si è fatto agricoltore, vignaiolo, produttore di lino, raffinatore di zucchero, industriale siderurgico»^. Nel corso del suo girovagare, sul tardi l’uomo della foUa finisce in un grande magazzino ancora molto affollato. Sembra conosce re il posto alla perfezione. All’epoca di Poe esistevano grandi ma gazzini a più piani? Come che sia, quell’uomo irrequieto trascor re nel grande magazzino circa «un’ora e mezza». «Visitò l’uno do po l’altro tutti i reparti senza comprare nulla, senza pronunciare una parola, gettando solo sulle merci uno sguardo smarrito e vuo to»". Se il passage è la forma classica di intérieurìn cui la strada si presenta al flàneur, il grande magazzino ne è la forma degenerata. Il grande magazzino è l’ultimo terreno che il flàneur può calcare. Se inizialmente la strada era stata per lui un intérieur, ora questo diventava per lui una strada, ed egli errava attraverso il labirinto delle merci come in passato attraverso il labirinto della città. E un tratto straordinario del racconto di Poe che nella prima descrizio ne del flàneur esso già inscriva la figura della sua fine. A proposito di Baudelaire, Jules Laforgue ha detto che era sta to lui il primo a parlare di Parigi dal punto di vista di chi «giorno dopo giorno è condannato a vivere nella capitale»". Avrebbe po tuto dire che era stato il primo a parlare anche dell’oppiato con cesso a questo - e solo a questo - condannato. La foUa non è solo il rifugio più recente del proscritto; è anche la più recente droga di chi è abbandonato a se stesso. Il flàneur è un uomo abbandona to a se stesso nella folla. Egli condivide così la situazione della mer ce. Di questa particolarità non è cosciente. Non per questo essa agisce meno su di lui. Essa lo compenetra e inebbria come una dro ga in grado di compensarlo di molte umiliazioni. L’ebbrezza cui si abbandona il flàneur è quella della merce immersa nel cupo rumo reggiare dei clienti. Se esistesse quell’anima della merce cui Marx di quando in quando fa scherzosamente cenno'*’, sarebbe la più empatica mai esistita nel regno delle anime. Perché dovrebbe vedere in ciascuPuris n ’existepas, Paris 1857, PP- 74-75 [N .ii.il.]. Nouvelkshistoiresextraordtmirescìt.,p. 98 [trad. it. p. 39] [N.d.A.]. ” juvES lAPOìLGim, Mélangesposthumes, Paris 1903, p. i i i [N.d.A.]. Cfr. KARL MARX, Das Kapitalcit., p. 95 [trad. it. p. 95] [N.ì/.ì4 .].
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PAUL-ERNEST DE RATTIER,
■“ EDGAR AIXANPOE,
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no quell’acquirente nelle cui mani e nella cui casa si vuole intro durre. L’empatia è però all’origine anche dell’ebbrezza cui il flaneur si abbandona nella folla. «Il poeta gode di questo incompa rabile privilegio di poter essere a piacere se stesso e altri. Come quelle anime vagabonde che bramano un corpo, lui penetra a suo talento nella maschera di chiunque. E solo per lui che tutto è aper to; e se certi luoghi paiono essergli sbarrati, è che ai suoi occhi non valgono la pena di essere visitati»^. A parlare, qui è la merce stes sa. Anzi, le ultime parole dànno un’idea assai precisa di ciò che es sa sussurra al povero diavolo che passa accanto a una vetrina pie na di cose belle e costose. Non vogliono saperne di lui; in lui non riescono a immedesimarsi. Nelle frasi del significativo testo Les fouks {Le folle), parla, con altre parole, il feticcio stesso: la predi sposizione sensitiva dello stesso Baudelaire è a tal punto in sinto nia con quest’ultimo che l’immedesimazione nell’inorganico è sta ta una delle fonti della sua ispirazione*. Baudelaire era un esperto di droghe. Eppure uno dei loro più significativi effetti sociali sembra essergli sfuggito. Si tratta dello charme che caratterizza chi fa uso di stupefacenti. La merce pro duce lo stesso effetto sulla folla che la esalta, le rumoreggia intor no. La concentrazione di clienti, che propriamente crea quel mer cato che trasforma la merce in merce, accresce il fascino di quest’ultima per l’acquirente medio. Quando Baudelaire parla di un’«ebbrezza religiosa delle metropoli»'”, il non specificato sog getto dovrebbe essere la merce. E se il raffronto con l’amore de ve avere un senso, la «santa prostituzione dell’anima», paragona ta alla quale «ciò che gli uomini chiamano amore» sarebbe «assai piccolo, assai limitato e assai debole»''*, non può che essere la pro stituzione dell’anima della merce. «Cette sainte prostitution de l’àme qui se donne tout entière, poésie et charité, à l’imprévu qui * Agli esempi che in questo senso si sono accumulati nella prima parte, si aggiunge, fra i pili significativi, la seconda poesia dello Spleen. È difficile immaginare che prima di Baudelaire un poeta abbia scritto un verso che equivalga al «Je suis un vieux boudoir plein de roses fanées» (CHARLES BAUDELAIRE, (Euvres cit., I, p. 86). La poesia è completamente orientata verso l’immedesimazione in una materia che è morta in duplice senso: perché è la materia inorganica, e perché è espulsa dal processo di circolazione («Désormais tu n ’es plus, ó matière vivante! I Qu’un granit entouré d ’une vague épouvante, I Assoupi dans le fond d ’un Saharah brumeux; I Un vieux sphinx ignoré du monde insoucieux, I Oublié sur la car te, et dont l’humeur farouche 1 Ne chante qu’aux rayons du soleil qui se couche»; ibid.). L’immagine della sfinge che chiude la poesia, ha la cupa bellezza di quella merce invendu ta che ancora si trova nei passages [N.d.A.]. ” CHARLES BAUDELAIRE, CEuvres c i t . , I, p p . 420-21 [ t r a d . i t . Opere c i t . , p p . 400-1] [N .d.A .l ” Ibid., II, p. 627 [K d .A .l *^lbid.,\, p. 421 [N .d.A .l
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se montre, à l’inconnu qui passe»'*’, dice Baudelaire. È esattamente questa poéste, è esattamente questa charité che le prostitute riven dicano per sé. Esse avevano sperimentato i segreti del libero mer cato; la merce in questo ambito non aveva alcun vantaggio su di loro. Sul mercato si fondavano alcune delle loro attrattive, che di vennero altrettanti strumenti di potere. In quanto tali Baudelaire li registra nel Crépuscule du Soir: A travers les lueurs que tourmente le vent A travers les lueurs que tourmente le vent La Prostitution s’allume dans les rues; Gomme une fourmillière elle ouvre ses issues; Partout elle se fraye un occulte chemin, Ainsi que l’ennemi qui tente un coup de main; Elle remue au sein de la cité de fange Gomme un ver qui dérobe à l’homme ce qu’il mange'**.
Solo la massa degli abitanti consente alla prostituzione di diffon dersi in ampie parti della città. E solo la massa consente all’oggetto sessuale di inebriarsi delle centinaia di effetti stimolanti che esso stesso al contempo esercita. Non su tutti lo spettacolo offerto dal pubblico delle vie di una metropoli aveva effetti inebrianti. Assai prima che Baudelaire componesse il suo poema in prosa Les foules, era stato Friedrich Engels a descrivere l’andirivieni delle strade di Londra. «Una città come Londra, dove si può camminare per ore senza veder neppu re l’inizio della fine, senza incontrare il benché minimo segno che faccia supporre la vicinanza dell’aperta campagna, è certo qualco sa di singolare. Questa immensa concentrazione, questa agglome razione di due milioni e mezzo di uomini in un solo punto, ha cen tuplicato la forza di questi tre milioni e mezzo... Ma è solo in se guito che si scopre quanti sacrifici sia costato tutto ciò. Dopo avere calcato per qualche giorno il selciato delle strade principali... si ri leva che questi londinesi hanno dovuto sacrificare la parte miglio re della loro umanità per compiere tutti quei miracoli di civiltà di cui la loro città è piena, che centinaia di forze latenti in essi sono rimaste inattive e sono state soffocate... Già il traffico delle stra de ha qualcosa di repellente, qualcosa contro cui la natura umana si ribella. Le centinaia di migUaia di individui, di tutte le classi e di tutti i ceti che si urtano tra loro, non sono tutti esseri umani con le stesse qualità e capacità, e con lo stesso desiderio di essere felici?... Eppure si passano accanto in fretta, come se non aves" lb id [ K d .A .l *‘ Ibid.,p. io8[N.
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sero nulla in comune, nulla a che fare l’uno con l’altro, e tra loro vi è solo il tacito accordo per cui ciascuno sul marciapiede tiene la destra, affinché le due correnti della calca, che si precipitano in direzioni opposte, non si ostacolino a vicenda il cammino; eppure nessuno pensa di degnare gli altri di uno sguardo. La b ru tte in differenza, l’insensibile isolamento di ciascuno nel suo interesse personale emerge in modo tanto più ripugnante ed offensivo, quan to maggiore è il numero di questi singoli individui che sono am massati in uno spazio ristretto»'”. Il flàneur solo apparentemente infrange questo «insensibile iso lamento di ciascuno nel suo interesse personale», colmando il vuo to che il suo isolamento ha creato in lui con quelli presi in presti to, e oltretutto immaginati, degli estranei. Se paragonato alla chia ra descrizione di Engels, quanto scrive Baudelaire appare oscuro: «Il piacere di trovarsi tra le folle è un’espressione misteriosa del godimento della moltiplicazione del numero»’®;la frase tuttavia si chiarisce se la si immagina pronunciata non dal punto di vista del l’essere umano bensì da quello della merce. Nella misura in cui l’es sere umano, in quanto forza lavoro, è merce, non ha proprio bi sogno di immedesimarsi appositamente nella merce. Quanto più diviene cosciente che questo suo modo di essere è quello impo stogli dal sistema produttivo - quanto più si proletarizza - tanto più lo pervade l’alito gelido dell’economia mercantile, tanto meno gli accadrà di immedesimarsi nella merce. Ma la classe dei piccoli borghesi, di cui faceva parte anche Baudelaire, ancora non aveva raggiunto questo stadio. Aveva appena iniziato a scendere lungo i gradini della scala. Era inevitabile che molti suoi esponenti un gior no avrebbero compreso la natura di merce della loro forza lavoro. Ma quel giorno non era ancora giunto. E sino ad allora potevano, per cosi dire, far passare il tempo. Proprio il fatto che essi frat tanto, nella migliore delle ipotesi, potessero essere partecipi del godimento, ma mai del potere, faceva del periodo concesso loro dalla storia un oggetto per passare il tempo. Chi va in cerca di un passatempo, va in cerca del godimento. Va da sé che al godimen to di questa classe erano posti limiti tanto più ristretti quanto più essa vi indulgeva in questa società. Il godimento era invece meno limitato, quando era possibile godere óiella società. Se in questo ” FRIEDRICH ENGELS, Die Lage der orbeitenden Klasse in England. Nach eigner Anschauung und authentìschen Quelkn, 2“ ed., Leipzig 1848, pp. 36-37 [trad. ìt. La situazione della clas se operaia in Inghilterra, in k a r l m a r x e F r ie d r ic h e n g e l s , Opere IV, Editori Riuniti, Ro ma 1972, pp. 262-63] [N.d.A.]. ” CHARLES BAUDELAIRE, CEuvres cit., II, p. 626 [trad. it. Opere cit., p. 1387] [N.
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modo di trovare godimento, voleva giungere sino al virtuosismo, non poteva disdegnare l’immedesimazione nella merce. Doveva assaporare questa immedesimazione con il desiderio e l’appren sione che le derivavano dal presentimento della sua stessa desti nazione a essere classe. Doveva infine metterle a disposizione un sensorio in grado di cogliere il fascino anche del guasto e del mar cio. Baudelaire, che nella poesia dedicata a una cortigiana defini sce «il suo cuore, ammaccato come una pesca, è già maturo per il dotto amore» al pari del suo «corpo», era in possesso di questo sensorio. Ad esso doveva il suo godere di quella società dalla qua le ormai era quasi stato escluso. Nell’atteggiamento di chi gode in questo modo, lasciava agire su di sé lo spettacolo della folla, il cui fascino maggiore consisteva nel fatto che sebbene lo ponesse in uno stato di ebbrezza, tutta via non lo allontanava dall’orrore della realtà sociale, di cui con servava coscienza; però come chi, sotto l’influsso delle droghe, è ancora cosciente delle circostanze reali. Per questo motivo in Bau delaire la metropoli non è quasi mai descritta nella raffigurazione diretta dei suoi abitanti. L’immediatezza e la durezza con cui uno Shelley fissò Londra nell’immagine dei suoi cittadini, non poteva tornare a profitto della Parigi di Baudelaire. Hell is a city much like London A populous and a smoky city; There are all sorts of people undone, And there is little or no fun done; Small justice shown, and stiU less pity**^.
Davanti a questa immagine per il flàneur si distende un velo. Questo velo è la massa che ondeggia nelle «pieghe sinuose delle antiche capitali»” . Essa fa si che anche l’orrore gli appaia incan tevole” . Solo quando questo velo si strappa, consentendogli di scorgere «una piazza gremita che una sommossa ha ridotto a una solitudine»’^, anche al flàneur \& grande città appare così com’è. * L’originale propone la traduzione che dei versi di Shelley diede Brecht: «Die Halle ist eìne Stadt, sehr àhnlich London - 1 Etne volkreiche und eine muchige Stadt. I Dort giht es alle Arten von ruinierten Leuten I Vnd dort ist wenig oder gar kein Spa^ I Wenig Gerechtigkeit und noch weniger Mitkid» [«L’inferno è una città, molto simile a Londra - I Una città piena di gente e di fumo. I Ci sta un’infinità di gente rovinata 1e poco o nessun divertimento I poca giustizia e ancor meno compassione»] [N.
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Se vi fosse bisogno di dimostrare la forza con cui l’esperienza della folla agì su Baudelaire, basterebbe citare il fatto che nel se gno di questa esperienza egli tentò di gareggiare con Hugo. Bau delaire era convinto che proprio questo fosse il punto di forza di Hugo, di cui decanta il «caractère poètique..., interrogatif»” e spiega che egli non solo riesce a rappresentare con precisione e chiarezza ciò che è chiaro, ma anche a descrivere con la necessa ria oscurità quanto è stato rivelato solo in maniera oscura e con fusa. Delle tre poesie dei Tableaux parìsiens dedicate a Hugo, una si apre con un’invocazione alla popolosa città - «città brulicante, piena di sogni»’* - un’altra segue le vecchierelle nella «tela bruli cante»” della città, attraverso la folla*. La foUa, nella lirica, è un soggetto nuovo. Ancora l’innovatore Sainte-Beuve veniva lodato perché, come era adeguato e si conveniva a un poeta, «la folla gli risultava insopportabile»’*. Fu Hugo, durante il suo esilio a Jersey, a rendere accessibile questo tema alla poesia. Nel corso delle sue solitarie passeggiate sulla costa esso si delineò alla sua mente gra zie a una di quelle grandiose antitesi che erano indispensabili alla sua ispirazione. In Hugo la folla trova spazio nella poesia in quan to oggetto di contemplazione. Le onde dell’oceano sono il suo mo dello, e il filosofo che riflette su questo spettacolo eterno è l’au tentico esploratore della foUa, nella quale si smarrisce come nel fra gore del mare. «Come dalla scogliera solitaria volge lo sguardo verso le grandi fatali nazioni, così l’esule scruta nel passato dei po poli... Colloca se stesso e il proprio destino nella massa degli av venimenti ed essi acquistano vita, e trascorrono con l’esistenza del le forze naturali, con il mare, le rocce erose, il correre delle nuvo le e le altre meraviglie che ha in sé una vita solitaria e tranquilla in rapporto con la natura»” . «L’océan méme s’est ennuyé de lui», ha detto Baudelaire di Hugo, sfiorando con il fascio di luce della sua ironia quella figura ferma sulla scogliera a rimuginare. Baude laire non aveva motivo di abbandonarsi allo spettacolo della na tura. La sua esperienza della foUa recava le tracce di quei «torti e mille urti» che il passante subisce nella ressa di una città e che ten * Nel ciclo Les petites vieilks la terza poesia sottolinea la rivalità grazie a una citazione letterale dalla terza poesia dei Fantómes di Hugo. Risultano cosi correlate una delle poesie pili perfette di Baudelaire e una delle più deboli fra quelle sa itte da Hugo [N.d.A.]. ” Ibid., p. 522 ” Ibid., I, p. 100 [trad. it. Opere cit., p. 179] [N .i./lJ. ” Ibid., p. 103 [ibid., p. rSs] [N.
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gono desta la sua auto-consapevolezza. (È in fondo questa auto consapevolezza che egli presta alla merce ambulante). La folla non ha mai indottò Baudelaire a scandagliare col pensiero le profon dità del mondo. Hugo invece scrive: «les profondeurs son des multitudes»“ e in questo modo schiude ai suoi sensi uno spazio im menso. L’elemento al contempo naturale e sovrannaturale, che colpì Hugo come se fosse la folla, è presente nel bosco, come nel mondo animale, come nei marosi; in ciascuno di questi per qual che istante può balenare la fisionomia di una grande città. La Pein^ te de la réverie ci fornisce un’idea grandiosa della promiscuità che regna nella moltitudine di tutte le cose viventi. La nnit avec la foule, en ce rève hideux, Venait, s’épaississant ensemble toutes deux, Et, dans ces régions que nul regard ne sonde, Plus l’homme était nombreux, plus l’ombre était profonde**.
Foule sans nom! chaos! des voix, des yeux, des pas. Ceux qu’on n’a jamais vus, ceux qu’on ne connaìt pas. Tous les vivants! - cités bourdonnant aux oreilles Plus qu’un bois d’Amérique ou des ruches d’abeilles*^.
Con la folla, la natura impone alla città il suo diritto elementa re. Ma non è solo la natura a esercitare i suoi diritti. Nei Mìsérables vi è un passo stupefacente in cui l’intrico della foresta appare come archetipo dell’esistenza massificata. «Quanto era appena av venuto in questa strada non avrebbe stupito una foresta; gli albe ri e gli arbusti, l’erica, i rami impenetrabilmente intrecciati e l’er ba alta conducono un’esistenza cupa; il selvaggio pullulare vi in travede l’improvvisa comparsa dell’invisibile; quanto è al di sotto dell’uomo, attraverso la bruma scorge quanto sta oltre l’uomo». Questa descrizione ha in sé il tratto peculiare dell’esperienza di Hugo con la folla. Nella folla quanto è d di là dell’uomo si pone in relazione con quanto sta oltre l’uomo. E questa la promiscuità che comprende tutte le altre. In Hugo la folla appare una creatura ibri da che forze informi sovraumane fanno partorire a quelle che so no inferiori all’uomo. Nel tratto visionario radicato nell’idea che Hugo ha della folla, l’essere sociale ottiene maggiore giustizia che non nell’uso «realistico» che lo scrittore le riserva in ambito poli“ Cit. IN .d.A .l
GABRIEL BOUNOURE,
Ahimè de Victor Huso, in «Mesures», 15 luglio 1936, p. 39
“ VICTOR HUGO, CEuvres complètes cit., Poesie, voi. II: Les orientales. Les feuilles d'automne, Paris 1880, p. 365 [N.ì.y4 .]. “ Ibid., p. 363 [N .d.A .l
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tico. Perché la folla è effettivamente una bizzarria della natura, ammesso che sia lecito applicare l’espressione alla situazione so ciale. Una strada, un incendio, un incidente stradale fanno racco gliere persone che come tali sono libere da una determinazione di classe. Si presentano come assembramenti concreti; ma in senso sociale rimangono comunque astratte, rimangono cioè nell’isola mento dei loro interessi personali. Il loro modello sono i clienti che - ciascuno nel suo interesse personale - al mercato si radimano in torno alla «causa comune». Questi assembramenti spesso hanno un’esistenza esclusivamente statistica che non rivela cosa li rende tanto mostruosi: la concentrazione come tale di persone private grazie alla casualità dei loro interessi personali. Quando tuttavia questi assembramenti dànno nell’occhio - e a questo provvedono gli stati totalitari rendendo la concentrazione dei loro clienti per manente e vincolante per ogni iniziativa - allora il loro carattere ibrido emerge con chiarezza, soprattutto per i diretti interessati. Essi razionalizzano la casualità dell’economia di mercato che li ha radunati nei termini di «destino», nel quale «la razza» ritrova se stessa. In questo modo di agire essi dànno via libera al contempo all’istinto gregale e all’agire riflesso. I popoli che sono in primo pia no sulla scena dell’Europa occidentale vengono a contatto con il sovrannaturale che Hugo scorse nella folla. Hugo tuttavia non fu in grado di comprendere il segno storico di questa grandezza. Nel la sua opera ha però lasciato la propria impronta con una strana al terazione: sotto forma di verbali di sedute spiritiche. Il contatto con il mondo degli spiriti, che com’è noto a Jersey agi con pari intensità sulla sua esistenza e suUa sua produzione, era, per quanto strano possa sembrare, soprattutto un contatto con le masse di cui il poeta in esilio sentiva la mancanza. Perché la fol la è il modo di essere del mondo degli spiriti. Cosi Hugo vedeva innanzitutto se stesso come genio nella grande adunanza dei geni suoi antenati. Per pagine intere il suo William Shakespeare in gran di rapsodie passa in rassegna questi principi dello spirito, inizian do da Mosé e terminando con Hugo. Si tratta però solo di una pic cola schiera nella grande foUa dei defunti. Lo adplures ire dei lati ni per l’ingegno ctonio di Hugo non era un sempUce modo di dire. - Gli spiriti dei morti giunsero tardi, come nunzi della notte, nel l’ultima seduta. Gli appunti di Jersey ne conservano i messaggi: «Ogni grande lavora a due opere. L’opera che crea da vivo, e la sua opera degli spiriti... Il vivente si dedica alla prima opera. Not tetempo tuttavia, nella più grande quiete, in questo vivente si ri sveglia, oh orrore! il creatore di spiriti. Come?, esclama la crea
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tura, non ho ancora finito? - No, risponde lo spirito, forza, alza ti; c’è la tempesta, cani e volpi abbaiano; ovunque regna l’oscu rità, la natura rabbrividisce; trasalisce, frustata da Dio... Il crea tore di spiriti vede l’idea-fantasma. Le parole recalcitrano e la fra se rabbrividisce..., la finestra si appanna, la lampada è presa dalla paura... Stai in guardia, vivente, stai in guardia uomo di un seco lo, oh vassallo di un’idea che viene dalla terra. Perché questa è la follia, questa è la tomba, questo l’infinito, questa è un’idea-fantasma»“ . Il fremito cosmico nell’esperienza dell’invisibile che Hu go fissa a questo punto non ha alcuna somiglianza con la pura e sempUce paura che sopraffaceva Baudelaire nello spleen. Inoltre Baudelaire non ebbe molta comprensione per l’impresa di Hugo. «La civiltà autentica», disse, «non consiste nello spostare tavoli». A Hugo però non interessava la civiltà. Nel mondo degli spiriti in fondo si sentiva a casa. Si potrebbe dire che era il complemento cosmico di una situazione casalinga anch’essa non priva di orrori. La sua intimità con le apparizioni toglie loro gran parte dei tratti spaventosi. Essa non è nemmeno del tutto passiva e smaschera quanto in quelle vi è di inconsistente. Il pendant agli spiriti not turni sono delle vuote estrazioni, le personificazioni più e meno sensate che all’epoca si era soliti trovare sui monumenti. «Il Dram ma», «la Lirica», «la Poesia», «il Pensiero» e molte altre consi mili nei verbali di Jersey si collocano con disinvoltura accanto al le voci del chaos. Le sterminate schiere del mondo degli spiriti - ci si potrà cosi forse avvicinare alla soluzione dell’enigma - per Hugo sono so prattutto un pubblico. Che la sua opera recepisca motivi dei ta voli che parlano è meno sorprendente del fatto che egli esibisca l’opera stessa nel corso delle sedute. Gli applausi che l’aldilà non gli lesinò durante l’esilio gli diedero un’idea di quelli, infiniti, che in patria gli avrebbe riservato la vecchiaia. Quando il giorno del suo settantesimo compleanno il popolo della capitale si accalcò sot to la sua casa in Avenue d ’Eylau, si realizzò l’immagine dell’on da che s’infrange sugli scogli, ma anche il messaggio del mondo degli spiriti. L’insondabile oscurità dell’esistenza massificata è infine anche la fonte delle speculazioni rivoluzionarie di Victor Hugo. Nei Chàtiments il giorno che porta la liberazione viene descritto nei se guenti termini: “ GUSTAVE SIMON, Chez VictorHugo. Les tahks toumantes de Jersey. Procés-verbaux des séances, Paris 1923, pp. 306-8, 314
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Le jour ou nos pillards, où nos tyrans sans nombre Comprendront que quelqu’un remue au fond de l ’ombre*^.
All’idea di una massa oppressa collocata nel segno della foUa po teva corrispondere un giudizio rivoluzionario attendibile ? Non era quell’idea piuttosto espressione evidente della limitatezza del giu dizio quale che ne fosse l’origine? Nel dibattito alla Camera del 2 novembre 1848, Hugo aveva protestato contro la barbara repres sione dell’insurrezione di giugno a opera di Cavaignac. Il 20 giu gno tuttavia, nella discussione sugli ateliers mtìonaux aveva coniato il motto: «La monarchia aveva i suoi perdigiorno, la repubblica ha i suoi fannulloni»*. Il riflesso, inteso come idea superficiale del l’immediato e ingenua del futuro, in Hugo si ritrova accanto alla profonda intuizione della vita che si crea nel grembo della natura e del popolo. Hugo non fu mai in grado di giungere a una media zione; il fatto che non ne abbia mai avvertito la necessità, era il jresupposto dell’enorme ambizione, dell’enorme dimensione dela sua opera, e probabilmente anche dell’enorme effetto che essa ebbe sui contemporanei. Nel capitolo à.€\Misérables intitolato L'argot i due lati contrastanti della sua natura si contrappongono con particolare asprezza. Dopo avere gettato arditi sguardi nell’offici na linguistica del popolo minuto, il poeta così conclude: «Dall’89 in poi, tutto il popolo si dilata nell’individuo sublimato; non v’è povero che, con il suo diritto, non abbia il suo raggio; il morto di fame sente in sé l’onestà della Francia; la dignità del cittadino è una armatura interiore; chi è libero è scrupoloso; chi vota regna»*’. Victor Hugo vedeva le cose filtrate dalle esperienze di una glorio sa carriera letteraria e da una brillante carriera politica. Fu il pri mo grande scrittore a dare titoli collettivi alle sue opere - Les mtsérables, Les travailleurs de la mer. La foUa era per lui, quasi in sen* Pélin, un tipico rappresentante della bohème minuta, nel suo giornale «Les boulets rouges. Feuille du club pacifique des droits de l’homme» a proposito di questo discorso aveva scritto: «Il cittadino Hugo ha fatto il suo debutto all’Assemblea nazionale. Si è ri velato, come era prevedibile, un delatore, un istrione e un parolaio; rifacendosi al senso del suo ultimo scaltro e diffamatorio manifesto, ha parlato degli oziosi, della miseria, dei per digiorno, dei lazzaroni, dei pretoriani della rivolta, dei condottieri: insomma, ha abusato della metafora per attaccare gli ateliers m tiom ux» (a n o n . , Vaits diven, in «Les boulets rou ges. Feuille du club pacifique des droits de l’homme» [redattore: Le C“ PéUn], i “ anna ta, n. I , dal 22 al 25 giugno 1848, p. i ) . - Nella suaHistoireparlamentairede la SecondeRépuhlique Eugène Spuller scrive: «Victor Hugo era stato eletto con i voti della reazione. [...] Fatta eccezione per due o tre occasioni di scarso rilievo politico, aveva sempre votato con la Destra» (e u g è n e s p u l l e r , Histoireparlamentaire de la Seconde RépubUtjue suivi d'une pe tite hhtoire du Second Empire, Paris 1891, pp. i n e 266) [N.d.A.]. “ VICTOR HUGO, CEuvres complètes cit., Poesìe cit., v o i. IV: Les Chàtiments, Paris 1882, P- 397 («Le carovane W ») [N .i.A .]. " Ibid., Roman cit., voi. V ili: Les misérables cit., IV, p. 306 [trad. it. p. 917] [N.ii./l.].
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SO antico, la folla dei clienti: ossia la massa di suoi lettori ed elet tori. In sintesi, Hugo non era un flàneur. Per la folla che seguiva Hugo e che Hugo seguiva, Baudelaire non esisteva. Questa folla tuttavia c’era per lui. La sua vista lo in duceva ogni giorno a scandagliare la profondità del proprio insuc cesso. E fra i motivi che lo inducevano a cercare quello spettaco lo, questo non era certamente l’ultimo. Alimentava alla fama di Hugo la disperata superbia che, in un certo quel modo a tratti, lo coglieva. Con intensità ancora maggiore lo pungolava probabil mente il credo politico di Hugo. Era il credo politico del citoyen. Le masse della metropoli non potevano fuorviarlo. In esse ricono sceva il popolo. Voleva essere materia della sua materia. Lo spiri to laico, il progresso e la democrazia erano il vessillo che innalza va. Questo vessillo trasfigurava l’esistenza massificata. Celava la soglia che separa il singolo dalla folla. Baudelaire difendeva que sta soglia; in questo era diverso da Hugo. Gli somigliava tuttavia per il fatto che neanche lui fu in grado di penetrare con lo sguar do l’apparenza sociale che si manifesta nella folla. Per questo le contrappose un modello che era altrettanto acritico quanto la con cezione che della folla aveva Hugo. Questo modello è l’eroe. Nel momento in cui Victor Hugo esalta la massa come eroe in un epos moderno, Baudelaire cerca un rifugio per l’eroe nella massa della metropoli. Da citoyen Hugo si immedesima nella folla, da eroe Bau delaire si isola dalla stessa.
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m. La modernità Baudelaire ha modellato la sua immagine dell’artista sull’im magine dell’eroe. Entrambi si schierano sin dagli esordi l’uno a fa vore dell’altro. «Occorre che la volontà» si legge nei Salon de 184^ «sia una facoltà armoniosa e sempre produttiva e perché possa... dare un’impronta... a opere di second’ordine... Lo spettatore gioi sce dello sforzo e l’occhio beve il sudore»’. I Conseils aux jeunes littérateurs, dell’anno successivo, propongono la bella formula in cui la «contemplation opiniàtre de l’ceuvre de demain»^ appare co me garanzia dell’ispirazione. Baudelaire conosce l’« indolance naturelle des inspirés»’; Musset non ha mai capito quanto lavoro sia necessario per «far nascere un’opera d’arte da una fantasticheria»^. Baudelaire invece sin dal primo momento si presenta al pubblico con un proprio codice, propri statuti e propri tabu. Barrès ritiene di potere scorgere «anche nella più insignificante parola di Baude laire le tracce della fatica che lo ha portato a quella grandezza»’. «Baudelaire conserva qualcosa di sano anche nella sua crisi nervosa»‘, scrive Gourmont. La definizione pid felice è del simboli sta Gustave Kahn, quando afferma che «in Baudelaire il lavoro poetico era simile a uno sforzo fisico»’. La prova in questo senso va ricercata nell’opera - in una metafora che merita di essere con siderata più da vicino. Si tratta della metafora dello schermitore, nella quale Baudelai re volentieri rappresentava come artistici i tratti della marzialità. Descrive Constantin Guys, al quale era affezionato e che va a tro‘ CHARLES BAUDELAIRE, Gittvres c i t., II, p . 26 [ tt a d . i t . Scritti sull’arte c i t., p . 13] ^ Ibid., p . 388 [NJ.A:]. ^Ibid.,p. 531 '*Cit. ALBERT THBAUDET, Ifitérieurs, Paris 1924, p . 15 [N.d.A.]. ’ Cit. ANDRÉ GIDE, Baudelaire eM . Faquet, in «Nouvelle revue fran^aise», volume 4, 1° novembre 1910, p. 513 [N.d.A.]. ‘ RÉMY DE GOURMONT, Promemdes littéraires, seconda serie, Paris 1906, p . 86 [N.ìÌ.ì4 .]. ’ CHARLES BAUDELAIRE, Afo» cosur mts à nu etfusées. Joumaux intimes, edizione confor me al manoscritto di Gustave Kahn, Paris 1909, p. 5 [N,ì/.j4 .].
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vare nelle ore in cui gli altri dormono, mentre «chino sul suo ta volo, lancia sul foglio di carta lo stesso sguardo che poc’anzi ri volgeva alle cose; tira di scherma con la sua matita, la sua penna, il suo permeilo; fa schizzare l’acqua dal bicchiere al soffitto, asciu ga la penna sulla camicia; lavora in fretta, violento, quasi temesse che le immagini gli sfuggano; è in lotta benché solo e para i suoi stessi colpi»*. Nella prima strofa del Soleìl, Baudelaire ha ritratto se stesso nel pieno di una simile «scherma fantastica», e questo è forse il solo passo delle Vleurs du mal che lo mostri nel suo lavoro poetico. Il duello che coinvolge ogni artista e nel quale egli «pri ma di soccombere, grida per l’orrore»’ è inserito nella cornice di un idillio; i suoi tratti violenti sono posti in secondo piano, men tre si manifestano quelli affascinanti. Le long du vieux faubourg, ou pendent aux masures Les persiennes, abri des sécrètes luxures, Quand le soleil cruci frappe à traits redoublés Sur la ville et les champs, sur les toits et les blés, Je vais m’exercer seul à ma fantasque escrime, Flairant dans tous les coins les hasards de la rime, Trébuchant sur les mots comme sur les pavés, Heurtant parfois des vers depuis longtemps révés“ .
Rendere giustizia anche nella prosa a queste esperienze proso diche era uno degli obiettivi che Baudelaire si era posto nello Spleen de Paris, la sua raccolta di poemi in prosa. La dedica ad Arsène Houssaye, redattore capo della «Presse», accanto a questo obiet tivo rivela quali fossero le basi autentiche di quelle esperienze. «Chi tra noi non ha, nei suoi giorni ambiziosi, sognato il miraco lo di una prosa poetica, musicale senza ritmo e senza rima, cosf duttile e così risentita da adeguarsi ai movimenti lirici dell’anima, agli ondulamenti della fantasticheria, ai soprassalti della coscien za ? E soprattutto dalla frequentazione delle città enormi, dall’incrociarsi dei loro innumerevoli rapporti che nasce questo ideale os sessionante»” . Se si vuole chiamare alla mente questo ritmo e seguire questo modo di lavorare, risulterà che il flàneur di Baudelaire è solo fino a un certo punto un autoritratto del poeta così come ce lo atten diamo. Un elemento significativo del vero Baudelaire - cioè del poeta votato alla sua opera - è stato escluso da questa immagine: (EuVres d t., II. p. 334 [N.d.A.]. Ch. Baudektre d t., p. 318 [N.d.A.]. CHARLES BAUDELAIRE, CEuVKS d t., I, p. 96 [N.li.i4 .]. " Ibid., pp. 405-6 [trad. it. Opere d t., pp. 385-86] [N.d.A.].
' CHARLES BAUDELAIRE,
’ Cfr.
ERNEST RAYNAXJD,
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la condizione di chi è soprapensiero. - Nel flàneur è la curiosità a festeggiare il proprio trionfo. Essa può concentrarsi nell’osserva zione - e si ha l’investigatore dilettante; oppure può ristagnare nel la curiosità stupefatta - e allora il flàneur si trasforma in badaui*. Le descrizioni più istruttive sulla metropoli non sono opere né del l’imo né dell’altro. Provengono invece da coloro che hanno attra versato la città per cosi dire assenti, persi nei loro pensieri e nelle loro preoccupazioni. A loro si adatta l’immagine della fantasque escrime-, il loro stato d’animo, che non ha nulla a che vedere con quello dell’osservatore, era l’obiettivo di Baudelaire. Nel suo libro su Dickens, Chesterton ha magistralmente descritto lo scrittore che, perso nei suoi pensieri, va errando per la metropoli. Le osti nate peregrinazioni di Charles Dickens avevano avuto inizio du rante l’infanzia. «Quando aveva finito il lavoro, non gli restava al tro che andare a zonzo; e lo faceva in giro per Londra. Da bambi no era un sognatore; il suo triste destino lo teneva occupato più di altre cose... Quando veniva buio era sotto i lampioni di Holborne e a Charing Cross subì il martirio. [...] L’importante per lui non era osservare come fanno i pedanti; non guardava Charing Cross per istruirsi; non contava i lampioni di Holborne per imparare l’a ritmetica.. . Dickens non assumeva nel suo spirito il calco delle co se; anzi, era lui a imporre loro il suo spirito»” . Negli ultimi anni, Baudelaire non potè più passeggiare molto per le vie di Parigi. Lo inseguivano i creditori, si faceva sentire la malattia e si aggiunsero dissapori con la sua amante. Nelle finte della sua prosodia, il Baudelaire poeta riproduce gli shock che gli jrocuravano le sue preoccupazioni e le centinaia di idee con le quai le parava. Riconoscere sotto l’immagine della scherma il lavoro che Baudelaire dedicava alle sue poesie equivale a comprenderle come un ininterrotto susseguirsi di piccolissime improvvisazioni. Le varianti delle sue poesie testimoniano con quanta costanza si dedicasse al lavoro e come si desse cura anche del minimo detta glio. Queste scorribande, durante le quali negli angoli di Parigi in contrava le creature poetiche oggetto della sua dedizione, non sem pre erano volontarie. Nei primi anni della sua esistenza da lette * «Non si devono confondere Uflàneur e il hadaud-, è necessario considerare una sfu matura. .. Il semplice flàneur è sempre nei pieno possesso delia sua individualità; quella del hadaud invece scompare. Viene assorbita dal mondo este rn o ..e sso lo inebria sino all’o blio di sé. Sotto l’influsso dello spettacolo che gli si offre, il hadaud diviene un essere sen za personalità; non è più un uomo; è pubblico, folla» (vicTO R f o u r n e l . Ce qu’on voit dans les rues de Paris, Paris 1858, p. 263) [N.d.A.]. “ g [il b e r t ] k [e i t h ] c h e s t e r t o n , Charles Dickens, traduzione di Achille Laurent e L. Martin-Dupont, Paris s.d. [1927], p. 31 [N.d.A.].
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rato, quando viveva all’hotel Pimodan, i suoi amici ebbero modo di ammirare la discrezione con la quale dalla camera aveva elimi nato ogni traccia del lavoro - prima fra tutte la scrivania*. A quel l’epoca era, simbolicamente, uscito a conquistare la strada. In se guito, quando, frammento dopo frammento, rinunciò alla sua esi stenza borghese, essa divenne per lui sempre pid un rifugio. Nella fldnerie esisteva tuttavia sin dal principio una consapevolezza del la fragilità di quell’esistenza. Essa fa della miseria una virtù, evi denziando così la struttura che è caratteristica della concezione dell’eroe in Baudelaire. Questa miseria mascherata non è solo materiale; essa riguarda la produzione poetica. Le stereotipie nelle esperienze di Baude laire, la mancanza di mediazione fra le sue idee, l’inquietudine ir rigidita nei suoi tratti indicano che egli non aveva a disposizione quelle riserve che un vasto sapere e una visione storica d ’insieme schiudono all’uomo. «Per essere uno scrittore, Baudelaire aveva una grande lacuna, di cui lui stesso non era consapevole: era in colto. Le cose che conosceva, le conosceva a fondo; ma erano po che. La storia, la fisiologia, l’archeologia, la filosofia gli erano estranee... Il mondo esterno lo interessava poco; forse lo perce piva, ma in ogni caso non lo studiava»” . Di fronte a critiche di questo tipo e ad altre consimili*^, appare logico, e anche giustifi cato, sottolineare la necessaria e proficua inaccessibilità dell’ar tefice, i tratti idiosincratici indispensabili a ogni produzione; la situazione di fatto presenta tuttavia un altro aspetto che, in no me del principio defla «creatività», favorisce un’esasperata aspet tativa nei confronti dell’artefice. Essa è tanto più pericolosa in quanto, lusingando il suo amor proprio, difende in maniera otti male gli interessi di un ordine sociale a lui ostile. Il modo di vi vere del bohémien ha contribuito a mettere in circolazione un’i dea errata sulla creatività, alla quale Marx si oppone con una con siderazione che vale tanto per il lavoro intellettuale quanto per * Prarond, l’amico di gioventù di Baudelaire, ricordando il periodo intorno al 1845 scrive: «I tavoli da lavoro, ai quali riflettere o scrivere, li usavamo poco... Per quanto mi riguarda», aggiunge dopo avere menzionato Baudelaire, «lo ricordo mentre cammina su e giù per la strada e compone rapidamente i suoi versi; non lo ricordo seduto davanti a ima risma di carta» (cfr. a l p h o n s e s é c h é . La vie des «Vleun du mal», Amiens 1928, p. 84). An che Banville riferisce in maniera assai simile dell’hotel Pimodan: «Quando vi giunsi la pri ma volta, non trovai né dizionari, né una stanza da lavoro, né una scrivania; lo stesso di casi per il buffet, per la stanza da pranzo o per tutto ciò che potesse ricordare l’arreda mento di un appartamento borghese» (t h é o d o r e d e b a n v iix e , Mes souvenirs, Paris 1882, pp. 81-82) [N.d.A.]. *’ MAXIME DU CAMP, Souvettirs littéraires, v o i. II: 1850-1880, Paris 1906, p . 65 [N.d.A.]. “ Cfr. GEORGES RENCY, Physiofiomies littéraires, Bruxelles 1907, p. 288 [N.i.j4 .].
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quello manuale. In merito alla prima frase del Programma di Gotha, «Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà», annota criticamente: «I borghesi hanno buoni motivi per attri buire al lavoro una forza creatrice soprannaturale; perché proprio dal fatto che il lavoro ha nella natura la sua condizione deriva che l’uomo, il quale non ha altra proprietà all’infuori della sua for za-lavoro, deve essere, in tutte le condizioni di società e di civiltà, lo schiavo degli altri uomini che si sono resi proprietari delle con dizioni materiali del lavoro»” . Baudelaire non possedeva molto di ciò che fa parte delle condizioni materiali del lavoro intellet tuale: dalla biblioteca all’appartamento, non vi fu nulla cui nel corso della sua esistenza, che a Parigi come altrove fu sempre ir requieta, non dovette rinunciare. «Sono cosf abituato», scrive il 26 dicembre 1853 alla madre, «alle sofferenze fisiche, a mettere due camicie sotto un abito e dei pantaloni strappati e attraversa ti dal vento; so adattare cosf bene delle suole di paglia o anche di carta nelle scarpe bucate, che sento quasi soltanto le sofferenze morali. - Ma, devo confessarlo, sono arrivato al punto che non oso pili fare dei movimenti bruschi o camminare troppo, per pau ra che mi si strappi tutto»*‘. Fra le esperienze che Baudelaire ha trasfigurato nell’immagine dell’eroe, quelle di questo tipo erano le meno ambigue. Il diseredato sotto le spoglie dell’eroe in questo periodo appare anche altrove, ma in chiave ironica. Accade in Marx che a propo sito delle idee del primo Napoleone scrive: «Il punto culminante delle “idées napoléoniennes" ... è la preponderanza dell’esercito. L’e sercito era il point d ’honneur del piccolo contadino: era il piccolo contadino stesso trasformato in eroe». Adesso invece, sotto il ter zo Napoleone, l’esercito «non è più il fiore della gioventù contadi na; è l’infiorescenza di palude del sottoproletariato agricolo. Esso si compone in gran parte di remplagant. c o s ì come H secondo Bonaparte è anche Ivd soltanto un rempla9ant, un surrogato di Napo leone»” . L’occhio che da questa immagine torna a quella del poeta schermitore per qualche secondo la vede offuscata da quella del pre done - mercenario aduso a una «scherma» ben diversa - che va er“ KARL MARX, Randglosseti zum Programm der Deutschen Arbeiterparteì. M it einer ausfùhrlichen Einleitung und sechi Anhàngen hrsg. voti KarlKorsch, Berlin-Leipzig 1922, p. 22 [trad. it. Annotazioni in margine alprogramma del Partito dei lavoratori tedeschi, in k a r l m a r x e FRIEDRICH ENGELS, Opere scelte. Editori Riuniti, Roma 1966, p. 955] [N.
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rando nei dintorni*. Sono però soprattutto due famosi versi di Bau delaire con la loro impercettibile sincope a risuonare con maggiore evidenza sopra il vuoto sociale di cui parla Marx. Essi concludono la seconda strofa della terza poesia delle Petites vìeìlìes. Proust le commenta con le parole «Il semble impossible d’aller au del໓ . Ah! Que j’en ai suivi, de ces petites vieilles! Une, entre autres, à l’heure od le soleil tombant Ensanglante le d el de blessures vermeilles, Pensive, s’asseyait à l’écart sur un banc, Pour entendre un de ces concerts, riches de cuivre, Dont les soldats parfois inondent nos jardins, Et qui, dans ces soirs d’or où l’on se sent revivre, Versent quelque héroì'sme au coeur des citadins*’.
Sono le bande di ottoni composte dai figli dei contadini impo veriti che propongono le loro melodie alla popolàzione povera del la città a rappresentare quell’eroismo che timidamente nasconde la sua inadeguatezza nella parola quelque-, esso è autentico proprio in questo gesto ed è l’unico ancora generato da questa società. Il petto dei suoi eroi non alberga alcun sentimento che non pòssa tro vare posto anche in quello della piccola gente che si raccoglie in torno alle bande militari. I giardini, che la poesia definisce «nostri», sono quelli aperti al cittadino il cui anelito inutilmente lambisce i grandi parchi chiusi. Il pubblico che li frequenta non è esattamente quello che attornia il flàneur. «E impossibile, a qualsiasi partito si appartenga», scri ve Baudelaire nel 1851, «di qualsiasi pregiudizio si sia stati nutri ti, non essere toccati dallo spettacolo di questa moltitudine mala ticcia che respira la polvere delle officine, ingoia cotone, si impre gna di biacca di piombo, di mercurio, e di tutti i veleni necessari alla creazione dei capolavori, che dorme tra i pidocchi, in fondo a * Cft. «Pour toi, vieux maraudeur, I L’amour n’a plus de goùt, non plus que la dispu te» (CHARLES BAUDELAIRE, CEuvres cit., I, p. 89). Fra i rari esempi ripugnanti nella vasta, e per lo più incolore letteratura critica su Baudelaire è il volume di tale Peter Klaseen. Di questo testo, che, redatto nella terminologia corrotta del «Georgekreis», rappresenta Bau delaire per cosi dire sotto lo «StahUielm» - è significativo che al centro della sua vita col lochi la restaurazione ultramontana, ossia U momento «in cui, coerentemente con la re staurazione della monarchia per grazia divina, il sancta sanctorum è condotto per le stra de di Parigi scortato dallo scintillo delle armi. Nella sua essenzialità, questa esperienza potrebbe essere stata decisiva per tutta la sua esistenza» (p e t e r k l a s e e n , Baudelaire: Welt unà Gegenwelt, Weimar 1931, p. 9). All’epoca Baudelaire aveva sei anni [N.d.A.]. “ MARCEL PROUST, A propos de Baudelaire, in «Nouvelle revue fran9aise», volume 16, 1° giugno 1921, p. 646 [trad. it. A proposito di Baudelaire, in ro., Scrìtti mondarti e lettera ri, Einaudi, Torino 1984, p. 576] [N.i.y4 .]. CHARLES BAUDELAIRE, CEuVreS cit., I, p. 104 [N.d.A.].
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quartieri dove le virtù più umili e più grandi abitano al fianco dei vizi più incalliti e dei vomiti del bagno penale; da questa moltitu dine sospirante e languente a cui la terra deve le sue meraviglie, che sente un sangue vermiglio e impetuoso scorrerle nelle vene, che getta un lungo sguardo carico di tristezza sul sole e l’ombra dei grandi parchi»^. Questa moltitudine costituisce lo sfondo sul quale si ri taglia la silhouette dell’eroe. Al quadro che cosf si delineava, Bau delaire diede un titolo a suo modo: vi appose la parola modernità. L’eroe è il vero soggetto della modemité. Detto altrimenti - per vivere la modernità è necessaria una disposizione eroica. Anche Balzac era di questa opinione. Balzac e Baudelaire si contrappongono cosf al romanticismo. Essi trasfigurano le passioni e la risolutezza; il romanticismo, la rinuncia e la dedizione. Ma questo nuovo mo do di vedere ha maglie incomparabilmente più fitte, è incompara bilmente più denso di riserve nel poeta lirico che non nel roman ziere. Due figure retoriche spiegano in che termini. In entrambe l’eroe è presentato al lettore nella sua manifestazione moderna. In Balzac il gladiatore si trasforma in commis voyageur. Il grande com messo viaggiatore Gaudissart si accinge a conquistare la Turenna. Balzac descrive i suoi preparativi e si interrompe per esclamare: «Che atleta! che arena! e che armi: lui, il mondo e la sua parlanti na! »^‘. Baudelaire invece individua lo schiavo schermitore nel pro letario; la quinta strofa d e L ’àme du vin menziona alcune delle pro messe che il vino mette a disposizione del diseredato: J’allumerai les yeux de ta femme ravie; A ton fils je rendrai sa force et ses couleurs Et serai pour ce fréle athlète de la vie L’huile qui raffermit les muscles des lutteurs“ .
Quanto il lavoratore salariato compie con il lavoro quotidiano, è niente di meno che ciò che nell’antichità procurava applausi e gloria al gladiatore. Questa immagine è materia della materia del le migliori intuizioni di Baudelaire; è frutto della riflessione sulla propria situazione. Da un passo dal Salon de 1859 risulta in che termini voleva che fosse intesa: «Quando sento esaltare uomini co me Raffaello o Paolo Veronese, con l’intento manifesto di sminui re il valore di quanto si è fatto dopo di loro, [...] mi domando se un merito, perlomeno pari al loro, [...] non risulti infinitamente ” Ihid., II, p. 408 [trad. it. Opere cit., pp. 716 sg.] [N.i.X.]. HONORÉ DE BALZAC, L'illustK Gaudissurt {CEuvre complètes [Ed. Calmann-Lévy], voi. XIII: Scènes de la vie de province. Les Parisiens en Province), Paris 1901, p. 5 [trad. it. L 'il lustre Gaudissart, Mondadori, Milano 1988, p. 371] [N.i.À.]. “ CHARLES BAUDELA01E, (Euvres cit., I, p. II9 [N.i.y4 .].
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più meritevole, in quanto è cresciuto vittorioso in un’atmosfera e in un terreno ostili»". - A Baudelaire piaceva collocare le sue tesi in maniera esasperata, inserendole nel contesto con un’illumina zione per così dire barocca. Mettere in ombra, quando ve ne era no, le correlazioni esistenti fra loro faceva parte della sua ragion di stato teorica. Queste zone d’ombra possono quasi sempre essere rischiarate dalle lettere. Anche senza ricorrere a questo strumento tuttavia, il citato passo del 1859 rivela la sua indubbia correlazio ne con un altro, particolarmente strano e di dieci armi precedente. Un nesso che la seguente catena di riflessioni ricostruisce. Le resistenze che la modernità oppone al naturale slancio pro duttivo dell’uomo sono sproporzionate rispetto alle sue forze. E comprensibile che egli perda vigore e si rifugi nella morte. La mo dernità deve collocarsi nel segno del suicidio: esso pone il sigillo sotto un volere eroico che nulla concede a una disposizione d’ani mo a Im ostile. Questo suicidio non è rinuncia bensì eroica pas sione. E la conquista della modernità nell’ambito delle passioni*. In questi termini, ossia come passion particulière de la vie moderne, il suicidio compare nel famoso passo dedicato alla teoria della mo dernità. La morte libera degli eroi dell’antichità è un’eccezione. «Se si escludono Ercole sul monte Età, Catone l’Uticense e Cleo patra,... quali suicidi si vedono nei quadri antichi ?»^^. Non che Baudelaire li trovi in quelli moderni; il rimando a Rousseau e Balzac, che segue questa frase, è assai scarso. Ma la modernità ha a disposizione la materia prima per simili rappresentazioni; ed essa è in attesa del suo artefice. Questa materia prima si è sedimenta ta proprio in quegli strati che senza eccezione risultano essere le fondamenta della modernità. Le prime annotazioni in vista di una teoria della modernità risalgono al 1845. In quello stesso periodo nelle masse lavoratrici ha messo radici l’idea del suicidio. «Vanno a ruba le copie di una litografia in cui è rappresentato un operaio inglese che, disperato perché non può più guadagnarsi il pane quo tidiano, si toglie la vita. Un operaio raggiunge addirittura l’ap partamento di Eugène Sue e si impicca; in mano ha un foglietto: [...] Ho pensato che sotto il tetto dell’uomo che ci ama e che di * In una prospettiva simile il suicidio in seguito si presenterà in Nietzsche. «Non si potrà mai condannare abbastanza il cristianesimo per aver tolto pregio al grande movi mento nichilistico purificatore, quale forse era già sulla via di attuarsi. [...] insomma sem pre impedendo l’atto del nichilismo, il suicidio» (cfr. k a r l Lo w i t h , Nietzsches Philosophie der ewigen Wiederkunft des Gleichen, Berlin 1935, p. 108 [trad. it. Nietzsche e l'eterno ri torno, Laterza, Bari 1996, p. 117]) [N.d.A.]. ” Ihid., II, p. 239 [trad. it. Scritti sull’arte cit., p. 235] [N.d.A.]. Ibid., pp. 133-34 lihid., p. 121] [N.ii.yl.].
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fende la nostra causa mi sarebbe stato più facile morire»". Adolphe Boyer, un tipografo, nel 1841 pubblicò l’opuscolo De l ’étatdes ouvriers et de son amélìoration par Vorganisatìon du travati. Si trattava di un testo moderato che si proponeva di conquistare alla causa dell’associazione dei lavoratori le vecchie corporazioni dei garzo ni artigiani ancora legate ai loro usi corporativi. Non ebbe succes so; l’autore si tolse la vita e in una lettera aperta esortò i suoi com pagni di sventura a imitarlo. A un Baudelaire, il suicidio poteva ben apparire come l’unica azione eroica rimasta alle moltitudes maladives delle città nel periodo della reazione. Forse vedeva la mor te retheliana, che egli ammirava molto, nelle sembianze di un agi le pittore che davanti al cavalletto riproduce sulla tela le varie for me di suicidio. Quanto ai colori del quadro, c’era la moda a offrire la sua tavolozza. Con la monarchia di luglio, nell’abbigliamento maschile aveva no iniziato a prevalere il nero e il grigio. Di.questa innovazione Baudelaire si occupò nel Salon de 1S45. Nella parte conclusiva di questo suo primo scritto, spiega: «Il pittore, il vero pittore sarà co llii che saprà strappare aUa vita odierna il suo lato epico, e farci ve dere e comprendere, mediante il colore o il disegno, quanto siamo grandi e poetici con le nostre cravatte e le nostre scarpe di verni ce. - Possano i veri ricercatori darci U prossimo anno la gioia uni ca di celebrare l’avvento del nuovo»^. E l’anno successivo: «Quan to all’abito, al tegumento dell’eroe moderno, [...] non ha una sua bellezza e un suo fascino nativo [...]? Non è l’abito ineluttabile della nostra epoca, un’epoca sofferente che porta anche sulle spal le magre e nere il simbolo di un lutto senza fine ? Si noti bene che l’abito nero e la finanziera non possiedono soltanto una loro bel lezza politica, espressione dell’uguaglianza universale, ma anche una loro bellezza poetica, in cui si esprime l’anima collettiva; un’immensa sfilata di beccamorti, beccamorti politici, beccamor ti innamorati, beccamorti borghesi. Tutti noi celebriamo un qual che funerale. Una livrea uniforme di desolazione è il segno dell’u guaglianza [...] Non hanno forse una propria grazia misteriosa le pieghe arricciate che si attorcigliano come serpenti intorno a una carne mortificata ?»^’. Questi concetti contribuiscono al profondo ” CHARLES BENOIST,
L ’homme de 1848, II: Comment ils est àéveloppé le communtsme,
1‘organisatìon du travati, la réforme, in «Revue des deux mondes», 84® annata, 6“ periodo, volume 19, 1° febbraio 1914, p. 667 [N.ii.A.]. “ CHARLES BAUDELAIRE, CEuvres c i t . , II, p p . 54-55 [N.ÉÌ./4 .]. ” Ibid., p. 134 [ibid., p. 121]
[tta d . it.
Scritti sull'arte c i t . ,
p.
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fascino che esercita sul poeta la passante vestita a lutto del sonet to. Il testo del 1846 si conclude come segue: «In effetti gli eroi dell’Iliade non vi arrivano alla caviglia, o Vautrin, Rastignac, Birotteau, - e tu, Fontanarès, che non hai osato confessare al pubblico i tuoi dolori sotto il frac funebre e spiegazzato che tutti indossia mo; - e tu, Honoré de Balzac, tu il più eroico, il più singolare, il più romantico e il più poetico di tutti i personaggi che hai tratto dalla tua carne»“ . Quindici anni più tardi, Friedrich Theodor Vischer, un demo cratico della Germania meridionale, in una critica della moda ma schile giunge a considerazioni simili a quella di Baudelaire. Tut tavia si sono modificati gli accenti; quanto in Baudelaire si inseri sce come tonalità nella prospettiva crepuscolare della modernità, in Vischer appare come esplicito argomento della lotta politica. «Dichiarare il colore della propria gabbana», scrive Vischer con riferimento alla reazione che domina dal 1850, «è considerato ri dicolo, essere severi infantile; come potrebbe perciò l’abito non essere a sua volta incolore, allo stesso tempo floscio e stretto?»” . Gli estremi si toccano; quando si esprime in immagini metafori che, la critica politica di Vischer si sovrappone a un’immagine del la fantasia del giovane Baudelaire. Albatros - un sonetto che risale all’epoca del viaggio oltremare grazie al quale si sperava di mettere sulla retta via il giovane poeta - Baudelaire si identifica con questi uccelli e così ne descrive la goffagine sul ponte dove vengono tenuti dalla ciurma: A peine les ont-ils déposés sur les planches, Que ces rois de l’azur, maladroits et honteux, Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches Gomme des avirons traìner à còté d’eux. Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!’“
A proposito delle maniche ampie, sovrapposte ai polsi, del com pleto, Vischer dice: «Non si tratta più di braccia, bensf di rudi menti di ali, di aiucce di pinguino, di pinne, e il movimento di que sti informi moncherini durante il moto assomiglia a un sciocco, in sulso sbracciarsi, spingere, saltellare, remare»” . La medesima visione della cosa - la medesima immagine. “ I tó ., p. 136 [ihid., p. 123] f m e d r [ ic h ] t h e o d [ o r ] v is c h e r , Kritìsche Gange, nuova serie, terzo fascicolo, Stutt gart i8 6 r, p. 117 (Vemmftige Gedanken iiher die jetzigeMode) [N.d.A.]. ” CHARLES BAUDELAIRE, CEuVKS cit., I, p. 22 [N.d.A.]. ’*f r ie d r [ic h ] t h e o d [o r ] v is c h e r , Kritìsche Gange cit., p. i n [N.
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Nel passo che segue, Baudelaire definisce con maggiore preci sione il volto della modernità - senza negare il segno di Caino sul la sua fronte: «La maggior parte degli artisti che hanno affronta to i soggetti moderni si sono limitati ai temi pubblici e ufficiali, alle nostre vittorie e al nostro eroismo politico. Ma bisogna ag giungere poi che essi lo fanno di contraggenio, e comandati dal go verno che li paga. Eppure non mancano soggetti privati, con ben altro eroismo. Lo spettacolo della vita elegante e delle innumeri esistenze vaganti che si aggirano negli ipogei di una grande città criminali e prostitute - la “Gazette des tribunaux” e il “Moniteur” dimostrano che bisogna solo aprire gli occhi per conoscere il no stro eroismo»” . Nell’immagine dell’eroe a questo punto si inseri sce l’apache. In lui si riuniscono le caratteristiche che Bounoure scorge nella solitudine di Baudelaire - «un noli me tangere, un rin chiudersi dell’individuo nella sua diversità»” . L’apache rinnega le virtd e le leggi. Disdice una volta per tutte il contrat social. Cosi pensa che un mondo intero lo separi dal borghese nel quale non ri conosce quei tratti del complice che molto presto Hugo, con esiti tanto significativi, descriverà nei Chàtiments. Le illusioni di Bau delaire erano tuttavia destinate ad avere molto più fiato. Esse se gnano l’inizio della poesia incentrata suUa figura deU’apache. So no rivolte a un genere che dopo più di ottant’anni continua a es sere sfruttato. Baudelaire è stato il primo a intaccare questa vena. L’eroe di Poe non è il delinquente bensì l’investigatore. Balzac in vece conosce solo il grande emarginato della società. Vautrin spe rimenta l’ascesi e la caduta; come tutti gli eroi balzachiani ha una carriera. Quella del delinquente non è diversa dalle altre. Anche Ferragus ha in mente cose grandi e di ampio respiro; è della razza dei carbonari. L’apache che per tutta la vita resta isolato in un ter ritorio ben delimitato della società e della metropoli, prima di Bau delaire non aveva trovato spazio nella letteratura. Il Vin de l’assassin, l’espressione più estrema di questo soggetto nelle Fleurs du mal, è divenuto il punto di partenza di un genere parigino. Il suo «laboratorio artistico» divenne lo Chat noir, che nel primo, eroi co periodo recava la scritta Passantsois moderne. I poeti trovano sulla loro strada i rifiuti della società e appun to in essi il loro tema eroico. Cosi al loro tipo nobile sembra in un certo senso sovrapporsi un tipo ordinario, in cui confluiscono i ” CHARLES BAUDELAIRE, ” GABRIEL BOUNOURE,
(Euvresòi.., II, pp. 134-35 [«ad. ìt. Scritti sull’arte dx.,'p.
Abtméde Victor Hugo c i t . , p. 40 [N.d.A.J.
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tratti di quel cenciaiolo che ha costantemente interessato Baude laire. Un anno prima del Yin des chiffoniers venne pubblicata una descrizione in prosa del personaggio: «Ecco un uomo incaricato di raccattare i rifiuti di una giornata della capitale. Tutto ciò che la grande città ha rigettato, tutto ciò che ha perduto, tutto ciò che ha disdegnato, tutto ciò che ha fatto a pezzi, lui lo cataloga, lui lo colleziona. Compulsa gli archivi del vizio, il cafarnao d e ^ scarti. Fa una cernita, una scelta intelligente; raccatta, come un avaro un tesoro, le immondizie che, rimasticate dalla divinità dell’industria, diventeraimo oggetti utili o piacevoli»^. Questa descrizione è un’u nica, estesa metafora per il modo di procedere del poeta secondo la sensibilità di Baudelaire. Cenciaiolo o poeta - i rifiuti riguar dano entrambi; entrambi esercitano il loro mestiere in solitudine, nelle ore che i borghesi dedicano al sonno; persino Vhabitus è iden tico. Nadar riferisce del «pas saccadé» di Baudelaire” ; è il passo del poeta che si aggira per la città in cerca della sua preda rimata; deve essere anche il passo del cenciaiolo che si ferma a ogni istan te per raccogliere i rifiuti incontrati sul suo cammino. Molte cose fanno pensare che Baudelaire abbia segretamente voluto mettere in risalto questa affinità. In ogni caso essa ha in sé una predizio ne. Sessant’anni più tardi, un fratello del poeta abbassatosi a cen ciaiolo appare in ApoUinaire. Si tratta di Croniamantal, il poète as sassini - prima vittima del program destinato a mettere fine su tut ta la terra alla stirpe dei poeti lirici. La poesia incentrata sulla figura dell’apache si colloca in una lu ce ambigua. E la feccia a fornire gli eroi della metropoli? o eroe non è invece il poeta che con questo materiale crea la sua opera ?* - La teoria della modernità è aperta a entrambe le ipotesi. Ma nel la sua tarda poesia Les plaintes d ’un Icare, Baudelaire, ormai non più giovane, accenna al fatto di non sentirsi più dalla parte di quel la schiatta nella quale in gioventù aveva cercato gli eroi. Les amants des prostituées Sont heureux, cùspos et repus; Quant à moi, mes bras sont rompus Pour avoir étreint des nuées“ . * Baudelaire coltivò a lungo l’idea di cimentarsi in romanzi che avessero per sfondo questo ambiente. Ne recano traccia i titoli trovati nel lascito: Les enseignements d’un mon stre, L ’entreteneur, La femme malhonnéte [N.
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Il poeta, che, come spiega il titolo della poesia, fa le funzioni del l’eroe antico, ha dovuto cedere il passo aU’eroe moderno delle cui gesta riferisce la «Gazette des tribunaux»*. In realtà nel concetto di eroe moderno questa rinuncia è già presente. L’eroe è predesti nato alla rovina e per rappresentare questa necessità non serve un autore tragico. Una volta che ha ottenuta giustizia tuttavia, la mo dernità si esaurisce. Allora verrà il momento della verifica. Dopo la sua fine si dimostrerà se essa stessa potrà mai divenire antichità. Baudelaire ebbe sempre presente questo interrogativo. Visse l’antica aspirazione all’immortalità come personale aspirazione a essere, un giorno, letto come uno scrittore antico. Che «tutta la modernità acquisti il diritto di diventare antichità»” - è in Baude laire la definizione del ruolo dell’arte in assoluto. In Baudelaire, Gustave Kahn mette giustamente in risalto un «refus de l’occasion, tendue par la nature du prétext lyrique»’*. Ciò che lo rende va ricalcitrante alle opportunità e alle occasioni era la consapevo lezza di quel ruolo. Nell’epoca in cui si trovò a vivere, nulla si av vicinò maggiormente al «ruolo» dell’antico eroe, alle «fatiche» di un Ercole, del compito toccato in sorte a lui stesso: quello di dare forma alla modernità. Fra tutte le correlazioni stabilite dalla modernità, quella con l’antichità è privilegiata. Secondo Baudelaire, questa si manifesta in Victor Hugo. « La fatalità [...] lo trascinò [...]& trasformare l’an tica ode e l’antica tragedia [...] fino al loro limite [...] fino alle poe sie e ai drammi che conosciamo»” . La modernità definisce un’e poca; allo stesso tempo definisce l’energia che agisce in questa epo ca rendendola affine all’antichità. In Hugo, Baudelaire ne ammise l’esistenza controvoglia e in alcuni casi limitati, mentre considerò Wagner emanazione assoluta e autentica della stessa. «Ma se, per la scelta dei suoi soggetti e del suo metodo drammatico Wagner si accosta all’antichità, per l’energia appassionata della sua espres sione egli è attualmente il rappresentante più vero della natura mo derna »■“. Questa affermazione contiene in nuce tutta la teoria di Baudelaire sull’arte moderna, secondo la quale il carattere di mo dello dell’antichità è limitato al processo costruttivo; la sostanza * Tre quarti di secolo più tardi, il raffronto fra E protettore e il letterato ha ricevuto nuova linfa. Quando gli scrittori furono scacciati dalla Germania, nella letteratura tedesca fece ingresso la leggenda di Horst Wessel [N.ii.yl.]. ” Ibid., II, p. 336 [trad. it. Scritti sull’arte cit., p. 289] Kahn, op. cit., p. 15 [N.d.A.]. ” CHARLES BAUDELAIRE, CEuvres c it- , II, p . 580 [ tr a d . i t . Opere c i t . , p . 996] [N.fi.yl.]. ■" Ibid., p. 508 [ibid., pp. 914 sg.]
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e l’ispirazione dell’opera riguardano la modemìté. «Guai a chi nel l’antico studia qualcosa che non è l’arte pura, la logica, il metodo generale ! Per immergervisi oltre il dovuto... abdica... ai privilegi offerti dalla opportunità»". E nella parte conclusiva del saggio su Guys scrive: «Ha cercato in ogni luogo la bellezza effimera e fu‘ gace della vita presente, il carattere di ciò che il lettore ci ha con sentito di chiamare la modernità»". In sintesi, la teoria si presen ta come segue: «Il bello è fatto al contempo di vm elemento eter no, invariabile... e di im elemento relativo, occasionale, che sarà... l’epoca, la moda, la morale, le passioni. Senza questo secondo ele mento. .. il primo elemento sarebbe indigeribile»^’. Non si può cer to dire che si vada molto nel profondo. La teoria dell’arte moderna è il punto più debole nella visione di Baudelaire della modernità. Quest’ultima presenta i ipotivi mo derni; compito della prima avrebbe forse dovuto essere una ri flessione sull’arte antica. Baudelaire tuttavia non si è mai cimen tato in questa direzione. La sua teoria non è riuscita a superare questa rinuncia, che nell’opera si presenta come perdita della na tura e dell’ingenuità. Un’espressione della sua incertezza è la di pendenza della teoria da Poe, evidente fin nelle stesse formula zioni; un’altra il suo orientamento polemico; essa si stacca dallo sfondo grigio dello storicismo, dall’allessandrinismo accademico che era di moda con Villemain e Cousin. Nessuna delle sue rifles sioni estetiche ha descritto la modernità nella sua compenetrazio ne con l’antichità, come avviene in alcune parti delle Vkurs du mal. La poesia più significativa in questo senso è Le cygne. Non a ca so si tratta di una poesia allegorica. La città, che è in costante mo vimento, si irrigidisce. Diviene fragile come il vetro; ma come il vetro anche trasparente: nel significato. «(La forme d’une ville I Change plus vite, hélas ! que le cceur d’un mortel) »**. Parigi ha una base fragile; è circondata da simboli di fragilità. Creaturali - la ne gra e il cigno; e storici - 1 ’Andromaca, «di Ettore la vedova, di Eleno la sposa». Essi hanno in comune il^dolore per quanto è stato e la assenza di speranza nell’avvenire. E nella caducità che da ulti mo e in modo pitì profondo il moderno si lega all’antico. Ovunque compaia nelle Fleurs du mal, Parigi ne porta il segno. Il Crépuscule du matin è il singhiozzo di un uomo che si sveglia, riprodotto nel tessuto urbano; Le soleil mostra la città lisa come una vecchia stofIhid., p. 337 [trad. it. Scritti sull'arte cit., p. 290] [N.d.A.]. p. 363 [ibid., p. 313] [N J .A .l « Ibid., p. 326 [ibid., p. 280] [K d .A .l **lhid.,l, p. 99[N.(Ì.A.].
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fa investita dal sole; il vecchio rassegnato che giorno dopo giorno raccoglie il suo attrezzo da lavoro perché con la vecchiaia le preoc cupazioni non lo hanno lasciato, è l’allegoria della città; fra i suoi abitanti, le vecchie - Les petites vieilles - sono gli unici che hanno una dimensione spirituale. Se queste poesie hanno attraversato in contrastate i decenni, è grazie a una riserva che è servita loro da scudo: la riserva nei confronti della metropoli. Essa fa si che si di stinguano da quasi tutta la successiva lirica di città. Una strofa di Verhaeren è sufficiente per capire il nocciolo del problema. E t qu’importent les maux et les heures démentes E t les cuves de vice où la cité fermente Si quelque jour, du fond des brouillards et des voiles Surgit un nouveau Christ, en lumière seulpté Qui soulève vers lui l’humanité E t la baptise au feu de nouvelles étoiles^’.
A Baudelaire simili prospettive sono estranee. Il suo concetto di fragilità della metropoli è all’origine della durata delle sue poe sie su Parigi. Anche Le cygne è dedicata a Hugo; forse perché Baudelaire ri teneva che fosse fra i pochi la cui opera faceva emergere una nuo va antichità. Ammesso che per Hugo questo sia vero, la sua fonte di ispirazione è comunque completamente diversa da quella di Bau delaire. A Hugo è estranea quella capacità di irrigidirsi che - se è lecito un concetto tratto dalla biologia - come una sorta di mimesis della morte emerge centinaia di volte nella poesia di Baudelai re. Si può invece parlare di una disposizione ctonia in Hugo. Sen za che venga citata espressamente, essa è sottolineata dalle seguenti considerazioni di Charles Péguy, da cui risulta quale sia la diffe renza fra la concezione dell’antichità in Hugo e quella in Baudelai re. «Una cosa è certa: quando Hugo per strada scorgeva il mendi cante,... lo scorgeva come è, davvero così come è davvero..., sul l’antica strada maestra, l’antico mendicante, l’antico implorante. Quando scorgeva il rivestimento in marmo di uno dei nostri cami ni o i mattoni cementati di uno dei nostri camini moderni, li scor geva per quel che davvero sono: ossia la pietra del focolare. La pie tra dell’antico focolare. Quando vedeva la porta e la soglia della ca sa, che di norma è una pietra lavorata, in questa pietra lavorata riconosceva l’antica linea: la linea della soglia che per lui è sacra»‘“. ■”
ÉM iLE VERHAEREN,
Les vtlles tentacukires, Paris 1904, p. 119 («L’àme de la ville»)
“ CHARLES PÉGUY, (Euvm complètes, I: (Euvm de prose, IV: Notrejeunesse. VicU>r-Marie, comte Hugo, introduzione di André Suarès, Paris 1916, pp. 388-89 [N.ii.il.].
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Quale commento migliore al seguente passo dei Misérables: «Le bet tole del sobborgo Sant’Antonio assomigliano a quelle taverne del monte Aventino erette sull’antro della sibilla e comunicanti colle profonde esalazioni sacre, in cui le tavole eran quasi tripodi, in cui si beveva quello che Ennio chiamava il vino sibillino»''^ Nella stes sa prospettiva si inserisce il ciclo di poesie A Vare de trìomphe, l’o pera di Hugo in cui per la prima volta appare l’immagine di una «antichità parigina». La magnificazione di questo monumento prende lo spunto dalla visione di una Campagna di Parigi, una «im mense campagne», nella quale sopravvivono solo tre monumenti della città ormai in rovina, la Sainte-Chapelle, la colonna Vendòme e l’Arco di Trionfo. Il grande valore che questo ciclo assume nell’opera di Victor Hugo corrisponde al ruolo che esso svolge nel la nascita di una immagine della Parigi del xix secolo plasmata sul l’antichità. Baudelaire indubbiamente lo conosceva. Risale al 1837. Già sette anni prima lo storico Friedrich von Raumer nelle sue Briefeaus Paris undFrankreich tm Jahre 18^0 aveva annotato: «Dal la torre di Notre Dame ieri vidi l’immane città; chi ha costruito la prima casa ? Quando crollerà l’ultima e il suolo di Parigi assomi glierà a quello di Tebe o Babilonia ?»■**. A descrivere come sarà que sto suolo, quando un giorno la «riva, dove l’acqua si infrange con tro i pilastri dei ponti, sarà stata riconsegnata ai giunchi mormo ranti»'**, è stato Hugo: Mais non, tout sera mort. Plus rien dans cette piaine Q u’un peuple évanoui dont elle est ancor pieine’®.
Un secolo dopo Raumer, è Léon Daudet a gettare uno sguardo su Parigi, dal Sacré-Cceur, un altro luogo al di sopra della città. Nel suo occhio, la storia della «modernità» sino al presente si rispec chia in una contrazione spaventosa: «Dall’alto, si getta uno sguar do su questo insieme di palazzi, monumenti, case e baracche e si ha la sensazione che essi siano destinati a una o più catastrofi - me teorologiche o sociali... Ho passato delle ore sulla basilica di Fourvières con vista su Lione, su Notre-Dame de la Garde con la vista su Marsiglia, su Sacré-Coeur con la vista su Parigi... Ciò che da questa alture è immediatamente percepibile è la minaccia. Gli as" VICTOR HUGO, (Euvres complètes cit., Roman cit., voi. V ili: Les misérables cit., IV, pp. 55-56 [trad. it. p. 782] [N.Ì./4.]. “ FRiEDM CH LUDWIG GEORG VON RAUMER, Briefe uus Paris und Vrankreìch im ]ahre i8}o, seconda parte, Leipzig 1831, p. 127 VICTOR HUGO, (Euvres complètes cit., Poésie cit., voi. III; Les chants du crepuscule, Les voix intérieures, Les rayons et les ombres, Paris 1880, p. 234 («.i4 Vare de trìomphe IH») [N.d.A.]. Ihid., p. 244 {«A l’arc de trìomphe Vili») [N.d.A^.
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sembramenti di gente sono minacciosi; ... l’uomo deve lavorare, questo è vero, ma ha anche altri bisogni... Fra gli altri bisogni ha quello del suicidio, che è in lui e nella società che lo plasma; ed es so è più forte del suo istinto di autoconservazione. E così, guar dando giù da Sacré-Cceur, da Fourvières e da Notre-Dame de la Garde, ci si meraviglia che Parigi, Lione, Marsiglia esistano anco ra»’*. Questo è il volto assunto nel nostro secolo da quella passion moderne che Baudelaire riconobbe nel suicidio. La città di Parigi è entrata in questo secolo con la fisionomia datale da Haussmann che aveva realizzato il sovvertimento del l’immagine della città con l’ausilio di mezzi semplicissimi: vanghe, zappe, picconi e altri attrezzi consimili. Quale distruzione aveva no provocato strumenti tutto sommato limitati! E quanto si sono sviluppati da allora con le metropoli i mezzi per raderle al suolo! Quali immagini deU’avvenire evocano! - I lavori di Haussmann erano al culmine, interi quartieri erano stati demoliti, quando un pomeriggio del 1862, Maxime Du Camp si trovò sul Pont Neuf. Non lontano dal negozio di un ottico aspettava che fossero pron ti i suoi occhiali. «L’autore, alla soglia della vecchiaia, visse uno di quegli istanti in cui un uomo, ripensando alla propria vita, in ogni cosa vede rispecchiata la sua malinconia. La limitata perdita che la visita dall’oculista aveva rivelato, gli richiamò alla memoria la legge dell’inevitabile caducità delle umane cose... A lui che ave va tanto viaggiato in Oriente, che conosceva i deserti la cui sab bia è la polvere dei morti, venne improvvisamente l’idea che an che quella città che lo circondava con il suo frastuono, un giorno sarebbe morta, come sono morte... tante altre capitali. Gli venne in mente quanto sarebbe interessante avere oggi una rappresenta zione precisa dell’Atene di Pericle, della Cartagine di Barca, delrAlessandria dei Tolomei, della Roma dei Cesari... Grazie a una di quelle improvvise intuizioni che talvolta ci indicano un sogget to straordinario, concepì il progetto di scrivere quel libro su Pari gi che gli storici dell’antichità non avevano scritto sulle loro città... Davanti all’occhio del suo spirito apparve l’opera della sua matu rità»” . Nella poesia di Hugo A ll’Arco di Trionfo e nella grande de scrizione della gestione amministrativa della sua città da parte di Du Camp, si riconosce la medesima ispirazione che fu decisiva per l’idea di modernità in Baudelaire. ” LEON DAUDET, Paris vécu.Rive droite. lUustréde 46 compositions e td ’une eau-forte ori ginale par P.-J.Poitevin, Paris 1930, pp. 243-44 [N.d.A.]. ” PAUL BOURGET, Dìscours académiquB du i ) juin 1 S 9 5 . Succesion à Maxime Du Camp, in «L’anthologie de l’Académie fran^aise», Paris 1921, voi. II, pp. 191-93 [N.d.A.].
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Gli interventi di Haussmann ebbero inizio nel 1859. Erano sta ti preparati da alcuni disegni di legge e da molto tempo considera ti necessari. «Dopo il 1848», scrisse Du Camp nell’opera appena menzionata, «Parigi era ormai pressoché invivibile. Il costante am pliamento della rete ferroviaria... accellerava il traffico e l’aumen to della popolazione della città. La gente soffocava nei vecchi vi coli, stretti, sporchi e contorti in cui era costretta a vivere perché non aveva alternative»”. Nei primi anni cinquanta, la popolazione parigina si rassegnò all’idea che fosse ormd inevitabile un profon do miglioramento della fisionomia urbana. E lecito pensare che que sto miglioramento nella sua fase di incubazione su una fantasia ric ca abbia potuto agire quanto, se non più, della vista dei lavori ur banistici stessi. «Les poetes sont plus inspirés par les images que par la présence méme des objets»*^, dice Joubert. Lo stesso dicasi degli^artisti. Diventa quadro ciò di cui si sa che presto non si vedrà più. E quanto probabilmente avvenne all’epoca con le strade di Pa rigi. In ogni caso, l’opera la cui correlazione sotterranea con il gran de sovvertimento di Parigi meno può essere messa in dubbio ven ne completata alcuni anni prima che questo fosse attuato. Erano le vedute di Parigi di Meryon. Nessuno ne fu più impressionato di Baudelaire. Per lui non era in fondo decisiva quella visione ar cheologica della catastrofe che era alla base dei sogni di Hugo. Avrebbe voluto che la antichità emergesse all’improvviso - come un’Atena dalla testa dell’incolume Zeus - dall’incolume modernità. Meryon faceva emergere l’antico volto della città senza sacrificare nemmeno un cubetto di porfido. Era questa visione della cosa che Baudelaire aveva perseguito incessantemente nell’idea di moder nità. Per Meryon provava profonda ammirazione. I due erano per molti versi affini. Nati lo stesso anno, moriro no a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro; entrambi in povertà e in preda a profonde turbe; Meryon demente a Charenton, Baude laire, dopo avere perso la parola, in una clinica privata. Per en trambi la fama arrivò molto tardi. Sin che fu in vita, a favore di Meryon si schierò quasi solo Baudelaire*. Fra i suoi pezzi in pro sa, pochi reggono il confronto con il breve testo su Meryon. Par lando di Meryon, rende omaggio alla modernità; tuttavia rende * Nel XX secolo, Meryon trovò un biografo in Gustave Geffroy. Non a caso il capola voro di questo autore è una biografia di Blanqui [N.d.AX ” MAXIME DU CAMP, Paris, ses organes, ses fonctions et sa vie dans la seconde moitìé du xix"siècle, voi. VI, Paris 1886, p. 253 [N.d.A.]. ” j[ o s e p h ] j o u b e r t . Pensée!. Précédées de sa cone^ondence. D ‘m e notice sur sa vie, son caractère et ses travaux par Paul de Raynal, Paris 1869 , voi. II, p. 267 IN.d.A.].
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omaggio al volto antico che è in essa. Perché anche in Meryon an tichità e modernità si compenetrano; anche in Meryon è in confondibile la forma di questa sovrapposizione, l’allegoria. I te sti che accompagnano le sue vedute assumono particolare signifi cato. Quando la follia si insinua nei testi, la sua oscurità sottolinea solo il «significato». Considerati come esegesi, i versi di Meryon sotto la veduta del Pont neuf, nonostante la loro sottigliezza, si collocano nelle immediate vicinanze dello Squeìette laboureur. Ci-gìt du vieux Pont-Neuf L’exacte ressemblance Tout radoubé de neuf Par récente ordonnance. O savants médecins, Habiles chirurgiens, De nous pourquoi ne faire Gomme du pont de piene*’’.
Geffroy coglie la sostanza dell’opera di Meryon e anche la sua affinità con Baudelaire; ma soprattutto coglie la fedeltà nella rap presentazione della città di Parigi, che presto sarebbe stata inva sa dalle macerie, individuando l’unicità di queste vedute nel fatto che esse «sebbene eseguite direttamente dal vivo, danno l’im pressione di una vita passata, che è morta o che morirà»**” . Il te sto di Baudelaire su Meryon fra le righe fa capire l’importanza di questa antichità parigina. «Raramente abbiamo visto rappresen tata con maggiore ricchezza di poesia la solennità naturale di una grande capitale. La maestà della pietra edificata a strati, i campa nili che additano il cielo, gli obelischi dell’industria che vomitano contro il firmamento le loro armate di fumo***, le prodigiose im * Meryon, da giovane, era stato ufficiale di marina. La sua ultima acquafòrte rappre senta il Ministero della Marina in Place de la Concorde. Fra le nuvole, una schiera di ca valli, carrozze e delfini si lancia verso il Ministero. Non mancano navi e serpenti di mare; nella schiera si scorgano anche alcune creature di sembiante umano. Geffroy individua fa cilmente il «significato», senza soffermarsi sulla forma dell’allegoria: «I suoi sogni si lan ciavano verso quell’edificio che era resistente come una fortezza. In gioventù, quando an cora navigava, era qui che venivano registrati i dati della sua carriera professionale. E ora prende congedo da questa città, da questo edificio che tante sofferenze gli hanno procura to» ( g u s t a v e g e f f r o y , Charles Meryon, Paris 1926, p. 161) [N.d.A.]. ** La volontà di conservare «la traccia» svolge un ruolo decisivo in quest’arte. Il fron tespizio di Meryon per la sequenza di incisioni, mostra una pietra spaccata trasversalmen te con impresse le tracce di antiche piante [N.ii.i4 .]. *** Cfr. l’osservazione critica di Pierre Hamp: «L’artista... ammira la colonna del tempio babilonese e disprezza le ciminiere» ( p i e r r e h a m p . La littérature, image de la societé, in Encyclopédie Jmnfaise, voi. XVI; Arts et littérature dam la societé contempomìne 1, Paris 1935, fase. 16.64-I) [N-d-A.]. ” Cfr. GUSTAVE GEFFROY, CharlesMeryofi cit., p. 59 [N.
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palcature dei monumenti in restauro, che rivestono il corpo soli do dell’architettura con il loro traforo architettonico di una bel lezza aracnea e paradossale, il cielo nebbioso, saturo di collera e di rancore, la profondità delle prospettive dilatata dal pensiero dei drammi che vi sono racchiusi, nessuno dei complessi elementi di cui si sostanzia il doloroso e glorioso scenario della civiltà è di menticato»” . Fra i progetti della cui mancata realizzazione è leci to dolersi, si deve annoverare quello dell’editore Delàtre che avreb be voluto pubblicare la raccolta di Meryon con testi di Baudelai re. Se questi testi non furono scritti, la responsabilità è dell’incisore il quale non riusciva a immaginare il compito di Baudelaire se non nei termini di un inventario delle vie e degli edifici da lui ripro dotti. Se Baudelaire si fosse assunto questo incarico, l’osservazio ne di Proust sul ruolo «delle città antiche in Baudelaire e del co lore scarlatto che esse mettono qua e là nella sua opera»’*sarebbe apparsa più chiara di quanto oggi non sia. Fra queste città Roma occupava il primo posto. Nel suo saggio su Leconte de Lisle, con fessa una «naturale predilezione» per questa città. È probabile che l’abbia scoperta grazie alla vedute di Piranesi in cui le rovine non ancora restaurate appaiono tutt’uno con la città nuova. Il sonetto che figura come trentanovesimo delle Fleurs du mal si apre come segue: Je te donne ces vers afin que si mon nom Aborde heureusement aux époques lointaines, E t fait réver un soir les cervelles humaines, Vaisseau favorisé par un grand aquilon, Ta mémoire, pareille aux fables incertaines, Fatigue le lecteur ainsi qu’un tympanon” .
Baudelaire vuole essere letto come un poeta antico. Questa am bizione si realizzò con sorprendente rapidità. Perché il lontano fu turo, le époques lointaines di cui parla il sonetto, è giunto; tanti de cenni dopo la sua morte quanti Baudelaire forse immaginava sa rebbero stati i secoli. Certo, Parigi c’è ancora; e le tendenze generali dell’evoluzione della società sono ancora le stesse. Ma quanto più esse si sono rivelate durevoli, tanto più fragile nell’esperienza del le stesse si è dimostrato tutto ciò che si era manifestato nel segno dell’«autenticamente nuovo». La modernità è quella che è rimasta ” CHARLES BAUDELAIRE,
CEuvres cit., II, p. 293 [trad. it. Scritti suU’arte cit., p. 327]
[N .d.A .l ” MARCEL PROUST,
A pfopos de Baudelaire cit., p. 656 [trad. it. p. 586] [N.d./4.]. (EuVreS cit., I, p. 53 [N .i.^.].
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meno fedele a se stessa; e l’antichità che essa avrebbe dovuto con tenere propone in realtà l’immagine dell’antiquato. «Sotto la ce nere si scopre Ercolano; ma alcuni anni sotterrano meglio le con suetudini di una società di tutte le ceneri di un vulcano»™. L’antichità di Baudelaire è quella romana. Una sola volta l’anti chità greca è presente nel suo mondo. È infatti la Grecia a offrir gli l’immagine dell’eroina che egli riteneva degna e capace di esse re trasposta nella modernità. Nomi greci - Delphine e Hippolyte hanno i personaggi femminili di una delle più grandi e più famose poesie delle Vleun àu mal. E dedicata all’amore lesbico. La lesbica è l’eroina della modemité. In lei, uno dei modelli erotici di Baude laire - la donna che emana durezza e virilità - è stato compenetra to da un modello storico - quello della grandezza nel mondo anti co. Questo rende inconfondibile il ruolo della donna lesbica nelle Fkurs du mal. Spiega, perché Baudelaire a lungo pensò di intitolarli Les lesbiennes. Non è stato comunque Baudelaire a introdurre nel l’arte la figura della lesbica. Balzac l’aveva già proposta nella sua Fille aux yeux d'or, e così Gautier, in Mademoiselle de Maupin, e Delatouche in Fragoletta. Baudelaire l’aveva incontrata anche in Delacroix; recensendo i suoi quadri, parla, in maniera un po’ contorta, della «donna moderna nella sua forma eroica, infernale»". Il motivo ha origine nel sansimonismo, che nelle sue velleità cul tuali ha spesso usato l’idea dell’androgino. Fra queste va annove rato il tempio che avrebbe dovuto spiccare nella «Città nuova» di Duveyrier. Un adepto della scuola a questo proposito osservò: «Il tempio deve rappresentare un’androgino, un uomo e una donna... La stessa divisione deve essere prevista per la città nel suo com plesso, anzi per tutto il regno e per tutta la terra: vi sarà l’emisfero dell’uomo e quello della donna»“ . In termini più comprensibili di quanto non avvenga in questa architettura mai realizzata, il conte nuto antropologico dell’utopia sansimoniana emerge nelle riflessio ni di Claire Demar che le tronfie fantasie di Enfantin hanno fatto dimenticare. Il manifesto che essa ci ha lasciato è più vicino alla so stanza della teoria sansimoniana - ossia l’ipostatizzazione dell’in dustria come forza che muove il mondo - di quanto non lo sia il mi to della madre di Enfantin. Anche questo testo tratta della madre, “ BARBEY D’A U R E v n x y ,
Du datidysme et de G.Brummel, Mcmotsindi, Paris 1887, p. 30
[N .d.A .l “ CHARLES BAUDELAIRE, CEuvres c ì t . , II, p. iÓ 2 [ t t a d . i t . Scritti sull'arte c i t . , p. 2 0 0 ] \.Kd.A:\. “ HENRY-RENÉ d ’a l l e m a g n e , Les Saint-Simoniens 1827-18^7, prefazione di Sébastien Charléty, Paris 1930, p. 310 [N.d.A.].
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ma da un punto di vista sostanzialmente diverso da quello di colo ro che partirono dalla Francia per cercarla in Oriente. Per la forza e la passione che lo contraddistinguono, nella ramificata letteratu ra che all’epoca si occupò del futuro della donna, ha una posizione isolata. Apparve con il titolo Ma loi d’avenir. Nel passo conclusivo si legge: «Basta maternità! basta con la legge del sangue. Dico: ba sta con la maternità. Una volta che la donna... sarà liberata dagli uomini che le pagano il prezzo del suo corpo... essa dovrà... la pro pria esistenza solo al suo agire. Per questo deve dedicarsi a un’o pera e svolgere un ruolo... E cosi dovete decidervi a strappare il neonato dal seno della madre naturale, per affidarlo alle braccia del la madre sociale, le braccia della balia istituita dallo stato. Il bam bino così verrà educato meglio... Solo allora, e non prima, l’uomo, la donna e il bambino verranno affrancati dalla legge del sangue, dalla legge dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo »“ . E qui che nasce nella sua veste originaria l’immagine della don na eroica che Baudelaire assimilò. La sua variante lesbica non è opera degli scrittori bensf della stessa cerchia sansimoniana. Cu stodite dai cronisti della scuola, le relative testimonianze non era no certo nelle migliori mani. Di una donna che aderiva alla dot trina di Saint-Simon, esiste però la seguente curiosa confessione: «Iniziai ad amare il mio prossimo donna tanto quanto il mio pros simo uomo... Lasciai all’uomo la sua forza fisica e l’intelligenza che gli è propria, ma gli collocai accanto, equivalente per valore, la bellezza fisica della donna e i doni spirituali che le sono pro pri»*^. Come un’eco di questa confessione suona una inaspettata analisi critica di Baudelaire, dedicata alla prima eroina di Flaubert. «Per ciò che ha in lei di più energico e di più ambizioso, e anche di più sognatore, madame Bovary è rimasta un uomo. Come la Pai lade armata uscita dal cervello di Giove, questo bizzarro androgi no ha conservato tutte le seduzioni di un’anima virile in un affa scinante corpo femminile »“ . E a proposito dello scrittore stesso si legge: «Tutte le donne intellettuali gli saranno grate per avere in nalzato la “femmina” ad una tale altezza [...] e di averla resa par tecipe di quella natura doppia, capace tanto di calcolare quanto di sognare, che è tipica dell’essere umano perfetto»". Con uno di quei CLAiRE DEMAR, Ma loi d ’ovenir, opera postuma pubblicata da Suzanne, Patis 1834, pp. 58-59 [Kd.A.]. “ Cfr. FiRM iN MAUJLARD, La legende de k femme émancipée. Histoire defemmes pour ser vir à l'histoire contempomine, Paris [s.d.], p. 65 [N.
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colpi di mano che furono sempre di suo gusto, Baudelaire innalza a eroina la moglie piccolo borghese di Flaubert. Nella poesia di Baudelaire vi sono alcuni dati importanti, persi no evidenti che non sono stati presi in considerazione. Fra questi, l’opposto orientamento delle due poesie lesbiche che negli Epaves {Relitti) sono collocate l’una dopo l’altra. Lesbos è un inno all’amore lesbico; Delphine etHyppolyte è invece una condanna di questo de siderio, per quanto vibrante di compassione. Nella prima delle due poesie si dice: Que nous veulent les lois du juste et de l’injuste ? Vieiges au coeur sublime, honneur de l’aichipel, Votre religion comme une autre est auguste, E t l’amour se rira de l’Enfer et du Ciel!”
Nella seconda: - Descendez, descendez, lamentables victimes, Descendez le chemin de l’enfer éternel!“
L’evidente contrasto si spiega nei seguenti termini: dato che Baudelaire non considerava un problema la donna lesbica - né in senso sociale, né nel senso dell’inclinazione naturale - egli, da per sona da questo punto di vista, si potrebbe dire, «prosaica», in me rito non aveva nemmeno un’opinione. Nell’immagine della mo dernità sapeva come collocarla; nella realtà non la riconosceva. Per questo poteva scrivere con noncuranza: «Abbiamo fatto co noscenza della scrittrice filantropa, [...] della poetessa repubbli cana, della poetessa del futuro, fourierista o sansimoniana* che sia; ma mai i nostri occhi hanno saputo abituarsi a tutti questi at teggiamenti sostenuti e ripugnanti, [...] a queste imitazioni dello spirito maschile»*’. Sarebbe errato ritenere che con la sua opera Baudelaire avesse mai pensato di difendere la donna lesbica pres so il pubblico. Lo dimostrano i suggerimenti per l’arringa che fe ce al proprio avvocato durante il processo contro le Fleurs du mal. Il disprezzo borghese a suo modo di vedere non è separabile dal la natura eroica di questa passione. «Descendez, descendez, la mentables victimes» è l’ultima frase che Baudelaire rivolge alla donna lesbica. Egli la abbandona al suo destino: è insalvabile, per ché irrisolvibile è il disorientamento nella concezione che di lei ha Baudelaire. * Forse un’allusione alla Loi d ’avenir di Claire Demar [N.d.A.]. " Ibid., I, p. 157 lN .d.A .1 “ Ibid.,p. i6 ilN .d .A .l Ibid., Il, p. 534CN.rf.AL
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Il xrx secolo iniziò a sfruttare senza riguardi la donna nel pro cesso produttivo all’esterno dell’ambito domestico. Lo fece pre valentemente in maniera primitiva: assumendola nelle fabbriche. Poiché il lavoro in fabbrica, soprattutto quello deformante, la con dizionava, con l’andar del tempo in lei dovevano necessariamen te manifestarsi tratti virili. Forme più elevate di produzione, an che la lotta politica in quanto tale, potevano favorire tratti virili meno grossolani. Forse il movimento delle Vésuviennes può esse re inteso in questi termini. Contribuì alla rivoluzione di febbraio con un corpo composto di sole donne. «Ci definiamo Vésuvien nes», si legge negli statuti, «per esprimere come in ogni donna schierata al nostro fianco sia attivo un vulcano rivoluzionario»™. SuUa scia di una tale trasformazione àél'habitus femminile, emer gevano tendenze che potevano colpire la fantasia di Baudelaire. Non sorprenderebbe se vi avesse avuto un ruolo anche la sua profonda idiosincrasia per la gravidanza*. La mascolinizzazione della donna stimolava la sua fantasia. Baudelaire era quindi favo revole al processo. Allo stesso tempo, tuttavia, riteneva importante affrancarlo dalla sovranità dell’economia. Giunse cosi ad attribui re a questa linea di sviluppo un accento puramente sessuale. A George Sand forse non poteva perdonare di avere profanato, con la sua avventura con Musset, i tratti di una donna lesbica. L’atrofizzazione dell’elemento «prosaico», quale viene a de terminarsi nella posizione di Baudelaire rispetto alla donna lesbi ca, è significativa anche per altri versi. Stupiva gli osservatori at tenti. Jules Lemaitre nel 1859 scrive: «Siamo di fronte a un’ope ra piena di espedienti e di contraddizioni volute... Nel momento in cui si compiace nella cruda descrizione dei dettagli più desolanti della realtà, si profonde in uno spiritualismo che conduce lontano dall’impressione immediata che le cose fanno su di noi... Baude laire considera la donna come schiava o come animale,... ma essa è oggetto... degli stessi omaggi destinati alla santa Vergine... Ma ledice il “progresso”, disprezza l’industria del secolo... eppure ap prezza quel particolare tono che questa industria ha conferito al la nostra vita... Credo che il tratto tipicamente baudelairiano con sista nel riunire sempre due forme di reazione opposte, si potrebbe * Un frammento del 1848 ( C h a r l e s b a u d e l a i r e , (Euvres cit., I, p. 213) in questo sen so appare significativo. - Il famoso disegno a penna che Baudelaire fece della sua amante propone un modo di camminare che assomiglia in maniera sorprendente a quello di una donna incinta. Questo fatto non depone contro l’idiosincrasia [N.d.A.]. " Paris sous la République de 1848, Exposition de la Bibliothèque et des travaux historiques de la ville de Paris, Paris 1909, p. 28 [Kd.A.].
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dire una del passato e una del presente. Un capolavoro della vo lontà...; l’ultima novità nella sfera dei sentimenti»” . Corrispon deva perfettamente alle intenzioni di Baudelaire considerare que sto atteggiamento un atto eroico della volontà. Il rovescio tutta via è una mancanza di convinzione, di comprensione, di costanza. In tutti i suoi moti, Baudelaire era esposto a mutamenti improv visi, simili a shock. Tanto più seducente gli appariva un modo di verso di vivere negli estremi. Esso prende forma nel fascino che emana da molti dei suoi versi perfetti; in alcuni di questi esso si auto-definisce. Vois sur ces catiaux Dormir ces vaisseaux Dont l’hiimeur est vagabonde; C’est pour assouvir Ton moindre désir Qu’ils viennent du bout du monde” .
Questi famosi versi sono caratterizzati da un ritmo ondeggian te; il loro movimento afferra le navi ormeggiate nel canale. On deggiare fra gli estremi, come è prerogativa delle navi, è l’anelito di Baudelaire. La loro immagine emerge quando è in gioco il suo modello profondo, segreto e paradossie: l’essere portato dalla e l’essere al sicuro nella grandezza. «Quelle navi belle e grandi, im percettibilmente cullate, [...] sulle acque tranquille, quelle robuste navi dall’aria scioperata e nostalgica, non ci àcono in ima lingua muta: Quando partiremo per la felicità?»” . Nelle navi, la nonchaìance si combina con la disponibilità all’estremo impiego delle ener gie. Questo fa assumere loro un significato segreto. Esiste una par ticolare costellazione in cui anche nell’uomo si associano grandez za e disinvoltura. Essa governa l’esistenza di Baudelaire. Egli la decifrò e la definì «modernità». Quando Baudelaire si perde nel lo spettacolo delle navi ormeggiate in rada è perché in esse cerca di cogliere una metafora. L’eroe è forte, ricco di ingegno, armoni co, ben costruito come quei velieri. Ma il mare aperto lo chiama inutilmente. La sua vita è infatti dominata da una cattiva stella. La modernità gli risulta fatale. L’eroe in essa non è previsto; è un tipo che non sa come utilizzare. Lo ormeggia per sempre nel por to, al sicuro; lo costringe a un eterno far niente. In questa sua ul tima personificazione, l’eroe compare nelle vesti del dandy. Se ci si imbatte in una di queste figure che grazie alla loro energia e riLes contempotaìnes cit., pp. 28-31 [N .( /.A .] . (EuVKS c i t . , I, p. 67 [N.d.A.]. ” Ibid., II, p. 630 [trad. it. Opere d t., p. 1393] [N.
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lassatezza sono perfette in ogni gesto, viene da dirsi: «Ecco forse un uomo ricco, ma più sicuramente un Ercole senza impiego»’^. Dà l’impressione di essere sorretto dalla sua grandezza. E perciò com prensibile che in certi momenti Baudelaire ritenesse che la propria flànerie avesse pari dignità della tensione della sua forza poetica. Baudelaire considera il dandy un discendente di grandi avi. Ri tiene che il dandysmo sia «l’ultimo bagliore di eroismo nei tempi della decadenza»”. E contento di trovare in Chateaubriand un ri ferimento ai dandy fra gli indiani d’America - testimonianza del la passata fioritura di quelle tribù. In realtà è evidente che i trat ti riuniti nel dandy recano un preciso sigillo storico. Il dandy è una creatura degli Inglesi che avevano una funzione dominante nel commercio mondiale. La rete di commerci che copre tutto il glo bo era nelle mani degli operatori di borsa londinesi; le sue maglie avvertivano le scosse più diverse, più frequenti, più inaspettate. L’uomo d’affari doveva reagire di conseguenza, senza tuttavia mo strare le sue reazioni. Il contrasto che in questo modo si creò in lui venne ripreso in maniera autonoma dai dandy, i quali svilupparo no il proficuo allenamento necessario al suo superamento. Alla rea zione fulminea associarono un contegno e una mimica rilassati, ad dirittura fiacchi. Il tic, che per un certo periodo fu considerato ele gante, è in un certo senso la rappresentazione maldestra, subalterna del problema. Molto significativa in questo senso la seguente os servazione: «Il volto di un uomo elegante deve sempre avere... un che di convulso e di stravolto. Volendo si potrebbe attribuire que sta smorfia ad un satanismo naturale»”. Era questo l’aspetto che la figura di un dandy londinese assumeva nella testa di un boulevardier parigino. Così si specchiava fisiognomicamente in Baude laire. Il suo amore per il dandysmo non fu felice. Non aveva il do no di piacere che è un elemento tanto importante nell’arte del dandy di non piacere. Elevando a maniera quanto per natura in lui doveva lasciare perplessi, si trovò, dato che con il crescente iso lamento aumentò anche la sua inaccessibilità, nella più profonda solitudine. Baudelaire non ha, come Gautier, apprezzato il suo tempo, né, come Leconte de Lisle, potuto ingannarsi sul suo conto. Non ave va a disposizione l’ideaHsmo umanitario di un Lamartine o di un Hugo, né gli fu dato di rifugiarsi nella devozione, come fece Ver^*Ibid., p. 352 [trad. it. Scritti sull’arte à i., p. 200] [N.
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laine. Poiché non aveva convinzioni, assumeva lui stesso sempre nuove sembianze. Fldneur, apache, dandy e cenciaiolo erano per lui altrettanti ruoli. Perché l’eroe moderno non è un eroe - recita le parti dell’eroe. L’eroica modernità si rivela una tragedia nella quale il ruolo dell’eroe è ancora scoperto. Lo stesso Baudelaire vi ha accennato, velatamente, come in una postilla, in margine ai suoi Sept vieillards. Un matin, cependant que dans la triste rae Les maìsons, dont la brame allongeait la hauteur, Simulaient les deux quais d’une rivière accrue, E t que, décor semblable à l’àme de l’acteur, Un brouillard sale et jaune inondait tout l’espace, Je suivais, roidissant mes nerfs comme un héros E t discutant avec mon àme déjà lasse, Le faubourg secoué par les lourds tombereaux” .
Lo scenario, l’attore e l’eroe in queste strofe sono accostati in termini difficilmente equivocabili. I contemporanei non avevano bisogno di questo cenno. Quando lo dipinge, Courbet si lamenta perché Baudelaire cambia aspetto ogni giorno. E Champfleury gli attribuisce il dono di sapere alterare l’espressione del volto come un galeotto evaso'*. Dimostrando notevole perspicacia, Vallès nel suo malevolo necrologio definì Baudelaire un cabotin’^. Dietro le maschere che utilizzava, il poeta in Baudelaire con servava l’incognito. Tanto provocatorio poteva apparire nei rap porti, tanto accorto era con la sua opera. L’incognito è la legge del la sua poesia. La sua versificazione è paragonabile alla pianta di una metropoli nella quale ci si può muovere inosservati, celati da gli edifici, da passi carrai o cortili. Come ai congiurati prima del la rivolta, su questa pianta alle parole sono assegnati con precisio ne le postazioni che devono occupare. Baudelaire cospira con la lingua stessa. Ne calcola gli esiti passo dopo passo. Il fatto che ab bia sempre evitato di rivelarsi di fronte al lettore ha stupito in par ticolare quelli più competenti. Gide rileva un contrasto fra imma gine e oggetto che è perfettamente calcolato*". Rivière ha sottoli neato come Baudelaire prenda lo spunto da una parola desueta e come le insegni a muoversi con leggerezza mentre la avvicina pruCEuVKS c i t . , I, p . lO I [ N .li.X .] . Cfr. CHAMPFLEURY [juL E S h u s s o n ] , Souvenìn etportmits de jeunesse, Paris 1872, p. 135 [N.i.A.]. ” Ripreso da «La situation» in a n d r é b i l l y , Les écrivains de combat, Paris 1 9 3 1 , p. 1 8 9 [N .d.A .l “ Cfr. ANDRÉ GIDE, Baudekire e M . Vaquet cit., p. 512 [N .i.i4 .]. ” CHARLES BAUDELAIRE,
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dentemente all’oggetto*\ Lemaitre parla di forme strutturate in modo da impedire l’esplosione della passione®, e Laforgue mette in rilievo la similitudine baudelairiana che in vm certo senso smen tisce il soggetto lirico e nel testo svolge il ruolo del guastafeste. «La nuit s’épaissait ainsi qu’une cloison» - «vi sono un’itifinità di altri esempi»” , aggiunge Laforgue*. La ripartizione delle parole in quelle che apparivano adatte al l’uso elevato, e le altre che invece non lo erano, agl su tutta la pro duzione poetica e all’origine valeva tanto per la tragedia quanto per la poesia lirica. Nei primi decenni del xix secolo questa con venzione era ancora in vigore. Durante la rappresentazione del Cid di Lebrun, la parola chambre provocò un mormorio di disap provazione. h'Otello, nella traduzione di Alfred de Vigny, jfu stroncato a causa della parola mouchoir, la cui menzione in una tragedia era considerata sconveniente. Victor Hugo era stato il primo a ridurre nella poesia il divario fra parole della lingua par lata e quelle della lingua elevata. Sainte-Beuve si era mosso in ma niera assai simile. Nella Vita di Joseph Delorme afferma: «Ho cer cato. .., di essere originale a modo mio, in modo modesto e bona rio. .. Ho chiamato con U loro nome gli oggetti d’uso quotidiano; ma la capanna, per l’occasione, mi fu piti vicina del boudoir»*^. Baudelaire si lasciò alle spalle e il giacobinismo linguistico di Vic tor Hugo e le libertà bucoliche di Sainte-Beuve. Le sue immagini sono originali grazie alla bassezza degli oggetti di riferimento. Va in cerca del fatto banale per accostarlo a quello poetico. Parla dei «vagues terreurs de ces affreuses nuits I Qui compriment le cceur comme un papier qu’on froisse»®’. Questo gesto linguistico, ca ratteristica del giocoliere in Baudelaire, solo sul piano allegorico diviene veramente significativo. È questo gesto a fornire alle sue allegorie quel tanto di fuorviante che le distingue da quelle cor renti. L’ultimo a popolare con esse il parnaso dell’impero era sta to Lemercier, con il quale si era toccato il punto più basso della * In questa massa citiamo: «Nous volons au passage un piaisir clandestin I Que nous pressons bien fort comme une vieille orange» (caURUES B a u d e l a i r e , (Euvres cit., I, p. 17); «Ta gorge triomphante est une belle armoire» (ibid., p. 65); «Comme un sanglot coupé par un sang écumeux I Le chant du coq au loin déchirait l’air brumeux» (ibid., p. 118); «La téte, avec l’amas de sa crinière sombre I E t de ses bijoux précieux, I Sur la tab e de nuit, com me une renoncule, I Repose» (ibid., p. 126) [N.
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joesia classicistica. Baudelaire non si fece turbare. Riprende le alegorie in gran quantità: grazie al contesto linguistico in cui le in serisce, ne modifica fondamentalmente il carattere. Le Vleun du mal sono il primo libro che abbia utilizzato nella lirica parole non solo di origine prosaica ma urbana. E senza rinunciare a creazio ni che, pur prive di patina poetica, saltano all’occhio grazie alla lucentezza del conio. Ci sono quinquet, wagon e omnibus-, non ar retrano di fronte a bilan, réverbère, voirie. E questo il vocabolario lirico in cui all’improvviso e senza alcun segno premonitore com pare l’allegoria. Se si può fissare in qualche modo lo spirito lin guistico di Baudelaire, è proprio in questa imprevedibile coinci denza per la quale Claudel ha trovato ima definizione perentoria. Baudelaire, ha osservato, ha associato lo stile di Racine a quello di un giornalista del Secondo Impero. Nessuna parola del suo vo cabolario è destinata a priori all’allegoria. Questo incarico le vie ne affidato di volta in volta; a seconda di cosa sia l’oggetto del contendere, di quale soggetto debba essere spiato, accerchiato e occupato. Per quel colpo di mano che in lui è il poetare, Baude laire si confida con le allegorie. Esse sono le uniche a conoscere il segreto. Dove compaiono la Mori o le Souvenir, le Repentir e le Mal, si situano i fulcri della strategia poetica. Il fulmineo emergere di questi incarichi che, riconoscibili grazie alla maiuscola, si trovano nel bel mezzo di un testo non restio nemmeno al vocabolo più ba nale, indica come di mezzo ci sia lo zampino di Baudelaire. La sua tecnica è quella del colpo di mano. Pochi anni dopo la morte di Baudelaire, Blanqui coronò la sua carriera di cospiratore con un capolavoro memorabile. Dopo l’uc cisione di Victor Noir, Blanqui voUe farsi un’idea della consisten za delle proprie truppe. Di persona conosceva praticamente solo i suoi luogotenenti. Resta incerto fino a che punto tutti gli altri co noscessero lui. Si mise d’accordo con Granger, il suo aiutante, che diede le disposizioni per una parata dei blanquisti. Geffroy la de scrive come segue: «Blanqui... usci di casa armato, salutò le so relle e prese il suo posto sui Champs-Elysées, dove in base agli ac cordi con Granger avrebbero dovuto sfilare le truppe di cui era il misterioso generale. Conosceva i capi, e in quell’occasione avreb be dovuto vedere marciare i loro uomini in formazioni regolari. Avvenne come era stato deciso. Blanqui passò in rassegna le sue truppe senza che qualcuno notasse quell’insolito spettacolo. Me scolato aUa foUa, in mezzo alla gente che come lui rimaneva a guar dare, il vecchio se ne stava appoggiato a un albero: osservò i suoi amici avvicinarsi ripartiti in colonne, procedere silenziosi in un
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mormorio costantemente rotto da grida»“ . Con la poesia di Bau delaire, la forza che rendeva possibile tutto ciò è conservata nella parola. Baudelaire in alcuni casi ha voluto cogliere l’immagine deU’eroe moderno anche nel cospiratore. «Basta con le tragedie! » seri* veva durante le giornate di febbraio nel «Salut pubHc». «Basta con la storia di Roma antica! Non siamo forse più grandi di Bruto ?»*’. Più grande di Bruto non fu poi però tanto grande. Perché quando Napoleone III salì al potere, Baudelaire in lui non vide il Cesare. In questo senso Blanqui gli fu superiore. Ma più profondo di ciò che li divide è quanto i due hanno in comune: l’ostinazione e l’imjazienza, la forza dell’indignazione e quella dell’odio - e anche ’impotenza che era propria a entrambi. In un famoso verso, Bau delaire senza esitare prende congedo da un mondo «dove non son fratelli l’atto e il sogno»“. Il suo sogno non era tanto isolato come egli pensava. L’azione di Blanqui è la sorella del sogno di Baude laire. Sono intrecciati fra loro. Sono le mani intrecciate sopra ima pietra tombale, sotto la quale Napoleone III aveva seppellito le speranze degli insorti di giugno. p p . 276-77 [N.d.A.]. Charks Baudelaire cit., p. 81 [N.(i..4 .]. CHARLES BAUDELAIRE, CEuvKS c ì t ., I, p . 136 [ tr a d . i t . Opere c i t . ,
“ GUSTAVB GEFFROY,
" Cfr. “
L ’e n fem é cit.,
EUGÈNE CRÉPET,
p.
249]
Parco centrale
[I.]
L’ipotesi di Laforgue sul comportamento di Baudelaire al bor dello mette nella giusta luce tutta l’indagine psicoanalitica di cui fa oggetto Baudelaire. Questa indagine si accorda perfettamente con quella convenzionale «storico-letteraria». La particolare bellezza di tanti incipit baudelairiani è l’emer sione dall’abisso. George ha tradotto spleen et idéal con « Triibsinn und Vergeistigung»’, cogliendo così nella sostanza il significato dell’ideale in Baudelaire. Se si può dire che la vita moderna, in Baudelaire, è il reperto rio delle immagini dialettiche, ciò significa che Baudelaire stava di fronte alla vita moderna come il Seicento all’antichità. Se si tiene presente quanto il Baudelaire poeta dovesse rispet tare proprie priorità, proprie convinzioni e propri tabu, e con quan ta precisione, d’altro lato, fossero definiti i compiti del suo lavo ro poetico, allora la sua figura assume un tratto eroico. [n.] Lo spleen come diga contro il pessimismo. Baudelaire non è un pessimista. Non lo è perché per lui sul futuro grava un tabu. E que sto che maggiormente distingue il suo eroismo da quello di Nietz sche. In lui non vi è alcuna riflessione sul futuro della società bor ghese e questo, visto il carattere delle sue annotazioni intime, ap pare sorprendente. Questa unica circostanza consente di valutare ‘ Melancolia e spiritualizzazione [N.i.T.].
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quanto poco per la durata delle sue opere egli contasse sugli effet ti e quanto la struttura delle Vleun du mal sia monadologica. La struttura delle Fleurs du mal non è definita da una qualche ingegnosa disposizione delle singole poesie, né tanto meno da una chiave segreta; è insita nell’inesorabile esclusione di qualunque te ma lirico che non fosse plasmato dalla tormentosa esperienza ac cumulata^ dello stesso Baudelaire. E proprio perché sapeva che il suo tormento, lo spleen, il taedium vìtae, è antichissimo, Baudelai re era in grado di far risaltare in esso, con grande precisione, il si gillo della propria esperienza accumulata. Se è lecito azzardare un’i potesi, è che poche cose avranno potuto dargli un concetto tanto alto della sua originalità quanto la lettura dei satirici romani. [m.] L’«omaggio», o apologia, si propone di occultare i momenti ri voluzionari della storia. Gli sta a cuore creare una continuità. At tribuisce importanza solo a quegli elementi dell’opera che già so no confluiti negli effetti della stessa. Gli sfuggono le asprezze e gli spuntoni che forniscono un appiglio a chi intende procedere oltre. In Victor Hugo, il fremito cosmico non ha mai il carattere del puro e semplice orrore che coglieva Baudelaire nello spleen. Esso giungeva al poeta da un cosmo che si accordava con Vintérìeur in cui egli si sentiva a suo agio. In questo mondo degli spiriti si sen tiva davvero a suo agio. Esso costituisce il complemento all’inti mità’ della sua casa dove tuttavia non mancavano gli orrori. «Dans le coeur immortel qui toujours veut fleurir» - a com mento delle Fleurs du mal e della sterilità. Le vendanges in Baude laire - la sua parola più malinconica (semper eadem l’imprévu). Contraddizione fra la teoria delle corrispondenze naturali e il rifiuto della natura. Come risolverla? * Si è tradotto «Erfahrung» con «esperienza accumulata», e successivamente «Erlebnis» con «esperienza contingente» ’ L’originale, qui e in seguito, ha Gemiitlichkeit che non avendo un preciso equivalen te in italiano, tradurremo, a seconda dei casi, con «intimità», «atmosfera intima», «inti ma tranquillità» [N. d.T.J.
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Aggressività improvvisa, smania di circondarsi di mistero, de cisioni sorprendenti fanno parte della ragion di Stato del Secon do Impero e furono tratti caratteristici di Napoleone III. Costi tuiscono Vhabitus determinante nelle considerazioni teoriche di Baudelaire. [rv.] Il fermento decisamente nuovo, che, inserendosi nel taedium vitae, lo trasforma in spleen, è l’autoestraniazione. Dell’infinito re gresso della riflessione la quale, nel romanticismo, dilatava come in un gioco lo spazio della vita in circoli sempre più vasti riducen dolo al contempo entro limiti sempre più stretti, al dolore di Bau delaire non è rimasto che il tète-à-tète sombre et limpide con se stes so. È qui la specifica «serietà» di Baudelaire. Fu quest’ultima a impedire un’assimilazione autentica della concezione cattolica del mondo da parte del poeta; essa si riconcilia con la serietà dell’al legoria solo nella categoria del gioco. L’apparenza dell’allegoria qui non è più esplicitamente ammessa come nel barocco. Baudelaire non era sorretto da uno stile e non ha avuto una scuola. Questo ha molto ostacolato la sua fortuna. L’introduzione dell’allegoria risponde, con ben maggiore pre gnanza, alla stessa crisi dell’arte cui intorno al 1852 era destinata a opporsi la teoria òtWartpour l’art. La crisi dell’arte ha ragioni tanto nella situazione tecnica quanto in quella politica. [V .]
Su Baudelaire esistono due leggende. Nell’una, che lui stesso ha diffuso, appare come un mostro mangiaborghesi. L’altra è sor ta con la sua morte ed è all’origine della sua fama. In essa appare come martire. Questo falso alone teologico va dissipato in tutti i sensi. Per questo alone la formula della Monnier. Si può dire: provò un fremito di felicità; non si può dire qual cosa di analogo per l’infelicità. Nello stato di natura l’infelicità non può entrare in noi.
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Lo Spleen è il sentimento che in permanenza corrisponde alla ca tastrofe. L’evoluzione storica quale si presenta nel concetto di catastro fe, in fondo non può tenere occupato Tessere umano pensante più del caleidoscopio in mano al bambino nel quale a ogni rotazione un certo ordine crolla dando luogo a un ordine nuovo. L’immagi ne ha una sua profonda, autentica ragione d’essere. I concetti dei potenti sono sempre stati gli specchi grazie ai quali si realizzava l’immagine di un «ordine». - Bisogna distruggere il caleidoscopio. La tomba come camera segreta in cui eros e sexus compongono la loro antica contesa. Le stelle rappresentano, in Baudelaire, la crittografia della mer ce. Sono il sempreuguale in grandi masse. La svalutazione del mondo concreto nell’allegoria, all’interno del mondo concreto stesso è superata dalla merce. [v i .]
Descrivere l’art nouveau come il secondo tentativo dell’arte di confrontarsi con la tecnica. Il primo fu il realismo, dove il proble ma esisteva in misura minore o maggiore nella coscienza degli arti sti, allarmati dai nuovi procedimenti delle tecniche di riproduzio ne. (Cfr. altri passi! ev. nel materiale del lavoro sulla riproduzio ne). Nell’art nouveau il problema in quanto tale era già stato rimosso. Esso non si considerava più minacciato dalla concorrenza della tecnica. Tanto più aggressiva era la critica alla tecnica che in esso è celata. Suo obiettivo è in fondo quello di sospendere l’evo luzione tecnica. Il suo rifarsi a motivi tecnici nasce dal tentativo ... Ciò che in Baudelaire era l’allegoria, in RoUinat è scaduto a genere. Evidenziare come il motivo dellaperte d ’aurèole sia in netta con trapposizione ai motivi dell’art nouveau. Essenza come motivo dell’art nouveau.
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Scrivere la storia significa dare agli anni la loro fisionomia. La prostituzione dello spazio nell’hascisc dove è strumento di tutto ciò che è stato [spleen). Nello spleen chi giace nella tomba è il «soggetto trascendenta le» della coscienza storica. L’art nouveau aveva particolarmente a cuore l’aureola. Ma pri ma di allora il sole si era piaciuto tanto nella sua aureola; ma l’oc chio dell’uomo era stato tanto luminoso come in Fidus. [vn.] Analizzare il motivo dell’androgina, nella lesbica, della donna sterile nel contesto della forza distruttiva dell’intenzione allegori ca. - Trattare prima la rinuncia al «naturale» - nel contesto della metropoli come soggetto del poeta. Meryon: il mare di case, il rudere, le nuvole, imponenza e fra gilità di Parigi. Trasferire la contrapposizione fra antichità e modernità dal con testo pragmatico in cui appare in Baudelaire, a quello allegorico. Lo spleen pone secoli tra l’istante presente e quello appena vis suto. E lo spleen che instancabilmente crea l’«antichità». In Baudelaire il «moderno» non si basa esclusivamente e in pri ma istanza suUa sensibilità. In esso si esprime una estrema spon taneità; la modernità in Baudelaire è una conquista; possiede un’os satura. A quanto pare, se ne è reso conto il solo Jules Laforgue, che ha parlato dell’«americanismo» di Baudelaire. [vm.] Baudelaire non aveva l’idealismo umanitario di un Victor Hu go o di un Lamartine. Non disponeva del sentimentalismo di un Musset. Non ha, come Gautier, apprezzato il proprio tempo, né è riuscito, come Leconte de Lisle, a ingannarsi sul suo conto. Non
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gli fu concesso di rifugiarsi nella devozione, come fece Verlaine, né, come Rimbaud, di potenziare l’energia giovanile dello slancio poetico tradendo l’età adulta. Tanto il poeta abbonda nel trovare informazioni per quanto concerne il suo mestiere, tanto incerto fu nell’escogitare espedienti nei confronti del suo tempo. Persino la «modernità», che era tanto orgoglioso di avere scoperto, che esi ti ha avuto ? I potenti del Secondo Impero non erano modellati sui campioni della classe borghese descritti da Balzac. E la modernità fini per diventare una parte che forse nessun altro che Baudelaire poteva coprire. Una parte tragica, dove il dilettante, che doveva assumerla in mancanza di altre forze, faceva spesso una figura co mica, come gli eroi profusi dalla mano di Daumier con l’approva zione di Baudelaire. Di tutto ciò Baudelaire si rendeva certamen te conto. Le eccentricità di cui si compiaceva erano il suo modo di manifestarlo. Egli non era quindi, certamente, un messia né un martire, e neppure un eroe. Ma aveva in sé qualcosa dell’attore, che deve recitare la parte del poeta davanti a una platea e a una società che già non sa più cosa farsene del vero poeta e gli conce de spazio solo come attore. [IX .]
La nevrosi produce l’articolo di massa nell’economia psichica, dove prende la forma della rappresentazione coatta. Essa appare, nell’economia del nevrotico, sempre uguale a se stessa, in innu merevoli esemplari. Viceversa, l’idea stessa dell’eterno ritorno ha, in Blanqui, la forma di una rappresentazione coatta. L’idea dell’eterno ritorno fa dello stesso accadere storico un ar ticolo di massa. Questa concezione mostra però anche in un altro senso - per cosi dire nel suo rovescio - la traccia delle circostanze economiche cui deve la sua improvvisa attualità. Essa si annunciò nell’istante in cui la sicurezza delle condizioni di vita diminuì ra dicalmente in seguito alla successione accelerata delle crisi. L’idea dell’eterno ritorno ricavava il suo splendore dal fatto che non si potesse più contare con sicurezza sul ritorno delle stesse condi zioni a intervalli più brevi di quelli forniti dall’eternità. Il ritorno di costellazioni quotidiane diventava via via sempre più raro, e po teva nascere cosi l’oscuro presentimento che ci si dovesse accon tentare delle costellazioni cosmiche. Insomma, l’abitudine si ac cingeva a rinunciare ad alcuni dei suoi diritti. Dice Nietzsche:
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«Amo le abitudini brevi», e già Baudelaire fu incapace di svilup pare, in tutta la sua vita, abitudini stabili. [X .]
Le allegorie sono le stazioni della vìa crucis del melancolico. Ruo lo dello scheletro nell’erotologia di Baudelaire? «L’élégance sans nom de l’humaine armature». L’impotenza è alla base della via crucis della sessualità maschile. Indice storico di questa impotenza. Dall’impotenza deriva sia il suo attaccamento all’immagine serafica della donna che il suo feticismo. Sottolineare la concretezza e la precisione con cui l’immagine della donna si presenta in Baudelaire, fi «peccato poetico» di Keller, «Sii6e Frauenbilder zu erfinden IWie die bittere Erde sie nicht hegt»'*, non è certo il suo. Le immagini femminili di Keller possiedono la dolcez za delle chimere, poiché egli ha infuso in loro la propria impotenza. Nei suoi personaggi femminili, Baudelaire resta più preciso e, in una parola, più francese, giacché in lui l’elemento feticistico e quello se rafico, a differenza che in Keller, non si sono quasi mai uniti. Ragioni sociali dell’impotenza: la fantasia della classe borghese cessava di occuparsi del futuro delle forze produttive che essa ave va scatenato. (Confronto fra le sue utopie classiche e quelle della metà dell’Ottocento). La borghesia, per potersi occupare ulterior mente di questo futuro, avrebbe dovuto infatti rinunciare, per pri ma cosa, d ’idea della rendita. Nello scritto su Fuchs, ho mostra to come l’idea di «intimità domestica» specifica della metà del se colo si ricolleghi a questa motivata paralisi della fantasia sociale. In confronto alle anticipazioni di questa fantasia sociale, il desi derio di avere figli non è forse che un debole stimolo. La teoria baudelairiana dei bambini come degli esseri più vicini al péché ori ginai è, in ogni caso, rivelatrice. [X I.]
Contegno di Baudelaire sul mercato letterario. Baudelaire era abilitato o costretto - dalla sua profonda esperienza della natura * «Inventare dolci immagini di donna I come l’amara terra non serba» [N.
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della merce - a riconoscere il mercato come istanza oggettiva (cfr. i suoi Conseils auxjeunes littérateurs). Grazie alle sue trattative con le redazioni era in continuo contatto col mercato. D suo metodo la diffamazione (Musset), la contrefagon (Hugo). Baudelaire ha avu to forse per primo l’idea di un’originalità a norma di mercato, che - proprio perciò - era allora più originale di ogni altra {créer un poncij). Questa créatìon implicava una certa intolleranza. Baudelaire voleva creare spazio per le sue poesie e a tal fine doveva rimuo verne delle altre. Svalutò certe libertà poetiche dei romantici col suo impiego classico dell’alessandrino e la poetica classicistica con le sue tipiche fratture e irregolarità nel verso classico stesso. In bre ve, le sue poesie contenevano particolari disposizioni atte a ri muovere la concorrenza. [xn.] La figura di Baudelaire entra, in un senso decisivo, a far parte della sua gloria. La sua storia è stata, per la massa piccolo-borghese dei lettori, \xrìimage d ’Epinal, e cioè l’illustrazione della «car riera di un lilsertino». Tale immagine ha contribuito assai aUa fa ma di Baudelaire, anche se quelli che la diffusero non contavano certo fra i suoi amici. A questa immagine se ne sovrappone un’al tra, che ha operato assai meno diffusamente in estensione, ma for se, in compenso, più tenacemente nel tempo: dove Baudelaire ap pare come l’esponente di una passione estetica, come è stata con cepita da Kierkegaard (^mAut-aut) in quello stesso periodo. Nessuna analisi di Baudelaire che voglia scrutare a fondo la sua opera può rinunciare a fare i conti con l’immagine della sua vita. In realtà questa immagine è determinata dal fatto che egli si è reso conto per primo, e nel modo più ricco di conseguenze, che la borghesia era sul punto di ritirare la sua commissione al poeta. Quale incari co sociale poteva subentrare al suo posto? Non si poteva appren derlo da nessuna classe; e si poteva tutt’al più inferire dal merca to e dalle sue crisi. Non la richiesta palese e a breve termine, ma quella latente e a lunga scadenza interessava Baudelaire. Le Fleurs du mal provano che egli la seppe valutare esattamente. Ma il mez zo del mercato, in cui essa si manifestava, determinava un modo di produzione, e anche di vita, che era molto diverso da quello dei poeti di una volta. Baudelaire era costretto a pretendere la dignità di poeta in una società che non aveva più alcuna dignità di sorta da assegnare. Di qui la bouffonnerie del suo comportamento.
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[xm.] In Baudelaire il poeta rivendica per la prima volta un valore di mercato. Baudelaire fu l’impresario di se stesso. La perte d ’aurèo le concerne innanzitutto il poeta. Di qui la sua mitomania. Gli elaborati teoremi che pour l’art furono dedicati tan to dai suoi sostenitori di allora quanto dalla storia della letteratu ra (per non parlare di quelli attuali) conducono, in un modo o nel l’altro, alla seguente proposizione: il vero soggetto della poesia è la sensibilità. La sensibilità è per sua natura dolente. Se sperimenta la sua più alta concrezione e la sua determinazione più ricca di con tenuto nell’erotismo, essa trova il compimento assoluto, che coin cide con la sua trasfigurazione, nella Passione. La poetica dell’ar? pour l’art è passata senza soluzione di continuità nella Passione estetica delle Vleurs du mal. Fiori ornano le singole stazioni di questo Calvario. Sono i fio ri del male. Ciò che è colpito dall’intenzione allegorica viene estrapolato dai nessi della vita: viene distrutto e conservato allo stesso tempo. L’al legoria resta fedele alle macerie. E dà l’immagine deU’inquietudine irrigidita. L’impulso distruttivo di Baudelaire non è mai inte ressato all’eliminazione della sua vittima. La descrizione della confusione è qualcosa di diverso da una de scrizione confusa. L’«Attendre c’est la vie» di Victor Hugo - la saggezza dell’esilio. La nuova desolazione di Parigi (cfr. il passo sui croque-morts) è un momento significativo nell’immagine della modernità (cfr. VeuiUot D 2,2). [xiv.] La figura della donna lesbica fa parte in senso proprio dei mo delli eroici di Baudelaire. Lo esprime egli stesso nel linguaggio del suo satanismo, ma si può comprendere anche in un linguaggio cri
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tico, non metafisico, che intenda la sua professione di fede nella «modernità» nel suo significato politico. Il xix secolo iniziò a in serire senza riserve la donna nel processo della produzione di mer ci. I teorici erano concordi nel ritenere che la sua specifica fem minilità dovesse risultarne minacciata e che, col passare del tem po, dovessero necessariamente manifestarsi nella donna dei tratti maschili. Baudelaire vede positivamente questi tratti, ma nello stesso tempo vuole affrancarli dal dominio della sfera economica. Perciò giunge a dare a questa tendenza nell’evoluzione della don na un accento puramente sessuale. Il modello ideale della donna lesbica rappresenta la protesta della «modernità» contro l’evolu zione tecnica. (Varrebbe la pena di accertare come la sua avver sione per George Sand sia fondata in questo contesto). La donna in Baudelaire: la preda più preziosa nel «Trionfo del l’allegoria» - la vita che significa la morte. Questa qualità è inse parabile in particolare dalla prostituta. E l’unica cosa che non le si può comprare, e per Baudelaire solo questa conta. [XV.]
Interrompere il corso del mondo - era la più profonda volontà di Baudelaire. La volontà di Giosuè. Non tanto la volontà profeti ca, poiché non pensava ad alcun ritorno. Da questa volontà traeva origine la sua violenza, la sua impazienza e la sua collera; da essa traevano origine anche i continui tentativi di colpire il mondo al cuore o di avvilupparlo nel sonno. A partire da questa volontà nel le sue opere egli accompagnò la morte con il suo incoraggiamento. È lecito supporre che gli oggetti che costituiscono il centro del la poesia di Baudelaire non fossero raggiungibili con uno sforzo si stematico e risoluto: non a caso non prende di mira in quanto ta li oggetti senz’altro nuovi - la metropoli, la massa. Non sono loro la melodia che ha in mente. Lo sono invece il satanismo, lo spleen e l’erotismo trasgressivo. Gli oggetti autentici delle Fleurs du mal si trovano in luoghi poco appariscenti. Sono, per restare nell’im magine, le corde mai toccate prima dell’inaudito strumento sul quale Baudelaire fantastica.
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Il labirinto è la via giusta per chi arriverà comunque in tempo alla meta. E questa meta è il mercato. Giocare à’&zzatào, fldner, collezionare - le attività che vengo no messe in campo contro lo spleen. Baudelaire dimostra come nel suo declino la borghesia non sia più in grado di integrare gli elementi asociali. Quando venne sciol ta la garde natìonale? Con i nuovi sistemi produttivi che portano alle imitazioni, l’ap parenza si deposita nelle merci. Per gli uomini come sono oggi c’è solo una novità radicale - ed è sempre la stessa: la morte. Inquietudine irrigidita è anche la formula della vita di Baude laire, che non conosce sviluppo. [xvn.] Uno degli arcani di cui la prostituzione divenne depositaria so lo con l’avvento della grande città è la massa. La prostituzione inaugura la possibilità di una comunione mitica con la massa. Ma l’avvento della massa è contemporaneo a quello della produzione di massa. La prostituzione sembra implicare insieme la possibilità di resistere in uno spazio vitale in cui gli oggetti del nostro uso im mediato sono divenuti - sempre di più - prodotti di massa. Nella prostituzione deUe grandi città anche la donna stessa diventa pro dotto di massa. E questo sigillo affatto nuovo della vita nella me tropoli che dà, all’accettazione baudelairiana del dogma del pec cato originale, il suo vero significato. Il concetto più antico pare va a Baudelaire abbastanza sicuro e sperimentato per dominare un fenomeno affatto nuovo e sconcertante. Il labirinto è la patria dell’esistente. La via di chi teme di arri vare alla meta traccerà, facilmente, un labirinto. Cosf fa l’istinto negli episodi che precedono la sua soddisfazione. È questo il caso
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anche dell’umanità (la classe) che non vuol sapere che ne sarà di lei. Se è la fantasia che offre al ricordo le corrispondenze, è però il pensiero che gli dedica le allegorie. Il ricordo ricollega le une alle altre. [xvm.] L’attrazione magnetica che alcune poche situazioni fondamen tali hanno costantemente esercitato sul poeta rientra nel quadro sintomatico della melancolia. La fantasia di Baudelaire conosce im magini stereotipe. In generale sembra essere stato vittima della coazione a ritornare almeno una volta su ciascuno dei suoi moti vi. Ciò è realmente paragonabile alla spinta che attira sempre di nuovo il delinquente sul luogo del delitto. Le allegorie sono i luo ghi in cui Baudelaire espiava il suo istinto di distruzione. Si spie ga, forse, cosi la corrispondenza veramente singolare di tante del le sue prose coi poemi delle Vleurs du mal. Voler giudicare la forza di pensiero di Baudelaire dalle sue di gressioni filosofiche (Lemaìtre) sarebbe un grave errore. Baudelai re fu un cattivo filosofo, un buon teorico, ma veramente incom parabile solo come rimuginatore. Del rimuginatore ha la stereoti pia dei motivi, la fermezza nel tenere lontano ogni elemento di disturbo, la disponibilità a porre costantemente l’immagine al ser vizio del pensiero. Il rimuginatore, come tipo storicamente deter minato di pensatore, è colui che è di casa fra le allegorie. In Baudelaire la prostituzione è il lievito che fa fermentare le masse delle metropoli nella sua fantasia. [XDC.]
Maestà dell’intenzione allegorica: distruzione dell’organico e del vivente - soppressione dell’apparenza. Vedere il passo estremamente significativo in cui Baudelaire parla del fascino che esercita su di lui il fondale dipinto dei teatri. La rinuncia all’incanto della lontanan za è un momento decisivo nella lirica di Baudelaire. Esso ha trova to la sua formulazione suprema nella prima strofa di Le voyage.
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Per cancellare l’apparenza, «l’amour du mensonge». Une martyre e La mortdes amants - intérieurMakart e art nouveau.
L’estrapolare le cose dai loro nessi abituali - che per le merci nel lo stadio della loro messa sial mercato è normale - è un modo di pro cedere molto caratteristico di Baudelaire. Ha a che fare con la di struzione dei nessi organici nell’intenzione allegorica. Cfr. Une marty re strofe 3 e 5 nei motivi naturali o la prima strofa di Madrigai triste. Deviazione dell’aura, come proiezione di un’esperienza sociale fra esseri umani, verso la natura: lo sguardo è contraccambiato. La mancanza di apparenza e il dedicamento dell’aura sono fe nomeni identici. Baudelaire mette al loro servizio il mezzo arti stico dell’allegoria. Al sacrificio della sessualità maschile è associato il fatto che Bau delaire dovette avvertire la gravidanza come una sorta di concor renza sleale. Le stelle che Baudelaire bandisce dal suo mondo sono proprio quelle che, in Blanqui, diventano la sede dell’eterno ritorno. [XX.]
L’ambiente oggettivo degli uomini assume, sempre più aperta mente, la fisionomia della merce. Nello stesso tempo la réckme si accinge a coprire col suo bagliore il carattere di merce delle cose. Alla trasfigurazione menzognera del mondo delle merci si oppone la sua attrazione in senso allegorico. La merce cerca di guardarsi in faccia. E celebra la sua incarnazione nella prostituta. Rappresentare la rideterminazione dell’allegoria nell’economia delle merci. L’obiettivo di Baudelaire era di far emergere nella mer ce l’aura che le è peculiare. Cercò di umanizzare la merce in ma niera eroica. Questo tentativo ha il suo pendant nel coevo tentati vo borghese di umanizzare la merce in modo sentimentale: di dare alla merce, come all’uomo, una casa. Era questo che ci si ripro metteva dagli astucci, dalle fodere e dalle custodie con i quali, al l’epoca, venivano ricoperte le suppellettili delle case borghesi.
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L’allegoria di Baudelaire ha in sé - a differenza di quella ba rocca - le tracce della rabbia che era necessaria per irrompere in questo mondo, per distruggerne l’armonica struttura. In Baudelaire l’eroico è la manifestazione sublime, lo spleen la manifestazione meschina del demoniaco. Queste categorie della sua «estetica» vanno tuttavia decifrate. Non si possono accettare come sono. - Rapporto dell’eroico con la latinità antica. [xxi.] Lo shock come principio poetico in Baudelaire: lafantasque escrìme della città dei tableaux parisìens non è più patria’. E scenario ed esilio. Quale immagine della metropoli si ottiene se l’elenco dei suoi pericoli fisici è ancora tanto incompleto come in Baudelaire ? L’emigrazione come una chiave della metropoli. Baudelaire non ha mai scritto una poesia suUe prostitute dal punto di vista della prostituta (cfr. Libro di letteratura per gli abi tanti delle città 5). La solitudine di Baudelaire e la solitudine di Blanqui. La fisionomia di Baudelaire come fisionomia dell’attore. Rappresentare la miseria di Baudelaire sullo sfondo della sua «passione estetica». L’iracondia di Baudelaire fa parte della sua disposizione di struttiva. Ci si avvicina di più al senso della cosa se si riconosce an che in questi attacchi d’ira un «étrange sectionnement du temps». Il motivo di fondo dell’art nouveau è la trasfigurazione della sterilità. Si disegna il corpo preferibilmente nelle forme che pre cedono la maturità sessuale. Ricollegare questo concetto all’inter pretazione regressiva tecnica. ’ L’originale ha Heimat, termine dallo spettro semantico più ampio rispetto all’italia no «patria» [N,
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L’amore lesbico conduce la spiritualizzazione sin nel grembo femminile. Qui pianta il vessillo gigliato dell’amore «puro» che non conosce né gravidanza né famiglie. Il titolo les lìmbes va forse trattato nella prima parte, in modo che in ogni parte vi sia il commento di un titolo, nella seconda les ìesbiennes, nella terza les fkurs àu mal. [xxn.] A differenza ad esempio di quella più recente di Rimbaud, la fama di Baudelaire sino ad ora non ha conosciuto échéance. L’e norme difficoltà nell’accostarsi al nocciolo della poesia di Baude laire consiste, per dirlo sinteticamente, in questo: non c’è nulla in queste poesie che sia invecchiato. Il sigillo dell’eroismo in Baudelaire: di vivere nel cuore dell’ir realtà (dell’apparenza). Si aggiunga che a Baudelaire era scono sciuta la nostalgia. Kierkegaard! La poesia di Baudelaire fa apparire il nuovo nel sempreuguale e il sempreuguale nel nuovo. Mettere ben in evidenza come l’idea dell’eterno ritorno pene tri all’incirca nello stesso tempo nel mondo di Baudelaire, di Blanqui e di Nietzsche. In Baudelaire l’accento cade sul nuovo, strap pato con eroico sforzo al sempreuguale, in Nietzsche sul sem preuguale, che l’uomo affronta con eroica fermezza. (Blanqui è molto più vicino a Nietzsche che a Baudelaire, ma in lui prevale la rassegnazione). In Nietzsche questa esperienza si proietta co smologicamente nella tesi che non succede più nulla di nuovo. [xxm.] Baudelaire non avrebbe scritto poesie se per poetare avesse avu to solo i motivi che di solito hanno i poeti. Questo lavoro deve fornire la proiezione storica delle esperien ze che sono alla base delle Fleurs du mal.
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Considerazioni molto precise di Adrienne Monnier: l’elemen to specificamente francese in lui: la rogne. Vede in lui il ribelle: lo paragona a Fargue: «maniaque, revolté contre sa propre impuissance, et qui le sait». Accenna anche a Céline. La gauloiserie è l’e lemento francese in Baudelaire. Altra considerazione di Adrienne Monnier: i lettori di Baude laire sono gli uomini. Le donne non lo amano. Per gli uomini si gnifica la rappresentazione e il trascendimento del cóté ordurier nella loro vita istintuale. Se si va oltre, allora in questa luce la pas sione di Baudelaire per molti suoi lettori è un rachat di taluni lati della loro vita istintuale. Per il dialettico ciò che conta è essere sospinto dal vento della storia universale. Pensare per lui significa: alzare le vele. Quel che conta è come si alzano. Le parole per lui sono solo le vele. Come vengono alzate fa di loro un concetto. [xxrv.] L’eco ininterrotta che le Fleurs du mal hanno trovato fino ad oggi si riconnette profondamente a un certo aspetto assunto qui dalla grande città, la prima volta che entrava nel verso. È quello che meno ci si potrebbe aspettare. Ciò che si ode, in Baudelaire, ogni volta che nei suoi versi evoca Parigi, è la caducità e fragilità di questa grande città. Che non si trova forse mai accennata in mo do più perfetto che nel Crépuscule du matìn\ ma l’aspetto è comu ne, in maggiore o minor misura, a tutti i tableaux parisiens; e si ri vela nella trasparenza della città, quale è evocata da Le soleil, co me nell’effetto di contrasto del Réve parisien. Il fondamento decisivo per la produzione di Baudelaire è la ten sione che in lui si crea tra una sensibilità portata all’estremo e una contemplazione concentrata all’estremo. Essa si riflette sul piano teorico nel principio delle correspondances e in quello dell’allego ria. Baudelaire non ha mai fatto il minimo tentativo di stabilire un qualche nesso fra queste speculazioni per lui tanto importanti. La sua poesia nasce dal concorso di queste due tendenze presenti in lui. Ciò che venne recepito inizialmente (Pechméja) e che conti nuò ad agire nella poesie pure, fu il lato sensitivo del suo ingegno.
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Il silenzio come aura. Maeterlinck porta alle conseguenze più negative l’evoluzione di ciò che è l’atira. Brecht ha osservato: nei popoli neolatini l’affinamento delle fa coltà sensoriali non riduce l’energia della presa. Il tedesco paga l’af finamento, la sempre più diffusa civUtà del godimento, sempre con una riduzione nella forza della presa. La capacità di godere perde in densità quando guadagna in sensibilità. Questa osservazione a proposito dell’«odeur de futailles» e «le vin des chiffonniers». Ancora più importante la seguente osservazione: il raffinamento eminentemente sensuale di un Baudelaire è del tutto privo di in tima tranquillità. Questa sostanziale incompatibilità fra godimen to sensuale e intima tranquillità è la caratteristica decisiva di un’au tentica civiltà dei sensi. Lo snobismo di Baudelaire è la formula eccentrica di questa rinuncia assoluta all’intima tranquillità e il suo «satanismo» nuU’altro che la costante disponibilità a turbarla ogni qualvolta dovesse manifestarsi. [xxvi.] Nelle Vhun du mal non vi è la minima traccia di una descrizio ne di Parigi. Questo sarebbe sufficiente per differenziarli netta mente dalla successiva «lirica della città». Baudelaire parla nel ru moreggiare della città di Parigi come uno che parlasse rivolto ai marosi. Il suo discorso è chiaro nella misura in cui è percepibile. Ad essa tuttavia si mescola qualcosa che,le nuoce. E resta mesco lato a questo rumoreggiare che lo porta via con sé e gli conferisce un significato oscuro. Il faìts divers è il lievito che fa fermentare, nella fantasia di Bau delaire, la massa delle grandi città. È probabile che ciò che spingeva Baudelaire in modo così esclu sivo verso la letteratura latina, e in particolare tardolatina, fosse in parte l’uso non tanto astratto quanto piuttosto allegorico che la letteratura tardolatina fa dei nomi degli dei. Baudelaire poteva scorgervi un procedimento affine al suo.
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Nell’opposizione che Baudelaire dichiara alla natura è implica ta innanzitutto una profonda protesta contro l’«organico». Se pa ragonato all’inorganico, la qualità di strumento dell’organico ap pare totalmente limitata. Esso ha minore disponibilità. Cfr. la te stimonianza di Courbet, secondo il quale Baudelaire aveva ogni giorno un aspetto diverso. [xxvn.] L’atteggiamento eroico di Baudelaire ha forse la massima affi nità con quello di Nietzsche. Anche se Baudelaire si attiene al cat tolicesimo, la sua esperienza dell’universo corrisponde esattamen te a quella che Nietzsche ha riassunto nella frase: Dio è morto. Le fonti da cui si alimenta l’atteggiamento eroico di Baudelai re scaturiscono dagli ultimi fondamenti dell’ordine sociale che si andava delineando verso la metà del secolo. Esse fanno tutt’uno con le esperienze che istruirono Baudelaire intorno ai radicali mu tamenti che avevano avuto luogo nelle condizioni della produzio ne artistica. Questi mutamenti consistevano nel fatto che la for ma di merce nell’opera d’arte, e la forma di massa nel pubblico, trovavano espressione più diretta e brutale di quanto non fosse mai avvenuto prima. Proprio questi mutamenti determinarono in seguito, insieme ad altri cambiamenti nel campo dell’arte, anzi tutto il tramonto della poesia lirica. E il sigillo inconfondibile del le Yleun du mal che Baudelaire risponda a questi mutamenti con un libro di poesie. Ed è anche l’esempio più straordinario di at teggiamento eroico che si trova nella sua esistenza. L'appareilsanglant de la destruction è lo sparso armamentario che - nella cella più intima della poesia di Baudelaire - giace ai piedi della puttana, che ha ereditato tutti i pieni poteri dell’alle goria barocca.
[xxvm.] Il rimuginatore, il cui sguardo improvvisamente spaventato ca de sul frammento che regge in mano, si trasforma in allegorico.
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Un interrogativo riservato alla conclusione: come è possibile che un comportamento almeno all’apparenza così profondamente «inattuale» quale quello dell’allegorico occupi un posto di primis simo piano nell’opera poetica del secolo? Mostrare che l’allegoria è l’antidoto al mito. Il mito era il per corso facile che Baudelaire si è negato. Una poesia come La vìe antérieure, il cui titolo suggerisce ogni possibile compromissione, dimostra quanto distante Baudelaire fosse dal mito. Alla fine, la citazione da Blanqui Hotnmes du dix-neuvìème sìèck. La presa ferma, apparentemente brutale, fa parte dell’immagi ne della salvezza. L’immagine dialettica è la forma di quell’oggetto storico che soddisfa le esigenze che Goethe pone all’oggetto sintetico. [xxix.] Con l’atteggiamento dell’accattone, Baudelaire ha incessante mente messo alla prova questa società. La sua artificiale dipen denza dalla madre, oltre a quelle evidenziate dalla psicoanalisi, ha anche cause sociali. Per l’idea dell’eterno ritorno è importante il fatto che la bor ghesia non osava più guardare in faccia allo sviluppo incombente dell’ordine produttivo che essa stessa aveva messo in opera. L’i dea di Zarathustra dell’eterno ritorno e il motto sulle federe dei cuscini «Solo un quarto d’ora» sono complementari. La moda è l’eterno ritorno del nuovo. - Vi sono ugualmente, proprio nella moda, motivi di salvezza? In un certo numero di componimenti Vintérieur delle poesie baudelairiane trae ispirazione dd lato oscuro ìntérìeur borghese. Il suo pendant è Vintérieur trasfigurato dell’art nouveau. Nelle sue considerazioni Proust ha appena sfiorato il primo. La scarsa propensione di Baudelaire a viaggiare rende ancora più sorprendente la prevalenza delle immagini esotiche che per
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molti versi domina la sua lirica. In questa autorità la sua melancolia ottiene giustizia. Fra l’altro questo è un’indicazione della for za con cui nella sua sensibilità ottiene giustizia l’elemento dell’aura. Le voyage è una rinuncia al viaggiare. La corrispondenza tra antichità e modernità è in Baudelaire l’u nica concezione costruttiva della storia. Essa tendeva più a esclu dere che a comprendere in sé una concezione dialettica. [xxx.] Osservazione di Leyris, che in Baudelaire la parola «familier» è ricca di mistero e d’inquietudine, che in lui sottende qualcosa che non ha mai significato prima. Uno degli anagrammi nascosti di Parigi in Spleen I è la parola mortalité. Il primo verso de La servante au grand cceur: sulle parole doni vous étiez jalouse non cade queW zcxxxxto che ci si potrebbe atten dere. T)&jaloux è come se la voce si ritraesse. E questo riflusso del la voce è qualcosa di estremamente indicativo per Baudelaire. Osservazione di Leyris, per cui il rumore di Parigi, dai numero si passi in cui appare, non verrebbe evocato nel senso letterale {hurds tombereaux), bensì intessuto ritmicamente nel verso di Baudelaire. Per il passo où tout, ménte l’horreur, toume aux enchantements è difficile trovare un esempio migliore della descrizione della folla in Poe. Osservazione di Leyris, per cui le Vleurs du mal sarebbero le livre de poesie le plus irréductible-, probabilmente è da intendersi che dell’esperienza su cui poggiano pochissimo si è compiuto. [xxxi.] Impotenza virile - figura-chiave della solitudine - nel suo se gno si attua l’arresto delle forze produttive - un abisso separa l’uo mo dai suoi simili.
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La nebbia come conforto della solitudine. La vie antérìeure schiude l’abisso temporale nelle cose; la soli tudine schiude agli uomini quello spaziale.
Confrontare la velocità delflàneur con la velocità della folla qua le viene descritta da Poe. La prima è una protesta contro la se conda. Cfr. la moda delle tartarughe del 1839 D 2 a, L La noia, nel processo produttivo nasce con la sua accelerazione (attraverso le macchine). Con la sua ostentata pacatezza, ilflàneur protesta contro il processo produttivo. In Baudelaire ci si imbatte in un’infinità di stereotipie, come nei poeti barocchi. Serie di tipi dal garde natìonal Mayeux, a Viroloque e allo chiffonnier di Baudelaire sino a Gavroche e al sottoproletario Ratapoil. Trovare un’invettiva contro Cupido. Nel contesto delle invet tive dell’allegorico contro la mitologia, che corrispondono perfet tamente a quelle dei chierici dell’alto medioevo. Nel passo in que stione, Cupido dovrebbe avere l’aggettivo L’avversione di Baudelaire nei suoi confronti ha le stesse radici del suo odio per Béranger. La candidatura di Baudelaire dUiì!académie fu un esperimento so ciologico. La teoria dell’eterno ritorno come sogno delle imminenti, straor dinarie invenzioni nell’ambito della tecnica della riproduzione. [xxxn.] Se può sembrare ovvio che l’aspirazione dell’uomo a un’esi stenza più pura, più innocente e spirituale di quella a lui concessa rivolga necessariamente lo sguardo alla natura in cerca di un pe gno, essa lo ha trovato, per lo più, in esseri analoghi del mondo ve getale o animale. Non così in Baudelaire. Il suo sogno di una tale esistenza respinge ogni comunione con qualsiasi natura terrena e si lega invece solo alle nuvole. Ciò è detto esplicitamente nel pri
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mo poemetto dello Spleen de Paris. In molte poesie è presente il motivo delle nuvole. La profanazione delle nuvole {La Beatrice) è la più terribile. Un’affinità nascosta delle Fleurs du mal con Dante consiste nel l’esistenza creativa. Non si può immaginare alcuna raccolta di poe sie in cui il poeta sia meno presuntuoso e nessuna in cui si presenti con maggiore forza. Nell’esperienza di Baudelaire, la patria del l’ingegno creativo è l’autunno. L ’Ennemì, Le Soleìl. Uessence du rire non contiene altro che la teoria della risata sa tanica. In questo scritto, Baudelaire arriva a sostenere che persi no il sorriso è di per sé satanico. I contemporanei hanno spesso os servato che c’era qualcosa di spaventoso nel suo modo di ridere.
Dialettica della produzione di merci: alla novità del prodotto (come stimolatore della domanda) viene attribuito un significato finora sconosciuto; il sempreuguale appare per la prima volta in maniera palese nella produzione di massa. [xxxna.] Il «ricordo»* è la reliquia secolarizzata. Il «ricordo» è complementare all’«esperienza contingente». In esso si deposita la crescente autoestraniazione dell’uomo, che ca taloga il suo passato come una proprietà morta. Nell’Ottocento l’allegoria ha sgombrato il mondo esteriore per stabilirsi in quello interno. La reliquia deriva dal cadavere, il «ricordo» dall’espe rienza defunta, che si definisce, eufemisticamente, «esperienza contingente». Le Fleurs du mal sono l’ultimo testo di poesia di risonanza eu ropea. Prima di loro forse: Ossian, Il Libro dei Canti ? Gli emblemi ritornano come merci. L’allegoria è l’ossatura della modernità. ‘ Abbiamo scelto di tradurre
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Vi è in Baudelaire una certa ritrosia a risvegliare l’eco - nell’a nimo come nello spazio. E talvolta estremo, non è mai sonoro. Il suo modo di esprimersi si stacca così poco dalla sua esperienza quanto Vhabitus di un perfetto prelato dalla sua persona. [xxxm.] L’art nouveau appare come l’equivoco produttivo grazie al qua le il «nuovo» è diventato «moderno». Naturalmente questo equi voco ha le sue radici in Baudelaire. Il moderno è in opposizione all’antico, il nuovo in opposizione al sempreuguale. (La modernità: la massa; l’antichità: la città di Parigi). Le strade parigine di Meryon: abissi, sopra i quali in alto pas sano le nuvole. Quella dialettica è un’immagine balenante. Così, come un’im magine che balena nell’istante della riconoscibilità, bisogna fissa re quella di ciò che è stato, in questo caso quella di Baudelaire. La salvezza, che si raggiunge solo ed esclusivamente in questo modo, si conquista solo come percezione di ciò che si sta irrimediabil mente smarrendo. Riprendere qui il passo metaforico dall’intro duzione a Jochmann. [xxxrv.] AU’epoca di Baudelaire U concetto di contributo originale era assai meno diffuso e decisivo di quanto lo sia oggi. Baudelaire ha spesso consegnato le sue poesie per una seconda o terza edizione senza che nessuno se ne scandalizzasse. Solo negli ultimi anni di vita ebbe dei fastidi a questo riguardo, a proposito dei Petits poèmes en prose. Ispirazione di Hugo: le parole gli si offrono, al pari delle im magini, come una massa ondeggiante. Ispirazione di Baudelaire: grazie a una procedura profondamente studiata, le parole sembra no spuntare per magia nel punto in cui appaiano. In questa pro cedura l’immagine ha un ruolo fondamentale.
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Chiarire il significato della melancolia eroica nell’ebbrezza e nell’ispirazione allegorica. Sbadigliando l’uomo spalanca se stesso come un baratro; si ren de simile alla noia che lo circonda. Che senso ha parlare di progresso a un mondo che sprofonda nel la rigidità cadaverica ? L’esperienza di un mondo che entra in uno stato di rigidità cadaverica Baudelaire la trovò esposta con incom parabile forza in Poe. Ciò che gli rese Poe insostituibile fu il fatto che questi descrivesse il mondo in cui poesia e aspirazioni di Bau delaire ottenevano giustizia. Vedi la testa di medusa in Nietzsche. [xxxv.] L’eterno ritorno è un tentativo di saldare insieme i due principi antinomici della felicità: quello dell’eternità e quello dell’ancora una volta. - L’idea dell’eterno ritorno suscita per incanto, dalla miseria del tempo, l’idea speculativa (o la fantasmagoria) della felicità. L’e roismo di Nietzsche fa pendant a quello di Baudelaire, che evoca, dalla miseria del filisteismo, la fantasmagoria della modernità. Fondare il concetto di progresso nell’idea di catastrofe. Che tut to «vada avanti» come prima è la catastrofe. Essa non è ciò che di volta in volta incombe, ma ciò che di volta in volta è dato. Il pen siero di Strindberg: l’inferno non è qualcosa che ci attenda - ma la nostra vita qui. La salvezza fa assegnamento sulla piccola incrinatura nella ca tastrofe continua. Il tentativo reazionario di trasformare forme determinate tec nicamente, variabili dipendenti quindi, in costanti, si presenta, analogamente all’art nouveau, anche nel futurismo. Il percorso che nell’arco di una lunga vita portò Maeterlinck a posizioni estremamente reazionarie è logico. Approfondire la questione se gli estremi da comprendere nella salvezza siano quelli del «troppo presto» e del «troppo tardi».
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L’ostilità di Baudelaire nei confronti del progresso fu la condi zione indispensabile perché nella sua poesia potesse affrontare Pa rigi. Paragonata alla sua, la successiva lirica della grande città è nel segno della debolezza e questo non da ultimo là dove nella metro poli vedeva il trono del progresso. E Walt Whitman?? [xxxvi.] Sono i profondi motivi sociali dell’impotenza maschile che fan no della via crucis di Baudelaire effettivamente un percorso pre determinato a livello sociale. Solo così si spiega il fatto che per mantenersi lungo il cammino, gli fu data una preziosa moneta an tica dal tesoro accumulato dalla società europea. Su un lato essa mostrava lo scheletro con la falce, sull’altro la Melancolia immer sa nel suo rimuginare. Questa moneta era l’allegoria. La passione di Baudelaire come image d’Epinal nello stile della consueta letteratura su Baudelaire. Il réve parìsien - la fantasia delle forze produttive paralizzate. In Baudelaire gli ingranaggi divengono cifra delle forze di struttive. Anche lo scheletro umano non da ultimo è un ingranag gio di questo tipo. Nonostante la brutalità e l’inadeguatezza, il carattere quasi abi tativo degli opifici del passato ha però questo di particolare: vi si può immaginare il padrone della fabbrica in un certo senso come una figura accessoria che, immersa nella contemplazione dei suoi macchinari, sogna la propria e la loro grandezza. Cinquant’anni dopo la morte di Baudelaire il sogno è finito. L’allegoria barocca vede il cadavere solo dall’esterno. Baudelai re lo vede anche dall’interno. Il fatto che in Baudelaire non ci siano le stelle fornisce il più esatto concetto della tendenza della sua lirica all’inappariscenza.
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[xxxvn.] Che Baudelaire si sentisse attratto dal tardolatino dovrebbe di pendere dalla forza della sua intenzione allegorica. Nonostante l’importanza che le manifestazioni stigmatizzate del la sessualità hanno nella vita e nell’opera di Baudelaire, è interes sante notare come il bordello non svolga il benché minimo ruolo, né in documenti privati, né nella sua opera. In questa sfera non esi ste pendant a ima poesia come Le jeu. (Cfr. però deux bonnes soeurs). È necessario spiegare l’introduzione dell’allegoria a partire dal la situazione dell’arte determinata dall’evoluzione tecnica; |e rap presentare la disposizione melancolica di quest’opera poetica solo nel segno di quella. Si potrebbe dire che neìflàneur torna l’ozioso che Socrate sce glieva come interlocutore sull’agora di Atene. Solo che non c’è più im Socrate e quindi nessuno lo interpella. Ed è scomparso anche il lavoro degli schiavi che gli consente di oziare. La chiave per comprendere il rapporto di Baudelaire con Gautier va ricercata nella consapevolezza più o meno chiara del più giovane che nemmeno l’arte rappresentava una barriera assoluta al suo impulso distruttivo. In effetti per l’intenzione allegorica que sta barriera non è assoluta. Le reazioni di Baudelaire contro la école néopaì'enne rivelano con chiarezza questo nesso. Difficilmente avrebbe potuto scrivere il suo saggio su Dupont, se la critica radi cale di quest’ultimo al concetto di arte non avesse trovato riscon tro nella sua, altrettanto radicale. Richiamandosi a Gautier, Bau delaire cercò con successo di occultare queste tendenze. [xxxvm.] Non si può negare che fra gli aspetti peculiari del panteismo di Hugo e della sua fede nel progresso vi sia il tentativo di trovare un accordo con i messaggi delle sedute spiritiche. La problematicità di questo fatto è tuttavia secondaria di fronte all’atra, connessa al costante rapporto della sua opera con il mondo. E difficile con ciliare questo spettacolo con l’atteggiamento di altri scrittori.
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In Hugo è attraverso la folla che la natura esercita il suo ele mentare diritto suUa città. (J 32, i) Sul concetto di multìtudine e sul rapporto fra «folla» e «massa». All’origine l’interesse per l’allegoria non è di natura linguisti ca, ma ottica. «Les images, ma grande, ma primitive passion». Interrogativo: quando inizia a emergere la merce nell’immagi ne della città? Sarebbe decisivo avere a disposizione dei dati sta tistici sull’avanzare delle vetrine nelle facciate. [xxxix.] La mistificazione in Baudelaire è un incantesimo apotropaico, simile alla menzogna nel caso della prostituta. Molte delle sue poesie hanno il loro punto pili incomparabile al l’inizio - dove sono, per cosi dire, nuove. Ciò è stato osservato più volte. Come modello, Baudelaire aveva davanti agli occhi l’articolo di massa. E questo il fondamento più solido del suo «americanismo». Voleva creare un «poncif ». Lemaìtre gli conferma che ci è riuscito. La merce ha sostituito il modo di vedere allegorico. Nella forma assunta dalla prostituzione nelle grandi città la don na appare non solo come merce, ma in senso stretto come artico lo di massa. A ciò allude il mascheramento artificiale dell’espres sione individuale operato dal maquillage a favore di un’espressio ne professionale. Che proprio questo aspetto della prostituta fosse sessualmente decisivo per Baudelaire è provato, fra l’altro, dal fat to che nelle sue molteplici evocazioni della prostituta lo sfondo non è mai il bordello, ma spesso la strada. [XL.]
È della massima importanza che il «nuovo» non dia, in Baude laire, alcun contributo al progresso. Del resto, non c’è praticamente
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mai, in Baudelaire, un tentativo di misurarsi seriamente con l’idea di progresso. E proprio la «fede nel progresso» che egli persegui ta del suo odio come un’eresia, una falsa dottrina, e non come un semplice errore. Blanqui, da parte sua, non mostra alcun astio per la fede nel progresso; ma fra le righe la sommerge di scherno. Non è affatto detto che egli sia perciò divenuto infedele al suo credo politico. L’attività di un rivoluzionario di professione, quale fu Blanqui, non presuppone la fede nel progresso, ma inizialmente solo la ferma risoluzione di abbattere le ingiustizie presenti. Que sta risoluzione di sottrarre l’umanità, all’ultimo momento, alla ca tastrofe che di volta in volta la minaccia, fu per Blanqui, più che per ogni altro rivoluzionario di quel periodo, l’elemento determi nante. Egli si è sempre rifiutato di elaborare progetti per ciò che verrà «poi». Con tutto ciò si concilia benissimo l’atteggiamento di Baudelaire nel 1848. [xu.] Da ultimo Baudelaire, di fronte allo scarso successo della sua ope ra, ha mésso in vendita anche se stesso. Si è gettato dietro la sua opera e ha verificato così fino in fondo, per se stesso, quello che pensava deU’ineluttabile necessità della prostituzione per il poeta. Uno dei problemi decisivi per la comprensione della poesia di Baudelaire è la trasformazione dell’aspetto della prostituzione col sorgere delle metropoli. Poiché questo è certo: che Baudelaire esprime questa trasformazione, che essa è uno dei massimi ogget ti della sua poesia. La prostituzione, col sorgere delle metropoli, entra in possesso di nuovi arcani. Uno dei quali è, anzitutto, il ca rattere labirintico della città stessa; la prostituzione colora per co sì dire i margini del labirinto, la cui immagine è entrata nella san gue del fUneur. Il primo arcano di cui essa dispone è quindi il vol to mitico della città come labirinto. Di cui fa parte, naturalmente, l’immagine del Minotauro al suo centro. Che esso infligga la mor te al singolo, non è decisivo. Decisiva è l’immagine delle forze mor tali che esso incarna e rappresenta. Ma anche questa immagine è nuova per l’abitante delle metropoli.
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Le 'Pleurs du mal come arsenale; Baudelaire scrisse alcune sue poesie per distruggerne altre composte prima di lui. In questo mo do si potrebbe ulteriormente sviluppare la famosa riflessione di Valéry. V
E estremamente importante - e anche questo va detto a inte grazione della nota di Valéry - che Baudelaire si sia imbattuto nel rapporto di concorrenza nell’ambito della produzione poetica. Na turalmente, le rivalità personali fra poeti sono vecchie come il mon do. Ma qui si tratta proprio della trasposizione di queste rivalità nella'sfera della concorrenza sul libero mercato. È questo merca to, e non la protezione di un principe, che si tratta di conquista re. Ma in questo senso fu una vera scoperta di Baudelaire quella di trovarsi di fronte a individui. La dissoluzione delle scuole poe tiche, degli «stHi», è complementare all’aprirsi dinanzi al poeta del mercato nella forma del pubblico. Il pubblico come tale entra per la prima volta nel campo visivo in Baudelaire - e fu questa la pre messa del fatto che egli non cadde vittima dell’apparenza di scuo le poetiche. E viceversa: poiché la scuola si presentava ai suoi oc chi come una formazione puramente superficiale, il pubblico gli apparve come la realtà più effettiva. [x L m .]
Differenza fra allegoria e parabola. Baudelaire e Giovenale. Decisivo è che quando Baudelaire de scrive la depravazione e il peccato, egli include sempre se stesso. Il gesto del satirico gli è estraneo. Questo riguarda tuttavia solo le Fleurs du mal che in tale atteggiamento si discostano dalle anno tazioni in prosa. Considerazioni di principio sul rapporto esistente nei poeti fra le loro riflessioni teoriche e le opere poetiche. Nelle opere poeti che rivelano un ambito del proprio intimo, che di norma non è ac cessibile alle riflessioni. Dimostrarlo per Baudelaire - con riferi mento ad altri, come Kafka e Hamsun.
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La durata degli effetti di un’opera poetica è in rapporto inver samente proporzionale all’evidenza del suo contenuto. (Del con tenuto di verità? Cfr. lavoro sulle Affinità elettive). Grazie al fatto che Baudelaire non ha lasciato un romanzo, è certamente cresciuta l’importanza delle Vhurs du mal. [XLTV.]
L’espressione di Melantone, «Melencolia illa heroica», è la de finizione più perfetta dell’ingegno di Baudelaire. Ma la melancolia, nell’Ottocento, ha un altro carattere che nel Seicento! La fi gura-chiave della vecchia allegoria è il cadavere. La figura-chiave della nuova allegoria è il «ricordo». Il «ricordo» è lo schema del la trasformazione della merce in oggetto di collezione. Le correspondances sono, di fatto, le infinite risonanze di ogni ricordo con tutti gli altri. «J’ai plus de souvenirs que si j’avais mille ans». Il contenuto eroico dell’ispirazione di Baudelaire si esprime nel fatto che in lui la reminiscenza arretra a favore del ricordo. In lui vi sono straordinariamente poche «memorie d’infanzia». La sua eccentrica originalità era una maschera dietro cui Bau delaire cercava di nascondere - si potrebbe dire per pudore - la necessità sovraindividuale del suo modo di vivere e, in una certa misura, anche dei suoi destini. Dall’età di diciassette anni Baudelaire condusse la vita del lette rato. Non si può dire che si sia mai dichiarato un «uomo dello spi rito» né che si sia mai impegnato a favore della «spiritualità». L’e tichetta per la produzione artistica non era stata ancora inventata. [XLV.]
Sulla conclusione smussata degli studi materialistici (al contra rio della conclusione dell’opera barocca). La visione allegorica aveva creato uno stile nel Seicento ma non poteva più farlo nell’Ottocento. Baudelaire rimase isolato come allegorico: il suo isolamento è, per certi aspetti, quello di un epi
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gono. (Le sue teorie sottolineano questo ritardo, spesso in modo provocatorio). Se la forza stilizzante dell’allegoria era debole nelrOttocento, lo era anche il suo condurre verso la routine, che ha lasciato tanti e cosi vari segni nella poesia del Seicento. Quella rou tine ha pregiudicato, in una certa misura, la tendenza distruttiva dell’allegoria, il suo rilievo del frammentario nell’opera d’arte.
[Appendice a La Parigi del Secondo Impero in Baudelaire]
[Annotazioni ad alcune poesìe di Baudelaire] Au lecteur Questa poesia raccoglie i lettori attorno a sé come una camaril la. In tal modo si rivolge loro in un atteggiamento del tutto in consueto. «Et, quand nous respirons, la Mort dans nous poumons I Descend, fleuve invisible, avec de sourdes plaintes». Quando Baudelaire descrive Tabiezione e il vizio, vi si vede sempre coinvolto. Egli ignora l’atteggiamento del satirico. (Ciò ri guarda, d’altronde, soltanto le ¥leurs du mal). Bénédiction La poesia va associata interamente all’idea della passion della sessualità maschile. «Et s’enivre en chantant du chemin de la croix». «Et les vastes éclairs de son esprit lucide Lui dérobent l’aspect des peuples furieux»: Apollinaire. «Et je tordrai si bien cet arbre misérable, Qu’il ne pourra pousser ses boutons empestés! ». Fanno qui capolino il motivo vegeta le dello stile liberty e la sua linea, e sicuramente non nel luogo più evidente. Il gesto del benedire con le mani elevate in verticale, in Fidus (anche in Zarathustra?) - nel gesto di chi regge qualcosa. Bohémiens en voyage «Cybèle, qui les aime, augmente ses verdures»: nulla potrebbe descrivere la polvere soffocante della strada provinciale in modo più sicuro di questo verso, in cui Cibele sembra trovarsi di fronte a un’impresa di Sisifo. «L’empire familier des ténèbres futures», cfr. Obsession: «Mais les ténèbres sont elles-mémes des toiles I Où vivent, jaUlissant de mon oeil par milliers, I Des étres disparus aux regards famUiers».
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Cibele - secondo la bella traduzione di Brecht: Cybele, die sie liebt, legt mehr Grun vor^. Je t ’udore a l’égal «Et que tu me parais, ornement de mes nuits, I Plus ironiquement accumuler les lieues I Qui séparent mes bras des immensités bleues». Annientamento dell’apparenza. - In proposito: «Et le visage humain, qu’Ovide croyait fa9onné pour refléter les astres, le voilà qui ne parie plus qu’une expression de férocité folle, ou qui se détend dans une espèce de mort» (Fusées, IV [recte III]). Tu mettrais l’univers «Tes yeux, illuminés ainsi que des boutiques I Et des ifs flamboyants dans les fétes publiques, I Usent insolemment d’un pouvoir emprunté». Spegnersi dell’apparenza. «Machine aveugle et sourde, en cruautés feconde! », cfr. le vìn de l ’assasim «Cette crapule invulnérable I Gomme les machines de fer I Jamais, ni l’été ni l’hiver, I N’a connu l’amour véritable» E Danse macabre-. «L’élégance sans son nom de l’humaine armature». Le Balcon Proust: «Bien de vers du “Balcon de Baudelaire” donnent aussi cette impression de mystère». Le Portrait Notevoli sono la forza e la precisione con cui a volte, nella poe sia di Baudelaire, si muovono allegorie consolidate. Cosi ad esem pio le temps in questo sonetto. Rèversibilité «Connaissez-vous... I ... les vagues terreurs de ces affreuses nuits I Qui compriment le cceur comme un papier qu’on froisse ?». Confession «Des chats... I ..., comme des ombres chères, I Nous accompagnaient lentement».
' «Cibele, che li ama, moltiplica il suo verde» [N.
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Harmonie du soir Baudelaire nota in Poe «des répétitions du méme vers ou de plusieurs vers, retour obstinés de phrases qui simulent les obsessiona de la mélancolie ou l’idée fixe» {Nouvelles notes sur Edgar Poe, Nouv. Hist. Extraord. [Paris 1866], p. 22). Chant d ’automne I fa parte delle rare poesie che mantengono la stessa distanza dalla donna, dalla città e dalla morte; da ciò sicuramente il suo par ticolare e felice equilibrio. A une dame créole «... des airs noblement maniérés». Le mori joyeux «O vers! noirs compagnon sans oreiUe et sans yeux»: Simpatia per gli scrocconi. Spleen I «Pluvióse»: la poesia fa capire, sia pure velatamente, che le mas se esanimi della metropoli e l’esistenza disperatamente esanime del singolo divengono complementari. Per la prima abbiamo il cimitìère e i faubourgs - assembramenti in massa di abitanti della città; per il secondo, il valet de coeur e la dame de piqué. La prima strofa contiene la configurazione che in Baudelaire sta alla base di ogni evocazione poetica di Parigi: la caducità dispera ta della metropoli. Spleen II Pietrificazione o lignificazione di ciò che è vivente, l’immedesimazione di ciò che è vivente nella materia inerte ha interessato molto intensamente al tempo stesso anche la fantasia di Flaubert (cfr. l’articolo nella «Revue de Paris» (?)). Questa tendenza ha affinità con il feticismo: «Désormais tu n’es plus, ò matière vivante ! I Qu’un granit entouré d’une vague épouvante, I Assoupi dans le fond d’un Sahara brumeux». «Je suis un vieux boudoir plein de roses fanées, I Ou gits tout un fouillis de modes suranneés», cfr. Recueillenìent-. «Vois se pencher les défuntes Aimées, I Sur les balcons du del, en robes surannées». Le années profondes della vie antérieure sono gli stessi - in quan to neigeuses années - che alimentano lo spleen.
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Spleen IV (fino alla quarta strofa inclusa) Lo spleen è il sentimento che, in sermanenza, corrisponde alla catastrofe. In effetti il permanere del’esistente è la catastrofe. A questo permanere si adatta in manie ra eccellente ciò che di volta in volta è moderno. Ciò che ad essa appare come catastrofe è la crisi. Il corso della storia quale Baude laire lo descrive sotto il dominio delle crisi è una rotazione parago nabile a quella del caleidoscopio, in cui, a ogni suo capovolgimen to, tutto ciò che è ordinato precipita formando xm nuovo ordine. [Coup d’état di Napoleone III !) Egli non ha riconosciuto che i con cetti dei dominatori sono certamente gli specchi grazie a cui si rag giunge l’immagine di un «ordine». Il cielo che viene assalito dalle campane è quello in cui si sono mosse le speculazioni di Blanqui. Obsession {Raramente Baudelaire ha fatto echeggiare la propria affinità con Poe in maniera più profonda che nell’ultima terzina di questa poesia. P Lo sgomento che si prova nella natura viene qui paragonato come se fosse quello l’elemento comune - allo sgomento che l’uo mo di città prova di fronte a una cattedrale, ossia al configurarsi di xm’immagine della strada. A proposito degli regards famìlien (che ricordano molto Poe): sono soprattutto i souvenirs a presentarsi come familiers. Le goùt du néant Il poeta ha stabilito la propria dimora nell’abisso: «Je contemple d’en haut le globe en sa rondeur, I Et je n’y cherche plus l’abri d’une cahute». Horreur simpatique Le raffigurazioni sfilano lentamente accanto al malinconico si mili a una processione. In Baudelaire l’immagine, del resto tipica in questo contesto sintomatico, è divenuta poche volte un canone della fantasia. Uno dei rari passi: «Vos vastes nuages en deuil I Sont les corbiUards de mes réves». Il «ciel bizarre et livide» è quello di Meryon.
' Le parentesi graffe indicano i passi cancellati dallo stesso Benjamin [N.ii.T.].
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L ’irrémédiable Se a questa poesia si accosta Un jour de pluie, che Mouquet at tribuisce a Baudelaire, diventa subito evidente che a ispirare Bau* delaire è l’essere abbandonati all’abisso, e si vede dove esso si spa lanca. La Senna fissa il jour de pluie a Parigi. Si dice: «Dans un brouillard chargé d’exhalaisons subtiles ILes hommes enfouis comme d’obscurs reptiles, I Orgueilleux de leur force, en leur aveuglement, I Pas à pas sur le sol glissent péniblement» (I, p. 212). NéSl'Irrémédiable questa immagine delle strade parigine è divenu ta una delle visioni allegoriche dell’abisso che vengono connotate nella conclusione come «emblémes nets»: «Un malheureux ensorcelé I Dans ses tàtonnements futiles I Pour fuir d’un lieu plein de reptiles, I Cherchant la lumière et la clé». VUliers de l’Isle-Adam osserva riguardo a questa poesia - in una lettera a Baudelaire - che essa «commen^ant das une profondeur hégelienne». A proposito di questa poesia, Crépet cita un passo delle Soirées de Saint-Pétersbourg: « Ce flueve qu’on ne passe qu’une fois; ce ton neau des Danai'des toujours rempli et toujours vide; ce fois de Titye, toujours renaissant sous le bec de l’auteur qui le dévore toujours ... sont autant d’hiéroglyphes parlant sur lesquels il est impossibile de se méprendre». l’Horloge La poesia si spinge notevolmente in avanti nello svolgimento allegorico. Intorno al simbolo dell’orologio - che occupa un posto di estremo rilievo nella gerarchia degli emblemi - essa raggruppa il piacere, l’adesso, il tempo, il caso, la virtù e il pentimento. La consapevolezza del tempo che scorre vuoto e il taedium vitae sono i due pesi che tengono vivo il congegno della melancolia. In questo senso le ultime poesie del ciclo Spleen e ideale e La mor te si corrispondono perfettamente. «Il me semblait que dans mon cerveau était né ce quelque chose dont aucuns mots ne peuvent traduire à une intelligence purement humaine une conseption méme confuse. Permets-moi de définir ce la: vibration du pendute mental. C’était la personnification mora le de l’idée humaine abstraite du Temps ... C’est ainsi que je mesurai les irrégularités de la pendule de la cheminée et des montres des personnes présentes. Leir tic tac remplissant mes oreUles de leur sonorités. Les plus légères déviations de la mesure juste... m’affectaient exactement comme, parmi les vivants, les violations de la
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vérité abstraite affectaient mon sens moral». (Poe: Colloque entre Monos et Una {Nouv.Hist. Extraordinaires [Paris 1886] pp. 336-37). A proposito di Sylphe cfr. il «théàtre banal» in L ’irréparabìle, come anche, a proposito à&VL'auberge, Vauberge nella stessa poesia. L’elemento decisivo di questa poesia è il fatto che il tempo è svuotato. {Proust parla dello «étrange sectionnement du temps» in Bau delaire.} Paysage I tableaux parisiens iniziano con una trasfigurazione della città. La prima e la seconda poesia, e se si vuole anche la terza, collaborano neU’attuarla. Le Paysage è il téte à téte della città con il cie lo. In questo caso, nell’orizzonte delle luci non sono confluiti quali elementi costitutivi della città - nient’altro che Vatelier qui chante e qui bavarde, ks tuyuax, les clochers. In le Soleil si aggiunge il faubourg-, nessun elemento della vera e propria massa cittadina emerge fino a confluire nelle prime tre poesie dei tableaux parisiens. La quarta inizia con l’esorcismo del Louvre. Ma poi passa immediatamente - nel bel mezzo della stro fa - al lamento suUa caducità della metropoli. II crépuscule du matin sta al Paysage così come il singhiozzare sta al sorridere. Le cygne La prima strofa di Le cygne II ha il movimento di una culla che ondeggi avanti e indietro fra Moderno e Antico. A proposito del finale di I, Proust ritiene che esso caschi à plat. Su questo movimento simile a quello di una culla si veda il pas so seguente: «Concevoir un canevas pour une bouffonnerie lyrique ou féerique, pour pantomime ... Noyer le tout dans une atmosphère anormale et songeuse, - dans l’atmosphère des grands jours. Que ce soit quelque chose de ber9ant» {Fusées XXII). For se questi grandi giorni sono giorni del ritorno (per esempio, delrAntico nel Moderno). A proposito delle poesie-cornice Proust di ce: «Le moi de Baudelaire est un étrange sectionnement des tem ps où seuls de rares jours notables apparaissent; ce qui explique les fréquentes expressions telles que “Si quelque soir” etc.». Baudelaire indica - ma dove ? - come fonte del Cygne H terzo libro de]l’Eneide (cfr. [Alphonse] Séché, [La vie des «Fkurs du mal», Amiens 1928,] p. 104).
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Les petìtes vieilles Nelle Fleurs du mal non esistono passi in cui Baudelaire parli così tanto dei bambini come nella quinta strofa di I: «Ils ont les yeux divins de la petite fille 1 Qui s’étonne et qui rit à tout ce qui reluit». Per ottenere tale prospettiva, il poeta prende la via più lunga, la via che passa per la vecchiaia. II dont le souffleur I Enterré sait le nom - proviene dal mondo di Poe. A questo proposito si veda Remords posthume. Proust a proposito di «Versent quelque hérolsme au ca’ur des cita^ns» «semble impossible d’aller au delà». E difficile esemplificare meglio il verso «Qù tout, méme l’horreur, tourne aux enchantements» che con la descrizione della fol la in Poe. «des yeux ... I Luisants comme ces trous où l’eau dort dans la nuit». Spegnersi dell’apparenza. L’occhio ... è il «fenomeno ori ginario» della «Perte d’aurèole». Ili «Et qui, dans ces soirs d’or ou l’on se seni revivre». Per l’ac cento, la seconda metà del verso si affievolisce sempre più; per cui, dal punto di vista prosodico, essa è assolutamente in contraddizio ne con ciò che dice. E questo è un procède molto baudelairiano. A une passante Motivo tratto da Champavert von Petrus Borei [d’Hauterive]. La novella specifica si intitola Dina la belle juive [Dina, la bella ebrea]. (J 2Óa,3)’ Le squelette lahoureur In questa poesia la stessa Parigi ctonia è simile a un libro aperto. «la Beauté» appare, per mezzo dell’articolo determinativo, so bria e senza patria. E diventata l’aUegoria di se stessa. he crépuscule du soir La città stessa assume il volto dell’abisso, della notte antica, in cui la vita è identica alla morte. «la soupe parfumée» Chiusa della poesia: qui la Musa stessa si stacca dal poeta per bisbigliare le parole àtWìspirazione. Le strade sovraffollate al rientro dal lavoro sono descritte alla stessa maniera di quelle prive di gente nel crépuscule du matin: a guisa di un mosaico, in minuscole unità poetiche. ’ Qui e in seguito la sigla si riferisce al manoscritto dei Passages (cfr. Scritti IX) [N. d. T.ì.
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I demoni di questa poesia compaiono in Georg Heym come «i demoni delle città»; in lui essi accompagnano già la catastrofe: Ma i demoni crescono come giganti. II loro corno apre in cielo uno squarcio rossastro. Un terremoto rimbomba in seno alle città, tu tt’intorno al loro zoccolo riarso dal fuoco.
In nessuna delle due poesie sul crépuscule compare un Io. Ennery et Lemoine, Paris la nuit (A 43, i) «Les cafés se garnissent De gourmets, de fumeurs, Les théatres s’emplissent De joyeux spectateurs. Les passages fourmillent De badauds, d ’amateurs, E t les filous frétiUent Derrière les flàneurs».
Le jeu Esistono poche poesie in cui l’«abìme» viene valorizzato in ma niera meno forte clie in questa. Esso perde qui, dove è quasi una figura retorica, mo to del proprio significato. L ’amour du mensonge Da una lettera ad Alphonse de Calonne: «Le mot royal facili terà pour le lecteur l’inteUigence de certe métaphore qui fait du souvenir une couronne de tours, comme celles qui inclinent le front des déesses de maturité, de fécondité et de sagesse... ». Cancellazione dell’apparenza attraverso la sua esaltazione nel la menzogna. ]e n’ai pas oublié Il sole come simbolo del padre. La servante au gran coeur La famiglia senza padre e la cui immagine viene esorcizzata nel nome di una tomba. Nelle parole «dont vous étiez jalouse» che compaiono nella pri ma riga non c’è quel tono che ci si dovrebbe attendere. Del «jaloux» si ritrae per così dire la voce. E questo rifluire della voce è qualcosa di estremamente caratteristico per Baudelaire.
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Brumes et pluies Sorprende trovare questa poesia nei tableauxparisiens. Essa sug gerisce immagini rurali. Ma ovviamente il suo paesaggio è soltan to quello della città affogata nella nebbia. Il tempo atmosferico si è impadronito della città. E la trama che la noia ama ricamarsi più di tutto. Si pensi a Daumier, in cui l’ombrello è l’emblema del benpen sante. Dramon, Les héros et lespitres, p. 304: «Le parapluie sur lequel s’appuie cet etre assifié, inerte... qui attend l’omnibus, ex prime je ne sais quelle idée de pétrification absolue». Questa città è divenuta assolutamente estranea, «estraneata». Essa non è più patria in nulla. In essa, ogni letto è un lithasardeux. (Cfr. il Libro di lettura per gli abitanti delle città). In proposito si veda La plaine-octobre nelle Poésies di Joseph Delorme (ricordata da Baudelaire il 15 gennaio 1866 contro SainteBeuve): «Oh! que la piaine est triste autour du boulevard! » Réve parisien cfr. l’univers in De Profundis clamavi-. «Un soleU sans chaleur piane au-dessus six mais, I Et les six autres mais la nuit couvre la terre; I C’est un pays plus nu que la terre polaire; I - Ni bétes, ni ruisseaux, ni verdure, ni bois! ». Interpretato da Brecht come fantasmagoria dell’esposizione mondiale. Fantasia delle forze produttive dismesse. Le crépuscule du matin Il sorriso e il singhiozzo sono i due specchi in cui l’essere uma no coglie lo splendore del linguaggio là dove egli si è già avvicina to alla creatura senza parole. La riproduzione di questi fenomeni mimetici è molto frequente nelle poesie di Baudelaire, ed è la fi gura vera della loro «spiritualità». Il crépuscule du matin è il sin gulto di chi si ridesta, riprodotto nel tessuto, nella materia di una città. In questa poesia la descrizione non finisce mai per catturare il proprio oggetto; il suo compito è soltanto quello di nascondere lo shock di chi si sente di nuovo strappato via dal cappello del son no. Sorriso e singhiozzo come aspetti nubiformi del viso umano. Rivière: «Chaque vers du “Cr d M” sans cris, avec dévotion évoque une infortune». Da Prarond, 1843 circa - come je n ’ai pas oublié e la servante au grand cceur.
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L’iniziare con il Silenzio contribuisce enormemente alla di struzione dell’aura. Del resto occorre ricordare, a questo proposi to, che sotto Napoleone III l’interno della città era pieno di guar nigioni. L ’ame du vin I «refrains des dimanches» nel vin. «ce fréle athlète de la vie» - ossia il figlio dell’operaio. Una cor rispondenza infinitamente tragica di Moderno e Antico. Le vin des chiffonnien (a) Lo chiffonnier come la più provocatoria figura della miseria uma na, lumpenproletario nel senso letterale del termine. Cfr. Du vin etdu haschisch: «voici du homme chargé de ramasser les débris d’une journée de la capitale. Tout ce que la grande cité a rejeté, tout ce qu’eUe a perdu; tout ce qu’elle a dédaigné, tout ce qu’elle a brisé, il le catalogne, il le collectionne. Il compulse les archives de la débauché, le capharnaiim des rebuts. Il fait un triage, un choix intelligent; il ramasse, comme un avare un trésor, les ordures qui, remachées par la divinité de l’Industrie, deviendront des objets d’utilité ou de jouissance» (I, pp. 249-50). Come si vede da que sta descrizione, Baudelaire si riconosce ancora una volta nello straccivendolo. «On voit un chiffonnier qui vient, hochant la téte, Buttant, et se cognantaux mun comme un poete. Et, sans prendre souci des mouchards, ses sujets, Epanche tout san creur en glorieux projets».
Questa poesia sconfessa energicamente le dichiarazioni reazio narie di Baudelaire. La letteratura sul poeta non si è curata di lui. Molti elementi lasciano supporre che questa poesia sia stata scritta quando Baudelaire si schierò per il beau stile. Non è però possibile saperne di più, dato che essa fu pubblicata per la prima volta nell’edizione originale. Le vin de l’assassin fu invece pubbli cata dapprima nel 1848 (nell’«Echo des marchands de vin»! !). Si confronti Sainte-Beuve {Vie Poésies et Pensées de Joseph Delorme, Paris 1863, II, p. 193, Dans ce cabriolet). «Dans ce cabriolet de place j’examine L’homme, qui me conduit, qui n’est plus que machine, Hideux, à barbe épaisse, à longs cheveux coUés: Vice et vin et sommeil chargent ses yeux soùlés. Comment l’homme peut-U ainsi tomber ? pensais-je, Et je me reculais à l’autre coin du siége».
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E poi segue unicamente la domanda rivolta a se stesso se la sua anima non sia altrettanto in sfacelo che il corpo del vetturino. Baudelaire dà rilievo a questa poesia nella sua lettera del 15 gen naio 1866 a Sainte-Beuve. AU’incirca in questo periodo, Traviès disegnò chiffonim famosi. Le vin des chiffonniers (b) «Nous avons quenqu’ radis, Pierre, il faut fair’ la noce; Moi, vois-tu. Ics loudis J ’aime à rouler ma bosse. J ’sais du vin à six ronds Qui n ’est pas d ’ la p ’tit’ bière, Pour rigoler montons, Montons à la barrière»
H. Goudon de Genouillac, Les refratns de la me de 1830 à 1870, Paris 1879, p. 56. «Croyez-moi, le vin des barrières a sauvé bien des secousses aux charpentes gouvernementales». Edouard Foucaud, Paris inventeur. Phisiologie de Vindustrie frangaìse, Paris 1844, p. 10. Le vin du solitaire «cri lointain de l’humaine douleur» - Non si vuol forse far in tendere qui, incidentalmente, che il dolore è un elemento che di stingue gli esseri umani? Cfr. Be'nédiction, [strofa] 17, [verso] 1/2 {Lesbos} {Rileggere la vicenda di Saffo} Le vin des amants «sur l’aile du tourbillon inteUigent» - qui bisogna supporre ov viamente la reminiscenza di un passo di Fourier: «Les tourbillons de mondes planétaires si mesurés dans leur marche qu’ils parcourent à minute nommée des miUiards de lieues, sont à nos yeux le sceau de la justice divine en mouvement matériel» (Fourier, Théorieen conereioupositive, p. 320). E. Silberling, Dictionnairedephilosophiephalangstérienne, Paris 1911, p. 433. La costruzione recondita di questa poesia è nel fatto che la lu ce ora doppiamente sorprendente cade sulla situazione che viene approfondita: l’ebbrezza che gli amanti debbono al vino è un’eb brezza dell’ora mattutina: «dans le bleu cristal du matin», dice l’ottavo verso dei 14 di cui la poesia è composta.
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La Destruction Questa poesia contiene il più violento esorcismo dell’ingegno allegorico presente in tutti i testi poetici baudelairiani. L’appareil sanglant de la Destruction che essa propaga è lo strumento con cui l’allegoria stessa tramuta il mondo reale in frammenti distrutti e deformati, di cui allora essa domina i significati. E facile aggiungere che questo sonetto suscita, sia pure in modo non così ovvio, l’impressione di essere anch’esso un frammento. Le Démon «le... le sens qui brulé mon poumon 1 Et l’emplit d’un désir éternel et coupable». Questa precisione fisiologica è sor prendente; un desiderio del genere dovrà essere pensato come inat tuabile. Svuotamento di ogni spiritualità della donna: «Parfois il prend, sachant mon grand amour de VArt, I La forme de la plus séduisante des femmes». La conclusione della poesia presenta l’immagine dell’irrequie tezza irrigidita. (Cfr. Keller, Yerlorenes Rechi, verlorenes Glùck [Diritto perduto, felicità perduta]: « War wie ein Medusenschild I der erstarrten Unruh Bild»)^ Une martyre Testo ricco di riferimenti in virtù dellat posizione che le spetta immediatamente dopo La destruction. Su questa martyrerie l’in tenzione allegorica ha portato a compimento il proprio lavoro: l’ha sminuzzata. - 1 due versi finali implorano - in maniera quasi spet trale - un «tuteur ». Esso resta una vignetta, una remarque nel sen so della grafica, condannando tanto più fermamente la vera in tenzione che ha dominato la poesia. All’ambito di questa intenzione appartiene il ricordo, che vie ne così fissato nei versi straordinari: «Un bas rosatre, orné de coins d’or, à la jambe, I Gomme un souvenir est resté...». La natura è migrata ne]ì'intérieur in stile Makart: «Un cadavre sans tete épanche, comme im fleuve, I .. .Un sang rouge .. .dont la toHe s’abreuve I Avec l’avidité d’un pré. I . . .La téte ... I Sur la table de nuit, comme une renoncule, I Repose; et, vide de pensers, I Un regard vague et blanc comme le crépuscule I S’échappe des yeux révulsés». «Era come uno scudo di Medusa I immagine dell’irrigidita inquietudine» [N.i.T.].
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La Beatrice «intéresser au chant de ses douleurs I Les aigles, les grillons, les ruisseaux et les fleurs» distrazione allegorica. Il nuage en pìetn midi in cui infuriano i demoni è una raffigura zione molto prossima a quelle di Meryon.
U« voyage à Cythère «Ahi Seigneur! donnez-moi la force et le courage I De contempler mon coeur et mon corps sans dégoùt!». In proposito: «Le Dandy doit aspirer à étre sublime, sans interruption. Il doit vivre et dormir devant un miroir». (Mon cceur mis à nu V). La fisiono mia baudelairiana del mimo. Les litanies de Satan «La goguette des fils du diable», a partire dal 1839, è stato un cénacle. La mort des amants In questa poesia le correspondances tessono quasi senza trama dell’intenzione allegorica. Singhiozzo e sorriso si riuniscono nelle terzine quasi immediatamente. Villiers de l’Isle-Adam vi vede applicate - lettera a Baudelaire le théorie musicales di quest’ultimo. La fin de la joumée «La nuit voluptueuse monte, I Apaisant tout, méme la faim». {Cancellazione dell’apparenza}. Bagliori lontani dei conflitti sociali nel cielo notturno. Le voyage A proposito della conclusione del ciclo, Proust ritiene sorpren dentemente che essa caschi à plat. Imitatio Christi: «Quid potes alibi videre, quod hic non vides? Ecce coelum, et terra, et omnia dementa: nam ex istis omnia sunt facta». Il sogno della lontananza appartiene all’infanzia. Il viaggiatore ha visto ciò che è lontano, ma ha perduto la fede nella lontananza. Baudelaire - il melancolico che dalla propria stella è sospinto nella lontananza. Lui però non l’ha seguita. Nelle sue poesie, le immagini di quella stella appaiono soltanto come isole emergenti
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dal mare del passato anteriore o della nebbia parigina. D ’altronde solo nella forma del corpo della negra infamata td e lontananza si mise ai piedi di ciò che a Baudelaire era vicino: la Parigi del Se condo Impero. Lesbos Il vero slancio e la vera forza d’equilibrio di questa poesia do vrebbero consistere nel fatto che qui l’abisso non tanto affiora co me un’immagine, ma piuttosto esprime il canone dell’intera raffi gurazione. Lesbo è posta nella profondità dell’abisso stesso, da es so si solleva fino a raggiungere l’orlo del baratro «cri de la tourmente que poussent vers es cieux ses rivages déserts». Baudelaire crea strofe là dove sembra quasi impossibile crear le; «Cceurs ambitieux, I Q u’attire loin de nous le radieux sourire I Entrevu vaguement au bord des autres cieux! » Delphine et Hippolyte «Ses bras vaincus, jetés comme de vaines armes»; Proust dice che questo verso è come se provenisse dal Britannicus. Vers pour le portrait du Daumier Sarebbe un errore trascurare in Baudelaire, oltre all’impronta della natura barocca, anche quella medievale. Tale impronta è dif ficilmente definibile. Soprattutto la si potrà cogliere ricordando quanto si discostano certi passi o certe poesie {Vers pour le portrait) nella loro asciuttezza da quelle ricolme di significati allegorici. Il loro carattere spoglio rende la fisionomia di queste poesie simile a quella delle facce sulle immagini di Jean Foquet. Sotto un altro punto di vista è possibile trovare l’impronta me dievale in una poesia come L ’imprévu, che presenta una serie di immagini allegoriche come incapsulate l’una a fianco dell’altra. La voix Cercare una serie di schemi che rivelino l’elemento caratteristi co delle poesie di Baudelaire in stretta compenetrazione con ciò che caratterizza la poesia in generale. A tale scopo vanno cercati i generi della lirica precedente che ritornano nelle poesie baudelairiane. Que sti generi potrebbero essere ad esempio: la poesia religiosa, la poe sia votiva, la lamentazione iplainte), la canzone dei saltimbanchi. Tra gli schemi a cui si potrebbe pensare andrebbero ricordati il labirinto sotterraneo o anche la graticcia.
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«Derrière les décors I De l’existence immense, au plus noir de l’abìme, I Je vois distinctement des mondes singuliers». Sono i mondi di Blanqui. Cfr. Le Gouffre: «le ne vois qu’infini par toutes les fenétres». L ’imprévu Per ammissione di Crépet, forse riferimento a una lettera di d’Aurevilly: «Adieu, le dernier de mes vices. Quand deviendrezvous une vertu?». La poesia, pubblicata il 25 janvier 1863, è de dicata a lui. Il verso «Dans ces soirs solennels de célestes vendanges» è un’a scensione dell’autunno. Le Gouffre La poesia è l’equivalente baudelairiano della visione di Blanqui. Le couverck Uno dei rari versi di Baudelaire che abbiano un prospettiva co smica immediata: «Le Ciel! couverck noir de la grande marmite I Où bout l’imperceptible et vaste Humanité». Vroìet d ’epilogue «Tes magiques pavés dressés en forteresses, I Tes petits orateurs, aux enflures baroques, I Prechant l’amour, et puis tes égouts pleins de sang, I S’engouffrant dans l’Enfer comme des Orénoques».
La raffigurazione inizia con una considerazione sulla ricezione delle Fleurs du mal e sugli echi da essi suscitati, ricezione ed echi che non hanno quasi eguale. Le ragioni manifeste di tali ripercus sioni vengono presentate brevemente, mentre quelle più profon de, specialmente la domanda su che cosa dicano le Vleurs du mal al lettore odierno, sono oggetto dell’intera trattazione. Si offre una caratterizzazione della letteratura critica su Bau delaire. Essa dà solo una vaga idea della profondità deUe riper cussioni, meno che mai delle loro ragioni. Gli studiosi di estetica hanno ripreso soprattutto la teoria delle Correspondances dello stes so Baudelaire senza però interpretarla. , Come in seguito si dimostrerà, l’interpretazione che lo stesso Baudelaire ha dato della propria opera offre informazioni solo in
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dirette. La storia della letteratura si è attenuta piuttosto acritica mente alla sua visione della cattolicità della sua poesia. Un excursus metodologico affronterà la differenza decisiva esi stente tra ima «salvazione» e un’«apologia». In esso si dovratmo sviluppare ulteriormente le indagini sulla considerazione storica avviate nell’articolo su Eduard Fuchs’. Il nucleo della prima par te è costituito dalla raffigurazione del modo di vedere allegorico di Baudelaire. Quest'ultima verrà indagata nella sua peculiare struttura per così dire tridimensionale. La sensibilità poetica di Baudelaire, che finora è stata messa in risalto considerando quasi esclusivamente la sua poesia, è soltanto una di queste dimensioni. Di per sé essa è rilevante soprattutto a causa della sua polarità. In effetti la sensibilità di Baudelaire si scinde, da un lato, in un polo spirituale, si potrebbe dire serafico, e dall’altro in un polo idiosincratico, rappresentati l’uno dal serafino e l’altro dal fetìccio. Il genio poetico di Baudelaire non va però assolutamente mi surato mediante il lato della sensibilità, pur con tutta la sua ric chezza. A esso si aggiunge il genio melancolico. Anche in tal caso si realizza un’evidente polarizzazione. Baudelaire non è una men te filosofica, ma rappresenta piuttosto in maniera estremamente penetrante lo stato d’animo dell’almanaccatore. La sua melancolia è del genere di quella che il Rinascimento ha definito eroica. Essa si polarizza per idea e immagine. Il che significa che, in essa, l’immagine non è mai soltanto un riflesso della sensibilità, e che l’idea non è mai un puro e semplice relitto del pensiero. Come ac cade solitamente all’almanaccatore, esse si intrecciano l’una al l’altra. Baudelaire ha sviluppato in maniera inconfondibile tale at titudine mediante l’uso degli stupefacenti. Seguirà anche un ex cursus sul singolare intrecciarsi di immagini e idee, che è specifico dell’hascisc. Il modo di vedere allegorico è sempre fondato su una realtà fe nomenica svalorizzata. La specifica svalutazione del mondo delle cose, che si presenta nella merce, è il fondamento dell’intenzione allegorica di Baudelaire. Nella poesia baudelairiana è la prostituta a rivestire un posto centrale in quanto incarnazione della merce. D ’altro canto, la prostituta è l’allegoria fattasi carne. I requisiti di cui la moda la correda sono gli emblemi, con cui essa si orna. Il fe ticcio è il marchio di autenticità della merce, così come l’emblema è il marchio di autenticità dell’allegoria. Nel corpo svuotato di ani ma ma ancora pronto agli ordini l’allegoria e la merce si sposano. ’ C f r . S c r itii 1 9 3 4 - 1 9 3 7 , p p . 4 6 6 - 5 0 2 [ N . i / . T . ] .
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La poesia Ufie martyre occupa una posizione centrale nell’opera baudelairiana. In essa viene presentato il capolavoro in cui è stato al l’opera Vapparai de la destrucHon. Questa svalutazione dell’ambiente umano attraverso l’economia della merce permea intimamente la sua esperienza storica. Accade «sempre la stessa cosa». Lo spleen non è altro che la quintessenza dell’esperienza storica. Nulla appare più spregevole che mettere in campo contro tale esperienza l’idea del progresso. Essa d’altronde, in quanto raffi gurazione di un continuum, è in nettissimo contrasto con l’impul so distruttivo di Baudelaire, che si ispira piuttosto alla concezio ne meccanica del tempo. Dalla sopraffazione da parte dello spleen non può essere chiamato in causa se non il Nuovo, la cui messa in opera costituisce il vero compito dell’eroe moderno. Effettiva mente la grande originalità della poesia di Baudelaire consiste nel fatto che in essa egli presenta l’esempio dell’«éroisme dans la vie moderne» D’eroismo nella vita moderna]. Le sue poesie sono dei compiti, e anche il suo rinfrancamento e la sua spossatezza sono atti d’eroismo. Il Moderno che si affaccia nell’opera di Baudelaire ha caratte ri storici ben definibili. Baudelaire è il precursore dell’art nouveau, le Fleurs du mal sono anche i primi ornamenti dell’art nouveau. Decisivo è però il fatto che il Nuovo, in nome del quale il poe ta pensa di porre un freno alla malinconia, reca esso stesso in mi sura estrema lo stigma di quella realtà contro cui il poeta si ribel la. Il Nuovo stesso in quanto meta consapevole della produzione artistica non è anteriore al xix secolo. In Baudelaire non si tratta del tentativo decisivo in tutte le arti di dar vita a nuove forme o di estrarre dalle cose un nuovo aspetto, bensì dell’oggetto radical mente nuovo la cui forza consiste unicamente nel fatto che esso sia nuovo, per quanto repellente e sconsolato possa essere. Da al cuni osservatori dell’opera baudelairiana, soprattutto da Jules Laforgue e da Valéry, quest’aspetto è stato correttamente valuta to nel suo significato individuale per Baudelaire. Quest’impresa baudelairiana acquista però il suo significato sto rico soltanto là dove trova la propria collocazione storica l’espe rienza del sempreuguale, in base alla quale essa va valutata. Ciò si verifica in Nietzsche e in Blanqui. L’idea dell’eterno ritorno è in tal caso il «Nuovo» che spezza l’anello dell’eterno ritorno nel mo mento in cui lo attesta. Attraverso la congiunzione con Nietzsche e soprattutto con Blanqui, che sviluppò la teoria dell’eterno ritor no un decennio prima di lui, l’opera di Baudelaire si pone in una nuova luce.
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A questo punto è possibile venire a parlare dell’abisso, il cui sentimento accompagnò Baudelaire per tutta la vita. Blanqui vide garantita la perennità del mondo e dell’uomo - il sempreuguale dall’ordine degli astri. L’abisso di Baudelaire è un abisso privo di stelle. In effetti la lirica baudelairiana è la prima in cui non com paiano le stelle o gli astri. La chiave di questa lirica è il verso doni la lumière parie un langage connu. Con la sua energia distruttiva non soltanto essa rompe - in virtù della conce2Ìone allegorica con la natura dell’ispirazione poetica e - in virtù della sua evoca zione della città - con la natura campagnola dell’idillio, ma anche con la natura delle cose, grazie alla fermezza eroica con cui rende familiare la lirica nel cuore della reificazione. Essa si trova nel pun to in cui la natura delle cose viene sopraffatta e trasformata dalla natura dell’uomo. La storia successiva ha mostrato che egli aveva perciò ragione a diffidare del progresso tecnico.
Durante la Comune, Blanqui fu tenuto prigioniero al «Fort du Taureau», dove scrisse L ’étemitépar les astres [L’eternità attraver so gli astri, Paris 1872]. Il libro completa in un’ultima immagine la costellazione delle fantasmagorie delle immagini magiche del secolo. Essa viene in tesa come un’immagine cosmica e include la più aspra critica del le restanti immagini magiche. Le ingenue riflessioni di un autodi datta che costituiscono la parte principale dello scritto aprono la strada a una speculazione che smentisce crudelmente lo slancio ri voluzionario dell’autore. La concezione dell’universo che Blanqui sviluppa nel suo libro, i cui dati egli desume dalle scienze mecca niche, si rivela come una visione infernale. Essa è parte integran te proprio di quella classe sociale di cui, alla fine della propria esi stenza, egli non potè negare la supremazia. Rientra nell’ironia in conscia della maldestra impresa di Blanqui il fatto che la terribile accusa che egli rivolge alla società assuma la forma di un’incondi zionata sottomissione alle tendenze di quest’ultima. Il libro pro clama l’idea dell’eterno ritorno dieci anni prima dello Zarathustra di Nietzsche: quasi con lo stesso pathos, e con autentica forza al lucinatoria. Il libro non ha nuUa di trionfalistico, anzi lascia un senso di de pressione. Blanqui vuol delineare un’immagine del progresso. Il
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quale si rivela come l’immagine magica della storia stessa: come antichità immemorabile ammantata in vesti estremamente mo derne. Ecco il passo più significativo: «L’intero universo si com pone di sistemi stellari. Per crearli, la natura dispone di soli cento elementi. Nonostante la capacità inventiva e nonostante l’infini to numero di combinazioni che sono a disposizione della sua fe condità, il risultato è necessariamente un numero limitato, pari al numero degli elementi stessi. Per riempire lo spazio, la natura de ve ripetere all’infinito le sue combinazioni e i suoi tipi originari. Per questo ogni stella deve esistere nel tempo e nello spazio in finite volte: non semplicemente una volta per tutte, ma in ogni istante della propria durata, daUa nascita alla morte. La terra è una stella di tal genere. Per questo motivo anche ogni essere umano è eterno in ogni istante della propria esistenza. Quello che io sto scrivendo in questo istante in ima cella del Fort du Taureau l’ho già scritto e lo scriverò per tutta l’eternità; su im tavolo, con una penna d ’oca, in circostanze che sono assolutamente identiche a quelle attuali. Questo succede a chiunque... Infinito è il numero dei nostri doppi nel tempo e nello spazio ... questi doppi esistono in carne e ossa, vale a dire indossano pantaloni e soprabiti, crino line e chignon. Non sono fantasmi, ma realtà immortali. Certa mente manca loro una cosa: il progresso. Ciò che noi chiamiamo con questo nome è insito in ogni terra e perisce con essa. Sempre e ovunque sulle terre avviene lo stesso spettacolo, lo stesso appa rato scenico, sullo stesso teatrino, una rumoreggiante umanità ine briata della propria grandezza. Sempre e ovunque si considera l’u niverso intero e si vive nel suo carcere come fosse immenso per sprofondare subito con il globo terrestre nell’ombra, che ha la me glio sulla sua boria. La stessa monotonia, la stessa immobilità an che sulle altre stelle. L’universo si ripete perennemente e segna il passo. Infallibilmente, l’eternità recita all’infinito sempre e solo la stessa commedia». Questa ritrattazione disperata è l’ultima parola del grande ri voluzionario. Il secolo non era riuscito a far corrispondere alle nuo ve possibilità tecniche un nuovo ordinamento sociale. n. Ci si può domandare se nell’agire politico di Blanqui ricom paiano tratti che lo caratterizzano come un semplice agire del l’uomo che scrisse in X.2xà&^x\L’étemitéparlesastres. H. B. [Hein
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rich Bliicher] si spinge ancora oltre: egli osa addirittura supporre che la visione del mondo elaborata da Blanqui settantenne sia sta ta da lui concepita già quando era un diciottenne, ed essa spie gherebbe il carattere disperato della sua azione politica in genera le. A sostegno di questa ipotesi non si può evidentemente addur re alcun argomento preciso. Non si può invece respingere l’idea che il modesto interesse sempre nutrito da Blanqui per i fonda menti teorici del socialismo potrebbe essere motivato da una ra dicata diffidenza verso le constatazioni che attendono chi si im merga profondamente nella struttura del mondo e della vita. A un’immersione così profonda Blanqui non sfuggì invece quando fu avanti negli anni.
Per il metodo materialistico, sceverare il vero dal falso non è il punto di partenza, ma quello di arrivo. Ciò significa, in altre pa role, che esso prende le mosse dall’oggetto imposto dall’errore e dalla 6 o |a . Le distinzioni che esso opera al suo avvio - esso di scerne sin dall’inizio - sono distinzioni all’interno di questo og getto estremamente misto che esso non riesce assolutamente ad at tualizzare sufficientemente in maniera mista e acritica. Esso ri durrebbe le proprie possibilità se pretendesse di accostarsi alla cosa come essa è «in verità»; e le aumenta notevolmente se nel suo pro cedere abbandona sempre più tale pretesa, disponendosi in tal mo do all’idea che la «cosa in sé» non è la cosa «in verità». Cercare di approfondire la «cosa in sé» è comunque allettante; nel caso di Baudelaire essa appare rigogliosa. Le fonti fluiscono a piacimento, e là dove esse tornano a riunirsi nei fiumi della tradi zione si dischiudono i bordi già tracciati entro i quali esso scorre a perdita d’occhio. Il materidismo storico non si perde in questa scena, non cerca le nuvole che si specchiano in questo fiume. Ma ancor meno esso se ne allontana per abbeverarsi «alla sorgente», per seguire la «cosa stessa» alle spalle dell’umanità. Quale mulino fa muovere questo fiume ? Chi sfrutta le sue cascate ? Chi lo argi na? Sono queste le domande che il materialismo storico si pone, mutando il quadro del paesaggio, chiamando col loro nome le for ze che vi hanno agito. Lo si direbbe un processo complicato; e tale esso è effettiva mente. Non dovrebbe esisterne uno più diretto, che sarebbe al tempo stesso anche un processo più deciso ? Che cosa impedisce di confrontare di colpo il poeta Baudelaire con la società odierna chie
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dendosi - sulla base delle sue opere - che cosa egli abbia da dire ai nuovi quadri dirigenti progrediti di tale società, senza, benin teso, mancare di chiedersi se egli abbia effettivamente qualcosa da dir loro ? Lo impedisce il fatto che, nella lettiira di Baudelaire, noi siamo stati sottoposti a un apprendimento storico proprio dalla so cietà borghese. Tale apprendimento non può mai essere ignorato. La lettura critica di Baudelaire e la revisione critica di tale ap prendimento sono un’unica cosa, poiché è un’illusione volgarmarxista poter determinare la fvmzione sociale sia di un prodotto materiale che di uno spirituale prescindendo dalle circostanze e dai mezzi attraverso cui la sua tradizione si è trasmessa. «Consi derato come la quintessenza di formazioni considerate indipen dentemente, se non dal processo di produzione attraverso il qua le si sono generate, perlomeno da quello in cui continuano a du rare, il concetto di cultura mantiene ... un aspetto feticistico»'. La tradizione della poesia baudelairiana è solo molto breve, ma essa manifesta già delle intaccature storiche a cui la critica si deve in teressare.
La creazione di prodotti visti unicamente come merci destina te al mercato fa sf che le loro condizioni realizzative - non solo quelle morali (i.e. lo sfruttamento del proletariato), ma anche quel le tecniche - escano sempre più dal mondo delle cose a cui la «gen te» pensa. La «gente» sono i piccoli borghesi e ciò che qui si dice vale soltanto per loro. Date le posizioni che si trovano ad avere nel processo produttivo il proletariato e l’alta borghesia sono abitua ti, invece, a tener conto sia delle condizioni sociali che di quelle tecniche della produzione. Ciò significa, in altri termini, che soltanto le classi che conti nuano a essere tenacemente impegnate nella lotta di classe reci proca posseggono la conoscenza relativa alle tecniche produttive. La lotta che devono condurre non consente loro, tuttavia, di sfrut tare questo sapere, se non in modo molto mediato, cioè appunto come arma della lotta di classe. In altri termini, benché nella pro‘ Le incalcolabili conseguenze del procedere più risoluto sono piuttosto spaventevoK anche altrove. Ha poco senso voler collocare Baudelaire nell’insieme delle posizioni pili de cise e avanzate nelle lotte di liberazione dell’unianità. Sin dall’inizio appare più promet tente approfondire le sue macchinazioni là dove egli si trova indubbiamente a proprio agio: nel campo avversario. Nei casi pitì singolari esse lo deviano da esso. Baudelaire era un agen te sepeto - un agente della segreta insoddisfazione della propria classe nei confronti del dominio da essa esercitato
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duzione delle merci si utilizzi un certo standard di capacità tecni ca, l’uomo ne diventa consapevole solo in forma atrofica, mentre il tipo e l’entità di tale atrofia sono proprio per questo diversi nel le diverse classi. Il livello più basso di consapevolezza è sostan zialmente quello del proletariato, la classe che per l’appunto fa esperienza nel modo più diretto delle più diverse tecniche di pro duzione. Ciò non riguarda tuttavia il singolo proletario, ma il pro letariato inteso come classe, le cui possibilità di sfruttamento di queste esperienze dipendono dal grado di solidarietà di cui è ca pace. (Anche nel migliore dei casi esso è però, per il momento, da to l’insufficiente numero di esempi, limitato). La capacità di rie laborazione delle esperienze tecniche che l’alta borghesia acquisi sce nel corso del suo sviluppo ha invece il suo limite unicamente neUà salvaguardia del profitto, ovvero nel suo ruolo nella lotta di classe. Esattamente questa è la ragione per cui, d’altra parte, non potrà mai riconoscere alla tecnica quel ruolo primario che di con tro essa ha. Il piccolo borghese che per il suo modo di vivere nel l’era della lotta di classe poteva essere il primo a farlo, in realtà è l’ultimo perché le esperienze con la tecnica si fanno ai fronti. Del processo produttivo industriale Baudelaire aveva le stesse idee va ghe di un qualunque piccolo borghese parigino del suo tempo. Ciò malgrado, a suo modo, esce dalla norma. All’epoca, infatti, nessun intellettuale poteva dirsi propriamente proletario se non per la sua estrazione. D ’altra parte non c’era nessuno scrittore significativo che si orientasse all’alta borghesia, come è possibile sostenere in vece probabilmente per Rimbaud e senza dubbio per Paul Valéry. Le esperienze sociali che si sono sedimentate nell’opera di Baude laire sono perciò state acquisite tutte attraverso percorsi intricati. Fra queste le più importanti sono quelle dell’emigrante, dell’abi tante della grande città e dell’acquirente.
Il gusto
Il gusto si forma grazie a una netta prevalenza della produzio ne di merci, prima di qualsiasi altro tipo di produzione. La crea zione di prodotti intesi come merci per il mercato fa sì che le con dizioni della loro produzione - e cioè non solo le condizioni sociali sotto forma di sfruttamento ma anche quelle tecniche - cadano sempre di più al di fuori del mondo di riferimento della gente. Il consumatore che, in quanto committente dell’artigiano (il quale
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viene istruito di volta in volta dal mastro artigiano) è più o meno esperto, il più delle volte è privo di competenza. A ciò si aggiun ge il fatto che la produzione in massa, che si prefigge di reaUzzare merci a basso costo, deve mirare a camuffare le cattive qualità; nella maggior parte dei casi essa è interessata al fatto che gli ac quirenti abbiano una competenza piuttosto scarsa. Quanto più l’in dustria fa progressi, tanto più perfette divengono le imitazioni che essa lancia sul mercato. Sulla merce fosforeggia un’apparenza - o una luce - profana; essa non ha nulla in comune con quella che produce i propri «capricci teologici» Ha però una funzione ben precisa per la società. Nel suo discorso per la protezione dei mar chi di fabbrica del 17 luglio 1824 Chaptd dice: «Non dovete obiet tarmi che nell’acquisto il cliente alla fin fine si orienti nelle diver se qualità di una stoffa: no, signori miei, il consumatore non le può giudicare, egli si orienta esclusivamente in base all’apparenza; può esser già sufficiente guardare e palpeggiare una stoffa per render si conto della resistenza dei colori o per riconoscere quanto fine una stoffa sia o quali siano la qualità e il tipo del suo appretto^>. Nella misura in cui si riduce la competenza dell’acquirente au menta l’importanza del suo gusto. Essa aumenta sia per lui che per i produttori. Per lui acquista il valore di un mascheramento più o meno pretenzioso della sua mancanza di competenza. Per il pro duttore essa ha il valore di un nuovo incentivo al consumo, che in certi casi viene soddisfatto a spese di altri bisogni del consumo, il cui soddisfacimento sarebbe più dispendioso per i fabbricanti. E proprio questo lo sviluppo che la poesia rispecchia n é l’art pour l ’art. Questa teoria e la prassi che vi corrisponde conferisco no per la prima volta al gusto una posizione di predominio nella poesia. (A dire il vero, si direbbe che in poesia il gusto non venga preso di mira; di esso non si parla mai. Ma ciò dimostra soltanto il fatto che nel xvm secolo si parlava molto di gusto nei dibattiti estetici. In verità questi dibattiti miravano al contenuto). Nell’ar-^ pour l ’art il poeta si pone per la prima volta nei confronti della lin gua allo stesso modo dell’acquirente della merce sul libero merca to. Ha perso la familiarità con il processo della sua produzione in grado particolarmente alto: i poeti òeWart pour l ’art sono gli ulti mi di cui si possa dire che provengono «dal popolo». Non c’è nul la che prema loro formulare a tal punto da indurli a coniare nuo ve parole. Essi tendono molto più a scegliere le parole. La «paro la scelta» è stata ben presto elevata - neU’«art nouveau» - a ’ la bonté des appréts [N.d.A.].
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vessillo*. Il poeta àdVart pour l ’art vuole soprattutto portare se stesso a esprimersi, se stesso con le idiosincrasie, le sfumature e i fattori imponderabili della propria natura. Questi si ripercuotono sul gusto. E il suo gusto a guidarlo nella scelta delle parole. La scel ta però avviene solo tra parole che non siano già segnate dagli og getti, che cioè non siano implicate nel processo di produzione. In realtà la théorìe dell’a/^ pour l ’art diventa determinante in torno al 1852, ossia in un periodo in cui la borghesia cerca di to gliere le proprie «faccende» dalle mani degli scrittori e dei poeti. Nel Diciatto Brumaio Marx ha rievocato questo momento in cui «la massa extraparlamentare della borghesia, ... col modo brutale nel quale trattava la sua stessa stampa» provoca «Bonaparte a re primere e a sterminare i suoi oratori e i suoi scrittori, i suoi uomi ni politici e i suoi le tterati... al fine di poter attendere ai propri affari privati sotto la protezione di un governo forte e dotato di po teri illimitati»’. AUa fine di tale sviluppo stanno Mallarmé e la poe sie pure. In essa la causa della propria classe è sfuggita di mano al poeta nella misura in cui al centro del dibattito è posto il proble ma della poesia senza oggetto. Tale dibattito in ultima analisi non ha luogo nelle poesie di Mallarmé, che vertono sul hlanc, suU’<*^sence, sul silence e sul vide. In Mallarmé questa è sicuramente la fac cia di una medaglia il cui rovescio non è per nulla privo di signifi cato. Piuttosto occorre dedurne che il poeta non si fa più garante di qualsiasi intento cui tende la classe cui egli appartiene. Fondare una produzione su tale rifiuto di tutte le esperienze manifeste di questa classe comporta specifiche e gravi difficoltà. Esse trasfor mano questa poesia in poesia esoterica. La poesia di Baudelaire non è invece esoterica. Le esperienze sociali di cui si trova traccia nel le sue opere non sono mai desunte dal processo di produzione, tan to meno nella sua forma più progredita, quella industriale, ma so no raggiunte in ampie giravolte nel loro insieme. Nella sua poesia, queste ultime sono però alla luce del giorno. Le principali di tali gi ravolte sono le esperienze del nevrastenico, dell’abitante della gran de città e del cliente. ' «Pierre Louys écrit: le throne; on trouve partout des abymes, des ymages, ennuy des fleurs, etc.... Triomphe de l’y.» ’ Cfr. KARL MARX, Il 18 brumaio cit., p. i8 i [N.d.T.].
Roger Caillois, L ’aridité
Roger Caillois, L ’aridité, [L’aridità] in «Mesures. Cahiers trimestrels» 156 avril 1938, n. 2, Paris, Librairie José Corti, pp. 7-12. Julien Benda, Un régulier dans le siècle [Un regolare nel secolo], Gallimard, Paris, 1937, p. 254. Georges Bernanos, Lesgrands cimitières sous la lune [I grandi ci miteri sotto la luna]. Librairie Plon, Paris 1938, V, p. 361. G. Fessard, La main tendue? Le dialogue catholique-communiste est-il-possible? [La mano tesa? E possibile il dialogo fra cattoli ci-comunisti?], Editios Bermard Grasset, Paris 1937, p. 248. Il saggio di Caillois uscito sul fascicolo di aprile di «Mesures» conferma come e in che misura siano giustificate le riserve che Adorno esprime a proposito della Mante religieuse\ Questa dialectique de la servitù volontaire illumina, in modo singolare e sgrade vole, i tortuosi pensieri con cui si intrattiene un Rastignac che non deve calcolare sulla Maison Nucingen, ma sulla cricca di autoritari capi della propaganda. In questo saggio il notevole talento di Cail lois ha un oggetto che non gli permette di manifestarsi altrimenti che nella forma della sfrontatezza. È repellente il modo in cui i trat ti caratteristici del borghese attuale, in realtà storicamente condi zionati, vengono metafisicamente ipostatizzati e riuniti in un ele gante ritratto inciso al confine dell’epoca. I tratti serrati di questo disegno hanno tutte le caratteristiche della crudeltà patologica. Che costituisce ormai la base necessaria per la rivelazione del «superio re significato» che è immanente alla prassi del capitale monopoli stico, il quale preferisce cedere i suoi mezzi «alla distruzione, piut tosto che dedicarli aU’utile o alla felicità» (p. 9). Quando dice: «si lavora per la liberazione degli esseri che si desidera asservire e che non si vuole che ubbidiscano a nessun altro» (p. 12), C[aiUois] non ‘ Cfr. questo fascicolo, p. 410 [T. W. Adorno, recensione di La mante religteuse di Ro ger Caillois, Paris 1937, in «Zeitschrift fiir Sozialforschung», VII (1938), pp. 410 sg.]
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ha fatto altro che descrivere la prassi fascista. - È triste vedere co me un’ampia corrente limacciosa sia alimentata da fonti situate a una notevole altitudine. Quando si incontrano formulazioni come quelle che C[aillois] presenta nel testo di «Mesures»: « Si deve [...] ricordare che il re gno dei cieli e della conoscenza non appartengono che ai violenti, che le porte non sono aperte dalle parole magiche e che è necessa rio forzarle» (p. 10), non si può fare a meno di ripensare con sod disfazione a un appello di Benda: «Intellettuali di tutte le nazioni [...] scendete in fondo a voi stessi e riconoscerete che l’idea di crea zione implica necessariamente l’idea di violenza, di discontinuità, di cosa imposta al mondo con un atto arbitrario. Il dio creatore che è adorato dalla Bibbia doveva diventare necessariamente il dio degli eserciti. [...]. Voi non porterete la pace sulla terra se non pro clamerete, con i greci, che la sublime funzione degli dei non è quel la di aver creato il mondo, ma, senza più creare nulla, di avervi portato ordine, di aver fatto un cosmo» (Benda, Dìscours a la NaHon Europeenne [Discorso alla nazione europea], Paris 1933). Nel libro ora apparso B[enda] cerca di fissare i tratti paradig matici e tipici del clerc considerando la propria vita. Esemplare gli sembra un conflitto in cui vengono a trovarsi gli ideali greci del clerc prima menzionati da un lato e quelli ebraici dall’altro. Men tre i primi gli presentano come modello di vita quella monacale, gli altri lo costringono a impegnarsi, nel secolo, per la giustizia. Poi ché nel mondo senza compromessi non si ottiene nulla, la lotta per i valori morali compromette la precisa formulazione di quelli in tellettuali. - Dopo di che è quasi superfluo osservare che B[enda] è molto lontano da ogni concezione dialettica. Il piacere di stabi lire opposizioni nette si afferma nel modo più infantile e inden nizza largamente il pensatore per le incongruenze che esse deter minano nella sua vita. Questa vita si svolge in modo così placido e contemplativo, che la sua esposizione contiene quasi inevitabil mente un certo autocompiacimento. A sua volta quest’ultimo au menta la sua disposizione ad accettare le contraddizioni interne del proprio pensiero. Di fatto il virtuosismo del suo stile è dovuto al l’esilità del suo pensiero. Egli li mette in mostra entrambi nel suo curriculum vitae; in questo modo il suo libro - come non accade spesso - è privato insieme del suo compenso e della sua punizione. E piuttosto divertente vedere come le grandiose disposizioni intese ad acuire la coscienza intellettuale e morale si concludano nella constatazione che per il clerc esiste un caso particolare: un paese in cui può accettare la sua nazione senza essere troppo infe
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dele alla propria professione. Si dà il caso che sia la nazione fran cese (p. 143). Se vogliamo sapere in che modo deve essere intesa questa affermazione, non abbiamo che da tornare indietro di una pagina, per apprendere che - se un giorno la Francia dovesse ca dere vittima del fascismo - B[enda] se ne andrebbe all’estero, ma dall’esilio non farebbe mai nulla contro il governo del suo paese, com’è invece consuetudine degli emigrati. Questa cautela nei con fronti del proprio governo ha il suo fenomeno complementare nel modo alquanto brutale in cui è trattato il popolo straniero. «Ri tengo che, con la sua morale, la collettività tedesca moderna è una delle pesti del mondo, e se per sterminarla tutta dovessi semplicemente schiacciare un bottone lo farei subito» (p. 153). La cieca convinzione che certi popoli «i» quanto popoli sono avidi di espan sione» (p. 170) in B[enda] va di pari passo con la pretesa di un ri gore matematico del pensiero. Insomma, la dialettica si afferma senza la sua collaborazione, in quanto questo intervento cavalle resco, anzi donchisciottesco a favore dei principi incontaminati si rivela come il più complicato conformismo del mondo. Nei con fronti della classe dominante B[enda] si rifiuta di assumersi com piti demagogici; preferisce presentare la sua candidatura per un posto di chefdu protocole al suo servizio. In accordo con questo fatto, l’autore, che pretende di non ave re nessun interesse per le persone (perché per lui contano soltan to le idee!), riempie il suo libro di una quantità di aneddoti. Essi hanno più valore delle sue argomentazioni, e talvolta sono molto istruttivi. Ad esempio, quando parla del «culte de la blague» in Sorel, tocca un filone che oggi si constata chiaramente sia in un adepto del fascismo come Céline che nei suoi portavoce Rosenberg o Goebbels. - L’animosità contro il romanticismo, l’ingegnosità che scopre la sua influenza reale, l’ipocondria che scopre quella pretesa, collega B[enda] con il barone Seillière. Si deve ricordare che Georges Bemanos, i cui romanzi cattolici avevano un odore sospetto non soltanto per l’ortodossia, ha pub blicato un grosso pamphlet contro Franco, 1grandi cimiteri sotto la luna. Il libro è politicamente importante specialmente nei passi in cui B[ernanos] (che è vissuto a Palma di Maiorca fino aUa fine del 1936) si occupa dell’arcivescovo di Palma. Il gesuita Fessard ha pubblicato ultimamente imo scritto intito lato Il dialogo fra cattolici e comunisti è possibile? Fessard modella il suo atteggiamento su quello dell’intellettuale, e si può dire che si contrappone spontaneamente al fascismo con una certa animosità. In che misura i mezzi che egli offre per la fondazione della «deci
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sione esistenziale» in politica possano garantire seriamente per lui è una questione che non è necessario affrontare. Una conferenza che doveva consolidare la posizione del suo libro sviluppa le se guenti tesi: la violenza rappresenta il grado più basso delle relazio ni sociali, l’ordine giuridico l’antitesi della violenza e il grado su periore; l’eucaristia la sintesi della spontanea violenza e del medi tato ordine. E quindi è la violenza dell’amore, che realizza l’ideale della società umana. (Questo suo concetto è illustrato dall’erotologia: tesi-possesso sessuale; antitesi-matrimonio; sintesi-amore). Il Cristo deve rifiutarsi dovunque non è attuato questo ordine euca ristico dei rapporti umani. Il suo doublé refus vale per entrambi i campi. - L’antinomia tra la dialettica materialistica e idealistica vie ne superata sinteticamente dalla concezione materialistico-spiritualistica dell’incarnazione di Cristo. A ciò corrisponde la tesi che il problema della famiglia dovrà trovare la sua soluzione in occa sione della resurrezione.
Romanzo di ebrei tedeschi
Mentre in Germania vengono distrutti, per un tempo di cui non si può prevedere la fine, i legami che esistevano fra il popolo te desco e gli ebrei tedeschi, esce un romanzo* che si propone di pre sentare la natura di questi legami. Esso ha a che fare con una fa miglia assimilata benestante. Il capofamiglia è architetto; si deve pensare che appartenga alla generazione di quelli che sono nati in torno al 1860.1 suoi ideali artistici sono quelli dell’epoca guglielmina; il suo modello potrebbe essere un Bodo Ebhardt, che lavorò come restauratore dello Hohkònigsburg. La moglie non è ebrea; il figlio, che nel 1933 si è recato all’estero e si è laureato in una scuo la tecnica, è di sua madre, ma non del padre légale. Le leggi di No rimberga inducono la madre a confessare al figlio, senza troppe difficoltà, un fallo che è servito a procurargli un’origine non ebrea. Il desiderio di prendere con sé la ragazza di cui è innamorato e di indurre i genitori a lasciare la patria riporta questo giovane in Germania, nel 1936. Arriva giusto in tempo per imbattersi nelle manovre che hanno come scopo l’espropriazione di suo padre. L’ammissione della madre gli permette di mettersi in mezzo, co me «ariano», fra il vecchio e i suoi creditori. Si dedica interamente al futuro economico. Quello erotico gli sembra chiuso; la teoria razziale è stata insegnata all’amata in modo troppo radicale per ché ritorni subito ai suoi sentimenti originari; li dimostrerà più tar di, quando fuggirà dal paese. - Nella linea della grande carriera che pare sorridere al giovane dopo che è stato accolto nel com plesso paterno c’è un altro legame. Questo legame - a questo pun to nel romanzo di Lackner si alza il falco, come disse Paul Heyse - è quello con la figlia di quel grande banchiere che è il padre na turale dell’intraprendente giovane. Ora sembrerebbe ovvia la com binazione più banale: il nodo stretto inconsapevolmente potrebbe ‘ STEPHEN LACKNER, /««
1939, 222 pp. [N.d.A.].
Heimatlos Uan senza patria], romanzo, Verlag Die Liga, Zurich
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sciogliersi in modo tragico. Caratterizza il piglio sicuro dell’auto re e la sua lealtà il modo in cui evita tale costruzione. I due giova ni concordano nella coscienza non falsificata della situazione. «Jan chiede con la voce spenta: “Non ti fa orrore?” - “Nulla mi fa or rore, nel mondo. Che cosa ho a che fare con i tabù degli uomini preistorici?” » Nella patria razzisticamente purificata le esigenze della vita economica in certi casi comportano un rapporto ince stuoso - è questo il nucleo satirico del soggetto. E vero che alla fine anche quest’opera non rimane senza la cor rispondente utilità. Il protagonista si rende conto che in Germa nia non c’è più posto per lui. Va a trovare ancora una volta l’ami ca degli anni della sua giovinezza, viene rintracciato da una pat tuglia SS e non salva altro che la vita. Nello stesso giorno l’uomo che per tanto tempo egli ha considerato suo padre pone termine alla sua, di propria mano. «I miei antenati - così aveva salutato al l’inizio del racconto il giovane che tornava in patria - abitavano sul Reno fin dai tempi dei romani. Quello che affermano su di me gli austriaci e i levantini e i vagabondi capitati qui, e che ora si so no impadroniti del potere nel povero Reich, mi è indifferente, non mi riguarda. Noi teniamo duro, qui nel paese, finché i tedeschi ri troveranno nuovamente se stessi, o noi andremo in rovina». Oggi che minaccia di realizzarsi il secondo corno di questa al ternativa, il romanzo ha il peso di un documento. Esso trova la sua conclusione in un secondo ritorno in patria, che non ha più la sua meta nell’amica di gioventù, che nel frattempo è emigrata a sua volta, ma nella lotta per la liberazione di tutti gli oppressi del Ter zo Reich. Il libro di Lackner dimostra che la scuola dell’esilio non ha poi un effetto tanto cattivo su un giovane scrittore, solo che egli possieda decisione e talento.
Louise Weiss, Souvenirs d ’une enfance républicaine
L’autrice era nota al pubblico per l’impegno a favore dei dirit ti delle donne prima di affermarsi in ambito letterario con i suoi lavori. Vanno messe in evidenza le esperienze giovanili alla scuola superiore femminile, dalle quali direttamente deriva la sua azione politica successiva. La critica ai principi strutturali della forma zione secondaria per le donne, stabiliti dalla legge sull’educazione scientifica femminile presentata nel 1880 da Camille Sée, è il nu cleo sociologico originario da cui nasce l’opera. Fornendoci un qua dro complessivo dei pittoreschi dibattiti che hanno preceduto la sua approvazione, l’autrice descrive un parlamento che discute la legge a partire dai bisogni maschili, senza tenere minimamente in considerazione le donne. Alla Camera; «Se la formazione superio re femminile è apparsa un bel giorno urgente per la maggioranza laica dei deputati, ciò è dipeso in modo determinante dal fatto che era diventata necessaria per i mariti repubblicani e dunque, indi rettamente, per la stabilità del regime». Al Senato: «I senatori ave vano in realtà un cordiale disinteresse per le giovani fanciulle [...] L’emancipazione intellettuale femminile poteva essere un elemen to di crescita per la Repubblica? [...] Era questa la questione at torno alla quale ruotava la disputa». I promotori della legge, gli uo mini intorno a Jules Ferry, avevano in mente casalinghe con for mazione letteraria, lontane dalle competizioni della concorrenza professionale. Le lycéennes, invece, ambivano agli esami di am missione all’Eco^ de Médecine e all’Eco/e Centrale. Da studentes se universitarie spesso erano più vicine alla estrema destra o all’e strema sinistra che al centro, al quale dovevano però le loro op portunità formative. L’autrice vede chiaramente le contraddizioni sociali rispecchiate dall’educazione liceale: «La via battuta da Ca mille Sée ha dimostrato di essere un vicolo cieco [...] La forma zione femminile non poteva limitarsi a una formazione teorica mente liberale, disinteressata, intellettuale, poiché ciò era profon damente in contrasto con le dirette conseguenze della concezione
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liberale, cioè con l’attività professionale delle donne». Nelle parti narrative il libro offre una grande quantità di osservazioni sul mo do di pensare delle persone vicine agli apparati di governo della giovane Repubblica, e specialmente dell’alta borghesia liberale.
Rolland de Renéville, L ’eocpériencepoétique
Alla poesia romantica tedesca è rimasta preclusa una compiu tezza secolare pari a quella raggiunta dai francesi con Victor Hu go. L’unico che sia riuscito con la sua opera a valicare i confini del la Germania è E. T. A. Hoffmann. La sua risonanza in Francia fu travolgente e non si fece attendere molto. Più tempo ci voUe pri ma che i suoi temi, che costituivano nello stesso tempo il nucleo vivo e incandescente del romanticismo tedesco, penetrassero nel la coscienza europea. Hoffmann vive nelle teorie poetiche svilup pate dalla prima generazione dei romantici. Non sempre queste pervennero alla forma scritta. E tra i prodotti del romanticismo tedesco non ve n ’è forse uno che si conformi pienamente a queste teorie. E tuttavia è grazie a esse che il romanticismo tedesco ha ottenuto la sua posizione nella letteratura mondiale. E non è un caso che tra i maestri del romanticismo tedesco sia Novalis il più conosciuto all’estero. Il fiore azzurro, di cui Enrico di Ofterdingen è alla ricerca, è diventato il simbolo del movimento. Il suo splendore, che trapassa la nebbia germanica, è lo splendore della teoria mistica di Novalis. «La poesia è protagonista della filosofia. La filosofia innalza la poesia a fondamento. Ci insegna a conoscere il valore della poe sia. La filosofia è la teoria della poesia. Ci mostra cos’è la poesia; che è l’uno e il tutto» (Novalis, Schriften \Scritti\, a cura di J. Mi nor, voi. II, Jena 1907, p. 301). Queste parole definiscono in mo do esauriente ciò che Renéville intende espresso nel concetto di esperienza poetica. Egli cita ripetutamente Novalis, in modo par ticolarmente appropriato nel settantunesimo aforismo della rac colta di frammenti «Polline»: «Poeti e sacerdoti in principio era no tu tt’uno, solo in epoca successiva furono divisi. Ma il vero poe ta continua ad essere sacerdote, così come il vero sacerdote è sempre rimasto poeta» {ibid., p. 126). Così viene tracciato il cer chio della poesia esoterica. Nell’enigmatico ciclo di sonetti di Nerval «Les Chimères» Novalis avrebbe riconosciuto come in poche
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altre opere una personificazione del suo ideale poetico. Il com mento alla tredicesima poesia di questa raccolta rappresenta uno dei punti culminanti dell’opera di RenévUle. Una storia della poe sia esoterica ancora non esiste. Renéville ne pone le premesse. Si occupa delle corrispondenze su cui basa questa poesia e le analiz za a fondo tanto nel Libro tibetano dei morti quanto nella Cabalà, in Johannes vom Kreuz come nelle visioni di Katharina Emmerich, in William Blake come in Walt Whitman. Prende in consi derazione la definizione di Lévy-Bruhl come pure i nuovi studi sul la psicologia infantile. La sua teoria delle immagini è vicina a quel la degli archetipi di Jung. Renéville dà un rilievo particolare alle qualità profetiche dell’inconscio. Il mondo delle immagini, da cui provengono le ispirazioni, è eternamente presente e permette allo spirito di sorvolare i confini tra presente e futuro. «Il primitivo, il bambino, il mistico e il poeta si muovono in un eterno presen te». Di nuovo si dovrà ricordare Novalis: «Nell’intimo conduce il misterioso sentiero. In noi o in nessun altro luogo è l’eternità con i suoi mondi, il passato e il futuro» {ibid., p. 114). Il capitolo fi nale del libro, intitolato «La funzione del poeta», si chiude con l’immagine di una «comunicazione delle sfere celesti» il cui spet tacolo è ammirato dal poeta vate. Le contingenze storiche non interferiscono in questo progetto. E ciò risulta da una scelta programmatica che in alcuni punti si in nalza a confessione. Una vera e propria storia della poesia esote rica non potrebbe resistere a lungo solo nel regno dell’ispirazione. Non potrebbe ignorare lo strumentario, la convenzione, insomma. Della poesia cortese provenzale, senz’altro imbevuta profonda mente di esoterismo, dice uno dei suoi primi conoscitori, Erich Auerbach: «Tutti i poeti dello Stil Novo hanno un’amante misti ca, tutti vivono pressapoco le medesime, assai strane avventure amorose, a tutti Amore concede o nega doni che assomigliano piut tosto a un’illuminazione che a un godimento sensuale, tutti fanno parte di una sorta di società segreta che decide della loro vita in teriore e forse anche di quella esteriore». In breve, proprio nella poesia esoterica, oltre l’ispirazione è la fattura a svolgere il ruolo decisivo. Nulla potrebbe illustrarlo in modo più evidente di quel piccolo inestimabile resoconto del metodo di Mallarmé fornitoci da Renéville. I più intimi amici del poeta sapevano che egli pos sedeva uno strumento di lavoro poetico sotto forma di una carto teca. Essa consisteva in foglietti piccolissimi. Non si poteva im maginare cosa riportassero e nessuna domanda riusciva a chiarir lo. Un giorno Viélé-Griffin entrò nello studio di Mallarmé. Egli
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sorprese il poeta mentre stava consultando un foglio della sua car toteca. Per un attimo lo sguardo di MaUarmé vi si soffermò, poi egli mormorò fra sé e sé: «Non oso più dir loro neppure questo: gli rivelo ancora troppo». Viélé-Griffin si avvicinò e sbirciando ol tre le spalle del poeta riconobbe sul foglio la sola sillaba «Quel». Questo episodio è stato tramandato oralmente. E una teoria ne gativa in nuce. Renéville ha riconosciuto con chiarezza che l’onda ò&Wart pour Vari che si solleva a metà del secolo scorso porta alla luce una poesia esoterica. Egli ha cominciato con un libro su Rimbaud. Ora lascia intravedere un trattato sulla visione del mondo di Stéphane Mallarmé. C’è da sperare che i suoi studi convergano tra breve in una storia della poesia esoterica nella sua epoca più recente.
Léon Robin, La morale antique
Il trattato resta nell’ambito di una storia filosofica dei dogmi. Affronta le teorie greche della morale dal pimto di vista del con tenuto dottrinario che sono in grado di offrire. Un primo capito lo si occupa del concetto di bene e dei sette saggi fino a Plotino. Il secondo capitolo è dedicato alle dottrine sulla fortuna e la virtù. Robin sottolinea che una problematica corrispondente a quella del l’etica kantiana non è rintracciabile presso i Greci, perché l’etica greca mantiene sempre il contatto con Vars vivendì nel senso di una dietetica dell’anima. In breve, l’idea di virtù rimane indirizzata verso quella del sommo bene. Robin non manca però di rilevare quanto modeste siano state spesso le pretese rivolte a questo be ne. (Epicuro lo identifica con l’assenza di dolore; Platone con la consapevolezza di agire bene). Il terzo capitolo ha come oggetto la psicologia morale: le dottrine dei patrimoni dell’anima; la dottri na delle passioni come fonte del male; la discussione sul destino e la libera volontà. Completano n quadro indicazioni sulle opinioni etiche che affiorano nei poeti e nei misteri.
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Richard Honigswald, Vìlosofia e linguaggio
Kant si era accinto a risolvere i problemi della filosofia in un’a rea strettamente delimitata, fissata con esattezza logica. Aveva cercato nei fondamenti delle scienze esatte la base della teoria di ogni conoscenza. Vedeva il nemico di tali discipline scientifiche nel dogmatismo e, in particolare, nella pretesa dogmatica delle con fessioni religiose. Il fondato rifiuto di quest’ultima è il risultato del controllo critico a cui Kant sottopose la metafisica. Per quan to concerne la scuola neokantiana, essa è caratterizzata dall’aver conservato il piano di marcia del pensiero kantiano, sebbene l’av versario dovesse essere cercato da tempo in una direzione comple tamente diversa, poiché nel frattempo la funzione delle scienze esat te a confronto con le quali si era sviluppato il criticismo era cam biata. Il positivismo appariva come la loro ultima parola. Nella giovinezza della borghesia tedesca esse si erano raccolte in un’im magine del mondo la cui sezione storica aveva avuto il suo punto prospettico nel regno della libertà e della pace perpetua e non era rimasta indietro rispetto alla prospettiva cosmica che dopo Laplace era stata disegnata da Kant. Il concetto del sublime è costruito sul la base di questa corrispondenza dei due regni. Dice Kant: «Il su blime può essere descritto così: è un oggetto (della natura) la cui rap presentazione induce l ’animo a pensare l ’irraggiungibilità della natura come esibizione di idee» (im m a is t u e l k a n t , Werke, ed. Cassirer, voi. V, Berlin 1922, p. 340). Nell’immagine del mondo di Helmholtz, Du Bois-Reymond o Haeckel la natura aveva cessato di essere la le va per la liberazione dell’esistenza umana. Non era più la materia del dovere, ma lo strumento di un dominio che si estendeva tanto più sulla terra quanto più piccola diventava la cerchia di coloro che lo esercitavano. I popoli e le razze che all’età dell’illuminismo era no apparsi nello stato di una dispersione paradisiaca si raccoglieva no nella massa dei clienti del mercato mondiale. Si spegneva, in lo ro, il riflesso della loro origine, e quindi anche la promessa di un fu turo migliore che essa aveva prima rappresentato.
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Era questa l’opprimente costellazione in cui cadeva il rinnova mento del pensiero kantiano. Si può congetturare che sia stata la complicità sempre negata, inconscia con il positivismo, a costitui re la debolezza del neokantismo. Quest'ultima è insita anzitutto nel suo pensiero sistematico. L’originalità di Kant non si manife sta mai in una forma più pura che nella sua Crìtica del giudizio. Questa chiave di volta del suo sistema è stata ciò in cui poco pri ma della sua morte furono incisi i nomi dell’epoca classica tede sca. All’estetica di Cohen manca proprio questa esatta fantasia sto rica. In lui il pensiero sistematico ha soltanto carattere interpre tativo, ma non ha più carattere programmatico. Le forze della critica e della fantasia diminuiscono in eguale misura e per lo stes so motivo: i dominanti riescono sempre facilmente a mettersi d’ac cordo con il sussistente. Il quadro diventò più che mai deprimen te quando cedette la rigidezza con cui Cohen si era attenuto alle posizioni strategiche del secolo xvm. Qui il saggio di Cohen tJber das Eigentiimliche des deutschen Geistes [Ciò che ha di peculiare lo spirito tedesco] e il Deutscher W eltbemf [La vocazione mondiale dei tedeschi] di Natorp segnano una svolta. Il decrepito criticismo cominciava ad allungare il passo verso il linguaggio e la storia. In passato la scuola storica aveva fatto il processo al criticismo e in sieme all’illuminismo in nome di essi. Nel frattempo la storia e la scienza del linguaggio erano uscite dal loro periodo romantico. Non per questo si erano avvicinate di più al criticismo. Al contrario, quanto più decisamente queste scienze volevano raggiungere lo stesso rigore di quelle esatte, tanto più prontamente e senza dare nell’occhio potevano corrispondere alle richieste ufficiose, protette dall’alibi che l’acribia dello studio delle fonti procurava loro. So no dunque state due le circostanze che hanno inaugurato la «filo sofia critica» della lingua e della storia: l’atrofizzarsi della volontà di opposizione nella borghesia e l’atrofizzarsi della pretesa storica che viveva in essa. La strada porta da Natorp a Honigswald attraverso la Filosofia delle forme simboliche di Cassirer. Nel suo corso l’impostazione tra scendentale si è trasformata gradualmente in un cerimoniale che non giova più affatto a una reale attività di pensiero. In Hònigswald dall’unità trascendentale dell’appercezione è nata l’unità del la coscienza culturale, che ha il suo precipitato nel linguaggio. La magna charta di questa concezione è l’idea di un continuum -quel lo del linguaggio, appunto - su cui le datità si muovono dolcemente. «Esse comprendono tutto ciò in cui “d’ora in poi non c’è niente da cambiare”, come si dice volgarmente, quello che è appunto “co-
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SÌ” , [ . . .] fede e stato, diritto, eticità, lingua, vita interiore ecc. Tut te queste cose infine sono “datità” » (p. 32). «Creando cultura e protetta dalla cultura» l’umanità si muove in questa corrente. Il libro osserva una distanza astronomica da tutti i problemi lin guistici concreti*. Nella misùra in cui promuove un processo del pensiero, si tratta di un processo radicalmente reificato. E carat teristica, in questo senso, la definizione che Hònigswald dà del l’uomo. Che a prima vista appaia un po’ ridicola sarebbe certa mente il male minore. Dal punto di vista della teoria del linguag gio, il concetto dell’uomo comprende «certi corpi organizzati, che sono legati possessivamente a “qualcuno”, “appartengono” a qual cuno o, pili esattamente, in quanto corpi organizzati appaiono ad dirittura determinati dalla necessità che appartengano a “qualcu no” » (p. 274). Questa impostazione potrebbe dare qualche risul tato, se non fosse intesa a una determinazione dell’uomo, ma del possesso. Include una critica del possesso nel suo senso corrente; indica, in questo rapporto, la presenza di limiti come quelli che il corpo impone al suo possessore. Mettere in rilievo questo aspetto della cosa è un compito che si addirebbe al pensiero critico. In Honigswald ciò non accade. La sua definizione si muove in circolo: «qualcuno» è appunto soltanto un uomo. Qualcuno non è nessu no, a meno che non sia chiamato per nome. In questo modo l’at tenzione cadrebbe sul problema del denominare. Denominazione e indicazione rappresentano i poli tra i quali scaturisce la scintilla che la filosofia del linguaggio cerca di salvare. Lo insegna la sua storia, a partire dal Cratilo. Il libro quasi non riflette su di essa. È «sistematico» nel senso problematico che evita di considerare sia le condizioni storiche di ogni conoscenza precedente sia anche quelle della propria. ' In questo si contrappone diametralmente alla fondamentale Teoria del linguaggio di Biiher, che è uscita tre anni prima (vedi «Zeitschrift fiir Sozialforschung», IV (1935), pp. 260 sgg.). Le ricerche sul linguaggio degli animali e dei bambini, sull’espressione mimica e sull’afasia - al livello attualmente raggiunto - incidono sulle riflessioni di Biiher. Non è questo il caso di Hònigswald. Può illustrarlo il problema dell’onomatopea, facilmente isolabile. Dice Biiher in proposito; «Chi mette da parte il linguaggio, può fare dell’onomato pea a piacere; il problema è esclusivamente se e in che modo ciò è possibile all’interno del linguaggio. Nella struttura del linguaggio ci sono determinate commessure e spazi in cui questo può accadere; ma questo soltanto non può accadere, che queste disperse, sporadi che isole in cui esistono certi gradi di libertà possano fondersi in modo da costituire un campo rappresentativo coerente» (k arl b u h le r, Sprachtheorie,]ena 1934, p. 196). In Honigswald la trattazione del problema culmina in constatazioni che congiungono una com prensibilità minima con una banalità massima. L’onomatopea propone «alla discussione [...] il problema di processi naturali le cui valenze acustiche ritornano in certe parole. Ora, che e come si presentino queste valenze nella cornice di sistemi linguistici storicamente de terminati, questo soltanto appare come il vero problema di base dell’onomatopea, ma an che come quello più difficile» (p. 321) [N.d.A.].
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Questa carenza di prospettive storiche all’interno della sua pro blematica non è affatto compensata dalla determinazione concet tuale della storia data da Hònigswald. Nella sua compiacente levi gatezza essa corrisponde al formalismo che deve appoggiare. «De scrizione e confessione - dice Hònigswald - in ogni scritto di storia si congiungono tra loro in modo da costituire un’indissolubile co munione di certezza dell’oggetto» (p. 260). Una volta che si è ca pito che è in questo concetto impuro della storia che convergono e «pure determinazioni concettuali» che lo precedono^ si può va lutare la definizione dell’uomo di cui si parlava in tutta la sua va cuità. L’autore la spiega anche nel modo seguente: «La parola “qual cuno” acquista il suo significato nel senso dell’“uomo” non appe na il centro esistenziale a cui si riferisce esprime im “immediato” rapporto con la “parola” e la “cultura”, cioè con la storia» (p. 274). In tali determinazioni si devono vedere parti dello «stesso si stema degli oggetti», come si configura nel linguaggio, «e anzi se condo [...] condizioni estremamente complicate. Il linguaggio de termina [...] l’oggetto [...]; fa parte delle condizioni della sua stes sa inesauribile determinazione, analogamente alla [...] causalità» (p. 23). Un’ironia più triste che tragica vuole che questo criticismo che pretende di avere tratto alla luce il documento che testimonia come l’oggettività sia fondata nel linguaggio nell’annunciare la sua scoperta si accontenti poi di un gergo barbarico. Dignità, ad esem pio, « significa [...] che la stessa “persona” riferita alla comunità è determinata solo nella prospettiva della qualità di una “dignità” assiologicamente condizionata, dxmque nella prospettiva della pos sibilità del suo “agire”. In questo senso, cioè come soggetto dell’agire, la persona si trova in un rapporto di dipendenza funzio nale da quel valore di tutti i valori [...] Grazie alla sua conoscen za di quel legame con quel supremo valore diventa “libera”, e cioè acquista la valenza della “personalità” che condiziona il suo con cetto» (pp. 238 sgg.). Se si considera tale oscurità in cui si aggirano i vocaboli della ragion pratica, spogliati del loro apparato metodologico, ci si ren de conto che il loro destino non è sostanzialmente dissimile da quel^ Ad esempio la definizione della fonte storica è fatta in questo modo: un oggetto «può chiamarsi una fonte nella misura in cui appare determinabile solo dal punto di vista di ima possibile intenzione di rappresentare. [...] Ciò [...] conferisce alla fonte un’oggettività del tutto peculiare. Essa esiste solo in conformità delle condizioni di quella “rappresentazio ne” a cui deve servire essa stessa da supporto, come istanza condizionata dalla rappresen tazione. Il significato oggettivo della fonte può essere giudicato solo a partire dal fine del la rappresentazione, che peraltro a sua volta si basa sulle qualità rappresentazionali della fonte» (pp. 221 sgg.) [N.^..4 .].
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lo dei geni che sono evocati nei circoli spiritici. Staccati dalla loro opera, devono accondiscendere a un’apoteosi. Così i termini della fUosoiEia trascendentale. Come è avvenuto che siano sprofondati così in basso? Kant voleva fondare la conoscenza, nella misura in cui la sua struttura si basa sulla pura ragione. Le pretese degli epi goni non sono così limitate. «Fondano» tutto. La loro forza non è più sufficiente per escludere qualcosa. Nella loro fondazione non è affatto insita ima malizia critica, che invece si afferma così trion falmente nella dialettica trascendentale di Kant. Quindi questo pensiero epigonale serve soltanto a coonestare «ciò che ormai non può più essere cambiato». Le parole, che devono servire a tutti, in realtà sono potute sembrare come fatte apposta per assicurare la testimonianza a favore di una filosofia così sollecita.
Louis Dimier, De l’esprit à la parole. Lem bruilk et leur accord
Il lettore che dopo questo libro pensasse che il razionalismo clas sico francese abbia maggiori possibilità nel campo di una critica del linguaggio (se esercitata da un maestro) che in quello della sto ria e filosofia non sarebbe fuori strada. Volendo restare sulla linea di Dimier,'naturalmente egli non dovrebbe andare nello specifico e voler parlare, ad esempio, di una maggiore attitudine della lin gua francese a trattare questioni razionàiistiche. Per Dimier una lingua non può essere sostanzialmente modellata dal pensiero, né viceversa il pensiero può essere sostanzialmente modellato da una lingua. Questa convinzione conferisce al concetto di ragione di Di mier il suo slancio precipuo. Non si tratta di attingere dalle gram matiche categorie che siano in qualche modo proprie della logica. «Persone ragionevoli continuano a credere che il pensiero porti l’impronta della lingua di cui si serve» (pp. 51 sgg.). Secondo Di mier nulla si contrappone alla verità più di un tale modo di vede re. Per rimuoverlo definitivamente insieme con i ragionamenti spe culativi a cui quasi inevitabilmente esso conduce, Dimier si è co struito su misura una teoria del linguaggio che sembra poggiare su basi un poco improvvisate. Secondo Dimier la ragione non è au torizzata a proporre alle lingue la sua unità (come può invece fare la rivelazione per un Bòhme o un Hamann). Essa ha, però, un suo luogotenente sulla terra; la sua unità e le sue necessità sono rap presentate a buon diritto; solo che questo compito non riguarda «la lingua». È la mimica, secondo Dimier, a esserne incaricata. E il codice di comunicazione degli animali - sia esso articolato o ge stuale - ne sarebbe la migliore espressione. Dimier lo vede come una sorta di lingua madre della creatura. «Questa lingua è uni versale. Senza alcun insegnamento gli animali si capiscono, e quan to del loro linguaggio noi facciamo nostro è rivolto all’umanità in tera. Ma questi segni esprimono solo la passione o il bisogno. So lo per gli animali, dunque, sono veramente adatti» (p. 35). L’uomo, lasciandosi dietro questo livello di evoluzione, deve imparare ad
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articolare quei segni per pervenire al pensiero e alla riflessione. «Le tappe e i livelli di questa articolazione non sono più prefigu rati dalla natura. Ne risulta che a questo punto avviene una sele zione, il cui risultato può assumere forme diverse; da questa di versificazione emergono i vari caratteri delle lingue» (p. 37). Il valore del libro non risiede in queste tesi. Esse sono interes santi soprattutto in quanto dànno un’idea della robustezza con cui l’autore fa spazio al suo razionalismo, per poi maneggiarlo in mo do assai delicato. La lettura del libro è ristoratrice, soprattutto lad dove ci si avvicina di più alle sorgenti di questo razionalismo. Non sono molte le opere che ancora oggi mantengono un riflesso della calma e della sovranità proprie di una teoria razionalistica della sto ria, per quanto idealistica essa voglia essere. Il libro di Dimier va annoverato tra queste eccezioni. Con il titolo Come la grammatica si coalizza col razzismo per incatenare lo spirito, Dimier presenta una storia comparata del greco moderno. Nello stesso tempo scrive la storia della guerra di liberazione greca che ispirò Bjnron e i roman tici. Ma lo fa dalla prospettiva dei vinti. E questi per lui non sono né i turchi né i fanarioti - vale a dire quei funzionari, ricercatori e scrittori greci che sin dalla conquista di Costantinopoli avevano salvaguardato le tradizioni bizantine e con esse la lingua viva del popolo. Costoro avevano preparato la guerra di liberazione. Tut tavia le circostanze in cui la guerra scoppiò assegnarono il coman do ai Pallicari - «banditi e squadre di polizia». «Qualsiasi idea del l’antica Grecia era loro estranea. Ciononostante facevano un gran parlare del risveglio delle sue tradizioni» (pp. 219 sgg.). Nella svol ta così intrapresa dalla guerra di liberazione greca acquistò valore agli occhi di un’Europa infatuata la folle illusione che oggi minac cia di diventare irresistibile, l’illusione «che i popoli [...] vengano al mondo come entità definite, che il principio del loro essere sia stabilito dall’inizio e prima di tutti i tempi e che abbia la sua sede nelle masse. Lo storico ride di una tale chimera^; il secolo, però, vi si è abbandonato e ne è fino a oggi schiavo. Perché essa corrisponde al suo irriflesso bisogno di “spontaneità”, che evidentemente vie ne compromesso da ogni sorta di riflessione logica. In politica ri‘ Un’eco di questa risata si trova nelle considerazioni che Gabriel Audisio dedicò alla cultura del Mediterraneo non molto tempo fa nel suo Sei de la mer. Qui si legge: «La vita non ci presenta per cosi dire nulla di “puro” - né razze umane né generi animali né metal li preziosi». «Nessun paese europeo presenta una mescolanza di sangue maggiore dell’Ita lia. .. Penso ai goti, ai normanni, agli arabi; penso agli ebrei africani, che si stabilirono a Napoli, a Genova, a Livorno... E devo dire che per l’Italia fu una fortuna aver assimilato tutti questi “Meteci”, come è una fortuna per la Francia» ( g a b r i e l a u d i s i o , Sei de la mer [Il ^^Aé.xo3x€[,m.Tù.,]eunes%e de laMediténannée, II, Paris 1936, pp. 87 e 108) IN.d.A.].
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sulta di conseguenza che le nazioni formatesi storicamente vengo no viste come le usurpatrici di quelle costituitesi per dono di na tura e la storia appare in tal modo come un perenne attentato del la politica contro il carattere nazionale; e siamo noi che dovrem mo rimettere le cose a posto» (pp. 218-19). I greci sacrificarono allora con le tradizioni bizantine - secon do Dimier le loro più vive e autentiche - anche la loro stessa lin gua alla follia. La lingua parlata tra il popolo fu bandita; fu anga riata in tutti i modi in nome di Omero e di Esiodo; perse la sua energia e il suo carattere. Come non pensare in questo trionfo del purismo a nuovi trionfi della reazione, con cui alla romantica idea lizzazione del popolo si accompagna la devastazione della sua lin gua! Oltre all’acutezza dell’ingegno e alla purezza del sentimento il libro di Dimier brilla per la sua attualità.
Dolf Sternberger, Panorama o vedute del xix secolo
Alle contraddizioni che oggi in Germania non vengono risolte, ma solo provvisoriamente appianate, appartengono le reazioni su scitate dal ricordo dell’era Bismarck. La piccola borghesia si acco stò a quel tempo a una dottrina che settant’aimi più tardi fu ab bracciata e superata dal nazismo. La media borghesia, invece, ave va allora ancora una posizione di potere accanto all’alta borghesia. Solo quando quella si eclissò, si apri la strada al capitale monopo listico e con esso al rinnovamento nazionale. Il nazismo assume dunque una posizione ambivalente rispetto a quest’epoca storica. Si vanta di aver posto fine al suo disordine, e ha ragione, se pensa a un certo livello di sicurezza che allora era ancora garantito ai sud diti. D ’altro canto il partito sa benissimo di essere fedele all’im perialismo guglielmino e che la gloria del secondo Reich si riflette nel suo terzo. Su questa consapevolezza si basa il suo addestra mento del piccolo-borghese. Così da una parte si deve guardare verso l’alto, dall’altra mantenere una distanza critica (la posizione assunta dai capi del nuovo Reich nei confronti di quelli del vecchio esercito illustra questa ambivalenza). Immaginando questa situazione riflessa in uno specchio, ossia simmetricamente capovolta, si ha davanti agli occhi lo spaccato del libro di Sternberger. Anche la sua posizione è ambivalente. Ma lo è nel senso opposto. Dove egli si accinge a criticare l’epo ca, ne prende appunto di mira quegli aspetti nei quali oggi si soli darizza con essa. E dove vi si abbandona amorevolmente e sem bra raccomandarla al lettore, si conforma a un solido valore me dio della morale borghese, di cui la Germania di oggi non vuol sentir parlare. In altre parole: solo con la massima prudenza lo Sternberger critico può esporre le sue opinioni, lo Sternberger sto rico le sue simpatie. Questa non sarebbe un’impresa senza speranza. Ma l’autore vo leva fare di più. Voleva saltare in una breccia. Più abbonda la pro duzione di ricercatori accademici normalizzati, più grande è la man
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canza in quei settori che, ignorati dalla scienza ufficiale, sono sta ti campo d’azione di un’avanguardia. Essa ha dato la preferenza al saggio come forma dei suoi scritti. Sternberger è riuscito nell’in credibile impresa di registrare forma e sostanza di questa produ zione. Come accenna il titolo del libro, egli non intendeva disegnare una mappa del suo campo di ricerca, bensì dominarlo dall’alto con lo sguardo. La successione dei capitoli ce lo conferma. Nello sfor zo di mantenere a ogni costo il contatto con la produzione saggi stica, l’autore cerca in molte direzioni. Meno egli è stato in grado di affrontare metodicamente il suo oggetto, più si è perso nelle sue critiche, più queste sono diventate esigenti e complesse. Se le impressioni visive dell’uomo non siano determinate solo da costanti naturali, ma anche da variabili storiche: questa è una delle domande più all’avanguardia della ricerca, partendo dalla quale ogni centimetro di risposta è difficile da conquistare. Stern berger affronta il problema solo di sfuggita. Se lo mettesse a fuo co esattamente e dicesse ad esempio: la luce rientra nell’esperien za solo in quanto le circostanze storiche lo permettono, allora uno aspetterebbe con curiosità lo sviluppo di questa tesi. Sternberger dice anche questo (p. 159), ma solo per avere anche qui il suo as so nella manica. L’argomentazione relativa è frammista di apposi zioni, subordinate e parentesi, nelle quali va perso il contenuto. Inoltre non può essere esposta da chi non sa dire nulla riguardo al l’interesse da cui scaturisce questa domanda. E l’interesse a rico noscere che le naturali condizioni dell’esistenza umana vengono modificate dal modo di produrre degli uomini. Di molto si parla, non sempre a proposito. Spesso si farà bene a tornare indietro nella lettura, per ritrovare i passi in cui motivi co me il genere, l’allegoria, lo stile liberty furono affrontati in conte sti analoghi. Così Adorno ha dimostrato che negli scritti di Kierke gaard c’è una forma tarda di rappresentazione allegorica; Giedion ha riconosciuto nel genere storico il bisogno proprio del secolo scor so di nascondere le conquiste costruttive sotto la maschera dell’i mitazione; Salvador Dalì aveva interpretato lo stile liberty nel sen so del surrealismo. Sternberger ha indagato tutti questi temi. Ma se essi costituiscono nella sua opera dei motivi, è soltanto in quan to ornamenti, che vi si sovrappongono in forma arbitraria. Il saggista ama sentirsi artista. Così può cedere alla tentazione di sostituire alla teoria l’immedesimazione (tanto nell’epoca quan to in un modo di pensare). I sintomi di questo problematico stato di cose sono evidenti nella lingua di Sternberger. A im tedesco ele vato e pretenzioso si accompagna l’apparente bonarietà con cui il
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romanzo di famiglia degli anni sessanta amava catturare la..simpatia del lettore. Questa mimetizzazione stilistica porta alle costru zioni più stravaganti. «Quindi allora generalmente» è una delle costruzioni preferite dell’autore; «a tal pimto e in tal misura» gli serve come collegamento. Espressioni come «è ora di chiudere la parentesi», «intanto continuiamo a sentire», «l’autore farebbe brutta figura» accompagnano cerimoniosamente il lettore attra verso il libro come attraverso una signorile fuga di stanze. La sua lingua sta sotto il segno della regressione. La regressione in sfere remote, che non attirino su di sé l’in tromissione politica, è diffusa in Germania. Ricordi d’infanzia e culto di Rilke, spiritismo e medicina romantica si succedono l’un l’altra come mode intellettuali. Sternberger trattiene nella regres sione i motivi dell’avanguardia. Il suo libro è un vero caso esem plare della fuga in avanti. Naturalmente non gli riesce di evitare la collisione con l’antagonista. Soprattutto deve fare i conti con quelli che nel più proprio interesse temono un giudizio critico su gli anni della fondazione dell’impero. Il germe della barbarie odier na vi si trova già nascosto dentro. Il suo concetto di bellezza, per quanto sia leccato e pulito, è determinato per natura dalla voluttà ferina. Con il nazismo la seconda metà del secolo si è illuminata di viva luce. Risale ad allora il primo tentativo di fare della picco la borghesia un partito e di impiegarlo per precisi scopi politici. Fu intrapreso da Stoecker nell’interesse dei grandi latifondisti. Il man dato di Hitler proveniva da un altro gruppo. Tuttavia il suo nu cleo ideologico continuava a essere quello del movimento di Stoecker di cinquant’anni prima. Nella battaglia contro una colo nia interna, quella del popolo ebreo, i piccolo-borghesi sottomes si dovevano riconoscersi come appartenenti a una razza dominan te e rendersi conto dei propri istinti imperiali. Con il nazismo en trava in vigore un programma con il quale gli ideali dell’epoca di fondazione dell’impero, illuminati dall’incendio mondiale, erano resi vincolanti per la sfera domestica dei tedeschi, in particolare per l’area d’azione della donna. Nel discorso pronunciato dal ca po del partito il i8 luglio 1937 contro l’«arte degenerata» venne proclamato e imposto dallo Stato l’allineamento del livello della cultura tedesca al suo strato più servile e subalterno. Nella «Frank furter Zeitimg» (19 luglio 1937) Sternberger definì questo discorso «un regolamento di conti con principi e teorie che determinavano la vita pubblica dell’arte nell’epoca a noi precedente». Questo «re golamento di conti» aggiungeva «non è ancora concluso». Egli so steneva, inoltre, che fosse stato condotto «con le armi dell’ironia
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tagliente come con i mezzi del commento filosofico». Lo stesso non si può dire della presente analisi dei suoi più reconditi retro scena storici. Il libro di Sternberger è leggiadro e difficile. Egli si dedica con diligenza alla ricerca di fatti remoti, ma gli mancala teoria unifi cante. Egli non è in grado di arrivare a una definizione*. Tanto più ama proporre al lettore le dìsìecta membra in cui il suo testo si fran tuma, come simbolo significativo. In questo lo rafforza una stra na fissazione per l’«allegorico». L’allegoria è circondata da em blemi che le giacciono ai piedi come «frammenti». Sebbene ora il termine non sia affatto corrente in un uso tanto specifico, Stern berger lo usa tranquillamente. Se ne serve in modo tale da far sor gere il dubbio che egli non abbia una chiara idea del suo signifi cato. Sotto il titolo Allegoria della locomotiva egli raccoglie una quantità di frasi retoriche che esaltano la locomotiva veloce come un’aquila, cavallo di ferro, corridore sui binari. Esse forniscono, cosi pensa lui, «una poesia allegorica [...] nel preciso senso che ele menti della tecnica, uniti a quelli della natura vivente, guadagna no nelle metafore della lingua una nuova esistenza autonoma e una figura bivalente» (p. 26). Ciò non ha nulla a che fare con un’alle goria. Il gusto dell’epoca, a cui si indirizzava questo tipo di di scorso, corrispondeva al bisogno di sottrarsi a una minaccia. La si cercava di individuare nella «fissità», nella «meccanicità» che si addice alle forme tecniche (in verità era di un altro tipo). L’ango scia emanata dalla tecnica era generale. E la si sfuggiva volentieri ‘ Sternberger si trova nella brutta situazione di dover interrompere il processo lo^co quando potrebbe rivelarsi fruttifero. A lungo andare ciò danneggia la sua capacità logica. Quanto allo stato di salute di quest'ultima, basta talvolta un’unica frase a rivelarcelo. «Ri dere di ciò che è comunque passato è troppo facile e quindi è da considerarsi uno spreco di umore, mentre invece l’umore nella brevità guadagna in brillantezza» (p. 158). Nella pri ma frase principale si trovano due infrazioni contro una chiara logica. Prima di tutto il «co munque» non c’entra, perché il fatto di ridere non modifica la posizione del suo oggetto nel tempo. Poi l’aggettivo «facile» è inadeguato. Perché è vero che si può definire troppo facile ridere di qualcosa (ad esempio di un sofisma) che dovrebbe piuttosto essere motiva to in un difficile processo logico. Ma al contrario non può mai essere «troppo facile» ride re di una nullità. Perché il ridere non è un compito in cui si tratti di superare delle diffi coltà. Di conseguenza parlare di uno «spreco di umore» avrebbe un certo senso solo se «umore» significasse intelletto, come nel xvm secolo. Di uno spreco di intelletto si po trebbe parlare eccome, ma non immaginare che il riso dello scialacquatore potrebbe e^sserne l’effetto. Ma probalailmente non siamo davanti a quest’uso antiquato deUa lingua. E più verosimile che per Sternberger l’idea che l’umore sia scarso, che risparmi le sue forze, si confonda con l’idea che nel caso considerato non ci sia motivo per scherzare. Ora, intan to non tutto ciò di cui si ride è uno scherzo. In secondo luogo non si può in nessun modo, richiamandosi alla scarsezza, alla laconicità dell’umore, pretendere die uno debba ridere di meno - anche per una battuta. Infine il fatto che lo scherzo attraverso la brevità gua dagni in brillantezza è evidente, ma linguisticamente scorretto. Il tedesco conosce solo un derivato di «brillante»: brillantina [N.ii.jl.].
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rifugiandosi presso i quadri di bambini di Ludwig Knaus, presso i monaci di Grutzner, presso le figurine rococò di Warthmiiller o presso i contadini di Defregger. La ferrovia fu accolta in questo complesso - in una parola: nel complesso del quadro di genere. Il genere è la prova della ricezione sbagliata della tecnica. Sternberger adotta il concetto di genere; ma lo costruisce nel modo più preca rio. «Nel genere - sostiene l’autore - c’è di mezzo dovunque l’in teresse dell’osservatore. Proprio come la scena irrigidita, il tableau vivant, necessita di un completamento, allo stesso modo questo os servatore interessato è smanioso di colmare le lacune che la com posizione del quadro presenta con le passioni o le lacrime suscita te in lui» (p. 64). L’origine del genere è, come detto, più com prensibile. Quando alla borghesia non fu più concesso di concepire il futuro secondo piani grandiosi, essa copiò al vecchio Faust il suo «Fermati, sei così bello». Per liberarsi dell’immagine del suo fu turo, fissò l’attimo nel quadro di genere. Il genere è stato un’arte che della storia non ha voluto farsene nulla. La sua passione per il momentaneo è il più preciso completamento della pazzia deU’impero millenario. Qui si fonda anche il rapporto tra gli ideali este tici dell’epoca di fondazione dell’impero e i grandi obiettivi arti stici del partito^ Il monopolio teorico del nazismo non è stato spezzato da Stern berger. Anzi, esso piega il suo modo di pensare, falsifica le sue in tenzioni. Quest’ultimo fatto è particolarmente evidente laddove egli prende posizione nel conflitto sulla vivisezione, che risale agli anni settanta. Nei pamphlet che aprirono questa controversia l’in dignazione riguardo a determinati errori dei vivisettori dà lo spimto a un amaro risentimento contro la scienza in generale. Il movi mento contro la vivisezione era una propaggine di sette piccolo borghesi tra le quali in seguito quelle che si opponevano alle vaccinazioni con gli attacchi a Calmette furono le prime a pren dere esplicitamente posizione. Queste sette portarono un afflusso al «movimento». Qui andrà cercato il motivo per l’attacco critico di Sternberger. All’epoca del terzo Reich le leggi per la protezio ne degli animali venivano promulgate con la stessa fretta con cui ' Sternberger vuole seguire il trionfo del genere fin negli scritti sul cambiamento di va lore di Nietzsche. A questo proposito parla di un «ritorno del genere» e con ciò ha colto un momento costruttivo. Non riesce però a superarlo o affrontarlo. Gli sfugge la connota zione storica del «genere capovolto» con cui Nietzsche si contrappose ai suoi contempo ranei. Questa connotazione sta nell’art nouveau. M a vivacità che risiede nel genere, l’art nouveau contrappone come medium la sua curva floreale; riposa nell’innocenza del quoti diano lo sguardo che aveva appena immerso nell’abisso del male; e al filisteismo superbo contrappone la nostalgia le cui braccia sono destinate a restare vuote [N.
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venivano costruiti i campi di concentramento. Molto parlerebbe in favore dell’ipotesi che in quei circoli di fanatici si presentasse come in bozzolo il carattere sadomasochista. Una forma di osser vazione che tenga conto di ciò, ma non possa saper nulla della far falla-teschio, che nel frattempo è uscita da quel bozzolo, deve es sere consapevole di sbagliare strada. E questo appunto il caso di Sternberger. Egli, infatti, per il suo attacco contro gli oppositori della vivisezione non trova altra via se non quella di diffamare la compassione in quanto tale. Una diffamazione della compassione non dovrebbe irritare più di tanto i dittatori, tanto più che la pro tezione degli animali è certamente l’estremo rifugio che essi han no concesso alla compassione. In verità non le hanno lasciato nep pure questo. Perché per loro la protezione degli animali si basa piuttosto sul misticismo di sangue e terra. Il nazismo, che risve glia nell’uomo così tanta bestialità, si vede terribilmente accer chiato dagli animali. La sua protezione degli animali risale a un terrore superstizioso. Non c’è bisogno di vedere con Schopenhauer nella compassio ne la sorgente dell’umanità, per trovare sospetta una definizione secondo la quale «l’amore del prossimo si differenzia tanto dalla compassione come la rivelazione dal sentimento» (p. 84). In ogni caso resterebbe da augurarsi che si parli della vera umanità prima di deridere come «umanità di genere» quella che scaturisce dalla compassione (p. 229). Chi cerca un contenuto filosofico nel capi tolo che tratta queste cose, sotto il titolo «La religione delle lacri me», troverà ben poco. Dovrà accontentarsi dell’affermazione che la compassione altro non sarebbe che «la facciata interna o il cor relato i quell’ira che afferra lo spettatore di una scena crudele» (p. 87). La frase è oscura. Tanto più è chiaro che la compassione è in effetti vana schiuma per colui che si lava le mani nell’innocenza. L’aspetto inconfondibile di questo libro, la causa a cui l’autore si è consegnato, si può definire con una parola: è l’arte di far per dere le tracce. La traccia della provenienza dei suoi pensieri; la traccia di una segreta riserva che si cela nelle sue frasi conformiste; e infine la traccia di questo stesso conformismo che ovvia mente è la cosa più difficile da eliminare. L’ambiguità è l’elemen to proprio di Sternberger. Egli ne fa il metodo delle sue ricerche: «Eventualità e fatti, costrizione e libertà, materia e spirito, inno cenza e colpa non possono essere separati l’uno dall’altro nel pas sato, i cui immutabili documenti ci stanno davanti, per quanto in disordine e incompleti. Tutto ciò piuttosto è sempre intrecciato insieme e questo intreccio può essere descritto» (p. 7). Delle idee
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di Sternberger si può dire che egli le ha confiscate e che sono sta te confiscate a lui. Non c’è da stupirsi che alla fine abbiano un aspetto orrendo - cosi come si parla di un volto orrendo. Queste vedute del xix secolo sono fatte apposta per rivelare quelle del xx.
Encyclopédie Francaìse, voli. XVI e XVII: Arts et tìttératures dans la società contemporaine
U Encyclopédie ¥rangaise ha dedicato due volumi alle arti e alle letterature contemporanee. L’impresa, diretta da Lucien Febvre e controllata da un comitato scientifico presieduto dall’ex ministro della cultura de Monzie, non ha niente a che fare con un’enciclo pedia universale. Il compito che si propone è quello di formulare nel modo più radicale possibile i problemi che sono posti dalle espe rienze teoretiche e pratiche dell’uomo attuale. La disposizione del le singole parti ha quindi una valenza che può competere con quel la di ciascuno dei singoli contributi firmati. Nel caso del primo dei due volumi menzionati ciò è evidente. La sua importanza consiste nel trattare la materia da un duplice punto di vista. Nella prima metà, intitolata L 'operaio, i suoi ma teriali, le sue tecniche, la produzione artistica e letteraria è tratta ta in tutte le parti che possono essere descritte secondo il model lo di un processo lavorativo. Nella seconda metà, l ì consumatore, essa ha a che fare appunto con quest’ultimo. Si occupa in modo approfondito dei suoi bisogni «collettivi e sociali», più rapida mente di quelli «individuali». Diversamente da quello che acca de comunemente, n é ì’Encyclopédie Frangaise la ricezione non è dunque trattata in appendice al capitolo sulla produzione, ma con lo stesso grado di approfondimento con cui è trattata quest'ulti ma. I caratteri positivi che rivela questo primo volume potrebbe ro essere ricondotti, nel complesso, a questa doppia problemati ca. La separazione dei processi della produzione da quelli della ri cezione torna a vantaggio di tutte e due le problematiche. Per quanto concerne la prima, permette di discutere il procedimento artistico in modo approfondito e senza il compiacente apprettamento, che la trattazione di questo tema mette cosi volentieri in mostra. D ’altro lato, consente di esaminare la ricezione secondo i bisogni suoi propri e senza ricorrere ai soliti cliché, in particola re all’idea di «godimento artistico». La descrizione dei bisogni collettivi a cui la ricezione artistica deve corrispondere occupa un
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quarto dell’ampio volume. Essa rappresenta un progressojiella so ciologia dell’arte. Il modo di considerazione che fa spazio ai problemi della rice zione senza per questo esaminare meno attentamente quelli della produzione, della poiesis nel senso letterale del termine, apparirà necessariamente razionalistico. Il curatore si è assicurato il più ef ficace patronato di tale modo di considerazione. Paul Valéry ha contribuito a quest’opera con una «prefazione». Tra i lavori teo rici di Valéry questo breve compendio è uno dei più importanti e lascerà una profonda traccia nella critica d’arte. Dal canto suo il curatore non fa affatto mistero dell’orientamento razionale del l’opera, anche se si esprime in modo diplomatico. Alludendo al la voro enciclopedico di Bayle dice: «Nella sua rappresentazione del mondo, la filosofia del secolo xvm faceva a meno del principio di vino; lasciava che fosse il lettore a decidere di introdurlo, se lo de siderava. La nuova enciclopedia francese si propone [...] di esa minare l’attività artistica in modo da tenere conto soltanto degli elementi che sono veramente accessibili alla ricerca. Se il lettore inclinasse a spiegarla con fattori irrazionali, essa non pregiudica nulla in questo senso, ma lascia aperta tale possibilità» (XVI, 14.12). Un altro passo è un po’ più intransigente: « Se si vuole ave re qualche probabilità di penetrare nell’essenza del genio, la pri ma condizione è di evitare la parola. Poiché qui la pura parola ro vina tutto. In effetti [...] ci eravamo proposti di non stampare, in quest’opera, la parola “genio”, e neanche (per motivi analoghi) le espressioni “l’arte” e “il bello” » (XVI, 14-11). Se la conclusione dell’autore deroga da questa massima, ciò avviene allo scopo di os servare «che l’originalità del genio si basa piuttosto su un incre mento quantitativo delle funzioni spirituali dell’uomo medio che su una differenza di principio da esso» (XVI, 94. i). Sulla linea di una siffatta concezione afeticistica del genio e dell’apertura del l’opera ai problemi di critica della società si colloca la constata zione che nell’arte come in tutti i più elementari campi di attività intellettuale «ogni consumatore è anche produttore (o dovrebbe esserlo)» (XVI, 94.4). La liquidazione, nelle forme più varie, del le rigide distinzioni di principio fra consumatore e produttore può essere seguita alla radio, al cinema e sulla stampa. E questo il lato positivo di un processo di cui suole risaltare con maggiore eviden za il lato negativo, vale a dire il più basso livello della produzione. Con il confronto di producteur e usagerVEnciclopedia ha adottato concetti in cui trova la sua formulazione uno dei più importanti processi critici nella funzione dell’arte. Dimostrando, in questo
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modo, come proprio i problemi teorici più avanzati possano ac quistare un valore prezioso per una trattazione di determinati cam pi del sapere che sia comprensibile da tutti. Come si è detto, nella prima parte del volume, dedicata al pro duttore, il discorso viene a cadere sui procedimenti tecnici del l’arte, in modo approfondito e anche autentico. Il principio era di «far parlare del loro mestiere coloro che lo praticano» (XVI, 14.7). Invece l’esposizione delle «tendenze» a cui è dedicato il volume XVII doveva essere riservata ai critici (cfr. XVI, 14.7). Nella se zione dedicata al consumatore, a questo orientamento dell’inte resse corrisponde l’indagine sul modo in cui il processo della rice zione chiama in causa il corpo umano e sulla maniera in cui que sta ricezione è di volta in volta condizionata anche dal livello delle abitudini ed esperienze che sono consuete alla physis umana. Le constatazioni tecnologiche e quelle antropologiche sono tra loro complementari. Dice il curatore: «La sfera in cui si incontrano il produttore e il consumatore dell’arte e in cui ha luogo la loro in tesa non è diversa da quella del corpo umano, quale si presenta nei suoi bisogni e neUe sue insufficienze, nelle sue tensioni e nelle sue liberazioni, nella sua respirazione e nel suo processo circolatorio [...] Forse la tecnica dell’arte non ha altro obiettivo che quello di riferire tutto a esso, che di rimettergli il controllo definitivo di tut to ciò che avanza la pretesa di un’esistenza artistica [...] Nell’ar te il corpo ha un diritto di veto» (XVI, 94-4). Ciò di cui si può sen tire qui la mancanza è, tu tt’al più, un cenno al fatto che nelle sue reazioni e nei suoi bisogni il corpo umano non risponde solo a un ambiente naturale relativamente stabile, ma anche, in modo non meno preciso e molto più vario, a un ambiente sociale in cui ci pos sono essere cambiamenti repentini. Proprio questa cognizione ha fatto valere i suoi diritti in una serie di contributi speciali dell’o pera; il che costituisce il suo particolare interesse. Di solito la trattazione di campi che si trovano in una situazio ne di crisi costituisce una pietra di paragone per il metodo di una scienza. La crisi della pittura appare forse incontestabile e mani festa. A ciò corrisponde il fatto che tra le ricerche dei volumi una delle più istruttive è quella dedicata alla ricezione collettiva della pittura contemporanea. Essa è dovuta alle indagini di Denis, Ozenfant e Léger. Maurice Denis affronta il problema in forma spon tanea e tratta del danno che la fotografia rappresenta per la pittu ra. «I progressi della fotografia [...] hanno pregiudicato il ritratto [...] Haimo scacciato la pittura anche da altri campi [...] Nelle no stre esposizioni non si trova più niente che possa corrispondere al
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le grandi pitture a soggetto. Il cinematografo e la fotografia han no ucciso la pittura di soggetti storici. Nell’ultima guerra il cine matografo ha preso il posto che nel 1870 era occupato dalle pittu re e dai panorami» (XVI, 70A). La crisi di cui è vittima la pittura su tavola colpisce l’affresco in modo ancora più grave. Ozenfant tratta della peinture murale. Il suo argomento lo induce a considerare anzitutto quelle cause della crisi della pittura che sono derivate dall’architettura. Osser vava Stendhal, fin dal 1828: «O tto giorni fa sono stato nella rue Godot-de-Moroy per cercare alloggio. Sono rimasto sbalordito ve dendo quanto siano piccole le camere. Il secolo della pittura è pas sato, mi sono detto sospirando. D ’ora in poi potrà prosperare sol tanto l’arte grafica». Detto tra parentesi, è possibile che la crisi della pittura sia stata favorita, più tardi, non solo dall’angustia del le abitazioni, ma anche dal materiale con cui erano fatte. Dopo l’invenzione del cemento armato la parete non ha più la funzione di sostenere il soffitto. Il suo significato funzionale si è avvicina to a quello del tramezzo. A lungo andare ciò doveva finire per col pire anche quello della pittura che aveva sede sulla parete (anche qui l’arte grafica mostra di resistere meglio alla crisi, poiché non è legata alla condizione di presentarsi all’osservatore verticalmen te). Quanto più lo spazio in cui si abita è diventato piccolo, os serva Ozenfant, tanto più si riduce il tempo che l’abitante della grande città passa tra le sue quattro pareti. «Il numero di coloro che hanno la possibilità di restare a casa per ore diventa sempre più piccolo» (XVI, 70.3). La velocità dei mezzi di comunicazione moderni compie l’opera: comporta un più forte bisogno di im pressioni sempre diverse'. ‘ M e cause a cui Ozenfant attribuisce la responsabilità della decadenza della pittura o dell’affresco se ne deve aggiungere una importante. Per millenni la verticale è stata l’asse da cui l’uomo si guardava intorno sulla terra. L’aeroplano ha spezzato il monopolio della verticale. Quali siano le conseguenze di questo fatto per la sensibilità umana in genere è un punto che è stato sviluppato da Wallon. Le conseguenze del suo inventario per la pittura in particolare devono essere ancora esposte. Wallon constata quanto segue: «L’uso dell’ae roplano [...] ha necessariamente cambiato il nostro modo di vedere. Da allora conosciamo la prospettiva a volo d’uccello, scorci e inconsueti angoli visuali di ogni specie. Con l’uso dell’aeroplano la verticale perde la sua inamovibile fissità. Ciò che si muove avanti e in dietro sulla superficie della terra non conosce cambiamenti di luogo diversi da quelli in avan ti o indietro, verso destra o verso sinistra, e le loro combinazioni. L’aeroplano aggiunge una terza dimensione, combina con questi spostamenti quelli nella verticale». Wallon sottoli nea la particolare intensità che raggiungono le nuove esperienze che fa il corpo con la sua posizione nello spazio, a causa della velocità del movimento che è loro connesso, e aggiun ge: «Pare quindi fuori discussione che le suddette invenzioni della tecnica [...] hanno degli effetti fin nell’interno del nostro sistema muscolare, della nostra sensibilità, infine della no stra intelligenza» ( h e n r y w a l l o n , Psychologie et T'echnique [Psicologia e tecnica], in A la lumière du marxisme [Alla luce del marxismo], Paris 1935, pp. 145 e 147) [N.d.A.].
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Le analisi di Léger intitolate La pittura e la città mostrano chia ramente la complessità dei fattori che influiscono sulla ricezione della pittura. Léger pensa^ al cubismo e considera la sua connes sione con la grande città. E chiaro che non si tratta di «temi» che essa ha potuto offrire a questo o quel pittore. Nelle discussioni di Léger la città figura come mercato. Esse si risolvono nel tentativo di indicare, nel cubismo, l’insegnamento di una certa tecnica del cartellone. «Subito dopo la guerra [...] l’industria e il commercio hanno scoperto che il colore puro - un azzurro, un rosso o un gial lo brUlante - può essere un buon mezzo di propaganda [...] E sta to il cubismo, che (intorno al 1919) ha presentato il colore puro, e in questo modo ha dato agli industriali la possibilità di mettere in atto la loro campagna cartellonistica. Alcuni anni più tardi sui dipinti della stessa scuola ha fatto il suo ingresso 1’“oggetto”. La conseguenza è stata analoga: improvvisamente sono apparsi, sugli sfondi giallo-cromo, verde-smeraldo, per così dire in primo piano, gli oggetti a cui era dedicata la pubblicità [...] Al seguito di pitto ri e scultori odierni gli industriali e i proprietari terrieri hanno poi scoperto che gli articoli che trattavano avevano una propria bel lezza, indipendente da ogni funzione pratica o decorativa» (XVI, 70.6). Il fatto di considerarla un’intuizione non significa mettere in discussione questa considerazione. Manca la domanda decisiva: di quale specie è allora, propriamente, questa bellezza della mer ce che è al di là del decorativo ? Ma anche cosi l’osservazione di Léger ha un merito che le deve essere riconosciuto: rivendica al l’artista la capacità di rispondere a un bisogno sociale prima anco ra che esso sia stato formulato come tale. In questo modo essa il lustra un postulato metodologico che è stato descritto da Abraham nel modo seguente; «Che l’artista sia profeta - vate - non rap presenta affatto un’ipotesi mistica a cui si debba guardare con dif fidenza [...] Nessuno vuole attribuire all’artista la facoltà di leg gere in Dio sa quale “libro del destino” [...] Si tratta solo di que sto, che [...] l’insieme delle proprietà che fanno l’artista comprende una coscienza organica dei bisogni della sua epoca [...] Bisogni che egli soltanto è in grado di rintracciare» (XVI, 94.3-4). Queste voci possono dare un’idea dei risultati di questo volu me, ma anche dei limiti di tali risultati. Tanto è stato fruttuoso il tentativo di presentare le funzioni sociali delle arti sulla base del le loro condizioni tecniche, della loro produzione materiale, al trettanto poco è stato affrontato il tentativo inverso: esaminare l’attuale livello tecnico delle arti in rapporto al suo condiziona mento sociale. Si sarebbe dovuto riconoscere il suo carattere eco
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nomico, e quindi la ricerca avrebbe dovuto assumere un indirizzo materialistico. Non è ancora giunto il momento di affrontare que sto lavoro collettivamente. Qui appunto stava il limite di questo tentativo. Entro questo limite esso si è avvicinato a un profitto massimo, ciò che giustifica le pretese della ricerca come anche le spese che ha richiesto. Il secondo volume dell’opera esamina la produzione artistica contemporanea nei particolari e presenta il suo inventario. Si in serisce nello schema generale un po’ artificiosamente, come Dia logo fra l’operaio e l’utente. E formato di tre parti, la prima delle quali tratta delle opere, la seconda della loro presentazione, la ter za delle professioni artistiche. Il peso scientifico del volume è mol to minore di quello del precedente. Ma ciò non era evitabile, data la limitazione del volume alle produzioni del presente. Ciò risulta già dalla seguente considerazione: «Dobbiamo essere chiaramente consapevoli, una volta per tutte, del fatto che l’eventuale durata di un’opera d’arte non avviene mai per i motivi che avrebbero po tuto supporre l’artista o i suoi seguaci [...] Appare così incompati bile con il fatto di essere contemporanei di un’opera, quello di trat tare (storicamente) di quest’opera. Per un’enciclopedia che consi dera anzitutto le produzioni contemporanee si dava così [...] la necessità di trattare delle opere del presente solo mediatamente, dal punto di vista delle loro tendenze generali» (XVII, 06.4). Na turalmente la sostituzione di un’analisi artistica con quella di «ten denze generali» non rappresenta affatto una soluzione della con traddizione interna che ogni «storia dell’arte contemporanea» con tiene. Per quanto concerne questa sua parte principale, il volume XVII é é i’Enciclopedia non si distingue affatto da tentativi analo ghi, né per il materiale né per i suoi punti di vista.
Commenti a poesie di Brecht
Sulla forma del commento.
È noto che un commento è una cosa diversa da un apprezza mento valutativo, il quale mira a distribuire le luci e le ombre. Il commento parte dal presupposto della classicità dei suoi testi e quindi, in qualche modo, da un pregiudizio. Inoltre si differenzia dalla valutazione per il fatto che concerne esclusivamente la bel lezza e il contenuto positivo del testo a cui si applica. Ed è una si tuazione proprio profondamente dialettica quella in cui viene a trovarsi questa forma arcaica, il commento, che è pure una forma autoritaria, quando si pone al servizio di una poesia che non sol tanto non ha in sé nulla di arcaico, ma anche che si oppone a ciò a cui oggi viene riconosciuta autorità. Questa situazione coincide con quella contemplata da una vec chia massima della dialettica: il superamento delle difficoltà me diante l’accumulazione delle stesse. L’ostacolo che qui va supera to consiste nella difficoltà di leggere della lirica oggi. Non si po trebbe forse porvi rimedio leggendo interamente questo testo, quasi che si trattasse di un’opera già variamente collaudata, appe santita da un contenuto di pensiero - in breve; di un testo classi co ? E non si potrebbe inoltre - afferrando il toro per le corna, e considerando la circostanza, che corrisponde esattamente alla dif ficoltà che oggi si oppone alla lettura della lirica: e cioè la difficoltà di scriverne - non si potrebbe sottoporre una raccolta odierna di poesia al tentativo di leggerla come un testo classico ? Se qualcosa può incoraggiare a compiere questo tentativo, si tratta della consapevolezza, alla quale anche altrimenti va attinto al giorno d ’oggi il coraggio della disperazione: la consapevolezza, cioè, del fatto che già il giorno a venire potrebbe recare distruzioni di una portata cosi gigantesca che noi ci vediamo separati dai te sti e dai prodotti di ieri come da secoli (il commento, che oggi può ancora presentarsi come un abito troppo teso e aderente, domani mostrerà già tutte le sue pieghe classiche. Laddove la sua precisio
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ne potrebbe risultare quasi indecente, domani potrebbe ristabilir si il mistero). Il commento che segue potrà forse suscitare qualche interesse per un altro aspetto. Per coloro ai quali sembra che il comuniSmo rechi il marchio dell’unilateralità, la lettura puntuale di una rac colta di liriche come quella di Brecht può serbare qualche sorpre sa. Certo non si deve defraudare se stessi di una simile sorpresa, come accadrebbe se soltanto si sottolineasse lo «sviluppo» che la lirica di Brecht ha subito dalla Hauspostilk [Libro di devozioni do mestiche] fino alle Svendborger Gedìchte [Poesie di Svendborg]. L’atteggiamento asociale del Libro di devozioni domestiche diven ta nelle Poesie di Svendborg un atteggiamento sociale. Ma non si tratta precisamente di una conversione. Non si brucia ciò che pri ma si adorava. Piuttosto andrà considerato ciò che alle due rac colte è comune. Tra i loro molteplici atteggiamenti se ne cercherà invano uno, cioè quello apolitico, non-sociale. Al commento spet ta precisamente di mettere in rilievo i contenuti politici propri del le parti puramente liriche. Sul «Libro di devozioni domestiche».
È ovvio che il titolo. Libro di devozioni domestiche, è ironico. Il loro verbo non viene né dal Sinai né dai Vangeli. La fonte della lo ro ispirazione è la società borghese. Gli insegnamenti che colui che la osserva ne trae si differenziano il più possibile da quelli che es sa stessa diffonde. Il Libro di devozioni domestiche illustra esclusi vamente i primi. Se l’anarchia è la carta buona, pensa il poeta, se in essa è contenuta la legge della vita borghese, bisogna almeno chiamarla col suo nome. E le forme poetiche con cui la borghesia lambisce la propria esistenza gli vanno benissimo per esprimere ve racemente l’essenza del suo dominio. L’inno sacro che serve a edi ficare la comunità religiosa, i canti popolari di cui si vuol nutrire il popolo, la ballata patriottica che accompagna il soldato al ma cello, la canzone d’amore che vanta la consolazione più a buon mercato - tutte queste forme acquistano qui un nuovo contenuto in quanto l’individuo irresponsabile e asociale parla di queste co se (di Dio, del popolo, della patria e della sposa) come se ne deve parlare di fronte a irresponsabili e ad asociali: senza falso e senza vero pudore.
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Sui
Ogni giorno a Mahagonny cinque dollari era il minimo e magari non bastavano per chi aveva più pretese. Nel poker-drink-salon di Mahagonny tutti chiusi se ne stavano. Che perdessero era giusto ma vuoi mettere che gusto!
1 Sulla terra e sul mare tutta quella brava gente si fa scorticare e rimane U seduta e la pelle va venduta visto che tra pelli e dollari sempre c’è conguaglio. Ogni giorno a Mahagonny cinque dollari era il minimo e magari non bastavano per chi aveva più pretese. Nel poker-drink-salon di Mahagonny tutti chiusi se ne stavano. Che perdessero era giusto ma vuoi mettere che gusto ! 2 Sulla terra e sul mare si cerca pelle fresca in stragrande quantità. Certo, sanguini a levarla ma la sbornia puoi pagarla e la pelle costa poco mentre il whisky costa caro. Ogni giorno a Mahagonny cinque dollari era il minimo e magari non bastavano per chi aveva più pretese. Nel poker-drink-salon di Mahagonny tutti chiusi se ne stavano. Che perdessero era giusto ma vuoi mettere che gusto ! 3
Sulla terra e sul mare i mulini del buon Dio vedi lenti macinare; tanta gente sta seduta e la pelle va venduta ché gli va di far bisboccia ma pagare non gli va. Chi non risica non rosica
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e gli bastan cinque dollari anche quando ha preso moglie; meno ancora, poi, se è scapolo. Nelle misere (fimore del buon Dio ora chiusi se ne stanno. Che guadagnino è ben giusto ma ci trovan poco gusto. Canto di Mahagonny n. j
In un mattino grigio in mezzo al whisky Dio venne a Mahagonny Dio venne a Mahagonny. In mezzo al whisky abbiamo notato Dio a Mahagonny. Bevete come spugne, annata per annata, il mio buon frumento ? Nessuno il mio arrivo s’aspettava; siete tutti pronti, adesso che vengo? Si guardarono in faccia gli uomini di Mahagonny. Sf, dissero gli uomini di Mahagonny. In un mattino grigio in mezzo al whisky Dio venne a Mahagonny Dio venne a Mahagonny. In mezzo al whisky abbiamo notato Dio a Mahagonny. Voi ridevate il venerdì sera ? Mary Weemann da lontano l’avvistai nuotare come un baccalà, muta, nel lago salato. Lei non s’asciuga più, signori miei. Si guardarono in faccia gli uomini di Mahagonny. Sì, dissero gli uomini di Mahagonny. In un mattino grigio in mezzo al whisky Dio venne a Mahagonny Dio venne a Mahagonny. In mezzo al whisky abbiamo notato Dio a Mahagonny. 3
Queste cartucce le conoscete? Il mio buon missionario l’avete ucciso voi? Devo abitare nel cielo con voi, vedere le vostre teste grigie di beoni ? Si guardarono in faccia gli uomini di Mahagonny.
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Sì, dissero gli uomini di Mahagonny. In un mattino grigio in mezzo al whisky Dio venne a Mahagonny Dio venne a Mahagonny. In mezzo al whisky abbiamo notato Dio a Mahagonny. 4
Andate tutti all’inferno! M ettete ora i virginia nella sacca! Via nel mio inferno, ragazzi! Nel nero inferno con voi, brutta canaglia! Si guardarono in faccia gli uomini di Mahagonny. No, dissero gli uomini di Mahagonny. In un mattino grigio in mezzo al whisky tu vieni a Mahagonny tu vieni a Mahagonny. In mezzo al whisky t ’insedi qui a Mahagonny. 5
Ora nessuno muova un passo! Sciopero generale! Per i capelli sta’ pur certo, nell’inferno non ci tirerai perché all’inferno ci stiamo da sempre. Guardarono Dio gli uomini di Mahagonny. No, dissero gli uomini di Mahagonny*.
Gli «uomini di Mahagonny» costituiscono una banda di ec centrici. Soltanto gli uomini sono eccentrici. Soltanto attraverso soggetti a cui compete per natura la potenza virile può venir di mostrato illimitatamente fino a quale grado i riflessi naturali del l’uomo siano stati resi ottusi dalla sua esistenza nella società odier na. L’eccentrico non è altro che l’uomo medio ridotto all’osso. Bre cht ne ha messi insieme parecchi in una banda. Le loro reazioni sono le più sbiadite possibili e inoltre essi le hanno soltanto in quanto collettività. Per poter reagire, essi devono sentirsi una «massa compatta» - e anche in questo sono l’immagine dell’uomo medio, cioè del piccolo-borghese. Gli «uomini di Mahagonny» si guardano l’un l’altro prima di esprimersi. L’espressione che poi se gue è sulla linea minima della resistenza. Gli «uomini di Maha gonny» si limitano a dire di si a tutto ciò che Dio comunica loro a ciò che loro domanda o da loro pretende. Così, secondo Brecht ‘ Questa e le successive traduzioni delle liriche di Brecht sono tratte da Poesie I e II, Einaudi, Torino 1999 e 2005 [N.ii.T.].
BRECHT,
b e r to lt
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deve per forza configurarsi una collettività che accetta Dio. Del resto anche questo Dio è un Dio ridotto. La formulazione: abbiamo notato Dio
nel ritornello del terzo song lo suggerisce, e la sua ultima strofa lo convalida. Il primo consenso va alla constatazione: Nessuuno il mio arrivo s’aspettava.
È però evidente che alle attutite reazioni della banda di Mahagonny non serve nemmeno l’effetto della sorpresa. Analogamen te, più avanti, appare loro plausibile che la loro pretesa di essere ammessi al cielo non sia compromessa dal fatto che hanno spara to sul missionario. Nella quarta strofa risulta che Dio è di un’al tra opinione. Via nel mio inferno, ragazzi!
Qui è disposta l’articolazione o, in termini di drammaturgia, la peripezia del poema. Con il suo ordine, Dio ha commesso un pas so falso. Per rendersi conto della sua portata occorre tener conto con precisione della località «Mahagonny». Essa è precisata nella strofa finale del secondo song. Con l’immagine che determina il luogo, il poeta definisce la sua epoca. Nelle misere dimore del buon Dio ora chiusi se ne stanno.
Nell’aggettivo «misera» sono contenute molte cose. Perché la dimora è misera? Lo è perché le persone che vi stanno sono mise ramente ospiti di Dio. E misera perché è misero che le persone ci entrino. La misera dimora del buon Dio è l’inferno. L’espressio ne ha la stessa pregnanza dei dipinti dei malati di mente. In que sto modo - come una misera dimora - l’uomo qualunque che è im pazzito tende a raffigurarsi l’inferno, cioè que pezzo di cielo che gli è accessibile (Abraham a Sancta Clara^ potrebbe parlare della «misera dimora del buon Dio»). Ma nella sua misera dimora, il buon Dio si è messo sul piano dei suoi ospiti fissi. La minaccia di spedirli all’inferno non ha maggior valore di quella di un distilla tore clandestino che volesse sbatter fuori i suoi clienti. Gli «uomini di Mahagonny» se ne sono resi conto. Non sono così privi di cervello da lasciarsi impressionare dalla minaccia di ^ Frate viennese (1644-1709), noto per il vigoroso linguaggio, tra popolaresco e baroc co, delle sue prediche [N.
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venir cacciati all’inferno. L’anarchia della società borghese è un’a narchia infernale. Per coloro che vi sono capitati non può esistere nulla che possa spaventarli di più. Per i capelli sta’ pur certo, nell’inferno non ci tirerai perché all’inferno ci stiamo da sempre
dice il terzo coro di Mahagonny. L’unica differenza tra l’inferno e questo ordinamento sociale consiste nel fatto che nel piccolo-borghese (nell’eccentrico) la differenza tra l’anima dannata e il de monio è fluida. Sulla poesia «Contro la seduzione». Contro la seduzione
I Non lasciatevi sedurre! Non ritorna più nessuno. II giorno è al limitare; il vento della notte potete fiutare: non viene un altro mattino. Non lasciatevi ingannare che la vita sia poca cosa. Bevetela a rapide sorsate! Non vi potrà bastare quando dovrete andarvene! 3
Non lasciatevi consolare! Di tempo, non ne avete troppo! Lasciate il marcio a chi è redento. La vita è il bene più immenso; non è più vostra, dopo. 4
Non lasciatevi sedurre a sgobbo e logoramento ! La paura, come vi può ancora toccare? Con tutte le bestie dovete morire e dopo non viene più niente^.
Il poeta è cresciuto in un sobborgo con una popolazione preva lentemente cattolica; tuttavia, agli elementi piccolo-borghesi già si mescolavano gli operai delle grandi fabbriche disposte nel di stretto urbano. Su questa base si spiega l’atteggiamento e il lessi-
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CO della lirica Contro la seduzione. Il clero metteva in guardia la gente da seduzioni che sarebbero loro costate care in una seconda vita dopo la morte. Il poeta la mette in guardia da seduzioni che costano loro care in questa vita. Egli nega che ci sia una seconda vita. Il suo ammonimento non è meno solenne di quello del clero; le sue asserzioni sono altrettanto apodittiche. Come il clero, an ch’egli utilizza in senso assoluto il concetto di seduzione, senza ag giunte, mantenendone la risonanza edificante. Il tono sostenuto della poesia può indurre a trascurare certi passi che consentono di verse interpretazioni e contengono bellezze nascoste.
Non ritorna pitì nessuno.
Prima interpretazione: non lasciatevi sedurre dalla credenza che ci sia un ritorno. Seconda interpretazione: non commettete erro ri, non avete che una vita da vivere. Il giorno è al limitare.
Prima interpretazione; è in procinto di andarsene, di prendere commiato. Secónda interpretazione: è nella sua totale pienezza (e tuttavia, anche in questa pienezza, si avverte già il vento notturno). non viene un altro mattino
Prima interpretazione: non ci sarà un domani. Seconda inter pretazione: non ci sarà un’alba, la notte avrà l’ultima parola. Che la vita sia poca cosa.
Questa versione, che si trova nell’edizione privata pubblicata dall’editore Kiepenheuer, si distingue per due aspetti da quella del la successiva edizione destinata al pubblico, che porta: «è poco, la vita». La prima differenza sta in questo, che la prima stesura con tribuiva a definire il primo verso della strofa, «Non vi lasciate in gannare», precisando la tesi degli ingannatori, secondo cui la vita è cosa da poco. La seconda differenza va vista in questo, che il ver so «è poco, la vita» esprime incomparabilmente la miseria della vi ta e così sottoHnea l’invito a non rinunciare a nuUa di quel poco che può offrire. non è pili vostra, dopo.
Prima interpretazione: «non hpiù vostra, dopo». È ciò che non aggiunge nuUa al verso precedente, «La vita è il bene più immen so». Seconda interpretazione: «non è più vostra, dopo» - avete già mancato questa massima chance. La vostra vita non è già più a vo stra disposizione; è già cominciata, è già immessa nel gioco.
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La poesia cerca di produrre un senso di sconvolgimento di fron te alla brevità della vita. E sarà bene ricordare che nell’equivalente tedesco di sconvolgimento {Enchùttemn^ è contenuta la parola Schutter [macerie]. Laddove qualche cosa precipita, si producono rotture, punti vuoti. Come risulta dall’analisi, questa lirica pre senta numerosi punti in cui la convergenza delle parole verso il lo ro senso è labile ed elastica. Ciò incrementa il suo effetto scon volgente. Sulla poesia «Dei peccatori all’inferno». Dei peccatori all’inferno
NeU’inferno i peccatori hanno più caldo di quanto si creda. Pure se uno piange, scorre soave la lacrima sulla loro testa. Ma quelli che ardono nel modo pid atroce non hanno nessuno che pianga per questo, devono mendicare che qualcuno frigni nel giorno della loro festa. 3
Ma nessuno vede ritti quelli che attraverso gli passano i venti. Il sole gli splende da parte a parte e per questo non puoi più vederli. 4
Ecco qui Miillereisert che morì in America, sua moglie non lo sapeva ancora, quindi di acqua non ce n’era. 5
Viene Caspar Neher appena il sole brilla, per lui, Dio sa perché non avevano versato neanche una stilla. 6
Poi viene George Pfanzelt finito cosi tristemente, aveva avuto l’idea che lui non contava niente.
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E li la buona Marie marcita all’ospedale, non le hanno versato una lacrima, per lei era tale e quale. 8 E li nella luce sta Bertolt Brecht, accanto a una pietra per i cani, privo del tutto di acqua, perché si crede che lui sia in paradiso. 9
Ora nell’inferno arde, fratelli, versate i vostri pianti! Se no, il pomeriggio di domenica è sempre vicino alla sua pietra per i cani.
Questa lirica permette di riconoscere con particolare chiarezza da quali distanze provenga il poeta del Libro di devozioni domesti che e come, provenendo da simili distanze, riesca tranquillamente a raggiungere ciò che è più immediatamente alla mano. Ciò che ha a portata di mano è il folklore bavarese. La lirica evoca le anime degli amici nelle fiamme dell’inferno, come una di quelle scritte apposte sulle strade per raccomandare ai passanti di intercedere per coloro che sono defunti senza sacramenti. Ma la lirica, che si mula di limitarsi a questo, viene in realtà da molto più lontano. Il ceppo da cui discende è quello della lamentazione, una delle mas sime forme della letteratura medievale. Si potrebbe dire che essa ricorre all’antica lamentazione per lamentarsi di questo recentis simo fenomeno: che non si dà più neppure lamento. Ecco qui Miillereisert che mori in America, sua moglie non lo sapeva ancora, quindi di acqua non ce n ’era.
La lirica invero non lamenta propriamente questa assenza di la crime. Né si può ritenere che il Miillereisert sia morto, poiché a lui - e non alla sua memoria - è dedicata, secondo le «istruzioni», questa sezione del libro. La tavola commemorativa qui eretta raffigura gli amici citati tra le fiamme dell’inferno; ma allo stesso tempo (e le due cose ven gono unificate nel poema) gli si rivolge come a passanti, per ricor dare loro che non devono aspettarsi alcuna intercessione. Una si tuazione che il poeta descrive con tutta tranquillità. Ma la sua tran quillità non lo accompagna fino in fondo. Poiché viene a parlare
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della sua anima dannata, abbandonata da tutto e da tutti. Essa è ancora nella luce e, oltretutto, nella luce di un pomeriggio dome nicale e presso una pietra da cani. Che cosa sia una simile pietra non si sa bene; forse una pietra contro la quale i cani fanno i loro bisogni. Per l’anima dannata è qualcosa di familiare quanto per un prigioniero una macchia di umidità sulla parete della cella. Per il poeta il gioco deve cessare e, dopo aver mostrato tanta spietatez za, chiede lacrime, sia pure spietatamente. Sulla poesìa «Delpovero B.B.». Del povero B.B.
Io, Bertolt Brecht, vengo dai boschi neri. Mia madre mi portò nelle città quand’ero nel suo grembo. E il freddo dei boschi fino a che morirò non m’abbandonerà. Nella città d’asfalto mi sento a casa mia. Munito dall’inizio di ogni sacramento di morte: di giornali, tabacco ed acquavite. Son pigro e diffidente ma contento. 3
Mi mostro amico agli uomini. Mi metto anche il cappello duro, come fanno loro. 10 dico; sono bestie di odore singolare, e dico: non importa, in fondo anche io lo sono. 4
Nelle mie sedie vuote, a dondolo, il mattino ogni tanto ci metto qualche donna. E le contemplo indifferente e dico; Ecco voi su di me non potete contare. 5
Verso sera raduno attorno a me degli uomini. Ci diciamo l’un l’altro; «Gentleman». Essi tengono i piedi sui miei tavoli e dicono: ci andrà meglio. Ma io non chiedo quando. 6 Al mattino, gli abeti pisciano nella prima foschia e i loro parassiti, gli uccelli, si mettono a gridare. A quest’ora vuoto il mio bicchiere in città e butto via 11 mozzicone e m’addormento inquieto.
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Siamo vissuti noi, volubile schiatta, in case che credemmo indistruttibili (così abbiamo costruito i lunghi edifici nell’isola di Manhattan e le antenne sottili che intrattengono l’oceano Atlantico). Di queste città resterà: il vento che le attraversa! La casa rallegra il mangione; è lui che la vuota. Sappiamo di essere effimeri e dopo di noi ci sarà: niente degno di nota. 9
Nei terremoti futuri io spero che non si spenga il mio virginia per l’amarezza, io, Bertolt Brecht, sbattuto nelle città dai neri boschi, nel grembo di mia madre, in tenera età. Io, Bertolt Brecht, vengo dai boschi neri. Mia madre mi portò nelle città quand’ero nel suo grembo. E il freddo dei boschi fino a che morirò non m’abbandonerà.
Nei boschi è freddo, nelle città non potrebbe fare più freddo. Già nel grembo materno il poeta ha provato il freddo delle città d’asfalto in cui poi avrebbe vissuto. A quest’ora vuoto il mio bicchiere in città e butto via il mozzicone e m’addormento inquieto.
Questa inquietudine si appHca forse non da ultimo al sonno, che scioglie le membra, e che dà ristoro. Sarà più benefico per il dormiente di quanto sia stato il grembo materno per il nascituro? Probabilmente no. Nulla rende il sonno cosi inquieto quanto il ti more del risveglio. (cosi abbiamo costruito i lunghi edifici nell’isola di Manhattan e le antenne sottili che intrattengono l’oceano Atlantico).
Le antenne «intrattengono» l’Atlantico, ma non certamente con la musica e con i giornali-radio, bensì con le onde corte e le onde lunghe, con i processi molecolari che costituiscono l’aspetto fisico della radio. In questo verso si respinge con un’alzata di spal le l’utilizzazione dei mezzi tecnici da parte degli uomini d’oggi. Di queste città resterà: il vento che le attraversa!
Se a restare sarà solo il vento che le attraversava, non si tratta più del vecchio vento, che non sapeva nulla delle città. Le città e il
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loro asfalto, i loro agglomerati di case e le loro molte finestre, quan do saranno distrutte e cadranno in rovina abiteranno nel vento. La casa rallegra il mangione: è lui che la vuota.
Il mangione sta per colui che distrugge. Mangiare non significa soltanto nutrirsi, significa anche mordere, distruggere. Il mondo si semplifica spaventosamente se viene esaminato per accertare non tanto la sua godibilità quanto il suo esser degno di venir distrutto. E questo il legame che tiene insieme, cosi minacciosamente, tutto ciò che esiste. La vista di questa armonia rende allegro il poeta. Egli è il mangione con la mascella d ’acciaio, che svuota la casa del mondo. Sappiamo di essere effimeri e dopo di noi ci sarà: niente degno di nota.
«Effimeri» - forse precursori; ma precursori di che cosa: se do po di loro non viene nulla di notevole. Non dipende tanto da loro se passano nella storia senza nome e senza gloria (dieci anni più tar di, la poesia A coloro che verranno riprende un pensiero analogo). Io, Bertolt Brecht, sbattuto nelle città dai neri boschi, nel grembo di mia madre, in tenera età.
L’accumularsi di preposizioni di luogo - tre in due versi - de ve agire in modo da confondere straordinariamente. La determi nazione temporale, quasi zoppicante in coda alle altre, «in tenera età» (essa potrebbe aver mancato la connessione con il tempo dell’adesso) rafforza l’impressione di un’esistenza in balla delle cose. Il poeta parla come se già nel grembo materno fosse stato esposto al mondo. Chi ha letto questa lirica è passato attraverso il poeta, come at traverso un portone sopra il quale, a caratteri slavati, sta scritto B. B. Il poeta non vuole fermare il lettore, come il portone il pas sante. Probabilmente il portone è stato costruito secoli prima: è ancora 11 perché non ha mai dato fastidio a nessuno. Senza dar fa stidio a nessuno, B. B. avrebbe fatto onore al suo soprannome il povero B. B. Per colui che non dà fastidio a nessuno e che non conta, non può più accadere nulla di essenziale - salvo la decisio ne di dar fastidio 'a qualcuno e di contare. Di questa decisione te stimoniano i cicli successivi. Il loro oggetto è la lotta di classe. Chi si impegnerà meglio per questa causa sarà colui che all’inizio ha la sciato perdere se stesso.
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Sul «Libro di lettura per gli abitanti della città». [Sulla prima poesia del «Libro di lettura per gli abitanti della città» .] Allontanati dai tuoi compagni alla stazione, va’ al mattino in c ittì con la giacca abbottonata, cercati un alloggio e se un compagno bussa alla porta: non aprire, oh non aprire la porta, ma cancella le tracce! Quando incontri i tuoi genitori ad Amburgo o altrove, passagli vicino da estraneo, svolta l’angolo, non riconoscerli, tira sulla faccia il cappello che loro ti regalarono. Non mostrare, oh non mostrare la faccia ma cancella le tracce! M a t^ a la carne che è qui! Non risparmiare! Vai in ogni casa, quando piove, e mettiti su ogni sedia che trovi ma non restare seduto! E non scordarti il cappello! Io ti di?o: cancella le tracce! Qualunque cosa tu dica, non dirla due volte. Trovi il tuo pensiero in un altro: rinnegalo! Chi non ha dato la firma, chi non ha lasciato un ritratto, chi non era presente, chi non ha detto nulla, come lo si potrà prendere ? Cancella le tracce! Fa’ in modo, quando conti di morire, che non vi sia un sepolcro e riveli dove tu giaci, con una epigrafe nitida che ti denunci e l’anno della tua morte, che ti dimostri colpevole! Ancora una volta: cancella le tracce! (Questo mi fu detto).
Arnold Zweig ha detto una volta che questa serie di poesie ha acquisito un nuovo significato negli ultimi anni. Essa presenta la città così come la vive l’emigrante in terra straniera. Questo è giu sto. Ma non si deve dimenticare: chi lotta per la classe sfruttata è un emigrante nella propria terra. L’ultimo lustro-delia sua attività politica nella Repubblica di Weimar significò per il comunista as sennato una cripto-emigrazione. Brecht lo visse in questo modo. Ciò può aver fornito l’occasione più concreta per la nascita di que-
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Sto ciclo. La cripto-emigrazione era l’anticipazione di quella vera; era anche un’anticipazione dell’illegalità. Cancella le tracce!
- una norma per il clandestino. Trovi il tuo pensiero in un altro: rinnegalo!
- una norma inconsueta per l’intellettuale del 1928, ma chia rissima per quello clandestino. Fa’ in modo, quando conti di morire, che non vi sia un sepolcro e riveli dove tu giaci
- questa norma soltanto potrebbe essere antiquata; Hitler e i suoi privarono il clandestino di questa preoccupazione. La città appare in questo libro di lettura come teatro della lot ta per l’esistenza e teatro della lotta di classe. Dall’una risulta la prospettiva anarchica che collega il ciclo al Libro di devozioni do mestiche, dall’altra quella rivoluzionaria che prelude ai successivi Tre soldati.
In ogni caso viene ribadito: le città sono campi di battaglia. Non ci si può immaginare un osservatore che sia meno sensibile di Brecht al fascino della città, vuoi al mare di case, vuoi al ritmo vertiginoso del traffico, vuoi all’industria del piacere. Questa man canza di sensibilità verso la scenografia urbana unita a un’estre ma sensibilità per lo specifico modo di reagire del cittadino di stingue n ciclo brechtiano da tutta la lirica metropolitana prece dente. Walt Whitman si lasciava inebriare dalle masse; di esse non si parla in Brecht. Baudelaire intuiva la decadenza di Parigi; dei parigini però intuiva soltanto quegli aspetti nei quali essi, da par te loro, della decadenza portavano lo stigma. Verhaeren si cimentò in un’apoteosi delle città. A Georg Heym esse apparivano cariche di premonizioni delle catastrofi che le minacciavano. Non badare al cittadino era la caratteristica della migliore liri ca della grande città. Laddove egli entrava nel suo campo visivo, come in Dehmel, il miscuglio di illusioni piccolo-borghesi risulta va fatale per la riuscita poetica. Brecht è dunque il primo grande lirico che ha qualcosa da dire sull’uomo di città. Sulla terza poesia del «Libro di lettura per gli abitanti della città». Noi non vogliamo lasciare la tua casa, noi non vogliamo demolire la stufa.
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noi vogliamo mettere la pentola sopra la stufa. Casa, stufa e pentola possono restare e tu devi sparire come il fumo nel cielo che nessuno trattiene. Se vuoi attaccarti a noi, ce ne andremo via, se tua moglie piange, ci tireremo il cappello sul viso, ma se ti vengono a prendere, accenneremo a te e diremo: Deve essere lui. Noi non sappiamo cosa avverrà e non abbiamo [niente di meglio, ma te più non vogliamo. Finché non sarai via su, tiriamo le tende alle finestre, che non venga il mattino. Le città possono cambiare ma tu non ti puoi cambiare. Alle pietre vogliamo dire parole suadenti ma te, vogliamo ucciderti, tu non devi vivere. Per quante bugie dobbiamo credere: tu non hai il diritto di essere vissuto. (Cosi parliamo ai nostri padri).
La cacciata degli ebrei dalla Germania (fino ai pogrom del 1938) fu perpetuata con l’atteggiamento descritto in questa poesia. Gli ebrei non furono massacrati dove li si trovava. Si procedeva con loro piuttosto secondo la frase: noi non vogliamo demolire la stufa noi vogliamo mettere la pentola sopra la stufa. Casa, stufa e pentola possono restare e tu devi sparire.
La poesia di Brecht acquista un valore informativo per il letto re di oggi. Mostra con assoluta precisione a quale scopo il nazio nalismo si serva dell’antisemitismo. Se ne serve come di una pa rodia. L’atteggiamento verso gli ebrei suscitato artificialmente dai governanti è appunto quello che sarebbe naturale da parte della classe degli oppressi nei confronti dei governanti. L’ebreo - que sto è il volere di Hitler - deve essere trattato come si sarebbe do vuto trattare il grande sfruttatore. E appunto perché questo at teggiamento verso gli ebrei non viene preso proprio sul serio, per ché si tratta della deformazione di un autentico processo rivoluzionario, entra in gioco anche il sadismo. La parodia, il cui scopo è mettere in ridicolo il progetto storico originale - l’espro prio degli espropriatoti - non ne può fare a meno.
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Sulla, nona poesia del «Libro di lettura per gli abitanti della città». Quattro richieste a un uomo da diverse parti in diversi momenti Qui hai un focolare, qui c’è posto per le tue cose. Colloca i mobili secondo i tuoi gusti, di’ quello che ti serve. Qui c’è la chiave, rimani qui. C’è una stanzetta qui per noi tutti e per te una camera con il letto. Tu puoi lavorare con noi in cortile, hai un piatto tutto tuo, rimani con noi. Qui è il posto dove puoi dormire, il letto è ancora fresco, c’è stato un uomo appena. Se sei schizzinoso sciacqua il tuo cucchiaio di stagno in questo mastello, sarà come pulito. Rimani tranquillamente con noi. Questa è la stanza fa’ in fretta, puoi anche restare una notte, ma devi pagare extra. Non ti disturberò, del resto non sono malato. Qui starai bene come in qualsiasi altro posto. Puoi quindi restare.
Il Libro di lettura per gli abitanti della città impartisce, come ac cennato, un insegnamento oggettivo in materia di clandestinità ed emigrazione. La nona poesia tratta di un processo sociale che i clandestini, come pure gli emigranti, devono condividere con chi subisce lo sfruttamento senza opporre resistenza. La poesia illu stra in brevissimi tratti il significato della crescente povertà nella metropoli. Nello stesso tempo illumina di riflesso la prima poesia del ciclo. Ciascuna delle Quattro richieste a un uomo da diverse parti in di versi momenti svela la specifica situazione economica di quest’uo mo. Egli è diventato sempre più povero. I suoi affittacamere ne tengono conto; lo autorizzano sempre meno a lasciare tracce. La prima volta prendono ancora nota delle sue proprie cose. Nel se condo alloggio si parla solo di un unico piatto, ed è difficile che lo
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abbia portato lui. L’affittacamere dispone già della forza-lavoro del suo affittuario («tu puoi lavorare con noi in cortile»). L’uomo che compare nel terzo alloggio è presumibilmente del tutto disoc cupato. La sua sfera privata è rappresentata simbolicamente nel l’azione di lavare un cucchiaio di stagno. La quarta richiesta è quel la rivolta da una prostituta a un cliente evidentemente povero. Qui non si parla neppure più di durata. Si tratta di un alloggio al mas simo per una notte, e della traccia che l’apostrofato può permet tersi di lasciare è meglio non parlare. La prescrizione della prima poesia, «cancella le tracce», è completata per il lettore della nona dall’aggiunta: meglio che se ti vengono cancellate. Degna di nota è la cordiale indifferenza propria di tutte e quat tro le richieste. Nel fatto che la durezza della pretesa lasci spazio a qùesta cordialità si riconosce che l’uomo viene confrontato dal di fuori con le condizioni sociali come con un qualcosa di estraneo a lui. La cordialità con cui il suo prossimo gli trasmette il verdet to mostra che esso non si sente solidale con lui. Non solo l’apo strofato sembra accettare quello che. gli dicono; anche quelli che si rivolgono a lui si sono adeguati alle circostanze. La disumanità a cui sono condannati non li ha potuti privare della gentilezza di cuore. Ciò può giustificare speranza o disperazione. Il poeta non si è voluto pronunciare su questo. S>uglì «Studi». Sulle poesie di Dante per Beatrice. Ancor oggi, sulla tomba polverosa ove giace colei che mai fu sua, sebbene tanto le si trascinasse dietro, il nome di lei è sufficiente a scuoter l ’aria. Giacché egli ci ingiunse di averne ricordo scrivendo versi tali al suo riguardo che a noi, in verità, non rimase altro se non prestare orecchio al bell’elogio. Ahimè, cattiva usanza ha messo in voga quando elogiò con lode smisurata cosa nota solo al suo sguardo e non provata. D a quando egli cantò alla sola vista, passa per desiderabile chi per via sembra graziosa, e che mai si bagna.
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Sul dramma «Ilprincipe di Homburg» di Kleist. O giardino artificiale sulle sabbie del Brandeburgo!
O nella notte bludiprussia spettrale visione! 0 eroe messo in ginocchio dal terror della morte, Orgoglio guerriero e intelletto di servo! Spina dorsale spezzata con la verga di lauro! Tu hai vinto, ma non hai eseguito l’ordine. Ah, Nike non ti abbraccia! E sogghignando gli sbirri del principe ti portano in galera. Così vediamo lui, l’ammutinato, dal terror della morte purificato, freddo di sudore di morte sotto il serto trionfale. La sua spada è ancora a lui vicino: in pezzi. Non è morto ma giace supino: 1 nemici del Brandeburgo con lui nella polvere.
Il titolo Studi presenta non tanto i frutti di solerte diligenza quanto quelli di un otium cum dignitate. Come ancora in fase di ri poso la mano di un grafico, giocherellando al bordo della lastra, tiene strette delle immagini, così qui ai margini dell’opera brech tiana sono trattenute immagini di epoche precedenti. Al poeta ac cade, alzando gli occhi dal suo lavoro, di guardare al passato at traverso il presente. «Poiché del sonetto serrate ghirlande I s’in trecciano da sé tra le mie mani 1 mentre gli occhi si pascono lontano’» dice Mòrike. E uno sguardo indolente nella lontananza, il cui provento viene celato nella più rigida forma poetica. Tra le poesie più tarde gli Studi sono particolarmente prossimi al Libro di devozioni domestiche. Esso critica diversi aspetti della nostra^morale; esprime riserve contro una serie di norme traman date. E ben lungi però dal citarle apertamente. Le esprime in for ma di varianti, appunto, degli atteggiamenti morali e dei gesti, la cui forma attuale non gli sembra più proprio ammissibile. Gli Stu di procedono allo stesso modo con una serie di documenti lettera ri e di poesie. Esprimono riserve che nei loro confronti sono giu stificate. Trasferendo però al tempo stesso il contenuto delle loro critiche nella forma del sonetto le mettono alla prova. Il fatto che esse sopportino di essere riassunte in questo modo prova la loro fondatezza. ’ EDUARD MÒRIKE, Am Walde: «Denn des Sonetts gedrangte Kranze flechten I Sich wie von selber unter meinen Handen I Indes die Augen in der Ferne weiden»
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La critica compare in questi studi non disgiunta dalla riveren za. L’elogio senza riserve, che corrisponde a un concetto barbaro di cultura, ha lasciato il posto a un elogio pieno di riserve. Sulle «Poesie di Svendborg». Sul «Breviario tedesco». 5-
I lavoratori reclamano il pane i commercianti reclamano i mercati. II disoccupato ha fatto la fame. Ora fa 1^ fame chi lavora. Le mani che erano ferme tornano a muoversi: torniscono granate.
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E notte. Le coppie vanno a letto. Le giovani mogli partoriranno orfani. is c h i sta in alto dice: si va verso la gloria. Chi sta in basso dice: si va verso la fossa. 18. Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico. La voce che li comanda è la voce del loro nemico. E chi parla del nemico è lui stesso il nemico.
Il Breviario tedesco è scritto in uno stile «lapidario». Questa pa rola viene dal latino lapis, la pietra, e designa lo stile che era stato elaborato per le epigrafi. Il suo connotato più importante era la concisione. Questa era dovuta, da un lato, dalla fatica di incidere le parole nella pietra, dall’altro dalla consapevolezza che per colui che si proponeva di parlare a una serie di generazioni fosse op portuno esprimersi in breve. Poiché in queste poesie viene meno il presupposto naturale, ma teriale, dello stile lapidario, è legittimo domandarsi quali siano gli elementi che vi corrispondono. Su che cosa si fonda lo stile lapi
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dario di queste poesie ? Una di esse suggerisce la risposta. Questa risposta suona: Sul muro c’era scritto col gesso: vogliono la guerra. Chi l ’ha scritto è già caduto.
Il verso che apre questa poesia potrebbe essere aggiunto a tut te le altre composizioni del Breviario. Le sue «iscrizioni» non so no fatte, come all’epoca dei romani, per la pietra, bensì, come quel le dei combattenti illegali, per gli steccati. Talché il carattere del Breviario può venir identificato in una contraddizione del tutto peculiare: in parole alle quali, per la loro forma poetica, viene attribuita la facoltà di sopravvivere all’im minente fine del mondo, si fissa il gesto di tracciare una scritta su uno steccato, una scritta che il perseguitato butta giù in fretta. In questa contraddizione si concentra la straordinaria carica artisti ca di queste proposizioni, fatte di poche parole rudimentali. Il poe ta conferisce la dignità dell’oraziano aere perennius a ciò che un proletario ha scritto con il gesso su un muro lasciandolo in balìa della pioggia e degli agenti della Gestapo. Sulla poesia «D el bambino che non voleva lavarsi». Del bambino che non voleva lavarsi C ’era una volta un bambino, che non si voleva lavare, e, appena lavato, in un attimo s’imbrattava di cenere. L ’imperatore venne in visita, salì i sette gradini la madre cercò un fazzoletto per pxilire il suo bambino sporco. Ma il fazzoletto If per lì non c’era. L’imperatore se n ’è andato prima che il bambino potesse vederlo: il bambino non poteva pretenderlo.
Il poeta prende posizione per il bambino che non vuole lavar si. Bisognava proprio, egli afferma, che si dessero singolarissime coincidenze perché il bambino potesse venir veramente danneg giato dal fatto di non lavarsi. Non basta che non sia cosa di tu t
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ti i giorni che l’imperatore si dia la pena di salire sette gradini: doveva proprio andare a scegliere come teatro della propria ap parizione una casa in cui non c’è nemmeno modo di rimediare un fazzoletto. La spezzatura nel dettato della poesia lascia intende re che una simile coincidenza di casi sarebbe una cosa addirittu ra fantastica. Sarà forse opportuno ricordare un altro sostenitore o difenso re dei bambini sudici: Fourier, i cui phalanstères erano non soltan to un’utopia socialista, ma anche pedagogica. Fourier suddivide in due grandi gruppi i bambini del phalanstère: le petites bandes e le petites hordes. Le petites bandes si occupano della coltivazione del giardino e di altre piacevoli incombenze. Le petites hordes si occu pano invece delle cose più sudice. Ogni bambino è libero di sce gliere tra i due gruppi. Quelli che decidono per \q petites hordes so no i più onorati. Nel phalanstère essi sono i primi a porre mano a tutti i lavori; nella loro giurisdizione rientra il maltrattamento de gli animali; possiedono piccoli pony in groppa ai quali attraversa no vertiginosamente, a un galoppo scatenato, 'Aphalanstère, e quan do devono raccogliersi per lavorare, il segno è dato da un assor dante frastuono di squilli di tromba, di sirene, di campane e di timpani. Negli appartenenti alla petite horde Fourier vedeva ope rare quattro grandi passioni: l’orgoglio, la spudoratezza, l’insu bordinazione. Ma la più importante di tutte era la quarta: le goùt de la saleté, la passione della sporcizia. Il lettore ripensa al bambino sporco e si domanda: forse che s’in sudicia di ceneri semplicemente perché la società non offre alla sua passione per la sporcizia la possibilità di farne un uso utile e posi tivo ? Soltanto per essere una pietra dello scandalo, per opporsi, come un oscuro avvertimento, all’ordine sociale (non diversamente dall’omino gobbo che nell’antica canzone riesce a scardinare una esistenza domestica perfettamente assestata) ? Se Fourier ha ra gione, il bambino non perde certamente molto mancando l’incon tro con l’imperatore. Un imperatore che vuol vedere soltanto bam bini puliti non'rappresenta nulla più che i sudditi meschini da cui si reca in visita. Sulla poesia «Ilsusino». Il susino Nel cortile c’è un susino. Quant’è piccolo, non crederesti.
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Gli hanno messo intorno una grata perché la gente non lo pesti. Se potesse, crescerebbe: diventar grande gli piacerebbe. Ma non servono parole; quel che gli manca è il sole. Che è un susino, appena lo credi perché susine non ne fa. Eppure è un susino e lo vedi dalla foglia che ha.
Un esempio dell’interna unità di questa lirica e allo stesso tem po della ricchezza delle sue prospettive può essere costituito dal modo in cui il paesaggio compare nei suoi diversi cicli. Nel Libro di devozioni domestiche il paesaggio si presenta prevalentemente nella forma di un cielo terso, come lavato, nel quale talora appaiono tenere nuvolette e sotto il quale si vedono vegetazioni, incise con il duro segno del bulino. In Canzoni, poesie, cori non c’è più trac cia del paesaggio; esso è coperto dalla «bufera invernale di neve» che attraversa questo ciclo di poesie. Nelle Poesie di Svendborg riap pare qua e là, come impallidito e timido. Tanto impallidito che vi rientrano perfino i pali piantati «nel cortile per l’altalena dei bam bini». Il paesaggio delle Poesie di Svendborg somiglia a quello che in una storia di Brecht un certo signor Keuner dichiara di predilige re. Gli amici hanno saputo da lui che egli ama l’albero che cresce miseramente nel cortile del casamento in cui vive. Allora lo invi tano ad andare con loro nel bosco e si meravigliano che il signor Keuner rifiuti. Non diceva di amare gli alberi? Il signor Keuner risponde: «Ho detto che amo l’albero nel mio cortile». Quest’al bero dovrebbe essere identico a quello che nel Libro di devozioni domestiche è chiamato «Green». Là il poeta gli rendeva onore apo strofandolo di mattina: Era mica una sciocchezza, salire tanto in alto in mezzo alle case, tanto in alto, Green, che la tempesta può arrivare a Lei così, come stanotte.
Questo albero Green, che offre la sua cima alla tempesta, vie ne ancora da un «paesaggio eroico» (anche se il poeta se ne di stanzia apostrofando l’albero con il Lei). Con il passare degli an ni, la partecipazione lirica di Brecht al tema dell’albero si rivolse piuttosto a ciò per cui l’albero è simile agli uomini, le finestre dei quali dànno sul suo cortile: a ciò che è mediocre e rachitico. Nel
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le Poesie di Svendborg appare un albero che non ha più nulla di eroi co, il nostro susino. Una grata deve metterlo al riparo dai passi che potrebbero calpestarlo. Susine non ne fa. Che è un susino, appena lo credi perché susine non ne fa. Eppure è un susino e lo vedi dalla foglia che ha.
(La rima interna del primo verso [Pflaumenbaufn / kauni\ ren de inadatto alla rima il vocabolo finale del terzo verso [Pflaumenbaum\. Con ciò è indicato come per il susino, appena cominciato a crescere, sia già finita). Tale è l’albero del cortile che il signor Keuner amava. Del pae saggio e di tutto ciò che esso altrimenti offriva al poeta lirico è ri masta soltanto una foglia. Probabilmente oggi è necessario essere un grande lirico per non pretendere di più. Sulla «Leggenda sull’origine del libro Taoteking dettato da Lao-Tse sulla via dell’emigrazione». Leggenda sull’origine del libro Taoteking dettato da Lao-Tse sulla via dell’emigrazione. Quando fu, e già logoro, ai settanta, anche il Maestro ebbe voglia di quiete. Ché nel paese ancora una volta era debole il bene e ancora una volta più forte cresceva la malvagità. E lui cinse i calzari. E prese su quanto aveva di bisogno. Poco. Però, una cosa e l’altra, e c’era la pipa che sempre fumava, la sera, e il libro che sempre leggeva. E, a occhio, pan bianco. 3-
Godè la valle ancora e la dimenticò quando ai monti volse la via. E il suo bue godeva l’erba fresca, ruminando, con il vecchio in groppa, ad un passo che per lui bastava. 4-
Ma nel quarto giorno fra i dirupi gli sbarrò la strada un gabelliere:
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«Hai qualcosa di prezioso?», «Nulla». E il ragazzo che guidava il bue disse: «Insegnava». Tutto dichiarato, dunque. 5-
Ma quell’uomo, in un suo lieto animo, chiese ancora; «E che cosa ne ha cavato?» E il ragazzo: «Che cede all’acqua docile, a lungo andare, la pietra tenace. Quel che è duro la perde, capisci?» Per andare finché c’era, di quel giorno, ancora luce pungolava il ragazzo ora il bue. E già dietro un pino nero scomparivano quei tre quando improvvisamente si riscosse l’uomo e gridò: «Ferma, ehi! 7-
Che storia è, questa dell’acqua, vecchio?» «Ti interessa?» Il vecchio si fermò. «Io sono solo un gabelliere», disse, «ma chi alla fine vinca, interessa anche me. Dillo, se tu lo sai! 8. Tu scrivimelo! Dettalo al ragazzo! Non si può portar via certe cose con sé. Ce n’è, da noi, di carta e inchiostro. E anche da cena. Quella è casa mia. E una proposta, no?» 9-
Con lo sguardo allora il vecchio scese su quell’uomo. Giubba a toppe. Scalzo. E la fronte tutta fitte di rughe. Oh, non gli parlava un vittorioso. E mormorò: «Anche tu?» Per dir di no a una cortese preghiera era il vecchio, o pareva, troppo vecchio. E così disse forte: «Chi domanda si merita risposta». Poi il ragazzo: «E vien freddo». «Bene, una breve sosta». Dal suo bue scese il Saggio e scrissero per sette giorni in due. Li nutriva, il gabelliere, e soltanto sottovoce in quei giorni bestemmiava con i suoi contrabbandieri. E il lavoro si compì.
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E una m attina il ragazzo porse al gabelliere ottantun sentenze. E per qualche provvista ringraziando pei dirupi dietro il pino presero. Pid di cosi chi può esser cortese? 13-
Ma non solo al Saggio si dia lode che sul libro col suo nome splende ! Ché strappargliela si deve, prima, al Saggio la saggezza. Anche sia grazie dunque al gabelliere che la seppe volere.
Questa lirica può fungere da spunto per indicare il ruolo parti colare che la cortesia svolge nel mondo del poeta. Brecht le asse gna una posizione rilevante. Se consideriamo attentamente la leg genda che egli racconta le cose stanno così: da un lato sta la sag gezza di Laotse - che peraltro non viene chiamato per nome nella lirica. Questa saggezza sta fruttandogli l’esilio. Dall’altro lato sta l’avidità di sapere del gabelliere, che alla fine viene ringraziato per aver strappato al saggio la sua saggezza. Ma ciò non sarebbe mai riuscito senza un terzo elemento: questo terzo elemento è la cor tesia. Sebbene sia ingiustificato dire che il contenuto del Taoteking è la cortesia, sarebbe quantomeno legittimo affermare che secon do la leggenda il Taoteking deve la sua nascita allo spirito di cor tesia. Sopra questa cortesia si apprendono parecchie cose nel cor so della lirica. In primo luogo: che essa non si manifesta sconsideratamente: Con lo sguardo allora il vecchio scese su quell’uomo. Giubba a toppe. Scalzo.
La preghiera del gabelliere può essere cortese finché vuole. Lao tse si accerta prima che a formularla sia una persona idonea. In secondo luogo: la cortesia non consiste nel fornire occasio nalmente cose piccole, bensì nel fornire cose grandissime come se fossero piccolissime. Dopo aver verificato l’idoneità del gabelliere a fare la sua richiesta, Laotse pone gli storici giorni che durante la sua peregrinazione dedica al gabelliere all’insegna di questo motto: «Bene, una breve sosta».
In terzo luogo, di questa cortesia si apprende che essa non eli mina, bensì rende vivente, la distanza tra gli uomini. Dopo che il saggio ha fatto cose così grandi per il gabelliere, gli rimane ben po-
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CO da fare con luì, e non è lui a consegnargli le sue ottantun sen tenze, bensf il suo ragazzo. « I classici - ha detto un antico filosofo cinese - vissero in tem pi sanguinosi e oscuri ed erano le persone più cordiali e serene che si siano mai visté». Il Laotse di questa leggenda sembra diffonde re serenità ovunque vada e ovunque si fermi. Sereno è il suo bue, al quale il peso del vecchio non impedisce di godere dell’erba fre sca. Sereno è il suo ragazzo che non omette di spiegare la povertà di Laotse con l’asciutta osservazione: «Insegnava». Sereno diventa il gabelliere presso il suo pino e questa serenità gli suggerisce la fe lice domanda sopra i risultati degli studi di Laotse. E finalmente, come avrebbe potuto non essere sereno il saggio stesso, e a che co sa gli sarebbe servita la sua saggezza, se lui, che poco prima si era ancora rallegrato della valle e che alla svolta successiva l’aveva già dimenticata, non avesse già dimenticato, appena avvertite, le preoccupazioni per il futuro ? Nel Libro di devozioni domestiche Brecht ha scritto una ballata delle cortesie del mondo. Queste cortesie sono tre: la madre si stema i pannolini; il padre tende una mano; alcune persone getta no terra su una fossa. E basta. Perché alla fine di questa ballata è detto: Quando gli si dànno due manate di terra, quasi ognuno ha amato il mondo.
Le dimostrazioni di benevolenza del mondo avvengono nei mo menti più duri dell’esistenza; alla nascita, al momento del primo passo dentro la vita e al momento dell’ultimo, che porta fuori dal la vita. Si tratta del programma minimo dell’umanità. Si ritrova nella leggenda di Laotse e qui si presenta nella forma di questa pro posizione: Quel che è duro la perde, capisci?
Il poemetto è stato scritto in un’epoca in cui una simile asser zione colpisce l’orecchio come una promessa che non è da meno di ogni promessa messianica. Per il lettore odierno contiene però non soltanto una promessa, ma anche un insegnamento. Che cede all’acqua docile, a lungo andare, la pietra tenace.
Questi versi insegnano che è consigliabile non perdere di vista l’elemento incostante e mutevole delle cose e stare dalla parte di ciò che è poco appariscente e prosaico, ma anche inesauribile, co
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me l’acqua. Il dialettico materialista penserà in proposito alla que stione degli oppressi (si tratta di una questione poco appariscente per coloro che dominano, di una questione prosaica per gli oppressi e, per quel che concerne le sue conseguenze, della più inesauribi le di tutte). In terzo luogo, accanto alla promessa e accanto alla teoria c’è la morale che risidta dal poemetto: chi vuole che ciò che è duro soccomba non deve lasciarsi sfuggire nessuna occasione per essere cortese.
Sull’In stitu t fiir Sozialforschung
L ’Institut fiir Sozialforschung L’Institut fiir Sozialforschung era annesso all’Università di Francoforte; vi insegnavano i suoi due direttori, Horkheimer e PoUock, che ancor oggi lo dirigono. L’Istituto nacque grazie a una donazione del deceduto ministro per le Finanze argentino Weil e di suo figlio Felix Weil. Nel 1933 la sede dell’istituto fu trasferi ta a Ginevra; alcuni anni dopo a New York. Qui l’istituto è an nesso alla Columbia University. Horkheimer e Pollock lo dirigono insieme. Sono amici di gio ventù. Gli interessi di Horkheimer sono rivolti all’ambito filoso fico, quelli di Pollock all’ambito economico. La conduzione fi nanziaria dell’istituto è affidata prevalentemente a Pollock. Sulla linea organizzativa e scientifica dell’istituto fornisce mag giori notizie una memoria in lingua inglese (che segue); inoltre, il mio saggio, qui accluso, apparso in «MaK und Wert». I miei rapporti con l ’institut fur Sozialforschung
I direttori dell’istituto sono miei coetanei. Horkheimer e io ci conosciamo dal Dipartimento di Filosofia di Francoforte. Solo al l’epoca dell’emigrazione si è sviluppato un rapporto più strettamente personale, stabilito per tramite di un comune amico di Fran coforte, Wiesengrund-Adorno, il quale lavora presso l’istituto. A partire dal 1934 ho avuto modo di parlare spesso e in modo cir costanziato tanto con Horkheimer quanto con PoUock, in occa sione delle loro visite a Parigi. Nei primi anni di questa relazione, ottenni dall’istituto un piccolo aiuto mensile e, all’occasione, dei sussidi straordinari. Ciò che mi ha sostenuto in questa prima epo ca dell’emigrazione è stata la speranza di poter ottenere, in virtù dei miei lavori, un regolare posto di collaboratore fisso presso l’i stituto. Ho conseguito questo scopo nel tardo autunno del 1937.
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Tra Lcollaboratori regolari dell’istituto sono l’unico che sia an cora in Europa. Horkheimer e PoUock.mi hanno più volte assicu rato che tengono particolarmente alla mia personale collaborazio ne con l’istituto e che considerano auspicabile un mio trasferi mento in America. Ritengo che la consultazione in merito a questo obiettivo rap presenti la premessa più adatta per le trattative. L’Istituto do vrebbe trovarsi ancora nella condizione di fornirmi o almeno di farmi avere un affidavit. Dal momento che non è possibile recar mi colà in tempi ragionevoli^ a causa della quota tedesca, dovrei essere nominato da una qualsiasi sede accademica. Finora non ho mostrato nessuna eccessiva urgenza di recarmi in America. Sarebbe bene se i direttori dell’istituto si rendessero conto che qui è avvenuto un cambiamento. Esso è alimentato dal crescente pericolo di una guerra e dall’antisemitismo dilagante. Fino al momento in cui sto scrivendo questa lettera, non è an cora giunta una precisa risposta alla mia lettera del 13 marzo (ve di allegato). Questa lettera accompagnava l’invio di un exposé in francese sul libro al quale sto attualmente lavorando. La risposta di Horkheimer del 5 aprile (vedi allegato) è estremamente provvi soria. D ’altra parte non sono stati fatti,finora dei ritocchi aUa mia borsa di ricerca, che è dell’importo di '80 dollari mensili. Per que sta ragione è forse conveniente limitare una prima presa di con tatto con la direzione dell’istituto al problema del mio trasferi mento in America. Per il caso probabile che in un colloquio successivo si arrivi a trattare anche sulla mia borsa di studio, vorrei toccare almeno una questione come punto di appiglio. Per stranieri con mezzi limita ti a Parigi è impossibile in questo momento procurarsi un alloggio personale. Per questo cercherò di conservarmi quello in cui abito per tutto il tempo in cui dovrò restare in Francia. Costa 5500 fran chi all’anno comprese le tasse.
L ’opera d ’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica [seconda stesura]
Le nostre Belle Arti sono state istituite, e il loro tipo e il loro uso sono stati fissati in un’epoca ben distinta dalla nostra e da uo mini il cui potere d’azione suUe cose e sulle situazioni era insigni ficante rispetto a quello di cui noi disponiamo. Ma lo stupefacen te aumento dei nostri mezzi, la loro duttilità e la loro precisione, le idee e le abitudini che essi introducono garantiscono cambia menti imminenti e molto profondi nell’antica industria del Bello. In tutte le arti si dà una parte fisica che non può più venir consi derata e trattata come un tempo, e che non può più venir sottrat ta agli interventi della conoscenza e della prassi moderne. Né la materia né lo spazio, né H tempo non sono più, da vent’anni in qua, ciò che erano da sempre. C’è da aspettarsi che novità di una simile portata trasformino tutta la tecnica artistica e che così agi scano sulla stessa invenzione, fino magari a modificare magica mente la nozione stessa di Arte. PAUL VALÉRY, Pìèces suT l ’art [Scritti sull’arte], Paris, pp. 104 sgg. (La conquète de l ’ubiquité [La conquista dell’ubiquità]).
Premessa.
Quando Marx si accinse all’analisi del modo capitalistico di pro duzione, questo era agli inizi. Marx orientò le sue ricerche in mo do tale che esse vennero ad assumere un valore di prognosi. Egli risalì ai rapporti fondamentali della produzione capitalistica e li espose in modo che da essi risultava che cosa ci si potesse atten dere in futuro dal capitalismo. Risultò che ci si poteva aspettare non soltanto uno sfruttamento sempre più intenso dei proletari, ma anche, in definitiva, il prodursi di condizioni che avrebbero reso possibile la soppressione del capitalismo stesso.
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Il rovesciamento della sovrastruttura, che procede molto più lentamente di quello dell’infrastruttura, ha impiegato più di mez zo secolo per rendere evidente in tutti i campi della cultvira il cam biamento delle condizioni di produzione. In quale forma ciò sia avvenuto può essere indicato soltanto oggi. Queste indicazioni de vono rispondere ad alcuni requisiti di natura prognostica. Ma a questi requisiti rispondono non tanto determinate tesi sull’arte del proletariato dopo la presa del potere, e tanto meno tesi su quella della società senza classi, quanto piuttosto tesi sulle tendenze del lo sviluppo dell’arte nelle attuali condizioni di produzione. La dia lettica di queste ultime si fa sentire nell’ambito della sovrastrut tura non meno che nell’economia. Perciò sarebbe errato sottova lutare il valore di queste tesi per la lotta di classe. Esse eliminano un certo numero di concetti tradizionali - quali quelli di creatività e di genialità, di valore eterno e di mistero - la cui applicazione incontrollata (e per il momento difficilmente controllabile) indu ce a un’elaborazione in senso fascista del materiale concreto. Icon cetti che in quanto segue vengono introdotti per la prima volta nella teoria dell’arte si distinguono da quelli correnti per il fatto di essere del tutto inutilizzabili per gli scopi delfascismo. Per converso, essi so no utilizzabili per la formulazione di esigenze rivoluzionarie nella po litica culturale.
In linea di principio, l’opera d’arte è sempre stata riproducibi le. Quanto fatto dagli uomini ha sempre potuto essere imitato da altri uomini. In questo senso copie venivano realizzate dagli allie vi per esercitarsi nell’arte, dai maestri per diffondere le opere, e infine da terzi semplicemente avidi di guadagni. La riproduzione tecnica dell’opera d’arte è invece qualcosa di nuovo, che si affer ma nella storia a intermittenza, a ondate spesso lontane l’una dal l’altra, e tuttavia con una crescente intensità. I greci conoscevano soltanto due procedimenti per la riproduzione tecnica delle opere d’arte: la fusione e il conio. Bronzi, terrecotte e monete erano le uniche opere d ’arte che essi fossero in grado di produrre in quan tità. Tutte le altre erano uniche e non tecnicamente riproducibili. Con la xilografia per la prima volta diventò tecnicamente ripro ducibile la grafica; così rimase a lungo, prima che, attraverso la stampa, diventasse riproducibile anche la scrittura. Gli enormi mu tamenti che la stampa, cioè la riproducibilità tecnica della scrittu
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ra, ha suscitato nella letteratura sono noti. Ma essi costituiscono soltanto un caso, benché certo particolarmente importante, del fe nomeno che qui viene considerato sulla scala della storia mondia le. Nel corso del Medioevo, alla xilografia vengono ad aggiunger si l’acquafòrte e la puntasecca, come, aU’inizio del secolo xix, la litografia. Con la litografia, la tecnica riproduttiva raggiunge un grado so stanzialmente nuovo. Il procedimento, molto più efficace, che ri spetto all’incisione del disegno in un blocco di legno o in una la stra di rame è costituito d ^ a sua trasposizione su una lastra di pietra, per la prima volta diede alla grafica la possibilità non sol tanto di introdurre i suoi prodotti sul mercato in grande quantità (come già avveniva prima), ma anche di farlo conferendo loro con figurazioni ogni giorno nuove. Attraverso la litografia, la grafica si vide in grado di accompagnare in forma illustrativa la dimen sione quotidiana. Cominciò a tenere il passo della stampa. Ma fin dall’inizio, pochi decenni dopo la sua invenzione, la litografia ven ne superata dalla fotografia. Con la fotografia, nel processo della riproduzione figurativa, la mano si vide per la prima volta scari cata delle più importanti incombenze artistiche, che ormai veni vano a essere di spettanza dell’occhio che guardava dentro l’o biettivo. Poiché l’occhio è più rapido ad afferrare che non la ma no a disegnare, il processo della riproduzione figurativa venne accelerato al punto da essere in grado di star dietro all’eloquio. L’operatore cinematografico nel suo studio, manovrando la sua manovella, riesce a fissare le immagini alla stessa velocità con cui l’interprete parla. Se nella litografia era virtualmente contenuto il giornale illustrato, nella fotografia si nascondeva il film sonoro. La riproduzione tecnica del suono venne affrontata alla fine del secolo scorso. Questi sforzi convergenti hanno prefigurato una si tuazione che Paul Valéry definisce con questa frase: «Come l’ac qua, il gas o la corrente elettrica entrano grazie a uno sforzo qua si nuUo, provenendo da lontano, nelle nostre abitazioni per ri spondere ai nostri bisogni, cosi saremo approvvigionati di immagini e di sequenze di suoni, che si manifestano a un piccolo gesto, quasi un segno, e poi subito ci lasciano»'. Yerso il 1900, la riproduzione tecnica aveva ra^iunto un livello che le permetteva non soltanto di prendere come oggetto tutto l ’insieme delle opere d ’arte tramandate e di modificarne profondamente gli effetti, ma anche di conquistarsi un posto autonomo tra i vari procedimenti artistici. Per ’ PAUL VALÉRY,
Ptèces sur l’art, Paris 1934, p. 105 (La conquète de l'ubiquité) [N.d.yl.].
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lo Studio di questo livello nulla è più istruttivo del modo in cui le sue due diverse manifestazioni - la riproduzione dell’opera d ’ar te e l’arte cinematografica - hanno agito sull’arte nella sua forma tradizionale. n. Anche nel caso della riproduzione più perfetta, manca un ele mento: \h ìc et nunc dell’opera d’arte - la sua esistenza unica e ir ripetibile nel luogo in cui si trova. Ma proprio su questa esistenza, e in null’altro, si è attuata la storia a cui essa è stata sottoposta nel corso del suo durare. In quest’ambito rientrano sia le modificazioni che essa ha subito nella sua struttura fisica nel corso del tempo, sia i mutevoli rapporti di proprietà in cui può essersi venuta a trovare^ La traccia delle prime può essere reperita soltanto attraverso analisi chimiche o fisiche che non possono venir eseguite sulla riproduzione; quella dei secondi è oggetto di una tradizione la cui ricostruzione deve procedere dalla sede dell’originale. V h ic et nunc dell’originale rappresenta l’idea della sua autenti cità. Analisi di genere chimico della patina di un bronzo possono essere necessarie per la constatazione della sua autenticità; corri spondentemente, la dimostrazione del fatto che un certo codice medievale proviene da un archivio del secolo xv può essere ne cessaria per stabilirne l’autenticità. L’intero ambito dell’autenti cità si sottrae alla riproducibilità tecn ica-e naturalmente non soltanto di quella tecnica^. Ma mentre l’autenticò mantiene la sua piena au
torità di fronte alla riproduzione manuale, che di regola viene da esso bollata come un falso, ciò non accade per quanto riguarda la riproduzione tecnica. Il motivo è duplice. In primo luogo, attra verso la fotografia essa può, ad esempio, rilevare aspetti dell’ori ginale che sono accessibili soltanto all’obiettivo, che è spostabile e in grado di scegliere a piacimento il suo punto di vista, ma non ^ Naturalmente la storia dell’opera d ’arte abbraccia anche altre cose; la storia della Gio conda, per esempio, il genere e il numero delle copie che ne sono state fatte nel secolo xvn, nel xvm, e nel XK secolo [N.d.A.]. ’ Proprio perché l’autenticità non è riproducibile, l’intensa diffusione di certi procedi menti riproduttivi - tecnici - ha offerto strumenti per una differenziazione e una gradua zione dell’autenticità. Una delle funzioni più importanti del mercato artistico era quella di elaborare queste distinzioni. Con l’invenzione della xilografia si può dire che la qualità co stituita dall’autenticità veniva colpita alle radici, prima ancora di conoscere la sua tarda fioritura. Un’effigie medievale della Madonna, al momento in cui veniva dipinta, non era ancora «autentica»; diventava autentica nel corso dei secoli successivi e nel modo pili pie no, forse, nel secolo scorso [N.rf.y4 .].
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all’occhio umano, oppure, con l’aiuto di certi procedimenti, come l’ingrandimento o la ripresa al rallentatore, può cogliere immagi ni che si sottraggono interamente all’ottica naturale. E questo è il primo punto. In secondo luogo essa può inoltre introdurre la riproduzione dell’originale in situazioni che all’originale stesso non sono accessibili. In particolare, gli permette di andare incontro al fruitore, sia nella forma della fotografia sia in quella del disco. La cattedrale abbandona la sua ubicazione per essere accolta nello stu dio di un amante dell’arte; il coro che è stato eseguito in un audi torio oppure all’aria aperta può venir ascoltato in una camera. Le circostanze in mezzo alle quali il prodotto della riproduzio ne tecnica può venirsi a trovare possono lasciare intatta la consi stenza intrinseca dell’opera d’arte - ma in ogni modo determina no la svalutazione del suo hìc et nunc. Benché ciò non valga sol tanto per l’opera d’arte, ma anche, e allo stesso titolo, ad esempio, per un paesaggio che in un film si dispiega di fronte allo spettato re, questo processo investe, dell’oggetto artistico, un ganglio che in nessun oggetto naturale è così vulnerabile. Vale a dire: la sua autenticità. L’autenticità di una cosa è la quintessenza di tutto ciò che, fin dall’origine di essa, può venir tramandato, dalla sua du rata materiale al suo carattere di testimonianza storica. Poiché quest’ultima è fondata suUa prima, nella riproduzione, in cui la prima è sottratta all’uomo, vacilla anche la seconda, O carattere di testi monianza storica della cosa. Certo, soltanto questa; ma ciò che co sì prende a vacillare è precisamente l’autorità della cosa'*. Ciò che vien meno può essere riassunto con la nozione di «au ra»; e si può dire: ciò che vien meno nell’epoca della riproducibi lità tecnica è l’«aura» dell’opera d’arte. Il processo è sintomatico; il suo significato rimanda al di là dell’ambito artistico. La tecnica della riproduzione, cast si potrebbe formulare la cosa, sottrae il ripro dotto all’ambito della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, al posto del suo esserci unico essa pone il suo esserci in massa. E per mettendo alla riproduzione di venire incontro a colui che ne fruisce nella sua particolare situazione, attualizza il riprodotto. Entrambi i
processi portano a un violento sconvolgimento che investe ciò che viene tramandato - a uno sconvolgimento della tradizione, che è ^ Anche la pili scadente rappresentazione del Faust in una città di provincia presuppo ne, rispetto a un film tratto dal Faust, il fatto di essere in un rapporto di ideale concorren za con la prima di Weimar. E tutto ciò che ci si può ricordare, quanto a contenuti tradi zionali, di fronte al palcoscenico, diventa inutilizzabile di fronte allo schermo cinemato grafico - ad esempio, che nel personaggio di Mefistofele si nasconde un amico di gioventù di Goethe, Johann Heinrich Merck, e simili [N.ii.y4 .].
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l’altra faccia della crisi attuale e dell’attuale rinnovamento dell’u manità. Essi sono strettamente legati ai movimenti di massa dei nostri giorni. Il loro agente più potente è il cinema. Il suo signifi cato sociale, anche nella sua forma più positiva, e anzi proprio in questa, non è pensabile senza quella distruttiva, catartica: la li quidazione del valore tradizionale dell’eredità culturale. Questo fenomeno risulta particolarmente evidente nei grandi film storici. Esso include sempre nuove posizioni nella sua sfera, e quando, nel 1927, Abel Gance esclama entusiasticamente: «Shakespeare, Rembrandt, Beethoven faranno dei fUm... Tutte le leggende, tutte le mitologie e tutti i miti, tutti i fondatori di religioni, anzi tutte le religioni... aspettano la loro risurrezione nel film, e gli eroi si ac calcano alle porte»’, senza rendersene conto, invita a una liquida zione generale. m. Nel giro di lunghi periodi storici, insieme con i modi comples sivi di esistenza delle collettività umane, si modificano anche i mo di e i generi della loro percezione sensoriale. Il modo secondo cui si organizza la percezione sensoria umana - il medium in cui essa ha luogo - non è condizionato soltanto in senso naturale, ma an che storico. L’epoca delle invasioni barbariche, durante la quale sorge l’industria artistica tardo-romana e la Genesi di Vienna’', pos sedeva non soltanto un’arte diversa da quella antica, ma anche un’altra percezione. Gli studiosi della scuola viennese, Riegl e Wickhoff, opponendosi al peso della tradizione classica che gra vava su quell’arte, sono stati i primi ad avere l’idea di trarre da es sa conclusioni a proposito della percezione nell’epoca in cui essa veniva riconosciuta. Per quanto notevoli fossero i loro risultati, essi avevano un limite nel fatto che questi studiosi si accontenta vano di rilevare il contrassegno formale proprio della percezione nell’epoca tardo-romana. Essi non hanno mai tentato - e forse non potevano sperare di riuscirvi - di mostrare i rivolgimenti sociaH che in questi cambiamenti della percezione trovavano un’espres sione. Per quanto riguarda il presente, le condizioni per una cor’ ABEL GANCE, he tempi de l’image estvenu [Il tempo deU’immagine è giunto], in L ’art cinématographique [L’arte cinematografica], II, Paris 1927, pp. 94 sgg. [N.d.A.]. ‘ La Wiener Genesis è un famoso codice viennese del libro biblico della Genesi, proba bilmente del secolo vi, particolarmente rinomato per le sue miniature, su cui cfr. f r a n z WICKHOFF, Die Wiener Genesis, Freytag, Wien 1895 [N.(i.T.].
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rispondente comprensione sono più favorevoli. E se le modifica zioni nel medium della percezione di cui noi siamo contemporanei possono venir intese come una decadenza dell’«aura», sarà anche possibile indicarne i presupposti sociali. E qui opportuno illustrare il concetto, sopra proposto, di aura a proposito degli oggetti storici mediante quello applicabile agli oggetti naturali. Noi definiamo questi ultimi apparizioni uniche di una lontananza, per quanto questa possa essere vicina. Seguire, in un pomeriggio d’estate, una catena di monti all’orizzonte oppure un ramo che getta la sua ombra su colui che si riposa - ciò signifi ca respirare l’aura di quelle montagne, di quel ramo. SuUa base di questa descrizione è facile comprendere il condizionamento sociale dell’attuale decadenza dell’aura. Essa si fonda su due circostanze, entrambe connesse con la sempre maggiore importanza delle mas se nella vita attuale. E cioè : rendere le cose, spazialmente e umana mente, più vicine è per le masse attuali un’esigenza vivissima!, quan to la tendenza a l superamento dell’unicità di qualunque dato mediante la ricezione della sua riproduzione. Ogni giorno si fa valere in mo
do sempre più incontestabile l’esigenza a impossessarsi dell’og getto, da una distanza il più possibile ravvicinata, nell’opera, o me glio nella copia, nella riproduzione. E inequivocabilmente la riproduzione, quale viene proposta dai giornali illustrati o dai settimanali, si differenzia dall’immagine diretta, dal quadro. L’u nicità e la durata s’intrecciano tanto strettamente in quest’ultimo, quanto la labilità e la ripetibilità nella prima. La liberazione del l’oggetto dalla sua guaina, la distruzione dell’aura sono il contrassegno di una percezione la cui sensibilità per ciò che nel mondo è dello stesso genere è cresciuta a un punto tale che essa, attraverso la riproduzione, attinge l’uguaglianza di genere anche in ciò che è unico. Cosi, nell’ambito dell’intuizione si annuncia ciò che in quel lo della teoria si manifesta come un incremento dell’importanza della statistica. L’adeguamento della realtà alle masse e delle mas se alla realtà è un processo di portata illimitata sia per il pensiero sia per la visione della realtà. ’ Avvicinarsi umanamente alle masse può voler dire: eliminare dal campo visuale la fun zione sociale. Nulla garantisce che un ritrattista attuale che dipinga un chirurgo famoso nell’atto di fare colazione in mezzo ai suoi congiunti ne colga la funzione sociale in modo più preciso di un pittore del secolo xvi che dipingeva i suoi medici nelle loro mansioni, co me ad esempio Rembrandt aeWAnatomia [N.d.A.].
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IV.
L’unicità dell’opera d’arte si identifica con la sua integrazione nel contesto della tradizione. E vero che questa tradizione è a sua volta qualcosa di vivente, di straordinariamente mutevole. Un’an tica statua di Venere, ad esempio, stava in un contesto tradizio nale completamente diverso presso i greci, che la rendevano og getto di culto, da quello in cui la ponevano i monaci medievali, che vedevano in essa un idolo maledetto. Ma ciò che si faceva incon tro sia ai primi sia ai secondi era la sua unicità, in altre parole: la sua aura. Il modo originario di articolazione dell’opera d’arte den tro il contesto della tradizione trovava la sua espressione nel cul to. Le opere d ’arte più antiche sono nate, com’è noto, al servizio di un rituale, dapprima magico, poi religioso. Ora, riveste un si gnificato decisivo il fatto che questo modo di esistenza, avvolto da un’aura particolare, non possa mai staccarsi dalla sua funzione rituale®. In altre parole: il valore unico dell’opera d ’arte «autentica» trova la sua fondazione nel rituale, nell’ambito del quale ha avuto il suo primo e originario valore d ’uso. Questo fondarsi, per mediato
che sia, è riconoscibile, sotto forma di rituale secolarizzato, anche nelle forme più profane del culto della bellezza’. Il culto profano della bellezza, che si sviluppa con il Rinascimento e poi mantiene la sua validità per tre secoli, una volta scaduto questo termine, nel momento del primo serio sconvolgimento da cui sia stato colpito, lascia riconoscere chiaramente quei fondamenti. Vale a dire: quan do, con la nascita del primo mezzo di riproduzione veramente ri voluzionario, la fotografia (contemporaneamente al delinearsi del * Definire l’aura un’«apparizione unica di una distanza, per quanto questa possa esse re vicina» non significa altro che formulare, usando i termini delle categorie della perce zione spazio-temporale, il valore cultuale deU’opera d ’arte. La distanza è il contrario della vicinanza. Ciò che è sostanzialmente lontano è l’inavvicinabUe. Di fatto l’inawicinabilità è una delle qualità principali dell’immagine cultuale. Essa rimane, per sua natura, «lonta nanza, per quanto vicina». La vicinanza che si può strappare alla sua materia non elimina la lontananza che essa conserva dopo il suo apparire [N.d.A.]. ’ Nella misura in cui il valore cultuale del quadro si secolarizza, le rappresentazioni del substrato della sua unicità diventano più indeterminate. Nell’appercezione del fruitore l’ir ripetibilità delle immagini, che appaiono nell’opera cultuale, viene sempre più sostituita dall’unicità empirica dell’esecutore o della sua esecuzione. Certo, ciò non avviene mai sen za residui; il concetto di irripetibilità non cessa mai di tendere oltre quello deU’attribuzione autentica (ciò si rivela con particolare evidenza nella persona del collezionista, il quale conserva sempre alcuni tratti caratteristici del servo di un feticcio e che, attraverso il pos sesso dell’opera d ’arte, partecipa alla virtù cultuale di questa). Fermo restando tutto ciò, la funzione del concetto di autenticità nella considerazione dell’arte rimane univoco; con la secolarizzazione dell’arte, l’autenticità si pone al posto del valore cultuale [N.^i.yl.].
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socialismo), l’arte awertf l’approssimarsi di quella crisi che passa ti altri cento anni è diventata innegabile, essa reagì con la dottri na dell’fly^pour l ’ari, che rappresenta una teologia dell’arte. Suc cessivamente da essa è emersa addirittura una teologia negativa nella forma dell’idea di un’arte «pura», la quale non soltanto re spinge qualsivoglia funzione sociale, ma anche qualsiasi determi nazione da parte di un elemento oggettivo (nella poesia, Mallarmé è stato il primo a raggiungere questo stadio). Per un’analisi che abbia a che fare con l’opera d’arte nell’epo ca della riproducibilità tecnica è indispensabile tenere conto di questi nessi. Essi, infatti, preparano il terreno per la cognizione qui decisiva: per la prima volta nella storia del mondo la riprodu cibilità tecnica dell’opera d’arte emancipa quest’ultima dalla sua esistenza parassitarla nell’ambito del rituale. In misura sempre maggiore l’opera d’arte riprodotta diventa la riproduzione di un’o pera d ’arte predisposta alla riproducibilità^". Da una pellicola fo tografica, ad esempio, è possibile tutta una serie di stampe; la que stione della stampa autentica non ha senso. Ma nell’istante in cui nella produzione dell’arte viene meno il criterio dell’autenticità, si tra sforma anche l ’intera funzione dell’arte. A l posto della sua fondazio ne nel rituale s’instaura la fondazione su un’altra prassi-.vale a dire il suo fondarsi sulla politica. “ Nel caso defle opere cinematografiche la riproducibilità tecnica del prodotto non è, come ad esempio nel caso delle opere letterarie o dei dipinti, una condizione di origine ester na della loro diffusione tra le masse. La riproducibiUtà tecnica dei film si fonda immediata mente sulla tecnica della loro produzione. Questa non soltanto permette immediatamente la dif fusione in massa delle opere cinematografiche:piuttosto, addirittura la impone. La impone poi ché la produzione di un film è talmente costosa che un singolo in grado di permettersi di acquistare, ad esempio, un dipinto, non è in grado di permettersi di acquistare un film. Nel 1927 si è calcolato che un film di mole maggiore, per diventare redditizio, doveva raggiun gere un pubblico di nove milioni di persone. Con il film sonoro si è manifestata una ten denza inversa; il suo pubblico venne a trovarsi limitato dai confini linguistici, e ciò avven ne contemporaneamente aU’accentuazione degli interessi nazionali da parte del fascismo. Più che registrare questa recessione, che peraltro venne subito attenuata mediante la sin cronizzazione, è importante considerare il suo nesso col fascismo. La contemporaneità dei due fenomeni si basa sulla crisi economica. Le stesse perturbazioni che, viste nel loro com plesso, hanno portato al tentativo di conservare con l’uso aperto della forza i rapporti di proprietà costituiti, hanno indotto il capitale cinematografico ad accelerare i lavori preRminari per la produzione di film sonori. L’avvento del film sonoro produsse un tempora neo sollievo. E ciò non soltanto perché il film sonoro indusse di nuovo le masse ad andare al cinema, ma anche perché esso stabilf la solidarietà di nuovi capitali, che venivano dal l’industria elettrica, col capitale cinematografico. Cosi, visto dall’esterno, il cinema sono ro ha promosso gli interessi nazionali, ma visto dall’interno ha internazionalizzato ancora di più la produzione cinematografica [N.«/./4 .].
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V.
La ricezione di opere d ’arte avviene secondo accenti diversi, due dei quali, tra loro opposti, assumono uno specifico rilievo. Il primo di questi accenti cade sul valore cultuale, l’altro sul valore espositivo dell’opera d ’arte” La produzione artistica comincia con figurazioni che sono al servizio del culto. Di queste figurazio ni si può ammettere che il fatto che esistano è più importante del fatto che vengano viste. L’alce che l’uomo dell’età della pietra raf figura sulle pareti della sua caverna è uno strumento magico. E ve ro che egli lo espone davanti ai suoi simili; ma esso è dedicato pri ma di tutto agli spiriti. Oggi sembra addirittura che il valore cul tuale come tJ e induca a mantenere l’opera d’arte nascosta: certe “ Questa polaritS non può venir riconosciuta dall’estetica dell’idealismo, il cui concetto di bellezza in fondo la definisce come indistinta (e coerentemente la esclude in quanto di stinta). Tuttavia, in Hegel essa si annuncia con la chiarezza maggiore possibile nei limiti dell’idealismo. Nelle Lezioni sulla filosofia della storia si legge; «I dipinti si avevano già da tempo; la religiosità ne aveva bisogno per la devozione, ma non aveva bisogno di dipinti belli, anzi questi ultimi erano perfino fastidiosi. Nel dipinto bello è presente anche un che di esterno, ma nella misura in cui è bello, il suo spirito si rivolge all’uomo; ma in quella de vozione, essenziale è il rapporto con una cosa, poiché essa stessa non è altro che un oscu rarsi, privo di spirito, dell’anima [...] L’arte bella è [...] sorta nella chiesa stessa [...] ben ché [...] l’arte sia già cosi uscita dal principio dell’arte» ( g e o r g f i ^ d e i c h W i l h e l m H e g e l , Werke, Berlin-Leipzig 1832, voi. IX, p. 414). Anche in un passo delle Lezioni di estetica Hegel ha avvertito il problema. In questo passo si dice; «Noi abbiamo oltrepassato lo sta dio in cui si onorano e si rivolgono preghiere alle opere d ’arte; l’impressione che esse su scitano è di un genere più riflesso, e ciò che attraverso queste opere viene suscitato in noi richiede ancora una pietra di paragone più alta» (ihid., voi. X, p. 14). Il passaggio dal primo genere di ricezione artistica al secondo determina l’evoluzio ne storica della ricezione artistica in generale. A prescindere da ciò, è possibile reperire in linea di principio una certa oscillazione, per ogni opera d’arte, tra quei due modi polari di ricezione artistica. Così, ad esempio, per la Madonna Sistina. A partire dalla ricerca di Hu bert Grimme si sa che la Madonna Sistina era stata originariamente dipinta per essere espo sta. Grimme fu indotto alle sue ricerche da questa domanda: che cosa significa l’asse in pri mo piano, su cui si appoggiano i due putti? Come può essere venuta a Raffaello l’idea, si domandò inoltre Grimme, di munire il cielo di due tendine ? La ricerca dimostrò che la Ma donna Sistina era stata commissionata in occasione dell’esposizione in pubblico della salma di papa Sisto. L’esposizione della salma dei papi avveniva in una certa cappella laterale del la basilica di San Pietro. Il quadro di Raffaello era stato esposto posato suUa bara in que sta solenne occasione, sullo sfondo a nicchia della cappella. Raffaello rappresenta nel qua dro la Madonna che, uscendo dallo sfondo della nicchia delimitata da due cortine verdi, si avvicina, in mezzo alle nubi, alla bara del papa. Quindi l’alto valore espositivo del dipinto di Raffaello venne utilizzato in occasione della cerimonia funebre in onore di Sisto V. Do po qualche tempo esso venne sistemato suU’altar maggiore della cappella del convento dei Frati Neri a Piacenza. La causa di questo esilio va reperita nel rituale romano. Il rituale ro mano vieta che i dipinti esposti in occasione di una cerimonia funebre diventino oggetto di culto su un aitar maggiore. Cosi, in seguito a questa norma, entro certi limiti l’opera di Raffaello subiva una svalutazione. Tuttavia, per ottenere un prezzo adeguato, la curia si decise a vendere e a tollerare tacitamente il quadro su un aitar maggiore. Per evitare com menti il quadro venne ceduto al convento della lontana città di provincia [N.ii.i4 .].
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Statue degli dèi sono accessibili soltanto al sacerdote nella sua cel la. Certe immagini della Madonna rimangono invisibili per quasi tutto l’anno, certe sculture dei duomi medievali non sono visibili al visitatore che stia in basso. Con l’emancipazione dei singoli eser cizi artistici dal grembo del rituale, aumentano le occasioni di esposi zione dei prodotti. L’esponibilità di un ritratto a mezzo busto, che
può essere inviato in qualunque luogo, è maggiore di quella della statua di un dio che ha la sua sede permanente all’interno di un tempio. L’esponibilità di una tavola è maggiore di quella del mo saico o dell’affresco che l’hanno preceduta. E se l’esponibUità di una messa non era per sua natura probabilmente più ridotta di quella di una sinfonia, tuttavia la sinfonia nacque nel momento in cui la sua esponibilità prometteva di diventare maggiore di quella di una messa. Con i vari metodi di riproduzione tecnica dell’opera d ’arte, la sua esponibilità è cresciuta in una misura cosi poderosa che la di screpanza quantitativa tra i suoi due poli si è trasformata, analo gamente a quanto è avvenuto nelle età primitive, in un cambia mento qualitativo della sua natura. E cioè: cosi come nelle età pri mitive, attraverso il peso assoluto del suo valore cultuale, l’opera d’arte era diventata uno strumento della magia, che in certo mo do soltanto più tardi venne riconosciuto quale opera d ’arte, oggi, attraverso il peso assoluto assunto dal suo valore di esponibilità, l’opera d’arte diventa una formazione con funzioni completamente nuove, delle quali quella di cui siamo consapevoli, cioè quella ar tistica, si profila come quella che successivamente potrà venir ri conosciuta come marginale” . Certo è che attualmente la fotogra fia, e poi il cinema, forniscono gli spunti più fecondi per il rico noscimento di questo dato di fatto. Riflessioni analoghe, anche se su un altro piano, sono quelle di Brecht: «Se il con cetto di opera d’arte diventa inutilizzabile per definire la cosa che si ha quando l’opera d ’arte si è trasformata in merce, allora, con prudenza e cautela ma senza alcun timore, dob biamo lasciar perdere questo concetto, se insieme non vogliamo liquidare anche la funzio ne della cosa stessa, poiché attraverso questa fase deve passare, e senza riserve; non si trat ta di una deviazione irrilevante dalla retta via; bensf: ciò che cosi avviene la modificherà radicalmente, estinguerà il suo passato, a un punto tale che qualora il vecchio concetto do vesse venir ripreso - e lo sarà, perché no ? - non susciterà più alcun ricordo della cosa che .un tempo designava» (b e r t o l t b r e c h t , Der Dreigroschenprozess [Il processo da tre soldi], ripreso in Versuche 1-4 [Esperimenti 1-4], Berlin 1931, pp. 301-2) [N.d.A.].
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VI. ideila fotografia il valore di esponibilìtà comincia a sostituire su tut ta la linea il valore cultuale. Ma quest’ultimo non si ritira senza op
porre resistenza. Occupa un’ultima trincea, che è costituita dal volto dell’uomo. Non a caso il ritratto è al centro delle prime fo tografìe. Il valore cultuale del quadro trova il suo ultimo rifugio nel culto del ricordo dei cari lontani o defunti. Nell’espressione fuggevole di un volto^ umano, dalle prime fotografie, emana per l’ultima volta l’aura. E questo che ne costituisce la malinconica e incomparabile bellezza. Ma quando l’uomo scompare dalla foto grafia, per la prima volta il valore espositivo propone la propria superidrità sul valore cultuale. Il fatto di aver dato una propria sede a questo processo costituisce l’importanza incomparabile di Atget, che verso il 1900 fissò gli aspetti delle vie parigine, vuote di uo mini. Molto giustamente è stato detto che egli fotografava le vie come si fotografa il luogo di un delitto. Anche il luogo di un de litto è vuoto di uomini. Viene fotografato per avere indizi. Con Atget, le riprese fotografiche cominciano a diventare documenti di prova nel processo storico. E questo che ne costituisce l’occul to carattere politico. Esse esigono già la ricezione in un senso de terminato. Non si addice alla loro natura la fantasticheria con templativa liberamente divagante. Esse inquietano l’osservatore; egli sente che per accedervi deve cercare una strada particolare. Contemporaneamente i giornali illustrati cominciano a proporgli una segnaletica. Vera o falsa - è indifferente. In essi è diventata per la prima volta obbligatoria la didascalia. Ed è chiaro che essa ha un carattere completamente diverso dal titolo di un dipinto. Le direttive che colui che osserva le immagini in un giornale illustra to si vede impartite attraverso la didascalia, diventeranno ben pre sto più precise e impellenti nel film, dove l’interpretazione di ogni singola immagine appare prescritta dalla successione di tutte quel le che sono già trascorse.
v n .
La disputa, che ebbe luogo nel corso del secolo xix, tra la pit tura e la fotografia, intorno al valore artistico dei rispettivi pro dotti appare oggi fuori luogo e confusa. Ciò non intacca tuttavia il suo significato e anzi potrebbe anche sottolinearlo. Di fatto que-
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Sta disputa era espressione di un rivolgimento di portata storica mondiale, di cui nessuno dei due contendenti era consapevole. Pri vando l’arte del suo fondamento cultuale, l’epoca della sua ripro ducibilità tecnica estinse anche e per sempre l’apparenza della sua autonomia. Ma la modificazione della funzione dell’arte, che cosf si delineava, era al di fuori del campo visuale del secolo. E del re sto anche il secolo xx, che stava vivendo lo sviluppo del cinema, per molto tempo non se ne accorse. Se già precedentemente era stato sprecato molto acume per decide re la questione se la fotografia fosse un’arte - ma senza che ci si fosse posta la domanda preliminare: e cioè, se attraverso la scoperta della fo tografia non si fosse modificato il carattere complessivo dell’arte - , i teorici del cinema ripresero ben presto questa male impostata proble matica. Ma le difficoltà che la fotografia aveva procurato aJl’este-
tica tradizionale, erano un gioco per bambini in confronto a quel le che il cinema avrebbe suscitato. Da qui la cieca violenza che ca ratterizza gli inizi della teoria cinematografica. Cosf, ad esempio. Abel Gance paragona il fUm ai geroglifici: «E così, in seguito a un ritorno, estremamente singolare, a ciò che è già stato, ci ritrovia mo sul piano espressivo degli egiziani... Il linguaggio delle imma gini non è ancora giunto alla sua maturità, perché H nostro occhio non è ancora alla sua altezza. Non c’è ancora una sufficiente con siderazione, non c’è ancora un culto sufficiente per ciò che in es so si esprime»‘\ Oppure scrive Séverin-Mars: «A quale arte era serbato un sogno, che [...] potesse essere più poetico e più reale insieme! Considerato da questo punto di vista, il cinema rappre senterebbe un mezzo d ’espressione assolutamente incomparabile, e nella sua atmosfera dóvrebbero muoversi soltanto persone dalla mentalità nobilissima e negli attimi più perfetti e più misteriosi della loro vita»” . Alexandre Arnoux, dal canto suo, conclude una fantasia sopra il cinema muto addirittura con questa domanda: «Tutte le audaci descrizioni, di cui cosf ci siamo serviti, non ten dono per caso a una definizione della preghiera ?»“ . E molto istrut tivo osservare come lo sforzo di far rientrare il cinema nell’arte co stringa tutti questi teorici ad attribuirgli, con una pervicacia sen za precedenti, quegli elementi cultuali che non ha. Eppure, all’epoca in cui venivano pubblicate tali speculazioni, esistevano già opere come \3na donna di Parigi e La febbre dell’oro. Ciò non “ ABEL GANCE, Le temps cit., pp. lOO-I [N.li.y4 .]. ^ Ib id .,p . 100 [N.i/,.4 .]. “ ALEXANDRE ARNOUX, Citiéma, Paris 1929, p. 28 [N.d.A.].
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impedisce ad Abel Gance di ricorrere alla comparazione con i ge roglifici, e Séverin-Mars parla del cinema come si potrebbe parla re delle pitture del Beato Angelico. E caratteristico che, anche og gi, specialmente certi autori reazionari cerchino il significato del film nella stessa direzione; se non addirittura nel sacrale, perlo meno nel sovrannaturale. In occasione della riduzione cinemato grafica, a opera di Reinhardt, del Sogno di una notte di mezza esta te, Werfel afferma che indubbiamente, a bloccare l’accesso del film al regno dell’arte, è la sterile copia del mondo esterno, con le sue strade, i suoi interni, le sue stazioni, ristoranti, macchine, spiag ge. «Il cinema non ha ancora colto il suo vero senso, le sue reali possibilità... Esse consistono nella possibilità che gli è peculiare di portare all’espressione con mezzi naturali e con una capacità di convincimento assolutamente incomparabile ciò che è magico, me raviglioso, sovrannaturale»". vm. La prestazione artistica dell’interprete teatrale viene presenta ta definitivamente al pubblico da lui stesso, in prima persona; la prestazione artistica dell’attore cinematografico viene invece pre sentata attraverso un’apparecchiatura. Quest’ultimo elemento ha due conseguenze diverse. L’apparecchiatura che propone al pub blico la prestazione dell’interprete cinematografico non è tenuta a rispettare questa prestazione nella sua totalità. Manovrata dal l’operatore, essa prende costantemente posizione nei confronti del la prestazione stessa. La serie di prese di posizione che l’autore del montaggio compone suUa base del materiale che gli viene fornito costituisce il film definitivo. Esso abbraccia una serie di momen ti di un movimento, che vanno riconosciuti come movimenti del la cinepresa - per non parlare poi delle riprese che rivestono un carattere particolare, come i primi piani. Così la prestazione del l’interprete viene sottoposta a una serie di test ottici. E questa la prima conseguenza del fatto che la prestazione dell’interprete ci nematografico viene mostrata mediante l’apparecchiatura. La se conda conseguenza dipende dal fatto che l’interprete cinemato grafico, poiché non presenta direttamente al pubblico la sua pre stazione, perde la possibilità, riservata all’attore di teatro, di ” FRANZ WERFEL, Etti Sommemachtstraum. Ein Vilm nach Shakespeare von Reinhardt [So gno di una notte di mezza estate. Un film di Reinhardt da Shakespeare], in «Neues Wie ner Journal», citato inLU 15 novembre 1935 [N,ii.y4 .].
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adeguare la sua interpretazione al pubblico durante lo spettacolo. Il pubblico viene così a trovarsi nella posizione di chi è chiamato a esprimere una valutazione senza poter essere turbato da alcun contatto personale con l’interprete. Il pubblico s ’immedesima nel l ’interprete soltanto immedesimandosi all'apparecchio. Ne assume quindi l ’atteggiamento:fa un tesf^. Non è, questo, un atteggiamen
to a cui possano venir sottoposti dei valori cultuali. IX.
Al film importa non tanto che l’interprete presenti al pubbli co un’altra persona, quanto che egli presenti se stesso di fronte all’apparecchiatura. Uno dei primi che abbia avvertito questa tra sformazione dell’interprete attraverso la prestazione di verifica è stato Pirandello. Il fatto che le osservazioni su questo argomen to, contenute nel suo romanzo Si gira..., si limitino a rilevare l’a spetto negativo della cosa, non ne riduce molto l’importanza. Me no ancora il fatto di riferirsi soltanto al cinema muto. Perché per questo riguardo, il sonoro non ha apportato nessun cambiamento degno di nota. Decisivo rimane che si recita per un’apparecchia tura - o, nel caso del film sonoro, per due. «Qua - scrive Piran dello degli attori cinematografici - si sentono come in esilio. In esilio non soltanto dal palcoscenico, ma quasi anche da se stessi. Perché la loro azione, l’azione viva del loro corpo vivo, là, sulla te la dei cinematografi, non c’è pili: c’è la loro immagine soltanto, colta in un momento, in un gesto, in una espressione, che guizza e scompare. Avvertono confusamente, con un senso smanioso, in definibile di vuoto, anzi di votamento, che il loro corpo è quasi sottratto, soppresso, privato della sua realtà, del suo respiro, del la sua voce, del rumore ch’esso produce movendosi, per diventa“ «Il film... dà (o potrebbe dare): informazioni utilizzabili suHe azioni umane nei loro particolari... Vien meno ogni motivazione sulla base del carattere, la vita interiore dei per sonaggi non costituisce mai la causa principale ed è di rado il risultato principale dell’azio ne» (b e r t o l t BRECHT, Der Dreigwschenprozess cit., p. 257). L’ampliamento del campo di ciò che è certificabile mediante test, ampliamento che l’apparecchiatura realizza nella per sona dell’interprete cinematografico, corrisponde allo straordinario ampliamento del cam po del certificabile mediante test, intervenuto, per l’individuo, in conseguenza delle cir costanze economiche. Cosi cresce costantemente l’importanza delle prove volte a stabilire le attitudini professionali. In queste prove professionali si verificano frammenti della pre stazione dell’individuo. La ripresa cinematografica e la prova di attitudine professionale nascono dallo stesso grembo, costituito dagli esperti. Il direttore di scena negli studi cine matografici occupa esattamente la stessa posizione che nelle prove professionali è occupa ta dal direttore dell’esperimento [N.
4 .].
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re soltanto un’immagine muta, che tremola per un momento su lo schermo e scompare in silenzio, d’un tratto, come un’ombra in consistente, giuoco d ’illusione su uno squallido pezzo di tela... Pensa la macchinetta alla rappresentazione innanzi al pubblico, con le loro ombre; ed essi debbono contentarsi di rappresentare innanzi a lei»‘*. Questo stato di cose può essere definito anche co me segue: per la prima volta - ed è questa l’opera del cinema l’uomo viene a trovarsi nella situazione di dover agire sf con la sua intera persona vivente, ma rinunciando all’aura. Poiché la sua au ra è legata al suo hic etnunc. L’aura che sul palcoscenico circonda Macbeth non può venir distinta da quella che per il pubblico vi vente avvolge l’attore che lo interpreta. La peculiarità delle ripre se negli studi cinematografici consiste però in questo, che esse pon gono l’apparecchiatura al posto del pubblico. L’aura che circonda l’interprete deve così venir meno - e con ciò deve venir meno an che quella che circonda il personaggio interpretato. Il fatto che proprio un drammaturgo come Pirandello intraweda involontariamente nelle caratteristiche del cinema la ragione del la crisi di cui vediamo investito il teatro non è sorprendente. Del l’opera d’arte che è affidata senza residui alla riproduzione tecni ca, e anzi - come il film - che da quest’ultima procede, non c’è di fatto una contrapposizione più netta di quella costituita dallo spet tacolo teatrale. Qualsiasi analisi più approfondita lo conferma. Da tempo gli studiosi specializzati hanno riconosciuto che nello spet tacolo cinematografico «si ottengono quasi sempre i maggiori ri sultati quando si “recita” il meno possibile... L’evoluzione più avanzata - sostiene Arnheim nel 1932 - consiste nel trattare l’at tore alla stregua di un attrezzo, che viene scelto in base a determi nate caratteristiche e ... sistemato al posto giusto»^". A ciò si coUeLUIGI PIRANDELLO, O» toume, citato da l é o n p i e r r e - q u i n t , Signification du Cìnéma [Significato del cinema], mVartcìnématogmphìque, II, Paris 1927, pp. 14-15 [l u i g i P ir a n d e l l o , Si gira..., Milano 1916, pp. 93-94] [N.d.A.Ì. “ RUDOLF A RN H EM , Film uls Kunst [Il cinema come arte], Berlin 1932, pp. lyè-T;. Cer ti particolari, apparentemente accessori, attraverso i quali il regista cinematografico si al lontana dalle pratiche della scena, assumono in questo contesto un notevole interesse. Co si, ad esempio, il tentativo di far recitare l’interprete senza trucco, come ha fatto Dreyer nella Giovanna d’Arco; Dreyer impiegò mesi soltanto per trovare i quaranta attori che avreb bero composto il tribunale. La ricerca di questi attori somigliava a una ricerca di determi nati attrezzi difficilmente ottenibili. Dreyer cercò con estrema cura di evitare le somiglianze di età, di statura, di fisionomia. Se l’attore diventa im attrezzo, non di rado, d’altra par te, l’attrezzo funge da attore. O, in ogni modo, non è affatto inconsueto che il cinema at tribuisca un ruolo all’attrezzo. Invece che ricorrere ad alcuni esempi tratti da una serie che potrebbe essere infinita, ci atteniamo a uno che ha una particolare forza dimostrativa. Un orologio in funzione sulla scena disturberà sempre. Sulla scena non è possibile attribuirgli il suo ruolo, che è quello di misurare il tempo. Anche in un dramma naturalistico, il tem-
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ga strettamente un altro elemento. L ’attore che agisce sul palcosce nico, si cala in una parte. All'attore cinematografico, invece, ciò è spes so negato. La sua prestazione non è mai unitaria, è bensì composta di numerose singole prestazioni. Accanto alle considerazioni casuali attinenti l’affitto degli studi, la disponibilità dei partner, la sceno grafia ecc., a scomporre la recitazione dell’attore in una serie di epi sodi montabili sono le necessità elementari dell’apparecchiatura. Si tratta in particolare dell’illuminazione, la cui installazione costrin ge a ridurre a una serie di singole riprese, che talora negli studi du rano ore, la rappresentazione di un’azione che poi suUo schermo appare come una sequenza rapida e unitaria. Per non parlare poi di montaggi ancora più manifesti. Così, ad esempio, nello studio un salto dalla finestra può essere girato nella forma di un salto da un’impalcatura, ma poi, in dati casi, la fuga che segue a questo sal to può venir girata a distanza di settimane nel corso di una ripresa in esterni. E comunque non è difficile costruire casi ancora più mar catamente paradossali. All’interprete può essere imposto di trasa lire in seguito a un colpo bussato alla porta. È possibile che questo trasalimento non venga eseguito secondo quanto è desiderato. Al lora il regista può ricorrere all’espediente, una volta che l’attore si trovi di nuovo nello studio, di fargli sparare alle spalle, senza che egli lo sappia, un colpo d’arma da fuoco. Lo spavento dell’attore può essere prontamente ripreso per essere montato nel film. Nul la mostra in modo più drastico come l’arte sia sfuggita dal regno della «bella apparenza», cioè da quel regno che per tanto tempo è stato considerato l’unico in cui essa potesse prosperare. X.
Il senso di disagio dell’interprete di fronte all’apparecchiatura, così come viene descritto da Pirandello, è in sé della stessa specie del senso di disagio dell’uomo di fronte alla sua immagine nello specchio. Ora tuttavia, l’immagine speculare può essere staccata po astronomico verrebbe a scontrarsi col tempo scenico. Allo stesso tempo è estremamen te caratteristico del cinema il fatto che in certi casi esso possa ricorrere alla misurazione del tempo. Questo esempio mostra più chiaramente di altri come, in certe circostanze, ogni singolo attrezzo possa assumere nel cinema una funzione decisiva. C’è solo un passo da qui alla constatazione di Pudovkin, secondo cui «la recitazione dell’interprete connessa con un oggetto o basata su di esso è... sempre uno dei metodi più efficaci della rappresentazione filmica» (VSEVOLOD il a r io n o v ic p u d o v k in , Pilmregie und Vilmmanuskript [Regia cinema tografica e sceneggiatura], Berlin 1928, p. 126). Cosi il cinema è il primo mezzo artistico in grado di mostrare come la materia agisca insieme con l’uomo. Per questa ragione può es sere un eccellente strumento per la rappresentazione materialistica IN.d.A.Ì.
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da lui, è diventata trasportabile. E dove viene trasportata? Da vanti al pubblico^\ La consapevolezza di ciò non abbandona mai, nemmeno per un istante, l’attore cinematografico. Mentre si trova davanti all’apparecchiatura, l ’attore cinematografico sa che in ultima istanza ha a che fare con il pubblico: il pubblico degli acquirenti, che costituiscono il mercato. Questo mercato, nel quale egli viene im
messo, non soltanto con la sua forza lavoro, ma anche con la sua pelle e i suoi capelli, col cuore e con i reni, nel momento della pre stazione che è chiamato a fornire gli è inaccessibile quanto un ar ticolo qualunque prodotto in una fabbrica. Questa circostanza, co me potrebbe non contribuire all’imbarazzo, a quella nuova ango scia che secondo Pirandello si impadronisce dell’attore di fronte all’apparecchiatura? Il cinema risponde al declino dell’aura co struendo artificiosamente la personalità fuori dagli studi; il culto del divo, promosso dal capitale cinematografico, cerca di conser vare quella magia della personalità che da tempo è ridotta alla ma gia fasulla propria del suo carattere di merce. Fintanto che a det tare la legge è il capitale cinematografico, non si potrà in genera le attribuire al cinema odierno un merito rivoluzionario che non sia quello di promuovere una critica rivoluzionaria della nozione tradizionale di arte. Non neghiamo così che il cinema odierno pos sa poi, in casi particolari, promuovere una critica rivoluzionaria dei rapporti sociali o addirittura degli ordinamenti della proprietà. Ma il centro di gravità della presente ricerca non cade su questo elemento, così come non vi cade quello della produzione cinema tografica europea occidentale. La tecnica del fUm, esattamente come quella sportiva, implica che chiunque assista alle prestazioni che rappresenta assuma le ve sti di un semispecialista. Basta aver sentito anche soltanto una volLa modificazione, qui constatata, del modo di esposizione attraverso la tecnica riproduttiva, si fa sentire anche nella politica. L’attuale crisi delle democrazie borghesi im plica una crisi delle condizioni determinanti per l’esposizione di coloro che governano. Le democrazie espongono colui che governa immediatamente, con la sua persona, e lo espon gono di fronte ai rappresentanti del popolo. Il parlamento è il suo pubblico ! Con le inno vazioni delle apparecchiature di ripresa, che permettono di far sentire, e poco dopo di far vedere, l’oratore a un numero illimitato di spettatori, l’esposizione dell’uomo politico di fronte a queste apparecchiature di ripresa assume un ruolo di primo piano. Si svuotano i )arlamenti, contemporaneamente ai teatri. La radio e il cinema modificano non soltanto a funzione dell’interprete professionista, ma anche, e allo stesso titolo, quella di coloro che, come i governanti interpretano se stessi. L’orientamento di questa modificazione è lo stesso, a parte i diversi compiti particolari, per l’interprete cinematografico e per colui che governa. Esso persegue la produzione di prestazioni verificabili, anzi adottabili, in deter minate condizioni sociali. Ciò ha come risultato una nuova selezione, una selezione che av viene di fronte all’apparecchiatura; da questa selezione escono vincitori il divo e il ditta tore [N.i.i4 .].
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ta un gruppo di giovani strilloni di giornali discutere, appoggiati alle loro biciclette, i risultati di una competizione ciclistica, per giungere alla comprensione di questo stato di cose. Non per nulla gli editori di giornali organizzano competizioni tra i loro giovani strilloni. Esse suscitano un estremo interesse tra i partecipanti. Poiché in queste competizioni il vincitore vede aprirsi la possibi lità di passare da strillone a corridore. Così l’attualità cinemato grafica fornisce a ciascuno la possibilità di trasformarsi da passante in comparsa cinematografica. In certi casi può addirittura vedersi immesso - e si pensi a Tre canti su Lenin di Vertov o a Borinage di Ivens - in un’opera d’arte. Ogni uomo contemporaneo ha un m oti vo per venir filmato. Per intendere questi motivi basta gettare uno sguardo all’attuale situazione storica dell’attività letteraria. Per secoli, per quanto riguarda la scrittura, la situazione era la seguente: che un numero limitato di persone dedite a questa atti vità stava di fronte a numerose migliaia di lettori. Verso la fine del secolo scorso, questa situazione si trasformò. Con la crescente espansione della stampa, che metteva a disposizione del pubblico dei lettori sempre nuovi organi politici, reHgiosi, scientifici, pro fessionali, locali, gruppi sempre più cospicui di lettori passarono dapprima casualmente - dalla parte di coloro che scrivono. Il fe nomeno cominciò quando la stampa quotidiana aprì loro la propria rubrica di «lettere al direttore»; oggi è ben difficile che ci sia un europeo partecipe del processo di produzione che non abbia per principio l’occasione di pubblicare da qualche parte un’esperienza di lavoro, una denuncia, un reportage o simili. Con questo la di stinzione tra autore e pubblico è in procinto di perdere il suo ca rattere sostanziale. Diventa semplicemente funzionale, e agisce in modo diverso a seconda dei casi. Il lettore è sempre pronto a di ventare autore. In quanto competente di qualcosa, poiché volente o nolente lo è diventato nell’ambito di un processo lavorativo estre mamente specializzato - e sia pure anche soltanto in quanto com petente di una funzione irrisoria - ha accesso alla schiera degli au tori. E il lavoro stesso che si esprime. La sua rappresentazione me diante la parola costituisce una parte di quelle capacità che sono necessarie aUa sua esecuzione. La competenza letteraria non viene più raggiunta attraverso una preparazione specializzata, bensì at traverso quella politecnica, e diventa così patrimonio comune^^ “ n carattere privilegiato delle tecniche in questione va perduto. Aldous Huxley scri ve: «I progressi tecnici hanno [...] portato alla volgarità [...] la riproducibilità tecnica e la stampa in rotocalco ha reso possibile una moltiplicazione illimitata degli scritti e delle im magini. L’istruzione scolastica generale e gli stipendi relativamente alti hanno creato un
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Tutto questo vale senz’altro anche per il cinema, nel cui cam po certi spostamenti, che in quello letterario hanno richiesto se coli, avvengono nel giro di un anno. Infatti nella pratica cinema tografica - specialmente in quella russa - questi spostamenti sono già stati in parte realizzati. Una parte degli interpreti del cinema russo non sono tali nel senso nostro, bensì persone che interpre tano se stesse - in primo luogo nel lord processo lavorativo. Nel l’Europa occidentale lo sfruttamento capitalistico del cinema im pedisce di prendere in considerazione la legittima pretesa dell’uo mo di oggi di essere riprodotto. In questa situazione, l’industria cinematografica ha tutto l’interesse a imbrigliare, mediante rap presentazioni illusionistiche e ambigue speculazioni, la partecipa zione delle masse. XI.
Una ripresa cinematografica e specialmente una sonora offre uno spettacolo che in passato non sarebbe stato immaginabile. Es sa rappresenta un processo al quale non può più essere associato un unico punto di vista da cui l’attrezzatura necessaria alle riprepubblico molto largo che è capace di leggere e che è in grado di procurarsi oggetti di lettu ra e materiale illustrativo. Per produrre tutto ciò si è creata un’importante industria. Ora, però, le doti artistiche sono qualcosa di molto raro; da ciò consegue [...] che in ogni epoca e in ogni luogo la maggior parte della produzione artistica è sempre stata scadente. Oggi tuttavia la percentuale degli scarti nella produzione artistica complessiva è maggiore di quanto sia mai stata Ci troviamo di fronte a una relazione aritmetica semplice. Nel corso del secolo scorso la popolazione dell’Europa occidentale è aumentata di più del dop pio. Ma il materiale letterario e figurativo è aumentato, a quanto mi è dato valutare, in una proporzione che va da i a 20, e forse anche 500 100, Se una popolazione di x milioni pos siede n talenti artistici, una popolazione di 2x rmlioni avrà 2n talenti artistici. Ora, la si tuazione può essere descritta nel modo che segue. Se cento anni fa si pubblicava una pagi na a stampa occupata da materiale letterario e da illustrazioni, oggi se ne stampano venti se non cento. Se d ’altra parte, cento anni fa esisteva un talento artistico, oggi ne esistono due. Ammetto che, in seguito all’istruzione scolastica generale, oggi possono diventare pro duttivi parecchi talenti virtuali che un tempo non sarebbero riusciti a sviluppare le loro do ti. Poniamo dunque [...] che oggi ci siano tre o quattro talenti artistici di contro a quell’u no di un tempo. Resta tuttavia indubbio che il consumo di materiale letterario e figurati vo ha superato di molto la naturale produzione di scrittori e di disegnatori dotati. Non diversa è la situazione a proposito del materiale sonoro. La prosperità, il grammofono e la radio hanno suscitato un pubblico che consuma in modo del tutto sproporzionato rispetto all’incremento della popolazione e quindi al naturale aumento di musicisti di talento. Ri sulta cosi come in tutte le arti, in senso assoluto come in senso relativo, la produzione di scarti sia maggiore di quanto fosse un tempo; e cosi sarà fintanto che la gente continuerà a praticare un consumo sproporzionato di materiale letterario, illustrativo e sonoro» (a l D o u s HUXLEY, Cromère d'hiver. Voyage en Amérique Centrale (1933) [Crociera d’inverno. Viaggio in America Centrale], Paris 1935, pp. 273 sgg.). Evidentemente questo modo di vedere non è progressista [N.d.A.J.
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se, il parco lampade, il gruppo degli assistenti ecc., che non rien trano nella vicenda ripresa vera e propria, possano esulare dal cam po visuale di chi sta a guardare (a meno che la posizione della sua pupilla non coincida con quella dell’obiettivo della cinepresa). Que sto fatto - questo più che qualunque altro - rende superficiali e ir rilevanti le eventuali analogie tra una scena ripresa nello studio ci nematografico e una scena recitata in teatro. Per principio, il tea tro conosce un punto dal quale ciò che avviene in scena non deve necessariamente essere visto come illusorio. Di fronte alla scena ripresa nel film invece questo luogo non esiste. La sua natura illu sionistica è una natura di secondo grado; è il risultato del mon taggio. Vale a dire: nello studio cinematografico l ’apparecchiatura è penetrata cosi profondamente dentro la realtà che l ’aspetto puro di quest’ultima, l ’aspetto libero dal corpo estraneo dell’apparecchiatura è il risultato di uno speciale procedimento, cioè della ripresa median te la macchina disposta in un certo modo e del montaggio di questa ri presa insieme ad altre dello stesso genere. Quell’aspetto della realtà
che rimane sottratto all’apparecchio è diventato cosi il suo aspet to pili artificioso e la vista sulla realtà immediata è diventata una chimera nel paese della tecnica. La stessa situazione, che così si differenzia da quella del teatro, può essere ancora più utilmente confrontata con quella che si dà nella pittura. Qui la domanda da porre è la seguente: qual è il rap porto tra l’operatore e il pittore ? Per rispondere a questo interro gativo ci sia consentito ricorrere a una costruzione ausiliaria fon data su un concetto di operatore derivante dalla chirurgia. Il chi rurgo incarna il polo di un ordinamento, all’opposto del quale c’è il mago. L’atteggiamento del mago, che guarisce un ammalato me diante imposizione delle mani, è diverso da quello del chirurgo, il quale intraprende invece un intervento sull’ammalato. Il mago con serva la distanza tra sé e il paziente; in termini più precisi: la ri duce - grazie all’imposizione delle sue mani - soltanto di poco e l’accresce - mediante la sua autorità - di molto. Il chirurgo pro cede alla rovescia: riduce la sua distanza dal paziente di molto penetrando nel suo interno -, e l’accresce di poco - mediante la cautela con cui la sua mano si muove tra gli organi. In una parola: a differenza del mago (che ancora si nasconde anche nel medico comune), nel momento decisivo il chirurgo rinuncia a porsi di fron te all’ammalato da uomo a uomo; piuttosto, penetra nel suo in terno operativamente. Il mago e il chirurgo si comportano rispet tivamente come il pittore e l’operatore. Nel suo lavoro, il pittore osserva una distanza naturale da ciò che gli è dato, l’operatore in
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vece penetra profondamente nel tessuto dei datP. Le immagini che entrambi ottengono sono enormemente diverse. Quella del pittore è totale, quella dell’operatore è multiformemente fram mentata e le sue parti si compongono secondo una legge nuova. Cosi, la rappresentazione filmica della realtà è per l ’uomo di oggi in comparabilmente più significativa, poiché, precisamente sulla base del la sua intensa penetrazione mediante l ’apparecchiatura, gli offre quel l ’aspetto, libero dall’apparecchiatura, che egli può legittimamente ri chiedere dall’opera d ’arte.
. xn. ha riproducibilità tecnica dell’opera d ’arte modifica il rapporto del le masse con l ’arte. Da un rapporto estremamente retrivo, ad esempio nei confronti di un Picasso, si rovescia in un rapporto estremamente progressistico, per esempio nei confronti di un Chaplin. Ove l’atteg
giamento progressistico è contrassegnato dal fatto che il gusto del vedere e del rivivere si connette in lui immediatamente con l’at teggiamento del giudice competente. Questa connessione è un im portante indizio sociale. Infatti, quanto più il significato sociale di un’arte diminuisce, tanto più il contegno critico e quello della me ra fruizione da parte del pubblico divergono. Il convenzionale vie ne goduto senza alcuna critica, ciò che è veramente nuovo viene criticato con riluttanza. Al cinema l’atteggiamento critico e quel lo del piacere del pubblico coincidono. Dove il fatto decisivo è que sto: in nessun luogo più che nel cinema le reazioni dei singoli, la cui somma costituisce la reazione di massa del pubblico, si rivela preliminarmente condizionata dalla loro immediata massificazio ne. Appena si manifestano, si controllano. Anche qui continua a rivelarsi utile il confronto con la pittura. Il dipinto ha sempre af facciato la pretesa peculiare di venir osservato da uno o da pochi. “ Le audacie dell’operatore sono effettivamente comparabili a quelle del chirurgo. Lue Durtain, in un elenco di prodezze tecniche specificamente gestuali, cita quelle «che sono necessarie nella chirurgia nel corso di certi difficili interventi. Scelgo come esempio un ca so tolto dall’otorinolaringologia; alludo al cosiddetto procedimento prospettico endonasale; oppure ricorderò l’acrobatico intervento che è costretta a compiere la chirurgia della la ringe, guidata dall’immagine della laringe rovesciata nello specchio; potrei parlare anche della chirurgia dell’orecchio, che ricorda il lavoro di precisione degli orologiai. Quale ric ca serie di delicatissime acrobazie muscolari non è costretto a eseguire l’individuo che vuol riparare o salvare il corpo umano; si pensi anche soltanto all’operazione della cataratta, in cui il bisturi lavora su tessuti pressoché fluidi, oppure agli importantissimi interventi nel la zona intestinale (laparatomia)» (l u c d u r t a in , La techniqueet l ’homme, in «Vendredi», 13 marzo 1936, n. 19) [K d.A.J.
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L’osservazione simultanea da parte di un vasto pubblico, quale si delinea nel secolo xix, è un primo sintomo della crisi della pittu ra, crisi che non è stata affatto suscitata daUa fotografia soltanto, bensì, in modo relativamente autonomo, attraverso la pretesa del l’opera d’arte di trovare un accesso alle masse. Il fatto è appunto questo, che la pittura non è in grado di pro porre l’oggetto alla ricezione collettiva simultanea, cosa che inve ce è sempre riuscita all’architettura, che riusciva un tempo all’e popea, che riesce oggi al film. E per quanto, in sé, da questa cir costanza non vadano tratte conclusioni riguardanti il ruolo sociale della pittura, nel momento in cui, in seguito a particolari circo stanze e in certo modo contro la sua natura, la pittura viene mes sa a diretto confronto con le masse, precisamente quella circostanza agisce come una grave limitazione. Nelle chiese e nei chiostri del Medioevo e alle corti principesche fin verso la fine del secolo xvni, la ricezione collettiva di dipinti non avveniva simultaneamente, bensf in modo mediato, secondo una complessa gradualità e se condo una gerarchia. Se questa situazione si è trasformata, in ta le mutamento si esprime il particolare conflitto in cui la pittura è stata coinvolta attraverso la riproducibilità tecnica del quadro. Ma benché si cercasse di portarla di fronte alle masse, mediante le gal lerie e i salons, non esisteva una via lungo la quale le masse potes sero organizzare e controllare se stesse in vista di una simile rice zione^". Perciò lo stesso pubblico che di fronte a un film grottesco reagisce in modo progressistico, di fronte al surrealismo deve per forza diventare un pubblico retrivo. xin. Il cinema non trova le sue caratteristiche soltanto nel modo in cui l’uomo si rappresenta di fronte all’apparecchiatura necessaria alla ripresa, ma anche nel modo in cui esso rappresenta a se stes so, con l’aiuto di quest’ultima, il mondo circostante. Un’occhiata alla psicologia della prestazione illustra la capacità deU’apparecQuesto modo di considerare le cose può apparire goffo; ma come dimostra il grande teorico Leonardo da Vinci, al momento opportuno si può far ricorso anche a considerazioni goffe. Leonardo istituisce un confronto fra la pittura e la musica; «Ma la pittura eccelle e si gnoreggia la musica perché essa non muore immediate dopo la sua creazione, come fa la sven turata musica [..,] la musica, che si va consumando mentre ch’eUa nasce, è men degna della pittura, che con vetri si fa eterna» (cfr. f e r n a n d b a l d e n s p e r g e e , Le mffermissement des techniques dans la littérature occidentale de 1840, in «Revue de Littérature Comparée», XV/I, Paris 1935, p. 79 [LEONARDO DA VINCI, Trattato della pittura, parte I, §§ 25, 27]) [N.i.i4 .].
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chiatura di sottoporre l’interprete a test. Un’occhiata alla psica nalisi la illustra dal lato opposto. Infatti il cinema ha arricchito il nostro mondo degli indici di metodi che possono venir illustrati mediante la teoria freudiana. Cinquant’anni fa, un lapsus nel cor so di una conversazione passava più o meno inosservato. Il fatto che a tratti potesse dischiudere prospettive profonde nella con versazione stessa, che prima sembrava avvenire tutta in primo pia no, poteva venir annoverato tra le eccezioni. Dopo la Psicopatolo gia della vita quotidiana questa situazione è cambiata. Quest’ope ra ha isolato e reso analizzabili cose che in precedenza fluivano inavvertite dentro l’ampia corrente del percepito. Il cinema ha avu to come conseguenza un analogo approfondimento dell’apperce zione su tutto l’arco del mondo della sensibilità ottica, e ora anche'^di quella acustica. Il fatto che le prestazioni che il film propo ne sono analizzabili in modo molto più esatto e da punti di vista molto più numerosi di quelle che si rappresentano in un dipinto o suUa scena costituisce soltanto l’altra faccia di questa situazione. Rispetto alla pittura, la maggiore analizzabilità della prestazione rappresentata nel film è determinata dalla resa incomparabilmen te più precisa della situazione. Rispetto al palcoscenico, la mag giore analizzabilità della prestazione rappresentata nel film è con dizionata dalla maggiore isolabilità. Questa circostanza, e preci samente in ciò sta il suo significato principale, comporta una tendenza a promuovere la vicendevole compenetrazione tra l’arte e la scienza. Infatti, di un atteggiamento chiaramente circoscritto nell’ambito di una determinata situazione - come di un muscolo in un corpo - è difficile dire che cosa sia più affascinante: il suo valore artistico o la sua applicabilità scientifica. \]na delle funzio ni rivoluzionarie del cinema sarà quella di far riconoscere l ’identità d e ir utilizzazione artistica e dell’utilizzazione scientifica della fo to grafia, che prima in genere divergevano^'.
Mentre il cinema, mediante i primi piani di certi elementi del l’inventario, mediante l’accentuazione di certi particolari nascosti di sfondi per noi abituali, mediante l’analisi di ambienti banali, “ Se cerchiamo un’analogia a questa situazione, ne troviamo una, molto istruttiva, nel la pittura del Rinascimento. Anche qui troviamo un’arte la cui incomparabile fioritura e la cui importanza si fondano non in ultima istanza sul fatto che essa riesce a integrare tutta una serie di nuove scienze o perlomeno di nuovi dati scientifici. Essa si serve dell’anatomia e della prospettiva, della matematica e della meteorologia oltre che della teoria dei colori. « Che cosa è più remoto da noi - scrive Valéry - della singolare pretesa di un Leonardo, per il quale la pittura era il fine ultimo e un’altissima dimostrazione della conoscenza, é ciò, se condo le sue convinzioni, perché esigeva l’onniscienza, mentre egli stesso non si esimeva da un’analisi teorica che noi contemporanei consideriamo sconcertati, per la sua profondità e la sua precisione! » (p a u l v a l é r y , Piècessuri’a rtà t., p. 1 9 1 , «Autour de Corot») [N.i/.i4 ,].
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grazie alla guida geniale dell’obiettivo, aumenta da un lato la com prensione degli elementi costrittivi che governano la nostra esi stenza, riesce dall’altro anche a garantirci un margine di libertà enorme e imprevisto! Le nostre bettole e le vie delle nostre me tropoli, i nostri uffici e le nostre camere ammobiliate, le nostre sta zioni e le nostre fabbriche sembravano chiuderci irrimediabilmen te. Poi è venuto il cinema e con la dinamite dei decimi di secondo ha fatto saltare questo mondo simile a un carcere; cosi noi siamo ormai in grado di intraprendere tranquillamente avventurosi viag gi in mezzo alle sue sparse rovine. Con il primo piano si dilata lo spazio, con la ripresa al rallentatore si dilata il movimento. E co me l’ingrandimento non costituisce semplicemente chiarificazione di ciò che si vede «comunque», benché indistintamente, poiché es so porta in luce formazioni strutturali della materia completamen te nuove, così il rallentatore non fa apparire soltanto motivi del movimento già noti: in questi motivi noti ne scopre di compietamente ignoti, «che non fanno affatto l’effetto di un rallentamen to di movimenti più rapidi, bensì quello di movimenti propriamente scivolanti, plananti, sovrannaturali Si capisce così come la na tura che parla alla cinepresa sia diversa da quella che parla all’oc chio. Diversa specialmente per il fatto che al posto di uno spazio elaborato dalla coscienza dell’uomo interviene uno spazio elabora to inconsciamente. Se di solito ci si rende conto, sia pure appros simativamente, dell’andatura della gente, certamente non si sa nul la del suo comportamento nel frammento di secondo in cui affret ta il passo. Se siamo più o meno abituati al gesto di afferrare raccendisigari o il cucchiaio, non sappiamo pressoché nulla di ciò che effettivamente avviene tra la mano e il metallo, per non dire poi del modo in cui ciò varia in relazione agli stati d’animo in cui noi ci troviamo. Qui interviene la cinepresa con i suoi mezzi ausi liari, con il suo scendere e salire, con il suo interrompere e isolare, con il suo ampliare e contrarre il processo, con il suo ingrandire e ridurre. Dell’inconscio ottico sappiamo qualche cosa soltanto gra zie a essa, come dell’inconscio istintivo grazie alla psicanalisi. XIV.
Uno dei compiti principali dell’arte è stato da sempre quello di generare esigenze che al momento attuale non è ancora in grado “ RUDOLF ARNHEIM,
Vìlm ak KutlSt c i t . , p.
138 [N.i.y4 .].
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di soddisfare^’. La storia di ogni forma d’arte conosce periodi cri tici in cui questa determinata forma mira a certi risultati, i quali potranno per forza essere ottenuti soltanto a un livello tecnico di verso, cioè attraverso una nuova forma d’arte. Le stravaganze e le prevaricazioni che da ciò conseguono, specie nelle cosiddette epo che di decadenza, procedono in realtà dal loro centro di forza sto ricamente più ricco. Di simili forme barbariche brulicava ancora recentemente il dadaismo. L’impulso che lo muoveva è riconosci bile soltanto oggi: il dadaismo cercava di ottenere con i mezzi della pittura (oppure della letteratura) quegli effetti che oggi il pubblico cer ca nel cinema.
Ogni formulazione nuova, rivoluzionaria, di determinate esi genze è destinata a colpire al di là del suo bersaglio. Il dadaismo lo fa nella misura in cui sacrifica i valori di mercato, che inerisco no al film in così larga misura, a favore di intenzioni di maggior rilievo - delle quali naturalmente non è consapevole nella forma che qui viene descritta. I dadaisti davano aU’utilizzabilità mer cantile delle loro opere un peso molto minore che non alla loro inu tilizzabilità nel senso di oggetti di un rapimento contemplativo. Essi cercavano di attingere questa inutilizzabilità, non in xJitima istanza mediante una radicale degradazione del loro materiale. Le loro poesie sono «insalate di parole», contengono locuzioni osce«L’opera d’arte - dice André Breton - ha valore soltanto in quanto sia traversata dai riflessi del futiiro». Effettivamente ogni forma d’arte evoluta si trova nel punto d’incidenza di tre linee di sviluppo. E cioè, anzitutto, la tecnica tende verso una determinata forma d’arte. Prima che il cinema fosse inventato c’erano certi libricini di fotografie le cui im magini, scattando di fronte all’osservatóre sotto la spinta di un colpo di pollice, gli propo nevano il corso di un incontro di boxe o di una partita di tennis; nei bazar c’erano mac chine automatiche in cui il flusso delle immagini era ottenuto mediante il movimento di una manovella. In secondo luogo, giunte a certi stadi del loro sviluppo, le forme d’arte tra dizionali tendono a ottenere effetti che più tardi vengono ottenuti liberamente dalla nuo va forma d’arte. Prima che il cinema s’imponesse, i dadaisti cercarono nelle loro manife stazioni di suscitare nel pubblico una reazione che piò tardi un Chaplin ottenne in modo pili naturale. In terzo luogo, spesso, impercettibili modificazioni sociali tendono a modifi care la ricezione in un modo che torna poi a vantaggio soltanto della nuova forma d ’arte. Prima che il cinema cominciasse a formarsi un suo pubblico, nel cosiddetto Kaiserpanomma venivano consumate, da un pubblico riunito all’uopo, immagini (che avevano già ces sato di essere immobili). Questo pubblico si raccoglieva di fronte a un paravento dentro il quale erano sistemati stereoscopi, uno per ogni visitatore. Davanti a questi stereoscopi com parivano automaticamente iinmagini che indugiavano brevemente e che poi venivano so stituite da altre. Con mezzi analoghi lavorava ancora Edison quando (prima che si fosse in ventato lo schermo e il procedimento della proiezione) mostrò la prima pellicola cinema tografica a un pubblico che guardava dentro un apparecchio in cui si susseguivano le immagini. Del resto nel congegno del Kaiserpanomma si esprime con particolare chiarezza una dialettica di questo sviluppo. Poco prima che il film renda collettiva la visione delle immagini, davanti agli stereoscopi di questi stabilimenti, peraltro rapidamente tramonta ti, la visione delle immagini da parte del singolo riacquista la stessa pregnanza che un tem po aveva la visione dell’immagine del dio per il sacerdote nella cella [N.d.A.].
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ne e tutti i possibili e immaginabili cascami del linguaggio. Non al trimenti i loro dipinti, dentro i quali essi montavano bottoni o bi glietti ferroviari. Ciò che essi ottengono con questi mezzi è uno spietato annientamento dell’aura dei loro prodotti, ai quali, con i mezzi della produzione, imponevano il marchio della riproduzio ne. Di fronte a un quadro di Arp o a una poesia di August Stramm è impossibile concedersi, come di fronte a un quadro di Derain o a una lirica di RiUce, il tempo per il raccoglimento e per un giudi zio. Al rapimento, che con la decadenza della borghesia è diventa to una scuola di comportamento asociale, si contrappone la diver sione quale varietà di comportamento sociale^*. Effettivamente, le manifestazioni dadaiste concedevano una diversione veramente violenta rendendo l’opera d ’arte centro di uno scandalo. L’opera d’arte era chiamata principalmente a soddisfare un’esigenza: quel la di suscitare la pubblica indignazione. Con i dadaisti, da parvenza attraente o struttura sonora capace di convincere, l’opera d’arte diventò un proiettile. Venne proiet tata contro l’osservatore. Assunse una qualità tattile. In questo mo do favorisce la domanda di cinema, il cui elemento diversivo è ap punto in primo luogo di ordine tattUe, si fonda cioè sul mutamen to dei luoghi dell’azione e delle inquadrature, che investono gli spettatori a scatti. Si confronti la tela su cui viene proiettato il film con la tela su cui si trova il dipinto. Quest’ultimo invita l’osserva tore alla contemplazione; di fronte a esso lo spettatore può abban donarsi al flusso delle sue associazioni. Di fronte all’immagine fil mica non può farlo. Non appena la coglie visivamente, essa si è già modificata. Non può venir fissata. Duhamel - che odia il cinema, che non ha capito nulla del suo significato, ma ha compreso parec chie cose della sua struttura - definisce questo fatto nella nota che segue: «Non sono già più in grado di pensare quello che voglio pen sare. Le immagini mobili si sono sistemate al posto del mio pen siero»” . Effettivamente il flusso associativo di colui che osserva queste immagini viene subito interrotto dal loro mutare. Su ciò si basa l’effetto di shock del film che, come ogni effetto di shock, esi ge di essere accolto con una maggiore presenza di spirito^'’. In virtù “ Il prototipo teologico di questo rapimento è la coscienza di essere soli col proprio dio. Sulla base di questa coscienza, nelle grandi epoche borghesi, si è rafforzata la capacità di liberarsi dalla tutela della chiesa. NeUe epoche di decadenza della borghesia, la stessa co scienza era destinata a obbedire alla nascosta tendenza a sottrarre le forze che il singolo mette in opera nel suo rapporto con dio agli interessi della collettività [N. d.A.'\. GEORGES DUHAMEL, Scènes de la vie future [Scene della vita futura], Paris 1930, p. 52 [K d .A .l ” 11 cinema è la forma d’arte che corrisponde al pericolo sempre maggiore di perdere
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della sua struttura tecnica, il film riesce a liberare l ’effetto di shock f i sico - che il dadaismo manteneva ancora, per cast dire, impacchettato nell’effetto di shock morale - da questo imballaggio^^.
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La massa è una matrice dalla quale attualmente esce rinato ogni comportamento abituale nei confronti delle opere d ’arte. La quan tità si è ribaltata in qualità: le masse sempre più vaste dei partecipanti hanno determinato un modo diverso di partecipazione. L’osservato re non deve lasciarsi ingannare dal fatto che questa partecipazio ne si manifesta dapprima in forme screditate. Eppure non sono mancati quelli che si sono pervicacemente attenuti a questo aspet to superficiale della cosa. Tra costoro Duhamel è colui che si è espresso nel modo più radicale. Egli riconosce al cinema un pecu liare modo di partecipazione da parte delle masse. Egli definisce il cinema «un passatempo per iloti, una distrazione per creature incolte, miserabili, esaurite dal lavoro, dilaniate dalle loro preoc cupazioni..., uno spettacolo che non esige alcuna concentrazione, che non presuppone la facoltà di pensare..., che non accende nes suna luce nel cuore e non suscita alcuna speranza se non quella, ri dicola, di diventare un giorno, a Los Angeles, una “star” »“ . E evi dente che si tratta in fondo della vecchia lagnanza secondo cui le masse nell’opera d’arte cercano soltanto la distrazione, mentre l’a mante dell’arte si accosta a essa con concentrazione. Si tratta di un luogo comune. Resta soltanto da vedere se costituisca un ter reno utile per lo studio del cinema. Per le masse l’opera d’arte sa rebbe un’occasione di intrattenimento, mentre per l’amante del la vita, pericolo di cui i contemporanei sono costretti a tener conto. Il bisogno di esporsi a effetti di shock è un tentativo di adeguazione dell’uomo ai pericoli che lo minacciano. Il cinema risponde a certe profonde modificazioni del complesso appercettivo - modifica zioni che nell’ambito della esistenza privata sono subite da ogni passante immerso nel traf fico cittadino, e nell’ambito storico da ogni cittadino [N.rf./4 .]. ” Come dal dadaismo, anche dal cubismo e dal futurismo si possono trarre importan ti conclusioni a proposito del cinema. Entrambi questi movimenti appaiono come tentati vi incompleti di tener conto della penetrazione nella realtà da parte della macchina. A dif ferenza del cinema, questi movimenti intrapresero il loro tentativo non mediante l’utiliz zazione dell’apparecchiatura per la rappresentazione artistica della realtà, bensì attraverso una sorta di fusione tra una realtà rappresentata e un’apparecchiatura rappresentata. Do ve il ruolo preminente, nel cubismo, è il presentimento della costruzione di questa appa recchiatura, che si basa sull’ottica; nel futurismo è il presentimento degli effetti di questa apparecchiatura, effetti che poi si manifesteranno nel rapido scorrere della pellicola cine matografica [N. j..i4 .]. ” GEORGES DUHAMEL, Scèttes de k v k cit,, p. 58 [N.,y4 .].
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l’arte sarebbe un oggetto di raccoglimento. È opportuno qm con siderare le cose più da vicino. La distrazione e il raccoglimento vengono contrapposti in un modo tale che consente questa for mulazione: colui die si raccoglie davanti aU’opera d’arte vi sprofon da; penetra nell’opera, come racconta la leggenda di un pittore ci nese alla vista della sua opera compiuta. La massa distratta, al con trario, fa sprofondare l’opera d’arte dentro di sé. Ciò avviene nel modo più evidente per gli edifici. Da sempre l’architettura ha for nito il prototipo di un’opera d ’arte la cui ricezione avviene nella distrazione e da parte della collettività. Le leggi della sua ricezio ne sono le più istruttive. Gli edifici accompagnano l’umanità fin dalla sua storia più an tica. Molte forme d ’arte si sono generate e poi sono morte. La tra gedia nasce con i greci per estinguersi con loro e per poi rinascere dopo secoli; ma ne rinascono soltanto le «regole». L’epopea, la cui origine risale alla giovinezza dei popoli, si estingue in Europa con l’inizio del Rinascimento. La pittura su tavola è una creazione del Medioevo e nulla può garantirle una durata ininterrotta. Ma il bi sogno dell’uomo di una dimora è perenne. L’architettura non ha mai conosciuto pause. La sua storia è più lunga di quella di qual siasi altra arte; rendersi conto del suo influsso è importante per qualunque tentativo di comprendere il rapporto tra le masse e l’o pera d’arte. Delle costruzioni si fruisce in un duplice modo: at traverso l’uso e attraverso la percezione. O, in termini più preci si: in modo tattile e in modo ottico. Non è possibile definire il con cetto di una simile ricezione se essa viene immaginata sul tipo di quelle raccolte, ad esempio, dai viaggiatori di fronte a costruzioni famose. Non c’è nulla, dal lato tattile che faccia da contropartita di ciò che, dal lato ottico, è costituito dalla contemplazione. La fruizione tattile non avviene tanto sul piano dell’attenzione quan to su quello dell’abitudine. Nei confronti dell’architettura, anzi, quest’ultima determina ampiamente perfino la ricezione ottica. Anch’essa, in sé, avviene molto meno attraverso un’attenta os servazione che non attraverso sguardi occasionali. Questo genere di ricezione, che si è generata nei confronti dell’architettura ha tuttavia, in certe circostanze, un valore canonico. Poiché i compi ti che in epoche di trapasso stanco vengono posti all’apparato percet tivo umano, non possono essere assolti per vie meramente ottiche, cioè contemplative. Se ne viene a capo a poco a poco grazie all’intervento della ricezione tattile, all’abitudine.
Anche colui che è distratto può abituarsi. Più ancora; il fatto di essere in grado di assolvere certi compiti anche nella distrazio
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ne dimostra innanzitutto che per l’individuo in questione è di ventata un’abitudine portarli a termine. Attraverso la distrazione, quale è offerta dall’arte, si può controllare di sottomano in che mi sura l’appercezione è in grado di assolvere compiti nuovi. Poiché del resto il singolo sarà sempre tentato di sottrarsi a questi incari chi, l’arte affronterà quello più difficile e più importante quando riuscirà a mobilitare le masse. Attualmente essa fa questo attra verso il cinema. La ricezione nella distrazione, che si fa sentire in mo do sempre più insistente in tutti i settori dell’arte e che costituisce il sintomo di profonde modificazioni dell’appercezione, trova nel cine ma lo strumento più autentico su cui esercitarsi. Grazie al suo effet
to di shock il cinema favorisce questa forma di ricezione. Il cine ma svaluta il valore cultuale non soltanto inducendo il pubblico a un atteggiamento valutativo, ma anche per il fatto che al cinema l’atteggiamento valutativo non implica attenzione. Il pubblico è un esaminatore, ma un esaminatore distratto. Postilla.
La crescente proletarizzazione degli uomini di oggi e la crescente formazione di masse sono due aspetti di un unico e medesimo pro cesso. Il fascismo cerca di organizzare le recenti masse proletariz zate senza però intaccare i rapporti di proprietà di cui esse perse guono l’eliminazione. Il fascismo vede la propria salvezza nel con sentire alle masse di esprimersi (non di veder riconosciuti i propri diritti)” . Le masse hanno diritto a un cambiamento dei rapporti di proprietà; il fascismo cerca di fornire loro una espressione nella conservazione delle stesse. Coerentemente, ilfascismo tende a un’estetizzazione della vita politica. Alla violenza esercitata sulle mas se, che vengono schiacciate nel culto di un duce, corrisponde la ” Qui, e specialmente nei cinegiornali, di cui sarà ben difficile sopravvalutare l’im portanza propagandistica, è importante un fattore tecnico. Alla riproduzione in massa è par ticolarmentefavorevole la riproduzione di masse. Nei grandi cortei, nelle adunate oceaniche, nelle manifestazioni di massa di genere sportivo e nella guerra, tutte cose che oggi vengo no registrate dagli apparecchi di ripresa, la massa guarda in faccia se stessa. Questo pro cesso, la cui portata non ha bisogno di essere sottolineata, è strettamente connesso con lo sviluppo della tecnica di riproduzione e di ripresa. In generale, i movimenti di massa si pre sentano più chiaramente di fronte a un’apparecchiatura che non per lo sguardo. Il punto di vista migliore per cogliere schiere di m i^aia di uomini è la prospettiva aerea. E anche se questa prospettiva è accessibile all’occhio quanto all’apparecchiatura, tuttavia l’imma gine che l’occhio ne ricava non consente quell’ingrandimento a cui invece è sottoposta la ripresa. Ciò significa che i movimenti di massa, e cosi anche la guerra, rappresentano una forma di comportamento umano particolarmente favorevole all’apparecchiatura [N.d.A.].
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violenza da parte di un’apparecchiatura, di cui esso si serve per la produzione di valori ctiltuali. Tutti gli sforzi di estetizzazione della politica convergono in un uni co punto. Questo punto è la guerra. La guerra, e soltanto la guerra,
permette di fornire uno scopo ai movimenti di massa di grandi pro porzioni, previa conservazione dei rapporti di proprietà tradizio nali. Ecco come questa situazione si configura dal punto di vista della politica. Dal punto di vista della tecnica, invece, essa si for mula come segue: soltanto la guerra permette di mobilitare tutti i mezzi tecnici attuali, previa conservazione dei rapporti di pro prietà. È ovvio che l’apoteosi della guerra da parte del fascismo non si serva di questi argomenti. Nonostante questo, è utile get tarvi un’occhiata. Nel manifesto di Marinetti per la guerra colo niale d ’Etiopia si dice che da «ventisette anni i futuristi si op pongono a che la guerra venga definita come antiestetica. Pertan to constatiamo: ...la guerra è bella perché - grazie alle maschere antigas, ai terrificanti megafoni, ai lanciafiamme e ai piccoli carri armati - fonda il dominio dell’uomo sulla macchina soggiogata. La guerra è bella perché inaugura la sognata metallizzazione del cor po umano. La guerra è bella perché arricchisce un prato in fiore delle fiammanti orchidee delle mitragliatrici. La guerra è bella per ché riunisce in una sinfonia il fuoco di fucili, le cannonate, le pau se tra gli spari, i profumi e gli odori della decomposizione. La guer ra è bella perché crea nuove architetture, come i grandi carri ar mati, le geometriche squadriglie aeree, le spirali di fumo elevantisi da villaggi bruciati e molto altro ancora... I poeti e gli artisti del futurismo... si ricordino di questi principi di un’estetica della guer ra, perché da essi venga illuminata... la loro lotta per una nuova poesia e una nuova plastica! Questo manifesto ha il vantaggio di essere chiaro. La sua im postazione merita di essere ripresa dal dialettico. Per lui l’estetica della guerra attuale si presenta nel modo che segue: se l’utilizzo naturale delle forze produttive viene frenato dall’ordinamento at tuale dei rapporti di proprietà, l’espansione dei mezzi tecnici, dei ritmi di lavoro, delle fonti di energia spinge verso un utilizzo in naturale. Tale uso avviene nella guerra, la quale, con le sue di struzioni, fornisce la dimostrazione che la società non era suffi cientemente matura per fare della tecnica un proprio organo, e che la tecnica non era sufficientemente elaborata per dominare le ener gie elementari della società. La guerra imperialistica è determina” «La Stampa», Torino [N.d.A.].
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ta in tutta la sua spaventosa fisionomia dalla discrepanza tra l’esi stenza di poderosi mezzi di produzione e l’insufficienza del loro utilizzo nel processo di produzione (in altre parole, dalla disoccu pazione e dalla mancanza di mercati di sbocco). La guerra imperia listica è una ribellione della tecnica, la quale recupera dal «materiale umano» le esigenze alle quali la società ha sottratto il loro materiale naturale. Invece che incanalare fiumi, essa devia la fiumana uma
na nel letto delle trincee, invece che utilizzare gli aeroplani per spargere le sementi, essa li usa per seminare le bombe incendiarie sopra le città; nella guerra dei gas ha trovato un mezzo per elimi nare l’aura in modo nuovo. ¥iat ars, pereat mundus, dice il fascismo, e, come ammette Ma rinetti, si aspetta dalla guerra il soddisfacimento artistico della per cezione sensoriale modificata dalla tecnica. E questo, evidente mente, il compimento dell’arte per l’arte. L’umanità, che in Ome ro era uno spettacolo per gli dèi dell’Olimpo, ora lo è diventata per se stessa. La sua autoestraniazione ha raggiunto un grado che le permette di vivere il proprio annientamento come un godimen to estetico di prim’ordine. Questo è il senso dell’estetizzazione del la politica che il fascismo persegue. Il comuniSmo gli risponde con la politicizzazione dell’arte.
[Appendice a L'opera d ’arte neW epoca della sua riproducibilità tecnica^
Causeries du Tintamarre [QaS mars 1847D] Charles Baudelaire: CEuvres en collaboration [... Introduction et notes par] Jules Mouquet Paris 1932 p. 218 Sulla giuria composta di accademici di una mostra; «Les Messieurs [...] meilleurs artistes». Da una critica a [Wilhelm] Pinder: [Die] Kunst der ersten Biirgerzeit [bis zur Mitte des 15. Jahrhunderts] Leipzig (Seemann) [1937] di F. G. Hartlaub nel Literaturblatt della “F[ranMurter] Z[eitungì” 6 marzo 1938: «Pinder mostra [...] persona che osserva». Maurice Denis [... Les besoìns collectifs et la peìnture. A .] Les problémes d’aujourd’hui [La photographie, le cinémaj... «Les pro grès [...] de 1870». «Les hommes [,..] sans fin». Encyclopédie Fran9aise XVI, P fOzenfant richiama l’attenzione sulle trasformazioni antropologiche che vanno a detrimento della pittura. Tra queste c’è in pri mo luogo la vita negli appartamenti in affitto delle città. Già nel 1928 Stendhal scriveva 16. 70-2’ - Si lascia più facilmente un ap partamento in affitto che non la propria casa. I viaggij non allon tanano dalla propria dimora, in cui [interruzione] [Pierre Abraham : Où se rejoignent l ’ouvrìer et rusager:] « Que l’artiste [...] pouvoir déceler» [Enc. Frang. c it] 16. 94-2,3“ Jean Bruller: [Le dessin et la gravure] La gravure: «Il y aurait [...] lois esthétiques». [Enc. Frang. cit.] 16. 28-13. ‘ Le parentesi quadre in dicano le integrazioni dei curatori, quelle graffe i passi can cellati da Benjamin [N.rf.T.]. ^ Cfr. pp. 264 sgg. nel presente volume [N.ii.T.]. ^ Ihid., p. 267 [N.J.T.]. * Ib id.,p . 26S [N.d.T.].
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André Vigneau: Les besoins coUectifs et la photographie - L’ar ticolo è particolarmente mediocre. Il donne dans le panneau de «l’authenticité». Trasciira in particolare quasi del tutto il proble ma della scrittura (letterarizzazione). In compenso accoglie luoghi comuni a proposito della «fotografia come arte». Uno degli ogget ti che la fotografia dischiude presenterebbe probabilmente un si gnificato particolare, ma senza dubbio difficile da fissare. Si tratta dell’uomo completamente rilassato quale un tempo generalmente potevano osservarlo soltanto le persone a lui più prossime (in sen so letterale o traslato) e quale con l’istantanea può divenire ogget to di un’attenzione concentrata e di durata arbitraria da parte di estranei. E probabile che ciò dischiuda fonti del tutto nuove di af fettività, in particolare di odio. «.. .la photographie ne se borne pas à nous transmettre ... les témoignages apportés autrefois par la peinture et le dessin. Elle nous ouvre un monde d ’éléments nouveaux. Avant l’instantané, rien ne nous permettait de saisir l’“instant” d’angoisse sur un visage humain, ni méme l’expression familière ... Rien ne nous donnait ... la détente, à une seconde donnée, les muscles d’un chevai au galop». [Enc. Frang. cit.] i6 . 70-7 Amédée Ozenfant: Les besoins coUectifs et la peinture. La peinture murale: «Aux grandes époques [...] beUes en soi». [Enc. Frang. cit.] 16. 70-4 «l’oeuvre d ’art [...] dépendance du mur». Cfr. 16. 70-5 Cemento armato (ciment [recte: béton] armé inventato da Hennebique nel 1890): «en 1900 [...] cloissenement des étages». Cfr. 16. 70-2 Puvis de Chavannes «CEuvre métriquement [...] à l’architecture». Cfr. 16. 70-2 Epilegomena a «L’opera d’arte nell’epoca» «A l’époque [...] cette conquète». Emile Vuillermoz: Les be soins coUectifs et le cinéma [Enc. Frang. cit.] 16. 78-5 «Le seul reproche [...] des photographes», Léopold Lobel: La technique photographique/'E«c. Frang. cit.] 16. 30-12 Fernand Léger: [Les besoins coUectifs et la peinture. CJ La pein ture et la cité - Nel breve appunto è interessante U tentativo di presentare il cubismo come pioniere deU’affiche. «L’industrie et
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la commerce ... ont découvert au lendemain de la guerre que le ton pur, les bleus, les rouges, les jaunes éclatants seraient pour eux une bonne arme de guerre. ... Le cubisme, responsable du ton pur (vers 1919) a permis aux industriels de déclencher cette offensi ve murale. Quelques années après, dans certains tableaux de la méme école, “l’obiet” est apparu. Méme conséquence: tout à coup sur ces fonds jaune vif, vert émeraude, les objets publicitaires se sont inscrits en gros pian. ... à la suite des peintres et des sculpteurs actuels, industriels et boutiquiers ont découvert que les articles de leur commerce avaient une beauté intrinsèque, en dehors de leur fonctions pratiques ou décoratives»./^B«c. Frang. c itj 16. 70-6 - Certo, contemporaneamente bisogna chiedersi se il cubi smo non sia stato un fenomeno reattivo nella misura in cui com poneva o piuttosto analizzava l’oggetto non secondo la sua gene si nel processo produttivo, ma alla stregua di un organismo in sé concluso’. Su «L’opera d ’arte nell’epoca» Una riflessione dalla [conferenza] di Cari Schmitt «Uber das Zeitalter der Neutralisierungen und Entpolitisierungen» 1929. « “Le scoperte del xv e xvi secolo agivano in senso libertario, individu^stico e ribelle; la scoperta dell’arte della stampa condusse al la libertà di stampa. Oggi le scoperte tecniche sono strumenti di un tremendo dominio di massa: della radio è proprio il monopoUo radiofonico, del film la censura filmica. La decisione intorno a li bertà e schiavitù non risiede nella tecnica in quanto tecnica. Que sta può [...] servire alla libertà e all’oppressione, alla centralizza zione e alla decentralizzazione. Dai suoi principi [...] non deriva né una problematica politica né una risposta politica”. La doman da di Schmitt è dunque: Quale politica è abbastanza forte da ser virsi della tecnica come di un mezzo e conferirle un “senso defini tivo” ? La sua risposta è: solo una politica che politicizza tutti gli ambiti della vita nella stessa misura in cui essi sono stati neutra lizzati dall’economia e dalla tecnica». Karl Lowith: Max Weber und seine Nachfolger («MaS und Wert» [anno] III [fascicolo] 2 gen naio/febbraio 1940 p. Tl~i j,)[cfr. ora Cari Schmitt,Der Begriffdes Politischen, versione del 19^2, Berlin ic>6^jpp. p i s g ]‘ ^Ibid.,p. 268 [N.(/.T.]. ‘ CARL SCHMTTT, Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna 1972, pp. 179 sg. [N.d.T.],
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Sull’Opera d ’arte nell’epoca «Chaque style [...] moins intéressantes». Henri Focillon: Vie des formes Paris 1934 pp. 14-15 Per l’Opera d ’arte nell’epoca FociUon a proposito dell’architettura; «C’est peut-étre [...] ne fait rien». [cU Jpp. 31-32 SuU’«Opera d ’arte nell’epoca» Nietzsche: Unzeitgemàfie Betrachtungen {Considerazioni inattua li] voi. I 2a edizione, Lpz 1893 p. 164 {Vom Nutzen und Nachteil der Historie [7]) \SulVutilità e il danno della storia] «AUes Lebendige braucht [...] nicht mehr wundern». Stendhal sul declino della pittura in conseguenza del rimpic ciolirsi degli appartamenti S 6 a 2 [cfr. Scritti IX, 621] Valéry (Encyclopédie Fran9aise cit. [c£r.] 16. 59-13): «La musique et l’architecture nous font penser à tout autre chose qu’ellesmèmes». Di fronte al quadro su una parete portante l’osservatore perce pisce soprattutto la funzione del quadro: quella di ornare la pare te. Di fronte al quadro appeso a un tramezzo l’osservatore perce pisce soprattutto la funzione del tramezzo: quella di sostenere il quadro’. Per rO pera d’arte Stile Sarebbe importante cercare di stabilire da quando esiste un con cetto di stile nel senso dello storicismo. Senza dubbio anche il se colo diciottesimo conosceva il concetto di stile: per esso, quella di Medioevo gotico era un’idea corrente. Il Rinascimento aveva un’i’ Cfr. p. 267 nel presente volume [N.^.T.].
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dea dello stile classico dei greci. Quel che distingue questi concetti di stile dal nostro è il loro contenuto attuale. Il Rinascimento par tiva dalla convinzione che il modello classico fosse per esso asso lutamente valido, e che i maestri potessero eguagliarlo senza pro blemi. Al gotico barbarico del Medioevo il diciottesimo secolo con sacrava un disprezzo che implicava un confronto altrettanto immediato e attuale di quello del Rinascimento con l’antichità. Probabilmente è solo al diciannovesimo secolo che il concetto di stile ha potuto apparire sterilizzato e conservabile nel suo secolo come un preparato scientifico sotto spirito. Questo giustifiche rebbe la supposizione che solo forme deprivate di qualsiasi fun zione per la percezione possano accreditarsi come stile nel senso in cui noi lo intendiamo. Sull’Opera d ’arte nell’epoca Crisi della pittura Se è vero che il significato della pittura su tavola dipende dal ruolo funzionale della parete, ci troviamo di fronte a una circo stanza estremamente dialettica. Le mostre infatti, che per la pri ma volta fanno della ricezione dei quadri un fenomeno di massa, hanno anche per la prima volta esposto i quadri su pareti del tut to scevre di funzioni architettoniche. Elevando il tramezzo prov visorio a sostegno dell’immagine su tavola hanno anticipato una trasformazione dello spazio abitativo che avrebbe poi accentuato in maniera decisiva la crisi della pittura. L’esposizione di immagini sul cavalletto che si incontra spesso nell’interieur in stile Makart, anticipa a sua volta la loro odierna collocazione su pareti la cui funzione è atrofizzata. Sull’Opera d’arte nell’epoca Pittura e grafica Sarebbe importante compilare un inventario di quei processi che - emergendo non al centro, ma alla periferia - sono stati se gni premonitori del declino della pittura su tavola. Si tratta, in al tre parole, di processi attinenti alla tecnica espositiva e non alla tecnica di produzione.
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Il comune denominatore al quale questi processi possono veni re ricondotti sarebbe: l’atrofizzazione degli strumenti architetto nici da cui la pittura su tavola dipende. Sarebbe errato presumere che questa dipendenza riguardi soltanto l’affresco. La dipenden za funzionale dall’architettura accomuna di fondo l’affresco e la pittura su tavola. Le differenze qui riscontrabili sono soltanto di grado. L’affresco dipende da una parete particolare; il quadro su tavola dalla parete in sé. In che senso l’affresco e il quadro su ta vola siano coappartenenti e solidali risulta evidente a un confron to con la grafica. La grafica è del tutto emancipata dalla parete. Una delle conseguenze: la dimensione verticale non è più vinco lante per la grafica. Per questo, e solo per questo, la grafica si li bera dunque anche dalla casa. Naturalmente, per conservarsi, es sa necessita di un riparo come qualsiasi pittura su tavola. Ma se ri nuncia alla durevolezza non ha bisogno di preoccuparsi della verticale e una spianata di sabbia o un manto d ’asfalto. Il cielo che la pittura su tavola presenta allo spettatore si trova sempre soltanto in quella direzione in cui egli cercherebbe il cielo reale, la grafica non è legata a questo riscontro. La pittura proiet ta lo spazio sulla superficie verticale; la grafica lo proietta a pari titolo suUa superficie orizzontale. Questo determina una differenza profonda. La proiezione verticale dello spazio si rivolge esclusivamente all’immaginazione dell’osservatore; la proiezione orizzon tale dello stesso anche alle sue facoltà motorie. La grafica rappre senta il mondo in modo che l’uomo possa entrarvi dentro. L’oc chio dell’osservatore precede il suo passo. Fra pittura su tavola e una carta geografica non esiste passaggio né mediazione. Ma in ogni disegno è virtualmente contenuto il principio della proiezio ne di Mercatore. E lecito qui ricordare schemi di provenienza antichissima, qua li li disegnano i bambini con il gesso suU’asfalto - inferno, cielo, terra e simili. Il cielo in questi giochi occupa il luogo che ha nella grafica[.] La grafica non rinnega la propria solidarietà con prospetti come questo. La differenza fondamentale tra pittura e grafica, cui sono de dicate queste riflessioni, non può essere colta con la categoria di valore espositivo. Per quanto riguarda il valore espositivo, tra af fresco, pittura su tavola e grafica le differenze sono soltanto quan titative, e il massimo coincide, ovviamente, con la grafica. Per con tro, il carattere fondamentale della differenza tra pittura e grafi ca può essere definito precisamente per mezzo del concetto di valore di culto. La questione che è qui necessario sollevare è quel
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la delle corrispondenze che grafica e pittura hanno nella magia la questione dei fenomeni magici originari che possono essere rac chiusi nella grafica da un canto, nella pittura dall’altro. Bisogna qui tenere presenti due diversi fattori [-] che quel che importa è cogliere le differenze sensibili tra grafica e pittura nella forma più elementare; fsecondoj in quale luogo del corpo esse {si} rappre sentano, infatti il corpo è l’istanza centrale del magico. Per la grafica la risposta alla domanda non va cercata lontano. La linea che naturalmente esplica il suo potere magico nella di mensione orizzontale è quella del cerchio magico. In quanto linea non oltrepassabile essa intrattiene un rapporto profondamente ori ginario con la grafica, che definisce appunto un campo virtual mente accessibile. Nel cerchio magico il valore di culto della linea tocca il suo apice di intensità. Dove si troverà il valore corrispon dente per la pittura ? È chiaro che qui si potrà trattare soltanto di un fenomeno nel quale il colore ha il primato suUa linea. Si sarà dunque autorizzati, proprio per questo, a pensare piuttosto a un fenomeno di natura transitoria in opposizione al «nero» su «bian co» della grafica, alla sua figura dai confini netti. {Se si dovesse cercare un simile fenomeno nell’uomo, si offrirebbe molto signi ficativamente l’arrossire. Arrossendo l’uomo assume provvisoria mente una colorazione; una «macchia» compare sul suo volto e poi scompare nuovamente. In una parola:] Si dovrebbe in questo con testo pensare a fenomeni come quelli prodotti da una lanterna ma gica. Ci si dovrebbe domandare se [essi] possano prendere il posto della lanterna magica in qualità di fenomeni tramandati come ma gici. Si dovrebbe pensare al Die Sonne blinkt von der Schale Rand, Malt zitternde Kringel an die Wand®
di Chamisso o anche al ruolo svolto dal muro nel racconto di Poe sul gatto nero’, per non dire della parete nel palazzo di Nabucodonosor, sulla quale la scrittura compare come macchia. In breve, bisognerebbe andare a fondo della questione se ciò che distingue fondamentalmente il fenomeno pittorico come valore di culto dal fenomeno grafico non risieda in un fenomeno che potremmo for se definire come «macchia» nel senso più proprio del termine: una configurazione cromatica che compare sul muro (scaturisce da es* ADELBERT VON CHAMISSO, Die So m e brìngt es an den Tag\ «Risplende il sole dal bordo della coppa I sul muro disegna cerchi tremolanti» [N.d.T.]. ’ Cfr. EDGAR ALLAN POE, I l gatto nero, in Racconti straordinari, Sansoni, Firenze 1965 [N.i.T.].
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SOo vi viene gettata sopra) - una configurazione che, dal punto di vista magico andrebbe definita transitoria, dal punto di vista pro fano piuttosto trasferibile. L’attuale crisi della pittura, trasposta in questa prospettiva storico-filosofica, comporterebbe quindi tra sformazioni che lasciano dedurre un’atrofizzazione del medium deUa pittura, del medium in cui è di casa la macchia. Sull’Opera d’arte nell’epoca La pellicola cinematografica infinita [?], come ben dice [Sieg fried] Kracauer, rende impossibile la tragedia (determina più in ge nerale la struttura propriamente epica del film; cfr. teatro epico). [Antoine] Wiertz aveva un’opinione della pittura che appare già completamente definita a partire dal film. Cfr. Q 2, i [cfr. Scrit ti IX, 39 3l Il valore di culto (la sacralità) è da definire come aura satura di contenuto storico. Originariamente (finché fu alla base del valore di culto) l’aura era carica di storia'" Sull’Opera d ’arte nell’epoca Nella misura in cui la resa della realtà nel film diventa più «fe dele», sono destinati ad acquistare sempre più significato e forza persuasiva quegli elementi che nel film frantumano l’immagine di una realtà totale. Kracauer parte dalla giusta convinzione che nel film tutto sia sin dal principio finalizzato alla più precisa «resa della natura». I primi film presentano numeri canori. La pellicola con la soubret te è colorata. Durante la proiezione dal piatto di un grammofono suona una chanson. Il fatto che i primi agenti cinematografici provenissero da un ambiente umile e che il film venisse inizialmente portato in giro per luna park e fiere rientra anch’esso tra le importanti constata zioni di Kracauer. La foto di scena: sintesi di campione di merce e citazione. Sport: carattere di shock dell’entrata e uscita del campione dal la sfera pubblica “ Al proposito cfr. supra p. 336, Pittura e grafica [N.i/.T.].
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Funzione del canto di lavoro: non solo di crearne il ritmo, ma anche di distrarre da esso l’attenzione, di meccanizzarlo. Finché non sarà in grado di esemplificare sul film ciascuno dei suoi elementi, la teoria dell’arte dovrà sempre essere perfezionata. La distrazione del pubblico è proporzionale allo standard tec nico dell’opera d ’arte. Per questo standard si potrebbe introdur re il concetto di valore record. [Per la teoria del film va tenuto conto che nel film la differen za tra originale e riproduzione diventa superflua^” L’opera d’arte si propone di produrre distrazione in maniera re sponsabile [Lo shock che nel film determina il ritmo della ricezione de termina il ritmo della produzione nella catena di montaggio^^ Teoria della distrazione^’ Tentativo di fissare l’effetto dell’opera d’arte eliminando da es so la sacralità Esistenza parassitarla dell’arte sulla base del sacro «L’autore come produttore»‘‘‘ trascura il valore di consumo a favore del valore educativo Nel film l’opera d’arte raggiunge l’apice dell’usurabilità Nell’accelerare l’usura la moda è un fattore indispensabile I valori della distrazione vanno sviluppati a partire dal film co si come quelli della catarsi a partire dalla tragedia Distrazione e distruzione [?] come lato soggettivo e oggettivo di uno stesso processo II rapporto della distrazione con l’incorporazione va analizzato La sopravvivenza delle opere d ’arte va presentata nella pro spettiva della loro lotta per l’esistenza La loro vera umanità consiste nella loro sconfinata capacità di adattamento Il criterio della proficuità della loro azione è la comunicabilità di questo effetto Valore educativo e valore di consumo dell’arte possono con vergere in casi ottimali (in Brecht), ma difficilmente coincidono I greci conoscevano un’unica forma di riproduzione (meccani ca): la moneta Essi non potevano riprodurre le proprie opere d ’arte. Queste dovevano quindi essere durevoli. Da qui: arte eterna “ Cfr. Scn’ttì VI, p. 273, e nel presente volume p. 303 [N.
43-58 [N.i.r.].
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C o s ì c o m e l ’arte d e i g re ci n o n p o te v a p rescin d e re d alla d urata, l ’arte d e l p r e s e n te n o n p u ò p resc in d e r e d a ll’usura Q u e s ta p u ò a v v en ir e c o n d u e m o d a lità d iverse: attrav erso la sua c o n se g n a alla m o d a o attra v erso la sua tr a sfo rm a zio n e fu n z io n a le n ella p o litic a R ip r o d u c ib ilità -d istr a z io n e -p o litic iz z a z io n e V a lo re e d u c a tiv o e v a lo r e d i c o n su m o c o n v e r g o n o . C o n q u e sto si dà u n a n u o v a m o d a lità d i a p p r en d im en to L ’arte en tra in c o n ta tto c o n la m erce; la m erce e n tra in c o n ta t t o c o n l ’arte
P a ssi d i P ro u st p er l'O p e r a d ’arte n e ll’e p o ca C o n fr o n to tra il m o d o in c u i si ap p rop ria d e l te r r e n o l ’a u to m o b ile e il m o d o in c u i lo fa la fer ro v ia [A l ’o m b r e d es] J[eu n es] F[U les e n fleu rs] (2) 6 2 /5 3 A u ra. V e d i p . io a [ c f r . S critti I X , 6 2 8 ] M o m e n t o a u ra tico d e lla s t a z io n e fer r o v ia r ia S [o d o m e et] G [o m o r rh e] II (3) 6 6 /6 7 C lo ch er s d e M a r tin v ille [D u c o té d e ch ez ] S [w an n ] ( i ) 2 6 0 [La] P [riso n n ière] (2) 7 9 (2) 2 3 4 [Le] T [em p s] R [e tr o u v é ] (2) 7 é c lip se s d e la p e r s p e c tiv e d i E lstir , p rim a ch e la fo to g r a fia la re c h i c o n sé [A l ’o m b r e d es] J[eu n es] F[iU es e n fleu rs] (3) 1 0 4 la p o s té r ité d e l ’oeuvre J F ( i ) 1 4 4 m a g ie d u t é lé fo n e [L e c ò te d e] G [u e rm a n te s] I 11 9 la v ite s s e m o d ifie l ’art (e p iso d io d e ll’a u to m o b ile c o n A lb ertin e) S [o d o m e et] G [o m o rrh e] II (3) 5 4
S u ll’O p er a d ’arte n e ll’e p o ca F [ritz] N o v o tn y : C é z a n n e u n d d as E n d e d er w isse n sc h a ftlic h e n P e r sp e k tiv e W ie n (A n to n SchroU) [1 9 3 8 ] E [rw in ] P a n o fsk y : sc ritto sulla p r o sp e ttiv a [i. e. D ie P e r sp e k ti v e als sy m b o lis c h e F o r m . V o r tr à g e d er B ib lio th e k W a rb u rg , 1 9 2 4 /1 9 2 5 , 1927]*’ M o tto : « O g n i co sa sacra v ie n e sc o n sa c ra ta » , M a r x e d E n g e ls, M a n ifesto d e l p a rtito com u n ista. ERWIN PANOFSKY,
no 1982 [N.i.T.].
La prospettiva come forma simbolica e altri scritti, Feltrinelli, Mila
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S u ll’O p er a d ’arte n e ll’ep o ca « C e q u ’o n a p p elle [ ...] ans p lu s ta rd » . P rou st: A l ’o m b re d es jeu n es fille s [en fle m s ] P arìs I I p . 1 4 ^
N o t e s u i Q u a d r i d i P a rig i d i B a u d e la ir e
L o stu d io d i u n c o m p o n im e n to p o e t ic o si p r e fig g e s o v e n te d i far en tra r e il le tto r e in sin to n ia c o n d e te r m in a ti sta ti d ’a n im o d el p o e ta , d i far p a rtecip a re i p o ste r i ai tra sp o rti c h e e g li si p e n sa ab b ia c o n o sc iu to . P er ta le stu d io si p o tr e b b e p erò c o n c e p ir e u n o sc o p o lie v e m e n te d iffe r e n te . P er d e fin ir lo in te r m in i p o s it iv i, si p o tr e b b e ricorrere a u n ’im m agin e: si p o tr e b b e im m a g in a re c h e u n a sc ie n z a le g a ta al d iv e n ir e so c ia le c o n sid e r i u n ’o p era p o e tic a - la q u ale c o s titu is c e u n m o n d o a p p a r en te m e n te a u to s u ffic ie n te - c o m e u n a so rta d i c h ia v e co str u ita se n z a aver m in im a m e n te id e a d e l la serratu ra in c u i u n g io r n o e ssa v e r r e b b e in tr o d o tta . In ta l ca so q u e s t’o p era si v e d r e b b e r iv e s tita d i u n s ig n ific a to c o m p le ta m e n te n u o v o a p a rtire d a ll’e p o c a in c u i u n le tto r e , o m e g lio u n a g en er a z io n e d i n u o v i le tto r i, si a cc o rg e sse d i q u ella ch ia v e vir tu a le . P er lo r o , le b e lle z z e e s se n z ia li d i q u e s t ’o p era fa ra n n o t u t t ’u n o c o n u n v a lo r e su p rem o . E ssa farà lo ro c o m p re n d er e, a ttra v erso U te s to , a sp e tti d i u n a realtà c h e sarà la lo ro ste ssa , a n z ic h é q u ella d e l p o e ta sco m p a rso . Q u e s t i le tto r i n o n si p riv e ra n n o sic u r a m e n te d i ta le u tilità su p rem a, a tte sta ta - p er lo r o - d a ll’o p era in q u e stio n e . D i c o n se g u e n z a n o n si p riv e ra n n o n ep p u re d e i p r o c e d im e n ti d e l l ’a n a lisi c h e li fa ra n n o fa m ilia rizza re c o n essa. Il c ic lo d e i Q u a d ri d i Parigi d i B a u d e la ir e è l ’u n ic o a figu rare n e i F iori d e l m a le so lta n to a p a rtire d alla se c o n d a e d iz io n e . In e s so è fo r se p o ssib ile ra v v isa re c iò c h e in B a u d ela ire è m atu rato p iù le n ta m e n te e c h e , p er sb o cc ia re , h a r ic h ie s to il m a g g io r n u m er o d i e s p e r ie n z e e s se n z ia li. M e g lio d i q u a lsia si altro t e s to , q u e sto cic lo p o e t ic o c i fa se n tir e q u a li rip e r c u ssio n i p o te sse r o a v ere le p rim e a v v isa g lie d ella v ita m o d e rn a , in u n a g ra n d e c ittà , su u n a se n sib i lità fra le p iù d e lic a te e d alla fo r m a z io n e co m p lessa . T a le era la se n sib ilità d i B a u d ela ire. E s sa g li è v d s a u n ’e s p e r ie n z a c h e reca l ’im p r o n ta d e ll’o rig in a lità esse n z ia le . E il p r iv ile g io d i ch i, p e r p ri m o , h a m esso p ie d e su u n a terra in esp lo r a ta e c h e n e h a tr a tto , p er le su e a n n o ta z io n i p o e tic h e , u n a r ic c h e z z a n o n so lta n to sin golare,
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m a a n ch e d i p o rta ta stu p e fa c e n te . T a le p o rta ta n o n è sta ta p er n u l la p r e v e d ib ile sin d a ll’in iz io . N e o ffr o n o la rip rova ta lu n i tra tti le g giad ri n o n m e n o c h e s ig n ific a tiv i n e i q u ali è d iffic ile in tr a v v e d e r e c h e e s si a vreb b ero c o lp ito il le tto r e d e l x ix se c o lo . O g n i e sp e rie n za orig in a ria , in fa tti, m a n tie n e n e l p ro p rio se n o ta lu n i g er m o g li c h e so n o p ro m essi a u n o sv ilu p p o u lte rio re . D u n q u e in q u e ste b r e v i n o te si tratterà, p iù ch e d i far riv iv e r e il p o e ta n e l su o a m b ie n t e , d i ren d er e v is ib ile , g ra zie ad alcu n i c o m p o n im e n ti, l ’a ttu a lità straord in aria d ella P arigi d i c u i B a u d elaire p er p rim o fe c e l ’e s p e r ien za p o e tic a . P er a p p rossim arsi al p ro b lem a , si p o tr à p artire d a u n fa tto p a r a d o ssa le, s o ttilm e n te p e r c e p ito d a P a u l D esja rd in s. « B a u d e la ir e - e g li d ic e - è p iù in te n t o a far rien tr a re l ’im m a g in e n e l r ico r d o c h e a orn arla e a d ip in g e r la » . E f f e t tiv a m e n t e B a u d e la ir e, la c u i o p era è c o s ì p r o fo n d a m e n te im p r e g n a ta d e lla m e tr o p o li, n o n la d ip in g e o d e sc r iv e a ffa tto . S ia n e i F iori d e l m a le sia in q u e s ti Voem i in pro sa c h e , tu tta v ia , n e l lo r o tito lo o rig in a rio L o spleen d ì P a rigi e in ta n ti p a ssi e v o c a n o la c ittà , si c e r c h e r e b b e in v a n o il m i n im o c o r r isp e ttiv o d e lle d e s c r iz io n i d i P a rig i c h e a b b o n d a n o in v e c e in V ic to r H u g o . C i s i rico rd erà d ella fu n z io n e s v o lta d alla d e s c r iz io n e m in u z io sa d ella m e tr o p o li in c e r ti p o e t i p iù r e c e n ti, so p r a ttu tto d ’isp ir a z io n e so c ia lista , e si n o te rà ch e t e s s e r s e n e p ri v a ti c o s tit u is c e u n o d e i m o tiv i c h e fo n d a n o l ’o rig in a lità b a u d elairian a. Q u e s t e d e sc r iz io n i d ella m e tr o p o li si a cco rd a n o d i b u o n grad o c o n u n a ce rta f e d e n e i p r o d ig i d ella c iv iltà , c o n u n id e a li sm o p iù o m e n o n e b u lo so . L a p o e sia d i V er h a e r e n è ricca d i tra t t i d e l g en ere: E che importano le sofferenze e le ore folli E i tini di vizio in cui la città fermenta Se un giorno, dal fondo delle nebbie e dei veli Sorge, scolpito nella luce, un nuovo Cristo Che solleva verso di sé l’umanità E la battezza al fuoco di stelle nuove^ ?
N uU a d i sim ile in B a u d ela ire. P u r su b e n d o la su g g e stio n e d ella m e tr o p o li, « in c u i t u t to , p e r sin o l ’orrore, si v o lg e agli in c a n te si m i» , eg li c o n se rv a u n n o n so c h e d i d isin c a n ta to . P er lu i P arigi è « q u e st'a m p ia p ia n a in cu i il fr e d d o v e n to si sfr e n a » , so n o « le ca se d i c u i la b ru m a allu n ga va l ’a lte z z a » , sim u la n d o « le d u e b a n ch i' EMILE VERHAEREN, Les vtlles tentacukires'. «Et qu’importent les maux et Ics heures démentes I E t les cuves de vice où la cité fermente I Si quelque jour, du fond des brouillards et des voiles I Surgit un nouveau Christ, en lumière sculpté I Qui soulève vers lui l’humanité I Et la babtise au feu de nouvelles étoiles» [N.d.T.].
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n e d i u n fiu m e a u m e n ta to » , è l ’a m m u cch iarsi d i « p a la z z i n u o v i, im p a lca tu re, m assi, v e c c h i q u a r tie ri» , è so p r a ttu tto la c ittà c h e sta p er scom parire: La vecchia Parigi non è più (più veloce del cuore di un mortale
Ahimè, cambia la forma d’una città)^. L ’a s p e tto d e lla c ittà , in e f f e t t i, aU’e p o c a d i B a u d e la ir e stava m u ta n d o c o n u n a ra p id ità straord in aria. N o n si d e v e d im e n tic a re ch e l ’o p era d i H a u ssm a n n , i su o i lu n g h i tr a c cia ti c h e n o n si p r e o c cu p a v a n o d i alcu n a c o n sid e r a z io n e sto rica , eran o f a tti p ro p rio p er c o s tit u ir e u n te r r ib ile m e m e n to m o rì r iv o lt o alla s te ssa P a rig i e isc r itto n e l c u o re s te sso d ella c ittà . Q u e ll’o p era d istr u ttr ic e , p er q u a n to p a cific a , illu stra v a p er la p rim a v o lta e su l co rp o d ella c ittà ste ssa il p o te r e d e ll’a z io n e d i u n sin g o lo in d iv id u o al f in e d i an n ien ta r e c iò c h e era sta to e r e tto d a in te r e g e n e r a z io n i. N e i Q u aà rì d i P arigi n o n m a n c a u n s e n tim e n to p r e m o n ito r e d e ll’en o rm e p rec a rietà d e i g ran d i c e n tr i u rb an i. Il b r iv id o n u o v o d i cu i B a u d e la ire, d o p o H u g o , a v reb b e d o ta to la p o e sia è d i ap p ren sio n e. L a P arigi d i B a u d ela ire è p e r c o s ì d ire u n a c ittà m in a ta , fra g i le , c h e si v a e s tin g u e n d o . N e s s u n altro p o e m a l ’h a d e t to c o n al tr e tta n ta b e lle z z a c o m e II so le , c h e la m o str a a ttraversata d a raggi c o m e u n v e c c h io te s s u to p r e z io so e lo g o r o . E il v eg lia rd o , im m a g in e su c u i si c h iu d e q u e l ca n to d ella d e c r e p ite z z a c h e è C repu sco lo d e l m a ttin o , U v e g lia rd o c h e g io r n o d o p o g io r n o c o n ra ssegn a z io n e si r im e tte al la v o r o , è l ’allegoria d ella città: stropicciandosi gli occhi tornava al suo lavoro Parigi, cupo v e^ a rd o laborioso’.
P er P arigi p ersin o g li esseri e le t t i so n o d e c r e p iti. N e lla foUa im m e n sa d e i c itta d in i, le v e c c h ie sig n o re so n o le u n ic h e a essere tra sfig u ra te d alla lo r o d e b o le z z a e d alla lo r o d e d iz io n e . S o lta n to u n le tto r e c h e a b b ia c o m p re so il s ig n ific a to d ella ca n c e lla z io n e d ella c ittà n ella p o e sia u rb an a d i B a u d e la ir e p o tr à in tr a v v e d e r e il s ig n ific a to d i ce r ti v er si c h e v a n n o c o n tr o ta le c o m p o r ta m e n to . In B a u d ela ire, la d isc r e z io n e neU ’ev o c a re la c ittà n o n e s c lu d e il tr a tto carica tu ra le, e a d d irittu ra l ’esa g e r a z io n e . C o m e n e l v e r so in iz ia le d e l s o n e t to A una passante: ^ CHAJILES BAUDELAIRE, Le cygne: «Le vieux Paris n ’est plus (la forme d’une ville I Change plus vite, hélas ! que le coeur d ’un mortel) ». [Salvo diversa indicazione, per la traduzio ne delle poesie di Baudelaire si è fatto riferimento a C h a r l e s b a u d e l a i r e , I fiorì del male, Einaudi, Torino 1999; per i testi in prosa al volume Opere cit.]. [N. d. T.] ^m ., Ifiori del male eh., p. 171 (Le crépuscule du matin: «Et le sombre Paris, en sefrottant les yeux, I Empoignait ses outUs, vieiUard laborieux») [N.(/.T.].
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Scritti
Ero per strada, in mezzo al suo clamore^.
N o n era so lta n to u n a c c e n to a sso lu ta m e n te n u o v o n ella p o esia lirica (a cc en to la c u i fo r z a è ra d d o p p ia ta d al fa tto c h e e s so sia p o sto a ll’in iz io d i u n p oem a); v i si a g g iu n g ev a il f a tto c h e ta le frase, p resa c o m e u n se m p lic e e n u n c ia to , ap pariva d i u n ’a rd itez za p r o v o ca to r ia . C e r to , p er n o i c h e sia m o a b itu a ti ai ru m ori in in te r r o t t i d e i cla c so n n e lle n o str e v ie , q u ella c o n sta ta z io n e n o n h a nuUa d i stran o. M a q u ale d e v ’e sse r e sta ta p er i c o n te m p o r a n e i d e l p o e ta , e c o m ’è stran a q u ella c o n c e z io n e d ella P a rig i d e l 1 8 5 0 d a c u i essa d eriv a v a ! In q u e sto p o e m a , la sin g o la rità d ella c o n c e z io n e v a d i pari p a sso c o n la p ad ron an za p o etica . S i è in d iritto d i v e d e r v i u n ’e v o c a z io n e p o s s e n te d ella fo lla . D ’altra p a rte, in ta le p o e sia n o n c ’è u n so lo p a sso ch e v i fa cc ia a llu sio n e, a m e n o n a tu ra lm en te d i v o lerla tro v a re n ella su a en ig m a tic a frase in iz ia le . A ta l p u n to è v e ro ch e B a u d ela ire n o n d e sc r iv e 0 d ip in g e . P er i Q u a d ri d i P arigi si p u ò parlare eli u n a p resen za segreta d e l la fo lla . B a n za m acabra, I l crepu scolo d ella sera. L e vecc h iette n e so n o a ltre tta n te ev o c a zio n i. L a fo lla im m e n sa d e i su o i p a ssa n ti c o s ti tu isc e il v e lo flu ttu a n te attraverso c u i il p ro m en eu r - il p asseggiatore - p a rig in o v e d e la c ittà . D ’altro c a n to le n o ta z io n i su lla fo lla , su prem a fo n te d i isp ira zio n e e d i eb b rez za p er il p assa n te solitario, n o n m an can o n ep p u re n e i D ia ri in tim i. P iù ch e riferirci a q u e sti p a s si m er ite re b b e forse rileggere il p asso m agistrale in cu i P o e ev o c a la folla. In q u e sti p rim i te n ta tiv i d i re stitu ir e la fisio n o m ia d elle m e tro p o li si ritroverà il v alore d iv in a to r io d e ll’esagerazion e. « L a m ag gior p arte d i q u elli c h e p a ssa v a n o a v ev a n o l ’a sp etto d i g e n te so d d i sfa tta d i sé e so lid a m en te in stallata n ella v ita . P areva c h e p en sa sse ro so lo ad aprirsi il varco tra la fo lla . A g g ro tta v a n o le sop racciglia e g etta v a n o o c c h ia te d a tu tte le p arti. S e rice v ev a n o u n c o lp o d ai p a ssa n ti p iù v ic in i, n o n si sc o m p o n e v a n o , m a si ria ssetta v a n o le v e sti e si a ffretta v a n o oltre. A ltri, e an ch e q u e sto gruppo era n u m e ro so , si m u o v e v a n o sc o m p o sta m e n te, av ev a n o il v iso a cceso, parla va n o fra sé e g estic o la v a n o , co m e se prop rio n ella fo lla in n u m e re v o le c h e li c irc o n d a v a si s e n tisse r o p e r fe tta m e n te so li. Q u a n d o d o v e v a n o ferm arsi, ce ssa v a n o im p r o v v isa m en te d i m orm orare, m a in te n sific a v a n o le loro g estic o la z io n i, e a sp etta v a n o , c o n u n sorri so a sse n te e fo r z a to , ch e fo sser o p a ssa ti q u elli ch e li osta co la v a n o . Q u a n d o eran o u rtati, sa lu tavan o p ro fo n d a m e n te q u elli d a cu i a v e v a n o ric e v u to il cb lp o, e p arev a n o e str em a m e n te c o n fu s i» ’. ^Ihià., p. 151 (A unepassante: «Larueassourdissanteautourdem oihurlait») [N.ii.T.]. ’ EDGAR ALLAN POE, L ’uomo della fo lk , in m .. Tutti i racconti del mistero, dell'incubo e del terrore, Newton Compton editori, Roma 1989 [N. d. T.].
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È d iff ic ile co n sid er a re q u e sto p a sso c o m e u n a d e sc r iz io n e n a tu ra listica . T u tta v ia q u e l p a ssa n te c h e si tr o v a im m e rso n ella f o l la e d è e s p o sto a e sser e sp in to o tr a v o lto d alla g e n te c h e si a ffr e t ta in t u t te le d ir e z io n i è u n a p r e fig u ra z io n e d e l c itta d in o o d ie r n o , q u o tid ia n a m e n te tr a v o lto d a lle n o tiz ie d e i g io r n a li e d alla ra d io e d e s p o s to a u n a serie d i sh o c k c h e to c c a n o a v o lt e i fo n d a m e n ti d e l la su a s te ssa e s iste n z a . Q u e s t ’a p p e r c e z io n e d iv in a to r ia p r e s e n te n ella d e sc r iz io n e d i P o e è sta ta fa tta su a da B a u d ela ire. Il q u a le è a n d a to p ersin o p iù lo n ta n o : eg li h a a v v e r tito la m in a ccia c h e le f o l le d ella m e tr o p o li ra p p resen ta n o p er l ’in d iv id u o e p e r il su o r e sta re ap p artato o in d isp a r te. U n d o c u m e n to sin go lare e sc o n c e r ta n t e , P erd ita d ’au reo la , è fr u tto d e lle su e an gosce; « M io caro, v o i c o n o sc e te il terrore ch e h o d e i cavalli e d elle car ro zze. P o c o fa, m en tre attraversavo d i gran prem u ra il b o u lev ard , e saltellavo n ella m elm a, in m e z z o a q u e sto caos fren etico d o v e la m or te accorre al galo p p o d a tu tte le p arti in u n sol te m p o , la m ia aureo la, a u n m o v im e n to b ru sco , m i è sciv olata d i te sta n ella fangh iglia d e l m acad am . N o n h o av u to il coraggio d i raccoglierla. H o giu d ica to m en o orrib ile p erd ere le m ie in seg n e ch e farm i sp ezzare le o ssa » ‘. S i p o tr e b b e r o cita re a q u e sto p r o p o sito a lcu n e c o n sid e r a z io n i d e i critici p iù accorti. G id e , e d o p o d i lu i Jacq u es Rivière^, h a n n o in sistito su ta lu n i sg o m e n ti in tim i, su ta lu n i scarti su b iti d al v er so b a u d elairian o n ella sua stru ttura. « S tr a n a fila d i p a ro le » , d ice R i v iè re . « A v o lte c o m e u n a fa tic a d ella v o c e u n a p arola se n z a vigore: E i fiori nuovi che sogno, chi io sa Se in quei detriti d ’alluvione troveranno Il mistico alimento che può dargli vigore?»*.
O p p u re: Cibele, che li ama, moltìplica il suo verde^.
S i p o tr e b b e ag g iu n g ere il c e le b r e in iz io d e l p o em a La serva dal gran cuore di cui eri gelosa.
S e d o v e s s e apparire tem er a rio a cco sta re q u e ste in g e n u ità m e tr ic h e d e ll’esp e r ie n z a d e l p a sseg g ia to r e so lita r io n ella foUa, b a s te r e b b e riferirsi a q u a n to scriv e 5 p o e ta ste sso . S i le g g e in fa t t i nel‘ m . , Pèrdita d ’aureola,
i n ID ., Opere c i t . , p . 461 [N.d.T.]. Etudes, Paris 1948“ , p . 14 [N.d.T.]. BAUDELAIRE, I fiori del male cit., p. 25 (Bénédictìon: «Et qui sait si les fleurs
’ JACQUES RIVIÈRE,
‘ CHARLES
nouvelles que je rève 1Trouveront dans ce sol lave comme une grève I Le mystique aliment qui ferait leur vigueur ?») [N. d. T.]. ’ Ibid., p. 27 («Cybèle, qui les aime, augmenteses verdura») [N.ii.T.].
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la d e d ic a d e i P o e m e tti in prosa: « C h i tra n o i n o n h a, n e i su o i g io r n i a m b iz io si, so g n a to il m ira c o lo d i u n a p ro sa p o e tic a , m u sica le se n z a r itm o e se n z a rim a, c o s ì d u ttile e r ise n tita d a ad egu arsi ai m o v im e n ti liric i, agli q n d u la m en ti d ella fa n ta stich er ia , ai sop ras sa lti d ella c o s c ie n z a ? E so p r a ttu tto d alla fr e q u e n ta z io n e d i c ittà en o rm i, d a ll’in cr o cia r si d e i lo r o in n u m e r e v o li rap p orti c h e n a sce q u e s to id e a le ossessionante»*". D ic e v a m o d e l p a sseg g ia to r e so lita rio . S o lita rio , B a u d ela ire lo è sta to n e ll’a c c e z io n e p iù a tro c e d e l te r m in e. « S e n tim e n to d i so li tu d in e , d a ll’in fa n z ia . N o n o s t a n te la fa m ig lia - e in m e z z o ai c o m p a g n i, so p r a ttu tto - s e n tim e n to d i u n d e s tin o e te r n a m e n te solitar io » “ . Q u e sta s e n sa z io n e , al d i là d e l su o sig n ific a to in d iv id u a le , h a u n ’im p r o n ta so c ia le . P o tr à g io v a r e, p er m ette rla in e v id e n z a , u n a b r e v e d ig re ssio n e. N e lla so c ie tà fe u d a le c o s titu iv a u n p riv ile g io g o d ere d i m o m e n t i d i o z io . U n p riv ile g io n o n s o lo d i f a tto , m a an ch e d i d ir itto . N e l la so c ie tà b o rg h ese le c o s e sta n n o d iv e r sa m e n te . L a so c ie tà fe u d a le p o te v a rico n o sce re ta n to p iù a g e v o lm e n te il p riv ileg io d e ll’o z io ad a lcu n i d e i p rop ri m em b r i in q u a n to d isp o n e v a d e i m e z z i p er n o b ilita r e q u e ll’a ttitu d in e , p e r fin o d i trasfigurarla. L a v ita d i c o r te e la v ita co n te m p la tiv a c o s titu iv a n o co m e d u e m a trici n e lle q u ali tro v a v a n o p o s to g li o z i d e l gran sign ore, d e l p rela to e d e l gu erriero. S im ili a tte g g ia m e n ti, q u e llo d e llo sp e tta c o lo e q u e llo d ella d e v o z io n e , si a d d ic ev a n o al p o e ta d i ta le so c ie tà e la sua op era li g iu sti ficava. S criv e n d o , il p o e ta m a n tie n e u n c o n ta tto , p e r lo m e n o in d i r e tto , c o n la re lig io n e o c o n la co r te , o p p u re c o n en tra m b e (V o lta i re, il p rim o ad aver r o tto d elib e ra ta m e n te, tra i le tte r a ti in v ista , c o n la C h iesa , si assicu ra u n r ifu g io p resso il sovran o d i Prussia). N e lla so c ie tà fe u d a le , g li o z i d e l p o e ta so n o u n p riv ile g io r ic o n o sc iu to . V ice v er sa , u n a v o lta c h e la b o rg h esia sia al p o te r e , il p o e ta si tro v a a e sser e lo sfa c c e n d a to , l ’« o z io s o » p er e c c e lle n z a . Q u e sta s itu a z io n e n o n h a m a n c a to d i p ro v o ca r e u n a c o n fu s io n e n o n in d iffe r e n te . N u m e r o si fu r o n o i te n ta tiv i d i sfu g g irv i. I ta le n ti ch e m a g g io rm en te si sv ilu p p a r o n o - L am artin e e V ic to r H u g o - fu r o n o q u e lli c h e si s e n tiv a n o p iù a p ro p rio a gio n ella lo r o v o c a z io n e d i p o eti: e s si si ritro v a ro n o c o m e in v e s t it i d i u n a d ig n ità assolu tam e n te in ed ita ; eran o in q u a lc h e m isu ra i sa c er d o ti la ic i d ella b o r g h esia . A ltr i, c o m e B éran ger e P ierre D u p o n t, si a cc o n te n ta v a n o d i so llec ita r e il co n c o r so d ella m e lo d ia fa c ile p er assicu rare la lo ro Ad Arsene Houssaye, in Opere cit., pp. 385-86 [N.i.T.]. “ m., Il mio cuore messo a nudo, ibid., p. 1420 [N.d.T.].
“ iD .,
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p o p o la r ità . A ltr i an cora, fra c u i B a rb ier, fe c e r o p rop ria la cau sa d e l Q u a r to sta to . A ltr i in fin e , c o m e T h é o p h ile G a u tie r e L e c o n te d e l ’I sle , si rifu g ia r o n o ncW-’a r tp o u r l ’art. B a u d ela ire n o n è riu sc ito a im p eg n a rsi in n essu n a d i q u e ste v ie . L o h a b e n d e t to V a léry n ella su a c e le b r e S itu a tio n d e B a u d ela ire [C o n d iz io n e d i B a u d elaire], in c u i si legge; « I l p ro b lem a d i B a u d e laire d o v e v a p o rsi n e l m o d o seg u en te: e sser e u n gran d e p o e ta , m a n o n essere n é L a m artin e, n é H u g o , n é M u sse t. N o n in te n d o d ire c h e ta le in te n to fo sse q u a lco sa d i c o n sa p e v o le , e s so era tu tta v ia n e c e ssa r ia m e n te in B a u d e la ir e , e c o s titu iv a a n c h e e s s e n z ia lm e n te B au d elaire. E ra la su a rag io n d i s t a to »^^ S i p u ò d ire ch e B a u d e la i re, d i fr o n te a u n sim ile p ro b lem a , fe c e la sc e lta d i p ortarlo d in a n zi al p u b b lic o . E g li p rese la r iso lu z io n e d i o ste n ta r e la p rop ria e si ste n z a o z io sa o im p r o d u ttiv a , p riv a d i id e n tità sociale; si f e c e u n p o rta b a n d iera d e l p rop rio iso la m e n to sociale: d iv e n n e u n flà n eu r. A n c h e p er q u e sta a ttitu d in e , c o m e p er tu t te le altre a ttitu d in i e s se n z ia li d i B au d elaire, appare im p o ssib ile e v a n o ripartire c iò ch e d i g ra tu ito e d i n ece ssa r io , d i sc e lto e d i su b ito , d i a r tific io so e d i n a tu rale, esse c o m p o rta v a n o . N e lla fa ttis p e c ie , q u e sto g arb u glio d ip e n d e dal fa tto c h e B au d elaire e le v ò l ’in a ttiv ità , l ’o zio sità , al ran g o d i u n m e to d o d i la v o r o , d el p rop rio m e to d o d i la v o ro . E risa p u to c h e in vari p e r io d i d ella sua v ita eg li n o n c o n o b b e , p er co sì d ire, ta v o lo d a la v o ro . F u a g en d o d a f ld n e u r c h e eg li creò, m a s o p r a ttu tto rim a n eg g iò in c e ssa n te m e n te i p rop ri versi: Lungo i vecchi sobborghi, che a lussurie segrete D ietro imposte cadenti dànno asilo, quando raddoppia il sole i suoi dardi crudeli sulla città e sui campi, sui tetti e sulle spighe, alla mia scherma fantastica m ’esercito, fiutando a ogni angolo gli azzardi della rima, e come in sassi incespico in parole per imbattermi, a volte, in un verso sognatb^^.
È il flà n e u r B a u d ela ire a fare l ’esp e r ie n z a d e lle foU e d i c u i ab b ia m o d e tto . V i to rn ia m o p er d are risa lto a u n altro d i q u e i co lp i d i so n d a c h e eg li p o rta v a n e lle p r o fo n d ità d ella v ita c o lle ttiv a . U n a “ Cfr. PAUL VALÉRY, CEuvres, edizione a cura di Jean Hytier, voi. I, Gallimard, Paris 1957, p. 600 [N.i.T,]. CHARLES BAUDELAIRE, I fiori del male d t., p. 135 (Le sokih «Le long du vieux faubovirg, Oli pendent aux masures I Les persiennes, abri des secrètes luxures, I Quand le soleil cruel frappe à traits redoublés I Sur la ville et les champs, sur les toits et les blés, IJe vais m’exercer seul à ma fantasque escrime, I Flairant dans tous les coins les hasards de la rime, I Trébuchant sur les mots comme sur les pavés, I Heurtant parfois des vers depuis longtemps révés ») [N. T.].
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d e lle p rim e r e a z io n i d e ter m in a ta d al fo rm a rsi d elle fo lle in se n o al le g ra n d i c ittà fu il fa v o r e in c o n tr a to d a q u elle ch e v e n iv a n o ch ia m a te le « f is io lo g ie » . E r a n o lib r ic in i d a p o c h i so ld i il c u i a u to r e si d iv e r tiv a a cla ssific a re d e i tip i in b a se alla lo ro fisio n o m ia e a c o g liere al v o lo ta n to il ca ra ttere q u a n to le o c c u p a z io n i e il c e to so c ia le d i u n p a ssa n te a ca so. L ’o p era d i B a lza c o ffr e m ille e s e m p i d i s iffa tta m an ia. S i dirà c h e si tra tta v a d i u n a p ersp ica cia assai illu soria. Illu so r ia lo era e ffe ttiv a m e n te . M a c ’è u n in c u b o c h e le co r r isp o n d e , e d e s so - d al c a n to su o - appare c o m e m o lto p ili d e c is i v o . Q u e s t ’in c u b o sa r eb b e d i v e d e r e i tra tti d is tin tiv i c h e , d i p r i m o a c c h ito , p a io n o gara n tire l ’u n ic ità , l ’in d iv id u a lità str e tta d i u n p e r so n a g g io , rivelare a lo r o v o lta i tr a tti c o s titu tiv i d i u n tip o n u o v o c h ia m a to a sta b ilire u n a n u o v a s u d d iv isio n e . C o sic c h é si m a n i fe ste r e b b e , n e l cu o re d ella flà n e rie , u n a fa n ta sm a g o ria a n g o scia n te. B a u d ela ire l ’h a sv ilu p p a ta p o te n te m e n te n e J se tte vecch ion i: D i colpo, un vecchio, che per gialli stracci Faceva a gara col cielo piovoso, tale che di elemosine l ’avrebbero coperto se cattiveria nei suoi occhi non avesse brillato, mi comparve davanti.
[...] Un altro lo seguiva; barba, schiena, bastone, stracci, sguardo, ■ niente lo distingueva dal primo, scaturito, gemello centenario, da un solo inferno; andavano, spettri barocchi, in coppia verso una meta ignota. In che infame complotto ero dunque caduto, o che perfido caso mi umiliava? D i minuto in minuto la moltiplicazione di quel vecchio sinistro fino a sette m’accadde di contare^"*!
L ’in d iv id u o c o s ì p r e s e n ta to c o m e sem p re id e n tic o n e l su o m o l tip lica r si fa p erc ep ir e l ’a n g o scia ch e il c itta d in o p ro v a n e l n o n p o ter p iù ro m p er e il ce rc h io m a g ico d e l tip o , m algrad o la m essa in op era d e lle sin golarità p iù e c c e n tr ic h e . C erch io m a g ico c h e è g ià su g g er ito d a P o e n ella sua d e sc r iz io n e d ella foUa. L e p erso n e d i cu i la v e d e co m p o sta ap p a io n o co m e so g g e tte a d e g li a u to m a tism i. D e l “ Ibid., p. 143 (Les septvieillards: «Tout à coup, un vieillard dont les gueniUes jaunes I Imitaient la couleur de ce del pluvieux, I E t dont l’aspect aurait fait pleuvoir les aumònes, I Sans la méchanceté qui luisait dans ses yeux, 11 M’apparut. [...] I Son pareil le suivait: bar be, oeil,dos bàton, loques, I Nul trait ne distinguait, du méme enfer venu, I Ce jumeau centenaire, et ces spectres baioques I Marchaient du méme.pas vers un but inconnu. Il A quel complot infame étais-je donc en butte, I Ou quel méchant hasard ainsi m’humiliait? I Car je comptai sept fois, de minute en minute, I Ce sinistre vieillard qui se multipliait! ») [N .d.T.l
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re sto è la c o s c ie n z a d i q u e s t’a u to m a tism o str e tta m e n te re g o la to , d i q u e sto ca rattere r ig o ro sa m en te tip ic o , u n a c o s c ie n z a le n ta m e n te a cq u isita e sa ld a m e n te sta b ilita , a p e r m e tte r e lo r o , in cap o a u n se c o lo , d i gloriarsi d i u n a d isu m a n ità e d i u n a cru d eltà in a u d ite. S i d ire b b e c h e, a tr a tti, B a u d e la ir e ab b ia a fferra to a lcu n i tr a tti d i q u e sta d isu m a n ità fu tu ra. S i le g g e n e i R a z zi: « I l m o n d o sta p er f i n ire [ .. .] Io c h ie d o a o g n i u o m o p e n sa n te t u t ti c o lo ro c h e p e n sa n o d i m o stra rm i c iò c h e su ssiste an cora d ella v ita [ .. .] M a n o n è p ar tic o la r m e n te attra v erso is titu z io n i p o litic h e c h e si m a n ife ste r à la ro v in a u n iv e rsa le [ ...] sarà attra v erso l ’a v v ilim e n to d e i cu o ri. H o fo rse b iso g n o d i d ire c h e il p o c o c h e resterà d i p o litic a si d ib a tterà fa tic o sa m e n te fra le s tr e tte d e ll’a n im a lità g en er a le , e c h e i g o v e r n i saran n o fo r z a ti, p er reg g ersi e m a n ten er e u n o sp ettr o d i o rd i n e , a ricorrere a m e z z i c h e fa re b b er o ra b b riv id ire l ’u m a n ità o d ie r n a, p er q u a n to c o s ì in d u r ita ? [ .. .] F o rse q u e sti te m p i so n o p r o ssi m i; c h i sa se n o n sian o a d d irittu ra g ià v e n u ti, e se l ’isp e s sim e n to d ella n o str a n atu ra n o n sia il so lo o s ta c o lo c h e c i im p e d isc e d i ap p rez za r e l ’a m b ie n te n e l q u ale resp iria m o » ^ . N o n siam o già c o sì m alm essi per co n v e n ir e su ll’esa tte z z a d i q u e ste frasi. C i so n o fo rti p ro b a b ilità ch e e sse gu ad agn eran n o in la ti fu n e sti. F o rse la c o n d iz io n e d i ch ia ro v eg g en za da esse d im ostrata era m o lto m e n o u n a d o te d i o sserv a to re ch e n o n p iu tto s to l ’irrim e d ia b ile sc o n fo r to d i c h i è solitario in m e z z o alle foUe. È fo rse tro p p o ard ito so sten er e c h e si tratta d elle m ed esim e foUe c h e, a i g iorn i n o stri, so n o p lasm ate d ai d itta to r i? Q u a n to alla fa c o ltà d ’in travved ere, in q u elle foU e asservite, an ch e d e i n u clei d i r e siste n z a - n u c lei fo r m a ti d a lle m asse riv o lu zio n a rie d el Q u a r a n to tto e d ai C o m un ard i - , essa n o n era co n cessa a B au delaire. F u in fa tti la d isp e ra z io n e il risca tto d i q u e sta se n sib ilità c h e, a ffro n ta n d o p er p rim a la città , n e fu afferrata d a u n b riv id o ch e n o i, d i fr o n te a m in a cce m u ltip le, p o c o p recise, n o n sap p iam o n ep p u re p iù sen tire. ID., Il mio cuore messo a nudo, in Opere cit., p. 1404 [N. d. T.].
C h e c o s ’è il t e a t r o e p ic o ? [ s e c o n d a ste s u r a ]
I. I l p u b b lic o rilassato. « N o n c ’è n u lla d i p iù b e llo c h e stare sd raiati su u n so fà e le g g er e u n r o m a n z o » , d ic e u n n arratore d e l se c o lo sco rso . C iò su g g e r isce f in o a q u a le p u n to d i r ila ssa m en to u n ’o p era d i n arrativa p o s sa p o rta re il fru ito r e. L ’id e a ch e si h a c o m u n e m e n te d i c h i a ssiste a u n d ram m a è p ressa p p o co il con trario. C i si im m a g in a u n u o m o c h e se g u e u n su c c ed er si d i e v e n t i, p r o fo n d a m e n te te s o in t u t te le su e fib r e . Il c o n c e t to d i te a tr o e p ic o (ch e B r e c h t h a ela b o r a to t e o r izz a n d o la sua p rassi p o etica ) im p lica sp ec ia lm en te c h e q u e sto te a tro e s ig e u n p u b b lic o rila ssa to , in grad o d i segu ire l ’a z io n e c o n d i sta cc o . C e r to , q u e sto p u b b lic o si p r e sen te rà sem p re c o m e u n c o l le t t iv o , e c iò lo d is tin g u e d a l le tt o r e , c h e è s o lo c o l su o te s t o . In o ltr e , e a p p u n to in q u a n to c o lle ttiv o , q u e sto p u b b lic o si v ed rà in g en er e in d o t t o a u n a p r o n ta p resa d i p o s iz io n e . M a q u e sta p re sa d i p o s iz io n e , r itie n e B r ec h t, d o v r e b b e essere r iflessa e q u in d i rilassata; in b reve; la p resa d i p o s iz io n e d i p erso n e c o in te r e ss a te . P er la lo r o p a r te c ip a z io n e è p r e v isto u n d u p lic e o g g e tto . A n z it u t to g li e v e n ti; e s si d e v o n o e sse r e d i u n g e n e r e ta le d a p o te r v e n ir co n tro lla ti n e i loro p u n ti d e c isiv i su lla b a se d e ll’esp erien za d e l p u b b lic o . In se c o n d o lu o g o , la re a liz z a z io n e scen ica; U su o c o n g e g n o a rtistic o r ic h ie d e d i v e n ir ela b o r a to c o n e str em a trasp aren za (q u e sta e la b o r a z io n e è il co n tra r io deU ’« im m e d ia te z z a » ; e ssa p resu p p o n e u n a p r o fo n d a c o n o sc e n z a a rtistic a e m o lto acu m e d a p a rte d e l reg ista). Il tea tro ep ic o si r iv o lg e a p erso n e co in ter essa te le q u a li « n o n p e n sa n o se n z a u n a r a g io n e » . B r e c h t n o n p erd e d i v is ta le m a sse, il c u i u so c o n d iz io n a to d e l p e n sie r o p r o b a b ilm e n te corri sp o n d e a q u e sta form ula. N e llo sfo rz o d i in teressare il p rop rio p u b b lic o al te a tr o d a c o m p e te n te , m a n o n se m p lic e m e n te attra v erso la m era cu ltu ra, si m a n ife s ta u n a p rec isa v o lo n tà p o litic a .
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n . L a tram a. Il te a tr o e p ic o d e v e « p riv a r e il p a lc o sc e n ic o d e l su o e f f e t t o c o n te n u t is t ic o » . P er q u e sta r a g io n e , sp esso u n a v e c c h ia tram a g li ser v irà p iù d i u n a n u o v a . B r e c h t si è d o m a n d a to se g li e v e n t i c h e il tea tro ep ic o rap p resen ta n o n d o v esse ro essere già n o ti. E s so si c o m p o rta n e i c o n fr o n ti d ella tram a c o m e il m a estro d i b a llo n e i c o n f r o n ti deU ’allieva; la p rim a co sa d a fa re è sn o d a rle le a r tic o la z io n i f in o al lim ite estr em o . Il te a tr o c in e se p r o c e d e d i f a tt o in q u e sto m o d o . I n T h e fo u r th w a t t o f C hina [« L ife an d le tte r s to d a y » , v o i. X V , n . 6 , 1 9 3 6 ], B r e c h t h a sp ieg a to c h e co sa d e v e a q u e l tea tro . S e il te a tr o d e v ’e sser e u n ’e s p o s iz io n e d i e v e n t i g ià n o ti, « g li e v e n t i sto r ic i sareb b ero i p iù a d a tti» . L a d ila ta z io n e ep ic a d e i m e d e si m i, o tte n u ta m e d ia n te la r e c ita z io n e , i p a n n elli e le d id a sca lie, t e n d e a p riva rli d e l lo r o carattere d i sorpresa a e f f e t to . P r o c e d e n d o in q u e sto m o d o , n e l su o u ltim o la v o r o B r e c h t p ren d e a o g g e tto la v ita d i G a lile o . B r ec h t p re se n ta G a lile o a n z itu tto c o m e u n g ran d e m a estro . E g li n o n so lta n to in se g n a u n a n u o v a f i sica, m a la in se g n a an ch e in m o d o n u o v o . N e lle su e m a n i, l ’e s p e r im e n to d iv e n ta n o n so lta n to u n a co n q u ista d ella fisic a , m a an ch e d ella p ed a g o g ia . L ’a c c e n to p rin cip a le d e l d ram m a n o n ca d e suUa r itr a tta z io n e d i G a lile o . L ’e v e n t o v e r a m e n te e p ic o è p iu t t o s to da cercare in ciò c h e è su g g er ito d alla d id a sca lia d e l p e n u ltim o q u a dro: « 1 6 3 3 - 1 6 4 2 . P rig io n ier o d e ll’in q u is iz io n e , G a lile o co n tin u a i su o i la v o r i s c ie n tific i f in o alla m o rte. R ie s c e a far trafu gare f u o ri d ’Ita lia le su e o p ere p rin cip a li» . Q u e s to te a tr o è le g a to al co r so d e l te m p o in m o d o co m p ieta m e n te d iv e r so d al te a tr o tragico. P o ic h é la te n s io n e è le g a ta n o n ta n to aU’e s it o q u a n to alle v ic e n d e , e s s o p u ò co p r ir e a n c h e lu n g h issim i p e r io d i d i te m p o (lo ste sso a v v e n iv a u n te m p o n e i m is te ri. L a d ram m atu rg ia àié\.’E d ip o , o à^W !Anitra se lva tica , c o s titu isc e il p o lo o p p o sto a q u ella d e l te a tr o ep ico ).
in . L ’ero e n on tragico. Il te a tr o c la ssic o fr a n c e se fa c e v a p o s to , tra g li a tto r i, alle « p e r so n e d i r a n g o » , c h e se d e v a n o n e lle lo r o p o ltr o n e in p ie n a scen a. A n o i u n a c o s a sim ile ap p a rireb b e fu o r i lu o g o . D e l p ari fu o r i lu o g o r isu lte r e b b e , in b a se al c o n c e t to d i « d r a m m a tic ità » c h e il te a tro h a r e so c o r r e n te , p o rre su lla sc e n a , a c c a n to agli e v e n t i, u n a
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te r z a p er so n a ch e n o n v i p a rtec ip a , ch e è co lu i c h e « p e n s a » . In fo r m e v a r ie , B r e c h t a v e v a in m e n te q u a lc o sa d e l g e n e r e . S i p u ò a n z i an d a re o ltr e e d ire c h e B r e c h t h a in tr a p r eso il t e n ta t iv o d i fa re d i c o lu i c h e p e n sa , a n z i d e l sa g g io , l ’er o e d ra m m a tic o . E p r e c isa m e n te su q u e sta b a se il su o te a tr o p u ò e sser e d e f in ito e p ic o . Q u e s t o te n ta t iv o è sta to sp in to al su o p u n to m a ssim o n e l p e r s o n a g g io d e llo sca rica to re G a ly G a y . G a ly G a y , l ’er o e d e l d ram m a U n u o m o è un u o m o n o n è altro c h e il te a tr o d e lle c o n tr a d d iz io n i c h e c o s titu is c o n o la n o str a so c ie tà . F o rse , n e l se n so d i B r e c h t, n o n è tr o p p o a u d ace d e fin ir e il sa ggio c o m e il te a tr o p e r f e tt o d ella lo ro d ia le ttic a . I n o g n i m o d o G d y G a y è u n sa g g io . O ra , già P la to n e a v e v a r ic o n o s c iu to la n o n d ra m m a tic ità d e ll’in d iv id u o su b li m e , d e l sa g g io . N e i su o i d ia lo g h i h a p o r ta to q u e sto p erso n a g g io f in o alla so g lia d e l dram m a; n e l F ed o n e f in o alla so g lia d ella sacra r a p p r e s e n ta z io n e . Il C r is to m e d ie v a le , c h e , c o m e sa p p ia m o d a i P a d ri d ella C h ie sa , ra p p resen ta v a a n ch e il sa g g io , è l ’e r o e n o n tra g ic o p e r e c c e lle n z a . M a a n c h e n e l d ram m a la ic o o c c id e n ta le la r i cerca d e ll’er o e n o n tra g ico n o n è m a i c e ssa ta . S p e sso c o n tr a d d i c e n d o i su o i te o r ic i, q u e s to d ram m a si è d iffe r e n z ia to fr e q u e n te m e n te , e in m o d i se m p r e n u o v i, d a lla fo r m a a u te n tic a d e lla tra g ic ità , c io è d a q u ella g reca. Q u e sta v ia , im p o r ta n te b e n c h é m al tra c cia ta (e c h e q u i v a le c o m e im m a g in e d i u n a tr a d iz io n e ), è p a s sa ta d u r a n te il M e d io e v o a ttr a v er so R o sv ita e i m isteri; n e ll’e p o ca b a ro cc a , a ttr a v er so G r y p h iu s e C a ld eró n . P iù ta rd i h a to c c a to L e n z e G r a b b e e fin a lm e n te S tr in d b e r g . C e r te s c e n e d i S h a k e sp ea re so n o c o m e m o n u m e n ti ai su o i m a rg in i, e G o e th e l ’h a ta g lia ta n e l s e c o n d o F aust. S i tra tta d i u n a v ia eu ro p ea , m a an ch e te d e sc a . A m m e s so c h e si p o ssa p arlare d i u n a strad a e n o n p iu t t o s to d i u n se n tie r o fa n g o so , d i u n a p ista lu n g o la q u a le il la sc ito d e l d ram m a m e d ie v a le e b a r o c c o è g iu n to f in o a n o i. Q u e s ta m u la ttie r a riem er g e o g g i, c o m e co p e r ta da e r b a c ce e in se lv a tic h ita , n e i d ra m m i d i B r ec h t.
IV. L ’in terru zio n e. B r ec h t co n tra p p o n e il su o te a tr o e p ic o a q u e llo d ra m m a tic o in s e n so s tr e tto , c h e è sta to te o r iz z a to da A r is to te le . P er ciò B r e c h t in tr o d u c e la c o r r isp o n d e n te d ram m atu rgia c o m e la d ram m atu rgia n o n a risto te lic a , c o s i c o m e R iem a n n in tr o d u sse u n a g eo m e tr ia n o n eu c lid e a . Q u e sta a n alogia p u ò serv ire a m ostrare co m e n o n si tra t t i d i u n ra p p o rto d i c o n co r re n z a tra le va rie fo rm e d i te a tr o esi-
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S tenti. In R ie m a n n è sta to to lto d i m e z z o l ’assio m a d e lle p aralle le. C iò c h e v ie n e to lto d i m e z z o n e ll’o p era d ram m atica d i B r ec h t è la ca tarsi a r isto te lic a , la scarica d e g li a f fe tt i tra m ite la p a r te c i p a z io n e al c o m m o v e n te d e s tin o d e ll’er o e. L ’in te r e sse rila ssa to d e l p u b b lic o , p er il q u ale so n o p r e v isti gli s p e tta c o li d e l te a tr o e p ic o , h a la su a p ecu lia rità in q u e sto , c h e n o n si fa q u a si a p p ello alla fa c o ltà d i im m e d e sim a z io n e d ello sp e tta to re. P er U te a tr o e p ic o , l ’arte sta a p p u n to n e l su scita re, al p o s to d ell ’im m e d e sim a z io n e , lo stu p o re . P er d irla c o n u n a form ula: in v e c e c h e im m e d e sim a rsi n e ll’e r o e , il p u b b lic o d e v e p iu t t o s to im parare a stu p ir si d e lle s itu a z io n i in m e z z o alle q u ali q u e sti si m u o v e . Il te a tr o e p ic o , r itie n e B r ec h t, n o n d e v e ta n to svilu p p are a zio n i q u a n to rap p resen tare situ a zio n i. R a p p re sen ta z io n e n o n sig n ifi ca p erò r e s titu z io n e n e l se n so d e i te o r ic i d e l n atu ralism o . S i tratta p iu tto s to , p rin cip a lm en te, d i scoprire q u e ste situ a z io n i (si p o tr e b b e a n ch e d ire, allo ste sso tito lo : estraniarle). Q u e sta sco p erta (stra n ia m e n te ) d e lle situ a z io n i a v v ie n e m e d ia n te l ’in te r r u z io n e d i cer te a z io n i. L ’e s e m p io p iù elem en ta r e: u n a sc en a d i fa m ig lia . Im p r o v v isa m e n te en tra u n estr a n e o . La m ad re era g iu sto in p r o c in to d i afferrare u n a sta tu e tta d i b r o n z o p er scagliarla c o n tr o la figlia; il p ad re era in p r o c in to d i aprire la fin e str a p er ch iam are u n a guar d ia. N e llo ste sso ista n te appare sulla p o rta l ’estra n eo . T ableau - c o m e si u sa v a d ire v er so il 1 9 0 0 . V a le a dire: l ’estr a n e o v ie n e m esso a c o n fr o n to c o n la situ a zio n e; fa cc e stra v o lte , la fin e str a ap erta, il m o b ilio d e v a sta to . E s iste p erò u n o sgu ard o al q u ale an ch e sc en e m o lto p iù c o n su e te d ella v ita b o rg h ese n o n si p resen ta n o in m o d o m o lto d iv er so .
V. I l gesto c ita b ile. « L ’e f f e t t o d i o g n i frase - si le g g e in u n a p o e sia d i d id a ttic a te a trale d i B r ec h t - era a tte so e sc o p e r to . E si a sp etta v a I c h e la f o l la p o n e sse le frasi I su lla b ila n c ia » . In b r e v e , la r a p p resen ta z io n e v e n iv a in te r r o tta . Q u i si p u ò fare u n d isc o r so p iù a m p io e c o n s i d erare co m e l ’in te r r u z io n e sia u n o d e i p r o c e d im e n ti fo n d a m e n ta li d i o g n i stru ttu r a z io n e d ella form a. I l p r o c e d im e n to travalica d i m o lto il se tto r e d e ll’arte. P er n o n cita re c h e u n e s e m p io , e s so sta alla b a se d ella c ita z io n e . C ita re u n t e s to im p lica in te rr o m p er e il c o n t e s t o in c u i rien tra. E c o s ì p e r fe tta m e n te c o m p r e n sib ile c o m e il tea tro e p ic o , c h e si b asa su ll’in te r r u z io n e , sia in se n so sp e c ific o u n te a tr o c ita b ile . M a la c ita b ilità d e i su o i t e s t i n o n h a an cora, in
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sé , n u lla d i p artico lare. D iv e r sa è la situ a z io n e p er i g e s ti c h e v e n g o n o c o m p iu ti n e l c o r so d ella ra p p resen ta z io n e . « R e n d e r e cita b ili i g e s ti» , è q u e sto u n o d eg li e s iti e ssen zia li d el tea tro e p ic o . L ’attore d e v ’essere in grado d i sp azieggiare i su oi g e sti, c o m e u n tip ogra fo le p arole. Q u e s t ’e f f e t to p u ò essere o tte n u to ad esem p io q u an d o l ’a tto re cita lu i ste sso in scen a u n su o g e sto . C o sì, in H a p p y E n d, si v e d e v a la N e h e r , n ella p arte d i u n a sergen te d e ll’eser cito d ella sa lv ezza , c h e p er fare p ro se liti a v ev a ca n ta to in u n a b e tto la p er m arinai u n a ca n zo n e certo p iù ad atta in q u e l lu o g o c h e n o n in u n a ch iesa , e c h e ora d o v e v a cita re la ca n zo n e e il g e sto c o n cu i l ’a v ev a can tata d a v a n ti a u n c o n sig lio d e ll’eser cito d ella sal v e z z a . C o sì n ella L in ea d i co n d o tta v ie n e p o rta to d a v a n ti al trib u n ale d e l P a rtito n o n so lta n to il rap p orto d e i c o m u n isti m a an ch e, attraverso la lo ro re cita z io n e, u n a serie d i g e s ti d e l co m p a g n o c o n tro cu i so n o in te r v e n u ti. Q u e llo c h e n e l tea tro ep ic o in gen erale è u n ra ffin a tissim o m e z z o artistico, d iv en ta u n o d e ^ scop i im m ed ia ti n el caso particolare d e l dram m a d id asca lico. D e l r e sto il teatro e p i co è p er d e fin iz io n e u n tea tro g estu ale. P o ic h é n o i o tte n ia m o ta n ti p iù g e s ti q u a n to p iù sp esso in terrom p iam o co lu i ch e sta agen d o.
VI. I l d ram m a d id a sca lico . In o g n i m o d o il te a tr o e p ic o è p e n sa to in egu al m isu ra in fu n z io n e d e ll’a tto r e q u a n to d e llo sp e tta to r e . I l dram m a d id a sc a lic o assu m e u n su o r ilie v o d i ca so p artico la re so sta n z ia lm e n te p erch é, a ttra v erso la p ecu lia re p o v e r tà d ella m essa in scen a , se m p lific a e racco m a n d a lo sca m b io tra il p u b b lic o e gli a tto ri e tra g li a tto r i e il p u b b lic o . O g n i sp e tta to r e d o v rà p o te r p a rtecip a re a ll’e s e c u z io n e d ello sp e tta c o lo . E d e f f e t tiv a m e n t e è p iù fa c ile recita re la par te d e l « d o c e n t e » c h e q u ella d e ll’« e r o e » . N e lla p rim a stesu ra d e l V o lo d e i L in dbergh , p u b b lica ta su u n a ri v ista , l ’a v iatore figu rava an cora co m e u n ero e. Q u e sta stesu ra era d e d ica ta alla sua esa lta z io n e. La se co n d a stesu ra - e ciò è in d ic a ti v o - d e v e la sua n a scita a u n ’a u to r ettific a d i B rech t. Q u a le e n tu siasm o, n e i d u e c o n tin e n ti, d u ra n te i g io rn i in cu i si seg u ì q u el v o lo ! M a l ’en tu sia sm o v ie n e su b ito d eg rad a to a se n sa z io n e. B r ec h t si sforza, n e l V o lo d e i L in dbergh , d i scom p orre lo sp ettro d ella se n sa zio n a le « e sp e r ie n z a v iss u ta » p er sco p rirvi i co lo ri deU ’« e s p e r ie n za » . D i q u e ll’esp e rie n z a ch e p o te v a essere a ttin ta so lta n to d al la v o r o d e i L in d b erg h e n o n d a ll’e c c ita z io n e d e l p u b b lico , e ch e d o v e v a v en ir rip ortata « a i L in d b erg h » .
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T . E . L a w r en ce , l ’au tore d e i S ette p ila stri d ella saggezza, q u a n d o e n tr ò n e ll’a v ia z io n e scrisse a R o b e r t G r a v es c h e p er gli u o m i n i d i o g g i q u e l p a sso eq u iv a le v a a c iò c h e d o v e v a e sser e sta to p er g li u o m in i d e l M e d io e v o l ’en tr a ta in c o n v e n t o . In q u e sta a ffe r m a z io n e è im p lic ito q u e l rim a n d o c h e è p rop rio d e l V o lo d e i L in dbergh, m a an ch e d e i d ra m m i d id a sc a lic i su cc e ssiv i. I l rigore cler i cale v ie n e u tiliz z a to p er l ’in se g n a m e n to d i u n a te c n ic a m o d e rn a q u i d i q u ella d e ll’a v ia z io n e , p iù ta rd i d i q u e lla d ella lo tta d i clas se. Q u e sta se c o n d a u tiliz z a z io n e è sta ta sv ilu p p a ta n e l m o d o p iù c o m p le to n ella M a d re. E ra u n g e s to d i au d acia p rivare p rop rio u n d ram m a so cia le degH e f f e t t i c h e l ’im m e d e sim a z io n e co m p o rta e a cu i il p u b b lic o era c o s ì a b itu a to . B r e c h t lo sa; lo d ic e in u n a le t t e ra in v e r si ch e h a r iv o lto al tea tro o p era io d i N e w Y o r k in o c c a sio n e d ella ra p p r e se n ta z io n e d i q u e sto dram m a: « E a n ch e allora a lcu n i c i d o m a n d a ro n o : I M a v i cap irà l ’o p era io ? Saprà r in u n c ia re I a ll’u sa ta droga: d i p a rtecip a re in isp ir ito I a ll’estra n ea riv o lta , a ll’a scesa d e g li altri, a tu tta 1 ’iU u sion e I c h e p er d u e o re lo e c c ita p er n o n lasciarlo c h e p iù esa u sto , I p ie n o d i v a g h i rico rd i e d i p iù v a g h e sp e r a n z e ? » .
v n . L ’a tto re. Il te a tr o e p ic o , c o m e le im m a g in i d i u n a p ellic o la cin e m a to g ra fica , p r o c e d e a sc o sso n i. L a sua fo rm a fo n d a m e n ta le è q u ella d e l lo sh o ck . I song, le d id a sc a lie , le c o n v e n z io n i fa n to m a tic h e sta c ca n o o g n i situ a z io n e d a ll’altra. C o si si g en er a n o in te r v a lli ch e t e n d o n o a lim ita r e l ’U lu sio n e d e l p u b b lic o . E s s i p a r a liz z a n o la sua p r e d is p o s iz io n e aU’im m e d e s im a z io n e . Q u e s t i in te r v a lli so n o r i serv a ti alle su e p rese d i p o s iz io n e c r itic h e (nei c o n fr o n ti d e i c o m p o r ta m e n ti r a p p resen ta ti d ai p e r so n a g g i e d e l m o d o in c u i v e n g o n o ra p p resen ta ti). P er q u e l c h e riguarda il m o d o d ella ra p p resen t a z io n e , il c o m p ito d e ll’a tto r e n e l te a tr o e p ic o c o n s is te n e l d im o stra re c h e r e c ita n d o n o n sm arrisce la sua fa c o ltà d i g iu d ic a re. A n c h e l ’a tto r e d e v e rin u n cia re a ll’im m e d e sim a z io n e . L ’« a t t o r e » d e l tea tro d ra m m a tico n o n sem p re è p rep a rato a u n sim ile m o d o d i recita re. P r o b a b ilm e n te è p rop rio in b a se alla n o z io n e d i « r e c ita z io n e » tea tra le c h e c i si p u ò a v v ic in a re c o n m e n o p r e g iu d iz i al te a tr o ep ic o . B r e c h t d ice: « L ’a tto r e d e v e m ostrare la co sa e d e v e m o strare se ste sso . N a tu r a lm e n te m o stra la co sa in q u a n to m o stra se stesso ; e m o stra se ste sso in q u a n to m o str a la cosa. B e n c h é le d u e c o se c o in
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Scritti
c id a n o , n o n d e v o n o tu tta v ia c o in c id e r e in m o d o ta le c h e v e n g a c a n ce lla ta la d iffe r e n z a tra i d u e c o m p iti» . In altre parole: l ’arti sta d e v e m a n ten er e la p o ssib ilità d i u scire ad arte d al su o ru o lo . A u n d a to m o m e n to n o n d e v e v e d e r si p r iv a to d ella p o ssib ilità d i fa re la p a rte d i c o lu i ch e r ifle t te (sulla p rop ria p arte). S a reb b e erra to p e n sa re , a p r o p o sito d i q u e sto m o m e n to , all’ir o n ia ro m a n tic a q u a le è u sa ta ad e se m p io d a T ie c k n e l G a tto co n g li stiv a li. L ’ir o n ia r o m a n tic a n o n h a u n f in e d id ascalico; in fo n d o e ssa serv e so l ta n to a esib ir e l ’in fo r m a z io n e filo s o fic a d e ll’a u tore, il q u a le, scri v e n d o la co m m e d ia , terrà sem p re p r e s e n te q u esto : c h e , in fo n d o , il m o n d o p o tr e b b e e sse r e b e n issim o u n tea tro . P rop rio q u e sto g e n e r e d i r e c ita z io n e , ca r a tte ristic a d e l tea tro e p ic o , m o str a in c o n te sta b ilm e n te c o m e in q u e sto ca m p o l ’in te r e s se a rtistic o c o in c id a c o n q u e llo p o litic o . S i p e n si al c ic lo b r e c h tia n o T errore e m iseria d e l T erzo R e ic h . È fa c ile in te n d e r e c o m e p er u n a tto r e te d e s c o in e s ilio il c o m p ito d i im itare u n ’S S o p p u re u n m em b ro d e l trib u n a le d e l p o p o lo fo s s e u n a co sa ra d ic a lm en te d i v er sa c h e , ad e s e m p io , p er u n b u o n p ad re d i fa m ig lia il c o m p ito d i in carn are il D o n G io v a n n i d i M o liè r e . E d iffic ile a m m e tter e c h e p er il p rim o l ’im m e d e sim a z io n e sia il p r o c e d im e n to a d a tto - a par te il fa tto c h e b e n d iffic ilm e n te e g li p o tr e b b e id e n tific a r s i c o n g li a ssa ssin i d e i su o i co m p a g n i d i lo tta . P iù le g ittim o e p ro b a b ilm e n te d e stin a to a u n a m ig lio re riu sc ita p o tr e b b e essere in u n sim ile ca so u n m o d o d i r e c ita z io n e d iv e r so e p iù d ista c c a to . Q u e s to m o d o è a p p u n to q u e llo e p ic o .
v m . T eatro s u l p o d io . P er d e fin ir e d i c h e co sa d e b b a tra tta re il tea tro e p ic o è p iù o p p o r tu n o p artire d a l c o n c e t to d ella sc en a c h e n o n d a q u e llo d i u n n u o v o d ram m a. Il tea tro e p ic o tie n e c o n to d i u n e le m e n to ch e è sta to tro p p o p o c o c o n sid e r a to . Q u e s to e le m e n to p u ò esse r e d e f i n ito c o m e l ’e lim in a z io n e d e ll’o rch estra . L ’a b isso c h e separa l ’a t to re d a l p u b b lic o c o m e i m o rti d ai v iv i, l ’ab isso il cu i sile n z io n el te a tr o d i p rosa a cc en tu a la su b lim ità e il cu i rison are n e ll’o p era ac c e n tu a l ’e b b r e z z a , q u e sto a b isso , c h e tra t u t ti gli e le m e n ti d e l t e a tro è q u e llo c h e reca le tra cce p iù d iffic ilm e n te ca n ce lla b ili d ella su a o r ig in e sacrale, h a p e r s o sem p re p iù d ’im p o r ta n za . Il p a lco sc e n ic o è an cora ria lza to . M a n o n è p iù so sp e so sop ra u n ’in so n d a b ile p ro fo n d ità : è d iv e n ta to u n p o d io . Il d ram m a d id a sc a lic o e il tea tro e p ic o so n o u n t e n ta t iv o d i siste m a r si su q u e sto p o d io .
T e d e s c h i d e l l ’o t t a n t a n o v e
N e lla G e r m a n ia a ttu a le le v o c i d e i te s tim o n i c h e si p o tr a n n o a sc o lta r e s o n o v o c i s o ffo c a te ; e n o n d im e n o le si è u d it e n itid a m e n te p er q u a si u n se c o lo . D u e r iv o lu z io n i, q u ella d i L u g lio e so p r a ttu tto q u e lla d e l 1 8 4 8 , h a n n o te n u ta v iv a , n ella b o r g h e sia t e d e sc a p ro g re ssista , la c o s c ie n z a d i u n se n tir e c o m u n e alla gra n d e R iv o lu z io n e . Q u a n d o B ò r n e n e l 1 8 3 0 , d o p o esser arrivato a P ari g i, scrisse: « A v r e i v o lu to to g lie r m i g li stiv a li! Q u e s to sacro su o lo si d o v r e b b e in fa t t i calp estare so lta n to a p ie d i n u d i» , si s e n te an cora v ib ra re in lu i il p e n sie r o d e l 1 7 8 9 . E q u e l lin g u a g g io è sta to co m p re so p er p a recch io te m p o . A n c o ra n e l 1 8 7 0 Ju stu s L ieb ig , ch e n e l 1 8 4 8 s ’era p o tu to rifu giare a P arigi p er sfu g g ire alla p ersec u z io n e in q u a n to d e m a g o g o , m a n te n e n d o n e l p ro p rio c u o re l ’im m a g in e v iv e n t e d i q u e s to a silo d i lib e rtà , t e n n e te s ta allo ch a u v in ism o d e l m o m e n to c o n u n d isc o r so d a lu i p r o n u n c ia to aU’A c c a d e m ia b a v a rese d e lle S c ie n z e . A g li o c c h i d i N ie t z s c h e , P arigi fu in d u b b ia m e n te la c a p ita le d e l b u o n eu ro p eo . F u so lta n to il c o s ti tu ir si d e ll’im p e r o g er m a n ic o a far ec lissa re , agli o c c h i d ella b o r g h e sia te d e sc a , l ’im m a g in e d i P a rigi orm ai sc a d u ta ai su o i o c c h i. D e lla c ittà d ella gra n d e R iv o lu z io n e e d ella C o m u n e , la fe u d a le P ru ssia fa u n a B a b ilo n ia a c u i m e tte r e in te s ta il su o stiv a lo n e . In q u e l p e r io d o , e s a tta m e n te n e l 1 8 7 1 , B la n q u i sc riv e v a n ella sua P a tria in pericolo-, « L a gloria d i P arigi è la sua co n d a n n a [ .. .] la sua lu c e , lo ro la v o g lio n o sp eg n er e, le su e id e e v o g lio n o ricacciarle n e l nuUa [ .. .] Sarà B e r lin o a d o v e r d iv e n ta r e la c ittà sa n ta d e ll’a v v e n ire, e d e ssa d o v rà r isp len d e re su tu t to il m o n d o . P arigi è la B a b ilo n ia u su rp a trice e c o r ro tta , la g ran d e p u tta n a c h e l ’an g elo ster m in a to re in v ia to da D io [ ...] can cellerà dalla faccia d ella terra. N o n sa p e te c h e il S ig n o r e h a se g n a to la stirp e g erm a n ica c o l sig illo d e l la p r e d e s tin a z io n e ?». L a ter rib ile a ttu a lità d i q u e ste p a ro le lo m o stra m o lto b en e; la te stim o n ia n z a ch e u n te m p o la g ran d e R iv o lu z io n e r ic e v e tte d a i su o i co n te m p o r a n e i te d e sc h i h a c o n se r v a to u n sig n ific a to ch e p erm a n e al d i là d e lle r ico r re n z e ce le b r a tiv e.
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Scritti
CHRISTIAN FRIEDRICH DANIEL SCHUBART ( 1 7 3 9 -1 7 9 1 )
P er tu tta la sua v ita , S ch u b art n o n si è sg a n cia to d a ll’in flu e n z a d i K lo p sto e k . L a sua o rig in a lità n o n è ta n to in o g n u n o d e i su o i la v o ri, q u a n to p iu tto s to n e l le g a m e m o lto sin go lare e s is te n te in lu i tra la p o e sia lirica e U g io r n a lism o . F u r o n o q u e sti i d u e m o d i d i esp rim ersi c h e lo en tu sia sm a r o n o . C o m p re n sib ile c h e , in u n ;o « r n a liste ch a n ta n t p er in c lin a z io n e n atu rale c o m e lu i, c i si p o te s s e im b a tte r e so lta n to n e i p rim i a n n i d i e s iste n z a d e i giorn ali. Il d ivario tra la fre d d a in te llig e n z a d e lle c o n d iz io n i d i v ita d ella su a classe e l ’im m a g in a z io n e sfren ata, a ccesa d a lle p o ssib ilità p er m igliorarle, fa d i S ch u b art u n ra p p resen ta n te d e llo S tu rm u n d D rang. E g li lo d i v e n n e an cora p iù sc o p e r ta m e n te g razie ai d ie c i an n i d i p rig io n e in flittig li, d ’a ltro n d e se n z a p r o c e sso , d a K arl E u g e n v o n W u rtem b erg. L ib e ra to n el 1 7 9 7 , S ch u b a rt rip rese la sua gran d e o p era g io r n a listica , la « D e u ts c h e C h r o n ik » , alla q uale a vev a fo r n ito lu i stesso la m aggior p a rte d e g li articoli. M a a p artire d al 1 7 9 0 e g li so p p res se l ’e p ite to d e l tito lo , in tito la n d o se m p lic em en te « C h r o n ik » il p ro p rio g io r n a le, c h e in q u e l p e r io d o si d e d ic a v a so p r a ttu tto alla lo t ta d e i fra n ce si p er la lib e rtà . S i ritro v a an cora la fe d e ltà d i S ch u b art n e i c o n fr o n ti d e l su o id o lo , K lo p sto e k , n e ll’e n tu sia sm o in lu i su sc ita to d alla D ic h ia r a z io n e d e i D ir itt i d e ll’U o m o . N o n b iso g n a d im e n tic a r e c h e alm en o u n q u in to d e lle u lte rio ri o d i d i K lo p sto e k tra tta d ella R iv o lu z io n e fra n ce se. S ch u b art n o n h a a ssistito alla f a se, d e c isiv a , d e l T errore. N u lla la scia su pp orre ch e l ’a v reb b e c o m p reso m eg lio d i K lo p sto ek , ch e h a p arag on a to il clu b d e i G ia c o b i n i a u n serp en te: « L a sua te sta la n cia fu o c o e fia m m e a P arigi, e i su o i a n e lli/te n ta c o li si c o n to r c o n o p er la F ran cia in te ra » . D i s o lito , in siem e a m o lti m ie i c o m p a trio ti, p ro v a v o una v io le n ta in d ig n a zio n e n ei riguardi d e i F rancesi, in v e iv o co n tro la lo ro f u tilità , la lo ro sm an ia d i essere a lla m o d a ; oggi p erò b a cio la m an o a l gen io d e l p o p o lo fra n cese, p o ic h é esso è u n o sp irito d i lib ertà e d i g ran dez z a , a lle q u a li va aggiunta la ve rità . Q u a , te ste v u o te , v o i ch e v i d iv er tite c o i ca n i d i Francia, ch e p a rla te d i lib ertà tedesca e ch e v i in ch in a te a l passaggio d e l levriero d e l vo stro sign ore, o ch e, c o m e ognuno d i q u eg li sch ia vi ch e ven gon o d e tti c itta d in i d e ll’im p e ro , tira te fu o r i i l v o stro ca p p ello d a lp o rta p a rru cch e d e l b o rg o m a stro . V e n ite qua! e im p a ra te , a lla scu ola d e i F rancesi, ch e cosa sia n o i l se n tim en to d ella d i g n ità u m ana e lo sp irito d i libertà! Versione francese (1789), dalla «Chronik».
1939
36i
JOHANN GOTTFRIED HERDER ( 1 7 4 4 -1 8 0 3 )
Il n a z io n a lism o m o d e rn o h a le su e o rig in i in F ran cia. « L a F ran cia - d ic e N o v a lis - ra p p resen ta u n p r o te sta n te s im o te m p o r a le » . « L a R iv o lu z io n e d e v e fo r se restare fr a n c e se c o s ì c o m e la R ifo rm a è sta ta lu te ra n a ? [ . . . ] I l sa n g u e scorrerà p er l ’E u ro p a - eg li c o n t i n u a - fin c h é le n a z io n i [ .. .] , g io io sa m e n te m esc o la te, rito r n in o agli a lta ri a b b a n d o n a ti» . C r itic o r e a z io n a r io , N o v a lis n o n si a v v id e m in im a m e n te c h e il n a zio n a lism o d e ll’e se r c ito riv o lu zio n a rio fran c e s e a v e v a d alla sua il d ir itto sto ric o . Il d io d i q u e g li e s e r c iti era il « M a r te fr a n c e se , p r o te tto r e d ella lib e r tà m o n d ia le » . C o m e h a d e t to M a r x , la R iv o lu z io n e fra n ce se p o r tò c o n sé la « v it to r ia d e l la n a z io n a lità sxil p r o v in c ia lism o » , « la p ro c la m a z io n e d e ll’o r d in e p o litic o p er la so c ie tà m o d e rn a e u r o p e a » . A ta le p r o c la m a z io n e l ’a n tic a s o c ie tà eu ro p ea , c a p ita n a ta d alla P ru ssia, o p p o se u n n a z io n a lism o d i p rop ria p r o d u z io n e , c h e si d o v e v a a p rio ri c o n s id e rare re a z io n a r io , e c h e si r a ffo r z ò al se r v iz io d ella c o n tr o r iv o lu z io n e . Q u e l n a z io n a lism o , H e rd er lo. v id e sop ra g g iu n g ere e c o m p r e se im m e d ia ta m e n te f in o a c h e p u n to e sso te n d e s s e ad allearsi c o n il terrore. N e l T e r z o R e ic h è il n a z io n a lism o a esser d iv e n u to il p rin cip a le str u m e n to d i terrore. D i u n terro re c h e h a d i m ira d i r e tta m e n te il p ro le ta r ia to te d e s c o e in d ir e tta m e n te q u e llo in te r n a z io n a le . A d ire il v e r o , g er m i d i u n e q u iv o c o a n alogo eran o e s i s t it i g ià s o t to il T errore; lo h a sta b ilito c o n fo r z a r e c e n te m e n te H o r k h e im e r in u n sa ggio su l « c o n tr ib u to a ll’a n tr o p o lo g ia d e ll’età b o r g h e se » {E goism o e m o v im e n to lib erta rio , in « Z e it s c h r ift fù r Sozia lfo r sc h u n g » , A lc a n , P aris 1 9 3 6 , fa se. 2). « M a s s e c h e [ ...] a v e n d o c o m e p a ro le d ’o r d in e la lib e r tà e la g iu stiz ia [ .. .] m e sse si p e r c iò in m o v im e n to [ .. .] c o n u n im m e n s o b is o g n o d i m iglio rare la prop ria c o n d iz io n e [ ...] v erran n o in te g ra te [da R o b esp ierre] in u n a n u o v a so c ie tà c h e sarà b e n lu n g i d a ll’e sser e la so c ie tà se n z a cla s s i» . N e lla m isu ra in c u i le lo ro a sp ira z io n i v e n n e r o d e lu se (m isu ra c h e si p u ò v a lu ta r e in b a se al m o v im e n to d i B a b e u f), o b ie t tiv i sp iritu a li v e n n e r o s o s titu iti al lo r o o b ie t tiv o so c ia le . A v e n d o n e g a to a ta li m a sse la so d d is fa z io n e im m e d ia ta , a lc u n i le v id e r o s e n za r in c r e sc im e n to gloriarsi d ella lo r o « v ir tù » . L a c o n v in z io n e in g en u a se c o n d o c u i « d o p o il c o n so lid a m e n to d e l r e g im e b o r g h e se , la g iu stiz ia d ip e n d er à d al r ito r n o alla v ir tù » è in sep a ra b ile d a ll’i s t it u z io n e d e l terrore; essa r e se in c e r ta la p rop ria p ra tica e a iu tò i p ro p ri n e m ic i a fa lsifica rla . D i e ssa r e sta s o lta n to l ’u n io n e d e ll’i d e a n a z io n a le c o n il r e g n o d ella virtù ; m algrad o t u t t i g li e le m e n ti
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Scritti
illu so r i in e ssa p r e s e n ti, e s sa d e sig n a R o b e sp ier re c o m e il v e r o c a p o d e ll’e p o c a ero ic a d ella b o rg h esia . N u lla era p iù estr a n e o al n a zio n a lism o fr a n c e se c h e q u e sta « m is tic a » d e l sa n g u e, c h e H e r d e r m e t te alla g o g n a c o m e la p iù f o lle d e lle fo llie . O g g i le su e p arole, c h e fu r o n o c o s ì p r o fe tic h e n e l 1 7 9 4 , c o s titu is c o n o so lta n to u n in v e n ta r io d i q u a n to v ie n e in s e g n a to d al n a zio n a lso c ia lism o . S i sa , p u rtro p p o , ch e n o n esiste a l m o n d o n u lla d i p iù con tagioso ch e i l crim in e e la f o llia . P e r co gliern e le cau se occorre cercare f a tic o sa m en te la v e r ità ; il crim in e si o ttie n e co n lo sp irito d ’im ita zio n e , spes so sen za sa p erlo , p e r co n d iscen d en za , p e r sem p lice fre q u e n ta zio n e d i ch i è sm a rrito 0 f u o r v ia to , c o n d iv id e n d o in b u o n a f e d e le su e restan ti o p in io n i san e. I l crim in e si co m u n ica c o m e si co m u n ica lo sb a d ig lio , c o m e si tra sm etto n o a n o i tra tti d e l viso e d isp o sizio n i d e ll’a n im o , c o m e una corda risp on d e a rm o n io sa m en te a lla vib ra zio n e d i u n ’a ltr a . Se a c iò occorre aggiungere lo z e lo co n c u i ch i è fu o r v ia to c i co n fid a le p ro p rie o p in io n i p iù care c o m e se fo ssero d e i g io ie lli - e lu ì sa b en is sim o lasciarsi p ren d ere d a esse - ch i n o n in izie rà a sm arrirsi in n o cen te m e n te p e r essere g ra d ito a un a m ic o , fin e n d o p o i b en p re sto p e r cre d ere co n fo r z a alla sua f e d e e p e r propagarla negli a ltri con lo stesso id e n tic o z e lo ? E la b u o n a f e d e a regolare i l genere u m a n o ; è g ra zie a essa ch e a b b ia m o appreso se n o n tu tto p erlo m e n o la m aggior p a rte d e l le co se, e le p iù u tili; e u n o ch e si è sm a rrito n on è p e r q u e sto , si s u o l d ire , un im p o sto re . L a f o llia , p ro p rio p e rc h é è ta le , è ben co n ten ta d i stare in co m p ag n ia; v i si ricoriforta, p erch é, d i p e r sé, essa sarebb e sen za m o tiv o e an ch e senza c e rte zza ; a ta l fin e , la peggiore com pagnia è p e r lu i an ch e la m ig lio re. L a f o llia n a zio n a le è una cosa terrib ile. C iò ch e ha m esso una v o lta ra d ici in una n a zio n e , c iò ch e un p o p o lo rico n osce e tien e in a lta stim a , c o m e p u ò n on essere a ffa tto una v e rità ? C h i d u n q u e o sereb b e se m p lic em en te d u b ita rn e? L in g u a, leggi, ed u ca zio n e , a n d a m en to d ella v ita q u o tid ia n a , tu tto lo co n ferm a; ch iu n q u e n on si sm arrisca in siem e agli a ltri è un id io ta , un n em ico , un eretico , u n o stran iero. S e p e r g iu n ta , c o m e a v v ie n e so lita m e n te , la f o llia f a i l g io c o d i a lc u n i, d e i p iù in v ista , o p ersin o , c o m e si p en sa, to m a a va n taggio d i tu tte le classi; se essa è sta ta ca n ta ta d a i p o e ti e dim o stra ta d a i filo s o f i, se la b o cca d ella fa m a l ’ha str o m b a zza ta c o m e la g loria d ella n a zio n e ; ch i d u n q u e vo rrà o p p o rv isi? C h i n on preferirà, p e r sp irito d i co rtesia , co n d iv id ere ta le f o llia ? P ersino i d u b b i in d efin iti d ella fo llia con traria n on fa n n o ch e co n so lid a re una f o llia a cq u isita . I diversi ca ra tteri d e i p o p o li, d e lle s e tte , d e lle classi e d eg li u o m in i si scon tran o tra lo ro ; ogn un o si a tta cca so lta n to co n p iù a cc a n im en to a l p ro p rio p u n to d i v is ta . L a f o llia d iv e n ta u n v e ssillo n a zio n a le , un b la so n e,
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u n ’insegna co rp o ra tiva . È sp a ven to so ved ere q u a n to la f o llia s i a tta c ch i a d e lle p a ro le , una v o lta ch e le sia sta ta co n ferita una f o r z a . U n d o tto giu rista ha elen ca to la serie d i im m a g in i n efaste e illu so rie e v o ca te d a lle p a ro le B lu t \sangue 1, B lu tsc h a n d e {incesto'], B lu tsfr e u n d e [a m ici d i sangue], B lu tg e r ic h t [g iu risd izio n e crim in a le ]; co n le p a ro le ered ità , p ro p rie tà , po ssesso , e c o s i v ia , so v en te è la stessa co sa . P a ro le d ’o rd in e a c u i n on si associava a lcu n c o n c e tto , segni ch e n on d i ceva n o a sso lu ta m en te n u lla , n on appen a a lc u n i p a r titi se n e so n o a p p ro p ria ti, hanno f a tto cadere d e lle m e n ti n ella f o llia , d istru tto a m ic izie e fa m ig lie , assassinato esseri u m a n i, d ev a sta to p a e si. L a sto ria è p ien a d i s im ili p a ro le d em o n ich e, d im o d o c h é se n e p o tre b b e ricavare un glos sario d e l crim in e e d ella f o llia d eg li esseri u m a n i, e spesso v i si ra vvi serebb ero i m u ta m e n ti p iù rep en tin i, le c o n tra d d izio n i p iù grossolane. «Briefe zur Beforderung der Humanitat», 4 “ raccolta, Riga 1794, p. 89.
JOHANN GEORG FORSTER ( 1 7 5 4 -1 7 9 4 )
Q u a n d o n e l 1 7 9 2 i fra n cesi en tra ro n o a M a g o n za , G e o r g F o r ster era b ib lio te c a r io d e l P rin c ip e e le tto r e . E ra q u a si q u aran ten n e. A v e v a alle sp alle u n a v ita ricca d i esp erien ze: ancora g io v a n e a v e v a se g u ito il p ad re c h e a v ev a p a rtec ip a to a u n a circu m n a v ig a zio n e d e l g lo b o - q u ella c o m p iu ta d a C o o k fra il 1 7 7 3 e il 1 7 7 5 ; m a p u re g io v a n e a v ev a p r o v a to - d e d ic a n d o si a tr a d u z io n i e la v o ri d ’o c ca sio n e - q u a n to sia d ura la lo tta p er l ’esiste n z a . In lu n g h i a n n i d i p ere g rin a z io n i F orster c o n o b b e la « m ise r ia » d e g li in te lle ttu a li t e d e sc h i d el suo tem p o n o n m en o d i u n B iirger, d i u n H o ld e r lin , d i u n L en z; m a la sua n o n era la m isere d e l p re c e tto r e d i u n a q u alsia si p icc o la c o r te n obiliare: a v ev a p er tea tro l ’E u rop a, e p erciò , p res so c h é u n ic o fra i te d e sc h i, eg li era d e stin a to a co m p re n d er e a fo n d o la rep lica eu rop ea alle c o n d iz io n i ch e d eter m in a v a n o q u ella « m i se ria » . N e l 1 7 9 3 a n d ò c o m e d e le g a to d ella c ittà d i M a g o n z a a P arigi, e q u i rim ase - a v en d o lo i te d e sc h i, d o p o la rico n q u ista d e l la città , m esso al b a n d o e a v e n d o g li im p e d ito d i rim p atriare - sin o alla m o rte, a v v en u ta n e l g e n n a io d e l 1 7 9 4 . C h e co sa sia la lib e rtà riv o lu zio n a ria e q u a n to essa d ip e n d a d a l la r in u n c ia , p o c h i a q u e l te m p o l ’h a n n o co m p re so c o m e F o rster, n e ssu n o l ’h a e n u n c ia to c o m e lui: « N o n h o p iù casa, n é p a tria , n é am ici; t u t t i q u e lli ch e u n te m p o m i eran o a ffe z io n a ti, m i h a n n o a b b a n d o n a to p er con trarre altri le g a m i, e se io p e n so al p a ssa to e m i se n to a e sso an cora le g a to è s o lo p er u n a m ia sc e lta e p er la m ia
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fo r z a d ’im m a g in a z io n e , n o n p e r c h é c o s tr e t to d a lle c ir c o sta n z e . M u ta m e n ti fa v o r e v o li, f e lic i, d e l m io d e s tin o p o sso n o d arm i m o l to; q u e lli b r u tti n o n p o s s o n o to g lie r m i n u lla, tra n n e il p ia ce re d i sc riv e re q u e ste le tte r e se n o n p o tr ò p iù p agarn e l ’a ffra n ca tu ra » . L a le tte r a c h e seg u e è in d ir iz z a ta d a F o rster a sua m o g lie. P arigi, 2 6 lu glio M a g o n za è ca d u ta p e r d a vvero n elle m a n i d e i n em ici. R e sto insen sib ile a lV u m ilia zio n e ch e le m a n ifesta zio n i d i g iu b ilo d e i con qu ista to ri p o tra n n o se n z ’a ltro f a r nascere in m o lta g en te; m i sen to p erò stra z ia to q u a n d o co n sid ero la so rte d e i m a lc a p ita ti a b ita n ti. I l lo ro ero i sm o , le lo ro so ffe ren ze , la lo ro d isfa tta n o n serviran n o lo ro a n u lla presso u o m in i in capaci d i g iu dica re qu a lsia si sfo rzo e ch e n on pen sa n o a ltro ch e a soddisfare le p ro p rie p a ssio n i. Q u a n ti p o v e ri m a rtiri d e l la lib ertà d o vran n o ora versare i l p ro p rio sangue o , cosa an cora p iù d u ra, con du rre una v ita precaria! Q u e sto è i l m o m e n to in c u i o ccorron o coraggio e p a zie n za p e r n on disperare d i tu tto , p e r n on riten ere ch im e re i p ro p ri prin cipi! M i a sp e tto i l p eg gio , p e r i l m o m e n to , p e r ciò ch e con cern e le m ie fa cc en d e. D u b ito fo rte m e n te d i p o te r m a i rivedere le m ie ca rte, e d i con seguenza te m o ch e i l resto d ella m ia v ita n on sarà p iù n ie n te d a l p u n to d i vista le tte ra rio . A n c h e se d e v o a m m ettere ch e, se tu tto fo sse b ru cia to o d istru tto in q u a lch e m o d o , n e sarei c o n te n to . O ra d e v o p ren d ere in co n sid era zio n e i l f a tto ch e si fa ra n n o beffe d ei m ie i la v o ri e d i co se ch e erano d estin a te so lta n to a i m ie i o cc h i. S on o ca p a ce d i so p p o rta re tu tto , m a q u esta p erd ita io la sen to p e r in te ro , in ciò ch e ha d i stra zia n te. N o n la c o m p ren d o , ta n ta va o ltre tu tte le m ie c o n c e zio n i d ella g iu stizia , la q u a le a lm en o n on d o v re b b e a ffa tto d i struggere ciò ch e v i è d i u tiliz z a b ile n e ll’u o m o , an ch e se essa m e tte a l la p ro v a e f a a u m en tare la m ia fo r z a d ’a n im o . A d ire i l v e ro , anche q u esto m o stra ch e la v ita d i u n o stu d io so p u ò n on essere a ffa tto p r o p rio una v o c a zio n e f r u tto d ella p ro v v id e n za , e ch e a n o i o cco rre re stare u o m in i. T u tta v ia , ch i p o tr e b b e negare ch e l ’u m a n ità d i ognuno tragga i l co lo re in d iv id u a le ch e la d istìn gu e n ella m o ltitu d in e so lta n to d a i p ro p ri stu d i e d a lle p ro p rie o c c u p a zio n i, e ch e attraverso d i m e , a l te m p o stesso , è a l su o p o s to ciò ch e d o v re b b e essere? [ . . . ] P erciò, n o n in q u ie ta rti a causa m ia ; n o n tu tto è an cora p e rd u to , e se tu tto è p e r d u to , a llora n on h o p iù n ien te da p erd ere, e non è p iù da m e ch e sì d o vrà esigere a lcu n ch é, m a da co lo ro ch e h ann o ancora q u a lco sa da p erd ere. E ch e cosa p re te n d o n o , e da c h i? P er m e , fo rse a lla f in e m i re sterà in m e stesso p iù ch e tu tto ciò ch e h o p e r d u to , sa lv o ch e p o tr ò dar n e so lo ciò ch e ciascu no vo rrà p ren d ern e. V o i, brava g en te, in d u b b ia
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m e n te n on v i f a te a ffa tto u n ’idea giu sta d i un u o m o ch e è sta to c o s i strao rdin a riam en te p riv a to d i tu tto i l su o p o te re d ’a zio n e e ch e d e v e passare a un m o d o d i v ive re c o m p leta m en te d iv erso , lim ita to alla s o la resistenza in in terro tta co n tro tu tto i l p o te re d e l d estin o ch e l ’assale. Io so n o a ltre tta n to a ssedia to d i q u a n to n on sia M a g o n za , h o te n ta to d e lle s o rtite a ltre tta n to energiche e , se p o sso spingere i l paragon e a n cora p iù o ltre , credo ch e anch ’io m i difen d erò f in o a l l ’e s tre m o .
JOHANN GOTTFRIED SEUM E (1 7 6 3 -1 8 1 0 )
U n o sgu ard o in co r ru ttib ile e u n a c o sc ie n z a riv o lu zio n a ria h a n n o sem p re a v u to b iso g n o , d a v a n ti al trib u n a le d ella lettera tu ra t e d e sc a , d i q u a lc o sa c h e li scu sasse: la g io v in e z z a o p p u re il g e n io . Q u e g li sp iriti c h e n o n p o te v a n o v a n tare n é l ’u n a n é l ’altro - sp iri ti v ir ili e in se n so str e tto p ro sa stic i, co m e F o rster o S eu m e - n o n h a n n o o tte n u to c h e u n ’e s iste n z a u m b ra tile n e l lim b o d ella cu ltura c o m u n e . C h e S eu m e n o n fo sse u n gran d e scritto re, è certo . M a n o n è q u e sto c h e lo d istin g u e d a m o lti altri c h e h a n n o ra g g iu n to p o si z io n i d i r ilie v o n ella sto ria d ella le tter a tu r a te d e sc a , b e n s ì il su o c o n te g n o irrep ren sib ile in tu t te le crisi e la d e te r m in a z io n e c o n cu i eg li - d o p o esser sta to tra scin a to n e ll’e se r c ito d ai re clu ta to r i assian i - rap p resen ta in o g n i m o m e n to d ella sua v ita la figura d e l c itta d in o c o m b a tte n te , d o p o ch e h a d e p o sto d a u n p e z z o la d iv isa d ’u f ficia le. P er S eu m e , d e l r e sto , l ’o n o r e d e ll’u ffic ia le o q u e llo d e l c it ta d in o co m b a tte n te n o n era m o lto lo n ta n o d a q u ello d e l m asnad iere g en e r o so , q uale i su o i co n te m p o r a n e i ad oravan o in u n R in a ld o R in a ld in i‘, ta n to ch e e g li p o te v a co n fessa r e n ella sua "Passeggiata a S i racusa: « A m ic i, se fo s s i n a p o le ta n o , sarei te n ta to d i farm i b a n d ito p er o n e stà esasp erata, e d i co m in cia re d a l m in istr o » . S eu m e h a v a g a b o n d a to p er l ’E u ro p a c o m e o sse r v a to r e sc ru p o lo so . N e i P a e si b a ltic i si p o te v a stu d iare b e n issim o il m arciu m e d e l feu d a le sim o . S i ra c co n ta c h e , u n a v o lta c h e S eu m e e n tr ò in casa d i c o n ta d in i le t to n i, il su o sgu ard o cad d e im m e d ia ta m e n te suUa gran d e fru sta ap p esa al m u ro. E g li c h ie se q u ale n e fo s s e l ’u tilità , e r ite n n e la risp o sta ch e gli fu d ata . « S o n o - g li si d isse - le le g g i d e l n o str o P a e se » . L a le tte r a c h e se g u e m ostra q u a n to p r o fo n d a m e n te S eu m e sia sta to to c c a to d alla lib e ra zio n e d e i c o n ta d in i fra n cesi, lib e ra zio n e ch e e b b e u n a n o te v o le in flu e n z a su gli S ta ti b a ltic i. S eu m e h a co n tri‘ Protagonista dell’omonimo romanzo awentiiroso di Christian August Vulpius (17621827, cognato di Goethe e bibliotecario a Weimar), che ebbe grande fortuna nella Ger mania deU’Ottocento [N.d.T.].
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b u ito c o n u n a p o e sia al p a m p h le t d i M e rk el in fa v o re d e i servi d e l la g le b a in tito la to D ie L e tte n , vo rzu g lich in L ie fla n d , a m E n d e des ph ilo sop h isch en Jahrhunderts [I L e tto n i, p articolarm en te in L iv o n ia , alla fin e d e l se c o lo filo so fic o ] e p u b b lica to n e l 1 7 9 7 . N e lla le tter a a K arl B o ttig e r c h e si p o tr à leg g er e q u i d i se g u ito lo scritto re r e sp in g e l ’o ffe r ta d i collab orare a u n alm an acco p a tr io ttic o . L ip sia , in izio d i n o vem b re 1 8 0 ^ L e i m i ha f a tto avere d a l n ostro a m ico Carus un in v ito stu pefacen te , ch e f a o n o re a l S u o cu o re e rivela la Sua fid u c ia n e l m io ; m a io so n o a d d o lo ra to d i n on p o te rlo accogliere .p o ic h é i l m io a n im o n on co n tien e a ffa tto c iò ch e L e i cerca in esso. M i p a re ch e lo sp irito p u b b lic o ch e L e i au spica e ch e L e i si prefigge d i risvegliare non sia p o ssib ile , p e r lo m en o in q u a n to oggetto n a zio n a le. N e lle n ostre vecc h ie istitu zio n i sem ib arb a re e se m ip o litic h e c ’è ta lm en te p o c o d i ciò ch e io in ten d o p e r g iu stizia e p e r lib ertà ch e un u o m o , o p erlo m e n o un u o m o co m e m e , n o n p u ò avere a lcu n en tu sia sm o p e r un oggetto ch e è estraneo a l su o a n im o . I Francesi co n tin u a n o a esser su periori a n o i co n i l b en e ch e la R iv o lu z io n e ha p a r to r ito . I l loro sp irito trion fa s u l n ostro p erch é, seb b en e la lo ro v ita sia retta d a l p o te n te d isp o tism o perso n a le d i un usur p a to re , da loro v ’è tu tta v ia m aggiore g iu stizia e ragione n ello S ta to e an ch e, d i con seguenza, m aggiore sp irito o p era tiv o . S e q u esto si m a n terrà ancora a lu n go, è u n ’altra q u estio n e . D a lo ro , tu tti i c o n trib u ti ven go n o c a lc o la ti in p ro p o rzio n e d e i b e n i, seco n d o la regola d e l tre. C iò ch e tu tti p o rta n o co n egu aglianza, tu tti lo p o rta n o co n f o r z a . Io non so n o un avversario della m on arch ia, m a avverserò sin o a ll’u ltim o respiro l ’in g iu stizia e le o ppression i, i p riv ile g i e gli im pedim en ti, alla lib e rtà , c o m e an ch e tu tti g li eccessi d e ll’in sen satezza ch e ci a fflig g o n o . Forse è vero ch e le cose p o tre b b ero stare a n cor peg g io ; m a so lo l ’im b e c illità o l ’in fa m e egoism o p o tre b b ero ignorare ch e si stia g ià a b b a stan za m a le co si. A d e sso i l co n ta d in o d e v e c o m b a tte re .M a p e r ch i? Se c o m b a tte p e r se stesso , i l v in c ito re n on l ’opprim erà an cora d i p iù ? U n granatiere d ev e slanciarsi co n tro le b a io n e tte q u a n d o , n e l p a ese, p e r o t to f io r in i a l l ’a n n o , sua sorella o la sua prom essa sposa so n o co strette a d an dare a se rvìzio d a l gra zio so sig n o ro tto d e l lu o g o ; q u a n d o sua m a dre o la sua vecch ia m a d rin a , ch e d i rado hanno la loro p ro v vista d i p a n e e d i sa le, d e v o n o ancora usare i p ro p ri o cch i q u a si ciech i p e r fila re p e r la C o rte la grande q u a n tità d i f ilo p revista d alla lo ro coTwé^; q u a n d o , pa recch ie v o lte alla se ttim a n a , p e r un so ld o , i l su o fra te llin o d ev e correre p e r le strade a p o rta re i m essaggi d e lle L o ro S ign orie? E cco p o i arrivare la guerra. D io m io , la n o b iltà non darà n u lla , essendo esen ta ta d a lle im p o ste. Fin q u a n d o i l co n ta d in o p o trà ancora servire e corre
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re, nessuna ru o ta sì m u o verà a l ca stello . C h e in sim ili circo sta n ze la g en te c o n tin u i a essere b u o n a e on esta , ch e essa su bisca i c o n trib u ti e c o m b a tta , ciò rivela , da una p a rte , ciò ch e esiste d i d iv in o nella nostra natura e , d a ll’a ltra , c iò ch e in essa v i sia d i cretin o . U n T edesco d e v e c o m b a tte re a jfin ch é, se n on resta s u l ca m p o , i l signore lo ritro v i gra zio sa m en te soggetto a c o r v é e e m a n su eto. In co m p en so , m a n tien e d i se co lo in se co lo lo stu p id o o n ore d i esser l ’u n ico fa c c h in o d e llo S ta to . D o v e n on c ’è g iu stizia n on p u ò esistere n eppu re i l coraggio. E io d o v re i ca n tare? H a m a i se n tito d ire ch e da m e sia u scito q u a l cosa ch e n o n fo sse rea lm en te in m e ? L ’u o m o n on p u ò avere en tu sia sm o , d u re v o le en tu sia sm o , ch e p e r la lib ertà e la g iu stizia , tu tto i l re sto n on so n o ch e te n ta tiv i e ffim e ri, c o n v u lsi, d i p a ssio n i m esch in e. L a so rte m i ha g e tta to ora q u a e ora là ; ha m a i se n tito d ire ch e, c o m e ass ia n o o c o m e russo, io a b b ia sc ritto una ca n zo n e d i gu erra? C o m e p a trio ta ted esco v o g lio c o m b a tte re , se n ecessario, f in q u a n d o l ’u ltim o m io osso resterà in p ie d i; lo riten g o un m io d o v e re a sso lu to , ch e io co m p irò sen za riserve. M a ca n ta re? [ . . . ] C e rto , B o n a p arte abusa d e lle co se p iù d iv in e p e r i p ro p ri oscu ri disegn i, m a n o i, n o i fa c c ia m o d i p iù , n o i m o n tia m o la guardia da tu tti i la ti, con z e lo , p e rc h é n u lla d i d iv i n o p o ssa crescere. V er q u a n to p o ssib ile , assisto a l c o m b a ttim e n to sen z a perd ere la calm a [ . . . ] L a d d o v e si con sidera e tra tta i l co n ta d in o c o m e un sem i-sch ia vo e i l p ic co lo -b o rg h ese c o m e una bestia da so m a , n o n h o n u lla da d ire e n u lla da can tare [ . . . ] C iò ch e L e i ch ied e in o l tre , ch e c io è c i si serva d e l m ìo n o m e , è n a tu ra le, q u a n d o sì tra tta d i ca n zo n i. M a n o n bisogna an ch e evita re le a llu sio n i? Esso sareb be a l lora a sso lu ta m en te ca rin o , a cco n d iscen d en te, co m p ia ce n te, in sign ifi ca n te, e tu tti i p riv ile g ia ti lo elo g ereb b ero , e io sarei vera m en te fe lic is sim o ch e c iò m i p o te sse un gio rn o fru tta re 1 5 0 ta lleri d ì p en sio n e! [ . . . ] A d e sso p erò L e i preferisce ch e io ta ccia , n on è v e ro ? E an ch e q u e llo ch e fa r ò , p o ic h é n on m i p ia c e spendere p e r d e lle f o llie [ . . . ] P erd o n i i l m io linguaggio p esa n te ; la cosa n on p e r m e tte a ffa tto d ì alleggerirlo. R in g ra zia m en ti e un sa lu to d ’a m ic iz ia . Oskar Planer e Camillo Reimann, Johann Gottfried Seume, Leipzig 1898, pp. 5 3 0 -3 3 -
CAROLINE MICHAELIS ( 1 7 6 3 -1 8 0 9 )
C a ro lin e M ic h a e lis era fig lia d i u n o r ien ta lista d i G o ttin g a . Il su o p rim o m a tr im o n io fu p er le i d i scarsa im p o r ta n za , m e n tr e il se c o n d o , c h e la u n ì ad A u g u st W ilh e lm S ch leg e l, fu p iu tto s to in fe li
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Scritti
ce; s o lo n e l te r z o , q u e llo c o n S c h e llin g , tr o v ò in v e c e la f e lic ità . S p in ta d a ll’a m icizia p e r i F o rster, n e l 1 7 9 2 C a ro lin e si re c ò a M a g o n za . L ’e n tu sia sm o c h e p erv a se q u e sta d o n n a n o n so lta n to p er il m a rito , m a a n ch e p er il co g n a to , F ried rich S ch leg el, em e rg e d alle le tte r e d a M a g o n z a e , in sie m e , d al le g a m e p a sseg g ero c o n u n u f f i c ia le d e ll’e se r c ito n a p o le o n ic o . Il su o d e sid e r io d i regolarizza re la s itu a z io n e d e l b a m b in o n a to d a ta le le g a m e fu p er C a ro lin e il p rin cip a le m o tiv o d e l su o m a tr im o n io c o n S ch leg e l. Il d e stin a ta r io d e l la le tte r a c h e se g u e era u n c o lle g a d i su o p a d re a ll’U n iv e r s ità d i G o ttin g a . M e y e r d e v e aver fa tto cap ire a C a ro lin e ch e n o n tro v a v a alcu n p ia ce re n e l co rrisp o n d ere c o n u n a d o n n a a p p a r te n e n te a u n clu b g ia c o b in o (del r e sto n o n sem b ra ap pu rato c o n ce r te z z a ch e C a ro lin e ab b ia fa tto p a rte d e l club ). C o m u n q u e sia, le i g li sc r iv e v a il 17 d icem b re: « H o il s o s p e tto c h e L e i ci aborrisca, [ .. .] M a ch i d à a t e , p e lleg rin o d i q u e sta v a lle d i lacrim e, il d ir itto d i sc h e rn i re ? Q u a n to a L e i, è U bero s o tto t u t ti i cie li, m a n o n è f e lic e s o tto n e ssu n o . M a L e i o sa d a v v ero p ren d ere in giro il p o v ero c o n ta d in o c h e , tre g io r n i su q u a ttr o , v er sa p er U p rop rio sig n o re il su d o re d e l la p rop ria fr o n te ch e asciu ga c o n ra b b ia alla sera, q u a n d o q u e sto c o n ta d in o , io d ic o , se n te c h e p o tr e b b e , c h e d o v r e b b e esser p iù f e lic e ? » . B iso g n a p rop rio d ire ch e sim ili p a ssi, sim ili lu c i so n o m o l t o rari n e lle le tte r e d e i r o m a n tic i te d e s c h i. Q u a le sia sta ta la s i t u a z io n e n e i lo ro riguardi, e q u a n to p o c o sia sta to c o n c e sso a C a ro lin e d i far p en etrare i p u n ti d i v ista d ella g io v in e zza n e ll’a m b ien te d e i m ariti r o m a n tic i, si p u ò c o n sta ta r e le g g e n d o u n a le tte r a ch e H xilsen , u n a m ico d e g li S ch leg e l, in d ir iz z ò d ie c i a n n i d o p o a u n o d e i fra telli. Q u e sta le tte r a d isa p p ro v a le ricerch e d e i ro m a n tic i su l l ’e p o c a d ella cavalleria: « D io c i gu ard i d al v e d e r rico stru ire i v e c c h i c a s te lli-fo r te z z e [ .. .] P iu tto s to c h e v e d e r rip ortare in v ita q u ei te m p i orm ai fin iti, v o rr ei c h e q u ella c o n fu sio n e c h e v ie n e ch ia m a ta p o p o lo c i a b b a tte sse tu tti, n o i e r u d iti e cavalieri, p e r c h é n o i fo n d ia m o la n o stra g ra n d ezz a e la n o stra ec c e lle n z a so lta n to suUa sua m iser ia » . C in q u a n t’a n n i d o p o d irà sp le n d id a m e n te V ic to r H u go: « I l p a n e ch e lo stu d io so m a n gia è l ’ig n o r a n te » . L a le tte r a d i H iilse n m a n tie n e u n ’e c o d e l lin g u a g g io d e g li S ch u b er t, d e g li H ò ld e rlin e d e i F o rster, ch e i r o m a n tic i n o n h a n n o com p reso. M a g o n za , 2 j o tto b re 1 7 9 2 Se L e i fo rse crede ch e q u i n on si p ossa scrivere con p ien a sicu rezza , si sbaglia [ . . . ] oppu re ciò d ip e n d e d a l f a tto ch e p e r i l m o m e n to a B er lin o si a ccu si d i « a lto tra d im e n to » una lettera in d irizza ta a M a gon za.
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N o n v e d o l ’ora d i sapere in ch e m o d o la Sua giu sta in d ig n a zio n e sia passata a l l ’eq u a n im ità . In m o d o a ltretta n to fa c ile , sp ero , d i c o m e n o i sia m o pa ssa ti in m an o a l n em ico [ . . . ] se n o n d im en o n o i p o ssia m o tra t tare da n em ici i n o stri o sp iti co rtesi e va lo ro si. C h e ca m b ia m e n to a d i stan za d i o tto giorni! [ . . . ] I l gen erale G u stin e alloggia a l ca stello d e i P rin cip i e le tto ri d i M a g o n za , n e l cu i sa lo n e d i gala si riu n iro n o i G ia c o b in i ted esch i [ . . . ] le co cca rd e n a zio n a li b ru lica n o n elle stra d e. L e v o c i ch e m a led iceva n o la lib ertà in to n a n o ora « V iv e re lib eri o m o ri r e i » . Se io avessi so lta n to la p a zie n za d i scrivere, e L e i q u ella d i leg gere, a vrei m o lte co se da ra cco n ta rL e. A b b ia m o p iù d i 1 0 .0 0 0 u o m i n i in c ittà , in c u i regnano l ’ord in e e la ca lm a . G li a risto cra tici son o sca p p a ti tu tti - si tra tta i l borgh ese con una cortesia estrem a - l o si f a p e r ragion i p o litic h e , m a se q u e sti u o m in i fo ssero d e i p e z z e n ti e d e i m i se ra b ili, c o m e si vo rreb b e f a r credere - se n on c ’era una discip lin a se vera - se i l f ie r o sp irito d ella lo ro causa n on li a n im a v a e n o n in se gn ava la g en erosità , sa reb b e c o s i im p o ssìb ile ev ita re tu tti g li eccessi e tu tti g li in su lti. Q u e ste p erso n e sem b ra n o rid o tte in p essim o sta to p e r c h é h ann o f a tto u na lunga cam pagna, m a n on son o a ffa tto p o v e re , u o m in i e c a v a lli so n o b en n u tr iti. L o sta to d e l l ’e se rc ito , in v e c e [ . . . ] G o e th e , ch e n on è s o lito esagerare le p ro p rie fo r m u la z io n i, scrive alla p ro p ria m a d re : «N essu n a lingua e nessuna pen n a p o sso n o descrivere i l triste sta to d e ll’esercito [ . . . ] » , e un u fficia le p ru ssian o d ic e : « L a si tu a zio n e im p o n e n te d e i lo ro eserciti e q u e lla d e p lo re v o le d e l n ostro [ . . . ] » . N o n c ’è d u b b io ch e i l p o p o lin o v u o le scu o tersi d i dosso i l g io g o [ . . . ] i l borghese n on è c o n te n to se n on se lo se n te s u l c o llo . N o n si dirà m a i a b b a sta n za q u a le strada egli d o v re b b e an cora percorrere p e r raggiungere l ’istru zio n e e la dign ità d e l m in im o sa n c u lo tto , laggiù a l cam po! I l co m m ercio rallen ta p e r un a ttim o , e d è tu tto ciò ch e lu i v e d e [ . . . ] lu i rim piange i l b e l m o n d o [ . . . ] e sa Id d io se c e n erano ch e, a ven d o f a tto b a n ca ro tta , n on pagavan o a sso lu ta m en te g li artigiani [ . . . ] G u stin e si co n so lid a e giura d i n on disfarsi d e lle ch ia v i d ella G erm a n ia se v e lo costrin ge una p a c e . S o n o p a ssa ti appen a q u a ttro m esi da q u a n d o i l C o n certo d e lle p o te n z e si era riu n ito p e r decid ere la p erd ita d ella Trancia [ . . . ] q u i, d o v e oggi si p u ò leggere su i ca rtello n i d ella C o m m e d ia : c o l perm esso d e l c itta d in o G ustine [ . . . ] Caroline, Brìefe am der Vmhromantìk [Caroline, lettere dei protoromantici], Editore Erich Schmidt, Leipzig 1913, p. 274.
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Scritti
FRIEDRICH HOLDERLIN (1 77O -1843)
C o n q u a le fo rz a il d e s tin o d i S ch u b a rt a b b ia s c o n v o lto i su o i c o n te m p o r a n e i si d e su m e d a a lcu n e rig h e in v ia te d a H o ld e r lin n el 1 7 9 2 al su o a m ico N e u ffe r : « Q u i corre u n ’orrib ile v o c e su S ch u b art n ella to m b a . S en za d u b b io tu n e sai q u alcosa. S criv im i d u n q u e in p r o p o sito » . In e f f e t t i, co rreva la v o c e ch e S ch u b art fo sse sta to se p o lto v iv o . Q u a n d o scrisse q u e ste rig h e, H o ld e r lin era agli in iz i d i q u ella v ita d a p r e c e tto r e a cu i, c o n q u alch e p e r io d o d i tre gu a, e g li fu co n d a n n a to p er t u t to il te m p o in cu i r e stò in salu te. P er i g io v a n i te d e s c h i c o lti d ella b o rg h esia , q u e l m o d o d i v iv e r e era l ’alta scu o la d ella v o lo n tà p o litic a e d e ll’esp e rie n z a r iv o lu z io naria. U n a sc u o la dura! H o ld e r lin v i e n tr ò n e l 1 7 9 3 , g ra v ita n d o n e ll’o rb ita d i M a d a m e v o n K alb; n e u sc ì n e l 1 8 0 1 , p resso u n c o m m er c ia n te d i B o r d e a u x . E p rop rio da B o r d e a u x , c o lp ito d a fo llia in cu ra b ile , eg li rig u a d a g n ò la sua p atria w iir te m b er g h e se . In u n a d e lle rare le tte r e d a lu i sc ritte dalla F ran cia e g li esp resse in u n a fo r m u la stra z ia n te la re g o la c h e g li p erm ise d i so p p ortare q u e l g e n e re d i vita: « N o n aver paura d i nuUa, a ccetta re m o lti a ffr o n ti» . P er H o ld e r lin la strad a d i B o r d e a u x fu r e a lm en te la strad a d e ll’esilio . E , p rim a d i im p e g n a r v isi, e g li scrisse a u n am ico: « A l m o m e n to p r e s e n te , il m io cu ore è g re v e p er la p a rten za. N o n a v e v o p ia n to d a p a rec ch io te m p o . M a d e c id e r m i a d esso a lasciare la m ia p atria, fo rse p er sem p re, m i è c o s ta to lacrim e am are. C h e c o s ’h o d u n q u e d i p iù caro al m o n d o ? L oro p erò n o n h a n n o b iso g n o d i m e. T e d e sc o , io v o g lio e d e v o a n ch e resta rlo , an ch e se la m iseria e la fa m e m i b raccassero fin o ad H a iti» . S im ile a ll’e c o c h e la m o n ta g n a ri m a n d a d i v a lle in v a lle, q u e sto la m e n to h ò ld e rlin ia n o si p rop aga attra v erso il se c o lo . « L e i d e v e an cora v e d e r e d i c h e co sa è cap ace u n te d e sc o q u a n d o h a fa m e » (B ù ch ner). « O c c o r r e aggiu n gere ch e i g o v e r n i te d e s c h i [ .. .] a b itu a n o t u t ti i te d e sc h i e m in e n ti ad a sp et tarsi c h e sian o i g o v e r n i stran ieri a rico n o sce re i lo ro m e r iti [ ...] S o lta n to p resso co sto r o e s si p o s s o n o trovare la sem pU ce p r o te z io n e c h e d o v r e b b e in v e c e sp etta r e agli a ltri» (Jochm ann). « Q u e s t i te d e s c h i la scereb b ero d a v v ero c h e u n o m o risse d i fa m e » (G regoro v iu s). B iso g n a ricordarsi d ella situ a z io n e reale d ella G e rm a n ia d i allora p er com p ren d ere c o n q uale p a ssio n e q u e sti g io v a n i es p o n e n ti d ella b o rg h esia c o g lie v a n o l ’o c c a sio n e d i d are u n se n so alle p rop rie p riv a z io n i d iv e n ta n d o i so ld a ti d ella p rop ria classe. L ’id e a le d ella so b rie tà g ia c o b in a , d e ll’a sc etism o d e l sa n c u lo tto , tra ev a d i If la sua fo rz a d i p ersu a sio n e . « I l lu sso e la m a g n ific en za - h a sc ritto P or-
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Ster - n o n fa n n o p iù o n o re alla p erso n a a c u i si a d a tta n o , e ssi la d i so n o ra n o » . E H ò ld e r lin riassu m e c o s ì l ’im p r essio n e su scita ta in lu i da u n b a n c h ie re d i F ran coforte: « Q u a n ti p iù cavalli l ’u o m o aggioga d a v a n ti a sé , q u a n to p iù so n o n u m er o se le ca m ere in c u i si ch iu d e , q u a n to m aggiore è il n u m ero d e i se rv ito ri ch e lo c ir c o n d a n o , ta n to p iù p r o fo n d a m e n te eg li h a sc a v a to la to m b a in c u i g ia c e, sim ile a u n m o rto v iv e n te , d im o d o c h é g li altri n o n lo se n to n o p iù e lu i n o n s e n te p iù g li altri, m algrado tu tto il fracasso fa tto d a lu i e d a g li a ltri» . I tre p a ssi ch e se g u o n o so n o tra tti d a le tte r e alla sorella, alla m ad re e a ll’am ico N e u ffe r . T u b in g a,
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E c o si, la cosa sé deciderà p re sto . C red im i, cara sorella, vivre m o gior n i an gosciosi se g li A u stria c i lo p o rta n o via. L ’a b u so d e l p o te re p rin cip esco diverrà terrib ile. C redim i! E prega p e r i Francesi, ca m p io n i d e i d ir itti u m a n i. T u bin ga, f in e n o vem b re 1 7 9 2 È c o m m o v e n te e b e llo ch e in tere f i l e d i ragazzi tra i q u in d ic i e i se d ic i a n n i s i tro v in o n e ll’esercito fra n cese d a va n ti a M a g o n za , c o m e so con c e rte zza . Se c i si stu p isce d ella lo ro g io v a n e e tà , lo ro d ic o n o :p e r u ccid erci, a l n em ico occo rro n o le stesse p a lle , le stesse sp a de ch e o c co rro n o p e r co lp ire s o ld a ti p iù gran di, e n o i c i esercitia m o a ltretta n to in fr e tta d i ch iu n q u e a ltro e, a i n ostri fr a te lli ch e m arcian o d ie tro d i n o i n e l grosso d e ll’esercito , d ia m o i l d ir itto d i u ccidere i l p r i m o fr a n o i ch e m o lla sse i l c o m b a ttim e n to . W a ltersh au sen , in izio d i a p rile 1 7 9 4 I l tu o co m b a ttim en to ti varrà senza d u b b io la g ratitu din e d ella na zio n e tedesca dalla m em oria indolente! M a degli a m ici ti preoccuperai sicuram en te. M i sem bra ch e, p iù ch e n e l corso degli u ltim i an n i, la n o stra gen te si sia ugualm en te a b itu a ta a interessarsi a id ee e a oggetti ch e van n o o ltre l ’o rizzo n te d e ll’u tilità im m ed ia ta ; ch e le grida d i guerra si spengano, e ch e la verità e l ’arte conosceranno u n ’espansione senza pre ced en ti [ . . . ] M a q u a n d ’an ch e n o i p o v e ri d ia v o li venissim o d im en tica ti, q u a n d ’anche n o i n on fo ssim o m a i pien a m en te v iv i n elle m em o rie [ . . . ] ciò p o c o im p o rta , p u rch é in q u elle stesse m em o rie siano pien a m en te v i v i i sacri fo n d a m e n ti d e l d iritto e d i una con oscen za p iù p u ra ; ciò p o c o im p o rta , p u rch é in q u esto m o d o gli esseri u m a n i divengano m igliori! Friedrich Hòlderlin, Sàmtliche Werke [Opere complete], voi. I, MunchenLeipzig 1913, pp. 258, 264 e 295.
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Scritti
GEORG W ILHELM FRIEDRICH HEGEL (1 77O -1831)
H e g e l, S ch ellin g e H ò ld e r lin fre q u en ta r o n o lo ste sso co r so p res so il C o lle g io te o lo g ic o d i T u b in g a . U n a tr a d iz io n e d e l C o lle g io a f fe r m a , m o lto p r o b a b ilm e n te a r a g io n e , c h e e s s i fe c e r o p a rte d i u n ’a sso c ia z io n e p o litic a seg reta c o s titu ita s i a ll’in te r n o d e l C o lle g io ste sso . S e c o n d o ta le tr a d iz io n e , in q u ella se d e sa reb b ero sta ti p r o n u n c ia ti d e i d isco r si c o n tr o il d u ca C arlo E u g e n io , si sa r eb b e ro c a n ta te c a n z o n i lib e r ta r ie , tra c u i L a M arsigliese. P are c h e u n g io r n o v i sia sta to e r e tto u n alb ero in o n o r e d ella lib e rtà , ch e v e n n e fe ste g g ia ta c o n d a n ze; d o p o d ic h é , p are c h e il d u ca in p erso n a si sia r e ca to n e l C o lle g io p er in fie r ir e co n tro d i lo ro . A n c o r a n e l 1 7 9 5 H e g e l, c h e si tro v a v a in S v izz er a , scrisse a S ch ellin g: « C r e d o c h e n o n c i sia m ig lio r se g n o d i q u e sto te m p o c h e v e d e r e l ’u m a n ità in sé ra p p r e se n ta ta c o m e a ltr e tta n to r isp e tta b ile [ch e in K a n t e F ic h te ], è u n a p ro v a c h e l ’au reola scom p are d alla te sta d e g li o p p resso ri e d e g li d è i in terra. I filo s o f i d im o str a n o q u e sta d i g n ità , i p o p o li im p areran n o a p rovarla e , in v e c e d i rich ie d e r e i lo ro d ir itti c a lp e sta ti, [ .. .] se n e a p p rop rieran n o ». C o m e si sa, n el c o n te n u to d ella filo s o fia h e g e lia n a q u e sta te n d e n z a r iv o lu zio n a ria n o n com p a re p iù . M a e ssa r e sta an cor p iù p r o fo n d a m e n te a n cora ta n e l su o m e to d o . M a r x l ’h a b e n co m p re so . S i p u ò p ersin o d ire c h e e g li h a sa p u to id e n tific a r e la te n d e n z a r iv o lu zio n a ria d e l m e t o d o h e g e lia n o e c h e , se c o n d o la f e lic e fo rm u la d i K arl Korsch^, d e ll’o p p o s iz io n e h e g e lia n a e g li h a fa tto la lo tta d e lle cla ssi sociali, d ella n e g a z io n e h eg elia n a h a fa tto il p ro leta ria to , e d ella sin te si h e g elia n a h a fa tto la so c ie tà se n z a classi. I l p en sie ro , i l c o n c e tto d i d iritto si fe c e d ’altro n d e va lere tu tto in una v o lta , e la vecch ia im pa lcatu ra d e ll’in g iu stizia n o n p o tè m in im a m e n te resistere a e s s o .N e ll’id ea d e l d ir itto f u c o si, o ra , fo n d a ta e d e d i fic a ta una c o stitu zio n e , e tu tto d o v e v a da a llora in p o i basarsi su q u e sto fo n d a m e n to . D a ch e i l s o le sp len d e s u l firm a m e n to e i p ia n e ti g i rano in to rn o a esso , n on si era an cora sco rto ch e l ’u o m o si basa su lla sua te sta , c io è s u l p en sie ro , e costru isce la realtà co n fo rm em en te a es s o . Q u esta f u d u n q u e una sp len d id a au rora. T u tti g li esseri p en san ti hann o celeb ra to co n co rd i q u e s t’ep o c a . D o m in ò in q u e l te m p o una n o b ile co m m o zio n e , i l m o n d o f u percorso e a g ita to d a un en tu siasm o del^ Benjamin si riferisce al volume Karl Marx di Korsch, che egli aveva letto nel mano scritto alla fine del 1938 o all’inizio del 1939 [N.ii.T'.].
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lo sp irito , c o m e se allo ra fo sse fin a lm e n te a vven u ta la vera c o n c ilia zio n e d e l d iv in o c o l m o n d o . Georg W ilhelm Friedrich Hegel, 'Vorlesungen zur Philosophie der Geschichte [Lezioni sulla filosofia della storia], in Id., Werke [Opere], voi. IX, Berlin 1837, p. 441.
CARL GUSTAV JOCHMANN (1 7 8 9 -1 8 3 0 )
G li u o m in i c h e , in G e rm a n ia , h a n n o fo r m a to il d ista c c a m e n to d ’avan gu ard ia d ella b o rg h esia so n o sta ti p iù o m e n o d e s tin a ti al l ’o b lio . M a il f a tt o c h e n e ssu n o fra lo r o sia sc o m p a rso d alla c o sc ie n z a p u b b lic a in m an iera c o s i a sso lu ta c o m e J o ch m a n n h a u n a sua p artico la re ra g io n d ’esser e. In q u e sta avan gu ard ia, eg li è a sso lu ta m e n te is o la to . P ili g io v a n e d e i su o i co m p a g n i d i lo tta , J o c h m a n n c o n o b b e la p ie n a fio ritu ra d e l ro m a n tic ism o . « I r o m a n tic i d ic e V a léry - si erg ev a n o c o n tr o il x v m se c o lo [ ...] e rim p rov era v a n o c o m o d a m e n te d i esse r e s ta ti su p e rficia li a u o m in i in fin it a m e n te p iù istr u iti, p iù c u rio si r isp e tto a f a tt i e id e e , p iù in q u ie ti r isp e tto a p r e c isio n e e a u n p en sier o ad am p io raggio d i q u a n to n o n sia n o m ai sta ti e s si ste s s i» . C o n J o c h m a n n , il se c o lo filo s o fic o t e d e sc o p assa al co n tr a tta c c o . Parla d ella « la b o rio sa o z io s ità [ ...] ch e n o i ch ia m ia m o e r u d iz io n e » , a llu d en d o in ta l m o d o al c o n fe z io n a m e n to d i o p ere c o m e il K a iser O k ta v ia n u s [L ’im p e ra to re O tta v ia n o ] d i T ie c k , le R o m a n ze n v o m R o sen k ra n z [L e ro m a n ze d e l rosa rio] d i B r e n ta n o , se n o n ad d irittu ra d alle H y m n e n an d ie N a c h t [In n i alla n o tt e ] d i N o v a lis . S i p u ò a ffe rm a re a c o lp o sic u r o ch e J o ch m a n n fu in a n tic ip o d i u n se c o lo r isp e tto al p rop rio te m p o e, q u asi c o n a ltre tta n ta c e r te z z a , c h e i su o i c o n te m p o r a n e i d o v e t t e ro co n sid er a rlo c o m e in ritard o d i cin q u a n t’a n n i su gli sv ilu p p i d e l l ’e p o ca . In realtà la sua a ttitu d in e n o n era a ffa tto d eter m in a ta da u n rig id o rigore cla ssic o , c o m e q u e llo d ella m aggior p arte d e g li av versari d e ll’e p o c a ro m a n tic a . L a cr itic a d i J o c h m a n n si era fo rm a ta su lla b a se d ella c o n c e z io n e c h e V ic o a v ev a d ella sto ria d e ll’u m a n ità e , tr a m ite il su o p o te r e d i elim in a r e, m e d ia n te la d ia le tti ca, le p a s to ie d e lle id e e r ic e v u te , e g li si im p a r e n ta c o n H e g e l. I p u n ti fis s i d e lle su e r ifle s s io n i p o litic h e fu r o n o la guerra d ’In d i p e n d e n z a am erican a e la R iv o lu z io n e fra n ce se - J o c h m a n n era u n b a ltic o . A n c o r a g io v a n e , r iu sc ì a L on d ra a r e n d er si in d ip e n d e n te e r iv id e p er l ’u ltim a v o lta la p ro p ria p atria all’e tà d i t r e n t’an n i. D a q u el m o m e n to in a v a n ti, sin o al te r m in e d ella sua b r e v e v ita , so g g io r n ò in F ran cia, n ella G e rm a n ia su d -o c c id e n ta le e in S v izz er a .
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Scritti
A P arigi strin se a m icizia c o n O e lsn er , in caricato d i affari d ella città d i F r a n c o fo r te sul M e n o , a n ch e lu i in str e tti rap p orti c o n S iey è s. Il f a tto c h e , in q u e sto a m b ie n te , sia n o sta ti c o n fid a ti a J o ch m a n n d e i rico r d i r e la tiv i alla R iv o lu z io n e e alla C o n v e n z io n e c o s titu isc e , al f in e d i ch iarire la su a p o s iz io n e p o litic a , u n a te stim o n ia n z a ta n to p iù im p o r ta n te in q u a n to l ’in iz io d ella R e sta u r a zio n e n o n era c e r ta m e n te fa tto p er fa v o rir e in fo r m a z io n i d e l g en er e. N e l p a sso c h e se g u e , J o c h m a n n s i o c c u p a d e ll’e v o lu z io n e d ella lin g u a fra n c e se s o t to la R iv o lu z io n e . E stran eo a lle p iù a lte p re o c c u p a zio n i, a lle p iù serie d elib era zio n i d ella v ita p u b b lic a , fo r m a to s o tto la tu te la d i fe m m e s d ’esp r it, in un p ic c o lo c o m ita to e p e r i b iso g n i lim ita ti d i p e tit-m a ìtr e s, q u e sto lin guaggio p o ssed eva tu tti i m e riti e le d o ti d e ll’u o m o d i b u o n a co m p a gn ia , sen za m a i arrivare a l l ’a u to rità ve rb a le d e ll’o ra tore o d e ll’u o m o d i S ta to . G li restavan o sco n o sc iu ti i se n tim e n ti p ro fo n d i, e d esso n on acco g lieva a sso lu ta m en te la saggezza u scita arm ata d a lla testa d i G io v e . L e sp e cu la zio n i p iù so fistic a te e i tra sp o rti e m o tiv i p iù sìn ceri era n o p ro sc ritti da esso, co m e d a lla b u o n a so c ietà . Esso n on offriva u n ’ar m a tu ra a l p en sie ro , m a un tra n q u illo a b ito d e lle f e s te ch e si p resen ta va sem p re in m o d o a p p ro p ria to , lin d o e sen sa to . L a sua le tte ra tu ra , a d a tta ta a lle su e q u a lità e a i su o i d ife tti, era c o m e la cronaca lo c a le d e ll’E u ro p a . E , a lp a r i d i una cronaca lo ca le, essa era la d e lizia d i o z io si in daffarati, m a agiva p o c o o n u lla su lla f o lla , in fin ita m en te p iù gran d e , d i c o lo ro ch e lo tta va n o p e r la p ro p ria e siste n za . R o u ssea u , l ’u nico tra g li sc ritto ri fra n c esi a d a v e r e serc ita to u n ’a zio n e n on so lo con i l p en siero m a an ch e con la fo rm a lettera ria , d i cu i nessuno d e i c o n te m p o ra n ei p o te v a ev ita re i l fa sc in o , e b b e n e R o u ssea u , fig lio p iù d ella s o litu d in e ch e d e lla s o c ie tà , era un g in evrin o ; fa c e v a d u n q u e p a rte d i q u e lla p ic c o la rep u b b lica i c u i c itta d in i, a ve n d o a cq u isito una tem pra p iù v irile a lla scu o la d e lle lo tte p o litic h e e religiose, co n i Francesi a v e va n o in co m u n e so lta n to la lin g u a . A i g io rn i n ostri g li scritto ri fra n cesi si sq n o riso lle va ti co n un vig o re rin g io va n ito ; tra d i lo ro , g li sto ri c i h ann o preso co scien za d i c o m p iti p iù e le v a ti ch e n o n scrivere p a n e girici, e g li u o m in i d i S ta to d i fin a lità ch e l ’ardore su scitato da qu estio n i d i p re ce d en za ; a l pen siero p iù sig n ifica tivo si è offerta l ’espressione a u d a ce [ . . . ] In q u e sto m o d o è n a to s im ile c a m b ia m e n to , d eriv a to e v i d en te m en te d a l p iù e le v a to sign ificato ch e i l linguaggio a veva a cq u isi to n e l su o raggio d ’a zio n e p iù im m e d ia to , in q u a n to p a ro le p a r la te . L a lo q u ela d i M ira b ea u , p iù vigorosa d ella sua p en n a , capace d i sp ezza re ca ten e, sp e zzò q u e lle d eg li sc ritto ri. I B a m a v e , i V ergn iau d p ia n ta ro n o g li a llo ri ch e ven n ero c o lti d a i C o n sta n t e d a g li C h a tea u b ria n d .
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L a n ju in a h scrisse c o m e p a rla v a ;a lla trib u n a , su lla ca tted ra o n ella so litu d in e d ella p ro p ria sta n za , Say d ifese con p a ri successo la causa d e l la ragion e, a ltre tta n to in separabile d a lla g iu stizia ch e d a lla verità [ . . . ] L e A sse m b le e N a zio n a li, a p a rtire d a l 1 J 8 9 , fu ro n o le a cca d em ie in cu i si fo r m ò q u esta n u o va scu o la d ella letteratu ra fra n c ese ; la trib u n a d e ll’oratore f o r n ì a lla stam p a fo rm a e c o n te n u to . I l d o n o d e llo sc rit to re , riflesso d e l d ir itto a lla p a ro la , viv rà a ltre tta n to a lungo d i q u e s t ’u ltim o , senza p e r n u lla sop ra vviverg li. Cari Gustav Jochmann,
[Sulla lingua], Heidelberg 1828, p. 191
{Wodurch biUtetsich eine Sprache? [Attraverso che cosa si forma una lingua ?]) (Tradotto dal tedesco in francese da Marcel Stora).
[ A p p e n d ic e a T e d e s c h i d e l l ’o tta n ta n o v e ]
F ram m en to su H e rd er J o h a n n G o t tf r ie d H e r d e r (1 7 4 4 -1 8 0 3 ). S areb b e sb agliato p e n sare c h e la r iv o lu z io n e fra n ce se ab b ia s v o lto u n ru o lo so lta n to c o m e m o d e llo e c o m e e s e m p io n e llo sv ilu p p o lib e ra le te d e sc o , p o ic h é è sta ta o g g e tto d i cr itic h e a n ch e m o lto aspre n o n sem p re e s c lu si v a m e n te d i sta m p o re a zio n a r io . E v er o in fa tti c h e q u e ste ricorro n o in B o n a ld e D e M a istr e , m a a n ch e n e i ro m a n tic i te d e sc h i. N e l su o L a cristia n ità o vv ero l ’E u ropa, N o v a lis istitu isc e , d a u n p u n to d i v is ta cr istia n o -e c u m e n ic o , u n a an alogia fra i c o n f lit ti tra le n a z io n i e il fla g ello d e g li sc ism i re lig io si. Il n a z io n a lism o m o d e rn o p arte d alla F ran cia. L a « F ra n cia - si le g g e in N o v a lis - p ro p u gn a u n p r o te s ta n te s im o m o n d a n o » . « L a R iv o lu z io n e d e v e rim a n ere fr a n ce se, c o s i c o m e la R ifo rm a fu lu te r a n a ? » . « I l sa n gu e - p ro se g u e il p o e ta - scorrerà su ll’E u ro p a , fin c h é le n a z io n i [ ...] n o n si a c c o ste r a n n o in v a r io p in ta m esc o la n z a agli a n tic h i a ltari». C in q u e a n n i p rim a, H e r d e r a v ev a so lle v a to , se b b e n e d a u n p u n to d i v ista m e n o rea zio n a rio , u n a cr itic a alla r iv o lu z io n e sim ile a q u ella d i N o v alis. D ’altra p arte il n a zio n a lism o d elle arm ate riv o lu zio n a rie fran c e si è riu sc ito in d u b b ia m e n te ad afferm arsi e h a p o tu to c o s ì a ttri b u ir si u n d ir itto sto ric o . Il lo r o d io d ella guerra in fa tti si ch ia m a v a Afars fra n g a is,p ro tecteu r d e la lib ertà d u m on de. I p resu p p o sti d ella d eg e n e r a z io n e eran o tu tta v ia g ià p iu tto s to e v id e n ti. H e rd er lo p er c e p ì e si rese a n ch e c o n to d i q u a n to il n a z io n a lism o fo sse in c lin e ad allea rsi c o n il terrore. C iò c h e a ll’e p o c a d ella G r a n d e r iv o lu z io n e n o n era p erò altro c h e u n b a g lio r e all’o r iz z o n te d ella storia b o r g h e se , o g g i si sc a te n a su lla G e rm a n ia co m e la p iù sp a v en to sa d e lle te m p e ste . P ro p rio il n a z io n a lism o è d iv e n ta to in fa tti il p rin cip a le stru m e n to d i terrore d e l T e r z o R e ic h . U n terrore r iv o lto d i r e tta m e n te c o n tr o il p rop rio p ro le ta r ia to , m a in d ir e tta m e n te c o n - . tro q u e llo in te r n a z io n a le . Il f a tto c h e i p resu p p o sti d ella situ a z io n e o d ier n a fo sse r o g ià p r e s e n ti n ella p rassi d e l re g im e d e l T errore lo h o d im o s tr a to , d i r e c e n t e , c o n t u t to il v ig o r e n e c e ssa r io , H o r k h e im e r n ella sua an alisi S u ll’an tro p o lo gia d e ll’epoca borghese
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{E g oism o e m o v im e n to d i lib e rtà , in « Z e it s c h r if t fiir S o z ia lfo r sc h u n g » , A lc a n , P aris 1 9 3 6 , fase. 2). « S p in te [ .. .] d a p a role d ’or d in e c o m e lib e r tà e g iu stiz ia e d a ll’ir re fr en a b ile [ .. .] im p u lso al m i g lio r a m e n to d ella lo r o situ a z io n e , le m a sse [ .. .] d iv e n ta n o classe so c ia le e v e n g o n o a m m esse (da R o b esp ierre) in u n a so c ie tà c h e v i v e u n a su a n u o v a fa s e » . « R o b e sp ie r r e è u n ca p o b o rg h ese . L a sua p o litic a h a o b ie ttiv a m e n te u n c o n te n u to p rogressista ; il p rin cip io d ella so c ie tà c h e e g li s o stie n e ra c ch iu d e tu tta v ia la c o n tr a d d iz io n e c o n la su a id e a d i u n a g iu stiz ia u n iv e r sa le » . L e a sp ira z io n i d e lle m a sse v e n g o n o so d d is fa tte so la m e n te in m o d o in c o m p le to (il m o v im e n to d i B a b e u f p e r m e tte d i co m p re n d er e c iò ch e in te n d ia m o ) e, n e lla m isu ra in c u i s o n o d is a tte s e , v e n g o n o « in te r io r iz z a te » ; m e n tr e d iv e n ta n o c o n sa p e v o li d ella r in a sc ita m o ra le e sp iritu a le c h e sta n n o v iv e n d o e d ella lo ro v ir tù le m a sse h a n n o p erò n e c e s sità d i tro v a re, in u n a p arola, ap p a g a m en to . A l r ise n tim e n to c h e n a sc e d a q u e sta fru str a z io n e il T errore d e v e rep lica re crea n d o u n d iv e r siv o e cerc a n d o d i so d d isfa r e c o n il d e la z io n ism o la lo ro in v id ia e s e te d i sa n g u e . « L a g h ig lio ttin a s im b o liz z a l ’u g u a g lia n za n e g a tiv a » . L ’in se r im e n to d e l p ro le ta r ia to n ella n u o v a so c ie tà clas sista h a p r o d o tto d u n q u e sia il c u lto d ella v ir tù sia la p rassi ter ro r istica , in sep a ra b ili l ’u n o d a ll’altra. Il f a tto c h e il rap p orto tra l ’i d e a le n a z io n a le e la v ir tù , c h e tr o v ia m o in R o b e sp ier re , la sc i il p o sto in H itle r a q u e llo tra id ea le n a zio n a le e razza, ci d ic e so lo q u ale d iffer en za su ssista tra u n cap o b o rg h ese d i u n p erio d o ero ico e q u el lo d i u n ’e tà d i d eca d e n z a . N o n c ’è traccia n e l n a z io n a lism o d i t i p o fra n ce se d ella m istica d e l sa n g u e [?]. P iù k a n tia n i. L e p arole d i H e r d e r , p r o fe tic h e n e l 1 7 9 4 , o g g i so n o se m p lic e m e n te o g g e ttiv e .
S u a lc u n i m o t i v i i n B a u d e la ir e
I.
B au d elaire c o n ta v a su u n p u b b lic o c h e la lettu ra d ella lirica m e t te in d iffic o ltà . A q u e sti le tto r i si riv o lg e il p o em a in tr o d u ttiv o d e l le Fleurs d u m a l. L a lo r o fo r z a d i v o lo n tà , e q u in d i a n ch e d i c o n c e n tr a z io n e , n o n arriva m o lto lo n ta n o ; essi p r e fe r isc o n o i p ia ceri s e n sib ili, e c o n o s c o n o b e n e lo sp leen , c h e an n u lla l ’in te r e sse e la ri c e ttiv ità . S tu p is c e in co n tr a re u n liric o c h e si r iv o lg e a q u e sto p u b b lic o , il p ili in g r a to d i t u t ti. U n a sp ie g a z io n e si a ffa c c ia su b ito . B a u d ela ire v o le v a e sser e com p reso: e g li d e d ic a il lib r o a c o lo ro ch e g li so m ig lia n o . L a p o e sia al le tto r e ter m in a c o n l ’ap ostrofe: « H y p o c r ite le c te u r , - m o n se m b la b le, - m o n frère! M a il rap p o rto si riv ela p iù fe c o n d o d i c o n se g u e n z e se s ’in v e r t e la fo r m u la z io n e d ice n d o : B a u d e la ir e h a sc ritto u n lib r o c h e a v e v a a p rio ri scarse p r o sp e ttiv e d i su c c e sso im m e d ia to . E g li c o n ta v a su u n tip o d i le tto r e c o m e lo d e sc r iv e il p o e m a in tr o d u ttiv o . E si sa reb b e v is t o c h e il su o ca lc o lo era sta to lu n g im ir a n te . Il le tto r e a c u i si r iv o lg e v a g li sareb b e sta to fo r n ito d a ll’e p o ca se g u e n te . C h e q u e sta sia la situ a z io n e , c h e , in altri te r m in i, le c o n d iz io n i p er l ’ac c o g lie n z a d i p o e s ie lir ic h e sia n o d iv e n u te p iù in fa u ste , è p r o v a to , fra l ’a ltro , d a tre fa tti. A n z it u t to il Urico n o n è p iù c o n sid e r a to c o m e il p o e ta in sé. N o n è p iù il « v a t e » , c o m ’era an cora L am artin e; è en tra to in u n g en er e (V erla in e r e n d e q u e sta sp e c ia liz z a z io n e ta n g ib ile; R im b a u d è g ià u n e s o te r ic o , ch e tie n e il p u b b lic o - ex o ffi c io - lo n ta n o d alla p rop ria op era). S e c o n d o fa tto : u n su cc esso d i m assa d i p o e s ie lir ic h e n o n h a p iù a v u to lu o g o d o p o B a u d e la ir e (ancora la lirica d i H u g o e b b e , al su o apparire, u n a v a sta riso n a n za. In G e rm a n ia la lin e a d i c o n fin e è se g n a ta d al L ib ro d e i C a n t f ) . C iò im p lica a n ch e u n te r z o e lem en to : il p u b b lic o è d iv e n u to p iù fr e d d o a n ch e v e r so la p o e sia lirica c h e g li era già n o ta d al p a ssa to . L o sp a zio d i te m p o in q u e stio n e si p u ò d atare all’in circa dalla m età ‘ CHARLES BAUDELAIRE, (£uvres cit., I, p. l 8 [N J.A.]. ^ Benjamin si rifeiisce al Buch der Lieder di Heinrich Heine [N. d. T.].
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d e l se co lo scorso. N e l corso d ello ste sso p er io d o la fam a d elle F ku rs d u m a l si è e s te sa se n z a in te r r u z io n e . Il lib r o c h e a v ev a c o n ta to su i le tto r i p iù estr a n e i e c h e , a ll’in iz io , n e a v ev a tr o v a ti b e n p o c h i p r o p iz i, è d iv e n u to , n e l c o r so d e i d e c e n n i, u n classico; e a n ch e u n o d e i p iù rista m p a ti. S e le c o n d iz io n i d ella r ic e z io n e d i p o e s ie liric h e so n o d iv e n u te p iù in fa u ste , è n atu rale su pp orre c h e la p o esia lirica co n se rv i so lo e c c e z io n a lm e n te il c o n ta tto c o n l ’e s p e r ie n z a d e i le tto r i. C iò p o tr e b b e e sser e p e r c h é q u e sta e s p e rie n z a si è trasform ata n ella sua struttura. Q u e sto sp u n to sarà forse ap provato, m a ci tro v erem o ta n to p iù im b a razzati a d e fin ire ciò ch e si è trasform a to in essa. In q u e sta situ a z io n e d o v rem o riv o lg erci alla filo so fia , d o v e tro v e re m o u n fa tto sin to m a tic o . D a lla fin e d e l se c o lo sc o rso , e ssa h a co m p iu to u n a serie d i te n ta tiv i p er s p o s s e s s a r s i d ella « v e r a » esp e rie n z a , in c o n tra sto c o n q u ella c h e si d ep o sita n ella v ita regolata e d en atu ra ta d elle m asse civ iliz z a te . S i u sa ra ccogliere q u e sti te n ta tiv i s o tto il c o n c e tto d i filo so fia d ella v ita . E s si n o n m u o v o n o , n a tu ra lm en te, dalla v ita d e ll’u o m o in so c ietà , m a si rich ia m a n o alla p o e sia , o m e g lio an cora alla n atu ra, e alla fin e , d i p referen za , all’ep o ca m itica. L ’op era d i D ilth e y B a s E rlebn is u n d d ie D ich tu n g [E sp erien za v is su ta e p oesia] è u n o d e i p rim i te n ta tiv i d ella serie; ch e fin isc e c o n K lages e c o n Ju n g, ch e si è v o ta to al fascism o. C o m e u n m o n u m e n to d i gran lu n g a e m in e n te , sp icca su q u e sta lettera tu ra l ’o p era g io v a n ile d i B erg so n , M a tière e t m é m o ire [M ateria e m em oria]: ch e ser b a , p iù d elle altre, rap p orti c o n l ’in d a g in e esatta. E ssa è o rien ta ta su l m o d e llo d ella b io lo g ia . G ià il tito lo d ic e c h e essa co n sid era la struttura d ella m em oria co m e d ecisiv a p er la struttura filo so fic a d e l l ’esp erien za . In realtà l ’esp e rie n z a è u n fa tto d i tra d izio n e , n ella v i ta c o lle ttiv a c o m e in q u ella p rivata. E ssa n o n c o n sis te ta n to d i sin g o li e v e n ti e s a tta m e n te fissa ti n e l rico rd o q u a n to d i d a ti accu m u la ti, sp e sso in c o n s a p e v o li, c h e c o n flu is c o n o n ella m em o ria . M a B e rg so n n o n si p ro p o n e a ffa tto d i sp ecifica re sto ric a m en te la m e m oria; e re sp in g e , an zi, o g n i d ete r m in a z io n e sto rica d e ll’e sp e rie n za. C o n c iò e g li e v ita , a n z itu tto e d e sse n z ia lm e n te , d i d o v e r si av v ic in a re a q u e ll’esp e rie n z a d a c u i è sorta la sua stessa filo so fia , o c o n tro la q uale, p iu tto sto , essa è stata m ob ilitata: ch e è q u ella o s ti le , a c c ec a n te , d e ll’e p o c a d ella gra n d e in d u stria . A ll’o c c h io c h e si c h iu d e d i fr o n te a q u e sta esp e rie n z a se n e a ffa ccia u n a d i tip o c o m p le m en ta r e, c o m e la sua im ita z io n e p er c o si d ire sp o n ta n ea . L a f i lo so fia d i B e rg so n è u n te n ta tiv o d i sp ecifica re e fissare q u e sta im i ta z io n e . E ssa rim an d a q u in d i, in d ir e tta m e n te , all’esp e rie n z a c h e si a ffaccia d ir e tta m e n te a B au d elaire n ella figu ra d e l su o « le tto r e » .
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Scritti
2.
M a tiè re e t m é m o ìre d e fin is c e il ca ra tte re d e ll’e s p e r ie n z a n ella àu rée in m o d o ch e il le tto r e d e v e fin ire p er dirsi: so lo il p o e ta p u ò esser e il so g g e tto a d eg u a to d i u n ’esp e rie n z a co n sim ile. E d è sta to in fa tti u n p o e ta a m e tte r e alla p ro v a la teo r ia b ergson ian a d e ll’e sp erien za. S i p u ò con sid era re l ’op era d i P rou st, A la recherche du tem p sp erd u , co m e il te n ta tiv o d i produrre artificialm en te, n elle c o n d iz io n i so c ia li o d ier n e , l ’e s p e rie n z a co m e in te sa d a B e rg so n (p oi c h é su lla sua g e n e si sp o n ta n e a sarà sem p re p iù d iffic ile con tare). P ro u st, d e l re sto , n o n si so ttr a e, n ella sua op era, alla d isc u ssio n e d i q u e sto p ro b lem a . E g li in tr o d u c e , a n z i, u n m o m e n to n u o v o , c h e c o n tie n e u n a critica im m a n e n te a B erg so n . Q u e s ti n o n tralascia d i so tto lin e a re l ’a n ta g o n ism o fra la vita a ctìva e la p articolare v ita co n te m p la tiva ch e è d isch iu sa dalla m em oria. S em bra p erò , in B erg son , ch e il fa tto d i v o lg e rsi all’a ttu a liz za z io n e in tu itiv a d e l flu sso v ita le sia u n a q u e stio n e d i lib era scelta. L a d iv er sa c o n v in z io n e d i P ro u st si p rea n n u n cia già n ella ter m in o lo g ia . L a m é m o ire p u re d ella t e o ria b erg so n ia n a d iv e n ta in lu i m é m o ire in vo lo n ta ire. F in d a ll’in iz io P rou st co n fr o n ta q u esta m em oria in v o lo n ta r ia co n q uella v o lo n ta ria, c h e è a d isp o s iz io n e d e ll’in te llig en za . A lle p rim e p a g in e d ella gran d e op era è a ffid a to il c o m p ito d i chiarire q u e sto rap p orto. N e l la r ifle ssio n e c h e in tr o d u c e il ter m in e, P ro u st parla d ella p o v ertà c o n cu i si era o ffe r ta al su o ricord o, p er m o lti an ni, la città d i C om bray, d o v e p ure a veva trascorso u n a p arte d ella sua in fa n zia . P ri m a c h e il g u sto d ella m a d elein e (un b isc o tto ), su c u i ritorn a q u in d i s o v e n te , lo ritrasferisse u n p o m e rig g io n eg li an tic h i te m p i, eg li era sta to lim ita to a c iò ch e g li a v ev a fo r n ito u n a m em oria p ro n ta a ri sp o n d er e all’a p pello d e ll’a tte n z io n e . E ssa è la m é m o ire vo lo n ta ire, il ricord o v o lo n ta r io , d i cu i si p u ò d ire ch e le in fo r m a z io n i c h e ci d à sul p a ssa to n o n c o n se rv a n o n u lla d i e sso . « L o ste sso v a le p er il n o str o p assato. V a n a m e n te cerch iam o d i rievocarlo; tu tti gli sfo r z i d e l n o str o in te lle tto so n o inutili»*. P er cu i P ro u st n o n e s ita ad afferm are, in co n clu sio n e , ch e il p a ssa to è « a l d i fu o ri d el su o p o ter e e d ella sua p o rtata, in q u alch e o g g e tto m ateriale (o n ella se n sa z io n e c h e q u e sto o g g e tto p ro v o ca in n o i), ch e ig n o ria m o q u ale p o ssa essere. C h e n o i in co n tr ia m o q u e sto o g g e tto prim a d i m orire o ch e n o n lo in co n tr ia m o m ai, d ip e n d e so lo d al caso»". ’ MARCEL PROUST, A la recherche du temps perdu [Alla ricerca del tempo perduto], voi. I: Du cóté de chez Swann [La strada di Swann], Paris, tomo I, p. 69 [N,
^Ibid. IN .d.A .l
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S e c o n d o P ro u st è a ffid a to al ca so c h e il sin g o lo a cq u isti u n ’im m a g in e d i se ste sso , c h e d iv e n ti sig n o re d ella p rop ria esp e rie n z a . D ip e n d e r e , in u n a co sa sim ile, d al ca so , è q u alcosa d i t u t t ’altro ch e n a tu ra le. G li in te r e ssi in te r io r i d e ll’u o m o n o n h a n n o g ià p er n a tu ra q u e s to ca ra ttere ir rim e d ia b ilm e n te p rivato; m a lo a cq u ista n o s o lo q u a n d o d im in u isc e , p er g li in te r e ssi e s te r n i, la p o ssib ilità d i e sser e in co r p o r a ti alla sua e s p e rie n z a . Il g io r n a le è u n o d e i ta n ti s e g n i d i q u e sta d im in u z io n e . S e la stam p a si p r o p o n e sse d i far sì c h e il le tto r e p o ssa appropriarsi d e lle su e in fo r m a z io n i co m e d i u n a p a rte d ella sua esp e r ie n z a , m a n c h e re b b e in te r a m e n te il su o sc o p o . M a il su o in te n t o è p ro p rio l ’o p p o s to , e d essa lo ra ggiu n ge. E q u e l lo d i e sclu d e re rig o ro sa m en te gli e v e n t i d a ll’a m b ito in c u i p o tr e b b e r o c o lp ire l ’e s p e r ie n z a d e l le tto r e . I p r in c ip i d e ll’in fo r m a z io n e g io r n a listic a (n o v ità , b r e v ità , in te llig ib ilità e , so p r a ttu tto , m a n c a n za d i o g n i c o n n e s s io n e fra le sin g o le n o tiz ie ) c o n tr ib u isc o n o a q u e sto e f f e t t o n o n m e n o d e ll’im p a g in a z io n e e d ella fo rm a lin g u i stic a (K arl K raus h a m o str a to in m o d o in fa tic a b ile c o m e e fin o a c h e p u n to l ’u so lin g u istic o d e i g io r n a li p a ralizza l ’im m a g in a z io n e d e i le tto r i). L a rig id a e s c lu sio n e d e ll’in fo r m a z io n e d a ll’esp e r ie n z a d ip e n d e a n ch e d al f a tto c h e essa n o n en tra n ella « tr a d iz io n e » . I g io r n a li e s c o n o in fo r ti tiratu re. N e s s u n le tto r e h a p iù fa c ilm e n te q u a lco sa da p o te r ra cco n ta re a ll’altro. C ’è u n a sp e c ie d i c o n c o r r e n z a sto ric a fra le va rie fo r m e d i c o m u n ic a z io n e . N e l so stitu ir si d e ll’in fo r m a z io n e alla p iù a n tic a re la z io n e , e d ella « s e n s a z io n e » a ll’in fo r m a z io n e , si r isp e cc h ia l ’a tro fia p ro g ressiv a d e ll’e s p e r ie n za. T u t te q u e ste fo rm e si d ista c c a n o , a lo ro v o lta , d alla n arrazio n e; ch e è u n a d e lle fo rm e p iù a n tic h e d i co m u n ic a z io n e . E ssa n o n m ira, c o m e l ’in fo r m a z io n e , a c o m u n ic a re il p u ro in sé d e ll’acca d u to , m a lo cala n ella v ita d e l rela to re, p er fa rn e d o n o agli a sco l ta to r i c o m e esp e rie n z a . C o sì v i resta il se g n o d e l n arratore, co m e q u e llo d ella m a n o d e l v a sa io sulla co p p a d ’argilla. L ’o p era in o t to to m i d i P ro u st d à u n ’id e a d e lle o p e r a z io n i n e ce ssa r ie p er restau rare al p r e s e n te la fig u ra d e l n arratore. P rou st h a a ffr o n ta to l ’im p resa c o n g ra n d io sa co e r e n z a . E g li si è im b a ttu t o c o s ì, f in d a ll’in iz io , n e l c o m p ito ele m e n ta r e d i riferire d ella p ro p ria in fa n zia ; e n e h a m isxirato tu tta la d iffic o ltà n e ll’a tto d i p re se n ta re c o m e e f f e t t o d e l caso se la sua so lu z io n e sia a n ch e so lo p o s sib ile . N e l c o r so d i q u e s te r ifle s s io n i e g li fo g g ia l ’e s p r e s s io n e m é m o ìre in vo lo n ta ire, c h e reca i se g n i d ella situ a z io n e in c u i è sta ta creata. E ssa a p p a rtien e al rep e rto r io d ella p erso n a p riv a ta is o la ta in t u t ti i sen si. D o v e c ’è esp e r ie n z a n e l se n so p ro p rio d e l te r m in e , d e te r m in a ti c o n t e n u t i d e l p a ssa to in d iv id u a le e n tr a n o in
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c o n g iu n z io n e , n ella m em o ria , c o n q u e lli d e l p a ssa to c o lle ttiv o . I c u lti c o n i lo r o c e rim o n ia li, c o n le lo ro f e s t e (di c u i fo r se n o n si parla m a i in P ro u st), re a liz z a v a n o d i c o n tin u o la fu s io n e fra q u e sti d u e m ateria li d ella m em oria. E s si p ro v o ca v a n o il ricord o in e p o c h e d e te r m in a te e resta v a n o o c c a sio n i e a p pigli d i e sso d u ra n te tu t ta la v ita . R ic o r d o v o lo n ta r io e in v o lo n ta r io p erd o n o c o s ì la lo ro e s c lu siv ità recip ro ca.
A lla ricerca d i u n a d e fin iz io n e p iù c o n c r e ta d i c iò c h e appare c o m e s o tto p r o d o tto d ella te o r ia b e r g so n ia n a n ella m é m o ire d e l ’in tellig en ce d i P ro u st, c o n v ie n e risalire a F reu d . N e l 1 9 2 1 ap pariva il sa g g io A l d i là d e l p rin c ip io d e l p ia cere, c h e sta b ilisc e u n a co rre la z io n e fra la m em o ria (n e l se n so d ella m é m o ire in vo lo n ta ire) e la c o s c ie n z a . E s sa si p re se n ta c o m e u n ’ip o te si. L e c o n sid e r a z io n i se g u e n ti, c h e a e ssa si rich ia m a n o , n o n si p r o p o n g o n o d i d im o stra r la. E s s e si lim iter a n n o a sp erim en tare la sua fe c o n d ità su n essi m o l to r e m o ti d a q u e lli c h e F re u d a v ev a p r e s e n ti aU’a tto d i form u lar la. E p iù p ro b a b ile c h e, in n e ssi d i q u e sto g en er e, si sian o im b a ttu ti a lcu n i d e i su o i a lliev i. L e r ifle ssio n i in cu i R e ik svilu p p a la sua t e o ria d ella m em o ria si m u o v o n o , in p a rte, p rop rio su lla lin e a d ella d is tin z io n e p ro u stia n a fra r e m in isc e n z a in v o lo n ta r ia e rico r d o v o lo n ta r io . « L a fu n z io n e d ella m em o ria - scriv e R eik - è la p r o te z io n e d e lle im p r essio n i. Il rico r d o te n d e a d isso lv e r le . L a m e m o ria è e s s e n z ia lm e n te c o n se r v a tr ic e , il rico r d o è d is t r u tt iv o » ’. L a p r o p o siz io n e fo n d a m e n ta le d i F re u d , c h e è alla b a se d i q u e sti sv i lu p p i, è fo rm u la ta n e ll’ip o te s i c h e « la c o s c ie n z a sorga al p o s to d i u n ’im p r o n ta m n em on ica»**. T a le co n g ettu r a « sa r eb b e q u in d i c o n tra sseg n a ta d al f a tto c h e il p r o c e sso d ella stim o la z io n e n o n lascia in essa , c o m e in t u t t i g li altri s is te m i p sic h ic i, u n a m o d ific a z io n e duratu ra d e i su o i e le m e n ti, m a sb o llisc e , p er c o s ì d ire, n e l f e n o m e n o d ella p resa d i co s c ie n z a » ^ L a fo rm u la b asilare d i q u e sta ip o t e s i è « c h e p resa d i c o s c ie n z a e p e r s iste n z a d i u n a traccia m n e m o * I concetti di ricordo e di memoria non presentano, nel saggio freudiano, alcuna dif ferenza fondamentale di significato in funzione del nostro problema [N.(i.yl.]. ’ THEODOR REIK, Der uherraschte Psychologe. Uber Erraten unà Verstehen unhewu^ter Vorgdnge O^o psicologo sorpreso. Indovinare e comprendere processi inconsci], Leiden 1935,
p. 132 [N.ii./I.]. ‘ SIGMUND FREUD, Jenseits des Lustprinzips
p. 31 [N .i.^.]. ’ Ibid., pp. 31 sgg. [N.d.A.].
[Al di là del principio di piacere], Wien 1923^,
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n ica so n o recip r o ca m en te in co m p a tib ili p er lo ste sso sistem a»*. R e sid u i m n e m o n ic i s i p r e s e n ta n o in v e c e « s p e s s o c o n la m assim a fo r za e te n a c ia q u a n d o il p r o c e sso c h e li h a la sc ia ti n o n è m a i p e r v e n u to alla c o s c ie n z a » ’. T r a d o tto n ella ter m in o lo g ia p rou stian a: par te in te g r a n te d ella m é m o ire ìn vo lo n ta ire p \iò d iv e n ta r e so lo c iò ch e n o n è sta to v iss u to esp r essa m en te e c o n sa p e v o lm e n te , c iò ch e n o n è sta to , in so m m a , u n ’« e sp e r ie n z a c o n tin g e n te » . T esau rizzare « im p r o n te d u r e v o li c o m e fo n d a m e n to d ella m em o ria » d i p r o c e ssi s t i m o la to r i, è rise r v a to , se c o n d o F reu d , ad « a ltr i s is te m i» , c h e b is o gn a p en sa re d iv e r si d alla c o s c ie n z a * . S e c o n d o F reu d , la c o sc ie n z a c o m e ta le n o n a c c o g lie r e b b e tra c ce m n e m o n ic h e , E ssa a v reb b e, in v e c e , u n ’altra e im p o r ta n te fu n z io n e ; q u ella d i serv ire d a p r o te z io n e c o n tr o gU stim o li. « P e r l ’o rg a n ism o v iv e n t e la d ife sa co n tro g li stim o li è u n c o m p ito q u a si p iù im p o r ta n te d ella lo r o rice zio n e; l ’o rg a n ism o è fo r n ito d i u n p rop rio q u a n tita tiv o d i en er g ia e d e v e te n d e r e so p r a ttu tto a p ro teg g e re le fo rm e p articolari d i en ergia c h e o p era n o in e s so d a ll’in flu sso liv e lla to r e , e q u in d i d istr u ttiv o , d e l le e n e r g ie tro p p o g ran d i c h e o p era n o a ll’e s te r n o »‘". L a m in a ccia p r o v e n ie n te d a q u e ste e n e r g ie è u n a m in a c cia d i sh o ck . Q u a n to )iù n orm a le e c o r re n te d iv e n ta la lo r o re g istr a z io n e d a p a rte d ela c o s c ie n z a , e ta n to m e n o si d o v rà te m e r e u n e f f e t t o tra u m a tico d e g li sh o ck . L a te o r ia p sico a n a litic a cerca d i sp ieg a re la n atu ra d e g li sh o c k tra u m a tic i « c o n la rottxira d ella p r o te z io n e c o n tr o g li s t i m o li» . Il s ig n ific a to d ello sp a v e n to è, se c o n d o q u e lla te o r ia , l ’« as se n z a d ella p r e d isp o siz io n e aU’a n g o scia » " . L ’in d a g in e d i F reu d tra ev a sp u n to da u n so g n o tip ic o n e lle n e v r o s i tra u m a tic h e . E s so rip r o d u ce la c a ta str o fe d a c u i il so g g e tto è s ta to c o lp ito . S o g n i d i q u e sto g e n e r e cerc a n o , se c o n d o F reu d , « d i re a liz za r e a p o ste r io r i il c o n tr o llo d e llo stim o lo sv ilu p p a n d o l ’an goscia la cu i o m issio n e è stata cau sa d ella n ev ro si tra u m a tica »‘^ A q u a lco sa d i sim ile sem b ra p en sa re V aléry; e la c o in c id e n z a m e rita d i e sser e r ilev a ta , p erc h é V a léry è u n o d i q u e lli c h e si so n o in te r e ssa ti d e l p articolare m o d o d i fu n z io n a m e n to d e i m e c ca n ism i * Di questi «altri sistemi» Proust ha parlato in modo vario. Soprattutto li ha rappre sentati con le membra del corpo, e non si stanca di parlate delle immagini mnemoniche de positati in essi e di come, senza rispondere ad alcun cenno della coscienza, irrompano al l’improvviso in essa quando a letto una coscia, vm braccio o una scapola assumono istinti vamente una posizione che avevano assunto in passato. La mémoire involontaire des membres è uno dei temi privilegiati di Proust (c£r. m a e c e l p r o u s t , A la recherche cit., p. 15) [N. d.A.]. “ Ibid., p. 30 [N.d.A.]. ’ lb id .lN .d .A .l “ SIGMUND FREUD,
Jensdts cit., pp. 34 sgg. [N.d.A.].
" Ibid., p. 41 [N .d.A .l '^Ibid., p. 42 [N .d.A .l
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p sic h ic i n e lle o d ie r n e c o n d iz io n i d i v ita (ed e g li h a sa p u to c o n c i liare q u e sto in te r e sse c o n la su a p r o d u z io n e p o e tic a , c h e è rim asta p u r a m e n te lirica, p o n e n d o s i c o s ì c o m e il so lo au tore c h e rim a n d i d ir e tta m e n te a B au d elaire). « L e im p r e ss io n i o se n sa z io n i d e ll’u o m o - sc riv e V a lér y - r ie n tr a n o , c o n sid e r a te in se ste sse , n ella ca te g o r ia d e lle sorprese-, te s tim o n ia n o d i \in ’in su fficien za d e ll’u o m o [ . . . ] Il rico r d o [ . . . ] è u n fe n o m e n o e le m e n ta r e e t e n d e a d a rci il tem p o d i org a n izza re» la r ic e z io n e d ello stim o lo , « te m p o c h e a tu t ta p rim a ci è m ancato»^’ . L a r ic e z io n e d e g li sh o ck è a g ev o la ta da u n a lle n a m e n to n e l c o n tr o llo d e g li s tim o li, a c u i p o s s o n o esse r e ch ia m a ti, in ca so d i n e c e s s ità , il so g n o c o m e il rico r d o . M a n o r m a lm e n te q u e sto tra in in g , se c o n d o l ’ip o te s i d i F reu d , sp e tta alla c o s c ie n z a sv e g lia , ch e h a la su a se d e in u n o stra to d ella c o r tec cia cereb rale, « ta lm e n te b r u cia to d a ll’a z io n e d e g li s t i m o l i d a o ffr i re le m ig lio r i c o n d iz io n i p er la lo r o r ic e z io n e . C h e lo sh o c k sia cap ta to e « p a r a to » c o s i d alla c o sc ie n z a , d a reb b e, all’e v e n to ch e lo p rò v o c a , il ca ra ttere d e ll’« e s p e r ie n z a c o n tin g e n te » in se n so str e tto E s te r iliz z e r e b b e q u e sto e v e n t o p er l ’e sp e r ie n z a p o e tic a , in co r p o ra n d o lo d ir e tta m e n te n e ll’in v e n ta r io d e l rico rd o co n sa p e v o le . S i a ffa c cia il p ro b lem a d e l m o d o in cu i la p o e sia lirica p o tr e b b e esse r e fo n d a ta su u n ’esp e r ie n z a in cu i la r ic e z io n e d i sh o ck è d iv e n u ta la reg o la . C i si d o v r e b b e a tte n d e r e , d a u n a p o e sia d e l g e n ere, u n a lto grad o d i c o n sa p e v o le z z a ; e ssa d o v r e b b e su ggerire l ’i d ea d i u n p ia n o in a tto n ella sua c o m p o siz io n e . C iò si a d a tta p e r f e tta m e n te alla p o e sia d i B au d elaire; e la rico lleg a , fra i su o i p r e d e c e s s o r i, a P o e , e fra i su o i su c c e sso r i d i n u o v o a V a lé r y . L e c o n sid e r a z io n i s v o lte d a P r o u st e d a V a léry a p r o p o sito d i B a u d e laire si in te g r a n o fra lo r o in m o d o p r o v v id e n z ia le . P ro u st h a sc rit to u n sa ggio su B a u d ela ire, an cora su p era to , n ella sua p o rta ta , da a lcu n e r ifle ssio n i d e l su o ro m a n zo . V a lér y h a fo r n ito , n ella S ituatio n d e B a u d ela ire, l ’in tr o d u z io n e cla ssica alle Fleurs d u m a l. E g li scrive: « I l p ro b lem a d i B a u d e la ir e p o te v a q u in d i p o rsi in q u e sti term in i: d iv e n ta r e u n g ra n d e p o e ta , m a n o n e sser e L a m a rtin e, n é H u g o , n é M u sse t. Io n o n d ic o c h e q u e sto p r o p o sito fo s s e c o n sa p e v o le in lui; m a d o v e v a e sser e n ec e ssa r ia m e n te in B a u d e la ir e, e d era, a n zi, e s se n z ia lm e n te B a u d e la ir e. E ra la sua ra g io n d i stato»^’ . E p iu t t o s to stra n o parlare d i rag io n d i sta to a p r o p o sito d i u n p o e ta. E im p lica q u alcosa d i sin to m a tico : l ’em a n cip a zio n e d a lle « e sp e ”
Analecta, Paris 19)5, pp. 264 sgg. [N.ii.y4 .]. Jenseits cit., p. 32 [N.£/./4 .]. ” CHARLES BAUDELAIRE, Les fleun du mal, con un’introduzione di Paul Valéry, Ed. Grès, Paris 1928, p. X [N.d.A.]. PAUL VALÉRY,
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r ie n z e c o n tin g e n ti» . L a p r o d u z io n e p o e tic a d i B a u d ela ire è o r d i n a ta in f u n z io n e d i u n c o m p ito . E g li h a in tr a v isto d e g li sp a zi v u o ti, in c u i h a in se r ito le su e p o e sie . N o n so lo la sua o p era si lascia d e fin ir e sto r ic a m e n te , c o m e o g n i altra, m a essa si è v o lu ta e si è in te s a co sì.
Q u a n to m a g g io re è la p a rte d e llo sh o c k n e lle sin g o le im p r e s sion i; q u a n to p iù la c o s c ie n z a d e v e e sser e c o n tin u a m e n te all’erta n e ll’in te r e sse d ella d ife sa d ag li stim o li; q u a n to m a g g io re è il su c c e sso c o n c u i e ssa opera; e ta n to m e n o esse p e n e tr a n o n e ll’esp erienfe;a; ta n to p iù c o r r isp o n d o n o al c o n c e t to d i « e s p e r ie n z a c o n tin g e n te » . L a fim z io n e p ecu liare d ella d ife sa d a g li sh o c k si p u ò fo r se sco rg ere, in d e fin itiv a , n e l c o m p ito d i a ssegn are a ll’e v e n t o , a sp e se d e ll’in te g r ità d e l su o c o n te n u to , u n e s a tto p o s to tem p o ra le n ella c o sc ie n z a . S a reb b e q u e sto il risu lta to u ltim o e m aggiore d e l la r ifle s s io n e . E s sa fa r e b b e , d e ll’e v e n t o , u n ’« e s p e r ie n z a c o n t in g e n t e » . In ca so d i m a n c a to fu n z io n a m e n to d ella r ifle ssio n e , si d e te r m in e r e b b e lo sp a v e n to , lie t o o - p er lo p iù - sg r a d e v o le, c h e sa n cisce, se c o n d o F reu d , il fa llim e n to d ella d ife sa co n tro gli sh ock . Q u e s to e le m e n to è sta to fissa to d a B au d elaire in u n ’im m a g in e cru d a. E g li p arla d i u n d u e llo in c u i l ’artista , p rim a d i so c co m b e re , grid a d a llo spavento'^. Q u e s to d u e llo è il p ro ce sso ste sso d ella crea z io n e . B a u d e la ir e h a p o s to q u in d i l ’esp e r ie n z a d e llo sh o c k al c e n tro s te sso d e l su o la v o ro a r tistic o . Q u e sta te stim o n ia n z a d ir e tta è d ella m a ssim a im p ortan za; e d è c o n fe r m a ta d a lle d ic h ia r a z io n i d i m o lti c o n te m p o r a n e i. In b a lia d e llo sp a v e n to , B a u d e la ir e n o n è a lien o d al p ro v o ca r lo a sua v o lta . V a llè s rife r isc e d e l g io c o e c c e n tric o d e i su o i lin e a m e n ti” ; P o n tm a r tin o sse rv a , in u n ritr a tto d i N a r g e o t, l ’e s p r e ssio n e e s tr a n ia ta d e l su o v o lto ; C la u d e l in d u g ia s u ll’a c c e n to ta g lie n te d i c u i si se rv iv a n ella c o n v e r sa z io n e ; G au tier p arla d e g li sta c c h i n e l su o m o d o d i d eclam are" ; N a d a r d e sc r i v e la sua an d atu ra sp e z z a ta ” . “ Cit. in ERNEST RAYNAUD, Charles 'Baudelaire, Paris 1922, p. 318 [N.i/./l.]. ” Cfr. JULES V A ix È s, Charles Baudelaire, in a n d r é b i l l y , Les écrivains de combat (Le xrx'^siècle) [Gli scrittori militanti], Paris 1931, p. 192 [N.d.A.]. “ Cfr. EUGÈNE MARSAN, Les Cannes deM . PaulBourget et le hon choix de Philinte. Petit manuel de l ’homme élégant [I bastoni da passeggio di M. Paul Bourget e l’ottima scelta di Filinto. Manualetto dell’uomo elegante], Paris 1923, p. 239 [N.d.A.]. ” Cfr. FIRMIN M A niA R D , La citédes intellectuek [La città degli intellettuali], Paris 1905, p. 362 [N.d.A .1
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La p sich ia tria c o n o sc e tip i tra u m a to fili. B au d elaire si è assu n to il c o m p ito d i parare g li sh o c k , d a q u a lu n q u e p a rte p r o v e n iss e r o , c o n la p rop ria p erso n a in te lle ttu a le e fisic a . L a sch erm a fo r n i sce l ’im m a g in e d i q u e sta d ife sa . Q u a n d o d e v e d esc riv e re l ’am ico C o n sta n tin G u y s, lo v a a cercare n eU ’ora in cu i P arigi è im m ersa n e l s o n n o , m e n tr e , « c h in o su l su o ta v o lo , d ard eggia su u n fo g lio lo s te sso sgu ard o c h e r iv o lg e v a p o c o fa alle c o s e , tira d i sch erm a c o n la m a tita , la p en n a , il p e n n e llo , fa sc h iz za r e l ’acqua d al b ic ch ie r e al s o f f it t o , a sciu ga la p e n n a suUa cam icia; fr e tto lo s o , v io le n t o , a ttiv o , q u a si p a u ro so ch e le im m a g in i gli sfu ggan o; in lo tta b e n c h é so lo e co m e c h i d ia c o lp i a se stesso»^". In q u e sto fa n ta sti c o d u e llo B a u d ela ire h a r itr a tto se s te sso n ella stro fa in iz ia le d el p o e m a L e so leil; c h e è il so lo p a sso d e lle Fleurs d u m a l c h e lo m o stri n e l su o la v o r o p o etico ;
Le long du vieux faubourg, où pendent aux masures Les persiennes, abri des secrètes luxures, Quand le soleil cruel frappe à traits redoublés Sur la ville et les champs, sur les toits et les blés, Je vais m’exercer seul à ma fantasque escrime, Flairant dans tous les coins les hasards de la rime, Trébuchant sur les mots comme sur les pavés, Heurtant parfois des vers depuis longtemps révés^'. L ’esp e r ie n z a d ello sh o c k è fra q u e lle c h e so n o r isu lta te d e c is i v e p er la tem p r a d i B a u d ela ire. G id e parla d e lle in te r m itte n z e fra im m a g in e e id e a , p arola e c o sa , d o v e l ’e m o z io n e p o e tic a in B a u d ela ire tr o v e r e b b e la su a v er a se d e “ . R iv iè r e h a rich ia m a to l ’a t te n z io n e su i c o lp i so tte r r a n e i da c u i è sc o sso il v er so b aud elairian o . È c o m e se u n a p arola sp r o fo n d a sse in se stessa. R iv iè r e h a ad d ita to q u e ste p a role se n z a vigore^’:
Et qui sait si les fleurs nouvelles que je réve Trouveront dans ce sol lavé comme une grève ■ Le mystique aliment qui feraìt leur vigueur^'* ? O ancora:
Cybèle, qui les aime, augmente ses verdures^^. Q u i rien tra a n ch e il c e le b r e in cip it: ™CHARLES BAUDELAiKE, CEuvres d t., II, p. 334 [N.d.A.]. ^'Ihid., I, p. 9 6 [N .d .A .l “ Cfr. ANDRÉ GIDE, Baudelaire etM . Faguet [Bauddaire e M. Faguet] in m., Morceaux choish [Brani scelti], Paris 1921, p. 128 [N. J.y4 .]. ” Cfr. JACQUES RIVIÈRE, Etudes [Studi] [K d.A .]. “ CHARLES BAUDELAIRE, CEuVreS cit., I, p. 29 [N.ci.A.]. “ Ibid., p. 31 [N .d.A .l
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La servante au grand coeur d on t vous étiez jalouse^’'.
R en d e re g iu stiz ia a q u e ste le g g i se g rete an ch e al d i fu o ri d e l v er so è l ’in te n to c h e B au d elaire si è p o s to n ello S pleen d e Paris, i su o i p o e m i in p rosa. N e lla d e d ica d ella ra cco lta al r e d a tto re cap o d ella « P r e sse » , A rsè n e H o u ssa y e , eg li dice: « C h i d i n o i n o n h a so gn ato, n e i g io rn i d e ll’a m b iz io n e, il m iracolo d i u n a p rosa p o e tic a , m u si ca le se n z a ritm o n é rim a, ab b astan za d u ttile e n erv o sa d a sap ersi ad attare ai m o v im e n ti liric i d e ll’an im a, alle o n d u la z io n i d e l so g n o , ai sop rassalti d ella c o s c ie n z a ? E so p r a ttu tto d alla fre q u e n ta z io n e d elle c ittà im m e n se , d al g ro v ig lio d e i lo ro rap p orti in n u m e re v o li, ch e n a sce q u e sto id e a le o sse ssio n a n te » ” . Il p asso p erm e tte u n a d u p lice c o n sta ta z io n e. E s so c i in fo rm a an z itu tto d e ll’in tim o rap p orto e s iste n te in B au delaire fra l ’im m agin e d ello sh o ck e il c o n ta tto c o n le gran d i m asse c itta d in e . E sso ci d ice in o ltre ch e co sa d o b b ia m o in te n d e r e p rop ria m en te p er q u e ste m a s se. N o n è q u e stio n e d i n essu n a classe, d i n essu n a c o lle ttiv ità arti colata e stru tturata. S i tratta solo d ella folla am orfa d e i p assan ti, d el p u b b lico d elle v ie * . Q u e sta folla , d i cu i B au delaire n o n d im en tica m ai l ’esisten za , n o n fu n se da m o d e llo a n essu n a d elle su e op ere. M a essa è iscritta n ella sua crea zio n e co m e figura segreta, co m e è an ch e la figura segreta d e l fram m en to cita to sopra. L ’im m agine d ello scher m ito re è d ecifra b ile n e l su o co n testo : i co lp i ch e egli m en a so n o d e stin a ti ad aprirgli u n varco tra la folla. E v er o c h e i fau bou rgs attra v erso i quali si apre la strada il p o e ta d e l S ó le il so n o v u o ti e d eserti. M a la co ste lla z io n e segreta (d o v e la b ellezz a d ella strofa d iv e n ta tra sp aren te fin o in fo n d o ) d e v ’essere in te sa cosf: è co n la fo lla in v isi b ile d elle parole, d e i fram m en ti, d egli in iz i d i versi, ch e il p o e ta c o m b a tte , n e i v ia li a b b an d on ati, la sua lo tta p er la p red a p o etica .
L a folla: n essu n altro o g g e tto si è im p o sto p iù a u to r ev o lm en te ai le tte r a ti deU’O tto c e n to . E ssa co m in cia v a - in larghi strati p er cu i la lettu ra era d iv e n u ta a b itu d in e - a organ izzarsi c o m e p u b b lico . A s surgeva al ru olo d i com m itten te; e v o le v a ritrovarsi n el rom an zo co n * Dare un’anima a questa folla è il vero scopo del flàneur. Gli incontri con essa sono l’esperienza che non si stanca mai di raccontare. Determinati riflessi di questa illusione ri mangono nell’opera di Baudelaire. Essa - del resto - non ha ancora smesso di agire. L’«nanimitme di Jules Romains è uno dei suoi frutti tardivi e più apprezzati [N.
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tem p o r a n e o , co m e i fo n d a to r i n e i q uad ri d e l M e d io e v o . L ’au tore p iù fo rtu n a to d e l seco lo si è co n fo rm a to , p er in tim a n ecessità , a q u e sta esig en za . F olla era p er lu i, quasi in sen so an tico, la fo lla d e i c lien ti, d e l p u b b lico . H u g o si riv o lg e p er p rim o alla foUa n e i titoli: L es m iséra b k s, L es travaìlleurs d e la m er. E d è sta to U solo, in Francia, ch e p o te sse rivaleggiare co l fe u ille to n . Il m aestro d i q u e sto gen ere, c h e co m in cia v a a d iv en ta re, p er il p o p o lin o , la fo n te d i u n a sp ecie d i riv ela z io n e, era, c o m ’è n o to , E u g èn e S u e, ch e fu e le tto al Parla m e n to n e l 1 8 5 0 , a gran d e m aggioran za, co m e rap p resen tan te d ella città d i Parigi. N o n è u n caso ch e il g io v a n e M arx ab bia tro v a to m o d o d i fare i c o n ti c o n i M ystères d e Paris. F oggiare, dalla m assa am or fa c h e era e sp o sta allora alle lu sin g h e d i u n so cia lism o le tter a rio , q uella ferrea d e l p roletariato, gli fu p resto d a v a n ti co m e co m p ito . C o sì la d e sc riz io n e c h e E n g els dà d i q u esta m assa n ella sua opera g io v a n ile p relu d e, b e n c h é tim id a m en te , a u n o d e i te m i m arxian i. N e lla S itu a zio n e d elle classi lavoratrici in Inghilterra si dice: « U n a città co m e L on dra, d o v e si p u ò cam m inare p er ore in te re sen za arrivare n ep p u re all’in iz io d i u n a fin e , h a q u alcosa d i scon certan te. Q u e sta c o n c e n tr a z io n e co lo ssa le , q u e sta a cc u m u la zio n e d i d u e m ilio n i e m e z z o d i u o m in i in u n so lo p u n to , h a cen tu p lica to la forza d i q u e sti d u e m ilio n i e m ez zo d i u o m in i [ . . . ] M a tu tto ciò ch e [. . .] q u e sto è c o sta to , si scopre so lo in seg u ito . D o p o aver vag a b o n d a to qualche giorn o sul lastrico d elle v ie p rin cipali [.. . ] si co m in cia a v ed er e ch e q u e sti lo n d in e si h a n n o d o v u to sacrificare la m iglior p arte d ella loro u m an ità p er com p iere i m iracoli d i civ iltà d i c u i la loro c ittà fo rm i cola; c h e c e n to fo rze la te n ti in loro so n o rim aste in a ttiv e e so n o sta te so ffo c a te [ . . . ] G ià il b ru lich io d elle strad e ha qualcosa d i sp iace v o le e fa stid io so , qualcosa co n tro cm la natura um ana si ribella. Q u e ste cen tin a ia d i m igliaia d i p erso n e, d i tu tte le classi e d i tu tti i ce ti, ch e s ’in crocian o n ella ressa, n o n so n o fo rse tu tti u o m in i, c o n le ste s se q ualità e cap acità, e c o n lo stesso in te re sse a d iv en ta re fe lic i ? [ . . . ] E p p u re si sorpassan o in fre tta , co m e se n o n avessero n ulla in c o m u n e, nuUa a c h e fare fra loro; ep p ure la sola in te sa ch e li u n isc e è q u ella, tacita, c h e ciascu n o si ten g a sul la to d e l niarciap ied e alla p ro p ria destra, p erch é le d u e corren ti d ella fo lla ch e p ro ce d o n o in d i r ezio n i o p p o ste n o n si in tralcino a vicenda; ep p ure n o n v ie n e in m en te a n essu n o d i d egn are gli altri sia pur solo d i u n o sguardo. L ’in d iffe r e n z a b ru ta le , la ch iu su ra in se n sib ile d i cia scu n o n e i p rop ri in te re ssi p riv ati, appare ta n to p iù rip u gn an te e o ffe n siv a q u an to p iù alto è il n u m ero d eg li in d iv id u i a d d en sa ti in b rev e spazio»^*. “ FRIEDRICH ENGELS,
Die Lage der arbeitenden Klasse in England. Nach eigner Anschauung
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Q u e s ta d e sc r iz io n e è se n sib ilm e n te d iv er sa d a q u e lle c h e si p o s s o n o tro v a r e n e i p ic c o li m a estri fr a n c e si d e l g e n e r e , u n G o z la n , u n D e lv a u o u n L u rin e. L e m an ca la fa c ilità e la d isin v o ltu r a c o n c u i il flà n e u r si m u o v e a ttra v erso la foUa e c h e il fe u ille to n ìs te c o p ia e a p p ren d e d a lu i. L a fo lla h a, in E n g e ls, q u a lco sa ch e la sc ia sg o m e n ti. E ssa su sc ita , in lu i, u n a r e a z io n e m orale. A c u i si ag g iu n g e u n a r e a z io n e este tica : il r itm o a c u i i p a ssa n ti s ’in cr o cia n o e si o ltr e p a ssa n o lo o f fe n d e s p ia c e v o lm e n te . Il fa sc in o d e lla sua d e sc r iz io n e è p ro p rio n e l m o d o in c u i l ’in c o r r u ttib ile a b ito c r itic o si f o n d e in essa c o l to n o p atriarcale. L ’a u to re v ie n e d a u n a G e r m a n ia a n cora p r o v in cia le; fo r se la te n ta z io n e d i p erd er si in u n a m area d i u o m in i n o n lo h a m a i sfio ra to . Q u a n d o H e g e l si re c ò p er la p rim a v o lta a P arig i, p o c o p rim a d ella sua m o r te , scrisse c o s ì al la m oglie: « S e g iro p er le stra d e, la g e n te h a lo ste sso a sp e tto ch e a B e r lin o - so n o v e s t it i allo s te sso m o d o , p iù o m e n o le ste sse fa c ce; la ste ssa sc en a , m a in u n a m assa p o p o lo sa » ” . M u o v e r si in q u e sta m a ssa era, p e r il p a r ig in o , q u a lc o sa d i n a tu ra le . P er q u a n to gran d e p o te s s e e sser e la d ista n z a c h e eg li, p er p rop rio c o n to , p r e te n d e v a d i assu m ere d i fr o n te a essa , re sta v a in tin t o , im p r eg n a to d a e ssa , e n o n p o te v a , c o m e u n E n g e ls, co n sid era rla d a ll’este rn o . Q u a n to a B a u d e la ir e , la m a ssa è c o s ì p o c o , p er lu i, q u a lc o sa d i e s tr in s e c o , ch e si p u ò seg u ire n ella su a o p era c o m e n e è ir r e tito é a ttir a to , e c o m e se n e d ife n d e . L a m a ssa è ta lm e n te in tr in se c a a B a u d ela ire c h e si cerca in v a n o in lu i u n a d e sc r iz io n e d i essa. C o m e i su o i o g g e tti esse n z ia li n o n a p p a io n o m ai, o q u asi, in fo rm a d i d e sc r iz io n i. P er lu i, co m e d ic e a c u ta m e n te D esja rd in s, « s i tra tta p iù d ’im p rim ere l ’im m a g in e n e l la m em o ria c h e d i colo rirla e ad orn arla»’". S i ce rch erà in v a n o , n e l le Fleurs du m a l o n ello Spleen d e P aris, q u alcosa d i an alogo agli a f fr e sc h i c itta d in i in c u i era in su p er a b ile V ic to r H u g o . B au d elaire n o n d e sc r iv e la p o p o la z io n e n é la c ittà . E p ro p rio q u e sta rin u n cia g li h a p erm e sso d i ev o c a r e l ’u n a n e ll’im m a g in e d e ll’altra. L a sua foUa è sem p re ^quella d ella m e tro p o li; la su a P a rig i è sem p re s o vrap p o p o la ta . E c iò ch e lo r e n d e c o s ì su p eriore a B a rb ier, d o v e il p r o c e d im e n to e s se n d o la d e sc r iz io n e - le m a sse e la c ittà cad ound authentischen Quellen [La situazione della dasse operaia in Inghilterra: in base a os
servazioni dirette e fonti autentiche], Leipzig I848^ pp. 36 sgg. [N. J.yl.]. ” GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL, Werke [Opere], edizione integrale curata da al cuni amici del defunto, voi. XIX: Briefe von und an Hegel [Lettere a e di Hegel], a cura di K, Hegel, Leipzig 1887, parte II, p. 257 [N.d.A.]. PAUL DESJARDINS, Poètes contemporains, Charles Baudelaire [Poeti contemporanei. Charles Baudelaire], in «Revue bleue. Revue politique et littéraire» (Paris), 3“ serie, vo lume 14, 24“ annata, 2“ serie, n. i, 2 luglio 1887, p. 23 [N.d.A.].
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n o l ’u n a al d i fu o r i d e ll’altra*. N e i T a blea u x parisien s si p u ò p r o vare, q u asi sem p re, la p resen za se g re ta d i u n a m assa. Q u a n d o B a u d ela ire p r e n d e a o g g e tto il c r e p u sco lo d e l m a ttin o , c ’è , n e lle stra d e d e se r te , q u alcosa d e l « s ile n z io fo r m ic o la n te » c h e H u g o se n te n ella P arigi n o ttu r n a . B a sta c h e B a u d ela ire p o si l ’o c c h io su lle ta v o le d e g li a tla n ti a n a to m ici e s p o sti in v e n d ita su i q u a is p o lv e r o si d ella S en n a , e su q u e i fo g li la m assa d e i d e fu n ti h a p reso in a v v e r tita m e n t e il p o s to d o v e a p p a r iv a n o s c h e le tr i is o la ti. U n a m assa co m p a tta v ie n e a v a n ti n e lle fig u re d ella D a n se m acabre. E m ergere d alla m assa, c o l lo ro p a sso c h e n o n rie sc e p iù a te n e r e il r itm o , c o i lo ro p e n sie r i ch e n o n sa n n o p iù n u lla d e l p r e se n te , è l ’e r o ism o d e l le d o n n e t te a v v iz z ite c h e il cic lo L es p e tite s v ie ille s se g u e n e lle lo ro p ere g rin a z io n i. L a m assa era il v e lo flu ttu a n te attra v erso il q u a le B a u d e la ir e v e d e v a P a r ig i* * . L a su a p r e se n z a d o m in a u n o d e i p e z z i p iù fa m o si d e lle Vleurs du m al. N o n u n giro d i frase, n o n u n a p arola, ricord a la fo lla n e l so n e tto A u n e passan te. M a il p r o c e sso r ip o sa so lo su d i essa , c o m e sul v e n to il p ro ce d e re d i u n v e lie r o .
La rue assoiirdissante autour de moi hurlait. Longue, mince, en grand deuil, douleur majestueuse, Une femme passa, d’une main fastueuse Soulevant, balangant le feston et l’ourlet; Agile et noble, avec sa jambe de statue. Moi, je buvais, crispé comme un extravagant, Dans son oeil, del livide oii germe l’ouragan, La douceur qui fascine et le plaisir qui tue. Un éclair... puis la nuit! - Fugitive beauté Dont le regard m’a fait soudainement renaìtre, Ne te verrai-ie plus que dans l’éternité? * Tipica dei procedimento di Barbier è la sua poesia Londres, che descrive in ventiquattro versi la città, per terminare goffamente cosi: «Enfin, dans un amas de choses, som bre, immense, I Un peuple noir, vivant et mourant en silence. I Des ètres par milliers, suivant l’instinct fatai, I Et courant après l’or par le bien et le mal» ( a u g u s t e b a r b i e r , Jambes etpoèmes [Giambi e poemi], Paris 1841, pp. 193 sgg.). Baudelaire è stato influenzato dalle poesie a tesi di Barbier, e soprattutto dal ciclo londinese Lazare più di quanto non si voglia ammettere. La chiusa del Crépuscule du soir baudelairiano suona: «... ils finissement I Leur destinée et vont vers le gouffre commun; I L’hópital se remplit de leurs soupirs. - Plus d’un I Ne viendra plus chercher la soupe parfumée, I Au coin du feu, le soir, auprès d’une àme aimée» (I, p. 109). Si confronti questa chiusa con quella ottava strofa dei Mìneur de Newcastle di Barbier: «Et plus d’un qui révait dans le fond de son àme I Aux douceurs du logis, à l’odl bleu de sa femme I Trouve au ventre du gouffre un éternel tombeau» {ihid., pp. 240 sgg.). Con pochi ritocchi magistrali Baudelaire fa del «destino del minatore» la fine banale del cittadino della metropoli [N.d.A.]. ** La fantasmagoria in cui trascorre il proprio tempo colui che aspetta, la Venezia fat ta di passages che ai parigini simula l’impero, nel suo volume di mosaici ne dissolve solo al cuni. Per questo in Baudelaire non ci sono passages IN.d.A.].
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Ailleurs, bien loin d ’ici! trop tard! jamais peut-étre! Car j’ignore où tu fuis, tu ne sais où je vais O toi que j’eusse aimée, ò toi qui le savais’*! In v e lo d a v e d o v a , v e la ta d al su o ste sso e sser e trasp orta ta ta c i ta m e n te d alla fo lla , u n a sc o n o sc iu ta in cr o cia lo sgu ard o d e l p o e ta . Il s ig n ific a to d e l s o n e tto è , in u n a fra se, q u e sto : l ’a p p a rizio n e c h e a ffa scin a l ’a b ita n te d ella m etr o p o li - lu n g i d a ll’a vere n ella fo lla s o lo la su a a n tite s i, so lo u n e le m e n to o s tile - gli è arrecata so lo d a l la fo lla . L ’e s ta si d e l c itta d in o è u n am ore n o n ta n to al p rim o q u a n to a ll’u ltim o sgu ard o. E u n c o n g e d o p er sem p re, c h e c o in c id e , n e l la p o e s ia , c o n l ’a ttim o d e ll’in c a n to . C o s ì U s o n e t to p r e s e n ta lo sc h e m a d i u n o sh o c k , a n zi lo sc h em a d i u n a c a ta stro fe. M a e ssa h a c o lp ito , in s ie m e al s o g g e tto , a n ch e la n atu ra d e l su o se n tim e n to . C iò c h e co n tra e c o n v u lsa m e n te il c o r p o - « c r isp é c o m m e u n ex tra v a g a n t» , è d e t to n ella p o e sia - n o n è la b e a titu d in e d i co lu i ch e è in v a so d a ll’ero s in t u t te le sta n z e d e l su o essere; m a h a p iu tto s to q u a lc o sa d e ll’im b a r a zz o sessu a le, c o m e p u ò so rp ren d ere il so lita rio. C h e « q u e s ti v e r si p o te v a n o n ascere solo in u n a gran d e c ittà » ” , co m e h a scritto T h ib a u d et, è ancora in su ffic ie n te . E ssi fa n n o em er g er e le stim m a te c h e la v ita in u n a gra n d e c ittà in flig g e all’am ore. E c o s ì ch e P ro u st h a le t t o il s o n e tto , e q u a n d o u n g io r n o n ella f i gura d i A lb e r tin e g li appare la tard a c o p ia d ella d o n n a in lu tto , si g n ific a tiv a m e n te la ch ia m a « la p a risien n e » . « Q u a n d o A lb e r tin e rien tr ò n ella m ia sta n za , a v ev a u n a b ito d i raso n ero c h e c o n tr i b u iv a a ren d erla p iù p a llid a, a fare d i le i la p arigin a liv id a , ard en t e , in tr is tita d alla m a n c a n z a d ’aria, d al clim a d e lle fo lle , e fo rse d a ll’a b itu d in e d e l v iz io , e i c u i o c c h i p a rev a n o p iù in q u ie ti p erc h é n o n era n o a v v iv a ti d al ro sso re d e lle g u a n c e » ” . C o sì ti guarda, an cora in P ro u st, l ’o g g e tto d i u n am ore c o m e so lo il c itta d in o lo c o n o sc e , c h e è sta to c o n q u ista to da B a u d ela ire alla p o e sia , e d i cu i si p o tr à d ir e s o v e n t e c h e l ’a d e m p im e n to n o n g li è s ta to r ifiu ta to q u a n to p iu t t o s to risp a rm ia to * . * Il motivo dell’amore per la passante è ripreso in una poesia del primo George. L’e lemento decisivo gli è sfuggito: la corrente in cui passa la donna, trasportata dalla folla. Ne risulta una timida elegia. Gli sguardi del poeta, come deve confessare alla sua dama, «pas sarono oltre, umidi di passione prima di osare immergersi nei tuoi» (s t e f a n g e o r g e , Hymnen Pilgerfahrten Algabai, Berlin 1922). Baudelaire non lascia dubbi circa il fatto che lui ha guardato fisso negli occhi la passante [N. J./ 4 .]. CHAKLES BAUDELAIRE, (EuVreS cit., I, p. I o 6 [N.i/.y4 .]. ALBERT THIBAUDET, Intérieurs [Interni], Paris 1924, p. 22 [N.d.A.]. ” MARCEL PROUST, A la recherche cit., voi. VI: La prisonnière [La prigioniera], Paris 1923, tomo I, p. 138 [N.ii.y4 .].
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6. F ra le v e r sio n i p iù a n tic h e d e l m o tiv o d ella fo lla si p u ò r ite n e re classica u n a n o v ella d i P o e tra d o tta d a B au delaire. E ssa p resen ta a lcu n i e le m e n ti c h e b a ste rà seg u ire p er g iu n g ere a ista n z e so cia li c o s ì p o te n t i e se g re te d a p o te r si an n o v era re fra q u e lle o n d e so lo p u ò d erivare l ’in flu sso v a r ia m e n te m e d ia to , ta n to p r o fo n d o q u a n to s o ttile , su lla p r o d u z io n e a rtistica. Il ra c c o n to è in tito la to L '« o m o d ella f o lla . S i sv o lg e a L on d ra, e d è n arrato in p rim a p erso n a d a u n u o m o c h e , d o p o u n a lu n g a m a la ttia , e sce p er la p rim a v o lta n e l tr a m b u sto d ella città . N e l tard o p o m e rig g io d i u n g io r n o d ’au tu n n o e g li si è s e d u to d ie tr o le fin e str e d i u n gra n d e lo c a le lo n d i n ese . O ss e r v a g li o s p iti in to r n o a sé, e le in se r z io n i d i u n g io rn a le; m a il su o sgu ard o è r iv o lto so p r a ttu tto alla fo lla c h e p assa d ie tro i v e tr i d ella fin e stra . « L a v ia era u n a d elle p iù a n im a te d ella città ; p er tu t to il g io r n o era sta ta p ie n a d i g e n te . M a ora, a ll’im b ru n ire, la fo lla c r esce v a d a u n m in u to all’altro; e q u a n d o si a cc e sero le lu c i a gas, d u e f it t e , c o m p a tte fiu m a n e d i p a ssa n ti s ’in c r o cia v a n o d a v a n ti al caffè. N o n m i ero m ai s e n tito in u n o sta to d ’a n im o c o m e q u e llo d i q u e sta sera; e assap orai la n u o v a e m o z io n e c h e m i a v ev a c o lto d a v a n ti a ll’o c e a n o d i q u e lle t e s t e in m o v im e n to . A p o c o a p o c o p ersi d i v is ta c iò c h e a v v e n iv a n e l lo c a le in cu i m i tr o v a v o , e m i a b b a n d o n a i c o m p le ta m e n te alla c o n te m p la z io n e d ella scen a d i fu o r i» ’'*. L a scer em o d a p a rte, p er q u a n to sig n ific a tiv a , la v ic e n d a ch e se g u e a q u e sto p ro lo g o e ci lim ite r e m o a e s a m in are il q u ad ro in c u i e ssa si sv o lg e . T e tr a e c o n fu sa c o m e la lu c e a g as in c u i si m u o v e ap p are, in P o e , la fo lla s te ssa d i L o n d r a . C iò n o n v a le so lo p er la g e n ta g lia c h e sb u c a c o n la n o t t e « d a lle su e t a n e » ” . L a cla sse d e g li im p ie g a ti su p e rio r i è d e s c r itta d a P o e in q u e sti ter m in i: « A v e v a n o t u t t i la t e s ta le g g e r m e n te calva; e l ’o r e c c h io d e str o , a b itu a to a p o r tare la p e n n a , u n p o ’ sp o r g e n te d al cap o. T u t ti si to c c a v a n o r e g o la r m e n te il c a p p ello , e p o r ta v a n o b r e v i c a te n e lle d ’o ro d i fo g g ia a n tiq u a ta » ’*. A n c o r a p iù stran a è la d e sc r iz io n e d e l m o d o in cu i la fo lla si m u o v e . « L a m a g g io r p a rte d i q u e lli c h e p a ssa v a n o a v e v a n o l ’a s p e tto d i g e n te s o d d is fa tta d i sé e so lid a m e n te in sta lla ta ” EDGAR ALLAN POE, 'Houvelks histoires extraordinaires, traduzione di Charles Baudelai re, in CHARLES BAUDELAIRE, CEuvres complète!, voi, VI: Traductions II, ed. Calman Lévy, Paris 1887, p. 88 [N .i.i4 .]. ” Ihid., p. 94 [N.d.A.]. “ Ibid., pp. 90 sgg.
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n e lla v ita . P a r e v a c h e p e n sa sse r o so lo ad a p rirsi il v a r c o tra la f o l la. A g g r o tta v a n o le so p ra c cig lia e g e tta v a n o o c c h ia te d a t u t t e le p a rti. S e r ic e v e v a n o u n c o lp o d a i p a ssa n ti p iù v ic in i, n o n si s c o m p o n e v a n o , m a si r ia sse tta v a n o le v e s t i e si a ffr e tta v a n o o ltr e . A l tr i, e a n c h e q u e s to g ru p p o era n u m e r o so , si m u o v e v a n o s c o m p o s ta m e n te , a v e v a n o il v is o a c c e so , p a rla v a n o fra sé e g e s tic o la v a n o , c o m e se p r o p r io n e lla fo lla in n u m e r e v o le c h e li c ir c o n d a v a si s e n tis s e r o p e r f e tt a m e n t e so li. Q u a n d o d o v e v a n o fer m a r si, c e ssa v a n o im p r o v v is a m e n te d i m o rm orare, m a in te n s ific a v a n o le lo r o g e s tic o la z io n i, e a s p e tta v a n o , c o n u n so r riso a s s e n te e fo r z a to , c h e fo s s e r o p a ssa ti q u e lli ch e li o sta c o la v a n o . Q u a n d o e r a n o xirt a ti, sa lu ta v a n o p r o fo n d a m e n te q u e lli d a c u i a v e v a n o r ic e v u to il c o lp o , e p a r e v a n o e s tr e m a m e n te c o n f u s i» * ” . S i p o tr e b b e c r e d e re c h e si tr a tti d i m ise r a b ili, d i a v v in a z z a ti. M a c ch é: s o n o « p e r so n e d i c o n d iz io n e e le v a ta , c o m m e r c ia n ti, a v v o c a ti e s p e c u la to ri d i b o rsa Il q u ad ro sc h iz z a to d a P o e n o n si p u ò c e r to d e fin ir e « r e a lis ti c o » . I n e s so è a ll’o p era u n a fa n ta sia c o n sa p e v o lm e n te d e fo r m a n te , c h e a llo n ta n a d i m o lto u n t e s to co m e q u e sto d a q u e lli c h e so n o ra c co m a n d a ti c o m e m o d e lli d i u n rea lism o so c ia lista . B arbier, ad e s e m p io (u n o d e i m ig lio r i a cu i p o tr e b b e rich iam arsi u n re a li sm o d e l g en er e), d e sc r iv e le c o s e in m o d o m e n o sc o n c e r ta n te . E g li h a a n ch e sc e lto u n te m a p iù u n iv o c o : la m assa d e g li o p p ressi. D i essa n o n è q u e stio n e in P o e; il su o o g g e tto è la « g e n t e » c o m e ta le. N e llo sp e tta c o lo c h e le p e r so n e o ffr o n o eg li a v v er te, c o m e E n * Un parallelo a questo passo si trova in Un p u r de pluie. Questa poesia, anche se reca un’altra firma, dev’essere attribuita a Baudelaire. L’ultimo verso, che dà alla poesia un to no particolarmente lugubre, ha una precisa corrispondenza neR’Uomo delk fo lk . «I raggi delle lanterne a gas - scrive Poe - che erano ancora deboli quando lottavano col crepusco lo, ora avevano vinto, e gettavano tu tt’intorno una luce cruda e mobile. Tutto era nero, e luccicava come l’ebano a cui si è paragonato lo stile di Tertulliano» {ibid., p. 94). Dove l’in contro di Baudelaire con Poe è tanto più singolare in quanto i versi che seguono sono stati scritti, al più tardi, nel 1843, e cioè quando Baudelaire non sapeva ancora nuUa di Poe: «Chacun, nous coudoyant sur le trottoir glissant, I Egoiste et brutal, passe et nous éclabousse, I Ou, pour courir plus vite, et s’éloignant nous pousse. I Partout fange, déluge, obscurité du ciel. I Noie tableau qu’eùt rèvé le noir Ezéchiel! » (Ch a r l e s b AUd e l a ir k , CEuvres cit., I,p. 2ii)[N.<ì.^.].
** Gli uomini d ’affari hanno, in Poe, qualcosa di demoniaco. Si potrebbe pensare a Marx, che attribuisce al «movimento febbrilmente giovanile della produzione materiale» negli Stati Uniti la causa del fatto che non ci fu «tempo né occasione» di «liquidare il vec chio mondo di fantasmi» (k a r l m a r x . Ber achtzehnte Brumaire des Louis Bonaparte [Il di ciotto brumaio di Luigi Bonaparte], Ed Rjazanov, Wien-Berlin, 1927, p. 30). In Baudelai re, all’avvento dell’oscurità, i «demoni malsani» si destano pigramente nell’atmosfera «co me uomini d ’affari» (Ch a r l e s Ba u d e l a ir e , CEuvres cit., I, p. 108). Forse questo passo del Crépuscule du soir è una reminiscenza del testo di Poe [N.d.A.]. ” Zfoi^.,p. 8 9 [N .J .^ .]. EDGAR ALLAN POE,
Nouvelks histohes c l t .,
p. 90
[N.d.A.].
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g els, q u a lc o sa d i m in a c c io so . E d è p ro p rio q u e sta im m a g in e d ella fo lla m e tr o p o lita n a c h e è r isu lta ta d e c isiv a p er B au d ela ire. S e egli s o c c o m b e alla v io le n z a c o n c u i essa lo attira a sé e n e fa , c o m e flà n eu r, u n o d e i su o i, la c o s c ie n z a d e l su o ca rattere in u m a n o n o n lo h a p e r c iò m ai a b b a n d o n a to . E g li d iv e n ta su o c o m p lic e, e q u asi n e l lo s te sso is ta n te se n e d ista cca . S i m e sc o la la rg a m en te c o n e ssa p er fu lm in a rla im p r o v v isa m e n te n e l n u lla c o n u n o sguardo d i d isp r e z z o . Q u e s ta a m b iv a len za h a q u a lco sa d i a ffa sc in a n te q u a n d o la a m m e tte c o n rilu ttan za ; e p o tr e b b e a n ch e d ip e n d e r e d a essa l ’in c a n to c o s i d iffic ile d a sp iegare d e l C répu scu le d u soir.
B a u d e la ir e h a v o lu to eq u ip arare l ’u o m o d ella fo lla , su lle c u i o r m e il n arratore d i P o e p erco rre in t u t t i i se n s i la L o n d r a n o ttu r n a, al t ip o d e l flàneur^^. Q u i n o n p o ssia m o se g u ir lo . L ’u o m o d e l la fo lla n o n è u n flà n e u r. In lu i l ’a b ito tra n q u illo h a la sc ia to il p o sto a u n te n o r e m a n ia co ; e d a lu i si p u ò in fe r ir e , p iu t t o s to , c h e co sa sa r eb b e a c c a d u to d e l flà n e u r q u a n d o g li fo s s e s ta to t o lt o U su o a m b ie n te n a tu ra le. S e q u e sto a m b ie n te g li fu m a i fo r n ito d a L o n d ra , n o n fu c e r to d alla L o n d r a d e sc r itta d a P o e . R is p e tto a e s sa, la P a rig i d i B a u d e la ir e c o n se r v a a lc u n i tr a tti d e l b u o n te m p o a n tic o . C i s o n o an co ra d e i tr a g h e tti a ttr a v er so la S en n a , d o v e p iù ta rd i si sa reb b ero in a rc a ti d e i p o n t i. A n c o r a n e ll’a n n o d ella m o r te d i B a u d e la ir e u n im p r esa r io p o te v a c o n c e p ir e il d ise g n o d i far circ o la re c in q u e c e n to p o r ta n tin e a u so d e i c itt a d in i a g ia ti. E r a n o an co ra in v o g a le g a llerie, d o v e il flà n e u r era s o ttr a tto alla v is ta d e i v e ic o li, c h e n o n to lle r a n o la c o n c o r r e n z a d e l p e d o n e * . C ’era il p a ssa n te c h e si in fila tra la fo lla , m a c ’era an cora il flà n e u r ch e h a b is o g n o d i sp a z io e n o n v u o l rin u n c ia r e al su o te n o r e p riv a to . L a m a ssa d e v e te n e r d ie tr o a lle su e fa cc en d e ; il p r iv a to , in f o n d o , p u ò flà n e r s o lo q u a n d o , c o m e ta le , e s c e già d a l q u a d ro . D o v e il t o n o è d a to d alla v it a p riv a ta , c ’è c o s i p o c o sp a z io , p er il flà n e u r, c o m e n e l tr a ffic o fe b b r ile d e lla C ity . L o n d r a h a l ’u o m o d e lla fo lla . I l p ia n t o n e N a n t e , p e r s o n a g g io p o p o la r e d e lla B e r lin o p r e q u a * Il pedone sapeva, all’occasione, esibire in modo provocatorio la sua nonchaknce. In torno al 1840 fu per qualche tempo di moda condurre tartarughe al guinzaglio nelle «gal lerie». Il flàneur si faceva volentieri dettare il ritmo da loro. Se fosse stato per lui, il pro gresso avrebbe dovuto tenere questo passo. Ma non fu lui ad avere l’ultima parola, bensì Taylor, che della guerra alla flànerìe ha fatto una parola d ’ordine [N. J.y4 .]. ” II, pp. 328-35
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r a n to tte sc a , è in c e r to q u a l m o d o la su a a n tite si: i l p a r i g i n o sta in m e z z o fra i d u e * . S u l m o d o in c u i il l ’u o m o p r iv a to gu ard a la fo lla c i istru isc e u n a b r e v e sto ria , l ’u ltim a ch e ab b ia sc r itto E . T . A . H o ffm a n n . Il p e z z o s i in tito la L a fin e stra à ’an golo d e l cu gin o. E a n te rio r e d i q u in d ic i a n n i al r a c c o n to d i P o e e d è fo r se u n o d e i p r im issim i te n ta t i v i d i ra p p resen ta re il q u ad ro strad ale d i u n a g ran d e città . V a le la p e n a d i so tto lin e a r e le d iffe r e n z e fra i d u e t e s ti. L ’o sse rv a to re d i P o e gu ard a a ttra v erso i v e tr i d i u n lo c a le p u b b lico ; m e n tr e U c u g in o è in se d ia to n ella p rop ria a b ita z io n e . L ’o sse rv a to re d i P o e so c c o m b e a u n ’a ttr a zio n e c h e fin is c e p er trascin a rlo n e l v o r tic e d ella fo lla . Il cu g in o alla fin e str a è p aralitico : n o n p o tr e b b e seg u ire la c o r r e n te n e m m e n o se l ’a v v e r tis s e su lla p ro p ria p erso n a . E g li è, p iu t t o s to , al d i sop ra d i q u e sta foU a, c o m e g li su g g er isce il su o p o sto d i v e d e t t a in u n a p p a rta m en to so p r a e lev a to . D i la ssù eg li p a s sa in ra sseg n a la fo lla ; è g io r n o d i m er ca to , e d e ssa si s e n te n e l p r o p rio e le m e n to . I l su o b in o c o lo gli p e r m e tte d i iso la re s c e n e t te d i g e n e r e . P ie n a m e n te c o n fo r m e a ll’u so d i q u e sto str u m e n to è an ch e l ’a tte g g ia m e n to in te r io r e d i c h i se n e se rv e . E g li v u o le in iz ia r e il su o v isita to r e (co m e d ic e e g li stesso ) « a i p r in c ip i d e ll’arte d i guard a r e » * * “°. C h e c o n s is te n e lla fa c o ltà d i d ile tta r si d i « q u a d r i v i v e n t i» , c o m e q u e lli d i c u i si co m p ia ce il B ied erm eier. S e n te n z e e d i fic a n ti fo r n isc o n o l ’in te r p r e ta z io n e * * * . S i p u ò co n sid era re il t e sto c o m e u n t e n ta tiv o d i c u i c o m in c ia v a a m atu rare l ’a ttu a zio n e. *
Nel tipo creato da Glassbrenner il privato appare come un rampollo degenere del ci-
toyen. Nante non ha motivo di affaccendarsi. Egli si stabilisce nella strada (che, va da sé,
non lo porta in nessun luogo) cosi a suo agio come il filisteo fra le sue quattro mura [N. a!.A.]. ** E significativo come si giunge a questa confessione. Il cugino guarda, secondo il suo ospite, al movimento nella via, solo perché si diletta al vario gioco dei colori. Ma alla lun ga - dice - questo divertimento deve stancare. Non diversamente, e non molto più tardi, Gogol scrive a proposito di una fiera in Ucraina: «C’era tanta gente in moto in quella di rezione che ti si abbacinavano gli occhi». Forse la vista quotidiana di una foUa in movi mento fu per qualche tempo uno spettacolo a cui l’occhio dovette prima abituarsi. Se si ammette questa ipotesi, si può forse supporre che, una volta venuto a capo di questo com pito, esso abbia colto con favore ogni occasione di mostrarsi in possesso della facoltà ap)ena acquisita. La tecnica della pittura impressionistica, che ricava l’immagine dal caos dele macchie di colore, sarebbe quindi un riflesso di esperienze divenute familiari all’occhio dell’abitante di una grande città. Un quadro come la Cattedrale di Chartres di Monet, che è qualcosa come un formicaio di pietre, potrebbe illustrare questa ipotesi LN.d.A.}. *** Riflessioni edificanti sono dedicate da Hoffmann in questo testo - fra l’altro - al cieco, che tiene il capo eretto verso il cielo. Baudelaire, che conosceva questo racconto, ri cava dalle considerazioni di Hoffmann, nell’ultimo verso degli Aveugles, ima variante che ne confuta lo scopo edificante; «Que cherchent-ils au Ciel, tous ces aveugles?» (Ch a r l e s BAUDELAIRE, CEuvres cit., I, p. io6) ^ ERNST THEODOR AMADEUS HOFFMANN, Ausgewàhlte Schrìften [Opere scelte], voi. XIV: Leben und Nachlafi [Vita e lascito], di Julius Eduard Hitzig, tomo II, Stuttgart 1839’, p. 2 0 3 ÌK d .A .l
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M a è ch ia ro c h e e s so era in tr a p r eso , a B e r lin o , in c o n d iz io n i c h e n o n c o n se n tiv a n o la sua p ie n a riu scita . S e H o ffm a n n fo sse m ai sta t o a P arigi o a L on d ra, se si f o s s e p r o p o sto d i rap p resen tare u n a m assa c o m e ta le, n o n a v re b b e m a i sc e lto u n m ercato; n o n a v re b b e d a to alle d o n n e u n p o s to p r e d o m in a n te n e l q uadro; e a v reb b e fo r se a ttin to ai m o tiv i c h e P o e trae d alla fo lla in m o v im e n to alla lu c e d e i la m p io n i a gas. M a n o n c i sa reb b e sta to b iso g n o d i e ssi p er m e tte r e in lu c e l ’e le m e n to in q u ie ta n te c h e è sta to a v v e r tito da altri fis io n o m is ti d ella g ra n d e c ittà . T o r n a a q u e sto p r o p o sito u n d e t to p e n so so d i H e in e . « H e in e è sta to - sc riv e u n co r r isp o n d e n t e n e l 1 8 3 8 a V a rn h a g e n - m o lto m a la to agli o c c h i in p rim avera. L ’u ltim a v o lt a h o p e r c o r so c o n lu i u n tr a tto d e i b o u le v a rd s. L o sp le n d o r e , la v ita d i q u e sta v ia u n ic a n e l su o g e n er e, m i sp in g e v a a u n ’a m m ira zio n e se n z a lim iti, m e n tr e H e in e , q u e sta v o lta , s o t t o lin e ò e ffic a c e m e n te q u e l c h e c ’è d i o rr ib ile in q u e sto ce n tr o d e l m o n d o /* .
8. A n g o s c ia , rip u g n a n za e s p a v e n to s u sc itò la fo lla m e tr o p o lita n a in q u e lli c h e p rim i la fissa r o n o in v o lt o . In P o e e s sa h a q u a l c o s a d i b a rb a rico . L a d isc ip lin a la fr e n a so lo a s t e n to . P iù ta rd i J a m es E n so r n o n si sta n c h e r à d i c o n fr o n ta r e in e s sa d isc ip lin a e sfr e n a te z z a . E g li am a in c lu d e r e c o m p a g n ie m ilita r i n e lle su e b a n d e c a r n e v a le sc h e . E s s e si a cc o r d a n o fra lo r o in m o d o esem p lare: c o m e e s e m p io e m o d e llo d e g li S ta ti to ta lita r i, d o v e la p o liz ia è al le a ta ai b a n d iti. V a lé r y , c h e h a u n o sg u a rd o m o lto a c u to p e r la sin d r o m e d ella « c iv ilt à t e c n ic a » , d e s c r iv e c o s ì u n o d e g li e le m e n t i in q u e s tio n e . « L ’u o m o c iv iliz z a t o d e lle g ra n d i m e tr o p o li - sc ri v e - r ica d e allo s ta to se lv a g g io , e c io è in u n o sta to d ’iso la m e n to . Il se n s o d i e sse r e n e c e ssa r ia m e n te in ra p p o rto c o n g li a ltri, p rim a c o n tin u a m e n te r id e sta to d a l b is o g n o , si o t tu n d e a p o c o a p o c o n e l fu n z io n a m e n to se n z a a ttr iti d e l m e c c a n ism o so c ia le . O g n i p e r f e z io n a m e n to d i q u e s to m e c c a n ism o r e n d e in u tili d e te r m in a ti a tti, d e te r m in a ti m o d i d i sentire»''^ Il c o m fo r t iso la . M e n tr e assim ila , d ’altra p a r te , i su o i u t e n t i al m e c c a n ism o . C o n l ’in v e n z io n e d e i fia m m ife r i v e r s o la f in e d e l s e c o lo , c o m in c ia u n a se r ie d i in n o v a “ HEINRICH HEINE, Gespràche. Briefe, Tagehiicher, Berichte seiner Zeitgenossen [Conver sazioni. Lettere, diari, resoconti dei contemporanei], raccolti ed editi da Hugo Bieber, Ber lin 1926, p. 163 [N .i./l.]. “ PAUL VALÉRY, Cahier B 1910, Paris, pp. 88 sgg. [N.£^./4 .],
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z io n i t e c n ic h e c h e h a n n o in c o m u n e il f a tt o d i s o s titu ir e u n a s e rie c o m p le ss a d i o p e r a z io n i c o n u n g e s to b r u sc o . Q u e s ta e v o lu z io n e h a lu o g o in m o lti cam p i; e d è e v id e n t e , ad e s e m p io , n e l t e le fo n o , d o v e al p o s to d e l m o to c o n tin u o c o n c u i b iso g n a v a g ira re la m a n o v e lla d e i p r im i a p p a r e c c h i, su b e n tr a lo s ta c c o d e l r ic e v ito r e . F ra i g e s ti in n u m e r e v o li d i a zio n a r e, g e tta r e , p rem e re e c c ., è s ta to p a r tic o la r m e n te g ra v e d i c o n s e g u e n z e lo « s c a t t o » d e l fo to g r a fo . B a sta v a p rem e re u n d ito p er fissa r e u n e v e n t o p er u n p e r io d o illim ita to d i te m p o . L ’a p p a r ecc h io co m u n ic a v a aU’ista n te , p er c o s ì d ire , u n o sh o c k p o s tu m o . A e s p e r ie n z e t a tt ili d i q u e sto g e n e r e si a ffia n c a v a n o e s p e r ie n z e o t tic h e , c o m e q u e lle c h e su sc ita la p a rte d e g li a n n u n c i in u n g io r n a le , m a a n ch e il tr a ffic o d e lle g ra n d i c ittà . M u o v e r s i a ttr a v er so il tr a ffic o , co m p o r ta p er il sin g o lo u n a se rie d i sh o c k e d i c o llis io n i. N e g li in c r o c i p e r ic o lo si, è p erc o rso d a c o n tr a z io n i in rap id a su c c e ssio n e , c o m e d ai c o l p i d i u n a b a tte r ia . B a u d e la ir e p arla d e ll’u o m o c h e s ’im m e r g e n e l la fo lla c o m e in u n se r b a to io d i en er g ia e le ttr ic a . E lo d e fin is c e s u b ito d o p o , d e s c r iv e n d o c o s ì l ’es p e r ie n z a d e llo sh o c k , « u n ca le id o sc o p io d o ta to d i coscienza»'*’. S e i p a ssa n ti d i P o e g e tta n o an co ra (a p p a r e n te m e n te ) se n z a m o tiv o o c c h ia te d a t u t t e le p a rti, q u e lli d i o g g i d e v o n o fa rlo p er fo r z a p er te n e r c o n t o d e i se g n a li d e l tr a ffic o . C o s ì la te c n ic a s o tto p o n e v a il se n so r io d e ll’u o m o a u n tr a in in g d i o r d in e c o m p le ss o . V e n n e il g io r n o in c u i il film co r r isp o se a u n n u o v o e u r g e n te b is o g n o d i stim o li. N e l film la p e r c e z io n e a s c a tti si a ffe rm a co m e p r in c ip io fo rm a le. C iò c h e d e te r m in a il r itm o d ella p r o d u z io n e a c a te n a , c o n d iz io n a , n e l film , il r itm o d e lla r ic e z io n e . N o n p er n u lla M a r x m o str a c o m e , n e l m e stie r e , la c o n n e s s io n e d e i m o m e n ti la v o r a tiv i è c o n tin u a . Q u e s ta c o n n e s s io n e , resa a u to n o m a e o g g e ttiv a ta , si rip r e se n ta a ll’o p era io d i fa b b ric a n el n a str o a u to m a tic o . Il p e z z o d a lavora re e n tra n e l raggio d ’a z io n e d e ll’o p era io in d ip e n d e n te m e n te d alla sua v o lo n tà ; e a ltre tta n to li b e r a m e n te g li si so ttr a e. « E p rop rio - scriv e M a r x - d i o g n i p r o d u z io n e ca p ita listic a [ . . . ] c h e n o n è il la v o ra to re a u tilizz a re la c o n d iz io n e la v o r a tiv a , m a la c o n d iz io n e la v o r a tiv a a u tiliz z a r e il la v o ra to re; m a so lo c o l m a cc h in a rio q u e sta in v e r s io n e a cq u ista u n a rea ltà t e c n ic a m e n te ta n g ib ile » ''\ N e l ra p p o rto c o n la m a cc h in a gli o p era i a p p r en d o n o a c o o r d in a r e « i lo r o p ro p ri m o v im e n ti a q uelCEuvreS c i t ., II, p. 333 [N.d.A.]. Das Kapital. Kritik der politìschen Okonomie [Il capitale. Critica dell’e
CHARLES BAUDELAIRE, KARL MARX,
conomia politica], versione integrale in base alla 2“ ed. del 1872 [ed. Karl Korsch], voi. I, Berlin 1932, p. 404 [N.d.A.].
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lo u n ifo r m e m e n te c o s ta n te d i u n au tom a»'” . Q u e s t e p a ro le g e t t a n o u n a lu c e p a rtico la re su lle u n ifo r m ità d i ca ra ttere assu rd o c h e P o e a ttr ib u is c e alla f o lla . U n ifo r m it à d i v e stire e d i c o m p o r ta m e n to , m a a n ch e u n ifo r m ità d i espressione. Il so rriso d à d a p e n sare. E p r o b a b ilm e n te q u e llo o g g i co r r e n te n e l k e e p sm ilin g e f u n g e , p e r c o s ì d ire , d a p a ra u rti m im ic o . « O g n i la v o r o alla m a cc h in a e s ig e - si d ic e n e l p a sso so p r a c ita to - u n p r e c o c e tir o c in io d e ll’o p era io Q u e s to tir o c in io v a d is t in t o d a ll’e se r c iz io . L ’e s e r c iz io , so lo d e c is iv o n e l m e stie r e , a v e v a an cora u n a f u n z io n e n ella m a n i fattu ra. Sulla b a se d ella m a n ifa ttu ra « o g n i p artico lare ram o d i p ro d u z io n e tr o v a neW !esperienza la fo rm a te c n ic a a e s so c o n fo r m e , e la p e r fe z io n a le n ta m e n te » . E v e r o c h e la c r ista llizz a r a p id a m e n te « a p p e n a r a g g iu n to u n c e r to grad o d i m a tu rità > /’. M a la ste ssa m a n ifa ttu r a p ro d u c e , d ’altra p a rte, « in o g n i m e stie r e c h e e ssa in v e s te , u n a c a sse d i o p era i c o s id d e t t i n o n sp e c ia liz z a ti, c h e l ’a z ie n d a d i m e stie r e e s c lu d e v a r ig o r o sa m e n te . M e n tr e sv ilu p p a a v ir t u o s is m o la s p e c ia lità s e m p lific a ta a ll’e s tr e m o , a sp e se d e lla ca p a cità la v o r a tiv a d ’in s ie m e , c o m in c ia a fa re u n a sp e c ia lità an c h e d ella m a n c a n z a d i o g n i fo r m a z io n e . A c c a n to all’o r d in a m e n to g e r a r c h ic o su b e n tr a la se m p lic e d is t in z io n e d e g li o p e r a i in sp e c ia liz z a ti e n o n specializzati»"'®. L ’op era io n o n sp e c ia liz za to è q u e l lo p iù p r o fo n d a m e n te d eg ra d a to d al tir o c in io d ella m a cch in a . Il su o la v o r o è im p e rm ea b ile a ll’esp e rie n z a . L ’eser ciz io n o n v i h a p iù a lc u n d ir itto * . C iò c h e il lu n a p ark re a liz z a n e lle su e g a b b ie v o la n ti e in altri d iv e r tim e n ti d e l g e n e r e n o n è ch e u n sa g g io d e l t i r o c in io a c u i l ’o p e r a io n o n s p e c ia liz z a to è s o t to p o s t o n e lla fa b b rica (un saggio ch e , a v o lte , d o v e t te so stitu ir e p er lu i l ’in te r o p ro gram m a; p o ic h é l ’a rte d e ll’e c c e n tr ic o , in c u i l ’u o m o q u a lu n q u e p o te v a e ser cita rsi n e i lu n a p ark , p ro sp er a v a n e i p e r io d i d i d is o c c u p a z io n e ). Il t e s t o d i P o e r e n d e e v id e n t e il ra p p o rto tra sfre n a te z z a e d iscip lin a . I su o i p a ssa n ti si co m p o r ta n o c o m e se , a d a tta t i ad a u to m i, n o n p o te s s e r o p iù esp r im e rsi c h e in m o d o a u to m a t ic o . Il lo r o c o m p o r ta m e n to è u n a r e a z io n e a sh o c k . « Q u a n d o er a n o xirtati, sa lu ta v a n o p r o fo n d a m e n te q u e lli d a c u i a v e v a n o r i c e v u to il c o lp o » . * Più diventa breve il periodo di addestramento dell’operaio industriale, e più diven ta lungo quello delle reclute. Appartiene forse alla preparazione della società alla guerra to tale che l’esercizio emigri, dalla prassi produttiva, in quella della distruzione [N.d.A.]. Ibid., p. 402 [N.i.i4 .]. ^ Ib id .lN .d .A .l
" Ibid.,p.i2i[N.d.A.l ^‘ Ibid.,p.
[N.d.A.].
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A ll’e s p e r ie n z a d e llo sh o c k fa tta d al p a ssa n te n ella foU a corri sp o n d e q u e lla d e ll’o p era io a d d e tto alle m a c c h in e . C iò n o n a u to r izz a an co ra a su p p orre c h e P o e a b b ia a v u to u n c o n c e t to d e l p r o c e sso d i la v o r o in d u str ia le . In o g n i ca so B a u d e la ir e era lo n ta n is sim o d a u n c o n c e t t o sim ile . M a e g li è s ta to a f fa s c in a to d a u n p r o c e sso d o v e il m e c c a n ism o r ifle sso c h e la m a cc h in a m e tte in m o t o n e ll’o p e r a io si p u ò stu d ia r e n e ll’o z io s o c o m e in u n o sp e c c h io . Q u e s t o p r o c e sso è il g io c o d ’a zzard o. L ’a ffe r m a z io n e d e v e se m b rare p a rad ossa le. D o v e trova re u n ’a n tite s i p iù n e tta d i q u ella ch e p assa fra il la v o r o e l ’a zza rd o ? C o m e scriv e A la in c o n g ra n d e c h ia rezza: « I l c o n c e t to [ . . . ] d i g io c o [ .. . ] c o n s is te n e l f a tt o c h e la p ar tita su c c e ssiv a n o n d ip e n d e d alla p r e c e d e n te . I l g io c o ig n o ra fe r m a m e n te o g n i p o s iz io n e a c q u isita [ . . . ] N o n t ie n e c o n to d e i m er i ti a cq u ista ti in p rec ed en za ; e in c iò si d istin g u e d al la v o r o . Il g io c o fa ta b u la rasa [ .. . ] d e l p a ssa to p e sa n te su c u i si fo n d a il lavoro»'” . Il la v o r o c h e A la in h a in m e n te q u i è il la v o r o a lta m e n te d if f e r e n z ia to (ch e, c o m e q u ello in te lle ttu a le , p u ò r ite n e re ce rti e le m e n ti d e l m e stie re ); n o n è q u e llo d ella m ag g io r p a rte d e g li o p era i d i fa b b rica , e m e n o c h e m a i d i q u e lli n o n sp e c ia liz z a ti. A q u e s t ’u ltim o m a n ca , è v e r o , l ’e le m e n to a v v e n tu r o so , la fa ta m o rg a n a c h e s e d u c e il g io c a to r e . M a n o n g li m an ca a ffa tto la v a n ità , il v u o to , il fa tto d i n o n p o te r fin ir e , c h e è a n zi in e r e n te a ll’a ttiv ità d e ll’o p e ra io sala riato . A n c h e il su o g e s to , d e te r m in a to d al p r o c e sso a u to m a tic o d e l la v o r o , si r ip r ese n ta n e l g io c o , c h e n o n a v v ie n e se n z a il p ig lio ra p id o d i c h i m e t te la p o s ta o p ren d e la carta. A U o sc a t t o n e l m o v im e n to d ella m a c c h in a c o r r isp o n d e il co u p n e l g io c o d ’a zza rd o . L ’in te r v e n to d e ll’o p era io su lla m a cc h in a è se n z a rap p o r to c o l p r e c e d e n te p ro p rio p e r c h é n e c o s titu is c e l ’e s a tta r ip e ti z io n e . O g n i in te r v e n to su lla m acch in a è a ltre tta n to erm etica m en te sep a ra to d a q u e llo c h e lo h a p r e c e d u to q u a n to u n co u p d ella par t ita d ’a zz a rd o d a l co u p im m e d ia ta m e n te p r e c e d e n te ; e la sc h ia v it ù d e l salariato fa , in q u a lc h e m o d o , p e n d a n t a q u e lla d e l g io c a to r e . Il la v o r o d e ll’u n o e d e ll’a ltro è e g u a lm e n te lib e r o d a o g n i c o n te n u to . C ’è u n a lito g r a fia d i S e n e fe ld e r c h e ra p p resen ta u n c irc o lo d i g io c o . N e s s u n o d e i p erso n a g g i c h e v i so n o r itr a tti se g u e il g io c o al” ALAIN [e m i l e - a u g u s t e
I. p. 183 («Le jeu») [N .d.A .l
c h ARTi e r ],
Les idées et les àges [Le idee e le età], Paris 1927,
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la so lita m an iera. O g n u n o è o c c u p a to d alla p rop ria p a ssio n e; c h i d a u n a g io ia n o n c o n te n u ta , c h i d a d iffid e n z a p er il p rop rio p a rt n er, c h i d a u n a cu p a d isp e r a z io n e , c h i d alla v o g lia d i litigare; u n o si a cc in g e a to g lie r si la v ita . N e i v a ri a tte g g ia m e n ti c ’è q u a lco sa d i se g r e ta m e n te a ffin e: i p e r so n a g g i ra p p resen ta ti m o str a n o c o m e il m e c c a n ism o a c u i i g io c a to r i si a ffid a n o n e l g io c o s ’im p a d ro n isc e d i lo ro co rp o e an im a, p er cu i, a n ch e n ella lo ro p riv a c y , p er q u a n t o sia fo r te la p a ssio n e c h e li agita, n o n p o sso n o p iù c h e agire au to m a tic a m e n te . S i c o m p o r ta n o c o m e i p a ssa n ti d e l t e s t o d i P oe; v iv o n o u n a v ita d a a u to m i e so m ig lia n o agli esser i im m agin ari d i B e r g so n c h e h a n n o c o m p le ta m e n te liq u id a to la lo ro m em oria. N o n p are c h e B a u d e la ir e f o s s e d e d ito al g io c o , b e n c h é a b b ia a v u to , p er le su e v it tim e , p a ro le d i sim p a tia , a n zi d i r is p e tto ’". Il te m a c h e h a tr a tta to n e l p o e m a n o ttu r n o L e jeu era, a su o a v v iso , p re o r d in a to d a i te m p i m o d e r n i. S criv er e q u e l p o e m a era u n a p ar t e d e l su o c o m p ito . L a fig u ra d e l g io c a to r e è, in B a u d e la ir e, l ’in te g r a z io n e p ro p ria m en te m o d e rn a d i q u e lla arcaica d e llo sp ad ac c in o . L ’u n o è p er lu i u n p e r so n a g g io e r o ic o co m e l ’altro. B ò r n e v e d e v a c o n g li o c c h i d i B a u d e la ir e q u a n d o scriv e v a : « S e si r i sp arm iassero [ . . . ] tu tta la fo rz a e la p a ssio n e [ . . . ] c h e si sp reca n o o g n i a n n o in E u ro p a in to r n o ai ta v o li d a g io c o , [ . . . ] c iò b a ste r e b b e a fa re u n p o p o lo r o m a n o e u n a sto ria rom an a. M a c o s ì è: p o i c h é o g n i u o m o n a sce r o m a n o , la so c ie tà b o r g h e se cerca d i srom a n iz z a r lo , e a q u e sto sc o p o so n o in tr o d o t t i [ . . . ] i g io c h i d ’a zzard o e d i so c ie tà , i ro m a n zi, le o p e r e ita lia n e e le g a z z e tte e le g a n ti» ’*. N e lla b o r g h e sia il g io c o d ’azza rd o si è a cc lim a ta to so lo n e l co r so d e ll’O t to c e n to ; n e l se c o lo p r e c e d e n te g io c a v a so lo la n o b iltà . E ra s t a to d iff u s o d a g li e s e r c it i n a p o le o n ic i e fa c e v a o ra p a r te d e llo « s p e tta c o lo d ella v ita m o n d a n a e d e lle m ig lia ia d i e s is te n z e irre g olari c h e circ o la n o n e i so tte r r a n e i d i u n a gran d e c ittà » : lo s p e t ta c o lo in c u i B a u d e la ir e v e d e v a l ’e r o ic o « c o m e è p rop rio d ella n o stra e p o c a »’^. S e si c o n sid er a il g io c o d ’azza rd o n o n ta n to d al p u n to d i v ista te c n ic o q u a n to d a q u e llo p sic o lo g ic o , la c o n c e z io n e d i B au d elaire appare ancora p iù sig n ific a tiv a . Il g io c a to r e m ira al gu adagn o: q u e sto è ch iaro. M a il su o g u sto d i v in c e r e e far q u a ttr in i n o n si p u ò d e fin ir e u n d e sid e r io n e l se n so p rop rio d ella p arola. C iò c h e lo o c cu p a in tim a m e n te è fo rse a v id ità , fo r se u n a cu p a d e c isio n e . C oCfr.
CEuvres c i t ., I, p . 456', m a a n c h e II, p . 630 [N.d.A.]. Gesummelte Schriften [Opere complete], nuova edizione integrale, voi. Ili, Hamburg - Frankfurt am Main 1862, p p . 38 sgg. [N.d.A.]. CHARLES BAUDELAIRE,
LUDWIG BÒRNE,
” CHARLES BAUDELAIRE, CEuVreS c i t . ,
II, p.
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munque si trova in uno stato d ’animo in cui non può fare tesoro dell’esperienza*. II desiderio, invece, appartiene agli ordini del l’esperienza. «Ciò che si desidera da giovani, si ha in abbondanza da vecchi», dice Goethe. Nella vita, quanto prima si formula un desiderio e tanto maggiori sono le sue prospettive di realizzarsi. Quanto più un desiderio risale indietro nel tempo e tanto più si può sperare nella sua attuazione. Ma ciò che riporta lontano nel tempo è l’esperienza che lo colma e lo articola. Perciò il desiderio realizzato è la corona destinata all’esperienza. Nel simbolismo dei popoli la lontananza spaziale può prendere il posto di quella tem porale; per cui la stella cadente, che precipita nell’infinita lonta nanza dello spazio, è assurta a simbolo del desiderio realizzato. La pallina d’avorio, che rotola nella prossima casella, la prossima car ta, che è in cima al mazzo, sono la vera antitesi della stella filan te. Il tempo contenuto nell’istante in cui la luce della stella filan te brilla all’occhio dell’uomo è della stessa nattira di quello che Joubert ha definito con la sua solita sicurezza: «C’è un tempo - egli scrive - anche nell’eternità; ma non è il tempo terrestre, il tempo mondano... E un tempo che non distrugge, ma realizza soltanto»^\ E l’antitesi del tempo infernale in cui decorre l’esistenza di colo ro cui non è dato compiere nulla di ciò che hanno iniziato. La cat tiva reputazione del gioco dipende proprio dal fatto che è il gio catore stesso a porre mano all’opera (un cliente incorreggibile del lotto non incorrerà nella stessa condanna del giocatore d’azzardo vero e proprio). Il fatto di ricominciare sempre di nuovo è l’idea regolativa del gioco (come del lavoro salariato). Ha quindi un significato ben pre ciso che la lancetta dei secondi - la seconde - figuri, in Baudelai re, come il partner del giocatore: Souviens-toi que le Temps est un joueur avide, Qui gagne sans tricher, à tout coup! c’est la loi’’*!
* Il gioco mette fuori corso gli ordini dell’esperienza. È forse un oscuro sentimento di questo fatto che rende popolare, proprio fra i giocatori, il «richiamo volgare all’esperien za». Il giocatore dice «il mio numero» come il libertino dice «il mio tipo». Verso la fine del Secondo Impero era la loro mentalità a dare il tono. «Sul boulevard era normale attri buire ogni cosa alla fortuna» ( g u s t a v r a g e o t , Q u est-ce q u un événement?, in «Le temps», i6 avril 1939). Questa mentalità è favorita dalla scommessa, che è un mezzo per dare agli eventi carattere di shock per scalzarli dai loro contesti di esperienza. Per la borghesia an che gli avvenimenti politici tendevano ad assumere la forma di avvenimenti al tavolo da gioco [N.d.A.]. ” JOSEPH JOUBKRT, Pensées [Pensieri], II, Paris 1883®, p. 162 [N .ii. 4 .]. CHARLES BAUDELAIRE, (EuVreS
cit., I, p. 94 [N.d.A.].
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Il posto che occupa qui il secondo è tenuto, in un altro testo, dallo stesso Satana” . Ai suoi possessi appartiene, senza dubbio, anche l’«antro taciturno» in cui il poema Le jeu relega le vittime del gioco d’azzardo: Voilà le noir tableau qu’en un réve nocturne Je vis se dérouler sous mon ceil clairvoyant. Moi-méme, dans un coin de l’antre taciturne, Je me vis accoudé, froid, muet, enviant, Enviant de ces gens la passion tenace”*.
Il poeta non partecipa al gioco. Se ne sta in un angolo e non e più felice di loro, dei giocatori. E anche lui un uomo derubato del la propria esperienza, un moderno. Ma egli rifiuta lo stupefacen te con cui i giocatori cercano di stordire la coscienza che li ha con segnati al ritmo dei secondi*: E t mon cceur s’effraya d’envier maint pauvre homme Courant avec ferveur à l ’abìme béant, E t qui, soùl de son sang, préférerait en somme La douleur a la mort et l’enfer au néant’^!
In questi ultimi versi, Baudelaire fa dell’impazienza U substra to della furia del gioco. Egli lo trovava in sé allo stato puro. La sua collera improvvisa aveva l’espressività deWIracundia di Giotto a Padova.
IO . \
E - se si dà retta a Bergson - l’attualizzazione della durée che toglie all’uomo l’ossessione del tempo. Proust condivide questa * L’ebbrezza in questione è temporalmente determinata come il dolore che dovrebbe lenire. Il tempo è la stoffa in cui sono intessute le.fantasmagorie del gioco. Gourdon scri ve nei suoi Vaucheun de n uit «Affermo che la passione del gioco è la più nobile di tutte le passioni, Poiché racchiude in sé tutte le altre. Una serie di colpi azzeccati mi procura un godimento maggiore che un uomo che non gioca non possa provare in anni... Credete che veda solo il guadagno nell’oro che mi tocca? Vi sbagliate: vedo e assaporo in esso i piaceri che mi procura. E che mi arrivano troppo presto per potermi nauseare, e in varietà troppo grande per potermi annoiare. Vivo cento vite in una sola. Se viaggio, è al modo in cui viag gia la scintilla elettrica. Se sono avaro e conservo le mie banconote per giocare, è perché conosco troppo bene il valore del tempo per impiegarlo come fanno gli altri. Un determi nato piacere che mi concedessi mi costerebbe mille Stri piaceri... Ho quei piaceri nello spi rito e non ne voglio altri» (edo uA R D g o u r d o n , Lesfaucheun de nuit.Joueurs et Joueuses, Pa ris 1860, pp. 14 sgg.). Analogamente presenta le cose Anatole France nelle sue belle ri flessioni sul gioco nel Jardin d ’Epicure [N.d.A.J. ” Cfr. ihid., pp. 455-59 [N.d.A.]. '"Ibid^p. i io [ N .d .A .l
”
CHARLES BAUDELAIRE, CEuvm
cit., I, p.
110
[N.d.A.].
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fede e ne ha dedotto gli esercizi in cui ha cercato, durante tutta la vita, di riportare alla luce il passato, saturo di tutte le remini scenze che lo hanno impregnato durante la sua permanenza nel l’inconscio. Egli è stato un lettore senza pari delle Vleurs du mal-, poiché sentiva all’opera, in esse, qualcosa di affine. Non c’è di mestichezza possibile con Baudelaire che non sia contenuta nel l’esperienza baudelairiana di Proust. «Il suo mondo è una singo lare sezione del tempo in cui compaiono solo rari giorni degni di nota: donde la frequentazione di espressioni come: “Si quelque soir”, ecc.»’*. Questi giorni significativi sono quelli del tempo che adempie, per dirla con Joubert. Sono i giorni del ricordo. Non so no contrassegnati da alcuna esperienza contingente; non sono in compagnia degli altri, ma si staccano, invece, dal tempo. Ciò che costituisce Uloro contenuto, è stato fissato da Baudelaire nel con cetto di correspondances. Esso è immediatamente vicino a quello di «bellezza moderna». Lasciando stare la letteratura dotta sulle correspondances (che sono patrimonio comune dei mistici; Baude laire le aveva incontrate in Fourier), Proust non fa neppure mag gior conto delle variazioni artistiche sull’argomento, rappresen tate dalle sinestesie. L’importante è che le correspondances fissa no un concetto di esperienza che ritiene in sé elementi cultuali. Solo facendo propri questi elementi, Baudelaire poteva valutare appieno il significato della catastrofe di cui egli, come moderno, si trovava a essere testimone. Solo così poteva riconoscerla come la sfida rivolta a lui solo, e che egli ha accettato nelle 'Fleurs du mal. Se esiste davvero la segreta architettura di questo libro, che è stata oggetto di tante speculazioni, il ciclo di poesie che inau gura il volume potrebbe essere dedicato a qualcosa di irrevoca bilmente perduto. A questo ciclo appartengono due sonetti iden tici nei loro motivi. Il primo, che ha per titolo Correspondances, comincia: La Nature est un tempie od de vivants piliers Laissent parfois sortir de confuses paroles; L’homme y passe à travers des foréts de symboles Qui l’observent avec des regards fanuliers. Gomme de longs échos qui de loin se confondent Dans une ténébreuse et profonde unité, Vaste comme la nuit et comme la clarté, Las parfums, les couleurs et les sons se répondent” . MARCEL PROUST, A propos de Batidelaire, in «Nouvelle revue fran9aise», voi. XVI, i° giugno 1921, p. 652 [trad. it. p. 581] [N.d.A.]. ” CHARLES BAUDELAIRE, CEuvreS cit., p. 23 [N.(/.j4 .].
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Ciò che Baudelaire intendeva con queste correspondances si può definire come un’esperienza che cerca di stabilirsi al riparo di ogni crisi. Essa è possibile solo nell’ambito cultuale. Quando esce da questo ambito, assume l’aspetto del bello. In esso appare il valore cultuale dell’arte*. Le correspondances sono le date del ricordo. Non sono date sto riche, ma date della preistoria. Ciò che rende grandi e significa tivi i giorni di festa è l’incontro con una vita anteriore. Baude laire lo ha messo nel sonetto che s’intitola, appunto. La vie antérieure. Le immagini delle grotte e delle piante, delle nuvole e delle onde, evocate dall’inizio di questo sonetto, emergono dalla cal da nebbia delle lacrime, che sono lacrime di nostalgia. « Il vian dante, guardando queste distese velate di lutto, sente salire agli occhi lacrime isteriche, hysterical tears»’'", scrive Baudelaire nella * Il bello si può definire in due modi, nel suo rapporto con la storia e con la natura. In entrambi i rispetti si farà valere l’apparenza, l’elemento aporetico del bello (per il pri mo basti un accenno. Il bello nella sua realtà storica è un appello a cui si radunano quelli che lo hanno ammirato in precedenza. L’esperienza del beÙo è un ad p lu m ire, come i ro mani chiamavano la morte. L’apparenza del bello consiste per questo rispetto in ciò, che l’oggetto identico cercato dall’ammirazione è introvabile nell’opera. L’amnjirazione non fa che raccogliere ciò che generazioni precedenti hanno ammirato in essa, E un detto di Goethe a fornire qui l’ultima parola della saggezza; Tutto ciò che ha esercitato una gran de influenza, non può pili, in realtà, essere giudicato). Il bello nel suo rapporto alla natu ra può essere definito come ciò che «rimane essenzialmente identico a se stesso solo sot to un involucro»; cfr. h u g o v o n h o f m a n n s t h a l (a cura di), «Neue deutsche Beitrage», Munchen 1925, II, 2, p. 161. Le correspondances ci dicono che cosa si debba intendere per questo involucro. Si può considerare quest’ultimo, con un’abbreviazione certamente ar dita, come l’elemento riproduttivo (imitativo) nell’opera d ’arte. Le correspondances rap presentano l’istanza davanti alla quale l’oggetto dell’arte appare come fedelmente ripro ducibile, anche se, proprio perciò, completamente aporetico. Se si volesse ritrovare que sta aporia nel materiale stesso linguistico, si arriverebbe a definite il bello come l’oggetto dell’esperienza nello stato della somiglianza. Questa definizione verrebbe a coincidere con la formulazione di Valéry; «Il bello esige forse l’imitazione servile di ciò che è indefinibi le nelle cose» ( p a i t l v a l é r y , Autres Rhumhs [Altri rombi], Paris 1934, p. 167). Se Proust ritorna cosi volentieri su questo tema jche appare in lui come U tempo ritrovato), non si può dire che egli tradisca un segreto. E uno dei lati più sconcertanti del suo fare che pro prio il concetto dell’opera d’arte come copia o riproduzione, il concetto del bello, insom ma l’aspetto propriamente ermetico dell’arte, sia messo da lui continuamente al centro delle proprie considerazioni. Egli tratta della genesi e degli intenti della propria opera con la disinvoltura e l’urbanità di un conoscitore raffinato. Ciò ha senza dubbio un corrispet tivo in Bergson. Queste parole, con cui il filosofo mostra che cosa ci si può attendere da un’attualizzazione del flusso intatto del divenire, hanno un accento che ricorda Proust. «Potremo far penetrare questa visione nella nostra vita quotidiana e godere cosi, grazie alla filosofia, di soddisfazioni simili a quelle di cui godiamo per l’arte; con la differenza che sarebbero più frequenti, più continue e più facilmente accessibili all’uomo comune» ( h e n r i BERGSON, La pensée et le mouvant, Essais et conférences [Il pensiero e il movente: sag gi e conferenze], Paris 1934, p. 198). Bergson vede a portata di mano ciò che, alla miglior comprensione goethiana di Valéry, appare come il «qui» in cui «l’insufficiente diventa evento» [N.ii.A.]. “ CHARLES BAUDELAIRE, CEuvreS cit., II, p. 536 [N.d.A.].
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sua recensione alle poesie di Marceline Desbordes-Vaimore. Cor rispondenze simultanee, come furono coltivate in seguito dai sim bolisti, non esistono. Il passato mormora nelle corrispondenze; e l’esperienza canonica di esse ha luogo anch’essa in una vita an teriore: Les hoides, en roulant les images des cieux, M èlaient d ’une fagon solennelle et mystique Les tout-puissants accords de leur riche musique A ux couleurs du couchant reflété par mes yeux. C ’est la qua j’ai vécu‘^.
Che la volontà restauratrice di Proust resti chiusa nei limiti del l’esistenza terrestre, mentre Baudelaire tende a superarla, può ben essere considerato come un sintomo della tanto maggiore originarietà e violenza con cui le forze ostili si sono manifestate in Bau delaire. E mai, forse, gli è riuscito qualcosa di così perfetto come quando, sopraffatto da esse, sembra cedere alla rassegnazione. Il Recueillement disegna, sulle profondità del cielo, le allegorie degli anni trascorsi: ... vois se pencher les défuntes Années, Sur les balcons du d el, en robes surannées*^.
In questi versi Baudelaire si accontenta di rendere omaggio, al l’immemorabile che gli è sfuggito, nella forma del suranné. Agli an ni che appaiono sull’altana, Proust pensa fraternamente rivolti quelli di Combray, quando ritorna, nell’ultimo volume della Recherche, sull’esperienza che lo aveva impregnato nel sapore della madeleine. «In Baudelaire [...] queste reminiscenze, ancora più nu merose, Sono evidentemente meno casuali, e quindi, a mio avvi so, decisive. E il poeta stesso che, con maggiore selettività e in dolenza, insegue di proposito, nell’odore di una donna ad esem pio, nel profumo dei suoi capelli e dei suoi seni, le analogie ispiratrici che gli rendono quindi “l’azzurro del cielo a volta, im menso”, e “un porto pieno di fiamme e di alberi” Queste pa role sono come un’epigrafe involontaria aU’opera di Proust: cosi affine a quella di Baudelaire, che ha raccolto i giorni del ricordo in un anno spirituale. Ma le Fleurs du m al non sarebbero quello che sono se vigesse in loro solo questa riuscita. Ciò che le rende inconfondibili è piutI,p. j,o\N.d.A:\. “ Ibid., p. 192 [N.d.A.]. “ MARCEL PROUST, A la recherche cit., voi. V ili: Le temps retrouvé [Il tempo ritrovato], Paris, tomo II, pp. 82 sgg. [N.Ì...4 .].
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tosto il fatto che all’inefficacia dello stesso conforto, alla caduta della stessa passione, al fallimento della stessa opera, hanno sa puto strappare poesie che non sono per nulla inferiori a quelle in cui le correspondances celebrano le loro feste. Il libro Spleen et idéal è il primo dei cicli delle Fleurs du mal. V id éa l dispensa la forza del ricordo; lo spleen gli oppone l’orda dei secondi. Esso è il loro imperatore, come Belzebù è l’imperatore delle mosche. Al la serie dei poemi dello spleen appartiene Le goùt du néant, dove si dice: Le Printemps adorable a perdu son odeur**^ !
In questo verso Baudelaire dice qualcosa di estremo con estre ma discrezione; ed è ciò che lo rende unicamente suo. Il crollo e la sparizione dell’esperienza a cui ha - in un tempo lontano - par tecipato, è ammesso nella parola perdu. L’odore è il rifugio inac cessibile della mémoire involontaire. Di rado esso si associa a una rappresentazione visiva: fra le impressioni sensibili si accompa gnerà solo al medesimo odore. Se al riconoscimento di un odore spetta, più che a ogni altro ricordo, il privilegio di consolare, ciò è forse perché esso stordisce profondamente la coscienza del tem po. Un profumo fa tramontare anni interi nel profumo che ricor da. È ciò che rende questo verso di Baudelaire infinitamente scon solato. Per chi non può più fare nessuna esperienza non c’è confor to. Ma è proprio questa incapacità che costituisce l’intima essenza della collera. L’adirato «non vuol sentir nulla»; il suo archetipo, Timone, inveisce contro tutti indiscriminatamente; non è più in grado di distinguere l’amico fidato dal nemico mortale. D ’Aurevilly ha intravisto, con grande acutezza, questa natura in Baude laire; e lo ha definito «un Timone col genio di un Archiloco»^’. La collera misura ai suoi scoppi il ritmo dei secondi, a cui è asservito il malinconico. E t le Temps m ’engloutit minute par minute, Gomme la neige immense un corps pris de roideur^‘.
Questi versi seguono immediatamente a quello citato. Nello spleen il tempo è oggettivato; i minuti coprono l’uomo come fioc chi. Questo tempo è senza storia, come quello della mémoire in volontaire. Ma nello spleen la percezione del tempo è acuita in mo“ CHARLES BAUDELAIRE, (Euvres C Ìt-, I, p. 89 [N.d.A.]. “ j [ u l e s - a m é d é e ] b a r b e y d ’a u r e v i l l y , Les ceuvres et les hommes [Le opere e gli uomi ni] (XEC*^ siècle), parte IIL Lespoètes, Paris 1862, p. 381 [N.4 .]. “ CHARLES BAUDELAIRE, (EuVreS cit., I, p. 89 [N.d.A,].
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do soprannatxarale; ogni secondo trova la coscienza pronta a para re il suo colpo*. Il calcolo del tempo, che sovrappone la sua uniformità alla du rata, non può tuttavia fare a meno di lasciare in essa frammenti di seguali e privilegiati. Aver unito il riconoscimento della qualità al la misurazione della quantità è stato il merito dei calendari, che la sciano - per cosi dire - in bianco, nei giorni di festa, gli spazi del ricordo. L’uomo a cui l’esperienza si sottrae si sente estromesso dal calendario. Il cittadino conosce questa sensazione la domenica. Bau delaire l’ha già, avant la lettre, in una delle poesie dello spleen-. Des cloches tout à coup sautent avec furie Et lancent vers le del un affreux hurlement, Ainsi que des esprits errants et sans patrie Qui se mettent à geindre opiniàtrement^’.
Le campane, legate un tempo ai giorni festivi, sono, come gli uomini, estromesse dal calendario. Somigliano alle povere anime, che si agitano molto, ma non hanno una storia. Se Baudelaire tie ne in mano, nello spleen e nella vie antérieure, gli elementi disso ciati della vera esperienza storica, Bergson, nella sua concezione della durata, si è estraniato assai più dalla storia. «Il metafisico Bergson sopprime la morte»*®. Che, nella durée bergsoniana, ven ga meno la morte, è ciò che la separa dall’ordine storico (come an che da un ordine preistorico). Il concetto bergsoniano àeW!action ha lo stesso carattere. Il «sano buon senso», in cui eccelle l’«uomo pratico», l’ha tenuto a battesimo*’. La durée, da cui è stata sop pressa la morte, ha la cattiva infinità di un arabesco. Essa esclude * Nel mistico dialogo fra Monos e Una, Poe ha ricalcato, per cosi dire, sulla durée, il vuoto decorso temporale a cui il soggetto è abbandonato nello spleen, e sembra sperimen tare come una beatitudine la liberazione dai suoi terrori. Il «sesto senso» che tocca al de funto è la facoltà di ricavare un’armonia anche dal vuoto decorso temporale. È vero che essa è facilmente disturbata dal ticchettio dei secondi. «Avevo l’impressione che fosse en trato nella mia testa qualcosa di cui non posso dare affatto l’idea, sia pur vaga e confusa, a un intelletto umano. Parlerei, più di ogni altra cosa, di una vibrazione del regolatore men tale. Si tratta dell’equivalente spirituale dell’astratta rappresentazione umana del tempo. Il ciclo delle costellazioni è stato regolato in perfetta armonia con questo movimento (o con un moto corrispondente). Potevo misurare cosi le irregolarità del pendolo sul caminetto o degli orologi da taschino dei presenti. Avevo il loro ticchettio nelle orecchie. Le minime deviazioni dal ritmo esatto... mi turbavano, esattamente come mi feriva, fra gli uomini, la violazione della verità astratta» ( e d g a r a l l a n p o e , Nouvelles histoires cit., pp. 336 sgg.) [ K d .A .l Qìuvres cit., p. 88 [N.d.A.]. Za Bergsons Metaphysik derZeit [La metafisica del tempo in Berg son], in «Zeitschrift fiir Sozialforschung», 3 (1934), p. 332 [N.d.A.']. Cfr. HENM BERGSON, Matière e mémoìre. Essai sur la relation du corps à l ’esprit [Mate ria e memoria: saggio sulla relazione tra il corpo e lo spirito], Paris 1933, pp. 166 sgg. " CHARLES BAUDELAIRE,
“ MAX HORKHEIMER,
[ K d .A .l
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di poter accogliere la tradizione*. È il prototipo di un’«esperien za contingente» che si pavoneggia nelle vesti dell’esperienza. Lo spleen, invece, espone l’«esperienza contingente» nella sua nudità. Con spavento il malinconico vede la terra ricaduta nel nudo stato di natura. Nessun fiato di preistoria la circonda. Nessuna aura. Così essa appare nei versi di Le gout du néant, che vengono subi to dopo quelli citati sopra: Je contemple d ’en haut le globe en sa rondeur, Et je n’y cherche plus l’abri d’une cahute’“.
II.
Se si definiscono le rappresentazioni radicate nella mémoìre involontaìre, e che tendono a raccogliersi attorno a un oggetto sen sibile, come Vaura di quell’oggetto, l’aura attorno a un oggetto sen sibile corrisponde esattamente all’esperienza che si deposita come esercizio in un oggetto d’uso. I procedimenti fondati sulla came ra fotografica e sugli apparecchi analoghi successivi estendono l’ambito della mémoìre volontaire-, in quanto permettono di fissa re un evento, sonoramente e visivamente, con l’apparecchio, in qualunque momento. E diventano così conquiste fondamentali di una società in cui deperisce l’esercizio. La dagherrotipia aveva per Baudelaire qualcosa di pauroso e di conturbante. «Sorprendente e crudele»” , cosi ne definisce l’attrattiva. E perciò, anche se non lo ha penetrato, ha intuito il rapporto di cui si è detto. Come ha sempre cercato di riservare un posto al moderno, e di indicarglie lo, soprattutto nell’arte, così ha fatto anche per la fotografia. Tut te le volte che la sentiva minacciosa, cercava di darne la colpa ai suoi «progressi male intesi»” . Dove peraltro era costretto ad am mettere che essi erano facilitati dalla «stupidità della grande mas sa». «Questa massa aspirava a un ideale che fosse degno di lei e conforme alla sua natura... Un dio vendicatore ha ascoltato le sue preghiere, e Daguerre è stato il suo profeta»” . Cionondimeno, Baudelaire cerca di assumere un atteggiamento più conciliante. La fotografia può aggiudicarsi tranquillamente le cose caduche che * Il deperimento dell’esperienza si rivela, in Proust, nella perfetta riuscita della sua in tenzione ultima. Nulla di pili abile del modo in cui talvolta, nulla di più leale del modo in cui sempre egli fa presente al lettore: la redenzione è una mia impresa privata ™ CHARLES BAUDELAIRE, CEuvreS cit., I, p. 89 II, p. 197 [N.d.A.l
" M .,p.
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1NJ.A.I
Ibid., pp. 222 sgg. [N.d.A.].
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hanno diritto «a un posto negli archivi della nostra memoria», pur ché si arresti di fronte al «dominio dell’impalpabile e dell’imma ginario»: di fronte al dominio dell’arte, di «tutto ciò che esiste so lo per l’anima che l’uomo vi aggiunge»” . È difficile considerare salomonico questo verdetto. La costante disponibilità del ricordo volontario, discorsivo, riduce lo spazio della fantasia. Che si può forse concepire come la facoltà di formulare desideri di un tipo speciale: tali, cioè, che si possano considerare adempiuti da «qual cosa di bello». Le condizioni di questo adempimento sono state definite anche qui da Valéry: «Riconosciamo l’opera d ’arte dal fat to che nessuna idea che essa suscita in noi, nessun atto che essa ci suggerisce, può esaurirla o concluderla. Si respiri finché si vuole un fiore gradito all’olfatto: ma non si arriverà mai a esaurire que sto profumo, di cui il godimento rinnova il bisogno; e non c’è ri cordo, pensiero o azione che possa annullarne l’effetto o liberarci interamente dal suo potere. Ecco il fine che persegue chi vuol crea re un’opera d’arte»” . Un quadro, secondo questa concezione, ri produrrebbe - di una vista - ciò di cui l’occhio non potrà mai sa ziarsi. Ciò per cui esso soddisfa il desiderio che si può proiettare retrospettivamente alla sua origine, sarébbe qualcosa che, nello stesso tempo, nutre continuamente quel desiderio. E quindi chia ro ciò che separa la fotografia dal quadro, e per cui non può esserci un solo principio formale valido per entrambi: per lo sguardo che non può mai saziarsi di fronte a un quadro la fotografia significa piuttosto ciò che il cibo è per la fame o la bevanda per la sete. La crisi della riproduzione artistica, che così si delinea, si può considerare come parte integrante di una crisi della percezione stes sa. Ciò che rende insaziabile il piacere del bello, è l’immagine del mondo anteriore che Baudelaire dice velato dalle lacrime della no stalgia. «Ach du warst in abgelebten Zeiten I meine Schwester oder meine Frau ! »* : questa confessione è il tributo che il bello come ta le può esigere. In quanto l’arte mira al bello e lo «riproduce», per quanto semplicemente, lo rievoca (come Faust Elena) dal profon do del tempo**. Ciò non ha più luogo nella riproduzione tecnica (in essa il bello non ha alcun posto). Quando Proust accusa l’insuf*
«Ah tu sei stata in tempi remoti I mia sorella o la mia sposa» (j o h a n n W o l f g a n g «Warum gabst du uns die tiefen Blicke») [N.d.T.]. . ** L’istante di questa riuscita è contrassegnato a sua volta come unico e irripetibile. Su ciò si basa lo schema costruttivo dell’opera proustiana: ognuna delle situazioni in cui il cronista è sfiorato dall’alito del tempo perduto, diventa perciò stesso incomparabile e si stacca dalla serie dei giorni GOETHE,
^*Ibid .,p .2 2 4 [N .d .A .l ” PAUL VALÉRY, Avant-propos, in Encyclopédiefrangatse, voi. XVI: Arts e littératures dans la société contempomine, tomo I, Paris 1935, fase. i6.4.-5/6 [N.d.A.].
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ficienza e la mancanza di profondità delle immagini che la mémoire volontaire gli offre di Venezia, dice che alla sola parola «Vene zia» questo repertorio di immagini gli era apparso vuoto e insipido come una mostra di fotografie” . Se si scorge il contrassegno delle immagini che affiorano dalla mémoire involontaire nel fatto che pos siedono un’aura, bisogna dire che la fotografia ha una parte deci siva nel fenomeno della «decadenza dell’aura». Ciò che nella dagherrotipia doveva essere sentito come inumano, e starei per dire micidiale, era lo sguardo rivolto (e per giunta a lungo) all’apparec chio, mentre l’apparecchio accoglie l’immagine dell’uomo senza re stituirgli uno sguardo. Ma nello sguardo è implicita l’attesa di es sere ricambiato da ciò a cui si offre. Se questa attesa (che può as sociarsi altrettanto bene, nel pensiero, a uno sguardo intenzionale d’attenzione, come a uno sguardo nel senso letterale della parola) viene soddisfatta, lo sguardo ottiene, nella sua pienezza, l’espe rienza dell’aura. «La percettibilità - afferma Novalis - è un’atten zione»” . La percettibilità di cui parla non è altro che quella del l’aura. L’esperienza dell’aura riposa quindi sul trasferimento di una forma di reazione normale nella società umana al rapporto dell’i nanimato o della natura con l’uomo. Chi è guardato o si crede guar dato alza gli occhi. Avvertire l’aura di una cosa significa dotarla della capacità di guardare*. Ciò è confermato dai reperti della mémoìre involontaire (essi sono, d’altronde, irripetibili: e sfuggono al ricordo che cerca di incasellarli. Cosi vengono ad appoggiare un concetto di aura per cui s’intende, con essa, l’« apparizione irripe tibile di una lontananza»’*. Questa definizione ha il merito di ren dere trasparente il carattere cultuale del fenomeno. L’essenzialmente lontano è inaccessibile: e l’inaccessibilità è una qualità es senziale dell’immagine di culto). E inutile sottolineare quanto Proust fosse addentro al problema dell’aura. Ma è sempre degno di nota che egli lo tocchi incidentalmente in concetti che ne implica no la teoria: «Certi amanti del mistero vogliono credere che rimanga * Questa dotazione è una scaturigine della poesia. Quando l’uomo, l’animale o un og getto inanimato, dotato di questa capacità dal poeta, alza gli occhi e lo sguardo, egli è at tratto lontano; lo sguardo della natura risvegliata sogna e trascina nel suo sogno il poeta. Anche le parole possono avere la loro aura. Karl Kraus l’ha descritta come segue: «Quan to più da vicino si guarda una parola, e tanto più lontano essa guarda» ( k a r l k r a u s , Pro àomo etmundo, Mùnchen 1912, p. 164) [N.i/.v4.]. MARCEL PROUST, A la recherche cit., voi. V ili: he temps retrouvé cit., tomo-I, p. 236
vn.à.Ax
” NOVALIS, Schriften [Scritti], nuova edizione critica sulla base dei manoscritti del la scito a cura di Ernst Heilborn, Berlin 1901, parte II, I metà, p. 293 [N.
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4“
qualcosa, negli oggetti, degli sguardi che li hanno toccati» (e cioè la capacità di ricambiarli). «Essi credono che i monumenti e i qua dri si presentino solo sotto il velo delicato che hanno tessuto in torno a loro l’amore e la devozione di tanti ammiratori nel corso dei secoli. Questa chimera - conclude Proust evasivamente - si tra sformerebbe in verità se essi la riferissero alla sola realtà esistente per l’individuo, cioè al suo proprio mondo sentimentale»” . Analo ga, ma orientata in senso oggettivo, e quindi tale da condurre più lontano, è la descrizione di Valéry della percezione in sogno come auratica. «Quando dico: vedo questa cosa, non pongo un’equazio ne fra me stesso e la cosa... Nel sogno, invece, sussiste un’equa zione. Le cose che vedo mi vedono come io le vedo»™. E tipica del la percezione onirica è la natura dei templi di cui si dice: *I
L’homme y passe à travers des forèts de symboles Qui l’observent avec des regards familiers.
Quanto più Baudelaire si è reso conto di questo e più chiara mente la decadenza dell’aura si è iscritta nella sua poesia. Ciò è ac caduto nella forma di una cifra: che si ritrova in quasi tutti i pas si delle Fleurs du m al dove lo sguardo affiora dall’occhio umano (che Baudelaire non l’abbia usata con regolarità è peraltro ovvio). Il nocciolo della questione è che l’attesa rivolta allo sguardo del l’uomo rimane delusa. Baudelaire descrive occhi di cui si potreb be dire che hanno perduto la capacità di guardare. Ma questa pro prietà li dota di un’attrattiva da cui è nutrita in larga, e forse in massima parte, l’economia dei suoi istinti. Sotto il fascino di que gli occhi, in Baudelaire, il sesso si è emancipato dall’eros. Se i ver si di Selige Sehnsucht-, Keine Ferne macht dich schwierig Kommst geflogen und gebannt*,
vanno considerati come la descrizione classica dell’amore, sa turo dell’esperienza dell’aura, difficilmente si possono trovare, in tutta la poesia lirica, versi che tengano loro più decisamente fron te di quelli di Baudelaire: Je t ’adore à l’égal de la voùte nocturne, O vase de tristesse, ò grande Taciturne, Et t ’aime d’autant plus, belle, que tu me fuis, * «Ma nessuna distanza t ’impedisce I di venire volando affascinato» [N.i/.T.]. A la recherche cit., voi. V ili: Le temps retrouvé cit., tomo II, p. 33 {N .d.A ^ *“ PAUL VALÉRY, Analectu cit., pp. 193 sg g . [N.i/./4.]. ” MARCEL PROUST,
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Et que tu me parais, ornement de mes nuits, Plus ironiquement accumuler les lieues Qui séparent mes bras des immensités bleues*^.
Tanto più soggiogante - si potrebbe dire - è xmo sguardo, quan to più profonda è l’assenza di chi guarda in esso domata. In occhi che si limitano a riflettere questa assenza rimane intatta. Proprio perciò quegli occhi non conoscono lontananza. La loro lucidità è stata inclusa da Baudelaire in una rima ingegnosa; Plonge tes yeux dans les yeux fixes Des Satyresses ou des Nixes“ .
Satiresse e naiadi non appartpgono più alla famiglia degli es seri umani. Sono esseri a parte. E significativo che Baudelaire ab bia introdotto nella poesia lo sguardo carico di lontananza come regard familier^^. Egli, che non ha creato una famiglia, ha dato al la parola fatnilier una testura carica di promessa e di rinuncia. Egli è caduto in balia di occhi senza sguardo e si arrende senza illusio ni al loro potere. Tes yeux, illuminés ainsi que des boutiques Et des ifs flamboyants dans les fétes publiques, Usent insolemment d’un pouvoit emprunté .
«L’ottusità - scrive Baudelaire in uno dei suoi primi articoli - è spesso l’ornamento della bellezza. E grazie a essa che gli occhi so no tristi e trasparenti come i neri acquitrini, o hanno la calma oleo sa delle paludi tropicali»®’. Se c’è una vita in quegli occhi, è quella della belva che si assicura dal pericolo mentre guarda intorno in cer ca di preda (così la prostituta, mentre bada ai passanti, si cautela in sieme dai poliziotti. Baudelaire ha ritrovato il tipo fisiognomico pro dotto da questo genere di vita nei numerosi schizzi dedicati alla pro stituta da Guys. «Essa volge lo sguardo all’orizzonte come l’animale da preda; la stessa instabilità, la stessa distrazione indolente, ma an che, a volte, la stessa attenzione improvvisa»)*^ Che l’occhio del l’abitante delle grandi città sia letteralmente schiacciato da funzio ni di sicurezza, è evidente. Meno evidente è una pretesa a cui è sot toposto, e di cui parla Simmel: «Chi vede senza sentire è molto [...] più preoccupato di chi ascolta senza vedere. Ciò è caratteristico del(Euvres c i t . , I, p. *^lbid.,p. 190 “ Cfr. ibid., p. 23 [K d .A .l ^ Ib id .,p . 4 0 [N .ii.y l.] . p . è z ilN .d .A .l “ Ibid.,p. 359[N J.A .].
“ CHARLES BAUDELAIRE,
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[N.d.A.].
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la [...] grande città. I rapporti reciproci fra gli uomini nelle grandi città [...] si distinguono per una forte prevalenza dell’attività della vista su quella dell’udito. La causa principale di questo fatto sono i pubblici veicoli. Prima dell’avvento degli omnibus, delle ferrovie e dei tram nel secolo decimonono, la gente non si era mai trovata in condizione di dover stare, per minuti e anche ore intere, a guardarsi in faccia senza rivolgersi la parola»". Lo sguardo inteso a garantir si manca dell’abbandono sognante alla lontananza; e può arrivare al punto di provare una specie di piacere nell’umiliazione di essa. In questo senso bisogna forse leggere le curiose affermazioni se guenti. Nel Salon del 1859 Baudelaire passa in esame i quadri di paesaggio, per concludere con questa confessione: «Vorrei tornare ai diorami, la cui magia enorme e brutale mi sa imporre un’utile il lusione. Preferisco contemplare qualche fondale di teatro, dove tro vo, espressi artisticamente e in tragica concentrazione, i miei sogni più cari. Queste cose, essendo false, sono infinitamente più vicine al vero; mentre la maggior parte dei nostri paesaggisti mentono pro prio perché trascurano di mentire»*®. Dove vorremmo porre l’ac cento, più che suU’«utile illusione», sulla «concisione tragica». Bau delaire insiste sul fascino della lontananza; e giudica il quadro di paesaggio addirittura alla stregua delle pitture nei baracconi da fie ra. Vuole forse veder spezzato l’incanto della lontananza, come ac cade allo spettatore che si avvicina troppo a uno scenario ? Questo motivo è penetrato in uno dei grandi versi delle Fleurs du mal: Le plaisir vaporeux fuira vers l’horizon Ainsi qu’une sylphide au fond de la coulisse*’.
12. Le Fleurs du m al sono l’ultimo testo di poesia lirica che abbia avuto una risonanza europea: nessuno dei successivi ha varcato i limiti di un ambito linguistico più o meno ristretto. A ciò si ag giunga che Baudelaire ha rivolto la sua capacità creativa quasi esclusivamente a questo solo libro. E infine non si può negare che alcuni dei suoi motivi, di cui ha trattato il presente studio, rendo no problematica la possibilità stessa della poesia lirica. Questa tri*’ GEORG siM M E L, Mélanges de philosophie rélatìviste. Contributìon à la culture philosophique [Zibaldone di filosofia relativista. Un contributo alla cultura filosofica], traduzione di A. GuUlain, Paris 1912, pp. 26 sgg. [N.d.A.]. “ CHARLES BAUDELAIRE, CEuvreS cit., II, p. 273 [N.d.A.].
‘^ Ib id .,l,p . 94[N .d.A .l
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plice constatazione definisce storicamente Baudelaire. Essa mo stra che egli ha tenuto saldamente il suo posto; che è stato irridu cibile nella coscienza del suo compito. Egli è arrivato al punto di definire come proprio scopo «la creazione di un poncif»^. Egli ve deva in ciò la premessa di ogni futuro poeta lirico. Di quanti non si mostravano all’altezza di questa esigenza, egli teneva pochissi mo conto. «Che cosa bevete? Brodi di ambrosia? Che cosa man giate? Bistecche di Paro? Quanto vi dànno al Monte di Pietà per una cetra?»’*. Il poeta lirico con l’aiareola è, per Baudelaire, anti quato. Baudelaire stesso gli ha dato una parte di comparsa in un brano in prosa intitolato Perte d ’aurèole. Il testo è venuto alla lu ce solo tardi. Al primo esame dell’opera postuma è stato scartato come «inadatto alla pubblicazione»; ed è rimasto finora inosser vato nella letteratura baudelairiana. « - Che vedo, amico mio! Voi qui! Voi in un luogo malfamato! voi che bevete essenze e vi nutrite di ambrosia! In verità mi stu pisco. - Sapete bene, mio caro, del mio terrore dei cavalli e delle carrozze. Poco fa, mentre traversavo il viale in gran fretta, saltan do nel fango, attraverso questo caos mobile dove la morte arriva al galoppo da tutti i lati nello stesso tempo, l’aureola, in un movi mento brusco, mi è scivolata dal capo ed è caduta nel fango del sel ciato. Non ho avuto il coraggio di raccoglierla. Ho ritenuto meno spiacevole perdere le mie insegne che farmi fracassare le ossa. E poi, mi sono detto, le disgrazie servono a qualcosa. Posso andare in giro in incognito, commettere azioni basse, e dedicarmi alla cra pula come i comuni mortali. Eccomi qua, come vedete, in tutto si mile a voi! - Dovreste almeno affiggere un avviso, o farla cercare dal commissario. - Non ci penso affatto! Mi trovo bene qui. Voi solo mi avete riconosciuto. E poi la dignità mi stufa. E mi diverte pensare che qualche cattivo poeta la raccoglierà e sarà cosf sfron tato da azzimarsene! Che gioia, rendere felice qualcuno! E so prattutto qualcuno che mi farà ridere! Pensate a X, o a Z! Come sarà buffo! »” . Lo stesso motivo ritorna nei diari; ma la conclusio ne è diversa. Il poeta si affretta a raccogliere l’aureola; ma è tur bato dalla sensazione che sia un incidente di cattivo augurio*” . * Non è impossibile che l’occasione di questo schizzo sia stato uno shock patogeno. Tanto più istruttiva la rielaborazione letteraria che lo incorpora nell’opera di Baudelaire VK d.A.l * Cfr. JULES LEMAÌTRE, Les contempoirains. Etudes etportraits littéraires [I contempora nei. Studi e ritratti letterari], IV serie, pp. 31 sgg. [N.ii.A.]. ” CHARLES BAUDELAIRE, (Euvres cit., II, p. 422 [N.d.A.]. Ibid., pp. 483 sgg. [N .d.A.l ” Cfr. ibid., II, p. 634 [N .d.A.l
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L’autore di questi abbozzi non è un flaneur. Essi esprimono iro nicamente la stessa esperienza che Baudelaire affida di passaggio, senza arrangiamenti di sorta, a un periodo come questo: «Perdu dans ce vilain monde, coudoyépar les foules, je suis comme un homme lassé dont l’ceil ne voit en arrière, dans les années profondes, que désabusement et amertume, et, devant lui, qu’un orage où rien de neuf n’est contenu, ni enseignement ni doulexir»’^. Essere sta to fatto segno agli urti della folla, è l’esperienza - fra tutte quelle che hanno fatto della sua vita ciò che essa era - che Baudelaire prende come decisiva e insostituibile. L’apparenza di una foUa vi vace e movimentata, oggetto della contemplazione del flaneur, si è dissolta ai suoi occhi. Per meglio imprimersi la sua bassezza, egli immagina il giorno in cxii anche le donne perdute, le reiette, si pro nunceranno per una condotta regolata, condarmeranno il liberti naggio e non ammetteranno più nulla che non sia il denaro. Tra dito da questi suoi ultimi alleati, Baudelaire muove contro la fol la; e lo fa con la collera impotente di chi si getta contro il vento o contro la pioggia. Ecco l’«esperienza contingente» a cui Baudelai re ha dato il peso di un’esperienza. Egli ha mostrato il prezzo a cui si acquista la sensazione della modernità: la dissoluzione dell’aura nell’esperienza dello shock. L’intesa con questa dissoluzione gli è costata cara. Ma essa è la legge della sua poesia. Questa brilla nel cielo del Secondo Impero come «un astro senza atmosfera»” . 641 [N.d.A.l ” FRIEDRICH NIETZSCHE, Vnzettgemàjie Betrachtungen [Considerazioni inattuali], Leip zig 1893^ voi. I, p. 164
[Appendice a Su alcuni m o tivi in BaudelaireY
Nuove tesi
Coloro che per primi hanno rappresentato la moderna folla me tropolitana concordano sul suo carattere barbarico. Soprattutto Engels e Poe. Baudelaire colloca l’umanità nella folla; il suo sog getto, però, non è più l’uomo, ma la merce. Le qualità umane del flàneur sono quelle della merce. Si possono enumerare senza per questo far mancare il momento dell’isolamento, del «poter essere portato a casa». L'immedesimazione nella merce comincia probabilmente con l’immedesimazione nella materia inorganica {Tentazione di Sant’An tonio - saggio su Flaubert). {Di fatto comunque, l’immedesimazione nella merce è l’immedesimazione nel valore di scambio stesso.} {Le esposizioni universali sono state la scuola, nella quale le mas se distolte dal consumo imparavano a immedesimarsi nel valore di scambio. «Guardare tutto, non toccare niente»}. Qual è il ruolo della comicità nell’interpretazione? «Le musulman fait sa prière prète à rire au chrétien» (Aron). {La cosa esercita la sua influenza estraniante sugli uomini in nanzitutto in quanto merce. La esercita attraverso il prezzo. Non è tanto la cosa quanto il suo prezzo a porsi tra gli uomini}. Il modo in cui Baudelaire è stato tramandato deve essere rap presentato come catastrofe (sarebbe bene mettere questa rappre sentazione all’inizio della prima parte). Le forme specifiche della follia e del mito che questo lavoro prende in considerazione sono quelle della coscienza storica del XIX secolo. È suUe loro fondamenta che vanno a proiettarsi chia ramente le forme pittoresche della loro fantasmagoria. Ogni istante è il Giorno del Giudizio per ciò che si dà in un qua lunque evento anteriore. Se ogni epoca è prossima a Dio, allora lo è in quanto tempo messianico di una qualche epoca precedente. ‘ Anche in questa sezione le parentesi graffe indicano i passi cancellati dall’autore
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{La teoria blanquiana intesa come répétìtion du mythe - .un esem pio fondamentale della storia originaria del xix secolo. In ogni secolo l’umanità deve restare in castigo. Cfr. N 3 a, 2 e inoltre N {«Eterno ritorno» come forma basilare della coscienza preisto rica, mitica}. Antinomia di apparenza e significato: fondamentale per lo svi luppo sia del problema dell’allegoria sia della fantasmagoria. A que sto proposito N 5, 2 ripulito dei riferimenti fuorvianti all’imma gine dialettica. Nell’immagine dialettica si deve lasciare spazio al «sogno di una cosa» - fermo restando il dissolversi del mito nell’immagine dia lettica (analogia tra sogno e fiaba). Il motivo del taglio riconciliato con il passato e la comicità. Pas so di Marx N 5 a, 2 La gente che siede al caffè: tanto massa quanto persone. {Climax: flàneur - uomo sandwich - giornalista uniformato (fa pubblicità allo stato e non più alla merce)}. {Ilflàneur si sottrae alla foUa solo immedesimandosi nella merce}. {Il borghese inizia a vergognarsi del lavoro; questo sentimento di vergogna segna la figura del flàneur]. Il flàneur coUoca l’umanità nella folla, ma il suo soggetto non è più l’uomo, bensf la merce, nel flàneur parla la coscienza della merce. Engels e Poe concordano sul carattere barbarico della folla. Ma è Baudelaire il primo a tentare di coglierne un aspetto conciliatorio. La struttura amorfa e inaffidabile di quella massa al cui favore si era appellato Victor Hugo è sparita nel mondo dei fantasmi. Il flàneur come colui che è illuminato («Surrealismo»), ispira zione storica del flàneur. Lo spazio storico, il discontinuum come spazio dell’immagine («Surrealismo»). Quanto più lontano nel passato si spinge lo spi rito, tanto più aumenta la massa di ciò che non è ancora diventa to propriamente storia. Tutto questo contro la concezione della «Storia universale». {L’autentico concetto di Storia universale è di natura messia nica. La Storia universale come la si intende oggi è reazionaria}. ^ Le sigle si riferiscono al manoscritto dei Passages, cfr. Scritti IX [N.ii.T.].
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Lavori preparatori relativi a S>u alcuni motivi in Baudelaire^ noctambulisme I
II, p. 15, par. 2, r. 2^ L’immagine della strada come ìntérieur è difficilmente separabile dall’iUuminazione a gas. L’iUuminazione a gas fu introdotta dapprima nei passages*. Quando Baudelaire riga 9 anche di notte la fol la della strada. [Nel periodo di massimo splendore del Secondo Impero i negozi delle strade principali non chiudevano prima del le dieci di sera. Fu il grande periodo del noctambulisme^ Le stra de restavano animate anche a tarda notte. Nella veglia si insinua una particolare dialettica che corrisponde tanto alla paura dell’i gnoto quanto al desiderio di avventura. L’ignoto, davanti al qua le colui che veglia si mette in guardia, sorge con il calare della not * Comunque ciò è avvenuto non senza infelici coincidenze, come si deve desumere da questa poesia che nel 1838 Barthélemy rivolse al prefetto di polizia Delessert: «Dans ces couloirs où l’oisif se pavane, I Fumé en bleus tourbiUons la feuiUe de Havane, I [ . . . ] I Rends - nous, par tes efforts, l’existence plus douce, I Ecarte de nos pas toute rude secousse; I Pour prévenir à temps les volcans destructeurs I Des salons de lecture et des restaurateurs, I Dès que la nuit commence, ordonne qu’on explore I Tous les lieux infectés par le gaz in odore, I E t qu’on dorme l’éveil avec des cris de peur, I Sitòt qu’on sent filtrer l’inflammable vapeur». Nodier e Pichot pubblicarono uno scritto contro i pericoli della illuminazione a gas, Il motivo principale di queste reazioni poteva essere ricercato nel carattere inizialmente festoso dell’iUuminazione a gas. «Con quìii mezzi arricchisce i nostri giorni di festa! » di ce Gottfried Semper. [Wissenschaft Industrie Kunst (Scienza industria arte), Braunschweig 1852, p. 12] Non di rado la festa supplisce la catastrofe. E qualcosa di simile alla vaccina zione; la collettività provoca il pericolo ili modo innocuo [N. J./l.]. *In questa sezione le parentesi quadre risalgono a Benjamin: indicano i passi per i qua li aveva trovato una nuova formulazione, senza tuttavia aver ancora deciso se sostituirli oppure no; tra parentesi graffe sono invece collocati i passi che avrebbe voluto cancellare; le graffe a gomito, infine, indicano le integrazioni dei curatori: in alcuni casi Benjamin ave va rimandato con la semplice indicazione della riga al dattiloscritto di La Parigi del Secon do Impero in Baudelaire. Le graffe a gomito riportano appunto questi passi tratti dal saggio iN.d.T .1
^ Nel presente volume, cfr. p. 134, riga 7 [N. d. T],
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te, nella forma deU’osciirità e dei sogni. Stabilisce uno stretto rap3orto con la luce, sia che si tratti della fiamma della candela o dela lanterna a gas. Ma nella veglia vive anche l’attesa che non vuo le arrendersi di fronte al nulla né fare il bilancio della giornata fin ché non venga incassata l’ultima grossa somma. «Quanto più tarda è la notte, tanto migliori sono gli ospiti» - come recita il prover bio. Questa attesa festosa di cui sanno qualcosa i bambini che non vogliono andare a letto e a cui Kafka mostra il venire meno dei saltimbanchi che «vivono al sud, nel paese dove la gente non si stanca»’ - questa attesa (dicevo) è in stretto rapporto con la luce artificiale. E la cattiva coscienza con la quale all’alba il nottambulo si se para dal suo scenario, non dipende necessariamente dalla notte tra scorsa per le vie della città. Piuttosto, in questo, potrebbe avere parte la pusillanimità con la quale egli rinuncia a coronare un’ulti ma avventura. «L’uomo», scrive Delvau, l’amico di Baudelaire, nel secondo capitolo delle sue Heures parisiennes, dedicato alla secon da ora dopo la mezzanotte, «di tanto in tanto può riposare; gli so no concesse soste e tappe; tuttavia non ha il diritto di dormire»*. noctambulisme II
II, p. i6, par. 2, r. i"* Nel periodo di massimo splendore del Se condo Impero i negozi nelle strade principali non chiudevano pri ma delle dieci di sera. Insieme a loro restavano aperti anche i caffè di cui l’installazione della l’iUuminazione a gas ha convalidato il rango mondano. In quelli più frequentati risiedevano le signore del comptoir che un viaggiatore tedesco descrive così; «Per tutto il gior no compaiono in bigodini e peignoir, ma dopo il tramonto, quando viene acceso il gas, si presentano in una impeccabile mise da ballo. Quando poi le si vede troneggiare al loro banco avvolte in un ma re di fuoco, viene subito fatto di pensare alla biblioteca blu e alla fiaba della Bella dai capelli d’oro e della principessa incantata, per quanto libero sia il paragone, dal momento che le parigine, più che essere incantate, incantano»**. Maupassant ha scritto il necrolo gio della vita parigina schizzata in questa immagine. Egli libera il * ALFRED DELVAU.
Les heurespatisiennes, Paris i 8 o 6 , p . 206 [N.d.A.]. Schilderungen am Paris [Descrizioni parigine], Hamburg 1839, II,
* * EDUARD KROLOKF,
PP- 76-77 [N.«/..4 .].
’ FRANZ KAFKA, Betrachtung, Leipzig 1915*, pp. 15-16 [N.
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SUO flàneur nella notte metropolitana inondata dalla luce, ne segue il passaggio attraverso la folla che fluttua festosa, lo rende testi mone del placarsi della fiumana di gente e infine, quando le fiam melle del gas intorno a lui si spengono, lo lascia sull’asfalto come sabbia bagnata. Questa discesa della bohème dorée dei vari Nestor Rocqueplan o dei Beauvoir, non si è più ripresa dall’impressione della città morta immersa nel grigiore del crepuscolo mattutino. Se la portata storica di questo studio si trova alla fine, il suo motivo recondito compare però all’inizio, dove la notte viene introdotta nelle prime battute «Tutto era chiaro nell’aria leggera, dai piane ti fino ai fanali a gas. Le luci che splendevano lassù e nella città era no tante che le tenebre parevano illuminarsene. Le notti scintil lanti sono più allegre dei giorni pieni di sole»*. Questa è la notte che ha steso le maglie della sua rete di luce su tutto l’universo per catturare la sua rara avis, l’esperienza. In virtù dei lampioni che vi sono accesi, l’universo è sempre più simile alVinteriéur. E questo il luogo che viene preparato dalla «notte ita liana» dove le lanterne dei lampioni entrano nelle immagini dei notturni stellati in modo tale da trasformare l’universo in un sof fitto a cui sono fissati migliaia di lampadari di cristallo. Grandville nelle Etoiles le ha disegnate così.
noctambulisme III
Come il Secondo Impero, anche la notte non ha mantenuto la sua promessa di felicità. Quando, con il declinare dei passages, p. i6, par. 2, r. 8’: p. i6, par. 2, r. 13* scomparsa delle lanterne a gas che, pure, non conserva più alcun ricordo dello splen dore della notte italiana. Il suo rimpianto va soprattutto
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viso immerse nella luce dell’illuminazione elettrica. «Questa luce dovrebbe investire solo gli assassini o i criminali politici, oppure rischiarare i corridoi dei manicomi - l’orrore fatto per aumentare l’orrore »>*. Il sopravvento della illuminazione elettrica che nel notturno di Maupassant si limita ancora agli edifici degli Champs Elysées rap presenta la fine del nottambulismo. L’illuminazione a gas andò sempre più perdendo il suo prestigio sociale. Sapeva di abbando no se non addirittura di decadenza e la sua fiammella tornava a esercitare un effetto paralizzante, come una volta ebbe a illustrarla Poe. Nel suo racconto L ’uomo della folla che rispecchia la costel lazione storica in cui il flàneur fa la sua comparsa, si legge: «I rag gi delle lampade a gas, dapprincipio deboli nella loro lotta col gior no morente, avevano alla fine preso il sopravvento e su tutto get tavano una luce chiassosa e convulsa. Intorno, tutto era nero eppure splendido, come quell’ebano cui è stato paragonato lo sti le di Tertulliano». La metropoli illuminata dalla luce elettrica non conosce più tramonto. L’illuminazione a gas ha rimosso il cielo stellato dall’immagine della metropoli; per lo meno il sorgere del le stelle poteva restarvi visibile alla vecchia maniera. La defini zione kantiana del sublime intesa come «la legge morale in me e il cielo stellato sopra di me» non avrebbe potuto essere formulata da un cittadino della metropoli. «Tiro la tenda dietro il sole; è anda to a letto come è giusto che sia; da questo momento in poi non ve do altra luce se non quella del gas» si legge in un cronista del bou levard**. La stessa immagine (si ritrova) in Crépuscule du soir: «L e d e l
Se ferme lentement comme une grande alcòve» -
e contemporaneamente in una illustrazione della nota frase di Claudel, ripresa da Jacques Rivière’, secondo cui lo stile di Baude laire sarebbe un miscuglio di quello di Racine e di quello dei gior nalisti contemporanei. * Jacques Fabien, che ironizza acutamente sul sistema d’informazione, incolpa l’illu minazione elettrica di avere popolato gli istituti per ciechi: «In un primo momento l’illu minazione elettrica è stata utilizzata di giorno in miniera; poi illuminò strade e piazze; in seguito toccò alle fabbriche, alle officine, ai negozi, ai teatri e alle caserme; infine fu il tur no à é l’intérìeur. All’inizio gli occhi hanno resistito di fronte al loro raggiante nemico. Ma con il passare del tempo gli occhi ne furono accecati, dapprima solo di tanto in tanto, poi sempre più spesso e, infine, per un periodo di tempo sempre più lungo» (JACQUES f a b i e n , Paris en songe, Paris 1863, pp. 96-97) Utopia?? [N.d.A.]. * * ju i,rE N LKRNER, Paris au gaz, Paris 1861, p. 10 [N.d.A.]. ’ JACQUES r i v i è r e : Etttdes, Paris 1924’, p. 15 [N.^i.T.].
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il valore di scambio
Forse non esiste ancora un concetto di piacere - o almeno non di piacere del nevrotico come quello che noi riconosciamo essere distintivo del flàneur - che non abbia in sé anche il concetto di paura, il quale rappresenta solo l’altro lato di questo piacere. Nel flàneur il piacere di ritrovarsi vendibile va di pari passo con la pau ra di imbattersi in un acquirente, una combinazione senz’altro no tevole. Tale acquirente Baudelaire l’ha mancato; per molti suoi colleghi era Napoleone ; ma per quanto riguarda Baudelaire ciò non può essere confermato. Ciò che è certo, invece, è che og gi gli eredi di Baudelaire difficilmente sfuggono all’acquirente. Non hanno più bisogno di ricercare il mercato poiché a malapena riescono a evitarlo. Quando non ci riescono, possono dire che per fortuna la caserma degli scrittori prende il suo posto, come acca de negli Stati totalitari. (Così, giustamente, sono state chiamate le case editrici patrocinate da un Ministero della propaganda.) In que ste condizioni [per l’artista il gesto della fldnerie viene a mancare del suo significato e cosi il flàneur perde di vista il modello che è stato decisivo per lui sin dall’inizio] il gesto della fldnerie diventa insensato per la libera intelligenza e perde così il suo significato. A questo punto il flàneur-tìpo tende ad rimpicciolirsi sempre più come se una fata cattiva lo avesse sfiorato con la bacchetta magi ca. Al termine di questo processo di rimpicciolimento viene l’uomo-sandwich. Qui l’immedesimazione nella merce può dirsi riu scita; il flàneur adesso si mette davvero nei panni della merce. Per lui si tratta ora di vagare su compenso e la sua ispezione notturna della città è diventata una sorta di lavoro*. Il valore dì scambio
Il feticcio della merce troneggia suUo Jaggernaut, sul carro del dio Shiwa che rende uguale tutto ciò che passa sotto le sue ruote. * E quasi superfluo dire che, nel processo di dissolvimento della flanerie, insieme a que sto motivo specifico, concorrono motivi di carattere più generale DeÌl’«Abbasso la fldnerie» Taylor ha fatto una parola d ’ordine. «Il flàneun, scrive Rattier nel 1857 nella sua utopia Paris n'existepas, «che si era soliti incontrare per strada e davanti alle vetrine, questo per sonaggio futile, insignificante, eternamente curioso, sempre alla ricerca di emozioni a buon mercato, ed esperto solo di pavimentazione stradale, fiacre e lampioni a gas [...] adesso si è fatto agricoltore, vignaiolo, produttore di lino, raflEinatore di zucchero, industriale side rurgico»
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Il flàneur si immedesima in questo feticcio. Gli strappa quella ìvresse religieuse che regna nelle metropoli. Una volta diventato tu tt’uno con il feticcio della merce, egli può finalmente vantarsi di ave re avuto il privilegio dell’avventura ricercata dall’esperienza. Da vanti a lui si è aperta la fantasmagoria; lo ha accolto in grembo. Il valore di scambio
Secondo Marx Végalité era un velo, che trasforma l’immagine bella della divina ragione in una seconda immagine di Sais. [Non per questo egli ha misconosciuto i motivi razionali e morali di que sta parola chiave. Il fatto di essersi poco interessato della questio ne non ha d’altra parte potuto preservare Baudelaire dal cadere comunque vittima delle illusioni celate nel concetto di égalité.] In quanto allievo di De Maistre, a Baudelaire è rimasto ben poco di quel concetto di égalité, che la grande Rivoluzione inscrisse sul suo stendardo. Non era attaccato agli ideali dell’illuminismo. Ma l’a vere sacrificato i motivi razionali e morali insiti nel concetto di égalité e il non avere fatto tanto chiasso intorno ai diritti umani che volevano fondarlo ideologicamente non lo ha affatto preser vato dal cadere vittima delle illusioni occulte che Marx ritrova nel concetto di égalité. In nessun altro punto emerge altrettanto chia ramente ciò che lo separa da Daumier. Baudelaire odiava la bor ghesia; ma si trattava di una passione frenetica; lo assaliva a trat ti per poi abbandonarlo di nuovo; Baudelaire non ne ha mai con siderato l’ordine economico. Daumier disprezza la borghesia; questo sentimento non conosce l’alternanza delle fasi; si nutre di una considerazione ragionata. Con la sua risata Daumier fa piaz za pulita di una uguaglianza da lui fissata nei termini di parvenza storica. La considera nella sua vera essenza, ovvero come quella generica égalité, che si era diffusa nel nome di Luigi Filippo. In Poe l’uguaglianza si presenta in modo completamente diverso, per non parlare, poi, di Baudelaire; per dirlo con una parola ha un aspetto demoniaco. In Poe, ne L ’uomo della folla si manifesta an cora la possibilità di un esorcismo comico. In Baudelaire non c’è niente ì tutto questo. Per il modo in cui si erge all’orizzonte del mercato mondiale, la fata morgana dell’uguaglianza era la patria del suo ingegno poetico.
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Il tipo
Lo scandaglio più profondo nel mondo deìfldneur che Baude laire abbia mai effettuato si ritrova nei sept vìeillards. Questa poe sia ermetica, volutamente trascurata dagli interpreti, trova un pri mo riscontro grazie a una moda letteraria. [Risale al periodo della giovinezza di Baudelaire]. Quando Baudelaire era giovane si dif fuse una strana moda letteraria. Allora circolavano pubblicamen te degli insignificanti fascicoli in formato tascabile chiamati physiologues. Si mettevano sulle tracce di tipi umani in cui ci si può imbattere girando per un mercato. Dal venditore ambulante dei boulevard, agli elegants nel foyer dell’opera, non vi era figura del la vita parigina che non fosse tratteggiata dal physiologue. Il gran de momento di questo genere si ha all’inizio degli anni quaranta. E l’alta scuola del feuilleton-, la generazione di Baudelaire l’ha fre quentata. Per Baudelaire scrittore questa era un motivo sufficien te per seguire una strada completamente diversa. Eppure, certo senza ripensare espressamente a questa moda, Baudelaire l’ha con dannata vent’anni dopo nella poesia Les sept vieìllards. Le fisiologie mirano a valutare il passante trascinato dalla folla con un fugace colpo d’occhio e soprattutto a catalogarlo* sulla ba se della sua posizione sociale. Il loro interesse era fondamental mente diverso da quello psicologico-individuale che aveva mosso i fisionomi della cerchia di Lavater. Segnava piuttosto la prima reazione al fatto che l’uomo della metropoli si dia essenzialmente nella massa. Assicuravano che, anche senza preci se cognizioni, tutti erano in grado di capire professione, caratte * II, p. I, par. 2 Nel 1841 si contava no p. 2, r. 2 fisiologia della città. Apparvero Paris la nuit, Paris à table, Paris dans l’eau, Pa ris à chevai, Paris pittoresque, Paris marie. Esaurita anche questa vena, fu la volta delle «fi siologie» dei popoli. Né ci si dimenticò della «fisiologia» degli animaK che da sempre han no funto da inoffensivi modelli. Era la inoffensività a contare. Nei suoi studi sulla storia delia caricatura, Eduard Fuchs mette in evidenza come all’origine delle fisiologie vi fossero le cosiddette leggi di settembre, ossia l’inasprimento della censura del 1836, che all’im provviso allontanarono dalla politica un gruppo di artisti capaci e cresciuti alla scuola della satira. Se questo era stato pos.sibile nella grafica, a maggior ragione la manovra del governo doveva riuscire in ambito letterario. Qui infatti, non vi era un’energia politica paragonabi le a quella di un Daumier. La reazione è quindi il presupposto «a partire dal quale si com prende la grandiosa rivista della vita borghese che... si inaugurò in Francia... » [N.d.A.].
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re, origine e modo di vita dei passanti e presentavano questo ta lento come una facoltà che le fate dànno in dote agli abitanti del le metropoli. [Con simili certezze, soprattutto Balzac si trovava nel suo elemento.] Delvau, l’amico di Baudelaire e il più interes sante tra i piccoli maestri del feuilleton, vuole distinguere le varie stratificazioni del pubblico di Parigi, come un geologo fa con gli strati delle rocce. Questa fiducia è una delle tante illusioni con cui il cittadino della metropoli si fa coraggio davanti a una esistenza più volte messa in pericolo. Di gran lunga meno discutibile dello sguardo affilato di quei brevi scritti era la loro silenziosa certezza di catturare tutto nella rete della tipologia. Alla foUe illusione ap pena menzionata, tale certezza offre come pendant una idea di pau ra che, malgrado la sua assurdità, ha in sé molta più verità inte riore. Nulla {impedisce insomma al pensiero di pensare,} [impedì] impedire a colui che fa scorrere davanti a sé le pagine di Daumier nel Charivarì di abbandonarsi alla fantasticheria [di smar rirsi nel pensiero], per cui quelle stesse specialissime caratteristi che che distinguono l’individuo dal tipo potrebbero diventare de terminanti per la definizione stessa di un nuovo tipo. Così, alla fi ne, il soggetto definito nei minimi dettagli, contraddistinto da una sua ineguagliabile singolarità, non sarebbe altro che il campione di un tipo umano. In questo modo al centro dello studio che ha per oggetto il passaggio da flàneur a tipo umano si manifesterebbe una particolare fantasmagoria. Baude aire l’ha immortalata nella poe sia Les sept vieillards laddove se la prende con le sette apparizioni della figura ripugnante di un vegliardo il cui sguardo lo conduce sull’orlo della pazzia. In questa poesia non si tratta di nient’altro che della ricompensa che attende colui che si è incapricciato del tipo umano. Si potrebbe quasi dire che egli vede se stesso, l’ozio so, trasformarsi in tipo umano in una qualsiasi improvvisa incar nazione. L’individuo, che viene così alla luce nella sua settenaria moltiplicazione, rappresenta un incubo per colui che abita nella metropoli. E questo è il risultato della paura di non riuscire più a liberarsi dell’incantesimo del tipo, neppure ricorrendo alle proprie eccentricità. [a margine;non integrato nel testo] era l’operato dei maestri, che proprio allora si accingevano a modellare le forme imponenti che dovevano stare pronte ad accogliere in sé, come una colata di bron zo incandescente, le prime esperienze che l’uomo andava facendo nella nuova società. Questi maestri sono stati Balzac e Daumier. Hanno creato figure di una drasticità estrema, la cui precisione
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sfociava nel grottesco e che tuttavia erano rese peculiari perfino nelle deformazioni, nei tic e nella descrizione dei loro sollazzi al la moda. Potevano alimentare una follia che, malgrado la sua as surdità, esprimeva una verità più profonda di quella dei preten ziosi trattati dei «fisiologi». Les sept vieìllards
Il modo in cui questi sette mostri si assomigliano l’un l’altro non ha nulla a che vedere con quello utilizzato da Daumier per de finire i suoi tipi. Ciò dipende anche dal fatto che Daumier affida i suoi modelli alla comicità, diversamente da Baudelaire che, in vece, affida i suoi lettori all’orrore. Ora, tutto questo si spiega più chiaramente in questo modo: Daumier ha puntato a rappresenta re una variabile storica, mentre Baudelaire ha mirato a una inva riante naturale. Per questo Baudelaire parla di eternità, quella del mito, il prodotto della forza produttiva vincolata, che vuole im porsi rispetto aU’uso precedente. [E un prodotto che passa di eter nità in eternità quella evocata dal poeta nei sept vieillaràs.] «Que celui - là qui rit de mon inquiétude, Et qui n’est pas saisi d’un frisson fraternel, Songe bien que malgré tant de décrépitude Ces sept monstres hideux avaient l’air éternel! »
Certo, è ovvio che l’identità assoluta dei tipi ha in sé qualcosa di orribile. Non per questo {avrebbe} si rigettare a tutti i costi la loro forma presa in sé e per sé. Ciò che da un pun to di vista storico ci fa dire che queste figure sono effettivamente deformi, lo si può intuire forse solo oggi a una loro considerazio ne da una prospettiva lontana. Il fatto che Daumier percepisca l’idea di uguale sia nella testa dei politici che in quella dei ministri o degli avvocati ha in sé il suo indice storico: si tratta della uguaglianza e della mediocrità della classe borghese. I suoi tipi sono diventati qualcuno e un giorno forse soccomberanno ancora o piuttosto verranno scacciati come uno spirito maligno. (Quanto più imponente riesce l’incarnazione delle sue caricature, tanto più forte è l’idea che Daumier dà della capacità dell’uomo storico di scartare anche questo tipo alla stre gua di una vecchia veste.)
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La stessa trovata si riscontra del resto anche in contesti più at tuali. L’interesse per il tipo rappresenta i primi passi concreti ver so una registrazione dell’uomo, il cui ideale consisterebbe nella do tazione di una matricola riconoscibile a un primo sguardo. Con le altre cose esistenti in natura l’uomo ha in comune il fatto di non portare scritto in fronte il proprio nome. Per certe nuove forme sociali l’anonimato che pertiene all’aspetto dell’uomo comincia a essere un grosso pericolo. Ben lo dimostra il fatto che in queste so cietà le uniformi e i distintivi stanno diventando obbligatori an che per i civili. Una delle prerogative di questo modo di procede re è la messa in circolazione di un’immagine del tipo che non rien tri in nessuna delle categorie che danno diritto a uniforme e distintivo. Questa immagine viene dotata di tutti i segni dell’a biezione. Deve sembrare il più ripugnante possibile. Deve mostrare agli occhi della gente che cosa potrebbe significare per loro la man cata adesione ai diversi raggruppamenti che lo Stato ha previsto per loro. In queste strutture sociali il prototipo dell’escluso da tut ti deve fornirlo, come noto, l’ebreo. Impossibilitato a portare un’u niforme, impossibilitato a mostrare un distintivo, l’ebreo, spogliato di ogni funzione, rappresenta il privato nel suo senso più stretto, ovvero privativo, una sorta di Adamo, di parassita. L’ebreo è il privato per eccellenza; è l’autentico escluso, non lo si può più nem meno definire propriamente «simile all’uomo». Non a caso nei sept vieillards lo si intravede comparire fugacemente di notte nei pan ni del tipo, del ju ìf à trois pattes, come una formazione nuvolosa che riluce tra i bagliori dei lampi. [Se a queste sette identiche fi gure, presenti nel verso che ne conclude la descrizione, viene pro messa l’eternità, allora questa formazione balenante si presenta co me una di quelle immagini arcaiche da cui Baudelaire ha tratto di getto le sue più audaci visioni.] Rappresenta una di quelle imma gini arcaiche da cui Baudelaire ha tratto di getto le sue più auda ci visioni. (Insomma, in Baudelaire, la trasparenza delle trovate in cui riluce una immagine arcaica, segna il vero segno di riconosci mento del Moderno.) Per questo si può dire che la poesia Les sept vieillards parte dal presupposto di trovare una collocazione all’e terno giudeo nella Parigi del 1860. Non si può parlare di un pro posito vero e proprio. Ma che il poeta fosse a conoscenza delle pos sibilità di uno sviluppo storico, di cui è stato in un certo senso an che complice, emerge chiaramente da questa annotazione riportata
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nei diari: « Si potrebbe organizzare una bella cospirazione a favo re della corruzione della razza ebraica». Ciò risulta inoltre da al cuni schizzi veramente profetici sulla composizione della società nella quale vediamo agire tale cospirazione. L ’uguaglianza.
Il motivo della ballata baudelairiana è, per usare un’espressio ne della Interpretazione dei sogni di Freud, sovradeterminata - co sa che si può pensare valga come la regola per la definizione dei motivi poetici. Alla parvenza storica della uguaglianza, che di fat to ha prodotto il feticcio della merce, Baudelaire è venuto incon tro in modo «naturale». E sfuggito ai filologi che i sept vieillards, così come molte altre poesie deUe Fleurs du mal, trovano un loro parallelo nella prosa del poeta. Il luogo in cui si riscontra questo parallelo è ricco di spunti. Conclusione
Che lo stesso fldneur rappresenti un tipo è in fin dei conti una ironia non voluta. Perché di certo egli non si è pensato in quanto tipo. Superato il guazzabuglio (della Rivoluzione) egli definisce il suo ruolo in quanto suo osservatore, spettatore. Riconoscendo ta li pretese e prestando il dovuto rispetto a tutti i legami sociali, egli, in realtà, non fa che offrire un motivo in più per definire il suo stesso essere socialmente condizionato. Con lui, la società pone un problema. Si può dire che abbia creato Uflaneur solo per liberarsi di una sorta di imbarazzo. Imbarazzo provocato da una conver genza di fattori. Per prima viene la questione... {Il problema che la società pone con il flaneur deriva dalla convergenza di due fat tori. Ha a che fare con il fatto} che all’inizio della economia capi talistica il lavoro esiste solo nella forma del lavoro salariato. Con questa novità viene a collidere un’altra questione: non si dà più l’e sistenza condotta sulla base di privilegi ereditati che nella società feudale garantiva l’ozio solo a certi strati sociali. Lo stesso svilup po che nella società ha fatto valere il lavoro solo in quanto produ zione di valori di consumo per gli altri, ha diffamato l’ozio che si preoccupa invece di produrre prevalentemente per il proprio per sonale consumo: l’ozio dei poeti e degli artisti. Bollati come nulla facenti dal generale disprezzo della società, essi vanno alla ricerca
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di un rifugio in paradiso. Risulta immediatamente evidente che il demiurgo e l’ozioso si assomigliano. Il problema dell’ozioso co mincia a essere dibattuto subito dopo la rivoluzione. La Theorie des Miifiiggangs und der faulen Kunste [Teoria dell’ozio e delle arti pi gre] di Miinch comparve nel 1799®. La Lucinde di Schlegel com pare nello stesso anno. «Lo zelo e il profitto» così si legge neU’idUlio della protagonista suU’ozio, «sono l’angelo della morte con la spada di fuoco, che nega all’uomo il ritorno in Paradiso ! », « Ozio, o ozio, tu unico frammento di divina somiglianza che il Paradiso ancora ci concede! » «è vero, Ercole ha faticato, ma lo scopo della sua vita era pxir sempre Conclusione
Si prepara così l’apoteosi del flàneur. Ciò che la terra con il suo ordinamento sociale e giuridico nega all’artista, questi lo trae dal cielo nella figura dell’ozioso. Non spettano forse all’ozioso gli at tributi dell’essenza suprema - onnipresenza, onnipotenza, onni scienza? L’onnipresenza del flàneur approfitta di tutte le occasio ni. L’onnipotenza del giocatore lo fa essere superiore non solo ri spetto al suo compagno di gioco, ma anche a colui che lavora. L’onniscienza [dello studente è la patente di nobiltà di tutti gli oziosi e quella del detective è una copia di quella che una volta o l’altra gli farà giudicare il colpevole. In questo modo l’ozioso è in somma l’unica vera immagine di Dio possibile in questa società. Non è nient’altro che questa teologia dell’ozio a costituire il fon damento del satanismo di Baudelaire. Epilogo
Il feticcio della merce si muove su un Jaggernaut, sul carro del dio Shiwa, che rende uguale tutto ciò che passa sotto le sue ruote. Vi flàneur si identifica con questo feticcio, si immedesima in lui. Gli strappa quella ivresse religieuse della grande ville che non è al tro che l’identificazione col feticcio stesso. Questo feticcio ha ri preso i tratti del dio. E gli assomiglia: non tanto al dio creatore, ®Cfr. Theorie des Mii^iggangs und derfaulen Kumte, rielaborazione psicologica e critica di Johann (Jottlieb Munch, Weygand, Leipzig 1799 [N.i.T.].
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quanto al dio che si riposa dopo la creazione. Il dominio della clas se borghese non aveva ancora preso completamente piede, quan do proprio questa immagine del dio (interruzione) L’immedesimazione nel dio nel feticcio della merce sarebbe l’ajoteosi delflàneur, se sin dall’inizio non costituisse per questa teoogia dell’ozio il canone dell’esperienza a cui proprio sin dall’ini zio è promessa una originaria perfezione ’. ’ Variante nella formulazione a margine; il suo inserimento in questa posizione è in certo [N.d.T.l
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Da un testo manoscritto (6 )
{La rigida morale del lavoro e delle opere caratteristica del cal vinismo andrebbe vista come intimamente legata alla svalutazio ne dpUa vita contemplativa. Nell’ozio essa ha cercato di porre un argine al fluire del tempo della contemplazione. (Cfr. m a x w e b e r , Sociologia della religione.))
{La definizione dei comportamenti specifici dell’amante del l’ozio: in linea di principio, essi possono protrarsi illimitatamente senza tramutarsi nel lavoro. Non bisogna naturalmente dimenti care che tali comportamenti implicano un certo grado di attività. Essi posseggono così quella disposizione a una durata illimitata che si discosta fondamentalmente dal semplice godimento sensuale, di qualunque natura esso sia. È questo minimo di attività a collega re l’ozio al lavoro. E avvincente rendersi conto che la spontaneità che accomuna l’amante dell’ozio, il giocatore e il collezionista è quella del cacciatore, vale a dire quella peculiare della più antica forma del lavoro, che tutti solitamente connettono all’ozio. (L’a mante dell’ozio in quanto cacciatore è il detective.)} {Ciò che differenzia l’esperienza contingente dall’esperienza ac cumulata è il momento dello shock. Tra le varie forme dell’arte, il film è quella che, in proporzione, provoca nel fruitore meno espe rienze autentiche e più esperienze vissute. Esso riesce a comuni care il carattere dello shock persino a ciò che è abituale, comune all’esperienza.}
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Il settimo giorno, oppure l’anno giubilare, sono interruzioni. Per la tecnica moderna essi sono divenuti precari. L’ozio creativo è il complemento di imprese in cui il lavoro, per motivi tecnici ed eco nomici, non tollera più alcuna interruzione. L’interruzione è però ormai il vero e proprio palliativo della monotonia. E lo stesso stan dard tecnico in cui il processo lavorativo esibisce una monotonia mai conosciuta in precedenza e non intende più tollerare interru zioni. In entrambe le prospettive l’ozio si conforma al lavoro: è la quintessenza dei suoi lati negativi e fa passare sotto silenzio la pro pria funzione positiva. «Turno di notte dell’amante dell’ozio». Il proposito di non lasciarsi interrompere accomuna il flàneur, lo studioso, il giocatore. Esso ha però anche un lato positivo, co me si può vedere nel «non stancarsi» dei bambini. Cfr. [p r o u s t ] Temps retrouvé [Il tempo ritrovato], II, p. 185. Il momento infantile presente nel nottambulismo. {La cattiva infinità che in Hegel si presenta come contrassegno della società borghese. Mostrare la cattiva infinità nel movimento del capitale. Passi relativi !} L’ozio come il vero vizio di Baudelaire. Il proverbio dice: L’o zio è il padre di tutti i vizi (14) {Occorre aver chiaro che qualsiasi tipo di uniforme, differen ziando determinati gruppi rispetto alla massa anonima, mira vo lutamente o senza intenzione a mettere allo scoperto il nome. L’anonimità, essenziale all’individuo nel suo apparire, non viene più tollerata nella società moderna, perlomeno nel suo assetto totali tario. Al termine di questo sviluppo gli uomini esibiranno dei nu meri come propria matricola, esattamente come le auto.} Le diverse forme di gioco esistenti fra lavoro e ozio dovrebbe ro potersi determinare in un sistema le cui coordinate sono costi tuite, da un lato, dall’idea della meta e, dall’altro, dall’impiego del la forza. (Il gioco di pazienza e la sua valenza particolare)
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prestazione fisica
sport
lavoro
assenza di meta ----------
--------- meta
gioco
OZIO
(gioco di pazienza) quiete
Sul collezionista medievale, cfr. lo scritto di Julius von Schlosser sui gabinetti di curiosità e le gallerie d ’arte\ Lo studio è l’ambito in cui otium e ozio tendono a confluire l’u no nell’altro. Le poesie latine di Baudelaire sono una testimonianza davvero rimarchevole e in parte da gran signore a proposito dello « studio ». Per 21,1^
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{Il desiderio esaudito fa parte dell’ordine dell’esperienza accu mulata, anzi esso ne rappresenta la ratifica più alta. Goethe dice [in Poesia e venta\\ «Ciò che ci si augura in gioventù si possiede in abbondanza quando si è avanti negli anni». Quanto prima uno nel la vita esprime un desiderio, tanto maggiore è la speranza di ve derlo esaudito. Si dovrebbe dunque dire che la vita è davvero lun ga abbastanza da offrire ai desideri della prima giovinezza la spe ranza di venir soddisfatti. Il luogo dell’esaudimento dei desideri è infatti la lontananza. Quanto più un desiderio si estende nella lon tananza del tempo, tanto più si può sperare che esso venga esau dito. Ciò che riporta indietro nella lontananza del tempo è invece l’esperienza accumulata, che lo elabora e articola. Per questo il de siderio realizzato è la corona che è destinata all’esperienza.} {Nel simbolismo dei popoli la lontananza dello spazio può equi valere a quella dei tempi o delle epoche. Per questa ragione la stel la cadente, che ricade nell’infinita lontananza dei tempi, è dive* cfr. JULIUS voN SCHLOSSER, Die Kunst- und Wunderkammer der Spàtrenaissance, Leip zig 1908 [trad. it. Raccolte d ’arte e dì meraviglie del tardo Rinascimento, Sansoni, Firenze
20oo][N.J.T.].
^ Cfr. nel presente volume pp. 441 sg. [N.ii.T.].
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nuta il simbolo del desiderio realizzato. Il vero opposto della stel la cadente è la biglia che rotola nella buca successiva, o la carta che viene girata nell’istante successivo. (i6a) Il gioco non £a più esse re in vigore le norme dell’esperienza. E un oscuro sentimento di ciò che proprio fra i giocatori determina l’uso corrente dell’e spressione «volgare ricorso all’esperienza». L’uomo di mondo di ce «il mio tipo», il giocatore dice «il mio numero». In entrambi i casi, alla base sta lo stesso elemento. (In conclusione le parole di Joubert’).} (i8)
Schema dell’immedesimazione. Si tratta di un elemento nel suo duplice aspetto. Esso comprende infatti l’esperienza contingente della merce e quella del cliente. L’esperienza contingente della mer ce è l’identificarsi col cliente. L’identificarsi col cliente equivale a identificarsi col denaro. La virtuosa di tale identificazione è la pro stituta. - L’esperienza contingente del cliente è il fatato di iden tificarsi con la merce. E identificarsi con la merce equivale a iden tificarsi col prezzo (col valore di scambio). Baudelaire è stato un virtuoso di questa identificazione o immedesimazione. Essa rag giunge il punto più alto nel suo amore per la prostituta. {Il carattere quasi divino dell’amante dell’ozio rivela che l’e spressione «il lavoro è il vanto del borghese» ha cominciato a per dere valore. Il borghese inizia a vergognarsi del lavoro. Egli è sem pre più fiero soltanto di ciò che possiede. Questa gioia gli è con tesa ovviamente dal perdigiorno, dato che quest’ultimo si vota all’ozio senza preoccuparsi se i propri mezzi glielo consentano.} L’acme: fldneur - sandwichman - giornalista uniformato. Que st’ultimo non reclamizza più la merce, ma lo Stato. {Le esposizioni universali sono state la scuola in cui le masse di stolte dal consumo hanno appreso l’identificazione con il valore di scambio. «Guardare tutto, non prendere nuUa».} {Quando tutte le funi si spezzano, quando all’orizzonte deser to non compaiono né vele né creste dell’onda dell’esperire, allora ’ Cfr. p. 401 [N.d.T.l
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al soggetto in preda alla solitudine e afferrato dal taedìum vìtae non resta che un’ultima cosa, ossia l’immedesimazione.} (19) L’elemento problematico dell’immedesimazione in Baudelaire va visto nel fatto che a tale prassi si contrappone la confessione appassionata secondo cui l’artista è l’individuo a cui viene rifiuta to di fuoriuscire da se stesso. Il compito di riunificare questi due aspetti permette di calarsi nella struttura profonda dell’immede simazione. Al fondo di tale comportamento c’è l’insinuarsi del pro prio Io in un elemento estraneo. In realtà il virtuoso deU’immedesimazione non fuoriesce da se stesso. La sua mossa magistrale consiste nell’aver reso U proprio Io talmente vuoto, talmente li bero da ogni zavorra della persona da sentirsi a proprio agio con qualsiasi maschera. L’esperienza accumulata dell’individuo sotto gli effetti dell’hascisc, per il quale due passanti coperti di cenci divengono Dan te e Petrarca, non ha come attrezzatura altri elementi che l’immedesimazione. Il tertium è il Sé prigioniero dell’ebbrezza procu rata dagli stupefacenti. La sua identità con la grande personalità geniale, ad esempio con Dante e con Petrarca, è talmente perfet ta che qualsiasi soggetto in cui egli si vede tramutato fa un tu tt’uno con Dante e Petrarca. In questo caso, della persona non resta altro che un’illimitata capacità e sovente anche un illimitato desi derio di prendere il posto di chiunque altro, anche di qualsiasi ani male, di qualsiasi cosa morta nel cosmo. {L’esperienza accumulata è il provento del lavoro. L’esperien za contingente è la fantasmagoria dell’amante dell’ozio. (Frase con clusiva deìl’Exposé)}
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Studio come ozio e passatempo Aggiunta al punto 14,5 - Se lo studio rientri nell’ambito di un oiium cum dignitate o piuttosto soprattutto in quello dell’ozio in teso com^ Mujiiggang dipende principalmente dalle condizioni eco
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nomiche in cui lo si pratica. L’individuo che nel corso del proprio studio non viene disturbato dalle necessità della vita si abbando na a una passione o a un hobby; si ha il diritto di vantarsi dell’u so che si fa del proprio passatempo. Il povero diavolo che a sto maco vuoto se ne sta ricurvo sui libri dovrà dimostrare di essere qualcosa di diverso che un semplice amante dell’ozio soltanto in virtù di un’opera che lascerà stupefatti gli altri uomini. La soglia visibile che separa l’ozio \_Mu^ìggan^ dal passatempo è la concentrazione. Il ricco che dedica la propria attenzione all’ac crescimento e alla cura delle proprie collezioni non è sicuramente un amante dell’ozio [Mujiìggànger], E soltanto un utile membro del l’umana società. In quella borghese per di più è riservato proprio al grande collezionista il compito di istituire la continuità con il grandseigneur che coltivava il passatempo. La fantasia di Baudelaire ruota intorno all’amante dell’ozio. Egli attua in lui una metamorfosi dell’eroe. In tal modo lo inseri sce come figura accessoria nel proprio affresco della modernità. AUo shock dell’incontro, basato suUo scambio degli sguardi {à unepassante), corrisponde l’essere attratti in una traccia [lespetites vieilles). I passi di Kafka sul noctambulisme. Cfr. il mio manoscritto, al la p. 31. II passo su Eracle in Schlegel e in Baudelaire. (39) (A partire da questi nessi, ci dovremo attendere nell’apparizio ne di Baudelaire chiarimenti suUa quintessenza storica. La parola apparizione va qui intesa anzitutto nel suo significato più concre to. La psichiatria conosce tipi che cercano il trauma. Baudelaire ha colpito i contemporanei con l’elemento inatteso e immediato che si può avvertire nel suo comportamento, nelle sue considera zioni e da ultimo anche nella sua opera. E parso capace di affer rare con la propria persona spirituale e fisica gli shock e gli urti, da qualunque direzione provenissero.} {Il momento del déclic, della «commutazione» neU’immedesi
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mazione. Proiettare la definizione dell’immedesimazione sulle de finizioni del capitolo sullo shock.}
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SuH’Uomo della folla
{È estremamente importante che in questo processo produtti vo la pratica non abbia più la funzione che aveva nell’artigianato e nella manifattura. Attraverso la macchina, in cui la routine su bentra di diritto, essa viene allontanata dal processo produttivo. Nel processo dell’amministrazione, l’organizzazione divenuta più efficiente produce qualcosa di analogo: la conoscenza degli esseri umani quale una volta l’impiegato dotato di esperienza poteva ave re in virtù della pratica non costituisce più alcunché di decisivo nella vita amministrativa. (Cfr. la citazione di Valéry 11. i''). Quan to più breve è il periodo di apprendistato dell’operaio nell’indu stria, tanto più lungo è quello del militare; quanto più monotone sono le incombenze del primo, tanto più differenziate divengono quelle del soldato mobilitato. Rientra fra le peculiarità specifiche di una società che è sull’orlo di una guerra totale il fatto che, po co alla volta, la pratica sia passata sempre più dalla prassi della pro duzione a quella della distruzione (e insieme anche della lotta ille gale contro i dittatori).} {L’idea dell’azione formulata da Bergson sarebbe diversa se egli tenesse conto della possibilità di agire da parte di soggetti orga nizzati in una collettività. La sua definizione del presente come étatde notre corps [stato del nostro corpo] perderebbe all’istante la propria impermeabilité nei confronti del sogno nel caso in cui ve nisse preso in considerazione un corpo meno formato e determi nato di quello dell’individuo. Ammesso che si trattasse del corpo dell’umanità, allora sarebbe forse evidente quanto tale corpo deb ba lasciarsi pervadere dal sogno per essere abilitato per primo - in quanto tale - all’azione.} ■' Benjamin si riferisce verosimilmente alla citazione a p. 396 nel presente volume
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Résumé:
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s u a l c u n i m o t i v i in b a u d e l a i r e .
La teoria della memoria, per come è stata sviluppata da Berg son in Matière e mémoìre e posta da Proust alla base della sua cro naca A la recherche du temps perdu è subordinata a una forma di esperienza che, nel corso del xrx secolo, ha subito profondi muta menti. Il servizio di informazione fornito dai grandi giornali può darne un’idea provvisoria (I/II). Il suo chiarimento sul piano teo rico non può tralasciare le argomentazioni fornite da Freud nel suo A l di là del principio dì piacere. Qui, egli stabilisce una correlazio ne tra la memoria e la coscienza. Secondo Freud solo ciò che non viene «vissuto» in modo cosciente può diventare parte integran te della memoria intesa nel senso di Bergson (della mémoire involontaire proustiana). D ’altra parte però, secondo Freud, all’«esperienza vissuta in modo cosciente» va riconosciuto un significato straordinario. Infatti la coscienza ha la funzione di resistere allo shock. Quanto maggiore è la minaccia esercitata dagli shock, tan to più incessantemente la coscienza sarà vigile (III). La resistenza allo shock è uno dei momenti decisivi nell’esperienza poetica di Baudelaire. Si manifesta nella struttura del suo verso così come nella sua concezione della prosa. In quanto soggetto dell’esperienza dello shock Baudelaire ha ritratto se stesso come schermidore (IV). Per Baudelaire l’esistenza in mezzo alle masse è all’origine di que sta esperienza. Si tratta dunque di un’esperienza specifica della metropoli. I temi a cui la ricerca si rivolge si raggruppano intorno al motivo della folla metropolitana. Per Baudelaire questa non era oggetto di una descrizione realistica. Tuttavia essa si cela in mol te delle sue poesie (V). Diversi importanti motivi che si offrono all’arte con la comparsa delle masse metropolitane, sono stati am piamente sfruttati da Poe nel racconto L'«owo della folla. Lo sce nario di questo racconto è Londra (VI). Il racconto di Poe trova il proprio corrispettivo nella fisionomia della folla berlinese descrit ta da Hoffmann in ha finestra d ’angolo del cugino. In quanto me tropoli la Parigi di Baudelaire si trova, per il suo stadio di svilup
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po, tra Berlino e Londra (VII). Coloro che per primi hanno rap presentato la foUa della metropoli ne hanno messo in evidenza il carattere inquietante. In questa foUa domina un comportamento riflesso. I meccanismi che lo muovono si sono assestati nella rea zione allo shock. Il comfort che isola l’uomo dai suoi simili e che 10 assegna a un automatismo ha contribuito al loro sviluppo. Un analogo risultato ha sortito il processo di produzione in fabbrica che, come dice Marx, impiega l’operaio ai macchinari (VIII). In Baudelaire il gioco d’azzardo figura come modello dell’esperienza dello shock. Il giocatore è l’omologo specificamente moderno del l’immagine arcaica dello schermidore. Nel giocatore l’esperienza dello shock si presenta nella sua armatura astratta. Quest’ultima è di natura puramente temporale. Lo sfidante del giocatore sono i secondi (IX). Colui che cade vittima dello spleen, che non riesce a liberarsi del fascino esercitato dal vuoto scorrere del tempo è un fratello gemello del giocatore. La coscienza del tempo dello spleen rappresenta il principale ostacolo al superamento del tempo nella memoria (nel senso della mémoire ìnvolontaire). Nei concetti di spleen e idéal si confrontano i due principi fondamentali in Baude laire. Il senso di intenso turbamento provato da Baudelaire davanti alla daghcrrotipia stimola l’indagine dei rapporti che intercorro no, da una parte, tra fotografia ed esperienza dello shock e dal l’altra, tra arte e memoria. La fotografia e le tecniche successive che permettono di fissare immagini autentiche dell’avvenimento e di riprodurlo in ogni momento soddisfano un bisogno di infor mazione al quale corrisponde il ricordo volontario (la mémoire volontaìré). Il desiderio di cui l’opera d ’arte può essere considerata 11 soddisfacimento resta conservato in essa e trae nutrimento dal la memoria {mémoire involontaire) i cui principali caratteri posso no riassumersi nel concetto di aura. La poesia di Baudelaire trova nella decadenza dell’aura uno dei suoi temi dominanti. Offre la chiave di lettura deUe sue poesie erotiche. Il pezzo in prosa Perte d ’aurèole riassume l’esperienza che Baudelaire trasse dall’incontro con le masse metropolitane. Tale esperienza consiste nel frantu marsi dell’aura nell’esperienza dello shock. Appropriarsi di questa esperienza appare a Baudelaire un atto obbligato per i poeti che verranno (XII).
I regressi della poesia. D i Cari G ustav Jochm ann
Introduzione
La comprensione del testo che segue può essere favorita da una considerazione sulle cause per cui esso è rimasto ignoto sino a oggi. Non sempre il posto dei prodotti intellettuali nella tradizione storica viene determinato unicamente o anche solo prevalente mente dalla loro ricezione immediata. Molte volte, invece, essi vengono recepiti in modo indiretto, ossia in virtù di produzioni lasciate da persone dotate di affinità elettive (precursori, con temporanei, posteri). La memoria dei popoli non può prescindere dal fatto che essa produca il formarsi di veri e propri raggruppa menti nel materiale a essa fornito dalla tradizione. Tali raggrup pamenti sono mobili; essi mutano anche nei loro elementi. Tut tavia ciò che, a lungo andare, non confluisce in essi è condanna to alla dimenticanza. Se vogliamo cercare affini di Jochmann, sia tra i suoi precurso ri che tra i suoi contemporanei, ce ne renderemo sicuramente con to: anche costoro sono rimasti nell’ombra, se non nella risonanza dei loro nomi, perlomeno nei loro tratti caratterizzanti. Tale è al riguardo, una generazione prima di Jochmann, Georg Forster. Nel ricordo dei tedeschi, la sua opera è accerchiata allo stesso modo in cui, un tempo, a Coblenza lo era stato lui stesso da parte delle trup pe tedesche. Le sue lettere straordinarie inviate dalla Parigi della grande Rivoluzione non sono quasi riuscite a sfondare le linee. Una ricostruzione storica che riesca a presentare la continuità del pen siero rivoluzionario degli esuli tedeschi in Francia partendo da For ster per arrivare fino a Jochmann si sgraverebbe, nei confronti de gli antesignani della borghesia tedesca, della colpa che trova in solventi i suoi discendenti odierni. Si imbatterebbe in uomini come il Conte Schlabrendorf, i cui inizi risalgono alla metà del Sette cento e il quale a Parigi divenne amico di Jochmann. Indubbia mente le memorie sull’emigrazione tedesca intorno alla fine del se colo si potrebbero paragonare agli eventi memorabili nell’ambito della storia della Rivoluzione annotati da Jochmann sulla base dei
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racconti di quest’ultimo. E chi voglia attenersi a tali documenti dovrebbe probabilmente aspettarsi particolari rivelazioni dalle car te ancora inedite di Varnhagen conservate nella « StaatsbibHothek» di Berlino. E stato proprio Varnhagen a fornire di Schlabrendorf il ritrat to tacitiano: «Statista senza ufficio, cittadino estraneo al senti mento patrio, povero sebbene possidente». «Ho finora conosciu to» - egli aggiunse - «un solo uomo indipendente: un anziano set tantenne che, fino a questo momento, non necessita neppure di un domestico; che possiede quarantamila talleri di entrate e ne con suma appena un migliaio, per essere - con i restanti - ospitale coi poveri, un conte che ha sempre voluto vivere solo in paesi e in con dizioni in cui il suo rango non conta alcunché». Amico di Jochmann fu anche l’ambasciatore della città di Francoforte sul Meno a Parigi, Oelsner, che dal canto suo era in stretti rapporti con Sieyès. Il fatto che in questo circolo siano state confidate a Jochmann tradizioni del periodo della Rivoluzione e ancor meglio del la Convenzione - tradizioni il cui frutto più significativo è costi tuito da un grosso saggio su Robespierre - ha tanto più valore co me testimonianza del suo atteggiamento politico quanto meno l’inizio del periodo della restaurazione era adatto a richiedere si mile tradizione. Sotto Luigi XVIII si mirava infatti a screditare i fatti del periodo 1789-1815, presso i postumi e i sopravvissuti, co me una serie di misfatti e di umiliazioni. Non è da ritenere che, per la borghesia tedesca, la consapevo lezza di essere stati rappresentati nella Parigi della grande Rivo luzione e di aver prodotto molti testi credibili per la lotta di libe razione della classe borghese si sia persa immediatamente. Per non dire di Gutzkow e di Heine, anche per Alexander von Humboldt e per Liebig Parigi ha rappresentato la capitale della borghesia mondiale, e la capitale dei buoni europei era ancora ben presente a Nietzsche. Soltanto la fondazione del «Reich» porta la borghe sia tedesca alla sua immagine consolidata di Parigi; è la feudale Prussia a tramutare la città della Rivoluzione e della Comune in una Babilonia alla quale mette il suo stivalone sulla testa. «Berli no dev’essere la città santa del futuro; la sua aureola deve ri splendere sopra al mondo. Parigi è la Babilonia usxirpatrice e cor rotta, la grande puttana che l’angelo sterminatore, inviato da Dio, [...] cancellerà dalla faccia della terra. Non sapete che il Signore ha segnato la razza germanica col sigillo della predestinazione a es sere la razza eletta?». Queste le parole di Blanqui nel suo veemente appello in difesa di Parigi scritto nel settembre-JtSyi.
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In pari tempo, sempre attraverso la fondazione del «Reich», per la borghesia tedesca andò perduto un altro legame con la tradizio ne altrettanto istruttivo, nel^quale sarebbe stato opportuno conser vare la figura di Jochmann. E il rapporto con il movimento liberta rio nelle province baltiche. Jochmann era proprio un tedesco origi nario dei Paesi baltici. Era nato a Pernau‘ nel 1789. La sua infanzia trascorse nella solitudine remota di questa città di provincia. A tre dici anni andò a Riga. Dopo aver frequentato la locale « Scuola del capitolo», studiò nelle Università di Lipsia, Gottinga e Heidelberg. Nelle università tedesche, gli studenti provenienti dalle province baltiche russe si sostenevano a vicenda. A Heidelberg, Jochmann strinse amicizia con Lòwis of Menar. La biografia di Lowis of Me nar contiene il resoconto più esauriente su Jochmann a proposito di questi primi anni. Esso include im episodio che, quale unico docu mento di un’attività politica di Jochmann, costituisce lo sfondo ade guato per le sue riflessioni esposte nel saggio che segue. «Era una delle figure», vi si dice a proposito di Jochmann, «più attraenti che quell’epoca agitata aveva da offrire. Estremamente dotato per na tura, egli forgiò precocemente il proprio carattere peculiare. In lui si mescolava in maniera straordinaria l’acume intellettuale e la fan tasia, l’ardimento neU’agire e la trepidazione dell’essere guardinghi, il talento pratico e la cim a deU’osservare. Già nella prima adole scenza, quando andava ancora a scuola, l’indole inquieta dell’indi viduo singolare aveva covato progetti che in parte potè ancora ve der realizzati senza però avervi preso parte attiva. Una volta ad esempio egli se ne andò in segreto fuori città con un amico per espor gli nel silenzio del bosco i propri progetti per la liberazione della Grecia [...]. E quando in Germania egli assistè all’avanzata vitto riosa dei francesi [...] sentì destarsi in se stesso un antico desiderio a lui caro. Volle allora impegnarsi per la liberazione della Polonia. In proposito ritenne di aver trovato la prima occasione seguendo le aquile di Napoleone. La sua decisione non trovò l’approvazione del suo vecchio amico [Menar], l’unico al quale egli la confidò, ma lui restò fermo ! Una sera, dopo aver cenato con gli amici, se la svi gnarono entrambi e, a notte fonda, Lòwis lo scortò. Di lì a poco questi ricevette una lettera che gli annunciava il felice ingresso di Jochmann in un reggimento francese. In seguito lo stesso Jochmann scrisse ancora molte volte [...]. Una più diretta conoscenza degli eroi libertari del grande esercito dal cui condottiero egli non si at tendeva più nulla per la Polonia, lo indussero ben presto a lasciare ' Cittadina della Livonia, oggi Parnu in Estonia [N.d.X],
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i francesi. In seguito egli tenne la faccenda talmente segreta che sembra non ne abbia rivelato nulla neppxire aU’ottimo Zschokke, che pure stimava enormemente». L’idea della liberazione dei contadini, che - unita a quella na zionale - aveva ricevuto un forte impulso attraverso la rivoluzione francese, alla fine - sostenuta da alcuni intellettuali baltici - affa scinò anche i lettoni. Tra di loro si trovano anche gli amici di Jochmann a Riga; e a questo proposito ci imbattiamo nel nome di Garlieb Merkel. Dal punto di vista cronologico, Merkel si colloca tra Forster e Jochmann. Nella storia della letteratura egli gode di una cattiva fama. I romantici, e in particolare A. W. Schlegel, non lo hanno stimato; e, dal canto suo, lui si era esposto troppo con giu dizi inadeguati suUe grandi opere della letteratura. La storiografia letteraria tedesca ha fatto rilevare proprio tale inadeguatezza. Ciò che essa però passò sotto silenzio è il fatto che lo scritto di Merkel Die Letten, vorziiglich in Liefland, am Ende des philosophischen Jahrhunderts [I lettoni, in particolare in Livonia, alla fine del seco
lo filosofico], apparso a Lipsia nel 1797, ha avviato la soppressio ne della servitù della gleba in Lettonia. Il libro non soltanto offre una coraggiosa descrizione della miseria fra i contadini lettoni, ma anche preziose indicazioni sul folclore dei lettoni. Esso è stato can cellato dalla memoria delle persone colte in maniera ancora più ra dicale che l’opera di Forster, e ci si può domandare se la cattiva fa ma che Merkel in quanto critico parve tirarsi addosso non avesse piuttosto di mira soprattutto il Merkel in quanto soggetto politico. Chi dà spazio a domande del genere vede comparirgli dinanzi la borghesia tedesca degli inizi del xvm secolo da una prospettiva ine dita. Si imbatte in quegli uomini limitati nelle loro facoltà produt tive ma così importanti nell’economia della storia mondiale la cui franchezza e fedeltà di persuasione sono state la premessa indi spensabile e misconosciuta per le formulazioni rivoluzionarie più ampie, sicuramente tanto più caute di un Kant e di uno SchUler. In torno alla metà del secolo scorso, questi nessi non erano ancora sta ti dimenticati. A quell’epoca lo scrittore baltico Julius Eckhardt os servò giustamente a proposito dell’efficacia politica di Merkel: «Quanto opportuno è stato, in tal caso, quell’entusiasmo per la cau sa del sano intelletto umano e della morale progressista che è inve ce così insopportabilmente noioso quale metro critico per misurare il valore di un Faust o anche solo di una Genoveffa\ ... L’intrepi dezza e la durezza con cui il giovane Merkel applicò alle condizio ni circostanti le propriecónoscenze anche se ancora mal digerite ci offre ... un alto concetto dell’entusiasmante forza morale che a quel
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l’epoca aveva caratterizzato il tanto malfamato razionalismo politi co e religioso che, oggi, ... appare agli oltranzisti come sufficientemente adatto a farsi bersaglio ... di mordaci battute di spirito». Quando Merkel, più avanti negli anni, iniziò a gareggiare coi romantici, e addirittura con Goethe, le sorti del futuro rivoluzio nario della borghesia tedesca erano già segnate. Diversamente da un quindicennio prima. Dietro al b Jtico Merkel stava soltanto la piccola cerchia di intellettuali radunati attorno a Nicolai; il balti co Jakob Michael Reinhold Lenz era stata una delle figure domi nanti dello «Sturm und Drang» e un portavoce del suo sentire ri voluzionario. In questi termini Biichner ha evocato la sua figura, e negli stessi termini sembra mantenere un’eco di Lenz uno dei passi più impressionanti del saggio che segue. Un’eco o magari sol tanto una reminiscenza - il discorso di Jochmann sul lodato fiori re della nostra poesia, da cui sarebbero venuti su «appena due o tre» da un altro seme che da quello della gioia del servire, cita i versi commoventi di Lenz: Deutschland, armes Deutschland, D ie Kunst trieb kranke Stengel aus deinem Boden, Hochstens matte Bliiten,
Die an den Ahren hingen vom Winde zerstreut, Und in der Hiilse, wenn’s hoch kam, Zwei Korner Genie^.
Jochmann è stato liquidato dai propri contemporanei. Chi rie sce a immedesimarsi nella struttura linguistica del saggio che se gue sarà poco sorpreso che il suo autore non abbia firmato nuUa di quanto ha pubblicato. Ed egli non scelse neppure pseudonimi; aderendo senza nome alla scrittura, non elemosinò da essa alcuna immortalità. Avrebbe potuto dedicare, con maggior diritto di quanto fatto da Lichtenberg, i propri scritti «a Sua Maestà l’o blio»’. Al futuro, di cui parla con parole profetiche, egli volge per cosi dire le spalle, e il suo sguardo profetico si accende alle vette - sempre più profondamente svanenti nel passato - delle prece denti eroiche stirpi umane e della loro poesia. Tanto più impor tante è perciò accennare alla profonda affinità che questo spirito profetico e richiuso in se stesso ha avuto coi fautori tedeschi del la rivoluzione borghese. Il più combattivo tra loro, Johann Gott‘ JAKOB MICHAEL REINHOLD LENZ, Uèer die deutsche ’D ìchtkunst « Germania, povera Ger mania, I dal tuo suolo l’arte fece spuntare steli malaticci, I al massimo, deboli fioriture I che pendevano dalle spighe, sparse dal vento, I e nell’agrifogUo, quando crebbe, I due grani di genio» [N.ii.T.]. ’ Lo scritto Timorus di Lichtenberg contiene la dedica «All’oblio» mentre in una let tera dedicatoria l’oblio viene apostrofato col titolo di «Regia Maestà eterna» [N.d.T.].
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fried Seume, riconduce al circolo degli scrittori baltici. Nei Paesi baltici la disfatta del feudalesimo poteva esser facilmente ap profondita; Seume ha peregrinato per l’Europa con uno sguardo critico verso le condizioni della società. Entrava, a quanto si rac conta di lui, nelle bettole dei contadini lettoni, e il suo sguardo si posava immediatamente sulla grossa frusta appesa alla parete. Chiedeva che cosa significasse, e la risposta che riceveva è rima sta fissata per sempre. «Sono le nostre leggi regionali», si sentiva rispondere. Allo scritto di Merkel per i servi della gleba lettoni, Seume ha fatto seguire una poesia tratta dal manoscritto e posta a conclusione del volume. Jochmann ha sofferto molto a motivo delle condizioni della Let tonia. E non ha neppure più rivisto Riga, dopo aver lasciato la città nel"!819 risultando in possesso di un patrimonio bastante, messo insieme nell’esercizio dell’avvocatura. «Jochmann», scrive il suo biografo, «ha ottenuto il vantaggio di una formazione intellettua le superiore e di una chiarezza acquisite già in gioventù in forza del suo esser senza patria per tutta la vita». Aggiunge però sensata mente che «la sua malattia era la sua salute» e che «il suo esser in rotta con la patria si trasforma in un’accusa contro di essa». Fino alla morte, avvenuta già nel 1830, Jochmann visse di volta in vol ta a Parigi, a Baden e in Svizzera. In Svizzera si legò a Zschokke, che ha il merito di aver conservato il lascito dei suoi scritti. I nomi (compreso quest’ultimo) che si incontrano nell’ambito dell’influenza esercitata da Jochmann rivelano che non occorreva alcxma particolare disposizione per trasformarlo in uno «scompar so». Tutti quei nomi, che hanno formato la pattuglia avanzata e ta gliata fuori della borghesia in Germania, sono più o meno dimenti cati, e tra loro vi sono dei veri talenti sul piano letterario i quali, senza eguagliare Jochmann, poterono facilmente misurarsi con per sonaggi più celebri. Il fatto però che quasi nessuno sia andato inte ramente perduto come Jochmann nella coscienza pubblica ha il suo motivo particolare. Che è poi un motivo obiettivo, che dal canto suo rende più comprensibile il pudore soggettivo di fronte alla pa ternità di un’opera. Tra i dispersi, Jochmann è un isolato. Più gio vane dei suoi compagni di lotta, Jochmann si trovò nel periodo di fioritura del romanticismo. Non nascose la sua avversione per esso, piuttosto la espresse cosi calorosamente che per un attimo si può esitare nel comprendere a chi egli pensi quando parla degli «scritti verseggiati» ai quali «offrirono materiale precedenti miniere». Co munque non v’è dubbio che egli immaginasse il «faticoso ozio ... che nòkfihiamiamo erudizione» riempito dal confezionamento di
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opere come il Kaiser Oktavìanus [L’imperatore Ottaviano] di Tieck, le Romanzen vom Rosenkranz [Le romanze del rosario] di Brenta no, se non addirittura dalle Hymnen an die Nacht [Inni alla notte] di Novalis. E quando se la prende coi topi di biblioteca che rim piangono l’epoca delle piramidi, ha in mente Lorenz Oken. Gli alfieri della borghesia tedesca appaiono isolati nella propria epoca; e Jochmann è un isolato tra loro; e isolato a sua volta, tra gli scritti di Jochmann, è il saggio Die Riickschritte der Poesie [I re gressi della poesia]. Nulla è paragonabile, negli altri suoi lavori, al la costruzione storica offerta da tale saggio. Il motivo della sua im portanza e insieme della sua bellezza risiede nel grado delle sue tensioni filosofiche. Per parlare in primo luogo di queste ultime: il saggio è caratterizzato dal fatto che, pur celando un contenuto altamente filosofico, è rimasto al riparo da una terminologia me ramente filosofica. E la condizione per poter celare la sua ricchezza di pensiero è stata una rara maestria letteraria. «La concisione nel lo stile», dice Joubert, «è una componente della riflessione. Chi ha riflettuto intensamente, nella stesura dà al frutto delle proprie riflessioni un’impronta scultorea». La sintassi di Jochmann pre senta per cosf dire i segni dello scalpello. Il saggio comprende la storia dell’umanità dal tempo delle ori gini fino ai tempi remoti. In quest’arco cronologico la poesia na sce e scompare di nuovo. Ma scompare poi effettivamente ? In que st’interrogativo, Jochmann mostra una memorabile irresolutezza. Nella misura in cui egli riprende e sviluppa idee dell’illuminismo, queste ultime lo conducono a confermare il «giudizio di condan na» a proposito dei poeti espresso da Platone. Però palesemente questo giudizio viene cassato dal paragrafo conclusivo. Se da un lato è vero che il lettore non deve immaginarsi necessariamente come un’attività poetica un’attività dell’immaginazione «più re munerativa perché più assennata», come l’autore si auspica per il futuro, ma piuttosto può intendere tale formulazione molto pro babilmente come una prospettiva su un’economia pubblica più umana, dall’altro il paragrafo conclusivo conosce un rinato «spiri to poetico» che solo ora raggiunge il suo scopo nei «canti di trionfo della felicità nel suo avanzare». Questa singolare oscillazione, que sta quasi autonoma incertezza sul perfezionamento ulteriore del la facoltà poetica dovrebbe essere più importante di quanto non sia stata qualsiasi categorica dichiarazione sull’argomento. Non soltanto l’avvedutezza che vi si riscontra al riguardo si abbina al la particolare bellezza del saggio, ma si può anche supporre che dif ficilmente avrebbe avuto successo un saggio che fosse stato appe
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santito dalle categoriche asserzioni sull’argomento. Va perciò am mirata la sapienza con cui Jochmann ha soppesato le parole e il mo do in cui, subito nel secondo paragrafo, si limita a sollevare la que stione vaga e incisiva se si abbia motivo di «considerare come per duto tutto ciò che è passato, e come non sostituito e insostituibile ciò che è perduto». È proprio ciò che ha fatto il romanticismo. Le riflessioni jochmanniane aiutano a comprendere talune reazioni sporadiche in contrate dai fratelli Schlegel allorché essi barattarono l’entusiasmo umanistico della propria gioventù con quello successivo per il Me dioevo cristiano. Quella svolta era ormai inconfondibile intorno al 1800. È del 1803 una lettera che, sia nello spirito che nella for ma, prelude degnamente alle idee di Jochmann. E stata scritta da A. ’L. Hiilsen al suo compagno più anziano A. W. Schlegel. Il suo appello prende le mosse dalle propensioni che, verso la fine del se colo, avevano trasformato la cavalleria europea in uno degli argo menti prediletti dei fratelli Schlegel. «Il cielo ci scampi», si legge nella lettera di Hiilsen, «dal veder ricostruire i vecchi castelli. Di temi, amici cari, come io debba intendervi al riguardo. Io non lo so proprio ... Voi potete pure tirar fuori il lato più splendente del la cavalleria, essa tornerà in vario modo a eclissarsi se vogliamo semplicemente studiarla nella sua totalità. Friedrich può andarse ne in Svizzera, magari anche nel VaUese. I bambini-possono an cora raccontargli dei tiranni di un tempo ricordando i nomi dei lo ro superbi manieri, e nelle rovine il ricordo dei loro tiranni potrà apparire indistruttibile. Ma tale studio non ha bisogno di ciò. E sufficiente che questa essenza non possa imporsi con alcuna di sposizione divina della vita. Si preferirebbe piuttosto assai più an che desiderare che quel gran coacervo che chiamiamo popolo des se a tutti noi studiosi e cavalieri una botta in testa, perché noi pos siamo basare la nostra grandezza e i nostri privilegi soltanto sulla sua miseria. Ospizi dei poveri, istituti di pena, arsenali militari e orfanotrofi stanno accanto ai templi in cui noi vogliamo onorare la divinità ... Se parliamo dell’uomo, a tutti noi filosofi e artisti non importa nuUa di ciò; ma la vita di un unico individuo nelle sue richieste alla società - anche se dovesse essere il più misero - è enormemente più degna della fama più grande che noi possiamo ottenere tra fanfare e battaglie». Col romanticismo iniziò la caccia ai falsi tesori, all’annessione di qualsiasi passato, non attraverso la progressiva emancipazione dell’umanità grazie a cui quest’iJitima, con sempre maggiore pre s e n z a di spirito, guarda negli occhi alla propria storia e ne ricava
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sempre nuovi consigli, ma attraverso l’imitazione, attraverso l’ac quisizione di opere di ogni genere appartenenti a epoche e a po poli ormai decrepiti. I romantici protesero, invano, le mani verso l’epica medievale, e i Nazareni verso la sua pittura religiosa, an che loro vanamente. Naturalmente simili imprese, nei confronti di altri contesti storici, possono presentarsi con più successo e in fluenza. Jochmann le considerò fallite e scarsamente rilevanti, e proprio in questo modo aprì al proprio sguardo una prospettiva storica che rimase preclusa ai propri contemporanei. Soltanto sul finire dell’Ottocento e quando la catastrofe, per di più nelle for me dell’architettura, aveva messo piede in Europa, lo stile liberty iniziò a ribellarsi contro quei tesori, che apparivano sempre più presuntuosi e che erano sempre più miseri. Le teorie di van der Velde cominciarono a esercitare la propria influenza, la scuola di Olbrich a Dusseldorf, il «Werkbund» a Vienna proseguirono que sta reazione, che enunciò le sue ultime tesi con la «Nuova ogget tività» e le tesi più importanti con Adolf Loos. Anche Loos è stato un outsider al pari di Jochmann. Egli fu mos so dallo sforzo istintivo di ritrovare a tutti i costi il legame con il razionalismo dell’epoca borghese nel suo massimo splendore. Non è un caso che la sua frase «l’ornamento è un delitto» compaia co me sintesi delle considerazioni di Jochmann sul tatuaggio. Nell’o pera di Adolf Loos si trovano le avvisaglie di una consapevolezza della problematica dell’arte che contrasta l’imperialismo estetico del secolo passato, l’infatuazione per i valori «eterni» dell’arte. Loos permette di comprendere più chiaramente Jochmann. Il pri mo scrisse per eliminare sciocchezze ben radicate; il secondo offrì dei palliativi per una malattia che era ai suoi inizi. Dopo la guer ra mondiale il dibattito entrò nel suo stadio decisivo: la proble matica doveva essere affrontata sotto il profilo teorico o masche rata da esigenze à la mode. Entrambe le soluzioni hanno avuto il loro equivalente politico. La prima coincide con i recenti tentati vi di offrire una teoria materialistica dell’arte (cfr. in proposito L ’ceuvre d ’artà l ’époque de sa reproduction mécanìsée, in «Zeitschrift fùr Sozialforschung», anno V, 1936, n. i).
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La seconda fu favorita dagli stati totalitari e fece propri i momen ti reazionari rinvenibili nel futurismo, nell’espressionismo e in par te anche nel surrealismo. Essa contesta la problematica dell’arte per valersi del ricorso all’estetica anche per i propri atti più san guinari. In pari tempo rivela che la brama di impossessarsi del pa trimonio del passato ha superato ogni misura; i fascisti hanno in mente nientemeno che di impossessarsi del mito. /
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Di fronte a tutto ciò sentiamo Jochmann dire: «Non tutto £ passato è perduto». (Non occorre che lo rinnoviamo.) «Non tutto ciò che è perduto è non sostituito». (Molto è trapassato in nuove forme.) «Non tutto ciò che non è stato sostituito è insostituibile». (Molte cose che erano utili una volta, sono inutili adesso.) Che Jochmann sia stato in anticipo di un secolo sulla propria epoca si può affermare quasi con la stessa certezza come il fatto che ai ro mantici suoi contemporanei egli dovette apparire come rimasto in dietro di mezzo secolo. « I romantici si levarono» infatti, come scri ve Paul Valéry, «contro il xvm secolo e accusarono sventatamen te di superficialità uomini che erano infinitamente più colti di loro, avevano infinitamente più fiuto per fatti e idee ed erano molto più in cerca di pronostici e di grandi nessi concettuali di quanto non fossero i romantici stessi». Jochmann tende l’arco delle proprie riflessioni tra la grigia prei storia e il periodo di massimo splendore del genere umano. Pren de in considerazione il percorso che, durante tale sviluppo, fu con cesso a parecchie delle sue virtù, soprattutto all’abilità nella poe sia; riconosce che il progresso dell’umanità ha un legame strettissimo con il regredire di parecchie virtù, e in particolare so prattutto con i passi indietro compiuti dall’arte poetica. Ciò ob bliga subito a chiedersi se l’arco temporale che in questo modo egli disegna fra l’epoca preistorica e il futuro dell’umanità non si basi sul pilastro dell’insegnamento hegeliano. Per quanto se ne sa si nora, non è possibile dire qualcosa di certo in proposito. Sicura mente la Fenomenologia dello spirito era già uscita quando Joch mann iniziò i suoi studi universitari. Ma l’autore ne ha presa vi sione? In ogni caso, è indubbio che la. relazione che, secondo Jochmann, sussiste tra i progressi del genere umano e i regressi del la poesia sia una relazione dialettica nel senso di Hegel. Tuttavia, occasionali costruzioni dialettiche del genere si possono incontra re in autori che non avevano certamente alcuna conoscenza di He gel; ad esempio, in Fourier, nell’affermazione che, in stato di «ci viltà», a tutti i miglioramenti parziali nelle condizioni sociali del genere umano segue necessariamente un peggioramento della si tuazione complessiva. Per il resto, alcuni elementi fanno pensare che le idee di Fourier non fossero ignote a Jochmann. Sull’impor tante riflessione sull’espressione virtus post nummos si veda il pas so presente nel Nouveau monde industrieletsocìétaire: «Questo me tallo vile - vile agli occhi dei moralisti - diverrà qualcosa di mol to nobile se servirà a mantenere il sistema produttivo nella sua interezza». E formulazioni analoghe si possono trovare in altre an
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notazioni di Jochmann. È comunque poco consigliabile approfon dire questo confronto, chiedersi se nei canti di trionfo della feli cità progressiva da cui Jochmann si distanziò si mescolassero i co ri infantili che si odono nei teatri déiphalanstères. Ciò è estremamente incerto, per quanto attraente possa essere l’idea. Jochmann non dipinge la società futura usando le tinte dell’u topista. Piuttosto, la disegna con il sobrio tratto classicistico con cui [John] Flaxman inseguiva i profUi degli dei. La secca formula zione privativa usata da Marx - la società «senza classi» - per de signare la medesima cosa sembra avere un antesignano proprio nel testo di Jochmann, piuttosto che in quelli degli utopisti. In ma niera ancora più urgente, nel concetto dei «canti del mondo anti co» emerge però un intreccio storico. Nel suo seguito s’incontra la fantasia in quanto «patrimonio spirituale originario», dal quale la riflessione razionale si distingue chiaramente come una capacità acquisita più tardi. Di conseguenza la poesia è la lingua naturale del mondo antico, mentre la prosa emerge solo successivamente, in quanto espressione più propria della riflessione razionale. «Il canto forma gli elementi delle prime lingue», si legge nella LIX te si del primo libro della Scienza nuova di Vico"'. La teoria jochmanniana della poesia come originario patrimo nio linguistico del mondo antico deriva da Vico. Il linguaggio ico nografico, che si rappresenta in cenni di tipo geroglifico o allego rico, è - secondo Vico - il linguaggio della prima età del mondo: quella divina. Segue quella del canto, in particolare del canto eroi co, che per Vico sgorga da una duplice fonte: da un lato, dalla «po vertà del linguaggio», dall’altro dalla «necessità di raggiungere, a dispetto di ciò, un’espressione comprensibile». Alla base della for za di espressione del linguaggio eroico sta il fatto che esso, ben lun gi dal rimpiazzare H mondo prosaico, lo manda all’aria. Il discor so prosaico instaura la decisione, la terza lingua, quella dell’epoca tarda. E questa la decisiva concezione di Vico che ha dato i suoi frutti in Jochmann. Che Jochmann l’abbia effettivamente desun ta soltanto dal Vico è dimostrato dalla LVIII tesi, il cui geniale la conismo viene trasposto da Jochmann, in un passo del suo saggio, in una costruzione di periodi particolarmente bella. La tesi recita: ■' La dicitura originale del passo della tesi LIX citata da Benjamin è; « Gli uomini sfo gano le grandi passioni dando nel canto, come si sperimenta ne’ sommamente addolorati e allegri. Queste due degnità supposte [danno a congetturare] che gli autori delle nazioni gen tili [poich’]eran andat’in uno stato ferino di bestie mute, e, per quest’istesso balordi, non si fussero risentiti ch’a spinte di violentissime passioni - dovettero formare le prime loro lingue cantando» [N.J.T.]. y
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«I muti emettono suoni inarticolati che hanno qualcosa del canto. I balbuzienti trovano nel canto mezzi e vie per potenziare l’agilità della propria lingua»’. Per Jochmann, come per Vico, le immagini degli dei e degli eroi che pervadevano gli antichi non erano il prodotto di astuti sacer doti imbroglioni, non erano una favola menzognera di conquistatori bramosi di potere; erano invece le prime immagini in cui l’u manità, sia pure in maniera confusa, si rivolgeva alla propria na tura traendone forza per il lungo viaggio che la attendeva. Il fatto che, per dirla con Jochmann, anticamente una «più poetica condi zione di tutte le opinioni e conoscenze degli uomini» abbia costi tuito un patrimonio inesauribile della poesia è un modo di vedere vichiano al pari dell’idea che la goffaggine delle lingue originarie abbia fatto tendere queste ultime al canto. <
‘ Il passo cui Benjamin si riferisce recita, nella dicitura originale: «Adunque la sapien za poetica, che fu la prima sapienza della gentilità, dovrebbe incominciare da una metafi sica [...] sentita ed irmnaginata quale dovett’essere di tai primi uomini, siccome quelli ch’erano di niuno raziocinio e tutti robusti sensi e vigorosissime fantasie. [...] Questa fu la lo ro propria poesia, la qual in essi fu una facultà loro connaturale (perch’erano di tali sensi e di si fatte fantasie natiiralmente forniti), nata da ignoranza di ragioni, la qual fu loro ma dre di maraviglia di tutte le cose, che quelli, ignoranti di tutte le cose, fortemente ammi ravano» [N.rf.T.].
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Relìquie di Cari Gustav Jochmann, originario di Pernau, rac colte da Heinrich Zschokke sulla base degli scritti del suo lascito, voi. I, Verlag der F. X. Ribler’schen Hofljuchhandlung, Hechingen 1863.
[Ili] Premessa. Vengono qui resi noti, a m o ’ di reliquie, gli scritti postumi di un nobile scrittore tedesco ormai defunto; sono i resti di ciò che quell’uomo geniale aveva conservato personalmente soltanto come frutto decisivo ed estremo dell’osservazione di una delle epoche più fatali. Egli volle che l ’amico cui, morendo, aveva lasciato le pro prie carte, più che un erede di queste ultime fosse un arbitro capace di giudicare se esse potessero, almeno in parte, meritare di esser rese note al grande pubblico .Perciò qualsiasi critica, giustificata o meno, al con tenuto della presente raccolta va addebitata soltanto a colui che l ’ha messa insieme. Fino a questo momento, nel mondo dei lettori tede schi, il nome di Jochmann è circolato poco ed è rimasto pressoché sco nosciuto. Modesto ed esperto della vita qual era, egli ha infatti evita to la notorietà letteraria con non minore affanno di quanto altri, la rin corrono; e forse non del tutto a torto. Se si lasciò convincere a far stampare l ’uno o l ’altro dei propri lavori, pose sempre come condi zioneprincipale che comunque venisse rigorosamente tenuto segreto il nome del loro autore'^. [IV] La parte principale del lascito letterario di Jochmann era composta da un gran numero di materiali accuratamente radunati al fine di sviluppare e ampliare gli scritti già pubblicati rela tivi alla storia del protestantesimo, alla gerarchia, all’omeopatia e co si via; un’altra parte consisteva in una serie di quaderni di appunti diaristici; un’altra ancora, in singoli articoli, terminati o incompleti, in ^ Fu lui l’anonimo autore delle acute considerazioni Vber Sprache [Sulla lingua] e dei Beitràge zur Geschichte des Protestantismus [Contributi alla storia del protestantesimo], pub blicati entrambi dall’editore C. F. W inter di Karlsruhe, cosi come di Hiemrchie und ihre Bundesgenossen [La gerarchia e i suoi alleati] (presso l’editore H, R. Sauerlandp di Aarau) e delle Homóopathche Briefe [Lettere suU’omeopatia] [N.d.A.].
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abbozzi o in lavori preliminari a futuri lavori sulla Rivoluzione fran cese, sui Gesuiti, sull’economia politica, la religione e la storia di que sti ultimi, e anche in una storia naturale della nobiltà. Per motivi fa cilmente intuibili, il curatore della presente raccolta non si è giovato di ciò che era rimasto allo stadio di abbozzo. Si è limitato a trascegliere le disparate annotazioni personali di ]ochmann sul mondo, sulla scien za e sulla vita, oppure a coordinare tra loro singoli articoli già conclusi. Alcuni di questi ultimi, apparsi come assaggio in alcune r iv is ti, sono stati ripresi - com ’è giusto - nella loro interezza anche in questa rac colta, tanto più che le riviste raramente vengono prese in considera zione o meritano di essere conservate ... [V] Jochmann, nobile sia nel la mente che nell’animo, lìbero dalla schiavitù del pregiudizio e della passione, dotato della più profonda cultura e delle più svariate cono scenze ma individuo senza pretese e indipendente sotto il profilo eco nomico, restato in rapporto con uomini di riguardo da lui conosciuti durante gli spostamenti attraverso la Russia, l ’Inghilterra, la Germa nia o la Francia, la Svizzera e l ’Italia,preferì a qualsiasi ruolo da svol gere sulla scena mondiale quello dell’osservatore filosofico . . . I l suo stile, per lo più nelle tonalità di una socievolezza lieve e indipenden te, si fa a volte brillante, a volte discorsivo ; sovente prevede una mole talmente fitta di complicate riflessioni da richiedere di vagliare e sop pesare frase dopo frase. E allora, attraverso il loro carattere serio, ecco emergere inaspettatamente, nell’animo del lettore, appassionanti e ap propriati lampi di verità. ]ochmann è in generale uno dei pochi scrit tori dei nostri giorni che, mentre vogliono soltanto ristorarla, all’im provviso stimolano la mente in cerca di distensione facendo st che es sa divenga più vivida, osservando più acutamente, [VI] e più creativa; è uno dei pochi scrittori che destino nel nostro intimo più luce di quan ta non ne rechino dall’esterno ... Aarau, 12 dicembre 18^5. Heinrich Zschokke.
[i] Karl Gustav Jochmann, originario di Pernau. (Brevi note del curatore sulla storia della sua vita) ... Pernau è una cittadina della Livonia, situata sul golfo di Riga. Qui Jochmann nacque il 10 feb braio 1 790. Per la curiosità di sapere come si caratterizzava questo ra gazzo, già a ll’età di tredici anni, si direbbe che la scuola locale fosse troppo limitata.Per cui suo padre lo affidò, a Riga, a un amico, il con sigliere di stato Kreutzing,perfargli frequentare colà la «Domschule». Dopo quattro anni di studio, il giovane - ormai diciassettenne - andò ^ Nelle Tiberlieferungen zur Geschichte unserer Zeit [Narrazioni sulla storia del nostro tempo] e nel Prometheus fùrLichtund Rechi [Prometeo perla luce e il diritto] [N.d.A.].
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all’Universìtà di Lipsia ; quindi visitò Gottinga, Heidelberg e, per mi gliorare il francese, Lausanne. Rientrato a Riga, entrò nel mondo de gli affari svolgendo l ’attività di avvocato. Lavorò con successo. Ma, vuoi perché a volte si rimproverava dì non sfruttare la propria giovi nezza, vuoi perché rimpiangeva di essersi legato troppo presto a un rap porto che lo legava per la vita, nel 1812 andò in Inghilterra per diven tare esperto anche della lingua inglese. Visitò Oxford ed Edimburgo, dopodiché rimase ancora un anno in Inghilterra, trascorrendolo in par te a Londra e in parte in campagna, presso un predicatore ... Dopo il suo rientro a Riga, svolse la professione di consulente legale sicura mente con successo, ma senza gioia. N é i proventi né la considerazio ne che gliene derivavano riuscirono a fargli accettare pienamente una professione che contrastava con le sue inclinazioni. Bramava ardente mente una vita più indipendente, sotto un cielo più mite e tra popoli con costumi più evoluti . . . I n possesso di un patrimonio in grado di garantirgli l ’indipendenza economica e un futuro senza preoccupazio ni, alla fine, nell’aprile 1819, si separò dagli amici righesi... [3] ... Respirò più liberamente e serenamente quando entrò in terra tedesca, tornando a godere dei contatti con gli studiosi e gli artisti dell’epoca e potendosi deliziare a piacimento dei fiori e dei frutti della letteratura. E tuttavia ben presto trovò anche nella Germania di allora qualcosa di inospitale e di estraneo per la propria indole. Sotto le ali cupe della Santa Alleanza si senti investito da un’aria soffocante, deprimente. Do vunque arrivasse, incontrava persone mosse da faziosità. Era il perio do in cui lo scrittore Kotzebue era caduto sotto il pugnale di Sand. E lui non potè più restare fra i tedeschi.
[Dalla descrizione di Zschokke del primo incontro con Jochmann avvenuto il 12 settembre 1820] [35] Mentre ... sedevamo in giardino intenti a chiacchierare e lui mi raccontava ora dei suoi viaggi ora dei suoi progetti per il futuro, mi lasciai andare a osservare la sua persona. Ben fatto, di medie propor zioni, ma magro e delicato, egli lasciava trasparire, nel colore mala ticcio del viso altrimenti gradevole, una salute già compromessa. Per sino lo sguardo mite e gentile dei suoi occhi, sembrava accusare una malcelata sofferenza anche quando, nei momenti di entusiasmo o nel [36] provar gioia, risplendeva più vivace. A poco a poco dinanzi a me la sua figura si oscurò, come se si annebbiasse; lo sentivo parlare, ma non badavo alle sue parole. In quell’istante mi furono chiari fin nei minimi particolari il corso della vita da lui condotta e persino la sto ria segreta del suo cuore. Quando infine lui tacque per qualche istan te, probabilmente restando in attesa di una risposta da parte mia, ri
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trovai la mìa avvedutezza e vidi con chiarezza le cose intorno a me. Anziché proseguire la conversazione, gli chiesi se avrei potuto esporgli apertamente che cosa involontariamente si fosse verificato in me, da to che mi pareva più importante che lui mi dicesse se la mia fantasia non si stesse per caso prendendo gioco di me. G li parlai del suo passato, delle sue particolari condizioni di vita, di un amore che si era concluso e che gli aveva causato un dolore profondo, e cosi via. Lui mi fissò con aria strana; ammise le varie vi cende e riconobbe anche che era tutto vero. Sorprendendoci alquanto entrambi, continuammo a parlare fino all’esaurimento, formulando supposizioni di ogni genere per risolvere il mistero della sua anima.
[Ulteriori vicende e morte, secondo il racconto di Zschokke] [36] Da quel momento si avviò tra noi un’amicizia che conser vammo per tutta la vita. Per ritemprare la propria salute fisica in un clima più mite, egli si recò nella Francia meridionale. Insoddisfatto, tornò poi da me circa un anno dopo e trascorse parte dell’estate (1821) in varie località della Svizzera; [37] {nell’autunno 1821) andò a Pa rigi, ove trascorse giorni stupendi insieme a Oelsner, Schlabrendorf, Stapfer e ad altri studiosi e uomini d ’affari, dopodiché tornò di nuo vo, per trovare rimedio ai propri mali nelle acque termali di BadenBaden. Ed esse parvero prometterglielo ; alla fine risiedette quasi sta bilmente in questa località, alternandovi alcuni periodi con Karlsruhe ■ ■ ■ [77] Amava la vita, considerandola come una «dolce abitudine», pur non ritenendo che potesse durare a lungo; [78] addirittura non la desiderava, se essa doveva essere soltanto un prolungamento del pro prio appassire ... [80] L ’ottavo paragrafo del suo testamento recitava : «Lascio in eredità tutti i miei scritti delle raccolte di materiali, articoli e simili di ogni genere, salvo alcune parti della mia corrispondenza e delle carte commerciali, a l mio caro e stimato amico Heinrich Zschokke di Aarau, al quale andranno consegnati gratuitamente. Du bito che egli riuscirà a cavarne grandi cose. In ogni caso spetterà a lui, per la vecchia amicizia che ci ha legato, l ’onere di distruggerli».
[Da una lettera di Jochmann inviata l’i i giugno 1819 da Tharand a E. H. v. Sengbusch a Riga.] [4] Gli inglesi hanno degli storici; gli italiani ne hanno avuti anch’essi nelle epoche della loro libertà e della loro gloria. Ifrancesi han no perlomeno ricchissime raccolte per una storia, ossia delle mémoires che sfuggirono a l venefico influsso delle autorità dell’epoca sola mente perché rimasero segrete e vennero alla luce solo grazie a eredi successivi. Soltanto in Germania, grazie alla docile cecità dei ceti più
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bassi e alla nobile ignoranza di quelli più elevati, solo in Germania non esistono quasi altro che alberi genealogici e un cumulo di insi gnificanti storie delle famiglie principesche, nelle quali è raggrinzi ta la storia del popolo. Un erbario, anziché la veduta di un ricco pae saggio! ... [18] ciò si aggiunge il fatto che i governi tedeschi, forse perché consapevoli della propria posizione precaria, e sicuramente non per un fatto di garanzie, indulgono alla più ridicola gelosia verso i me riti locali del paese, e abituano ogni tedesco famoso ad attendersi il ri conoscimento dei propri meriti da governi stranieri e a trovare presso gli stranieri l ’elogio di tali meriti, anzi addirittura la protezione che è loro dovuta.
[141] Lo stato mercantile esclusivo di Fichte. Stupefacente è che una mente filosofica come Fichte abbia potuto caldeggiare la realiz zazione di una forma di società che palesemente condurrebbe il gene re umano nel suo sviluppo a una situazione di stasi quale noi vediamo nel mondo animale. La Cina e il Giappone hanno fatto, già da un pez zo, un simile tentativo contrario alla natura. Per fortuna la realizza zione di tale sistema, che implica un rompere i legami con il resto del mondo, presuppone anche un nuovo genere di moneta, che, senza es serefatta di banconote, dovrebbe comunque avere un valore solamente per un popolo e per nessun altro. Fichte era convinto di possederne il segreto. Ma se l ’è portato con sé nella tomba. La natura non possiede stati mercantili di per sé unitari e autonomi. Persino i pianeti e i siste mi solari esistono per mezzo della relazione e dello scambio della pro pria luce, della propria gravità e di altre forze. Sul globo terrestre ogni cosa è calcolata per essere in relazione ;i migliori mezzi dì collegamento fra le diverse parti del mondo sono gli oceani. Le diversità fra le lin gue separano soltanto per quanto è necessario a risolvere per parecchie società contemporaneamente il problema della società unica e univer sale. Ma essefluiscono dappertutto Vuna nell’altra, e le stesse leggi lin guistiche, ad esempio la legge concernente la divisione sillabica, e gli stessi elementi riconducono a l nesso generale. Il fatto che l ’idea del l ’isolamento e della separazion reiterata, attuata in modo coerente, nel singolo come nel tutto, porta sempre a una situazione che è contro na tura, alla miseria e al disorientamento, dimostra che essa dev ’essere so lo un mezzo e non può mai essere un fine. Tutte le recinzioni e de marcazioni politiche delle varie nazioni, classi sociali, unioni indu striali, letterature e cosi via sono gli eterni testimoni della nostra irrequietezza in una situazione di costrizione. Noi ci allunghiamo ed estendiamo tentando migliaia di posizioni;ma in questo letto, per noi, non c ’è pace!
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Reliquie di Cari Gustav Jochmann, originario di Pernau. Dai suoi scritti postumi, raccolti da Heinrich Zschokke, voi. II, Edi zioni della Libreria F. X. Ribler, Hechingen 1837.
[93] Qochmann sulla meccanica] Il tipo di acquisizione mediante la meccanica diffonde su tutte le famiglie del paese quei benefici di cui altrimenti hanno fruito soltanto alcuni singoli indivìdui, e diventa la fonte di una grande produzione di ricchezza. Ma affinché quest’ulti ma, a causa della sua sempre più diseguale ripartizione, non si trasfor mi nell’infelicità della maggioranza, diventa inevitabile l ’ulteriore tra sformazione delle forme sociali. Reperirle è il compito dell’epoca.
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I regressi della poesia ìiella storia dell’umanità esistono fenomeni che, a prima vista, ci appaiono come passi indietro e che di per sé, singolarmente, hanno an che potuto esserlo di fatto, fenomeni che tuttavia, in connessione con altre circostanze concomitanti e nelle loro più remote relazioni con tutte le epoche, hanno annunciato in modo inconfondibile i progressi del genere umano. In parecchi di questi casi, non occorre un acume straordinario per convincersene. A parte alcuni studiosi isolati, difficilmente qualcuno si lascia tentare dal voler ammirare in quelle gigantesche opere della più grìgia antichità, negli immensi monumenti di una svalutazione al trettanto immensa di milioni di lavoratori a giornata, qualcosa di più che le loro masse, diffìcilmente qualcuno si lascia tentare dal conside rare come una sventura l ’impossibilità di emulare i loro costruttori e dal voler rimpiangere di non essere più nei tempi delle maschere dei sa cerdoti egizi perché in essi si costruirono, pietra su pietra, le piramidi; comunque, più facile è per noi fraintendere in che punto si siano ri dotte le dimensioni non di una semplice tirannia, ma di una qualche sfera di attività spirituale, in che punto principi e capacità, [250] sen za cadere regolarmente nell’opinione dominante, abbiano scapitato decisamente in potere e influenza esterna. Quanto più procediamo nell ’apprezzarle e quanto più le leggende del loro passato strapotere ci riempiono di ammirazione, tanto più repellente diviene per noi la vi sta della loro attuale debolezza e tanto più siamo inclini a considera re tutto ciò che è passato anche come perduto, e tutto ciò che è per duto come non sostituito e non sostituibile. Esempi rilevanti di questo tipo ci sono offerti dalla storia del gra duale ridursi di tantissimi moventi morali quali Vamor di patria, il sen so civico e altri ancora, oppure la storia - più universalmente com prensibile - di parecchie abilità e forme artistiche, come soprattutto quella della poesia, e del loro perfezionamento interiore e della loro efficacia esterna, i qualialtem po stesso sono declinanti. Per convincerci dell’antico splendore dell’arte poetica e delle in fluenze da essa esercitate!non occorre neppure menzionare le legende
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sul SUO passato dominio anche sulla natura animale e su quella degli esseri inanimati. ... [251] ... Quanto più antico è un popolo, tanto più significativa è la sua poesìa, e quanto più antichi sono i suoi poe ti, tanto più irraggiungibili sono le loro opere. Anche un solo sguardo ai canti del mondo antico, e alla poesia scritta dei popoli recenti ci di mostra che i passi compiuti da questi ultimi in tale percorso non furo no veri progressi, che furono giacimenti più antichi a offrire il mate riale per la struttura dei nostri scritti in versi, e che l ’alta serietà del l ’antica arte poetica è divenuta un divertimento più o meno palese, e il poeta, da maestro di tutto il popolo, si è trasformato nel compagno ne che aiuta a far passare il tempo a poche persone di buona cultura. Se però il decadere della poesia dalle sue vette antiche sino a giun gere all’irrìlevanza attuale vada considerato come un’innegabile per dita in sé e per sé, anche in rapporto ad altri aspetti, si può valutare sol tanto a partire dalle condizioni che - come cause operanti - comuni carono allo spirito dell’uomo l ’orientamento dominante e quasi esclusivo ad applicare e formare quella stessa poesia; lo si può valuta re proprio a partire da quelle conà.izìotii,poiché volersi riferire, in pro posito, soltanto alle più elevate e più universali capacità della poesia passata significherebbe presupporre come già chiarito ciò che va inve ce spiegato, dato che in questo caso dipende proprio dai motivi per cui le forze d ’ingegno (che, come l ’esperienza insegna, sono capaci di uno sviluppo infinitamente svariato) a un certo momento mirarono sola mente a un’unica meta, riuscendo decisamente nell’intento. Si possono individuare (in parte nei materiali della poesia e in par te nei mezzi che ne condizionarono la forma) fondamentalmente tre di questi motivi: [252] una qualità o disposizione a lei più consona e maggiormente poetica di tutte le opinioni e conoscenze degli uomini, una decisa mancanza di mezzi necessari alla conservazione e alla dif fusione di questi beni spirituali, e infine la maggiore facilità della sua applicazione in virtù di un ritmo stabilito, facilità evidente riguardo a tutte le lingue incolte, ancora povere rispetto alla lingua della poesia, in contrasto con le difficoltà tanto più grandi a essa derivate dal suo uso più lìbero ... [261] ... Riassumiamo dunque anche solo superficialmente i motivi di una più elevata formazione e dignità dell’arte poetica. Questi motivi so no : lo sfrenato impadronirsi dì un’immaginazione e dì una fantasia ri svegliatasi in passato in tutta la mole della nostra sfera spirituale; la mancanza di mezzi affidabili per la tutela della parola, mancanza che costrinse gli uomini ad affidare alla sua pura e semplice memoria tut ti i tesori della scienza che si esprimevano in forme poetiche; e infine la condizione, sia della lìngua che dei suoi fruitori, che fece percepire
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e richiedere anche le regole dell’espressione appropriata, prima che le nonne della prosa, raccomandandole di preferenza a l narratore e ai suoi uditori. E allora ci renderemo subito conto che qualsiasi cam biamento servisse a rimuovere uno di questi fatti ha comportato un progresso, e che di conseguenza il decadere dell’immaginazione e del la fantasia dalla sua antica altezza [262] contiene, da parecchi punti di vista, prove del progredire generale dei p o p o li... [268] ... Ogni tentativo di prefissare i compiti di altre facoltà con l ’ausi lio della fantasia e dell’immaginazione, e con esse soltanto, non solo complica ma a l tempo stesso vanifica l ’intento che ci si prefigge; ogni intervento di queste facoltà nell’ambito di un patrimonio spirituale successivo è un passo falso, ognuna delle sue creazioni nell’ambito del la realtà è un'illusione, e se l ’uomo sensibile, oltrepassando i livelli più bassi della propria cultura, impara soltanto ad applicar meglio i possessi e le facoltà da lui acquisite in maniera inappropriata, allora l ’uomo spirituale, nella medesima situazione, per progredire deve an zitutto lasciar perdere e disimparare le proprie. Da ciò deriva quello squilibrio fra il nostro progredire esteriore, che assoggetta a noi sempre nuove forze della natura e rivela sempre nuove verità, e la nostra for mazione interiore, che si afferma in una lotta incessante contro la si gnoria di vecchi pregiudizi ed errori, fra sempre nuove acquisizioni nel regno dell’apparenza e sempre nuove perdite di quanto presumibil mente è stato acquisito in quello delle idee. Se davvero la nostra ra gione, come osserva Bayle, non è una forza che fonda e costruisce, ma una forza che tutto scuote e distrugge, allora essa è effettivamente ta le, allora perlomeno continua a essere tale perché lo spirito poetico l ’ha anticipata ovunque, perché essa deve anzitutto conquistarsi e pu rificare lo spazio per le proprie opere. Sulla nostra via del ritorno, che è sicuramente soltanto apparente ma che è comunque inevitabile, noi non siamo ancora arrivati a l punto da cui sia possibile aprire un var co per la nuova via; ci stiamo soltanto avvicinando a esso, e una civilisation che sta avanzando rende esecutivo a poco a poco ma irrevo cabilmente nel mondo reale [269] la messa al bando del poeta formu lata da Platone nel suo Stato immaginario. Ben lungi dunque dal doverci rattristare per i regressi dell’arte poe tica, noi dobbiamo piuttosto augurar loro che abbiano successo. A n che se a volte il poeta ha commesso errori e le sue modeste capacità non sono state prive di conseguenze, errori e facoltà più spesso hanno comunque costituito un profitto per la sua epoca; e quanto più debo li sono stati, in un determinato campo, gli effetti della poesia e quan to più generale è ^tata l ’insensibilità verso un determinato genere di composizioni poetiche, tanto più è certo che proprio in tale campo un
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qualche mezzo più bastevole soddisfa il bisogno spirituale a cui tali composizioni poetiche originariamente vennero in soccorso ... [277] D ’altro canto,percepire il diminuito splendore e influsso della poe sia anche quando lo spirito è indotto naturalmente ad agire con altri mezzi e in altre form e, e considerarlo soltanto come una sventura non significa affatto disconoscerne il valore peculiare là dove la poesia do mina nella propria sfera di attività. Esistono dei m uti che sono in gra do di esprimersi e farsi capire soltanto cantando; ci possiamo rallegra re se essi imparassero a parlare, senza dover più esternare con il canto qualsiasi messaggio o monito, e non per questo siamo insensibili alla magia del canto .Piuttosto, mostriamo una sensibilità tanto più schiet ta e intensa per l ’autentica dignità e bellezza di qualsiasi arte quanto meno ne apprezziamo un uso disdicevole ... [308] D''altronde l ’eccessiva estensione dell’ambito della fantasia è do vuta non solo alle ripercussioni del suo precedente dominio incontra stato, ma anche a l permanere di condizioni storiche durevoli, non sem pre cioè soltanto a l passato, ma anche a l presente, e allora essa è la di mostrazione di un sostanziale malessere delle nostre società in generale, in modo altrettanto deciso di come, nel primo caso, è un segno della pura e semplice stramberìa dei nostri studiosi. Il prevalere dell’immaginazione e della fantasia è pienamente natu rale fin quando esse si rivelano come le principali risorse spirituali sol tanto perché nessun’ultra risorsa ha potuto raggiungere uno sviluppo analogo. Se, in tale situazione, l ’immaginazione è /"unica a dimorare nell’intero regno delle nostre idee con le proprie creazioni, allora lo fa senza bisogno di rimuovere nessun altro degli abitanti di quel regno;se essa è l ’unica sovrana anche di tutti i nostri bisogni e rapporti senso riali, ciò si verifica perché non esiste ancora alcun legittimo sovrano su di essi; e quali che siano, nelle nuove situazioni, le brutte conseguenze che un affettato evocare dei fenomeni potrebbe avere, [309] si può tut tavia prevedere con certezza (finché esso si basa sull’imitazione) un prossimo momento in cui questo passo falso nel vuoto, lasciato a se stes so, dovrà cessare da sé, e in cui la natura delle cose trionferà immanca bilmente su simili fantasticherie. Ma esiste ancora un’altra condizione in cui la fantasia analogamente predomina strapotente, non perché es sa sia l ’unica risorsa spirituale a essere vigile, ma perché è l ’unica a es sere libera; un’altra condizione in cui naturalmente sono deste anche altre forze, che però sono in catene; un’altra condizione in cui a noi il mondo reale con tutti suoi tesori e le sue verità, pur non restando più sconosciuto, resta tuttavia precluso ; e se, in un simile stato di cose, un popolo (come si vede specialmente nel caso della nostra vecchia Euro pa, in confronto con paesi del nuovo mondo più fortunati) viene co
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stretto a continuare cattive strade imboccate per sbaglio, poiché non ha migliori vie dinanzi a sé, allora è la fantasia malata ad avere, d ’ora in poi, lo scettro su una fantasia che un tempo era ricchissima, ed è il par larefuorviante di persone deliranti a far seguito all'entusiasmo del poe ta . Proprio i periodi migliori di una cosiddetta cultura superiore, in que ste condizioni, sono espedienti della società degenerata, più che liberi sviluppi di un profitto della sua forza vitale spirituale, esse sono sfoghi del sentimento insoddisfatto scaturiti dal deserto artificiale della vita borghese che ci circonda; sono fughe dalla realtà per rifugiarsi nel regno delle idee, che attestano sempre il benessere ma più spesso ancora pro prio la miseria di coloro che li accolgono .D i conseguenza, secondo un acuto osservatore [310] del vecchio e del nuovo mondo, in quest’ulti mo (per quanto indubbiamente la sua formazione più generale appaia superiore alla nostra) si riscontra quell’insignificanza dei suoi progres si nelle arti e nelle scienze che non hanno uno scopo che si ripaghi im mediatamente, mentre queste ultime poterono affermarsi tutte nella Ro ma che stava declinando e tra la plebaglia della vecchia Francia. Nella patria dei Washington e dei Franklin tutti trovano pane e lavoro, e a che cosa servono gli sforzi penosi degli abbellimenti superflui, che non offrono rimedio ai bisogni di nessuno, dove un’attività modesta garan tisce a l suo proprietario (sotto il profilo sia fisico che morale) tutto il necessario e ancor più? Negli Stati Uniti nessuno si vede separato sen za propria colpa da ciò che richiede non soltanto la preservazione del la vita ma anche la gioia di vivere. Nessuno è estraneo a quelle condi zioni domestiche che procurano i massimi vantaggi del nostro genere umano; nessuno è di troppo nella vita, nessuno è costretto a rannic chiarsi in se stesso e a cercare nel pensiero che cosa il destino gli abbia negato su questa terra. Ma proprio questi sono i miseri elementi della nostra cosiddetta superiorità spirituale di cittadini della vecchia Euro pa . Essa è scaturita da antiche rinunce come questa ... [316] Se i passi indietro della fantasia, nel loro naturale e passato domi nio incontrastato, si possono considerare nel loro complesso come pro gressi della ragione, i modi più moderati del suo imporsi in un’epoca successiva si rivelano come altrettanti progressi del bene comune. En trambi, ragione e benessere o salute fisica, progressi interiori ed este riori si presuppongono reciprocamente. Per divenire più felici, occor re esser diventati più ragionevoli, e non sempre è soltanto una condi zione di felicità; a volte occorre che tale felicità diventi anche più ragionevole. E chissà che per l ’uomo, in un determinato stadio del suo sviluppo, i beni che dànno felicità non possano essere ancora più in dispensabili per ampMre i suoi possedimenti spirituali di quanto que sti ultimi lo possano essere per accrescere la sua felicità.
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ideila misura in cui quel vivente benessere può superare la nuova e infruttuosa ricchezza di idee del mondo antico, si possono pensare più varie e più perfette condizioni di entrambi in cui l ’uomo, senza per questo dover rinunciare ai tesori della vita reale, sarebbe capace della più viva attività, e di un’attività (più ripagante perché più ragionevo le) anche della sua immaginazione e della sua fantasia. A condurci a questo (e proprio nel loro tendere a tale meta possiamo percepire nel modo più evidente i vantaggi della sobria formazione intellettuale del nordeuropeo delle repubbliche nordamericane) non è tuttavia l ’ap prendistato del gusto, ma sono soltanto gli sviluppi delle nostre forme sociali, che sono strettamente legate alle principali verità dell’econo mia pubblica e alla sua applicazione. Gran parte, forse la parte principale, della nostra inettitudine spiri tuale si può attribuire alla mancanza di m ezzi; gran parte delle nostre carenze morali alle rinunce morali. Esistono verità, come qualcuno ha giustamente osservato, che in brutti vestiti non si possono dire né con buone maniere né con il giusto successo. Ma ve ne sono in numero an cora maggiore che in misere vestì raramente vengono anche solo pro nunciate. Il bene infonde coraggio, e cosi anche la franchezza, altret tanto che l ’euforia; noi pensiamo in maniera servile perché ci sentia mo deboli, e di regola i nostri giudizi sono limitati quanto le condizioni in cui viviamo. In entrambi i casi partiamo dalla miseria e arriviamo solo contemporaneamente a l benessere. La prima preoccupazione che il selvaggio sviluppa nei confronti del proprio corpo consiste in un dis sennato abbellirlo. Crede di adomarsi martoriandosi, di abbellirsi mu tilandosi, e brucia e recide parti delle sue membra esposte a ll’afflusso ostile di tutti gli elementi. Membra che egli non sa né nutrire né vesti re; esattamente come noi lo vediamo deformare e contaminare con lo stesso autocompiacimento (con vizi e pregiudizi che per lui valgono come veri e propri meriti e sapienza) anche Usuo ritratto spirituale vi vente di Dio molto prima che egli sappia proteggerlo e custodirlo. Quanto avrebbero potuto elevarsi le nostre cosiddette belle arti al l ’altezza che esse devono poter raggiungere per tutto il tempo in cui hanno operato soltanto come mercenari schiavi di qualsiasi basso ac cecamento o passione! Esse hanno eretto splendidi templi alla super stizione, e palazzi a tiranni di ogni genere; hanno raccolto tutti i loro tesori e tributato lodi all’interesse egoistico e alla superbia;e ancor og gi esistono forse soltanto due o tre delle fioriture tanto celebrate della nostra poesia che, scomposte nei loro elementi, non si profilerebbero {analogamente alla fiaba di La Fontaine che Rousseau fece oggetto di un tentativo analogo) come un ributtante miscuglio di illusione e adu lazione, come idolatrie di bassezze proprie e altrui.
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E quale che sia la dijferenza che possa crearsi tra le varie acquisi zioni di un’umanità che progredisce, nella realtà tutte quante, appar tenenti a l medesimo genere umano, sono un’unità indivisibile, e quel le sensibili determinano il valore di chi ne è dotato, cosi come quelle morali ne determinano la felicità. A l di sopra dell’abisso che la natu ra delle cose ha messo tra la privazione fisica e il benessere spirituale, [319] l ’immaginazione e la fantasia tendono vanamente il loro arco colorato, e a volte si slancia il genio del singolo, ma mai più un inte ro popolo. Perché un popolo possa andare oltre, dev’esserci Udisteso un ponte più solido capace di sostenere anche il corpo. Ricchezze che ci viziano abbelliranno la vita in quanto patrimonio comune, privile gi che rovinano chi lì possiede lo nobiliteranno in quanto diritti. Solo se la laro rarità smette di conferire un valore superiore a cose assog gettate anche il nostro genere umano smetterà di scambiarle con altre il cui valore non si fonda sul caso, e quell’oraziano
virtus post nummos !, che è lo slogan della meschinità sulla bocca del sìngolo, contiene (rife rito alle sorti di tutti i popoli) una verità più confortante di quanto il poeta di Augusto e dei suoi mecenati potesse anche solo immaginare. Nella misura in cui apprende a usare in maniera sempre più decisa le proprie conoscenze come un potere, a conoscere sempre meglio la natura, ossia a dominarla, e a trasferire su prodotti a lui soggetti, a mac chine e a strumenti, quelle occupazioni da schiavi, tipiche della vita, che fanno ottundere e logorare le sue forze migliori, l ’uomo si apre la strada a un nuovo mondo ancora più felice, nel quale l ’esortazione a compiere sforzi sempre più nobili ricompensa gli spensierati per quel li delle loro peregrinazioni. Avvicinandosi a tale meta, egli arriva al lora a uno sviluppo spirituale superiore sia alla quieta mediocrità del l ’America che a queste nostre cagionevoli sollecitazioni, e nel cui se guito anche lo spirito poetico si spinge tanto più in alto quanto meno esso si esaurisce in un vano vagare in ambiti estranei. L ’inattività di una società veramente umana produrrebbe frutti ben diversi rispetto a quelli prodotti da quell’ozio tormentato della nostra società borghese che chiamiamo erudizione ; i canti di trionfo della felicità nel suo pro gredire dovrebbero echeggiare ben diversi dai sospiri della brama in soddisfatta, e i canti di giubilo del Prometeo liberato dovrebbero ri suonare ben diversi dai lamenti di quello incatenato. [CARL GUSTAV j o c h m a n n ] , Uéef àie Sprache. - «Rede, da ìch iich sehel » [Sulla lingua «Parla affinché io ti veda! »], C. F. Winter, Heidelberg 1828 [N.d.A.].
Sogno dell’i i - i 2 ottobre 1939
Ero con Dausse insieme a varie persone che non ricordo. A un certo punto Dausse e io ci congedammo da loro. Dopo essercene andati, ci ritrovammo in un intrico di vegetazione; mi accorsi che quasi rasoterra c’erano degli strani giacigli. Quei giacigli erano co struzioni bassissime. Sembravano di pietra, ma toccandone uno mi accorsi che ci si sprofondava morbidamente come in un letto; era coperto da una specie di muschio ed edera. Mi accorsi che i giacigli erano disposti a due a due. Proprio quando pensavo di sdraiarmi sul giaciglio accanto a quello che ritenevo destinato a Dausse, mi resi conto che il suo capezzale era già occupato da al tre persone. Così ci allontanammo da quei giacigli, che erano del le tombe, e proseguimmo il cammino. Il luogo somigliava sempre a una foresta, ma la disposizione dei tronchi e dei rami aveva un che di artificiale, che conferiva a quella parte del paesaggio una vaga somiglianza con una costruzione nautica. Costeggiando una trave e superando qualche gradino di legno, ci trovammo su una specie di minuscolo ponte da imbarcazione, di piccole terrazze in legno. Là c’erano le donne con cui viveva Dausse. Erano tre o quat tro e mi sembravano di grande bellezza. A stupirmi fu dapprima che Dausse non mi presentò. La cosa non mi disturbò, come del resto la scoperta che feci al momento di posare il cappello su un pianoforte a coda. Era un vecchio cappello di paglia, un «panama» che avevo ereditato da mio padre. (Quel cappello non esiste più da tempo.) Togliendomelo, mi colpi il fatto che nella parte supe riore del cappello era stata praticata una larga fenditura. Vidi in cidentalmente e senza formalizzarmi che i bordi della fenditura presentavano tracce di colore rosso. Frattanto una delle donne che erano sedute si era dilettata di grafologia. Vidi che aveva in mano qualcosa che avevo scritto io, e che Dausse le aveva dato. Quel l’esame mi preoccupava un po’, per il timore che potessero cosi es sere svelate le mie intime preferenze. Mi avvicinai. Vidi che era una stoffa coperta di immagini, gli unici elementi grafici che riu
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scii a distinguere erano le parti superiori della lettera «d», che nel la loro lunghezza slanciata rivelavano un’estrema aspirazione alla spiritualità. Per di più quella parte della lettera recava una picco la vela bordata di azzurro, e nel disegno quella vela si gonfiava co me spinta dalla brezza. Fu l’unica cosa che riuscii a «leggere», il resto erano motivi indistinti di onde e nuvole. La conversazione si soffermò un momento su quella scrittura. Non ricordo i com menti, ma so benissimo che a un certo punto dicevo testualmente (e in francese, ecco perché trascrivo in francese questo sogno): «Si trattava dì trasformare in fazzoletto una poesia». Avevo appena pro nunciato queste parole quando accadde una cosa curiosa. Mi ac corsi che fra le donne ce n’era una, anche lei bellissima, sdraiata su un letto. Sentendo la mia spiegazione, fece un movimento bre ve come un lampo. Scostò parsimoniosamente e improvvisamente la coperta che la avvolgeva nel letto. Per mostrare non il suo cor po, ma il disegno del lenzuolo che doveva avere immagini analo ghe a quelle che dovevo aver «scritto» molti anni or sono, per re galarle a Dausse. Fui perfettamente consapevole che la donna fa ceva quel movimento. Ma a dirmelo era una specie di visione supplementare, poiché gli oc^h\ del mio corpo erano riypl^i fil^rove, e non distinguevo affatto ciò che poteva mostrare il lenzuolo che si era così fuggevolmente scostato per me.
Appunto su Brecht
Molto giustamente [Heinrich] Blùcher richiama l’attenzione sul fatto che alcuni momenti del Libro di lettura per gli abitanti della città non sono altro che un resoconto dei metodi del g p u . Ciò con fermerebbe, da un punto di vista opposto al mio, il carattere pro fetico di questi versi, a cui alludo nella mia analisi. In realtà, ne gli studiati passi di queste poesie si riflette il modo di procedere, che di fatto accomuna gli elementi peggiori del partito comunista con i nazionalsocialisti più privi di scrupoU. Bliicher ha ragione là dove, criticando le mie considerazioni sulla terza lirica del Libro di lettura per gli abitanti della città, afferma che non è stato Hitler a introdurre l’elemento sadico nella prassi qui descritta sugli ebrei invece che sugli sfruttatori; poiché quest’ultimo era già presente fin dall’inizio in quell’«espropriazione degli espropriatori», che Brecht stesso descrive. L’aggiunta «Cosi parliamo ai nostri padri», che chiude una di queste liriche, dimostra poi, chiaramente, che l’esproprio ai danni degli espropriatori di cui esse trattano non è certo quello a favore del proletariato, bensì a favore degli espro priatori maggiori, vale a dire i giovani. Questa appendice tradisce d’altra parte anche la simpatia che questi versi mostrano di avere per l’atteggiamento della equivoca cricca espressionista che si ra duna attorno ad Arnolt Bronnen. - Si può probabilmente ipotiz zare che un contatto con gli operai rivoluzionari avrebbe potuto preservare Brecht dal trasfigurare poeticamente dai gravi errori che i metodi del g p u hanno generato nel movimento. - Il mio commento, in ogni caso, nella forma che gli ho dato, è una con traffazione bella e buona; un occultamento della colpa che Brecht ha condiviso con lo sviluppo ipotizzato.
Jean Rostand, Ereditarietà e razzismo
L’esposizione di R[ostand] è notevole per la sua chiarezza, la sua prudenza e il suo coraggio. Quanto alla chiarezza: l’autore rie sce a dare un quadro perfettamente trasparente di ciò che è at tualmente acquisito nel campo della teoria dell’ereditarietà. Spie ga come l’attività dei cromosomi e dei geni è intesa dalla scienza; sottoUnea che l’ipotesi di una trasmissione ereditaria delle proprietà acquisite al presente deve essere scartata. Quello che può essere considerato come il fondo ereditario delle razze - razze di cui l’au tore sottolinea l’interpenetrazione su tutta la terra, e in particola re in Europa - si riduce a un certo numero di qualità fisiche di im portanza relativa. «Non basta che dei professori germanici risu scitino [...] le vecchie fantasie di Gobineau e di Vacher de Lapouge. Non basta che [...] Céline metta il suo lirismo fecale al servizio del la più puerile delle “etnogonie”. Vogliamo qualcosa di meglio. Pre tendiamo prove, argomenti, fatti» (p. 6i). - Quanto alla pruden za: Rostand è molto lontano dal trattare alla leggera le questioni eugenetiche. Sottolinea la necessità «di dissociare la menzogna raz zista dalla verità eugenetica» (p. 67). E tuttavia, pur ammettendo la portata reale di tali verità, formula delle riserve quanto alle in dicazioni pratiche che corrisponderebbero loro. Ha il diritto di met tere queste riserve sul conto di una diffidenza accorta relativa al modo in cui tali misure potrebbero funzionare nella società attua le. - Ciò che questo libro ha di più meritevole è il coraggio con cui R[ostand] affronta la teoria biologica del progresso. Se la prende con Comte, che considerava il progresso biologico come una delle basi della storia. Vedendo questa teoria infirmata dalla stessa bio logia, R[ostand] dice: «Se, domani, tutta la nostra civiltà si tro vasse a essere distrutta, l’Uomo dovrebbe ricominciare da capo, ri partirebbe dallo stesso punto da cui è partito cento o duecento mi la anni fa. Tutta la sua opera, tutto il suo lavoro, tutte le sue sofferenze passate non conterebbero nuUa, non lo avvantaggereb bero affatto. [...]. La civiltà dell’Uomo non risiede neU’Uomo, e
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nelle biblioteche, nei laboratori, nei musei e nei codici» (pp. 79 sg.). Non sorprende che una visione così spoglia di illusioni in cer ti punti raggiunga l’estro dei grandi moralisti francesi. «Respin gendo la sterile vertigine dell’infinito, sordo allo spaventévole si lenzio degli spazi», l’uomo «si sforzerà di diventare altrettanto aco smico quanto l’universo è inumano» (p. 124),
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Henri-Irénée Marrou, Saint Augustin et la fin de la culture antique
Marrou si occupa della tecnica del lavoro intellettuale neU’età della decadenza latina. Risulta che l’argomento può diventare frut tuoso. La prassi scolastica del rv e v secolo d.C. è certamente tale da favorire la comparsa di pregiudizi. Il fatto che l’autore studi il rapporto tra questa e sant’Agostino dimostra che non ne è stato vittima. Non per questo maschera le cose. Mostra come il concet to di scienza in senso empirico fosse andato perduto; la «scienza» che si aveva davanti agli occhi consisteva di un pulviscolo di «co se degne di essere conosciute». La natura incatenava l’attenzione soltanto con i suoi mirabilia; la storia soltanto con avvenimenti che erano stati inseriti con successo nelle orazioni a titolo di illu strazione. Nessuno pensava a un’unità della scienza, e meno che mai a possibili suoi progressi. La critica aveva toccato il fondo: c’e ra una risposta per ogni domanda. - In teoria l’insegnamento do veva basarsi sulla serie delle sette arti liberali. In realtà già nel rv secolo le sole a essere tenute in conto erano la grammatica e la re torica. Marrou dà un’esatta descrizione dell’insegnamento di que ste discipline. Parla delle lezioni di lettura, che erano particolar mente importanti perché il manoscritto non presentava segni di interpunzione. Mostra che la lezione di retorica traeva parte del la sua sostanza dalle divergenze che presentavano tra loro i diver si manoscritti che gli allievi avevano potuto procurarsi. Fa vedere come la critica dei testi fosse maneggiata in modo eclettico, e co me l’idea di una «tradizione autentica» fosse sconosciuta. Tra le parti più avvincenti dell’opera rientra il capitolo La Bib bia e i letterati della decadenza. La tecnica dell’interpretazione al legorica, in cui Agostino è stato maestro per la Bibbia, era usata contemporaneamente per la letteratura profana, ad esempio per Virgilio. Ma ha nella Bibbia un oggetto specifico, poiché ciò che riportano le Sacre Scrittxire viene considerato non soltanto come importante in senso allegorico, ma anche come vero in quello let terale. Se si pensa che d ’altro lato ogni passo della Bibbia avan
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zava la pretesa a interpretazioni allegoriche, si vede come di qui alla convinzione che Dio avesse organizzato certi avvenimenti bi blici soltanto in funzione del loro significato allegorico non ci fos se che un passo. Questo passo è stato compiuto da Agostino. E ancora più interessante è il fatto che in Agostino i passi biblici (co me gli elementi iperdeterminati del sogno in Freud) siano suscet tibili di due, tre, di parecchie interpretazioni. Ma possono conte nere sempre soltanto il dogma in senso stretto, mai un remoto mi stero. Marrou dà un’ottima descrizione di questa peculiare filologia sacra. - Il lettore potrebbe chiedersi se questa ricezione dei testi permetta di riconoscere un’affinità con la contempora nea ricezione delle opere di arte figurativa. Marrou si richiama bensì, en passant, a tóegl, che né\!A rte industriale tardoromana ha analizzato queste ultime in modo così magistrale. Però non ap profondisce i suggerimenti relativi all’estetica di Agostino che si possono trovare in Riegl. Ricondurre la particolare struttura del la ricezione letteraria a un «atomismo psichico», come fa l’auto re, è un’impresa che probabilmente ha altrettanto poco valore di tutte le utilizzazioni storicamente non mediate - e cioè psicologi che. Se Marrou tralascia di considerare la corrispondenza che po trebbe esistere tra la ricezione letteraria e quella artistica dell’e poca, d ’altra parte tra i suoi accertamenti esatti relativi alla pras si scolastica ce ne sono alcuni che potrebbero avere un interesse per la comprensione dell’arte del tempo. Ad esempio la seguente caratterizzazione della lettura privata: «Il contemporaneo di sant’Agostino si trasferiva idealmente in un’aula, e al libro che te neva in mano chiedeva che cosa se ne sarebbe potuto trarre in una sua lettura ad alta voce». Nonostante il metodo analitico entro i cui confini si tiene il la voro di Marrou (che è una tesi), l’autore è perfettamente cosciente del nucleo sintetico del suo argomento. Lo mette in luce quando, alla fine, si chiede se la decadenza non sia stata una condizione es senziale, e cioè positiva, per la formazione di una realtà radical mente nuova. L’autore non è lontano dall’attribuire allo stesso Ago stino una siffatta visione della cosa. Agostino è stato il primo padre della Chiesa a vedere, nella decadenza della cultura antica, un fe nomeno storico; il primo che, nonostante tutta la sua dipendenza tecnica da questa cultura, l’abbia sentita come estranea e se ne sia dissociato. L’abbassamento del suo livello è stato promosso da Ago stino in modo sistematico. «Tutte le volte che Agostino si pronun cia intorno a problemi culturali, che si tratti di problemi della filo sofia o dell’erudizione religiosa, ciò avviene con un’inquietante ab
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bondanza di tacite riserve. Egli si sforza di diminuire le richieste ai discenti e di rendere conto del passaggio a un livello inferiore». Il suo ammaestramento si collega meno a queUo dei retori che a quel lo elementare dei grammatici. - L’opera di Marrou è stata premia ta dall’Académie des Inscriptions et BeUes Lettres.
[Su Scheerbart]
Paul Scheerbart aveva già pubblicato una ventina di volumi quando, un bel mattino dell’agosto 1914, si potè leggere un suo articolo nella «Zeitecho», un settimanale che gli artisti e gli scrit tori tedeschi s’erano affrettati a fondare per dar lustro agli assalti dei soldati tedeschi con lo slancio delle loro penne o dei loro pen nelli. Quell’articolo andava contro-corrente, ma era congegnato in maniera sufficientemente astuta da sfuggire alla censura. Eccone l’inizio quale mi si è impresso nella memoria: «Anzitutto protesto contro l’espressione “guerra mondiale”. Sono certo che nessun astro, per vicino che sia, vorrà immischiarsi affaire in cui noi siamo implicati. Tutto induce a credere che una pace profonda non cessi di librarsi sull’universo stellare». I libri di Scheerbart non hanno attirato l’attenzione del pub blico più di quanto quella frase attirò l’attenzione della censura. E la cosa è perfettamente naturale. L’opera di questo «poeta» è in teramente pervasa da un’idea che era estranea come non mai alle idee che prevalevano. Quest’idea - o piuttosto quest’immagine era quella di un’umanità che si sarebbe posta in perfetta sintonia con la propria tecnica, che se ne sarebbe servita in modo umano. Scheerbart credette di intravedere due condizioni essenziali per ché ciò si realizzasse, e cioè: che gli uomini abbandonassero l’idea poco nobile secondo cui essi erano chiamati a «sfruttare» le forze della natura; che essi, invece, si convincessero che la tecnica, libe rando gli uomini, potesse liberare fraternamente, per mezzo di lo ro, l’intera creazione. Vediamo il più importante di questi romanzi, intitolato Lesabéndio^. L’azione si svolge su un asteroide di nome Pallas. Gli es seri che lo popolano non hanno sesso. I Pallasiani neonati si tro vano nelle viscere del loro astro, racchiusi in due gusci di noce. I ‘ Cfr. PAUL SCHEERBART, Lesabéndio, Ein Asterotàen-roman, Georg Miiller, Munchen 1913 [trad. it. Lesabéndio, Editori Riuniti, Roma 1982] [N.
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primi suoni che essi emetteranno alla comparsa della luce forme ranno i loro nomi specifici, come ad esempio Biba, Bombimba, Labu, Sofanti, Lesabéndio. Il pianeta Pallas è piccolo; sul suo lato nord e sul suo lato sud si trovano due vasti imbuti al cui interno si rifugiano le varie migliaia di abitanti. I Pallasiani si industriano ad abbellire il proprio astro; ne modulano le superfici, dotandole per così dire di «siti» dalle forme cristalline o di altro genere. A un certo punto arriva Lesabéndio che ha l’idea di elevare una tor re al di sopra dell’imbuto settentrionale (che mediante un tunnel comunica con l’imbuto meridionale). In origine questa costruzio ne non ha una destinazione precisa. Ci si accorgerà soltanto mol to dopo a che cosa essa dovrà servire. (Così la Tour Eiffel ha tro vato la sua destinazione attuale una trentina d ’armi dopo la sua erezione.) La torre di Lesabéndio dovrà unire indissolubilmente il sistema-di-tronco dell’asteroide al suo sistema-di-testa che gli flut tua sopra, in forma di nube luminosa. Ma questa restìtutio in ìntegrum del pianeta PaUas potrà riuscire soltanto a patto che Lesa béndio accetti di dissolversi nel corpo del suo stesso astro. Men tre in precedenza gli abitanti di PaUas hanno conosciuto una morte esente dal dolore dissolvendosi nel corpo di uno dei propri fratel li più giovani, ormai essi accetteranno il dolore grazie a Lesabén dio che, con la propria fine, dovrà essere il primo a provarlo. La torre, aumentando di giorno in giorno grazie all’intraprendenza dei Palladiani, porterà dei cambiamenti nell’ordine stellare. In pa ri tempo, il dissolversi del suo architetto nel proprio astro inizierà a cambiare il ritmo di quest’ultimo. Esso si risveglierà a una nuo va vita, tutta rivolta verso i propri astri-frateUi. Sognerà ormai di formare, unito a loro, soltanto una maglia nell’anello di asteroidi che dovrà, un giorno, cingere il Sole. La grande trovata di Scheerbart sarà stata quella di far perora re attraverso gli astri, presso gli uomini, la causa della creazione. Lo si era già sentito perorare attraverso la voce degli animali. Ma che un «poeta» faccia degli astri i porta-parola della creazione te stimonia di un sentimento altissimo. Ciò dimostra, del resto, fino a qual punto questo scrittore fosse riuscito a liberarsi delle scorie del sentimentalismo. Ne è prova il suo stesso stile. Esso ha la fre schezza delle gote del lattante. Al tempo stesso è di una traspa renza tale per cui si comprende per quale motivo Scheerbart sia stato il primo ad auspicare l’avvento dell’architettura di vetro^ ^ Cfr. ID., Glasarchitektur, Gebrùder Mann Verlag, Berlin 2000 [trad. it. Architettura di vetro, Adelphi, Mflano 1982] [N.d.T.].
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che dopo la sua morte sarebbe stata bandita, in quanto sovversi va, dal proprio paese. La serenità dolcemente stupefatta con cui l’autore riferisce le leggi naturali degli altri mondi, le grandi opere cosmiche che vi si intraprendono, le conversazioni nobilmente ingenue dei loro abi tanti fanno di lui uno di quegli umoristi che, come Lichtenberg o Jean Paul, non paiono mai dimenticare che la terra è un astro. Ri ferendo i grandi avvenimenti della creazione egli sembra a volte il fratello gemello di Fourier. Nelle stravaganti fantasie sul mondo degli Armonici c’è tanta celia nei confronti dell’umanità attuale quanta fede nell’umanità futura. Nel «poeta» tedesco, i due aspet ti sono parimenti distribuiti. E poco verosimile che l’utopista te desco abbia conosciuto l’opera dell’utopista frances.e. Ma l’imma gine del pianeta Mercurio che insegna la lingua natale agli Armo nici avrebbe sicuramente saputo incantare Scheerbart.
Una lettera di Walter Benjamin su Lo sguardo di Georges Salles
Le scrivo ancora affascinato dal libro che lei mi ha dato da por tare via. Dopo essermi congedato da lei, l’altro giorno, sono en trato in un caffè e ho tirato fuori Lo sguardo. Devo dirle che l’incadtesimo ha funzionato sin dalla prima pagina. In parte, certa mente, per il piacere di vedervi scompigliati, grazie al paragone tra l’arte culinaria e l’Arte, parecchi luoghi comuni. La frivolezza di quell’incipit non è una critica a quanto vi è di serio nell’opera d’ar te ma piuttosto a quanto vi è di convenzionale nel nostro modo di parlarne. Inoltre fa pensare a un autore che discorra sensatamen te di argomenti culinari, il che non deve dispiacerle. La peculiarità fondamentale di Georges Salles potrebbe proprio essere una somma ingenuità nella ricezione dell’opera d’arte. In ogni caso, è il dono che vorrebbe anzitutto trasmettere al pubbli co. Chi non lo approverebbe tra quanti sono sempre spiacevol mente colpiti dallo spettacolo offerto, a una mostra alla moda, dal grande pubblico - frettoloso nel percorrerla, impaziente di perve nire a un giudizio e carente nei termini per enunciarlo ? Non si può quindi che convenire con Georges Salles quando, riassumendo cer ti esperimenti effettuati al Louvre, giunge a scrivere: «Un museo davvero educativo avrà lo scopo primario di affinare le nostre per cezioni, il che probabilmente non è difficile per un popolo che, se incoraggiato, saprà apprezzare le sue ceramiche o i suoi quadri quanto i suoi vini». Se la presa di coscienza e la capacità di articolazione nella gioia dei sensi sono virtù francesi, si può pensare che ciò che viene così definito dall’autore sia un programma es senzialmente francese. Questo programma dovrebbe contemplare i più vari aspetti. Ma uno è fra tutti il più prezioso: essere accessibili al fascino che può conferire alle opere l’azione del tempo. (Anche qui il paragone fra gli estimatori di vini pregiati e di creazioni artistiche non sarebbe fuori luogo.) L’azione del tempo, a proposito, mi sembra operi su un duplice piano, sul piano spirituale quanto su quello materiale.
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E se volessi muovere un appunto a Georges Salles, sarebbe di non averci detto nulla del primo, poiché sono certo che ce ne avrebbe parlato con un accento non meno commovente che del secondo. (Un giorno Gide ha individuato il carattere essenziale dei capola vori nel fatto che, grazie alla loro sopravvivenza, sono soggetti a un’azione spirituale del tempo. «Ciò che di straordinario hanno i grandi autori è che permettono alle generazioni successive di non capirsi».) Georges Salles insiste piuttosto su un’azione del tempo grazie alla quale le opere si vedranno compiute nella loro materia lità. Confessa di avere spesso «preferito all’individualità netta del l’oggetto nuovo il pezzo smussato, che l’età ha assestato nella sua forma essenziale». E il modo di vedere di un occhio riflessivo, di un occhio immerso negli anni profondi da cui ci salutano (come la luce di un astro spento da tempo) quelle «creature scomparse dal lo sguardo familiare» che sono le opere. L’autore avrebbe potuto far suoi i versi di Victor Hugo‘: N o, il tempo nulla toglie alle cose. Più di un peristilio a torto celebrato Nelle sue lente metamorfosi Giunge finalmente alla bellezza.
[...] E il tempo a scavare una ruga In un troppo misero cuneo; A passare l ’accorto pollice Sullo spigolo di un arido marmo.
Credo di aver davvero capito quanto lei apprezzi il libro di Georges SaUes. Devo perciò, in certo modo, scusarmi di accostar lo a un autore che a quanto so non le piace molto. Tuttavia mi pa re difficile non menzionare, parlando di Lo sguardo, il nome di Proust. Non si è insìstito molto sull’elemento parigino in Proust. Eppure è proprio una sensibilità squisitamente urbana a far spri gionare un profumo di violette dal grigiore di rue de Parme o a in durre il narratore a studiare il balletto dei tre campanili di Méséglise^. Lo stesso per Salles. Basta leggere il suo ultimo capitolo per comprendere sino a che punto la sua sensibilità artistica sia quel la di un uomo avvezzo alle scosse e alle vertigini a cui espone il tur binio delle metropoli. Lo sguardo è un libro molto parigino, e che vuol essere tale. Attento alla «Bellezza che viene da lontano e si ‘ Cft. A l ’Arc de Triomphe, parte V, in Lei voix intérieures (1837) [N.d.T.]. ^ È verosimile che Benjamin pensi ai «clochers de Martinville» che Proust cita in La strada di Swann [N.<^.T.].
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prolunga nel tempo», SaUes è sordamente travagliato dal deside rio di sapere «sotto quale aspetto rinascerà nella prospettiva dei secoli» il paesaggio in cui vive «quell’uomo dal cappello floscio, quel taxi in partenza, quelle gru sull’alzaia», e lui che li guarda. Perché, insomma, non confessarle che ho una ragione persona lissima per amare questo libro ? Ho avuto una serie di anni in cui i più dolci trasporti mi sono stati ispirati dai pezzi di una colle zione che avevo raccolto con ardente passione. Da quando, sette anni fa, ho dovuto separarmene, non ho più conosciuto quella bru ma che, formandosi d ’interno della cosa bella e desiderata, ti ine bria. Ma la nostalgia di quell’ebbrezza mi è rimasta. Non avendo avuto né la forza né il coraggio di ricostituirmi una collezione, in me si è verificato un transfert. Grazie al quale passioni che un tempo si rivolgevano a pezzi che mi ossessionavano hanno devia to verso una ricerca astratta, verso l’essenza della Collezione stes sa. O verso quel misterioso genere d ’uomo che può dire, con Léon Deubel: «Credo [...] alla mia anima: la Cosa». Metterò il libro di Georges Salles proprio nel laboratorio di queste ricerche, accan to a certe pagine del Cugino Pons o della Bottega dell’antiquario di Dickens. Poiché parla dei collezionisti come non se ne è parlato molto. Del resto, ti fa capire una cosa essenziale: che il senso del l’arte non può costituirsi in chi non possegga personalmente al meno una cosa bella. In Georges Salles, a una sensibilità intransigente, dalle reazio ni inappellabili, fa riscontro un giudizio che, trascurando la facile erudizione, imbocca i percorsi indiretti dell’intelligenza teorica. «La verità», infatti, «non sta nell’immediato; e neppure neU’insolito». Ecco il linguaggio di uno scrittore per il quale la dialettica non è una nozione libresca ma una cosa sperimentata nella vita. Ecco perché Lo sguardo si ricollega non soltanto alle nostre tenta zioni più sottili ma ai nostri più ardui tentativi. A riprova citerò solo il capitolo «La scuola», in cui Georges Salles delinea, in uno schizzo possente e ardito, ciò che potremmo chiamare la storia del la percezione umana. «Ogni occhio è abitato, il nostro come quello dei popoli primitivi. A ogni istante esso modella il mondo secon do lo schema del suo cosmo». Illuminazioni simili le troviamo in Riegl, il magnifico storico delle arti minori nel periodo della deca denza. Accostandole a un «disturbo ottico», a un «capovolgimen to visivo» cui oggi ci fa assistere l’arte contemporanea, Georges Salles dà a quelle illuminazioni un nuovo splendore. Passi come questi fanno percepire l’autentica profondità di questo libriccino che non cerca di apparire profondo.
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Georges Salles ricorda quei collezionisti che, accogliendovi a casa, non sfoggiano i loro tesori. A malapena si direbbe che li mo strano. Li fanno vedere.
Sul concetto di storia
Si narra che sarebbe esistito un automa costruito in modo tale da reagire a ogni mossa di un giocatore di scacchi con una contro mossa che gli assicurava la vittoria. Un manichino vestito da tur co, con un narghilè in bocca, sedeva davanti alla scacchiera, posta su un ampio tavolo. Con un sistema di specchi veniva data l’illu sione che vi si potesse guardare attraverso da ogni lato. In verità c’era seduto dentro un nano gobbo, maestro nel gioco degli scac chi, che guidava per mezzo di fili la mano del manichino. Un cor rispettivo di questo congegno si può immaginare nella filosofia. Vincere deve sempre il manichino detto «materialismo storico». Esso può competere senz’altro con chiunque se prende al suo ser vizio la teologia, che oggi, com’è a tutti noto, è piccola e brutta, e tra l’altro non deve lasciarsi vedere.
n. «Una delle peculiarità più notevoli dell’animo umano, - dice Lotze, - è, accanto a un così grande egoismo nel singolo, la gene rale mancanza d’invidia di ogni presente per il proprio futuro». Questa riflessione comporta che l’immagine di felicità che custo diamo in noi è del tutto intrisa del colore del tempo in cui ci ha oramai relegati il corso della nostra esistenza. Felicità che potreb be risvegliare in noi l’invidia c’è solo nell’aria che abbiamo respi rato, con le persone a cui avremmo potuto parlare, con le donne che avrebbero potuto darsi a noi. In altre parole, nell’idea di feli cità risuona ineliminabile l’idea di redenzione. Ed è lo stesso per l’idea che la storia ha del passato. Il passato reca con sé un indice segreto che lo rinvia alla redenzione. Non sfiora forse anche noi un soffio dell’aria che spirava attorno a quelH prima di noi? Non c’è, nelle voci cui prestiamo ascolto, un’eco di voci ora mute? Le donne che corteggiamo non hanno delle sorelle da loro non più co
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nosciute ? Se è cosf, allora esiste un appuntamento misterioso tra le generazioni che sono state e la nostra. Allora noi siamo stati at tesi suUa terra. Allora a noi, come a ogni generazione che fu pri ma di noi, è stata consegnata una debole forza messianica, a cui il passato ha diritto. Questo diritto non si può eludere a poco prez zo. Il materialista storico ne sa qualcosa. ni. Il cronista che racconta gli avvenimenti, senza distinguere tra grandi e piccoli, tiene conto della verità che per la storia nulla di ciò che è avvenuto dev’essere mai dato per perso. Certo, solo a una umanità redenta tocca in eredità piena il suo passato. Il che vuol dire: solo a una umanità redenta il passato è divenuto citabi le in ciascuno dei suoi momenti. Ognuno dei suoi attimi vissuti di venta una «citation à l’ordre du jour» - giorno che è appunto il giorno del giudizio. IV.
Cercate innanzitutto cibo e vesti, e il regno di Dio vi sarà dato in sovrappiù. HEGEL, 1807. La lotta di classe, che è sempre davanti agli occhi di uno stori co che si è formato su Marx, è una lotta per le cose rozze e mate riali, senza le quali non si dànno cose fini e spirituali. Queste ul time, però, sono presenti nella lotta di classe altrimenti dall’idea di una preda che tocca al vincitore. In questa lotta esse sono vive come fiducia, coraggio, gaiezza, astuzia, perseveranza, e operano a ritroso nella lontananza del tempo. Esse metteranno sempre di nuovo in discussione ogni vittoria che mai sia toccata a chi è al po tere. Come i fiori volgono il capo verso il sole, cosf, per un eliotropismo di natura misteriosa, ciò che è stato tende a rivolgersi verso quel sole che sta per sorgere nel cielo della storia. Di questo, che tra tutti i mutamenti è il meno appariscente, deve intendersi il materialista storico.
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V.
La vera immagine del passato guizza via. È solo come immagi ne che balena, per non più comparire, proprio nell’attimo della sua conoscibilità che il passato è da trattenere. «La verità non ci sfug girà»: questa proposizione, che è di Gottfried Keller, definisce con esattezza, nel quadro storico dello storicismo, il punto in cui que sto quadro vien fatto deflagrare dal materialismo storico. Perché sarebbe un quadro irrecuperabile del passato, che minaccerebbe di scomparire insieme con qualsiasi presente, il quale non si rico noscesse implicito in esso.
VI.
Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo «pro prio come è stato davvero». Vuole dire impossessarsi di un ricor do cosi come balena in un attimo di pericolo. Per il materialismo storico l’importante è trattenere un’immagine del passato nel mo do in cui s’impone imprevista nell’attimo del pericolo, che minac cia tanto l’esistenza stessa della tradizione quanto i suoi destina tari. Per entrambi il pericolo è uno solo: prestarsi a essere stru mento della classe dominante. In ogni epoca bisogna tentare di strappare nuovamente la trasmissione del passato al conformismo che è sul punto di soggiogarla. Il messia infatti viene non solo co me il redentore, ma anche come colui che sconfigge l’Anticristo. Il dono di riattizzare nel passato la scintilla della speranza è pre sente solo in quello storico che è compenetrato dall’idea che nep pure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince. E questo ne mico non ha smesso di vincere. vn. Considerate la tenebra e il grande freddo in questa valle di grida e di strazio. BRECHT,
Opera da tre soldi.
Fustel de Coulanges raccomanda, allo storico che voglia rivive re un’epoca, di togliersi dalla testa tutto ciò che sa del corso suc cessivo della storia. Meglio non si potrebbe designare il procedi-
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mento con il quale il materialismo storico ha rotto. È un procedi mento di immedesimazione emotiva. La sua origine è l’ignavia del cuore, Vacedia, che dispera di impadronirsi dell’immagine storica autentica, che balena fugacemente. Per i teologi del Medioevo es sa era tl fondamento originario della tristezza. Flaubert, che ne aveva conoscenza, scrive: «Peu de gens devineront combien il a fallu étre triste pour [entreprendre de] ressusciter Carthage». La natura di questa tristezza diventa più chiara se ci si chiede con chi poi propriamente s’immedesimi lo storiografo dello storicismo. La risposta non può non essere: con il vincitore. Quelli che di volta in volta dominano sono però gli eredi di tutti coloro che hanno vinto sempre. L’immedesimazione con il vincitore torna perciò sempre a vantaggio dei dominatori di turno. Con ciò, per il mate rialista storico, si è detto abbastanza. Chiunque abbia riportato si nora vittoria partecipa al corteo trionfale dei dominatori di oggi, che calpesta coloro che oggi giacciono a terra. Anche il bottino, come si è sempre usato, viene trasportato nel corteo trionfale. Lo si definisce patrimonio culturale. Esso dovrà tener conto di avere nel materialista storico un osservatore distaccato. Perché tutto ciò, deve la sua esistenza non soltanto alla fatica dei grandi geni che l’hanno creato, ma anche all’anonima servitù dei loro contempo ranei. Non è mai un documento della cultura senza essere insieme un documento della barbarie. Nella misura del possibile il mate rialista storico, quindi, ne prende le distanze. Considera suo com pito spazzolare la storia contropelo. vm. La tradizione degli oppressi ci insegna che lo «stato d’eccezio ne» in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo. Allora ci starà davanti, come nostro compito, di suscitare il vero stato d’eccezione, miglioran do così la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La cui chance sta, non da ultimo, nel fatto che gli oppositori lo affronta no in nome del progresso, come se questo fosse una norma della storia. - Lo stupore perché le cose che noi viviamo sono «ancora» possibili nel xx secolo non è filosofico. Non sta all’inizio di alcu na conoscenza, se non di questa: che l’idea di storia da cui deriva non è sostenibile.
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IX.
La mia ala è pronta al volo tornerei volentieri indietro perché, rimanessi anche tempo vivo, avrei poca felicità. GERHARD SCHOLEM, Saluto dall’angelo^. C’è im quadro di Klee che si chiama Angelus Novus^. Vi è rap presentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qual cosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la boc ca è aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. EgH vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nel le sue ali, ed è cosi forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spal le, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera. X.
I temi che la regola monastica assegnava ai frati per la medita zione avevano il compito di renderli estranei al mondo e alle sue faccende. Le riflessioni che veniamo svolgendo qui sono scaturite da un’analoga determinazione. In un momento in cui i politici nei quali avevano sperato gli oppositori del fascismo giacciono a terra e confermano la loro sconfitta col tradimento della loro stessa cau sa, esse si propongono di liberare i figli del secolo’ politici dalle pa‘ I versi provengono da una poesia ispirata all’amico Gershom Scholem (1897-1982) proprio dall’acquerello di Klee, di cui si parla in questa tesi. Il componimento, piuttosto enigmatico, fu inviato a Benjamin come dono di compleanno il 15 luglio 1921 [N.d.T.]. ^ L’acquerello fu dipinto da Paul Klee (1879-1940) nel 1920. Benjamin lo acquistò a Monaco nel maggio (o giugno) 1921. In un primo tempo rimase nell’appartamento mona cense di G. Scholem, e solo a fine novembre t9 2 i gli fu inviato a Berlino. Benjamin se ne separava a malincuore, lo tenne con sé durante l’esifio, e solo quando abbandonò Parigi per tentare l’espatrio lo affidò a Georges Bataille insieme alle sue carte. È conservato attual mente allo Israel Museum di Gerusalemme [N.d.T.]. ’ Nell’originale daspolitische Weltkind. Il termine Weltkind è inizialmente espressione
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stoie in cui quelli li hanno irretiti. Questa considerazione muove dal fatto che l’ottusa fede di quei politici nel progresso, il loro con fidare nella loro «base di massa», e infine il loro servile inquadra mento in un apparato incontrollabile, sono stati tre aspetti della stessa cosa. E cerca di dare l’idea di quanto costerà cara, al nostro pensiero abituale, una concezione della storia che eviti ogni com plicità con quella a cui si attengono ancora questi politici. XI.
Il conformismo, che fin dall’inizio è stato di casa nella socialdemocrazia, non è connesso solo con la sua tattica politica, ma an che con le sue idee economiche. Esso è una causa del suo succes sivo crollo. Non c’è nulla che abbia corrotto i lavoratori tedeschi quanto la persuasione di nuotare con la corrente. Per loro lo svi luppo tecnico era il favore della corrente con cui pensavano di nuo tare. Di qui era breve il passo all’illusione che il lavoro di fabbri ca, che si troverebbe nel solco del progresso tecnico, rappresenti un risultato politico. La vecchia morale protestante del lavoro fe steggiava, in forma secolarizzata, la sua resurrezione fra gli operai tedeschi. Il programma di Gotha porta già in sé tracce di questa confusione. Esso definisce il lavoro come «la fonte di ogni ric chezza e di ogni cultura». Presagendo il peggio, Marx vi contrap poneva il fatto che l’uomo che non ha altra proprietà se non la sua forza-lavoro, «non può non essere lo schiavo degli altri uomini che si sono fatti [...] proprietari». A scapito di questo, la confusione si espande ulteriormente, e poco dopo Josef Dietzgen annuncia; «Il salvatore dell’epoca moderna si chiama lavoro. Nel migliora mento [...] del lavoro [...] sta la ricchezza, che adesso può com piere ciò che nessun redentore ha finora compiuto». Questo con cetto volgarmarxistico di ciò che è il lavoro, non si sofferma a lun go sulla questione di come il prodotto del lavoro agisca sui lavoratori stessi finché essi non possono disporne: vuol tenere con to solo dei progressi del dominio della natura, non dei regressi del la società. Esso mostra già i tratti tecnocratici che più tardi s’in contreranno nel fascismo. A questi tratti appartiene anche un con cetto di natura che contrasta malauguratamente con quello delle cristiana (Lutero) per indicare i figK di questo mondo in contrapposizione ai credenti. È usato ancora in questo senso da Goethe in un famoso distico del 1774, incluso anche in Dichtung und Wahrheit, per distinguere se stesso dagli amici teologi J. C. Lavater e J. Basedow [N.(i.T.].
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Utopie socialiste prequarantottesche. Il lavoro, come ormai viene inteso, ha per sbocco lo sfruttamento della natura, che viene con trapposto, con ingenua soddisfazione, allo sfruttamento del pro letariato. Confrontate con questa concezione positivistica, le fan tasticherie che tanto hanno contribuito alla derisione di un Fourier, mostrano di avere un loro senso sorprendentemente sano. Secondo Fourier, il lavoro sociale ben organizzato avrebbe avuto come conseguenza che quattro lune illuminassero la notte terre stre, il ghiaccio si ritirasse dai poli, l’acqua di mare non sapesse più di sale, e gli animali feroci entrassero al servizio degli uomini. Tut to ciò illustra un lavoro che, ben lontano dallo sfruttare la natura, è in grado di sgravarla delle creazioni che, in quanto possibili, so no sopite nel suo grembo. Al concetto corrotto di lavoro appar tiene, come suo complemento, quella natura che, come ha detto Dietzgen, «è là gratuitamente». xn.
Abbiamo bisogno di storia, ma diversamente da come ne ha bi sogno il perdigiorno viziato nel giardino del sapere. NIETZSCHE,
Sull’utilità e il danno della stona per la vita.
Il soggetto della conoscenza storica è di per sé la classe oppres sa che lotta. In Marx essa figura come l’ultima classe resa schiava, come la classe vendicatrice, che porta a termine l’opera di libera zione in nome di generazioni di sconfitti. Questa coscienza, che si è fatta ancora valere per breve tempo nella Lega di Spartaco"', fu da sempre scandalosa per la socialdemocrazia, che nel corso di tre de cenni è riuscita a cancellare quasi del tutto il nome di un Blanqui, il cui suono squillante aveva scosso il secolo precedente. Essa si compiacque di assegnare alla classe operaia il ruolo di redentrice delle generazioni future. E recise così il nerbo della sua forza mi gliore. La classe disapprese, a questa scuola, tanto l’odio quanto la volontà di sacrificio. Entrambi infatti si alimentano all’immagine degli antenati asserviti, non all’ideale dei discendenti liberati. ■' Lo Spartakusbund fu costituito nel 1915 da Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Franz Mehring e altri esponenti antimilitaristi della sinistra socialdemocratica. Promosse il ten tativo rivoluzionario del novembre i g i S e i l i ® gennaio 1919 si stacco dal Partito socialdemocratico indipendente fondando la Kommunistìsche Partei Deutschlands. L’insurrezio ne armata degli spartachisti a Berlino fu repressa nel sangue il 15 gennaio 1919; K. Lieb knecht e R. Luxemburg furono assassinati [N.i^.T.].
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xm. Perché la nostra causa diventa ogni giorno più chiara, e il popo lo ogni giorno più intelligente. JOSEF DIET2 GEN,
Filosofìa socialdemocratica.
La teoria socialdemocratica, e ancor più la prassi, fu determi nata da un concetto di progresso che non si atteneva alla realtà, ma aveva ima pretesa dogmatica. Il progresso, come si rappresen tava nelle teste dei socialdemocratici, era, in primo luogo, un pro gresso dell’umanità stessa (e non solo delle sue abilità e conoscen ze). Era, in secondo luogo, un progresso interminabile (in corri spondenza a una perfettibilità infinita dell’umanità). Esso valeva, in terzo luogo, come un progresso essenzialmente inarrestabile (co me quello che descrive spontaneamente un percorso diritto o a spi rale). Ciascuno di questi predicati è controverso, e a ciascuno po trebbe applicarsi la critica. Però, se si fa sul serio, essa deve risa lire a monte di questi predicati e indirizzarsi a qualcosa che è loro comune. L’idea di un progresso del genere umano nella storia è in separabile dall’idea che la storia proceda percorrendo un tempo omogeneo e vuoto. La critica all’idea di tale procedere deve costi tuire il fondamento della critica all’idea stessa di progresso. XIV.
Origine è la meta. KARL KRAUS,
Paw k
in VCTSi I.
La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è costi tuito dal tempo omogeneo e vuoto, ma da quello riempito dell’adesso\ Cosi, per Robespierre, l’antica Roma era un passato carico di adesso, che egli estraeva a forza dal continuum della storia. La Rivoluzione francese pretendeva di essere una Roma ritornata. Es sa citava l’antica Roma esattamente come la moda cita un abito d ’altri tempi. La moda ha buon fiuto per ciò che è attuale, do vunque esso si muova nel folto di tempi lontani. Essa è il balzo di ’ Traduciamo con questo espediente grafico {adesso in corsivo) ogni volta che nei testo e nei materiali compare ]etztzeit, termine che significa in genere: «tempo presente», o «epo ca odierna», ma che Benjamin ha caricato di una valenza attualizzante più urgente e pre cisa [N.i.T.].
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tigre nel passato. Solo che ha luogo in un’arena in cui comanda la classe dominante. Lo stesso salto, sotto il cielo libero della storia, è il salto dialettico, e come tale Marx ha concepito la rivoluzione.
XV.
La consapevolezza di scardinare il continuum della storia è pro pria delle classi rivoluzionarie nell’attimo della loro azione. La grande rivoluzione introdusse un nuovo calendario. Il giorno inau gurale di un calendario funge da compendio storico accelerato. E, in fondo, è sempre lo stesso giorno che ritorna in figura dei gior ni di festa, che sono giorni della rammemorazione. Dunque i ca lendari non misurano il tempo come gli orologi: sono monumenti di una coscienza storica di cui in Europa da cento anni sembra non si diano più le minime tracce. Nella Rivoluzione di Luglio è acca duto un episodio in cui questa coscienza si fece ancora valere. Giunta la sera del primo giorno di scontri, avvenne che in più pun ti di Parigi, indipendentemente e contemporaneamente, si sparò contro gli orologi dei campanili. Un testimone oculare, che forse deve alla rima la sua divinazione, scrisse allora: Qui le croirait! on dit qu’irrités contre l’heure De nouveaux Josués, au pied de chaque tour, Tiraient sur les cadrans pour arréter le jour.
XVI.
Il materialista storico non può rinunciare al concetto di un pre sente che non è passaggio, ma nel quale il tempo è in equilibrio ed è giunto a un arresto. Questo concetto infatti definisce appunto quel presente in cui egli, per quanto lo riguarda, scrive storia. Lo storicismo offre l’immagine «eterna» del passato, il materialista storico un’esperienza con esso, che resta unica. Egli lascia agli al tri di sfiancarsi con la prostituta «C’era una volta» nel bordello dello storicismo. Egli rimane padrone delle sue forze: in grado di scardinare il continuum della storia.
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xvn. Lo storicismo culmina di diritto nella storia universale. Con es sa la storiografia materialistica contrasta metodologicamente for se in modo più chiaro che con ogni altra. La prima non ha alcuna armatura teoretica. Il suo procedimento è additivo; essa mobilita la massa dei fatti per riempire il tempo omogeneo e vuoto. Per con tro alla base della storiografia materialistica sta un principio co struttivo. Proprio del pensiero non è solo il movimento delle idee, ma anche il loro arresto. Quando il pensiero si arresta d ’improv viso in una costellazione satura di tensioni, le provoca un urto in forza del quale essa si cristallizza come monade. Il materialista sto rico si accosta a un oggetto storico solo ed esclusivamente allor quando questo gli si fa incontro come monade. In tale struttura egli riconosce il segno di ùn arresto messianico dell’accadere o, det to altrimenti, di una chance rivoluzionaria nella lotta a favore del passato oppresso. Egli se ne serve per far saltar fuori una certa epo ca dal corso omogeneo della storia; cosi fa saltar fuori una certa vi ta dalla sua epoca, una certa opera dal corpus delle opere di un au tore. Il profitto del suo procedere consiste nel fatto che in un'opera è custodita e conservata tutta l’opera, «e//*opera intera l’epoca e «e//’epoca l’intero corso della storia. Il frutto nutriente di ciò che viene compreso storicamente ha al suo interno, come seme prezio so ma privo di sapore, il tempo. xvm. «I miserabili cinquantamila anni dell’Aowo sapiens, - dice un biologo moderno, - rappresentano, in rapporto alla storia della vi ta organica sulla terra, qualcosa come due secondi al termine di una giornata di ventiquattro ore. La storia dell’umanità civilizza ta, riportata su questa scala, occuperebbe inoltre un quinto del l’ultimo secondo dell’ultima ora», h'adesso che, come modello del tempo messianico, riassume in un’immane abbreviazione la storia dell’intera umanità, coincide rigorosamente con la figvira che la storia dell’umanità fa nell’universo.
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A.
Lo storicismo si accontenta di stabilire un nesso causale fra mo menti diversi della storia. Ma nessuno stato di fatto è, in qualità di causa, già perciò storico. Lo è diventato, postumamente, attra verso circostanze che possono essere distanti migliaia di anni da esso. Lo storico che muove da qui cessa di lasciarsi scorrere tra le dita la successione delle circostanze come un rosario. Egli afferra la costellazione in cui la sua epoca è venuta a incontrarsi con una ben determinata epoca anteriore. Fonda così un concetto di pre sente come adesso, nel quale sono disseminate e incluse scheg ge del tempo messiaiùco. B.
Il tempo che gli indovini interrogavano, per carpirgli ciò che ce lava nel suo grembo, da loro non era certo sperimentato né come omogeneo né come vuoto. Chi tiene presente questo forse giunge a farsi un’idea di come il tempo passato è stato sperimentato nel la rammemorazione: e cioè proprio così. E noto che agli ebrei era vietato investigare il futuro. La Torah e la preghiera li istruiscono invece nella rammemorazione. Ciò liberava per loro dall’incante simo il futuro, quel futuro di cui sono succubi quanti cercano re sponsi presso gli indovini. Ma non perciò il futuro diventò per gli ebrei un tempo omogeneo e vuoto. Poiché in esso ogni secondo era la piccola porta attraverso la quale poteva entrare il messia.
[Appendice a S u l concetto di s to n a i
Per l’arresto messianico dell’accadere ci si potrebbe valere del la definizione che Focillon dà dello « stile classico»: «Brève minu te de pieine possession des formes, il se présente [...] comme un bonheur rapide, comme l’dx^iTi des Grecs: le fléau de la balance n’oscille plus que faiblement. Ce que fattends, ce n’est pas de la voir bientót de nouveau pencher, encore moins le moment de la fixité absolue, mais, dans le miracle de cette immobUité hésitante, le tremblement léger, imperceptible, qui m’indique qu’eUe vit». Henri Focillon, Vie des formes, Paris 1934, p. 18 Focillon suU’a?«t>re d ’art. «A l’istant où elle naìt, elle est phénomène de rupture. Une expression courante nous le fait vivement sentir: “faire date”, ce n’est pas intervenir passivement dans la chronologie, c’est brusquer le moment». Henri Focillon, Vie des formes, Paris 1934, p. 94 Il credo dello storicismo secondo Louis Dimier {Vévolution cantre Vesprit, Paris 1939, pp. 46-47) «C’est la curiosité du fait qui pousse à la recherche l’historien; c’est la curiosité du fait qui attire et charme son lecteur [...] Les témoignages [...] font qu’on ne peut douter de la chose, c’est leur enchaìnement naturel qui en consommé la persuasion [...] Le résultat est que le fait demeure entier, intact [...] Tout son art se résumé à n’y point toucher, à observer ce que Fustel de Coulanges a si bien nommé “la chasteté de l’histoire” ». - Va osservato che sullo sfondo di questo credo sta, in Dimier, l’idea dei témoignages dell’Antico e del Nuovo Testamen*Anche in questa sezione le parentesi graffe indicano i passi cancellati dall’autore, quel le quadre gli interventi dei curatori. Le sigle fra parentesi tonde (ad esempio N 8, i) ri mandano al Passagenwerk [N.d.T.].
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to, compresi quelli dei miracoli attestati, i quali nel capitolo ven gono difesi con grande sfoggio di sofismi. Il crasso positivismo di questa confessione di fede è quindi apparenza (cfr. p. 183). Dimier (pp. 76-84) contro il concetto dei progressi del genere umano: «Dans la nature physique, l’évolution n ’est pas indéfinie; elle a un terme. Le gland devient chéne et rien davantage [...] L’espèce, loin de survivre à l’individu, commence par mourir avec lui, [...] ainsi n ’étant le sujet d ’aucune continuité, elle ne peut ètre celui d ’aucun développement, encore moins d ’un développement dont l’individu ne forme aucune idée [...] Non seulement tout fondement, mais toute apparence manque, en prenant des exemples dans la nature physique, à la chimère d’évolution portée dans l’histoire des esprits [...] [par] Comte [...] C’est donc gratis qu’on don ne l’évolution pour une loi révélée par l’histoire; elle n’y est mème pas ébauchée. Cette lente formation de la morale et de la raison, dont on nous paye, ne ressort d’aucun témoignage [...] Rien n’est donc si semblable sous des figures diverses, que l’humanité de tous les temps. Le méme génie créateur à l’ceuvre, la méme impuissance [...] à n’en recueiUir que les bons fruits. On ne peut donc que tomber des nues quand [...] des professionels de la pensée ne laissent pas de découvrir dans ce progrès borné [...] et précaire, un mouvement de la “raison universelle” ». L’immedesimazione con ciò che è stato serve in ultima analisi alla sua attualizzazione. La tendenza a essa non a caso si accom pagna molto bene a una concezione positivistica della storia (co me si vede in Eduard Meyer). La proiezione di ciò che è stato nel presente è, nell’ambito della storia, analoga alla sostituzione di configurazioni identiche per i mutamenti del mondo fisico. Que sta sostituzione è stata evidenziata da Meyerson come fondamen to delle scienze naturali (De l ’explicatìon dans les sciences, Paris 1921). Quella proiezione è la quintessenza del carattere propria mente «scientifico» della storia in senso positivistico. Esso viene acquistato al prezzo della completa soppressione di tutto ciò che ricorda la destinazione originaria della storia come rammemora zione. La falsa vitalità deU’attualizzazione, l’espunzione dalla sto ria di ogni eco di «lamento», indica la sua definitiva sottomissio ne al concetto moderno di scienza. In altre parole: il proposito di rinvenire «leggi» per il corso de gli eventi nella storia non è l’unica e ancor meno la più sottile ma niera di assimilare la storiografia alla scienza naturale. L’idea che
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sia compito dello storico «attualizzare» il passato si rende colpe vole dello stesso raggiro ed è però molto meno facile da percepire. {ad xvna Nell’idea della società senza classi, Marx ha secolarizzato l’idea del tempo messianico. Ed era giusto cosi. La sciagura sopravviene per il fatto che la socialdemocrazia elevò a «ideale» questa idea. Nella dottrina neokantiana l’ideale veniva definito come un «com pito infinito». E questa dottrina è stata la scolastica del partito so cialdemocratico - da Schmidt a Stadler fino a Natorp e Vorlànder. Una volta definita la società senza classi come un compito in finito, il tempo omogeneo e vuoto si trasformò, per così dire, in un’anticamera nella quale si poteva attendere, con maggiore o mi nore tranquillità, l’ingresso della situazione rivoluzionaria. In realtà non vi è un solo attimo che non rechi con sé la propria chan ce rivoluzionaria - essa richiede soltanto di essere definita come una chance specifica, ossia come chance di una soluzione del tut to nuova, di fronte a un compito del tutto nuovo. Per il pensato re rivoluzionario la peculiare chance rivoluzionaria trae conferma dalla situazione politica. Ma per lui non trae minor conferma dal potere delle chiavi che tale attimo possiede su di una ben deter minata stanza del passato, fino ad allora chiusa. L’ingresso in que sta stanza coincide del tutto con l’azione politica; ed è ciò per cui essa, per quanto distruttiva possa essere, si dà a riconoscere come un’azione messianica. (La società senza classi non è la meta finale del progresso nella storia, ma ne è piuttosto l’interruzione, tante volte fallita e infine attuata.)} Il materialista storico, che indaga la struttura della storia, pra tica a suo modo una specie di analisi spettroscopica. Come il fisi co constata un raggio ultravioletto nello spettro solare, così egli con stata una forza messianica nella storia. Chi volesse sapere in che situazione si troverebbe r«umanità redenta», a quali condizioni sia sottoposto l’avvento di tale situazione, e in che momento sia possibile attenderselo, costui porrebbe domande alle quali non c’è risposta. Allo stesso modo potrebbe domandare di qude colore so no i raggi ultravioletti.
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Marx dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia uni versale. Ma forse le cose stanno in modo del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono il ricorso al freno d’emergenza da parte del ge nere umano in viaggio su questo treno. Nell’opera di Marx possiamo individuare tre concetti fondamentali, e considerare l’intera armatura teorica di tale opera come un tentativo di fondere insieme questi tre concetti. Si tratta del la lotta di classe del proletariato, del procedere dello sviluppo sto rico (cioè del progresso), e della società senza classi. In Marx la struttura dell’idea fondamentale si presenta in questi termini: at traverso una serie di lotte di classe, l’umanità, nel corso dello svi luppo storico, perviene a una società senza classi. = Ma la società senza classi non può essere concepita come punto finale di uno svi luppo storico. = Da questa erronea concezione è derivata, tra l’al tro, presso gli epigoni, l’idea della «situazione rivoluzionaria» che, come si sa, non volle mai giungere. = Al concetto di una società senza classi dev’essere restituito il suo volto messianico autentico, e questo proprio nell’interesse stesso della politica rivoluzionaria del proletariato. «La rivoluzione è la locomotiva della storia universale» (I viag giatori in carrozza) Il confidare nell’accumulazione quantitativa sta alla base tanto della ottusa fede nel progresso, quanto del confidare nella «base di massa». Rilevanza per la filosofia della storia e per la politica del con cetto di inversione della direzione. Il giorno del giudizio finale è un presente rivolto aU’indietro. Significato metodologico del confronto tra l’epoca di volta in volta trattata con la preistoria, come si trova sia nel lavoro sul film (nella caratterizzazione del valore cultuale) sia nel lavoro su Bau delaire (nella caratterizzazione dell’aura). Grazie a questo con fronto l’epoca di volta in volta trattata diviene solidale con il pre sente attuale dello storiografo.
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Nuove tesi B {La storia ha a che fare con connessioni e catene causali elabo rate a proprio piacimento. Ma in quanto essa dà un’idea della ci tabilità, in linea di principio, del suo oggetto, questo deve pre sentarsi, nella sua versione più elevata, come un attimo dell’uma nità. In esso il tempo deve essere arrestato.} L’immagine dialettica è un fulmine sferico che corre sopra l’in tero orizzonte del passato. {Articolare storicamente il passato significa: riconoscere nel pas sato ciò che viene a coincidere nella costellazione di un unico e identico attimo. La conoscenza storica è possibile soltanto ed esclu sivamente nell’attimo storico. Ma la conoscenza nell’attimo stori co è sempre la conoscenza di un attimo. Nel momento in cui il pas sato si contrae nell’attimo - nell’immagine dialettica -, esso entra a far parte del ricordo involontario dell’umanità.} {L’immagine dialettica deve essere definita come il ricordo in volontario dell’umanità redenta.} L’idea di una storia universale è legata a quella del progresso e a quella della cultura. Per poter essere infilati nella catena del pro gresso, tutti gli attimi della storia dell’umanità devono essere ri condotti al comun denominatore della cultura, dell’illuminismo, dello spirito oggettivo o come altro lo si possa chiamare. Nuove tesi C E solo quando il corso della storia scivola via liscio come un fi lo tra le mani dello storico che è lecito parlare di progresso. Se es so è invece una corda molto sfilacciata e svolta in mille matasse che pendono come trecce sciolte, nessuna di queste ha un posto determinato prima che tutte quante siano raccolte e intrecciate nell’acconciatura del capo. La concezione fondamentale del mito è il mondo come puni zione - una punizione che per prima crea a se stessa il proprio col pevole. L’eterno ritorno è la punizione del rimanere a scuola oltre il tempo proiettata su scala cosmica: l’umanità deve riscrivere il suo penso in innumerevoli ripetizioni. (P. Eluard: Répétitions [1922]) {L’eternità delle pene infernali ha infranto forse il più terribi le aculeo dell’idea antica dell’eterno ritorno. Essa colloca l’eter nità dei tormenti nella posizione in cui si trovava l’eternità di un corso ciclico.}
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{Ripensando ancora una volta nel xrx secolo il pensiero dell’e terno ritorno, Nietzsche si presenta come colui nel quale si adem pie ora il mitico decreto del fato. Infatti l’essenza dell’accadere mitico è il riproporsi. (Sisifo, Danaidi)} Nuove tesi H La sua dissoluzione in storia pragmatica non deve tornare a van taggio della storia della cultura. Del resto la concezione pragmati ca della storia non fallisce di fronte alle eventuali esigenze fatte valere dalla «scienza esatta» in nome della legge causale. Fallisce di fronte a uno spostamento della prospettiva storica. Un tempo che non è più in grado di trasfigurare in modo originario le pro prie posizioni di dominio non ha più alcun rapporto con quella tra sfigurazione che tornava utHe alle posizioni di dominio del passa to. (Il soggetto che scrive storia è, in linea di diritto, quella parte dell’umanità la cui solidarietà abbraccia tutti gli oppressi. Quella parte che può correre il più grosso rischio teorico, perché ha me no di tutte da perdere siiì piano pratico.} {Non ogni storia universale è necessariamente reazionaria. Lo è una storia universale senza principio costruttivo. Il principio co struttivo della storia universale consente di rappresentarla nelle storie parziali. È, in altri termini, un principio monadologico. Es so esiste nella storia della salvezza.} {L’idea della prosa coincide con l’idea messianica della storia universale. (Leskov!)} Nuove tesi K «Organizzare il pessimismo vuol dire [...] scoprire nello spazio dell’agire politico [...] lo spazio immaginativo. Questo spazio im maginativo però non si può più assolutamente misurare in termi ni contemplativi [...] Questo spazio immaginativo cercato [...], il mondo di attualità universale e integrale. (Surrealismo) La redenzione è il lìmes del progresso. {Il mondo messianico è il mondo dell’attualità universale e in tegrale. Solo in esso si dà una storia universale. Ma non in quan to scritta, bensì in quanto festeggiata. Tale festa è depurata da ogni celebrazione. Essa non conosce canti di festa. La sua lingua è la prosa liberata, che ha fatto esplodere i vincoli della scrittura. (L’idea della prosa coincide con l’idea messianica della storia uni
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versale. Cfr. nel Narratore: i tipi di prosa d ’arte come spettro del la prosa storica.} {La molteplicità delle «storie» è strettamente affine, se non identica, alla molteplicità delle lingue. La storia universale nel suo senso odierno è sempre solo una sorta di esperanto. (Essa esprime la speranza del genere umano, esattamente come lo fa il nome di quella lingua universale).} Osservazione preliminare Nella rammemorazione facciamo un’esperienza che ci vieta di concepire la storia in modo fondamentalmente ateologico, per quanto non ci sia lecito tentare di scriverla in concetti teologici. (N 8, i). Il mio pensiero si rapporta alla teologia come la carta assorbente all’inchiostro. Ne è del tutto imbevuto. Se andasse, però, come vuole la carta assorbente, di ciò che vien scritto non rimarrebbe nulla. (N ya, 7). {Vi è un concetto di presente, secondo cui questo costituisce l’oggetto (intenzionale) di una profezia. Questo concetto è il (com plemento) correlato del concetto della storia quale viene ad appa rire fulmineamente. È un concetto interamente politico, e così vie ne definito anche da Turgot. E questo il senso esoterico del detto secondo cui lo storico è un profeta rivolto aU’indietro. Egli volta le spalle al proprio tempo; il suo sguardo di veggente si accende davanti alle vette degli eventi precedenti che svaniscono nel cre puscolo del passato. E a questo sguardo di veggente che il proprio tempo è più chiaramente presente di quanto non lo sia ai contem poranei che «tengono» il passo con lui.} Questioni di metodo m Con il rapido ritmo della tecnica, cui corrisponde una decadenza altrettanto rapida della tradizione, viene alla luce molto più velo cemente di prima, anzi già per l’epoca immediatamente successi va, l’apporto dell’inconscio collettivo, il volto arcaico di un’epo ca. Da qui lo sguardo surrealistico sulla storia. {Alla forma del nuovo mezzo di produzione, che all’inizio è an cora dominata da quella del vecchio (Marx), corrisponde nella so vrastruttura una coscienza onirica nella quale il nuovo si abbozza in configurazione fantastica. Michelet: «Chaque époque réve la suivante». Senza questa prefigurazione fantastica nella coscienza
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onirica non nasce nulla di nuovo. Però le sue manifestazioni non si trovano soltanto nell’arte. E decisivo per il xix secolo che la fan tasia ovunque oltrepassi i confini dell’arte.} {Problema della tradizione i} La dialettica in posizione di arresto (Aporia fondamentale: «La tradizione come il dìscontìnuum del passato in opposizione alla storia come il continuum degli eventi». - «Può darsi che la continuità della tradizione sia apparenza. Ma allora è proprio la costanza di questa apparenza di costanza a crea re in lei una continuità».) (Aporia fondamentale: «La storia degli oppressi è un discontinuuTH». - «Compito della storia è impossessarsi della tradizione degli oppressi».) Ancora su questa aporia: «Il continuum della storia è quello de gli oppressori. Mentre l’idea di un continuum livella al suolo ogni cosa, l’idea del discontinuum è il fondamento della vera tradizio ne». - {La consapevolezza di una discontinuità storica è la pecu liarità delle classi rivoluzionarie nell’attimo della loro azione. D’al tra parte sussiste però un nesso strettissimo tra l’azione rivoluzio naria di una classe e il concetto che questa classe ha (non solo della storia a venire, ma anche) della storia passata. Ciò è solo appa rentemente una contraddizione: la rivoluzione francese risali, sca valcando l’abisso di due millenni, fino alla repubblica romana.} Problema della tradizione n Il proletariato non trovò nessuna corrispondenza storica con la propria coscienza di un nuovo inizio. Non ebbe luogo nessun ri cordo. (Si cercò di crearlo artificialmente, in opere come la Geschichte derBauemkriege [Storia delle guerre contadine] di Zimmermann e simili. Ma ciò non ebbe successo.) {E nella tradizione degli oppressi che la classe operaia compare come l’ultima classe asservita, come la classe vendicatrice e libe ratrice. Questa coscienza è stata abbandonata dalla socialdemo crazia fin dall’inizio. Essa assegnò alla classe operaia il ruolo di re dentrice delle generazioni a venire. E recise così il nerbo della sua forza. La classe disapprese a questa scuola tanto l’odio quanto la capacità di sacrificio. Entrambi infatti si alimentano più alla vera immagine degli antenati asserviti che all’immagine ideale della po sterità liberata. Agli inizi della rivoluzione russa ve ne era viva
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consapevolezza. La frase: «nessuna gloria ai vincitori, nessuna pietà ai vinti», è cosf toccante perché porta a espressione più una solidarietà con i fratelli morti che una solidarietà con i posteri. «Amo la generazione dei secoli a venire» scrive il giovane Hòlderlin. Ma questa non è al contempo un’ammissione della congenita debolezza della borghesia tedesca?} L’adesso della conoscibilità Il detto che lo storico è un profeta rivolto all’indietro può es sere inteso in due modi diversi. L’interpretazione tradizionale ri tiene che lo storico, trasferendosi in un remoto passato, profetiz zi quello che per quest’ultimo era ancora un futuro, ma che nel frattempo è divenuto anch’esso un passato. Questa concezione cor risponde in modo molto preciso alla teoria dell’immedesimazione storica, che Fustel de Coulanges ha espresso col consiglio: « Si vous voulez revivre une époque, oubliez que vous savez ce qui s’est passé après elle». - Si può però interpretare quel detto anche in un modo del tutto diverso, intendendolo cosf: lo storico volta le spal le al proprio tempo, e il suo sguardo di veggente si accende davanti alle vette delle generazioni umane antecedenti,^ che vanno sempre più dileguandosi nelle profondità del passato. E appunto a questo sguardo di veggente che il proprio tempo è presente ben più chia ramente che ai contemporanei che «tengono il passo con lui». Non per nulla Turgot definisce il concetto di un presente che costitui sce l’oggetto intenzionale di una profezia, come un concetto es senzialmente e interamente politico. «Prima che noi ci siamo po tuti informare su un dato stato di cose, dice Turgot, questo si è già trasformato più volte. Così è sempre troppo tardi che veniamo a sapere quel che è accaduto. E per questo si può dire della politi ca che essa è costretta, per cosi dire, a prevedere il presente». E precisamente questo concetto di presente che sta a fondamento dell’attualità della storiografia autentica. (N 8a, 3 - N laa, i). Chi va a frugare nel passato come in un ripostiglio di esempi e di ana logie, non ha la benché minima idea di quanto, in un dato attimo, dipenda dalla loro attualizzazione. L’immagine dialettica (Se si vuole considerare la storia come un testo, allora vale per essa ciò che un autore recente dice dei testi letterari: il passato vi ha depositato immagini che si potrebbero paragonare a quelle che
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vengono fissate da una lastra fotosensibile. « Solo il futuro ha a sua disposizione acidi abbastanza forti da sviluppare questa lastra co sì che l’immagine venga ad apparire in tutti i suoi dettagli. Non poche pagine di Marivaux e di Rousseau possiedono un senso mi sterioso, che i lettori contemporanei non hanno potuto decifrare pienamente» (Monglond, N 15a, i). Il metodo storico è un metodo filologico che ha a suo fonda mento il libro della vita. «Leggere quello che non è mai stato scrit to», ha detto Hofmannsthal. Il lettore al quale qui bisogna pen sare è il vero storico.) {La molteplicità delle storie è analoga alla molteplicità delle lin gue. La storia universale nel suo senso odierno può essere sempre solo una specie di esperanto. L’idea di storia universale è un’idea messianica.) {Il mondo messianico è il mondo dell’attualità universale e in tegrale. Solo, in esso si dà una storia universale. Ma non in quan to scritta, bensì in quanto festeggiata. Tale festa è depurata da ogni celebrazione. Essa non conosce canti di festa. La sua lingua è la prosa integrale, che ha fatto esplodere i vincoli della scrittura ed è compresa da tutti gli uomini (così come la lingua degli uccel li lo è dai fortunati). - L’idea della prosa coincide con l’idea mes sianica della storia universale (i tipi di prosa d’arte come spettro della storia universale - nel Narratore.] Critiche Critica del progresso - sull’allegoria Critica della storia della cultura e della storia della letteratura Critica della storia universale Critica dell’immedesimazione - critica storica - citazione - im putazione - introduzione Critica della celebrazione Critica della storia in compartimenti Critica della teoria del progresso infinito Critica della teoria del progresso automatico Critica della teoria di un possibile progresso in tutti i campi. Nessun progresso nell’arte, in base al suo elemento profetico. Dif ferenze tra progressi deU’incivUimento - ma dov’è il metro comu ne ? - e progressi morali per i quali sembrano utili il metro della volontà pura e del carattere intelleggibile come oggetto! Critica della teoria del progresso in Marx. Il progresso là defi nito dal dispiegarsi delle forze produttive. Ma tra queste rientra
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l’uomo, ovvero il proletariato. Con ciò la questione del criterio vie ne soltanto rimandata. B 14
Il mondo messianico è il mondo dell’attualità universale e inte grale. Solo in esso si dà una storia universale. Ciò che oggi si designa con questo nome può essere sempre solo una sorta di esperanto. A essa [storia universale] non può corrispondere nulla, finché non sia ricomposta la confusione derivante dalla torre di Babele. Essa pre suppone la lingua in cui si possa tradurre integralmente ogni testo di una lingua morta o vivente. O meglio, essa stessa è questa lingua. Ma non in quanto [storia] scritta, bensì in quanto [storia] festeggia ta. Tale festa è depurata da ogni celebrazione e non conosce canti di festa. La sua lingua è l’idea della prosa stessa, che è compresa da tut ti gli uomini, così come dai fortunati la lingua degli uccelli. A
iHume perpetuo è un’immagine dell’esistenza storica autenti ca. E l’immagine dell’umanità redenta - della fiamma che viene accesa il giorno del giudizio finale e che trova nutrimento in tut to ciò che è accaduto tra gli uomini. {La grande rivoluzione citava l’antica Roma] {Connessione tra l’ottusa fede nel progresso e la fiducia nella base di massa: l’accumulazione quantitativa deve farcela.) {«La rivoluzione è la locomotiva della storia universale», i viag giatori in carrozza} {I momenti distruttivi: demolizione della storia universale, eli minazione dell’elemento epico, nessuna immedesimazione con il vincitore. La storia dev’essere spazzolata contropelo. La storia del la cultura come tale viene a. cadere: dev’essere integrata nella sto ria delle lotte di classe.} {Esempio di immagine storica autentica: «Ai posteri^». Dai po steri non pretendiamo ringraziamenti per le nostre vittorie, ma la rammemorazione delle nostre sconfitte.} Questa è consolazione: consolazione che si dà solo per quelli che non hanno più speranza di consolazione ^ Benjamin si riferisce alla poesia An die Nachgeborenen di Bertolt Brecht [N.ii.T.].
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{«Considerate la tenebra e il grande freddo In questa valle di grida e di strazio». (A proposito di immede simazione con il vincitore)} {La moda come citazione di costumi d’altri tempi (da tener pre sente anche nell’interpretazione del passo di Blanqui suUa cri nolina)} Un’idea di storia che si fosse liberata dallo schema della pro gressione in un tempo omogeneo e vuoto riporterebbe finalmente in campo le energie distruttive del materialismo storico, che per tanto tempo sono state paralizzate. Comincerebbero così a vacil lare le tre posizioni più importanti dello storicismo. Il primo col po dev’essere portato contro l’idea della storia universale. L’idea che la storia del genere umano sia composta dalle storie dei popo li è una scappatoia della pura e semplice pigrizia del pensiero, og gi che l’essenza dei popoli è oscurata taiito dalla loro attuale strut tura quanto dai loro attuali rapporti reciproci. (L’idea di una sto ria universale sta e cade con l’idea di una lingua universale. Finché quest’ultima possedeva un fondamento, fosse esso teologico, co me nel Medioevo, oppure logico, come da ultimo in Leibniz, la storia universale non era un’idea impossibile. Invece, come è sta ta praticata a partire dal secolo scorso, la storia universale può es sere sempre solo una sorta di esperanto). - La seconda postazione dello storicismo va vista nell’idea che la storia sia qualcosa che si possa narrare. In un’indagine materialistica il momento epico verrà inevitabilmente fatto esplodere nel corso della costruzione. La li quidazione dell’elemento epico va messa in conto, come ha fatto Marx, in qualità di autore, nel Capitale. Egli riconobbe che la sto ria del capitale si poteva costruire solo entro l’imponente armatu ra d ’acciaio di una teoria. Nello schizzo teorico del lavoro sotto il dominio del capitale, che Marx fissa nella sua opera, gli interessi dell’umanità sono soppressi e conservati meglio che nelle opere monumentali e meticolose, ma in fondo placide, dello storicismo. E più difficile onorare la memoria dei senza nome che non quella degli uomini famosi {e celebrati, ivi compresi i poeti e i pensato ri. Alla memoria dei senza nome è consacrata la costruzione stori ca. - Il terzo bastione dello storicismo è il più forte e il più diffi cile da assalire. Si presenta come la «immedesimazione con il vin citore». Quelli che di volta in volta dominano sono gli eredi di tutti coloro che hanno sempre vinto nella storia. L’immedesimazione con il vincitore torna sempre a vantaggio dei dominatori di
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turno. Il materialista storico rispetta questo dato di fatto. Egli si rende anche conto che questo dato di fatto è saldamente motiva to. Chiunque fino a oggi abbia conquistato la vittoria, nelle mille battaglie di cui la storia è intessuta, ha la sua parte nei trionfi dei dominatori di oggi sui dominati di oggi. L’inventario del bottino che i primi mettono in mostra davanti ai secondi non verrà ispe zionato dal materialista storico se non in modo molto critico. Que sto inventario viene chiamato cultura. Tutto ciò che il materiali sta storico coglie, con uno sguardo d’insieme, del patrimonio cul turale gli rivela una provenienza che non può meditare senza orrore. Tutto questo deve la sua esistenza non [solo] alla fatica dei grandi geni che l’hanno fatto, ma anche al servaggio senza nome dei loro contemporanei. Non è mai un documento della cultura senza essere insieme un documento della barbarie. Il materialista storico mantiene le distanze da esso. Egli ha da spazzolare con tropelo la storia - dovesse anche ricorrere alle molle per il fuoco.} {Forza dell’odio in Marx. Combattività della classe operaia. Connettere la distruzione rivoluzionaria con l’idea della reden zione. (Necaev, I demoni)} {Sussiste un nesso strettissimo tra l’azione storica di una classe e il concetto che questa classe ha non solo della storia a venire, ma anche della storia passata. Solo in apparenza ciò è in contraddi zione con la constatazione che la consapevolezza di una disconti nuità storica è peculiarità delle classi rivoluzionarie nell’attimo del la loro azione. Qui infatti le corrispondenze storiche non manca no: Roma per la rivoluzione francese. Per il proletariato questo nesso è interrotto: la coscienza del nuovo inizio non trovò nessu na corrispondenza storica, non ebbe luogo nessun ricordo. All’i nizio si cercò di crearlo (cfr. Geschichte der Bauemkrìege di Zimmermann). Mentre l’idea del continuum livella al suolo ogni cosa, l’idea del discontinuum è il fondamento della vera tradizione. Oc corre mostrare il nesso del sentimento di un nuovo inizio con la tradizione.} {L’elemento distruttivo o critico nella storiografia si esplica nel lo scardinare la continuità storica. La storiografia autentica non sceglie il suo oggetto a man leggera. Non lo afferra, lo estrae a for za dal decorso storico. Questo elemento distruttivo nella storio grafia va concepito come reazione a una costellazione di pericoli
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che minacciano tanto il contenuto della tradizione quanto il suo de stinatario. Contro questa costellazione di pericoli muove la sto riografia; sta a essa dar prova della sua presenza di spirito. In que sta costellazione di pericoli l’immagine dialettica guizza fulminea mente. Tale immagine è identica all’oggetto storico; essa giustifica lo scardinamento del continuum. (N io, 1-2-3).} Altrettanto forte quanto l’impulso distruttivo è, nella storio grafia autentica, l’impulso alla salvazione. Ma da che cosa può es sere salvato qualcosa che è stato ? Non tanto dall’infamia e dal di sprezzo in cui è caduto, quanto da un determinato modo della sua tradizione. Il modo in cui viene celebrato come una «eredità» è più disastroso di quanto potrebbe esserlo la sua scomparsa. (N 9, 3). .All’esposizione corrente della storia sta a cuore la creazione di una continuità. Essa conferisce valore a quegli elementi del pas sato che sono già entrati a far parte del suo influsso postumo. Le sfuggono i punti in cui la tradizione si spezza, e quindi le asperità e gli spuntoni che offrono un appiglio a chi voglia spingersi al di là di essa. (N 9a, 5). Non è che il passato getti la sua luce sul presente o che il pre sente getti la sua luce sul passato; l’immagine è piuttosto ciò in cui il passato viene a convergere con il presente in una costellazione. Mentre la relazione dell’allora con l’adesso è puramente tempora le (continua), la relazione del passato con il presente è dialettica, a salti. (N 2a, 3). (L’immagine del passato che balena nell’adesso della sua cono scibilità è, secondo le sue determinazioni ulteriori, un’immagine del ricordo. Assomiglia alle immagini del proprio passato che si presentano alla mente degli uomini nell’attimo del pericolo. Que ste immagini, come si sa, vengono involontariamente. La storia, in senso rigoroso, è dunque un’immagine che viene dalla ramme morazione involontaria, un’immagine che s’impone improvvisa mente al soggetto della storia nell’attimo del pericolo. La legitti mazione dello storico dipende dalla sua netta consapevolezza del la crisi in cui, di volta in volta, è entrato il soggetto della storia. Questo soggetto non è per nulla un soggetto trascendentale, ben sì la classe oppressa che lotta, nella sua situazione più esposta. So lo per questa classe si dà conoscenza storica, e per lei unicamente nell’attimo storico. Con questa definizione si conferma la liqui dazione del momento epico nell’esposizione della storia. Al ricor do involontario - e ciò lo distingue da quello volontario - non si
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offre mai un succedersi di eventi, ma solo un’immagine. (Da ciò il «disordine» come spazio immaginativo della rammemorazione in volontaria.)} La stranezza e la curiosité {Teologia come nano gobbo, il tavolo trasparente del giocatore di scacchi} La più piccola garanzia, il filo di paglia al quale si aggrappa chi sta per annegare Definizione del presente come catastrofe; definizione a partire dal tempo messianico. Il messia tronca la storia; il messia non compare alla fine di uno sviluppo. I bambini come rappresentanti del paradiso {La storia degli oppressi è un discontinuum] {Il proletariato come successore degli oppressi; estinzione di questa coscienza presso i marxisti.} Il progresso non sta in nessun rapporto con il troncarsi della sto ria. Questo troncarsi viene pregiudicato dalla dottrina della per fettibilità infinita. La distruzione come il clima di un’autentica humanitas. (Proust sulla bontà). E istruttivo misurare lo stato d ’animo distruttivo di Baudelaire rispetto alla passione distruttiva politicamente finaliz zata. Visto da qui il suo impulso distruttivo appare forse piutto sto debole. D ’altra parte descrivere il suo comportamento nei con fronti di Jeanne Duval come autentica umanità nel clima della di struzione. Rapporto tra regresso e distruzione Funzione dell’utopia politica: gettare fasci di luce sul settore di ciò che merita di essere distrutto La mia psicologia del carattere distruttivo e la psicologia prole taria rispetto alla critica di Blanqui La rammemorazione come filo di paglia {La catastrofe è il progresso, il progresso è la catastrofe} La catastrofe in quanto continuum della storia Presenza di spirito come ciò che salva; presenza di spirito nel cogliere le immagini fuggevoli; presenza di spirito e arresto
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Collegare questo con la definizione della presenza di spirito; co sa significa: lo storico deve lasciarsi andare Legittimazione morale, dar conto dell’interesse per la storia {Il soggetto della storia: gli oppressi, non l’umanità} {Il continuum è quello degli oppressoti) {Estrarre a forza il presente dal continuum del tempo storico: compito dello storico} {Interpretazione Angelus Novus: le ali sono vele. Il vento che spira dal paradiso le distende.} La società senza classi come respingente Witiko e Saiambo [sic] rappresentano la loro epoca come chiu sa in se stessa, «in immediata relazione con Dio». Come questi ro manzi scardinano il continuum temporale, allo stesso modo deve esserne capace la rappresentazione della storia. Probabilmente Flaubert ha avuto la più profonda sfiducia nei confronti di tutte le idee di storia che andavano di moda nel xrx secolo. Come teorico della storia egli era tu tt’al più un nichilista. {Le rivoluzioni simboleggiano lo scardinamento del continuum con il loro dare inizio a un nuovo computo degli anni. CromweU} {Necessità di una teoria della storia a partire dalla quale si pos sa prendere visione del fascismo} {L’idea di sacrificio non può affermarsi senza quella della re denzione. Tentativo di indurre la classe operaia al sacrificio. Ma non si era capaci di dare al singolo l’idea di essere insostituibile. I bolscevichi del periodo eroico, per loro propria ammissione, ot tennero grandi risultati con il contrario di ciò: Nessuna gloria ai vincitori, nessuna pietà ai vinti.} {Categorie sotto le quali deve essere sviluppato il concetto di tempo storico} {Il concetto di tempo storico sta in opposizione aU’idea di un continuum temporale.} {Il lume perpetuo è un’immagine dell’esistenza storica autenti ca. Esso cita ciò che è stato - la fiamma che un tempo venne ac cesa - in perpetuum, in quanto gli dà sempre nuovo nutrimento.} L’esistenza della società senza classi non può essere pensata al l’interno dello stesso tempo della lotta per essa. Il concetto del pre sente, nel senso che è vincolante per lo storico, è però necessaria mente definito da questi due ordini temporali. Senza un esame im
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prontato, in un modo o nell’altro, alla società senza classi, del pas sato si dà soltanto una falsificazione storica. In questo senso ogni concetto del presente partecipa del concetto di giorno del giudizio. Il detto apocrifo di un vangelo: giudicherò ognuno per Tatto in cui lo troverò, getta una luce assai particolare sul giorno del giu dizio. Ricorda un’annotazione di Kafka: il giudizio universale è una corte marziale. Ma vi aggiunge qualcosa: il giorno del giudi zio, secondo questo detto, non si distinguerebbe dagli altri giorni. Questo detto evangelico fornisce a ogni modo il canone per il con cetto di presente che lo storico fa proprio. Ogni attimo è l’attimo del giudizio su certi attimi che l’hanno preceduto. {Excerpta dal Fuchs} {Incorporare il passo sullo sguardo di veggente dello Jochmann nei fondamenti dei {Lo sguardo di veggente si accende davanti al passato che si al lontana rapidamente. Vale a dire che il veggente volta le spalle al futuro: la figura di questo egli la scorge nell’oscurità serotina del passato che sta dileguandosi davanti a lui nella notte dei tempi. Questo rapporto di veggente con il futuro è un elemento obbliga to dell’atteggiamento dello storico che sia determinato, come ha stabilito Marx, dalla situazione attuale della società.} Saranno forse critica e profezia le categorie che vengono a con vergere nella «salvazione» del passato? Come si può conciliare la critica del passato (p. es. Jochmann) con la sua salvazione ? Tener ferma l’eternità degli accadimenti storici vuole dire pro priamente: attenersi all’eternità della loro transitorietà. Tre momenti vanno calati nei fondamenti della concezione ma terialistica della storia: la discontinuità del tempo storico; la for za distruttiva della classe operaia; la tradizione degli oppressi. {La tradizione degli oppressi fa della classe operaia la redentri ce. L’errore fatale, nella visione socialdemocratica della storia, era questo: la classe operaia doveva comparire come redentrice nei con fronti delle generazioni a venire. Ma la cosa decisiva è piuttosto che essa deve dar prova della sua forza redentrice nei confronti del le generazioni che l’hanno preceduta. (Alle generazioni che sono state si riferisce, allo stesso modo, la sua funzione di vendicatrice.)}
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«Celebrazione» è immedesimazione con la catastrofe. La storia ha il compito non solo di impossessarsi della tradizio ne degli oppressi, ma anche di istituirla. Far venire alla luce le forze distruttive che stanno nell’idea di redenzione {Lo stupore perché nel xx secolo è ancora possibile «una cosa simile» - questo stupore non è per nulla filosofico. Non sta sulla soglia di alcuna conoscenza, se non di questa: che il concetto di storia da cui scaturisce non è plausibile [corr. di Benjamin: non so stenibile]} {Dobbiamo giungere a un concetto di storia in base al quale lo stato d’eccezione in cui viviamo costituisca la regola. Allora ci starà davanti, come nostro compito storico, di suscitare lo stato d ’ecce zione; migliorando così di molto la nostra posizione nella lotta con tro il fascismo. La superiorità che questo ha nei confronti della si nistra trova, non da ultimo, la sua espressione nel fatto che essa gli muove contro in nome della norma storica, di una sorta di con dizione media della storia.} Quintessenza della conoscenza storica: il più precoce sguardo agli inizi. [adì] {Osservazione preliminare E stata in circolazione per qualche tempo, com’è noto, la leg genda di un automa costruito in modo cosi mirabile da reagire da solo con la giusta contromossa a ogni mossa di un giocatore di scac chi. Un manichino in abito turco, con un narghilè in bocca, sede va davanti alla scacchiera poggiata su un tavolo. Un sistema di spec chi dava l’iUusione che attraverso questo tavolo si potesse vedere. In verità c’era seduto dentro un nano gobbo, maestro nel gioco de gli scacchi, che guidava per mezzo di fili la mano del manichino, una volta trovata la contromossa. Chiunque volesse misurarsi con il manichino poteva occupare il posto vuoto allestito di fronte a esso. Mi potrei immaginare tanto più facilmente un pendant a que sto congegno nella filosofia, in quanto la disputa intorno al vero concetto di storia si lascia pensare nella forma di una partita tra due contendenti. Deve vincere, se dipende da me, il manichino turco che presso i filosofi si chiama materialismo. Esso può com
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petere senz’altro con qualunque avversario, se gli vengono assicu rati i servigi della teologia, che oggi tra l’altro è piccola e brutta, e non deve lasciarsi vedere da nessuna parte.} [adv] B3 La vera immagine del passato guizza via. E solo come immagi ne che balena, per non più comparire, proprio nel momento della sua conoscibilità che il passato è da trattenere. Se essa è autenti ca, lo deve alla sua fugacità. In essa sta la sua unica chance. Pro prio perché questa verità è caduca e basta un alito di vento a spaz zarla via, molto dipende da essa. A prendere il suo posto, infatti, è pronta l’apparenza, che va più d’accordo con l’eternità. .
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[ad v] A4 «La verità non ci scapperà» - questo detto, che è di Gottfried Keller, segna, nell’immagine di storia dello storicismo, il punto esatto in cui essa è troncata dal materialismo storico. Infatti è un’immagine non rievocabile del passato quella che rischia di scom parire con ogni presente che non si sia riconosciuto inteso in essa. La lieta novella che lo storico, con il respiro ansante, reca al pas sato viene da una bocca che forse, già nell’attimo in cui si apre. Darla nel vuoto. La salvazione del passato che viene compiuta dal.0 storico può essere operata solo nei confronti di qualcosa che nel,’attimo successivo è già irrimediabilmente perduto. [ad vn e a] 12
Ciò che sta a fondamento dello storicismo placidamente narra tivo è, a ben guardare, l’immedesimazione. A essa fa appello Fustel de Coulanges, quando raccomanda, agli storici che vogliono rivivere un’epoca, di togliersi di mente tutto quel che sanno del corso successivo della storia. Meglio non si potrebbe caratterizza re il metodo al quale si contrappone il metodo materialistico. Lo storicismo si accontenta di stabilire un nesso causale fra momenti diversi della storia. Ma nessun fatto è, in quanto causa, già perciò storico. Lo diventa, postumamente, attraverso altre circostanze che possono essere separate migUaia di anni da esso. Lo storico che
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muove da qui cessa di lasciarsi scorrere tra le dita la successione delle circostanze come un rosario. Egli afferra la costellazione in cui la sua epoca è venuta a incontrarsi con uria ben determinata epoca anteriore. Fonda così un concetto di presente come quell’adesso, nel quale, per così dire, sono disseminate e incluse schegge del tempo messianico. Questo concetto istituisce una connessione tra storiografia e politica, che è identica a quella teologica tra ram memorazione e redenzione. Questo presente si condensa in im magini che si possono chiamare immagini dialettiche. Esse rap presentano ima «trovata salvifica» per l’umanità. [ad vn] [...] dato di fatto. Egli dà conto anche di come questo dato di fatto sia profondamente motivato. Chiunque fino a oggi abbia con quistato la vittoria, nelle mille battaglie di cui è piena la storia, ha la sua parte nei trionfi dei dominatori di oggi su tutti quanti gli oppressi. L’inventario del bottino che essi mettono in mostra da vanti agli sconfitti non verrà considerato dal materialista storico se non in modo critico. Questo inventario viene chiamato cultu ra. Tutto quanto il materialista storico coglie, con uno sguardo d’insieme, del patrimonio culturale, tutto ciò che gli è stato tra mandato come arte e scienza - tutto ciò rivela una provenienza che non può meditare senza orrore. Tutto ciò deve la sua esisten za non solo alla fatica di coloro che l’hanno fatto, ma anche al ser vaggio senza nome dei loro contemporanei. Non è mai un docu mento della cultura senza essere insieme un documento della bar barie. Là dove lo storicismo celebra geni ed'eroi, il materialista storico mantiene le distanze, dovesse anche ricorrere alle molle per il fuoco.} [adxi] {ixa Il conformismo, che fin dall’inizio fu di casa nella socialdemo crazia, non pervade solo i suoi obiettivi politici, ma anche la sua terminologia economica. La connessione tra queste due cause del successivo disastro è palese. Ogni più accurata indagine la confer ma. E nell’interesse della Comune, dice Dietzgen, sopprimere la proprietà privata della terra e dei suoli [...] Dove o quando co minciare, se attraverso un accordo segreto con Bismarck, [...] o sulle barricate di Parigi [...], queste sono tutte [...] questioni [...]
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inattuali. Noi attendiamo il nostro tempo. Perché la nostra causa diventa ogni giorno più chiara e il popolo ogni giorno più intelli gente». Non c’è nulla che abbia corrotto i lavoratori tedeschi quan to l’idea di nuotare con la corrente. Poiché il filo di questa cor rente come [...]} [ad xi] [...] {probabilmente solo se commisurate a questa concezione socialdemocratica, il loro senso pieno. Esse illustrano che il lavo ro nel senso degli harmoniens, ben lontano dallo sfruttare la natu ra, piuttosto la feconderebbe e integrerebbe. Al concetto depra vato di lavoro come sfruttamento della natura appartiene, come suo complemento, quella natura che, come si esprime Dietzgen, «è là gratuitamente».} [ad XIV e xvn] 8 La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è co stituito dal tempo omogeneo e vuoto, ma da quello riempito ó.é[’«adesso». Dove il passato è carico di questo esplosivo, la ri cerca materialistica accosta la miccia al «continuum della storia». Con questo procedimento essa ha in mente di far saltare fuori dal continuum l’epoca (e cosi fa saltare fuori dall’epoca la vita di un uomo, e dall’opera di una vita, un’opera). Il risultato di questo pro cedimento consiste in ciò, che «e//*opera è conservata e custodita l’opera di una vita, «e/f opera di una vita l’epoca, e «e//’epoca l’in tero decorso storico. La legge (schema) che sta alla base di questo metodo è quella di una dialettica in condizione di arresto. Il frut to nutriente di ciò che viene compreso storicamente ha al suo in terno, come seme (nocciolo) prezioso (fecondo), ma certo insapo re (insipido), il tempo.
[ad xv] {Il giorno con cui s’inaugura un calendario funge però da com pendio storico accelerato. E, in fondo, è ancora questo stesso gior no che sempre ritorna nella figura dei giorni di festa, che sono gior ni della rammemorazione. I calendari quindi non misurano il tem po come gli orologi: sono testimoni del fatto che il tempo storico in passato era compreso megHo che non dalla metà del secolo scor-
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in qua. Nella Rivoluzione di Luglio è accaduto un episodio in cui si può ancora vedere in atto questo.}
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[ad xvi] II La dialettica materialista non può rinunciare a questo concetto di un presente che non è passaggio, ma nel quale il tempo è in equi librio ed è giunto a un arresto. Poiché esso definisce proprio quel presente nel quale di volta in volta si scrive storia. Questo pre sente, per strano che possa sembrare, è l’oggetto di una profezia. La quale, dunque, non annuncia qualcosa che verrà. Fa sapere sol tanto che cosa ha suonato la campana. E l’uomo politico sa meglio di chiunque altro quanto, per dir ciò, occorra essere profeti. Que sto concetto di presente lo troviamo colto con precisione in Turgot, «Prima che noi ci siamo potuti informare su un dato stato di cose, - egli scrive - questo si è già modificato più volte. Così è sempre troppo tardi che veniamo a sapere quel che è accaduto. E per questo si può dire della politica che essa è, per così dire, ri dotta a prevedere il presente». Lo stesso si può dire della storia. Lo storico è un profeta rivolto all’indietro. Egli scorge il proprio tempo nel medium delle sciagure trascorse. Ma certo così, allora, per lui è finita con la placidità del narrare. [ad xvn] XV
Lo storicismo culmina di diritto nel concetto di una storia uni versale. Con essa la storiografia materialistica contrasta metodo logicamente in modo più chiaro che con ogni altra. La prima non ha alcuna armatura teoretica. Il suo procedimento è additivo; es sa mobilita la massa dei fatti per colmare il tempo omogeneo e vuo to. Alla base della storiografia materialistica sta al contrario un reale principio costruttivo. E il principio monadologico. Il mate rialista storico si accosta al passato solamente allorquando esso gli si fa incontro con questa struttura, che è rigorosamente identica a quella dell’attualità messianica. È in forza di questa struttura che egli fa saltar fuori dal corso omogeneo della storia una certa epo ca; così egli fa saltar fuori dall’epoca una certa vita, e dal corpus delle opere di un autore una certa opera. Con ciò egli si distacca in modo inconfondibile dallo storico universale. Il suo oggetto è monadologico. Il profitto della sua costruzione consiste nel fatto
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che in un’opera è custodita e conservata tutta l’opera, «e//’opera intera l’epoca e «e//*epoca l’intero corso della storia. Il frutto nu triente di ciò che viene compreso storicamente ha al suo interno, come seme prezioso ma privo di sapore, il tempo. [ad xvn] XV
{Lo storicismo culmina di diritto nella storia universale. Con essa la storiografia materialistica contrasta metodologicamente for se in modo più chiaro che con ogni altra. La prima non ha alcuna armatura teoretica. Il suo procedimento è additivo; essa mobilita la massa dei fatti per riempire il tempo omogeneo e vuoto. Per con tro alla base della storiografia materialistica sta un principio co struttivo. E questo è appunto il principio monadologico. Il mate rialista storico si accosta al passato solamente laddove questo gli si presenta come monade. In questa struttura egli riconosce il se gno di un arresto messianico dell’accadere; detto altrimenti, di una chance rivoluzionaria nella lotta per il passato oppresso. Egli se ne serve e fa saltar fuori dal corso omogeneo un’epoca ben determi nata; cosi fa saltar fuori una certa vita dalla sua epoca, una certa opera dal corpus delle opere di un autore. Il profitto di questo mo do di procedere consiste nel fatto che in ««'opera è custodita e con servata tutta l’opera, nelPopera intera l’epoca e «e//’epoca l’inte ro corso della storia. Il frutto nutriente di ciò che viene compreso storicamente ha al suo interno, come seme fecondo ma privo di sa pore, il tempo.} [ad A] xva
Lo storicismo si accontenta di stabilire un nesso causale fra gli avvenimenti che si susseguono nella storia. Ma nessuno stato di fatto è, in quanto causa, già perciò storico. Lo diventa, postuma mente, attraverso circostanze che possono essere distanti centi naia d’anni da esso. Lo storico che muove da qui cessa di lasciar si scorrere tra le dita la successione deUe circostanze come un ro sario. Non soggiace più oltre all’idea che la storia sia qualcosa che si lasci narrare. In un’indagine materialistica la continuità epica andrà in pezzi a tutto vantaggio del rigore costruttivo. Marx ri conobbe che «la storia» del capitale si configura come l’estesa ar matura d ’acciaio di una teoria. Essa afferra la costellazione in cui
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la sua epoca era venuta a incontrarsi con ben determinati momenti anteriori della storia. Ha come contenuto un concetto di presente come adesso, nel quale sono disseminate e incluse schegge del tempo messianico. [ads] {Deve essere lecito immaginarsi che, nelle pratiche magiche per indagare il futuro, il tempo che vi è interrogato per sapere che co sa celi nel suo grembo non venga concepito come omogeneo e nep pure come vuoto. Se si tiene presente questo, si vede al meglio in che modo il passato sia attuale alla rammemorazione: e cioè pro prio cosf. E noto che agli ebrei era proibito interrogare il futuro. La rammemorazione, nella quale dobbiamo vedere la quintessen za della loro concezione teologica della storia, libera dall’incanto il futuro, di cui la magia è succube. Ma non per questo fa del fu turo un tempo vuoto. Per essa, anzi, ogni secondo è la piccola por ta da cui può entrare il messia. Il cardine su cui si muove quella porta è la rammemorazione.} {Dall’antica prassi della divinazione, il tempo che vi è interro gato su che cosa [...] celi, non è pensato come omogeneo o come vuoto.}
Curriculum vitae dott. Walter Benjamin
Sono nato il 15 luglio 1892 a Berlino, figlio del commerciante Emil Benjamin. Ho studiato al liceo classico, che ho lasciato nel 1912 con l’esame di licenza. Alle Università di Friburgo i. B., Mo naco e Berlino ho studiato filosofia, nonché lettere e psicologia. Ho trascorso il 1917 in Svizzera, dove ho proseguito i miei studi presso rUniversità di Berna. Nel corso dei miei studi ho avuto decisivi impilisi da una serie di opere in parte anche distanti dal mio ambito di ricerca. Penso a Arte industrìaìe tardoromana di Alois Riegl, a Villa di Rudolf Borchardt, all’analisi di Pane e vino di Hòlderlin proposta da Emil Petzold. Influsso duraturo hanno esercitato le lezioni del filosofo monacense Moritz Geiger, nonché quelle di Ernst Lewy, libero docente di lingue ugro-finniche a Berlino. Le esercitazioni tenute da quest’ultimo sul saggio di Humboldt Sulla struttura delle lingue umane^ cosi come i concetti da lui articolati nel saggio Sulla lingua del tardo Goethe risvegliarono i miei interessi per la filosofia del linguaggio. Nel 1919 mi sono laureato summa cum laude presso l’Università di Berna. La mia tesi è stata pubblicata in volume con il titolo Ilconcetto di critica nel romanticismo tedesco (Berna 1920). Il primo libro pubblicato in Germania dopo il mio rientro fu una traduzione dei Tableaux Parisiens di Baudelaire (Heidelberg 1923). Il volume contiene una premessa sul Compito del tradutto re che rappresenta il primo esito delle mie riflessioni di teoria del la lingua. Accanto alla teoria dell’arte, l’interesse per la filosofia del linguaggio ha per me da sempre avuto un ruolo predominante. Durante il mio periodo di studi presso l’Università di Monaco, questo interesse mi spinse a dedicarmi alla messicanistica: una de cisione alla quale devo la mia conoscenza di Rilke, che nel 1915 studiava a sua volta la lingua messicana. L’interesse per la filoso‘ E probabile che Benjamin si riferisca al saggio Tìber die Venchiedenheit des menschlichen Sprachhaus [Sulla differenza strutturale deUe lingue umane], del 1836 [N.ii.T.].
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fia della lingua è all’origine anche del mio crescente interesse per la letteratura francese, dove ad affascinarmi fu dapprima la teoria della lingua quale emerge dalle opere di Stéphane Mallarmé. Negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra, ho continuato a occuparmi in prevalenza di letteratura tedesca. Il pri mo mio lavoro pubblicato in tal senso fu il saggio Le Affinità elet tive (Monaco 1924-25), che mi valse l’amicizia di Hugo von Hofmannsthal che lo pubblicò nella sua rivista «Neue Deutsche Beitrage». Anche alla mia opera successiva, Il dramma barocco te desco (Berlino 1928), Hofmannsthal prese viva parte. Questo li bro intendeva fornire una nuova interpretazione del dramma te desco del xvn secolo proponendosi di evidenziare la sua forma di «Trauerspiel» rispetto alla tragedia e di sottolineare le affinità esi stenti fra la forma letteraria del «Trauerspiel» e la forma artisti ca dell’allegoria. Nel 1927 una casa editrice tedesca mi fece la proposta di tra durre il grande romanzo di Marcel Proust. Avevo letto i primi vo lumi di quest’opera in Svizzera nel 1919 con straordinario inte resse e accettai la proposta. Questo lavoro fu all’origine di nume rosi, prolungati soggiorni in Francia. Il primo a Parigi risaliva al 1913; vi avevo fatto ritorno nel 1923; dal 1927 al 1933, ogni an no trascorsi alcuni mesi a Parigi. Con il passare del tempo entrai in contatto con alcuni dei maggiori scrittori francesi, come André Gide, Jules Romains, Pierre Jean Jouve, Julien Green, Jean Cas sou, Marcel Jouhandeau, Louis Aragon. A Parigi trovai le tracce di Rilke ed entrai in contatto con la cerchia intorno a Maurice Betz, suo traduttore. Nello stesso periodo, grazie ad articoli ap parsi con regolarità nella «Frankfurter Zeitung» e nella «Literarische Welt» iniziai a informare il pubblico tedesco sulla vita in tellettuale francese. Prima dell’ascesa al potere di Hitler, furono pubblicati tre volumi della mia traduzione di Proust (Berlino 1927 e Monaco 1930). Il periodo fra le due guerre per me si divide, com’è naturale, in una fase pre e in una post 1933. Nel corso della prima, ho visita to, in occasione di estesi viaggi, l’Italia, i Paesi scandinavi, la Rus sia e la Spagna. A parte gli scritti citati, in questo periodo ho pro dotto una serie di studi sulle opere di importanti poeti e scrittori della nostra epoca. Fra questi ampi saggi su Karl Kraus, Franz Kafka, Bertolt Brecht nonché Marcel Proust, Julien Green e i sur realisti. Nella stessa fase si inserisce Strada a senso unico, un volu me di aforismi (Berlino 1928). En passant mi sono occupato di la vori bibliografici, compilando su commissione una bibliografia
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completa delle opere di e su G. Chr. Lichtenberg, che tuttavia non è stata pubblicata. Ho lasciato la Germania nel marzo 1933. Da allora tutti i miei studi più importanti sono usciti nella rivista dell’Institute for So cial Research. Il saggio Problemi di sociologia del linguaggio («Zeitschrift £iir Sozialforschung», anno 1935) fornisce un panorama cri tico sullo stato attuale delle teorie di filosofia del linguaggio. Il sag gio Cari Gustav Jochmann (ivi, 1939) è un’eco dei miei studi suUa storia della letteratura tedesca. (In questo medesimo contesto si inserisce una raccolta di lettere tedesche del xrx secolo, pubblica ta a Lucerna nel 1937.) Esito di studi sulla letteratura francese contemporanea è il mio lavoro Sull’attuale posizione sociale dello scrittore francese (ivi, 1934). Eduard ¥uchs, il collezionista e lo sto rico (ivi, 1937) e L ’opera d ’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (ivi, 1936), sono contribuiti sulla sociologia dell’arte figu rativa. L’ultimo testo citato è il tentativo di comprendere deter minate espressioni artistiche, in particolare il film, a partire dalla trasformazione della funzione dell’arte nel suo complesso nel l’ambito dell’evoluzione della società. (Anche il saggio II narrato re, pubblicato nel 1936 in una rivista svizzera, si interroga su una problematica analoga in ambito letterario.) Su alcuni motivi in Bau delaire (ivi, 1939), il mio ultimo lavoro, è un frammento di una se rie di indagini che si propongono di utilizzare la poesia come stru mento di comprensione critica del xix secolo.
N ote
Abbreviazioni.
GS
Walter Benjamin, Gesammelte Schriften, a cura di Rolf Tiedemann e Hermann Schweppenhauser, con la collaborazio ne di Theodor W . Adorno e Gershom Scholem, 7 voli, [in 14 tomi], 3 voli, di Supplementi, Frankfurt am Main 19721989, 1998.
GB
W alter Benjamin, Gesammelte Briefe, a cura di Christoph Gòdde e Henri Lonitz per conto del Theodor W . Adorno Archiv; 6 voli., Frankfurt am Main 1995-2000.
L
Lettere a cura di Gershom Scholem e Theodor W . Adorno, Torino 1978.
Scritti rV
Walter Benjamin, Opere complete, voi. IV: Scritti 1930-19JJ, a cura di Rolf Tiedemarin e Hermann Schweppenhauser, edi zione italiana a cura di Enrico Ganni con la collaborazione di Hellmut Riediger, Torino 2002.
Scritti V
W alter Benjamin, Opere complete, voi. V: Scritti 1 9 32 -1 ^ }}, a cura di RoH Tiedemann e Hermann Schweppenhauser, edi zione italiana a cura di Enrico Ganni con la collaborazione di Hellmut Riediger, Torino 2003.
Scritti IX
Walter Benjamin, Opere complete, voi. IX: 1 «passages» di Pa rigi, a cura di RoH Tiedemann, edizione italiana a cura di En rico Ganni, Torino 2000.
Ombre
Walter Benjamin, Ombre corte. Scritti 1928-1929, a cura di Giorgio Agamben, Torino 1993.
Angelus Novus W alter Benjamin, Angelus Novus, a cura di Renato Solmi, Torino 1995. TU
Walter Benjamin e Gershom Scholem, Teologia e utopia. Car teggio 1933-1940, a cura di G . Scholem, Torino 1987.
Adorno
Theodor W . Adorno, lìber W alter Benjamin. Aufsatze, Artikel, Briefe, a cura di Rolf Tiedemann, edizione rivista e ac cresciuta, Frankfurt am Main 1990.
Scholem II
Gershom Scholem, W alter Benjamin e il suo angelo, Milano 1978.
Katalog
'WalterBenjamin 1S92-1940. U n’esposizione del Theodor W . Adorno Archiv di Francoforte in collaborazione con il Deutsches Literaturarchiv di Marbach. A cura di Rolf Tiedemann, Christoph G odde e H enri Lonitz, Marbach am Neckar 1991’.
Le note del presente volume sono state elaborate dai curatori a partire dal l’apparato critico delle Gesammelte Schrìften. Per i brani tratti dal voi. I l i di ta le edizione si è fatto riferimento agli apparati realizzati da Hella Tiedemann-Bartels, per quelli compresi nel voi. IV al commento messo a punto dal defunto Tillman Rexroth. Le note alla seconda stesura dell’Opem d ’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica sono invece di Hermann Schweppenhauser.
1938
PEINTURES CHINOISES À LA BIBLIOTHÈQtJE NATIONALE
Petntures chinoisesà laB ibliothèqueN atìonak (GS IV /i, 601-5). Prima pubbli cazione: «Europe. Revue mensuelle», 15 gennaio 1938, n. 181, pp. 104-7. Il resoconto della mostra è tra i pochi lavori che Benjamin riuscì a puìjblicare su riviste francesi negli anni dell’emigrazione. A proposito di Jean-Pierre Dubosc (1903-88), un famoso collezionista che era stato per otto anni interprete presso l ’ambasciata francese a Pechino, ai primi di novembre del 1937 Benjamin scriveva a Horkheimer di essere entrato in confidenza con lui. H o potuto inoltre mostrarmi utile in occasione di una esposizione della sua collezione di pitture cinesi alla Bibliothèque 'Rationale (GB V, 601). Benjamin si riferiva indubbiamente al presente articolo, pubblicato alla metà di gennaio del 1938. Quanto ai motivi che lo collegano ad altri testi benjaminiani, Jean-Maurice Monnoyer, curatore di una edizione dei suoi scritti francesi (W. Benjamin, Ecrits frangais, presentati e in trodotti da Jean-Matorice Monnoyer, Gallimard, Paris 1991, pp. 257 sg.), sottolinea che il tema aereo delle «nebbie» e delle «nubi» non soltanto compare nei Passa^es, con riferimento alla peculiare atmosfera del paesaggio parigino, ma si ricollega al tema delle corrispondenze, evocato, con U rinvio a Valéry, sia da Dubosc sia da Georges SaUes nei loro scritti introduttivi al catalogo della mostra, e al tema della riproduzione. N el presente testo Benjamin articola in modo origi nale questi due tem i nell’idea di somiglianza, a sua volta subordinata all’«immagine-pensiero», secondo il vecchio progetto delle Benkbilder.
UN ISTITUTO TEDESCO DI LIBERA RICERCA
Ei« deutsches Institut freier Forschung (GS III, 518-26). Prima pubblicazione (in versione ridotta): «MaB und W ert», I, 1937-38, n. 5, maggio-giugno 1938, p p . 818-22. Il progetto di Benjamin di esporre il lavoro dell’istituto per la ricerca sociale in un lungo saggio risale alla fine del 193 7 e corrisponde a un desiderio di Horkhei mer. Benjamin voleva pubblicare il testo sulla rivista «M a6 und W ert», edita da Thomas Mann insieme allo scrittore e traduttore svizzero di Dante Kónrad Falke (al secolo Karl Frey, 1880-1942) presso la casa editrice di Zurigo Oprecht, con l’intenzione di far drizzare le orecchie alla borghesia colta (GB V, 618). Ferdinand Lion, redattore di «Mal5 und W ert», si mostrò interessato, ma a condizione che l ’articolo fosse breve e non fosse «comunista». A questo Benjamin oppose una
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Scritti
propria strategia, che espose a Horkheimer U 6 dicembre 1937: Se noti vogliamo rendere troppo facile la vita a ll’attività censoria di Lion, le prospettive politiche de vono restare per quanto è possibile nell’ombra. Q uel che il saggio perde cosi in pre gnanza della prospettiva, deve guadagnarlo in precisione nel dettaglio. Questo entre rebbe in collisione con il secondo punto del quale per il momento non tengo conto [...](G B V, 617 sg.). Proprio s\A secondo punto, la lunghezza del contributo, nac quero tuttavia i conflitti. Dopo un tentativo presto abbandonato di scrivere il sag gio insieme ad Adorno (cfr. GB VI, 11 ; L, 332), Benjamin prosegui da solo e il 6 marzo 1938 inviò a Lion il manoscritto; nella lettera di accompagnamento scris se: Nella Sua lettera da Ouchy dell’anno passato richiamava la mia attenzione sulle possibilità «in termini di spazio e impostazione» offerte anche dalla sezione critica di «Mafi und W ert». M i sono quindi spaventato non poco quando la Sua ultima comu nicazione mi ha prospettato prima du e,poi addirittura una sola pagina. G liel’ha sug gerito l ’aver avuto in mano h rivista ? I l suo biglietto mi permette di supporre senz 'al tro che non sia cast. Anche se le cose stessero diversamente. Le confesserei apertamen te che parlo di amici ai quali sono legato da comuni intenzioni. Spero di non essere stato prolisso; ma devo comunque ammettere che in ciò che ci sta a cuore è più diffi cile essere succinti che non in quanto ci è indifferente. Per venire incontro a l suo de siderio, ilprim o che Lei mi abbia espresso, ho scelto una strada non meno inedita. Con questo stesso giro di posta Le invio non uno, ma diversi manoscritti. Dichiarando co si come zavorra un pezzo del mio carico di pensiero dopo l ’altro, spero di aver reso più semplice il Suo lavoro di redazione (GB VI, 35 sg.). Il giorno successivo scrisse a Horkheimer: La difficoltà d el lavoro è consistita nell’affrontare le probabili inten zioni di sabotaggio di Lion [ ...] Questo ha determinato la struttura del saggio. La stra tegia più adatta era di conferirgli il carattere di un puzzle, che, mostrandosi condi scendente, potrà forse smorzare i l desiderio di intervenire di Lion [ ...]L a dimensione minima del saggio è di tre pagine scarse. Quello che volevo evitare a ogni costo era un rifiuto «per mancanza di spazio» (GB VI, 37). Il 13 aprile Benjamin ricevette il fa scicolo di «MaK und W ert» in cui il testo apparve nella forma di una semplice re censione della «Zeitschrift fù r Sòzialforschung» delle dimensioni di quattro pagine a stampa [...]. Sono contento che abbia trovato una collocazione, perché fino a ll’ulti mo ho ritenuto possibile che Lion m i ponesse davanti un fa it inaccompli (GB VI, 68; L, 341). In altre parole: del testo di Benjamin erano rimaste poco più delle di mensioni minime. Fu pubblicato integralmente solo postumo, in GS nel 1972.
INFANZIA BERLINESE INTORNO AL MILLENOVECENTO [ u l t i m a r e d a z io n e ]
BerlinerKindheit um neunzehnhundert (GS V II/i, 385-433). Pubblicazione po stuma. D el processo evolutivo à'cì[’Infanzia berlinese intorno a l millenovecento e della sua vicenda editoriale si è già trattato nel contesto della Cronaca berlinese e della prima redazione del testo, quella cosiddetta di GieKen (cfr. Scritti V, pp. 573 sg. e pp. 583-85). Delle due versioni a noi pervenute, la presente è la seconda. Dopo la Giefiener Fassung, che risale alla prima metà di gennaio del 1933 (Scritti V, 358407), si deve supporre che Benjamin abbia approntato un’ulteriore stesura che lo indusse a scrivere di poter ormai considerare concluso il testo (GB IV, 162 sg.; TU, 32); questa versione, che non ci è pervenuta, fu presentata nella primavera del
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1933 all’editore Gustav Bdepenheuer di Berlino. Durante il secondo soggiorno a Ibiza, tra l ’aprUe e l ’ottobre di quello stesso anno, nei primi mesi dell’esilio, Benja min scrisse altre parti che probabilmente confluirono nella terza versione, invia ta nella primavera del 1934 a un altro editore berlinese, Erich Reiss; nell’ambito delle presente edizione delle Opere, i nuovi brani sono proposti in Appendice alla Giefiener Fassung {Scritti V, 408-21). La nuova redazione comprendeva trentaquattro pezzi - in una lettera si parla tuttavia di trentasei - mentre quella prece dente, del 1932-33, ne cónteneva soltanto trenta. SuUa base dei documenti di sponibili non è possibile stabilire se il manoscritto che fra il 1935 e il 1937 Franz Gliick cercò di fare pubblicare da una casa editrice austriaca fosse un’ulteriore re dazione del testo o coincidesse invece con quello del 1934. Ugualmente vani fu rono i tentativi di pubblicazione presso ima casa editrice svizzera nel 1937. Verosimilmente nell’aprile del 1938 (U 1° maggio Benjamin scriveva: nelle ul tim e settimane), il manoscritto venne ampliato e rivisto profondamente (GB VI, 72). Il 13 maggio scriveva invece: il lavoro è maturato durante l ’esilio;nessuno de gli ultim i cinque anni è passato senza che gli dedicassi almeno uno o due mesi (GB VI, 79). Questa «ultima redazione» fu a lungo considerata dispersa. Solo nel 1981 presso la Bibliothèque Nationale di Parigi furono rinvenuti alcuni mano scritti che nel 1940 Benjamin, fuggendo dalla città, aveva affidato a Georges BataiUe e che da allora erano considerati dispersi. Tra questi si trovava un dattiloscritto del testo che proponeva la Fassung letzter Hand, la redazione definitiva, del 1938, pubblicata per la prima volta nel 1987 e ripresa nel 1989 nell’ultimo volume delle Gesammelte Schriften dopo una revisione critica del testo. Questa stesura obbliga il lettore che credeva di conoscere ormai a fondo il te sto di Benjamin a leggere un libro nuovo e sotto certi aspetti diverso. La rielabo razione cui l’autore sottopose i trenta brani inseriti nella redazione definitiva è profonda e in ogni senso caratteristica dell’ultimo Benjamin. In Hnea di massima vennero ridotte le considerazioni di carattere più generale e rigorosamente can cellati tutti i passi che nella stesura precedente ostacolavano la concentrazione sul la cosa in sé. Numerosi tagli e riduzioni del testo, così come le occasionali aggiunte, servirono a precisare il pensiero o a migliorare lo stile. L’ideale stilistico del tar do Benjamin - lo dimostra anche l ’ultima stesura di Infanzia berlinese - era la so bria rappresentazione del particolare; un laconismo complesso, che se non può ne gare i rapporti con H ebel e Brecht, è però profondamente benjaminiano. La giostra e Risveglio del sesso, i due brani proposti in Appendice, non sono parte integrante di questa redazione: furono solo allegati al dattiloscritto.
UNA CRONACA DEI DISOCCUPATI TEDESCHI
Eine Chronik der deutschen Arbeitslosen. Zu Anna Seghers Roman «D ie Rettung». DRecensione:] Anna Seghers, Die Rettung, Roman, Querido Verlag, Am sterdam 1937, 512 pp. (GS III, 530-38). Prima pubblicazione; «D ie neue Weltbijhne», 34, 1938, pp. 593-97 (fase. 19, 12 maggio 1938). N elle lettere di Benjamin dall’esilio occasionalmente si trovano rimandi agli incontri con Anna Seghers, ma nessuno alla recensione di D ie Rettung [Il salva taggio]. La scrittrice, il cui vero nome era N etty Radvàny (1900-83), era ebrea e membro del Partito comunista tedesco dal 1928; nel 1933, dopo essere stata bre vem ente imprigionata, emigrò in Francia passando per la Svizzera; al pari di
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Benjamin fuggì dalle truppe tedesche nella Francia del sud, non ancora occupa ta, e nel 1941 riuscì a raggiungere il Messico. N el 1947 tornò in Germania e di venne una voce importante della letteratura della Repubblica Democratica. I suoi romanzi e racconti più significativi risalgono agli anrri. della Repubblica di W ei mar e dell’esilio; tra questi Der Aufstand der Fischervon St. Barbara [La rivolta dei pescatori di Santa Barbara, 1928], Das siebte Kreuz [La settima croce, 1942] e in particolare Transit [Transito, 1949], una parabola romanzata che non rinnega la scuola di Kafka e in cui l'autrice allude al suicidio di Benjamin. Dagli anni venti Anna Seghers era amica o conoscente di Jula Radt-Cohn, che sia di lei sia di Benjainin modellò un ritratto, andato disperso durante la guerra come la maggior parte delle sue sculture {Katalog, 160). N on sappiamo se Benja min abbia conosciuto la Seghers tramite Jula Radt-Cohn o nella cerchia del Bund proletarisch-revolutionarer Schriftsteller (Unione degli scrittori proletari rivolu zionari). N ell’aprile del 1937 la scrittrice tenne una conferenza a Parigi in me moria di Biichner [ ...] M i ha nuovamente colpito quanto sìa più brava a parlare che non a scrivere (GB V , 521). N el dicembre dello stesso anno Benjamin menziona alcune conversazioni che ho avuto con Anna Seghers sulla condizione del roman ziere (GB V, 632). La prima pubblicazione del testo su «D ie Neue W eltbiihne», una rivista vi cina al Partito comunista, era resa irriconoscibile dai tagli e da altri interventi di natura politica: il termine Erlosung, «redenzione», con le sue connotazioni teo logiche e da Benjamin espressamente distinto da quello di Befreiung, «liberazio ne», fu sostituito dalla redazione con Befreiung e appiattito cosi sulla linea del partito. Il testo completo fu pubblicato per la prima volta in GS.
ANNI DI CRISI DEL PRIM O ROlVIANTICISMO
Lettere del circolo degli Schlegel [Recensione:] Krisenjahre der FrUhromantik. Briefe aus dem Schlegel-Kreis, a cu ra di Josef Korner, 2 voli., Verlag Rudolf M. Rohrer, Briinn-Wien-Leipzig 1936i 9 3 7 > 548 pp. e 567 pp. (GS III, 538-41). Prima pubblicazione: «MaB und W ert», 2, 1938-39, pp. 130 sgg. (fase, i, settembre-ottobre 1938). Dai tempi della sua tesi di laurea, Benjamin considerava la riflessione sul ro manticismo tedesco il suo «passatempo», il che indubbiamente significava un og getto di studio non necessariamente vincolato alle esigenze dell’attualità. L’invi to a occuparsi per «MaK und W ert» della significativa edizione curata da Josef Korner venne da Ferdinand Lion. Benjamin inviò il testo il 13 maggio 1938, ed esso fu pubblicato fra settembre e ottobre. Josef Korner (1888-1950), storico tedesco della letteratura discendente da una famiglia ebraica della Moravia, con Benjamin condivise inizialmente il de stino di una tesi di abilitazione rifiutata, benché nel 1930 riuscisse poi a ottene re la venia legendi all’Università Tedesca di Praga. D ovette tuttavia lasciare la cattedra sin dall’anno accademico 1938-39 per via del «Paragrafo sugli ariani», la cui validità si estendeva anche all’ateneo praghese. Korner proseguì la propria attività di ricerca privatamente, senza poter far uso di biblioteche e archivi pub blici. A i primi del 1945 fu deportato a Theresienstadt, da dove lo liberarono in maggio le truppe sovietiche. Dopo la chiusura deU’Università Tedesca i pochi do
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centi ebrei sopravvissuti non furono accolti dall’Università Carlo, una misura che amareggiò non poco gli ultimi anni di Kòrner. Curatore di ottimo livello, a lui si devono in particolare le edizioni degli epistolari del romanticismo. Il volume di commento ad A nni di crisi del primo romanticismo, di cui Benja min nella sua recensione lamenta la mancanza, fu pubblicato postumo nel 1958.
ALBERT BÉGUIN, L ’Am E ROMANTIQUE ET LE REVE
[Recensione:] A lbert Béguin, L ’àme romantique et le réve. Essai sur le romantisme allemand et la poésie franqaise, 2 voli,, MarseiUe 1937 (GS III, 557-60). Pri ma pubblicazione: «MaK und W ert», 2, 1938-39, pp. 410-13 (fase. 3, gennaiofebbraio 1939). Con la recensione al volume di Kòrner, il 13 maggio 1938 Benjamin spedi a Ferdinand Lion anche il testo su Béguin (cfr. GB VI, 79). Già in una lettera a Jean Ballard, editore dei «Cahiers du Sud», risalente al settembre dell’anno pre cedente, Benjamin aveva menzionato le livre magistral de Béguin qui fa it actuellem entm onplaìsir (GB V, 577). Si può supporre che abbia scritto la recensione ini zialmente per la « Zeitschriift fiir Soziaitorschung», ma che la pubblicazione qui non sia andata a buon fine e il testo sia stato passato a «MaE und W ert» (cfr. la lettera a Leo Lówenthal del 21 dicembre 1937: in allegato trova la recensione del l ’opera di A lbert Béguin: « L ’àme romantique et le rève» [GB V, 635]). Pochi gior ni dopo che il manoscritto era stato spedito a Lion, Benjamin scrisse ancora una volta a Ballard a proposito del libro: V ou sm ’y avez signalé le livre de Béguin e t j ’ai tout lieu de vous en savoirgré. C ’est un travail remarquable et empreintpar endroit d ’une vraie beauté. Ainsi je me crois fondé - ayantfa it ma lecture favorite de Lichtenberg - d ’avancer q u ’iln ’existe rien sur cet auteur qui puisse, en profondeur, se comparer avec les pages que lui consacre Béguin .I l y a là une réelle divination. Son livre a étépour m oi d ’un prix d ’autantplus grand que mes propres études romantiques s ’étaient surtout attachées à la vaine critique du m om em ent et plus spécialement à la pensée des Schlegel. Peut-ètre provient-il de là que certains des aspects mystiques que développe si magistralement Béguin me trouvent, aujourd’hui encore, quelque peu hésitant. f a i Tessenti le désir de signaler cet ouvrage à la partie du public allemand qui m ’est resté accessible. I l est vraisemblable que j ’en parlerai dans un prochain numéro de «Mafi und W ert», le périodique de Thomas Mann (GB VI, 81 sg.). Albert Béguin (1901-57), scrittore e storico della letteratura svizzero, pro fessore a Ginevra, Basilea e Parigi, successore di Emmanuel Mounier alla dire zione di «Esprit», curatore del lascito di Georges Bernanos; fu autore di testi su Pascal, Nerval, Léon Bloy, Charles Péguy e altri.
[v] Curriculum vitae V (GS VI, 222-25). Pubblicazione postuma.
CURRICULUM VITAE
Il quinto curriculum vitae di Benjamin, penultimo fra quelli che ci sono per venuti, fu scritto, in francese, nel contesto del progetto di nattiralizzazione di
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Scritti
cui Benjamin raccontò a Horkheimer: Con il signor Pollock durante la sm visita ho parlato della mia domanda di naturalizzazione. L ’ho consegnata dopo lunghi pre parativi ; è supportata da una serie di nomi importanti-.quello di Gide, di Romains, di Valéry. Sarà appoggiata anche dal Ministero dell’Istruzione, sempre che gli venga sot toposta nella compilazione attuale. Ma al Ministero d ell’Istruzione arriverà soltanto sotto forma di un dossier redatto dalla Préfecture de Police. E proprio questa compi lazione è stata fon te di difficoltà. Una parte del dossier consiste nelle attestazioni del fatto che sono stato residente in Trancia per tre anni consecutivi. Per la maggior par te di questo periodo ho abitato nella m e Bénard. Non sono però in grado di procu rarmi per questo periodo un certificai de dom icilperché - come sono venuto a sape re dall'amministratore dello stabile - la signora presso cui abitavo non aveva l ’auto rizzazione ad accogliere subaffittuari. Per fortuna a ll’Office des Naturalisations c ’è un impiegato che ha preso molto a cuore il mio caso [André RoUand de R enéville]. M i sono consultato con lui. In casi particolari il certificat de dom icil può essere sosti tuito da un certificat de travail, nella misura in cui quest’ultimo implica un soggior no continuativo di tre anni in Francia. La pregherei dunque di volermi certificare che lavoro per l’istituto dall’estate d el e in questo periodo sono stato continuativa mente residente a Parigi. La mia impressione è che, a maggior ragione nell’attuale cri si riguardante la questione degli stranieri, ilfa tto che l ’amministrazione mi suggerisca di procurarmi l ’attestato in questo modo rappresenti una concessione particolare. Da parte mia desidero fare quindi quanto è in mio potere e La pregherei perciò caldamente di voler fare autenticare la Sua firma sul certificato . M i sono fatto dettare il testo del lo stesso dall’office des Naturalisations e G lielo allego. In attesa del Suo certificato non sono in grado di promuovere la causa della mia naturalizzazione. Vorrei utiliz zare questo tempo per allontanarmi da Parigi (GB VI, 98). Il 3 agosto 1938 Benja min dalla Danimarca ringraziava per le certificazioni inviategli il 7 giugno e ag giungeva: Non mi hanno più potuto raggiungere a Parigi. Dopo il ritorno, a metà set tembre, manderò avanti la mia naturalizzazione (GB VI, 153). In realtà Benjamin tornò a Parigi solo alla fine di ottobre; il 17 novembre scriveva a Horkheimer: Dopo il ritorno ho ripreso a occuparmi della mia naturalizzazione. Le prime due enquètes della Préfecture si sono svoltela quanto posso capire, senza intoppi o difficoltà, e attualmente guardo alle possibilità di riuscita (anche se non alla rilevanza) dell'im presa, con un moderato ottimismo. D ’altro canto, questo tentativo mi spinge a tornare sulla recensione di Caillois [cfr. pp. 234 sg.], ài cui ho qui le bozze. Come sono casualmente venuto a sapere p o chi giorni addietro, Caillois è molto amico di Rolland de R enéville. Renéville si è oc cupato sinora del mio caso nella sua qualità di segretario del Bureau des Naturalisa tions du Carde des Sceaux; egli potrà però anche favorire la mia causa - di conse guenza anche ostacolarla - quando dalla Prefettura sarà passata a l Ministero della Giustizia. Date le circostanze la mia naturalizzazione potrebbe essere effettivamente in pericolo se la recensione dell’«A ridité» uscisse con il mio nome. La vorrei dunque pregare di poter firmare il complesso Caillois-Benda con lo pseudonimo hans fell NER (GB VI, 178), Il tema della naturalizzazione tornava in una lettera a Horkhei mer del 18 aprile 1939: Insisto inoltre nel tentativo di promuovere la mia natura lizzazione . Naturalmente devo tenere questi sforzi rigorosamente separati da quelli so pra menzionati. I l fatto di figurare contemporaneamente come richiedente di una borsa di studio ridurrebbe notevolmente le mie probabilità di ottenere la cittadinanza. Pres so la Préfecture sono depositati po 000 dossier con richieste di naturalizzazione. Il mio problema è di isolare il mio dossier da questa massa con l ’aiuto di [Jean] Cassou, sottosegretario del Ministero dell’istruzione. Una volta che il dossier abbia passato il vaglio della Préfecture con visto positivo potrò probabilmente contare su un decorso
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facile. Ma proprio a livello della Préfecture, dove si concentra la resistenza passiva, è difficile agire persino con l'aiuto delle conoscenze di cui dispongo. Ieri sono usciti i nuovi decreti sugli stranieri. Per h categoria cui appartengo io è previsto l'obbligo diservizio militare fino a 48 anni. È significativo che le nuove pre scrizioni non entrino in vigore soltanto in caso di conflitto, ma istantaneamente. Co me L e ho scritto nell'ultima lettera, ciò che mi deve ora stare più a cuore è un trasfe rimento in America in tempi brevi. 'Haturalmente nelle circostanze attuali il fatto che non ci vedremo questa primavera rappresenta per me una doppia perdita. Non mi na scondo le difficoltà di un mio trasferimento in America (GB VI, 262 sg.). N el pe riodo seguente non si parlerà più della naturalizzazione, ma solo della possibilità di trovare scampo in America.
MAX BROD, FRANZ KAFKA. UNA BIOGRAFIA
[Recensione:] Max Brod, Franz Kafka. Eine Biographie. (Erinnerungen und Dokumente), Verlag Heinrich Mercy Sohn, Praha 1937, 288 pp. (GB III, 526529). Pubblicazione postuma. Keflexionen uber Kafka (GS III, 687-90). Da una lettera a Gerhard Scholem. Prima pubblicazione: W alter Benjamin, Briefe, a cura di Gershom Scholem e Theodor W . Adorno, Frankfurt am Main 1966, voi. II, pp. 760-64. In merito alle impressioni suscitate in lui dalla biografia di Kafka di Max Brod - la prima mai dedicata allo scrittore - Benjamin scrisse il 14 aprile 1938 a Scho lem: ... s e parlo dì Kafka è perché la suddetta biografia è un intreccio di ignoranza kafkiana e di massime di saggezza brodiane che pare aprire un settore del regno degli spìriti dove la magia bianca e l'imbroglio, la ciarlataneria sono fusi nel modo più edi ficante. D el resto non ho ancora potuto leggere m olto, ma m i sono subito appropria to della formulazione kafkiana dell’imperativo categorico: «Agisci in modo che gli angeli abbiano da fare» (GB VI, 56; TU, 246). In una successiva lettera (12 giu gno 1938) aU’amico, scriveva: Rispondendo alla tua richiesta, ti scrivo piuttosto dif fusamente che cosa penso del «Kafka» di Brod; aggiungo anche alcune mie riflessio nipersonali intorno a Kafka (GB VI, 105; TU, 250 nonché Lettere, 341). Scho lem gli aveva richiesto un giudizio suUa biografia brodiana con l ’intenzione di farlo pervenire all’editore Salman Shocken e nella speranza che questi potesse commissionare a Benjamin un libro su Kafka. Poiché questa speranza non si rea lizzò, Benjamin scorporò dalia citata lettera la prima parte, dedicata a Brod, per pubblicarla come recensione; il dattiloscritto di quest’ultima rinvenuto nel lasci to era già organizzato come testo per la stampa. Fu indubbiamente questo il te sto che Benjamin offrì, sempre il 12 giugno 1938, a Ferdinand Lion per la rivi sta «MaB und W ert»: Brod ha pubblicato una - discutibile - biografia di K afka. lo ho lavorato su Kafka e sareifelice di recensire il libro per Lei, sempre che non disponga già di un resoconto dì altra provenienza. Una copia del volume è in mio possesso (GB VI, 104 sg.). Finché Benjamin fu in vita, la recensione non venne pubblicata: uscì per la prima volta aU’interno della suddetta lettera a Scholem (cfr. Walter Benjamin, Briefe cit., 756 sgg., nonché TU, 253-57). Le mie riflessioni personali intorno a Kafka, che costituiscono la seconda parte della missiva, nel presente vo lume sono riprodotte in appendice alla recensione.
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Scritti
IL PAESE IN CUI NON SI PUÒ NOMINARE IL PROLETARIATO
Das Land, in dem das Proletariat n k h t genannt werden datf. Zur \Jrauffiihrung von acht Einaktem Brechts (GS II, 514-18). Prima pubblicazione: «D ie neue W dtbiihne», 34, 1938, pp. 825-28 (fase. 26, 30 giugno 1938). Il saggio di Benjamin su Furcht und E kn d des Dritten Reichs [Terrore e miseria del Terzo,Reich] di Brecht fa riferimento alla prima della pièce alla Salle léna di Parigi, dove il 21 maggio 1938 otto scene - secondo altre fonti sette piti prologo ed epilogo - furono presentate con il titolo 9 9 % per la regia di Slatan Dudow e con Helene W eigel ed Ernst Busch. Benjamin aveva accesso a un manoscritto com pleto della pièce scritta fra il 1935 e il 1938 (fu pubblicata per la prima volta a N ew York nel 1945). Come si evince da una lettera indirizzata a Grate Steffin (collaboratrice di Brecht per la stestura di Terrore e miseria del Terzo Reich) il 7 giugno 1939, Benja min si imbattè ancora una volta nell’opera l ’aimo seguente: Nei pressi dell’Abba zia U’Abbazia di Pontigny dove Benjamin soggiornò nel maggio del 1939] erano acquartierati una ventina di legionari spagnoli con i quali io non ho avuto contatti. La signora Stenhock-Fermor invece presso di loro teneva corsi. Poiché ella mostrava grande interesse per le cose di Brecht, dopo il mio ritorno le ho inviato in prestito per qualche giorno «Timore e tremore», e lei ne ha dato lettura ai miliziani spagnoli (si trattava per lo più di austrìaci e tedeschi). «L'impressione più forte - m i scrive - l ’han no fatta la croce col gesso, lo scarcerato, i lavori forzati e l ’ora del lavoratore, e tutto è stato considerato autentico e semplice». Quando riceverà questa mia sarà certo già a l corrente - Stoccolma è senza dubbio più fornita di Svendhorg dal punto di vista letterario - che nel numero di giugno del la «N ou velk Revue Vranqaise» sono usciti brani tratti dal ciclo nella traduzione di Pierre Abraham; in tutto mi pare sei o sette. Per ora ho potuto gettarvi uno sguardo soltanto alla Biblioteca. La traduzione mi pare davvero assai riuscita. La «Nouvelle Revue Frangaise» ha inserito una nota breve e insulsa: Brecht sarebbe il poeta dell ’Opéra de quatre sous e dei Septpéchés capitaux (GB VI, 292).
APPUNTI DI DIARIO
1938
Tagebuchnotizen 1938 (GS V I, 532-39). Prima pubblicazione: Walter Benja min, Versuche ùber Brecht, a cura e con una postfazione di R. Tiedemann, Frank furt am Main 1966, pp. 128-35. Per quanto riguarda Benjamin come scrittore di diari in generale si veda Scrit ti IV, 576 sg.; in GS II/3, 1372 sg. è inoltre pubblicato un elenco dei passi di dia rio relativi a conversazioni con Brecht.
Note
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LA PARIGI DEL SECONDO IM PERO IN BAUDELAIRE PARCO CENTRALE
Dos Paris des Second Empire bei Baudelaire (GS II/2, pp. 511-604). Pubblica zione postuma. Zentralpark (GS II/2, pp. 655-90). Prima pubblicazione parziale: Walter Benja min, Schriften, a cura di TTieodor W . Adorno e Gretel Adorno con la collabora zione di Friedrich Podszus, Frankfurt am Main 1955, voi. I, pp. 473 sgg. {Appendice con altri frammentt\ Annotationen zu Gedichten Baudekires (GS I/3, 1137-50); D ìeBarstellungbeginnt... (GS I / 3 ,1150-52); W àhrendderCom mune... (GS 1/3, 1153 sg.); DieScheidungdes Wahren... (GS I/3, 1160 sg.); Die HervorbringungderProdukte... (GS VII/2, 767 sg.); D er Geschmack (GS I/3, 1167-69). Se fosse stato portato a termine, il libro su Baudelaire che Benjamin si accinse a scrivere nella seconda metà degli anni trenta sarebbe senza dubbio diventato una delle sue opere più significative, paragonabile forse solo alla Orìgine del dram ma barocco tedesco. Lo stesso Benjamin in varie occasioni accennò a parallelismi fra il suo interesse per il poeta francese e quello per il dramma tedesco d ’epoca barocca, così ad esempio in Parco centrale (n. x l v , pp. 208 sg. del presente volu me); questo accenno ha in realtà una portata pitì ampia di quanto non dica in quel contesto. Come VOrigine del dramma barocco tedesco rappresenta il sigillo appo sto alla prima fase, non ancora materialistica, della filosofia benjaminiana, cosi il Ubro su Baudelaire doveva essere la sintesi del suo pensiero successivo, orien tato al materialismo dialettico. D i Charles Baudelaire. Un poeta nell’epoca d el ca pitalismo avanzato (questo, almeno per un certo periodo, il titolo) nel lascito si trovano La Parigi d el Secondo Impero in Baudelaire e Su alcuni m otivi in Baudelai re, entrambi testi in sé conclusi e al contempo solo singole parti del progettato volume. Il secondo dei due rappresenta peraltro la revisione di una parte del te sto precedente. Accanto a questi restano numerosi frammenti di diverse dimen sioni, excerpta, abbozzi e annotazioni relativi ai diversi stadi del lavoro, tra i qua li Ln questa sede si presentano i più significativi. Il Baudelaire scaturì dai «passages di Parigi», ai quali Benjamin lavorò a parti re dal 1927 sino alla morte e che rimasero a loro volta incompiuti. N el 1935, con Parigi, la capitale delxix secolo , redasse quel piano del Passagenwerk grazie A qua le il lavoro entrò in uno nuovo stadio, il primo che - seppure da lontano - lo fece as somigliare a un libro (GB V, 83; L, 280). In questo piano il quinto capitolo reca il titolo: Baudelaire o le strade di Parigi. Benjamin fu spinto a stendere l ’exposé da Friedrich Pollock, Assistant Director dell’istituto per la Ricerca Sociale. Senza dubbio inizialmente considerava minime le possibilità di interessare attivamen te l ’istituto al testo (GB V, 83; L, 280), ma si sbagliava. Le reazioni assolutamente positive di Pollock e Horkheimer fecero sì che il Passagenwerk venisse ac colto nel novero dei lavori materialmente promossi dall’istituto; inoltre que st’ultimo fece in modo che Benjamin potesse continuare a collaborare alla «Zeitschrift fiir Sozialforschung» nel segno del progetto sui Passages. Già il suc cessivo lavoro di una certa dimensione pubblicato dalla rivista - la versione fran cese de L ’opera d'arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (cfr. Scritti VI, pp. 527 sgg.) - se dal punto di vista d el contenuto non presentava alcun rapporto con il Passagenwerk, gli era invece profondamente affine per quanto concerneva il me todo (GB V, 209). Questa strategia operativa subì un’interruzione, anche se non
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radicale, per la stesura del saggio, lungamente meditato, su Eduard Fuchs, il col lezionista e lo storico. Concluso questo lavoro, nel febbraio del 1937, Benjamin scrisse a Horkheimer: Ci terrei m olto a determinare in un colloquio diretto l ’omet to del mio prossimo lavoro di una certa dimensione. M i sembra che si aprano più stra de delle quali spero che tutte m i avvicinino a l mio libro [ossia ai Passages] (GB V, 463 sg.). In una successiva lettera a Horkheimer si trova, tra diverse proposte di ricerche metodologiche, anche quella di anticipare la stesura d el capitolo su Bau delaire (GB V, 490). Mentre le prime furono svolte più tardi e in forma modifi cata (con le tesi Sul concetto di storia), Horkheimer accolse subito la proposta re lativa al Baudelaire. Dall’insieme del Fassagenwerk Benjamin - che già nel 1923 aveva pubblicato una traduzione dei Tabkaux Parisiens - isolò quindi il capitolo sul poeta delle Fleurs du mal, spinto probabilmente da ragioni oggettive e soggettive. Con tutta evidenza dubitava sempre più che sarebbe ancora riuscito a raggiungere l’obiet tivo che si proponeva con U Passagenwerk, ossia la rappresentazione della strut tura storico-fUosofica del x ix secolo; il Baudelaire avrebbe dovuto costituire un modello in miniatura dei Passages (GB VI, 64; L, 338). Tra l ’estate e l’autunno del 1938, durante la stesura di La Parigi d el Secondo Impero in Baudelaire, Benja min concepì il progetto di un libro sul poeta francese indipendente dal lavoro sui Passages, immaginando una prima parte intitolata Baudelaire come poeta allegori co, dove sarebbero stati posti i problemi per risolvere i quali la seconda parte, La Parigi d el secondo impero in Baudelaire, doveva fornire i dati necessari; la sintesi vera e propria sarebbe stata riservata alla parte conclusiva, intitolata La merce come oggetto poetico (cfr. GB VI, 162 sg.; L, 356). Benjamin sottolineava espres samente che le fondamenta filosofiche dell'intero libro non si potevano compren dere a partire dalla seconda parte. Per poterle affrontare, bisogna addentrarsi nel le aggrovigliate annotazioni relative a La Parigi d el Secondo Impero in Baudelaire, il «primo» testo compiuto sul poeta francese; si tratta innanzitutto della cartel la J, che è la più voluminosa fra quelle del Passagenwerk (cfr. Scrìtti IX, pp. 243431); poi di due cartelle di appunti approntate durante la stesura del libro «in dipendente» su Baudelaire: una contenente cenni interpretativi a singole poesie delle Fleurs du mal, l ’altra che raccoglie frammenti teorici sotto il titolo di Parco centrale. Questi ultimi sono a loro volta per lunghi tratti ripresi dalla citata car tella J. C i sono infine pervenuti numerosissimi fogli che raccolgono progetti, ta belle, tesi e annotazioni. Mentre era giusto che la cartella} rimanesse nel conte sto del Passagenwerk, i rimanenti lavori preparatori saranno riprodotti in appen dice al presente saggio: e più precisamente, i cenni interpretativi e i frammenti di Parco centrale per esteso, mentre delle rimanenti annotazioni presenteremo una selezione che avanza pretese di completezza solo nella misura in cui esse ri guardano motivi o riflessioni che vanno oltre i testi conclusi. Benjamin considerava Baudelaire un testim one nel processo storico cui il pro letariato sottopone la classe borghese (Scritti IX, 401) e intendeva salvare il carat tere di testimonianza della sua opera per la teoria materialista. Aveva previsto di scrivere un excursus metodologico per approfondire la differenza decisiva tra «sal vazione» e «apologia» (GS I/3, 1150; cfr. anche GB VI, 65; L, 339). La catego ria della salvazione rappresenta una delle più antiche nozioni filosofiche benjaminiane e fa da anello di congiunzione fra la prima fase del suo pensiero, quella metafisica, e quella materialistica che caratterizza la maturità. In quest’ultima l ’interesse gnoseologico continua a imporsi su quello per l ’utilità politica e l ’im mediato valore d ’uso dell’arte nella lotta di classe, molto vicino al tardo Benja min. Un interesse a sua volta autenticamente marxiano: come Benjamin cerca di
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individuare la verità sulla borghesia nell’arte allegorizzante di Baudelaire, cosi U procedimento marxiano aveva messo in evidenza la necessità storica delle forme ÌEeticistiche delle categorie economiche. La critica dell’economia politica non vuo le mai essere astratta negazione, e mai la teoria socialista, laddove essa è scienti fica, sacrifica il doppio senso della Aufhebung hegeliana. Benjamin, a sua volta, non critica l ’allegorismo di Baudelaire in quanto tecnica artistica semplicemen te superata e resa obsoleta dalla storia, ma cerca piuttosto di mettere in luce la specificità storica di quegli elementi che gli conferiscono carattere di testim o nianza per l ’epoca del Secondo Impero, e che per questa stessa ragione ne rac chiudono oggettivamente U superamento. Anche di La Parigi d el Secondo Impero in Baudelaire Benjamin avrebbe potuto dire ciò che non esitò ad asserire a pro posito dell’opera d'arte: E ormai posso affermare che la teoria materialistica d el l ’arte, di cui tanto si era sentito parlare ma che nessuno aveva mai visto con i propri occhi, ora esiste (GB V, 199). In una lettera del 10 novembre 1938 all’autore. Adorno espresse le riserve proprie e degli altri collaboratori dell’istitu to newyorkese sul testo; per quanto Benjamin possa essersi sentito ferito anche a livello umano, la discussione che ne segui lo indusse alla stesura del «secondo» saggio, Su alcuni m otivi in Baude laire (cfr. pp. 378 sg.). La Parigi del Secondo Impero in Baudelaire non venne pub blicato mentre Benjamin era in vita e nemmeno nelle Schriften del 1955. Sol tanto alla fine degli anni sessanta, uscirono dapprima i capitoli II flàneur (nella «N eue Rundschau», 1967) e La modernità (in «Das Argument», 1968), quindi, nel 1969, in volume, sia il primo (per intero) sia il secondo saggio. Zentralpark venne pubblicato parzialmente nelle Schriften (e in questa veste è tu tt’ora pro posto in Angelus Novus) e nel suo insieme in GS (dove figurano anche gli altri frammenti).
ROGER CAILLOIS, JULIEN BENDA, GEORGES BERNANOS ET G. FESSARD
[Recensione coUettanea:] Roger CaUlois, L ’Aridité, in «Mesures», 15 aprile 1938, n. 2, pp. 7-12; JuUen Benda, VnRégulierdans lesiècle,Vaxis 1937; Georges Bernanos, Les grands cimetières sous la lune, Paris 1938; G[aston] Fessard, Là Main tendue? LeDialogue catholique-communiste est-ilpossible?,Vans 1937 (GS III, 549552). Prima pubblicazione: «Zeitschrift fiir Sozialforschung», VII (1938), pp. 463466 (fase. 3); firmato con l ’anagramma di Benjamin / . E.Mabinn. Le riflessioni a proposito dei Ubri qui recensiti si trovavano originariamente nella lettera a Max Horkheimer del 28 maggio 1938 (GB VI, 92-97), una di quel le «lettere sulla letteratura» con cui Benjamin teneva informati i coUeghi newyorkesi dell’istituto sulle novità e d ito r i^ francesi; la casualità dell’accosta mento tra questi libri, saggi e pubblicazioni si spiega con la prossimità della loro data di pubblicazione. Nella successiva lettera a Horkheimer, il 3 agosto, Benja min scrisse: In queste circostanze, la Sua proposta di pubblicare sulla rivista un fram mento della mia lettera del 28 maggio di quest'anno mi è ovviamente due volte gra ta. Ma a prescindere da ciò sono lieto che questo genere di resoconto Le sia utile. E viceversa mi risulta più piacevole confrontarmi con alcuni libri se so di poter dedica re i resoconti a Lei (G ^ N \, 151 sg.). Delle riflessioni di carattere redazionale pro poste nel seguito della lettera si tenne poi conto nella versione a stampa. I moti vi che spinsero Benjamin a pubblicare il testo sotto uno pseudonimo avevano a
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che vedere con la domanda di natviralizzazione che nel frattempo aveva inoltra to (cfr. pp. 529 sgg., nonché, per la questione dello pseudonimo, la citata lette ra a Horkheimer del 17 novembre). Alla fine però non scelse il nome Hans Fellner come aveva suggerito: Per la pubblicazione della recensione nell’ultimo nume ro ho scelto un anagramma del mio nome,J. E. M abim . Spero che, in concomitanza con l ’indicazione d el luogo, esso risulti sufficientemente trasparente per i conoscitori della rivista (GB VI, 209). A ll’inizio degli anni trenta Roger Caillois (1913-78) apparteneva al gruppo dei surrealisti, e nel 1938 fondò insieme a Georges Bataille il Collège de Socio logie, alle cui riunioni Benjamin prendeva occasionalmente parte. Dal 1941 al 1945 visse a Buenos Aires, nel 1971 divenne membro dell’Academie Frangaise. Per lo scrittore-filosofo Julien Benda (1867-1956), Benjamin mostrò un co stante interesse, come dimostrano le recensioni di altri due suoi libri: La trahison des ckrcs [Il tradimento dei chierici, cfr. Ombre, 104-6] e Discours à la nation européenne [cfr. Scritti V, 549-51; nonché, per ulteriori informazioni sull’autore, 5 9 9 sg.]. II poeta Georges Bernanos (1888-1948) fu rappresentante di un cattolicesi mo mistico e scrisse importanti romanzi, tra i quali si ricordano Sous le soleil de Satan [Sotto il sole di Satana, 1926] e Journal d'un curé de campagne [Diario di un curato di campagna, 1936]. Gaston Fessard (1897-1978), filosofo e teologo cattolico, membro dell’ordi ne dei G esuiti dal 1913; ordinato prete nel 1928. La sua opera principale, Ladialectique des Exercices spirituels de Saint Ignace de Loyola [La d iie ttic a degli eser cizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola], usci solo nel 1956. Il suo interesse an dava alla filosofia politica: al rapporto tra cristianesimo e marxismo come alla teologia della liberazione e alla prassi ecclesiastica post conciliare.
ROMANZO DI EBREI TEDESCHI
Roman deutscher Juden [Recensione:] Stephan Lackner, Jan Heimatlos. Ro man, Verlag D ie Liga, Ziirich 1939, 222 pp. (GS III, 546-48). Prima pubblica zione: «D ie neue W eltbiihne», 34 (1938), pp. 1621 sg. (fase. 51, 22 dicembre 1938). Pur essendo nato a Parigi, lo scrittore Stephan Lackner (pseudonimo di Er nest Gustave Morgenroth, 1910-2000) visse in Germania (dove studiò filosofia e storia dell’arte) fino al 1934, anno in cui fece ritorno nella capitale francese con la famiglia. Quando nel 1939 i Morgenroth lasciarono l ’Europa, Benjamin scris se a Gretel Adorno: N ei prossimi giorni parte per l ’America anche l ’unica famiglia con una posizione davvero solida che io abbia conosciuto qui e che mi avrebbe potu to garantire un appoggio in caso di emergenza. I l marito è collezionista di medaglie ri nascimentali: e con nessuno riesco a entrare in contatto meglio che con un collezio nista. Più importante è che a suo figlio, Ernst Morgenroth, che con il nome di Lack ner tenta la carriera del romanziere, ho potuto dare alcune indicazioni, basandomi sulle mie esperienza con Speyer. Cerco di cavare i l meglio dalla perdita di questa mia ultima copertura e di dare motivo a l vecchio Morgenroth di andare a trovare Max (GB VI, 248). Lackner, che a Parigi era stato collaboratore del «N eues Tagebuch», visse poi a Santa Barbara in California. Oltre a quello qui recensito scrisse un se
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condo romanzo {DergeteilteMantel\VL mantello diviso], 1979), un volume di me morie (Selbstbildms m itFeder [Autoritratto con penna], 1988), racconti, drammi, poesie, nonché alcune monografie su Max Beckmann (che da lui fu aiutato al pa ri di Benjamin).
LOUISE W EISS, SOUVENIRS d ’u N ENFANCE RÉPUBLICAINE
[Recensione:] Louise e h i, Souvenirsd’uneenfance républicaine, Paris 1937, 244 pp. (GS III, 548 sg.). Prima pubblicazione: «Z eitschrift fiir Sozialforschung», 7, 1938, p. 451 (fase. 3). Louise W eiss (1893-1983) discendeva da una famiglia alsaziana e fu inizial mente insegnante liceale, quindi giornalista politica e tra il 1918 e il 1934 diret trice della rivista «Europe nouveUe»; durante la seconda guerra mondiale parte cipò attivam ente alla Résistance e fu caporedattrice del giornale clandestino «NouveUe République». Dal 1979 alla sua morte fu deputato del Parlamento Eu ropeo. Tra i suoi libri - oltre ai cinque volumi delle Mémoires d ’une Européenne [Memorie di un’europea] - La Marseillaise [La marsigliese, 1945-47], Sabine Legmnd (1952) e Le Voyage enchanté [Il viaggio incantato, i960].
ROLLAND DE RENÉVILLE, L'EXPÉRIENCE POÉTIQUE
[Recensione:] RoUand de Renéville, Uexpérìence poétique, Paris 1938, 196 pp. (GS III, 553-55). Prima pubblicazione: «Zeitschrift fiir freie deutsche Forschung», II (1938), pp. 137 sg. (n. i). Inizialmente, Benjamin aveva proposto la recensione a Ferdinand Lion per «MaB und W ert»: Per tornare ancora una volta sulla sezione crìtica della rivista, m i piacerebbe - prima di prendere commiato per un p o ’ dal romanticismo tedesco recensire per Lei la più recente pubblicazione francese su quest'epoca. Si tratta dì « L ’expérience poetique» di Rolland de Renéville. I l libro è il pendant di Béguin; pili concentrato, a dispetto della sua problematica meno ristretta (GB VI, 80). Seb bene a quanto pare Lion avesse avesse accettato l’idea, la recensione non ap parve su «MaU und W ert», ma sulla «Zeitschrift fiir freie deutsche Forschung», edita da Johannes Schmidt, al secolo L izio Radvanyi (1900-78), marito di A n na Seghers. A Horkheimer, Benjamin descrisse il progetto nei seguenti termi ni: ]ohannes Schmidt, che Lei conosce, da questa estate pubblica una rivista bime strale. Dalla sua affermazione che la rivista economicamente è a l sicuro per due an ni, deduco che c ’è dietro il partito. La compagnia dei collaboratori si presenta come una miscela pìccolo-borghese che attualmente si ritrova in composizione pressoché identica negli organi dell’ala destra come sinistra dell’emigrazione. Sembra che ci siano anche alcuni di francesi, come Yermeil. Schmidt mi ha chiesto di collaborare. Memore della conversazione a proposito della sua Freie deutsche Hochschule [Li bera Università Tedesca] che avemmo quando Lei era qui non ho opposto un ri fiu to di principio.N on occorre che Le dica che a Schmidt manderei soltanto quei la vori che non presentano un interesse sostanziale per la «Zeitschrift fiir Sozialforschung». D el resto si presenteranno solo occasionalmente e avrebbero prevalentemente
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la forma dì recensioni (GB VI, 68). Nella recensione Benjamin non tornò solo sul primo romanticismo di N ovalis, argomento della sua tesi di laurea, ma anche sulla poesia esoterica, uno dei tem i di cui si interessò per tutta la vita. André RoUand de Renéville (1903-62), autore di Rimbaud le voyant [Rimbaud il veggente, 1929], fu un esponente della «N ouvelle Revue Fran^aise» e membro del gruppo Le Grand Jeu, legato alla patafisica di Jarry. Quando Benjamin lo co nobbe, aveva un ruolo importante nella pubblica amministrazione francese e non esitò a patrocinare la sua richiesta di naturalizzazione.
LEON ROBIN, LA MORALE ANTIQUE
[Recensione:] Léon Robin, La Morale antique, Librairie Félix Alcan, Paris 1938, 184 pp. (GS III, 555 sg.). Pubblicazione postuma. D ocente di filosofia antica alla Sorbona, Léon Robin (1866-1947) scrisse tra l’altro La théorie des idées e t des nombres d'après Aristote [La teoria delle idee e dei nomi secondo Aristotele, 1909], La théorie platonicienne de Vamour [La teoria platonica dell’amore, 1933], F kton [Platone, 1935] e Lapenséehelléniquedes origines à Epicure [Il pensiero greco dalle origini a Epicuro, 1942]. Insieme a Ferdi nand Brunot, Lucien Lévy-Bruhl, Charles Andler e altri fu tra i professori fran cesi che firmarono una petizione affinché il premio N obel per la letteratura fos se assegnato a Karl Kraus.
1939
RICHARD HONIGSWALD, PHILOSOPHIE UND SPRACHE
[Recensione:] Richard Honigswald, Philosophie und Sprache. Pwblem kritik und System, Haus zum Falken Verlag, Basel 1937, X , 461 pp. (GS III, 564-69). Pubblicazione postuma. La recensione fu scritta su suggerimento di Leo Lòwenthal, che si occupava delie questioni redazionali della «Zeitschrift fiir Sozialforschung», al quale il 21 dicembre 1937 Benjamin scrisse: Non m i perdonerei un rifiuto della Sua proposta di recensire il libro di Honigswald. D ’altro canto Lei preventivamente m i accenna al le notevoli dimensioni dello stesso. Vorrei pregarLa, oltre che di spedirmelo, di con•cedermi una certa libertà riguardo alla data di consegna della recensione. I l tema del libro Le garantisce che me ne occuperò a l più presto possibile (GB V, 634). Le te matiche inerenti la filosofia e il linguaggio erano state al centro dell’interesse del giovane Benjamin e, dopo Sulla lingua in generale e sulla lìngua degli uomini {cfr. Angelus Novus, 53-70) del 1916, erano sempre rimaste vive nel suo pensiero. A l la fine di gennaio del 1939, o al più tardi ai primi di febbraio (cfr. GB VI, 209 e 218; L, 378), Benjamin inviò a Lòwenthal a N ew York il manoscritto, insieme alle altre due recensioni immediatamente successive. Il 18 aprile - nel frattem po si era aggiunto il testo di una recensione dei volumi XVI e XVII della Encyclopédie Vrangaise - Benjamin scrisse a Horkheimer: Lòwenthal ha per le mani quattro m ie recensioni piuttosto lunghe (Dimier, Honigswald, Stemberger, Encyclopédie Frangaise). Sareifelice di scoprire che almeno una parte di esse ha trovato ac coglienza neiprossimo fascicolo (GB VI, 265); il 7 maggio 1940 tornava a infor marsi presso Adorno: Posso importunarLa con una questione amministrativa (o piti che amministrativa)? Perché la rivista si mostra cosi scostante nei confronti di diver se mie recensioni-.penso in prima linea a quella di Stemberger, ma anche a quella di Honigswald, delle quali finora non ho ricevuto le bozze (GB VI, 454). N on è dato sapere per quale motivo le recensioni non vennero pubblicate; è probabile che sia dipeso in patte dai tempi redazionali più lunghi della sezione recensioni del la rivista, in parte però anche dal fatto che l ’ultimo fascicolo in lingua tedesca usci in ritardo a causa dello scoppio della guerra. Il testo riassume e concentra una volta di più il nucleo della filosofia benjaminiana che da un lato affonda le sue radici nella critica della ragione kantiana e nella conseguente prospettiva sistematica incentrata sul «punto di fuga nèl regno della libertà»; e dall’altro si confronta criticamente con il neokantismo in cui è del tutto assente quella prospettiva storica che il materialismo dialettico cerca di recuperare.
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Il filosofo neokantiano Richard Hònigswald (1875-1947), fu docente di filo sofia a Breslavia (1916) e Monaco (1930-33); internato a Dachau nel 1938 emi grò negli Stati U niti l’anno successivo; i suoi lavori sono incentrati suUa teoria dell’oggetto e suUa «monadologia».
Loms DIMEER,
DE L ’ESPRIT À LA PAROLE
^ PRecensione;] Louis Dimier, D e Vesprit à la parole. Leur brouille e t leur accord, Editions Spes, Paris 1937, 248 pp. (GS III, 569-72). Pubblicazione postuma. Fino alla prima guerra mondiale, lo storico dell’arte Louis Dimier (1865-1943) fu un sostenitore dell’A ction fran9aise e titolare della «Chaire rivarol» presso l ’Institut d ’Action fran9aise; in seguito divenne un critico severo della politica reazionaria di Charles Maurras.
DOLF STERNBERGER, PANORAMA ODER ANSICHTEN VOM XDC. JAHRHUNDERT
[Recensione:] D olf Sternberger, Panorama oder Ansichten vom i^.]ahrhundert, H . Goverts Verlag, Hamburg 1938, 238 pp. (GS III, 572-79). Pubblica zione postuma. Benjamin conosceva D olf (in realtà Adolf) Sternberger (1907-89) sin dalla fi ne degli anni venti, quando lo aveva incontrato a casa di Ernst Schoen a Fran coforte (cfr. D olf Sternberger, GangzwischenMeistem, Frankfurt am M ain 1987, pp. 459 sg.); entrambi erano collaboratori della radio di Francoforte e della «Frankfurter Zeitung»; un ulteriore punto di contatto era Theodor W . Adorno, con il quale Sternberger studiava. Durante la prima fase dell’emigrazione di Benjamin continuarono a coltivare una corrispondenza, inizialmente amichevo le (cfr. GB IV, 332 sg.) e improntata quantomeno a un riconoscimento deU’atteggiamento di Sternberger nei confronti dei nazisti (cfr. GB IV, 341), poi da parte di Benjamin con evidenti riserve, come mostra una lettera dei 10 settem bre 1935 a Gretel Karplus: Non mancano ì corrispondenti di interesse minore. Stemberger m i ha inviato un saggio su «D ie heilige und ihr Narr» [di Agnes Giinther] che mi dimostra come egli da contadino operoso continui a coltivare i campi dello Jugendstil da cui il mio regno d ’inverno si è ritirato. N el frattempo in questo paesaggio io proietto sentieri un p o ’ più contorti (GB V, 163). Benjamin probabilmente les se il libro di Sternberger Panorama oder Ansichten vom 19. ]ahrhundert immedia tamente dopo la pubblicazione e ne parlò ad Adorno. L’accusa di plagio si rife risce ai temi presenti nel Vassagenwerk, di cui Sternberger era al corrente, sia tra mite lo stesso Benjamin che da racconti di Adorno. D o lf Sternberger ha pubblicato [ ...] «Panorama - Ansichten des 19. Jahrhunderts» .11 titolo è l ’ammissione d el ten tato plagio nei miei confronti da cui deriva l ’idea di base del libro; allo stesso tempo si tratta anche dell’unico caso diplagio riuscito. L ’idea dei «Passages» è stata qui dop piamente filtrata. D i quel che è riuscito a penetrare nel cervello di Sternberger (primo filtro) si è palesato ciò che la camera degli scrittori del Reich (secondo filtro) ha la sciato passare. D i quel che è rimasto può facilmente farsi un’idea. «Condizionamen ti e azioni, costrizione e libertà, materia e spirito, innocenza e colpa non possono es
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sere separati l ’uno dall’altro nelpassato, le cui irrevocabili testimonianze, seppur spar se e incomplete, stanno dinanzi a noi. Tutto ciò si presenta intrecciato [...]. Si tratta della casualità della storia stessa, raccolta e conservata nella scelta casuale delle cita zioni, nel disordine bizzarro dei tratti che nondimeno si compongono in scrittura». L ’apparato concettuale di Stemberger, indescrivibilmente misero, è rubacchiato qua e là da Bloch, da Lei e dam e. Particolarmente rozzo è l ’uso d el concetto di alle gorìa, che si trova ogni tre pagine. Due penose digressioni sulla commozione m i di mostrano che egli ha messo le mani anche nel saggio sulle «Affinità elettive». Per riguardo alla camera degli scrittori d el Reich non ha osato avvicinarsi alle fonti centrali p e rii tema, quelle francesi. Se pensa che quelli che egli elabora con lo strumen tario concettuale citato sono Bólsche, Haeckel, Scheffel, la Marlitt e simili, avrà un’i dea esatta di ciò che quando lo si ha davanti nero su bianco risulta inimmaginabile. M i pare perfettamente n ell’ordine delle cose che il ragazzo, prima di cimentarsi con questo capolavoro, abbia fatto il suo saggio di apprendistato con il resoconto di Monaco del discorso di H itler sull’arte degenerata. Credo che dovrebbe farsi niandare il libro. Può forse discutere con Max dell’op^ portunità che io faccia una segnalazioné - detto altrimenti: che lo denunci (GB VI, 60 sg.). Il citato saggio di apprendistato di Stemberger era stato un articolo inti tolato Tempio dell’arte. A d o lf H itler inaugura la «Haus der deutschen Kunst» ap parso sulla «Frankfurter Zeitung» del 19 luglio 1937, che l ’autore del resto di fendeva ancora nel 1972. Presumibilmente nello stesso periodo Benjamin abbozzò una lettera a Sternberger che a quanto pare non spedi, ma di cui conservò il manoscritto: I chiari menti che devo alle Sue riflessioni teoriche sull’arte apparse nella «Frankfurter Zei tung» del luglio J9J 7 hanno trovato conferma in maniera convincente nel Suo nuovo libro, nel quale è riuscito a produrre una sintesi tra una concezione nuova, che ha in comune con A d o lf Hitler, e una vecchia, che aveva in comune con me. Ha da to a Cesare quel che era di Cesare e preso a ll’esiliato ciò di cui poteva servirsi. Il Suo libro è fragile, ma il Suo atteggiamento tutto d ’un pezto (cfr. GB VI, 70). Concet ti ribaditi in una successiva lettera a Scholem: Prima o poi dovresti proprio pren dere in mano il libro di Stemberger [ ...] di cui probabilmente hai già sentito parlare come sfacciato tentativo di plagio (GB VI, 218; L, 378). A Benjamin, Adorno rispose il 4 maggio 1938: «Per quanto concerne Sternberger ho proposto l ’acquisizione del libro e non avrei nuUa da eccepire su una denuncia. Voglio solo darLe a considerare chela posizione di Stemberger al gior nale è diventata insostenibile e che non so se, su questo punto, si debba antici pare lo spirito del mondo» (T. W . Adorno e W . Benjamin, Briefwechsel 19281940, Frankfurt am Main 1994, p. 327). Benjamin ricevette poi però comunque l ’incarico di recensire il volume e aUa fine di gennaio del 1939 spedì il proprio testo alla rivista (cfr. GB VI, 209). Esso non fu tuttavia pubblicato e Benjamin cercò ripetutamente di capire il perché; così nel giugno 1939 in una lettera a Gretel Adorno; In questa occasione è tornato a opprimermi il silenzio generale incon trato dalla mia recensione del «Panorama» di Stemberger. Neppure tu lo hai rotto quando di recente m i hai a tua volta scrìtto a proposito d el libro.[ ...] A prescindere dall’atteggiamento critico, mi sembrava che la recensione dicesse qualcosa di nuovo nelle riflessioni dedicate alla struttura del «genre». Non mi vuoi scrivere qualcosa in proposito? (GB VI, 309). A ll’epoca in cui, nel maggio 1940, Benjamin scrisse ad Adorno per avere lumi su vari testi non pubblicati, la «Z eitschrift fiir Sozialforschung» in effetti non pubblicava più contributi in tedesco (l’ultimo fa‘ Il verbo anzeigen in tedesco significa sia «segnalare» sia «denunciare».
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scicolo che ne conteneva era uscito nel gennaio 1940). Resta tuttavia da capire perché la stroncatura di Sternberger rimase in redazione un anno senza essere pubblicata.
ENCYCLOPÉDIE FRANgAISE, VOL. l 6 E 1 7
[Recensione:] Encyclopédie frangane, Voi. 16 et l y . Arts et Littératures dans la société contemporaìne, I, II (diretta da Pierre Abraham), Comité de l ’Encyclopédie fran9aise, Paris 1935-36 (GS III, 579-85). Pubblicazione postuma. Attualmente mi occupo del X V I volume della nuova enciclopedia francese :Arts et Littératures (GB V, 491): così Benjamin scrisse a Horkheimer già il 28 marzo 1937. Come si evince da una lettera del 20 marzo 1939, il manoscritto fu inviato a New York solo due anni più tardi: Chissà se Ti hanno raggiunta gli ultimi manoscritti che ho spedito a Lówenthal? Lo spero in particolare della mia recensione dell’enciclope dia francese, che a tratti potrà essere di Tuo interesse per i Tuoi attuali studi sulla p it tura (GB VI, 240), N el giugno del 1939 Benjamin ricevette una copia delle bozze (cfr. GB VI, 309), ma la recensione, che riprende alcuni motivi dell’Opera d ’arte nell’epoca d^lla sua riproducibilità tecnica, non fu più pubblicata.
COM M ENTI A POESIE DI BRECHT
Rammentare zu Gedichten von Brecht (GS II/2, 539-72). Prima pubblicazio ne; Legende von der Entstehung des Buches Taoteking aufdem Weg des Laotse in di^ Emigration, in «Schweizer Zeitung am Sonntag», 23 aprile 1939; Zu den «Studien» e Zu dem «Lesehuch fu r Stadtebewohner», in: W alter Benjamin, Versuche Uber Brecht, a cura di Rolf Tiedemann, Frankfiurt am Main 1966, pp. 65-73; gli altri commenti in: Walter Benjamin, Schriften, a cura di Theodor W . Adorno e Gretel Adorno con la collaborazione di Friedrich Podszus, Frankfurt am Main 1955, voi. II, pp. 351-72. Fu nell’estate del 1938, durante un soggiorno presso il poeta in Danimarca, che Benjamin maturò l ’idea di commentare alcune poesie di Brecht. N e scrisse a Karl Thieme il 30 marzo 1939: La cartolina che Lei mi ha indirizzato da Parigi que s t’estate non è stata, per noi su in Danimarca, l ’unico motivo per pensare a Lei. Là io coltivavo l ’idea di scrivere dei commenti ad alcune poesie di Brecht, e nel frattem po a questo progetto mi sono avvicinato. In questo contesto sin dall'inizio siamo tornati a parlare della Sua ormai classica recensione d el «Libro di devozioni domestiche» [cfr. Karl Thieme, Des Teufels Gebetbuch? Eine Auseinandersetzung m it dem Werke Bertolt Brechts [Libro di pre ghiere del diavolo ? U n confronto con l’opera di Bertolt Brecht], in «Hochland», 29 (1931-32), voi. I, 397-413 (fase. 5, febbraio 1932)]. Ora, dopo avere scritto cir ca una dozzina di commenti, di cui diversi a poesie del «Libro di devozioni domesti che», sento un gran desiderio di rileggere «Des Teufels Gebetbuch». Uno degli scopi di queste righe è di indirizzarLe la preghiera di concedermene in prestito una copia per otto 0 dieci giorni (GB VI, 245 sg.). Già dieci giorni prima Benjamin aveva in viato a Margarete Steffin, la collaboratrice di Brecht, il testo dei suoi commen
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ti: Con lo stesso giro di posta Le invio il commento alle poesie: è possibile che qual cosa possa risultare utile a «Das W ort». Il lavoro per me non è concluso. Intendo a l l ’occasione ampliarlo con diversi commenti, in particolare a poesie successive .Ma nel l ’immediato futuro penso che non ne avrò il tem po. (Se Erpenbeck sostiene che non gli ho risposto, allora si tratta di una delle sue bu gie per la redazione. La mia ultima lettera, rimasta senza risposta, conteneva la ri chiesta dì prevedere un termine di pagamento indipendente dalla data di pubblica zione [GB VI, 244]). Sembrerebbe quindi che Benjamin abbia scritto i testi su incarico della rivista «Das W ort», il cui caporedattore era Fritz Erpenbeck, suc ceduto a WiUi Bredel dalla primavera del 1937. Come sotto l ’egida redazionale di WiUi Bredel era stata accettata ma non pubblicata la seconda Lettera da Pari gi, così sotto quella di Erpenbeck la rivista rinunciò a pubblicare i Commenti; e come Benjamin dovette praticamente elemosinare il pagamento per André Gide und sein neuer Gegner [André Gide e il suo nuovo oppositore], l ’unico suo testo pubblicato su «Das W ort», cosi a quanto pare Erpenbeck si mostrò restio a pa gare i Commenti che pure aveva commissionato. Quando dalla Steffin Benjamin vertne a sapere che «Das W ort» avrebbe cessato le pubblicazioni, le scrisse: Dun que esce di scena anche «Das W ort». Deve sapere che ho mandato il manoscritto dei «Comm enti» solo a Lei; non volevo che arrivasse alla redazione prima che Brecht lo avesse visto. Per questo non posso proprio scrivere a Erpenbeck. L ’incarico m i era stato affi dato e ilmanoscritto dovrebbe, come è ovvio, assolutamente essere pagato. Ma da una lettera a Erpenbeck a firma mìa non posso sperare nulla. La prego quindi di fare il possibile per regolare h questione tramite Brecht. Nella Sua lettera non ho trovato alcun accenno, per quanto occasionale, alla rea zione di Brecht ai «Commenti». Devo pensare forse che valga la massima : il silenzio è una risposta? (GB VI, 267 sg.). Quale che fosse il significato della mancata rea zione ai testi, neppure Brecht in qualità di coeditore di «Das W ort» volle o potè «regolare la questione». N el giugno del 1939 Benjamin fece un ulteriore tentati vo di promuovere la pubblicazione, pregando un’altra volta la Steffin di convin cere il poeta à intervenire presso il mensile «Internationale Literatur», la cui edi zione tedesca veniva pubblicata a Mosca ed era diretta da Johannes R. Becher: Infine una parola sui miei commenti alle poesìe che su «Mafi und W ert» non usci ranno affatto [ ...] Se Brecht potesse farmi il favore di mandarli personalmente a «In ternationale Literatur», Gliene sarei molto grato. La mia idea sarebbe che lo facesse non tanto in qualità dì autore delle poesie commentate, quanto in nome della reda zione dì «Das W ort», tra i cui manoscritti si trova il mìo saggio (parlo figuratamente, dato che non ho mandato ilmanoscritto a Erpenbeck, ma solo a L ei). Comunque stia no le cose, Brecht ha con «Internationale Literatur» contatti che io non h o. Penso che per lui sia molto facile chiedere se queste persone abbiano interesse ai «Commenti». Se p o i non desidera mandarli di persona potrà comunque fa r s i che la redazione me li chieda. Se il volume delle poesìe esce ora, diventa tutto più semplice, mentre a me un’i niziativa autonoma presso «Internationale Literatur» peserebbe m olto. La prego di scrivermi alproposìto (GB VI, 293). N on sappiamo se U tentativo di Brecht pres so «Internationale Literatur» sia fallito o se non lo abbia intrapreso affatto. Mentre Benjamin era ancora in vita solo il commento alla Legende von der Entstehung des Buches Taoteking aufdem Weg des Laotse in dìe Emigration [Leggenda della nascita del libri Taoteking durante il viaggio verso l’emigrazione di Laotse] fu pubblicato suUa «Schweizer Zeitung am Sonntag», diretta da Fritz Lieb (un amico dell’autore) e da Eduard Behrens; gli altri testi furono pubblicati postu mi. Dato che nel manoscritto mancava una numerazione complessiva delle pagi
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ne, l ’ordine dei singoli contributi è stato stabilito dai curatori, cui si deve anche l ’inserimento delle poesie commentate.
L'IN ST ITU T FÙR SOZIALFORSCHUNG I M IE I RAPPORTI CON L ’IN SU T U T
Das Im titu t fu r Sozialfonchung Meine Beziehungen zum Im titu t (GS V /2, 1173 sg.). Pubblicazione postuma. Genesi e scopo di queste note autobiografiche si desumono dalla lettera che Benjamin scrisse il 14 aprile 1939 a Sigmund Morgenroth, padre del citato Stephan Lackner: Tramite Ernst [Stephan Lackner] Le faccio pervenire k annota zioni richieste, e colgo l ’occasione per ringraziarLa ancora una volta e di tutto cuore della Sua disponibilità ad appoggiarmi in questa difficile situazione. Sareifelice di poterLa rivedere, fosse anche solo per un istante, prima della Sua tra versata. Voglio comunque augurare di cuore già oggi a Lei e a Sua moglie ogni bene per il nuovo territorio (GB VI, 257). Morgenroth - un uomo quanto meno estremamente abbiente, forse ricco (GB VI, 263) - era in procinto di trasferirsi negli Stati Uniti, e Benjamin cercò di metterlo in contatto con l’istituto e con Horkheimer.
l ’o p e r a d ’ a r t e n e l l ’e p o c a d e l l a s u a r i p r o d u c i b i u t A t e c n ic a
[s e c o n d a
stesu ra ]
Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierharkeit. Zweite Fassung (GS 1/2, 471-508). Prima pubblicazione; Walter Benjamin, Schriften, a cu ra di Theodor W . Adorno e Gretel Adorno, con la collaborazione di Friedrich Podszus, Frankfurt am Main 1955, voi. I, pp. 366-405. Appunti e frammenti per la seconda redazione à i L ’opera d ’arte nell’epoca del la sua riproducibilità tecnica (GS V II/2, 670-80). Pubblicazione postuma. Fra metà ottobre e fine dicembre del 1935, Benjamin scrisse una prima ste sura di quel saggio sull’Opera d ’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica che Adorno considerava una «grandiosa introduzione» al diìjattito estetico, cioè al la discussione marxista sulla funzione rivoluzionaria o reazionaria dell’arte nella società (cfr. Scritti VI, 271 sgg.); questa stesura venne pubblicata suUa «Zeitschrift fiìr Sozialforschung» (primo fascicolo del 1936) nella traduzione france se che Pierre Klossowski preparò insieme all’autore fra getmaio e aprile del 1936 (cfr. Scritti VI, 527 sgg.). Benjamin tuttavia continuò a occuparsi del testo (a pro posito del quale scrisse che la teoria materialistica dell’arte, di cui tanto si era sen tito parlare ma che nessuno aveva mai visto con i propri occhi, ora esiste [GB V, 199]) e tra la primavera del 1936 e l ’aprile del 1939 scrisse una seconda stesura^ an^La numerazione delle stesure in questa sede diverge da quella usata nell’edizione te desca: quella qui definita prima {Scritti VI, 271 sgg.) in GS è ancora indicata come secon da; quella qui definita seconda là viene considerata terza. Nell’edizione delle Gesammelte Schriften, accanto alla citata traduzione francese, i curatori disponevano soltanto del dat-
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ch’essa non definitiva; in ultima analisi, VOpera d ’arte va considerato un work in progress filosofico. Prima del 1955 (anno in cm fu pubblicata l ’edizione delle Schriften in due vo lumi) la traduzione francese era l ’unica disponibile e influenzò così a lungo la ri cezione del testo. Si trattava tuttavia di una versione profondamente rielabora ta e da Benjamin accettata solo con riserva: era infatti il risultato di «complica zioni redazionali e tecniche», nonché di concessioni politiche che Horkheimer e la redazione newyorkese della rivista avevano preteso dall’autore. N on vi fu in vece una discussione oggettiva del contenuto delle tesi di Benjamin, della loro portata per la filosofia della storia e dell’arte: la mancanza di tempo e la distan za geografica fra gli interlocutori impedirono sempre qualsiasi approfondimen to. L’auspicato confronto intorno al nocciolo della questione cominciò solo con e dopo le dettagliate considerazioni epistolari di Adorno, si prolungò per molto tempo e fu in un certo senso extraterritoriale: nella prima fase Adorno non fa ceva infatti ancora parte né dell’istituto né della redazione, e ricopriva solo fun zioni di consulenza, non decisionali (divenne membro dell’istituto soltanto nel 1938). La costante e approfondita discussione, in particolare con Adorno, carat terizza il lungo lavoro alla seconda stesura tedesca (dal 1936 al 1940), almeno quanto il suo venir meno o la sua mancanza segnano il periodo in cui fu redatta la redazione francese. La «seconda» stesura tedesca, inedita sino al 1955 e per molti anni considerata canonica, fu U risultato di questo confronto: per questo motivo, ma anche a titolo di testimonianza della rilevanza teorica della discus sione stessa, riproduciamo qui per esteso la lunga lettera da Londra di Adorno del 18 marzo 1936, che inaugurò la discussione e ne defini l ’orientamento. «Caro signor Benjamin, se oggi mi accingo a comunicarLe alcune annotazioni a proposito del Suo straordinario lavoro, questo non avviene con l ’intento di offrire lina critica o an che solo una risposta adeguata. La terribile pressione lavorativa cui sono sotto posto - il grande libro sulla logica, la conclusione del mio contributo, a parte due analisi quasi terminato, alla monografia su Berg, la ricerca sul jazz* - rende vano qualsiasi tentativo in questo senso. E tanto più nei confronti di un prodotto al cospetto del quale mi rendo molto seriamente conto dell’insufficienza della co municazione scritta: non c ’è infatti frase che non desideri discutere a fondo con Lei. N on abbandono la speranza che possa accadere presto, ma d ’altro canto non voglio aspettare tanto per risponderLe, per quanto inadeguatamente. Lasci dunque che mi limiti a un asf>etto di fondo. La mia appassionata parte cipazione e il mio pieno assenso vanno in questo lavoro a ciò che mi sembra un’af fermazione delle Sue intenzioni originarie - la costruzione dialettica del rapportiloscritto dell’ultima redazione, la stessa che la presente edizione indica come seconda. Poiché quest’ultima presentava forti differenze rispetto alla redazione francese e non po teva quindi essere stata alla base della traduzione, dagli abbozzi e dagli appunti i curatori ricostruirono una versione «originaria», quella appunto che in GS figura come prima ste sura. Alla fine degli anni Ottanta, tuttavia, fu effettivamente ritrovata la prima redazione dattiloscritta che era stata alla base della traduzione in francese e che fu inserita nel VII vo lume di GS, rendendo a questo punto superfluo la pubblicazione della prima stesura ma noscritta, quella ricostruita dai curatori. ’ Il saggio di Adorno tSher Jazz scritto dietro incoraggiamento di Horkheimer usci con lo pseudonimo Hektor Rottweiler sulla «Zeitschrift fiir SoziaHorschung», 5, 1936, fase. 2, pp. 235-57 ^ si trova ora in Theodor W. Adorno, Gesammelte Schriften, voi. XVII, Frankftirt am Main 1997, 74-100.
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to tra mito e storia - negli strati di pensiero della dialettica materialistica: all’autodissoluzione dialettica del mito che qui viene messa a fuoco come disincanto dell’arte. Lei sa che da armi dietro ai miei saggi in campo estetico c’è il tema del la “liquidazione dell’arte”, e che l’enfasi con cui soprattutto nella musica sosten go il primato della tecnologia va intesa strettamente in questo senso e nel senso delia Sua Seconda Tecnica. E non mi stupisce il fatto che qui troviamo esplicita mente una base comune; non mi stupisce dopo che il libro sul Barocco ha porta to a termine la distinzione dell’allegoria dal simbolo (nella nuova terminologia: “auraticq”) e la Strada a senso unico quella dell’opera d ’arte dalla documentazione magica. E una bella conferma - spero non appaia immodesto se dico: per noi due - che in un saggio a Lei ignoto, pubblicato due anni fa nel fascicolo encomiastico per Schònberg, io abbia tentato formulazioni sulla tecnologia e sulla dialettica, co me sul mutato rapporto con la tecnica, che corrispondono strettamente alle Sue. Ora, è proprio questa corrispondenza a fornirmi U criterio di distinzione che devo constatare, senz’altro scopo che servire quel nostro “aspetto di fondo” che comincia a delinearsi cosi marcatamente. In questo posso forse cominciare se guendo il nostro vecchio metodo della critica immanente. In quei Suoi scritti, la cui grande continuità mi pare che il lavoro pili recente riprenda, ha distinto il concetto di opera d ’arte come creazione tanto dal simbolo della teologia quanto dal tabù magico. M i pare preoccupante, e vedo in questo un residuo estremamente sublimato di certi m otivi brechtiani, che ora trasferisca senza tante ceri monie il concetto di aura magica suU’“opera d ’arte autonoma”, assegnando quest’ultima nettamente alla funzione controrivoluzionaria. N on devo certo ribadirLe che sono assolutamente consapevole dell’elem ento magico presente nell’opera d ’arte borghese (tanto più che tento costantemente di smascherare in quanto mitica nel senso più pieno la filosofia borghese dell’idealismo che è asso ciata al concetto dell’autonomia estetica). M i sembra però che il centro dell’o pera d ’arte autonoma non sia assimilabile, a sua volta, al lato del mito - perdo ni l ’espressione topica - ma sia in se stesso dialettico: che esso porti in sé in trecciati il momento magico e il segno della libertà. Se mi ricordo bene, una volta Lei disse qualcosa di simile a proposito di Mallarmé: come meglio definire la mia sensazione nei confronti del suo lavoro se non dicendoLe che ne desidererei uno su Mallarmé in grado di fargli da contrappunto e che Lei a mio parere ci deve co me uno dei più importanti contributi. Per quanto dialettico sia il Suo lavoro, es so non lo è quando affronta l ’opera d ’arte autonoma; ignora l ’esperienza ele mentare - e che nella mia esperienza musicale di ogni giorno mi si rivela sempre più evidente - che proprio la massima coerenza nell’obbedire alla legge tecnolo gica dell’arte autonoma trasforma quest’ultima avvicinandola, invece che alla tabuizzazione e alla feticizzazione, allo stato di libertà, di ciò che coscientemente può venir prodotto, di ciò che è fattibile. N on saprei indicare programma mate rialistico migliore di quella frase in cui Mallarmé definisce le poesie non come ispirate, ma come fatte di parole; e le più grandi figure della reazione, come Valéry e Borchardt (quest’ultimo con il lavoro sulla Villa, che nonostante una frase im pronunciabile sugli operai andrebbe ripreso in extenso in termini materialistici), nelle loro cellule più intime tengono pronto questo esplosivo. Quando Lei salva il film kitsch contro quello “di un certo livello”, nessuno più di me potrebbe es sere d ’accori con Lei; ma l ’artpour l ’art avrebbe altrettanto bisogno di essere sal vata, e già solo il fronte unitario che esiste contro di essa e che, per quanto ne so, si estende da Brecht fino a!\&]ugendbewegun^, sarebbe stimolo sufficiente a ‘ Il «movimento giovanile» al quale aderì anche Benjamin.
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farlo. A Suo dire, il gioco e l’apparenza sono gli elementi dell’arte; ma nulla mi dice perché il gioco dovrebbe essere dialettico, l’apparenza - l’apparenza che Lei ha salvato in quell’Ottilia alla quale ora insieme a Mignon e a Elena è riservato un destino disgraziato - invece no. E qui invero il dibattito si rovescia veloce mente in dibattito politico. Infatti, se Lei dialetticizza la tecnicizzazione e l’e straniazione (a buon diritto), ma non fa altrettanto con il mondo della soggetti vità oggettivata, questo politicamente non significa altro che affidare immedia tamente al proletariato (in quanto soggetto del cinema) una prestazione che, secondo la definizione di Lenin, non può portare a termine che tramite la teoria degli intellettuali intesi come soggetti dialettici che appartengono alla sfera, da Lei relegata all’inferno, delle opere d’arte. Non mi fraintenda. Non voglio con siderare l ’autonomia dell’opera d’arte come una sorta di riserva a se stante, e con Lei credo che il momento auratico dell’opera d’arte stia scomparendo; non solo tramite la riproducibilità tecnica, detto per inciso, ma soprattutto grazie al rea lizzarsi della sua propria legge formale “autonoma” (proprio questo è l’oggetto della teoria della riproduzione musicale che Kolisch e io progettiamo da anni). Ma l ’autonomia, dunque la forma reificata dell’opera d’arte, non è identica al momento magico in essa: come non è andata del tutto perduta la reificazione del cinema, cosi non lo è neppure quella della grande opera d’arte; e se negare la pri ma a partire daU’ego sarebbe borghesemente reazionario, revocare quest’ultima nel senso dell’immediata valenza d’uso è al limite dell’anarchismo. Les extrèmes me touchent, proprio come toccano Lei: ma solo se la dialettica dell’infimo equi vale a quella del pili alto, e se quest’ultimo non decade semplicemente. Ambe due portano le stimmate del capitalismo, ambedue contengono elementi della tra sformazione (ma mai la via di mezzo tra Schonberg e il film americano); ambe due sono le metà smembrate della libertà intera, che pure non si può ottenere addizionandole. Sarebbe romantico sacrificare l’una all’altra: romanticismo bor ghese della conservazione della personalità e di tutto l’incanto connesso, o ro manticismo anarchico nella fiducia cieca nel potere autonomo del proletariato nel processo storico - di un proletariato a sua volta prodotto dalla società borghese. Al lavoro devo rimproverare in certa misura questo secondo romanticismo. Lei ha scacciato l’arte dai cantucci'dei suoi tabù - ma è come se temesse la barbarie che con ciò irrompe (chi pili di me potrebbe temerla con Lei) e ricorresse al ri medio di innalzare ciò che teme a una sorta di tabuizzazione inversa. La risata del pubblico al cinema - di questo ho parlato già con Max e lui Glielo avrà sen za dubbio detto) - è tutto tranne che buona e rivoluzionaria, ma piena del peggior sadismo borghese; la competenza dei giovani venditori di giornali quando discutono di sport mi appare discutibile al massimo grado; e in particolare la teo ria dello svago non riesce, pur con la sua attrattiva shockante, a convincermi. Fosse anche solo per il semplice motivo che nella società comunista il lavoro sarà organizzato in modo che gU uomini non saranno più così stanchi e così istupidi ti da aver bisogno dello svago. D ’altro canto, certi concetti della prassi capitali stica, come ad esempio quello di test, mi sembrano a loro volta quasi coagulati a livello ontologico e investiti della funzione di tabù: mentre in realtà, se un ca rattere auratico esiste, esso è - nella massima e invero nella più preoccupante mi sura - caratteristico dei film. E che - per scegliere ancora una quisquilia - da vanti a un film di Chaplin la competenza faccia del reazionario un esponente del l ’avanguardia mi sembra del pari una romanticizzazione in tutto e per tutto; neppure ora, infatti, dopo M odem Times, riesco a considerare parte dell’avan guardia il beniamino di ^acauer (il perché diverrà del tutto chiaro nel lavoro sul jazz), e nemmeno credo che alcuno degli elementi decenti in esso contenuti ven
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ga appercepito. Bisogna solo aver sentito ridere il pubblico in questo film per sa pere come stanno le cose. Il colpo diretto contro W erfel mi ha dato una gran gioia; ma se al suo posto si prende Mickey Mouse, le cose si complicano parec chio e si solleva molto seriamente l ’interrogativo se la riproduzione di ogni uo mo sia davvero queU’apriori del film che Lei rivendica e se non appartenga piut tosto a quel “realismo ingenuo” sul carattere borghese sul quale a Parigi erava mo cosf profondamente concordi. N on è in fin dei cónti un caso che quell’vtXs. moderna che Lei contrappone in quanto auratica all’arte tecnica sia arte la cui qualità immanente è cosi dubbia, come quella di Vlaminck e Rilke. Con Rilke naturalmente la sfera inferiore ha gioco facile; ma se invece si facessero i nomi, diciamo, di Kafka e Schònberg, il problema sarebbe impostato già diversamen te. Certo la musica di Schònberg non è auratica. Ciò che postulerei è dunque un'aggiunta di dialettica. Da un lato una com pleta dialetticizzazione dell’opera d ’arte “autonoma”, che tramite la sua stessa tecnologia trascende in direzione dell’opera pianificata; dall’altra una ancora più forte dialetticizzazione dell’arte d ’uso nella sua negatività, che Lei certo non di sconosce, ma che designa per mezzo di categorie relativamente astratte, come quella del “capitale cinematografico” , senza pensarla fino in fondo in se stessa, nella sua qualità di irrazionalità immanente. Quando due anni fa ho passato una giornata negli studi di Neubabelsberg, quello che più mi ha impressionato è sta to quanto poco il montaggio e tutti gli elementi progrediti che Lei m ette in evi denza siano in realtà affermati; piuttosto, la realtà viene mimeticamente e in fantilmente ricostruita e poi “ritratta fotograficamente”. Lei sottovaluta la tec nicità d ell’arte autonoma e sopravvaluta quella d ell’arte dipendente; questa sarebbe forse, in parole semplici, la mia principale obiezione; potrebbe però so lo comporsi come dialettica tra quegli stessi estremi che Lei separa. Questo a pa rer mio non significherebbe altro che la liquidazione totale dei motivi brechtia ni che già qui si trovano in fase di profonda trasformazione; soprattutto di qual siasi appello all’immediatezza di un contesto d ’efficacia, qualunque sia la sua conformazione e all’effettiva coscienza dei proletari effettivi che non hanno, ri spetto ai borghesi, assolutamente nessun vantaggio se non l ’interesse alla rivolu zione, e per il resto portano tutte le tracce di mutilazione proprie del carattere borghese. Questo ci impone con sufficiente chiarezza la nostra funzione: e so di essere al sicuro dal sospetto di intenderla nel senso di una concezione attivistica degli “uomini dello spirito”. Ma essa non può significare nemmeno che possia mo sfuggire alle vecchie tabuizzazioni soltanto rifugiandoci in nuove, in “test”, per così dite. Lo scopo della rivoluzione è l ’abolizione della paura. Per questo non dobbiamo averne paura e per questo non dobbiamo neppure ontologizzare la nostra paura. N on è idealismo borghese se restiamo solidali col proletariato nella conoscenza e senza imporre a essa dei divieti, invece di fare - come spesso siamo tentati - della nostra necessità una virtù del proletariato, che a sua volta ha la stessa necessità e ha bisogno di noi per la conoscenza come noi abbiamo b i sogno del proletariato affinché la rivoluzione si possa fare. E mia convinzione che da questo render ragione del rapporto tra intellettuali e proletariato dipen da essenzialmente la futura formulazione del dibattito estetico, per il quale Lei ha fornito una grandiosa introduzione. Perdoni la frettolosità di queste annotazioni. Tutto ciò andrebbe verificato nel lavoro sul dettaglio, nel quale alberga il buon D io, alla fine nient’affatto magico; solo la scarsità di tempo mi induce a usare categorie di una dimensione che da Lei ho imparato a evitare rigorosamente. Per indicarLe almeno i punti concreti da cui prendo le mosse ho lasciato nel manoscritto le mie annotazioni spontanee, ben
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ché alcune possano essere troppo spontanee per essere comunicate. La prego dun que di scusare questo come anche U carattere d ’abbozzo della mia lettera. Domenica parto per la Germania, dove è possibile che riesca a concludere il lavoro sul jazz, -spsa che non sono più riuscito a fare nei giorni di Londra. In que sto caso Glielo manderei senza lettera di accompagnamento e La pregherei di spe dirlo a Max subito dopo averlo letto (dovrebbe trattarsi di non più di 25 pagine a stampa). N on sono certo di riuscire a farlo, dato che non so né se troverò il tem po né soprattutto se il carattere del lavoro permetta di effettuare una spedizione dalla Germania senza estremo pericolo. Max le ha certamente detto che al cen tro del lavoro c’è il concetto di excentrìc. Sarei molto fehce se venisse pubblicato contemporaneamente al Suo. Pur trattando un tema di poco conto, nei punti de cisivi dovrebbe convergere con il Suo, sebbene cerchi però anche di esprimere in termini positivi qualcosa di ciò che oggi ho formulato in negativo. Si arriva a un verdetto compiuto sul jazz, in particolare mostrando come i suoi elementi “pro gressivi” (apparenza del montaggio, lavoro collettivo, primato della riproduzione sulla produzione) siano facciate di qualcosa di, in verità, del tutto reazionario. Credo di essere riuscito a decifrare veramente il jazz e a indicare la sua funzione sociale. Max era molto colpito e posso immaginare che anche Lei lo sarà. E del resto, per quanto riguarda la differenza teorica tra di noi ho l ’impressione che es sa non si giochi tra me e Lei, ma che sia mio compito tenere rigido £ Suo braccio finché il sole di Brecht non sarà nuovamente sprofondato in acque esotiche. So lo in questo senso La prego di intendere dunque le mie critiche. N on posso però concludere senza dirLe che le poche frasi sulla disintegra zione del proletariato come “massa” tramite la rivoluzione sono tra quanto di più profondo e potente ho incontrato nella teoria politica da quando ho letto Stato e Rivoluzione. In vecchia amicizia Suo Teddie Wiesengrund Voglio ancora esprimere la mia particolare approvazione riguardo alla teoria del dadaismo che vi si inserisce con la maturità e la bellezza con cui il libro sul barocco recepiva la “ridondanza” e l ’“orrore” ! ». (T. W . Adorno e W . Benjamin, Briefwechsel cit., pp. 168 sgg.). Questa let tera evidenzia assai bene la differenza d’atmosfera nelle due discussioni intorno alla stesura definitiva del saggio: quella restrittiva con la redazione e quella con l ’amico cui Benjamin era legato da un’affinità filosofica. Nella sua risposta, scrit ta ancora nel marzo del 1936, Benjamin sottolineava l’urgenza di un incontro con Adorno, che però non ebbe luogo (cfr. GB V, 261 sg.). Nella successiva lettera da Oxford, datata 28 maggio, quest’ultimo scrive: «È passato un tempo piuttosto lungo da quando ci siamo sentiti l ’ultima vol ta. La responsabilità della mia parte di silenzio va ascritta soltanto al tremendo carico di lavoro che ancora adesso ho sulle spalle. Sarei molto desideroso di co noscere la Sua risposta alla mia lettera a proposito del testo sul film. N el frat tempo al dibattito si è aggiunto un nuovo documento, il mio saggio sul jazz, il cui stretto rapporto con il Suo è del tutto evidente: stretto a tal punto che mi pre me ribadire che ho concepito l ’idea di fondo del lavoro, e in particolare il passo excentrìc e la critica del presunto lavoro collettivo nel jazz, prima di venire a conoscenza del Suo testo [...] Attualmente [il testo] è in stampa a Parigi, anzi, probabilmente è già stampato. La prego di farsene dare a mio nome una copia, oppure, se ciò non dovesse essere fattibile, il dattiloscritto.
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[...] Ieri ho ricevuto la “ZfS”; sulla versione francese del Suo lavoro voglio esprimermi solo dopo averla letta attentamente. A prima vista la traduzione fa un’ottima impressione. [...] Ieri ho visto il film di Reinhardt sul Sogno di una n ott^ di mezza estate, una storia raccapricciante che produce e contrario una prova a favore della Sua teoria e in particolare del passo su Werfel in essa contenuto. Una prova invero assai dialettica: infatti l’ambizione “auratica” del film porta a sua volta inevita bilmente all’annientamento dell’aura. Un po’ come ad esempio il Manet filmato in Anna Karenina. Bisogna avere nervi d’acciaio per sopportare questo tipo di li quidazione». (T. W. Adorno e W. Benjamin, Briefwechselcit, pp. 178 sgg.).
Tralasciamo in questa sede il contributo di Benjamin alla discussione, dato che non solo si trova documentato nelle Gesammelte Briefe e nel carteggio con Adorno, ma sarà compreso anche nel X volume della presente edizione, che of frirà una selezione delle più rilevanti lettere di Benjamin. Citiamo soltanto un breve passo incentrato sul rapporto tra l’Opera d ’arte e il testo di Adorno sul jazz che Benjamin aveva letto in bozze: La stupisco dicendoLe che sono estremamente felice della corrispondenza, cosi profonda e spontanea, tra i nostri pensieri? Una cor rispondenza della quale Lei non doveva nemmeno garantirmi che esisteva ancora pri ma che conoscesse il mio saggio sul cinema .11 Suo modo di vedere ha la forza dirom pente e k naturalezza che si accompagnano soltanto alla completa libertà nel proces so produttivo : una libertà la cui prassi nel Suo come nel mio lavoro fa delle profonde concordanze tra i nostri modi di vedere vere e proprie prove oggettive. In attesa del nostro imminente incontro non voglio entrare nel merito di singole questioni riguardanti il Suo lavoro. Non voglio però aspettare né punto né poco per dirLe quanto la Sua esposizione della sincope nel jazz abbia per me gettato luce sul complesso dell’«effetto-shock» nel film . N el complesso mi sembra che le nostre ri cerche, come due riflettori puntati su di un oggetto da due lati opposti, rendano rico noscibili profilo e dimensioni dell’arte contemporanea in modo del tutto nuovo e mol to più ricco di conseguenze di quanto non si sia riusciti finora a fare. Tutto il resto, e cioè molto altro, di persona (GB V, 323 sg.).
U n’altra reazione epistolare al testo arrivò da Alfred Cohn che Benjamin rin graziò ai primi di luglio del 1936; la lettera riveste una certa importanza in par ticolare perché l’autore vi analizza la reazione aU’Opew d ’arte degli autori di si nistra organizzati: D i tutto ciò che m i scrivi a proposito d el mio lavoro, mi ha mag giormente rallegrato il fatto che nonostante la sua tendenza nuova e spesso certo anche sorprendente, hai riconosciuto la sua continuità con i m iei scritti passati: una conti nuità che probabilmente si fonda sulfatto che in tutti questi anni m i sono sforzato di farmi un’idea sempre più precisa e intransigente di ciò che è un’opera d ’arte. I l mio tentativo di far dibattere il lavoro tra gli scrittori emigrati era stato prepa rato troppo accuratamente per non dare frutti sul piano puramente informativo. Ma in pratica non ne è uscito altro. La cosa più interessante è stata la manovra degli scrit tori iscritti a l partito di affossare, se non la relazione introduttiva, almeno il dibatti to sul mio lavoro. Non riuscendo nel loro intento, si sono limitati a seguire i l tutto in silenzio, quando addirittura non se ne sono andati. È l ’istinto di autoconservazione che in questi casi compensa le insufficienze d ell’intelligenza-.questa gente avverte che io m etto in pericolo la sua attività letteraria cosi ben avviata, ma d ’altra parte per il momento può permettersi di evitare uno scontro con me, mentre alla lunga non può fidarsi di affrontarlo. Per i l resto possono sentirsi a l sicuro finché anche Mosca indi vidua l ’essenza della politica letteraria nella promozione della narrativa di sinistra, come m i fa temere la creazione della rivista «Das W o rt» . Saprò qualcosa di più pre
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ciso in proposito quando tra non molto incontrerò Brecht, che è nel comitato di re dazione, insieme a Veuchtwanger e Bredel. Penso che nel mese d i luglio andrò in Da nimarca (GB V , 325 sg.; L, 321). D opo la pubblicazione della versione francese, Horkheimer si mostrò molto interessato a conoscere le prime reazioni: «H a sentito reazioni “estreme” al suo saggio? Sono ansioso di sapere come viene accolto dai francesi», scrisse in una lettera del 13 luglio 1936 (Max Horkheimer, Gesammelte Schriften, a cura di A l fred Schmidt e GunzeHn Schmid Noerr, voi. XV; Briefe ip i j- ip ^ 6 , Frankfurt am Main 1995, p. 613). Benjamin rispose il 10 agosto da Svendborg: Già prima di ricevere la prima delle sue due lettere avevo intenzione di scriverLe brevemente del le reazioni a l mio saggio nell’ultimo fascicolo della rivista. La più interessante non ho ancora potuto vederla nella sua forma letterale. Si tratta di un’esternazione di [An dré] Malraux durante il congresso degli scrittori del mese scorso a Londra, del quale era il principale relatore. [ ...] Davanti al congresso Malraux si è espresso a proposito delle m ie riflessioni, come m i ha assicurato durante un incontro a Parigi''. Si è spinto addirittura a prospettarmi una presa di posizione più precisa sul saggio nel suo prossi mo libro, evidentemente teorico. Ne sarei naturalmente felice. Ma non bisogna di menticare che Malraux è un uomo di temperamento, non tutti i suoi propositi spon tanei vengono poi realizzati. I l saggio ha inoltre dato lo spunto per un chiarimento tra ]ean W ahl e Pierre Jean Jouve, che è un poeta importante. Non ero presente, ma i l fatto mi è stato riportato. Il libraio [Ferdinand] Ostertag del Pont de l ’Europe mi ha raccontato che da lui il fascicolo della rivista è stato ripetutamente comprato con riferimento a l mio saggio. Infine so che l ’attenzione di ]ean Paulhan, redattore della N[ouvelle] R[evue] F[ran9aise], è stata insistentemente richiamata sul lavoro. G li è stato suggerito di par larne in una scheda sulla sua rivista. Non sono certo che lo farà. La cerchia intorno alla NRF ha quel tipo di impermeabilità che da sempre caratterizza un certo tipo di circoli, tre volte tanto se sono letterari (GB V, 352 sg.). L’i i agosto 1936 Benjamin scriveva a Werner Kraft, ragguagliandolo tra l ’al tro sul tentativo di pubblicare il testo in Russia, come cercava di fare sin dall’i nizio dell’anno, questa volta grazie alla mediazione di Brecht: Ieri è arrivato il se condo numero del «W ort», la nuova rivista letteraria in lingua tedesca pubblicata a Mosca. Brecht, come potrà ben immaginare, sì è molto irritato di leggere alcune os servazioni molto stupide e irriverenti su Kraus [in occasione della morte il 12 lugHo 1936] nella «Prefazione» non firmata, delle quali quindi è responsabile la redazione di cui fa parte anche lui. [ ...] Non so se in circostanze come quelle a cui ho accenna to la redazione del «W ort» continuerà ad avere a lungo la sua attuale composizione. A me interesserebbe che resistesse almeno sinché non sarà stato fatto i l tentativo, e può farlo solo Brecht, di indurla a pubblicare il mio testo su « L ’opera d ’arte nell’e poca della sua riproducibilità tecnica» in versione tedesca (GB V, 358; L, 323). Se fosse stato a conoscenza di quanto Brecht scriveva a proposito del saggio nel'suo Diario di lavoro, Benjamin si sarebbe fatto meno illusioni sull’esito della tratta tiva da lui auspicata: «B[enjamin] prende le mosse da un qualcosa che chiama au ra e dal fatto che “negli ultimi tempi sembra che essa si stia dissolvendo” [...] ■' La relazione di Malraux al congresso - Sur l’hérìtage culturel - fu pubblicata in set tembre sulla rivista «Commune» (1936, n. 37, pp. 1-9); il riferimento a Benjamin suona va, stando alla citazione che si trova nel libro di Malraux La politique, la culture (Parigi 1996, p. 136), come segue; « Soulignerai-je, comme l’a fait W. Benjamin, la transformation de nature de l’emotion artistique lorsqu’eUe va de la contemplation de l’objet unique à l’abandon distrait ou violent devant un spectacle indéfiniment rennouvelable?» (cfr. GB V, 326 e 328, nota).
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l’ha scoperto analizzando il cinema in cui l ’aura si dissolve in conseguenza della riproducibilità delle opere d ’arte. Tutto è mistica in questo atteggiamento con trario alla mistica. Tale è la forma in cui viene costretta ad adattarsi la conce zione materialistica della storia! E piuttosto raccapricciante»’.
In precedenza, nel marzo 1936, era stato invece lo stesso Benjamin a fare un tentativo in vista della pubbEcazione, affidandosi a Margarete Steffin che stava partendo per Mosca. AUa collaboratrice di Brecht allora aveva scritto: Posso [ ...] forse tornare sulla sua disponibilità a farsi carico del mio manoscritto che si trova pres so [Bernhard] R eich.L a versione francese del testo, che corrisponde a quella tedesca in possesso di Reich, è attualmente in stampa e uscirà sulla «Zeitschriftfiir Sozialforschung». Stuart Gilbert, il traduttore di Joyce, si sta impegnando a Londra per trova re un traduttore inglese. Avrei naturalmente grandissimo interesse a vedere pubblica to il lavoro in Russia. E perché ciò sia naturale lo capirà quando lo avrà le tto . La pre go caldamente di farlo. D opo averlo fa tto potrà giudicare meglio di me se il lavoro ha qualche possibilità di essere pubblicato in Russia. Per quanto m i riguarda, senza pretese di autorevolez za, a l proposito penso quanto segue: l ’impostazione d el problema da cui prendo le mosse dovrebbe incontrare grandissimo interesse in Russia. Contro il mio metodo non vedo obiezioni dal punto di vista della dialettica materialistica. Resta invece per me aperta la questione in che misura si potrà essere d ’accordo con le mie condlusioni. Solo con m olte riserve sono disposto a considerare come giudizio a l proposito una lettera che mi ha scritto Reich il 19 febbraio. Credo di agire bene pregandoLa di mo strargli d i non essere affatto, o solo molto superficialmente, informata di questa lette ra. Reich è contrario, e lo è in modo improduttivo. Non solleva in nessun punto obiezioni sul metodo. E dalla lettera si evince sola mente che la cosa per lui «va troppo in là», e che le cose sembra stiano «non proprio cosi» ecc. La sua lettera non è una base per la discussione, e non so ancora bene cosa gli risponderò. Ma la risposta comunque non è urgente. Tanto più che Reich probabilmente neppure se volesse potrebbe fare più di tanto per la pubblicazione. Ci terrei che i l testo fosse dato da leggere a [Sergej] Tretjakov come aveva sin dall’inizio proposto [Slatan] Dudotv, che ha un’alta opinione della cosa e m i aveva subito predetto che Reich non si sarebbe fa tto coinvolgere. Suppon go che Lei conosca bene Tretjakov e possa dargli il manoscritto. Ci terrei che il ma noscritto non andasse perduto. Può darsi che la sua pubblicazione in Russia sia solo una questione di tempo. Quanto a l testo tedesco mi piacerebbe riuscire a pubblicarlo su «Internationale Literatur»''. A questo scopo lo leggerò a diversi compagni con i quali ne discuterò .Sul la base di questa discussione sarà fissato poi un dibattito pubblico presso l ’associa zione degli scrittori locale [di Parigi] (GB V, 254 sg.). Con la versione tedesca si in tende senza dubbio la «prima redazione» del testo (cfr. Scritti VI, 271 sgg.), quel la a cui Benjamin stava lavorando già mentre si occupava della traduzione francese, certo con un occhio alla possibile pubblicazione in Russia. A Mosca Grete Steffin non aveva ancora ricevuto questa versione tedesca: le veniva prean nunciata nella lettera che tuttavia probabilmente non la raggiunse mai. In una successiva comunicazione a Grete Steffin - di fine maggio - Benjamin scrisse: Desidero soltanto congratularmi velocemente con Lei d el Suo felice arrivo a ’ Bertolt Brecht, Arbeitsjoumal, voi. 1: 1938-1^42, a cura di Werner Hecht, Frankfurt am Main 1973, p. 16 [trad. it. Diario di lavoro, Torino 1976, voi. I, p, 14]. ‘ Una rivista in lingua tedesca diretta da Johannes R. Becher che usci a Mosca a parti re dal 1930.
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Londra [ ...] Sembra che nessuna delle numerose lettere che Le ho mandato in Unio ne [Sovietica] la b b ia raggiunta. 'HelVultima, che a sua volta non sarà giunta a de stinazione, La pregavo infine di portare a Brecht il manoscritto del mio testo [ossia quello iti possesso di Reich] invece di indirizzarlo a Tretjakov. I l brutto è che at tualmente non ne possiedo nemmeno una copia in tedesco ; della versione francese, che è appena uscita, Brecht non sa che farsene. Non appena ne avrò una in tedesco. Gliene manderò una copia. N el frattempo era evidentemente tramontata l ’idea di pubblicare il lavoro su «Internationale Literatur», perché Benjamin prosegue in questi termini: No« occorre che dica quanto terrei a vedere pubblicato su «Das Wort» [di cui non era ancora uscito il primo numero] i l testo tedesco. In primo luogo bi sognerebbe però accertare se la rivista ha la possibilità in termini dì spazio di pubbli care un contributo di ^0-60 pagine dattiloscritte. Dovrebbe essere possibile farlo già adesso. La prego, mi scriva una riga a l proposito (GB V, 293). Come si evince dalla lettera scritta sempre a Grete Steffin a novembre, tutta la faccenda fu gestita in modo dilatorio nonostante le speranze - come si è visto vane - che Benjamin riponeva in Brecht: La prego di darmi notizia, se solo è possi bile, anche delle prospettive dell’«Opera d ’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica» su «Das W ort». Ormai dovrebbe essere possibile indurre [Willi] Bredel [il coredattore di Brecht e Feuchtwanger] a prendere posizione. Ne parli ancora una volta con Brecht (GB V, 414). Cinque settimane più tardi, dato che una presa di posizione non c’era ancora stata, Benjamin accantonò provvisoriamente la spe ranza. Aimimciando la sua seconda Lettera da Parigi, scrisse; Per il resto, da quel li là non ho ancora avuto notizie sul testo sulla riproduzione. Ora penso che dovrà aspettare fino a quando non ci andrà Brecht [a Mosca]. O crede che sia opportuno scri verne a Maria Osten, che è tornata? Non ne sono certo (GB V, 439), Finalmente, nella primavera del 1937, come Benjamin riferisce a Grete Steffin, uno dei re dattori prese posizione; Bredel mi ha appena fatto pervenire una risposta negativa proprio a causa delle dimensioni. Almeno di fronte a Grete Steffin, Benjamin non volle però ammettere che questa motivazione tendeva piuttosto a nascondere il nocciolo vero della questione, di cui - dopo l ’esperienza fatta con gli scrittori di sinistra - è probabile che fosse consapevole. N on lasciò comunque nulla di in tentato per ottenere la pubblicazione di altri lavori su «Das W ort» e nella me desima missiva scrisse (parlando di Bredel) : Come vede dalla lettera allegata non mi sono perso d ’animo e gli ho fatto subito nuove proposte; e ho anche intonato un can to quale avrebbero potuto far risuonare le sirene se avessero voluto avere soldi da Ulis se. Sarebbe molto bello e probabilmente destinato ad avere successo se Lei volesse ac compagnarlo delicatamente (GB V, 521; per la lettera di Benjamin a Bredel, ibid., 515 sg.). Con o senza canto d’accompagnamento; fatta eccezione per la prima Let tera da Parigi «Das W ort» non pubblicò alcun lavoro di Benjamin. A partite dalla fine del 1936, le testimonianze relative al proseguimento del lavoro e al progetto di una sua versione tedesca (come Benjamin non si stanca di sottolineare: originale, non più privata del suo orientamento a causa dei tagli) si diradano. Quelle che ci sono pervenute concernono in particolare il ruolo del saggio e dei suoi nessi con la produzione matura di Benjamin (e di Adorno) nel la corrispondenza epistolare e poi nella più intensa comunicazione a voce tra i due. Quale significato avessero per Benjamin i rencontres - di regola finanziati e promossi da Horkheimer - si intuisce leggendo due lettere che egU scrisse ver so la fine del 1936 a quest’ultimo in occasione della visita di Adorno a Parigi. In quella del 13 ottobre 193 6 si legge ; Prima di cominciare i l mio resoconto sa t attività come collaboratore dell’istituto a Parigi], voglio porgerLe da parte mia un sentito ringraziamento per aver reso possibile i l soggiorno qui di Wiesengrund. Il no
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stro confronto, ormai atteso da anni, ha fatto emergere una comunanza nelle princi pali intenzioni teoriche che è stata m olto gradevole e persino vitalizzante. Pensando alla nostra lunga separazione questo accordo ha a tratti qualcosa di addirittura stu pefacente. Il materiale che è stato alla base del nostro confronto: il saggio sul Jazz, il lavoro sulla riproduzione, il progetto d el mio libro [ossia l ’exposé sui Passages\, nonché un certo numero di riflessioni di Adorno sul metodo - questo materiale era abbastanza vasto perché si potessero prendere in esame le questioni di fondo (GB V, 389 sg.). Nella seconda lettera - che risale circa alla metà di dicembre - Benjamin scrive va: Certo Lei ha reso possibile la venuta di Wiesengrund prima di tutto nell’interes se dell’Istituto, il che però non esclude che cosifacendo m i abbia fatto un regalo per sonale. Innanzitutto di questo voglio ringraziarLa. Quanto più spesso 'Wiesengrund e io riusciamo ad attraversare insieme gli am biti cosi lontani fra loro cui negli anni pri ma di rivederci in ottobre abbiamo dedicato il nostro lavoro, tanto più si conferma l ’affinità tra le nostre intenzioni. È cosi naturale che può fare a meno del contatto ma teriale, senza per questo essere meno chiara e riscontrabile. Cosi gli ultimi colloqui, che hanno avuto a oggetto ora l ’analisi di Husserl, ora riflessioni suppletive sul lavo ro sulla riproduzione, ora lo scritto di Sohn-RetheP, sono stati per noi davvero signi ficativi (GB V , 440 sg.). Tra le testimonianze del 1938 troviamo il primo definitivo accenno alla «se conda redazione» del testo. In un passo allegato a una lettera ad Adorno del 16 aprile 1938 e indirizzato a Gretel Adorno, Benjamin scrive: La Tua disponibilità a trascrivere per me il lavoro sulla riproduzione ha un valore incalcolabile. Accetto con grandissima gioia. Non appena troverò il tempo di scorrere ancora una volta il ma noscritto, lo riceverai. Sembra proprio che, con il Tuo intervento, sia sorta una buo na stella a ll’orizzonte del mio opusculis (GB VI, 60). Effettivam ente il manoscrit to fu copiato - anche se solo un anno dopo - da Gretel Adorno in America; su questa copia si basò poi la prima edizione tedesca nelle Schriften del 1955. È pro babile che nell’estate del 1938, Benjamin abbia portato con sé a Svendborg il ma noscritto da rivedere, e che Brecht lo abbia letto (forse per la prima volta) in que sta forma; si spiegherebbe così anche il carattere tardivo dell’appunto nel Diario di lavoro del luglio 1938. Va da sé che, a partire dalla data di questa armotazione in qualche misura ostile e non qualificata, Benjamin non potesse aspettarsi al cun appoggio in vista della pubblicazione. L’ipotesi piuttosto verosimile che Benjamin abbia rielabcrato questa versione tedesca (con le sue evidenti varian ti, aggiunte e modifiche rispetto sia alla prima stesura, sia a quella francese) in vista della destinazione russa, se non in funzione dello stesso Brecht, risulta con fermata dapprima dalla concreta speranza dell’autore e quindi dal naufragare del la medesima (causato inizialmente dall’atteggiamento dilatorio, poi dal rifiuto di Bredel e infine dalla chiarissima annotazione di Brecht). A confermare direttamente questa ipotesi fu del resto lo stesso Adorno, secondo il quale Benjamin gU avrebbe dichiarato di avere scritto il saggio con l ’intenzione di «superare in ra dicalismo Brecht» (Rolf Tiedemann, Studien zur Philosophie W alter Benjamins, Frankfurt am Main 1965, p. 89 [nota] e p. 149; cfr. anche Theodor W . Adorno, Ùber W alter Benjamin, Frankfurt am Main 1970, p. 95 [«Interimsbescheid»]). U n’intenzione indubbiamente già implicita nelle altre stesure, ma che emerge con tutta evidenza nell’ultima. ’ Benjamin allude a Zur kritìschen Liqutdierung des Apriorismus. Bine materialistische JJntersuchung adesso compreso in Alfred Sohn-Rethel, Warenform und Denkform. Aufsatze, Frankfurt am Main - Wien 1971, pp. 27 sgg.
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Anche durante la stesura del Baudelaire, Benjamin e Adorno intrattennero un intenso rapporto epistolare, nel quale emersero fra l’altro importanti questioni sollevate àiH’Opem d ’arte. Così, in una lunga lettera del dicembre 1938 Benja min scrive: Vengo a l Suo nuovo lavoro [ossia Sul carattere di feticcio in musica e sul la regressione dell'ascolto}, e con ciò alla parte più soleggiata di questo scritto. Esso m i riguarda oggettivamente sotto due aspetti, da Lei sfiorati entrambi. In primo luo go nelle parti che mettono in relazione certe caratteristiche d ell’appercezione acusti ca del jazz con le caratteristiche ottiche del film da me descritte. Non sono in grado di decidere ex imprevisto se la diversa distribuzione delle zone d ’ombra e di quelle in luce nei nostri rispettivi scrìtti discenda da divergenze teoriche. È possibile che si trat ti di differenze solo apparenti nella prospettiva che in realtà, ugualmente adeguata, concerne oggetti diversi. Non è detto che l ’appercezione acustica e quella ottica sia no ugualmente passibili di un rivolgimento rivoluzionario. Forse ha a che fare con questo anche il fatto che la prospettiva di un mutamento repentino dell’ascolto, che conclude il Suo saggio, non perviene a compiuta chiarezza almeno per chi non abbia di Mahler un’esperienza chiarita fino infondo. N el mio lavoro [ossia nel saggio sull’opera d ’arte] ho cercato di articolare i mo menti positivi conia stessa chiarezza che Lei produce per quelli negativi. Vedo di con seguenza un punto di forza d el Suo lavoro proprio in coincidenza di una debolezza d el m io . La Sua analisi dei tipi psicologici prodotti dall’industria e la rappresentazio ne delle modalità della loro produzione sono estremamente felici. Se da parte mia aves si rivolto maggiore attenzione a questo lato della cosa, il mìo lavoro avrebbe guada gnato maggiore plasticità storica. Sono sempre più convinto che il lancio d el cinema sonoro va considerato un’azione dell’industria intesa a spezzare il primato del film m uto, che favoriva reazioni difficilmente controllabili e pericolose politicam ente. Un’analisi d el film sonoro fornirebbe una critica dell’arte moderna che medierebbe in senso dialettico la Sua e la mia opinione. Nella parte conclusiva del lavoro mi è particolarmente piaciuta la riserva che vi echeggia nei confronti del concetto di progresso. Per ora Lei motiva questa riserva so lo accidentalmente con uno sguardo rivolto alla storia del termine. Io vorrei arrivare ad afferrarlo alle radici e nelle sue origini. Ma non me ne nascondo le difficoltà (GB VI, 189 sg.). D ai Paralipomena al saggio sull’opera d’arte (cfr. GS I. 3, 1049, 1051; Scritti. VI, 304-19), emerge che lo stesso Benjamin abbozzò in tal senso al cune interessanti analisi, in particolare sul ruolo del jazz. A ll’inizio del 1939, in una lunga missiva dedicata in particolare ai problemi del Baudelaire, Adorno rispose alle questioni sollevate nell’ultima parte della let tera appena citata: «Soltanto qualche considerazione a proposito di ciò che ha detto del saggio sul feticcio. Sono d ’accordo con Lei che la diversità degli accen ti nel film e nel jazz discende essenzialmente dai materiali, e va considerato che il film rappresenta un materiale fondamentalmente nuovo, il jazz no. Sono fin troppo consapevole della debolezza del mio saggio che consiste, in sintesi, nella tendenza alla geremiade e all’imprecazione. Il lamento sullo stato di cose attuale, in questo Lei ha certo ragione, è tanto infruttuoso quanto, al contrario, mi sento di asserire che oggi il suo aspetto dal punto di vista della filosofia della storia vie ta di “salvarlo”. Oggi mi sembra che l’unico modo davvero possibile di affronta re la questione sia di disporsi a un esperimento: cosa ne è degli uomini e della lo ro appercezione estetica se li si espone alle condizioni del capitalismo monopoli stico ? Ma quando scrissi il saggio, i miei nervi non erano ancora pronti a sostenere un’impostazione della questione così demoniacamente behavioristica. Esso va in teso sostanzialmente come espressione di quelle esperienze americane che forse un giorno mi spingeranno a mettere mano a ciò di cui ambedue a ragione finora
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sentiamo la mancanza nei nostri lavori sull’arte di massa nel capitalismo mono polistico. Aderisco alla Sua idea a proposito del film sonoro, nello stesso jazz è possibile osservare fenom eni analoghi, solo credo che si tratti non tanto di intri ghi dell’industria quanto di tendenze che si affermano oggettivamente. Quanto al diventare comica della musica: effettivamente, in questo come nella “decadenza della conciliatività sacrale” vedo qualcosa di estremamente positivo, e certo non c’è passo in cui la comunicazione tra il mio lavoro e il Suo sulla riproduzione sia più intensa che qui. Considererei una mancanza grave se questo nel testo doves se esser rimasto ambiguo» (T. W . Adorno e W . Benjamin, Briefwechsel cit., p. 398). Il 14 aprile 1938 Benjamin annunciò a Gretel Adorno l ’invio del suo ma noscritto i lavoro; in realtà lo spedi solo nella primavera dell’anno successivo, come si desume da una lettera alla stessa destinataria presumibilmente del mar zo/aprile 1939: Ho letto con afflizione la tua breve lettera d e l26 di marzo. Tanto so no felice che tu ti voglia prendere cura del mio lavoro, tanto mi rattrista che questo debba accadere sullo sfondo dell’ennui o addirittura dello spleen [ ...] Ti invio il ma noscritto come raccomandata con lo stesso giro di posta.[ ...] I l testo differisce in mol ti punti da quello che conosci;soprattutto è molto più esteso. Certo, anche a partire da questa redazione ho preso nota di una serie di ulteriori riflessioni sul tema [l’accenno a ulteriori riflessioni e alla maggiore estensione del testo rendono plausibile l ’ipo tesi che il manoscritto in questione fosse l ’originale della «seconda redazione», che sarebbe quindi stata terminata solo in quel periodo e che tuttavia Benjamin, come testimonia la continuazione della lettera, non considerava definitiva]. Uno dei servigi più importanti che la Tua copiatura mi dovrà rendere sarà quello di asse gnare a queste riflessioni il loro posto nel contesto complessivo. Ti prego dunque di la sciare un margine piuttosto ampio,perché sipresti meglio a un’ulteriore revisione (cfr. GB VI, 246 sg. e 249). Già il 1° maggio Gretel Adorno rispose: «H o terminato di leggere il tuo manoscritto e devo dirTi che in tedesco mi piace davvero molto di più che non nella traduzione francese. M i è quasi dispiaciuto di riuscire a de cifrare tutto cosi senza fatica, che non ci fossero più annotazioni manoscritte. Sento inoltre la mancanza delle appendici di cui ci hai letto alcuni stralci a San Remo [e il cui inserimento nel testo era riservato alla redazione finale]. Dato che al momento lavoro molto intensamente con Max [Horkheimer] la copiatura su birà ancora un rallentamento, ma certo questo non è importante» (GB VI, 285, nota). N on manca di ironia il fatto che questa stesura del saggio, come si è visto ancora da rivedere, sia assurta, nella ricezione a partire dal 1955, a testo canoni co: come dimostrano le istruzioni dell’autore, era e restava un work in progress. Il 19 maggio 1939 Benjamin rispondeva a Gretel Adorno da Pontigny con lignes, delle quali sperava che [eUes] tomberont avec un peu de chance au cceur de ton anniversaire [...] . Je suis ravi, qu ’enfin mon «oeuvre d ’art» s’aie tracé un chemin vers toi. Les nombreuses notes, qui attendent d ’étre insérées dans le manuscript [tra le quali bisogna senza dubbio annoverare anche i numerosi Paralipomena alla «se conda stesura»] trouveront lem place une fo i, que je aurai ta copie. C ’est travailler sur l ’unique exemplaire du texte (GB VI, 283, 284). Poche settimane dopo si fe
steggiava il compleanno di Benjamin; Gretel Adorno lo aveva pregato di espri mere un desiderio per il suo compleanno ed egli il 26 giugno, tornato a Parigi, le aveva comunicato: Chissà se il mio desiderio arriva ancora in tempo? In verità non sono lontano dal considerare tale la copia del saggio sulla riproduzione. Ma affinché non pensi che per questa ci sia una scadenza, voglio anche indicare un libricino .Pen so che m ifaresti cosa gradita se m i regalassi l ’ultimo libro di Robert Dreyfus [De Monsieur Thiers à Marcel Proust. Histoires et Souvenirs, Paris 1930], che è appena mor to (GB VI 309 sg.). In quella stessa lettera, Benjamin aveva in precedenza rife-
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rito del suo lavoro alla nuova versione del Baudelaire e accennato alla riattiva zione di motivi dell’opera d ’arte; fu questa una delle ultime volte che menzionò il saggio: Nella nuova versione il capitolo sulflàneur cercherà di integrare m otivi de cisivi del saggio sulla riproduzione e del «Narratore» insieme ad alcuni dei «Passages». In nessun lavoro precedente sono mai stato cosi certo del punto di fuga nel quale (co me m i sembra ora), partendo dai punti più divergenti, da sempre convergono tutte le mie riflessioni (GB VI, 308). Simili accenni testimoniano che quella che fu una delle sue concezioni più originarie e pili convincenti dal punto di vista teorico in Benjamin continuò ad agire sino alla fine. Nella lettera a Horkheimer del 23 marzo 1940, Benjamin tocca di nuovo l ’ar gomento, rimandando con insistenza al libro di Georges Salles Le regard [Lo sguar do], uscito nel 1939 e cui dedicò una recensione: I lm ’a particulièrementfrappéde trouver chez lui une déscription de l'aura concordante à celle à laquelk je me suis référé dans le «Baudelaire». Salles voit dans les objets d ’art « k s témoins de l ’époque qui les a trouvés [ ...] Sur le mème objet s ’entrecroisent les rayons venus d ’innombrables regards,proches ou lointains,qui luiprétent leurvie» (GB VI, 418). E, suc cessivamente, cita il seguente passo di Salles: «Pour étudier un art dans ses fondements ilfa u t, en fin de compte, briser nos cadres et tremper au vifdes hallucinations dont cet art ne nous livre q u ’un dépòt fìgé; il fau t voyager dans les profondeurs d ’espèces sociales disparus. Tdche aventureuse qui de quoi tenter une sociologie consciente de sa mission», osservando poi: point n ’est besoin de forcer k texte pour s ’apercevoir que dans ces lignes l ’auteur vise un but identique à celui q u ’envisage le chapitre III de mon essai sur «Voeuvre à ’art à l ’époque de sa réproduction mécanisée» [cfr. GS 1/2, 478-80]. Questo paragrafo del suo lungo resoconto si chiude con le se guenti parole: J'espère que ces quelques notes suffiront pour nous inviter à la lecture d e c e livre à l ’atmosphère si essentiellementparisienne (GB VI, 419 sg.). I testi raccolti in appendice erano conservati in una cartella contenente un certo numero di appunti e frammenti di lettere dedicati in massima parte al sag gio (e più precisamente alla «seconda versione», nonché a quella definitiva, pro gettata ma mai portata a termine), ma anche alla versione francese del testo non ché alla recensione dei volumi XVI e XVII della Encyclopédie Frangaise (cfr. pp. 264 sgg.). Questa cartella - rinvenuta nel 1981 nel Département des manuscrits der Bibliothèque Nationale - venne messa a disposizione dei curatori delle Gesammelte Schriften sotto forma di microfiche-, oggi è conservata, con tutto il la scito benjaminiano, presso la Akademie der Kiinste di Berlino. N el presente vo lume proponiamo una selezione di questo materiale, dando solo la prima e l ’ulti ma parola del testo per le semplici citazioni, e riproducendo il passo per esteso quando si tratta di citazioni commentate; sono riprodotte per esteso anche tut te le annotazioni di Benjamin sul tema. Passi in seguito cancellati dall’autore so no stati messi tra parentesi graffe {}.
NOTE SU I QUADRI DI PARIGI DI BAUDELAIRE
Notes sur les Tabkaux parisiens de Baudekire (GS I/2, pp. 740-48). Pubblica-’ zione postuma. Le Notes sur k s Tabkaux parisiens de Baudekire, che in parte sono la tradu zione di singoli passi di La Parigi d el Secondo Impero in Baudekire, sono il testo
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di una conferenza tenuta a Pontigny nel 1939 (cfr. GB VI^ pp. 280 sg.). Benja min parlò di questo schizzo d el Baudelaire a Horkheimer: [E stato] scritto a Pon tigny, dove un paio di giorni prima della mia partenza mi è stato chiesto di tenere una conférence sui m iei lavori nella biblioteca. H o accettato, chiedendo però da parte mia che sì approntasse una versione francese stenografata della conferenza. H o parlato ba sandomi su appunti e redatto il tutto in seguito. Resta, come vede a l primo sguardo, entro lim iti molto ristretti, ma è stata comunque in grado di galvanizzare per un istan te un Desjardins spezzato (GB V I, 303). Questa conferenza improvvisata in una lingua che non era la sua lingua madre, offrì a Benjamin lo spunto per riflessio ni più profonde. A Suo padre, scriveva il 4 giugno a Stephan Lackner, ho trasmesso un piccolo manoscritto francese, l ’abbozzo di uno dei capitoli del «Baudelaire». In effetti ho voluto provare col francese su un argomento che padroneggio a fondo. Se il risultato non dovesse essere del tutto scoraggiante, questo sarebbe un indizio delfatto che, nello scrivere in una lìngua straniera, le riserve di materiale e di pensieri devono essere talmente vaste da compensare quelle linguistiche di cui si dispone nella lingua che ci è propria dall’infanzia - nella lingua madre (GB VI, 287).
COS’È n . TEATRO EPICO? [2]
Was istdas epische Theater?[z] (GS II/2, 532-39). Prima pubblicazione: «MaB und W ert», 2 (1939), pp. 831-37 (fase. 6, lugUo-agosto 1939); pubblicazione anonima. Benjamin scrisse questo secondo saggio dal titolo Cos’è il teatro epico? (cfr. Scrit ti TV, 573) presumibilmente fra la metà di aprile e i primi di giugno del 1939. In una lettera senza data del giugno 1939 a Margarete Steffin afferma di avere scrit to un nuovo saggio sulla drammaturgia di Brecht per la rivista «MaB und W ert» im mediatamente dopo che Lei m i aveva dato la notizia della chiusura di «Das W ort». D o vrebbe uscire a breve (GB VI, 293); la notizia della scomparsa del mensile moscovi ta gli era giunta il 18 aprile 1939. Il 10 maggio da Pontigny scrisse a Karl Thieme: G li ultimi giorni a Parigi sono stati tutti dedicati ai colloqui con Lion, redattore di «Maj^ und W ert». Abbiamo parlato anche di Lei (a darci lo spunto è stata una conversazione su Brecht, in cui ancora una volta ho potuto rimandare a l Suo saggio [Des Teufels Gebetbuch (Il libro di preghiera del diavolo), cfr. sopra, p. 542], che continuava a te nere occupata la mia mente (GB VI, 276). I citati colloqui con Lion furono senza dubbio dedicati al testo, concluso verosimilmente l’8 maggio, quando in una let tera allo stesso Thieme, Benjamin scrisse: N el prossimo numero di «Maji und W ert» troverà un mio saggio (anonimo) sulla drammaturgia di Brecht (GB VI, 297 sg.). AUa fine di giugno, in una lettera a Gretel Adorno, a proposito del rapporto tra i due testi omonimi, Benjamin, anche se non del tutto a proposito, disse: R e gistro una piccola vittoria letteraria. Sono passati dieci anni da quando, su richiesta della «Frankfurter Zeitung», scrissi il saggio «C os’è il teatro epico?». Allora fu riti rato in seguito a un ultimatum di Gubler dopo che le bozze (che possiedo ancora) era no già andate in stampa. Ora l ’ho messo a l sicuro, con lievi modifiche, su «Mafi und W ert», che apre un dibattito su Brecht. Lo trovi sul prossimo numero (GB VI, 309). In realtà si tratta di due testi diversi, il secondo dei quali riprende soltanto sin gole formulazioni del primo, collocandole in un inedito contesto, entourage di Brecht, se non da parte dello stesso poeta, sembra che vi fossero riserve nei confronti del saggio. IDopo la pubblicazione - che proponeva
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un imbarazzante errore nella menzione di un titolo di Brecht - l’autore scrisse a Steffin: Quanto a l saggio sono contrito per ciò che concerne il tìtolo d el pezzo di Brecht (si è verificata una imperdonabile collisione con «Timore e tremore» [sic] di Kierkegaard). Per quanto riguarda il resto d el saggio, sono in attesa di ammaestra menti (GB VI, 327).
TEDESCHI DELL OTTANTANOVE [a p p e n d i c e : f r a m m e n t o s u JOHANN GOTTFRIED HERDER]
Allemands de quatre-vingt-neuf [G^TsIj z , 863-80). Prima pubblicazione: «Eu rope. Revue mensueUe», 15 lugUo 1939 (n. 199, numero speciale: La Révolution frangaise), pp. 467-79. iy 4 4 - i8 o ) : Johann Gottfried Herder (GS IV/2, 1096 sg.).
D i questo contributo, Benjamin parla in una lettera a Margarete Steffin del giugno del 1939: Come sempre quando un lavoro diventa m olto urgente, m i sono de dicato alle inezie. H o prodotto un piccolo montaggio - perfettamente nello stile del mio libro di lettere - per il centocinquantesimo anniversario della rivoluzione fran cese, volto a mostrare l ’effetto della stessa sugli scrittori tedeschi contemporanei e an che sulla generazione successiva, fino a l 18^0. Durante il lavoro mi sono nuovamen te imbattuto in fa tti che la storia della letteratura tedesca ha di proposito occultato per secoli. Immagini la mia sorpresa quando, a una lettura più attenta, ho scoperto che dei due volum i di «O di» di Klopstock, i l secondo, che contiene quelle più tarde, si occupa in un quinto dei suoipezzi della rivoluzione francese (GB VI, 294). Le no
te introduttive all’insieme e ai singoli pezzi furono verosimilmente scritte in te desco, ma di questa stesura ci sono pervenuti soltanto due frammenti, dei quali quello dedicato a Herder viene qui riprodotto in appendice, A proposito del tra duttore Marcel Stora, Benjamin si espresse ripetutamente in termini lusinghie ri, come ad esempio con Ernst Schoen: Può darsi che ti capiti per le mani un mon taggio dedicato alla ricezione della rivoluzione francese nella Germania del XVIII se colo uscito sull’ultimo numero di «Europe». Giacché dispongo da breve tempo di un giovane traduttore capace, le prose in parte grandiose sono state trasposte in francese senza subire troppi danni (GB VI, 3 25). Simile anche il tenore di una lettera a Egon Wissing: Ho scoperto la rara avis sotto forma di un traduttore intelligente, capace e piacevole .Se a N ew York dovesse capitarti per le mani il grande numero speciale pub blicato dalla rivista «Europe» per la ricorrenza dei centocinquant’anni della rivolu zione francese, ci troveresti alcuni frammenti tedeschi straordinariamente belli sulla rivoluzione che con esiti eccellenti ho affidato a questo traduttore (GB VI, 329).
su
ALCUNI M OTIVI IN BAUDELAIRE [a p p e n d i c e c o n FRAM M ENTI E ANNOTAZIONI]
ìib er einige M otive bei Baudelaire (GS I/2, 605-53). Prima pubblicazione: «Zeitschrift fiir Sozialforschung», 8, 1939 [in realtà: 1940], pp. 30-89 (fase. 12, gennaio 1940). Neue Thesen (GS I/3, 1173-75); VragmentezuBaudelaire («Frankfurter Ador no Blatter» IV, pp. 9-21); Aus einer Niederschrift (GS I/3, 1175-81); Résum é : liber einige M otive bei Baudelaire (GS I/3, 1186 sg.). Pubblicazione postuma.
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In seguito alle critiche che nella lunga lettera del 10 novembre 1938 Adorno a nome della redazione di N ew York espresse al primo saggio sul poeta francese, da poco portato a termine (cfr. p. 535), Benjamin, inizialmente senza grande en tusiasmo, si vide costretto a rielaborare il testo, o meglio la sua parte centrale, intitolata 11 Vlàneur. N elle intenzioni dell’autore, il libro avrebbe dovuto identi ficare gli elementi filosofici decisivi del progetto dei «Passages» [ ...] spero in forma definitiva; «La Parigi del Secondo Impero in Baudelaire» affronta l ’interpretazione d el poeta in chiave critico-sociale, un punto di vista del quale Benjamin sapeva be ne che è un presupposto della critica marxista, ma in quanto tale non ne attua da so lo i l concetto (GB VI, 162 sg.; L, 356). Nelle sue considerazioni critiche Adorno aveva in sostanza affermato di avere avuto l ’impressione che Benjamin si fosse «fatto violenza» per «pagare tributi al marxismo che non giovano né a questo né a Lei. N on giovano al marxismo perché viene meno la mediazione del processo sociale complessivo mentre all’enumerazione materiale si attribuisce in termini quasi superstiziosi un potere di chiarificazione che non è mai riservato al rinvio pragmatico ma solo alla costruzione teorica. N on giova alla Sua più peculiare so stanza, poiché Lei ha inibito i Suoi pensieri più arditi e produttivi sottoponen doli a una sorta di censura preventiva orientata a categorie materialistiche (che non coincidono assolutamente con quelle marxiste), foss’anche solo nella forma del rinvio di cui sopra» (T. W . Adorno e W . Benjamin, Briefwechselcìt., pp. 369 sg.). Il materialismo dialettico vieta la considerazione isolata di singoli dati em pirici, che si spogliano del loro carattere astratto solo come momenti della tota lità sociale. N e La Parigi d el Secondo Impero in Baudelaire, Benjamin aveva rac colto una massa schiacciante di fatti - politici, letterari, psicosociali, inerenti tan to alla storia quanto alla statica sociale - ma la «costruzione teorica» dei singoli dati era rimasta sostanzialmente in sospeso. Secondo il marxismo, che nei con fronti del saggio del 1938 Adorno difese in termini che potremmo definire or todossi, «la storia - per citare lo stesso Marx - cessa di essere una raccolta di fat ti morti»; il marxismo rappresenta i fatti nella misura in cui essi sono mediati at traverso il processo sociale complessivo, e cioè nella misura in cui da esso risultano e in esso si risolvono. Pur con l’inconfondibilità del suo sguardo fisiognomico, il lavoro di Benjamin introduceva la figura e l’opera di Baudelaire per così dire nel la storia sociale; senza grandi riguardi per i contenuti specificatamente estetici, l’arte veniva trattata come uno fra i tanti faits sociaux. Se da un lato ne usciva un quadro im ponente del carattere sociale del poeta, dall’altro questo avveniva a prezzo della trasformazione dell’incommensurabile opera di Baudelaire in mera riprova della storia sociale, i cui dati convergevano con le forme letterarie solo per analogiam. «Per quanto riguarda ora il destino del lavoro - proseguiva Adorno nella let tera del IO novembre 1938 - si è venuta a creare una situazione piuttosto sin golare, nella quale mi sono dovuto comportare all’incirca come il menestrello del la canzone; “Si marcia al rullo sordo dei tamburi”*. Una pubblicazione nel fa scicolo attuale della rivista era esclusa, perché le discussioni sul Suo lavoro, che sono durate settimane, avrebbero ritardato in misura intollerabile l ’uscita. Si era quindi pensato di stampare in extenso il secondo capitolo e il terzo in parte. So prattutto Leo Lòwenthal ha sostenuto fermamente questa ipotesi. Personal mente, sono senza dubbio contrario. E questo non certo in considerazione di motivi redazionali, ma solo per amore Suo e del Baudelaire. Il lavoro non La rap * 1838).
Es geht bei gedàmpfter TrommelKlang è una poesia di Adelbert von Chamisso (1781-
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presenta nel modo in cui proprio questo lavoro deve rappresentarLa. E poiché sono fermamente e irremovibilmente convinto che Le sarà possibile produrre un manoscritto di compiuta efficacia, vorrei pregarLa insistentem ente di rinuncia re alla pubblicazione della versione attuale e di scrivere l ’altra. [...] Voglio dice esplicitamente che si tratta qui di una mia preghiera, e non di una delibera re dazionale o di un rifiuto» (T. W . Adorno e W . Benjamin, Briefwechsel cit., p. 371). Da questi rilievi critici, Benjamin prese spunto per sottoporre a verìfica l ’intera struttura (GB VI, 188; L, 374) del saggio e per redigere, nel 1939, Su al cuni m otivi in Baudelaire. Sin dalla risposta alla lettera di Adorno, del 9 dicem bre 1938, egli sviluppò una serie di riflessioni sul nuovo lavoro, che immagina va come rielaborazione del Planeur, la parte mediana del lavoro precedente; ci si può a buon diritto chiedere se Su alcuni m otivi in Baudelaire possa ancora essere definito una rielaborazione. Adorno rispose ancora una volta dettagliatamente il 1° febbraio 1939 (cfr. T. W . Adorno e W . Benjamin, Briefwechsel cit., pp. 388-99), e Benjamin concluse la discussione con la sua lettera del 23 febbraio 1939: I l ^ giugno 1935, in un accenno a Maupassant, m i scrisse che « tu tti ì caccia tori si-presentano allo stesso m odo». Ciò conduce a una cella della problematica, in cui m i diventa possibile insediarmi nell’istante in cui so che le aspettative della re dazione sono concentrate su una trattazione dedicata a l flàneur. Con questa impo stazione Lei ha dato la più felice interpretazione alla mia lettera. Senza rinunciare al la collocazione che i l capitolo dovrà occupare nel libro su Baudelaire, ora - una vol ta assicurati i risultati sociologici più evidenti —m ie possibile rivolgermi n ell’usuale forma monografica alla determinazione delflàneur nel contesto complessivo dei «passages» (GB VI, 224; L, 381). D el nuovo lavoro Benjamin aveva parlato a Scholem già qualche giorno pri ma: Nei prossimi giorni m i accingo a rielaborare la sezione sul «Vlàneur». Quando questo lavoro sarà concluso si dovrà nuovamente discutere il problema della pubbli cazione di questo capitolo. D i tutti i procedimenti letterari le rielaborazioni sono quel le che mi piacciono di m eno. E proprio affinché in questo caso valga la pena vincere la riluttanza, ho in mente grandi cose (GB VI, 222; TU, 278). Ai primi di aprile Benjamin scrisse: ho un abbozzo radicalmente nuovo d el capitolo sul «flàneur» [...] Ora [ ...] compare nella cornice di un’analisi dei tratti specifici che l'ozio assume n e l l ’epoca borghese a fronte della morale del lavoro dominante (GB VI, 247). Ma po chi giorni dopo afferma che le rielaboraztoni [sono] comunque meno attraenti dei nuovi lavori e che dunque la nuova stesura del capitolo sul «Flàneur» procede len tamente. Spero che l ’introduzione di cambiamenti radicali nel testo originariamente programmato dia buoni risultati (GB VI, 253; TU, 287). D ei progressi del suo la voro Benjamin relazionò a Gretel Adorno alla fine di giugno: Sono ancora molto lontano dalla stesura definitiva. M.a l ’epoca della lenta elaborazione è alle mie spalle e non passa giorno senza che io scriva (GB VI, 309). Il 1° agosto 1939 Benjamin potè finalmente inviare a N ew York il nuovo manoscritto (cfr. GB VI, 312). A differenza di quanto avviene nel primo saggio, in S« alcuni m otivi in Bau delaire la comprensione del processo sociale complessivo non risulta dalla sem
plice addizione di ciechi fatti sociali, ma è distillata dallo sforzo del pensiero spe culativo, di una costruzione storico-filosofica che nel dettaglio artistico ritrova l’abbreviatura monadologica della società. Il nuovo testo non conosce più paral lelismi metaforici tra le forme della sovrastruttura e la loro base sociale. La de terminazione materialistica della sovrastruttura è ora ricercata in quanto di piil intimo abbiano le opere d’arte: la loro fattura tecnica. La storia dell’arte è letta come storiografia inconscia della società; non da ultimo la distanza degli oggetti estetici dai dati pragmatici deUa storia sociale fa emergere l’essenza della società.
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Spiegare l ’arte di Baudelaire come determinata dalla situazione economica e so ciale complessiva dell’epoca, e cioè riportarla con gli strumenti dell’analisi alla specifica struttura della società delle merci del Secondo Impero, rappresentava un contributo alla dialettica materialistica, e come tale Benjamin desiderava che si considerasse il suo lavoro. A questo compito è subordinato il ricorso al con cetto di esperienza. L’introduzione della centrale categoria di «esperienza accu mulata», la cui forma storicamente determinata nell’epoca del capitalismo ma turo ha plasmato la lirica di Baudelaire, non comporta affatto la deduzione im mediata della stessa dall’economia; U testo dichiara piuttosto illegittima secondo criteri immanenti una simile deduzione dell’arte, ancora presente, invece, nella versione precedente. L’inserimento di una sorta di istanza intermedia tra la ba se e la sovrastruttura coincide con una retta comprensione del marxismo, in quan to riserva alla sovrastruttura un proprio ambito, relativamente autonomo; Benja min sottolinea espressamente come le istanze sociali esercitino un influsso varia mente mediato, tanto profondo quanto sottile sulla produzione artistica. Il percorso dal primo al secondo saggio segna la svolta copernicana operata dall’estetica benjaminiana, poiché impUca il passaggio alla filosofia della storia. L’accoglienza entusiastica che il saggio ebbe da parte di Adorno e degli altri amici di N ew York fu per Benjamin, che ne venne a conoscenza in novembre, nel campo di internamento, un grande sostegno morale: Naturalmente sono stato (e sono) molto felice della Sua posizione sul mio «Baudelaire», scrisse ad Adorno ai primi di maggio del 1940; Lei sa che il telegramma che m i ha iviato insieme a Felizitas [Gretel Adorno] e Max [Horkheimer] mi ha raggiunto solo a l campo, e può immaginare quale importanza abbia avuto laggiù per mesi interi per il mio equilibrio psichico (GB VI, 444 sg.; L, 399). Già all’inizio di gennaio del 1940 Su alcuni m otivi in Baudelaire fu inserito nell’ultimo fascicolo della «Z eitschrift fur Sozialforschung» pubblicato in Europa. Benjamin non potè più realizzare il suo pro getto di portare a termine il libro su Baudelaire. In un primo momento fu il la voro alle tesi Sul concetto dì storia a impedire il proseguimento, poi esso fu reso impossibile dalla fuga dalle truppe tedesche. Le lettere del 1° e 6 agosto 1939, la prima indirizzata a Horkheimer, la seconda ad Adorno (cfr. GB VI, 312 sgg. e 315 sgg.; L, 385 sgg.) testimoniano efficacemente come dopo avere portato a termine U saggio - che Adorno definì «una delle più grandiose testimonianze del la filosofia della storia dell’epoca» {Adorno, 72) - Benjamin immaginasse il pro getto di un libro sul poeta francese; esse contengono una revisione notevole del progetto originario trasmesso a Horkheimer il 28 settembre 1938 insieme^a La Parigi d el Secondo Impero in Baudelaire (cfr. GB VI, 161 sgg.; L, 355 sgg.). E dif ficile stabilire con certezza se la lettera indirizzata a Horkheimer il 30 novembre 1939 (cfr. GB VI, 359 sgg.), contenga l’annuncio di nuove modifiche al proget to. Comunque sia, nell’agosto del 1939 Su alcuni m otivi in Baudelaire è ancora considerato il secondo capitolo della parte mediana del libro su Baudelaire. Co me il libro avrebbe dovuto nel complesso restare tripartito, così anche la secon da parte avrebbe dovuto a sua volta consistere di tre capitoli; al primo capitolo di questa seconda parte - corrispondente al paragrafo La Bohème ne La Parigi del Secondo Impero in Baudelaire - ora sono riservati i m otivi d el Passage, d el noctambulisme, delfeuilleton, come pure l ’introduzione teorica del concetto di fantasmago ria, al terzo capitolo - corrispondente a La modernità nella prima stesura - inve ce il m otivo della traccia, d el tipo, dell’immedesimazione nell’anima della merce (cfr. GB VI, 316; L, 386). Benjamin non dice espressamente se per la prima e l ’ulti ma parte del libro debbano restare validi i vecchi tem i del 1938, Baudelaire co me poeta allegorico e La merce come oggetto poetico (cfr. GB VI, 162 sg.; L, 356),
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ma lo si può supporre. Poi, improvvisamente, nel novembre del 1939, afferma che resterebbero da scrivere complessivamente ancora due soli capitoli, i quali insieme a Su alcuni m otivi in Baudelaire, costituirebbero già il libro intero (cfr. GB VI, 361). Sia che in questa lettera scritta subito dopo il ritorno dal campo di internamento abbia usato una formulazione imprecisa, sia che il progetto del li bro prevedesse una drastica riduzione; Benjamin non riuscf comunque a redige re altre parti. I frammenti di Parco centrale e le annotazioni della cartella J del Passagenwerk contengono tuttavia abbondante materiale che senza dubbio era destinato a confluire nelle parti non scritte del libro, per il quale vale ciò che Adorno disse a proposito del Passagenwerk: con la morte di Benjamin «che in terruppe il completamento di una grande opera, la filosofia fu defraudata di quel le che erano le sue migliori speranze» {Adorno, 84). Le parentesi graffe indicano i passi cancellati dall’autore, quelle quadre, in serite da Benjamin, riguardano i punti che egli considerava ormai superflui e che tuttavia non cancellò; fra graffe a gomito le aggiunte dei curatori.
« I REGRESSI d e l l a POESIA». DI CARL GUSTAV JOCHMANN
«D ie Ruckschritte der Poesie» von Cari Gustav Jochmann; Einleitung . (GS II/2, 572-98), Prima pubblicazione: «Zeitschrift fiir Sozialforschung», 8, 1939 [in realtà: 1940], pp. 92-114 (fase. 1-2, gennaio 1940).
Nel carteggio di Benjamin il nome di Jochmann compare per la prima volta a metà marzo del 1937, in una lettera a Stephan Lackner: Per quanto possa appari re improbabile, mi sono imbattuto in un grande scrittore rivoluzionario d el romanti cismo tedesco, un uomo che, nato nel i j g o , completamente immerso nel x v m seco lo, considerato epigono nella sua epoca, nella nostra sembra essere stato avanti un se colo pieno. Si chiama Jochmann. Senza dubbio Lei lo conosce tanto poco quanto lo conoscevo io tre settimane fa . Sul valore e la storia di questa scoperta a voce (GB V,
474). Anche in una lettera a Alfred Cohn del giorno successivo Benjamin parlò di questa scoperta letteraria che mi è capitata molto di recente. Nella persona di un tedesco del tutto sconosciuto, il cui nome certo non si trova in nessuna storia della let teratura - si chiama Cari Gustav Jochmann ed è vissuto tra il 1790 e il i8 y o - ho scoperto uno dei maggiori scrittori rivoluzionari del nostro ambito linguistico. Ha pub blicato un solo libro, anonimo e per di più con il titolo inappariscente di « tìb er die Sprache» [Sulla lingua].[ ...] In questo libro si trova il saggio «D ie BJXckschritte der Poesie» [I regressi della poesia] che, in una dizione tanto grandiosa quanto diffici le, anche se ovunque trasparente, sostiene la tesi incredibilmente ardita che i regressi della poesia siano progressi della cultura.[ ...] I l saggio in questione si colloca n el se colo x m come un meteorite caduto dal x x . Ne ho approntato una versione scrupolo^ samente ridotta, che non contiene se non ciò che è immediatamente a l servizio del pensiero di fo n d o . M i piacerebbe molto farla pubblicare, ma non so ancora dove (GB V, 480 sg.). E alla fine di marzo in una lettera a Horkhtìbirer, scrisse: Il testo che L e trasmetto è tratto da uno dei pochi libri pubblicati da Jochmann mentre era in vi ta; gli altri non mi sono accessibili. Usci anonimo, emné tutto ciò che questo autore fece pubblicare. [ ...] I l saggio «Regressi della poesia», che si trova in questo volume, comprende settanta pagine .L am ia redazione lo riduce, s 'intende senza aggiunte, sen za interventi e senza spostamenti, a una minima frazione delle dimensioni originarie. Probabilmente la sua forza risulta ulteriormente accresciuta dal venir meno d ì tutto ciò che non serviva immediatamente all'idea di fo n d o . D el resto il testo parla da sé,
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nel suo contenuto, nello stile, nelle formulazioni. Comprenderà come io lo abbia let to con il batticuore. [ ...] Occorre che Le dica quanto sarei felice se Lei volesse con cedere un posto nella rivista a questo testo oggi introvabile, ieri incomprensibile? (GB V, 491 sg.) E il giorno dopo, il 29 marzo 1937, in una lettera a Margarete Steffin definì Jochmann un uomo che tra l ’illuminismo e Marx si colloca in un luogo che sinora non è ancora stato possibile fissare (GB V, 503). Horkheimer si dichiarò subito disposto a pubblicare il testo di Jochmann sul la «Zeitschrift fiìr Sozialforschung» e suggerì a Benjamin di scrivere l’introdu zione: «In particolare La ringrazio di avermi mandato il saggio di Jochmann da Lei rivisto sui regressi della poesia. Tutti qui ne siamo stati profondamente col piti. Singole formulazioni sono geniali. Se non vogliamo distruggerne il caratte re, nella rivista il documento può essere pubblicato soltanto se Lei stesso scrive un’introduzione di carattere teorico. [...] Propongo che, allacciandosi al Suo ar ticolo sull’opera d ’arte nell’epoca della sua riproducibilità meccanica, scriva un’in troduzione di principio. D eve risultare evidente che U saggio di Jochmann viene pubblicato per m otivi teorici e non storici. Come sa, è Marcuse che raccoglie i documenti suUa preistoria della dialettica materialista, ed è probabile che in qno o due anni pubblicheremo una raccolta di testi. Possediamo quindi pezzi di va lore e relativamente sconosciuti in numero non irrisorio. D ato che non saremo in grado di pubblicare i Regressi della poesia prima del terzo fascicolo di que st’anno, Lei avrà comodamente tempo di scrivere alcune pagine sul significato della tesi sviluppata da Jochmann» (Max Horkheimer, Gesammelte Schriften, a cura di Alfred Schmid e Gunzelin Schmid Noerr, voi. XVI: Briefe 193J-1940, Frankfurt am Main 1995, pp. 112 sg.). Benjamin informò Adorno della reazio ne di Horkheimer: Max ha accolto lo Jochmann proprio come ci auguravamo. Mi ha incaricato di scrivere un 'introduzione a l saggio. Nelfrattempo ho scovato altro ma teriale interessante sull'autore (GB V, 513). E allo stesso Horkheimer rispose: So no molto felice dell’accoglienza che il saggio di Jochmann ha trovato presso di Lei. A l signor Pollock a Ginevra ne ho mandato un estratto; il suo proposito era di leg gerlo in nave, e cosi spero che anche per lui nel frattempo la figura di Jochmann ab bia preso vita. Per il resto m i sto accingendo a seguirne ulteriormente le tracce; cer cherò di procurarmi dalla Germania tramite il prestito intemazionale una fonte dal la quale m i aspetto m olto, i «Livlàndische Beitràge» di V. Bock. [...] Non occorre che Le dica con quanta gratitudine accolgo il Suo accenno alla possibilità di collega re questo saggio a l mio lavoro su ll’«Opera d'arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica» (GB V, 517) Contemporaneamente sembra che anche Margarete Steffin, la collaboratrice di Brecht, avesse mostrato interesse per una pubblicazione del testo di Jochmann sulla rivista «Das W ort». Benjamin le rispose: La mia gran de scoperta, lo Jochmann, sarà sicuramente pubblicata;m a non su «Das W ort». In sieme alla mia introduzione, i l saggio risulterebbe troppo esteso. [Willi] Bredel m i ha appena fa tto pervenire una risposta negativa a causa proprio delle dimensioni per r«O pera d'arte nell'epoca della sm riproducibilità tecnica» (GB V, 521). Benjamin iniziò subito a redigere il testo introduttivo e all’inizio di maggio del 1937 scrisse ad Adorno di avere trovato nuovo materiale per l ’introduzione (GB V, 523). N el corso di giugno era pronta una prima stesura che non ci è pervenu ta; il 10 luglio Benjamin chiedeva informazioni ad Adorno, il quale era stato a N ew York nella seconda metà di giugno: Max ha letto l'introduzione a jochmann? (GB V, 555). Horkheimer pregò Benjamin di rivedere U testo: «Attualmente stia mo valutando se e come pubblicare lo Jochmann in uno dei prossimi fascicoli del la rivista. Da un lato siamo convinti, come Lei, che si tratti di pensieri impor tanti, daU’altro sino a oggi non abbiamo mai pubblicato testi vecchi. N on po
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trebbe scrivere un’introduzione dal punto di vista non tanto deEo storico quan to della teoria filosofica? Penso che potrebbe collegare la posizione dijochmann alla nostra, in particolare magari alla posizione del Suo lavoro sulla riproduzio ne. In questo modo potremmo affrontare chi ci chiedesse perché pubblichiamo proprio questo documento dimenticato, mentre altri, che hanno altrettanto o ad dirittura maggiormente a che vedere con il nostro punto di vista, restano esclu si. La pubblicazione si presenterebbe cosi nel contesto del lavoro teorico che Lei in particolare rappresenta da.noi» (M. Horkheimer, Gesammelte Schrìften cit., voi. XV, p. 269). Benjamin respinse la richiesta di Horkheimer, e prese invece in considerazione un’aggiunta: I l significato del saggio di Jochmann mi sembra dif ficilm ente isolabile dalle condizioni della sua genesi. In esso, k coscienza della libertà borghese dei tedeschi trova la strada per abbandonarsi, nella sua esistenza oscura, a un sogno che sarebbe stato impossibile sognare sotto il cielo meridionale della rivoluzio ne francese. L ’autenticità di questo testo è inscindibile dalla sua natura di prolepsi. Q ui, forse per la prima volta, compare la riflessione sui lim iti storici che l ’umanità potrebbe imporre a ll’arte. La forma in cui questo accade è quella di un monologo che non prevede interruzioni e non ha la speranza di un 'eco. Questi fa tti m i fanno sembrare rischioso riallacciare a questo testo problematiche attuali 0 personali. Per non parlare della difficoltà compositiva che implica integrare questo blocco erratico in una struttura di pensiero. N el mìo lavoro sull’«Opera d ’ar te nell’epoca della sua riproducibilità tecnica» riconosco senza dubbio un m otivo che potrebbe far da tramite a una riformulazione d el saggio di Jochmann. Si tratta del mo tivo del decadimento dell’aura. Negli ultimi tempi proprio su questo punto ho cerca to nuove prospettive, e spero con successo. Ma esse non mi mettono in condizione di comprendere la prospettiva secolare di Jochmann che dall’epica omerica va fin o a Goethe. Temo che proprio in questa estensione risieda l ’incomparabile originalità di Jochmann, con la quale non si può qui entrare in immediata concorrenza senza mo strare troppo chiaramente a l lettore quanto poco a noi, sotto il nostro cielo più chia ro, e per di più gelido, sia concesso sognare. Talvolta è opportuno far conoscere a l lettore senza tanti convenevoli le difficoltà incontrate dall’autore. Questo mi porta alla domanda: non dovrei forse cercare ài in tessere n ell’introduzione che Lei ha davanti un breve paragrafo dedicato alle suddet te riflessioni? La sua funzione sarebbe di informare il lettore della «force majeure» che di fronte a questa trattazione rimanda proprio l ’interesse filosofico integro a l com mento storico. Per questa via traversa stabilirei effettivamente il legame della tratta zione con il lavoro sulla riproduzione e allontanerei da lei l ’apparenza del mero inte resse storico (GB V, 623 sg.). Horkheimer accettò la proposta e il 17 dicembre
1937 rispose; «Sono d’accordo che nell’introduzione al saggio dijochmann in serisca il paragrafo prospettato. Avrà probabilmente sotto mano una copia del l’introduzione. Le sarei grato se producesse un testo valido comprendente l’ag giunta e lo mandasse qui. Nel prossimo fascicolo il saggio non potrà comunque essere accolto, dato che abbiamo già fin troppo materiale che chiede di essere pubblicato alla svelta» (M. Horkheimer, Gesammelte Schriften cit., voi. XV, pp. 339 sg.). Ma questa lettera non raggiunse Benjamin: [ ...] è doppiamente spiace vole che la lettera che Lei mi ha indirizzato il 1 7 di dicembre sia andata perduta .[...J Forse [ ...] conteneva anche una replica alla mia osservazione sui Suoi suggerimenti ri guardo a ll’introduzione allo Jochmann. L e sarei grato se, nella Sua prossima lettera, tornasse sulla questione (GB VI, 21 sg.). L’i i febbraio 1938 Benjamin potè co
municare di avere ricevuto una copia della lettera smarrita e che si sarebbe oc cupato dell’introduzione [ ...J subito dopo aver terminato il saggio per [Ferdinand] Lion (GB VI, 30). Non è possibile stabilire con precisione quando sia stato de
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finitivamente terminato il lavoro, ma la sua parte principale si trovava già a New York ai primi di agosto del 1938. Da una lettera del 3 agosto si evince che Benja min aveva intenzione di inserire a posteriori formulazioni di August Ludwig Hiilsen e Marx, ed effettivam ente nel dattiloscritto manca ancora la citazione da Hulsen riscontrabile nel testo stampato; è dunque probabile che la versione dat tiloscritta sia stata conclusa prima dell’agosto 1938. Nella lettera a Horkheimer del 3 agosto 1938 si legge: N el suo «Montaigne» [cfr. Max Horkheimer, Montaig ne unà die Funktion der Skepsis (Montaigne e la funzione dello scetticismo), in «Zeitschrift fiir Sozialforschung», 7 (1938), pp. 1-54] la frase secondo cui la fe li cità è «una condizione reale dell’uomo» m i ha ricordato Jochmann. D i recente, da un lato nelle lettere d el romantico Hiilsen, dall’altro negli scritti giovanili di Marx mi sono im battuto in formulazioni che seguono chiaramente i contorni della tradizione rivoluzionaria nella borghesia, di cui nell’introduzione a Jochmann ho cercato di mi surare l'arco che si estende da Vico a Marx. Potrei comprèndere questi passi nell’in troduzione e, dopo il mio ritorno, metterli a Sua disposizione in qualsiasi momento {GB VI, 152 sg.). La pubblicazione fu rimandata poi fino ai primi di gennaio del 1940. NeU’?igosto 1939 Benjamin chiese a Horkheimer di riferire ad Adorno di essere asso lutamente d ’accordo con le sue proposte redazionali riguardo allo Jochmann (GB VI, 313; di cosa si trattasse non è però dato sapere) e poco dopo, in una lettera allo stesso Adorno scrisse: E per concludere, caro Teddie, La voglio ringraziare per ave re accolto il mio Jochmann nel numero speciale che si sta preparando [della «Z eit schrift fiir Sozi^orschung»; il fascicolo conteneva, oltre all’introduzione. Die Juden und Europa (Gli ebrei e l ’Europa) di Horkheimer e i Vragmente ùber Wag ner (Frammenti su Wagner) di Adorno (GB VI, 317; L, 387)]. Benjamin diede la notizia della pubbUcazione a Scholem l’i i gennaio 1940: È uscito ultimamente il numero doppio della rivista dell'istituto, che inaugura il 1939. Vi troverai due lun ghi saggi miei. Naturalmente ti manderò gli estratti, non appena li avrò (GB VI, 380; TU, 300). N el febbraio 1940 Werner Kraft si rivolse a Horkheimer reclamando per sé la priorità della scoperta di Jochmann e chiedendo che fosse pubblicata una di chiarazione in tal senso. Kraft e Benjamin si erano conosciuti già nel 1915 e tra i l i 9 i 5 e i l i 9 2 i intrattennero «un carteggio a tratti intenso nel quale [Benja min] si esprimeva in modo particolareggiato soprattutto a proposito di questio ni letterarie, tanto che pensò addirittura di servirsene [...] come base per una se rie di “lettere sulla letteratura recente”. Q ueste lettere sono andate perdute in seguito a circostanze particolarmente sfortunate» [Scholem II, 168 sg.). N el 1921 il rapporto si interruppe e fu riallacciato solo nel 1933, quando i due, dopo es sersi casualmente incontrati alla Bibliothèque Nationale, ripresero a frequentar si. Dopo un ulteriore intervallo si rividero alla fine del 1936 o al principio del 1937, sempre a Parigi; poi ancora una volta interruppero i rapporti. Kraft ri vendicava di avere richiamato l ’attenzione del suo interlocutore su Jochmann du rante il loro secondo incontro a Parigi. Una circostanza a torto negata da Benja min, come si deduce dalla lettera a Lackner del 16 marzo 1937, nella quale asse riva di avere conosciuto il nome di Jochmann solo tre settimane prima. Kraft affermava inoltre di avere ricevuto da Benjamin assicurazione che non avrebbe pubblicato nuUa su Jochmann prima di lui, una circostanza anche questa recisa mente negata: Les développements auxquels je me livrais le laissant peut-ètre entrevoir la possibilité q u ’un jo u rje m ’expliquerai sur Jochmann il me demanda de n ’en rien faire, se re'clamant de la priorité de sa découverte. Je lui fis observer que d ’une part ma connaissance de Jochmann ne lui devait rien.Je lui dis en méme temps q u ’u-
Note
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ne priorité dans la lecture d ’un texte imprimé, si rare soit-il, me paraissait m e notion extravagante. Quant à ma fameuse «promesse» de n’y pas toucher, qu ’ilf it dès alors entrer en jeu, je lui rappekis qu elle se bom ait à ma déclaratìon q u ’ayant espéré un moment de me servir de documents épistohirs de Jochmann pour un livre à m ai je m ’en étais désintéressé vu les difficultés (GB VI, 427 sg.). Da un lato è difficile da re torto a Benjamin quando afferma che, di fronte a un testo pubblicato, non è lecito parlare di priorità della lettura. Il fatto che ritenesse di doversi giustifica re dettagliatamente con Horkheimer lascia però presumere che il nocciolo dell’« af faire» era se avesse o meno fatto a Kraft la promessa di non scrivere sul tema. Poiché qui la parola dell’uno sta contro quella dell’altro, la controversia proba bilmente non potrà essere risolta in termini oggettivi. Horkheimer e la «Zeitschrift fiir Sozialforschung» non si occuparono più delia questione, anche a cau sa dell’imminenza della guerra, mentre Adorno in seguito fu persuaso che i rim proveri di Kraft fossero giustificati. Q uest’ultimo aveva intenzione di pubblicare «una selezione delle Sttliibungen [Esercizi di stile] di Jochmann con una breve in troduzione» già «nel 1933, nel quinto fascicolo della rivista “Der Sumpf”, edi ta a Berlino da W ilhelm Kiitemeyer»; il fascicolo era ormai composto quando «dovette essere distrutto in seguito a un attacco alla tipografia» (cfr. Cari Gu stav Jochmann, D ie Riickschritte der Poesie und andere Schrìften, a cura di W er ner Kraft, Frankfurt am Main 1967, p. 206). Oltre all’antologia del 1967 appe na citata, nel 1972 Kraft pubblicò finalmente anche la sua importante monogra fia (cfr. Werner Kraft, K arl Gustav Jochmann und sein Kreis. Zur deutschen GeistesgeschichtezwischenAufklarungundVormàrz, Munchen 1972). Se oggi Joch mann non è più tra le figure dimenticate della storia delle idee tedesca, questo si deve tanto al grande saggio di Benjamin quanto ài lavori di Kraft.
SOGNO d e l l ’ i i - i 2 o t t o b r e
1939
Rève du 11-12 octobre 1939 (GS VI, 540-42). Pubblicazione postuma. Benjamin raccontò il sogno per la prima volta a Gretel Adorno, in una lette ra del 12 ottobre 1939 (cfr. GB VI, 341 sg.), scritta dal campo di internamento nei pressi di Nevers in cui era detenuto dalla metà di settembre. Il passo che in troduce il verbale dice: ma tris chère j ’ai fa it cette nuit sur la p a ilk un rève d ’une beauté telle que je ne resiste pas à l ’envie de le raconter à toi. I l y a si peu de choses belles voire agréables, dont je puis t ’entretenir. - C 'est un des rèves comme j ’en ai peut-ètre tous h s cinq ans et qui sont brodés autour du m o tif «lire». Teddie se souviendra du ròle tenu par ce m otif dans mes réfkxions sur la connaissance. La phrase que j ’ai distinctement prononcé vers la fin de ce rive se trouvait ètre en frangais. Raison doublé de te faire ce récit dans la m im e langue. Le docteur Dausse qui m'accompagne dans ce rève est un ami qui m ’a soigné au cours de mon paludisme (GB VI, 341). Il citato docteur Dausse compare già nel 1930, nel Diario parigino (cfr. Scritti rV , 66-84) dove è però indicato solo con l’iniziale signor D ., che viene de cifrata come Dausse in Serata con Monsieur A lbert (cfr. Scritti IV, 20-21). Stra namente, nella conferenza radiofonica Teste parigine (cfr. Scrìtti IV, 24-30), una sorta di lavoro preparatorio al Diario, Benjamin ripete la frase su Fargue usando le stesse parole, rivolto però non a Dausse, ma a una vicina. Dausse è probabil mente identificabile con il dottor Camille Dausse che, come si dice nella citata lettera a Gretel Adorno, lo avrebbe curato dalla malaria nell’autunno del 1933.
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Scritti
APPUNTO s u BRECHT
Notìz uber Brecht (GS VI, 540). Pubblicazione postuma. L’appunto si riallaccia ai Commenti a poesìe di Brecht (cfr. sopra, pp. 270 sgg.). Heinrich Bliicher (1899-1970), il compagno di Hannah Arendt che Benjamin fre quentò spesso nel suo ultimo periodo parigino, fu storico della cultura e filosofo. Dal 1919 al 1934 circa, fece parte del cosiddetto gruppo Brandler della Kpd; ne gli anni venti fu giornalista a Berlino e tenne conferenze alla Hochschule fiir Po litile. Emigrò a Praga nel 1933, nel 1934 a Parigi e nel 1941 negli Stati Uniti. Pur non avendo quasi scritto e pubblicato, insegnò storia dell’arte alla N ew School for Social Research di N ew York, e dal 1952 al Bard College, Annandale-onHudson, N .Y . Arnolt Bronnen (1895-1959), scrittore e drammaturgo, divenne famoso con la pièce espressionista Vatermord [Parricidio]. I romanzi O S. (1929) e Rojibach (1930) mostrano un Bronnen affiliato all’estrema destra. Tra lui e Benjamin era no intercorsi rapporti di carattere personale durante gli anni della Jugendbewep n g . Negli anni venti Bronner era stato amico di Brecht, poi di Ernst Jiinger, e infine camerata nazista in uniforme; dopo la guerra fu influente critico teatrale nella Ddr.
JEAN ROSTANB, EREDITARIETÀ E RAZZISMO
[Recensione:] Jean Rostand, Héréditéet racìsme, Gallimard, Paris 1939, 128 pp. (GS III, 586 sg.). Pubblicazione postuma. Il biologo Jean Rostand (1894-1977), lavorò tra l ’altro sugli anfibi e su pro blemi dell’evoluzione; nel 1959 fu eletto all’Académie fran9aise. Tra le sue nu merose pubblicazioni: L ’évolution des espèces [L’evoluzione, 1932], Science et génération [Scienza e generazione, 1940], L ’atomisme en biologie [L’atomismo in biologia, 1956], Pensées d ’un biologiste [Pensieri di un biologo, 1939] e Pages d ’un moraliste [Pagine d’un moralista, 1952]. Il testo originale è in lingua francese.
1940
HENRI-IRENEE MARROU, SAINT AUGUSTIN ET LA FIN DE LA CULTURE ANTIQUE
[Recensione:] Henri-Irénée Marrou, Saint Augustin et la fin de la culture anti que, E. de Boccard, Paris 1938, (GS III, 587-89). Pubblicazione postuma. A suggerire una possibile datazione di questa recensione rimasta inedita è un accenno in una cartolina scritta a Karl Thieme il 10 febbraio 1940: A van tde terminer je voudrais vous signaler un livre qui m ’a assez longuement retenu. Il est en effe t remarquarble. C ’est une thèse de Henri-lrénée Marrou, couronné par l ’académie des inscriptions : Saint Augustin et la fin de la culture antique. Le livre met en avant une notion très fructeuse de la «décadence» romaine - au point de rappeler R ie g lp a rici,p a r là (GB VI, 395). Lo storico dell’antichità Henri-lrénée Marrou (1904-77) fu attivo anche co me musicologo con lo pseudonimo di «Henri Davenson» e collaborò con Em manuel Mounier alla rivista «Esprit». Durante la seconda guerra mondiale par tecipò alla résistance; divenne professore alla Sorbona nel 1945. Fra i suoi libri: Histoire de l ’éducation dans l ’A ntiquité [Storia dell’educazione nell’antichità, 1948], Théologie de l ’histoire [Teologia della storia, 1968] e Patristique ethumanisme [Patristica e umanesimo, 1976].
[su s c h e e r b a r t ] Sur Scheerbart (GS II/2, 630). PubbUcazione postuma. Benjamin rivide questo testo (scritto probabilmente già alla fine degli anni trenta) per Adrienne Monnier, che aveva intenzione di pubblicarlo nella sua «Gazette des Amis du Livre». «Les petites dimensions de la Gazette - scrisse la Mon nier a questo proposito anni dopo - ne me permettaient pas de donner des textcs de plus de deux ou trois pages [...] J’avais néanmoins l’intention d ’y passcr iiiic note sur Paul Scheerbart que Benjamin avait rédigée pour illustrer ccrliiinc-s de nos conversations. Cette note est curieusement en harmonie avec l'itlif-f qui 11 ins piré à Jules Romains son conte Violation defrontières, mais Romaiii.s n'fii pus t-ii connaissance, car elle n’a pas quitté mes tiroirs, pas plus qn'uiic ('•Imlf ,siir Hachofenqu’il [ossia Benjamin] m’avait également donnéc | ... IJ’mirai.s pii à la longiie trouver une solution, mais nous étions en 1940, avanzimi i» uraiids pus vcrs la défaite» (Adrienne Monnier, Note sur Walter Benjamin | Appiinli su Walter Benja min], in «Mercure de France», r° luglio 1952 |n. 1(1^7!, pp. 452 sg.). Come spe-
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Scritti
cifica un passo dei diari della Monnier (21 maggio 1940), all’epoca si era tratta to, di «revoir avec Benjamin note ancienne sur Scheerbart pour remplacer étude sur Bachofen» (Adrienne Monnier, Trois Agendas, [s. 1.] i9 6 0 , p. 28). Paul Scheerbart (1863-1915), poeta tedesco, autore di romanzi fantastici e li rico pre-espressionista; Benjamin ne conobbe i libri tramite Scholem nel 1916 e li ammirò per tutta la vita. Sull’opera dell’autore scrisse non meno di tre contri buti: una prima e una seconda critica a Lesabéndio nonché, in francese, la pre sente Note. A noi sono pervenuti solo il primo e l ’ultimo, mentre il secondo, e probabilmente più importante, il saggio Der wahre Politiker [Il vero politico] (che Benjamin chiamava anche Prolegomem zur ztoeiten Lesahéndio-Kritìk [Prolegomena alla seconda critica di Lesabéndio]), non si è conservato.
UNA LETTERA DI WALTER BENJAMIN SU LO SGUARDO D I GEORGES SALLES
Une Lettre de W alter Benjamin au sujet de «Le Regard» de Georges Salles (GS III, 592-93). Prima pubblicazione: «G azette des Amis des Livres», (Paris), mag gio 1940. Prima di recensire il volume di Salles nella forma di una lettera a Adrienne Monnier, Benjamin ne parlò dettagliatamente in una missiva a Horkheimer del 23 marzo 1940 - l ’unico dei Résumés sur la littérature frangaise redatto in france se - che già contiene m otivi e formulazioni essenziali del testo pubblicato (cfr. GS III, 589-92, nonché GB VI, 418-20). Georges Salles (1889-1966), storico dell’arte specializzato in arte orientale; con servatore per l ’arte asiatica al Museo del Louvre, direttore del Museo Guimet dal 1941, fra il 1945 e il 1957 direttore generale dei musei francesi. Accanto ^ L e re gard [Lo sguardo, 1939] Salles pubblicò tra l’altro Symbolism'’ cosmique des monuments religìeux [Simbolismo cosmico dei monumenti religiosi, 1953] e A u Louvre, scènes de la vie du musée [Al Louvre. Scene dalla vita del museo, 1950]; insieme ad André Malraux curò la raccolta L ’Univers des formes [L’universo delle forme].
SUL CONCETTO DI STORIA [ a p p e n d i c e : Appunti sul
tema]
tiberden Begriffder Geschichte (GS I/2, 592-95). Prima pubblicazione; Walter Benjamin zum Gedàchtnis, [a cura dell’] Institut fiir Sozialforschung, [Edizione ci clostilata, Los Angeles] 1942, pp. 1-16. Aufzeichnungen zum Thema (GS I/3, 1229-52). Pubblicazione postuma. Una prima menzione diretta su questo lavoro si trova nella lettera che Benja min scrisse a Horkheimer il 22 febbraio 1940: ]e suis désoléque les circonstances ne me permettent pas de vous tenir, pour l ’instant, aussi étroitement au courant de tous mes travaux que je le voudrais et que vous ètes en droit de l ’exiger. Je viens d ’achever un certain nombre de thèses sur le concept d ’Histoire. Ces thèses s ’attachent, d ’unepart, aux vues qui se trouvent ébauchées auch chapitre Id u «Ftichs». Elles doivent, d ’autre part, servir comme armature théorique au deuxième essai sur Baudelai-
N ote
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re. Elles constituent une première tentative de fixer un aspect de l ’histoire qui doit établir une scission irrémédiable entre notre faqon de voir et les survivances du positivisme q u i,à mon avis, démarquent sì profondement mème ceux des concepts d ’Histoire qui, en eux-mèmes, nous soni les plus proches et les plus familiers. Le caractère dépouillé que j ’ai dù donner à ces thèses me dissuade de vous les communiquer telles quelles. Je tiens toutefois à vous les annoncerpour vous dire que les études historiques auxquelles vous me savez adonné ne m ’empèchent pas de me sentir sollicité aussi vivement que vous et les autres amis là-bas par les problèmes théoriques que la situation mondiale nous propose inéluctahlement. J’espère q u ’un reflet des efforts que je continue à consacrer, au caeur de ma solitude, à leur solution, ira vous parvenir à travers de mon «Baudelaire». - L ’élaboration de ces théses m ’ayant orienté de fagon impérieuse vers la suite du «Baudelaire», je vous demande la permission d ’ajoumer l ’exécution de mon projet quant à «Rousseau et Gide» (GB VI, 400 sg.). Già qual che tempo prima, il 10 febbraio 1940, Gretel Adorno aveva scritto a Benjamin: «W hen I was in Paris for thè last time in May 1937, I remember I was at supper together with Sohn-Rethel and Teddie when you explained to us your theory of progress. I would be very grateful if you could send me some notes of it if you bave some» (cfr. GS I/3, 1226). Benjamin rispose tra la fine di aprile e i primi di maggio: Per quanto concerne la tua richiesta di appunti che possano risalire alla con versazione sotto gli alberi dei marroniers, mi è giunta in un momento in cui quegli ap punti mi occupavano la mente. La guerra, e la costellazione che l ’ha provocata, mi hanno indotto a mettere per iscritto alcune riflessioni che posso dire di avere serbato in me, anzi di avere anche protetto da me stesso per almeno vent’anni. Questo è an che il motivo per cui persino a voi ho concesso solo di gettarvi un fuggevole sguardo. La conversazione sotto i marroniers fu una breccia in questi vent’anni. Ancora oggi Te li consegno più come un mazzetto di erbe sussurranti messe insieme in passeggiate meditative che come una raccolta di tesi. In più di un senso il testo che riceverai è ri dotto . Non so in che misura la lettura Ti possa sorprendere o, cosa che non vorrei, renderTi perplessa. In ogni caso vorrei richiamare particolarmente la Tua attenzione sul la diciassettesima riflessione ;è quella che dovrebbe far riconoscere il nesso latente, ma deciso, di queste considerazioni con i miei lavori precedenti, in quanto si esprime suc cintamente sul metodo di questi ultimi. D el resto le riflessioni, per quanto inerisca lo ro il carattexe dell'esperimento, non servono soltanto metodologicamente a preparare un seguito al «Baudelaire». Esse mi fanno supporre che il problema del ricordo (e del l ’oblio), che vi appare a un altro livello, mi terrà occupato ancora per molto tem po. Non occorre che ti dica che nulla mi è più lontano d ell’idea di una pubblicazione di questi appunti (per non parlare di una pubblicazione nella forma in cui Ti stanno da vanti) . Essa spalancherebbe porte e finestre a esaltati fraintendimenti [...] Vi arriva in questi giorni il manoscritto di «Berliner Kindheit um neunzehnhundert». Custodite lo per favore. E consolatevi se possibile con esso del fatto che trattengo ancora per un poco le tesi annunciate» (GB VI, 435-37). Il 5 maggio - le truppe tedesche ave vano occupato Danimarca e Norvegia - Benjamin comunicò anche a Stephan Lackner: Malgré tout je travaille fermement. J’ai terminò un petit essai sur le concept d ’histoire, un travail inspiré non seulement par la nouvelle guerre mais par l ’expérience entière de ma génération qui aura été une des plus éprouvées que l ’histoire a jamais connues (GB VI, 4 4t). Due giorni più tardi poi Benjamin tornò ad an nunciare ad Adorno l ’invio imminente del manoscritto delle Tesi'. Non Le na scondo che non ho ancora potuto dedicarmici [al nuovo testo su Baudchiircl con l ’intensità desiderata. Una delle cause principali è statò il lavoro sulle «Tasi», di cui nei prossimi giorni riceverà alcuni frammenti. Queste dal canto loro costituiscono una certa tappa delle mie riflessioni sul seguito del «Baudelaire» (GB VI, 446 sg.; L,
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Scritti
400). Allora Adorno non ricevette più i «frammenti»: U testo pervenne all’is ti tuto per la Ricerca Sociale soltanto nel giugno del 1941, inizialmente sotto for ma del manoscritto in possesso d i Hannah Arendt; poco dopo, in agosto, Mar tin Domke consegnò in due valige gran parte del lascito di Benjamin, tra cui an che diversi dattiloscritti del testo. Il fatto che Benjamin nel 1940 parlasse deUe «tesi» come di riflessioni che
posso dire di avere serbato in me, anzi di avere anche protetto da me stesso per alme no vent’anni e per questo motivo celate persino agli Adorno, non signUica che il testo, o anche solo parti di esso, sia stato scritto già molti anni prima. È vero che l ’interesse di Benjamin per le tematiche di filosofia della storia risale al periodo degli studi universitari, ed è altrettanto vero che i lavori preparatori durarono a lungo (cominciarono al più tardi nel 1937, all’epoca della stesura di Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico): la stesura vera e propria, tuttavia, cominciò al più presto alla fine del 1939, probabilmente solo all’inizio del 1940. Le Tesi rapjresentano l’ultimo lavoro in qualche modo concluso di Benjamin. Lo conferma a sorella Dora in una lettera ad Adorno del 1946: «Sono stata particolarmente felice di trovare nella rivista l ’ultimo lavoro di Walter, che mi pare particolar mente importante e che già avevo inutilmente cercato. Ancora oggi ho nell’o recchio U tono, la voce, con cui Walter mi dettò il lavoro: nell’ultimo periodo a Parigi ho lavorato spesso come sua segretaria» (GS I/3, 1227). La pubblicazio ne citata da Dora, intitolata 'Walter Benjamin zum Geàachtnis, usci in forma ci clostilata nella primavera del 1942, probabilmente in maggio o in giugno, ed è presumibile che non sia mai stata distribuita in libreria. La prima vera pubbli cazione delle tesi, risale perciò al 1950, quando Adorno, da poco rientrato dal l ’esilio, ne curò un’edizione in cui il testo era accompagnato dalla sua Charakteristik Walter Benjamins [Ritratto di Walter Benjamin] (cfr. «D ie N eue Rund schau», 61 [1950], pp. 560-570 [fase. 4]). Stando ad Adorno «le tesi Sul concetto di storia riassumono in un certo senso le riflessioni gnoseologiche [...] il cui sviluppo accompagnò quello del progetto sui Passages» (Adorno, 22). N el maggio del 1935, quando grazie alla stesura delVexposé Parigi, la capitale del xrx secolo il lavoro al Passagenwerk entrò in un nuo vo stadio (GB V, 83; L, 280), in una lettera a Scholem Benjamin parlò per la pri ma volta della necessità di sviluppare per il nuovo libro una teoria della cono scenza autonoma: Per il resto cedo talvolta alla tentazione di raffigurarmi delle
analogie con il libro sul Barocco nella costruzione interna, che quanto alla costru zione esterna se ne allontanerebbe invece molto. [...] Se il libro sul Barocco mobili tava una propria teoria della conoscenza, ciò accadrebbe almeno in uguale misura per i Passages, sebbene non riesca ancora a vedere se essi trovino una rappresentazione au tonoma e in che misura io riuscirei a fornirla (GB V , 83; L, 280). D ue settimane più tardi, in una lettera ad Adorno scrisse : L 'exposé, che non rinnega in alcun pun to le mie concezioni, naturalmente non ne è in tutte Vequivalente perfetto. Nel libro sul Barocco l’esposizione compiuta delle fondamenta gnoseologiche è succeduta alla loro conferma nelmaterìale trattato; lo stesso accadrà anche in questo caso. Con ciò non voglio tuttavia assicurare a priori che anche questa volta essa si configurerà come un capitolo a sé stante - posto alla fine o al principio. Questo problema rimane aper to (GB V , 98; L, 289). Delle tesi di filosofia della storia Benjamin non scrisse al lora nemmeno una riga. Le riflessioni di carattere gnoseologico annotate in quel periodo furono affidate alla cartella N del manoscritto dei Passages, intitolata Ele menti di teoria della conoscenza, teoria delprogresso (cfr. Scritti IX, pp. 510-49); la critica di principio della teoria del progresso entrò più tardi a far parte dei con tenuti essenziali delle tesi.
Note
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Fu nel saggio Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico, concluso all’inizio del 1937, che Benjamin prese esplicitamente in esame il tema della dialettica stori ca, attribuendo al materialismo storico il compito di «spazzolare contropelo» l’i dea comune di storia della cultura. Nelle tesi Sul concetto ài storia Benjamin ri prese (anche alla lettera) singoli passi di questo testo. La critica delle teorie tra dizionali del progresso espressa nelle tesi sembra essere stata oggetto della riflessione di Benjamin in particolare tra la fine del 1938 e l ’inizio del 1939. Il 9 dicembre 1938, ad esempio, in una lettera ad Adorno a proposito del suo sag gio \]ber den Vetischcharakter in derMusik und die Regression des Hòrens [Sul ca rattere di feticcio in musica e la regressione deU’ascolto] (cfr. Theodor W . Ador no, Gesammelte Schriften, voi. XIV: Dissonanzen. Einleitung in die Musiksoziologie, Frankfurt am Main 1997, p. 50 [trad. it. Dissonanze, a cura di G. Manzoni, Milano i99o]) scrisse: Ciò che mi ha particolarmente colpito nella conclusione del lavoro è la riserva che vi traspare contro il concetto di progresso. Per il momento Lei motiva questa riserva quasi incidentalmente e riguardo alla storia del termine. Mi pia cerebbe arrivare a coglierne la radice e le origini. Ma non mi nascondo le difficoltà che ciò comporta (GB VI, 189 sg.; L, 375). E il 24 gennaio 1939 comunicò a Horkheimer: Mi sono occupato di Turgot e di alcuni altri teorici per mettermi sul le tracce del concetto di progresso. Affronto il progetto complessivo del Baudelaire, della cui revisione ho messo a conoscenza Teddie Wiesengrund nell’ultima lettera, dal lato della teoria della conoscenza. Con ciò assume importanza la questione del concetto di storia e del ruolo che in essa svolge il progresso. L'annientamento dell’i dea di un continuum della cultura, postulato nel saggio su Fuchs, deve avere conse guenze nella teoria della conoscenza, fra cui una delle più importanti mi sembra la definizione dei confini posti a ll’uso del concetto di progresso nella storia. Con mia sorpresa ho trovato in Lotze percorsi di pensiero a sostegno delle mie riflessioni (GB VI, 198). Quando nell’agosto del 1941 Brecht lesse le tesi Sul concetto di storia, annotò nel suo Diario di lavoro-, «walter benjamin si è avvelenato in una piccola località sul confine spagnolo. [...] leggo l’ultimo lavoro che ha mandato all’istituto di so ciologia. Me lo dà Giinther Stern [Giinther Anders], avvertendomi che è un la voro oscuro e confuso, mi sembra che abbia pronunciato anche la parola “già”. Il breve saggio si occupa della ricerca storica e può darsi che sia stato scritto do po la lettura del mio Cesare (che su b[enjamin] non aveva fatto una grande im pressione quando lo lesse a svendborg). b[...] si rivolge contro i concetti di sto ria come svolgimento, di progresso come vigorosa intrapresa di menti riposate, di lavoro come fonte della morale, di classe operaia come protégés della tecnica ecc. Irride la frase, che si sente spesso, secondo la quale c’è da meravigliarsi che una cosa come il fascismo abbia potuto fare la sua comparsa “ancora in questo secolo” (come se esso non fosse il frutto di tutti i secoli). Insomma, il breve la voro è chiaro e chiarificatore (nonostante tutte le sue metafore e il suo giudai smo), e si pensa con orrore quanto sia scarso il numero di coloro che sono alme no pronti a fraintendere una cosa del genere» (Bertolt Brecht, Diario di lavoro cit., p. 292). Fu Scholem a richiamare l ’attenzione su un altro aspetto delle lesi di Benjamin che Brecht difficilmente poteva fraintendere ma di cui lact|iie. Si tratta di quello che trova la sua espressione più limpida là dove si parla ilei poli^ tici nei quali avevano sperato gli oppositori del fascismo e che confermano la loro sconfitta col tradimento della loro stessa causa'. «Agli inizi del 1940, lU-njamin, tlimesso dal lager in cui, come quasi tutti i profughi della Cìcniiaiiia hilleriana, era stato internato dopo lo scoppio della guerra, scrisse quelle “'l'csi sulla storia” in cui si ridestava dallo shock del patto Hitler-Stalin. ('«onie risposta a quel patto le
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Scritti
lesse allora allo scrittore Soma Morgenstern, suo compagno di sventura e vecchio conoscente» {Scholem 11, 64). G li Appunti sul tema riprodotti in appendice sono lavori preparatori e pro getti, che in parte {a quanto pare minima) vennero scartati dall’autore, in parte non poterono più essere inseriti nel testo. N on è dato sapere con certezza se que sta seconda fosse destinata a una ulteriore rielaborazione delle tesi o ad altri la vori. N el presente volume riproduciamo una selezione di questo vasto materiale che si trova per esteso in GS 1/3, 1229-52.
CURRICULUM VITAE DR. W ALTER B EI^A M IN [v i]
Curriculum V itaeD r. Walter Benjamin VI (GS VI, 225-28). Pubblicazione po stuma. Benjamin scrisse l ’ultimo dei suoi curriculum vitae, che fu allo stesso tempo l ’ultimo suo testo scritto, alla fine di lugKo del 1940 a Lourdes durante la fuga, su richiesta di Adorno che da N ew York qualche settimana prima lo aveva infor mato dei tentativi intrapresi dall’Institut fiir Sozialforschung per rendere possi bile la sua inmiigrazione negli Usa: « W e do everything possible to hurry your immigration into this cou nt^ . [...] It would be very important for us to have your curriculum vitae with a list of your publications. W ill you, therefore, please let us have both as quickly as possible» (T. W . Adorno e W . Benjamin, Briefwechsel cit., p. 440). Benjamin rispose il 2 agosto: Le trasmetto via Ginevra - questa è anche la strada che farò seguire a queste mie righe - il mio curriculum vitae. In esso ho integrato anche la bibliografia, perché qui mi mancano tutti gli strumenti per svi lupparla in modo particolareggiato (GB VI, 476; L, 408 sg.).
Indice dei nomi
Abraham, Pierre, 268, 332, 532, 542. Abraham a Sancta Clara, pseudonimo di Johamies Ulrich Megerle, 275. Adorno, Gretel, vedi Karplus Adorno, G retd. Adorno, Theodor Wiesengrund, vin, xi, xn, xm, XIV, xv, xvn, xvm, 9,15, 234 e n, 258, 298, 523, 526, 531, 533, 535, 539-42, 544,545 e n, 549, 550, 553-56, 560-64, 566, 567, 5 7 1 -7 4 Agamben, Giorgio, 523. Agostino, Aurelio, santo, 473, 474. Aiìly, Pierre d’, cardinale, i n . A assonde Grandsagne, J.-B.-F.-E., 104 n. Alain, pseudonimo di Eime-Auguste Char tier, 399 e n. Alighieri, Dante, vedi Dante Alighieri. AUemagne, Henry-René d ’, 169 n. Altmann, Hans, 91. Anders, Giinther, pseudonimo di Giinther Stern, 573. Andler, Charles, 538. ApoUinaire, Guillaume, 160, 210. Aragon, Louis, 26 n, 80, 519. Archiloco, 406. Arendt, Hannah, xrv, xv, xvm, 568, 572. Aristotele, 89, 354. Amheim, Rudolf, 315 n, 324 n. Arnoux, Alexandre, 312 e n. Aron, Max, xvi. Aron, Raymond, xm, 416. Arp, Jean (Hans Arp), 326. Asja, vedi Lacis, Asja. Atget, Eugène, 311. Audisio, Gabriel, 255 n. Auerbach, Erich, 243. Augusto, vedi Gaio Giulio Cesare O tta viano. August Wilhelm, vedi Schlegel, August Wilhelm von. Aupick, Jacques, 103 e n. Aurevilly, Jules-Amédée d’, vedi Barbey d ’Aurevilly, Jules-Amédée. Babeuf, Francois Noél, 361, 377. Babou, Hippolyte, 127 e n.
Bachelard, Gaston, xvm. Bachofen, Johann Jakob, 13. Bachtold, Jakob, 84 e n. Bacone, Francesco (Francis Bacon), 10, 125. Baldensperger, Fernand, 322 n. Ballard, Jean, xvn, 529. Balzac, Honoré de, 7 9 , 8 3 , 1 1 7 , 1 2 0 , 1 2 5 e n, 1 2 6 e n, 1 2 7 , 1 3 1 e n, 1 5 5 e n, 1 5 6 , 158.159. 1 6 9 , i 8 j , 3 5 0 , 4 2 5 . BanviUe, Théodore de, 152 n. Barbara, santa, 21. Barbey d’Aurevilly, Jules-Amédée, 112 e n, 169 n, 224, 406 e n. Barbier, Auguste, 113, 349, 389, 390 n, 393 Barrès, Maurice, 149. Barthélemy, Auguste-Marseille, i n e n, 418 n. Basedow, Johann Bernhard, 488 n. BataiUe, Georges, xvm, 487 n, 527, 536. Baudelaire, Charles, vm, xiv, xvi, xvn, 77, 79, 96, lo i, 102 e n, 103 e n, 104 e n, 103 e n, 106 e n, 107, 108 e n, 109 e n, n o e n. Ili, 112,113 e n, 119,120 e n, 121, 122, 123 n, 125 e n, 126 e n, 127, 128 e n, 129 n, 130 n, 132 e n, 133 e n, 134 e n, 135 n, 136 n, 137,138,139 e n, 140, 141 e n, 142 e n, 143 e n, 144, 146, 148, 149 e n, 150 e n, 151, 152 e n, 153 e n, 154 e n, 155 e n, 156, 157 e n, 158 e n, 159 e n, 160 e n, 161 e n, 162-67, 168 e n, 169 e n, 170 e n, 171,172 e n, 173 e n, 174, 175 e n, 176 e n, 177, 178 e n, 179-208, 210-20, 222-27, 229, 230 e n, 231, 233, 284, 332, 343, 344, 345 e n, 346. 347 e n, 348, 349 e n, 350, 351, 378 e n, 379, 384 e n, 385, 386 e n, 387 , e n, 389, 390 e n, 391 e n, 392 e n, 393 'n , 394 . 395 397 e 399 . 4 °o e n, 401 e n, 402 e n, 403 e n, 404 e n, 405, 406 e n, 407 e n, 408 e n, 409, 411, 412 e n, 413 e n, 414 e n, 415-19. 421-29. 432436, 438, 439, 497, 508, 518, 533-35. ^
5 5 8 , 5 7 0 , 573 -
^
Bayle, Pierre, 265, 460.
5?8
Indice dei nomi
Beach, Sylvia, xvii. Beato Angelico, fra Giovarmi da Fiesole, detto, 313. Beauvoir, Roger de, 420. Becher, Johannes R., 543, 552 n. Beckmann, Max, 537. Beethoven, Ludwig van, 305. Bérain, Albert, 73-76, 529, 537. Behrens, Eduard, 543. Benda, Julien, 234-36, 535, 536. Benjamin, Dora, xrv, xvm, x k , 572. Benjamin, Emil, 518. Benjamin, Georg, xrv. Benjamin, Stefan, xn. Benjamin, Walter, v n , v m , i x , x i , x n . x m , XIV, XV, XVI, x v n , x v m , x i x , x x , 23 n, 26 n, 41 n, 46 n, 77, 79, 213 n, 332 n, 372 n, 378 n, 410 n, 418 n, 437 n, 450 n, 451 e n, 479,480 n, 487 n, 490 n, 504 n, 511, 518 e n, 523, 525-45. 546 n, 549, 550, 551 e ^ 552, 55 3 . 554 e a. 555 ' 7 4 Benoist, Charles, 105 n, 157 n. Béranger, Pierre-Jean de, 199, 348. Béraud, F.-F.-A., 115 n. Berg, Alban, 545. Bergson, Henri-Louis, 379, 380, 400, 402, 404 n, 407 e n, 437, 438. Bernanos, Georges, 234, 236, 529, 535, 536. Bernardi, Sophie (Sophie Tieck), 70. Bertillon, Alphonse, 132. Betz, Maurice, xvi, 519. Bieber, Hugo, 396 n. Billy, André, 175 n, 385 n. Bismarck-Schòrmausen, Otto von, 257,
513-
Blake, William, 243. Blanqui, Louis-Auguste, vn, xi, 105, 106, I l o , 166 n, 177, 178,184, 191-93,197, 206, 213, 224, 226-29, 359, 441, 489, 505,508. Bloch, Ernst, 541. Bloch, Jean-Wchard, 80. Bloy, Léon, 529. Bliicher, Heinrich, 229, 467, 568. Bock, Woldemar von, 564. Bohme, Jakob, 254. Bolsche, Wilhelm, 541. Bonald, Louis-Gabriel, visconte di, 376. Bonaparte, Luigi Carlo Napoleone, vedi Na poleone III. Borchardt, Rudolf, 518. Borei, Petrus, pseudonimo di Pierre-Joseph Borei d’Hauterive, 216. Bòrne, Ludwig (Louis), pseudonimo di Lob Baruch, 359, 400 e n. Bòttiger, Karl, 366. Bougjé, Célestin, 80. Bounoure, Gabriel, 144 n, 159 e n. Bourget, Paul, 165 n. Boyer, Adolphe, 157.
Brecht, Bertolt, K , XI, x n , x m , x r v , x v i, 8992, 94-100, 142 n, 195, 2ri, 218, 270, 271, 274 e n, 279-85. 292. 295, 296, 310 n, 314 n. 340. 352-57, 467, 485, 504 n, 519. 527, 532. 542. 5 4 3 . 5 4 9 . 551. 552 e n, 55 3 . 5 5 4 . 558. 5 5 9 . 564. 568, 5 7 3 Bredel, WlUi, 543, 551, 553. Brentano, Clemens Maria von, 75, 373, 446. Breton, André, 127 n, 325 n. Brod, Max, xm, 81, 82, 83 e n, 84, 85, 88,
531-
Bronnen, Arnolt, 467, 568. Bruck, Hans, xvn. BruUer, Jean, 332. Brunot, Ferdinand, 538. Bruto, Marco Giunio, 178. Bryher, pseudonimo di Eflerman, Winifred, xvn. Buber, Martin, 82. Bucharin, Nikolaj Ivanovic, vn, xn, xrv. Buchner, Georg, 84 n, 370, 444. Bùhler, Karl, 251 n. Bulwer-Lytton, Edward George, 123,124 n. Burckhardt, Cari Jacob, xix. Buret, Eugène, 108 n. Bùrger, Gottfried August, 363. Busch, Ernst, 532. Byron, George Gordon, i n , 255. Cagliostro, Alessandro di, pseudonimo di Giuseppe Balsamo, 75. CaiEois, Roger, 234 e n, 235, 530, 535, c f e n de la Barca, Pedro, 354. Calmette, Albert Léon Charles, 261. Calonne, Alphonse de, 217. Carlo Eugenio, duca del Wurttemberg,
372.
Carnap, Rudolf, 10. Caroline, vedi Michaelis. Caroline. Carus, Cari Gustav, 366. Cassirer, Ernst, 250. Cassou, Jean, 80, 519, 530. Caterina, santa, 21. Catone, Marco Pbrcio, detto l’Uticense, Cavaignac, Louis-Eugène, 147. Céline, Louis-Ferdinand, 103, 194, 236, 468. Chamberlain, Arthur NeviUe, xn. Chamisso, Adelbert von, pseudonimo di Louis-Charles-Adelaide de Chamisso de Boncourt, 338 e n, 560 n. Champfleury, pseudonimo di Jules Husson, 175 e n. Chaplin, Charles (Charlie) Spencer, 321, 325 n, 5 4 7 Chaptal, Jean-Antoine. 232. Charléty. Sébastien, 116 n, 169 n. Chateaubriand, Fran^ois-René de. 174.
Indice dei nomi Chavannes, Puvis de, 333. Chénier, André, 119. Chesterton, Gilbert Keith, 151 e n. Claudel, Paul, 177, 385, 421. Clausewitz, Karl von, 71. Cleopatra VII, regina d’Egitto, 156. Cohen, Hermaim, 250. Cohn, Alfred, xm, 550, 563. Cola di Rienzo, Nicola di Lorenzo, detto, 14. Comte, Isidore Marie Auguste Francois Xavier, 468, 495. Conrad, Joseph, pseudonimo di Józef Teodor Konrad Korzeniowski, xvni. Cook, James, 363. Cooper, James Fenimore, 126, 127. Corneille, Pierre, 106. Courbet, Gustave, 175, 196. Cousin, Victor, 162. Crépet, Eugène, 120 n, 178 n. Crépet, Jacques, 132, 153 n, 214, 224. Cromwèll, Oliver, 509. Custine, Adam Philippe de, 369. D ^ e rre, Louis-Jacques-Mandé, 115. Dau, Salvador Felipe Jacinto, 258. Dante Alighieri, 21, 94, 200, 287, 435. Daudet, Léon, 164, 165 n. Daumier, Honoré, 122,184, 218, 223,423, 424 n, 425, 426. Dausse, C a i^ e, 465, 466, 567. Davenson, Henri, vedi Marrou, HenriIrénée. Defregger, Franz, 261. Dehmel, Richard, 284. Delacroix, Eugène, 169. Delatouche, Henri, vedi Latouche, Henri de. Delàtre, Auguste, 168. Delessert, prefetto di polizia, 418. Delord, Taxile, 174 n. Delorme, Joseph, 218. Delvau, iUfred, 125,134 e n, 389, 419 e n,
425-
De Maistre, Joseph, 376, 423. Demar, Claire, rÓ9, 170 n, 171 n. Denis, Maurice, 266, 332. Derain, André, 326. Desbordes-Valmore, Marceline, 405. Descartes, René (Renato Cartesio), 10,11. Desjardins, Paul, xvi, xvn, 113 n, 344,389 e n. Deubel, Léon, 481. Dickens, Charles, 133,134,151, 481. Diderot, Denis, 10. Dietzgenjosef. 488-90, 513, 514. Dilthey, Wilhelm, 379. Dtmier, Louis, 254-56,494,495,539,540. Doblin, Alfred, xvn. Domke, Martin, 572. Dorothea, vedi Schlegel, Dorothea. Dramon, Edouard, Dtmnont, Edouard. Dreyer, Cari Theodor, 315 n.
579
Dreyfus, Robert, 556. Drumont, EdouarcC 218. Du Bois-Reymond, Emile, 249. Dubosc, Jean Pierre, 5-8, 525. Du Camp, Maxime, 152 n, 165, 166 e n. Dudow, Slatan Theodor, 91, 532,552. Duhamel, Georges, 326 e n, 327 e n. Dumas, Alexandre, padre, 116, 117, 126, 127. Dupont, Pierre, 112 e n, 113 e n, 204, 348. Durtain, Lue, 321 n. Duval, Jeaime, 508. Duveyrier, Charles, 169. Ebhardt, Bodo, 238. Eckhardt, Julius, 443. Eddington, Arthur Stanley, 85. Edison, Thomas Alva, 325 n. EKas, Norbert, xm. EUerman, Winifred, vedi Bryher. Eluard, Paul, pseudonimo di Eugène Grindel, 498. Emmerich, Khatarina, 243. Enfantin, Barthélemy-Prosper, 169. Engels, Friedrich, 13, 96, lo i n, 103 n, 104 n, 106 n, 107 n, 140,141 en, 153 n, 341, 388 e n, 389, 393 416, 417. Englander, Sigmund, 131 n. Ennery (Dennery), Adolphe Philippe d’, 217. Ennio, Quinto, 164. Ensor, James, 396. Epicuro, 245. Erpenbeck, Fritz, 543. Esiodo, 256. Fabien, Jacques, 421 n. Falke, Konrad, pseudonimo di Karl Frey,
525-
Fargue, Léon-Paul, xiv, 194. FaiJkner, William Cuthbèrt, xvrn. Febvre, Lucien, 264. Federico Guglielmo III di HohenzoUern, re di Prussia, 25. Fellner, Hans, vedi Benjamin, Walter. Ferry, Jules-Francois-Camflle, 240. Fessard, Gaston, 234, 236, 535, 536. Feuchtwanger, Lion, 551, 553. Feuerbach, Ludwig, 10. Févai, Paul, 127. Fichte, Johann Gottlieb, 70, 71, 456. Fidus, pseudonimo di Hugo Hoppener, 183, 210. Fittko, Lisa, xix. Flaubert, Gustave, 103, 170, 171, 212, 416, 486, 509. Flaxman, John, 450. Flotte, Gaston de, 115. Focillon, Henri, xvm, 335, 494. Foquet, Jean, 223. Forster, famiglia, 368.
580
Indice dei nomi
Forster, Johann Georg, J63-65, 368, 370, 440. 4 4 3 Foucaud, Edouard, 107 n, 124 n, 220 n. Fouqué, Friedrich Heinrich Karl de la Motte. 7 1 . Fourier, Charles, 104, 220, 291, 403, 449, 478, 489. Fournel, Victor, 151 n. Franco Bahamonde, Francisco, 236. Frankel, Fritz, xix. Franklin, Benjamin, 462. Franz, vedi Kafka, Franz. Franzos, Karl Emil, 84 e n. Frégier, Honoré-Antoine, 107 n, 108 n. Freud, Sigmund, 13, 382 e n, 383 e n, 384 ' e n, ?85, 428, 438, 474. Freund, Gisèle, xiv. Frey, Karl, vedi Falke, Konrad. Friedmann, Georges, 137 n. Friedrich, vedi Schlegel, Friedrich von. Fromm, Erich, 9, 13,14. Fuchs, Eduard, 122 e n, 185, 225, 424 n, 510, 573. Fustel de Coulanges, Numa-Denis, 485,
, , -
494 502 512
GIbor, Andor, 97. Gaio Giulio Cesare Ottaviano, 464. Galileo Galilei, 353. Gali, Ferdinand von, 122 n, 124. Gance, Abel, 305 e n, 312 e n, 313. Gannì, Enrico, 523. Gautier, Théophife, 169, 174, 183, 204, 34 9 , 385Gay, Delphine, vedi Girardin, Delphine de. Geffroy, Gustave, lo i n, 106 n, 166 n, 167 e n, 177, 178 n. Geiger, Moritz, 518. George, Heinrich, xx. George, Stefan, xvin, 130 n, 179, 391 n. Gerhard, vedi Scholem, Gershom. Gide, André, xn, xvn, 80, 89, 149 n, 175 e n, 347, 386 e n, 480, 519, 530. Giedion, Si^ried, 258. Gilbert, Stuart. 552. Giotto di Bondone, 402. Giovenale, Decimo Giunio, 207. Girardin. Delphine de (Delphine Gay), 115 e n. Girardin, Emile de, 114, 121. Glassbrenner, Adolf, 395. Gliick, Franz, 527. Gobineau, Joseph-Arthur, 468. Gòdde, Christoph, 523, 524. Goebbels, Paul Joseph, 236. Goethe, Johann Wolfgang, 71, 74, 77, 79, 97, 197. 304 n, 354, 365 n, 369, 401, 404 n, 409 n, 433, 444, 488 n, 565. Gogol', Nikolaj Vasil'evic, 395 n. Goudon de Genouillac, Henrij 220. Gourdon, Edouard, 402 n.
Gourmont, Rémy de, 149 e n. Gozlan, Léon, 389. Grabbe, Christian Dietrich, 354. Gracq, Julien, pseudonimo di Louis Poirier, xvni. Grandville, pseudonimo di Jean-IgnaceIsidore-Gérard, 420. Granger, Ernest, 177. Granier de Cassagnac, Adolphe, n o . Graves, Robert, 357. Green, Julien, 319. Gregorovius, Ferdinand, 370. Grimm, fratelli, 71. Grimme, Hubert, 309 n. Grossmann, Henry, 9. Griitzner, Eduard von, 261. Gryphius, Andreas, 354. Gubler, Friedrich, 558. Guillain, Alix, 123 n, 413 n. Guillemot, GabriS, 115 n. Guilloux, Louis, 80. Giinderode, Caroline von, 74. Gùnther, Agnes, 540. Gurland, Henni, xix, xx. Gurland, Joseph, xix. Gutzkow, Karl, 441. Guys, Constantin, 122,132,149,162,386, 412. Haeckel, Ernst, 249, 541. Hamann, Johann Georg, 254. Hamp, Pierre, 167 n. Hamsun, Knut, 15, 62, 207. Harlan, Veit, xx. Hartlaub, Gustav Friedrich, 332. Haussmann, Georges-Eugène, 122' 165, 166, 3 4 5 Hebel, Johann Peter, 527. Hecht, Werner, 552 n. Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, 309 n, 372. 3 7 3 , 389 e n, 432, 449, 484. Hegel, K., 389. Heuborn, Ernst, 410 n. Heine, Heinrich, 96, 378 n, 396 e n, 441. Helmholtz, Hermann Ludwig Ferdinand, 249. Hennebique, Fran90Ìs, 333. Herder, Johann Gottfried, 361, 362, 376. ^ 377, 559Hessel, Franz, xrv, 26 n, 77, 79. Heym, Georg, 217, 284. Heyse, Paul, 238. Hitler, AdoH, vn. vin, xn, xvt, xvm, 98,99, 259, 284, 285, 377, 467, 519, 541, 573. Hitzig, Julius Eduard, 133 n, 395 n. Hobbes, Thomas, 10. Hodde, Lucien de la, lo i e n. Hoffmann, Ernst Theodor Amadeus, 133 e n 242, 305 e n, 396, 438. Hofmannsthal, Hugo von, xvm, 77,143 n, 404 n, 503. 519.
Indice dei nomi Hohenzollern, dinastia, 38. Holbach, Paul-Henri Dietrich d’, 10. Hoiderlin, Johann Christian Friedrich, 363, 368, 370-72, 502, 518. Honigswald, Richard, xv, 249, 250, 251 e n. 252» 5 3 9 , 5 4 0 Hoppenot, Henri, xvn, xvni. Horkheimer, Max, vin, xi, xn, xni, xrv, xv, XVI, xvn, XIX, 9, I O , I I n , 13, 14, 298, 2 9 9 , 361, 376. 4 0 7 n , 5 2 5 , 526, 530, 5 3 3 -3 7 , 5 3 9 . 5 4 i, 5 4 2 , 544, 545 e n, 5 4 7 , 5 4 9 , 5 5 1 , 5 5 3 , 5 5 6 - 5 8 , 562-67,570, Hoss, Rudolf, xvm. Houssaye, Arsène, igo, 387. Hugo, Victor, 76, 103, 104 e n, 143 e n, 144 e n, 145, 146, 147 e n, 148, 159, i6 i, 163, 164 e n, 165, 166, 174, 176, 180,183, 186, 187, 201, 204, 205, 242, 344, 345, 348, 349. 368, 378, 384, 388390, 417, 480. HUlsen, August Ludwig, 71,368,447,566. Humboldt, Alexander von, 441. Humboldt, Wilhelm von, 518. Husserl, Edmund, 554. Husson, Jules, vedi Chaapfleury. Huxley, Aldous Léonard, 318 n, 319 n. Hytier, Jean, 349 n.
581
Kierkegaard, SorenAabye, 186, 193, 258, Kisselev, ambasciatore russo, 119 n. Klages, Ludwig, 379. Klaseen, Peter, 154 n. Klee, Paul, xvn, 86, 487 e n. Kleist, Heinrich von, 71, 288. Klopstock, Friedrich Gottlieb, 360, 559. Klossowski, Pierre, 544. Knaus, Ludwig, 261. Knoche, signor, 32. Koestler, Arthur, xi, xvm, xix. Kolisch, Rudolph, 547. Korner, Josef, 70, 528, 529. Korsch, Karl, xvi, 372 e n. Kotzebue, August von, 454. Kracauer, Siegfried, xvm, xix, 15, 339, , Werner, xvm, 83 e n, 551,566,567. Kraus, Karl, 92,381,410 n, 490,519,538,
551-
KrauB, Werner, xx. Kremer, Gerhard, vedi Mercatore. Kroloff, Eduard, 419 n, Kriiger, Stephanus Johannes Paulus, detto Ohm Paul, 21. Kiihn, Maria, 46 n, Kun, Bela, 96. Kurefla, AJ&ed, 96, 97.
Ivens, Joris, 318. Jakm [?], 95. Jarry, Alfred, 538. Jocnmann, Cari Gustav, xvn, 201, 370, 3 7 3 - 7 5 , 4 4 0 - 5 5 , 4 5 7 , 4 6 4 n, 510,563-67. Johaimes vom Kreuz (Giovanni deUa Cro ce), santo, 243. Joubert, Joseph, 166 e n, 401 e n, 403, 434, 446. Jouhandeau, Marcel, 79, 519. Jouve, Pierre Jean, 519, 551. Joyce, James, 552. Jung, Cari Gustav, 243, 379. Jùnger, Ernst, 568. Kafka, Franz, vm, xin. 81, 82, 83 e n, 8488, 91, 207, 419 e n, 436,510,519,528, 531, 548. Kahn, Gustave, 149 e n, 161 e n. Kalb, Charlotte, 370. Kaminski, Hanns-Erich, xvn, xvm. Kant, Immanuel, 63, 249, 250, 253, 372, 443Karavan, Dani, ix. Karplus Adorno, Gretel, xvn, 533, 536, 540-42, 544, 554, 556, 558, 561, 562, 567, 571. Keller, Gottfried, 185, 221, 485, 512. Kerr, Alphonse, 118. Kesten, Hermann, xvn. Kieperiieuer, Gustav, 527.
Lacis, Asja, 95. Lackner, Stephan, pseudonimo di Ernest Gustave Morgenroth, xvn, 238 e n, 239, 536. 5 4 4 , 558, 563. 566, 571. Lafargue, Paul, 13. La Fontaine, Jean de, 463. Laforgue, Jules, 138 e n, 176 e n, 179, 183, 226. Lamartine, Alphonse-Marie-Louis de Prat de, 1x6,118 en, 119 e n, 174,183,348, 349, 3 7 8 , 3 8 4 -
Landau, Luise von, 26, 31. Landsberg, famiglia, 30. Lanjuinais, Jean-Denis, 375. Lao-Tse (Laozi), 293, 295, 296. Laplace, Pierre-Simon de, 249. Laronze, Georges, 105 n. Larousse, Pierre, 112 n. Latouche, Henri de, 169. Laurent, Achille, 151 n. Lavater, Johann Caspar, 124, 424, 488 fl. Lavisse, Ernest, 116 n. Lawrence, Thomas Eduard, jjjs Le Breton, André, «sii Breioa* André. Lebrun, Pierre-Antolne» t'/féi Leconte de l’isle, psémonimo di ChitlejR e n é -M a irie L é O 0 IJ t8 rl6 8 ,1 7 4 ,183, 3 49 .
Le Dantec» Yvea-OéifMfd, roa n. Léger, Beraaad, »66, aS8, 333.
haamam [?], «0.
Leibda, Gottfried Wilhelm, 505.
Indice dei nomi
582
Leiris, Michel, xvm. Lemaìtre, Jules, 102, i i i e n, 172, 173 n, 176 e n, 190, 205, 414 n. Lemer, Julien, 134 n. Lemercier, Louis Jean Népomucène, 176. Lemoine, Gustave, 217. Lenin, Nikolaj Vladimir Il'ic Ul'janov, det to, xn, 105,547. Lenz, Jakob Midiael Reinhold, 354, 363, 444 e n. Leonardo da Vinci, 6, 322 n, 323 n. Le Play, Frédéric, 108 e n. Lerner, Julien, 421 n. Leskov, Nikolaj, 499. Lévy-Bruhl, Lucien, 80, 243, 538. Lewy, Ernst, 518. Leyris, Pierre, 198.. Lichtenberg, Georg Christoph, 75, 77, 444 e n, 478, 520, 529. Lichtenberger, Henry, 80. Lieb, Frita;, 543. Liebig, Justus, 359, 441. Liebknecht, Karl, 489 n. Lieu Wang-Ngan, 6. Limayrac, Paulin, 117 n. Lindenheim, famiglia, 30. LinYu-t’ang, 7. Lion, Ferdinand, 525, 526, 528,529,531,
Lei
Lonitz, Henri, 523, 524. Loos, Adolf, 448. Lotze, Rudolph Hermann, 483, 573. Louandre, Charles, 121 n, Louys, Pierre, 233 n. Lòwenthal, Leo, 9,15,529, 539, 542, 560. Lòwis of Menar, August von, 442. Lowith, Karl, ig6 n, 334. Luigi XVIII, re di Francia, 441. Luigi Ferdinando, principe di Prussia, 25. Luigi Filippo, re dei Francesi, r3o, 423. Luisa di Mecklenburg-Strelitz, regina di Prussia, 25. Lukàcs, Gyorgy, xrv, 96-98. Lurine, Louis, 389. Lutero, Martin, 488 n. Luxemburg, Rosa, 489 n. Mabinn, J. E., vedi Benjamin, Walter. Maeterlinck, Maurice, rgj, 202. Mahler, Gustav, 555. Maillard, Firmin, 160 n, 170 n, 385 n. Maistre, Joseph de, 83, t25. Makart, Hans, 191, 221, 336. MaUarmé, Stéphane, 233, 243, 244, 308, 519
. . 54 6
Malraiox, André, 551 e n, 570. Manet, Edouard, 550. Mann, Thomas, xn, 325, 529. Manzoni, Giacomo, 573. Marcuse, Herbert, 9, 564.
Marinetti, Filippo Tommaso, 330, 331. Marivaux, Pierre Carlet de Cnamblain de, 503. Marlitt, Eugenie, pseudonimo di Eugenie John, 541. Marrou, Henri-Irénée, 473-75, 569. Marsan, Eugène, 385 n. Mars, Séverin (Séverin-Mars), 312, 313. Martin du Gard, Roger, xix. Martin-Dupont, L., 151 n. Marx, Karl, 94, 96, 97, lo i e n, 102 e n, 103 n, 104 e n, 105 e n, io6 e n, 107 e n, n o e n, n i , 112 e n, 115, 118 e n, 119 n, 124, 136 n, 138 e n, 141 n, 152, 153 e n, 154, 233 e n, 300, 341, 361, 372, 388,393 n, 397 e n, 417,423, 439, 450, 484, 488, 489, 491, 496, 497,500, 503. 505. 506, 510,516, 560, 564, 566. Maupassant, Guy de, 419,420 n, 421, g6i. Maurras, Charles, 540. Max, vedi Horkheimer, Max. Mehring, Franz, 134 n, 489 n. Menar, vedi Lòwis of Menar, A upst von. UieicaXoK,pseudonimo di Gerhard Kremer, Merde, Johann Heinrich, 304 n. Merkel, Garlieb Helwig, 366, 443-45. Meryon, Charles, 166 e n, 167 e n, 168, 183, 201, 213, 222. Messac, Régis, 126 e n. Metternich, Clemens von, 71. Meyer [?], 368. Meyer, Eduard, 495. Meyerson, Emile, 495. Michaelis, Caroline, 367-69. Michelet, Karl Ludwig, 500. Minor, Jacob, 242. Mirabeau, Honoré-Gabrid Riqueti de, 374. Mirecourt, Eugène de, pseudonimo di Charles Jean-BaptisteJacquot, 116 n. Missac, Pierre, xiv, xvn. Molière, Jean-Baptiste Poquelin, detto, 358. Monet, Claude-Oscar, 395 n. Monglond, André, 503. Monnier, Àdrienne, xiv, xvn, xvm, 80,93, 121, 181,194, 424 n, 569, 570. Monnoyer, Jean-Maurice, 525. Monzie, Alatole de, 264. Morgenroth, Ernest Gustave, vedi Lackner, Stephan. Morgenroth, Sigmund, 536, 544. Morgenstern, Soma, xv, 574. Moruce, Eduard, 288 e n. Mounier, Emmanuel, 529, 569. Mouquet, Jules, 136 n, 214, 332. Miillereisert, Otto, 278, 279. Miìnch, Johann Gottlieb, 429 e n. Murger, Henri, 120. Musset, Alfred de, 120,149,172.183,186, 34 9 , 384-
Indice dei nomi Nabucodoaosor, re di Babilonia, 338. Nadar, pseudonimo di Gaspard-Fflix Tournachon, 160, 385. Napoleone I Bonaparte, imperatore dei Francesi e re d’Italia, 153. Napoleone III, imperatore dei Francesi, 101,102, III, 113,119,134, 153, 178, 181, 213, 219, 233, 367,418,422, 442. Nargeot, Adrien, 385. Natorp, Paul, 250, 496. Neher, Carola, 356. Neher, Caspar, 278. Nerval, GÓard de, pseudonimo di Gérard Labrunie, 242, 529. Nettement, Alfred, 116 n. Necaev, Sergej Gennadieviò, 506. Neuffer, Christian Ludwig, 370, 371. Neurath, Otto, 10. Nicolai, Christoph Friedrich, 444. Nietzsche, Friedrich, 10, 156 n, 179, 184, 193, 196, 202, 226, 227, 261 n, 335, 3 5 9 . 415 n, 441. 489, 4 9 9 Nodier, Charles-Emmanuel, 418 n. Noir, Victor, 177. Novalis, pseudonimo di Friedrich von Hardenberg, 31, 74, 75, 242, 243, 361, 373, 376, 410 e n, 446. 538. Novotny, Fritz, 341. Oelsner, Konrad Engelbert, 374,441,455. Oken, Lorenz, 446. Olbrich, Joseph Maria, 448. Omero, 256, 331. Ossian, 200. Osten, Maria, 533. Ostertag, Ferdinand, 551. Ottwalt, Ernst, 95. Ovide, vedi Ovimo Nasone, Publio. Ovidio Nasone, Publio, 211. Ozenfant, Amédée, 266, 267 e n, 332,333. Panofsky, Erwin, 341 e n. Pascal, Blaise, 529. Paul, Jean, pseudonimo Johann Paul Frie drich Richter, 31, 478. Paulhan, Jean, 80, 551. Péguy, Charles, 163 e n, 529. Pélin, Gabriel, 147 n. Petrarca, Francesco, 435. Petzold, Emil, 518. Pfanzelt, George, 278. Picasso, Pablo Ruiz y, 321. Pichot, Amédée, 418 n. Pinder, Wilhelm, 332. Pirandello, Luigi, 314, 315 e n, 316, 317. Planer, O ia n , 367. Platone, 83, 245, 354, 446, 460. Plaut, Maurice, 104 n. Podszus, Friedrich, 533, 542, 544. Poe, Edgat Allan, 127,128,129 e n, 132 e n, 133.134.135 e n, 136 e n, 137, 138
583
e n, 159, 162, 198, 199, 202, 212, 213, 215, 216, 338 e n, 346 e n, 347, 350, 384, 392 e n, 393 e n, 394-400, 407 n, 416, 417, 421,423,438. Poéte, Marcel, 134 n. Pokrowski, Michail N., 119 n. PoUock, Friedrich, xn, 9, 298, 299, 530,
. -
533 564
Pontmartin, Armand de, 385. Porché, Francois, 119 n. Prolès, Charles, 104 e n. Proudhon, Pierre-Joseph, lo i n. Proust, Marcel, 77, 79, 154 e n, 168 e n, 197. 211, 215, 216, 222, 223, 341, 342, 380 e n, 381, 382, 383 n, 384, 391 e n, 402, 403 e n, 404 n, 405 e n, 408 n, 409, 410 e n, 411 e n, 432, 438, 480 e n, go8,
519-
.
Pudovkin, Vsevolod Ilarionovic, 316 n. Pufahl, Helene, 31, 32. Racine, Jean, 106, 177, 421. Radt-Cohn, Jula, 528. Radvàny, Netty, vedi Seghers, Arma. Radvanyi, Lazio, vedi Schmidt, Johannes. Raffaello Sanzio, 155, 309 n. Rageot, Gustav, 401 n. Rattier, Paul-Ernest de, 137,138 n, 422 n. Ratwitscher, famiglia, 30. Raumer, Friedrich Ludwig Georg von, 164 e n. Raynaud, Ernest, 119 e n, 150 n, 385 n. Reich, Bernhard, 552, 553. Reichenbach, Hans, 10. Reik, Theodor, 382 e n. Reimann, Camillo, 367. Reinhardt, Max, pseudonimo di Max Goldmann, 313, 550. Reiss, Erich, 527. Rembrandt, Harmenszoon van Rijn, 305, 306 n. Rency, Georges, 152 n. Renéville, RoUand de, 242-44. Retz, Jean-Fran90Ìs Paul de Gondi, cardi nale di, X K. Riediger, Hellmut, 523. Riegl, Aloìs, 305, 474, 481, 518, 569. Riemann, Bernhard Georg Friedrich, 89, ^ . 354 . 3 5 5 - , Kigault, Raom, 104. Rilke, Rainer Maria, 259, 326, 518, 519, Riniaud, Arthur, 184,193, 231, 244, 378. Ritter, Johann Wilhelm, 74, 75. Rivière, Jacques, 175, 176 n, 218, 347 e n, 386 e n, 421 e n. Rjazanov, David, 102 n, 112 n, 124 n. Robespierre, Maximilien-Fran?ois-Isidore de, 14, 361,362, 377,441,490. Robin, Leon, 245, 538. Rocqueplan, Nestor, 420.
Indice dei nomi
584
Rofland de Renéville, André, 530,537,538. RoUinat, Maurice, 182. Romains, Jules, pseudonimo di Louis Farigoule, xn, xvm, 80, 387 n, 519, 530, 569. Rosenberg, Alfred, 236. Rostand, Jean, 468, 568. Rosvita (Rotsvita), badessa di Gandersheim, 354. Rottweiler, Hektor, vedi Adorno, Theodor Wiesengrund. Rousseau, Jean-Jacques, xvn, 57,156,374, 463
, 503
Ruscnin, Giinter, 91. Rykov, Aleksej Ivanovic, xn. Sade, Donatien-Alfonse-Fran^ois, detto Mar chese de, 128 e n. Sahl, Hans, x d c . Sainte-Beuve, Charles Augustin de, 109 e n, 114 e n, 119 e n, 120, 143 e n, 176 e n, 218-20. Saint-Germain, conte di, 75. Saint-Simon, Claude-Henri de Rouvroy de, 170. Salles, Georges, xvm, 5, 7, 479-82, 525, Safvant^, Narcisse-AchiUe de, 117, Sand, George, pseudonimo di Armandine Lucie Aurore Dupin, 172, 188, 454. Saulnier, Paul, 117 n. Sav, Jean-Baptiste, 375. Scheerbart, Paul, 476 e n, 477, 478, 569, Scheffel, Joseph Viktor von, 541. Schelling, Friedrich Wilhelm Joseph, 368, Scèiiler, Friedrich, 49, 71, 443. Schindler [?], 75. Schlabrendorf, Gustav von, 440,441, 455. Schlegel, August Wilhelm von, 70-72, 367, 368, 443, 447. Schlegel, Dorothea, 71. Schlegel, fratelli, 71, 368, 447, 528, 529. Schlegel, Friedrich von, 70-72, 75, 368, 429, p 6 , 447. Schlemihl, Peter, 27. Schlosser, Julius von, 433 e n. Schmid Noerr, Gunzelm, 551, 564. Schmidt, Adolphe, 126 n. Schmidt, Alfred, 551, 564. Schmidt, Johannes, pseudonimo di Lazio Radvanyi, 537. Schmidt, Robert, 496. Schmitt, Cari, 334 e n. Schocken, Salman, xm. Schoen, Ernst, 540, 559. Schoenlank, Erich, 91. Scholem, Gershom (Gerhard), xi, xm, 85, 487 e n, 523, 531, 541, 561, 566, 570. 572,573-
Schonberg, Arnold, 546-48. Schònflies, famiglia, 30. Schopenhauer, Arthur, 262. SchroU, Anton, 341. Schubart, Christian Friedrich Daniel, 360, Scèubert, Gotthilf Heinrich von, 76, 368. Schwab, Christoph Theodor, 84 e n. Schweppenhauser, Hermann, 523, 524. Scribe, Auwstin-Éugène, 117 n. Séché, Alphonse, r52 n, 215. Sée, Canmle, 240. Seghers, Anna, pseudonimo di Netty Radvàny, 62-66, 69, 98,527, 528, 537. Seillière, Ernest, n o n, 236. Semper, Gottfried, 418 n. Senefelder, Alois, 136, 399. §engbusch, E. H. von, 455. Sestov, Lev, xv. Seume, Johann Gottfried, 365, 445. Séverin-Mars, vedi Mars, Séverin. SeyB-Inquart, Arthur, xn. Shakespeare, William, 99, 305, 354. Shelley, Percy Bysshe, 142 e n. Shocken, Salman, 53 r. Sieyès, Emmanuel-Joseph, 374, 441. Silberling, Edouard, 220. Simmel, Georg, 123 e n, 412, 413 n. Simon, Gustave, 146 n. Sirén, Osvald, 5. Sisto V (Felice Peretti), papa, 309. Socrate, 83, 84, 204. Sohn-Rethd, Alfred, 554 e n, 571. Solmi, Renato, 523. Sorel, Georges, 103, 236. Speyer, Wittielm, 336. Spira, Steffi, 91. SpuUer, Eugène, 147 n. Stadler, August, 496. Staél, Madame de (Anne-Louise Germaine Necker, baronessa di Stael-Holstein), 70,
71 -
Stalin, pseudonimo di losif Visarionovic DIjugasvili, vn, vni, xn, xvi, xvm, 94, 9 6 , 97. 573-
Stapfer, Philipp Albert, 455. Stargard, famiglia, 30. Steffln, Grete (Margarete), 96, 532, 542, ^ 543. 5 5 2 . 553. 5 5 f 559. 5 6 4 -
Stenbock-Fermor, Charlotte, 532. Stendhal, pseudonimo di Henri Beyle, x k , 267, 332, 335. Stern, Giinther, vedi Anders, Giinther. Sternberger, Dolf (Adolf), xv, 257-59, 260 e n, 261 e n, 262, 263, 539-42. Stevenson, Robert Louis, 135 e n, 420. Stoecker, Adolf, 259. Stora, Marcel, 375, 559. Stramm, August, 326. Strindberg, Johan August, 202, 354. Suarès, André, 163.
Indice dei nomi Sue, Eugène, 116, 117, 156, 388. Supervielle, Jules, xiv. Taylor, Frederick Winslow, 137, 394 n, 422 n. Teddie, vedi Adorno, Theodor Wiesengrund. Tertulliano, Quinto Settimio Fiorente, 135, 136 n, 393 n, 421. Thérive, André, 74. Thibaudet, Albert, 130 e n, 149 n, 391 e n. Thieme, Karl, xn. 542, 558, 569, Tieck, Friedrich, 71. Tieck, Johann Ludwig, 31, 358, 373, 446. Tieck, Sophie, vedi Bernardi, Sophie. Tiedemann, Rolf, 523,524,532,542,554. Tiedemann-Bartels, Hella, 524. Traviès de Villers, Charles Joseph, 220. Tretjakov, Sergej, 96,552. Tridon, Gustave, 105. Trockij Lev Davidovic (Lev Davidovic Bronstein), 97. Trotzky, Lev Davidovic, vedi Trockij Lev Davidovic. Troubat, Jules, 120. Troxler, Ignaz Paul Vital, 75. Ts’ien Kang, 6. Turgot, Anne Robert Jacques, barone di Laulne, 500, 502, 515, 573. Vacher de Lapouge, Georges, 468. Valentin, Karl, pseudonimo di Valentin Ludwig Frey, 95. Valéry, Paul, xn, xiv, xvi, 6, 80, 128 e n. 207, 226, 231, 265, 300, 302 en, 323 n, 335. 349 e n, 373, 383, 384 e n, 396 e n, 404 n, 409 e n, 411 e n, 437, 449, 525, Vali^s, Jules, 175, 385 e n. Van de Velde, Henry, 448. Varnhagen von Ense, Karl August, 396, 441. Varnhagen von Ense, Rahel, xv. Velde, Henry van de, vedi Van de Velde, Henry. Verhaeren, Emile, 163 e n, 284, 344 e n. Verlaine, Paul Marie, 174, 184, 378. Vermeil, Edmond, 537. Veronese, Paolo Caliari, detto il, 155. Vertov, Dziga, pseudonimo di Denis Arkad'evic Kaufman, 318. Veuillot, Louis, 118 n, 135 n, 187. Vico, Giambattista, 373, 450, 451, 566. Viel-Castel, conte Horace de, i n . Viélé-Griffin, Francis, 243, 244. Vigneau, André, 333. Vigny, Alfred de, i n , 176. Viflemain, Abel-Fran?ois, 162. Villiers de l’Isle-Adam, Philippe Auguste Mathias, 214, 222. Virgilio Maione, Publio, 94, 473.
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Vischer, Friedrich Theodor, 138 e n. Vlaminck, Maurice de, 548. Voltaire, Fran^ois-Marie Arouet, detto, 348. Vorlànder, Karl, 496. Vuillermoz, Emile, 333. Vulpius, Christian August, 365 n. Wagner, Richard, i6 i. Wahl, Jean, 551. Waley, Arthur, 5. Wallon, Henri, 267 n. Warthmiiller [?], 261. Washington, George, 462. Weber, Max, 431. Weigel, Helene, 91, 532. Weil, Felix, 298. Weil, Hermann, 298. Weiss, Jean-Jacques, 106 n. Weiss, Louise, 240, 537. Werfel, Franz, 313 e n, 548, 550. Werner, Friedrich Ludwig Zacharias, 31, W^tman, Walt, 203, 243, 284. Wickhoff, Franz, 305 e n. Wiertz, Antoine, 339. Wiesengrund, Theodor (Teddie), vedi Ador no, Tlieodor Wiesengrund. Winlder, Eugen Gottlob, xvi. Wissing, Egon, 559. Wurteniierg, Karl Eugene von, 360. Zarathustra (Zoroastro), 197, 210. Zimmermann, Wilhelm, g o i, 506. Zschokke, Heinrich, 443,445,452-55,457. Zweig, Arnold, 283.
Stampato per conto della Casa editrice Einaudi presso Mondadori Printìng S pA. , Stabilimento N.S.M., Cles (Trento) nel mese di novembre 2006 C.L.
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