Indice
Ringraziamenti
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Introduzione
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I. Una scuola per l’architettura della nazione 1. Il colpo di mano di Rosadi 2. Professori e massoni: una scuola nell’istituto di belle arti del gran maestro Ferrari 3. Una corte di cassazione per l’architettura 4. Tra i docenti della scuola di Roma 5. Il programma della scuola: educare a uno stile ita liano 6. La riforma Gentile e le scuole di architettura
II. Un architetto da creare e uno da sanare 1. La mancata tutela del titolo di architetto 2. La nascita del Sindacato fascista architetti 3. La Federazione architetti italiani e l’Associazione fra i cultori di architettura 4. L’inquadramento degli architetti nel sindacato fa scista 5. Un professionista per il fascismo 6. La grande sanatoria: i professori di disegno pro mossi architetti
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III. L’insegnamento e gli insegnanti di architettura 1. La scuola di Giovannoni e la continuità con la tradizione architettonica italiana 2. A “piccoli passi” verso le altre scuole di architet tura 3. Lotte tra docenti per l’egemonia nella scuola: Giovannoni contro Piacentini 4. Per un indirizzo romano delle scuole di architet tura: Belluzzo contro Fedele 5. Le scuole periferiche: Firenze, Napoli, Torino e Venezia 6. La facoltà di architettura di Milano
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IV. Carriere accademiche e scuole contestate 1. Scorciatoie di palazzo romane: professori in cat tedra senza concorso 2. Il frustino del sindacato 3. Professori contro i razionalisti 4. Una competizione tra le scuole di architettura 5. Il convegno sulla formazione dell’architetto 6. L’araba fenice della legge urbanistica e la scuola di perfezionamento
V. La gestione dell’architettura 1. Il sindacato di Calza Bini 2. Concorsi, monopoli, raccomandazioni e tangenti 3. Il cambio della guardia alla scuola di Roma 4. La scuola di Piacentini e lo stile mussoliniano 5. L’occupazione delle cattedre 6. I concorsi per la libera docenza e l’ostracismo dei cattedratici 7. I littoriali di architettura “contraltari” delle valu tazioni accademiche
VI. La professione e il professore 1. Anatomia di una professione 2. I camerati architetti 3. Il professionista professore 4. Una scuola da cambiare: le proposte di Argan e Pagano, consiglieri di Bottai 6
5. Verso il crollo del fascismo: esercizi di trasformi smo politico 6. L’epurazione dei professori compromessi con il fascismo: i casi di Calza Bini e Piacentini 7. Concorsi a cattedra da annullare: Piacentini soc corso da Andreotti
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Conclusioni
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Indice dei nomi
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Introduzione
Chi crede di trovare in questo libro sull’architettura negli anni del fascismo un’inedita lettura formale della stazione di Firenze o del "Colosseo quadrato” di Roma, per citare due fra le più celebri opere del regime, rimarrà deluso. Qui si parla poco dell’oggetto architetto nico in sé e si tace di costrutti tipologici, di impianti distributivi, di gusto tettonico. Diversamente si trovano descritti due mondi partico lari e inediti che investono l’esperienza dell’architetto: l’università e l’organizzazione professionale, due poteri forti chiusi in una torre d'avorio, finora pressoché inaccessibili allo sguardo dello studioso. Ma attenzione, questo percorso si sviluppa solo in parte all’interno dei territori della disciplina. All’opposto si è preferito debordare da quei confini e indagare sui più intriganti legami dell’architettura con la politica, per soffermarsi sulle non rare zone d’ombra. Le vicende qui descritte non si svolgono dunque soltanto dentro le aule universitarie o negli uffici del sindacato fascista architetti l’organizzazione che allora sostituiva l’attuale ordine professionale ma ricercano il nesso con ciò che accade fuori. Si scoprirà così che la prima e più importante scuola di architettura nasce in un contesto massonico, che la categoria si costituisce per merito di una non edu cativa legge di sanatoria ai fini di un consenso politico. Si avrà noti zia del docente che in aula biasima gli sventramenti mentre in qual che altra città d’Italia ha in cantiere la distruzione del centro storico, si verificherà che la pratica del concorso invocata dal sindacato ar chitetti in nome della trasparenza in realtà è servita per pilotarne gli esiti. Si apprenderà il nome del politico che appoggia l’architetto, quello del giornalista che intercede presso il ministro per il docente franco muratore, del professore universitario che raccomanda il suo 11
assistente, di studenti castigati nel voto perché non hanno seguito i suggerimenti stilistici dell’insegnante. Si conoscerà la storia di una città progettata da un architetto che ha avuto direttamente l’incarico dal padre, alto esponente sindacale, deputato fascista e preside di fa coltà. Si avrà il numero delle presenze di alcuni architetti, sempre gli stessi, nelle giurie dei concorsi, si intuirà perché, gusto personale e autarchia a parte, il progettista ha utilizzato un marmo invece di un altro per rivestire la sua opera. Lo anticipiamo subito. Il vasto processo nazionale di modernizza zione dell’insegnamento e della professione che caratterizza gli anni del fascismo si manifesta in modo contraddittorio. Il quadro che ne esce incrocia progetti culturali di profilo, capacità organizzative, de dizione all’insegnamento con ambienti degradati, attraversati da ma neggi, dall’occupazione del potere fine a se stesso, da favori perso nali, da un generale lassismo. La particolarità deU’indagine e l’insie me dei dati raccolti ci fa credere che paradossalmente l’architettura potrebbe essere solo un pretesto e il quadro rappresentare solo il frammento di una crisi, fra le tante, attraversate dalla società italia na. Crediamo, infatti, che gli avvenimenti qui narrati vadano oltre l’interesse disciplinare e finiscano col delineare un significativo spaccato di storia d’Italia tra le due guerre. Il posto occupato dall’architettura in quel periodo è di primissimo piano. Essa è per il fascismo un’arma, tra le più efficaci, per ottene re il consenso ed è un collaudato strumento a disposizione del potere per lasciare ai posteri un’immagine duratura di sé. Come ognuno può constatare, soprattutto il secondo risultato è stato ampiamente centrato. La produzione architettonica del fascismo è stata “enor me”, tanta quanta “nessun altro popolo nello stesso periodo ha nean che lontanamente pensato di fare”, scrive Marcello Piacentini a vent’anni dalla marcia su Roma1. Anche il processo di professionalizzazione e di scolarizzazione, che fa da pendant a questa straordi naria attività, ha avuto una forte connotazione di regime. L’architet tura è dunque, rispetto ad altre discipline, un osservatorio privilegia to per indagare l’intreccio tra il potere professionale, quello univer sitario e la politica. 1. M. Piacentini, «Onore all’architettura italiana», Architettura, n. 5, maggio 1941; ora in Id., Architettura moderna, a cura di M. Pisani, Marsilio, Venezia, 1996, p. 291. 72
La riforma dell’insegnamento e della professione interviene su una realtà cofi radici profonde nel passato. Sullo sfondo c’è un me stiere antico e un sapere tramandato da maestro ad allievo nelle bot teghe. Su questo modello si era innestato un tipo di formazione so cialmente diverso a partire dalla seconda metà del XVI secolo. Da allora, dapprima in modo frammentario e sporadico, poi nel secolo XIX in modo più sistematico e diffuso, l’architettura viene insegnata anche nelle accademie d’arte. Inoltre, dalla seconda metà del secolo scorso, l’architettura diventa materia d’insegnamento nelle scuole d'ingegneria. A fronte di una tradizione d’insegnamento secolare, le scuole spe cifiche di architettura sono invece un’invenzione recente. La prima scuola superiore di architettura viene infatti istituita a Roma nel 1919, la seconda a Venezia nel 1926. Tre anni più tardi viene fonda ta una scuola a Torino e nel 1930 è la volta di Napoli e di Firenze. Infine, nel 1933, la sezione di architettura del Politecnico di Milano diviene la sesta scuola di architettura, da ora in poi elevate a facoltà. Nell'arco di 15 anni decolla in Italia la riforma dell’insegnamento dell'architettura. Eccetto quella di Roma, le scuole vengono istituite durante il fascismo. Tutte, ma quella di Roma in particolare, vengo no avvalorate dal regime. In queste scuole gli insegnanti seguono un piano di studi modellato a improntare una nuova figura, distinta dal la precedente, quella dell’“architetto integrale”. Anche la professione dell’architetto, con il suo campo d’azione, le sue regole, la sua struttura organizzativa, ha una vita giovane. Al cuni anni dopo la fondazione della scuola di architettura di Roma, siamo nel 1923, viene riconosciuto per legge il titolo di architetto e nel 1925 vengono definite le norme che regolano la professione. Tra il 1923 e il 1926, mentre nel Paese si avvia il processo di fascistiz zazione, il Sindacato nazionale fascista architetti assume il ruolo di rappresentante unico della categoria: da ora in avanti e per tutta la durata del regime, fatte proprie le funzioni degli ordini, esso presie derà all’organizzazione dell’attività professionale degli architetti. Stretti legami intercorrono tra l’educazione scolastica dell’archi tetto e il suo inquadramento sindacale. Educare e inquadrare sono state le parole allora più in uso. La scuola e il sindacato accompa gnano, alternandosi, di pari passo l’“architetto integrale”, dai primi disegni tracciati sui banchi all’opera in cantiere, dal rilievo dell’edi ficio rinascimentale alla stesura della parcella. La scuola ne indiriz za la formazione. Il sindacato ne disciplina e tutela la pratica profes13
sionale, ma anche ne favorisce il successo. Questi aspetti visti nel loro intreccio e nel loro articolarsi sono stati poco studiati. Eppure, come si vedrà, hanno un peso non irrilevante nella storia e nella cul tura dell’architettura italiana tra le due guerre2. E al tempo del fascismo che avviene dunque la modernizzazione dell’insegnamento e della professione. Ma in che modo il fascismo privilegia le scuole di architettura? Che cosa si insegna in quelle au le? Quali sono le architetture del passato da indicare a modello per gli studenti perché più funzionali alle ideologie del fascismo? Si è cercato e si è riusciti attraverso l’insegnamento a creare un nuovo stile del tempo di Mussolini? E ancora. In quali forme si esercita il controllo sindacale? Quanti sono gli architetti che possiedono la tes sera del partito fascista? Esistono espressioni di dissenso? Si può conciliare l’esercizio della libera professione in un regime politico che limita le libertà individuali? Queste domande non riguardano solo gli storici. In realtà alcune scelte di allora condizionano ancora il presente. Quanti studenti di architettura sanno che il mondo accademico descritto in queste pagi ne non è poi così distante dal loro? Alcuni docenti, i più rappresen tativi, sono sulla breccia ancora alla fine degli anni cinquanta e la sciano un’impronta duratura sui loro successori. Significativo, ad esempio, è il potere conservato da Arnaldo Foschini, uno dei primi attori di questa storia, anche dopo essere stato collocato a riposo dall’insegnamento. Durante la contestazione studentesca degli anni sessanta, racconta Leonardo Benevolo, i colleghi della facoltà di ar2. Studi sulla formazione dell’architetto in Italia sono stati pubblicati da: L. Vagnetti, «L’insegnamento dell’architettura in Italia», Dialogos, n. 2, aprile 1960, pp. 75-93; Id., L’architetto nella storia, Cedam, Padova, 1980, pp. 697-710; R. Gabetti, P. Marconi, L’insegnamento dell’architettura nel sistema didattico franco-italiano (1789-1922), Edizioni quaderni di studio, Torino, 1968. (Il saggio è stato ristampa to su Controspazio, nn. 3, 6, 9, 10-11 del 1971); L. Compagnin, M.L. Mazzola, La nascita delle Scuole superiori di architettura in Italia, in II razionalismo e l’archi tettura in Italia, a cura di S. Danesi e L. Patetta, Electa, Milano, 1976, pp. 194-196; G. Ricci, Il dibattito culturale e legislativo per l’istituzione delle scuole superiori di architettura, in II Politecnico di Milano nella storia italiana (1914-1963), voi. II, Cariplo-Laterza, Milano, 1988, pp. 585-612; L. De Stefani, Le scuole di architettu ra in Italia. Il dibattito dal 1860 al 1933, Angeli, Milano, 1992. Sulla professione dell’architetto durante il fascismo cfr. F. Bugarini, Ingegneri, architetti, geometri: la lunga marcia delle professioni tecniche, in W. Tousijn, Le libere professioni in Italia, il Mulino, Bologna, 1987, pp. 314-325; G. Zucconi, La città contesa, Jaca Book, Milano, 1989, pp. 93-193; D. Calabi, L’architetto, in Storia d’Italia. Annali, voi. X, Einaudi, Torino, 1996, pp. 339-361.
chitettura di Roma vanno a “trovarlo a casa, di sera, per sapere co me dovevano comportarsi”3. E, per quanto riguarda il mondo profes sionale, sono i giovani architetti a conoscenza della metamorfosi del sindacato fascista architetti, che con i suoi uomini e il suo apparato organizzativo si trasforma, con la sua grave eredità, salvo rare ecce zioni, in quell’ordine degli architetti a cui sono ora iscritti? Prima della riforma Gentile del 1923, la scuola in Italia è regolata dalla legge Casati del 1859, precedente allo Stato unitario. Questa legge non prevede scuole specifiche per architetti, ma contempla due scuole di ingegneria, la Scuola di applicazione a Torino e l’Istituto tecnico superiore a Milano. Alcuni anni dopo, a Milano nel 1865, a Torino nel 1866, viene creata una sezione per architetti e conferito il diploma di architetto civile, accanto a quello di ingegnere civile4. Rispetto alle sezioni di architettura, il programma didattico delle sezioni di ingegneria è più nutrito di materie scientifiche e gli inge gneri - sia civili, sia con altre specializzazioni - possiedono un campo di competenze più ampio, comprensivo anche degli studi di architettu ra. Per questo motivo, il numero degli iscritti alle sezioni di architettu ra - con malizia, ricorda Camillo Boito, chiamate 1’“ospedale” perché in molti casi rifugio dei meno diligenti - è estremamente limitato5. La legge Casati non comprende l’insegnamento artistico. Nelle accademie e negli istituti d’arte sono previsti corsi della durata di cinque anni per il rilascio del diploma di professore di disegno ar chitettonico. Il diploma abilita solo all’insegnamento del disegno e non alla pratica dell’architetto. In realtà accade che l’esercizio della professione dell’architetto venga svolto soprattutto dai professori di disegno, da molti considerati una “falange di irregolari”. Sono questi "architetti irregolari” a prevalere nei concorsi più importanti, a oc cupare le cattedre di architettura nelle accademie6. 3. L. Benevolo, L’architettura nell’Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 1998. p. 157. 4. R.d. 3 settembre 1865 e r.d. 30 settembre 1866. Cfr. Ministero Pubblica Istruzione Monografie della R. Università e degli Istituti superiori, Roma, 1913, voi. II, pp. 136 e 295-296. 5. C. Boito, Condizioni presenti degli architetti in Italia, in Id., Questioni prati che di Belle Arti. Restauri, concorsi, legislazione, professione, insegnamento, Hoepli. Milano, 1893, pp. 357; ora in Id., Il nuovo e l’antico in architettura, a cura di M.A. Crippa, Jaca Book, Milano, p. 180. 6. G. Lavini, «L’agitazione per le nuove scuole superiori di architettura», Nuova Antologia, n. 1040, 16 maggio 1915, p. 257; Id., «L’albo giudiziario degli ingegneri, architetti e periti agrimensori», Architettura italiana, n. 8, 1 maggio 1914, pp. 89-90.
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L’istruzione impartita nei due tipi di scuole - ingegneria e accade mia - è dunque nettamente distinta: le sezioni di architettura sono di livello di istruzione superiore, con una netta preponderanza degli in segnamenti tecnico scientifici e una carenza di quelli artistici. All’accademia, invece, si accede con la semplice licenza elementare e il diploma di professore di disegno è rilasciato dopo il corso co mune di tre anni e uno superiore di cinque. I corsi si limitano all’in segnamento artistico e il professore di disegno architettonico non ri ceve alcuna nozione tecnico scientifica: quel titolo di “professore”, a giudizio di Gustavo Giovannoni, un altro dei protagonisti di questa storia, costituisce la “maggiore turlupinatura che vanti la scuola ita liana”7. Una volta diplomati, vengono abitualmente e impropriamen te chiamati architetti: per una consuetudine assunta a norma, ai pro fessori di disegno sono attribuite le stesse facoltà degli ingegneri e degli architetti civili. Architetti civili, ingegneri civili, ingegneri con altre specializza zioni, professori di disegno occupano tutti lo stesso campo. A questi si devono aggiungere anche coloro - sono circa 300 - che, privi di titoli di studio attinenti, praticano comunque la professione. In as senza di una legge, in alcune città sorgono collegi di ingegneri e di architetti per regolare l’attività professionale. All’inizio del secolo ne esistono in Italia 28, la maggior parte localizzati nel nord del Paese. Tra questi solo alcuni però, come quelli di Roma e di Napoli, esercitano uno specifico controllo sull’abuso del titolo8. Per ovviare a questa confusione di competenze e alla mancanza di norme precise, a questo abusivismo professionale, numerosi tentativi di riforma dell’insegnamento dell’architettura e di tutela del titolo si sono succeduti fin dal 18739. Ma la realizzazione di queste riforme è 7. Cfr. G. Giovannoni, Gli architetti e gli studi di architettura in Italia, Roma, 1916, p. 26. 8. M.C. Colleoni, L’associazionismo professionale degli ingegneri italiani: dai collegi difine Ottocento al sindacato fascista, in II Politecnico di Milano nella sto ria italiana, cit., voi. 1, pp. 153-157. 9. R.d. 9 ottobre 1873 (decreto Scialoja) che trasforma l'Accademia di San Luca a Roma e l'Accademia di Firenze in Istituti d’arte; r.d. 25 settembre 1885 (decreto Coppino) che istituisce scuole speciali o superiori di architettura presso gli Istituti di belle arti di Firenze, di Roma e successivamente, con r.d. 9 novembre 1885, an che a Napoli; disegno di legge Boselli del 14 giugno 1889 che prevede l’istituzione delle scuole di architettura presso gli istituti di belle arti; disegno di legge De Seta del 9 giugno 1904 che prevede il conferimento del titolo di architetto ai soli diplo mati nei politecnici e nelle scuole di ingegneria; disegno di legge Fani del 5 luglio 1910 che prevede l’istituzione di un albo per ingegneri, architetti e periti agronomi.
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frenata da una serie di conflitti tra ingegneri, architetti civili e pro fessori di disegno, tra scuole di applicazione per ingegneri e accade mie di belle arti, tra le città designate quali future sedi, tra enti pre posti al finanziamento. Il dibattito si presenta talvolta “acre”, domi nato da pregiudizi, da “interessi di persone e di caste”10. Alla vigilia della fondazione della scuola di architettura di Roma, siamo nel 1919, il panorama dell’insegnamento si presenta così con figurato: quattro su sette scuole di ingegneria hanno istituito al loro interno sezioni di architettura per rilasciare il diploma di “architetto civile” e sono Milano, Torino, Roma, Palermo11. Fra queste quattro si distingue la sezione di architettura di Milano, dove è stata rag giunta una felice collaborazione con gli insegnanti dell’Accademia di Brera. Sono invece otto le scuole, tra accademie e istituti di belle arti, dislocate nelle città di Bologna, Firenze, Milano, Torino, Vene zia. Napoli, Palermo e Roma, in cui sono attivati corsi speciali di ar chitettura e abilitate a licenziare i “professori di disegno architettoni co ’’12. Inoltre, nel 1913 è attiva in via sperimentale una scuola supe riore di architettura a Siena: sorta nel 1911 e finanziata dagli enti lo cali e dal Monte dei Paschi, non avrà tuttavia seguito13. 10. G. Giovannoni, Gli architetti e gli studi di architettura in Italia, cit., p. 3. 11. Nel 1914, le sette scuole d’ingegneria hanno denominazioni distinte. A Mila no la scuola si chiama R. Istituto superiore, a Torino R. Politecnico, a Napoli R. Scuola superiore politecnica. Le scuole di Bologna, Padova, Palermo, Roma sono denominate Scuola di applicazione per ingegneri. Sul numero delle scuole di inge gneria dotate di sezioni di architettura cfr. G. Giovannoni, Gli architetti e gli studi di architettura in Italia, cit., p. 29. Nel 1913 anche a Bologna funzionava una se zione di architettura, cfr. Ministero Pubblica Istruzione, Monografie della R. Uni versità e degli Istituti superiori, cit., voi. II, pp. 136 e 295-296. Cesare Nava preci sa che solo le due scuole di Torino e di Milano sono autorizzate a rilasciare i diplo mi di architetto civile, cfr. il discorso di Nava alla Camera dei deputati del 3 luglio 1914, in Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXIV, sessione 19131914, Documenti-Disegni di legge e relazioni, n. 260-A, p. 2. 12. Per gli istituti e accademie di belle arti ci si riferisce alla situazione nel 1918, quando vengono limitati i corsi superiori speciali, cfr. d.l. 5 maggio 1918, n. I852. Sul numero degli istituti dotati di corsi speciali di architettura si veda anche il discorso di Giovanni Gentile al Senato del 18 giugno 1923. G. Gentile, Di nuovo sulla professione di ingegnere e di architetto, in Id., Scritti pedagogici, III. La riforma della scuola in Italia, Treves-Treccani-Tuminelli, Milano-Roma, 1932, p. 161. Per un ampio panorama sull’insegnamento nelle accademie d’arte in Italia pri ma della riforma Gentile: L’architettura nelle accademie riformate, a cura di G. Ricci, Guerini e Associati, Milano, 1992. 13. Scuola superiore di architettura nell’Istituto di Belle Arti. Siena, Lazzeri, Siena, 1913; F. Petrucci, L’insegnamento dell’architettura a Siena dal sistema ac cademico all'Istituzione della prima scuola superiore di architettura, in L’architet tura nelle accademie riformate, cit., p. 446.
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Da questo quadro prendono avvio le vicende che qui si ripercor rono. NeH’immediato primo dopoguerra si assiste a una svolta radi cale: prende corpo un complesso progetto, che ha in Giovannoni il suo artefice, per riorganizzare l’istruzione dell’architetto e per rifor mulare la sua figura intellettuale. A Roma viene creata una specifica scuola per architetti, dove il sapere tecnico è integrato con quello scientifico, con un conseguente insieme organico e aggiornato di no zioni. A differenza di ingegneria a Milano, la nuova scuola di archi tettura non si limita a fornire nozioni, ma si pone anche il fine di educare lo studente, di preparare cioè culturalmente i nuovi laureati, gli architetti integrali, al compito di restituire alla nazione il suo sti le. Stile nazionale, architetto integrale, scuole di architettura diventa no aspetti complementari e intimamente interdipendenti di un unico e articolato disegno. Concepito prima del 1922, questo progetto di nazionalizzazione degli architetti e dell’architettura è fatto proprio dal fascismo, che ne aggiorna politicamente i contenuti e lo attua. All’architetto, Mussoli ni affiderà il compito di realizzare un’architettura consona allo spiri to del regime, di progettare opere che testimonino nel tempo il “se colo fascista”. In altre parole, chiederà di affiancarlo nel concretare la politica di consenso nell’immediato e nel lungo periodo. Posta al centro dell’insegnamento artistico dalla riforma Gentile e valorizzata dalla politica di accentramento del fascismo, la scuola di Roma diviene la scuola pilota, modello per le altre scuole di archi tettura. Se all’inizio degli anni venti si ritiene ancora di far rivivere nelle future singole scuole le tendenze stilistiche locali, alcuni anni dopo l’indirizzo stilistico e didattico della scuola di Roma, identifi cato tout-court con l’italianità, diviene esempio da seguire: le tesi di Giovannoni sulla funzione politica dell’architettura, espressione del la forza di una nazione, sono apertamente accolte e sostenute dal ministro Pietro Fedele. A questo disegno di accentramento e di omologazione romano le maggiori resistenze verranno da alcuni am bienti del politecnico di Milano e, all’esterno, dai “razionalisti”, con Pier Maria Bardi e Giuseppe Pagano schierati in prima fila. La nascita del sindacato fascista di Alberto Calza Bini coincide con l’entrata in campo di questa nuova figura di “architetto integra le”. L’inquadramento sindacale procede di pari passo con la sua fa scistizzazione. La singolare genesi per cui gli architetti non avranno mai un proprio ordine professionale, ma solo un sindacato fascista che svolge anche le funzioni dell’ordine, accentua la connotazione 18
politica della categoria. L’ingerenza del fascismo nella professione si rifletterà anche nella prassi progettuale e si manifesterà nella di sputa fra gli architetti per il favore politico. Il percorso per l’affermazione della professione, al di là della retorica sindacale, non è tuttavia privo di contraddizioni. Al contem poraneo riconoscimento giuridico del titolo non corrisponde infatti una chiara definizione dell’ambito di competenza distinto da quello dell'ingegnere e, poi, da quello del geometra: la figura professionale dell'architetto è in realtà un’incompiuta. A questo difetto in origine si accompagna una vasta opera di sanatoria a favore dei professori di disegno, intrapresa nella seconda metà degli anni venti. La sana toria risponde in primo luogo a un calcolo politico, si rivela un per suasivo strumento di fascistizzazione del vecchio ceto professionale. E progetto complessivo di introduzione della nuova figura professio nale perde così la sua efficacia e ne risulta compromesso. Per tutti anni trenta, nella loro maggioranza, gli architetti non potranno essere considerati una categoria di professionisti provvisti di laurea. Anche il mancato varo della legge urbanistica, pronta già nel 1932 e principale strumento legislativo a sostegno dell’attività pro fessionale, rende mutilo il disegno complessivo di affermazione del la figura dell’architetto: i suoi dispositivi di intervento sul territorio, dal piano regolatore regionale a quello comunale, dal piano partico lareggiato a quello di risanamento, sono stati pensati a misura dei laureati nelle nuove scuole di architettura. Nel nostro racconto particolare attenzione è posta attorno ad alcu ne figure emergenti - Calza Bini, Foschini, Giovannoni, Piacentini e segue la loro presa del potere, dal “colpo di mano” di Giovanni Rosadi del 1914 alla scalata alle cattedre, dall’occupazione dei posti chiave nelle istituzioni alla gestione del potere accademico, dalle frequentazioni massoniche alla protezione dei gerarchi di partito. I loro curricula accademici e professionali non sono avari di sorprese. Valga per tutti sapere che, eccetto Giovannoni, gli altri docenti, futuri presidi di facoltà, sono privi di laurea; oppure che nel dopoguerra il consiglio superiore annulla a Piacentini la nomina a professore or dinario. Sarà un giovane e brillante uomo politico romano, avviato a diventare un protagonista indiscusso nel bene e nel male della storia italiana. l’allora sottosegretario Giulio Andreotti, a correre in aiuto del docente degradato e a traghettare Piacentini dal fascismo alla repubblica. 19
Quanto mai eloquente, poi, a proposito della egemonia romana nella gestione del potere universitario, è la mappa delle nuove catte dre e delle libere docenze disegnata attraverso i concorsi. Ma questo quadro risulta completo solo se viene intersecato con i dati prove nienti dai concorsi di progettazione, circa duecento quelli esaminati tra architettura e urbanistica. Ciò che emerge è un’assidua presenza di questi quattro docenti universitari, assieme a pochi altri, nelle commissioni giudicatrici. Non mancano inoltre i casi di favoritismo e di malcostume. Alla data del 1938, il numero totale degli architetti laureati nelle nuove scuole e attivi nella professione è esiguo: sono iscritti all’albo 195 architetti laureati a Roma e 154 laureati nelle quattro rimanenti scuole, esclusa Milano. Introdotto nella “grande casa” dell’architet tura, l’architetto ne apprende le regole, trasparenti e segrete, e fa co noscenza con le gerarchie che vi regnano. Ai vertici siedono alcuni cattedratici e alti esponenti sindacali. Il loro potere si alimenta di stribuendo incarichi (qualche volta li ricevono), designando vincitori nei concorsi, promuovendo carriere accademiche, concedendo nul laosta ministeriali, sedendo in commissioni edilizie, urbanistiche e ministeriali. La rete sindacale ha maglie strette a cui è difficile sot trarsi e questa forte concentrazione di cariche nelle mani di poche persone favorisce il controllo, anche non diretto, sull’attività edili zia. Chi non accetta le regole rimane emarginato. Nella seconda metà degli anni trenta, in sintonia con una tendenza sempre più totalitaria dello Stato, anche le scuole di architettura se guiranno indirizzi più unitari in direzione di un rinnovato classici smo. Piacentini, subentrato a Giovannoni alla direzione della scuola di Roma, meglio di tutti può impersonare la figura del professore professionista, coordinare il lavoro degli insegnanti della sua scuola e quello dei direttori delle altre facoltà, sovrintendere i grandi cantieri delle opere di regime, contribuendo a realizzare quella “unitarietà di indirizzi” dell’architettura, che è la traduzione piacentiniana di stile. La messa in discussione di questo modello didattico dominante avviene già alla fine degli anni trenta e la drastica richiesta di rifor ma presentata da Giulio Carlo Argan giunge direttamente sul tavolo del ministro Giuseppe Bottai. All’invadenza della professione nella scuola - facoltà “nate come appendici degli studi professionali dei docenti”, denuncerà Roberto Pane14 - il ministro tenta di rispondere 14. R. Pane, «Note per una riforma delle facoltà di architettura», La Nuova Città, n. 8, luglio 1946, p. 27.
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con la separazione della figura professionale da quella dottorale. Ben oltre mirava la proposta di Argan, ispirata alla più antipiacentiniana delle scuole, la Bauhaus di Walter Gropius. Il libro si chiude con il crollo del regime, i processi di epurazione e il loro fallimento. La perdita della connotazione politica fascista nella realtà scolastica e sindacale è assunta a conclusione di un pe riodo, ma di certo non viene accolta da chi scrive come una cesura che attraversa in profondità le due istituzioni. Il dispositivo origina rio - una scuola e una professione creati per finalizzare un sapere tecnico a un programma ideologico - è infatti perfettamente funzio nale anche agli indirizzi politici dei nuovi governi, alle nuove istan ze democratiche. La corsa degli architetti per un’architettura italiana e fascista è diventata quella per un’architettura che ricerca i suoi va lori nel sociale. La riflessione autocritica sul proprio ruolo professionale e su quello della facoltà, sulla propria storia recente, è estranea ad ampi settori della categoria, legati soprattutto agli ambienti della scuola romana, arroccati nella difesa dei numerosi privilegi acquisiti. Di contro si levano parecchie voci, anche di docenti, a favore di una riforma dell’insegnamento. Tuttavia, se non interna a una proposta il Piero Bottoni, che prevede di riunire le scuole di ingegneria civile e di architettura in un’unica scuola edile, una domanda radicale sul senso ultimo di quel dispositivo, e quindi sull’utilità e sull’esistenza stessa delle scuole di architettura, non viene posta con la necessaria chiarezza. Chi, come Raffaello Giolli, durante il fascismo aveva par lato apertamente di chiudere le scuole non c’è più; chi, come Argan, da consigliere artistico di Bottai aveva provocatoriamente negato lo status di scuole a quelle esistenti, si nasconde in uno strano silenzio. L'incontro con la nuova politica è per gli architetti una “naturale” necessità. La ricerca di identità, la “resurrezione” della professione di cui parla Bottoni, non può infatti che essere trovata in valori etici e sociali estranei alla disciplina. Sganciata dalle ideologie, invece, la disciplina appare nuda: ma questo disvelamento, se smaschera le “artificiose” scelte di vent’anni prima - la creazione di una scuola per uno stile e di un tecnico funzionale a una politica del consenso implica anche un’analisi del presente, obbligando la categoria a ri mettersi pesantemente in gioco. Alla rigorosa autocritica è preferibile il potere taumaturgico del riscatto nel sociale. Il fronte di chi vuole le riforme non scalfisce l’intelaiatura del si stema università-professione. Nel secondo dopoguerra la geografia
dell’insegnamento architettonico nelle scuole e delle gerarchie nell’ordine professionale, subentrato alla organizzazione sindacale, è infatti solo formalmente ridisegnata. I rapporti strutturali fra univer sità, professione, forze politiche ed economiche vengono rinsaldati e i posti di potere restituiti, con rare eccezioni, nelle mani di chi già li deteneva. I segnali di rottura che provengono, ad esempio, dalla scuola di Venezia nel campo dell’insegnamento o dall’associazioni smo di tendenza sono minoritari e dall’intreccio tra vecchio e nuovo emerge una sostanziale continuità con il passato. Nel clima di grandi aspettative proprio di quel periodo, anche l’illusione di quanti, come Ludovico Quaroni, credono in una scuola rinnovata, che prepari a una professione dell’architettura intesa non come mero strumento di guadagno, ma in quello più morale di “mezzo per servire l’uma nità”, rimarrà frustrata15.
15. L. Quaroni, «Il convegno dei docenti delle facoltà di architettura», Metron, 19-20, 1947, p. 66.
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I. Una scuola per l’architettura della nazione
1. Il colpo di mano di Rosadi Lo strano decreto, con cui improvvisamente nel dicembre del 1914 si dà vita alla scuola di Roma, richiede una breve presentazio ne dei fatti che l’hanno immediatamente preceduto. Nell’estate del 1914, il deputato Cesare Nava aveva illustrato in parlamento un nuovo disegno di legge per l’istituzione delle scuole superiori di architettura. Nava è un ingegnere milanese, legato all’am biente del politecnico, che riscuote anche la fiducia dei professori di disegno. Diversamente dalle altre, la sua proposta pare destinata a buon fine. Finora, infatti, le iniziative in materia di insegnamento dell’architettura e di tutela del titolo di architetto hanno goduto di una consolidata tradizione di insuccessi1. Solo negli ultimi dieci anni han no fatto fiasco tre proposte di seguito: per il conferimento del titolo di architetto ai soli diplomati nelle scuole di ingegneria, per l’istituzione di scuole speciali di architettura negli istituti di belle arti, per la for mazione di un albo per ingegneri e architetti2. Queste proposte aveva no finalità molto distanti l’una dall’altra, se non contrapposte. Il con flitto di interessi che attraversa il processo di modernizzazione della professione e dell’insegnamento è in piena e fluttuante evoluzione. Anche un ultimo disegno di legge per l’istituzione dell’albo degli ingegneri e architetti, illustrato appena alcuni mesi prima, è destina to a rimanere lettera morta3. La creazione dell’albo viene infatti giu 1. Cfr. il discorso di Nava in Atti Parlamentari, cit., pp. 2-5. 2. Sono rispettivamente il progetto di legge di Luigi De Seta del 1904, la propo sta della giunta delle belle arti del 1907, il disegno di legge di Cesare Fani del 1910. 3. Il disegno di legge viene presentato dal ministro di Giustizia Camillo Finocchiaro Aprile il 3 febbraio 1914.
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dicata poco attenta alle istanze di cambiamento. Sia i fautori di una riforma dell’insegnamento dell’architettura, sia i professori di dise gno si dichiarano delusi dalla proposta. Istituire l’albo senza avere prima creato le scuole significa avvalorare l’insegnamento impartito nelle sedi di ingegneria. Di fatto, nel provvedimento viene colto un tentativo per allontanare l’istituzione delle nuove scuole di architet tura, pur contemplate dal ministro. I più coinvolti da queste iniziative sono i professori di disegno, una figura professionale ora scomparsa, che allora contava quasi un migliaio di praticanti. Le questioni poste sul tappeto hanno su di lo ro ripercussioni molto concrete. Un albo di soli tecnici laureati li de classerebbe, collocandoli ai margini del mercato, rendendo tangibile lo spettro della disoccupazione. All’opposto, una scuola di architet tura innestata sulle accademie d’arte, loro tradizionali roccaforti, ne legittimerebbe almeno in parte la specifica formazione e restituireb be, di riflesso, credito alla professione. I professori di disegno fanno sentire la loro protesta. A Milano, dove la categoria è organizzata meglio che altrove, sono guidati dal combattivo Giovanni Rocco, presidente dell’Associazione degli architetti lombardi, che fa capo alla Federazione architetti italiani4; a Roma sono riuniti in un comi tato di cui fa parte tra gli altri Foschini, futuro docente della scuola romana5. Mutata la compagine governativa - a Giovanni Giolitti è suben trato alla guida del governo Antonio Salandra - viene presentato il disegno di legge Nava, di cui si è accennato sopra. Esso prevede l’istituzione di ben otto nuove scuole di architettura, impone la sede presso le accademie di belle arti, sopprime le sezioni di architettura dei politecnici e abolisce il conferimento della licenza di professore di disegno6. Con l’iniziativa di Nava, frutto di un compromesso, si profila una situazione nuova. La sua proposta, infatti, non 'solo rice ve il sostegno dei professori di disegno - con in primo piano Giu 4. Telegramma di Giovanni Rocco a Giovanni Giolitti del 6 febbraio 1914, in ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 5. Anche Boito era contrario a definire la tutela della figura professionale, in assenza della scuola che dovrebbe fissarne le caratteri stiche. Cfr. il discorso di Nava, in Atti Parlamentari, cit., p. 1. 5. Lettera del ministero degli Interni al ministero della Pubblica istruzione del 7 marzo 1914, in ACS, PI, AABBAA, div. Ili, 1927-29, b. 77. 6. L’articolo 2 del disegno di legge prevede l’istituzione di scuole presso le ac cademie e istituti di belle arti di Roma, Torino, Milano, Venezia, Firenze, Napoli e Palermo. Metà delle spese per l’istituzione e il mantenimento sono a carico degli enti locali.
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seppe Sommaruga, presidente della Federazione architetti italiani ma raccoglie anche un’ampia convergenza in parlamento7. Sono ben 38 i deputati che firmano il disegno di legge e tra questi c’è Manfre do Manfredi, il futuro direttore della scuola di Roma. È, però, so prattutto il parere favorevole espresso da Romanin Jacur, presidente della Federazione dei collegi di ingegneri d’Italia, ad accrescere l'ottimismo per la riuscita dell’iniziativa8. Forte di questo avallo, l’iter parlamentare del progetto di legge pare non incontrare ostacoli, se non nella guerra alle porte. A Vene zia. il presidente del locale istituto di belle arti Giovanni Bordiga, di concerto con il ministero, ha già pronto il programma per l’istituzio ne di una “scuola speciale per l’insegnamento superiore complemen tare dell’architettura”9. Ma il 13 dicembre 1914, ecco sopraggiungere il colpo di scena. In gran fretta, viene emesso un decreto che istituisce subito tre sole scuole di architettura, a Roma, a Firenze e a Venezia. Curiosamente non compare Milano, la città che con maggior forza chiede la scuola. Il decreto è “strano”, tanto da non apparire mai sulla Gazzetta Uf ficiale. Ha ottenuto la firma del re, ma non può avere corso regolare, essendo privo di copertura economica. La fonte finanziaria citata nel testo è inesistente. Il promotore di questa anomala e spregiudicata procedura legislativa è Giovanni Rosadi, sottosegretario alla Pubbli ca istruzione e fondatore nel 1905 della Federazione architetti italia ni. Il sottosegretario è perfettamente consapevole dell’incongruità del decreto, ripetutamente segnalata da Corrado Ricci10. Giocando con astuzia sull’equivoco - il testo non è valido, ma ha comunque ottenuto l’approvazione del re -, Rosadi può dare parvenza di legit timità alla sua iniziativa. Il provvedimento, che ha l’evidente propo 7. Telegrammi di Duilio Torres, Sommaruga, e Giovanni Rocco rispettivamente del 3, 4, 6 giugno 1914, in ACS, PI, AABBAA, div. II, 1913-23, b. 6. 8. «Per la scuola di architettura», Architettura italiana, n. 12, 1 settembre 1914, p. 148. 9. ACS, PI, IS, div. II, 1932-45. b. 114. 10. Il testo del decreto è composto da due articoli: “Art. 1. È istituita nei Regi istituti di belle arti di Roma, di Firenze e di Venezia una Scuola Superiore di architettura; Art. 2. Con altro decreto sarà provveduto alla approvazione delle norme per l'organizzazione dei corsi e dei programmi, per gli incarichi degli insegnanti”. In esso si fa riferimento per la parte finanziaria a un precedente decreto legge, che però non è stato emanato e che avrebbe assegnato alle scuole una somma di 25.000 lire. Sull’irregolarità del decreto si vedano le due lettere di Ricci a Rosadi del 12 e 17 dicembre 1914, in ACS, PI, AABBAA, div. Ili, 1927-29, b. 77.
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sito di anticipare drasticamente i tempi e di spiazzare l’iniziativa parlamentare, vorrebbe apparire deciso “senza un’intesa” col mini stro Pasquale Grippo. Per quale ragione viene escogitato un decreto farsa che ha tutte le sembianze di un colpo di mano? Qui lo scontro non è più tra profes sori di disegno e ingegneri e in gioco non c’è unicamente l’istituzione di scuole specifiche per architetti. Si è piuttosto in presenza di una lot ta per l’egemonia sulle scuole. Questa scalata al potere ha per prota gonista un gruppo romano molto influente negli ambienti ministeriali, un gruppo non omogeneo, ma unito da un comune obiettivo: assegna re alla sede capitolina priorità di decisione in tema di architettura. Dietro i maneggi, tuttavia, emerge anche un disegno più alto, legato a un progetto di rinascita nazionale dell’architettura, questione che per corre trasversalmente tutta la nostra storia. In quest’ottica, una città, sede di facoltà, non vale l’altra e istituire una scuola a Roma prima che altrove comporta vantaggi decisivi. Il caloroso plauso all’iniziati va di Rosadi inviato da Giovannoni, all’epoca presidente dell’autore vole Associazione fra i cultori di architettura e personalmente coinvol to nella vicenda didattica, è per noi quanto mai sintomatico11. La decisione di Rosadi è comunicata direttamente ai tre istituti in teressati, ma il decreto fantasma vuole favorire Firenze e soprattutto Roma12. Esso è nato da preventivi accordi tenuti segreti tra gli am bienti governativi della Minerva e quelli romani vicini all’Istituto di belle arti. Infatti presso l’istituto di via Ripetta tutto è già disposto per l’inizio dei corsi e il 22 dicembre la scuola “integrale” di archi tettura di Roma viene inaugurata da Rosadi13. Due giorni dopo, il sottosegretario di Stato è a Firenze, dove presiede all’inaugurazione della scuola locale e partecipa ai lavori della commissione didattica14. Nessuna visita si svolge invece a Venezia. Bordiga, che incontra Luca Beltrami, presidente dell’Accademia di belle arti di Milano, e Gaetano Moretti, lamenta il disinteresse per la città lagunare e accu 11. Telegramma di Giovannoni a Grippo del 21 dicembre 1914, in ACS, PI, AABBAA, div. II, 1913-23, b. 6. 12. G. Lavini, L’agitazione, cit. p. 259. Sull’istituzione della scuola a Venezia si veda: Statuto e disposizione per l’avviamento della Scuola superiore di architettura nel R. Istituto di belle arti di Venezia, in AIV, se. 32, b. 4. 13. «Notizie», Architettura italiana, f. 4, 1 gennaio 1915, p. 48 e Corriere della sera, 26 dicembre 1914. 14. Lettera di Domenico Trentacoste a Grippo dell’11 maggio 1915, in ACS, PI, AABBAA, div. Ili, 1927-29, b. 77.
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sa il ministero di opporgli “ostacoli di ogni sorta”. Sulla base di questi appunti, l’inclusione di Venezia nel decreto pare avere il solo scopo di distogliere l’attenzione da una decisione troppo palesemen te filoromana. Gli avvenimenti della capitale sono seguiti con grande attenzione a Milano. Ai primi di gennaio una delegazione della Federazione archi tetti italiani, presieduta da Giovanni Rocco, incontra Rosadi a Firen ze. L’impressione ricevuta è deludente e l’organizzazione della scuola fiorentina appare imperfetta. Rocco rifiuta la proposta di Rosadi di creare altre nuove scuole per decreto, di cui una a Milano, e invece insiste per una rapida approvazione del progetto di legge Nava15. A Roma, però, si procede nella direzione opposta. Negli ambienti ministeriali si è deciso di affossare la proposta Nava e in febbraio è lo stesso Rosadi ad avvertire Beltrami di non farvi più affidamento16. Subito nella città lombarda si forma un comitato per l’istituzione delle scuole. Ulisse Stacchini esprime a Rosadi il forte sospetto di avere subito l’inganno del ministero. Inoltre, vi è scetticismo sulla validità dell’insegnamento impartito a Roma e a Firenze. Per i mila nesi, l’insegnamento dell’architettura non è una “nuova invenzione” e a Milano già esiste “un’intelligente cooperazione” con il politecni co. Puntare tutto sull’esperimento rosadiano richiede non un anno di attesa, come sostiene il ministro, ma sette o otto come afferma inve ce Beltrami. L’impressione è che nella capitale si voglia svalutare quanto di positivo è stato fatto finora a Milano17. Considerate le difficoltà incontrate nell’ambiente fiorentino nel fare decollare la scuola, l’unico vero risultato ottenuto dal decreto, al di là probabilmente delle stesse intenzioni del sottosegretario, è di avvantaggiare solo Roma. L’iniziativa, per le ragioni esposte, è de stinata già in partenza ad avere vita breve. Il suo esito pratico è stato però di aver ridisegnato la gerarchia tra i due principali centri che si contendono in Italia la guida dell’insegnamento dell’architettura, 15. Lettera di Giovanni Rocco a Beltrami del 6 marzo 1915, in AAB, Fondo Tea, G. III, 19. Cfr. anche «Per le scuole di architettura», Architettura italiana, f. 7, I aprile 1915, p. 84. 16. Telegramma di Rosadi a Beltrami del 22 febbraio 1915, in AAB, Fondo Tea, G. III, 19. 17. Lettera di Beltrami a Rosadi dell’11 marzo 1915; Telegramma di Grippo a Beltrami del 22 febbraio 1915, in AAB, Fondo Tea, G. III, 19. Il comitato è com posto da Beltrami, Gaetano Moretti, Giovanni Rocco, Sommaruga, Ambrogio An noni, Luigi Broggi e Stacchini.
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cioè Roma e Milano. Mentre infatti la proposta di Nava non indica va una priorità tra le otto nuove scuole, di fatto il decreto Rosadi stabilisce un ordine di precedenza, raggiunto con Tessersi attuato a Roma il primo esperimento di una scuola autonoma superiore di ar chitettura. Roma, dunque, acquista una centralità prima non posseduta nella geografia dell’insegnamento in Italia e si candida a essere la scuola pilota: un passaggio importante, di cui allora non si è avvertita la portata, ma che inciderà profondamente sulle sorti dell’architettura del Paese. Scivola invece in una posizione di secondo piano la se zione di architettura dell’Istituto tecnico di Milano, dove già l’inse gnamento artistico è integrato con quello scientifico. Un sovverti mento ancora più significativo se si considera che questa, a detta dello stesso Giovannoni, è l’unica scuola in Italia in grado di fornire una preparazione valida18. Come aveva paventato Luigi Broggi, Mi lano si è lasciata “cullare” da Roma19.
2. Professori e massoni: una scuola nell’istituto di belle arti del gran maestro Ferrari A Roma i corsi iniziano a gennaio del 1915 e vi si iscrivono ben 98 studenti20. Il consiglio della scuola è composto da insegnanti dell’Isti tuto di belle arti e della Scuola di applicazione per ingegneri21. Tra i primi troviamo Manfredi e Foschini, tra i secondi Giovannoni. L’ordinamento complessivo degli studi, identico per Roma e per Firenze, ha una durata di sei anni. I primi due anni sono propedeuti ci, con insegnamenti di cultura generale p di matematica, mentre il quadriennio costituisce il vero e proprio corso. In realtà, la nuova scuola è modellata sull’ordinamento dell’attuale istituto di belle arti e il piano di studi del biennio si propone di colmare le lacune più evidenti, dovute a quel tipo di formazione. A esperienza didattica 18. G. Giovannoni, Gli architetti e gli studi di architettura in Italia, cit., p. 29. 19. Commissione per le scuole di architettura. Seduta del 10 marzo 1915, in A AB, Fondo Tea, G. Ili, 19. 20. Lettera di Grippo a Manfredi del 3 febbraio 1915, in ACS, PI, AABBAA, div. II, 1913-23, b. 6. 21. Gli altri docenti dell’Istituto di belle arti sono Fausto Vagnetti, Giulio Ma gni, Giulio Bargellini. Fanno parte della scuola di ingegneria Vincenzo Fasolo e Giovanni Battista Milani.
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conclusa, il consiglio dei professori indicherà proprio nel biennio i limiti dell’impianto didattico. I più critici si sono dimostrati i due docenti di ingegneria, Vincenzo Fasolo e Giovannoni: quest’ultimo appare alquanto scettico all’idea di innestare la scuola sull’impianto degli istituti di belle arti22. In questa scuola, un ruolo di primo piano è svolto da Manfredi e soprattutto da Ettore Ferrari. Il profilo biografico di entrambi rivela i legami con il mondo della politica. Il primo, professore di architettu ra della scuola, componente del Consiglio superiore delle belle arti, figlio del presidente del Senato, è deputato al parlamento. Ferrari è il presidente dell’istituto di belle arti dove ha sede la scuola. È inol tre titolare della cattedra di scultura e vicepresidente del Consiglio superiore delle belle arti. Deputato dal 1882 per tre legislature, lega to agli ambienti progressisti, ben presente nella vita politica romana, amico del sindaco Ernesto Nathan, Ferrari ricopre dal 1904 al 1918 l'influentissima carica di gran maestro del Grande oriente d’Italia, cioè del più antico e potente corpo della massoneria italiana. La sua lunga maestranza è inizialmente caratterizzata da una decisa politicizzazione dell’istituzione massonica, dal suo schierarsi a favore delle forze socialiste e contro l’avanzata dei cattolici nella vita politi ca: i numerosi processi ed espulsioni contro la massoneria legata al mondo cattolico provocano la scissione del 1908 e la nascita della Gran loggia di Piazza del Gesù23. Più in generale, l’evoluzione storica della massoneria italiana, che abbandona l’originaria sfera filosofica speculativa a favore di quella profana - fenomeno che ha contraddi stinto soprattutto gli ultimi decenni dell’Ottocento -, prosegue inces sante anche negli anni del governo Ferrari. Utilizzando sempre più il suo passe-partout di associazione segreta, la massoneria penetra nel mondo della finanza, dell’amministrazione pubblica, dell’università e della professione, per imporre, ove è possibile, la sua egemonia. Dif 22. «La polemica per la scuola d’architettura», L’Idea Nazionale, 6 aprile 1914; Ordine del giorno del consiglio dei professori dellTstituto di belle arti del 29 marzo 1915; Relazione ad illustrazione e commento del voto 29 marzo 1915; Lettera di Manfredi alla Direzione generale delle AABBAA del 17 aprile 1914. ACS, PI. AABBAA, div. III, 1927-29, b. 77. 23. F. Cordova, Agli ordini del serpente verde, Bulzoni, Roma, 1990; Su Ferrari cfr. P. Roccasecca, Ettore Ferrari, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto enciclopedico italiano, Roma, 1996, voi. 46, pp. 551-554; A.M. Isastia, Ettore Fer rari Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, in Il proget to liberaldemocratico di Ettore Ferrari. Un percorso tra politica e arte, a cura di A.M. Isastia, Angeli, Milano, 1997, pp. 73-89.
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ficile cogliere nell’operato di molti adepti la coerenza in un’idea su periore, più frequente invece ritrovarvi una facile scorciatoia nell’oc cupazione di posti, nel soddisfacimento di interessi personali. Lo scopo del “colpo di mano” di Rosadi è di far nascere la prima scuola di architettura in seno a un’istituzione, l’Istituto di belle arti, già nelle mani del gran maestro di Palazzo Giustiniani. È Ferrari l’uomo di punta del gruppo che ha caldeggiato l’iniziativa di Rosadi. All’apertura della scuola c’è chi segnala “l’invadenza massonica” e la sua estesa trama per il “dominio dell’arte”. La tradizionale filia zione della massoneria dalle associazioni muratone trova ora un ri scontro storico nella nascita della nuova scuola di architettura. Il ruolo decisivo avuto da Ferrari emerge chiaramente dalla scelta del corpo insegnante, dove compaiono diversi massoni tra i docen ti24. Guido Chialvo, insegnante di materie giuridiche e segretario dell’Istituto di belle arti, è una figura di spicco della loggia di Palaz zo Giustiniani: il suo nome compare nell’elenco dei membri del Su premo consiglio dei 3325. Massone è pure Lucio Siila, insegnante di matematica e assistente di meccanica a ingegneria, così come forti sospetti gravano, lo vedremo più avanti, su Foschini. Pure Marcello Piacentini, il grande assente nel gruppo docenti della scuola rosadiana, è uno dei protetti di Ferrari. Lo scultore è un frequentatore dello studio dei Piacentini e Pio Piacentini, il padre di Marcello, è nel consiglio dell’Istituto di belle arti. Ferrari e Pio han no fatto coppia nel concorso per il monumento a Vittorio Emanuele II sul Campidoglio e vi lavorano dopo la morte di Giuseppe Sacco ni. L’assenza del giovane Piacentini dall’elenco dei professori è do vuta alla partecipazione all’esposizione di San Francisco, di cui pro getta la “Cittadella italiana”. Nel febbraio di quell’anno, infatti, il “fratello Marcello Piacentini” e l’ex gran maestro Nathan si recano assieme negli Stati Uniti, dove rappresentano l’Italia. In aprile ver ranno raggiunti da Ferrari e vi si intratterranno fino alla fine di giu gno26. Quando a causa di questa assenza da Roma qualcuno cerca di escludere Piacentini dall’organico della futura scuola, è Ferrari che 24. «L’invasione massonica nel campo dell’arte. A proposito della scuola supe riore di architettura», L’Idea Nazionale, 4 aprile 1915. 25. A. Mola, Storia della massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, Milano, 1992, p. 1004. 26. Ibidem, p. 395. L’incarico a Piacentini era stato assegnato da Ernesto Nathan. M. Lupano, Marcello Piacentini, Laterza, Roma-Bari, 1991, p. 182. Sul viaggio di Ferrari a San Francisco: ACS, PI, AABBAA, div. II, 1913-1923, b. 273. Alla decorazione dei padiglioni partecipa il pittore Giordano Bruno Ferrari, figlio del gran maestro.
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interviene a garantirne il posto27. La frequentazione massonica di Piacentini è risaputa e nel 1923 sarà la causa di un’aggressione squadrista a Genzano, nella periferia romana, capitanata da un assi stente della scuola di ingegneria di Roma28. Ancora più tardi, con la massoneria messa fuori legge dal fascismo, Piacentini continuerà a mantenere i contatti con ambienti massonici, come appare da una lettera del 1929 e da un’informativa del 1943. Se non dietro il “colpo di mano” di Rosadi, che pone l’insegna mento direttamente sotto la protezione di Ettore Ferrari, va esclusa la tesi di una strategia unitaria della massoneria nell’istituzione e nel governo delle scuole di architettura. Ma va invece riconosciuto che all’interno della scuola di Roma c’è un’autorevole presenza masso nica, che l’appartenenza al simbolo della “squadra e del compasso” è per alcuni docenti - si pensi alla coppia Piacentini e Foschini - un fondamentale elemento di coesione, che l’appartenenza massonica alimenta rapporti privilegiati e scambi di favore, che il vincolo tra “fratelli” pare più forte dei cambiamenti di regime. Il decreto Rosadi non viene ovviamente registrato dalla Corte dei conti e si paventa anche il ritiro del progetto di riforma delle scuole di architettura. Manifestazioni di protesta degli studenti delle belle arti si svolgono a Roma, a Firenze e a Torino. Nella capitale, l’agitazione ri ceve il sostegno, se non proprio la fomentazione, dei docenti. Al co mizio, con Ettore Ferrari ci sono Manfredi, Foschini, Fausto Vagnetti, Giulio Bargellini, mentre è assente Giovannoni: la sua alleanza con Ferrari è solo funzionale a trasferire in ambiente romano la soluzione delle scuole di architettura29. Nel contempo a Milano, il comitato per l’istituzione delle scuole, allargato ora a Nava e a Giuseppe Colombo, direttore della scuola di ingegneria della città, ha scelto di cambiare tattica. Per evitare una frattura con gli ambienti accademici di Roma e Firenze decide di non osteggiare più il decreto Rosadi30. 27. Piacentini tra il 1916 e il 1917 viene chiamato a tenere conferenze sull’este tica della città. Sulle proposta urbanistica di Piacentini per Roma del 1916 e sull’ambiente culturale romano: V. Fraticelli, Roma 1914-1929. La città e gli archi tetti tra la guerra e il fascismo, Officina, Roma, 1982, ,pp. 84-100. Sull’influenza di Ferrari su Marcello Piacentini: L. Vagnetti, Architetti romani tra Ottocento e Nove cento: i due Piacentini, in Vittorio Ziino: architetto e scritti in suo onore, a cura di G. Caronia, Palermo, 1982, p. 436. 28. M. Lupano, Piacentini, cit. p. 183. 29. «L’agitazione degli studenti di architettura. Il comizio all’Istituto di Belle Arti», Il Giornale d’Italia, 21 marzo 1915. 30. Commissione per le scuole di architettura. Seduta del 16 aprile 1915, in AAB, Fondo Tea, G. III, 19. Il 20 aprile il comitato invia un voto al governo.
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Nell’aprile del 1915 lo stato maggiore della Federazione degli ar chitetti italiani si riunisce a Roma. Al suo interno il gruppo romano è minoritario. La federazione, infatti, rilancia il progetto Nava, pre sentato a luglio del 1914 alla Camera, ne vota il sostegno “incondi zionato”, si adopera perché esso venga approvato. Al decreto Rosadi riconosce comunque il merito di avere sollevato “degnamente” la soluzione della questione delle scuole superiori di architettura, deter minando la sede in ambiente artistico. L’ordine del giorno porta la firma del presidente della federazione Sommaruga e di numerosi delegati regionali. Il mondo accademico delle belle arti è ampiamente rappresentato: Ernesto Basile, Arturo Prati, Giuseppe Mancini, Edoardo Collamarini sono infatti anche docenti di architettura degli istituti di Palermo, Modena, Parma e Bologna. Inoltre l’ordine del giorno riceve il sostegno di Manfredi e di Giovannoni, che li rappresenta l’Associazione fra cultori di archi tettura di Roma: pur non condividendo gli stessi fini della federazio ne, l’ingegnere romano ne avvalora strumentalmente l’operato31. Nel frattempo il ministro Grippo ha avocato la questione delle scuole di architettura e nominato una commissione con il compito di predisporre un disegno di legge. In meno di un mese, si è alla vigilia dell’entrata in guerra, la commissione composta tra gli altri dallo stesso Nava, da Manfredi e presieduta da Colombo, presenta alla Ca mera il proprio lavoro. Le modifiche, scrive Manfredi a Beltrami. “sono lievi, ma importanti”, intese soprattutto a “imprimere alla nuo va scuola il carattere di istituti superiori, pareggiati all’università”32. Rispetto alla proposta Nava, il disegno di legge Colombo tende a marcare l’autonomia delle nuove scuole dagli istituti ove trovano se de e a salvaguardare le due sezioni di architettura di Milano e Tori 31. Circolare della Federazione degli architetti italiani del 19 aprile 1915, in AAB, Fondo Tea, G. III, 19; Ordine del giorno della Federazione degli architetti italiani riunita a Milano il 25 aprile 1915, in ACS, PI, AABBAA, div. III, 1927-29, b. 77. Sono presenti a Roma: Giovanni Rocco per l’Associazione degli architetti lombardi, Basile per gli architetti siciliani, Arturo Prati per l’Associazione architetti di Modena, Mancini per l’Associazione architetti di Parma, Collamarini per gli ar chitetti di Bologna, Lavini per l’Associazione architetti del Piemonte, Foschini per l’Associazione architetti del Lazio, Giuseppe Torres e Augusto Sezanne per l’Asso ciazione architetti veneti, Carlo Botto, Giovanni Michelazzi, Arduino Seccherelli per l’Associazione architetti della Toscana, Guglielmo Donati per gli architetti dell'Umbria, Tognetti per gli architetti della Sardegna. 32. Lettera di Manfredi a Beltrami del 30 giugno 1915, in AAB, Fondo Tea, G. III, 19.
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no, che per organizzazione didattica “si avvicinano molto” alla nuo va scuola da istituire. Prevede l’istituzione immediata della scuola di architettura a Roma e contempla la graduale creazione di nuove scuole, dapprima a Firenze e Venezia, poi a Milano, Torino, Napoli e Palermo. Esclude la sede di Bologna, prevista da Nava, perché troppo vicina alle altre scuole in progetto. Infine ritiene “indispensa bile” determinare con precisione le materie di studio fondamentali e "necessario” assegnare almeno due docenti ordinari, di “dignità” universitaria, nelle discipline fondamentali33. Questi ultimi due punti fanno della futura scuola di architettura una vera istituzione universitaria e assumono un’importanza che non va sottovalutata. Essi determinano l’amministrazione centrale cui spetta la vigilanza: la scuola in quanto istituto universitario è in que sto caso sottratta alla direzione delle belle arti e assegnata invece a quella dell’istruzione superiore. Nel consiglio superiore della prima amministrazione siede Ferrari, nel consiglio della seconda Colombo. Nel primo ha più forza il gruppo che fa capo agli istituti di belle ar ti. nel secondo quello che fa capo agli studi di ingegneria. Vedremo anche in seguito, soprattutto durante il fascismo, quando l’autono mia delle scuole periferiche verrà ridotta e il ruolo dello Stato di verrà molto più partecipe, come il controllo sulle scuole di architet tura si giocherà intervenendo su queste alchimie ministeriali.
3. Una corte di cassazione per l’architettura La Scuola superiore di architettura di Roma, con sede presso l’Istituto di belle arti in via Ripetta, viene istituita il 31 ottobre 191934. Il decreto è firmato da Alfredo Baccelli, ministro della Pub blica istruzione nel primo gabinetto Nitti, e il decisionismo del mini stro è apprezzato da Giovannoni, che lo giudicherà una sorta di “fa scismo in anticipo”35. 33. Cfr. Bollettino ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione, vol. I, n. 25, 24 giugno 1915, pp. 2015-2018. Le sezioni di architettura di Torino e di Milano sa rebbero state mantenute fino alla fondazione di scuole autonome nelle due città. 34. R.d. 31 ottobre 1919. n. 2593. 35. «Discorso commemorativo del Prof. Gustavo Giovannoni», Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Roma. Anno accademico 1927-1928, p. 29. Baccelli è ministro dal 23 giugno 1919 al 13 marzo 1920. Su Baccelli: G.P. Nitti, Baccelli Alfredo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto enciclopedico ita liano, Roma, 1963, voi. 5, pp. 10-12.
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A guerra conclusa erano subito riprese le iniziative per l’istituzio ne delle scuole di architettura. Fin dai primi mesi del 1919, l’Asso ciazione architetti lombardi ne aveva sollecitato l’immediata crea zione36; più tardi, un’uguale proposta veniva sostenuta da un comi tato romano, composto da alcuni docenti della futura scuola tra cui Enrico Del Debbio, Vincenzo Fasolo, Foschini, Giulio Magni e Pia centini37. Infine in giugno, l’Associazione fra i cultori di architettura di Roma fa pervenire a Baccelli, a pochi giorni dalla sua nomina a ministro, un voto in cui chiede l’apertura della scuola38. Proprio in riferimento a quest’ultima istanza, Baccelli appronta lo schema di legge che, pur con il parere contrario del ministero del Tesoro, di venta decreto il 31 ottobre39. Il decreto presentato da Baccelli non ha come modello il progetto di legge Nava, come si attendono i professori di disegno, bensì quel lo di Colombo del maggio del 1915, anche se ne circoscrive di molte l’impianto generale. Inoltre Baccelli vita di disporre un organico pro getto di riforma sull’insegnamento dell’architettura e si limita a dare norme per l’istituzione della sola scuola romana. Abilita la scuola di Roma a conferire il diploma di “architetto civile”, ne fissa gli inse gnamenti scientifici, tecnici e artistici, e stabilisce la presenza nell’or ganico dei professori di un docente ordinario e di due straordinari Conferma le 13 materie obbligatorie prescritte dal progetto di legge Colombo, con l’introduzione di due significative novità: stili architet tonici è accorpato con restauro ed è aggiunto l’insegnamento di edili zia cittadina. Mentre quasi identico è il gruppo delle discipline tecni co-scientifiche, queste due materie, più storia dell’arte al primo anno. 36. Lettera di Rocco al ministro Agostino Berenini dell’11 febbraio 1919. Anche Gaetano Moretti, a nome degli “architetti residenti a Milano”, chiede “immediati attuazione scuola unica di architettura”. Telegramma di Moretti al ministro del 26 marzo 1919, in ACS, PI, AABBAA, div. III, 1927-29, b. 77. Cfr. Arte e artisti, n. 343, 1 aprile 1919, p. 2. 37. «Per le Scuole superiori autonome di architettura», L’architettura italiana, a. 9, 1 settembre 1919, p. 1. Il comitato comprende anche Antonio Muñoz, Camillo Pistrucci e Ghino Venturi per l’Associazione artistica fra i cultori di architettura Cesare Bazzani, Vincenzo Moraldi, Giuseppe Tonini e Rodolfo Villani per l’Asso ciazione artistica internazionale, Amerigo Caravacci, Corrado Cofferoni, Ezio Gar roni per l’Associazione romana architetti. A quest’ultima associazione, che aderisce alla Federazione architetti italiani, appartengono anche Piacentini e Foschini. 38. Voto dell’Associazione artistica fra i cultori di architettura di Roma, in ACS. PI, AABBAA, div. Ili, 1927-29, b. 77. Il telegramma è firmato da Edgardo Negri. presidente dell’associazione. 39. Lettera di Baccelli alla Direzione generale delle AABBAA del 29 giugno 1919. Lettera del ministro del Tesoro a Baccelli del 6 agosto 1919. Ibidem.
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costituiscono la principale innovazione rispetto al piano di studi della sezione di architettura della scuola di ingegneria di Milano. Con l’istituzione della nuova scuola viene soppresso il corso su periore di architettura dell’Istituto di belle arti di Roma e bloccata l'iscrizione alla sezione di architettura civile della Scuola di applica zione per ingegneri della capitale. Ma nessuna parola è spesa per quanto riguarda il futuro delle sezioni di architettura nelle scuole d'ingegneria delle altre città, né sul conferimento della licenza di professore di disegno. Come nel dicembre del 1914 si è legiferato per decreto, con un provvedimento slegato dal quadro didattico ge nerale, favorendo un preciso ambiente. Ma se il decreto Rosadi aveva come referente l’ambiente dell’isti tuto di belle arti di Ettore Ferrari, il decreto Baccelli favorisce la scuola che, teorizzata da Giovannoni, rivendica invece autonomia dall'istituto diretto dal gran maestro. Alla nuova scuola è stata data una fisionomia giuridica che la sottrae all’amministrazione delle bel le arti e la partecipazione di Ferrari alle decisioni sarà limitata alla sola presenza nel consiglio direttivo. Il gruppo romano che aveva appoggiato l’iniziativa di Rosadi non è più unito e Giovannoni vuole ora strappare la scuola all’influenza di Ferrari. Non sorprende, perciò, l’ostilità con cui è accolta dall’istituto di belle arti della capitale e dai professori di disegno la tanto sospirata nuova scuola superiore di architettura. Ettore Ferrari consta “con rin crescimento” che la costituzione della scuola non è “tale da tutelare supremi interessi dell’arte”. Pure la Federazione degli architetti italiani sostiene Ferrari nel chiedere una modifica del decreto e deplora un or dinamento in cui le materie artistiche non hanno un peso prevalente40. Di altro tipo sono invece le critiche che provengono da alcuni am bienti milanesi, delusi dalla decisione di creare un’unica scuola con sede a Roma, dove ci sono “eccessivi ricordi di arte trapassata”. Nel decreto di Baccelli è intravisto il tentativo di fondare un’istituzione che predomini su tutte le altre, che detti legge nel campo dell’archi tettura. Una scuola - è detto con buona lungimiranza - che sarà “una specie di cassazione architettonica nel campo del classicismo”41. Dello stesso tenore è la preoccupazione espressa da Giorgio Wenter Marini. Conoscitore delle scuole di architettura di lingua tedesca 40. Verbale della seduta straordinaria dell'istituto di belle arti di Roma del 29 novembre 1919; Ordine del giorno della Federazione architetti italiani riuniti a Ro ma del 10 febbraio 1920, in ACS, PI, AABBAA, div. III, 1927-29, b. 77. 41. F. Vismara, «La scuola di architettura», Arte e artisti, n. 350, 1 novembre 1919, p. 1.
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- ha frequentato il Politecnico di Vienna e si è laureato alla Scuola tecnica superiore di Monaco -, critico con l’insegnamento stilistico impartito da Boito a Milano, estimatore di Camillo Sitte, Wenter Ma rini individua nell’edilizia urbana, e non negli stili, la vera fonte della creazione architettonica. La sua idea di scuola di architettura è una sintesi degli insegnamenti impartiti a Vienna e a Monaco ed è agli antipodi del modello romano. A Monaco “s’impediva la copia dei classici teorici, del famoso Vignola”, l’esatto opposto - osserva Wen ter Marini - di quanto invece avviene ora nella scuola di ingegneria di Roma, dove insegnano Giovanni Battista Milani e Giovannoni. La proposta dell’architetto trentino è di “impedire di progettare for me alla guisa di epoche passate”: la scuola non fa l’artista e i giovani “devono fare ben altro di quello che hanno insegnato i professori e for se direttamente il contrario”. Alquanto scettico è perciò il suo giudizio sull’iniziativa che sta per decollare nella capitale: “Se la scuola sorgerà a Roma certamente dagli elementi locali non potrà cavarne buoni mae stri per la scuola nuova e allora non varrebbe la pena crearla”42. Giudizio, questo, estremamente interessante perché proviene da chi conosce bene quell’ambiente. Wenter Marini, infatti, ha collabo rato con Piacentini alla progettazione del cinema Corso in San Lo renzo in Lucina a Roma, la cui facciata viene demolita e fatta rifare dall’amministrazione comunale perché troppo ispirata da tendenze d’oltralpe43. Escluso Piacentini, quel giudizio negativo è dunque ri volto ai docenti che sono stati protagonisti della scuola di Rosadi, ai vari Manfredi, Magni, Milani, Giovannoni.
4. Tra i docenti della scuola di Roma Significativamente è Giovannoni, e non Manfredi, a pronunciare il discorso ufficiale che inaugura la scuola il 18 dicembre 192044. Su 42. G. Wenter Marini, «La nuova scuola di architettura», Arte e artisti, n. 353, 1 febbraio 1920, pp. 1-2; Id„ «Per la nuova scuola di architettura. 2. Preparazione pra tica», Arte e artisti, n. 365, 1 febbraio 1921, pp. 1-2. Sull’educazione di Wenter Ma rini e sulla sua successiva permanenza a Roma cfr. M. Scudiero, Giorgio Wenter Marini, L’Editore, Trento, 1991, pp. 10-11; A. Turella, Tradizione e moderno. Archi tetture in Trentino. 1908-1929, tesi di laurea, Iuav, Venezia, 1995, pp. 51-52 e 54-58. 43. A.S. De Rose, Marcello Piacentini. Opere 1903-1926, Panini, Modena 1995. pp. 58-67. 44. G. Giovannoni, L’architettura italiana nella storia e nella vita, in Questioni di architettura nella storia e nella vita. Società editrice d’arte illustrata, Roma, 1925, p. 53.
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quella prolusione, che è un programma per la rinascita di uno stile italiano, ritorneremo in seguito. Ai corsi, che iniziano nel gennaio 1921, si sono iscritti 55 studenti, un numero che già compete con quello della sezione di architettura della scuola di ingegneria di Mi lano45. Allo stesso corpo docente, protagonista dell’esperimento dell’anno accademico 1914-1915, è affidata la didattica. Manfredi e Foschini, che ha Del Debbio come assistente, sono gli insegnanti di architettura. Il metodo di studio è in gran parte incentra to sul disegno. “Disegnate, disegnate, educate la mano, finché in voi il gusto e la cultura non maturino” predica Foschini. Al primo anno il corso prevede studi sugli ordini classici e il loro impiego in piccole composizioni, al secondo anno un’esercitazione, “senza preconcetti stilistici”. Al terzo anno Manfredi insegna ad applicare gli stili classi ci agli edifici, secondo una diffusa tradizione accademica, seguita an che da Gaetano Moretti nella sezione di architettura di Milano. A Giovannoni, invece, è affidato l’insegnamento del restauro dei monumenti, in cui si sta affermando come il più autorevole esperto in campo nazionale46. Il suo corso comprende esercitazioni di resti tuzioni ideali di monumenti47. Il restauro dei monumenti, ben oltre la pretesa scientificità, nel suo oscillare tra conoscenza della storia e progetto, viene ad assumere un’importanza centrale nella formazio ne di uno stile nazionale, che si vuole in continuità con il passato. La sua idea di istituire in seno alla scuola un corso postlaurea obbli gatorio per soprintendenti ai monumenti renderebbe ancora più este sa e capillare questa funzione strumentale del restauro, oltre che ac crescere il suo prestigio di docente48. 45. A Milano nell’anno accademico 1919-20 gli iscritti sono 47; a Roma, nel 1921-22 gli iscritti saranno 76, di cui 8 al primo anno, 11 al secondo, 28 al terzo, 17 al quarto e 12 al quinto. Dei 76 iscritti 5 provengono dai licei, 16 dagli istituti tecnici, 15 dagli istituti di belle arti, 21 da altri corsi universitari. Inaugurazione dell’anno accademico 1922-23. «Relazione del Direttore della Scuola Prof. Manfre do Manfredi», Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Roma. Anno accademico 1922-23, p. 5. 46. Nell’anno accademico 1920-21, Giovannoni insegna storia e stili dell’archi tettura e Sebastiano Locati rilievo e restauro dei monumenti. L’anno successivo Giovannoni insegnerà rilievo e restauro dei monumenti e Vincenzo Fasolo storia e stili dell’architettura. 47. Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Roma. Anno accade mico 1922-23, p. 267. 48. Lettera di Giovannoni ad Arduino Colasanti del 18 gennaio 1920, in AGG, se. curriculum vitae.
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A insegnare edilizia cittadina e arte dei giardini è chiamato Pia centini, certamente l’unico capace di contrapporsi alla figura egemo ne di Giovannoni. Dapprima collaboratore del padre Pio, tra i più noti e affermati architetti della capitale, il quasi quarantenne Piacen tini ha all’epoca già collezionato una brillante carriera professionale: il nuovo centro di Bergamo in via di realizzazione, il progetto per il nuovo centro di Bologna, il cinema Corso e la sede della Banca d’Italia a Roma, una decina tra villini e palazzine, sono alcune delle sue opere, non tutte dello stesso valore, che lo hanno segnalato all’attenzione del pubblico e della critica. L’episodio dell'incarico per il Palazzo di Giustizia a Messina, ottenuto come ricompensa per la mancata vittoria al concorso per la Biblioteca nazionale di Firen ze, ci restituisce l’immagine di un Piacentini già ben inserito negli ambienti governativi e politici romani49. Gli incarichi per il Padi glione italiano all’esposizione di Bruxelles del 1910, per l’esposizio ne di Roma del 1911, per la Cittadella italiana all’esposizione di San Francisco del 1913 confermano la solidità di questi legami e ne fan no inoltre una sorta di rappresentante ufficiale dell’architettura na zionale. Piacentini è anche l’unico esterno al mondo accademico. Ha par tecipato al concorso per la cattedra di architettura all’Istituto di belle arti a Napoli, ma la commissione composta tra gli altri dal suo “ne mico” Ernesto Basile, gli ha preferito altri candidati50. Tra il 1916 e 1917, è stato chiamato da Ferrari a tenere un ciclo di conferenze sull’“estetica della città” nell’Istituto di belle arti di Roma51. Ma so prattutto, l’anno prima, di ritorno da San Francisco, ha esposto in un saggio la propria visione di Roma futura, che segnava una svolta nel dibattito sulla città e offriva un’alternativa alla teoria di Giovannoni sul diradamento52. Nell’autunno del 1920, gli insegnanti della nuova scuola si riuni scono a discutere alcune “questioni didattiche” concernenti l’inse gnamento dell’architettura. Un ampio resoconto di queste discussio 49. M. Lupano, Marcello Piacentini, cit., in particolare p. 7. 50. Il concorso è vinto da Francesco Fichera. Cfr. «Concorso per la cattedra di Architettura nel R. Istituto di Belle arti di Napoli», Architettura italiana, f. 7, 1 aprile 1914, p. 88 e f. 4, 1 gennaio 1915, p. 48. 51. M. Lupano, Marcello Piacentini, cit., p. 182. 52. M. Piacentini, Sulla conservazione della bellezza di Roma e sullo sviluppo del la città moderna, Atemum, Roma, 1916. Il saggio è il frutto di una conferenza all’As sociazione artistica fra i cultori di architettura, tenuta al ritorno dagli Stati Uniti.
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ni, tenute in una modesta stanza a pianterreno dell’edificio di via Ripetta, è riportato da Giovannoni sulla base dei verbali allora stilati. Il suo proposito è di dare consistenza teorica alle opinioni dei colle ghi, di elevarne l’aura professorale. Ma è difficile mascherare il bas so profilo del dibattito. Dietro alcuni pseudonimi si nascondono, ma non troppo, i nomi dei docenti, tutti con salde radici nel mondo della professione locale: Battisti è Giovanni Battista Milani, Arnaldi è Foschini, Giulii è Giulio Magni, Gino Navoni è Giovannoni, Vincenzi è Vincenzo Fasolo, Marcelli è Piacentini, Fausti è Fausto Vagnetti, il “presidente” è Manfredi53. Benché Manfredi giudichi i suoi insegnanti “tutti tradizionalisti”, il quadro tracciato da Giovannoni mostra invece chiare differenze54. Milani, il professore di architettura della scuola di ingegneria che di fende la libertà di espressione degli studenti, è in disaccordo con Foschini, accusato di volere “legare le mani dei giovani”, di proporre la propria architettura a modello. Quest’ultimo, a cui è affidato l’in segnamento di composizione nei primi anni, intravede nella troppa libertà concessa agli studenti il rischio di perdere “ogni senso di ita lianità”. D’accordo con Foschini è Magni - il docente di elementi costruttivi - che al collega affiderebbe anche il compito di definire la tendenza della scuola. Anche Giovannoni condivide le tesi di Foschini e propone, per i primi anni, esercitazioni che abbiano come modello le forme archi tettoniche italiane classiche. Solo nell’ultimo anno allo studente ver rebbe concessa una maggiore libertà, tuttavia “moderata” dal “consi glio prudente del maestro”. Ben più tradizionalisti di Giovannoni appaiono Fausto Vagnetti e Vincenzo Fasolo, gli insegnanti di disegno di ornato e di storia. Il primo oppone, alle tesi sostenute da Foschini, Piacentini e Giovannoni di privilegiare temi concreti e modesti, la tradizione accademi ca della grande coinposizione monumentale. Il secondo, “conservatore feroce”, consigliaci preparare i giovani allo “stile” dell’architettura moderna, attraverso lo studio degli stili del passato. Ai conservatori ad oltranza, ma anche in risposta a Giovannoni che individua la necessità di una continuità con gli “stili vivi” del 53. G. Giovannoni, Questioni didattiche, cit., pp. 37-75. 54. Un’analisi delle varie posizioni assunte dai docenti nelle discussioni didattiche appare in: A. Muntoni, 1926-1928: dalla Scuola di architettura di Roma alla prima esposizione di architettura razionale, in Adalberto Libera. Opera completa, Electa, Milano, 1989, pp. 36-39. 39
passato, si oppone Piacentini, che qui impersona l’insegnante più aperto alle istanze di modernità e il più attento alle novità provenienti dall’estero55. Per Piacentini, lo studio degli stili non è l’unico njetodo per affrontare i problemi dell’architettura contemporanea e la cono scenza delle architetture costruite all’estero non costituisce un ostaco lo al raggiungimento di “un’espressione architettonica italiana”56. Nella veste di paladino del moderno, più tardi, criticherà anche Mila ni. Sebbene questi dalla descrizione di Giovannoni si collochi tra i colleghi meno conservatori, Piacentini gli contesta una chiusura pre giudiziale nei confronti della nuova architettura, screditata a semplice ricerca di forme “strambe”57. Decisamente in secondo piano appare invece la figura di Manfredi. Il “presidente” sembra affidarsi comple tamente alle decisioni dei suoi giovani collaboratori. Alla luce del ri tratto fatto da Giovannoni, il suo contributo, pur rilevante nella fon dazione della scuola, pare essere stato più politico che didattico. Tutti questi docenti provengono dall’ambiente cittadino romano, caratterizzato da un accentuato professionismo. Tutti, esclusi Piacen tini e Giovannoni, sono di profilo mediocre e locale. Da questo cir coscritto ambiente professionale nasce un istituto di livello universi tario. Su queste incerte fondamenta la scuola di Roma si avvia a proporsi come centro di cultura architettonica dell’Italia postbellica e ad assumere un ruolo di guida nell’insegnamento dell'architettura dell’intera nazione58.
5. Il programma della scuola: educare a uno stile italiano Il resoconto delle discussioni offre dunque l’immagine di un gruppo di docenti ancora diviso nel definire l’indirizzo didattico del55. Piacentini pubblica sul primo numero di Architettura e Arti Decorative, un articolo su «Il momento architettonico all’estero». 56. G. Giovannoni, L’architettura italiana nella storia e nella vita, cit., p. 43. 57. M. Piacentini, «Arte moderna», Architettura e Arti Decorative, f. 2, luglioagosto 1921, pp. 214-215. 58. Manfredi è nativo di Piacenza, ma compie gli studi artistici a Roma. Dal 1897 al 1908 è professore di architettura all'istituto di belle arti di Venezia e suc cessivamente all’Istituto di belle arti di Roma. Cfr. Manfredo Manfredi e il classici smo della Nuova Italia, a cura di F. Borsi e M.C. Buscioni, Electa, Milano, 1983, pp. 233-247. Su Magni, che ha una decennale esperienza professionale in Romania, cfr. G. Miano, Figure e voci per la città capitale, in Roma Capitale 1870-1911. Ar chitettura e urbanistica, Marsilio, Venezia, 1984, pp. 45-46.
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la scuola. Ma alla fine, Manfredi decide di assegnare come tema di laura “una modesta casetta” in piazza Nicosia, invece di un grande monumento ossario. Il punto di vista condiviso da Giovannoni, Foschini e Piacentini, indica precisamente anche il futuro orientamento della scuola. Il “teorico” tra quel gruppo di docenti è Giovannoni. Quando Ro sadi, nel dicembre del 1914, inaugura la scuola, affibbiandole l’etichetta di “integrale”, si rifà con puntualità a una preciso modello sostenuto da Giovannoni, dove l’insegnamento artistico è integrato con una solida preparazione tecnico-scientifica. Questa integrazione si coglie immediatamente sia nel programma didattico del 1914, sia in quello successivo del 1919. In entrambi i programmi, matematica, meccanica razionale, chimica, fisica, idraulica, scienza delle costru zioni sono le materie introdotte nel corpo degli studi artistici a costituire l’ossatura scientifica. La separazione tra i saperi, tecnico e artistico, viene così ricom posta in un percorso formativo che darà vita a una nuova figura in tellettuale e professionale: l’“architetto integrale”. Le figure dell’ar chitetto civile e del professore di disegno sono superate59. Ma so prattutto la figura dell’“architetto integrale” è modellata sul grande equivoco di Giovannoni: di un arte che può essere insegnata e di un insegnamento tecnico che non incide sull’espressione artistica. Su questa incomprensione culturale vena costruita l’intera incastellatu ra didattica delle scuole di architettura in Italia. Un’incomprensione che pone la scuola di Giovannoni esattamente agli antipodi della Bauhaus di Gropius, la più innovativa tra le scuole d’arte. La necessità di riunire l’insegnamento artistico e scientifico è sta ta sostenuta da Giovannoni già nel 1907 e si ricollega alle tesi di Camillo Boito di una ventina di anni prima. Anche altri concetti di Boito, ad esempio l’aver colto nell’architettura del passato un “do cumento di identità nazionale” su cui fondare una moderna teoria dell’architettura, sono ripresi da Giovannoni. Per entrambi, inoltre, le scuole di architettura hanno un ruolo fondamentale nel raggiungi mento di uno stile dell’architettura italiana60. Ma a differenza di Giovannoni che guarda a un passato classico e rinascimentale, Boito si rivolge a quello medievale. Se per il secon59. Va osservato che nel r.d. del 31 ottobre 1919, n. 2593, il titolo conferito dal la scuola di Roma è ancora di “architetto civile”. 60. Su Boito: G. Zucconi, L'invenzione del passato. Marsilio, Venezia, 1997, p. 20; L. De Stefani, Le scuole di architettura in Italia, cit., p. 26.
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do è Venezia la città ideale dove istituire una scuola di architettura “in nessun luogo l’architettura del passato è più ... moderna di quel lo che sia Venezia”61 -, per il primo lo è indiscutibilmente Roma, con le sue architetture antiche e rinascimentali. Anche queste diver genze ideologiche e stilistiche pesano nella scelta di Roma quale prima sede della scuola superiore di architettura. È nel 1916, che Giovannoni sostiene apertamente il ruolo delle scuole di architettura nel realizzare uno stile architettonico naziona le. L’unità di tendenze che darà vita a uno stile italiano - egli scrive - emergerà solo dallo studio “profondo e severo” che dalle scuole, attraverso i giovani, verrà diffuso nella nazione62. Unità di tendenze che non è una censura degli individualismi, ma che presuppone il loro superamento negli interessi superiori della nazione. Il modello di Giovannoni di nazionalizzazione dell’architettura deriva dalle francesi Ecoles Nationales des Beaux Arts, con la scuo la centrale di Parigi e le nove scuole regionali periferiche63. E un progetto che per essere attuato richiederà l’esistenza di un forte po tere centrale dello Stato. Se la “ricostituzione” di un’architettura moderna nazionale attraverso l’istituzione scolastica ha origini otto centesche, se la prima scuola nasce in periodo liberale, è durante il fascismo, in presenza cioè di un regime autoritario e nazionalista, che tale progetto verrà fatto proprio e verrà almeno in parte realizza to, accentuandone i connotati ideologici. Quasi scontata appare dunque la decisione di affidare la prolusio ne del primo anno accademico a Giovannoni, all’uomo di punta del la formazione romana, al docente di restauro. L’intervento di Gio vannoni è tutto teso a collocare la scuola al centro di un ampio dise 61. Boito giudica oppressiva l’imponente architettura di Roma antica. C. Boito, Le nuove scuole per gli architetti, in Id., Questioni pratiche dì Belle Arti, cit., pp. 372-373. 62. G. Giovannoni, Gli architetti e gli studi di architettura in Italia, cit., p. 28. Tullio Passarelli, presidente dell’Associazione artistica fra i cultori di architettura in Roma, nel presentare questa pubblicazione al ministro Grippo, scrive: “In questo ultimo studio del prof. Giovannoni ... troverà con grande chiarezza prospettati tutti i lati della questione stessa e dalla trattazione dell’argomento le risulterà evidente quanto è nel voto di tutti”. Lettera di Passarelli a Grippo del 4 aprile 1916, in ACS, PI, AABBAA, div. III, 1927-29, b. 77. 63. Il modello francese compare più volte: G. Giovannoni, «Per le scuole di ar chitettura», Edilizia moderna, n. 12, febbraio 1907, pp. 14-16; Id., Gli architetti e gli studi di architettura in Italia, cit., p. 20; Id., «Per le scuole superiori d’architet tura», Architettura e Arti Decorative, f. 3, novembre 1924, p. 138.
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gno di rinascita nazionale dell’architettura e riveste una chiara va lenza politica. L’excursus sull’architettura del passato è una sintesi del suo progetto storico ed è chiaramente strumentale a dimostrare la supremazia dell’architettura italiana, identificata quasi sempre con quella romana, attraverso i secoli. La storia dell’architettura riper corre allora la “missione di dominio” che da Roma antica giunge fi no al passato più recente, per poi interrompersi. Il nazionalismo, che pervade la vita politica, investe l’architettura e alla rinascita nazio nale deve fare seguito quella dell’arte muraria. La confusione esi stente nel campo dell’insegnamento e la mancanza di regole nell’esercizio della professione sono indicate tra le cause di questa continuità spezzata. La nuova scuola di architettura - “ultimo anello di una catena magnifica” - diviene allora necessaria per “ricostruire” la figura dell’architetto e ricomporre la frattura con la tradizione. L’architettura è espressione della potenza di una nazione. Questo concetto, già presente in Boito, è aggiornato e tradotto in chiave prettamente ro mana da Giovannoni. La nuova scuola educa a un’architettura “so prattutto italiana”, che si distingue per quell’“unità di criteri che costituiscono non gli stili, ma lo stile”. Un’architettura italiana che non si raggiunge “imponendo la cappa di piombo dello stile ufficiale”, ma traendo insegnamento dal “glorioso” passato, cioè innestandosi su quel filone stilistico ancora “vitale”, in cui confluiscono antichità romana e classicismo rinascimentale64. Da qui l’importanza attribuila nella scuola romana allo studio della storia dell’architettura, al ri lievo dei monumenti e a loro restauro. Una storia da manipolare, da leggere in funzione nazionalista, materiale da porre al servizio dei nuovi architetti. Riflette questa visione, se non la rende ancora più distinta, la po sizione assunta da Giovannoni sull’architettura in Alto Adige e la sua richiesta al governo di Mussolini di fissare i criteri per una nuo va architettura italiana, in una terra non italiana. Qui, egli condanna le forme alla tedesca, ma anche gli stili d’importazione lombarda, e invita a ispirarsi a “quanto di più italiano e di più tipico” esiste nella tradizione altoatesina. Così come individua la testimonianza di un passato latino nel dialetto trentino parlato in queste zone, così vede 64. G. Giovannoni, Questioni di architettura nella storia e nella vita, cit., p 25. Sull’impronta nazionalista degli studi storici di Giovannoni cfr.: C. Thoenes, «“La grande era bramantesca non è chiusa”. L’architettura italiana del Rinascimento nella visione del fascismo», Storia contemporanea, n. 3, giugno 1995, pp. 441-449. 43
in alcune architetture spontanee il segno di una derivazione diretta dal Rinascimento italiano: da queste va preso lo spunto per la mo derna architettura in Alto Adige65. Nelle lezioni agli studenti, siamo dieci anni più tardi, Giovannoni riprenderà il parallelismo tra architettura e lingua e indicherà nello studio dell’architettura classica, paragonata alla lingua latina, la base didattica della loro formazione architettonica. Nei tipi edilizi elaborati dal Rinascimento - la casa, il palazzo pubblico, la chiesa, il teatro egli ritrova risposte a concetti ed esigenze simili agli attuali. Nei trat tati - da Vitruvio a Palladio, ma soprattutto in Vignola - riconosce la “grammatica architettonica, che rende facile l’avviamento didattico e orienta verso un tipo d’arte equilibrata”, essenzialmente italiana66. In definitiva, il suo sogno, come dirà a Londra nel 1924, è che per meri to della scuola il grande periodo di Brunelleschi, Bramante e Bernini appaia ai posteri “to be one organic whole with thè present period”67. Sul peso da assegnare alla storia all’interno del quadro didattico complessivo emergono le maggiori divergenze con Piacentini, presen ti già nelle discussioni didattiche. La sua prolusione all’anno accade mico nel novembre del 1921, il secondo della scuola, registra una ben maggiore apertura nei confronti del moderno68. Il concetto stesso di “ambientismo”, introdotto dal docente di edilizia cittadina, contempla un rapporto con la storia non inteso nelle forme del passato, ma attra verso relazioni con il contesto urbano, date dalle masse, dai colori. Per Piacentini, l’edilizia cittadina incorpora un concetto nuovo e an tico allo stesso tempo. L’“unità di composizione” tra la strada e la casa risponde a una condizione moderna. Un’unità in cui il collettivo sopra vanza sull’individuo artista, secondo una caratteristica delle maggiori epoche artistiche dell’antichità, dove predominava un’omogeneità di vedute e di indirizzo. Per raggiungere 1’“unità di composizione” e sal65. G. Giovannoni, «L’architettura nuova nell’Alto Adige», Architettura e Arti Decorative, f. 3, novembre 1922, pp. 141-144. 66. Id., Corso di architettura. Parte prima. Elementi di costruzioni civili, a cura di R. Marino e B. Malpeli, Cremonese, Roma, 1932, p. 384. 67. G. Giovannoni, Architectural Education in thè Future, in The First Interna tional Congress on Architectural Education, atti del congresso, Londra, 28 luglio-2 agosto 1924, London, 1925, p. 67. 68. M. Piacentini, «Nuovi orizzonti dell’edilizia cittadina», Nuova Antologia, f. 1199, 1 marzo 1922, pp. 60-72. Ampi estratti delle lezioni stenografate di Piacenti ni per il corso di edilizia cittadina e arte dei giardini dell’anno accademico 1923-24 sono state pubblicate sul Bollettino della Biblioteca della Facoltà di Architettura dell’università degli studi di Roma “La Sapienza”, n. 53, 1995, pp. 18-56.
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vaguardare il carattere di una città è però necessario imporre una “re strizione della libertà artistica”. Un “dirigismo municipalista”, questo di Piacentini, che contrasta in parte con la successiva svolta “centrali sta”: l’idea di un “progressivo raffinamento” dell’architettura verso uno stile della nazione si manifesterà chiaramente solo negli anni tren ta, quando egli nella scuola sarà unico e indiscusso regista. La visione del rapporto tra collettivo e individuale esposta da Pia centini non è distante da quella prefigurata negli Statuti della Carta del Carnaro promulgati nel settembre del 1920, dove il Collegio de gli edili ha il compito di presiedere al decoro della città. La carta co stituzionale di Fiume occupata da Gabriele D’Annunzio, suggestivo simbolo di inquietudini e di attese di un rinnovamento politico e so ciale, è ammirata da Piacentini e Giovannoni. La pubblicazione su “Architettura e Arti decorative” proprio del capitolo Della edilità, appare anche come il più distinto pronunciamento politico, antece dente la marcia su Roma, dei due direttori. Non è forse un caso che proprio sull’impresa di Fiume ci sia stata un’esplicita convergenza di posizioni politiche tra i fascisti, i nazionalisti - verso cui Giovannoni mostra simpatie - e la massoneria di Palazzo Giustiniani. La stessa Carta del Carnaro pare distillata “dall’alambicco massonico”69. Sia in Piacentini che in Giovannoni è dunque presente l’idea di un’unità architettonica da ricomporre: riferita ancora al solo contesto fisico urbano per il primo, estesa teoricamente all’ambito dell’intera nazione per il secondo. Nel progetto di Giovannoni l’insegnamento dell’architettura e la definizione di una specifica figura professionale concorrono alla formazione di uno stile nazionale. A questa nuova figura, all’“architetto integrale”, verrà affidato il compito di ricerca re il nuovo stile italiano.
6. La riforma Gentile e le scuole di architettura Nata in periodo liberale, la scuola di architettura riceve la sua consacrazione dalla riforma della scuola di Giovanni Gentile, giudi cata da Mussolini, che però non tiene conto della lunga fase di ma turazione antemarcia, “la più fascista delle riforme”. In virtù dei po teri straordinari di cui si vale il governo per la ristrutturazione finan69. «Della Edilità. - LXIII», Architettura e Arti Decorative, f. 5, gennaio-feb braio 1922, pp. 505-506. Cfr. La Carta del Carnaro nei testi di Alceste de Ambris e Gabriele D’Annunzio, a cura di R. De Felice, il Mulino, Bologna, 1973, p. 13; A. Mola, Storia della massoneria, cit., p. 463.
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ziaria e amministrativa dello Stato, Gentile può avviare in brevissi mo tempo una serie di decreti che costituiscono il più organico im pianto scolastico, dopo quello di Gabrio Casati del 1859. Sia il de creto per la riforma dell’insegnamento artistico, sia quello per la riforma dell’insegnamento universitario, collocano la scuola di ar chitettura in una posizione di privilegio. L’idea di una scuola non neutrale perseguita da Gentile, che curi gli interessi nazionali in uno Stato non agnostico, collima con l’idea di Giovannoni di una scuola di architettura laboratorio di uno stile nazionale. La scuola di architettura, infatti, diviene tassello fondamentale della riforma dell’insegnamento artistico, varata da Gentile nel di cembre 1923™. La riforma, di cui Giovannoni condivide compietamente i contenuti e ne elogia la concezione “radicale”, non solo re cepisce l’istituzione della scuola di architettura di Roma, ma la col loca in cima all’impianto piramidale71. Gentile, in linea con Giovan noni, riconosce la necessità di un’apposita scuola che supplisca alla mancanza di un’organica preparazione artistica e scientifica degli ar chitetti. La “preparazione dei buoni e veri architetti - aggiunge Gen tile - non può ottenersi con la sola istituzione delle scuole superiori di architettura”. L’attuale preparazione dei giovani, sia che proven gano dai licei, che dagli istituti di belle arti, appare infatti inadegua ta ai fini scientifici e artistici della nuova scuola. Da qui la decisione di creare un apposito liceo, il liceo artistico, per migliorarne la spe cifica preparazione preuniversitaria72. Tra Giovannoni e Gentile esi ste dunque una consonanza di finalità didattiche, cui si accompagna una predilezione per il gusto classicista in architettura73. La centralità della scuola di architettura di Roma è riconosciuta an che per il particolare posto occupato nel nuovo quadro dell’insegna mento universitario. Di fondamentale importanza è l’inserimento della 70. R.d. 31 dicembre 1923, n. 3123. 71. G. Giovannoni, «La riforma delle Sovrintendenze delle Belle arti », Architettura e Arti Decorative, f. 7, marzo 1924, pp. 335-336; Id., «La recente riforma dell’insegnamento artistico», Architettura e Arti Decorative, f. 10, giugno 1924, pp. 474-479. 72. G. Gentile, Di nuovo sulla professione di ingegnere e di architetto, cit., p. 162. Il “liceo artistico è una scuola tutta nuova, della quale amo rivendicare a me stesso la prima idea”. Id., La riforma dell’istruzione artistica e la questione del tea tro, in Id., Scritti pedagogici, III. La riforma della scuola in Italia, cit., pp. 263-265. 73. Nella casa di Gentile in piazza Cuba a Roma, progettata da Mario De Renzi, c’è una manifesta dichiarazione di continuità con la tradizione classica. Cfr. M.L. Neri, Mario De Renzi. L’architettura come mestiere. 1897-1967, Gangemi, Roma, 1992, pp. 32-34.
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scuola, ultima creata in ordine di tempo, nel ristretto elenco degli istitu ti a completo carico dello Stato. Questo elenco include solo i più anti chi e famosi istituti e università ed è voluto da Gentile per limitarne l’esubero e migliorarne la qualità74. Si tratta, spiega il direttore generale per l’Istruzione superiore Ugo Frascherelli, di istituzioni “le quali da sole sarebbero sufficienti ai bisogni della Nazione, ... in grado di soste nere decorosamente il confronto con le maggiori università straniere”75. Le altre scuole di architettura saranno invece inserite tra gli istitu ti convenzionati, a ribadire la superiorità della scuola di Roma, l’unica scuola di Stato76. Inizialmente Gentile prevede due sole altre scuole, una a Venezia e l’altra a Firenze, “oltre - precisa il ministro - non crederei si dovesse andare”. Ma l’inclusione della scuola di Roma è ancora più significativa se si considera che anche la scuola di ingegneria di Milano, e quindi la sezione di architettura ivi acclu sa, è collocata nell’elenco degli istituti convenzionati. Il provvedi mento del ministro declassa dunque la scuola che fino ad allora ave va conseguito i maggiori risultati e di fatto congela la carriera acca demica dei docenti di architettura milanesi. Tra. le misure più significative adottate da Gentile nei confronti della scuola di architettura di Roma vi è lo scioglimento del consi glio di amministrazione, dove ancora figura Ferrari: in questo modo vuole allontanare la nuova istituzione dalla sfera d’influenza del po tere massonico. Crediamo, tuttavia, si tratti di una mossa tardiva, giocata dopo che il gran maestro aveva già abilmente disposto i suoi uomini. Il ministro nomina d’ufficio, accanto a Manfredi, tre com ponenti di sua fiducia: Giovannoni. Roberto Paribeni e Giuseppe Botto77. Ferrari, già collocato a riposo per limiti d’età, di li a poco rassegna anche le dimissioni da presidente dell’Istituto di belle arti, accolte con gelo da Gentile, che indica nella massoneria il nemico principale della propria riforma78. La proposta di Foschini di asse74. L’elenco - la tabella A del r.d. 30 settembre 1923 - include le università di Bologna, Cagliari, Genova, Napoli, Padova, Palermo, Pavia, Pisa, Roma, e Torino, le scuole di ingegneria di Bologna, Napoli, Padova, Palermo, Pisa e Roma, la scuo la di architettura di Roma. 75. U. Frascherelli, Per l’istruzione superiore, in La riforma Gentile e la nuova anima della scuola, a cura di D. Lupi, Mondadori, Milano, 1924, p. 124. 76. G. Gentile, Scritti pedagogici, cit., p. 42. 77. Cfr. art. 124 del r.d. 30 settembre 1923, n. 2102. 78. Lettera di Gentile a Ettore Ferrari del 19 gennaio 1924, in ACS, PI, AAB BAA, div. II, 1913-23, b. 274. Sull’opposizione della massoneria alla riforma cfr. G. Turi, Giovanni Gentile, una biografia, Giunti, Roma, 1995, p. 332. Gentile tutta via dedicherà a Ferrari una voce sull’Enciclopedia italiana, curata da Colasanti.
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gnare all’ex gran maestro il titolo di professore emerito rimane ov viamente inascoltata79. Il progetto di Giovannoni d’istituire una scuola centrale e, in un secondo tempo, le scuole periferiche, distribuite in alcune regioni, richiede un’attività di controllo e di coordinamento, che può essere concretata solo andando a occupare i posti chiave del consiglio su periore, il massimo organismo consultivo e propositivo del ministro. Per ottenere questo, a differenza degli altri istituti universitari, Gen tile ha posto in via del tutto speciale la scuola di architettura anche sotto la direzione delle belle arti80. Di conseguenza le decisioni ri guardanti le scuole di architettura sono prese dal Consiglio superiore delle belle arti, dove Giovannoni già siede per nomina ministeriale. Quando nel settembre del 1924, il nuovo ministro, il milanese Alessandro Casati, decide di esautorare la scuola di architettura di Roma, interviene proprio a modificare questo meccanismo. Con il pretesto di eliminare un’incongruenza, pone la scuola di architettura alla sola dipendenza della direzione delle belle arti, escludendola dalla istruzione superiore e cancellandola dall’elenco degli istituti a completo carico dello Stato81. Immediatamente Giovannoni parla di un “siluro” lanciato contro le scuole di architettura82. Il declassamento comporta infatti l’elimi nazione dei docenti della scuola di Roma dai ruoli universitari, la conseguente loro esclusione dalle commissioni universitarie per i concorsi a cattedre e per le libere docenze, l’impossibilità della scuola di essere sede di esami di stato. Di colpo, la centralità asse gnata dalla riforma Gentile alla scuola di Roma nell’ordinamento degli studi di architettura viene cancellata. Sono ora nuovamente le scuole di applicazione di ingegneria, scuole di ordine superiore, a riacquistare la posizione egemone che avevano prima della fonda zione della scuola di Roma, e tra queste, per importanza, primeggia la scuola di applicazione di Milano. Nella decisione di Casati può avere pesato l’influente amicizia con Ettore Conti, grande protagoni sta dell’economia tra le due guerre e uomo di punta del consiglio di amministrazione della scuola milanese83. 79. Seduta del collegio professori dell'istituto di belle arti del 29 marzo 1923, in ACS, PI, AABBAA, div. II, 1913-23, b. 274. 80. Art. 3 del r.d. del 31 dicembre 1923, n. 3123. 81. Art. 17 del r.d. del 25 settembre 1924, n. 1585. 82. G. Giovannoni, «Per le scuole superiori di architettura», Architettura e Arti Decorative, f. 3, novembre 1924, pp. 138-143. 83. Sull’amicizia tra Casati e Conti cfr. E. Conti, Dal taccuino di un borghese, il Mulino, Bologna, 1986 (1946), p. 440.
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In novembre, un nuovo decreto ricolloca la scuola di architettura di Roma tra gli istituti superiori e il “buon senso”, scrive Giovanno ni, è ritornato nell’operato di Alessandro Casati. Sull’esito favorevo le della vicenda ha inciso l’intervento di Cesare Nava. L’ex deputato del Partito popolare, diventato nel frattempo ministro dell’Economia nazionale di Mussolini, è eletto da un riconoscente Giovannoni a “patrono delle scuole”. La scuola è ora posta sotto le dipendenze del Consiglio superiore della pubblica istruzione, ma con l’aggiunta di una clausola impor tante: ogni decisione del Consiglio superiore della pubblica istruzio ne riguardante la Scuola di Roma e ogni decisione riguardante i con corsi per le libere docenze in materie d’insegnamento attinenti l’ar chitettura dovrà richiedere la presenza di tre componenti del Consi glio superiore delle belle arti84. Alessandro Casati si dimette dopo il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925, che segna la fine dello Stato liberale e l’inizio della dittatura. È il nuovo ministro Fedele a nominare Giovannoni, con Corrado Ricci e Pietro Canonica, componente della commissione chiamata a pronunciarsi in materia di architettura in seno al Consiglio superiore della pubblica istruzione: il futuro prodirettore della scuola di Roma può dunque nuovamente occupare un posto che risulta deci sivo per determinare la politica della scuola. Quell’assise, soprattutto negli anni a venire, diverrà il luogo da cui attuare la strategia di ac centramento statale dell’insegnamento: la sua coloritura sarà pretta mente romana e la gestione non immune a rapporti di clientela85. Da questa data in poi verrà sempre assicurata la presenza di un rappresentante della scuola di architettura nel consiglio superiore. Dopo Giovannoni, dal 1928-29 al 1934-35 è membro della sezione per l’istruzione artistica Calza Bini. Dal 1935-36 al 1937-38, nel nuovo consiglio superiore riformato da Cesare Maria De Vecchi, Calza Bini è affiancato da Piacentini. Infine dal 1938-39 al 1943 viene designato Foschini86. Anche chi siede in questo alto consesso appartiene a un gruppo ristretto di persone. 84. R.d.l. 10 novembre 1924. n. 2235. 85. Nel marzo del 1925 Fedele autorizza Corrado Ricci, Pietro Canonica e Giovan noni, membri della commissione centrale delle AABBAA ad "aggregarsi al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione ogni volta questo sarà chiamato a pronunciarsi su oggetti attinenti ed a esercitare le attribuzioni relative a domande di abilitazione in ma terie attinenti alla scuola stessa”, in ACS, PI, AABBAA, div. Ili, 1927-29, b. 77. 86. Con Bottai, il consiglio assume la nuova denominazione di Consiglio nazio nale dell’educazione delle scienze e delle arti. Foschini è membro della sezione IV (Istruzione superiore).
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IL Un architetto da creare e uno da sanare
1. La mancata tutela del titolo di architetto La legge sulla tutela del titolo e della professione di architetto e di ingegnere, approvata nel giugno del 19231, è una delle prime emanate dal fascismo. Allo stesso tempo, essa segna l’atto conclusi vo di un lungo e più ampio dibattito iniziato in età postunitaria: il ri conoscimento giuridico della professione di architetto e di ingegnere segue quello di altre categorie. Hanno già avuto il riconoscimento gli avvocati e procuratori nel 1874, i notai nel 1875, i ragionieri nel 1906, i medici, i farmacisti e i veterinari nel 19102. Ora anche per gli ingegneri e per gli architetti vengono introdotte le regole che di sciplinano la professione e delimitano l’appartenenza al titolo. La legge, in primo luogo, stabilisce che il titolo di architetto spetti a chi ha conseguito il diploma di architetto civile nelle scuole di in gegneria o nei politecnici. Prevede poi due importanti norme transi torie - rispettivamente gli articoli 9 e 10 - concepite per sanare la situazione esistente. La prima di queste norme contempla il diritto all’iscrizione per chi, anche privo di titoli di studio, possieda una sufficiente cultura ed eserciti “lodevolmente” la professione da al meno dieci anni. La seconda permette l’iscrizione a chi, avendo fre quentato le accademie di belle arti e conseguito il diploma di profes sore di disegno architettonico, dimostri di esercitare “lodevolmente” la professione da almeno cinque anni. 1. L. 24 giugno 1923, n. 1395. 2. G. Turi, Le libere professioni e lo Stato, in Libere professioni e fascismo, a cura di G. Turi, Angeli, Milano, 1994, p. 13.
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È proprio la definizione di queste due norme transitorie a produr re i maggiori contrasti. Il disegno di legge sull’ordinamento dell’al bo giudiziario, presentato alla Camera nel febbraio 1914 e di cui si è accennato in precedenza, è ripreso in esame dal ministro di Giustizia nel dicembre del 1920. Sottoposto al parere di Benedetto Croce, ri ceve un parere parzialmente negativo. L’allora ministro della Pubbli ca istruzione si dichiara infatti contrario a sanare le posizioni di chi è privo di titoli di studio: non è possibile - sostiene Croce - porre sullo stesso piano chi possiede una laurea con chi vanta un esercizio decennale3. Il liberale Croce si dimostra in questo caso, come si ve drà, ben meno accomodante del fascista Gentile. Le posizioni di Croce sono avversate dalla Federazione degli ar chitetti italiani, presieduta da Stacchini, che difende gli interessi dei professori di disegno e che si contrappone alla Associazione nazio nale architetti e ingegneri italiani. A Roma, in seno all’Associazione romana architetti, che appartiene alla federazione, si è creato un Co mitato d’azione presieduto da Piacentini, e composto da Calza Bini, Foschini e Attilio Spaccarelli. E questo l’organismo di punta della federazione. La presenza di Calza Bini in quel sodalizio prelude alla sua scalata al vertice del sindacato architetti ed è un segno di conti nuità tra associazionismo prefascista e fascista. Più che su Calza Bini, la nostra attenzione va ora però puntata su Piacentini che, scavalcando il milanese di adozione Stacchini, viene assumendo un ruolo di leader tra gli architetti italiani: una posizione di preminenza, che da allora egli coltiverà con grande tenacia e am bizione e manterrà fino al crollo del fascismo. È a Roma che si prendono le decisioni e Piacentini si muove con naturale dimesti chezza nei palazzi romani del potere, intervenendo presso deputati, senatori e ministri, nel corso del lungo iter della legge. Quando, nel maggio del 1922, la discussione di un nuovo disegno di legge pre sentato dal ministro Luigi Rossi arriva una prima volta alla Camera, Piacentini chiama a raccolta personalità artistiche e parlamentari, chiede l’agitazione degli studenti di belle arti4. Divenuto Mussolini capo del governo, nel dicembre del 1922 Piacentini incontra il mini stro di Giustizia Aldo D'Ovidio e ottiene rassicurazioni sul disegno di legge in preparazione. Alcuni mesi più tardi, è ancora Piacentini
con una lettera a Gentile a opporsi alle proposte che, attribuendo il titolo di “architetto abilitato” ai professori di disegno, discriminereb bero questa categoria5. La familiarità con gli ambienti della politica contraddistinguerà anche il suo operato futuro. Ancora prima di prendere la tessera del fascio lo vedremo frequentare alti gerarchi come il quadrumviro e ministro dei Lavori pubblici Michele Bian chi, il segretario generale del partito fascista Augusto Turati, il go vernatore di Roma e ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai, il ministro delle Poste Costanzo Ciano. Torniamo adesso alla legge di tutela. Esaminata alla Camera agli inizi di febbraio, approvata con un’ampia convergenza, essa viene di scussa in giugno al Senato. Nel periodo intercorso tra le due votazio ni, le manovre per modificare il testo a favore dei diplomati trovano la ferma opposizione del sindacato fascista ingegneri. Tra questi si distingue per combattività un giovane imprenditore e geniale struttu ralista del cemento armato, Pier Luigi Nervi allora segretario del sin dacato di Firenze6. Al Senato, a difesa dei professori di disegno inter vengono anche Nava, Corrado Ricci e Giacomo Boni. Il primo pro pone di liquidare il passato e di “largheggiare” nelle disposizioni transitorie, il secondo contesta la posizione subalterna attribuita ai professori di disegno - i “veri” architetti sono usciti da quella catego ria - e ritiene ingiusta la richiesta dell’esercizio professionale lodevo le per un periodo di cinque anni7. Ma a chi chiede di largheggiare, Gentile, apparso ben più duttile di Croce, ha già risposto alla Camera che sulle norme transitorie non intendeva “andare più in là”8. In effetti, la legge approvata viene incontro ampiamente alle ri chieste dei professori di disegno. Il veneziano Duilio Torres, messo da parte ogni accorgimento tattico, scriverà: “la battaglia che si è svolta tra noi e gli oppositori ai nostri interessi è stata vinta comple tamente”9. Se infatti la prima norma transitoria, l’articolo 9, riveste 5. Lettera di Piacentini, presidente del Comitato d’azione dell’Associazione fra gli architetti, sezione della Federazione architetti italiani, a Gentile dell’8 giugno 1923, in ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 5. 6. P.L. Nervi, «Sindacati e professione degli ingegneri», II lavoro d’Italia, 19 maggio 1923. Sulle posizioni assunte dagli ingegneri durante la presentazione dei disegni di legge: M. Minesso, L’ingegnere dall’età napoleonica al fascismo, in Sto ria d’Italia. Annali, voi. X, cit., pp. 300-301. 7. «La legge sul titolo e sulla professione di ingegnere e di architetto», Architet tura e Arti Decorative, f. 12, agosto 1923, pp. 510-512. 8. G. Gentile, Professione di ingegnere e di architetto, cit., p. 41. 9. Lettera di Duilio Torres a Cesare Miani del 5 luglio 1923, in ACM, 1923. 52
un carattere di eccezione, la seconda norma, l’articolo 10, apre inve ce di fatto l’accesso al titolo ai professori di disegno. Per loro, l’osta colo da superare è ora posto dal giudizio della commissione, che do vrà valutare se essi hanno svolto in modo “lodevole” la professione negli ultimi cinque anni. Chi invece ne esce svilito è 1’“architetto ci vile”. La legge, infatti, pur riconoscendo in prima istanza solo questo titolo, in realtà lo danneggia gravemente, equiparando nei fatti, in virtù di una sanatoria, chi è laureato a chi è privo di laurea. La legge si attuerà attraverso un regolamento, alla redazione del quale partecipa una commissione nominata dal ministro di Giustizia. Formata in grande maggioranza da ingegneri, la commissione vede la partecipazione di Stacchini e di Piacentini in rappresentanza degli architetti10. I lavori si concluderanno nel febbraio del 1924 e sul ca pitolo che riguarda i limiti della professione di ingegnere e di archi tetto ha luogo “una larga ed elevata discussione”, con Stacchini e Piacentini contrapposti a Umberto Puppini11. Se gli architetti riescono ad avere la competenza sul restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla legge di tutela del 20 giu gno 1909, ben più fragile e ambigua è la distinzione raggiunta sul vero nodo della questione, che riguarda l’edilizia civile. Piacentini ottiene che le opere di “rilevante carattere artistico” siano di compe tenza degli architetti, mentre le opere di sola “edilizia civile” siano di spettanza di entrambe le categorie: una norma che rimarrà vaga e di difficile interpretazione, nella sostanza completamente inutile. Da qui l’assenza per la figura dell’architetto di un chiaro e delimitato ambito professionale, distinto dagli ingegneri, con i quali nasceran no continui conflitti. Di fatto è stata creata una macchina imperfetta: una scuola di architettura che produce laureati formati su uno speci fico sapere disciplinare, ma per i quali non esiste una legge che ne tuteli in concreto la particolare professione. Il regolamento diviene decreto nell’ottobre 1925, privo di un’altra importante richiesta fortemente voluta dalla federazione degli archi lo. La commissione è composta da 9 membri: Guglielmo Mengarini, presidente, professore della scuola d'ingegneria di Roma, Francesco Mauro, presidente dell’Associazione ingegneri e architetti, Umberto Puppini, professore della scuola di ingegneria di Roma, Domenico Pacchiarmi, ingegnere, Ferdinando Lori direttore della scuola di ingegneria di Padova, Arturo Gualuppi, segretario del Sindacato fa scista ingegneri di Roma, Stacchini, presidente della Federazione architetti italiani, Pio Calletti, presidente della Corporazione ingegneri del genio civile. Piacentini, Giulio Ricci. 11. Relazione della commissione, in’ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 5.
tetti, quella separazione tra l’ordine degli architetti e quello degli in gegneri che avverrà solo nel 192712.
2. La nascita del Sindacato fascista architetti Nell’aprile del 1923, mentre il disegno di legge sulla tutela atten de il voto del Senato, viene creato a Roma il sindacato architetti. L’annuncio viene dato sul “Lavoro d’Italia”, organo del sindacato fascista: “Si è costituito in Roma il primo sindacato architetti. A far parte del direttorio sono stati chiamati l’architetto Alberto Calza Bi ni, l’architetto Ghino Venturi, l’architetto ingegnere Vincenzo Faso lo. Le Federazioni provinciali sono incaricate di promuovere la co stituzione di sindacati identici nelle rispettive zone. L’architetto Al berto Calza Bini è stato incaricato di coordinare e di dirigere il lavo ro di formazione del sindacato nazionale”13. Il sindacato è affiliato alla Confederazione nazionale delle corporazioni, l’organizzazione sindacale fascista fondata da Edmondo Rossoni nel 192214. Lo stesso Rossoni affida la direzione ad Alberto Calza Bini. Il fratello di questi è Gino Calza Bini, tra i fondatori del fascio romano, esponente di punta del fascismo più intransigente e violento, segretario della federazione laziale del partito. Pure Gino Calza Bini, in un primo momento, è chiamato a fare parte del diret torio nazionale della confederazione di Rossoni, in rappresentanza della corporazione del teatro15. Ai primi di giugno viene creato il sindacato provinciale architetti di Roma, con segretario Ghino Venturi16. Il sindacato romano registra 12. R.d. del 23 ottobre 1925, n. 2537. 13. «Sindacato nazionale architetti», Il lavoro d’Italia, 14 aprile 1923. Sulla creazione del sindacato si veda anche la relazione di Calza Bini del 14 aprile 1928 al I Congresso nazionale del sindacato fascista architetti. Architettura e Arti Deco rative, f. 9, maggio 1928, Supplemento, Sindacato Nazionale Architetti. Pagine di vita sindacale. 14. Nell’organigramma della confederazione di Rossoni il sindacato architetti è inquadrato nella Confederazione delle classi medie e intellettuali diretta dal 1923 da Dino Grandi, trasformata nel 1924 in Corporazione sindacale fascista delle profes sioni intellettuali e diretta da Giacomo Di Giacomo. Nel 1928, quando viene “sbloccato” il sindacato di Rossoni, muta ancora la denominazione e diventa Confe derazione nazionale dei sindacati fascisti professionisti e artisti. 15. Lavoro d’Italia, 21 dicembre 1922. Cfr anche: F. Cordova, Le origini del sindacalismo fascista, Laterza, Roma-Bari, 1974, pp. 216 e 332. 16. G. Di Giacomo, «Corporazione professioni intellettuali. Quadri sindacali per regioni», Lavoro d’Italia, 9 giugno 1923.
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inizialmente 70 adesioni, tra architetti civili e professori di disegno. Sull’esempio di Roma, nel luglio viene fondato un sindacato a Tori no, a cui segue poco dopo quello di Milano17. Nel dicembre del 1924 sono sorti sindacati architetti anche a Parma, Perugia e Napoli18. Lo statuto del Sindacato fascista architetti è approntato dallo stes so Alberto Calza Bini, assieme agli “amici romani”. Strutturato su sezioni provinciali, il sindacato assume però una decisa e significati va connotazione romana: il direttorio nazionale, a cui spetta l'elezio ne del segretario nazionale, deve essere composto per tre quinti da iscritti residenti nella capitale. A differenza dello statuto della Federazione architetti italiani, ge nericamente a sostegno dell’architettura, in quello del sindacato fa scista appare un chiaro pronunciamento a favore dell’architettura na zionale. “Scopo precipuo del Sindacato - si legge - è l’incremento dell’architettura come arte e come espressione di civiltà italiana”. E più avanti, si propone “di ripristinare nel giusto valore artistico e morale la figura dell’architetto in quanto ha di più tipicamente stori co ed italiano”19. Il sindacato architetti sorge contemporaneamente al sindacato di altre categorie professionali - tra il 1922 e il 1923 si costituiscono il sindacato dei medici, dei bancari, dei chimici, dei dottori in scienze economiche e commerciali, degli ingegneri - e la sua attività si col loca nel processo di progressiva fascistizzazione delle associazioni professionali, nel quadro della più ampia trasformazione dello Stato in senso fascista20. Rispetto agli altri sindacati delle professioni, quello degli architetti presenta però un’importante peculiarità: la sua genesi procede paral lela alla formazione della categoria professionale che vuole rappre sentare. Perciò più stretto che altrove è qui l’intreccio tra sindacato e attività professionale, tra incarichi di lavoro e cariche sindacali. Più frequente è il caso di docenti universitari che coprono contempora neamente cariche sindacali e più pronunciata, in definitiva, è la con notazione politica assunta da questa professione rispetto alle altre. 17. Relazione di Calza Bini al Congresso delle Corporazioni intellettuali, Geno va 27-29 settembre 1925. Dattiloscritto, in ACM, 1925. 18. G. Di Giacomo, Intellettuali e fascismo, Libreria del Littorio, Roma 1931, pp. 34-38. Complessivamente nel dicembre del 1924 il sindacato architetti è attivo in 6 città, quello ingegneri in 21. 19. Sindacato Nazionale Architetti Italiani, Regolamento, Roma, 1923, pp. 3-4.
Tra il 1923 e il 1926 avviene l’inquadramento delle libere profes sioni, tra cui quella degli architetti, nel fascismo. In particolare, nell’ottobre del 1925, dopo la firma di Palazzo Vidoni che pone le basi all’ordinamento corporativo, il Gran consiglio propone che il fenomeno sindacale sia “controllato ... ed inquadrato dallo Stato” e che dallo Stato sia riconosciuto un solo sindacato, quello fascista, per ogni categoria professionale21. Le leggi in materia, promulgate nel 1926, accolgono le deliberazioni del Gran consiglio, sanciscono la nascita delle corporazioni, riconoscono nel solo sindacato fascista il rappresentante legale di tutti i professionisti della categoria22. “Con l’inquadramento dei sindacati nello Stato” - annuncia Calza Bini nel giugno di quell’anno, davanti a insegnanti e allievi della scuola di architettura di Roma - “il Sindacato sta per accogliere quanti fanno architettura”23. Allo stesso tempo, il segretario naziona le ha intensificato la sua attività per ottenere la soppressione dell’or dine professionale unico degli ingegneri e degli architetti, le cui pre rogative verranno assorbite dal sindacato24. La legge sull’ordinamento sindacale riconosce infatti gli ordini già esistenti, svuotandoli però di ogni competenza, e non ne prevede di nuovi. Per quanto riguarda gli architetti, essi costituivano ancora un unico ordine assieme agli ingegneri25. Ma con la separazione de gli albi nel 1927, un ordine di soli architetti non viene più istituito, perché ormai non contemplato dalla legge26. Le attribuzioni di cu stodia dell’albo sono affidate al sindacato di Calza Bini, che le eser cita a mezzo di giunte nominate dal ministro di Giustizia: queste giunte sono l’ultima parvenza di funzioni proprie degli ordini pro fessionali, destinate a scomparire quando l’iscrizione all’albo, ma siamo già nel 1938, sarà resa effettivamente obbligatoria. In virtù delle nuove facoltà riconosciute alle associazioni sindaca li rispetto agli ordini professionali, ora il sindacato architetti non si 21.1 punti deliberati dal Gran consiglio nella riunione del 6 ottobre 1925 sono riportati in A. Aquarone, L’organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, 1978, tomo II, pp. 440-441. 22. L. 3 aprile 1926, n. 563 e r.d. 1 luglio 1926, n. 1130. 23. Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Roma. Anno accade mico 1925-26, pp. 292-293. 24. «Direttorio dei sindacati intellettuali e le questioni degli Ordini», Lavoro fa scista, 27 marzo 1926. 25. Ai sensi della legge n. 1395 del 1923. 26. R.d. 27 ottobre 1927. n. 2145.
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limita solo a tutelare la figura giuridica dell’architetto27. L’organiz zazione di Calza Bini, oltre a esercitare un controllo politico, parte cipa anche all’istruzione e all’educazione dei suoi iscritti, indirizzan doli verso un fare architettura sempre più conforme a un sentimento italiano e fascista. Ogni singolo professionista, in questo senso, è chiamato a prestare un servizio alla nazione e il fare architettura è elevato a una funzione pubblica. Le leggi corporative del 1926 defi niscono, infatti, l’attività dell’architetto, assieme a quella del medi co, del notaio, dell’avvocato, dell'ingegnere e del geometra, di “pubblica necessità”28. Più determinato di altri, il sindacato di Calza Bini farà leva su questo concetto, declinato alle contingenze politi che, per sostenere l’affermazione della categoria. La “libera” profes sione dell’architetto si avvia verso un regime di “libertà vigilata”29.
3. La Federazione architetti italiani e l’Associazione fra i cultori di architettura Nella primavera del 1923, all’epoca della costituzione del sinda cato fascista di Calza Bini, gli architetti sono raccolti attorno a due associazioni principali, a ramificazione nazionale, tra loro contrap poste: l’Associazione ingegneri e architetti italiani, che raccoglie i laureati nelle sezioni di architettura delle scuole di ingegneria30, e la Federazione architetti italiani, che riunisce i licenziati negli istituti di belle arti31. La Federazione architetti italiani può contare su un’ampia rete di sezioni locali diffusa soprattutto nel nord Italia: quella milanese è presieduta da Giovanni Rocco, quella veneta da 27. Cfr. l’art. 2 della L. 24 giugno 1923, n. 1395. l'art. 2 della L. 3 aprile 1926, n. 563 e gli art. 11 e 12 del r.d. 1 luglio 1926, n. 1130. 28. Art. 98, r.d. 1 luglio 1926, n. 1130. 29. G. Turi, Le libere professioni e lo Stato, cit., pp. 29-43. 30. La Società ingegneri e architetti italiani viene fondata nel 1888 a Torino. L. Falco, «La società degli ingegneri e degli architetti italiani in Torino eil dibattito sulle stazioni nella città», Storia urbana, n. 50, gennaio-marzo 1990, pp.200-201. Cfr. anche: F. Tacchi, L’ingegnere, il tecnico nella “nuova" società fascista, in Li bere professioni e fascismo, cit., p. 180. Giovannoni è vicepresidente della Società ingegneri e architetti italiani nel 1917 e nel 1922. A. Curuni, Riordino delle carte di Gustavo Giovannoni: appunti per la elaborazione di una biografia, Multigrafica, Roma, 1979, pp. 17-18. 31. Sulla composizione delle due associazioni e sulla provenienza degli iscritti cfr. G. Giovannoni, Gli architetti e gli studi di architettura in Italia, cit., p. 25.
Duilio Torres. In Sicilia è rappresentata da Basile, a Parma da Man cini, a Bologna da Collamarini. Già ben presente a sostegno del decreto Rosadi nel 1915, la Fede razione architetti italiani si riunisce in congresso a Firenze nell’otto bre del 1920. Eletto presidente Stacchini e vicepresidente Giovanni Rocco, la federazione crea a supporto delle iniziative di legge per la tutela del titolo di architetto quel Comitato d’azione, presieduto da Piacentini, con Foschini vicepresidente, e di cui farà in seguito parte anche Calza Bini32. Mentre il vertice della federazione rimane lom bardo ed è riconfermata la sede di Milano, il nuovo e ben più incisi vo organismo è invece prettamente capitolino, sintomo evidente del crescente potere assunto dall’ambiente romano, che fa capo alla co stituenda scuola di architettura. Inoltre all’interno del Comitato d’azione si viene delineando quel sodalizio tra Piacentini e Calza Bini che, come vedremo, avrà un ruolo dominante in questa storia. A Roma, in stretto contatto con la Federazione architetti italiani, opera anche l’Associazione fra i cultori di architettura33. Nel 1921, mentre sono ancora in corso le lezioni del primo anno accademico della scuola di architettura, i due docenti più rappresentativi del l’istituto, Giovannoni e Piacentini, stanno approntando l’uscita di “Architettura e Arti Decorative”, che avviene in primavera. La rivi sta è organo dell'associazione fra i cultori ed è la seconda edita in Italia dopo la torinese “Architettura italiana”: anche per la sua distri buzione nazionale, è un eccellente mezzo per diffondere il progetto culturale della scuola. Giovannoni cura le rubriche sul restauro dei monumenti e sull’architettura rinascimentale, Piacentini quella sull’architettura contemporanea. Al primo il compito di coltivare la continuità tra il presente e una certa storia nazionale, al secondo di guidare i lettori tra le nuove tendenze, alla ricerca di un’equilibrata via italiana all’architettura. Alcuni anni dopo si accuseranno recipro camente di aver disatteso queste finalità, di essere l’uno un intolle32. M. Piacentini, «Arte moderna». Architettura e Arti Decorative, f. 1, maggiogiugno 1921, p. 92. Del comitato d’azione fanno parte anche Ezio Garroni e Corra do Cianferoni. 33. L’Associazione artistica fra i cultori di architettura viene fondata a Roma nel 1890. Tra i fondatori annovera Giovanni Battista Giovenale, Giulio Magni, Camillo Pistrucci. Cfr. E. Negri, La scuola romana degli architetti e l’opera dell'Associa zione artistica fra i cultori di architettura in Roma, in Atti del I Congresso naziona le di Studi Romani, Istituto di Studi Romani, Roma, 1928, voi. II, pp. 81-86. Gio vannoni è presidente nel 1910, 1911, 1915. A. Curuni. Riordino delle carte di Gu stavo Giovannoni cit., pp. 12-16.
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rante conservatore, l’altro un modernista a oltranza. Ma ora, nel 1921, queste divergenze non sono ancora emerse e la diversa forma zione didattica dei due direttori, un ingegnere e un professore di di segno, sta anzi a rappresentare quella nuova unità dell’architettura che l’istituzione scolastica va proponendo. Accanto a Giovannoni e Piacentini, un ruolo importante all'intero della rivista è svolto da Roberto Papini, che è anche uno dei fondatori. Per lui Giovannoni ha parole piene di stima e di affetto, in lui intravede il “collaborato re della stessa opera di apostolato, il fratello nella stessa religione d’Arte, che è insieme religione di Patria”34. Agli inizi degli anni venti, l’Associazione fra i cultori di architet tura tenta di darsi una struttura nazionale con sedi a Napoli e a Bo logna35. Nel novembre del 1921, dalle pagine della rivista Giovan noni rivolge un invito agli architetti italiani, “dispersi, incerti, nemi ci di loro stessi”, affinché costituiscano associazioni di architetti in tutta Italia e ipotizza l’istituzione di un organismo di coordinamento centrale o federato36. Alcuni mesi più tardi, confortati dal successo ottenuto dalla rivista, i due direttori guardano con fiducia alla possi bilità di riunire “tutte le energie italiane, ora disperse e vaganti nei campi dell’architettura e delle arti decorative”37. Infine, nel marzo del 1923, la stessa Federazione architetti italiani, riunita a Roma, pone all’ordine del giorno la proposta di creare un unico sodalizio con l’Associazione fra i cultori di architettura38. I due punti essenziali del programma dell’associazione indicati da Giovannoni, attorno a cui riunire gli architetti, sono l’apprezzamento della figura professionale e la salvaguardia del patrimonio monu mentale. A differenza della Federazione architetti italiani, l’associa zione romana non difende gli interessi di una categoria, ma si distin34. Lettera di Giovannoni a Papini del 28 settembre 1925, in AGG, carteggio 1919-1929. 35. Sulla costituzione dell’associazione napoletana, di cui Giovannoni è presi dente onorario, e dell’associazione dell’Emilia Romagna: «L’Associazione architet ti e cultori in Napoli» e «La nuova associazione amatori e cultori di architettura dell’Emilia e delle Romagne», Architettura e Arti Decorative, f. 6, marzo-aprile 1922, pp. 591-592. 36. G. Giovannoni, «Per un’associazione nuova ed un’unione futura», Architet tura e Arti Decorative, f. 4, novembre-dicembre 1921, p. 409. 37. «Ai lettori», Architettura e Arti Decorative, f. 1, maggio-settembre 1922, p. 12. 38. Relazione dell’Associazione regionale degli architetti delle Venezie del 6
gue per rivendicare all’architettura uno spazio centrale nella rinasci ta culturale del Paese. Un obiettivo, dunque, ben più ampio, di cui indica la strategia nella valorizzazione dei monumenti italiani, subli mati a simbolo stesso della nazione. Nell’aprile 1923, come si è visto, entra sulla scena il Sindacato fascista architetti. Esso rappresenta soprattutto gli interessi dei pro fessori di disegno e la sua attività si innesta e si intreccia con quella della federazione. In giugno, Alberto Calza Bini e Ghino Venturi in una lettera al ministro Gentile, a nome del sindacato, dichiarano di approvare “incondizionatamente l’azione svolta dalla Federazione architetti italiani”39. In modo analogo a quanto sta avvenendo tra il Sindacato fascista ingegneri e l'Associazione nazionale ingegneri italiani, anche il sin dacato architetti sta tentando di fare adepti e di conquistare posizioni di potere all’interno della Federazione architetti italiani. Le simpatie di quest’ultima non sono però interamente rivolte al sindacato fasci sta. Anzi, la Federazione architetti italiani non ha aderito al sindaca to di Rossoni, ma alla Confederazione italiana del lavoro intellettua le, creata a Milano nel 1919 da Sileno Fabbri e diretta dal novembre 1921 da Mario Floriani. Infatti, quando nell’ottobre 1922 Floriani fonda la Federazione delle professioni liberali riceve fin da subito l’adesione della Federa zione architetti italiani40. Il suo delegato, Cesare Tenca, è tra i primi sostenitori del programma di Floriani e diventa poi membro della giunta esecutiva41. Ma il carattere apolitico della federazione di Flo riani si scontra con le ambizioni espansionistiche della Corporazione fascista delle professioni intellettuali, diretta da Giacomo Di Giaeo39. Lettera di Calza Bini e Ghino Venturi a Gentile del 9 giugno 1923, in ACS, PI. AABBAA, div. II, 1932-45, b. 5. 40. «La Federazione delle Professioni Liberali», L'Educazione sociale, n. 12, di cembre 1922, pp. 138-140 e «Nella Confederazione Italiana del Lavoro Intellettua le», L’Educazione sociale, n. 3-4, marzo-aprile 1923, pp. 36-38. Alla Federazione delle professioni liberali dà la sua adesione anche l’Associazione nazionale inge gneri italiani. Tra i delegati degli ingegneri figurano Cesare Albertini e il futuro mi nistro della Pubblica istruzione Giuseppe Belluzzo. 41. Tenca partecipa in qualità di delegato degli architetti ai lavori della sezione milanese della Confederazione italiana del lavoro intellettuale del febbraio 1922 in cui Floriani espone il progetto di costituire la federazione delle professioni liberali. «Nella C.I.L.I. Un’importante seduta del comitato sezionale di Milano», L’Educa zione sociale, n. 2, febbraio 1922, p. 28. Lo statuto viene approvato il 16 dicembre 1922.
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mo, il cui programma è tuttavia sotto molti aspetti identico42. A Di Giacomo, che mira a incorporare gli intellettuali “abbandonati in po che rachitiche organizzazioni apolitiche”, Floriani risponde denun ciando i tentativi fatti dai fascisti per costringere le associazioni pro fessionali a rinunciare alla loro indipendenza politica. Inoltre Floria ni invita a diffidare dell’operato di chi è salito ai vertici dei sindacati fascisti di categoria sólo per “trame personalmente quella réclame professionale che per molti è l’unico scopo di lotta”43. Oggetto di questa contesa tra Di Giacomo e Floriani è proprio la Federazione architetti italiani. Se da un lato, Floriani può ricordare all’avversario che la federazione architetti, a cui il “invano i fascisti tentarono l’assalto”, ha riconfermato l’iscrizione alla sua Federazio ne delle professioni liberali, dall’altro canto Di Giacomo può ribat tere che gli iscritti al sindacato di Calza Bini sono già un centinaio44. Durante il 1923, i professori di disegno che aderiscono alla Federazione architetti italiani sono dunque ancora incerti se affi dare la loro rivendicazione di categoria a un’organizzazione apoliti ca o se schierarsi dalla parte fascista. Malgrado questa politica aggressiva, il sindacato di Calza Bini stenta a decollare. Nel corso del 1924, ben più vivace e ampia è l’azione del sindacato antagonista, quello degli ingegneri, che in già marzo tiene il suo primo convegno nazionale. In un contesto che ve de gli ingegneri opporsi ai professori di disegno, non giocano certa mente a favore del sindacato architetti, le parole pronunciate da Mussolini nel ricevere i partecipanti al convegno: “fra tutte le cate gorie di professionisti, quella degli ingegneri è la più affine al mio temperamento”45. Contro il sindacato di Calza Bini pesa soprattutto il ritardo con cui il governo provvede a emanare il regolamento di attuazione delle 42. «La Federazione delle Professioni Liberali riconferma la sua apoliticità», L'Educazione sociale, n. 5-6, maggio-giugno 1923, p. 59. 43. G. Di Giacomo, «Corporazione professioni intellettuali. Quadri sindacali per regioni», Il Lavoro d’Italia, 9 giugno 1923; M. Floriani, «Le organizzazioni degli intellettuali e il fascismo», L’Educazione sociale, marzo-aprile 1923, n. 3-4, pp. 21-22. 44. M. Floriani, «La funzione del ceto medio intellettuale», L’Educazione socia le, maggio-giugno 1923, n. 5-6, p. 43; G. Di Giacomo, «Per l’organizzazione sinda cale dei lavoratori intellettuali. IV», Il Lavoro d’Italia, 25 agosto 1923, Id., Intellet tuali e fascismo, cit., pp. 19-21. 45. «Convegno del Sindacato nazionale degli ingegneri», Il Lavoro d’Italia, 15
norme transitorie. Nei termini fissati da queste norme, infatti, rien treranno la grande maggioranza degli iscritti del Sindacato fascista architetti. Nonostante la rassicurazione data di persona a Calza Bini dal ministro della Giustizia Alfredo Rocco e i ripetuti inviti al go verno a rompere gli indugi, il regolamento verrà approvato solo nell’ottobre del 1925 e pubblicato nel febbraio dell’anno dopo46.
4. L’inquadramento degli architetti nel sindacato fascista Una maggiore vitalità del Sindacato fascista architetti si registra solamente nel corso del 1925, cioè dopo la svolta autoritaria del re gime. Assente al congresso interprovinciale di Firenze che si svolge in febbraio, il sindacato architetti è presente a quello di Milano, che si tiene in giugno47. A settembre, al Congresso nazionale degli intel lettuali fascisti di Genova, Calza Bini annuncia la costituzione in breve tempo di sezioni in ogni regione d’Italia. Fin da subito il sindacato lega la sua fortuna alle prospettive di affermazione della scuola di architettura di Roma. Nel febbraio del 1924, Calza Bini dichiara di volere affiancare l’opera di rinascita dell’architettura, “provvidamente iniziata con la fondazione della scuola superiore di architettura di Roma”, e poco dopo si batte per un aumento dell’organico della scuola48. Al congresso di Genova, ri badisce che l’attività principale del sindacato è nella difesa delle scuole di architettura. Nella stessa sede, Giacinto Zari, segretario provinciale di Milano, legge una relazione sulle scuole di architettu ra, mentre il voto del congresso invoca la creazione delle stesse49. L’occupazione fascista dei posti è in corso. A Genova, Calza Bini vanta di avere collocato un rappresentante del sua organizzazione in tutte le commissioni artistiche della capitale50. Ma sono soprattutto le leggi sindacali del 1926 a ridisegnare in modo radicale la mappa 46. Calza Bini, con Medori e Ghino Venturi, ha un incontro con Alfredo Rocco ai primi di giugno del 1925. «Nel Sindacato nazionale architetti», Il Lavoro d’Italia, 14 giugno 1924. 47. «L’imponente adunata delle forze intellettuali lombarde», Il Lavoro d’Italia, 21 giugno 1924. 48. «Un voto del Sindacato architetti», Il Lavoro d’Italia, 15 marzo 1924. 49. «L’imponente Congresso nazionale degli intellettuali fascisti a Genova», Il Lavoro d’Italia, 3 ottobre 1925; «Ordini del giorno approvati dal Congresso di Ge nova», Il Lavoro d’Italia, 17 ottobre 1925. 50. Relazione di Calza Bini al Congresso delle Corporazioni intellettuali, cit. 62
dell’associazionismo, a dare il via libera alla presa del potere. Dove non esiste già un sindacato provinciale le sezioni locali della federa zione si sciolgono e si costituiscono in sindacato fascista51. Alla data di maggio esistono sezioni sindacali provinciali a Torino, Milano, Verona, Venezia, Parma, Modena, Bologna, Firenze, Viareggio, Arezzo, Perugia, Roma, Napoli e Palermo. Ai primi di maggio i segretari provinciali vengono riuniti a Roma52. In quell’occasione Calza Bini sollecita la costituzione di sindacati anche là dove il numero degli aderenti risulti esiguo. L’iscrizione al sindacato architetti e all’albo professionale sono i due temi della riunione, trattati non separatamente. Il sindacato, infatti, gestisce ora in prima persona le domande dei professori di disegno per l’ammissione all’albo53. Per oltre un migliaio di aspiranti archi tetti rivolgersi al sindacato fascista diventa quasi una necessità. Inol tre la tessera sindacale potrebbe giocare a favore del candidato per ché, come vedremo, Calza Bini nominerà i suoi rappresentanti sin dacali in seno alla commissione esaminatrice. In breve tempo il sin dacato vede aumentare il numero dei suoi iscritti e il suo segretario accrescere a dismisura il prestigio. L’intera operazione si rivela un abile calcolo politico, che dovrà però tenere conto della reazione de gli esclusi: una preoccupazione ben presente fin da allora e che per Duilio Torres va risolta creando un apposito sindacato per i profes sori di disegno. Un anno dopo, nel settembre del 1927, sindacati provinciali archi tetti sono sorti anche ad Aosta, Como, Brescia, Trento, Padova, Udi ne, Livorno, La Spezia. Sommate a quelle già in funzione, sono ora attive 21 sezioni provinciali, di cui 12 al nord, 7 al centro e 2 al sud. 51. Nel 1928, al I Congresso nazionale del Sindacato fascista architetti, Calza Bini dirà che gli iscritti della federazione accorsero numerosi attorno al sindacato. «Sindacato Nazionale Architetti. Pagine di vita sindacale», Architettura e Arti De corative, f. 9, maggio 1928. Sulla fascistizzazione dell’associazionismo degli inge gneri: M.C. Colleoni, L’Associazionismo professionale degli ingegneri italiani, cit., pp. 153-169. 52. Sono presenti Luigi Gariboldi per Torino, Zari per Milano, Ernesto Basile per Palermo, Mario Vacca per Parma, Massagli per Viareggio, Oreste Trebbi per Bologna, Lamberto Furiosi per Arezzo, Prospero Battestin per Venezia, Raffaello Fagnoni per Firenze, Mario Guerzoni per Modena, Corrado Medori per Roma, Mar cello Canino per Napoli, Dino Lilli per Perugia, Cugoletto per Verona. Alla riunio ne, oltre al segretario, partecipano anche Foschini, Giuseppe Boni, Alessandro Lissoni, Attilio Spaccarelli e Duilio Torres. 53. Convegno dei segretari generali tenuto in Roma il 2 maggio 1926. Dattiloscritto, in ACM, 1926.
Alla stessa data è in via di costituzione il sindacato di Fiume, mentre in altre 36 province non si riesce a raggiungere il numero minimo necessario alla costituzione. In alcune città come Bari, Lucca, Trapa ni e Pola, gli architetti sono inquadrati nel sindacato ingegneri54. Infine, mentre si procede ad azzerare la Federazione architetti ita liani, un profondo mutamento avviene anche in seno all’Associazio ne fra i cultori di architettura di Roma. Calza Bini succede a Giovannoni alla presidenza dell’associazione, carica che occuperà dal maggio 1925 al giugno 1927, segno tangibile del processo di fasci stizzazione in atto. Sulla matrice ideologica culturale di stampo na zionalista dell’associazione si innerva quella politica del sindacato. Lo stesso Calza Bini parla di identità tra i soci iscritti al sindacato e i cultori di architettura, di origini del sindacato romano che si confondono con la storia dell’associazione55. Nel frattempo a Milano si è costituita un’Associazione di cultori di architettura che raccoglie gli ex iscritti della disciolta Federazione architetti italiani e nomina un triumvirato composto da Alberto Alpago Novello, Giovanni Muzio e Giovanni Ponti. Nel gennaio 1926, anche a Firenze, su mandato di Calza Bini, sorge un’associazione di cultori, di cui Raffaello Fagnoni è il principale animatore. Altre due associazioni vengono create a Torino e Venezia56. A questo sboccia re di associazioni di cultori di architettura segue l’opera di inquadra mento sindacale. A fine novembre 1927, l’associazione di Roma aderisce al Sindacato fascista architetti e diventa Circolo di cultura dello stesso, seguita dalle altre sezioni di cultori57. 54. Alla data del settembre 1927 non esiste il sindacato architetti nelle seguenti province: Agrigento, Avellino, Bari, Belluno, Bergamo, Bolzano, Brindisi, Cagliari, Campobasso, Catanzaro, Chieti, Cosenza, Cremona, Ferrara, Foggia, Frosinone, Lucca, Matera, Novara, Pavia, Pesaro, Pola, Reggio Emilia, Rieti, Rovigo, Salerno, Sassari, Savona, Siena, Sondrio, Taranto, Teramo, Terni, Trapani, Vercelli, Viterbo. Il dato è ricavato dalle risposte fornite dalle Confederazioni provinciali, in ACM. 1927. 55. A. Calza Bini, «Resoconto del biennio 30 maggio 1925-3 luglio 1926 e 4 lu glio 1926-22 giugno 1927», Annuario dell’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura, 1925-28, p. 69. 56. «Le associazioni dei cultori di architettura in Italia», Architettura e Arti De corative, f. 6, febbraio 1926, pp. 287-288; «Gli “amici di Roma”», ivi, f. 8, aprile 1926. Sull’associazione milanese cfr. A. Bona, Il Club degli architetti urbanisti: una battaglia per Milano, in Città immaginata e città costruita, a cura di C. Bian chetti, Angeli, Milano, 1992, pp. 93, 106-107, 111. 57. Architettura e Arti Decorative, f. 3-4, novembre-dicembre 1927, Supplemen to, Sindacato Nazionale Architetti. Pagine di vita sindacale. 64
Nel 1928 il segretario del sindacato si insedia al Consiglio supe riore della pubblica istruzione scalzando Giovannoni. La fascistizza zione delle scuole di architettura segna un ulteriore passo e Calza Bi ni, occupando contemporaneamente quelle due cariche poste al verti ce della vita sindacale e universitaria, può tessere più efficacemente le sue trame. L’anno successivo, sarà Piacentini, da poco nominato accademico d’Italia, a esaltare i meriti dell’inquadramento sindacale e a elogiare l’attività dell’amico, segretario “infaticabile e insupera bile”. “È bene riconoscerlo. Pochi anni fa si riteneva impossibile di sciplinare il mondo artistico. I fatti hanno dato in breve tempo la più ampia smentita” scrive l’accademico, che conclude: “Oggi la figura morale e giuridica dell’architetto è perfettamente delineata”58. Affermazione, quest’ultima, smentita dai fatti. La figura giuridica dell’architetto non possiede in realtà un proprio preciso e distinto ambito di competenza e la sua storia professionale è una storia di permanenti conflitti con le figure degli ingegneri e dei geometri, con cui condivide l’ambito disciplinare. Per quanto poi riguarda la figura morale dell’architetto, lo statuto del sindacato del 1930 assegna all’organizzazione anche “l’educa zione morale” del professionista. Ma sarà proprio il discutibile com portamento professionale e sindacale di Piacentini e di Calza Bini, cioè dell’architetto di maggiore fama e del rappresentante nazionale della categoria, a gettare le maggiori ombre sulla reale volontà di imporre la moralità a modello del sindacato. Questione non di poco conto, con riflessi negativi, ampi e duraturi, sul percorso della pro fessione59.
5. Un professionista per il fascismo Nell’ottobre del 1927 si decreta la separazione degli albi profes sionali60. Di li a poco, “Architettura e Arti decorative”, la rivista 58. M. Piacentini, «L’opera del Sindacato fascista architetti e il faro di San Do mingo», II Giornale d’Italia, 14 agosto 1929. 59. All’art. 3 della statuto si legge che il sindacato “promuove... l’educazione morale e nazionale dei professionisti appartenenti alla categoria”. Confederazione Nazionale Dei Sindacati Fascisti Professionisti e Artisti, Statuti del sindacato nazio nale fascista degli architetti e dei sindacati provinciali dipendenti, Tipografia del Senato, Roma, 1933. 60. R.d. 27 ottobre 1927, n. 2145.
dell'Associazione fra i cultori di architettura diventa organo ufficiale del sindacato61. Calza Bini entra a far parte del nuovo consiglio di rettivo, che comprende anche i due ex direttori Giovannoni e Pia centini. La redazione della rivista e la direzione del “Supplemento sindacale” è affidata a Plinio Marconi, dipendente di Calza Bini all'Istituto per le case popolari. La stessa Associazione fra i cultori di architettura è fagocitata dall’organizzazione fascista: l’associazio nismo esterno al sindacato è sottoposto a revisione e messo in “ar monia” con le disposizioni di legge62. Nell’aprile del 1928 si tiene il primo Congresso nazionale del sin dacato fascista architetti. L’opera volta a fascistizzare la categoria, ;i inquadrare la disomogenea classe degli architetti italiani è quasi conclusa e Calza Bini, a ragione, può affermare che gli architetti so no raccolti ora in “una sola famiglia”. Appropriandosi anche dell’opera compiuta dalla Federazione architetti italiani, Calza Bini rivendica alla sua organizzazione il merito di avere separato la figu ra dell’architetto dalle altre, di averne delineato le competenze all’interno della vita corporativa. In realtà, quel primo congresso registra una situazione quasi para dossale. Nella sua grande maggioranza il sindacato non è ancora composto da architetti, bensì da professori di disegno in attesa dei benefici previsti dalla legge sulla tutela del titolo. Molti di loro si so no iscritti con la speranza di diventare architetti e il sindacato ha co struito la sua forza numerica e contrattuale alimentando questa spe ranza. Poiché nell’aprile del 1928 si conoscono solo alcuni risultati parziali - a quella data sono già stati esaminati i candidati del Lazio e della Lombardia63 -, il comportamento del segretario rivela grande spregiudicatezza, anticipando un riconoscimento che dal punto di vi sta legale ancora non c’è e che per molti non ci sarà. Infatti, il 48% dei professori di disegno non saranno accolti nella nuova “famiglia”. Così, se nel 1928 il sindacato di Calza Bini può contare 1425 tesse61. Prefazione di Calza Bini in Architettura e Arti Decorative, f. 1-2, settembreottobre 1927; Architettura e Arti Decorative, f. 3-4, novembre-dicembre 1927, Sup plemento, Sindacato Nazionale Architetti. Pagine di vita sindacale. 62. Cfr. l’art. 2 della L. 3 aprile 1926, n. 563. Marconi rimarrà direttore di Sup plemento sindacale fino al 1943. Su Marconi cfr. P. Di Biagi, P. Gabellini, L. Scuderi, Plinio Marconi, in Urbanisti italiani, a cura di P. Di Biagi, P. Gabellini, Later za, Roma-Bari, 1992, pp. 100-104. 63. «Commissione per le iscrizioni negli albi degli architetti». Architettura e Ar ti Decorative, f. 9, maggio 1928, Supplemento, Sindacato Nazionale Architetti. Pa gine di vita sindacale.
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re, l’anno dopo, quando inizieranno a giungere i primi dati sulla sa natoria, gli iscritti caleranno in modo repentino a 94S64. In quel congresso, accanto all’inquadramento della categoria, si va anche configurando il ruolo tecnico e intellettuale dell’architetto, chiamato a operare a fianco del fascismo. La ristrutturazione dell’economia nazionale avviata in quegli anni è accompagnata da un vasto intervento dello Stato a fianco e a sostegno del capitale pri vato. Nell’arco di una dozzina di anni, il territorio italiano sarà sog getto a una profonda riorganizzazione. Città nuove nelle zone di bo nifica, piani regolatori per l’ampliamento di quelle esistenti, scuole, asili, case del fascio, dei balilla, del dopolavoro, stadi, ospedali, sta zioni ferroviarie, palazzi governativi, uffici postali sono le opere pubbliche che scandiscono il processo di modernizzazione del Pae se, la sua trasformazione fisica in senso fascista. Tra il 1926 e il 1937, la sola Opera nazionale balilla di Renato Ricci realizza 1470 palestre, 2568 campi sportivi, 22 piscine, 890 case del balilla. Il suo Ufficio centrale esercita anche la supervisione sulle scelte architetto niche65. Ogni edificio, dirà Piacentini nel 1932, “è un mezzo imme diato di educazione. Esso deve dunque sempre rappresentare qualco sa”66. Attraverso queste opere, attraverso l’architettura - “la massi ma tra tutte le arti” sosterrà Mussolini - intesa come strumento di persuasione, il regime andrà costruendo il suo consenso e accanto avrà gli architetti. Questi coglieranno nella straordinaria congiuntura un’occasione decisiva per estendere e affermare la loro figura pro fessionale. Al sindacato di Calza Bini spetta il ruolo determinante di trait d’union tra i suoi iscritti e il potere politico ai più alti livelli. Nel 1928 si dà avvio a questa collaborazione tra architetti e fasci smo. Al congresso partecipa in rappresentanza del governo Giusep pe Bottai. Ironia della sorte vuole che l’allora sottosegretario alle 64.1 dati sono riportati da F. Coscera, Professioni e arti nello stato fascista, Trinacria, Roma, 1941, p. 41; ora anche in M. Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, il Mulino, Bologna, 1974, p. 271. 65. S. Setta, Renato Ricci. Dallo squadrismo alla Repubblica sociale italiana, il Mulino, Bologna, 1986, p. 126. Sul ruolo assolto da Del Debbio (con Costantino Costantini e Achille Pintonello) e Luigi Moretti alla “corte” di Renato Ricci cfr. M. Mulazzani, Francesco Mansutti e Gino Miozzo: razionalisti veneti tra le due guerre, tesi di laurea, Iuav, Venezia, 1992, pp. 109-111. Il caso di Mansutti e Mioz zo è emblematico della prassi accentratrice di Renato Ricci. Tra il 1932 e il 1937, essi elaborano per il centro-nord d’Italia oltre 40 progetti di case del balilla, di cui la metà realizzati. 66. M. Piacentini, «Il nostro programma», Architettura, n. 1, gennaio 1932, p. 1.
Corporazioni abbia a fianco il fratello di Gino Calza Bini. Nella Ro ma travagliata dallo squadrismo fascista, proprio Gino era stato il suo più tenace avversario politico in seno al partito e le loro rispetti ve “squadre” si erano affrontate a colpi di pistola. Non senza una certa enfasi, ora Bottai sostiene questo rapporto privilegiato dell’architettura con la politica: “tra le professioni libo rali, quella dell’architetto ha una funzione di prim’ordine, perché ad esso è affidato il compito di ricercare e definire, nella particolare ar te che coltiva, lo stile dell’era che viviamo”67. Se alcuni mesi prima, al congresso del sindacato ingegneri, indicava nell’ingegnere la figli ra di tecnico che sta tra capitale e lavoro - la “meglio adatta” ad esprimere l’idea del corporativismo - ora, invece, assegna all’archi tetto il compito di affiancare il politico68. L’architetto, dunque, non è semplicemente un “professionista tecni co”, non ha solo un ruolo di mediazione tra Stato fascista e società. La sua figura è più complessa e più esposta: a essa il regime affiderà la promozione della propria immagine. Mentre la ricerca di un indirizzo artistico sostenuta da Giovannoni si richiama più a un’idea di nazione che a un regime politico, la ricerca dello stile di un’epoca, difesa da Bottai, si identifica con il fascismo: di li a poco “l'architettura del fa scismo” sarà una parola d’ordine dei razionalisti. Più tardi, a metà anni trenta, lo stile del littorio si identificherà in un moderno classicismo. La centralità assegnata dal fascismo all’aspetto rappresentativo dell’architettura apre una riflessione sul fallimento della proposta di Silvio Ardy del maggio 1926. Ardy aveva proposto di creare una li gura di tecnico municipale urbanista, sull’efficiente modello france se, a cui affidare l’amministrazione della città. Un progetto, questo, perfettamente coerente con la politica di modernizzazione dello Sta to, centralista e autoritaria, di Mussolini. Certamente l’idea di Ardy non ha seguito perché bloccata sul sorgere da Calza Bini. In essa, infatti, viene colto il pericolo di vedere nascere un istituto superiore con alcune materie simili a quelle insegnate nelle scuole di architet tura e di vedere ridotto lo spazio professionale dell’architetto. Ma la 67. Intervento di Bottai del 14 aprile 1928 al I Congresso nazionale dei Sindaca ti fascisti degli architetti. 68. Nella stessa occasione Bottai invitava gli ingegneri a vivere la professioni' tra tecnica e politica. «Congresso Nazionale del Sindacato Fascista Ingegneri. Na poli 16-18 ottobre 1927», L’ingegnere, novembre 1927, pp. 291-292. Vedi anelli' G. Bottai, Esperienze corporative, Edizioni del diritto del lavoro, Roma, 1929, pp. 364-367.
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ragione del fallimento della proposta di Ardy va colta anche nell’aver voluto egli privilegiare il buon governo della città a disca pito della rappresentazione della forma69. Viceversa l’urbanistica de gli architetti, sostiene Calza Bini, considera “preponderanti” proprio i valori estetici70. All’efficienza amministrativa il regime preferirà la realizzazione di opere autocelebrative più consone alla promozione del consenso. E per questo fine sono più utili gli architetti. Mentre si va delineando il posto che l’architetto andrà a occupare nello Stato fascista, ancora “da fare” è l’architetto dell’Italia fascista: nel 1928, come si è visto, la categoria è formata quasi esclusivamente da professori di disegno in attesa di un riconoscimento legale. Alla Scuola superiore di architettura di Roma, a cui è affidato il compito di creare i nuovi architetti, Calza Bini non solo riconosce il “caposaldo dell’azione sindacale”, ma intende assegnare anche una sempre più marcata conno tazione politica71. Emblematica, a questo proposito, è la sua proposta di trasferire la sede della scuola di architettura da via Ripetta a Palazzetto Venezia, cioè a fianco della sede di Mussolini, a sottolineare anche fisi camente la vicinanza degli architetti al potere politico72. Anche la consegna della tessera del fascio a Manfredi nel 1926 è stato un gesto eloquente. In quell’occasione, Calza Bini avverte che ben “più vasto è il significato che il partito fascista ha voluto com piere” con quel gesto: la tessera all’anziano direttore significa anche e soprattutto la “consacrazione” fascista della scuola, è “riconoscere veramente all’architettura una funzione politica più alta, personale ed efficace della vita italiana”. Ai futuri architetti il compito di rap presentare la “somma di volontà e di potenza della stirpe” fascista73. La partecipazione di Calza Bini all’attività della scuola romana non è però circoscritta a questo episodio. All’opposto, il segretario nazio69. P. Nicoloso, «Competenze e conflittualità nelle prime proposte sulla figura del tecnico urbanista», Urbanistica, n. 86, marzo 1987, pp. 38-41. 70. Cfr. A. Calza Bini, Per la costituzione di un centro di studi urbanìstici a Ro ma, in Atti del I Congresso nazionale di Studi Romani, cit., p. 47. 71. «Il Congresso nazionale dei sindacati fascisti degli architetti in Roma», Ar chitettura e Arti Decorative, f. 9, maggio 1928, Supplemento, Sindacato Nazionale Architetti. Pagine di vita sindacale. 72. La proposta di Calza Bini viene scartata proprio per la vicinanza a Palazzo Venezia, destinato a sede di rappresentanza del governo. M.L. Neri, «Le vicende edilizie», Bollettino della Biblioteca della Facoltà di Architettura dell’università degli studi di Roma “La Sapienza”, n. 38-39, 1988, pp. 43-64. 73. Il discorso di Calza Bini è riportato in Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Roma. Anno accademico 1925-26, cit., p. 293.
naie frequenta periodicamente le aule di via Ripetta. Già insegnante dell’Istituto di belle arti, che come si è visto ha sede negli stessi loca li, viene chiamato da Giovannoni a insegnare dal 1927 al 1928 edili zia popolare. Più tardi, divenuto direttore della scuola di Napoli, rico prirà il posto di consigliere amministrativo della scuola romana74. Eppure in quella scuola dove Calza Bini invoca una funzione politica dell’architettura, ben pochi sono nel 1926 gli insegnanti iscritti al fascio. Lo sono Vincenzo Fasolo e Del Debbio, ma non i più rappresentativi. Non lo è Giovannoni, che non aveva risparmiato critiche al governo di Mussolini, giudicato uguale agli altri nel non voler cogliere l’importan za dell’arte, e che avrà la tessera solo nel 192975. Non lo è Piacentini, iscritto nel 1932, né tanto meno Foschini, iscrittosi solo l’anno dopo.
6. La grande sanatoria: i professori di disegno promossi ar chitetti Nel marzo del 1927 viene nominata la commissione designata a gin dicare i titoli per l’ammissione all’albo degli architetti76. Essa è forma ta da quattro docenti della scuola di architettura e da tre architetti. Poi ché “molti insegnanti della Scuola superiore di architettura sono pro fessori di disegno non laureati”, il ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Belluzzo esprime forti dubbi sull’opportunità che i docenti chiamati a giudicare appartengano alla stessa categoria dei candidati77. Le perplessità di Belluzzo non sono immotivate. Infatti, la scuola di Roma è rappresentata da Manfredi, Vincenzo Fasolo e Milani e il primo, che è anche presidente della commissione, ha il titolo di pro fessore di disegno78. Inoltre i tre professionisti, Piacentini, Giuseppe 74. Calza Bini è insegnante di edilizia popolare ed economica al IV anno. L’in segnamento viene soppresso quando nel 1929 Calza Bini si trasferisce a Napoli. Cfr. la relazione di Giovannoni, Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Roma. Anno accademico 1927-28, cit., p. 8. 75. G. Giovannoni, «Per il rispetto dei monumenti», Architettura e ArtiDecora tive, f. 2, ottobre 1923, p. 96. 76. ACS, PI, IS, div. n, 32-45, b. 213. 77. Lettera di Belluzzo a Fedele del 20 dicembre 1925, in ACS, PI, IS, div.Il, 32-45, b. 211. 78. Il quarto docente è Sebastiano Locati, rappresentante della sezione di archi tettura della scuola d’ingegneria di Milano. Manfredi consegue il diploma di profes sore di disegno alla Istituto di belle arti di Roma, nel 1880. Cfr. Manfredo Manfredi, cit., p. 234.
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Boni e Stacchini, sono nominati su indicazione di Calza Bini, c pure candidato79. I lavori della commissione devono essere necessariamente di ve durata. Infatti dal 1923. dall'entrata in vigore della legge sulla tela del titolo di architetto e ingegnere, il divieto per i professo disegno di firmare i progetti è esteso su tutto il territorio nazio cioè anche dove era in precedenza consentito. Iniziati nell’ 1927, i lavori della commissione avrebbero dovuto terminare in tembre. In realtà, concluso l’esame dei residenti nelle regioni e Lombardia le sedute sono sospese dal ministro delle Finanze seppe Volpi per mancanza di fondi. Dopo le proteste di Calza B di Giovannoni, nuovo presidente subentrato alla morte di Manfr i lavori vengono ripresi solo nel maggio del 1928. La commiss ora integrata con rappresentanti regionali, conclude la disamina nel lo stesso mese del 192981. Inizialmente Giovannoni ha rifiutato di far parte della commi ne verso cui prova una “decisa repugnanza”: “repugnanza - pre va rivolto a Frascherelli - che si esprimerebbe necessariamen dimissioni se la minaccia di chiuderlo nella fossa dei leoni si vo attuare”. Un giudizio molto caustico che, non dimentichiamo, è volto a una commissione in cui spicca il nome del suo collega centini e che allude al giro di interessi personali messi in moto provvedimento di sanatoria82.
79. Il 26 aprile 1928, per motivi di lavoro. Piacentini chiede di essere sos Al suo posto è nominato Pietro Aschieri. 80. Manfredi muore il 13 ottobre 1927. 81. «Commissione per le iscrizioni negli albi degli architetti», Architettura ti Decorative, f. 9. maggio 1928, Supplemento, Sindacato Nazionale Architetti gine di vita sindacale. Sono nominati rappresentanti regionali: Giovanni Che e Enrico Bonicelli per il Piemonte, Giacomo Misuraca e Antonio Rovelli per guria, Diego Brioschi e Antonio Cavalozzi per la Lombardia, Ettore Fagiuoli e do Sullam per la Venezia Euganea, Carlo Polli e Alfredo Badessi per la V Giulia, Ettore Gilberti e Giorgio Wenter Marini per la Venezia Tridentina, Lambertini e Giocondo Barbieri per l’Emilia Romagna, Ezio Cerpi per la To Luigi Anelli e Guido Cirilli per le Marche, Cesare Bazzani e Pietro Angeli l’Umbria, Edgardo Negri e Giulio Magni per il Lazio, Vincenzo Pilotti e An Liberi per l’Abruzzo. Guido Zuccheddu e Dionigi Scano per la Sardegna, Giu Forni e Vittorio Pantaleo per la Campania, Camillo Autore e Pietro Loiacono Calabria, Ernesto Basile e Francesco Fichera per la Sicilia, Ettore Artale e Am Gullini per le Colonie. 82. Lettera di Giovannoni a Frascherelli del 24 dicembre 1926, in ACS, P div. II, 1932-45, b. 213.
Il prodirettore della scuola di architettura si riconosce più vicino alle posizioni espresse da Croce nel 1920, avverse a equiparare la laurea all’esercizio decennale della professione, che a quelle permis sive del sindacato e dei professori di disegno. Anche più tardi, dopo avere accettato l’incarico, non risparmierà critiche alla legge, in par ticolare alle modalità d’esame. Avrebbe preferito, invece di dare un giudizio sull’“esercizio lodevole” della professione praticata, sotto porre il candidato a una verifica più completa e selettiva, a un “vero e proprio esame di Stato”83. La sanatoria, di fatto, indebolisce il suo progetto di creare la nuova figura di “architetto integrale”. Nel corso di due anni, la commissione si riunisce un centinaio di volte. Su 1310 domande, il 24% è rappresentato da candidati privi dei titoli di studio richiesti e il rimanente 76% da professori di dise gno. Alla fine di questa mole ragguardevole di lavoro, la commis sione abilita 694 nuovi architetti, che corrisponde al 52% degli esa minati84. Tra gli abilitati, numerosi sono o saranno i docenti nelle nuove scuole di architettura: Foschini e Del Debbio della scuola di Roma, Calza Bini della scuola di Napoli, Mario Ceradini, Vittorio Eugenio Ballatore di Rosana, Giulio Casanova, Giuseppe Cento, Vittorio Mesturino della scuola di Torino, Raffaello Brizzi e Giovan ni Michelucci della scuola di Firenze, Brenno Del Giudice, Duilio e Giuseppe Torres della scuola di Venezia. Vi figurano inoltre profes sionisti di fama come Armando Brasini, Adolfo Coppedé, Giuseppe De Finetti, Giovanni Greppi, Annibaie Rigotti, Giovanni Rocco, In nocenzo Sabbatini, Ettore Sottsass, Gigiotti Zanini, e alcuni giovani di talento come Mario Asnago, Pietro Lingeri, Gino Miozzo, Carlo Enrico Rava, Claudio Vender85. Tra gli illustri esclusi il giovane Carlo Scarpa che, diplomatosi professore di disegno nel 1926, non gode dei benefici della sanatoria. Negli elenchi non compare neppu re il nome di Piacentini, il quale, pur avendo conseguito con regola re iter scolastico il solo titolo di professore di disegno, aveva benefi83. Relazione di Giovannoni del 25 maggio 1929, Ibidem. 84. Tra gli abilitati, 578 (83,2%) possiedono la licenza di professore di disegno, mentre 116 (16,7%) ne sono privi. La regione con il più alto numero di abilitati è la Lombardia con 182 (26,2%), seguita dal Lazio con 130 (18,7%) e dall’Emilia Romagna con 90 (12,9%). Le regioni verso cui la commissione si dimostra partico larmente severa sono invece la Sicilia con solo 10 abilitati su 43 domande e la Campania con 20 abilitati su 54. La Lucania non vede ammessi nessuno dei suoi 2 candidati. 85. Mario Ceradini, Annibaie Rigotti, Ettore Sottsass, Gigiotti Zanini sono abili tati all’iscrizione all’albo, a norma deU’art. 9 della L. n. 1395.
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ciato, come si vedrà, del titolo di architetto con un provvedimento legislativo ad personam. Per comprendere l’importanza fondamentale che questa vasta ope razione ha assunto nel processo di ricostruzione della categoria e le conseguenze che ne derivano è opportuno leggere i risultati alla luce dei dati fomiti dal censimento della popolazione del 1931. Sulla base di quel censimento, in Italia ci sono 1093 architetti, vale a dire che ben il 63% della categoria ottiene il titolo in virtù della sanatoria86. Il dato appare ancora più significativo se paragonato a quello sugli ingegneri. La commissione esaminatrice dei titoli degli aspiranti all’iscrizione all’albo degli ingegneri esamina 1388 domande, un numero di poco superiore a quello degli aspiranti architetti, e ne accoglie il 25%87. Ciò significa che appena il 3% degli ingegneri gode dei benefici della leg ge88. Contro questa condotta così indulgente a favore dei professori di disegno si battono gli ingegneri. Ancora nel 1933 Edmondo Del Bufa lo, segretario nazionale del Sindacato fascista ingegneri, dichiara di non accettare interferenze professionali da questi architetti privi di lau rea e si rifiuta di considerarli alla stregua di colleghi89. La categoria degli architetti nasce dunque da un provvedimento di sanatoria. Giustamente Giovannoni nella relazione finale scrive che “la classe degli architetti” è ora costituita da coloro che, attraverso studi “imperfetti e unilaterali”, si sono tuttavia affermati nella prati ca professionale. Attraverso questo provvedimento, cavallo di batta glia del sindacato, è avvenuta la presa del fascismo sugli architetti, il baratto tra adesione politica e promozione professionale. Evidente è la contraddizione esistente tra lo spirito della sanatoria e i proclami di rinnovamento morale della nazione lanciati dal regime. All’albo di questa categoria, che certamente la sanatoria non con tribuisce a qualificare, il direttore della scuola di Roma, colui che più ha contribuito a delinearne la figura intellettuale, non si iscrive: il suo permanere nel sindacato degli ingegneri avrà però anche una funzione logistica e sarà di grande aiuto agli architetti, soprattutto in 86. Il dato è fornito dal censimento della popolazione del 1931 ed è riportato da L. Lenti, «Ingegneri, architetti e chimici in Italia alla fine del 1940», L’ingegnere, febbraio 1942, p. 141. 87. Relazione della Direzione generale dell’istruzione superiore del 7 aprile 1930. ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 211. 88. In base al censimento della popolazione del 1931 ci sono in Italia 11.897 in gegneri, compresi i dottori in chimica, in fisica e in scienze naturali. 89. «Architetti e ingegneri», L'ingegnere, n. 1, gennaio 1933, p. 72.
sede di concorsi90. L’auspicio di Giovannoni è che da ora in avanti inizi realmente il “periodo di sviluppo” della professione e che la fi gura “dell'architetto integrale” licenziato dalle nuove scuole di ar chitettura si sostituisca “man mano a quella del semicompetente”91. Ma i 694 architetti “semicompetenti” contro i 196 architetti “integra li” licenziati dalle nuove scuole dalla loro fondazione al 1931 - di que sti 155 dalla sola scuola di Roma e 20 da Venezia - gravano sull’asset to professionale in termini ben più consistenti della riforma scolastica in atto. Il profilo culturale e l'incidenza reale del progetto delle nuove scuole di architettura ne risulta ridimensionato e in parte compromesso: meno determinante sarà la presenza degli architetti integrali in un con testo così numericamente squilibrato, più faticosa l’opera di nazionaliz zazione dell’architettura. E a questo si aggiunga che negli anni succes sivi, con altri provvedimenti pur minori di sanatoria, verrà nuovamente offerta ai non laureati la possibilità di accedere al titolo. Completata la fase di transizione, portata a termine la brillante operazione di cosmesi professionale, il sindacato si avvia a inqua drare la nuova “famiglia” verso una “finalità comune che si chiama architettura italiana”92. Anche la rivista del sindacato cambierà titolo nel gennaio del 1932 - da “Architettura e Arti Decorative” diventa semplicemente “Architettura” - e accompagna la metamorfosi del nuovo pubblico di lettori ora formato, almeno di nome, non più da professori di disegno, ma da architetti. Diretta dapprima da Giovan noni e Piacentini, poi da Foschini, poi ancora da Piacentini, tutti do centi della scuola di architettura di Roma, la rivista è anche organo di diffusione delle notizie sindacali93. Pur non perseguendo un’unica linea, come dimostrano i contrasti tra Giovannoni e Piacentini, la ri vista, grazie anche alla sua diffusione capillare, è uno strumento straordinario nelle mani dei docenti della scuola per influenzare il gusto. Quando nel 1932 Piacentini assumerà da solo la direzione, nel programma assegnerà esplicitamente alla rivista il “compito di educatrice, accanto e dopo la scuola”94. 90. Gli ingegneri che avevano conseguito il titolo prima del 1926 potevano iscri versi all’albo degli architetti. 91. G. Giovannoni, La Scuola di Architettura di Roma, Cremonese, Roma, 1932, p. 9. 92. G. Giovannoni, La figura artistica e professionale dell'architetto, Le Monnier, Firenze, 1929, p. 25. 93. Dal settembre del 1927 al dicembre del 1929 la rivista è diretta da un consi glio di cui fanno parte oltre a Giovannoni e Piacentini, Calza Bini, Carlo Cecchelli, Gino Chierici, Edgardo Negri, Giovanni Muzio, Calogero Tuminelli. 94. M. Piacentini, «Il nostro programma», cit., p. 1.
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III. L’insegnamento e gli insegnanti di architettura (
1. La scuola di Giovannoni e la continuità con la tradizione architettonica italiana Nel 1927, la scuola di Roma sta per concludere la sua fase di ro daggio. Dai 55 studenti del 1920 si è passali agli attuali 1X0. Gli iscritti al primo anno sono ora 43, contro gli 8 del 1922. In sette anni si sono laureati 72 nuovi architetti e l’aumento della popolazione scolastica inizia a preoccupare Manfredi, favorevole a una più ampia selezione per salvaguardare il carattere di scuola “specializzata”1. I progetti di laurea costituiscono una prima verifica sull’andamen to della scuola. Agli studenti non sono richieste esercitazioni ex tem pore, ma temi per precisi contesti. Quello assegnato a Luigi Picchia to ha per oggetto proprio la sistemazione di piazza Nicosia a Roma, tema voluto come si è visto da alcuni docenti e assunto per il suo ca rattere modesto a emblema dell'indirizzo didattico antiaccademico della scuola. Il suo progetto vuole attingere “umilmente” ai caratteri dell’edilizia romana del Cinque-Seicento e restituire l’immagine di un’architettura modesta e rispettosa dell’ambiente. L’utilizzo discreto della decorazione dipende però dalle funzioni dell’edificio. Infatti, ben più canonico nella ripresa stilistica è il progetto di Oscar Prati per la sede di un giornale in corso Vittorio Emanuele, pure a Roma, così come esuberante è la decorazione proposta da Amerigo Mattioli per il progetto di una banca. Anche la semplificazione formale di Con1. Relazione di Manfredi, Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Roma. Anno accademico 1926-27, cit., p. 9. Nell’anno accademico 1926-27 si sono avute 52 iscrizioni al primo anno.
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cezio Petrucci, che si confronta sullo stesso tema di Mattioli, è gio cato all’interno della tradizione classica, attraverso l’uso della tra beazione contratta, l’assenza di basi nelle semicolonne, la semplifi cazione delle comici. Inoltre tra i progetti di laurea non mancano le composizioni monumentali - nelle discussioni dell’autunno del 1920 erano state richieste da Fausto Vagnetti ma non erano condivise dagli altri insegnanti - come il progetto di Pietro Angelini per un classi cheggiante palazzo del parlamento, giudicato meritevole di lode2. Il repertorio formale classico è l’orizzonte di riferimento anche per l’allievo che si misura con l’uso di nuovi materiali. Significativi sono i disegni di Adalberto Libera per il corso di Milani al terzo an no: la basilica di Massenzio e il Pantheon sono pensati in cemento armato, con i particolari della nervatura armata della volta che ri prende il motivo dei lacunari3. Nell'ottobre del 1927, alla morte di Manfredi, la scuola è affidata da Pietro Fedele a Giovannoni. Il ministro avrebbe dovuto scegliere il nuovo direttore tra uno dei cinque professori stabili - tra questi ci sono Foschini e Magni -, ma probabilmente non ritiene nessuno all’altezza del difficile compito. Decide così di rimandare la decisio ne e di nominare Giovannoni prodirettore4. Illustrando le tesi di lau rea, nella nuova veste di responsabile della scuola, Giovannoni an nuncia che il “lavoro iniziato comincia a dare i suoi frutti”. Rare so no ormai le “folate di esotismo o del materialismo” e dalle opere ap pare “un indirizzo stilistico” verso un’architettura moderna italiana5. Confortato da questi risultati, il prodirettore procede nel dare alla scuola una più “decisa figura stilistica”. Oltre al restauro, con l’ini zio del nuovo anno accademico, ha assunto anche l’insegnamento 2. I progetti di laurea degli studenti sono presentati in: G. Venturi, «La scuola superiore di architettura», Architettura e Arti Decorative, f. 2, ottobre 1924, pp. 107-125; X.Y., «La scuola di architettura in Roma», Rassegna di architettura, n. 2, 15 febbraio 1929, pp. 41-51. Piccinato e Mattioli si laureano nel 1923, Angelini e Prati nel 1924, Petrucci nel 1926. 3. A. Muntoni, 1926-28: dalla Scuola di architettura di Roma alla Prima espo sizione di architettura razionale, cit., pp. 39-43. Nel 1925-26, Libera frequenta il terzo anno. 4. Lettera di Fedele a Giovannoni del 26 dicembre 1927, in AGG, se. curriculum vitae. Gli altri professori stabili sono: Ugo Arnaldi, Gioacchino De Angelis d’Ossat, Gustavo Tognetti. Giovannoni è professore stabile di architettura generale alla scuola d’ingegneria e incaricato alla scuola di architettura. 5. «Discorso commemorativo del Prof. Gustavo Giovannoni», Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Roma. Anno accademico 1927-28, pp. 32-33.
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dei tre corsi di composizione, coadiuvato da Foschini. Contempora neamente richiama gli studenti a una maggiore “disciplina materiale e intellettuale”: essi non devono ignorare di far parte di una scuola che ha assunto “altissime finalità” di fronte alla nazione6. La scuola si identifica con Giovannoni e il giro di vite imposto nella didattica è seguito con preoccupazione negli ambienti più insofferenti verso la tradizione classicista. Informato da Gaetano Minnucci, allora assi stente di Milani, sui mutamenti in atto alla scuola romana, Carlo En rico Rava intravede nella “rinnovata autorità” di Giovannoni “tristi conseguenze” per l’architettura7. Ma l’ottimismo di Giovannoni sui risultati della scuola riceve una secca smentita dopo pochi mesi. Nel marzo 1928, infatti, si inaugura la I Esposizione italiana di architettura razionale, che propone un linguaggio moderno affrancato dal retaggio decorativo classico. All’esposizione partecipa un numeroso ed eterogeneo gruppo di ar chitetti romani. Sono illustrati i lavori di studenti come Mario Ridolfi, di laureandi come Luigi Vietti e Libera e di assistenti come Piccinato. Inoltre viene incluso tra i razionalisti anche Calza Bini, cioè il segretario nazionale degli architetti e professore della scuola. Anche se per Carlo Belli, Calza Bini, “mediocre architetto” ma “capacissi mo” in politica, fu in quell’occasione superato in spregiudicatezza dai due organizzatori romani Libera e Minnucci, non va esclusa l’ipotesi opposta8. Sappiamo infatti che fin dall’inizio il sindacato architetti si è espresso a favore della mostra, “che può essere inco raggiata” anche se non rappresenta l’architettura italiana, e che la presenza di Calza Bini ha il preciso scopo di ridurre lo strappo in at to tra una parte dei giovani e il fronte accademico. Per Giovannoni forte è la delusione nel cogliere la dissonanza tra il programma stilistico proposto dalla scuola e le scelte maturate dai giovani architetti dopo cinque anni di insegnamento. Il suo progetto educativo ha dato frutti non desiderati, i suoi studenti hanno presen 6. Relazione di Giovannoni, Annuario della R. Scuola Superiore dì Architettura di Roma. Anno accademico 1927-28, cit., p. 12. Lettera di Giovannoni agli studenti deila scuola di architettura di Roma del 22 dicembre 1927, in AGG, se. curriculum vitae. 7. Lettera di Rava a Minnucci del 26 ottobre 1927, in M.I. Zacheo, «Dal carteg gio di un architetto romano: Gaetano Minnucci e la polemica sull’architettura razio nale», Parametro, n. 113, gennaio-febbraio 1983, p. 21. 8. C. Belli, «Origini e sviluppi del “Gruppo 7”», La casa, n. 6, 1959; ora in Ma teriali per l’analisi dell’architettura moderna. La prima Esposizione di Architettura Razionale, a cura di M. Cennamo, Fiorentino, Napoli, 1973, p. 95.
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tato architetture prive di capitelli, fregi e cornici. Eppure, a ben guardare, quell’insegnamento ha impresso invece un marchio profondo. In alcuni progetti degli studenti della scuola di Roma ap pare infatti un’evidente rielaborazione di esercitazioni scolastiche appena compiute su organismi antichi. Il sistema di terrazze sul ma re di Libera trae origine dagli studi sul Pantheon, così come la torre pubblicitaria per la Scac dagli studi sugli obelischi. La torre dei ri storanti di Ridolfi ha come fonte d’ispirazione le colonne del bal dacchino di San Pietro e il teatro di Vietti rimanda ancora, nella combinazione tra pianta centrale della scena e longitudinale della platea, al Pantheon9. L’applicazione degli stili sugli edifici, appresa nei corsi di Giovannoni, di Foschini, di Milani, viene abbandonata, ma la mente è ormai pregna di modelli derivati dall’architettura ro mana antica e rinascimentale. Quelle stesse strutture formali sono ora riutilizzate prive di decorazioni. La mostra si è rivelata un tranello sul percorso stilistico della scuola e la leadership di Giovannoni ne esce indebolita. II suo rigido conservatorismo non è condiviso dal più autorevole dei suoi colle ghi. L’invito di Piacentini ai razionalisti a fare una nuova mostra, seppure più attenta all’ambiente delle città italiane, è un messaggio trasversale di sfida al prodirettore10. Da altri, della cerchia piacentiniana, una critica più diretta a Gio vannoni. Papini intravede nella mostra dei razionalisti soprattutto una reazione alle “recrudescenze” stilistiche, imposte dopo la morte di Manfredi11. Dopo averne tessuto con enfasi le lodi alla figura di storico e di insegnante, il critico è in rotta di collisione con le idee conservatrici del prodirettore. I primi screzi sono arrivati con la re censione benevola al progetto di Piero Aschieri per il Quartiere dell’artigianato a Roma12. Ora Papini ha il dente avvelenato: rinfac cia a Giovannoni di averlo escluso da “Architettura e Arti Decorati 9. F. Bellini, Mario Ridolfi, Laterza, Roma-Bari, 1993, p. 5. 10. M. Piacentini, «Prima intemazionale architettonica», in Architettura e Arti Decorative, agosto 1928, f. 12, p. 562. 11. R. Papini, «Gustavo Giovannoni», Il Mondo, 22 gennaio 1925; Id., «Le scuole superiori di architettura», Corriere della sera. 13 novembre 1928; ora in Cronache di architettura: 1914-1951, a cura di R. De Simone, Edifir, Firenze, 1998, pp. 52-54, 160-162. 12. R. Papini, «Il concorso per il quartiere dell'artigianato in Roma», Architettu ra e Arti Decorative, f. 2, ottobre 1926; ora in Cronache di architettura: 19141951, cit., pp. 52-54
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ve”, di non avergli procurato alcuna collaborazione all’Enciclopedia italiana, di passare sotto silenzio i suoi articoli13. Il dopomostra registra una discesa in campo del ministro Fedele, con un deciso intervento. Il suo giudizio sui progetti presentati è de cisamente negativo. Con puntualità è colto lo strappo tra gli obiettivi dell’esposizione e quelli didattici della scuola. Dal suo intervento emerge distinto il ruolo non agnostico - filoromano e antirazionali sta - dello Stato fascista in tema di insegnamento dell’architettura. In una lettera indirizzata a Mussolini, il ministro si schiera al fianco di Giovannoni e denuncia il contrasto tra il movimento per l’archi tettura razionale e quell’“indirizzo tendente a valorizzare con senso di modernità gli elementi estetici tradizionali” dell’architettura ita liana. Questo indirizzo “fa capo principalmente alla Scuola superiore di architettura di Roma”14. Terminata l’esposizione, scatta la ritorsione del prodirettore con tro i suoi studenti presenti alla rassegna. In luglio, diverse sono le bocciature agli esami di composizione architettonica del quinto an no. Il lavoro di Ridolfi viene valutato da Giovannoni con un 21/30, il voto più basso ottenuto dal brillante studente durante l’intero per corso scolastico15. Tutti i laureandi che in marzo avevano partecipa to all’esposizione - Pier Nicolò Berardi, Libera, Giuseppe Marletta, Giorgio Rosi, Vietti - rimandano la discussione della tesi alla sessio ne autunnale. I loro progetti devono essere conformi all’“indirizzo artistico imposto dal corpo insegnante”. Pure Libera, assieme a Minnucci il principale organizzatore dell’esposizione, sottostà all’ingiunzione e presenta un progetto per la sede del vescovado di Trento “dalle sagome architettoniche non sentite”16. Per allontanare ogni dubbio su una possibile svolta razionalista della scuola e per rassicurare sulla strada maestra indicata dagli inse gnati agli allievi, vengono presentate su “Architettura e Arti Decora tive” le due migliori tesi di laurea discusse nel novembre del 1928: una di Tullio Rossi, l’altra, meritevole di lode, del razionalista Vietti. 13. Lettere di Papini a Giovannoni del 6 e 16 febbraio 1932, in AGG, carteggio 1930-1947. 14. R. Mariani, Razionalismo e architettura moderna, Comunità, Milano, 1989, p. 94. 15. F. Bellini, Mario Ridolfi, cit., p. 163. 16. G. Marletta, «Nacque da una rivolta di studenti l’architettura moderna in Ita lia», La Sicilia, 8 ottobre 1968; ora in Materiali per l’analisi dell’architettura mo derna. La prima Esposizione di Architettura Razionale, cit., pp. 101-102.
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Vietti proviene dalla sezione di architettura della scuola di ingegneria di Milano ed è stato compagno di studi di Bottoni, Luigi Figini e Giuseppe Terragni. A Roma si è trasferito perché attratto dai “grandi nomi tipo Piacentini, Giovannoni e altri, che davano in un certo mo do la sicurezza di una buona laurea”i7. Per la tesi Vietti progetta un albergo per Cemobbio, in realtà un piccolo borgo rurale, arrampicato sulla costa del lago. Vi sono disegnati elementi di architettura locale assieme a elementi più nobili, come la rotonda dell’albergo, ma an che serliane. Il tema dell’architettura minore affrontato rispecchia il preciso indirizzo didattico imposto da Giovannoni. Il prodirettore at tribuisce infatti grande importanza all’aspetto “minore” dell’architet tura. Il più semplice apparato decorativo di quell’architettura è terre no congeniale per innestare il nuovo in continuità con l’antico18. Nel programma della scuola, accanto alla composizione architet tonica, lo studio della storia dell’architettura è determinante ai fini del raggiungimento di uno stile nuovo. La materia è affidata a Vin cenzo Fasolo. Più che sull’esposizione orale, le lezioni del docente si svolgono alla lavagna, schizzando architetture su carta da spolve ro, e agli studenti è richiesto di rappresentare dal vero gli edifici de gli antichi fori. La storia è intesa come un repertorio di forme, dove le date non sono necessarie e dove il vero protagonista è il disegno. Un insegnamento singolare, molto distante dalla conoscenza filolo gica, impartito da un ingegnere che ha frequentato anche l’istituto di belle arti, ma privo di studi storici. Impietoso il giudizio che darà Piccinato nel dopoguerra sul suo ex docente: di un’“ignoranza spa ventosa”. Al di là dell’astio personale, quell’incarico universitario dà idea della forzatura didattica imposta da Giovannoni e del pro vincialismo romano di certe sue scelte'9. La conoscenza della storia dell’architettura di Giovannoni - en trambi, lo ricordiamo, sono degli “storici ingegneri” - è molto più vasta e filologica rispetto a Fasolo, ma anche più lucidamente stru17. L. Vietti, II Palazzo del Littorio, in Pietro Lingeri. La figura e l'opera, atti della giornata di studio, Milano, 28 novembre 1994, a cura di E. Lingeri e L. Spi nelli, Milano, 1995, p. 78. 18. F. Luraghi, «Lavori di laurea nella Scuola Superiore d’Architettura di Ro ma», Architettura e Arti Decorative, f. 11, luglio 1929, pp. 499-514. 19. M. Manieri Elia, La “scuola romana” l’altro, ieri e oggi, in Principi e meto di della storia dell’architettura e l’eredità della “scuola romana", atti del Conve gno internazionale, Roma, 26-27-28 marzo 1992, a 'cura di F. Colonna e S. Costan tini, Centro stampa Ateneo, Roma, 1995, p. 58. Il giudizio di Piccinato compare in Pietro Aschieri architetto (1889-1952), Bulzoni, Roma, 1977, p. 129.
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mentale. Egli sostiene infatti che la comprensione degli stili del pas sato avvierà “razionalmente alla lenta preparazione di uno stile tutto nostro”20. La sua visione risponde a una sorta di evoluzionismo ele mentare - la “storia non facit saltus” - per cui dagli stili del passato deve derivare quello attuale. Lo studio della storia fa dunque da pen dant alla ricerca stilistica. La storia dell’architettura italiana, secondo Giovannoni, va strappata dalle mani degli storici dell’arte, studiata secondo nuovi criteri, gli eventi disposti secondo un nuovo ordine. E' necessario, di fatto, disegnare una nuova storia dell’architettura ita liana. Ma non tutta l’architettura e gli architetti del passato stanno sullo stesso piano e non tutti si prestano allo stesso modo alle istanze ideologiche e stilistiche presenti. Vanno privilegiati quei periodi in cui l’architettura italiana si è imposta nel mondo, quello romano an tico e rinascimentale in particolare. Va posto, invece, in secondo pia no il periodo medievale, troppo influenzato dai paesi d’oltralpe e ter reno insidioso per il teorema nazionalista della supremazia italiana. Allo stesso modo all’interno dell’architettura rinascimentale si de vono creare nuove gerarchie, mettere in prima fila gli architetti che hanno reinventato gli ordini architettonici degli antichi, che li hanno codificati e resi trasmissibili. Bramante, Antonio da Sangallo il Gio vane, Vignola e Palladio sono i quadrumviri della storia militante di Giovannoni. Maderno e Bernini i continuatori. Non a caso ai primi quattro dedica le voci sull’Enciclopedia italiana diretta da Gentile e a ognuno attribuisce, attualizzandolo, un preciso compito. Bramante è il rinnovatore dell’architettura italiana, il fondatore di uno stile na zionale della rinascenza; Sangallo il precursore del moderno profes sionista, chiamato a dare disegni di architettura in ogni parte d’Ita lia; Vignola l’ambasciatore dell’italianità nel mondo; Palladio il più vivo, il più moderno, l’architetto a cui può ancora riannodarsi la grande tradizione nazionale, “Palladio”, non a caso, s’intitola anche la sua rivista di studi storici. Un Giulio Romano, un Michelangelo, un Borromini, più insofferenti verso i canoni, sono invece più diffi cili da inserire in questo processo. Certe loro architetture eversive, di rottura di un codice formale dominante, inquietano chi cerca nel passato conferme alle “verità” del proprio presente. Le loro opere ri sultano meno funzionali alla costruzione storico-ideologica giovannoniana, di un nuovo stile italiano in continuità con la tradizione. Giovannoni rivendica lo studio della storia dell’architettura ai soli architetti. La polemica con Croce sulla diversità dell’architettura 20. G. Giovannoni, L'architettura italiana nella storia e nella vita, cit., p. 27.
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dalle altre arti e, di conseguenza, sulla diversità della storia dell’ar chitettura dalla storia dell’arte è anch’essa strumentale alla questione dello stile. Il metodo storico proposto da Giovannoni, incentrato sull’indagine morfologica e funzionale, si propone di offrire agli ar chitetti quei dati storici necessari per tracciare una continuità tra l’architettura del passato e il nuovo stile. La teoria di Croce, invece, pone l’architettura sullo stesso piano delle altre arti e indica, nella ricostruzione del processo creativo che trasforma in “lavoro d’arte il lavoro pratico”, il compito essenziale dello storico dell’architettura21. Il processo creativo avviene anche a prescindere dal legame di mi mesi con la tradizione. Attraverso il riconoscimento dell’esistenza di un processo creativo nell'arte e nell’architettura, di fatto Croce legit tima anche l’esistenza di un’architettura contemporanea, non neces sariamente generata da un repertorio formale classico, negata invece da Giovannoni. Questo aiuta a spiegare perché “in cinque anni di studi in una nostra Scuola superiore d’architettura mai si è pronun ciato il nome di Croce”22.
2. A “piccoli passi” verso le altre scuole di architettura La scuola di Roma è la scuola “pilota”, dove si sperimenta l’inse gnamento dell’architettura “integrale”. Per Giovannoni, essa è il centro di un sistema didattico, con le sue diramazioni periferiche a Venezia, Torino, Firenze, Napoli. Mentre la scuola di Roma è finanziata com pletamente dallo Stato, alle scuole periferiche, come si è visto, è ri chiesto un finanziamento da parte degli enti locali. È la data della con venzione tra lo Stato e gli enti locali a sancire la nascita ufficiale23. La prima tra queste scuole a essere fondata è quella di Venezia nel 1926, seguono la scuola di Torino nel 1929, di Napoli e di Firenze nel 1930. In tutte queste città, istanze e tentativi autonomi di istituire proprie scuole avvengono ben prima della data ufficiale di fondazione. Tutti i tentativi hanno origine all’interno delle accademie o degli istituti di 21. B. Croce, Di alcune difficoltà concernenti la storia artistica dell’architettura (1904), in Id., La critica e storia delle arti figurative e le sue condizioni presenti, Laterza, Bari, 1934, p. 88. 22. A. Pasquali, «Scuola di architettura», Casabella, n. 84, dicembre 1934, p. 36. 23. La scuola di architettura di Venezia è istituita con r.d. 2 dicembre 1926, n. 2358, quella di Torino con r.d. del 19 luglio 1929, n. 1578, quella di Firenze con r.d. del 26 giugno 1930, n. 1084, quella di Napoli con r.d. del 26 giugno 1930, n. 1085.
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belle arti. A Venezia il principale promotore è Giovanni Bordiga, a Torino Mario Ceradini, a Firenze Brizzi, a Napoli Mattia Limoncelli. Nella città lagunare, fin dal 1920 si è dimostrata la disponibilità a finanziare la scuola, ma da Roma non giunge alcun permesso per il varo dell’istituzione. I continui rinvìi, le difficoltà burocratiche, le diversità di trattamento tra Roma e Venezia appaiono incomprensibi li a Bordiga, che non nasconde le sue critiche a un ambiente romano ritenuto inquinato da sperperi e da favori personali: “Ma cosa ha fat to Venezia perché non possa ottenere pagando del proprio quello che a Roma hanno ottenuto facendo spendere il spendibile e mettendo insieme cattedre sopra cattedre a vantaggio soltanto di persone”24. In un primo momento Bordiga non coglie i caratteri di novità dell’ini ziativa romana e sembra intenzionato a voler trapiantare semplicemente la scuola di architettura sull’esistente impianto didattico dell’istituto di belle arti. Pungente è il commento che a Roma circo la attorno alla sua iniziativa: “Pare che Bordiga voglia fare le nozze coi fichi vecchi”25. In realtà, dietro il rifiuto romano va colto quel disegno più ampio di riordinamento generale dell’insegnamento dell’architettura che fa capo a Giovannoni e che è stato fatto proprio dalla riforma Gentile. Come scrive Frascherelli, così come concepita l’istituzione di una scuola a Venezia si scontra con le “ragioni di ar monia ... [del] sistema adottato”26. Bordiga tuttavia non si arrende di fronte alle difficoltà ministeria li. Nel dicembre del 1924 annuncia l’apertura di sua iniziativa dei corsi del primo biennio e l’iscrizione di 12 studenti. Soprattutto ora si preoccupa di rassicurare gli ambienti ministeriali che “la nuova scuola non si discosta dal tipo della scuola di Roma”, che le materie d’insegnamento teorico avranno nel loro complesso il medesimo programma27. Accanto a Guido Cirilli, docente di architettura all’ac cademia, vengono chiamati a formare il nuovo corpo docente Giu seppe Torres, Guido Sullam e Brenno Del Giudice, questi ultimi tut ti provenienti dal professionismo locale28. 24. Lettera di Giovanni Bordiga alla Direzione generale dell’istruzione superiore del 1 gennaio 1920, in ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 114. 25. Lettera del Segretario particolare della Presidenza del consiglio del 10 di cembre 1922. Ibidem. 26. Lettera di Frascherelli a Arduino Colasanti del 13 novembre 1923. Ibidem. 27. Lettera di Bordiga alla Direzione dell’istruzione superiore del 21 dicembre 1924. Ibidem. 28. Dal 1923 al 1926, Sullam ha diretto l’Istituto per le industrie artistiche di Monza, dove pure ha insegnato.
La fondazione della scuola di Venezia precede di alcuni anni quella delle altre scuole: un precorrere i tempi che trova una spiegazione nell’“efficace” sostegno politico dato dall’allora ministro delle Finan ze, il “doge” veneziano Giuseppe Volpi29. Ma l’adozione del program ma didattico romano non basta a renderla somigliante. Il corpo docen te più anziano proveniente dall’accademia delle belle arti non recepi sce il contenuto ideologico che costituisce il substrato della scuola di Roma. Tra i nuovi insegnanti, Giuseppe Torres e Sullam guardano all’esperienze della Secessione viennese30. Solo con un rinnovato cor po docente e con l’arrivo a metà anni trenta di altri insegnanti non ve neziani avverrà la lenta integrazione della scuola di Cirilli. Anche a Firenze, nel febbraio del 1924, viene presentato da Brizzi un ordine del giorno per l’istituzione della scuola superiore di ar chitettura31. La locale Associazione fra i cultori di architettura, che riunisce alcuni tra i futuri docenti come lo stesso Brizzi, Fagnoni, Luigi Zumkeller, è tra le più attive sostenitrici dell’iniziativa. Nell'aprile del 1926 vengono raccolti i fondi per il finanziamento della scuola, così da poter attivare già dall’anno accademico 192627 il primo biennio, completo degli insegnamenti delle materie scientifiche, presso l’accademia di belle arti32. Nel settembre 1927, Calza Bini, Di Giacomo e Fagnoni hanno un incontro con il mini stro Fedele per richiedere l’istituzione del terzo anno, conforme ai programmi della scuola di Roma. Non diversamente da quanto accade a Venezia e a Firenze, pure a Torino, siamo nel 1924, Ceradini presenta il suo progetto per l’isti tuzione graduale di una scuola di architettura33. Esso prevede che nella prima fase si completi il solo biennio, permettendo agli studen ti di passare di diritto al terzo anno della scuola di architettura della capitale. L’anno successivo, Ceradini dapprima riceve da Fedele l’autorizzazione a trasformare con opportune integrazioni il biennio speciale di architettura dell’Accademia albertina sul modello della 29. Lettera di Frascherelli a Volpi, s.d. Ibidem. 30. Cfr. G. Romanelli, Alle origini di una scuola. Appunti per quattro profili, in Progetti per la città veneta, Neri Pozza, Vicenza, 1982, pp. 19-32. 31. ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 47. 32. «Relazione del prof. Raffaello Brizzi», Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Firenze. Anni accademici 1930-31; 1931-32, p. 9. Cfr. anche C. Cresti, Architettura e fascismo, Vallecchi, Firenze, 1986, p. 307. 33. M. Ceradini, Per l’istituzione graduale di una scuola superiore di architettu ra in Torino, s.d., in ACS, PI, IS, div. II, 1919-38, b. 30.
scuola di Roma; poi, stranamente, a corsi avviati non riesce ad otte nere il riconoscimento giuridico34. Alla notizia del rifiuto, il diretto re dell’accademia non nasconde, come aveva fatto Bordiga, il suo disappunto per la politica incerta e filoromana del ministro: “Come altre volte scrissi, presumo che con mezzi ben più limitati di quelli che sono assegnati alle scuole di Roma, qui si possa istituire la scuola superiore di architettura”35. Nel 1926, Ceradini invia a Roma uno schema di convenzione sul modello di quella approvata per Venezia. Quando tutto pare pronto per la firma, giunge improvvisa la notizia di un nuovo rinvio, a cau sa di “importanti provvedimenti ... in corso”, di cui parleremo in se guito36. Le difficoltà incontrate da Ceradini si intrecciano con l’ano malia della situazione torinese. Qui, infatti, a differenza di quanto avviene nelle altre città, il sindacato architetti presieduto da Arman do Melis, non ha preso una chiara posizione a sostegno di Ceradini. La posizione del segretario regionale piemontese costituisce una smagliatura nella politica a senso unico di Calza Bini a sostegno del modello scolastico romano. Melis, d’accordo con il sindacato degli ingegneri, è contrario a una scuola autonoma di architettura e, in ar monia con la tradizione politecnica della città, è favorevole invece a una facoltà in seno alla scuola di ingegneria37. Nonostante i continui rinvii, nel dicembre del 1926 Ceradini deci de di dare inizio alle lezioni, che, assicura, seguiranno “i programmi e gli orari della scuola di Roma”. Al primo anno sono iscritti 15 al lievi, di cui 7 di nazionalità bulgara38. Ballatore di Rosana è incari cato di elementi costruttivi, Casanova di decorazione, Cento di dise gno architettonico, Giuseppe Maria Pugno di scienze delle costru zioni. Ceradini si assegna gli insegnamenti di composizione, restau ro e caratteri degli edifici39. 34. Lettera di Fedele a Ceradini del 4 marzo 1925; lettera di Ceradini alla Dire zione generale delle AABBAA dell’11 maggio 1925; lettera di Fedele a Ceradini dell’8 giugno 1925. Ìbidem. 35. Lettera di Ceradini alla Direzione generale delle AABBAA dell’ 11 novem bre 1925. Ìbidem. 36. Lettera di Colasanti a Ceradini del 7 gennaio 1927, in ACS, PI, IS, div. 11, 1932-45, b. 74, f. Convenzione. 37. Lettera di Melis e Giovanni Bernocco a Fedele del 5 luglio 1927, in ACS, PI, IS, div. II, 1919-38, b. 51. Bernocco è segretario provinciale del sindacato fasci sta ingegneri. 38. Lettera di Ceradini alla Direzione generale delle AABBAA del 7 dicembre 1926, in ACS, PI, IS, div. II, 1919-38, b. 30. 39. Lettera di Ceradini a Fedele del 7 dicembre 1926. Ibidem.
Nel 1926, Limoncelli intraprende le iniziative per l’istituzione della scuola a Napoli40. Nel giro di pochi mesi ha raccolto la dispo nibilità di diversi enti pronti a finanziare il progetto: tutto pare pron to per la firma della convenzione prevista nel luglio del 1928. L’in sediamento del nuovo ministro Giuseppe Belluzzo arresta l’iter di attuazione, ma non impedisce nel novembre del 1928 a una commis sione locale, composta tra gli altri dallo stesso Limoncelli, da Rai mondo D’Aronco, docente di architettura all’istituto di belle arti, e da Ulderico Masoni, direttore della scuola di ingegneria, di designa re insegnanti e insegnamenti e di procedere all’inizio dei corsi41: D’Aronco ha l’incarico di composizione architettonica, Vittorio Pan taleo di elementi costruttivi, Edoardo Caraman di caratteri degli edi fici e di storia e stili dell’architettura. L’anno accademico successi vo, il 1929-30, in sostituzione di D’Aronco, messo a riposo per limi ti d’età, viene chiamato il romano Calza Bini. Sulla sua nomina, fat ta anche su proposta di Limoncelli, e avvenuta senza concorso ma per “alta fama”, ritorneremo più avanti42. Gli insegnamenti sono ora impartiti secondo l’ordinamento della scuola di Roma e gli allievi iscritti sono 28. Oltre a Calza Bini, altri incarichi di insegnamento vengono asse gnati a Mario De Renzi, a Marcello Canino, a Ferdinando Chiaromonte, a Gino Chierici, soprintendente ai monumenti di Napoli e membro del Consiglio superiore delle belle arti. Molto difficilmente D’Aronco avrebbe chiamato Chierici, avendo espresso sul suo conto un giudizio assai negativo: “ un gran furbo ... ben attaccato alle fal de alquanto unte della velada del padreterno Giovannoni”43. La lenta scansione temporale con cui vengono create le scuole di architettura e i continui rinvii frapposti alla firma delle convenzioni, non dipendono solo da problemi finanziari. Da parte delle istituzioni locali si è registrata alcune volte una disponibilità maggiore di quella richiesta. Tutte e quattro le convenzioni con lo Stato ottengono il fi 40. Lettera di Fedele a Limoncelli del 16 ottobre 1926; Circolare di Limoncelli del 29 ottobre 1926, Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Napoli. Anno accademico 1930-31, pp. 6-7. 41. Lettera di Limoncelli a Colasanti del 2 luglio 1927; Lettera di Limoncelli al la Direzione generale delle AABBAA del 15 novembre 1928, in ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 74. 42. Lettera di Limoncelli alla Direzione generale delle AABBAA del 21 settem bre 1929. Ibidem. 43. Lettera di D’Aronco ad Annibaie Rigotti del 29 novembre 1929. R. D’Aron co, Lettere di un architetto. Del Bianco, Udine, 1982, pp. 294-295.
nanziamento dei comuni e delle province delle singole città. A questo si aggiunge la sovvenzione degli istituti di credito. A Venezia, in par ticolare, abbiamo una conferma del ruolo avuto da Volpi: di fatto, la scuola è una sua creatura. Ben otto, tra le società private che parteci pano al finanziamento, sono infatti presiedute dal ministro “paron”44. Il varo delle scuole di architettura è avvenuto lentamente perché ciò ha corrisposto a una precisa strategia. Da parte del ministero c’è la necessità di verificare la validità dell’esperimento romano, di coordinare i programmi delle nuove scuole in via di formazione con la scuola centrale, di creare le condizioni per trasferire il modello romano nei centri periferici. Bisogna procedere a “piccoli passi”, dopo avere consolidato bene le fondazioni della scuola, consiglia Giovannoni al ministro Fedele45. Dobbiamo credere che sia stato ascoltato. Alcuni anni più tardi, Frascherelli ribadirà che il parere fa vorevole all’istituzione di altre scuole, accanto a quella di Roma, può essere dato solo “a condizione però che fra tali nuovi organismi e la scuola vi fosse piena unità di indirizzo e di governo”46. Se ancora nel 1920 si proponeva che le scuole fossero “ripartite nelle varie regioni italiane e tanto meglio sarà se in esse rivivranno le tendenze stilistiche locali”47, con l’avvento del fascismo, con il dicastero Fedele in particolare, prende sempre più corpo un’idea ac centratrice: elevare l’“indirizzo stilistico” della scuola di architettura di Roma a modello per l’architettura della nazione. La necessità di riorganizzare gli studi di architettura nel loro complesso per dare at tuazione in tempi brevi a quest’idea spingerà Fedele, lo vedremo fra poco, a nominare un’apposita commissione.
3. Lotte tra docenti per l’egemonia nella scuola: Giovanno ni contro Piacentini Nel novembre del 1928, inaugurando l’anno accademico, Giovanno ni riprende le parole di Fedele per ribadire il concetto che le scuole di 44. Sulle società private presiedute da Volpi cfr. S. Romano, Giuseppe Volpi, Marsilio, Venezia, 1997 (1979), pp. 124-125, 249-255. 45. Relazione di Giovannoni a Fedele del marzo 1925, in ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 97, f. 1. 46. Appunto di Frascherelli per Belluzzo del 9 agosto 1928, in ACS, PI, IS, div. II, 1919-38, b. 57. 47. Relazione della commissione ministeriale formata il 20 gennaio 1920, in ACS, PI, AABBAA, div. Ili, 1927-29, b. 77.
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architettura sono anzitutto centri di italianità. Anche alla luce di quanto era successo all’esposizione razionalista di primavera il prodirettore avverte che nessuno spazio sarà concesso alle tendenze estere48. Contemporaneamente, la scuola disegna la nuova mappa degli in segnamenti e assume la conformazione didattica che rimarrà duratu ra. Giovannoni affida a Del Debbio l’insegnamento di disegno architettonico ed elementi di composizione, ai primi due anni. Il corso prevede esercitazioni su edifici romani antichi e su particolari mi chelangioleschi. Alcuni progetti, a conclusione dell’esercitazione, sono risolti “coerentemente” dagli allievi con l’uso di timpani spez zati, alla maniera del professore. Ufficialmente a causa dei troppi impegni e pur senza rinunciare alla sua “opera direttiva”, Giovannoni cede a Foschini l’insegna mento di composizione architettonica negli ultimi tre anni49. Verso Foschini, il prodirettore nutre grande stima fin dal 1916, quando gli aveva riconosciuto il merito di aver contributo a elevare “il livello della didattica” nell’Istituto di belle arti di via Ripetta. Più tardi, nel 1920, aveva apprezzato il suo intervento a difesa dei valori dell’ita lianità nell’insegnamento dell’architettura. Ora gli affida la materia più prestigiosa in una scuola di architettura50. Un passaggio di con segne importante, avvenuto nel senso della continuità e che incorona Foschini nel ruolo di eminenza grigia dell’architettura italiana. Negli anni successivi, Foschini tenderà ad allontanarsi dall’influenza di Giovannoni e a mettersi a fianco dell’amico Piacentini. Alle lauree presentate alla fine dell’anno accademico 1928-29, il primo dunque con gli allievi dell'ultimo anno seguili da Foschini, si avvertono già alcuni mutamenti: i lavori assegnati su temi di mode sta entità sono meno numerosi, mentre piti frequenti sono quelli su soggetti più impegnativi e rappresentativi, tutti su aree puntualmente individuate. E il caso dei progetti di Robaldo Morozzo della Rocca per una biblioteca da realizzarsi a Roma nei pressi del colle Oppio su un impianto di derivazione romano antica e di Andrea Busiri Vici per la nuova sede dell’Accademia di San Luca a Valle Giulia, “con 48. «Relazione del Prodirettore Prof. Gustavo Giovannoni», Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Roma. Anno accademico 1928-29, pp. 18-19. 49. Verbale dell'adunanza del consiglio della Scuola superiore di architettura di Roma dell’8 novembre 1928, in ACS, PI, IS, f. professori ordinari, III versamento, 1940-70, b. 208, Foschini Arnaldo. 50. Relazione di Giovannoni per la conferma di professore aggiunto di Foschini del 21 ottobre 1916. Ibidem.
un’adesione presso che completa all’ambiente romano del ’700”. Anche il progetto più apprezzato dalla commissione, lo stabilimento terapeutico di Mario Paniconi a Fiuggi nella campagna laziale, ab bandona il tema dell’architettura minore per un impaginato aulico, “ispirato al Cinquecento italiano”. Da questa produzione storicista si distingue il progetto di Ridolfi per una colonia marina a Castelfusano, nei pressi di Ostia, privo di decorazioni classiche, con un’aggre gazione pianimetrica che fa astrazione di modelli antichi. Con il progetto di Ridolfi è evidente l’intenzione di dimostrare che la scuola non impone un’unica “determinata tendenza artistica” e che esiste una libertà di orientamento, come fa osservare un redazionale della rivista del sindacato, ora diretta da Foschini. Una “diversità di in dirizzi” - da quelli stilistici ispirati all’architettura di Roma antica, al Cinquecento italiano, al Settecento romano a quello ispirato in astratto all’antico di Ridolfi — che comunque partecipa, “mutuamente”, alla “formazione di un unitario stile architettonico italiano moderno”51. La presenza in quella sessione di laurea di progetti “razionalisti” ri vela anche che all’interno della scuola si vanno definendo nuovi equili bri. Al ridimensionamento del ruolo didattico di Giovannoni fa infatti da contraltare l’accresciuto prestigio di Piacentini, nominato accademi co d’Italia nel marzo del 1929. La sua nomina e quella di Armando Biasini sono state “commentatissime”. Entrambi si sono valsi eli un am pio giro di raccomandazioni. Biasini ha fatto affidamento sull’appoggio di Margherita Sarfatti. Alquanto colorita ed eloquente è l’espressione con cui l’architetto descrive quella competizione per l’ambito titolo fal sala da intrallazzi e con cui giustifica la sua presenza tra gli accademici: “Che voi, amico mio, me so dovuto fa sotto, quando Tacque s’intorbi dano bisogna fa a chi pija pija se no se rimane indietro”52. Alla nomina di Piacentini contribuisce invece il caloroso e inte ressato appoggio di Calza Bini, che indica nel docente “il più com pleto e distinto esponente della moderna architettura” e che vede in quella carica assegnata all’amico “una soddisfazione morale conces sa a tutta la categoria”53. Vedremo più avanti come Piacentini ricam51. Redazionale, «Lavori di laurea nella Scuola Superiore di Architettura in Ro ma», Architettura e Arti Decorative, f. 2, ottobre 1930, pp. 61-89. Il progetto di Ri dolfi è valutato punti 105 su 110. 52. Informative del 23 marzo 1929 e del 16 dicembre 1929, in ACS, MI, PS, poi. polit., 1927-42, affari per materia, b. 153, f. 4. 53. Lettera di Calza Bini alla Presidenza del consiglio del 28 febbraio 1929, in ACS, PCM, 1928-30, f. 5.1.5499.
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bierà il favore sostenendo la nomina di Calza Bini a professore di architettura a Napoli. La vicenda della designazione ad accademico d’Italia non è solo la conferma dell’asse instauratosi tra Piacentini e Calza Bini, ma ri vela anche l’ampia rete di amicizie politiche e di appoggi di cui go de il docente di urbanistica. Sebbene sia ancora vivo il ricordo delle sue simpatie per il sindaco radicale Nathan e per gli ambienti della massoneria, nonostante non sia ancora iscritto al partito fascista, la sua nomina in questa istituzione che rappresenta il “braccio cultura le” del regime fascista incontra il favore di Francesco Giunta, sottosegretario di Mussolini. La stessa massoneria, pur messa fuori leg ge dal fascismo, non gli lesina l’appoggio, come appare dalla lette ra sibillina che il giornalista Carlo Tridenti invia a Giunta a soste gno dell’architetto romano: “Eccoti le note biografiche del mio ma stro muratore. Ti ringrazio molto, moltissimo del tuo affettuoso in teressamento”54. Un episodio, quest’ultimo, che conferma l’esistenza di rapporti complessi, tutt’altro che di semplice incompatibilità, tra massoneria e fascismo. Liste con nomi di fascisti, di grosso e piccolo calibro, iscritti alla massoneria all’epoca della marcia su Roma sono venute in possesso di Mussolini, che non è certamente sorpreso di trovarvi lo stesso segretario del partito fascista Roberto Farinacci, iniziato ai “Quinto Curzio” di Cremona il 6 dicembre 1915, Rossoni, Bottai, Costanzo Ciano e Italo Balbo, solo per fare alcuni nomi55. Trala sciando il caso di questi alti gerarchi - nel 1923 il Gran consiglio ha dichiarato incompatibile l’iscrizione al fascio e l’appartenenza alla massoneria -, più in generale l’affiliazione nei primi anni venti si era estesa ad ampi settori economici, militari, professionali, finan ziari del Paese. Un’epurazione severa dei massoni dalla vita pubbli ca avrebbe costretto il regime a escludere ampie fasce di alta e me dia borghesia. Così, dopo il giro di vite del 1926, conseguenza del passaggio del nuovo gran maestro del Grande oriente d’Italia Domizio Torrigiani all’opposizione politica al fascismo e della presunta partecipazione di Palazzo Giustiniani all’attentato di Tito Zaniboni 54. Lettera di Tridenti a Giunta del 15 marzo 1929. Ibidem. Tridenti è redattore del Giornale d’Italia. Giunta, sottosegretario di Stato alla Presidenza del consiglio, è presidente della Società edilizia italiana anonima. 55. ACS, SPD, CR, 1922-43, b. 58 e b. 62. Cfr. anche R. De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere. 1921-1925, Einaudi, Torino, 1995, p. 349; A. Mola, Storia della massoneria, cit., pp. 587-590.
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contro Mussolini, segue un breve periodo di decantazione. Anche ai fini di una nascente politica del consenso, il fascismo appare ora propenso ad accogliere al servizio degli interessi superiori della na zione pure uomini delle logge di non dichiarata fede fascista. Il titolo di accademico d’Italia, ambito anche da Giovannoni, e assegnato invece a un insegnante neppure ordinario, che si arroga “facoltà da superuomo”, incide sui precari equilibri di potere interni alla scuola. Tra Giovannoni e Piacentini è in atto uno scontro che ha per fine l’egemonia sulla scuola. All’origine ci sono sia questioni di prestigio personale, sia una diversità di punti di vista sull’architettu ra. Contrasti tra i due erano già emersi nel settembre del 1926 in se no alla rivista “Architettura e Arti Decorative”, che, come si è visto, affianca la scuola di architettura di Roma nel travaglio stilistico che deve condurre alla rinascita dell’architettura italiana. Piacentini allo ra accusava Giovannoni di avere scarsa comprensione dell’architet tura moderna. Quest’ultimo ricambiava attribuendogli un atteggia mento da “internazionalista demagogo”. Nelle nuove architetture di fese da Piacentini non intravedeva quell’“unità di tendenze che ... prelude a uno stile”. Non serve correre dietro - proseguiva Giovan noni - “agli ultimi figurini, oggi palladiani, domani costruttivi, do podomani tedeschi”. Occorre invece rafforzare l’opera di educazione architettonica, “intensificare la preparazione artistica e culturale di cui tanto hanno bisogno gli architetti”56. Nel dicembre del 1928 il dissidio esplode all’interno della scuola. Il prodirettore punta ora l’indice sulla difficile compatibilità tra gli interessi professionali sempre più vasti di Piacentini e la dedizione all’insegnamento. Al collega incaricato di edilizia cittadina fa seve ramente notare che la sua intensa attività di architetto e la didattica sono ormai “due cose non convergenti, ma antitetiche”. Giovannoni, inoltre, si oppone alla nomina di Piacentini a professore ordinario, da assegnare non per concorso ma per “alta fama”. La proposta di nomina, che Piacentini va sollecitando, deve inizialmente provenire dal consiglio dei professori della scuola, per essere poi sottoposta al giudizio del consiglio superiore57. Giovannoni ritiene che questa 56. Lettera di Giovannoni a Piacentini del 16 settembre 1926 in A. Curimi, Gu stavo Giovannoni. Pensieri e principi di restauro architettonico, in La cultura del restauro. Teorie e fondatori, a cura di S. Casiello, Marsilio, Venezia, 1996, p. 277. 57. La nomina per “alta fama”, riservata a chi “per opere, scoperte, insegnamen ti” si è dimostrato “maestro insigne della materia”, è prevista dall'art. 17 del r.d. 30 settembre 1923, n. 2102.
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istanza di Piacentini debba essere subordinata all’opportunità di mettere a concorso altre cattedre, nell’interesse generale dell’indiriz zo didattico della scuola. La questione, scrive rivolto al collega, non può essere svilita “ad un diritto tuo ed a una opposizione mia”58. Nel luglio del 1929 questa rivalità si trasferisce sui destini dell’edilizia romana, con le vicende del piano del Gruppo La Burbe ra. A conclusione del secondo anno della sua direzione, Giovannoni presenta nella sede del sindacato architetti un piano, in cui prevede la riorganizzazione dell’antico centro di Roma, con la creazione di un immenso foro tra piazza di Spagna e piazza Colonna. Il piano si può leggere come il manifesto della scuola di Roma: è infatti ideato dal prodirettore assieme a un folto gruppo di docenti, tra cui i due insegnanti di composizione Foschini e Del Debbio e quello di storia Vincenzo Fasolo59. Viene invece di proposito escluso dal gruppo il docente a cui la scuola assegna l’insegnamento dell’urbanistica60. L’iniziativa di Giovannoni appare come un estremo tentativo di iso lare l’ambizioso Piacentini. Contro il piano e contro Giovannoni si scaglia Piacentini. Questi, a sua volta, con grande abilità, predispone assieme ai giovani Piccinato, Giuseppe Nicolosi e Cesare Valle, un piano alternativo che prevede invece di salvaguardare la città vecchia, di contenere l’espansione della periferia, di creare nuove città satelliti nella zona dei colli in direzione sud-est61. Qui i giovani architetti, scrive Pia centini, non sono costretti a venire a continui accomodamenti con l’antico, qui “creeranno in piena libertà il loro stile, il nostro stile, veramente fascista e italiano”62. Ma poiché Piccinato, Nicolosi e Valle sono all’epoca anche assistenti della scuola di architettura - ri spettivamente di Piacentini, Foschini e Calza Bini -, il loro progetto diviene allora anche il contromanifesto della scuola del domani, da opporre a quello dell'attuale prodirettore. Mentre Piacentini si propone come maestro per i giovani e si pro nuncia apertamente per uno stile “veramente fascista e italiano”, 58. Lettera di Giovannoni a Piacentini del 17 dicembre 1928, in A. Curuni, Gu stavo Giovannoni, cit., p. 278. 59. Gli altri due docenti sono Giuseppe Boni e Alessandro Limongelli. 60. “Piacentini che era l’architetto più moderno che c’era, non era stato voluto da Giovannoni”. Testimonianza di Luigi Piccinato in Pietro Aschieri architetto (1889-1952), cit., p. 142. 61. Cfr. V. Fraticelli, Roma 1914-1929, cit., pp. 425-457. 62. M. Piacentini, «Roma e l’arte edilizia», Pegaso, n. 9, settembre 1929, p. 314. 92
dall’altro canto il piano del Gruppo La Burbera non va visto come un incidente di percorso. Crediamo, all’opposto, che vada letto co me una meditata proposta di intervento sull’antico. Analoghe posi zioni concettuali sono infatti difese da Giovannoni nello stesso pe riodo nel campo del restauro dei monumenti, a conferma di un chia ro convincimento teorico, valido per il singolo monumento come per la città antica. Emblematica, in questo caso, è sua la tesi a favore del completa mento di un edificio del Palladio, la Loggia del Capitanio a Vicenza. Mentre è improponibile integrare un’opera medievale perché signifi cherebbe realizzare un falso, viceversa il docente di restauro ritiene possibile portare a termine, anche dopo oltre tre secoli, un’architet tura di Palladio63. Se il mondo medievale è distante dalla cultura contemporanea, e perciò inimitabile, quel passato rinascimentale ap pare invece a Giovannoni assai meno lontano64. La conoscenza sto rica e la vicinanza di civiltà e di pensiero giustificano il completa mento di un’architettura del Rinascimento. La convinzione di per correre con la scuola la strada che porta al nuovo stile italiano so stiene la scelta di fondo del piano del Gruppo La Burbera. Legittima la possibilità di innestarsi, in un continuum stilistico, nella città sto rica, di “completare” la capitale con un nuovo foro. I due piani per Roma del 1929 mettono dunque a confronto le due anime della scuola e segnano l’inizio del declino della figura di Gio vannoni all’interno dell’istituzione scolastica e l’emergere di quella di Piacentini. La tensione tra i due docenti nell’agosto del 1929 è massima. Giovannoni arriva al punto di chiedere a Belluzzo l’esone ro dalla commissione per la libera docenza, perché la presenza di Piacentini gli creerebbe “troppe difficili condizioni di giudizio”65. Eppure alcuni mesi dopo, nel febbraio del 1930, di fronte alle pres sioni, il prodirettore è costretto a cedere al docente di urbanistica e accettare che al suo rivale venga assegnato per chiara fama il posto di professore, resosi vacante con la morte di Manfredi. Dopo la no 63. P. Nicoloso, «La Loggia del Capitanio a Vicenza: 1926-39», Eidos, n. 4, giugno 1989, pp. 7-13. 64. G. Zucconi, “Dal capitello alla c i t t à " . P r o f i l o dell’architetto totale, in G. Giovannoni, Dal capitello alla città, a cura di G. Zucconi, Jaca Book, Milano, 1997, p. 38; P. Nicoloso, «La “Carta del restauro” di Giulio Carlo Argan», Annali di architettura, n. 6, 1994, pp. 101-102. 65. Lettera di Giovannoni a Belluzzo del 31 agosto 1929, in ACS, PI, IS, div. I, 1924-33, b. 17.
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mina politica di Piacentini ad accademico d’Italia, era diventato più difficile ostacolarne la scalata ai vertici della carriera universitaria66. Anche dopo l’ascesa di Piacentini, Giovannoni continuerà a im personare nella scuola il ruolo di paladino della continuità con la tradizione architettonica. La sua ostilità verso l’architettura moderna gli procura critiche. Chi crede nel binomio tra nuovo stile architetto nico e nuovo regime, pensiamo a Bardi o a Pagano, giudica, sul pia no del linguaggio, anacronistico il ruolo politico svolto dalla scuola di architettura di Roma e coglie un valido motivo per contestare, a otto anni dalla presa del potere, l’inerzia del fascismo verso l’archi tettura. Contro le accuse di costoro, sordo a ogni richiamo alla mo dernità, Giovannoni difende l’azione del fascismo a favore delle scuole. Anche se ora non si avvertono pienamente i risultati, egli è certo che l’insegnamento impartito in quelle sedi avrà grande in fluenza sulla nuova architettura italiana. Polemico con chi parla di stile fascista - “uno stile architettonico fascista artificiosamente messo a tavolino sarebbe un’espressione in dividuale e arbitraria” -, Giovannoni ribadisce la propria teoria: l’ar chitettura “non facit saltus” e, come “il linguaggio” si trasforma len tamente. Spiega la strada fino allora seguita, il “complesso lavoro collettivo” svolto, l’educazione impartita agli studenti nelle nuove scuole di architettura e rassicura sul domani: “lo stile fascista verrà, dunque, per questa via ampia e diretta”67. Ma in questa scuola, dove “si parla continuamente dello stile che nascerà” - scrive alla metà degli anni trenta Alessandro Pasquali su “Casabella” - l’architettura si “arresta al Piermarini” e le teorie degli architetti moderni sono giudicate “antiarchitettoniche” dal suo prodi rettore68. Agli studenti non è consentito richiamarsi a queste teorie. Giovannoni non vuole che tra i libri della biblioteca di facoltà com paia Vers une architecture di Le Corbusier69. Nella sua funzione di capo istituto esercita un controllo sui corsi di composizione di Fo schini. Nel 1920, il docente di composizione si era distinto per la se verità con cui era intenzionato a imporre l’indirizzo della scuola. Ora 66. Verbale della seduta della scuola del 21 febbraio 1930, in ACS, PI, IS, f. professori ordinari. III versamento, 1940-70, b. 375, f. Marcello Piacentini. 67. G. Giovannoni, «Architettura e politica», Università fascista, n. 2, febbraio 1931, pp. 7-10. Vedi anche Id., «Problemi attuali dell’architettura italiana», Nuova Antologia, f. 1425, 1 agosto 1931, p. 328. 68. A. Pasquali, «Scuola di architettura», cit., p. 37. 69. M. Manieri Elia, La “scuola romana" l’altro ieri e oggi, cit., p. 57.
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alterna posizioni più liberali a condotte ossequiose alle direttive di Giovannoni. Così accade che un progetto razionalista di Pasquale Carbonara venga stroncato da Foschini. Il progetto di Quaroni, sia mo nel 1933, per l’esame di composizione del quarto anno, ispirato a Le Corbusier, è invece apprezzato dallo stesso Foschini, che però dissuade il suo promettente allievo dal presentarlo: “Sa com’è, c’è Giovannoni in commissione, a Lei la boccerebbero”70. A Francesco Fariello, che nello stesso anno presenta all’esame di laurea, relatore Foschini, il progetto di un politecnico ispirato a Gropius, Giovannoni commenta: “questo significa guastarmi la scuola di architettura”. E per punire le scelte del laureando propone, d’accordo con Milani e Roberto Marino, di togliergli otto punti dalla media finale71.
4. Per un indirizzo romano delle scuole di architettura: Belluzzo contro Fedele Di pari passo all’istituzione e alla valorizzazione delle scuole di architettura, si profila un’azione tesa a limitare il ruolo delle scuole di ingegneria. Già Croce durante il suo dicastero aveva giudicato in esubero il numero di iscritti in ingegneria, 7000 in cifra tonda. In sintonia con il filosofo napoletano, Gentile poneva tra gli obiettivi della riforma sull’istruzione superiore la riduzione degli iscritti in queste scuole, che avevano licenziato 8000 ingegneri negli ultimi cinque anni72. Nella stessa direzione si muove ora, nel 1927, anche Pietro Fedele. Il ministro, succeduto ad Alessandro Casati, dispone che alla fine dei 5 anni di studi in ingegneria non venga più rilascia ta la laurea, ma solo un diploma di ammissione all’esame di stato per l’abilitazione. Il titolo di dottore può essere conseguito solo da chi compie ulteriori studi, postesame di stato, della durata di un an 70. Testimonianza di Ludovico Quaroni in Pietro Aschieri architetto (18891952), cit., p. 131. Quaroni è iscritto al terzo anno nel 1930-31 e al quarto nel 1932-33. Nei 1931-32 non compare tra gli iscritti sull’annuario della scuola perché militare. Cfr. anche Ludovico Quaroni. Architetture per cinquant’anni, a cura di A. Terranova, Gangemi, Roma, 1985, pp. 63, 70. 71. «Francesco Fariello. Intervista del 20 aprile 1991 a cura di Giuseppe Strap pa», Bollettino della Biblioteca del Dipartimento di Architettura e Analisi della Città, Università degli studi di Roma «La Sapienza», febbraio 1993, p. 81. 72. Cfr. M. Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, cit., p. 200.
no73. Una disposizione questa che dunque avvantaggia indirettamen te i laureati della scuola di architettura di Roma e di Venezia, rispet to ai diplomati delle scuole di ingegneria. Lo storico Fedele, eletto deputato nel 1924 nel “listone” fascista, per la sua tendenza clericale è un noto avversario della riforma Gen tile, ma durante il suo dicastero la scuola di architettura di Roma ri ceve un avallo ancora maggiore. L’adeguamento del sistema scola stico alle istanze del fascismo intrapreso dal ministro - “fascistizza re la scuola è il mio compito” aveva sostenuto in un discorso alla Camera - passa anche attraverso un ulteriore potenziamento della scuola di architettura, attraverso il riconoscimento della priorità poli tica assunta dalla questione dello stile nazionale. È durante il ministero Fedele, infatti, che si assiste al tentativo di assegnare solo alle scuole di architettura l’insegnamento della mate ria. Quando il Consiglio superiore della pubblica istruzione, presie duto da Gentile, invoca un coordinamento “fra gli istituti che attual mente convergono all’architettura, in modo da dare unità d’indirizzo ad essi”, Fedele non si limita ad accogliere pienamente questa ri chiesta74. Nella lettera di risposta a Gentile, infatti, egli rilancia con forza il ruolo “importantissimo” assegnato dal fascismo alle scuole di architettura per restituire all’arte italiana il suo posto egemone nel mondo e dichiara il suo “fermo intendimento” affinché la scuola di architettura di Roma sia “la scuola tipo a cui tutte le altre convergo no”. E il ministro non si limita ad attribuire una funzione politica al le scuole, ma ne prescrive pure l’indirizzo artistico: non una scuola “agnostica”, non un luogo di penetrazione delle teorie internazionali e di banale imitazione delle forme estere, ma un centro di italianità “nell’ideale, nel sentimento, nel metodo”75. Manifesta è l’identità di vedute con le tesi di Giovannoni. Il principio della libertà di ricerca universitaria, difeso seppure con ambiguità da Gentile, negli intenti di Fedele viene facilmente piegato e posto al servizio della volontà di potenza e di grandezza della nazione. La commissione incaricata di coordinare e di riordinare l’insegna mento superiore dell’architettura viene nominata nell’autunno del 73. R.d. 7 ottobre 1926, n. 1977. 74. ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 97, f. 2. Cfr. anche appunto di Frascherelli per Belluzzo del 9 agosto 1928, in ACS, PI, IS, div. II, 1919-38, b. 57, f. Riordina mento degli istituti superiori di architettura. 75. Lettera di Fedele a Gentile del 12 luglio 1927, Annuario della R. Scuola Su periore dì Architettura di Roma. Anno accademico 1927-28, pp. 65-66.
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1927. Vi fanno parte quattro insegnanti della scuola di Roma, Giovan noni, Piacentini, Milani, Magni, il presidente dell’Accademia di San Luca Tullio Passarelli, e il segretario del sindacato architetti Calza Bi ni. Si tratta di una commissione rigorosamente “romana” e anche la primitiva ipotesi di includere il torinese Ceradini viene subito scartata. La commissione si riunisce da gennaio a maggio. Non sono stati ritrovati i verbali, ma da un appunto di Frascherelli se ne conoscono le conclusioni. La commissione prevede di creare, accanto alle due scuole esistenti di Roma e di Venezia, nuove scuole a Torino, Napo li, Firenze e Milano. Intende sopprimere le sezioni di architettura presso le scuole di ingegneria di Bologna, Napoli e Palermo, chiude re i corsi di architettura presso le accademie di Bologna e Palermo, ma conservare quello di Napoli. Propone, infine, di istituire presso il consiglio superiore una sezione apposita per queste scuole76. I punti di vista all’interno della commissione non sono omogenei. Il dissidio tra Giovannoni e Piacentini fa capolino anche in questa sede. Esiste una tesi dominante e accentratrice, sostenuta da Giovannoni, che tende a imporre una più pronunciata “unità di indirizzo” alle scuo le di architettura e una tesi opposta di Piacentini, che ritiene “assurdo che si possa istituire un tipo unico di scuola superiore”. Pur confer mando il proposito di assegnare alla scuola di architettura a Roma il ruolo di “madre e modello di tutte le altre”, per Piacentini l’insegna mento nelle altre scuole non può disconoscere le condizioni dell’am biente locale. Inoltre, egli si oppone alla soppressione delle sezioni di architettura nelle scuole di ingegneria e in particolare a quella di Mila no, che dà “ottimi frutti e che non va cambiata”77. Alla luce della posi zione accentratrice difesa più tardi da Piacentini, non va però esclusa l’ipotesi che il suo argomentare sia più influenzato da personali beghe romane con Giovannoni, che da un preciso orientamento culturale. Le proposte della commissione nominata da Fedele restano lettera morta a causa del rimpasto governativo del luglio 1928, che insedia Belluzzo al ministero della Pubblica istruzione. Con la nomina di Belluzzo, che provoca le immediate dimissioni di Gentile dal consi glio superiore, le cose cambiano decisamente. L’ex ministro del l’Economia nazionale, docente della scuola d’ingegneria di Milano, presidente dell’Associazione nazionale ingegneri e architetti italiani, 76. Appunto di Frascherelli per Belluzzo del 9 agosto 1928, in ACS, PI, IS, div. II, 1919-38, b. 57, f. Riordinamento degli istituti superiori di architettura. 77. R. Papini, «Le scuole superiori di architettura», Corriere della sera, 13 no vembre 1928
esponente di punta delle componenti tecnocratiche del fascismo, è nettamente contrario alle scuole di architettura78. Appena insediato alla Minerva, Belluzzo si propone di dare attua zione al progetto di ristrutturazione dell’insegnamento tecnico, già ap prontato durante la permanenza al dicastero dell’Economia nazionale. Il suo progetto assegna alle scuole di ingegneria un ruolo di primo pia no nella trasformazione in senso tecnocratico dello Stato fascista79. So no ora gli ingegneri, e non gli architetti, l’élite tecnocratica da affianca re al potere politico. Il valore della competenza proprio degli ingegneri si contrappone alle accentuate connotazioni ideologiche dei secondi. È evidente la distanza tra il punto di vista di Belluzzo e le conclu sioni della commissione nominata da Fedele. “In fatto d’architettura - avverte Belluzzo - non sono d’accordo con le conclusioni della commissione la quale, così costituita, non poteva giudicare diversamente”. Per Belluzzo il modello da seguire nell’istituire le scuole di architettura non è la scuola di Roma, ma rimane la sezione di archi tettura del politecnico di Milano. Inoltre, prosegue il ministro, l’isti tuzione delle nuove scuole di architettura richiederebbe uno sforzo finanziario ben maggiore rispetto al mantenimento delle attuali se zioni nelle scuole d’ingegneria80. Per di più in queste scuole, scrive altrove il ministro, gli allievi ricevono un’istruzione “più vasta e ri spondente alle odierne esigenze dell’arte del costruire”, mentre all’opposto nelle scuole di architettura non si distingue ancora l’in segnamento dell’architettura classica dall’insegnamento dell’archi tettura moderna81. La sua proposta di creare ad hoc una nuova catte dra di architettura moderna va letta allora come la più evidente sconfessione del disegno giovannoniano che sottende all’istituzione delle scuole e che prefigura la nascita del nuovo stile dallo studio dell’architettura classica82. 78. Cfr. M.C. Colleoni, L’associazionismo professionale degli ingegneri italiani: dai collegi di fine Ottocento al sindacato fascista, in II Politecnico di Milano nella storia italiana (1914-1963), cit., voi. I, p. 166. 79. I. Granata, Un tecnocrate del fascismo: Giuseppe Belluzzo, in Il Politecnico di Milano nella storia italiana (1914-1963), cit., voi. ,1, pp. 233-250. 80. Lettera di Belluzzo a Frascherelli del 2 agosto 1928, in ACS, PI, IS, div. II, 1919-38, b. 57, f. Riordinamento degli istituti superiori di architettura. 81. Lettera di Belluzzo a Michele Castelli del 24 settembre 1928, in ACS, PI, IS, div. II, 32-45, b. 74. 82. Sulla nuova cattedra voluta da Belluzzo cfr. A. Calza Bini, «La Facoltà di Architettura nelle R. R. Università italiane», Gli annali delle università d’Italia, n. 1, 29 ottobre 1939, p. 69.
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Le idee di Belluzzo allarmano il sindacato architetti. Calza Bini dopo aver incontrato il ministro parla di delicato momento per le scuole d’ar chitettura e invita, con un intimidatorio fare fascista, i camerati alla cal ma83. Sulle pagine del “Corriere della Sera”, Papini denuncia l’esistenza di “una corrente che fa capo ad alcuni circoli d’ingegneri che vorrebbe ridurre le scuole d’architettura a semplici sezioni dei Politecnici”84. Oltre alla resistenza degli architetti, il progetto di Belluzzo trova l’autorevole opposizione di Gentile, che vi coglie immediatamente un tentativo di riqualificare degli studi di ingegneria all’interno del l’ordinamento universitario. “Quel fesso di B.[elluzzol voleva fondere l’ingegneria nell’Università”, scrive l’ex ministro che con vince Mussolini a non accettare il cambiamento85. La permanenza di Belluzzo nelle stanze del nuovo palazzo del mi nistero delle Pubblica istruzione è breve: nel settembre del 1929, vie ne sostituto con il gentiliano Balbino Giuliano86. Le proposte della commissione del 1928 possono essere così portate a termine, almeno nella parte centrale, e nel maggio del 1930 vengono create le scuole di Firenze e di Napoli87. Al ministro Giuliano, il segretario del sinda cato e preside della scuola di Napoli, riconoscente per i “favori” rice vuti, esprimerà la gratitudine della classe degli architetti88.
5. Le scuole periferiche: Firenze, Napoli, Torino e Venezia Con l’apertura dell’anno accademico 1930-31, accanto alla scuola di Roma operano dunque altre quattro scuole superiori di architettu ra. “Quattro città, quattro scuole, quattro missioni diverse; ma tutte con Roma al centro, cardine e guida”, con un compito ben definito e concorde, “il trionfo dell’architettura italiana”, annuncia con orgo glio il segretario del sindacato. Pochi mesi prima, davanti ai colleghi 83. A. Calza Bini, «Scuole di Architettura», Architettura e Arti Decorative, f. 2, ottobre 1928, Supplemento, Sindacato Nazionale Architetti. Pagine di vita sindacale. 84. R. Papini, «Le scuole superiori di architettura», cit. 85. J. Charnitzky, Fascismo e scuola: la politica scolastica del regime, la Nuova Italia, Firenze, 1996, pp. 255-256. §6. I. Granata, Un tecnocrate del fascismo: Giuseppe Belluzzo, cit., p. 250. 87. L’istituzione della scuola superiore di architettura di Torino porta la firma di Belluzzo. 88. A. Calza Bini, «Nella presidenza della confederazione», Architettura. Sup plemento sindacale della rivista del Sindacato Nazionale Fascista Architetti, n. 1, 25 gennaio 1934, p. IV.
deputati, ha avvertito che anche la sezione del Politecnico di Milano dovrà presto adeguarsi alle altre89. In totale, nell’autunno di quell’anno si sono iscritti nelle cinque scuole di architettura 445 studenti, di cui 233 a Roma, 64 a Torino, 58 a Firenze, 54 a Napoli, 36 a Venezia: da soli, gli iscritti della scuola di Roma formano oltre la metà degli studenti. A fine anno verranno conseguite 40 lauree in architettura, di cui 20 a Roma, mentre i nuovi architetti abilitati all’esercizio della professione sa ranno in tutto 3190. Il divario con le scuole di ingegneria rimane molto marcato: nel ramo civile il numero dei laureati nell’anno ac cademico 1931-32 è quasi dieci volte maggiore91. A Napoli, il nuovo direttore Calza Bini sta mettendo a punto la sua giovane scuola. Nel dicembre del 1930, data dell’inizio ufficiale, chiama da Messina l’assistente di Enrico Calandra, Giuseppe Samonà, e da Roma l’assistente di Piacentini, Piccinato: al primo affi da l’insegnamento di applicazioni di geometria descrittiva, al secon do di edilizia cittadina e arte dei giardini92. Assegna l’incarico di ri lievo dei monumenti a Roberto Pane, che si è laureato a Roma e che gode del sostegno di Giovannoni, e quello di arredamento a Giovan ni Battista Ceas. Conferma gli insegnamenti dell’anno precedente a Pantaleo, a Chiaromonte, a Chierici e a Canino, “il mio più diretto e valoroso collaboratore”; rigetta la domanda di insegnamento di Ca millo Guerra93. Tra novembre e dicembre di quell’anno, a ridosso 89. «Discorso dell’on. prof. Alberto Calza Bini», Annuario della R. Scuola Su periore di Architettura di Napoli. Anno accademico 1930-31, p. 24; «Un discorso del segretario nazionale del sindacato alla Camera dei deputati», Architettura e Arti Decorative, f. 8, aprile 1930, Supplemento, Sindacato Nazionale Architetti. Pagine di vita sindacale. 90. I dati sugli iscritti ricavati dai singoli annuari non corrispondono a quelli for niti dall ’Annuario delle città italiane. In particolare risulta gonfiato il dato sugli studenti iscritti a Napoli, con 88 studenti invece di 54. Cfr. Istituto Nazionale di Ur banistica, Annuario delle città italiane, Roma, 1934, parte II, pp. 191-217. Alla fine dell’anno accademico 1930-31 vengono rilasciate 4 lauree dalla scuola di Venezia, 2 dalla scuola di Firenze, nessuna dalla scuola di Napoli. 91. I laureati in ingegneria civile sono 391. «Prospetto numerico dei laureati in ingegneria civile, industriale e in architettura in Italia nell’anno accademico 193132», L’ingegnere, n. 5, maggio 1933, p. 409. 92. Nel 1930 Calandra si trasferisce dall’Università di Messina alla Scuola supe riore di architettura di Roma, dove insegna caratteri degli edifici al terzo anno. 93. Gino Chierici, soprintendente ai monumenti di Napoli, insegna storia e stili dell’architettura. «Discorso dell’on. prof. Alberto Calza Bini», Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Napoli. Anno accademico 1930-31, p. 28. Tra i 54 iscritti, ci sono Luigi Cosenza, già laureato in ingegneria, e il figlio del direttore, Giorgio Calza Bini.
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dell’apertura della scuola napoletana, Canino, Pane, Piccinato e Samonà hanno ottenuto la libera docenza94. Nel 1931, la scuola napoletana assume una più marcata fisiono mia. Nella relazione che accompagna lo schema di statuto, Limoncelli indica negli studi di storia dell’architettura l’indirizzo specifico dell’istituto partenopeo e su iniziativa di Chierici, molto vicino a Giovannoni - il suo “domestico” secondo un’altra malevola defini zione di D’Aronco95 -, viene costituito un Archivio storico dell’ar chitettura del Mezzogiorno96. Calza Bini promuove Samonà affidan dogli l’insegnamento di elementi di architettura e composizione e fa arrivare da Roma il suo collaboratore di studio De Renzi, che aveva già avuto un incarico nel 192997. Piccinato concepisce il suo corso di urbanistica sul modello di quello di Piacentini, seppure con taglio storico più pronunciato98. Se la scuola di Calza Bini si distingue per essere molto legata at traverso le persone all’ambiente romano e per la gestione, almeno in apparenza, dinamica e funzionale, ben diversa appare la realtà nella scuola di architettura di Venezia. La situazione “strana e inso stenibile” dell’ambiente didattico veneziano è descritta con reali smo in una lettera che il direttore Cirilli invia a Mussolini. Cirilli, giunto a Venezia nel 1913 quando fu nominato senza concorso tito lare della cattedra di architettura, voluto dall’allora direttore gene rale delle belle arti Corrado Ricci, lamenta ora l’isolamento suo e 94. Canino, Pane e Samonà ottengono la libera docenza il 5 novembre con la commissione composta da Gaetano Moretti, Foschini e Milani; Piccinato il 18 di cembre con la commissione composta da Giovannoni, Milani e Piacentini. 95. Lettera di D’Aronco ad Annibaie Rigotti del 29 novembre 1929, in R. D’Aronco, Lettere di un architetto, cit., pp. 294-295. 96. Limoncelli propone un insegnamento triennale di storia e stili dell’architettu ra che non compare però nello statuto. Relazione di Limoncelli alla Direzione dell’istruzione superiore del 2 febbraio 1932, in ACS. PI, div. II, 1932-45, b. 74, f. Statuto. 97. «Discorso inaugurale dell’anno accademico 1931-32 pronunziato il 22 no vembre 1931 dal Direttore prof. on. G.U. Alberto Calza Bini», Annuario della R. Istituto Superiore di Architettura di Napoli. Anno accademico 1934-35, pp. 7-14. De Renzi è incaricato di arredamento e decorazione; entra nello studio di Calza Bi ni nel 1919: G. Ciucci, De Renzi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto en ciclopedico italiano, Roma, 1991, voi. 39, p. 109; M.L. Neri, Mario De Renzi, cit., p. 20. 98. Annuario della R. Istituto Superiore di Architettura di Napoli. Anno accade mico 1934-35, pp. 125-126; Annuario dell’Istituto Superiore di Architettura di Ro ma. Anno accademico 1934-35, pp. 130-131.
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della scuola". Il direttore denuncia le difficoltà di gestione e i pessi mi rapporti che egli intrattiene col presidente deir accademia Bordiga, “dal temperamento tutto speciale”, che ostacola ogni sua iniziati va e lo spinge a minacciare le dimissioni. Anche la mancanza di in segnanti, a cui cerca di supplire con l’aiuto del giovane assistente Carlo Scarpa, rende incerto il prestigio didattico della scuola. Inol tre, diversamente da Napoli, Venezia annovera diversi docenti di età molto avanzata: Giovanni Bordiga ha 77 anni, Pietro Paoletti ne ha 82, Augusto Sezanne 75. Le difficoltà di Venezia non derivano solo dai difficili rapporti in terpersonali tra docenti, ma hanno motivazioni più vaste. Più prende corpo il disegno di dare un’unità di indirizzi tra le scuole, più la città lagunare viene ad assumere una posizione anomala. La tradi zione didattica dell’accademia di belle arti è legata alla storia della città, all’architettura gotica. Il progetto di Boito di un’architettura nazionale neomedievale è ancora vivo e stride con il progetto giovannoniano di uno stile nazionale in continuità con la tradizione ro mana. I tentativi di Cirilli di togliere la scuola dall’isolamento, di sfruttare il nome e il fascino architettonico della città, per farne una sede per studenti stranieri, rivelano il disagio di una città che non è più considerata la capitale della modernità nell’accezione di Boito. L’attivazione di un corso di architettura sacra, affidato a Giuseppe Torres, al posto dell’insegnamento di edilizia cittadina o la singolare posizione di Cirilli, contrario all’introduzione di un corso sul ce mento armato, perché “finirebbe per distrarre” dalla vocazione arti stica il futuro architetto, sono entrambi segni di un ritardo veneziano e di un disorientamento di fronte al nuovo corso romano100. A Firenze, il discorso inaugurale della scuola è pronunciato nel gennaio del 1931 da Ugo Ojetti, che sottolinea la funzione educatri ce e non nozionistica della scuola. Se l’istituzione delle scuole di ar chitettura è stata la prova di una coscienza nazionale riconquistata, 99. “In seguito alle vive insistenze di Corrado Ricci ... accettai la cattedra di Venezia”. Lettera di Cirilli a Mussolini dell’11 febbraio 1931, in ACS, PI, div. II, 1932-45, b. 114; Cfr. anche C. Sonego, Carlo Scarpa. Gli anni della formazione, tesi di laurea, Iuav, Venezia, 1995, p. 22. 100. Lettera di Bordiga a Giuseppe Torres del 29 febbraio 1928, in AIV, sc. 20. Lettera di Cirilli al ministero dell'Educazione nazionale del 13 maggio 1932, in ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 114. L’insegnamento di architettura sacra viene im partito fino al 1935. Altra singolarità del piano di studi della scuola di Venezia è data dall’insegnamento di composizione di architettura minore, affidato dal 1926 al 1933 a Del Giudice e poi trasformato in disegno architettonico e rilievo dei monumenti.
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l’istituzione della scuola nella città toscana è un esplicito invito a es sere italiani. Evidente è la polemica contro l’architettura razionale e contro chi sostiene che dai nuovi materiali - il ferro e il cemento possa nascere una nuova architettura101. E in questa occasione che Ojetti usa l’espressione, rimasta celebre, di “liquida melma” per in dicare il cemento. Una traccia dell’indirizzo da assegnare alla scuola è contenuto nel la lettera che alcuni giorni dopo l’inaugurazione Giovannoni invia a Brizzi. Giovannoni, non distante dalle posizioni di Ojetti, riconosce a Firenze condizioni particolarmente adatte per lo studio dell’architet tura. Qui l’ambiente architettonico, diffuso anche nelle costruzioni modeste, rimasto sobrio anche nel Settecento e nell’Ottocento, “viene incontro al sentimento moderno”. Se il programma della scuola farà propri questi criteri, assicura Giovannoni, la scuola di Firenze assu merà un ruolo predominante su tutta l’architettura italiana102. L’invito di Giovannoni è raccolto da Brizzi. Nella relazione di apertura al secondo anno, il direttore della scuola di Firenze confer ma di non avere ammesso deviazioni, né eccessi, di partecipare con la scuola alla formazione di uno stile nuovo, semplice, concepito nel lo spirito della tradizione103. Accanto a Michelucci, incaricato di arre damento e tecniche della decorazione, Brizzi ha chiamato anche due giovani laureati della scuola di Roma, non ancora trentenni: Fagnoni, per l’insegnamento di caratteri degli edifici, e Concezio Petrucci, per edilizia cittadina e arte dei giardini. Fagnoni che, come si è visto, è stato tra i più attivi fautori della scuola, detiene pure importanti cari che politiche: fa parte del direttorio nazionale del sindacato ed è membro del Consiglio nazionale delle corporazioni. A sua volta il giovane docente ha chiamato nella scuola come proprio assistente Enrico Bianchini, con cui divide anche l’attività professionale104. Se a Napoli e Firenze, tra i docenti di composizione si può indivi duare un omogeneo indirizzo didattico - in tutte e due le scuole si insegna a ricercare una continuità formale tra la tradizione e la nuo 101. U. Ojetti, «Per inaugurare la fiorentina di architettura», Annuario della R. Scuola Superiore di architettura di Firenze. Anno accademico 1930-31; 1931-32, pp./15-23. Il discorso viene pronunciato il 1 marzo 1931. 102. Lettera di Giovannoni a Brizzi del 18 marzo 1931, Annuario della R. Scuo la Superiore di Architettura di Firenze. Anno accademico 1930-1931, pp. 199-201. 103. «Relazione del prof. Raffaello Brizzi», Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Firenze. Anno accademico 1930-1931, p. 34. La relazione viene letta il 14 febbraio 1932, all’inaugurazione del secondo anno accademico. 104. C. Cresti, Architettura e fascismo, cit., p. 308.
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va architettura -, qualcosa di diverso sta invece accadendo a Torino. Solo nella città sabauda, scrive Pagano, si registra un’atmosfera fa vorevole all’architettura moderna105. Qui, nel novembre del 1931 siamo quindi dopo l’esposizione razionalista di primavera - Ceradini inaugura l’anno accademico con un chiaro pronunciamento a fa vore dell’architettura razionale: “confermo e avvaloro quel movi mento di assoluto distacco dall’antico nell’architettura”. Pure condividendo una posizione simile a quella di Ojetti - è an tifascista, e perciò antistatale, la scuola di architettura che non edu ca, ma distribuisce solo nozioni -, Ceradini giunge a esisti opposti e individua il suo compito educativo nell’essere “radicalmente innova tore”. I suoi studenti sono invitati a guardare ai modelli “più nobili” dell’architettura contemporanea, a quelle “veloci case di acciaio che solcano i mari, la terra e il cielo”, a creare i nuovi edifici senza fare ricorso alle tradizioni stilistiche106. Un rinnovamento dei programmi d’insegnamento è auspicato da Ceradini con l’introduzione di corsi di illuminazione razionale, di tecnica dei materiali, di economia edi lizia, di studio dell’architettura moderna. A Ceradini fa eco Papini, chiamato nel febbraio del 1932 dalla scuola di Firenze a inaugurare l’anno accademico. Con un discorso tutto rivolto ai giovani - “io sono fraternamente coi giovani ... sotto la bandiera del razionalismo” - Papini all’opposto di quanto affer mato l’anno prima da Ojetti, coglie la tradizione nei numeri, nelle proporzioni, nella ricerca della semplicità, la “divina semplicità”107. Non solo l’intervento del critico toscano segna una netta frattura con quanto detto l’anno prima da Ojetti, ma si allontana anche dalle pa role di ortodossia giovannoniana di Brizzi, che l’ha appena precedu to. Invano, e ingenuamente, Giovannoni ha tentato alcuni giorni pri ma una manovra di distensione verso Papini. Il dualismo tra Gio vannoni e Piacentini si ripropone nella scuola toscana e d’altronde Papini è un “ambasciatore” di Piacentini. I discorsi di Ceradini, in primo luogo, e di Papini non possono non preoccupare Giovannoni. Prontamente Brizzi rassicura il “maestro” Giovannoni che le direttive didattiche non sono cambiate, che la 105. G. Pagano. «Professori 1932 Laureandi 1932», La Casa bella, n. 50, feb braio 1932, pp. 16-19. 106. M. Ceradini, «La scuola e l'Architettura moderna». Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Torino. Anno accademico 193h32, pp. 9-20. 107. R. Papini, «Architettura e semplicità», Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Firenze. Anno accademico 1930-31', 1931-32, pp. 37-45.
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scuola “si mantiene sulla via di sana modernità toscana e italiana”108. Il 25 aprile 1932 i cinque direttori delle scuole di architettura sono convocati a Roma dal ministro. La riunione è presieduta da Frascherelli, che indica in Giovannoni il simbolo stesso delle scuole109. Il prodirettore della scuola di Roma sottolinea il significato storico as sunto dall’istituzione della scuola nella rinascita dell’architettura in Italia, che “era come morta”. Difende il carattere propedeutico di al cuni insegnamenti e avverte l’esigenza di conformare il biennio di studi delle altre quattro scuole a quello della scuola di Roma. Pur senza invocare un’“assoluta” uniformità di insegnamento, e ricono scendo in ogni singola scuola un “distinto centro di cultura”, Giovan noni tuttavia ribadisce la necessità, già espressa quattro anni prima, di dare alle cinque scuole di architettura un’“unità di indirizzo”110.
6. La facoltà di architettura di Milano Agli inizi degli anni trenta, la sezione di architettura della scuola di ingegneria di Milano rappresenta il modello didattico antagonista alla scuola romana. Essa è l’unica scuola che rilascia un cospicuo numero di lauree in architettura civile - nell’anno accademico 1930-31 gli iscritti sono 68 e il laureali 17 - ma clic non partecipa al vasto progetto di Giovannoni di dare “unità di indirizzo” alle scuole di architettu ra, essendo inclusa tra quelle di ingegneria. Nel 1931 l’insegnamento dell'architettura è impartito in particolare da tre docenti: accanto a Gaetano Morelli, ordinario di architettura e composizione architettoni ca, ci sono Ambrogio Annoili, incaricato di organismi e storia dell’architettura e Piero Portaluppi, incaricato di architettura pratica. Ricordiamo la peculiarità del caso milanese. Fin dai tempi di Boi to la sezione di architettura si vale della collaborazione degli inse gnanti dell’Accademia di belle arti di Brera e ottiene un riconosci mento didattico quasi unanime. A detta di Giuseppe Colombo, essa 108. Lettera di Brizzi a Giovannoni del 22 gennaio 1932, in AGG, se. curricu lum vitae. 109. Frascherelli è chiamato a dirigere l’istruzione superiore da Gentile nel set tembre del 1923, dopo il rifiuto di Piero Calamandrei. G. Turi, Giovanni Gentile, cit., p. 309. 110. Verbale della riunione del 25 aprile 1932; Lettera di Giovannoni al ministe ro dell’Educazione nazionale del 18 ottobre 1932, in ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 97, f. 7.
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è già di per sé una “scuola superiore di architettura”111. Questo me todo di studi integrato era stato fatto proprio dalla scuola di Roma, ma con alcune differenze sostanziali. A Milano, nei primi anni venti, non compaiono gli insegnamenti di storia dell’arte, di rilievo e di re stauro dei monumenti, di edilizia cittadina, sostituiti da un corso biennale di fisica. Anche l’insegnamento di composizione architetto nica, qui denominato semplicemente architettura, denota le diversa finalità tra le due scuole: quella di Colombo e di Gaetano Moretti, impegnata ad offrire una valida e aggiornata preparazione professio nale, quella di Manfredi, che a questo obiettivo aggiunge quello del la ricerca di uno stile per la nazione. A Milano, poi, fino al 1921 viene impartito un corso facoltativo di archeologia medievale, affidato a Ugo Monneret de Villard. La storia dell’architettura medievale, secondo una tradizione di studi le gata a Boito, è al centro degli interessi della scuola. Le esercitazioni di Gaetano Moretti all’ultimo anno si svolgono secondo i canoni dello stile medievale, quelle di Annoni si concludono con la “mo derna” architettura neoromanica. Ma il neomedievalismo lombardo sta cedendo ormai il passo alla romanità e nella scuola non ha la for za di proporsi come stile di una nazione. In via di esaurimento nella sua valenza ideologica, decentrato rispetto ai nuovi eventi politici, il neomedievalismo trasmuterà, pensiamo soprattutto alla didattica di Annoni, in uno strumento d’indagine sulle condizioni originarie di un periodo architettonico. Per i suoi risvolti conoscitivi offrirà un contributo determinante nello smantellare l’insegnamento accademi co fondata sull’applicazione degli stili. Alla metà degli anni venti, sia Annoni, sia Portaluppi sono favo revoli al mantenimento della sezione nell’ambito del politecnico112. Entrambi gli insegnanti hanno un peso nella vita didattica non infe riore a quello di Moretti, chiamato a dirigere la scuola dopo la scomparsa di Boito. Dal 1919 al 1925, è in realtà Portaluppi, impa ni. Sulla didattica nella sezione di architettura del Politecnico di Milano nel periodo antecedente il 1915 cfr. O. Selvafolta, L’Istituto tecnico superiore di Mila no. metodi didattici ed ordinamento interno (1863-1914); V. Fontana, La Scuola speciale di architettura, entrambi in II Politecnico di Milano. Una scuola nella for mazione della società industriale, Electa, Milano, 1981, pp. 87-118, 228-246. O. Selvafolta, La scuola di architettura al Politecnico di Milano negli anni della formazione di Muzio, in L’architettura di Giovanni Muzio, catalogo della mostra, a cura di F. Buzzi Ceriani, Abitare Segesta, Milano, 1994, pp. 25-35. 112. Cfr. lettera di Luigi Zunini del 10 giugno 1925, riportata in: L. De Stefani, Le scuole di architettura, cit., p. 161. 106
rentato con Ettore Conti, il vero docente di architettura113. Per tutto quel periodo, infatti, Moretti è impegnato nell’attività professionale in Uruguay e in Argentina: al malcostume delle lunghe e periodiche assenze, collezionate sempre e proprio in coincidenza con i mesi della didattica, solo il ministro Gentile sembra porre un freno114. Annoni, che è genero di Gaetano Moretti, ha invece un ruolo im portante nel rinnovamento della didattica nella scuola. Nel 1924, quale rappresentante del politecnico, partecipa al Congresso per l’in segnamento dell’architettura che si tiene a Londra115. Sua è la pro posta, avanzata nel 1919, di introdurre nella sezione di architettura un nuovo corso per “aprire gli occhi e la mente” dello studente, una richiesta che risponde all’esigenza di rinnovamento di Moretti nell’anteguerra116. Nel nuovo corso voluto da Annoni - che “io chia merei di organismi e forme dell’architettura” - lo studio degli edifici del passato non è più finalizzato all’apprendimento di “assiemi de corativi” da applicare con “eclettica disinvoltura”, ma è inteso a in dagare i “perché estetici e costruttivi”117. Si gettano così le basi per un apprendimento critico degli “stili”, che certamente gioca un ruolo importante nella formazione degli architetti milanesi. Questo spirito critico si ritrova nel Gruppo 7 - siamo a cavallo tra il 1926 e il 1927 - le cui idee maturano nell’ambiente scolastico del poli tecnico e i cui scritti deplorano l’uso delle applicazioni stilistiche all’ar 113. La moglie di Portaluppi, Lia Baglia, è la nipote prediletta di Conti, e ne assu me per decreto il cognome. Cfr. E. Conti, Dal taccuino di un borghese, cit., p. 420. I 14. Gaetano Moretti è solito chiedere, a decorrere da novembre, due mesi di congedo a cui fa seguire una seconda richiesta di aspettativa per “molivi di fami glia”. Nel novembre del 1923 Gentile si rifiuta di firmare la richiesta e Morelli 6 costretto a rientrare precipitosamente in Italia. Nell’anno accademico 1924-25 l'as senza si limila a “soli” 45 giorni. E' lo stesso Moretti a indicare Portaluppi come suo sostituto. AAB, Fondo Carpi, E. IV, 23. Tra il 1913 e il 1915 era stato sostitui to da Stacchini. Sull’attività di Moretti in Sud America cfr. L. Rinaldi, Gaetano Moretti, Guerini e Associati, Milano 1993, pp. 66-68. Sulle proposte di Moretti di rinnovare l’insegnamento dell’architettura impartito a Brera cfr. G. Ricci, L’archi tettura dell’Accademia di Belle Arti di Brera, in L’architettura nelle accademie riformate, cit., pp. 280-281. 115. «Congresso internazionale di educazione architettonica a Londra», Architet tura e Arti Decorative, f. 10, giugno 1924, pp. 471-474; L’Italia al congresso inter nazionale dell’architettura a Londra, ivi, agosto 1924, p. 575. 116. Moretti nel 1914 propone di istituire un corso di storia dell’arte del costrui re e uno di costruzione moderna per sviluppare lo “spirito di riflessione” dell’allie vo. Cfr. L. De Stefani, Le scuole di architettura, cit., p. 151. 117. Lettera di Annoni a Colombo del 7 agosto 1919, in AAB, Fondo Tea, G. Ili, 19.
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chitettura118. Il programma per l’architettura pubblicato dal gruppo è in forte contrasto con il progetto didattico di Giovannoni. Esso contiene, in fatti, un giudizio nel complesso negativo sulle scuole, alcune delle quali “appaiono oggi un anacronismo”. Queste scuole, scrive il Gruppo 7, uti lizzano metodi di studio superati, non educano a una cultura dell’“esteti ca tecnica”, si distinguono per le “imposizioni dogmatiche”, insegnano la storia delle forme e non la storia dello “spirito di un’epoca”119. Il clima di apertura che appare dalle proposte di Annoni è conte stato da Gino Pollini. Egli ricorda che Figini e Terragni, due futuri componenti del Gruppo 7, sono bocciati a un esame, perché insoffe renti verso le esercitazioni scolastiche in stile pseudoantico120. Nep pure il loro compagno di corso Bottoni conserva un’immagine molto liberale della scuola. “Qui - annota in un taccuino d’università, con un dialetto che mette in scherno una didattica passatista - se studia la stele greca e mobili e architetture de Masolino e altri. Ve sono de corazioni del castello d’Urbino e poi rilievi de monumenti romani. Qui se studia architettura lombarda”. Influenzati da questi insegnamenti i progetti dello studente Bottoni, come il Palazzo per audizio ni musicali per il corso di architettura di Gaetano Moretti del 1924, sono disegnati in stile classicista121. Il giudizio negativo di questa generazione di studenti non muta alcuni anni dopo. Nel 1931, in piena polemica sull’architettura ra zionalista, Terragni ribadisce la sua critica negativa. Senza percepire differenze tra la sezione di architettura milanese e le scuole superiori di architettura, e pur riconoscendo la validità dell’istruzione tecnica impartita, l’architetto comasco contesta “l’indirizzo artistico” di un insegnamento fondato “su forme classiche”122. 118. All’epoca del primo articolo del Gruppo 7, che porta la data del 7 novem bre del 1926, Ubaldo Castagnoli è già laureato da un anno. Non ancora Figini e Terragni, che discutono la tesi il 16 novembre del 1926, né Pollini, che si laurea nel 1927. Rava ha il titolo di professore di disegno. 119. Gruppo 7, «Architettura (III)», Rassegna italiana, marzo 1927; ora in Ma teriali per l’analisi dell’architettura moderna. La prima Esposizione Italiana di Ar chitettura Razionale, cit., pp. 56-57. 120. La testimonianza di Pollini è riportata da: G. Polin, Libera e il Gruppo 7, in Lìbera, cit., p. 52. 121. G. Tonon, Dagli stili alla ricerca come stile. 1922-29, in Piero Bottoni, cit., pp. 18-19. 122. G. Terragni, «Per una architettura italiana moderna», La Tribuna, 23 marzo 1931; ora in Materiali per l’analisi dell'architettura moderna. Il Miar, a cura di M. Cennamo, Società editrice napoletana, Napoli, 1976 (d’ora in poi cit. con la sigla 11 Miar), p. 246.
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Eppure, anche se non colte da Terragni, agli inizi degli anni trenta tra Milano e Roma rimangono ancora quelle differenze nei piani di studio riscontrate dieci anni prima123. A Milano, rispetto ad allora, la novità maggiore è di aver aggiunto nel febbraio del 1930 il corso di tecnica urbanistica124. L’insegnamento è affidato a Cesare Chiodi, che nel 1926 si era associato all’idea di Ardy e aveva richiesto per questa nuova scuola di urbanistica la sede a Milano. In quell’occa sione, Chiodi, ingegnere di formazione, aveva contestato una visio ne dell’urbanistica circoscritta all’estetica cittadina e soggetta al “dominio degli architetti”. Inoltre, il docente milanese aveva indiret tamente criticato la validità dell’unico insegnamento universitario di urbanistica, quello romano di Piacentini125. A differenza di quest’ultimo, il corso di Chiodi privilegia gli aspelli tecnici della disciplina. Se le lezioni di Piacentini sono ricche di letture architettoniche degli spazi urbani, di suggerimenti compositivi, le lezioni di Chiodi forni scono agli studenti dati, percentuali, formule matematiche, criteri di dimensionamento126. Tra Milano e Roma persiste dunque un distinto orientamento di dattico che si coglie in una diversa distribuzione delle materie: men tre a Milano lo studio della storia dell’architettura è impartito solo negli ultimi due anni, a Roma è concentrato nei primi due. Nella ca pitale, attraverso l’insegnamento della storia dell’architettura, il ri lievo degli edifici antichi, le esercitazioni di composizione, si vuole dare all’allievo del biennio una prima e basilare impronta formativa. Questa particolare distribuzione degli insegnamenti è voluta espres samente da Giovannoni e su questi aspetti il prodirettore misura la differenza tra una scuola di architettura che si limita a istruire e una che si propone di educare. Lo studio della storia nei primi anni di scuola è fondamentale per incidere sulla formazione culturale e arti 123. Il confronto è stato fatto sulle materie d’insegnamento dell’anno accademi co 1931-32. 124. «Lezioni di tecnica urbanistica», L’ingegnere, n. 2, febbraio 1930, p. 137. 125. C. Chiodi, «Per la istituzione di una scuola d’urbanismo». La casa, n. 2, febbraio 1926, pp. 79-85. 126. C. Chiodi, Lezioni di tecnica urbanistica. Anno accademico 1932-1933, a cura di G. Cavaglieri, Gruppo universitario fascista Ugo Pepe, Milano. Le dispense costituiranno materiale per il libro La citici moderna, pubblicato nel 1935. Cfr. C. Mcrlini, Note sull'urbanistica di Chiodi e G. Fossa, Cesare Chiodi e la Scuola di Urbanistica del Politecnico di Milano, in Politecnico di Milano, Archivio Cesare Chiodi: materiali e letture, a cura di S.F. Lucchini, Progetto Leonardo, Bologna, 1994, pp. 153-189.
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stica dello studente, per forgiare la “coscienza della tradizione”. All’opposto, se insegnata negli anni successivi, quando l’allievo è avviato a temi concreti, la storia perde il suo fine educativo, diviene semplicemente un “complemento di nozioni”127. Questo è esattamente ciò che avviene nella sezione di architettura di Milano, il cui piano di studi fa capo all’ordinamento delle scuole di ingegneria, malgrado le spinte di Gaetano Moretti e Annoni per un avvicinamento all’ordinamento romano: spinte più strumentali al rag giungimento di una maggiore autonomia interna al politecnico, che non indizi di un’adesione alle idee didattiche di Giovannoni128. Dieci anni più tardi. Ernesto Nathan Rogers coglierà con precisione le diffe renze - “gli errori” - tra le due scuole, che sintetizzerà come 1’“agno sticismo” di Milano e l’“accademismo” di Roma. A Milano i “profes sori lasciarono entrare l’aria; ma non insegnarono nessuna ginnastica respiratoria affinché nei giovani s’allargassero i polmoni”129. Nell’agnosticismo della scuola milanese — conosciuto però più dalla generazione di Rogers, che si iscrive nel 1927, che da quella di Terragni - trovano spazio le istanze dei giovani razionalisti. L’anno di maggiore cambiamento, di maggiore apertura didattica, è il 193132 ed è quindi successivo alla mostra razionalista di Roma. Nel di scorso che inaugura l’anno accademico, non diversamente da quanto sostenuto negli stessi mesi da Ceradini a Torino e da Papini a Firen ze, Annoni parla di una “svolta” del l’architettura italiana. Rove sciando le affermazioni fatte da Ojetti a Firenze, il docente milanese avvalora l’uso dei nuovi materiali, del ferro e del cemento armato, perché attraverso essi l’architettura ritrova la corrispondenza tra or ganismo e forma artistica. Ma, per Annoni, la tecnica non deve im primere un carattere sovranazionale. Per evitare di cadere nel “bol scevismo”, nell’“ateismo pratico”, l’architettura deve mantenere ca ratteri italiani, persistere nella ricerca di un “nazionalismo nell’ar te”130. A fine anno, all’interno del corso di Annoni, una tesina pre 127. Lettera di Giovannoni a Francesco Ercole del 18 ottobre 1932, in ACS, PI, DI, div. II, 1932-45, b. 97, f. 7. 128. Cfr. con la proposta di Moretti e Annoni di modifica dello statuto del 1931 in: L. De Stefani, Le scuole di architettura, cit., p. 164. 129. E.N. Rogers, «Problemi di una scuola di architettura», Bollettino del Centro studi per l’edilizia, n. 3-4, agosto-settembre 1944; ora in Id., Esperienza dell’archi tettura, a cura di L. Molinari, Skira, Milano, 1997, pp. 48-49. 130. A. Annoni, «Per la gioia di vivere. L’architettura italiana a una svolta nella vita e nella scuola», Il Monitore Tecnico, n. 12, dicembre 1931, p. 453. Ringrazio Michelangelo Sabatino per avermi segnalato l’articolo di Annoni.
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sentata da Rogers, uno dei suoi più brillanti allievi, approfondisce il tema posto dal docente: il rapporto tra struttura ed estetica. L’archi tettura razionale, pur priva di ornamenti, scrive Rogers, non manca di uno spirito decorativo, ma questo va sottoposto alle sole leggi in trinseche dell’igiene, dell’economia, della tecnica131. La mostra dei saggi scolastici, che si tiene tra luglio e agosto del 1932, conferma il cambiamento in atto132. Su invito dei professori, Bardi ha visitato la mostra e scrive che questa di Milano sembra “la scuola più coerente con il nostro tempo”. A Milano, la “buffonata de gli stili è volata via dalle aule” e i lavori presentati dalla nuova gene razione di studenti, “bambina” ai tempi della marcia su Roma, con ferma raffermarsi di “idee estetiche che da due anni dibattiamo”. Bardi preferisce cogliere nell’atteggiamento degli insegnanti del capoluogo lombardo non agnosticismo, ma la volontà di comprendere “il diritto degli alunni”. Il riferimento è a Portaluppi, relatore delle te si di Luigi Banfi, Ludovico Belgiojoso, Enrico Peressutti e Rogers, esposte alla mostra. A Portaluppi, Bardi contrappone la figura di un altro docente della scuola, un “architetto culturalista milanese, seduto, testa fra le mani”, forse Muzio, presente alla mostra, incapace di co municare con i giovani, tutto preso da “nuove faccende”133. A questo docente, all’epoca assistente di tecnica urbanistica, già collaboratore di Piacentini nel palazzo della Banca Bergamasca a Bergamo, divenu to libero docente di edilizia cittadina e arte dei giardini nel 1930 con Piacentini in commissione, Bottoni e compagni hanno cucito addosso l’appellativo di “fratello di latte di S.E. Marcello”134. Ma al di là della provocazione polemica di Bardi, il ruolo di Muzio in quella scuola è ancora di secondo piano. “Qui al politecnico - lamenta a Giovannoni - tutte le porte sono chiuse, mi hanno risposto che i corsi li hanno già, tecnici al Chiodi, artistici al Portaluppi e Annoni”135. 131. La tesina di Rogers verrà pubblicata l’anno dopo. Cfr. E.N. Rogers, «Signifi cato della decorazione nell’architettura», Quadrante, n. 7, novembre 1933, pp. 16-20. 132. Alcuni progetti di laurea sono in parte presentati in: «I laureati della Scuola superiore d’architettura presso il Politecnico di Milano», Rassegna d'architettura, n. 12, 15 dicembre 1932, pp. 515-530. 133. P.M. Bardi, «La scuola superiore di architettura», L'Ambrosiano, 6 agosto 1932. 134. Lettera di Bottoni a Daniele Calabi dell’8 novembre 1932, in APB, Corri spondenza. I rapporti tra Muzio e Piacentini sono ampiamente descritti in F. Irace, Giovanni Muzio. 1893-1982, Electa, Milano, 1994. 135. Lettera di Muzio a Giovannoni del 10 settembre 1931, in AGG, carteggio 1930-1947.
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Eppure proprio questa scuola, la “più coerente” per Bardi, la più elogiata dai razionalisti, sarà oggetto di lì a pochi mesi di un inter vento legislativo volto a mutarne la collocazione e la struttura didat tica136. Con la trasformazione da sezione in facoltà, la scuola viene inclusa nel numero delle facoltà di architettura e, allo stesso tempo, resa autonoma dalla facoltà di ingegneria. Come dirà Calza Bini, si è voluto in questo modo riconoscere “l’opportunità di un’indipen denza che sarà garanzia di ulteriori sviluppi”137. La domanda di elevare la sezione di architettura in facoltà è per venuta dalla stessa scuola di ingegneria138. Milano si trova infatti nella condizione di non potere dare uno sbocco agli studenti del li ceo artistico diplomati a Brera e intenzionati a continuare gli studi superiori in architettura. Da qui la soluzione, abilmente suggerita da Frascherelli, di trasformare la sezione di architettura in facoltà. Una decisione contrastata all’interno del Politecnico, sostenuta da Gaeta no Moretti e che trova Carlo Isnardo Azimonti “sinceramente e reci samente dichiarato contrario”, accettata solo a condizione che la nuova facoltà di architettura rimanga “intimamente collegata a quel la di ingegneria”139. Ma quando la richiesta giunge al consiglio superiore, essa viene accolta da Fedele, d’accordo con il ministro Francesco Ercole, solo a condizione che la nuova facoltà sia inquadrala tra le altre scuole di architettura140. Ora dunque anche Milano deve accettare il piano di studi imposto da Roma. La prima decisione intrapresa dal ministero è di inserire, come voleva Giovannoni, nei primi due anni gli inse gnamenti di storia dell’architettura, di disegno architettonico ed ele menti di composizione, di rilievo dei monumenti. Ad Azimonti, che stupito si interroga sul perché di queste modifi che, il ministro risponde che pure Milano deve adesso seguire 136. R.d. 26 ottobre 1933, n. 2392. 137. Cfr. la relazione di Calza Bini in «Il Consiglio nazionale del Sindacato fa scista architetti», Architettura, ottobre 1933, f. X, Supplemento, Sindacato Naziona le Architetti. Pagine di vita sindacale, p. 664. 138. Consiglio della Scuola di ingegneria del 14 ottobre 1932, in ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 63, f. 5. Sono presenti Carlo Isnardo Azimonti, Alessandro Amerio, Angelo Barbagelata, Giuseppe Bruni, Umberto Cisotti, Arturo Danusso, Giacomo Levi, Ferdinando Lori, Gaetano Moretti, Oscar Scarpa, Filippo Tajani. 139. Lettera di Gaetano Moretti a Frascherelli del 12 settembre 1932. Ibidem. 140. Foglio di Ercole a Fedele, del 22 ottobre 1932, in ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 114, f. 2; Adunanza del Consiglio superiore dell’Istruzione superiore del 24 ottobre 1932, in ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 63, f. 5.
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quell’“unicità d’indirizzo” in vigore nelle scuole di architettura. Per l’“ottima prova” fornita dalla scuola romana quell’ordinamento va applicato anche alle altre sedi141. Nel settembre del 1933 viene firmata la convenzione che istitui sce la nuova facoltà di architettura e Gaetano Moretti è il nuovo pre side. In novembre, il direttore Gaudenzio Fantoli inaugura il nuovo corso accademico e applaude i vasti risultati raggiunti dalla sua scuola di ingegneria: solo un asettico comunicato annuncia la crea zione e l’inizio dei corsi nella nuova facoltà di architettura142.
141. Lettera di Azimonti a Ercole, del 29 aprile 1933; lettera di Ercole a Azimonti del 13 maggio 1933, in ACS, PI, IS, div. Il, 1932-45, b. 63, f. 5. 142. «Relazione del Direttore per l’inaugurazione dell’annata didattica 193334», R. Istituto Superiore d’ingegneria di Milano. Annuario. Anni accademici 1932-33; 1933-34, p. 40. Gli studenti iscritti al primo anno della facoltà di architet tura sono 27, tre in meno dell’anno prima.
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IV. Carriere accademiche e scuole contestate
1. Scorciatoie di palazzo romane: professori in cattedra senza concorso La legge, che nel 1919 istituisce la scuola di Roma, assegna tre posti per professori di ruolo, occupati da Manfredi, Aristide Gianelli e Sebastiano Locati1. A quella data deve ancora costituirsi e assume re una posizione stabile quel gruppo di docenti che darà l’effettiva impronta alla scuola. Nel 1923, Gentile eleva i posti di ruolo a cin que e, nel 1925, Fedele ne aggiungerà altri due. Tra il 1926 e il 1927 diventano professori ordinari Vincenzo Fasolo e Foschini, e a questi si aggiunge nel 1930 Piacentini2. Nello stesso anno arriva da Messi na a coprire la cattedra di caratteri degli edifici l’ex allievo di Erne sto Basile, Enrico Calandra. A quella data la scuola di Roma ha dun que ben quattro professori ordinari nelle sole materie attinenti l’ar chitettura e cioè Calandra, Vincenzo Fasolo, Foschini e Piacentini. Una così alta presenza di ordinari non trova paragoni in nessun al tro istituto universitario. Il politecnico di Milano, ad esempio, alla stessa data può contare sul solo Gaetano Moretti. Nell’ambito dei 1. Si riferiscono alle cattedre di composizione, di scienze delle costruzioni e di rilievo e restauro dei monumenti. 2. Cfr. Tabella D del r.d. 30 settembre 1923, n. 2102. Cfr. la relazione di Man fredi, Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Roma. Anno accademi co 1925-26, p. 9. Nel 1927, oltre a Magni, Fasolo e Foschini sono insegnanti stabi li: Manfredi per composizione architettonica, Gioacchino De Angelis d’Ossat per mineralogia e geologia applicate, Gustavo Tognetti per rilievo dei monumenti, Ugo Arnaldi per analisi matematica. Per un quadro organico del personale docente della scuola di Roma cfr. La facoltà di architettura di Roma nel suo trentacinquesimo anno dì vita, a cura di L. Vagnetti, Roma, 1955.
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concorsi universitari, uno squilibrio così evidente permette alla scuola di Roma di imporsi con facili giochi di squadra. Ai quattro ordinari effettivi si sommano inoltre Giovannoni e Milani, lì presenti in veste di incaricati, ma con la cattedra a ingegneria. Di conseguenza, la lista dei nomi sottoposta al ministro per la composizione delle commissio ni nella quasi totalità dei casi comprende professori della scuola di ar chitettura della capitale. Ma il dispositivo di controllo sulle cattedre non si arresta qui. Quella lista, infatti, è compilata in seno al consiglio superiore dove i docenti di architettura sono rappresentati, in succes sione temporale, da Giovannoni, Calza Bini e Foschini. Si viene così a creare una perfetta circolarità di poteri e una situazione di assoluta egemonia: quasi sempre accade, lo vedremo in seguito, che il vincito re risulti il candidato sostenuto dai docenti della scuola capitolina. Anche nel concorso del 1925 per la nuova cattedra di storia e di stili dell'architettura, il primo dalla istituzione della scuola, si verifi ca una situazione di questo tipo. Due componenti su cinque della commissione, Manfredi e Giovannoni in questo caso, sono docenti della scuola di Roma. Inoltre, accanto a questi siede pure Corrado Ricci, molto vicino all’ambiente di via Ripetta. Vincenzo Fasolo e Michele Guerrisi sono i soli aspiranti alla catte dra di storia. Monneret de Villard, il candidato più quotato, ha da po chi anni abbandonato l’insegnamento a Milano per intraprendere l’at tività di archeologo in Egitto: difficilmente, crediamo, Giovannoni avrebbe accolto nella sua scuola un medievalista3. Le sue preferenze vanno invece a Fasolo, già suo assistente. Laureato in ingegneria, Vincenzo Fasolo è da quattro anni incaricato di storia dell’architettu ra nella scuola di Manfredi. Guerrisi, al contrario, è laureato in lettere e insegna la stessa materia all’Accademia albertina di Torino. I due candidati rappresentano due tendenze, tra loro contrapposte, che distinguono gli studi storici in architettura e che fanno capo alle teorie di Croce e di Giovannoni. Giovannoni rivendica, in aperta po lemica con Croce, un’autonomia della storia dell’architettura nei con fronti della storia dell’arte. Proprio il giudizio lusinghiero di Croce su Guerrisi4, presentato dal candidato come titolo, provoca il parere ne 3. Su Monneret de Villard cfr. A. Piccinelli, Alle origini del Novecento: arte, ar chitettura e città nell’opera di Monneret de Villard. 1903-1921, tesi di laurea, Iuav, Venezia, 1986. 4. Croce scrive che Guerrisi congiunge “la conoscenza pratica con la cultura ge nerale e filologica, condizione indispensabile per il reale avanzamento della critica e della storiografia artistica”. ACS, PI, IS, div. I, 1924-54, b. 9, f. 193.
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gativo di Giovannoni. Nel segnalare la preparazione carente di Guerrisi nel campo dell’architettura - “non preparazione teorica o pratica nell’architettura, non dimostrazione di abilità grafica nei riguardi ar chitettonici e decorativi, non inizio di studi speciali in quell’arduo campo in cui la tecnica costruttiva si congiunge all’arte degli spazi e deH’ornamento” -, Giovannoni riassume i temi del contrasto aperto con Croce, per rivendicare ai soli architetti competenza nello studio della storia dell’architettura. La scelta di affidare la cattedra a Vincen zo Fasolo appare dunque coerente al progetto di valorizzazione della figura dell’architetto e all’indirizzo didattico perseguito dalla scuola. La nomina di Vincenzo Fasolo è fortemente voluta da Giovanno ni, ma proprio la partecipazione di quest’ultimo rende incerta la re golarità del concorso. Sebbene ufficialmente il docente in seno alla commissione abbia rappresentato la scuola di ingegneria, egli è allo stesso tempo professore della scuola di architettura e questo appare in contrasto con le norme di legge. La Corte dei conti contesterà la presenza di Giovannoni e si rifiuterà di registrare il decreto di nomi na di Vincenzo Fasolo5. Se il concorso per la cattedra di storia appare inficiato dal dubbio ruolo di Giovannoni, perplessità anche maggiori suscitano le carrie re accademiche di Foschini, Piacentini e Calza Bini. Foschini aveva superato nel 1913 il concorso per un posto di aggiunto di architettu ra all’Istituto di belle arti di Roma. Decisivo era allora stato il giudi zio del padre di Marcello Piacentini, Pio, componente della commis sione assieme a Cesare Bazzani e Collamarini. Foschini era stato preferito a Vincenzo Fasolo e Giuseppe Boni6. Più tardi, nel 1916, viene confermato nel posto di aggiunto sulla base di una relazione di Giovannoni, che tiene conto anche del giudizio favorevole di Ettore Ferrari, Chialvo e Manfredi, il professore con cui Foschini collabora e che più tardi sostituirà7. Alquanto strana è la successiva carriera di Foschini. Con la crea zione della scuola superiore, il corso speciale di architettura all’Isti 5. La commissione è composta da Manfredi, presidente, Giovannoni, Ricci, Portaluppi, Attilio Muggia. Sul rifiuto della Corte dei conti cfr. Lettera del presidente della Corte dei conti a Fedele del 24 marzo 1926, in ACS, PI, IS, div. I, 1924-54, b. 9, f. 193. Il decreto verrà poi firmato con riserva nel maggio del 1926. 6. Concorso al posto aggiunto di architettura R. Istituto di belle arti di Roma. Relazione della commissione giudicatrice del 26 aprile 1913, in ACS, PI, IS, f. pro fessori ordinari, III versamento, 1940-70, b. 208, f. Arnaldo Foschini. 7. Relazione di Giovannoni del 21 ottobre 1916. Ibidem.
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tuto di belle arti è infatti in procinto di essere chiuso e il posto di ag giunto occupato da Foschini destinato ad essere soppresso. Accade, invece, che nel 1924 Foschini sia promosso, senza concorso, da pro fessore aggiunto a professore titolare8. A dare parere favorevole alla promozione è una commissione ministeriale composta tra gli altri da Manfredi e Marcello Piacentini. In virtù di questo passaggio di gra do, in quanto professore titolare di architettura, un successivo decre to ad hoc del ministro Fedele, che forza le disposizioni della legge Gentile, permette a Foschini di aggregarsi ai docenti ordinari della scuola superiore. Attraverso questi espedienti e complicità ministe riali, egli arriva dunque alla cattedra universitaria avendo superato il solo concorso del 1913, che dava la qualifica per insegnare in una scuola a cui si può accedere con la semplice licenza elementare9. Le maggiori difficoltà incontrate dal nuovo cattedratico in questa rapida scalata non derivano tuttavia dall’inconsistenza dei titoli, quanto dalle insistenti voci sulla sua appartenenza alla massoneria. Da poco il fascismo ha emanato una legge intesa a colpire le logge, che vieta le associazioni segrete e obbliga i pubblici dipendenti a di chiarare l’appartenenza a organizzazioni occulte10. Giocando d’anti cipo, il gran maestro Domizio Torrigiani ha dato ordine di nasconde re o di distruggere gli archivi e di coprire i 25.000 “fratelli”, riu scendo così almeno in parte a vanificare gli effetti del provvedimen to repressivo. L’intero corpo massonico entra così nello stalo di “grande sonno”. Riguardo a Foschini, i forti sospetti su una sua affi liazione massonica hanno bloccalo l’atto di promozione che Fedele stava per approntare. Il docente è solerte nel negare a un diffidente Frascherelli di aver mai appartenuto ad alcuna loggia11. 8. Gli altri componenti della commissione sono Pietro Canonica e Adolfo De Carolis. Cfr. Verbale di adunanza per la nomina senza concorso di insegnanti nei RR. Istituti di belle arti del 24 dicembre 1924. Ibidem. 9. La legge Gentile prevede che il titolare di architettura dell’istituto di belle arti sia nominato ordinario di architettura nella scuola superiore. Questa disposizione era stata applicata per la nomina di Manfredi. Cfr. d.m. del 24 ottobre 1926 10. L. 26 novembre 1925, n. 2029. Inoltre cfr. A. Aquarone, L’organizzazione dello Stato totalitario, cit., pp. 68-70. 11. “A più riprese e anche in tempi in cui [la massoneria] non rappresentava ti tolo di colpa, io ho sempre detto, a chi me ne ha richiesto, che non ho mai apparte nuto a qualsiasi organizzazione massonica, né a partiti politici”. Lettera di Foschini a Manfredi del 22 gennaio 1926. Sulla lettera, trasmessa al ministero, è annotato a matita blu: “Ma niente! Farà la sua dichiarazione in sede debita. E intanto nulla ab biamo da fare”, in ACS, PI, IS, f. professori ordinari, III versamento, 1940-70, b. 208, f. Arnaldo Foschini.
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L’arrampicata di Calza Bini è quella di un politico prestato all’inse gnamento dell’architettura. Anche il preside della scuola di architettura di Napoli giunge al titolo di ordinario della cattedra di architettura aven do superato il solo concorso per la cattedra di disegno per gli istituti tec nici, bandita nel lontano 1902. Calza Bini, dopo alcuni incarichi che lo vedono insegnante in istituti tecnici a Livorno, Milano, Napoli, diventa nel 1924 ordinario senza concorso nel liceo artistico di Roma, promos so da una commissione di cui fanno parte Piacentini e Manfredi. Nel 1927, Calza Bini entra nella scuola di architettura di Roma, chiamato da Giovannoni a insegnare edilizia popolare, una materia costruita su misura per l’influente presidente della case popolari del la capitale12. Evasiva è la risposta data da Giovannoni al ministro Belluzzo che, forse provocatoriamente, gli richiede le “note di quali fica del prof. Calza Bini”13. Due anni dopo, Calza Bini viene nominato professore titolare di architettura all’Accademia di Napoli, per chiara fama. Il posto era in precedenza tenuto da D’Aronco. L’anziano insegnante, inviso a Gio vannoni, continuava a occupare la cattedra, nonostante i raggiunti li miti di età, nella speranza di essere il primo docente di architettura della scuola superiore di imminente istituzione. L’allontanamento di D’Aronco, scriverà Alberto Sartoris, è deciso proprio “per favorire qualcuno cui urgeva occupare quel posto”. Dopo la nomina di Calza Bini, a D’Aronco i suoi ex allievi fanno giungere un telegramma con scritto “S.O.S. Scuola di architettura”14. 12. A consolidare i legami esistenti tra l’Istituto fascista delle case popolari e la scuola di Roma, interviene la nomina nello stesso anno di Innocenzo Costantini, di rettore dell’istituto, a docente di estimo. 13. Alla richiesta delle note di qualifica, Giovannoni risponde che “non è nelle attribuzioni dei direttori o dei rettori degli istituti redigere le note di qualifica degli insegnanti”. Lettera di Giovannoni a Belluzzo del 31 dicembre 1928, in ACS, PI, IS, f. professori ordinari, III versamento, 1940-70, b. 90, f. Alberto Calza Bini. Sull’attività di Calza Bini all’Istituto per le case popolari cfr. M. Salviati, L’inutile salotto. L'abitazione piccolo borghese nell’Italia fascista, Bollati Boringhieri, Tori no, 1993, pp. 87-90. 14. A. Sartoris, «Ricordiamo Raimondo D’Aronco», L’Ambrosiano, 1 settembre 1932. Nel 1924, Sartoris aveva collaborato nello studio D’Aronco a Udine. Si veda anche: lettera di D’Aronco ad Annibaie Rigotti del 1 marzo 1930, in R. D’Aronco, Lettere di un architetto, cit., p. 295; M.L. Scalvini, La scuola di architettura dell’Accademia napoletana e i suoi responsabili, in L’architettura nelle accademie riformate, cit., p. 233. Il r.d. 31 dicembre 1923, n. 3123, prevede che i professori degli istituti di istruzione artistica siano collocati a riposo all’età di settanta anni. A D’Aronco, nato nel 1857, il collocamento a riposo è prorogato al 30 settembre 1929. D. Barillari, Raimondo D’Aronco, Laterza, Roma-Bari, 1995, p. 146.
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A valutare i non eccelsi titoli di Calza Bini è chiamata una com missione in cui ritroviamo Giovannoni, Piacentini e Foschini15. La sua nomina viene fatta poco prima dell’istituzione della scuola na poletana. L’atto di convenzione stabilirà poi - con una norma della legge Gentile applicata anche per Cirilli a Venezia, per Ceradini a Torino e per Brizzi a Firenze - che il professore di architettura dell’accademia, cioè Calza Bini, passi a far parte automaticamente della nuova scuola superiore come professore ordinario. L’“ex inse gnante delle scuole secondarie”, commenta amaro D’Aronco, è ora diventato un “grandissimo uomo”16. Con la condiscendenza dei colleghi della scuola di Roma - Pia centini, il suo più influente elettore, è in entrambe le commissioni che promuovono il presidente delle case popolari della capitale -, attraverso uno scambio di reciproci favori, “appoggiato strenuamen te” dal segretario del partito fascista Giovanni Giuriati, si conclude così la fulminea ascesa nel mondo universitario di Calza Bini, che immediatamente assume anche la direzione della scuola17. Altrettanto poco trasparente e viziata da favoritismi è la carriera accademica di Piacentini. Professore di disegno nel 1906, ottiene il titolo di architetto non per regolare frequentazione e profitto scola stico, ma solo in virtù di un decreto ad personam che equipara il di ploma ottenuto all’istituto di belle arti a una laurea18. Fallito nel 1914 il concorso per la cattedra di architettura all’Istituto di belle ar ti di Napoli - vinto da Francesco Fichera con Basile, Locati e Colla marini in commissione -, nel 1920 appoggiato da Ferrari, Piacentini ottiene da Manfredi l’incarico di edilizia cittadina19. Nell’ottobre del 1925 consegue la libera docenza, ma la commissione composta da 15. Gli altri componenti della commissione sono Antonio Cippico e Guido Ruberti. Cfr. Verbale dell’adunanza della commissione nominata per dare parere sulla nomina senza concorso del professore di architettura della R. Accademia di belle arti di Napoli del 30 ottobre 1929, in ACS, PI, IS, fascicoli professori ordinari (1940-1970), III versamento, b. 90, f. Calza Bini Alberto. 16. Lettera di D’Aronco a Annibaie Rigotti del 1 marzo 1930, in R. D’Aronco, Lettere di un architetto, cit., p. 295. 17. “Si aggiunge che sia appoggiato strenuamente da S.E. Giuriati per virtù del famoso comm. Calza Bini, suo fratello. Il Governatore di Roma dicono invece che gli sia nemico acerrimo”. Informativa del 22 novembre 1931, in ACS, MI, PS, poi. polit., f. personali, 1926-44, f. 220, sf. Gino Calza Bini. 18. Cfr. M. Lupano, Marcello Piacentini, cit., p. 181. 19. Cfr. «Concorso per la cattedra di architettura al R. Istituto di belle arti di Na poli»; «Risultato del concorso per la cattedra di architettura al R. Istituto di belle arti di Napoli»; Architettura italiana, f. 7, 1 aprile 1914 e f. 4, 1 gennaio 1915.
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Basile, Attilio Muggia e Milani ritiene di non dover sottoporre quel candidato, che dirige il più grosso studio d’architettura in Italia e “lavora simultaneamente su circa sessanta progetti e cantieri” dislo cati da Bergamo a Messina, alle prove pratiche o didattiche previste di norma20. Nel 1930, Giovannoni, Foschini e altri componenti del consiglio della scuola propongono la sua nomina a cattedratico per “alta fa ma”. Per Foschini si tratta di restituire il favore ricevuto con la no mina a professore titolare nel 1924. Più sofferto, come abbiamo vi sto, il sostegno di Giovannoni, che si limita a citare solo due opere urbanistiche: il piano regolatore della Spianata del Bisagno a Geno va e “soprattutto la sistemazione edilizia del centro di Bergamo”21. Sulle proposte per Roma del 1929 solo uno scontato silenzio. Senti to il parere favorevole del consiglio superiore, Piacentini è nominato dal ministro Giuliano professore ordinario per decreto a decorrere dal 1 novembre 1930. Foschini, Calza Bini e Piacentini sono tutti e tre sprovvisti di lau rea e tutti e tre diventano ordinari senza aver superato un regolare concorso. Tutti e tre scalano la piramide universitaria scambiandosi favori con grande disinvoltura. Per Calza Bini e Piacentini nel dopo guerra il consiglio superiore chiederà l’annullamento delle nomine. L’assunzione a ordinari segna un momento decisivo non solo della loro carriera. Essi con Giovannoni sono i più attivi nell’opera di for mazione e inquadramento dell’architetto in epoca fascista. Vedremo come, con altrettanta abilità, da quei posti di potere daranno fisiono mia, ancora oggi in parte riconoscibile nelle loro genealogie, alle fa coltà di architettura italiane.
2. Il frustino del sindacato La Scuola superiore di architettura di Roma è coinvolta direttamente nella polemica creata in occasione della II Esposizione di ar 20. Sull’attività di Piacentini nel 1925 Cfr. M. Lupano, Marcello Piacentini, cit., p. 183. Nello studio di Piacentini hanno tra gli altri lavorato: Del Debbio, Fuselli, Angiolo Mazzoni, Cesare Pascoletti, Piccinato, Ernesto e Gaetano Rapisardi, Inno cenzo Sabbatini, Vaccaro, Wenter Marini e saltuariamente Samonà. 21. Verbale della seduta della scuola superiore di architettura di Roma del 21 febbraio 1930, in ACS, PI, IS, f. professori ordinari. III versamento, 1940-70, b. 375, f. Marcello Piacentini.
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chitettura razionale, che si tiene nella galleria di Bardi in via Veneto a Roma, nel marzo del 1931. La partecipazione di numerosi ex allie vi, tra cui alcuni assistenti, a questa seconda esposizione produce uno strappo ben più lacerante rispetto alla mostra del 1928. Il fatto viene letto come la più chiara smentita di quel progetto culturale e stilistico perseguito da Giovannoni. Su 47 partecipanti alla rassegna, ben 13 si sono laureati nella scuola di Roma, mentre appena 7 pro vengono dal politecnico di Milano22. A questa sconfessione sul piano della didattica si aggiunge l’at tacco personale rivolto da Bardi agli insegnanti. A Mussolini, inter venuto in forma privata all’inaugurazione - ma, si badi bene, il duce è anche finanziatore della galleria -, Bardi illustra il Tavolo degli or rori, approntato di persona in gran fretta il giorno prima. La tavola, che sostituisce la prevista Saletta polemica, è una raccolta di foto grafie di oggetti di cattivo gusto con incluse alcune architetture di Giovannoni, Piacentini e Milani, tre docenti tra i più prestigiosi del la scuola romana. Piacentini in particolare, nel Rapporto sull’archilettura (per Mussolini), è accusato di affarismo, di avere nel “suo studio i disegni di mezza Italia da costruire”. La notizia della tavola e dell’elogio di Mussolini per la manifestazione - “il duce è con lo ro” - si sparge immediatamente in città. I tre docenti esposti allo scherno mandano alcune persone di fiducia a verificare la veridicità delle notizie23. Nei giorni successivi il Tavolo degli orrori viene dapprima rimosso e poi ricollocato al suo posto. Alla luce dei fatti finora esposti, anche questo episodio acquista un diverso profilo. I retroscena che hanno accompagnato il sorgere della scuola di Roma e del sindacato, ci fanno apparire meno vellei taria la richiesta di Bardi di un’“architettura arte di Stato”, meno ambiziosa l’esortazione ad affidare ai nuovi architetti il “compito di illustrare le gesta di Mussolini”. Bardi è consapevole - lo dimostra no alcune velenose frecciate - della vulnerabilità dei vari Giovanno 22. Tra i partecipanti all’esposizione si sono laureati nella scuola di Roma: Otto rino Aloisio, Gino Cancellotti, Giacomo Faludi, Ernesto La Padula, Adalberto Libe ra, Giuseppe Marletta, Robaldo Morozzo della Rocca, Vinicio Paladini, Luigi Piccinato, Ernesto Puppo, Mario Ridolfi, Alfredo Scalpelli, Luigi Vietti. Sono invece lau reati nella sezione di architettura di Milano: Luciano Baldessari, Piero Bottoni, Ma rio Cereghini, Adolfo Dell’Acqua, Luigi Figini, Alfeo Pauletta, Gino Pollini, Giu seppe Terragni. La polemica è analizzata ampiamente da M. Cerniamo, Il Miar, cit. 23. G. Pensabene, «La tavola degli orrori», Il Tevere, 2 gennaio 1933. Sull'atti vità di Bardi, giornalista, polemista e promotore di iniziative culturali nel campo dell’architettura cfr. F. Tentori, P.M. Bardi, Mazzotta, Milano, 1990.
ni, Calza Bini, Piacentini e Foschini, delle scorciatoie utilizzate da alcuni nell’occupare quei posti nevralgici nell’insegnamento. Alla repentina presa del potere di questi accademici, il giornalista dell’“Ambrosiano” tenta di contrapporre un altro colpo di mano. Il suo scopo è di indebolire quel gruppo, sconfessare nel nome di Mussolini l’indirizzo stilistico delle scuole, minare da una posizione “più fascista” la pax sindacale imposta da Calza Bini. Attraverso il libello di Bardi, gli architetti razionalisti vengono candidati a essere gli unici detentori della nuova architettura del fascismo. Una corsa alla “conquista dello Stato”, la loro, biasimata dal criti co cattolico e antifascista Edoardo Persico. Chi ne condivide le scel te artistiche, li accuserà di avere rinunciato agli ideali morali dell’ar chitettura moderna per legare “la loro fortuna agli espedienti della lotta politica”24. La sua intransigenza gli farà apparire insopportabile l’attivismo politico di Bardi, difficile la frequentazione di Pagano. Sofferto è anche l’impegno a “Casabella” e quello stipendio è perce pito come il “denaro del diavolo”25. Nella scomposta gara di archi tetti e critici, impegnati a offrire i propri servigi alla corte di Musso lini, la sua figura di “chierico” si staglia quasi isolata. Egli si ostina a non tradire la propria missione intellettuale, di custode dei “valo ri”, contro ogni compromissione della politica. Di espedienti della politica vive invece Calza Bini, che inizialmen te non si è opposto alla manifestazione. Ha approvato il programma dell’esposizione con il preciso intento di porre “sotto il proprio con trollo” quel gruppo di giovani. Il suo fine è “di sorvegliare a che la nuova tendenza conservi il carattere di schietta italianità”2'’. Con lo stesso spirito di vigilanza ha seguito in questi anni l’attività di Rava e Sartoris, i due delegati dell’Italia al Cirpac (Comitato internazionale per la realizzazione dei problemi dell’architettura contemporanea). Rava si avvale dell’influenza politica del padre, all’epoca vicegover natore in Tripolitania e futuro governatore della Somalia. Per la carica nel Cirpac ha ottenuto il riconoscimento ufficiale del governo italiano. Tale riconoscimento, oltre a consolidare la propria ambizione di egemo nia sugli altri razionalisti, gli permette di rivendicare un margine di au tonomia nei confronti del sindacato. Ma l’attivismo di Rava è inviso a 24. E. Persico, Punto ed a capo per l’architettura, in Id., Tutte le opere (192335) a cura di G. Veronesi, Comunità, Milano, 1964, voi. II, p. 313. 25. Da una testimonianza di Luigi Figini all’autore. 26. Lettera di Calza Bini a Guido Beer, capo gabinetto della Presidenza del Con siglio dei ministri, del 12 novembre 1930, in ACS, PCM, 1931-33, 14.1.128.
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Calza Bini, probabilmente preoccupato dalla facilità con cui il giovane si muove negli ambienti politici e ministeriali. La costituzione del Gnari (Gruppo nazionale dei razionalisti italiani), a cui soprattutto Rava sta la vorando, diviene allora un motivo in più per essere ostacolata dal segre tario. In una lettera a Pollini dell’agosto 1929, Libera avverte che Calza Bini “fece e sta facendo una grande guerra al gruppo e a Rava”27. Quando nel gennaio del 1930, in seguito a contrasti sorti tra i ra zionalisti e Rava, quest’ultimo, pur di non essere scavalcato dai col leghi, suggerisce al ministro Giuliano il ritiro da parte del governo italiano della propria rappresentanza presso il Cirpac, Calza Bini co glie al volo l’occasione per appoggiare il provvedimento. Al mini stro, Calza Bini ricorda anche che Rava, ma ciò vale anche per SarLoris, non è neppure iscritto all’albo28. Nel comunicare la revoca del la carica ai due delegati italiani, il comunicato sindacale denuncia il contrasto esistente tra le tendenze del comitato e “quelle del regime e dello spirito dell’architettura italiana”. Allo stesso tempo il segre tario non intende però chiudere le porte ai razionalisti italiani. Il sin dacalo, anzi, è ben disposto a costituire al suo interno uno “speciale gruppo” per studiare “questa modernissima l'orma di architettura”29. Ritornando al marzo del 1931, l’evolversi degli eventi ha preso Calza Bini alla sprovvista. Con un duro comunicato, il segretario na zionale deplora “l’increscioso episodio” di insubordinazione gerar chica e sindacale30. I provvedimenti sindacali annunciati contro i ra zionalisti rivelano tutto il disappunto per una situazione clic credeva di dominare e che invece gli è sfuggita di mano. Per aver assunto goffamente i panni di fustigatore di giovani, che hanno il solo “torto di non sentire artisticamente come i possessori del frustino”, Calza Bini si guadagna l’appellativo di “gatto a nove code”31. La reazione 27. Sull’intera vicenda cfr. M. Talamona, Primi passi verso l’Europa, in Luigi Figini, Gino Pollini, a cura di V. Gregotti e G. Marzari, Electa 1996, pp. 55-81. 28. Anche Sartoris, essendo privo di laurea, non può iscriversi all’albo. Infatti, dopo aver frequentato dal 1916 al 1919 l’Ecole des Beaux Arts di Ginevra si iscrive nel 1919 al Politecnico di Zurigo, ma non completa gli studi. Cfr. M. Sommella Grossi, Notizie biografiche, in Alberto Sartoris. Novanta gioielli, a cura di A. Abriani e J. Gubler, Mazzotta, Milano, 1990, p. 225. 29. «Le dimissioni dei delegati italiani dal Comitato internazionale d’architettu ra», Notiziario della Confederazione nazionale sindacati fascisti professionisti ed artisti, n. 29, 15 maggio 1930, p. 13. 30. A. Calza Bini, «A proposito della Mostra di Architettura Razionalista», Ar chitettura e Arti Decorative, f. 9, maggio 1931. 31. Redazionale, «Il gatto a nove code», Il Tevere, 12 maggio 1931.
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del segretario è stata scomposta e la competenza dell’intera questio ne gli viene sottratta per essere avocata in via provvisoria dalla su periore Confederazione dei sindacati professionisti e artisti. Seppure molto sfumato compare un richiamo al sindacato architetti a non contrastare “lo sviluppo delle varie tendenze artistiche”32. La polemica si ripercuote soprattutto sui razionalisti romani, “i soli colpiti perché tutti gli attacchi personali si sono svolti principal mente contro personalità che in primo piano operano ed imperano a Roma”33. Minnucci, che dissente sull’indirizzo polemico personale dato alla manifestazione da Bardi, consegna a Calza Bini un ordine del giorno in cui riconosce gli eccessi della manifestazione. Il disa gio dei razionalisti romani si riflette nei rapporti con i milanesi, che all’opposto lamentano il “tentativo romano di armistizio svolto pres so Calza Bini”34. Il timore di Minnucci è rivolto anche alla situazione interna della scuola, al rischio di perdere le posizioni raggiunte, ora che “i princi pali assistenti della Scuola superiore di architettura di Roma erano razionalisti”. Ai colleghi milanesi, per dimostrare quanto immotivate fossero le violente critiche di Bardi, racconta che “gli studenti in buon numero facevano del razionalismo ed era permesso dai profes sori più passatisti”35. Ma il clima nella scuola di Roma non è in realtà così aperto come vuole far credere. Ad esempio, Quaroni, al lora iscritto al terzo anno, conferma la scelta degli studenti per il ra zionalismo, ma ricorda anche le pressioni esercitate da Giovannoni36. Lo stesso Minnucci racconta di aver sempre evitato, nelle lezioni da lui tenute per il corso di Milani, di parlare di “architettura razionale, perché intuivo che ciò sarebbe dispiaciuto a coloro che mi avevano affidato questa parte dell’insegnamento tecnico”37. Oltre a Minnucci, in una situazione difficile si ritrovano anche gli altri due giovani assistenti di Piacentini presenti alla esposizione, 32. Il comunicato della Confederazione dei sindacati professionisti e artisti viene riportata su «II gatto a nove code è abusivo», 11 Tevere, 18 maggio 1931. 33. Lettera di Minnucci a Gino Pollini del 6 maggio 1931, in Il Miar, cit., p. 447. 34. Lettera di Adalberto Libera a Gaetano Minnucci del 18 giugno 1931, in M. I. Zacheo, «Dal carteggio di un architetto romano: Gaetano Minnucci e la polemica sull’architettura razionale», Parametro, n. 113, gennaio-febbraio 1983, p. 41. 35. Lettera di Minnucci al Miar milanese, in II Miar, cit., pp. 442-445. 36. Ludovico Quaroni. Architetture per cinquant'anni, cit., p. 63. 37. Scritto di Minnucci del 23 maggio 1931, riportato in: M.I. Zacheo, Olanda come inizio, esposizioni come manifesto, tecnologìa come strumento operativo, in Gaetano Minnucci. 1896-1980, Gangemi, Roma, 1984, p. 22. 124
Piccinato ed Eugenio Fuselli, che rischiano ora di vedere compro messo il proprio futuro accademico38. Ma è certamente Minnucci quello che rischia di più. L’essere organizzatore di una mostra che mette alla berlina i docenti della scuola dove egli è stato chiamato ad insegnare non può che nuocergli, soprattutto in vista dell’imme diato concorso per la libera docenza. Le posizioni dei professori, certamente non univoche come si è vi sto, formano ora un fronte compatto contro i razionalisti. Pure il prodi rettore della scuola è costretto a cambiare la sua strategia e apre - il ri ferimento è a Piacentini - al fronte degli innovatori moderati. Allo sti le architettonico italiano, sostiene Giovannoni, si può arrivare anche con un “movimento convergente”: da un lato “partendo dagli schemi e dalle forme esistenti”, dall’altro studiando “le possibilità nuove e am bientandole”. La sua preferenza è ovviamente indirizzata al primo fra i due metodi. La scuola di architettura - “ove vige una disciplina non autoritaria, ma neanche agnostica” - è l’“officina” adatta per questo complesso lavoro. Qui il processo formativo, di norma lento, necessa rio per raggiungere lo stile può avvenire in modo più rapido, “accele rando quello che dovrebbe essere il naturale andamento storico”39. Il fascismo chiede tempi più brevi, la politica delle opere pubbli che si sta avviando, la scuola deve farsi trovare pronta. In gioco non è solo un progetto culturale, ma anche enormi interessi economici. I razionalisti vanno isolati, ma allo stesso tempo i docenti devono di mostrare che l'architettura moderna, quella che non esclude il senti mento italiano, non è assente dalla scuola, che ha un seguito tra i giovani. Foschini organizza, ma ne è il fondatore secondo Piccina to40, un movimento di giovani architetti antagonisti al Miar: ne fan no parte tra gli altri De Renzi, Sebastiano Larco, Paniconi, Giulio Pediconi, Rava. Contemporaneamente lo stesso docente di composi zione ha un colloquio “intimidatorio” con Minnucci, dove minaccia l’allontanamento dei razionalisti dai posti di insegnamento e il loro boicottaggio nei concorsi41. 38. Tra gli assistenti partecipanti all’esposizione c’è anche Enrico Griffini, libero docente della sezione di architettura della Scuola di ingegneria di Milano. 39. G. Giovannoni, «Problemi attuali dell’architettura italiana». Nuova Antologia, f. 1425, 1 agosto 1931, p. 341. 40. L. Piccinato, Presentazione, in Il Miar, cit., p. XVI. 41. Foschini assieme a Minnucci convoca Pietro Aschieri, Gino Cancellotti e Giuseppe Capponi. Il resoconto del colloquio è riportato nel memoriale consegnato il 20 maggio 1932 a Margherita Sarfatti, affinché ne informasse Mussolini. Il Miar, cit., pp. 448-450.
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3. Professori contro i razionalisti È soprattutto l’intervento di Piacentini a provocare lo sbandamen to del fronte razionalista. Il suo articolo a difesa dell’architettura ita liana sposta l’oggetto del contendere su un piano molto più pratico, riassunto in un efficace appello perché “l’architettura sia affidata agli architetti”42. La vera “battaglia santa” non è certamente quella indicata dai razionalisti; è invece quella che vede gli architetti impe gnati ad affermare il loro potere professionale, ad ampliare e a con solidare la loro presenza nelle varie istituzioni. Con molto realismo, l’architetto romano ricorda che, ad esempio, il ministero dei Lavori pubblici, roccaforte degli ingegneri, non è ancora stato occupato. E la maggioranza degli edifici pubblici - 200 quelli realizzati finora dal regime - sono costruiti a cura di questo ministero43. Un invito dunque agli architetti ad abbandonare infruttuose pole miche stilistiche e a confrontarsi su questioni concrete. Facendo leva sulle difficoltà pratiche incontrate dalla nuova professione nel trova re lavoro, Piacentini lascia intravedere i vantaggi derivanti all’intera categoria, se il ruolo degli architetti fosse completamente ricono sciuto dalle istituzioni pubbliche, se si fossero affermati come inter locutori privilegiati. 11 rappel à l'ordre di Piacentini raccoglie immediatamente nume rose adesioni e l’architetto più attivo d’Italia può restituire il gioco nelle mani di Calza Bini, a cui era sfuggito. Insieme possono ora continuare sulla collaudata strada dell’elargizione di cariche e di in carichi, che accrescono il prestigio dell’architetto prescelto, ma so prattutto il potere di chi li distribuisce. Particolarmente sensibile alle parole di Piacentini risulta il mondo accademico. Sono ben 14 i docenti delle scuole di architettura che si schierano al suo fianco: Del Giudice, Giuseppe Torres e Sullam da Venezia; Brizzi da Firenze; Vincenzo Fasolo, Foschini, Vittorio Morpurgo e Del Debbio da Roma44. Con l’eccezione di Ceas, alli 42. M. Piacentini, «Difesa dell’architettura italiana», 11 Giornale d'Italia, 2 mag gio 1931; ora in II Miar, cit., p. 289. 43. Sul numero degli edifici pubblici cfr. L. Bortolotti, Storia della politica edi lizia in Italia, Editori riuniti, Roma, 1978, p. 155. Per una quantificazione generale dell’attività edilizia cfr. A. Mioni, Le città e l’urbanistica durante il fascismo, in Urbanistica fascista, a cura di A. Mioni, Angeli, Milano, 1980, p. 38. 44. L’elenco appare su il Giornale d’Italia del 17 maggio 1931; ora in II Miar, cit., p. 221.
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neato con i razionalisti e polemico con i “monopolizzatori” dell’ar chitettura italiana, la scuola di Napoli è quasi al completo: ci sono Chierici, Canino, Chiaromonte, Pane, Pantaleo e Samonà. Unico tra i docenti a schierarsi sull’altra sponda è Michelucci: la sua parteci pazione al gruppo romano del Miar si configura però come il “risul tato di tangenze tattiche e di solidarietà affettive”, piuttosto che di una reale adesione programmatica45. Anche in Sicilia la polemica raggiunge il risultato di compattare le “due cricche” attorno cui si raggruppa il fronte dei docenti. Basi le, ordinario di architettura tecnica alla scuola di ingegneria di Paler mo, rinuncia alla sua orgogliosa autonomia e “offre il suo appoggio alla scuola romana”, introdotta in Sicilia da Fichera, ordinario di di segno all’Università di Catania46. Nonostante la significativa assenza di adesioni provenienti dalla scuola di Torino e dalla sezione di architettura di Milano, grande è il successo e il prestigio personale raggiunto da Piacentini. La maggio ranza dei docenti delle scuole di architettura ha abbracciato le sue idee, ha riconosciuto in lui il vero leader. In ben altri termini, inve ce, Bardi interpreta quest’ampia adesione dei docenti delle scuole. Essa è l’evidente dimostrazione di una non “invidiabile indipenden za di rapporti con Sua Eccellenza”, a cui rinfaccia i “vecchi metodi” del suo trascorso massonico, “del piacere dato e ricevuto”47. La sen tenza di condanna per plagio, emessa in quei giorni dalla Corte d’appello contro Piacentini, è per Bardi un’ulteriore conferma del basso livello di moralità raggiunto dall’architettura in Italia48. L’eco della polemica è ancora vivo, quando a metà luglio si svol ge a Roma ¡l consiglio nazionale del sindacato. Accanto ai rappre sentanti sindacali provinciali siedono anche i direttori delle scuole di architettura, con la sola eccezione di Ceradini. La relazione di Calza 45. C. Conforti, La formazione e i progetti tra le due guerre, in A. Belluzzi, C. Conforti, Giovanni Michelucci, Electa, Milano, 1986, p. 28. 46. Lettera di Giuseppe Pensabene a Minnucci del 21 maggio 1931, in M.l. Zacheo, Dal carteggio di un architetto romano: Gaetano Minnucci e la polemica sull’Architettura razionale, cit., p. 40. 47. P.M. Bardi, «La polemica dell’architettura», L’Ambrosiano, 9 maggio 1931; ora in Il Miar, cit., pp. 294-295. 48. P.M. Bardi, «Corriere artistico di Roma», L’Ambrosiano, 20 maggio 1931; ora in Il Miar, cit., p. 431. Piacentini è condannato per “violazione del diritto d’au tore” spettante all’ingegnere Giovanni Terranova, per il progetto di congiungimento di piazza Barberini con piazza San Bernardo. «Il progetto Piacentini da piazza Bar berini e San Bernardo attraverso la Corte d’Appello», Il Tevere, 15 maggio 1931.
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Bini dà ampio rilievo al “triste episodio” della manifestazione razio nalista. Ricorda che “uomini rispettati” furono fatti segno di “imme ritata derisione” in una manifestazione autorizzata dal sindacato. Lancia un monito contro chi ha tentato di minare l’unità sindacale e avverte che sarà aumentata l’azione di controllo su ogni manifesta zione. Impone al Miar di modificare l’attuale inquadramento nel sin dacato, sfuggito a ogni verifica, riconoscendogli il solo diritto di esi stere come formazione di studiosi. Mentre da un lato vengono irrigidite le maglie della censura sin dacale - e c’è chi richiede, come Foschini, l’intervento di Mussolini su questioni di capitale importanza per l’arte -, dall’altro si cerca la mediazione. Il segretario nazionale offre ai razionalisti un posto nel direttorio nazionale. La proposta di nominare Aschieri loro rappre sentante in seno al sindacato è accolta da Gino Levi Montalcini, de legato dei razionalisti49. In contropartita, i razionalisti ritirano la mo zione in cui chiedevano a Calza Bini di ritrattare la condanna, “partigiana e antisindacale”, della manifestazione di via Veneto. La peri colosa frattura apertasi nel sindacato, pericolosa soprattutto politicamente perché sono i giovani a contestare il loro segretario, è ricom posta. L’abile Calza Bini, commenta Bardi, ha “lavorato a dovere” e ottiene la riconferma per acclamazione50. A fine anno l’epilogo della vicenda sul fronte accademico. In no vembre, il consiglio della scuola presieduto da Giovannoni, su pro posta di Foschini e nonostante una “debole difesa” di Piacentini e di Innocenzo Costantini, allontana dalla scuola Piccinato e Minnucci e minaccia la stessa sanzione contro Fuselli51. A dicembre si svolge il concorso per la libera docenza in architettura tecnica. A differenza degli altri candidati, a Minnucci e Ceas viene imposta, una prova 49. «Il Consiglio nazionale del Sindacato fascista degli architetti. (17 luglio 1931)», Architettura e Arti Decorative, f. 12, agosto 1931, Supplemento, Sindacato Nazionale Architetti. Pagine di vita sindacale, pp. 631 -640. 50. P.M. Bardi, «Architettura pera matura», Ambrosiano, 25 novembre 1931. 51. Ricorda Piccinato: “Il sottoscritto, ... (nonostante una debole difesa da parte di Piacentini stesso) fu espulso da assistente universitario per ordine del preside Giovannoni, spinto a ciò da Foschini. Lo stesso destino fu riservato a Minnucci”. L. Piccinato, Presentazione, in Il Miar, cit., p. XVI. Inoltre la lettera di Innocenzo Co stantini a Minnucci del 10 novembre 1931, in M.I. Zacheo, Olanda come inizio, esposizioni come manifesto, tecnologia come strumento operativo, cit., p. 22. Fusel li si era dimesso dal Miar già in aprile. Cfr. Lettera di Minnucci a Fuselli del 28 aprile 1931, in M.I. Zacheo, «Dal carteggio di un architetto romano: Gaetano Min nucci e la polemica sull'architettura razionale», cit., p. 37.
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grafica. A Minnucci è richiesto di disegnare in otto ore le piante, i prospetti e le sezioni per il palazzo del rettorato, da realizzare nella zona della città universitaria a Roma. Del palazzo, in cui hanno sede gli uffici, l’archivio, la biblioteca, l’appartamento del rettore e un’aula magna capace 1000 persone, da rappresentare in scala 1/50, è chiesto inoltre di approntare lo studio tecnico-statico. Ricco di do vizie è il resoconto di Bardi. I due candidati sono costretti a dise gnare in una sala d’attesa, seduti su casse da imballaggio, avendo per tavolo da disegno una tavola dal piano screpolato52. Non è da escludere che nel giudizio sfavorevole della commissione, composta da Gaetano Moretti, Milani e Foschini, si sia concretata la minaccia di ritorsione dell’architetto romano53. Mentre Minnucci viene sostituito con Carlo Roccatelli al posto di assistente di Milani, Piccinato, abbandonata la scuola di Giovanno ni, viene chiamato a Napoli da Calza Bini. Sarà Piacentini a ricucire lo strappo coi razionalisti. Accettando l’invito di Calza Bini, l’acca demico d’Italia ha assunto la direzione della rivista del sindacato che vuole ora aprire alla collaborazione anche di chi è stato avversa rio nella recente polemica. Eccolo, allora, offrire a Minnucci un incarico nella redazione del la nuova “Architettura”. In seguito gli affiderà la progettazione della sede della Milizia nella città universitaria. Inoltre, quasi a porlo nel la condizione di riscattare la prova di libera docenza fallita, gli farà compiere un viaggio attraverso l’Europa per studiare l’edilizia uni versitaria54. Alcuni anni dopo, come vedremo, Minnucci verrà accol to come assistente volontario proprio da Foschini e di nuovo inte grato nell’organico della scuola di Roma.
4. Una competizione tra le scuole di architettura Dopo le polemiche del 1931, nate attorno alla II Esposizione di architettura razionale, Bardi e Pagano aprono un nuovo fronte, che ha per oggetto mirato le scuole d’architettura. A iniziare dall’autun no del 1931, con l’avvicinarsi dell’anno scolastico, la polemica di 52. P.M. Bardi, «Busta da Roma», L'Ambrosiano, 4 gennaio 1932. E inesatta la notizia che entrambi i candidati siano stati bocciati. Ceas infatti ottiene l’abilitazione. 53. ACS, PI, IS, div. I, 1924-33, b. 19 54. Sul viaggio di Minnucci cfr. F. Brunetti, Architetti e fascismo, Alinea, Firen ze, 1993, pp. 197-199.
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Bardi contro la scuola di Roma, “nelle mani di Giovannoni”, diviene continua e martellante. La “sua scuola” è accusata di difendere una “posizione retrograda, inerte e chiusa ad ogni alito di modernità”. I professori sono incolpati di essere stati punitivi in sede di votazione di laurea con Eugenio Montuori: il suo progetto per la nuova stazio ne ferroviaria di Roma viene valutato a “denti stretti”, solo perché non coerente con la tendenza stilistica della scuola55. La stessa atti vità progettuale e teorica del prodirettore è messa alla berlina; la vo ce “Architettura”, scritta per l’Enciclopedia Treccani, è giudicata un’opera che “ci renderà buffi presso i posteri”56. Se Bardi si specializza negli attacchi a Giovannoni, Pagano si propone di spezzare il disegno di conformità didattica perseguito dalla scuola di Roma. Dapprima elogia il “magnifico sintomo di rin novamento” della scuola di Firenze e segnala le aperture didattiche di Brizzi, Michelucci e Fagnoni57. Poi coglie nella prolusione tenuta a Torino da Ceradini, all’inaugurazione dell’anno accademico, “il primo riconoscimento ufficiale del movimento razionalista” nelle scuole di architettura, la “Magna Charta di pacificazione” tra stu denti e professori. Infine, su “La Casa bella”, presenta cinque lavori di laurea, tra cui quello di Carlo Mollino58. E in questo clima di ostilità a tutto campo, che nel marzo del 1932 viene promosso a Bologna, in concomitanza con i Littoriali dello sport, un concorso tra gli studenti di architettura. Il concorso, organiz zato dalla rivista “L’Assalto”, diretta da Ezio Balducci, ha per tema il progetto di una casa del fascio. Sono invitate a partecipare non solo le scuole di architettura ma anche d’ingegneria e la giuria è composta da Giulio Arata, Aschieri, Alberto Legnani, Pagano e Bardi. Gli ultimi due, probabilmente, non sono estranei alla pensata della gara. Da parte de “L’Assalto” si va delineando una precisa strategia, te sa a coinvolgere i giovani studenti nel dibattito sulla nuova architet 55. P.M. Bardi, «Scuola d’architettura di Roma», L'Ambrosiano, 23 novembre 1931; P.M. Bardi, «Architettura pera matura», L’Ambrosiano, 25 novembre 1931. Montuori era intervenuto nella polemica sul razionalismo con un articolo apparso su La Tribuna del 14 marzo. 56. P.M. Bardi, «Accademia», L’Ambrosiano, 29 gennaio 1932; P.M. Bardi, «Edilizia nostra», L’Ambrosiano, 1 febbraio 1932. 57. G. Pagano, «L’architettura moderna nella Scuola Superiore di Architettura di Firenze», La Casa bella, n. 8, agosto 1931, pp. 46-50. Vengono illustrati progetti di Nello Baroni, Italo Gamberini, Vittorio Hermite, Cesare Poggi. 58. G. Pagano, «Professori 1932 Laureandi 1932», cit., pp. 16-19. Cfr. anche; P.M. Bardi, «L’architettura razionale è entrata nelle scuole», L’Ambrosiano, 20 no vembre 1931.
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tura e a porli in contrasto con l’insegnamento dei docenti. La rivista precisa che il concorso è rivolto ai giovani non laureati, “perché il problema della nuova architettura sarà risolto solo da essi”, perché solo chi è stato balilla e avanguardista è indicato a comprendere l’epoca presente e a produrre idee originali. Anche la scelta del tema, il progetto di una casa del fascio, si ri vela di per sé significativa: si vuole avvicinare l’architettura al tem po della politica, privilegiando un tema poco affrontato nelle eserci tazioni scolastiche. La casa del fascio, in quanto espressione autenti ca dell’epoca fascista, deve “vestirsi di forme architettoniche” di re gime e imporsi come “prototipo per l’architettura nazionale”59. Allo stesso tempo, nelle intenzioni dei promotori, il concorso deve stabi lire una classifica tra le scuole di architettura, per valutare le qualità “didattiche (e non solo didattiche)” dei singoli istituti60. Posto in questi termini, il concorso non riceve il sostegno dei di rettori delle scuole, che ne ostacolano lo svolgimento. Ufficialmente Calza Bini, a nome dei colleghi di Roma, Venezia, Torino e Firenze, giustifica la mancata partecipazione con i tempi stretti, che oppon gono “un impedimento quasi insormontabile ad una severa e seria partecipazione dei nostri studenti”61. In realtà, come si apprende da una lettera di Cirilli, nella riunione dei direttori delle scuole svoltasi a Roma a fine aprile, Calza Bini ha impartito precise disposizioni affinché la manifestazione venga disertata62. Non disgiunta dall’in tervento di Calza Bini, una circolare del ministro Giuliano inviata ai direttori delle scuole rileva come la commissione “composta di estranei” non abbia alcuna facoltà di valutare i lavori scolastici, né di esprimere giudizi comparativi tra i vari istituti63. A fine maggio vengono comunque pubblicati gli esiti del concor so, che consegna alla notorietà quattro studenti della scuola di Mila no: Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers. Nella relazione della giu ria, scritta da Bardi, si apprezza nei progetti dei vincitori il contrasto tra “l’intima semplicità” dei prospetti e l’alto valore simbolico 59. L’Assalto, 12 marzo 1932, n. 11; «Concorso per la Casa del Fascio “tipo”», L'Assalto, 26 marzo 1932, n. 12. 60. «Casa del Fascio “tipo”», L’Assalto, 2 aprile 1932, n. 14; «Concorso per la Casa del Fascio “tipo”», L’Assalto, 16 aprile 1932, n. 16. 61. «Il Concorso per la Casa del Fascio “tipo”. Littoriale d’architettura: 24 mag gio», L’Assalto, 30 aprile 1932, n. 18. 62. Lettera di Cirilli a Ezio Balducci del 14 maggio 1932, in AIV, se. 21, f. 1. 63. Circolare di Balbino Giuliano del 12 maggio 1932, in AIV, se. 21, f. 1.
dell’edificio. La partecipazione delle scuole è stata diseguale e il concorso ha ricevuto solo l’aperto sostegno di Ceradini, direttore della scuola di Torino. Bardi coglie al volo l’occasione per lanciare sentenze su scuole e direttori. Accenna a “un capo d’istituto - è Cirilli - il quale non ave va alcun interesse a mettere a confronto la produzione del proprio alunno con quella d’altre scuole”, elogia le scuole di Torino e di Fi renze, e l’“ottima” sezione di architettura di Milano, “che appaiono in perfetta carreggiata con il tempo”, i cui “professori hanno sterza to, infilando la strada giusta”. Ma è la scuola di Giovannoni e Piacentini, con le “ricette così care agli architetti della massoneria”, il principale bersaglio del concor so64 “Alcuni progetti presentati da alunni della Scuola di Roma fan no una figura antidiluviana... Ma contro un giovane con la barba, eccone cinque, dieci, venti figli del secolo. Costoro non hanno mai let to i poderosi volumi del prof. Giovannoni e se ne trovano bene”65. Spietato è anche l’attacco a Calza Bini, accusato da Bardi di per sonalismo: “contro il concorso ha manovrato, al solito modo, il ge rarca che ha fatto scolpire il proprio busto e l’ha collocato nell’atrio che presiede, al secolo l’on. Alberto Calza Bini, direttore eziando della Scuola Superiore di Architettura di Napoli”66. Poi la denuncia di avere utilizzato la posizione politica per raggiungere posizioni ac cademiche, di professori divenuti “celebri soltanto per le cariche po litiche che coprono”67. Bardi e Pagano vogliono ampliare la spaccatura esistente tra i giovani e le scuole, dimostrare che gli studenti tendono spontanea mente ad aderire all’architettura razionale, mentre l’architettura inse gnata dai docenti è accettata solo perché imposta. La loro polemica non è volta contro il sistema centralizzato dell’insegnamento - Bar di, anzi, è favorevole a una presenza ben più marcata dello Stato nell’architettura -, ma contro “lo stile” dell’architettura inculcato nella scuola di Roma. 64. A. Pandolfini, «Il littoriale d’architettura», La Tribuna, 24 giugno 1932. 65. P.M. Bardi, «La “casa del Fascio” tipo», L’Ambrosiano, 1 giugno 1932; pubblicato anche col titolo «Del Littoriale d’Architettura», L’Assalto, 4 giugno 1932, n. 23. 66. Il busto di Calza Bini è stato scolpito da Francesco Jerace. 67. P.M. Bardi, «Professori vecchi e alunni nuovi», L’Ambrosiano, 8 giugno 1932. Anche su “L’Assalto” sono riportate le lettere di Cirilli e di Bardi: «Maestri vecchi e alunni nuovi», L’Assalto, 18 giugno 1932, n. 25.
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L’iniziativa dell’“Assalto” non avrà tuttavia il clamore dell’espo sizione razionalista dell’anno prima. Le scuole non si sono divise e tra gli architetti non c’è stato seguito. Il fronte degli oppositori al gruppo di potere romano si è sfaldato e una più accorta politica de gli incarichi sta iniziando a dare i suoi frutti, mettendo in qualche modo a tacere chi protesta. Tra i promotori della mostra del 1931, Minnucci viene invitato da Piacentini a partecipare alla progettazio ne della città universitaria, mentre Libera si accoderà, in occasione dei concorsi, a De Renzi, che è un protetto di Calza Bini. Anche l’asse composto da Bardi e Pagano ne esce malconcio. Piacentini dapprima chiama Pagano a collaborare ad “Architettura”, ricevendo in cambio dall’architetto istriano l’invito a mettersi “al ti mone del movimento moderno in Italia”, a diventare “il capo rico nosciuto di tutti noi”68. Poi gli affida l’incarico di progettare l’Istitu to di fisica dell’Università, provocando i sospetti di Bardi e la rottu ra dei rapporti con Pagano, che avviene nel maggio del 1932, cioè all’epoca della conclusione del concorso tra le scuole. Non è un ca so che l’articolo di Pagano del giugno 1932 dedicato alle scuole si dimostri conciliante e desideroso di concludere la polemica69. I nuovi equilibri sanciscono le posizioni raggiunte. Ora Piacentini, con orgoglio, annuncia che “piaccia o non piaccia, la nuova scuola di architettura esiste ... Abbiamo cinque ottime Scuole superiori, abbia mo una legge e un albo professionale, una rivista ufficiale, abbiamo un Segretario nazionale dei nostri Sindacati che tutte le classi ci invi diano. Siamo dunque perfettamente attrezzati ed agguerriti”. Secca e immediata la risposta del “provocatore” Bardi al docente di urbanisti ca: le “cinque scuole sono tre: Milano, Firenze, Torino, come si è di mostrato nel «Littoriale d’architettura» di Bologna”70. Ma solo a parole Bardi può ormai negare l’esistenza delle altre scuole, di Roma in testa. I fatti daranno invece ragione a Piacentini e dimostreranno che la scuola di Roma, posta al vertice del sistema 68. Lettera di Pagano a Piacentini, in R. Mariani, Razionalismo e architettura moderna, cit., pp. 173-174. 69. Cfr. Lettera di Pagano a Bardi del 6 maggio 1932, in R. Mariani, Alberto Sartoris nell’archivio di Pier Maria Bardi, in Alberto Sartoris. Architetture 19201985, catalogo della mostra, Lecco, 1988, pp. 23-24; G. Pagano, «Un concorso di giovani», La Casa bella, n. 54, giugno 1932, pp. 19-24. 70. M. Piacentini, «La Mostra di Architettura nelle sale dell’E.N.A.P.I.», La Tri buna, 22 giugno 1932, poi in Id., «Una mostra di architettura moderna e arreda mento in Roma», Architettura, n. 7, luglio 1932, pp. 334-335; P.M. Bardi, «I disin volti», L’Ambrosiano, 25 giugno 1932.
didattico, avrà negli anni a venire un ruolo egemone in termini di potere sulla cultura e sulla pratica dell’architettura. Quando nel 1934, l’idea del concorso tra le scuole di architettura verrà ripresa, ma posta sotto il controllo del partito e del sindacato architetti, sarà lo stesso Piacentini a presiedere la giuria. Il riconoscimento delle posizioni raggiunte ha il suo suggello con l’inaugurazione della nuova sede della scuola di architettura di Ro ma, il 23 novembre 1932. Nelle parole del ministro Ercole, essa consacra 10 anni di politica del fascismo a favore degli architetti e per la valorizzazione dell’architettura71. La costruzione, con fram menti di stilemi classici in marmo bianco inseriti in una superficie a intonaco rosso, con un portale sorretto da colonne, è, a detta di Gio vannoni, “totalmente nuova”, ma pure “semplice, modesta” e rispec chia lo stesso l’indirizzo didattico della scuola. Per la redazione del progetto, Del Debbio, il più giovane tra i do centi, si è avvalso della collaborazione “simpaticamente cordiale” dei professori e degli assistenti: si vorrebbe così dimostrare che all’interno del corpo insegnante regna uno spirito di corpo maggiore a quello di ogni altro istituto superiore72. Artefice della presunta pax è Foschini. Giovannoni gli è particolarmente riconoscente per aver lavorato “silenziosamente” in tutti questi anni, “sacrificando al no stro ideale i suoi interessi e il suo amor proprio”. Foschini ricambia le lodi e gli attribuisce una presenza “indispensabile” non solo all’interno della scuola romana, ma anche tra le altre scuole; gli ren de merito di un’impresa educatrice che ha per fine “il bene e la for tuna dell’architettura” in Italia73. Il prodirettore ha raccolto la sfida lanciata da chi, come Bardi e Pagano, chiede una maggiore adesione dell’architettura al fascismo. Con forza riafferma il progetto politico che sorregge l’istituzione del le scuole di architettura e il suo essere perfettamente in linea con la politica di Mussolini. La scuola di Roma è ormai identificata tout court con l’architettura italiana, la cui valorizzazione è obiettivo “na 71. Cfr. il discorso di Francesco Ercole, Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Roma. Anno accademico 1932-33, pp. 8-9. 72. G. Giovannoni, La Scuola di Architettura di Roma, cit., p. 28. M.L. Neri, «Le vicende edilizie», cit., pp. 43-64. Tra i collaboratori di Del Debbio vi è Alfio Susini, allora assistente di Francesco Severi, docente di applicazioni di geometria descrittiva. E. Grisanti, A. Pracchi, Alfio Susini. L’attività urbanistica nella stagio ne dei concorsi. 1928-1940, Electa, Milano, 1982, p. 100. 73. Lettera di Giovannoni a Foschini e lettera di Foschini a Giovannoni entram be del 28 novembre 1932, in AGG, se. carteggio 1930-1947.
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turale” del fascismo, “quasi rispondente alla sua definizione”. Per vo lontà del regime, questa scuola è diventata “il punto di partenza di quella che potrei dire la vasta politica architettonica del fascismo”.
5. Il convegno sulla formazione dell’architetto Dal 16 al 18 settembre 1933 si svolge a Milano, nel Palazzo dell’Arte di Muzio, il convegno su “La formazione dell’architetto”, ideato dalla rivista francese “L’Architecture d’aujourd’hui”, e orga nizzato assieme al sindacato architetti e alla Triennale. Nelle sale dello stesso palazzo i congressisti hanno avuto occasione di visitare la sezione riservata alle scuole di architettura in Italia, che raccoglie gli elaborati scolastici degli studenti dei cinque istituti e della sezio ne di architettura del politecnico milanese74. Raccolte in occasione del convegno, le risposte date a un questio nario sulle condizioni dell’insegnamento dell’architettura offrono un ampio panorama sulle scuole in Europa75. Né in Francia, né in In ghilterra, né in Germania esiste una legge che regoli la professione, così come manca una specifica scuola di Stato di architettura. All'Italia va dunque riconosciuta una posizione di avanguardia nell’organizzazione scolastica e nella tutela della professione. A Parigi l’architettura viene insegnata in quattro scuole diverse: aH’Ecole Nationale Supérieure des Arts Décoratifs, all’Ecole des Traveaux Pubblics, all’Ecole Nationale des Beaux-Arts e all’Ecole Spéciale d’Architecture. Solo quest’ultima, un’istituzione privata che vanta Auguste Perret tra gli insegnanti, si occupa in modo speci fico di architettura. Ancora più spezzettato è l’insegnamento in In ghilterra, ripartito in numerose scuole - sono 19 le più importati tutte private, con sede nelle università, nei collegi e nelle scuole d’arte. In Germania, invece, esiste una situazione simile all’Italia, precedente all’istituzione della scuola di Roma. L’insegnamento è impartito nelle sezioni di architettura delle Tecnische Hochschulen e delle accademie d’arte. Solo le prime, a giudizio di Heinrich Tessenow, sono “veramente serie”. Tra le accademie, non considerate 74. Triennale di Milano. Catalogo ufficiale, Ceschina, Milano, 1933, pp. 253267; F. Roux, «Les Ecoles Supérioures d’architecture et l’enseignament de l’archi tecture en Italie», L’Architecture d’aujourd’hui, n. 8, ottobre-novembre 1933, p. LII. 75. Cfr. «Ile Reunion internationale d’architectes. Conférences, rapports et com munications», ibidem, pp. II-LII.
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scuole complete perché l’insegnamento delle materie scientifiche è sommario, egli distingue quelle di Berlino, Diisseldorf, Dresda e Weimar, e, prima della chiusura, la Bauhaus di Dessau. All’Ecole Nationale des Beaux-Arts di Parigi, l’istituto a cui guardava Giovannoni nell’attribuire a Roma il ruolo di scuola pilota rispetto ad altre scuole periferiche, i corsi hanno una durata di circa quattro anni e vi possono accedere 60 allievi ogni anno. I progetti sono studiati all’interno di “ateliers”, dei quali 3 dipendono dalla scuola e altri 10 sono esterni. La tradizione della bottega, mantenuta viva in Francia attraverso l’“atelier”, è molto radicata anche in Inghilterra, dove negli studi privati l’allievo riceve l’insegnamento pratico della professione. In Germania, nella Tecnische Hochschule, il praticantato conclude il periodo degli studi che, suddivisi in semestri, hanno una durata di circa quattro anni. In Inghilterra il titolo non è protetto da leggi e non è perciò ne cessario chiamarsi architetti per esercitare la professione. Questa mancanza di leggi viene compensata però dalla forte presenza dell’associazionismo del Royal Institute of British Architects, a cui sono iscritti la maggior parte degli architetti inglesi che esercitano e la cui ammissione avviene attraverso una prova che dimostri le ca pacità professionali acquisite. Anche in Francia e in Germania non esiste un titolo di architetto legittimato dallo Stato. Tuttavia il diplo ma della Tecnische Hochschule è accettato dalle autorità ufficiali, così come agli studenti dell’Ecole Nationale des Beaux-Arts di Pari gi è rilasciato il titolo di “architetto diplomato dal governo”. Per illustrare la situazione dell’insegnamento dell’architettura in Italia, l’organizzazione del convegno ha previsto due relazioni, una di un docente e l’altra di uno studente. Calza Bini assume l’incarico di rappresentare gli insegnanti, ma teme la relazione degli studenti e di alcuni ambienti milanesi. Propone allora a Portaluppi di “preparare un rapportino col punto di vista degli studenti” e di trovare un suo allievo disposto a firmarlo76. Non sappiamo se Calza Bini raggiunge esatta mente il suo scopo. Sappiamo invece che l’allievo scelto è Rogers e che il suo intervento viene preventivamente sottoposto a Portaluppi. Con lo stesso Portaluppi, Rogers ha collaborato nel progetto della Ca sa del sabato per gli sposi, realizzata nel parco di quella Triennale. 76. b. 162.
Lettera di Calza Bini a Portaluppi del 30 agosto 1933, in ABB,
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L’intenzione di Calza Bini è di dimostrare ai colleghi stranieri la diversità e la superiorità della situazione italiana, dove la questione della formazione degli architetti è stata già da tempo affrontata e do ve ormai da anni si è intrapresa la “bonne route”. In questo senso il mondo accademico italiano snobba il convegno. È significativo che, ad eccezione di Calza Bini, i direttori delle scuole di architettura, pur presenti a Milano per il consiglio nazionale del sindacato che si tiene il 15 settembre, non intervengano alla riunione, che lo stesso Calza Bini decida di affidare la relazione ufficiale all’ex studente Gino Cancellotti, quasi a sottolineare una situazione scolastica in Italia più evoluta che altrove. Nei giorni in cui presenzia il convegno, da sabato 16 a domenica 17 settembre, Calza Bini offre ai congressisti guidati da Auguste Perret l’immagine del “perfetto inquadramento” raggiunto dalle scuole italiane. Ha il controllo della situazione, è attento a evitare gli spunti polemici, è pronto a riprendere Joseph Vago quando questi sostiene, ad esempio, che lo studio dell’architettura del passato si deve limitare al solo momento di formazione culturale. A Cancellotti e Rogers viene dunque affidato il compito di pre sentare la situazione delle scuole in Italia. Entrambi sono nelle vesti di ex studenti, ma con alle spalle una diversa formazione: il primo si è laureato nella scuola di Roma nel dicembre 1924, il secondo nella sezione di architettura del politecnico di Milano nel luglio del 1932. Proprio il progetto dello studente Rogers era stato premiato, come si è visto, nel concorso organizzato daIl’“Assalto”, conclusosi con la polemica contro le scuole di Roma e di Napoli. Dopo essere stato il portabandiera degli studenti in una manifestazione ostile al mondo accademico romano, ora con buona dose di opportunismo si presta a rappresentare gli architetti neolaureati in una manifestazione gestita da Calza Bini. L’intervento di Cancellotti, che Giovannoni ha appena indicato come vincitore del concorso per il piano di Sabaudia, è una lode del sistema su cui si basano le scuole e di quella di Roma in particolare, “la più antica e la più insigne”, che ha formato architetti preparati a realizzare la nuova architettura77. La relazione dell’ambizioso Rogers si pone invece in termini ben più critici, ma usa un linguaggio volutamente vago. Prefigura una 77. G. Cancellotti, La formation de l’architecte en Italie, in Ile Reunion internationale d’architectes. Conférences, rapporti et Communications, cit., p. XLII1.
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generica scuola “formatrice” opposta alle “accademie statiche”, con testa la pretesa delle scuole di architettura di insegnare l’arte invece di offrire i mezzi per raggiungerla, accenna a un non precisato “dis sidio che esisteva” tra allievi e professori chiusi nel “proprio bigotti smo stilistico”. Infine riconosce l’atmosfera di cambiamento che si respira in alcune città e in particolare a Milano, “che ho avuto il pia cere di frequentare per cinque anni”, dove “le muffe accademiche sono voltate al tramonto, e un’altra aria circola nelle aule”78. Solo il 18 settembre, nell’ultimo giorno del convegno, Calza Bini assente, la discussione entra nel vivo. Fino allora, sulla base del re soconto del convegno apparso su “L’Architecture d’aujourd’hui”, si è discusso ben poco. Non si è fatto, ad esempio, cenno all’esperienza della Bauhaus, sciolta da appena un mese dal governo nazista. Eppure in quegli stessi giorni, sulle pagine di “Quadrante”, Bardi auspica l’apertura anche in Italia di una scuola simile79. Nell’ultima seduta, le velate critiche pronunciate da Rogers diven tano nelle parole di Pagano un’aperta denuncia. Per il direttore di “Casabella”, nelle scuole di architettura in Italia si assiste all’incom prensione tra insegnanti e studenti, alla frattura tra due età. Manca la disposizione dei giovani a riconoscere l’autorità dei maestri perché questa avviene solo se essi “godono di un prestigio meritato e ricono sciuto”. La conclusione a cui giunge Pagano è che in Italia “il pro blema delle scuole di architettura è un problema di maestri”80. La foga polemica di Pagano ha infiammato il convegno e puntato l’indice sulle responsabilità dei docenti. Annoili, chiamato in causa nella sua veste di insegnante, nega l’esistenza a Milano di una “se parazione, tra allievi e professori”. Nella scuola lombarda, prosegue Annoni, allo studente viene lasciata la libertà di seguire le proprie idee e l’insegnante si limita a riconoscere e valorizzare le qualità dell’allievo. All’interno del suo corso, la storia dell’architettura, pu re oggetto delle critiche di Pagano, non è strumentale allo studio di forme antiche da imitare, ma all’accrescimento dello spirito critico dello studente. La tesina presentata proprio da Rogers ad Annoni sul tema del rapporto tra struttura e decorazione è una conferma puntua le della libertà di critica esercitata nella scuola. Ma, aggiunge am miccante il docente, “io posso comprendere a che cosa Pagano ha fatto allusione e dove vuole arrivare”. 78. E.N. Rogers, «La formazione dell’architetto», Quadrante, n. 6, ottobre 1933, pp. 30-33. 79. P.M. Bardi, «Cronaca di viaggio», Quadrante, n. 5, settembre 1933, p. 13. 80. L’Architecture d’aujourd’hui, n. 8, ottobre-novembre 1933, p. 40.
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In una seduta sempre più animata, l’intervento di Pagano è ripre so dall’architetto tedesco Julius Posener, ex allievo di Hans Poelzig alla Tecnische Hochschule di Charlottenburg a Berlino81, che allarga l’analisi al contesto europeo. “Pagano ha rivelato con franchezza lo stato dell’educazione architettonica nel suo Paese. Io posso fare lo stesso per la Germania e altri per la Francia. ... Io prego tutti i membri di questo congresso di non perdere di vista la questione più importante, che noi trattiamo qui: il controllo delle scuole”. A convegno concluso, gli interventi e le risposte al questionario vengono pubblicati su un numero di “L’Architecture d’aujourd’hui”, dedicato alla situazione dell’architettura in Italia. Joseph Vago può ora esprimere ciò che al convegno la vigile presenza di Calza Bini non gli aveva permesso di dire: in Italia “il sistema gerarchico”, vantaggioso in altri campi, non favorisce l’arte. “Vecchi scaltri egli aggiunge - si sono adattati troppo presto al nuovo ordine. Essi hanno occupato le posizioni superiori e hanno soffocato con l’auto rità del loro grado gerarchico, ogni movimento dei giovani”. Nelle scuole di architettura gli studenti non hanno professori da ammirare e ai quali accordare la loro fiducia. “Ma come potrebbero averne prosegue Vago - dato che la prima scuola superiore di architettura, degna di questo nome, non è stata l'ondata che da soli dicci anni e che in essa vennero nominati dei professori di cui una gran parte avrebbe avuto bisogno loro stessi d’imparare ancora?”82. L’intervento di Vago, ospitato anche sulle pagine di “Casabella”, è per Pagano occasione per riprendere la polemica sull’assenza di un maestro in Italia, “che abbia i 65 anni di Peter Behrens, i 63 di Josef Hoffmann o i 73 di Karl Moser”. Ironico, constata che l’unico mae stro, di lina generazione più giovane, è Piacentini, “regalatoci” da Ojetti con la polemica sugli archi e le colonne83. Completamente di menticata è la lettera di alcuni anni prima in cui proprio Pagano eleggeva Piacentini a “capo riconosciuto di tutti noi”. Di altro profilo le osservazioni di Giolli. Il convegno gli offre lo spunto non solo per mettere in dubbio l’utilità della riunione, ma an che l’esistenza stessa delle scuole di architettura in Italia. La sua ana lisi rappresenta la critica più alta all’impianto scolastico di Giovanno ni e coglie l’intima essenza, ma anche la contraddizione, di una scuo la tecnica finalizzata a educare a uno stile. Per Giolli, la discussione 81. M. De Michelis, Heinrich Tessenow. 1876-1950, Electa, Milano, 1991, p. 121. 82. J. Vago, «Ce que les pierres racontent», L’Architecture d’aujourd’hui, n. 8, ottobre-novembre 1933, pp. 21-22; anche in Casabella, n. 72, dicembre 1933, pp. 56-57. 83. Casabella, n. 72, dicembre 1933, p. 57.
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sulla formazione è necessaria solo se l’architetto è un costruttore. Ma se l’architetto è qualcosa di più di un ingegnere allora il problema della formazione è ozioso, perché quel qualcosa di più che è l’arte non può essere insegnata da nessuna scuola. Se l’attimo della creazio ne artistica si dà nell’assoluta libertà dell’uomo, se è indipendente dall’educazione, allora, in contrasto anche con la tesi di Pagano, non è necessario all’architetto alcun maestro. La soluzione prospettata da Giolli è, a questo punto, coerentemente drastica: “Si tratta soltanto di chiudere le scuole: o, almeno di rinunciare, nelle scuole alla presun zione di insegnare un modo qualunque, ufficiale di «fare l’arte»”84. Sebbene annunciato, il resoconto del convegno sulla formazione dell’architetto non esce ovviamente sul supplemento sindacale di “Architettura”85. Quando nell’aprile del 1934, la rivista pubblicherà un articolo di Plinio Marconi sulla Figura e formazione dell’architet to moderno ci sarà solo un richiamo al convegno, ma nessun cenno alle critiche rivolte agli insegnanti. Per il sindacato non è certo questo un argomento da discutere. All’assistente di Piacentini preme piutto sto assegnare legittimità storica alla nuova professione, attualizzando ingenuamente il passato. Il fiorire dell’architettura del Cinquecento in Italia viene fatto coincidere con l’imporsi della “figura artistica e pro fessionale dell’architetto ... al sommo delle gerarchie intellettuali”: quella figura riassumeva competenze ora divise con gli ingegneri86. Su “Casabella” ci sarà chi invece tenterà di riportare di nuovo il di scorso sulle scuole. Alessandro Pasquali indicherà le responsabilità dello stato attuale dell’architettura nella scuola di Roma, nei “vari pontefici che odiano il nuovo perché non sanno comprenderlo”, nella “voluta o effettiva ignoranza” di coloro che dovrebbero essere i mae stri. Non risparmierà neppure le critiche alla scuola di Milano, dove quello che c’è di buono non è dovuto a un “metodo di insegnamento”, ma solo alla cultura e alle capacità “eccezionali” di alcuni allievi87. 1 84. R. Giolli, «La definizione dell’architetto», Colosseo, n. 2, settembre 1933; ora in Id., L’architettura razionale, a cura di C. De Seta, Laterza, Bari, 1972, pp. 171-173. , 85. «Consiglio nazionale del sindacato e Congresso internazionale degli architet ti a Milano», Architettura. Supplemento sindacale, n. 9, settembre 1933, p. 600. 86. P. Marconi, «Figura e formazione dell’architetto moderno». Architettura. Supplemento sindacale, n. 5, 30 aprile 1934, p. 48. Cfr. anche Id., «Propaganda cul turale», Architettura. Supplemento sindacale, n. 11, 30 settembre 1934, pp. 121-122. 87. A. Pasquali, «Scuola di architettura», cit., pp. 36-43. Cfr. anche Id., Scuola di architettura, in AA.VV., Dopo Sant’Elia, Domus, Milano, 1935, pp. 123-129. Per un giudizio non negativo cfr. A. Pica, «Opinioni sulla scuola di architettura», Edilizia moderna, n. 16, gennaio-marzo 1935, pp. 12-19.
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6. L’araba fenice della legge urbanistica e la scuola di per fezionamento Il 15 settembre 1933, al Consiglio nazionale del sindacato fascista architetti che si svolge a Milano, Calza Bini annuncia la prossima emanazione della legge urbanistica nazionale. Appena due giorni prima, il ministro dei Lavori pubblici Araldo Crollalanza ha tra smesso a Mussolini il progetto della nuova legge, redatto da una commissione presieduta dal sottosegretario di Stato Antonio Leoni e di cui fanno parte tra gli altri lo stesso Calza Bini, Giovannoni e Virgilio Testa, che ne è il relatore88. Un precedente progetto legislativo sugli espropri per pubblica uti lità, comprensivo di alcune norme sui piani regolatori, era stato pre sentato nel 1928, ma era rimasto lettera morta. Giovannoni in quell’occasione aveva lamentato l’assenza di una specifica legge in materia urbanistica. Gli strumenti allora in uso per la redazione dei piani regolatori facevano riferimento a due provvedimenti parziali: la legge n. 2359 del 1865 sulle espropriazioni per pubblica utilità e la legge n. 2892 del 1885 sul risanamento della città di Napoli. La prima, orientata secondo i principi liberali verso la più rigida tutela dei diritti dei singoli, detta alcune norme in presenza di piani regola tori; la seconda stabilisce criteri sull’indennità di esproprio. Entram be le leggi sono inadatte, osserva Giovannoni, e creano ostacoli gra vissimi all’attuazione dei piani regolatori. Pure il progetto di legge sugli espropri per pubblica utilità del 1928 è distante dal dare un’adeguata risposta alle moderne esigenze urbanistiche89. Chi promuove l’iniziativa di legge del 1933 è l’Inu (Istituto na zionale di urbanistica), creato nel 1930 sulla traccia di quell’ente di studi urbanistici proposto da Calza Bini nel 1928 per contrastare l’iniziativa di Ardy90. Del nuovo ente il segretario del sindacato ave 88. Sulla composizione della commissione e più in generale sulle vicende della legge urbanistica cfr. F. Bottini, «Dall’utopia alla normativa. La formazione della legge urbanistica nel dibattito teorico: 1926-1942», Bollettino DU. Dipartimento di urbanistica, n. 4, 1984, p. 133. 89. G. Giovannoni, «Questioni urbanistiche», L’ingegnere, n. 1, gennaio 1928, pp. 9-10; Id., «Piani regolatori e politica urbanistica», Concessioni e costruzioni, n. 1-2, gennaio-febbraio 1930, p. 48. 90. Sul ruolo di promotore svolto dall’Inu cfr. V. Testa, «Un disegno di legge dimenticato da tener presente nella formulazione del T.U. delle norme urbanisti che», Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, fase. 3-4, 1971, p. 222. Sull’Inu cfr. A. Melis, «Presentazione dell'istituto nazionale di urbanistica»,
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va rimarcato l’identità romana e il ruolo privilegiato occupato dall’architetto nello studio del piano regolatore91. Alla presidenza dell’istituto, che si propone di “promuovere, disciplinare e diffonde re” la nuova disciplina, siede lo stesso Calza Bini e tra i consiglieri Giovannoni e Piacentini. Segretario dell’istituto è nominato Testa, l’esperto in giurisprudenza che traduce le istanze provenienti da quella cultura urbanistica e che verrà di li a poco chiamato a inse gnare nella scuola di architettura di Roma. Le modalità seguite da Calza Bini nell’elezione dei consultori - su una rosa di dieci nomi, abbinati a due a due, scelti a discrezione del presidente se ne devono indicare cinque - sono un esempio poco istruttivo di gestione perso nale del potere che provoca le vibrate proteste di Cesare Alberiini. Quest’ultimo non solo è stupito di non essere stato incluso nella lista e trovarvi invece, unico milanese, Muzio, che non ha né maggiori ti toli, né maggiori studi, ma pure di vedere comprese anche “persone che di urbanistica, anche in senso lato non si sono mai occupate”92. Nell’accompagnare il progetto di legge urbanistica, Crollalanza scrive a Mussolini che è interesse dello Stato favorire la formazione dei piani regolatori, perché l’attività edilizia svolta senza guida è fonte di “gravi inconvenienti dal punto di vista estetico, igienico, so ciale”. I criteri seguiti nel disegnare la legge assegnano al piano re golatore ampia estensione territoriale e temporale e, allo stesso tem po, non sottovalutano “i bisogni di ordine estetico”93. Il progetto di legge prevede l’attuazione del piano regolatore at traverso i piani particolareggiati per favorire una progettazione uniUrbanistica, n. 1, gennaio-febbraio 1933, pp. 1-3; A. Calza Bini,«L’isiiluto nazio nale di urbanistica», Urbanistica, n. 3, maggio-giugno 1933, pp. 99-100; L. Falco, «La rivista “Urbanistica” dalla fondazione al 1949», Urbanistica, n. 76-77, dicem bre 1984; L. Besati, Istituto nazionale (li urbanistica ( 1930-1975): un problema sto riografico, tesi di laurea, Iuav, Venezia, 1987 91. La proposta ufficiale viene fatta da Calza Bini alcuni giorni dopo al I Con gresso di studi romani. Cfr. A. Calza Bini, Per la costituzione di un centro di studi urbanistici a Roma, in Atti del I Congresso di Studi Romani, Roma, 1929, pp. 45-52. 92. Lettera di Albertini a Testa del 3 marzo 1930, in L. Besati, Istituto nazionale di urbanistica, cit., p. 259. 1 dieci nomi sono suddivisi per cinque categorie: Euge nio Broccardi e Niutta per quella degli amministratori, Piacentini e Caffarelli per quella degli urbanisti, Guido Vitali e Enrico Parisi per quella dell’associazione pro prietari e industriali, Muzio e Giovannoni per quella dei sindacati professionisti, Cesare Tumadei e Cornelio Perogallo per gli istituti finanziari. Oltre a Giovannoni e Piacentini sono eletti consiglieri Broccardi, Vitali e Perogallo. 93. Note illustrative allo schema di legge generale urbanistica inviate da Crolla lanza a Mussolini del 13 settembre, in ACS, PCM, 1931-33, 1.1.26.11163.
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taria, la costituzione di consorzi di proprietari per promuovere l’in tervento dei privati e limitare la pratica dell’esproprio, il riconosci mento di istituti di risanamento edilizio per migliorare il patrimonio edilizio esistente. Contempla inoltre l’adozione di regolamenti edili zi per il controllo dell’attività privata, con “l’imposizione di deter minati caratteri architettonici, nei casi in cui sia necessario”. Infine, prefigura la formazione di piani regolatori regionali per zone con particolari caratteristiche edilizie, turistiche, industriali94. Enorme è la differenza tra il concetto di piano regolatore della leg ge in vigore e quello proposto. “Rivoluzionarie”, come ebbe a dire Testa, appaiono le innovazioni apportate, risultato dei più recenti stu di in materia, delle direttive seguite nel nuovo piano regolatore di Roma e delle teorie urbanistiche di Giovannoni: si è posta grande at tenzione al patrimonio esistente, si sono introdotte nuove figure come i consorzi di proprietari e gli istillili di risanamento, si sono definiti nuovi strumenti come i piani particolareggiati e i piani regionali95. Soprattutto diversa è l’idea di urbanistica chc sottende a questo disegno di legge. Nella legge del 1865 il piano regolatore risponde va esclusivamente alla logica di assicurare la “salubrità” e le “neces sarie comunicazioni” agli abitati e rispecchiava una cultura tecnica e igienista96. All’opposto, i 47 articoli dello schema di legge del 1933 riflettono una concezione principalmente architettonica del piano re golatore, la stessa condivisa da Giovannoni e Piacentini e insegnata nelle aule della scuola di architettura di Roma. Il piano particolareg giato, in particolare, è il dispositivo che permette di pensare l’urba nistica in maniera tridimensionale. La legge che verrebbe a disciplinare l’attività urbanistica ed edili zia sul territorio è pensala in primo luogo a misura dell’architetto e sarebbe il loro principale strumento legislativo. Si prefigurerebbe così un vasto campo di attività, quello dell’urbanistica, con gli archi tetti avvantaggiati per preparazione scolastica sugli ingegneri. Dopo l’istituzione di specifiche scuole e il riconoscimento del titolo si ver rebbe dunque ora a definire un esteso ambito di intervento per l’esercizio della professione. Nel 1933 il varo della nuova legge urbanistica nazionale sembra dunque ormai prossimo. Con la sua approvazione si obbligheranno 94. Progetto di legge generale urbanistica. ìbidem. 95. Sui consorzi di proprietari cfr. G. Giovannoni, «Consorzi architettonici», L’ingegnere, n. 1, luglio 1927, pp. 23-29. 96. Cfr. il “Capo VI - Dei piani regolatori edilizi” della L. 25 giugno 1865, n. 2359.
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tutte le città capoluogo di provincia, oltre a quei comuni compresi in un apposito elenco, a dotarsi di un piano regolatore e di un regola mento edilizio. Negli uffici tecnici delle amministrazioni comunali e tra la libera professione ci sarà la richiesta di tecnici con competen ze specifiche. La scuola di perfezionamento in urbanistica sorge pro prio per rispondere a questa domanda, nell’attesa della nuova legge. Essa integra gli insegnamenti di urbanistica al quinto anno di corso, impartiti a Roma da Piacentini, a Napoli da Piccinato, a Firenze da Concezio Petrucci, a Torino dapprima da Pietro Betta e poi da Ales sandro Molli Boffa, a Venezia dal 1934 da Duilio Torres. Organizza ta dalla scuola di architettura di Roma in collaborazione con la scuo la di ingegneria, la scuola di perfezionamento è finanziata dall’Inu. La sede, per richiesta dello stesso Inu, è la scuola di architettura del la capitale, “avendo il movimento urbanistico avuto inizio in seno alla classe degli architetti”97. Le richieste di istituire la scuola risalgono all’autunno del 1932, ma la proposta è accolta dal consiglio superiore nel giugno del 1933, dopo la delibera di finanziamento dell’Inu98. Le lezioni invece hanno inizio solo nel gennaio del 1934 e una durata di sei mesi99. L’esame finale consiste in una parte grafica - un progetto di piano regolatore o di sistemazione edilizia - oltre che in una scritta e un’orale. Il superamento delle prove dà diritto al conferimento del diploma di urbanistica, che dovrebbe costituire titolo preferenziale per i comuni e per il ministero dei Lavori pubblici100. Alla scuola non possono iscriversi tutti gli architetti, ma solo chi possiede una laurea: nelle intenzioni dei promotori l’urbanistica non è dunque materia per i professori di disegno. La scuola è strutturata in quattro corsi: i primi due il corso di elementi di urbanistica affidato a Giovannoni e di applicazioni urba nistiche tenuto da Piacentini - hanno un contenuto specificatamente architettonico. Gli altri due, affidati a Ugo Vallecchi e a Testa, tratta no i problemi del traffico, degli impianti e della legislazione urbani 97. Libro dei verbali dellllnu del 16 aprile 1932, in L. Besati, Istituto nazionale di urbanistica, cit., pp. 230, 263. 98. Cfr. la proposta presentata alla prima sezione del consiglio superiore, in ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 97 bis, f. 6. L’Inu delibera il finanziamento della scuola il 7 giugno 1933. 99. Architettura, f. 11, dicembre 1933, pp. 738-739. 100. V. Civico, «Scuola di perfezionamento in urbanistica», Ingegneria, n. 2, 16 gennaio 1934, p. 71.
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stica. Piacentini è assistito nella didattica da Marconi e Piccinato, Giovannoni da Cesare Valle. Il corso di Giovannoni ha carattere propedeutico ed è riservato ai soli ingegneri. Offre un’analisi dei caratteri storici della città, con particolare attenzione alla città di Roma, e introduce agli strumenti tecnici necessari alla redazione del piano. Il corso di Piacentini, inve ce, è incentrato su un’ampia analisi delle soluzioni urbanistiche, pro poste o adottate in numerose città italiane. Si va dagli esempi di Bo logna, Bergamo, Brescia, Bari, Torino, Milano, fino al rettifilo di Na poli e alla spianata del Bisagno a Genova, comprese dunque le espe rienze che lo hanno visto protagonista. Non sono esclusi i casi di città d’arte e di fondazione, di centri industriali. Vengono inoltre pre sentate le esperienze inglesi sui piani regionali e sulle città giardino. Il primo anno di scuola registra un notevole successo di presenze, ma fra i 95 allievi iscritti solo 23 sono laureati in architettura e la gran parte proviene dalla facoltà di Roma. Istituire un’unica sede a Roma, osserva Albertini, ha significato “riservare le lezioni a una piccola zona di questa vasta Italia”. Anche la scuola rientra nella “nobile gara fra tecnici per accaparrarsi la proprietà esclusiva del nascente urbanismo italiano”101. Alla fine del corso, nel giugno del 1934, solo in 55 sono ammessi agli esami e appena 4 architetti rice vono il diploma: tra gli esclusi ci sono anche Cancellotti e Alfredo Scalpelli, due dei progettisti di Sabaudia102. Il corso di perfezionamento in urbanistica rimane attivo fino al 1938 quando il consiglio superiore - Calza Bini favorevole - ne de cide la sospensione103. Con l’arenarsi del progetto di legge presenta to nel 1933 anche la motivazione principale che aveva spinto all’istituzione della scuola di perfezionamento in urbanistica viene a cadere104. 101. C. Albertini, «Urbanismo o urbanismi», Rassegna di Architettura, n. 2, feb braio 1934; ora in Cesare Albertini urbanista. Antologia di scritti, a cura di G.L. Di Leo, Gangemi, Roma, 1995. p. 134. 102. Annuario della R. Scuola Superiore di Architettura di Roma. Anno accade mico 1934-35, pp. 171, 183. Il secondo anno vede invece un forte calo degli iscritti, appena 26, forse legato al diffondersi di uno scetticismo sulla reale volontà del go verno di varare la legge urbanistica. Nei tre anni successivi la media degli iscritti ri sale a circa 50 allievi e i diplomati in totale sono 32. 103. Seduta del consiglio superiore dell’educazione nazionale del 7 luglio 1938, in ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 25, f. scuole di perfezionamento. 104. V. Civico, «La riapertura dei corsi della “Scuola di perfezionamento in ur banistica”», Ingegneria, n. 3, 1 febbraio 1935, p. 105.
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Il disegno di legge urbanistica, scrive Vincenzo Civico alcuni an ni dopo, sta “diventando poco meno che l’araba fenice”. Di fronte agli allievi della scuola di perfezionamento, ancora nel gennaio del 1935 Testa ne auspica una pronta approvazione in legge105. In realtà il disegno non riuscirà mai a raggiungere l’esame del Consiglio dei ministri, bloccato in uffici ministeriali “che sabotarono allora quella legge”106. Nell’attuazione dei piani regolatori si continuerà a procedere per decreti legge specifici per ciascun comune, rinunciando a un’unità di soluzioni legislative, fino alla promulgazione della legge del 1942, che “trae origine”, come ebbe ad affermare Testa, dal disegno di legge del 1933. Alla dittatura di Mussolini sono stati necessari ben nove anni per fare approvare le norme che disciplinano l’uso del suolo. Poi, privata del necessario regolamento, la nuova legge urba nistica perderà fin da subito la sua efficacia nell’incidere sul control lo del territorio.
105. V. Civico, «Urbanistica dei tri minori», Ingegnerìa, n. 8, agosto 1936, p. 415; V. Testa, «Politica e legislazione urbanistica», Urbanistica, n. I, gennaiofebbraio 1935, p. 57. 106. A. Calza Bini, «Per la legge urbanistica», Urbanistica, n. 4, luglio-agosto 1942, p. 5.
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V. La gestione dell ’architettura
1. Il sindacato di Calza Bini Nel gennaio del 1933, Giuseppe Pensabene, uno dei critici più informati sulle dinamiche di potere dell’architettura in Italia, indica nel legame che unisce Piacentini a Calza Bini una delle cause del mono polio nel campo dell’edilizia. Pensabene ritiene inoltre che il compito di “inquadramento” del sindacato abbia superato i confini meramente organizzativi per tradursi in una sorta di “autodittatura artistica”1. Un mese dopo compare con grande evidenza su un quotidiano di Ro ma una lettera aperta indirizzata a Calza Bini2. L’autore, Ettore Rossi, figura ben presente nella vita del sindacato romano, descrive i meccani smi di una realtà professionale dominante. Nel lamentare la situazione di grande disagio “materiale e morale” diffusa tra gli architetti, denun cia l’esistenza di un capillare sistema di clientele che fa capo a cinque o sei architetti. Per lavorare - racconta allusivo Rossi - è necessario bus sare alla porta di uno di questi professionisti e accodarsi al loro gregge: “il pingue pastore ... ha erba per tutti, perché può liberamente falciarla nei suoi feudi: Stato ed Enti Statali, Enti Locali ed Enti Parastatali”. Questa “bassa politica”, che il fascismo non è riuscito a spazzare via, sta dietro al “mostruoso monopolio” di alcuni “affamarchitetti”. Nessuno di questi, ricorda Rossi, marciava “al mio fianco per le strade con il moschetto a tracolla e il nome di Mussolini nel cuore”: seduti sul “trono creato loro inconsapevolmente dal fascismo in un 1. G. Pensabene, «Il libro giallo dell’architettura italiana. VI Conclusioni», II Te vere, 7 gennaio 1933. 2. E. Rossi, «Lettera aperta all’on. Alberto Calza Bini, Segretario Nazionale del Sindacato Architetti», Il Tevere, 8 febbraio 1933.
momento di distrazione”, ora disciplinano l’architettura e distribui scono incarichi, formano commissioni, assegnano premi, “sempre però nella ristretta cerchia degli amici sottomessi”. La vicenda ulti ma del concorso a inviti per il padiglione per l’esposizione di Chica go - il padiglione viene realizzato da De Renzi e Libera - contrav viene non solo le norme sindacali, ma altre leggi “ben più delicate”3. A distanza di qualche giorno, sullo stesso quotidiano compare un’altra lettera di denuncia contro Calza Bini, definito “persona di scarsa sensibilità”. A firmarla questa volta non è un diplomato nel vecchio istituto di belle arti, ma tre promettenti giovani laureati nel la nuova scuola di architettura: Ernesto Bruno La Padula, Franco Petrucci e Mario Ridolfi4. Insofferenti al sistema ambientale del fa voreggiamento, orgogliosi della propria indipendenza - “non amano essere protetti e non tollerano protezioni” -, essi chiedono giustizia per fare cessare “quel monopolio che impedisce a molti di partecipa re alla vita artistica della nazione”. Denunciano la contraddizione tra un sindacato che a parole si propone di “salvaguardare moralmente” la professione e una realtà che, soprattutto nella gestione dei concor si, dimostra all’opposto “l’assoluta mancanza di moralità”5. Infine, il 25 febbraio Calza Bini viene ricevuto da Mussolini. Il resoconto dell’incontro, pubblicato sulla rivista di Piacentini, non la scia trasparire alcuna tensione6. In realtà, Mussolini ha convocato il segretario nazionale degli architetti perché, oltre alle lettere apparse sui giornali, gli è giunta anche una denuncia per le troppe cariche accumulate dall’architetto7. Calza Bini si difende dalle accuse attac 3. Sul concorso per Chicago, “una specie di concorso - tenutosi all’insaputa di tutti - fra una mezza dozzina di architetti... L’episodio si allaccia al metodo con cui si risolvono spesso i concorsi”, cfr. «L’Italia all’Esposizione mondiale di Chica go. Chi costruirà il padiglione italiano?», Il Tevere, 26 gennaio 1933. Nel trafiletto viene presentato il progetto di Ernesto La Padula e Antonio Valente. 4. La lettera porta anche la firma di Vittorio Cafiero, diplomato all’istituto di belle arti. 5. «L’architettura e i giovani architetti», Il Tevere, 20 febbraio 1933. 6. «S. E. il Capo del Governo riceve l’onorevole arch. Alberto Calza Bini», Ar chitettura, n. 3, marzo 1933, Supplemento, Sindacato Nazionale Architetti. Pagine di vita sindacale, p. 195 7. Nel 1933 Calza Bini è contemporaneamente segretario nazionale del sindaca to architetti, deputato al parlamento, direttore della scuola di architettura di Napoli, presidente dell’Istituto case popolari di Roma, presidente della commissione centra le degli Istituti per le case popolari del regno, presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica, membro del consiglio superiore del ministero dei Lavori pubblici e del ministero dell’Educazione nazionale, membro del consiglio di amministrazione del la scuola di architettura di Roma, consigliere dell’Istituto nazionale di credito edili zio, consigliere della cooperativa edilizia di Anzio e podestà di Calvi.
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cando il “gruppetto di piccoli uomini” che ha inviato a Mussolini 1’“elenco di cariche e lavori da cui dovrebbe risultare una mia privi legiata posizione di accaparratore di utili”. Il segretario del sindaca to identifica, pur senza fare nomi, uno a uno i suoi accusatori. Tra questi ci sono Bardi, il “pubblicista che aspira a divenire il despota dell’architettura di Stato” e Del Bufalo, il “segretario nazionale di una categoria sindacale nobilissima che ha nella vita economica del Paese tanti e così vasti compiti”, che teme “l’ingrandirsi della cate goria degli architetti che voi avete voluto, giustamente, divisa da quella degli ingegneri”8. Non conosciamo le decisioni prese da Mussolini alla fine del col loquio. Certo è che, nonostante le numerose critiche, Calza Bini ri mane ancora saldamente in sella al sindacato. E alcuni mesi dopo, nel settembre 1933, alla riunione del consiglio nazionale del sinda cato, viene nuovamente eletto per acclamazione segretario naziona le9. All’unanimità, in quell’occasione, viene anche votata la lista, già approvata dal partito, dei componenti il direttorio: a Diego Brioschi, Cancellotti, Canino, Del Debbio, Fichera, Michelucci, Ponti e Duilio Torres, si aggiungono Fagnoni e Mclis, in qualità di membri del Consiglio nazionale delle corporazioni. Su 10 componenti ben 7 so no docenti delle scuole di architettura10. La storia intrecciata delle scuole di architettura e del sindacato architetti è resa ancora più soli dale dal fatto che le stesse persone occupino cariche in entrambe le organizzazioni. Accanto al segretario e al direttorio, la piramidale struttura sinda cale prevede 15 segreterie interprovinciali: quella della Campania presieduta da Chiaromonte, dell’Emilia e Romagna con Legnani, del Lazio con Vincenzo Fasolo, della Liguria con Giuseppe Rosso, della Lombardia con Giovanni Mainetti, delle Marche con Eusebio Petetti, del Piemonte con Arturo Midana, della Puglia con Saverio Dioguardi, della Sardegna con Salvatore Rattu, della Sicilia con Gaeta no Pavone, della Toscana con Brizzi, dell’Umbria con Angelini, del la Venezia Euganea con Virgilio Vallot, della Venezia Giulia con Raffaello Battigelli, della Venezia Tridentina con Antonio Rusconi11. 8. ACS, SPD, CO, 1922-43, f. 518.921. 9. I precedenti congressi nazionali del sindacato si sono svolti nel 1928 e nel 1931. 10. Portaluppi, Roberto Marino e Chierici sono nominati revisori dei conti. 11. I dati relativi alle segreterie interprovinciali si riferiscono al biennio 193334. Ben più radicata e capillare è l’organizzazione sindacale degli ingegneri che può contare su 82 sezioni provinciali.
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L’elezione di Calza Bini per acclamazione rimane per Bardi un fatto “misteriosissimo”. Questa volta il direttore di “Quadrante” non se la prende solo con il segretario del sindacato. Da censurare anche il comportamento degli architetti: questa “gente con [le] vertebre mancanti” si lamenta per l’operato del segretario, ma poi non ha il coraggio di votare contro12. In realtà la disinvolta politica di Calza Bini, abilissimo nel dispensare incarichi, si è rivelata vincente e ha messo a tacere in questo modo i malumori interni all’organizzazio ne. Al consiglio nazionale il segretario ha distribuito cariche “spe ciali” a tutti: a Pagano per le mostre ed esposizioni di architettura, a Minnucci per l’ente tecnologico, a Piccinato per i gruppi urbanistici, ad Aschieri per l’applicazione dell’architettura alla cinematografia, a Giuseppe Capponi per la stampa, all’anziano Stacchini per i probivi ri13. Infine, risolve l’intricata vicenda del Cirpac e indica in Pollini il delegato italiano, non senza avere prima voluto “assumere informa zioni” sugli architetti stranieri e negato agli architetti italiani presen ti al IV Ciam - Bottoni, Pollini, Terragni - la rappresentanza ufficia le dell’Italia14. Il 21 settembre, pochi giorni dopo il consiglio nazionale di Mila no, Calza Bini incontra nuovamente Mussolini. Il programma preve de che il segretario nazionale accompagni nella visita al duce la de legazione di architetti stranieri, presieduta da Auguste Perret, che ha partecipato a Milano al convegno sulla formazione dell’architetto e di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo. Lasciata Milano, vi sitata la stazione di Genova di Vietti, la delegazione straniera è giunta a Roma, dove viene accolta da Calza Bini. Il segretario nazionale degli architetti vuole cogliere l’occasione dell’incontro con Mussolini per presentare al dittatore il nuovo con siglio direttivo del sindacato. Là frequentazione di Palazzo Venezia gli è familiare: durante il percorso tra quelle mura, chiama per nome quanti incontra per scale e per corridoi. Ma quando, giunto alla pre senza di Mussolini, tenta di introdurre i nuovi membri del sindacato, 12. P.M. Bardi, «Corsivo n. 45», Quadrante, n. 6, ottobre 1933, p. 8. 13. Le altre cariche speciali sono assegnate: a Foschini per l’insegnamento supe riore, a Griffini per i concorsi internazionali, a Marconi per la rivista «Architettu ra», a Gaetano Moretti per il Cpia, a Mario Paniconi per gli italiani all’estero, a Giuseppe Vaccaro per i canoni nazionali, a Cesare Valle per il Coni. 14. Lettera di Pollini a Bardi del 10 luglio 1933, riportata in R. Mariani, Razio nalismo e architettura moderna, cit., pp. 245-246; P.M. Bardi, «Viaggio di architet ti in Grecia», Quadrante, n. 5, settembre 1933, p. 1.
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scatta inaspettata e violenta la collera del duce: “Il sindacato degli architetti? Quale sindacato?”. Una reazione irata, che lascia stupefat ti gli ospiti stranieri, dovuta non solo a un protocollo non rispettato. L’episodio rivela un'insofferenza verso le iniziative troppo accentra trici del sindacato architetti ed è indizio di una tensione esistente tra Mussolini e Calza Bini15. Nonostante questo incidente, il segretario sta dimostrando notevoli capacità organizzative e politiche. Se scarsa è la sua presenza nelle aule della scuola di Napoli, frenetica è invece l’attività parlamentare, dove svolge un ruolo di primissimo piano. Deputato dal 1929, senato re a vita dal febbraio 1943, consigliere nazionale delle corporazioni, Calza Bini è relatore di oltre 150 disegni di legge, di cui 103 presenta ti tra il 1934 e il 1939: essi riguardano in prevalenza il campo delle opere pubbliche - i piani regolatori, l’edilizia popolare, scolastica e religiosa, le costruzioni ferroviarie - e quello dell’istruzione tecnica e artistica. Inoltre è vice presidente della commissione parlamentare di bilancio e relatore dei bilanci delle Ferrovie dello Stato nel 1930-31, del ministero dei Lavori pubblici nel 1930-31 e nel 1935-36, del mini stero delle Comunicazioni nel 1933-34 e nel 1934-35, del ministero dell’Educazione nazionale nel 1940-41, per l’Esposizione universale di Roma e per il Palazzo del Littorio a Roma. Calza Bini è dunque la figura chiave, finora sottovalutata, per comprendere il legame tra la politica del regime nelle opere edilizie e urbanistiche pubbliche c l’af fermazione della figura professionale dell’architetto in questo campo. Tra i numerosi discorsi parlamentari, grande risonanza riscuote quello tenuto dal segretario il 26 maggio 1934 alla Camera dei de putati, in occasione della dichiarazione di pubblica utilità dei lavori di costruzione del Palazzo del Littorio a Roma. In un’indisciplinata seduta, tra i lazzi, le interruzioni e le opposizioni provocate da Giun ta, Attilio Terruzzi e Farinacci - ma c’è anche chi con malizia e in apparenza fuori tema grida: “bisogna rompere il monopolio” - Calza Bini si erge a difensore dell’architettura moderna. La seduta provoca la notoria presa di posizione di Mussolini a favore degli architetti della stazione di Firenze e di Sabaudia. Ma quest'immagine di Calza Bini, paladino del moderno, è solo strumentale a un’accorta politica di equilibrio sindacale. Alla luce di nuovi documenti. Calza Bini si rivela in realtà il regista di un sottile 15. G. Brunon Guardia, «Nous avon fait un beau voyage», L’Architecture d'aujourd’huj, n. 8, ottobre-novembre 1933, p. 11.
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“doppio gioco”, che non perde di vista l’obiettivo più vasto di un processo di nazionalizzazione dell’architettura. Negli stessi giorni in cui si svolge il dibattito alla Camera, è in visita a Roma Le Corbusier. L’architetto svizzero inutilmente sta cercando di incontrare Mussolini per proporre la sua idea per Pontinia. Mentre in pubblico Calza Bini difende l’architettura moderna e riceve l’accorato plauso di un ingenuo Terragni, in segreto dà il suo contributo per rendere infruttuosa quella visita: in un appunto per Mussolini chiede di non concedere locali troppo ampi per la prevista conferenza di Le Corbusier e di ordinare ai giornali di ridurre il più possibile le notizie a riguardo16. Il linguaggio dell’architetto svizzero è completamente estraneo a un discorso di identificazione nazionale. L’anno successivo, nel settembre del 1935, alla vigilia dell’inva sione dell’Etiopia e dell’avvenlura imperiale dell'Italia fascista, si riunisce a Roma il XIII Congresso internazionale degli architetti, in concomitanza con il consiglio del sindacato nazionale. Agli architet ti italiani e stranieri, Calza Bini ricorda l’impegno dell’Italia per ri trovare nel campo dell’architettura il posto di guida occupato nel passato e sottolinea lo sforzo compiuto in questa direzione dalle nuove scuole col dare unità agli studi di architettura. E ancora Bot tai, all’epoca governatore di Roma e relatore al congresso, ad addi tare nuove alleanze tra l’architettura e la politica. Bottai, che nel 1928 aveva assegnato all’architetto il compito di ricercare “lo stile” dell’era fascista, ora indica a chiare note nell’architettura di Roma antica e rinascimentale “la suprema essenza stilistica viva ancor og gi”, in grado di imprimere l’orientamento all’architettura moderna17. Non si può non cogliere una sintonia tra questi concetti e il pro gramma didattico seguito dalla scuola di Roma e, all’opposto, non ricordare le parole di Le Corbusier, per cui mandare a Roma gli stu denti di architettura significa rovinarli per sempre. Esaurita la sortita di Bardi e dei razionalisti, sostenuto dall’effica ce opera di inquadramento sindacale di Calza Bini, il mondo acca demico romano rilancia il suo ruolo di interlocutore privilegiato con 16. Appunto per il Capo del governo del 2 giugno 1934, in ACS, PCM, 193436, f. 14.3.1475. Sul soggiorno romano di Le Corbusier nel 1934 cfr. G. Ciucci, «A Roma con Bottai», Rassegna, n. 3, luglio 1980, pp. 66-71. Sul discorso alla Camera di Calza Bini e sulla lettera di Terragni: Architettura. Supplemento sindacale, n. 8, 30 giugno 1934, pp. 77-82. 17. «Il XIII Congresso degli architetti». Architettura. Supplemento sindacale, n. 14, 25 novembre 1935, pp. 122-124.
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il potere politico. La scuola si presenta, come vedremo, rinnovata nel programma di educazione stilistica e con un nuovo leader cari smatico. Lo “stile” dell’era fascista avrà da ora in avanti una più ac centuata impronta classicista.
2. Concorsi, monopoli, raccomandazioni e tangenti Calza Bini, come si è visto, è accusato di detenere troppe cariche. Eppure proprio mentre viene chiamato da Mussolini a darne ragio ne, al consiglio nazionale di Milano lancia paradossalmente ai colle ghi un monito contro il monopolio e l’accentramento degli incarichi. Contro l’egemonia professionale di pochi, la soluzione proposta da Calza Bini è di estendere la pratica dei concorsi. I concorsi sono il cavallo di battaglia del sindacato. L’anno prima, alla Camera dei fasci, Calza Bini aveva apertamente criticato le am ministrazioni pubbliche e il ministro dei Lavori pubblici Crollalanza. I progetti sottratti ai concorsi ed elaborati direttamente dagli uffici tecnici si distinguono soprattutto per la loro cattiva qualità. In quell’occasione aveva anche chiamato in causa il monopolio esercita to dall’architetto di una di queste amministrazioni, pur “egregio sotto ogni punto di vista”. Questo architetto, di cui Calza Bini non fa il no me, va riconosciuto in Angiolo Mazzoni, funzionario del ministero delle Comunicazioni e responsabile della progettazione e della dire zione degli edifici postali e ferroviari di “tutta la nazione”18. Attraverso i concorsi - è la tesi del segretario sostenuta a Milano - è possibile offrire ai giovani affermazioni e notorietà. La linea sin dacale è dunque quella di attivare il più possibile queste gare, di ri chiedere sempre la presenza di rappresentanti in giuria, di operare un controllo sempre maggiore sui bandi. Del 1933, in occasione del concorso per i quattro palazzi postali a Roma, è anche il tentativo di Calza Bini di predisporre una sorta di bando di concorso tipo, il “più perfezionato” del genere. Questo bando, poi non applicato, esclude la partecipazione degli ingegneri laureati prima del 1925, in applica 18. Stralci dei discorsi tenuti da Calza Bini alla Camera dei fasci e delle corporazioni il 2 e 3 marzo 1932 sono riportati in Bollettino del Sindacato regionale fa scista architetti-Milano, n. 2, marzo-aprile 1932, pp. 36-38. Su Mazzoni architetto del ministero delle Comunicazioni cfr. Angiolo Mazzoni (1894-1979), Grafis, Casalecchio di Reno, 1984, e in particolare C. Columba, Architettura e potere nella po litica delle Comunicazioni, pp. 73-80.
zione della legge sulle attribuzioni professionali, che, come abbiamo visto, assegna solo agli architetti la competenza sulle opere di “rile vante carattere artistico”19. La capacità di radicamento del sindacato architetti sul territorio cresce in proporzione alla diffusione dei concorsi. La richiesta di atti vare concorsi diviene assillante al punto da provocare uno stizzito ri chiamo di Mussolini. Non messo in risalto dal sindacato, il duce giu dica “grottesco disturbare tutta l’ingegneria e l’architettura nazionale, per fare dei piani regolatori in una città di 30 mila abitanti!”20. Ora, se è vero che i concorsi vedono soprattutto l’affermazione degli archiletti laureati nelle nuove scuole, è altrettanto vero che essi danno luogo, come si vedrà, a un’ulteriore amplificazione del feno meno di accentramento delle cariche e della politica dei favori. Que sto aspetto presta il fianco a malumori e critiche tra gli iscritti e Cal za Bini ne è consapevole. Al congresso sindacale di Urbino del 1934 farà osservare, a garanzia di una gestione che vuole apparire trasparente, di avere designato negli ultimi 36 concorsi banditi, “sal vo poche eccezioni”, rappresentanti in giuria sempre diversi21. Eppure rimane la diffidenza sulla gestione sindacale dei concorsi. Ettore Rossi, nella citata lettera a Calza Bini, denuncia i “biasimevo li maneggi” di giudici sempre uguali22. Pagano parla di giudici in competenti, di spartizioni, di procedure simili a quelle del gioco del lotto23. Annibale Rigotti, disilluso sull’imparzialità dei giurati, si rila a Frank Lloyd Wright per invitare a “non prendere parte a concorsi d’architettura per nessuna ragione”24. Come Ettore Rossi, anche Pensabene critica la presenza dei soliti nomi in giuria: “da circa die ci anni - scrive nel 1932 l’architetto palermitano - sono effettiva 19. S. Poretti, Progetti e costruzione dei palazzi delle poste a Roma. 1933-1935, Edilstampa, Roma, 1990, pp. 20-21. j 20. Discoiso di Mussolini del 26/maggio 1936. A. Civico, «Concorsi di piano regolatore», l'ingegnere, n. 13, 1 luglio 1934, p. 682. 21. «Il congresso del Sindacato Razionale Fascista degli architetti ad Urbino», Architettura. Supplemento sindacaj/e della rivista del Sindacato Nazionale Fascista Architetti, n.Il, 30settembre 1934, p. 114. 22. E. Rossi, «Lettera aperta all’on. Alberto Calza Bini», cit. 23. G. Pagano, «11 concorso per il palazzo del Littorio», Casabella, n. 82, otto bre 1934; ora in Id,, Architettura e città durante il fascismo, a cura di C. De Seta, Laterza, Roffl-Bari, 1976, pp. 32-33. 24. Sempre in tema di Concorsi, “Atti del sindacato provinciale fascista degli in gegneri di Torino e del sindacato fascista degli architetti del Piemonte”, n. 2, no vembre 1931.
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mente tre persone che decidono tutti i concorsi”25. Non è difficile in tuire che i tre sono Giovannoni, Piacentini e Calza Bini: quella corte suprema dei concorsi, auspicata da Papini nel lontano 1923 per ga rantirne il controllo e la legittimità, ha trovato una sua spontanea e singolare forma di attuazione. I dati sui concorsi di architettura svolti in Italia tra il 1922 e il 1942 e su quelli di urbanistica tra il 1928 e il 1940 dimostrano che queste accuse non sono infondate. La gestione dei concorsi ha uno svolgi mento tutt’altro che trasparente, dove carattere meritorio e favoritismi si accavallano. In numerosi casi, la designazione del rappresentante del sindacato in giuria è fatta direttamente da Calza Bini, nella sua qualità di segretario nazionale. Egli ha quindi la possibilità di indicare persone di sua fiducia e di influenzarne, se necessario, le scelte. Il sindacato non ha alcuna intenzione di correggere il meccanismo dei concorsi. Significativa, in questo senso, la risposta data alle criti che sulla mancata trasparenza nella gestione. Invece di introdurre un maggior controllo, esso tende a coinvolgere nella logica spartitrice chi denuncia il malcostume. È il caso di Ettore Rossi che dopo aver se gnalato pubblicamente le irregolarità si aggiudica tra il 1933 e il 1938 ben quattro concorsi - per i centri ospedalieri di Modena, Bolzano, Viterbo e quello della Marina a Roma - o di Ridolfi che vince il con corso per il palazzo postale al quartiere Nomentano, pure a Roma. Se si prendono in esame i concorsi di architettura, su un campio ne di 149 gare, Piacentini compare in giuria 31 volte, Giovannoni 30, Calza Bini 25. Complessivamente i docenti della scuola di Roma sono presenti in 78 competizioni26. Ancora più significativi, per la loro maggiore completezza, sono i dati che riguardano i concorsi di urbanistica. Su 50 concorsi per piani regolatori, Giovannoni e Pia centini compaiono in commissione 10 volte. Albertini e Chiodi han no 5 presenze, Papini 4, Calza Bini, Piccinato e Portaluppi 3 a testa. Un gruppo ristretto di docenti, che già occupa i posti chiave del mondo accademico, è dunque presente in maniera assidua nelle commissioni delle principali competizioni di architettura e urbanisti ca. Questo permette loro non solo di estendere al mondo professio25. G. Pensabene, «Urbanistica», II Tevere, 14 febbraio 1932. 26. Sono stati presi in esame in totale 256 concorsi di architettura, 48 dei quali si sono svolti a Roma, 19 a Napoli, 17 a Milano. 1 149 concorsi presi a campione si riferiscono a quelle competizioni di cui si conoscono i nominativi degli architetti in giuria. Cfr. anche I. Ferreri, I concorsi di architettura in Italia fra le due guerre, te si di laurea, Iuav, Venezia, 1985, p. 74.
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naie l’indirizzo proposto attraverso l’insegnamento nella scuola, ma anche di detenere attraverso la distribuzione degli incarichi una for midabile arma di potere. Piacentini, in particolare, è in tutte le commissioni dei principali concorsi nazionali: per il Palazzo di Giustizia di Milano, per la Sta zione di Firenze, per il primo grado per il Palazzo del Littorio a Ro ma, per la sistemazione di piazza Duomo a Milano, per la sistema zione di via Roma a Bologna, per il Palazzo della civiltà italiana e la Piazza Imperiale all’E 42. Giovannoni compare nelle commissioni per il Palazzo delle Poste a Napoli, per i quattro palazzi postali a Roma, per il secondo grado per il Palazzo del Littorio, ma è escluso dai concorsi dell’E 42. Il suo presenzialismo - “sculetta sudicio e ipocrita da un estremo all’altro dell'Italia, portando ovunque la sua nota di petulanza e di camorrismo” - è biasimato da D’Aronco, proprio a commento sull’esito del concorso di Napoli27. Anche Calza Bini è presente nelle principali gare. La sua “semi permanente qualità” di giurato lo espone a critiche e sospetti. Inda gini aperte sul suo conto coinvolgono anche altri architetti: Calza Bini - si legge in un rapporto di polizia - “si è costituita la sua cric ca di modo che ai concorsi, della cui giuria fa parte, fa partecipare con esito favorevole uno di essi”28, I concorsi chiamati in causa sono quelli vinti da Samonà e da De Renzi rispettivamente per il Palazzo delle Poste del quartiere Appio e per il Palazzo delle Poste del quartiere Aventino a Roma, da Cani no per il Palazzo degli Uffici finanziari a Napoli, da Cancellotti e Piccinato per il piano regolatore di Sabaudia, tutti concorsi in cui Calza Bini è in giuria. Canino, Samonà e Piccinato sono suoi colle ghi della facoltà di Napoli, Cancellotti è suo segretario particolare al sindacato, De Renzi collabora al suo studio professionale. Emblema tico, tra tutti, il caso di quest’ultimo: per ben altre tre volte vince un concorso avendo Calza Bini in giuria. L’operato di Calza Bini in seno ai concorsi è fatto di ombre e intrighi. Non da meno lo è quello di Piacentini. Per tre volte - nel concorso per il Palazzo delle Corporazioni di Roma, per il piano regolatore di Brescia, per il Palazzo di Giustizia di Milano - da giurato egli si ritrova incarica 27. Lettera di D’Aronco ad Annibale\ Rigotti del 29 novembre ,1929, in R. D’Aronco, Lettere di un architetto, cit., p. 295. D’Aronco si riferisce al concorso per il Palazzo delle Poste di Napoli. 28. ACS, MI, PS, poi. polit., f. personali/ 1926-44, f. 220, sf. Alberto Calza Bini.
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to della realizzazione. Nel caso di Milano, poi, la mancanza di chiarezza del segretario del sindacato locale connota un generale disorientamento. Brioschi, infatti, non protesta contro l’evidente prova di malcostume, ma perché l’incarico non è stato affidato a un professionista locale29. Ma la spregiudicatezza di Piacentini ha anche altri risvolti. Il can tiere del Palazzo di Giustizia di Milano offre infatti un inedito spacca to di vita professionale, rivelandosi al centro di un diffuso sistema di corruzione. Sono quasi una decina le informative della polizia che de nunciano le presunte concussioni compiute dall’architetto. Piacentini applicherebbe ad alcune imprese “un’interessenza” del 10%30. A una ditta di marmi di Verona - il settore della fornitura dei marmi è il più esposto alle malversazioni - avrebbe chiesto una tangente di 70.000 lire, un po’ più di cento milioni attuali31. Inoltre avrebbe interessi, as sieme al deputato Alberto Redenti, nello sfruttamento di una cava di marmo32. Pure nel precedente palazzo di piazza Missori a Milano, l’architetto della Società nazionale delle assicurazioni sociali avrebbe ricevuto compensi dalla ditta fornitrice dei marmi33. Lo stesso sistema di rastrellamento di tangenti ricomparirebbe all’E 42. Qui un gruppo di imprese del marmo denuncia a Cini l’impossibilità a lavorare “sen za l’oneroso benestare a Piacentini”34. Secondo questa documentazio29. Lettera di Diego Brioschi e di Giuseppe Gorla, in Bollettino del Sindacato regionale fascista architetti-Milano, n. 1, gennaio-febbraio 1931, p. 4. 30. “Prima fonte di lucro dell’Accademico sarebbe un’interessenza che egli si fa riservare dall’impresa assegnataria, interessenza che normalmente si dice sia del 10%”. Informativa del 24 maggio 1937. ACS, MI, PS, poi. polit., f. personali, 1926-44, f. 1051, sf. Marcello Piacentini. 31. “Mi assicurava il geom. De Min (quello che accennai nella terzultima relazio ne) che da una forte ditta (Marmi di Verona) il Piacentini, per far ottenere alla ditta accennata la lavorazione dei marmi occorrenti per la costruzione del palazzo, preten deva un compenso di 70.000 lire”. Informativa del 14 marzo 1934. Ibidem. Un’am pia descrizione dei marmi utilizzati da Piacentini in: «Il marmo in alcuni interni del palazzo di giustizia di Milano», Il marmo, n. 2, marzo-aprile 1941, pp. 9-16. 32. “Alla cava è interessato Fon. Redenti, che ha avuto ingenti forniture per il Palazzo di Giustizia di Milano. Il Redenti si è immunizzato prendendo in studio, malgrado la diminuzione del lavoro, il figlio di un altissimo gerarca e così è tabù”. Informativa del 29 ottobre 1936. Informativa del 14 marzo 1934. ibidem. 33. “Si dice, fra l’altro, che il Palazzo della Cassa nazionale per le Assicurazioni Sociali - piazza Missori - abbia reso all’arch. Piacentini 200.000 lire, guadagnate dalla ditta che ha avuto il lavoro per il rivestimento di un marmo speciale per la facciata del palazzo”. Informativa del 15 novembre 1933. Ibidem. 34. Cfr. la lettera anonima di un gruppo di industriali a Cini del 25 novembre 1938, in E. Guidoni, E 42, Città della rappresentazione. Il progetto urbanistico e le polemiche sull’architettura, a cura di M. Calvesi, E. Guidoni, S. Lux, Marsilio, Ve nezia, 1987, pp. 79-80.
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ne, Piacentini primeggia non solo nel ricevere e distribuire incarichi, ma anche nella frequentazione di questi ambienti degenerati. Ritorniamo ai concorsi e all’analisi dei dati. I numeri complessivi prima riportati possono essere incrociati con quelli ricavati da un elenco presentato nel 1945 da Piacentini per discolparsi dall’accusa di avere accumulato un numero eccessivo di incarichi. Si tratta di una lista di 95 concorsi di architettura e 28 di urbanistica in cui ex allievi della scuola di Roma, alcuni dei quali diventati docenti, risul tano vincitori o si segnalano nei primi posti. L’elenco di Piacentini si rivela in realtà un’arma a doppio taglio. Infatti, il voler dimostrare la migliore preparazione degli allievi della sua scuola, alimenta il sospetto di favoritismo nei loro confronti. Ancora una volta, più significativi sono i dati sui piani regolatori. Sul totale di 28 concorsi, i docenti della facoltà di Roma compaiono in giuria 16 volte e assegnano per ben 13 volte il primo premio ai loro ex studenti35. Fanno eccezione i concorsi per i piani regolatori di Grosseto, Verona e Sassari. Ma a Grosseto, dove vincono Chiodi e Giuseppe Merlo, l’incarico sarà affidato a Giulio Sabatini, che si era classificato terzo. A Sassari, dove il primo premio non viene as segnato, l’incarico viene poi affidato a Concezio Petrucci, laureatosi a Roma nel 1926 e docente di urbanistica nella facoltà di architettu ra di Firenze. A Verona, dove risultano primi a pari merito Chiodi e il gruppo di Bottoni, la giuria, di cui fanno parte Giovannoni, Pia centini e Calza Bini, a competizione conclusa, presenta proprie pro poste36. Le preferenze verso gli ex allievi non riguardano tuttavia solo i docenti della scuola di Roma. Portaluppi, ad esempio, nelle tre volte in cui siede in giuria - a Piacenza, Como e Vigevano - as segna due volte il primo premio a Bottoni, suo ex studente e poi di segnatore nel suo studio37. Dietro questi dati compatti, tuttavia, non c’è sempre un’omoge neità di giudizio da parte dei giurati. Nel concorso per la città nuova di Aprilia, il gruppo vincitore di Concezio Petrucci sostenuto da 35. Sono i piani regolatori di Cagliari del 1929, di Pisa, del 1930, di Faenza del 1931, di Perugia del 1932, di Sabaudia e Terni del 1933, di Savona del 1934, di Aprilia del 1936, di Pomezia e Rieti del 1937, di Alessandria del 1938, di Bologna del 1939 e di Palermo del 1940. 36. Su Grosseto cfr. M. Di Benedetto, Grosseto, in Fascismo e centri storici in Toscana, Alinea, Firenze, 1984, pp. 64-65, 166.\Sul concorso per il piano regolato re di Verona: Piero Bottoni. Opera completa, a àura di G. Tonon, G. Consonni, L. Meneghetti, Fabbri, Milano, 1990, pp. 190-193. \ 37. Bottoni è primo nei concorsi di Piacenza e Como.
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Giovannoni incontra le severe critiche di Piacentini. Documentata è in questo concorso la raccomandazione che Petrucci rivolge a Crollalanza, presidente della commissione: “Eccellenza mi permetto di accluderle una copia di alcune fotografie dei disegni e della relazio ne presentati al concorso di Piano regolatore di Aprilia. Voglia gra dire questo presente che non ha altro che quello di facilitarle l’esa me del nostro progetto”38. E altrove, come nel concorso per Pomezia, può succedere che an che Piacentini non riesca a imporre la propria volontà su Crollalanza e che il suo candidato, Giorgio Calza Bini, giunga secondo39. L’ex ministro dei Lavori pubblici ed ex podestà di Bari gli preferisce an cora Concezio Petrucci, che è pure il progettista del piano regolatore della città pugliese40. Alla fine, comunque, anche il figlio di Alberto Calza Bini riesce a progettare una nuova città, quella di Guidonia con Cancellotti e Nicolosi. In questo caso però, l’ente finanziatore l’Istituto fascista per le case popolari di Roma, presieduto dal padre - decide per l’incarico diretto, dimentico che la parola d’ordine del sindacato è di bandire in ogni occorrenza pubblici concorsi41. Il monopolio, che Calza Bini, Giovannoni e Piacentini in partico lare detengono, non si limita alla sola fase del concorso. Gli stessi esercitano un’attività di controllo occupando i posti nei consigli su periori delle belle arti e dei lavori pubblici, dove di norma il piano regolatore è sottoposto a parere, prima di essere approvato. Nel Consiglio superiore delle belle arti Giovannoni è presente ininterrot tamente dal 1922 al 1942, Piacentini dal 1926 al 1928 e dal 1935 al 38 L. Nuti, R. Martinelli, Le città di strapaese, Angeli, Milano, 1981, p. 127. 39. Le vicende dei concorsi di Aprilia e di Pomezia sono ampiamente documen tate da R. Mariani, Fascismo e “citici nuove”, Feltrinelli, Milano, 1976, pp. 106126; L. Nuti, R. Martinelli, Le città di strapaese, cit., pp. 127-130. 40. Concezio Petrucci è inoltre direttore dell’ufficio urbanistico di Bari. L’inca rico del piano regolatore di Bari era stato ottenuto su raccomandazione di Giovan noni. Su Araldo di Crollalanza e il piano regolatore di Bari cfr. R.A. Laera, C. Ric cardi, Pianificazione urbana e territoriale nella politica di regime di Araldo di Crollalanza, in La costruzione dall’utopia, a cura di G. Ernesti, Edizioni lavoro, Roma, 1988, pp. 265-279. 41. Per Guidonia l’Istituto fascista delle case popolari della provincia di Roma stanzia 2.800.000 lire. Cfr. I. Costantini, La popolazione governata ed educata dall’Istituto fascista autonomo per le case popolari, Italia, Roma, 1937, p. 10. Cfr. anche: «Recente attività dell’Istituto fascista per le case popolari di Roma. Cenni generali sull’opera dell’istituto», Architettura, agosto 1941, p. 324; S. Poretti, «Edi lizia popolare e razionalismo italiano. L’attività progettuale di Giuseppe Nicolosi», Rassegna di architettura e urbanistica, n. 55, aprile 1983, pp. 29-31.
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1942, Calza Bini dal 1938 al 1943. Nel Consiglio superiore dei la vori pubblici, Calza Bini subentra nel 1932 a Milani e rimane in ca rica fino al 1937, quando è sostituito da Giovannoni che assume l’ufficio fino al 1943. In quest’ultima sede, dove passano per essere esaminati i progetti per asili, scuole, palazzi governativi, mercati, ci miteri, il segretario del sindacato, “strenuo cultore d’arte”, respinge tutti quelli non rispondenti a un “fine senso artistico, specie poi se redatti da ingegneri”42.
3. Il cambio della guardia alla scuola di Roma Con la nomina di De Vecchi a ministro dell’Educazione nazionale nel gennaio del 1935, l’opera di fascistizzazione dell’istruzione supe riore riceve nuovo vigore. Con stile militaresco e mentalità accentratri ce il ministro è deciso a smantellare quei margini di libertà negli studi, assicurata dalla riforma Gentile. Lo scontro tra il filosofo e il qua drumviro, che tenta anche di allontanare Gentile dalla direzione della Scuola Normale di Pisa è messo a tacere solo dall’intervento persona le di Mussolini43. Più tardi, per giustificare quell’incarico ministeriale poco appropriato, il duce confiderà di averlo insediato alla Minerva perché la “scuola aveva bisogno d’un incompetente energico”. L’azione di De Vecchi, la sua “bonifica culturale” in senso fascista delle università, investe anche gli Istituti superiori di architettura, ora trasformati in facoltà e inquadrati nelle università locali, con la sola eccezione di Venezia che rimane autonomo. Il sistema a due classi, istituito da Gentile nel 1923, è abolito, mantenendo tuttavia i contribu ti pubblici e privati per il finanziamento delle facoltà di “seconda clas se”. La facoltà di architettura di Torino viene accorpata alla facoltà di ingegneria ed è in previsione un ampio rinnovamento del corpo do cente. Di li a poco verranno messe a concorso, come vedremo, alcune importanti cattedre di architettura e ci sarà l’avvicendamento alla dire zione delle due più importanti facoltà di architettura italiane. A Milano, Gaetano Moretti è sostituito con Arnaldo Masotti, or dinario di meccanica: Pugno e Masotti sono i primi insegnanti di 42. «L’edilizia anche modesta deve essere bella ed armonica», L’Ingegnere. Bol lettino sindacale, n. 6 giugno 1932, p. 449. \ 43. Sullo scontro tra De Vecchi e Gentile cfr. Università degli Studi di Roma La Sapienza, Filosofi, università, regime. La scuola ai filosofia di Roma negli anni Trenta, Roma, 1985, pp. 159-202. !
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una materia scientifica a diventare presidi di una facoltà di architet tura44. Tuttavia questo pur significativo cambio della guardia non ha il peso di quello in atto a Roma. Nel 1935, nella facoltà di architet tura della capitale, Piacentini subentra a Giovannoni, che diventa a sua volta preside della facoltà di ingegneria civile e industriale. Gio vannoni pare lasciare la carica di preside senza rimpianti. Riconosce la necessità di un rinnovamento e sembra ammettere le proprie diffi coltà nel dirigere la scuola. Scrive a Piacentini di condividere la sua nomina: “la tua energia e la tua autorità varranno non solo ad arre stare quel principio di decadenza che ora sta cominciando a manife starsi, ma avvieranno la nostra istituzione a una vita nuova, dando veramente nella forma e nella sostanza il carattere unitario di scuo la”45. Nella facoltà di ingegneria, dove conserverà la presidenza fino al 1939, Giovannoni insegna composizione architettonica. Da quella cattedra continuerà a lanciare fino alla fine i suoi strali contro l’ar chitettura moderna: nella sua ultima lezione, ricorda Piccinato, di chiarò “che era finita la follia, che si tornava finalmente a una visio ne classica dell’architettura, alle colonne”46. Con la nomina di Piacentini la scuola di Roma è affidata non più a un docente, distintosi soprattutto nel campo degli studi teorici, ma al più noto e attivo professionalmente tra gli architetti italiani. Di versamente da Giovannoni, Piacentini si è dimostrato un abilissimo mediatore tra le istanze “razionaliste” dei giovani e quelle conserva trici dei suoi colleghi. I numerosi incarichi, sia professionali che ac cademici, ne hanno accresciuto enormemente il prestigio. Il discorso che nel novembre del 1935 il nuovo preside pronuncia alla facoltà di architettura, per l’inaugurazione dell’anno accademico, è coerente con l’indirizzo sempre più totalitario dello Stato e segna una svolta nella didattica delle facoltà di architettura47. Sottoposto alla visione di De Vecchi e poi pubblicato, quel discorso non risulta diretto ai soli studenti della facoltà romana. Per l’ampiezza dei contenuti ap pare rivolto agli studenti di tutte le facoltà d’architettura italiane. 44. Pugno è nominato preside della Facoltà di architettura di Torino nel 1935-36. 45. Lettera di Giovannoni a Piacentini del 4 dicembre 1935, in AGG, se. curri culum vitae. 46. Testimonianza di Piccinato in: Pietro Aschieri architetto (1889-1952), cit., p. 129. Cfr. anche «L’ultima lezione di Gustavo Giovannoni alla scuola di ingegne ria», Urbanistica, n. 3, maggio 1943, pp. 21-22. Giovannoni è collocato a riposo dal 29 ottobre 1943, con d.m. 30 aprile 1943. 47. «S.E. l'arch. Marcello Piacentini preside della Facoltà di architettura del l’Università di Roma», Architettura. Supplemento sindacale, n. 2, 15 febbraio 1936, pp. 13-14.
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Le posizioni che egli stesso aveva difeso nel 1928 nella commis sione voluta da Fedele sono ora superate dalla nuova fase politica. Non sono più i tempi - avverte Piacentini - in cui le scuole si di stinguevano tra loro, modellate dal maestro che le guidava: “la vita attuale, collettiva è fatta per le masse, la nostra vita fascista, che su bordina ogni elemento di individualità ai supremi interessi, anche spirituali dello Stato, esige indirizzi unitari per tendere ... [alla] rin novata anima nazionale”. La tendenza a “italianizzare” la nuova ar chitettura - e la piacentiniana città universitaria di Roma è in questo senso un riuscito esperimento concreto e un esempio da seguire - ri ceve un nuovo impulso, mentre uno spazio sempre più marginale è dedicato alle differenze locali, che compromettono quel disegno uni tario. Analogamente alla bonifica della lingua italiana, a quella de purazione del vocabolario voluta dal fascismo dalle intrusioni dei dialetti regionali e dei termini stranieri, anche nelle facoltà di archi tettura si attua una sorta di bonifica del linguaggio architettonico. “Indirizzi unitàri”, precisa Piacentini, non equivalgono a “sop pressione di fantasia, o uniformità di espressione”. L’“unitarietà” è il contrassegno più efficace e immediato delle grandi civiltà e “unita rio” fu lo spirito dell’architettura greca, romana e rinascimentale. “La passione dell’architetto deve essere dunque rivolta ad approfon dire i suoi studi e ad acuire le sue composizioni, per arrivare all’es senziale, alla creazione dello stile”. Non si può non cogliere ora un’assonanza tra Giovannoni, che ricordiamo sosteneva un’“unità di indirizzo”, e Piacentini, nel volere entrambi ricercare un’omogeneità di linguaggio per l’architettura. Così come in entrambi appare la vo lontà di evitare un parallelo troppo deterministico e immediato tra regime politico e stile dell’architettura. Ma proprio a partire da questi elementi in comune, il cambio di guardia tra Giovannoni e Piacentini segna un passaggio decisivo nella didattica. In Giovannoni gli studenti hanno trovato soprattutto il docente teorico, che ordina in una prospettiva storica il significato della presente ricerca stilistica, ma con un’attività professionale li mitata e dunque poco esemplificativo nella pratica. Il piano del Gruppo La Burbera era stato il tentativo più evidente, rivelatosi un clamoroso insuccesso, di proporre uno stile della scuola. Piacentini offre invece ora agli studenti esempi concretila seguire. Il discorso inaugurale del novembre 1935 sugli indirizzi unitari in architettura non appare loro poi così astratto: è davanti ai loro occhi, tradotto in pietra, nel complesso della città universitaria. Per lo studente di ar 162
chitettura un edificio costruito comunica molto più di una lezione teorica. Accanto a Giovannoni che illustra un edificio di Antonio da Sangallo il Giovane e quasi ne cancella la distanza storica, c’è ora l’architettura realizzata di Piacentini a suggerire la via per arrivare allo stile. Superati gli indugi di un Giovannoni troppo conservatore, con Piacentini la scuola insegue con maggiore slancio l’architettura nuova del tempo fascista. 11 discorso su gli indirizzi unitari viene ripreso l’anno dopo, al con vegno Volta, quando Piacentini precisa ulteriormente la strada dell’ar chitettura italiana moderna, indicandola in quella “monumentalità che è sempre stata alla base di ogni epoca”. Ma quel convegno acquista interesse anche per un altro motivo. Subito dopo la lettura della rela zione di Piacentini - il direttore della facoltà di Roma non è però pre sente perché malato - interviene Le Corbusier. L’architetto svizzero è di nuovo nella capitale dopo il soggiorno romano del maggio-giugno 1934. Ora al convegno, di cui critica 1’“odore di passato” che si respi ra, l’architetto svizzero lancia un’accusa tagliente contro l’insegna mento dell’architettura in Italia - parla di “architettura assassinata dalla Scuola” - e invita a “togliere le cattedre ai chiacchieroni”. Tocca a Calza Bini intervenire a difesa dei colleghi, smentire i contrasti tra allievi e insegnanti, rassicurare i colleghi stranieri che i giovani nelle scuole italiane possono esprimersi liberamente48. Cau to è invece Pagano, refrattario questa volta nell’accogliere le pole miche sulla scuola, anche perché impegnato a fianco di Piacentini nel progetto per il padiglione italiano all’esposizione universale di Parigi del 1937. Il progetto di Piacentini di rinnovamento della facoltà romana si attua, a partire dal 1936, con gli incarichi a Minnucci di impianti tecnici, ad Aschieri di scenografia, a Plinio Marconi di urbanistica. In sostituzione dell’anziano Chialvo, assume un notevole significato politico la nomina dell’influente Testa, segretario generale del Go vernatorato, a insegnante di materie giuridiche49. Tra gli assistenti spiccano i nomi di Renato Bonelli, Carbonara, Saverio Muratori, Quaroni. Poi segue l’elenco dei figli di professori: Guglielmo De 48. Convegno di arti. Tema: rapporti dell’architettura con le arti figurative arti. Roma 25-31 ottobre 1936, Reale Accademia d’Italia, Roma, 1937, pp. 95-96. 49. L’incarico ad Aschieri viene assegnato nel 1939, a Marconi nel 1938, a Te sta nel 1940. Su Testa cfr. A. Parisella, Dal fascismo alla resistenza: continuità e mutamento, in La capitale e lo Stato. Governo centrale e poteri locali a Roma, 1870-1990, Kairos, Roma, 1992, p. 59.
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Angelis d’Ossat, Furio Fasolo, Luigi Vagnetti e Giorgio Calza Bini. La nomina di quest’ultimo ad assistente del corso di urbanistica te nuto dal preside della scuola consolida ulteriormente i legami tra Piacentini e Alberto Calza Bini50. Non va in porto invece il previsto trasferimento di Roberto Papini da Firenze a Roma. Papini è stato finora il “banditore” di Piacentini, con cui è in rapporti di amicizia dagli anni precedenti la guerra. Dalla sistemazione del centro di Bergamo a quello di Brescia, dall’Arco di Trionfo di Genova a quello della Vittoria di Bolzano, dall’Albergo degli Ambasciatori alla sede del ministero delle Corporazioni a Ro ma ne ha accompagnato l’attività, magnificandola con accorate lodi. La figura di Papini risulta strategica nei programmi di Piacentini anche per l’ascendente che il critico ha verso i giovani. Questi - sia romani che milanesi - sono stati al centro di numerosi scritti di Papi ni. Egli è stato vicino al Gruppo Aschieri e al Gruppo 7, ne ha assicu rato la partecipazione (assieme a Calza Bini) alla mostra di Stoccarda del 1927. Ha sostenuto i razionalisti alla mostra del 1928, ne ha con diviso le istanze di modernità, è rimasto un loro punto di riferimento: ancora nel 1934 Bottoni si rivolge al critico toscano per avere un arti colo di sostegno al progetto per il piano regolatore di Como51. Ma soprattutto Papini ha operato per ricucire lo scollamento tra i più irrequieti e il mondo accademico, li ha veicolati sulla strada del la giusta misura tra 1’“accettazione del nuovo e lo sviluppo dell’anti co”, indicata dal “maestro” romano. Papini ha, cioè, contribuito ad alimentare la figura di Piacentini, caposcuola delle nuove generazio ni. E in questo suo ruolo di critico di riferimento per i giovani è en trato anche in competizione con Bardi, l’arrivista “sacrestano” di Mussolini secondo una sferzante caricatura del rivale. Entrambi si sono contesi i nuovi architetti, il primo per ricondurli sotto l’egida di Piacentini, il secondo per accentuarne la distanza. Di questa con tesa, l’episodio più significativo è stato certamente il divieto di Bar di a un irritato Papini a presenziare la mostra razionalista del 193152. Nella città toscana Papini insegna storia e stili dell’architettura dal 1934 e Brizzi è disposto a lasciarlo andare a condizione che gli 50. Giorgio Calza Bini è assistente di Piacentini dal 1937 al 1941. Piacentini è anche testimone di nozze di Giorgio Calza Bini. «Nozze Calza Bini-Felici», Archi tettura. Supplemento sindacale, n. 12, 30 ottobre 1934, p. 135. 51. Lettera di Bottoni a Papini dell’11 ottobre 1934, injAPB, corrispondenza. 52. R. De Simone, Introduzione, in Cronache di architettura: 1914-1951, cit., p. XXVI.
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venga allo stesso tempo confermato l’incarico a Firenze. Nella capi tale, in alternativa all’insegnamento di Vincenzo Fasolo e di Gio vannoni, l’arrivo del critico d’arte avrebbe comportato una maggiore apertura della scuola romana nei confronti dell’architettura contem poranea. A Piacentini avrebbe offerto una valida collaborazione nel concretare l’indirizzo didattico tracciato nel discorso inaugurale dell’anno accademico. Nei giorni della trattativa che lo vede in pro cinto di arrivare a Roma, Papini pubblica un’entusiasta recensione dell’opera “grandiosa” di Piacentini e la sintonia di vedute tra i due è perfetta. Riferendosi alla città universitaria da poco conclusa, il critico ne esalta la figura non solo di architetto e di difensore della tendenza moderna. Piacentini gli appare soprattutto il “coordinatore delle menti”, capace di dare “unità di stile” al lavoro di decine di ar chitetti di formazione diversa, il solo in grado di realizzare la “fisio nomia” dell’architettura italiana53.
4. La scuola di Piacentini e lo stile mussoliniano L’architettura di Piacentini piace allo stesso Mussolini. È noto che nel giugno del 1934, in seguito alla feroce contestazione parlamen tare sulla stazione di Firenze e sulla nuova città di Sabaudia, Musso lini decide di intervenire a difesa dell’architettura moderna. 1 gruppi di Michelucci e di Piccinato sono convocati a Palazzo Venezia. Alla fine dell’incontro, il comunicato dell’agenzia Stefani annuncia il plauso del capo del governo alla loro opera. Oltre ad essi, il duce lancia un incoraggiamento anche a tutti i giovani che cercano di rea lizzare nell’architettura “un’arte corrispondente alla sensibilità e alle necessità del nostro secolo fascista”. La trascrizione di quell’incontro, non destinata alla pubblicazione eppure pervenuta sia a Piacentini, sia a Pagano, rivela che il plauso di Mussolini - plauso peraltro dettato dalla necessità politica di rie quilibrare un dibattito che sconfessava due opere di regime - non è rivolto solo a Michelucci e Piccinato54. Il duce, infatti, nel ricercare un esempio di architettura moderna da additare a modello, ha uno 53. Lettera di Raffaello Brizzi a Papini del 17 novembre 1935, in V. Savi, De Auctore, Edifir, Firenze, 1985, pp. 62-63. Vedi anche Parametro, n. 113, p. 46; R. Papini, «Architetture se Dio vuole italiane», L’Illustrazione italiana, 3 novembre 1935, pp. 862-864. 54. La trascrizione del colloquio è riportata in R. Mariani, Fascismo e “città nuove”, cit., pp. 99-100. Cfr. anche: ACS, PCM, 1934-36, f. 5.2.2776.
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spontaneo apprezzamento per la “bella” chiesa di Cristo Re di Pia centini, perfettamente “rispondente allo spirito e allo scopo”. L’ar chitettura moderna italiana “salvata” da Mussolini - “tengo a preci sare in modo inequivocabile che io sono per l’architettura moderna” - non è allora semplicemente quella di Firenze e Sabaudia, ma ha un altro interprete in Piacentini, il più autentico e autorevole. Mussolini sta indicando in Piacentini il timoniere dell’architettura del fascismo. L’architetto romano sta dirigendo in quei giorni la co struzione della città universitaria con la collaborazione di architetti provenienti da più regioni d’Italia e sta dimostrando che è possibile costruire architetture consonanti. La città universitaria diviene un saggio di omogeneità stilistica raggiunto dall’architettura italiana in regime fascista, da riproporre altrove su scala più ampia. Ora però, nella seconda metà degli anni trenta, l’irrompere di nuovi avvenimenti, la conquista dell’Etiopia e la proclamazione dell'Impero tra tutti, impongono nuove strategie politiche interne. Anche all’architettura, strumento di consenso politico, è richiesto di modificare i caratteri del proprio linguaggio. Il valore di questa svolta è colto con grande tempestività da Piacentini. Non crediamo tuttavia che ci sia da parte di Piacentini un coinvolgimento emotivo verso il fascismo, né tanto meno compaia un atto di fede politica nell’abbracciare quelle scelte. Dietro la sua intensa partecipazione alla vita del regime c’è, anzi, una sorta di ben celato distacco, a vol te espresso in modo sprezzante. “Bei cretini” aveva confidato al suo collaboratore Piccinato, rivolgendosi ad alcuni gerarchi55. Finora i gusti architettonici di Mussolini sono apparsi ondivaghi. Nel caso dell’esposizione razionalista di Roma del 1931, le prefe renze del duce non hanno collimato con la didattica della scuola di Roma, né hanno coinciso con le idee di Piacentini. Nella seconda metà degli anni trenta la definizione di un linguaggio architettonico proprio dello Stato fascista appare più urgente. Rispetto alla città universitaria, il dittatore è orientato verso un linguaggio che traduca in modo più immediato le ambizioni imperiali della nazione, con un rimando più diretto agli antichi predecessori romani. Così, dopo aver dato nel 1934 la sua adesione all’architettura moderna, ora Mussolini si rimangia quel giudizio e va affermando che quella “moderna non può essere l’architettura dellTmpero”56. 55. Testimonianza di Piccinato in Pietro Aschieri, cit., p. 134. 56 La frase di Mussolini è riportata da Ouaroni. «Giorgio Ciucci intervista Lu dovico Quaroni», Casabella, n. 515, luglio 1985, p. 32.
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Dalla metà degli anni trenta, in sintonia con i cambiamenti politi ci, Piacentini tende a far assumere alla “fisionomia” dell’architettura italiana una più accentuata classicità. Come afferma nel 1938, anche l’architettura raccoglie i frutti dell’“affermazione dei valori naziona li nelle potenze totalitarie” e vive gli “inizi di una nuova Rinascita”. In architettura questo “neo rinascimento” equivale a un ritorno a un classicismo essenziale. A fronte di questa correzione di rotta stilisti ca corrisponde anche una messa a punto della didattica. A differenza di Vincenzo Fasolo e di altri colleghi, quando il preside della facoltà porta in visita i suoi studenti alle Terme di Caracalla o agli antichi fori non richiede più di rilevare il profilo di una cornice o di copiare le volute di un capitello. Dai futuri architetti vuole le misure di que gli spazi possenti, di quei “muraglioni lunghi 200 metri e alti tren ta”, desidera l’apprendimento del senso della grandezza. In questo “nuovo rinascimento”, anche l’arco e la colonna fanno la loro ri comparsa, giustificati dalla loro funzione statica, la colonna per so stenere un peso, l’arco per ripartire sugli appoggi laterali uno sforzo57. Piacentini procede sicuro su questa strada, con i giovani ro mani a fianco e tra questi c’è uno dei loro leader: Quaroni, voluto come assistente dal preside della facoltà, fa autocritica, condanna le scelte di rottura con il passato di alcuni anni prima, invita i compa gni a riprendere il filo spezzato con la tradizione. Nel riassumere gli “indirizzi didattici” della sua facoltà, Piacenti ni sottolinea le caratteristiche “specialissime” di un istituto universi tario che è anche scuola d’arte. Descrive le relazioni fra professori e studenti - quest’ultimi sono circa 300 e oltre non si deve andare improntate sulla comprensione reciproca in un ambiente scolastico trasformato in “una vera famiglia”. Illustra il metodo educativo del maestro che, senza essere “troppo invadente”, deve “guidare e indi care modelli e principi”, fornire un’adeguata preparazione stilistica58. Conferma l’importanza fondamentale del disegno per gli architetti - come per un cantante la voce - e avverte la necessità di 57. M. Piacentini, «Per l’autarchia, politica dell’architettura», II Giornale d’Ita lia, 15 luglio 1938; ora in Id., Architettura moderna, cit., pp. 220-223. 58. M. Piacentini, «La facoltà romana di architettura e il suo indirizzo didatti co», Gli Annali dell’Università d’Italia, n. 4, 28 aprile 1941. Su 300 studenti solo la “metà di essi segue i corsi scolastici con perfetta diligenza”. Relazione di Piacen tini sull'andamento della Facoltà di architettura del 27 febbraio 1940. AIV, se. 29, f. 6. Ampi stralci di questa relazione compaiono nel citato articolo su Gli Annali dell’Università d’Italia.
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rivalutare l’insegnamento della decorazione, da inserire tra gli inse gnamenti fondamentali. Invita professori e studenti a “creare i nuovi elementi ornamentali architettonici, che sostituiscano il dentello, il triglifo, la scannellatura, il festone”. È proprio della scuola romana assegnare al disegno un posto cen trale nella didattica. Ma il problema del disegno, ancor più se deco rativo, appare riduttivo in un’ottica di formazione universitaria: da un punto di vista della cultura - scrive Quaroni - la scuola era “ze ro”59. Un vuoto che appare ancora più preoccupante se misurato al grave impegno intellettuale e alla vastità dei compiti richiesti all’ar chitetto. Il prezzo di certe scelte all’origine delle facoltà di architet tura, subordinate a sole logiche di potere, si paga in concreto. A Roma, Piacentini è il direttore incontrastato e la scuola vi si specchia. Significativamente Ojetti chiama la facoltà di Roma la “scuola di Piacentini”: una “scuola tanto vigilata e curata e tanto be ne diretta verso una meta unica e nazionale”60. A sua volta, Papini identifica la facoltà con il solo nome di Piacentini, esalta la “tra smissione d’amore” di cui è capace il collega, elogia i risultati rag giunti dal suo corso di urbanistica61. Ben più critico sarà GioìIi ver so l’indirizzo unitario della scuola di Piacentini: “gli allievi ne esco no ben affiancati, parlano con la stessa intonazione: le loro architet ture non faranno mai scandali ... Una desolazione, tanto precoce spirito d’ubbidienza”62. Bottai conferisce a Piacentini - i due si conoscono da vecchia data e Bottai si era fatto arredare dall’architetto l’appartamento - il compi to, assegnato a Giovannoni tra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta, di coordinare le altre scuole63. Il suo indirizzo per un ri torno al classicismo trova solidali le facoltà periferiche. A Venezia, ad esempio, Cirilli promuove il suo istituto a “fucina” dove si insegna l’architettura, “sincera e solenne dell’Italia imperiale e fascista”, da tramandare ai posteri, e invita gli studenti a ritornare allo studio del 59. Testimonianza di Quaroni in: Pietro Aschieri architetto, cit., p. I 19 60. U. Ojetti, «Scuola di Piacentini», Corriere della Sera, 2 luglio 1941. 61. R. Papini, «Urbanistica», Il Popolo di Roma, 4 marzo 1941; ora in Cronache di architettura: 1914-1951, cit., p. 330. 62. R. Giolli, «Intervallo ottimista», Costruzioni-Casabella, n. 184-185, aprilemaggio 1943, ora in Id., L’architettura razionale, cit., p. 372. 63. Nel maggio del 1941 i presidi delle facoltà di architettura sono convocati a Roma. Bottai desidera che l’incontro si ripeta. AIV, se. 29, f. 6.
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passato64. Nella condanna del direttore della scuola verso la “moda nordica (ebraica)” c’è un riflesso delle recenti leggi antisemite ema nate dal fascismo e una conferma della permeabilità dell’architettura alla propaganda politica. L’epiteto con cui definisce l’architettura mo derna qui suona ancora più infelice: appena pochi mesi prima, Sullam era stato costretto ad abbandonare l’insegnamento perché ebreo. All'incarico di sovrintendere la didattica della nazione, Piacentini abbina dunque quello di dirigere l’attività architettonica dell’E 42, la più significativa opera di regime. A lui, il duce affida l’incarico di sovrintendere la progettazione della “nuova” Roma, da realizzarsi nello “stile” dell’epoca fascista. Dopo l’esperimento della città uni versitaria, gli viene nuovamente proposto di coordinare il lavoro di decine di architetti - sono oltre 50 - di far collaborare singole indi vidualità per conferire indirizzi unitari alle loro architetture. Le vi cende dell’E 42 sono note65. A Piacentini vengono inizialmente af fiancati nella progettazione del piano Pagano, Piccinato, Vietti ed Ettore Rossi, selezionati tra una rosa di quindici nomi. La scelta è apertamente indirizzata a coinvolgere il variegato e inquieto fronte modernista ed è il risultato di un attento dosaggio. Vengono coinvol ti tre ex razionalisti: Pagano, il direttore di “Casabella”, esponente di spicco fra i modernisti, aperto alla mediazione, già collaboratore di Piacentini alla città universitaria di Roma e nel recente padiglione Italia all’esposizione di Parigi; Piccinato, il docente di urbanistica della facoltà di Napoli, l’architetto di Sabaudia, l’erede di Piacentini nel campo urbanistico; Vietti, il più giovane, l’ex studente modello della scuola di Roma, in contatto con gli ambienti milanesi e roma ni, che ha attraversato tutta l’esperienza razionalista senza assumere posizioni intransigenti. L’inclusione di Ettore Rossi sfugge a una lo gica meritoria, ma noi lo ricordiamo essere l’autore della denuncia contro il sistema delle clientele nella gestione degli incarichi. La presenza del pubblico fustigatore può essere quella di garante, intesa a dimostrare all’esterno la volontà di una retta gestione. 64. Relazione letta da Cirilli il 13 novembre 1939 per l’inaugurazione dell’anno accademico, in AIV, se. 29, f. 6. 65. G. Ciucci, Gli architetti e il fascismo. Architettura e città. 1922-1944, Ei naudi, Torino, 1989 (1982), pp. 177-196; E. Guidoni, E 42, Città della rappresen tazione. Il progetto urbanistico e le polemiche sull’architettura', A. Muntoni, E 42. I concorsi, entrambi in E42, Utopia e scenario del regime, cit., pp. 17-82; 83-100; M. Lupano, «La parte di Piacentini. E 42, dalla fase ideativa alla fase esecutiva», Lotus International, n. 67, 1990, pp. 127-143.
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Nell’aprile del 1937, il gruppo giunge alla stesura di un progetto di massima, approvato da Mussolini: vi compare disegnata una città avveniristica, in acciaio, cemento e vetro. A fronte di questi risultati, Pagano loda l’autorità di Piacentini e lo spirito di collaborazione “totale” tra i progettisti. Ma nel giro di pochi mesi avviene la svolta e si apre tra Piacentini e Pagano una frattura insanabile. Il Commis sario dell’esposizione universale, Vittorio Cini, e il preside della fa coltà di Roma approntano i bandi di concorso per la costruzione di alcuni edifici permanenti: in essi si fa riferimento a espressioni ar chitettoniche ispirate al classico, alla romanità, alla monumentalità. Alla fine del 1937, Piacentini prende saldamente in mano la regia dell’operazione e viene nominato sovrintendente unico del Servizio architettura. Pagano e gli altri tre progettisti sono relegati a ruoli marginali. Accanto alla didattica, Piacentini affianca dunque la progettazione e il cantiere dell’E 42. Pure l’E 42 è guidata da un “vedere grande e unitario”: essa diviene l’esempio più autorevole di trasposizione dal le aule universitarie al cantiere di quel principio di unitarietà di lin guaggio che conduce alla creazione di uno stile66. L’intreccio tra uni versità e E 42 è stretto. A partire dalla fine del 1937, cattedratici vecchi e nuovi, e altri in odore di diventarlo, partecipano in prima fi la alla progettazione. Foschini, Del Debbio, Michelucci, Fagnoni, Muzio, Samonà, Minnucci - che è vice di Piacentini nel Servizio ar chitettura dell’ente - ottengono incarichi senza dover sottostare ai concorsi. Selezionati per lo più attraverso gare, vengono coinvolti numerosi liberi docenti e assistenti della facoltà romana, da Marconi a Valle, da Quaroni a Luigi Moretti, da Luigi Vagnetti a Tullio Rossi. La gestione dei concorsi e degli incarichi è accortamente pasticcia ta. Vengono assegnati primi premi ex aequo, che “obbligano” i vinci tori a lavorare assieme per il progetto definitivo. Vengono affidati in carichi a concorrenti non vincitori: tra questi, compresi nell'entoura ge di Piacentini, vanno segnalati il suo ex collaboratore Giuseppe Vaccaro e il capogruppo del suo studio professionale, Cesare Pasco letti. La questione più grave riguarda però i commissari: Del Debbio, Foschini, Michelucci, Muzio e Vietti vengono “premiati” con incari chi progettuali a latere. In questa voluta mancanza di trasparenza gio ca il suo peso anche il sistema delle raccomandazioni. Non ne rimane 66. M. Piacentini, «L’urbanistica e l’architettura», Architettura, f. 12, dicembre 1938, pp. 725-726.
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fuori Terragni, che chiede l’aiuto del commissario Piccinato67; non ne sono esclusi i Bbpr, che si rivolgono all’ex ministro e presidente del la Confindustria Volpi per ottenere - invano solo perché la racco mandazione giunge tardi - il progetto della Caserma dei vigili del fuoco68. Anche Ettore Rossi ha ottenuto di costruire il suo palazzo. Ora non alza più la voce. Eppure la gestione monopolistica e cliente lare dell’E 42 è ben più grave di quella denunciata anni prima. Archi, colonne, portici monumentali danno unità stilistica ai vari edifici della città mussoliniana. Come farebbe il docente con i suoi allievi, Piacentini interviene a correggere numerosi progetti, sia in fase di stesura finale, sia in corso di esecuzione. I ritocchi si trasfor mano in censure davanti ai disegni di architetti le cui convinzioni non collimano con l’impostazione stilistica data. Nel Palazzo centra le delle forze armate di De Renzi e Pollini, fa sostituire il recinto murario con un loggiato di pilastri e colonne; nel Palazzo delle Po ste del gruppo Bbpr fa togliere la pensilina d’ingresso a sbalzo, de cisamente estranea al linguaggio monumentale; nel Palazzo dei Ri cevimenti e Congressi di Libera impone di rimpiazzare i pilastri in facciata con colonne con entasi. Ma anche il progetto per il Palazzo della civiltà italiana, del gruppo di La Padula, pur così debitore nella sua soluzione al tipo di esercitazione scolastica in voga nella facoltà di Roma, viene modificato. L’ufficio tecnico dell’ente su indicazione di Piacentini ridisegna i fornici, irrobustisce i pilastri d’angolo e ag giunge la fascia superiore del prospetto. Il “colosseo quadrato”, ridi segnato nello spirito piacentiniano, non sarà mai accettato dagli au tori. Smarrita la paternità, fatto sintesi di un’espressione unitaria, di verrà il simbolo della città di Mussolini69. L’intera operazione stilistico ideologica assume un che di para dossale. Realizzare una città che rappresenti lo stile dell’era fascista, imporre direttive stilistiche per la sua attuazione, implica una conce zione totalitaria della politica, tesa a coinvolgere e uniformare la vi ta civile e sociale di una nazione. Presuppone, da parte di chi dirige l’operazione, un’autentica adesione a quell’ideologia. All’opposto, 67. Lettera di Terragni a Piccinato del 5 gennaio 1938, in E. Maniero, Giuseppe Terragni e la città del razionalismo italiano, Dedalo, Bari, 1983, p. 147. 68. L. Veresani, Caserma vigili del fuoco, in E42, Utopia e scenario del regime, cit., p. 511. 69. Cfr. A. Muntoni, Palazzo dei ricevimenti e congressi e Palazzo della civiltà italiana; L. Veresani, Edificio delle R. Poste, Telegrafi e Teti; in E42, Utopia e sce nario del regime, cit., pp. 320-322, pp. 353-356, pp. 485-487.
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chi sovrintende all’E 42, non ha una concezione fideistica della poli tica, ne ha invece una molto più opportunistica. Piacentini, ma an che Foschini, e alcuni “giovani delle colonne” - Fariellò, Muratori, Quaroni - sono scettici nei confronti del fascismo70. Eppure loro si assumono la responsabilità storica di porre i contrassegni sull’archi tettura di un regime. Invece, proprio chi è permeato di una fede fa scista - Terragni, Pagano - rimane escluso. L’E 42 è “falsa architet tura” - così la stigmatizza Pagano - non solo perché la colonna non sostiene alcunché e l’arco è solo rivestimento in pietra dietro un mu ro in cemento. La città di Mussolini è una “frode visiva”, perché in sincera è stata la partecipazione politica e l’impegno intellettuale di quegli architetti. Un confronto, quasi spontaneo, si instaura tra Piacentini che so vrintende l’architettura di regime, e Albert Speer, che sovrintende l’architettura ufficiale del Terzo Reich. Il classicismo essenziale di Speer, le dimensioni delle sue composizioni - “il metro d’oggi in Germania è fatto di mille centimetri” - richiamano a quel senso di grandezza che Piacentini ritrova nell’architettura dei fori romani e che vuole trasmettere agli studenti. Ma al moto di ammirazione del preside della facoltà di Roma per quell’“imperioso sentimento di or dine e di forza”, fa da contrappeso una netta presa di distanza. Di fronte alla rigida disciplina architettonica imposta da Speer, Piacen tini, che come abbiamo visto non lesina censure alle opere “dissi denti”, rivendica all’attuale movimento architettonico in Italia una realtà fatta di esperienze particolari, che lo rendono ben distinto da quello tedesco71. All’architettura di Stato della Germania nazista, l’architettura dell’Italia fascista, condotta per mano da Piacentini, preferisce la via più liberale degli “indirizzi unitari”.
5. L’occupazione delle cattedre Nel settembre 1935, durante il consiglio nazionale del sindacato che si svolge nella sede dell’Accademia di San Luca di Palazzo Carpegna, Calza Bini avverte che il ministro De Vecchi sta “ricostituen 70. “Fanello e Muratori sembravano decisamente a «sinistra»... mentre io resta vo in un generico antifascismo pseudo liberale”. L. Quaroni, «In memoria di Save rio Muratori», Storia architettura, n. 1-2, gennaio-dicembre 1984, pp. 5-7. 71. M. Piacentini, «Premesse e caratteri dell’architettura attuale tedesca», Archi tettura, f. 8, agosto 1939, pp. 467-468.
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do tutto il quadro dell’insegnamento superiore”72. Dal cambiamento, assicura, gli architetti non avranno nulla da temere perché nel nuovo consiglio superiore ci sono due professori delle scuole, e cioè Pia centini e lo stesso Calza Bini. Anche se il consiglio superiore ridise gnato da De Vecchi ha notevolmente ridimensionato il suo potere, il ruolo svolto da Calza Bini e Piacentini, assieme a Giovannoni, nei concorsi a cattedra è di primissimo piano. Per chi intrattiene stretti legami con gli ambienti del ministero non giungono di certo inattesi i tre concorsi a cattedra banditi con temporaneamente alcuni mesi dopo, nel marzo del 1936. A richie derli è stato lo stesso Calza Bini per equilibrare il numero delle cat tedre delle scuole di architettura con quelle di ingegneria73. Tra gli otto concorsi a cattedra che riguardano più da vicino l’insegnamento dell’architettura e che si svolgono tra il 1925 e il 1942, certamente questi tre sono i più importanti: essi, infatti, vanno a ridisegnare in modo determinante la nuova geografia dell’insegnamento. 1 tre concorsi del 1936 sono stati preceduti da quello per la catte dra di architettura tecnica all’Istituto superiore di ingegneria di Pisa, rimasto vacante dopo il trasferimento di Salvatore Benfratello a Pa lermo, e svoltosi nel novembre del 193574. La commissione, presie duta da Giovannoni, assegna il primo posto a Carlo Roccatelli, assi stente di Calza Bini a Roma nel 1928. Al secondo posto si colloca Marino e al terzo Camillo Autore75. Roccatelli e Marino sono stati entrambi assistenti di Giovannoni, rispettivamente nella scuola di ar chitettura e di ingegneria di Roma. Ma stranamente, nel caso del vincitore, questo dato non compare nei verbali della commissione. A Marino, Giovannoni offre la cattedra di tecnologia dei materiali alla scuola di architettura di Roma, mentre Autore viene chiamato nell’Istituto di ingegneria di Padova a sostituire Daniele Donghi76. 72. «Riunione del Consiglio nazionale per la elezione delle cariche sindacali», Architettura. Supplemento sindacale, n. 13, 5 novembre 1935, pp. 113-114. 73. «Il congresso del Sindacato Nazionale Fascista degli Architetti ad Urbino», Architettura. Supplemento sindacale, n. 11, 30 settembre 1934, p. 114. 74. Benfratello viene chiamato a Palermo a sostituire alla cattedra di architettura tecnica Ernesto Basile, deceduto nel 1932. Cfr. A. Cottone, L’insegnamento dell’ar chitettura a Palermo, in L’architettura nelle accademie riformate, cit., p. 446. 75. Cfr. Relazione della commissione giudicatrice del concorso per professore straordinario alla cattedra di architettura tecnica della R. Università di Pisa, in “Bol lettino Ufficiale del Ministero dell’Educazione nazionale”, 27 febbraio 1936, parte II. 76. R.M. Cagliostro, Le architetture di Camillo Autore, Gangemi, Roma, 1991. Donghi aveva vinto il concorso per la cattedra di architettura tecnica presso la scuo la di ingegneria di Padova nel 1910, imponendosi su Giovannoni. G. Zucconi, “Dal capitello alla città”. Profilo dell’architetto totale, cit., p. 38.
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La cattedra per l’Istituto di ingegneria di Pisa è la prima ad essere assegnata attraverso concorso, dopo quella vinta da Vincenzo Fasolo nel 1926. Le altre tre cattedre messe a disposizione nell’arco di que sti dieci anni sono state, come si ricorderà, assegnate senza concorso a Foschini, Piacentini e Calza Bini. Anche Portaluppi, nel maggio del 1935, aspira a ottenere la cattedra di architettura per chiara fama, ma il consiglio superiore gli respinge la domanda. Per applicare quell’articolo di legge è richiesta una “significazione altissima” e ciò che era stato possibile per Piacentini non lo è per Portaluppi. Anche questa differenza contribuisce a marcare la distanza tra una scuola egemone, quella romana, che impone un indirizzo e una scuola subalterna77. I concorsi del 1936 si svolgono a Roma tra settembre e ottobre e riguardano l’assegnazione di tre cattedre: una di disegno architetto nico e rilievo dei monumenti alla facoltà di Roma, e altre due, di composizione architettonica e di architettura degli interni, alla fa coltà di Torino. A Roma viene creata una nuova cattedra, da affian care a quella di Foschini. A Torino si deve sostituire Ceradini, mes so a riposo nel 1935, nell’insegnamento di composizione. Inoltre, la città sabauda ottiene di attivare anche il terzo posto di ruolo messo a disposizione della facoltà fin dalla sua istituzione e rimasto fino al lora vacante78. Accanto ai tre vincitori, che sono automaticamente titolari delle cattedre, ogni concorso indica altri due candidati idonei, cioè i terna ti non vincitori: a loro saranno assegnate le eventuali cattedre, messe a disposizione a breve scadenza. Come Torino, anche Milano, Vene zia, Firenze e Napoli si accingono ad attivare i posti di ruolo accor dati all’epoca della fondazione e rimasti non occupati. Pure i ternati non vincitori otterranno dunque fin da subito una cattedra: in totale, sono nove i posti da distribuire attentamente. L’estensione e il coor dinamento dell’indirizzo didattico, così come è elaborato dalla scuo la romana, si attua anche attraverso un’abile politica di assegnazione di cattedre. Attraverso i concorsi accademici si realizza un passo de cisivo verso quegli “indirizzi unitari” che, come ebbe a dire Piacen tini, sono ora la finalità delle scuole. Numeroso è il gruppo dei can 77. ACS, PI, IS, f. professori ordinari, III versamento, 1940-70, b. 385, f. Piero Portaluppi. 78. Il secondo posto di ruolo, relativo alla cattedra di scienze delle costruzioni, è occupato da Giuseppe Maria Pugno. G.M. Pugno, Storia del Politecnico di Torino, Torino, 1959, pp. 245-246.
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didati che gravita attorno alla scuola di Roma e a cui si contrappone il gruppo più sparuto dei milanesi. I tre concorsi si svolgono negli stessi giorni e nella stessa sede e si intrecciano nello svolgimento. Anche questo permette alle com missioni di disporre di un quadro completo dei candidati e dei possi bili vincitori, di apportare gli opportuni aggiustamenti. Decisiva è stata la composizione delle commissioni. La norma che permetteva alla facoltà sede di concorso di designare un compo nente è stata da poco eliminata: ora tutti e cinque i componenti la giuria sono scelti direttamente dal ministro79. Su una vasta rosa di nomi. De Vecchi compone tre commissioni, in cui i professori della scuola di Roma svolgono un ruolo chiave. Piacentini è chiamato a presiedere ben due commissioni, Giovannoni la terza. Gli altri com missari sono Foschini, presente in entrambe le commissioni presie dute da Piacentini, Milani, Vincenzo Fasolo, Calandra. Compare poi il solito Calza Bini e il siciliano Fichera, amico di Piacentini80. In vista dei concorsi, a novembre erano iniziate le manovre di riavvicinamento tra Giovannoni e Piacentini. Il primo aveva avuto parole lusinghiere per gli edifici dell’Università di Roma. Il secondo aveva fatto leva sui sentimenti di antica e reciproca amicizia, mai completamente venuti meno, nonostante le posizioni contrapposte: Piacentini, con buona dose di cinismo, sa in questo modo di poter fare breccia sul sentimentalismo di Giovannoni. “Dobbiamo, in fon do, approfittarne IdeH’amicizia] di più, a giovamento dell’arte che tanto appassionatamente amiamo. Le nostre posizioni attuali - di Presidi - ci danno un’arma formidabile, per agire una buona volta su accordi leali e duraturi”81. L’accordo tra Giovannoni e Piacentini rimane però circoscritto al la sola spartizione delle cattedre. Nel giugno del 1936, siamo in prossimità della data dei concorsi, lo sventramento dei Borghi a Ro ma a opera di Piacentini e Spaccarelli sarà all’origine di una nuova 79. Art. 7 del r.d.L 20 giugno 1935, n. 1071. 80. Le tre commissioni sono così composte. Commissione per la cattedra di composizione architettonica: Piacentini, presidente, Calza Bini, Fichera, Foschini e Milani. Commissione per la cattedra di architettura degli interni: Giovannoni, presi dente, Brizzi, Calandra, Cirilli e Fasolo. Commissione per la cattedra di disegno ar chitettonico e rilievo dei monumenti: Piacentini, presidente, Fichera, Foschini, Gae tano Moretti e Vincenzo Pilotti. Pilotti è ordinario di disegno, di ornato ed architet tura elementare all’Università di Pisa. 81. Lettera di Piacentini a Giovannoni del 6 novembre 1935, in AGG, carteggio 1930-1947.
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furiosa lite. Questa volta Giovannoni, alleatosi con Ojetti, decide di rivolgersi direttamente a Mussolini, scavalcando un risentito Bottai. Gli enormi interessi speculativi, le pressioni politiche vaticane, le ambizioni del duce hanno facile sopravvento sulle ragioni della con servazione. Non sappiamo che cosa si siamo detti in questa occasio ne i due presidi, ma il tono dello scontro in atto appare in tutta la sua asprezza nella lettera che Giovannoni invia a Spaccarelli: “A Lei che, calpestando per interesse professionale ogni coerenza e ogni ri spetto ... giunga la maledizione di chi ha dedicato ogni suo pensiero e ogni suo studio alla bellezza e alla grandezza di Roma”. Il profes sore di restauro evidentemente ha già dimenticato le distruzioni che, appena alcuni anni prima, egli stesso proponeva con il piano del Gruppo La Burbera82. Ma ritorniamo ai concorsi, frutto dell’intesa tra Giovannoni e Pia centini. Le graduatorie vedono vincitori, nell’ordine, Del Debbio, Samonà e Fagnoni per la cattedra di disegno architettonico e rilievo dei monumenti a Roma; Muzio, Portaluppi e Canino per la cattedra di composizione architettonica a Torino; Morpurgo, Gio Ponti e Michelucci per la cattedra di architettura degli interni a Torino83. Tra tutti, Ponti è l’unico a entrare in una terna, pur essendo privo di esperienze didattiche. Fagnoni è, invece, il primo architetto laureato si nella scuola di Roma a diventare professore stabile84. Per Portaluppi, ma anche per Muzio, si conclude il congelamento della carriera accademica iniziata con la fondazione della scuola di architettura di Roma. Va ricordato che Portaluppi in particolare ave va acquisito nel 1920 titoli accademici ben più quotati di quelli pos seduti dai vari Piacentini, Foschini e Calza Bini. Non si può non co gliere una sottile ironia nel curriculum presentato dal docente mila nese nel rilevare quest’attesa: “Complessivamente ho impartito (mi si scusi questa espressione eccessivamente statistica) più di 18.000 ore di insegnamento!”85. Come si è visto, oltre ai vincitori, assegnatari di diritto, anche lut ti gli altri professori ternati vanno ad occupare delle cattedre. Per questo motivo l’ordine di graduatoria è determinante nel disegnare la nuova mappa dell’insegnamento dell’architettura. Del Debbio a 82. Lettera di Giovannoni a Spaccarelli, senza data; Lettere di Ojetti a Giovan noni del 21 e 29 giugno 1936, in AGG, se. varie R. 83. ACS, PI, IS, div. I, 1924-54, b. 139, f. 490; b. 140, f. 491; b. 140, f. 492. 84. Fagnoni si laurea a Roma nel 1924. 85. ACS, PI, IS, div. I, 1924-54, b. 139, f. 490.
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Roma, Canino a Napoli86, Fagnoni e Michelucci a Firenze, Muzio e Morpurgo a Torino, Portaluppi e Ponti a Milano, Samonà a Venezia si aggiungono ora all’esiguo numero di cattedratici87. In particolare, appare strategica la nomina di Morpurgo, trasferito a Torino, ma che continua a mantenere un incarico anche a Roma, e di Samonà che da Napoli è trasferito a Venezia88. A Torino si deve sosti tuire Ceradini, certamente il meno “romano” tra i direttori, ma anche riorganizzare la didattica. Per la cattedra di architettura degli interni, il candidato locale Casanova, il docente fino allora incaricato nella materia messa a concorso, viene bocciato perché a giudizio della commissione manca di “vivo” ascendente sugli allievi e non ha suffi cientemente rinnovato la didattica. “La Scuola di Torino non aveva tradizioni di insegnamento architettonico” scriverà Muzio nel 194089. A Venezia, la nomina di Samonà prepara la successione di Cirilli. L’ex allievo di Sacconi, è diffidente nei confronti della nuova archi tettura. La sua partecipazione al concorso del 1934 per il completa mento della facciata di San Petronio aveva ricevuto il biasimo di Piacentini. Alcuni anni dopo, nel 1939, Cirilli inviterà gli studenti a ritornare a un più serio studio del passato, biasimando la presunzio ne di creare una nuova arte, distante dallo spirito latino. Contempo raneamente, invitava Ettore Muti, segretario generale del partito fa scista, a richiamare l’attenzione di Mussolini sul persistere di un in dirizzo architettonico in cui è assente l’“espressione vera e sincera della nostra razza”90. Tra i candidati giudicati maturi, ma esclusi dalle tre terne, com paiono Renato Fabbrichesi, Melis, Nicolosi, Duilio Torres, Wenter Marini. Non idonei alla cattedra risultano invece Ottorino Aloisio, Guerra, Pane, Luigi Pera, Ferdinando Reggiori. Inoltre, Annibaie Rigotli e Ponti non sono ammessi al concorso per la cattedra di composizione architettonica di Torino perché privi di titoli illustranti 86. Nell’anno accademico 1935-36, Canino a Napoli è assistente di composizio ne di Calza Bini ed ò incaricato di caratteri degli edifici. 87. Nel 1935, nelle materie compositive, sono professori ordinari: Enrico Calan dra, Gustavo Tognetti, Foschini, Vincenzo Fasolo, Piacentini, Giovannoni e Milani a Roma, Ceradini a Torino, Brizzi a Firenze, Gaetano Moretti e Giuseppe Mancini a Milano, Cirilli a Venezia. 88. Nell’anno accademico 1935-36, Morpurgo a Roma era incaricato di architet tura degli interni, mentre Samonà a Napoli era incaricato di elementi di architettura. 89. ACS, PI, IS, f. professori ordinari, III versamento, 1940-70, b. 333, f. Gio vanni Muzio. 90. Lettera di Cirilli a Ettore Muti del 15 novembre 1939. AIV, se. 29, f. 6.
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l’attività professionale. Eppure Ponti si trova nelle stesse condizioni anche nel concorso per la cattedra di architettura degli interni: in questo caso però non gli viene preclusa la partecipazione che gli va le l’inclusione nella terna vincitrice. Il giudizio delle commissioni, in alcuni casi, risente di una pre giudiziale stilistica. Sull’attività di Wenter Marini pesa il non essersi liberato dall’influenza della scuola di formazione di Monaco, mentre su quella di Aloisio l’aver accordato “non troppo felicemente ele menti del passato con lo spirito moderno”. All’opposto, in Canino è apprezzata la capacità di trarre dal passato “geniale ispirazione”, in Muzio è stimata la manifesta opinione per cui l’architettura italiana non deve spezzare i vincoli con il passato, in Michelucci la sua “ne cessità di ravvedersi”, passando da un’attività di “avanguardista spinto” a opere di più sereno equilibrio. Tra il 1938 e il 1942 si svolgono altri tre concorsi a cattedra: a Bologna nel 1938 e a Cagliari nel 1940 per architettura tecnica, a Napoli nel 1942 per caratteri stilistici e distributivi. La composizione della commissione per il concorso di Bologna rivela l’esistenza di un diffuso sistema di raccomandazioni. Del Bu falo è sollecitato da “molti” concorrenti a intercedere presso Bottai per “includere il prof, tale e talaltro nella commissione giudicatri ce”91. Alla fine in commissione compaiono i soliti Piacentini e Foschini. Data “l’autorità e il titolo accademico di uno di questi” non c’è dubbio su chi prevarrà nel giudizio, protesta Giuseppe Gorla, che suggerisce di includere almeno Giovannoni, l’unico in grado di contrapporsi per autorevolezza92. Le previsioni di Gorla si rivelano esatte. La cattedra di Bologna viene conferita a Giuseppe Caronia, ma al secondo e al terzo posto risultano due professori della scuola di Roma: Nicolosi, assistente di Foschini, collaboratore dello studio professionale di Calza Bini ed ex dipendente dell’Istituto fascista delle case popolari93; Minnucci, collaboratore di Piacentini in qualità di architetto capo dei servizi di architettura, parchi e giardini all’E 42. Per ammissione dello stesso Piacentini, la cattedra alla facoltà di 91. Lettera di Del Bufalo a Bottai del 17 giugno 1938, in ACS, PI, IS, div. I, 1924-54, b. 183, f. 559. 92. Lettera di Gorla a Giuseppe Giustini del 7 luglio 1938. Ibidem. Gorla è se gretario nazionale del sindacato fascista ingegneri. 93. Cfr. la scheda su Nicolosi in Architectonicum. Vite professionali parallele. 1920-1980, a cura di G. Latour, Roma, 1992, p. 217.
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Roma verrà assegnata a Minnucci nel 1940, in virtù delle beneme renze acquistate su quel cantiere94. A Cagliari in commissione ritroviamo invece Giovannoni, affianca to da Cirilli e Brizzi, quest’ultimo chiamato in sostituzione di Calza Bini, impegnato in operazioni militari. Giovannoni, diversamente dai precedenti concorsi a cattedra, dove l’esame si svolge sui titoli presentati dai candidati, impone anche una prova pratica. Il tema assegnato, il progetto di una chiesa in altura, completo di calcoli statici della cu pola e di bozzetto prospettico, richiede una preparazione “integrale” da parte del candidato95. La difficoltà dell’inedita prova pone fuori ga ra diversi concorrenti. Oltre ad Armando Melis che si ritira, non con seguono l’idoneità neppure Chiodi, ritenuto non maturo dal lato artisti co, Giorgio Rigotti, Carbonara e Piccinato, non sufficientemente com petenti sotto l’aspetto tecnico. Questi ultimi due candidati sono i soli laureati nella scuola di Roma: l’esclusione rivela le lacune proprie del la loro formazione “integrale”, sul cui modello Giovannoni aveva con dotto la sua battaglia per la creazione delle scuole di architettura. Il primo della terna vincitrice è Valle, assistente di Giovannoni nella scuola di ingegneria. La palma di “architetto integrale”, che la prova imposta da Giovannoni richiede, è dunque assegnata non a un laureato in architettura - non a Piccinato, cui piace dichiarare di aver maturato la propria formazione “spirituale accademica” durante l’assistentato con Piacentini - ma a un laureato in ingegneria. Infine, il concorso dell’ottobre 1942 per la cattedra di Napoli, svol tosi in piena guerra con le città già duramente bombardate. Assieme a Calza Bini, Calandra e Vincenzo Fasolo, in commissione siedono Del Debbio, Fagnoni e Muzio, diventati di ruolo nel concorso del 193696. La commissione designa vincitori, in ordine di merito, Pane, il primo laureato della scuola di Roma ma in realtà formatosi nella sezione di architettura del politecnico di Napoli, Paolo Verzone, incaricato di re stauro nella scuola di Muzio e l’anziano Annoni, che ormai annovera un’esperienza trentennale di insegnamento nella scuola di Milano. Il vincitore della cattedra era risultato non idoneo nel precedente concorso a cui aveva partecipato, quello vinto da DelDebbio nel 1936. Ma allora aveva forse pesato sul giudizio negativo unrappor to della questura di Napoli fatto pervenire alla commissione. Nel rapporto si sospettava suH’“intimo orientamento politico” di Pane, 94. Lettera di Piacentini a Cini dell’11 febbraio 1943, riportata in E. Guidoni, L’E 42, città della rappresentazione, cit., p. 68. 95. ACS, PI, IS, div. I, 1924-54, b. 235, f. 635. 96. ACS, PI, IS, div. I, 1924-54, b. 264, f. 681.
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peraltro regolarmente iscritto al partito fascista dal 1932, e si segna lava la frequentazione di “elementi politicamente infidi”97.
6.1 concorsi per la libera docenza e l’ostracismo dei catte dratici Grande interesse rivestono anche i concorsi per la libera docenza. Essi vanno a delineare il futuro quadro del corpo insegnante nelle materie di architettura di livello universitario. Attraverso la scelta dei nuovi docenti, riuscendo a imporre i propri favoriti, i cattedratici preparano la successione dei propri feudi. Si gettano così le basi per una continuità didattica della scuola, si assicura la prosecuzione del lento e paziente lavoro di educazione di schiere di architetti. Il giudizio sul candidato è dato da una commissione di nomina ministeriale, designata dal consiglio superiore, composta da tre do centi della materia o di una materia affine98. Le materie su cui con corrono i futuri docenti riguardano l’architettura - divisa tra genera le, tecnica e composizione -, il disegno, i caratteri degli edifici, la storia dell’architettura e l’urbanistica. Richiamandosi all’alta funzio ne della libera docenza nell’ordinamento universitario voluto da Gentile e ai principi rigorosamente scientifici dell’insegnamento dell’architettura, Giovannoni chiederà di escludere i candidati non laureati, provvisti cioè del solo titolo di professore di disegno99. Su un campione di 34 concorsi che si svolgono tra il 1924 e il 1937, la composizione delle commissioni risulta ancora una volta monopolizzata da un ristretto numero di professori. Di gran lunga il più presente è Giovannoni con 17 partecipazioni. Il suo presenziali smo ne fa anche un grande collettore di raccomandazioni: in modo più o meno velato chiedono il suo sostegno per entrare nell’univer sità Wenter Marini, Samonà e Muzio100. Per numero di presenze, Giovannoni è seguito da Milani con 13, da Gaetano Moretti e Pia centini con 7, Calza Bini con 5. Con 8 incarichi, svolge un ruolo im 97. ACS, PI, IS, div. I, 1924-54, b. 140, f. 492. 98. Art. 40 del r.d. 30 settembre 1923, n. 2102. Dal 1936 le commissioni saran no formate da 5 componenti. 99. Verbale della commissione giudicatrice per il conferimento della libera do cenza in disegno d’ornato e architettura elementare dell’8 novembre 1924, in ACS, PI, IS, div. I, 1924-1933, b. 8, f. scuola di ingegneria. 100. Lettere di Samonà, di Wenter Marini e di Muzio a Giovannoni rispettiva mente del 5 luglio 1930, del 25 febbraio 1931, del 10 settembre 1931, in AGG, car teggio 1930-1947.
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portante anche Muggia, professore di ruolo di architettura tecnica al la scuola di ingegneria di Bologna. Lo squilibrio appare ancora maggiore se i dati vengono letti te nendo conto delle facoltà di appartenenza dei commissari. Su 120 designazioni nominali per ben 60 volte viene scelto un docente della scuola di Roma, mentre solo 13 volte la scelta cade su Milano, in ogni caso la più presente rispetto alle altre scuole periferiche. Tra i docenti di queste scuole, preferito a Ceradini è invece Cirilli, che si distingue per la sua incomprensione verso l’architettura moderna: la designazione di docenti che insegnano a Torino avviene solo dopo l’arrivo nella città sabauda di Morpurgo e Muzio. Le prove per la libera docenza in architettura vertono principalmente sulle conoscenze del periodo romano antico e rinascimentale e al can didato, dopo il colloquio, è richiesta una lezione o una prova grafica. La continua presenza degli stessi commissari, di Giovannoni e Milani in particolare, rende alcuni temi simili e prevedibili: a Samonà viene assegnato un tema sull’architettura civile nell’impero romano, a Canino sulle coperture a volte nell’architettura termale romana, a Roccatelli sull’evoluzione dell’organismo termale, a Pantaleo sulle strutture mura rie romane, a Nicolosi sull’evoluzione storica delle volte e delle cupo le, a Enrico Griffini sull’architettura del Rinascimento a Roma e a Fi renze, a Pane sugli edifici centrali nel Rinascimento italiano, a Guerra sulle cupole del Rinascimento, a Fabbrichesi sulle copertura a cupola. Più innovativo il tema assegnato a Piccinato che concorre per la do cenza in edilizia cittadina nel 1930. Davanti alla commissione compo sta da Giovannoni, Milani e Piacentini, il candidato tiene una lezione sull’urbanistica regionale, la città giardino e la città satellite. Nella stes sa occasione, Muzio si cimenta sul tema degli schemi teorici delle città, dall’antichità fino ai giorni nostri101. Piccinato, assistente nella scuola e collaboratore dello studio di Piacentini, gioca platealmente in casa. Tra i candidati giudicati non idonei, vi compaiono nomi illustri co me Minnucci e Giorgio Rigotti, mentre i due segretari nazionali del sindacato, Calza Bini e Del Debbio, si distinguono, oltre al fatto di essere privi di laurea, per essere diventati professori di ruolo senza avere conseguito la libera docenza. E Del Debbio, ricorda Quaroni, aveva per di più una “cultura assurda perché fatta quasi di niente”102. 101. ACS, PI, IS, div. I, 1924-1933, b. 19, f. edilizia cittadina e arte dei giardini 102. Gli obelischi, le piazze, gli artisti: conversazione con Ludovico Quaroni, a' cura di A. Greco, in E42, Utopia e scenario del regime, II, Urbanistica, architettu ra, arte e decorazione, cit., p. 284.
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In alcuni casi il candidato è dispensato dalla seconda prova. A Chio di, che sostiene l’esame per urbanistica nel 1932, la commissione pre sieduta da Calza Bini, con Foschini commissario, non richiede la prova didattica, considerata “la lunga attività del candidato all’insegnamen to”: il docente di tecnica urbanistica della scuola di Milano ha, infatti, alle spalle una trentennale esperienza di insegnante universitario, ben maggiore di quella dei suoi due esaminatori103. Così pure nel 1935, i commissari Giovannoni, Piacentini e Chiodi dispensano Albertini dalla prova didattica in urbanistica. L’ingegnere bresciano, che ottiene la li bera docenza a 61 anni, rimarrà in pratica disoccupato, essendogli of ferto un solo incarico dal Politecnico di Torino tra il 1940 e il 1941'04 Chi comunque eccelle tra tutti i candidati è Piacentini che, come si è visto, concorre nel 1925 alla libera docenza in architettura generale, ma che in realtà la commissione dispensa da tutte le prove105. Nella seconda metà degli anni trenta accede alla libera docenza la generazione nata tra il 1900 e il 1910, che comprende molti architet ti formatisi nelle nuove scuole. Ottengono la libera docenza Carbo nara e Antonio Cassi Ramelli in caratteri distributivi nel 1939, Qua roni in composizione architettonica nel 1940 e Muratori nella stessa materia nel 1942. Non la conseguono, invece, alcuni tra i più bril lanti docenti del dopoguerra: Franco Albini, Belgiojoso, Luigi Co senza, Ignazio Gardella, Libera, Mollino, Rogers. È questo un segno indicativo di una frattura aperta tra i cattedratici e un fronte delle nuove generazioni, una dimostrazione dell’efficienza romana nella gestione del potere accademico, una conferma della riuscita di un progetto di successione, interrotto solo, e in parte, dalla caduta del regime. Non solo romana, tuttavia, è la lotta per gli eredi. Tra gli ar chitetti citati, i milanesi pagano anche per un ostracismo che provie ne dalla loro stessa facoltà. Ricorda infatti Belgiojoso, che Portaluppi, pur aperto alle idee dei suoi ex allievi, non volle mai accoglierli nella scuola, neppure come assistenti volontari106. Infine, tra i 194 liberi docenti che con l’entrata in vigore nel 1938 delle leggi razziali vengono dichiarati decaduti perché di razza 103. ACS, PI, IS, div. I-II-m, 1929-45, b. 120, f. 149 bis. Chiodi, assistente in caricato al Politecnico dal 1908, ha conseguito la libera docenza in costruzioni e ponti nel 1914 e dal 1915 è professore incaricato di edilizia antisismica. 104. C. Morandi, Per un profilo biografico di Cesare Albertini, in Cesare Alber tini urbanista, cit., p. 275. 105. ACS, PI, IS, div. I, 1924-33, b. 8, f. scuola di ingegneria. 106. Cfr. C. Bianchetti, «L’urbanistica al Politecnico di Milano: insegnamento e professione (1929-1963)», Territorio, n. 9, settembre 1991, p. 18.
ebraica, c’è, unico tra le scuole di architettura, Sullam, vincitore del concorso di architettura tecnica, e all’epoca professore incaricato di elementi costruttivi all’Istituto di architettura di Venezia107.
7.1 littoriali di architettura “contraltari” delle valutazioni accademiche Organizzati dai Guf e finanziati dal Pnf, considerati tra le iniziati ve più importanti della politica di fascistizzazione del mondo giova nile universitario, i littoriali di cultura e d’arte si svolgono tra il 1934 e il 1940 in alcune delle principali città italiane108. Essi com prendono anche i littoriali di architettura a cui partecipano, oltre alle scuole di architettura, le scuole d’ingegneria e le accademie di belle arti. Come abbiamo visto, nel 1932 a Bologna, in concomitanza con i littoriali dello sport, si tiene un’anteprima non ufficiale nel campo della sola architettura. L’iniziativa della rivista “L’Assalto” ha anti cipato di un paio di anni questa sorta di olimpiade del fascismo. Nel 1934, i primi littoriali si svolgono a Firenze. Il segretario del Pnf Achille Starace ha chiamato in commissione nomi prestigiosi della cultura italiana: Enrico Fermi per gli studi scientifici, Roberto Longhi per la critica artistica, Giuseppe Ungaretti per la poesia, Massimo Bontempelli per la prosa, Ottorino Respighi e Alfredo Ca sella per la musica. Per l’architettura, la commissione chiamata ad esaminare ben 106 progetti è composta da professori universitari: 107. D.M. 14 marzo 1939. L’elenco compare su il Bollettino ufficiale del Mini stero dell’educazione nazionale, parte II, 27 luglio 1939, n. 30. 108. Cfr. G. Lazzari, 7 littoriali della cultura e dell'arte. Intellettuali e potere durante il fascismo, Liguori, Napoli 1979. I littoriali si svolgono a Firenze nel 1934, a Roma nel 1935, a Venezia nel 1936, a Napoli nel 1937, a Palermo nel 1938, a Trieste nel 1939, a Bologna nel 1940. Cfr. su Napoli: M. Piacentini, «Esito dei Littoriali per l’architettura», Architettura, f. 6, giugno 1937, pp. 354-363; cfr. anche la critica alla commissione giudicatrice in: «Littoriali della Cultura e dell’Ar te. Sezione Architettura. Anno XV», Architettura Italiana, n. 6, giugno 1937. pp. 168-172. Su Trieste: L. Quaroni, «I Littoriali di architettura per l’anno XVII», Ar chitettura, f. 10, ottobre 1939, pp. 618-625. Su Bologna: S. Rattu, «I Littoriali dell’architettura per l’anno XVIII», Architettura Italiana, settembre 1940, pp. 227230; G. Pagano, «Littoriali di Architettura. A. XVIII», Costruzioni-Casabella, n. 154, ottobre 1940, p. 34. Nel 1941 i littoriali non si svolgono, ma il Guf di Roma organizza i prelittoriali. La commissione è presieduta da Mario Ridolfi. G. Vagnetti, «Concorsi per un teatro sperimentale in un parco. Littoriali di architettura Anno XIX», Architettura, f. 2, febbraio 1943, pp. 55-59.
presieduta da Piacentini, vi include Fagnoni, Michelucci e Portaluppi109. Dopo il concorso bandito da “L’Assalto”, questo littoriale vuo le essere un’occasione per smentire il giudizio negativo sullo stato dell’insegnamento in alcune scuole di architettura, espresso da Paga no e Bardi, e per ristabilire la gerarchia ufficiale. Ecco, allora, che 1’“antidiluviana” scuola di Roma vince il primo premio nel concorso per la casa del balilla. E affiancata dalla scuola di Firenze, vincitrice dell’altro premio messo a concorso, mentre viene ridimensionato il giudizio positivo allora espresso sulla scuola di Torino. Le differenze tra scuola e scuola enfatizzate a Bologna, ora si mi nimizzano, diventano “più sfumature di gusto, che di indirizzo”. In perfetta sintonia con il pensiero piacentiniano è Fagnoni. Le archi tetture dei giovani vengono fatte apparire equidistanti sia dalle imi tazioni delle forme del passato, sia dalle “suggestioni di certe for mule straniere”. I “nostri giovani - conclude l’ex allievo di Piacenti ni - lavorano sodo e marciano per la via diritta”. Eppure, nonostante il tentativo di rimarcare l’unitarietà di indirizzo, il dualismo tra Roma e Milano segnalato da Bardi nel 1932, diviene una costante anche nei littoriali successivi. Lo stesso Fagnoni parla di “pale se intenzionalità classica” dei romani, di contro alla “chiara impostazio ne funzionale” dei milanesi. Muratori, l’anno dopo, coglie nei lavori della scuola di Roma la volontà di “conciliare la tradizione stilistica col gusto nuovo”, mentre in quelli di Milano individua l’espressione di “una forma intransigente nei riguardi della vecchia maniera”. Nella città lombarda il particolare legame tra gli studenti e l’ambiente professiona le più giovane segna un punto di forza della stessa scuola110. Ma 1’“in transigenza” degli studenti milanesi non è dipesa da un metodo di inse gnamento, “a meno che non si voglia considerare metodo d’insegna mento il lasciar fare ciascuno a suo modo”. Il merito maggiore ricono sciuto alla scuola di Gaetano Moretti e Portaluppi è proprio nella libera lità degli insegnanti, nel non essersi opposti alle ricerche degli allievi, nell’aver evitato di imporre, diversamente da Roma, “una maniera”111. I littoriali del 1936 segnano il “ritorno” in giuria di Pagano. Nel loro complesso, queste manifestazioni stanno diventando un’occa sione sempre più importante di incontro e di discussione per le ge 109. R. Fagnoni, «I Littoriali dell’Architettura», Architettura, f. 7, luglio 1934, pp. 399-413. 110. S. Muratori, «I Littoriali 1935-XIII», Architettura, f. 5, maggio 1935, pp. 257-276. 111. A. Pasquali, «Scuola di architettura», cit., pp. 42-43. Cfr. anche E. Pifferi, «Scuole di architettura», Architettura italiana, n. 6, giugno 1935, p. 187.
nerazioni universitarie interamente formatesi sotto il fascismo. Tra gli aspiranti littori si incontrano i nomi di Michelangelo Antonioni, Luciano Anceschi, Luigi Firpo, Franco Fortini, Renato Guttuso, Pie tro Ingrao, Aldo Moro, Giaime Pintor, Paolo Emilio Taviani, Giulia no Vassalli, tra i protagonisti della politica e della cultura dellTtalia postfascista. Anche Bruno Zevi, che da studente della scuola di Ro ma partecipa ai littoriali di Napoli e di Palermo, ricorda lo stupore di allora per il fermento di idee che vi regnava. La sua relazione ai littoriali delle arti figurative del 1938 - il tema dato è sui caratteri di un’arte fascista derivata dalla grande tradizione italiana - è in con trasto con l’insegnamento dei suoi docenti, i vari Giovannoni, Vin cenzo Fasolo e Piacentini. Cogliendo un legame tra la nuova archi tettura e quella medievale, egli mira a mettere implicitamente in di scussione la retorica della romanità imperiale e rinascimentale. Alla fine dell’intervento, il dibattito si trasforma in una “manifestazione tumultuosa”. Da un lato Zevi e Fortini, dall’altro il commissario Pensabene, passato dal fronte razionalista allo schieramento accade mico. Solo l’intervento di Fernando Mezzasoma, segretario naziona le dei Guf, riporta la discussione sui binari ufficiali. Ma la premessa di Mezzasoma - “qui siamo tutti fascisti, non è vero?” - non racco glie un’adesione unanime tra gli studenti. In segno di disaccordo, al cuni universitari abbandonano silenziosamente l’aula112. Sollecitato anche dal dissenso che serpeggia tra i partecipanti ver so i modelli della cultura ufficiale, Pagano trasforma i littoriali in un palcoscenico privilegiato per una critica alle scuole di architettura. La valutazione sui progetti presentati diventa così un giudizio sull’insegnamento. Se Marconi su “Architettura” invita a non pro muovere i littoriali in “una specie di contraltare” dei voti ricevuti a scuola113, all’opposto Pasquali su “Casabella” indica proprio nei lit toriali “il momento più saliente dell’anno accademico”114. 112. B. Zevi, Zevi su Zevi, Marsilio, Venezia, 1993, pp. 28-29. Cfr. anche R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Mursia, Milano, 1998, pp. 131132. Sul repentino cambiamento di idee di Pensabene cfr. F. Tentori, P.M. Bardi, cit., p. 111. 113. P. Marconi, «Littoriali d’architettura 1936», Architettura, f. 9, settembre 1936, p. 417; cfr. anche GUF, «Littoriali dell’Architettura e dell’Arte. Anno XIV, Concorso di Architettura. Caserma di artiglieria divisionale», Architettura Italiana, marzo 1936, p. 49. La commissione è composta da Camillo Autore, Pagano, Ponti e Pietro Angelini. Ponti non partecipa alle riunioni. 114. A. Pasquali, «Littoriali di architettura», Casabella, n. 100, aprile 1936, pp. 18-19.
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Il timore espresso da Marconi di uno scontro tra scuola e littoriidl diviene realtà nella manifestazione che si tiene a Napoli nel 1937 e chi' ha per tema il progetto di una chiesa in Africa orientale. La valuta/ione data dalla commissione romana in sede di prelittoriali viene rovesci ¡Un dalla commissione nazionale presieduta da Pagano. Il progetto di I -uijil Vagnetti, il figlio del professore di disegno della facoltà di Roma, pii dicato il migliore dalla giuria romana, viene relegato all’ultimo posi«». Di contro, il direttore di “Casabella” promuove il progetto di Ugo Sis sa, ritenuto in prima istanza il meno meritevole. Capovolgendo il n* sponso iniziale, Pagano contesta l’autorità accademica e la capacità ili giudizio dei docenti romani. Adirata è la risposta di Piacentini, che Ira scina la discussione sul piano ideologico: trattandosi di una chiesa pei “bianchi”, l’architettura deve soddisfare i criteri della “politica edili/,in romana” in terra coloniale. Commettendo un “errore gravissimo”, hi gano ha invece voluto premiare un progetto folcloristico, “che qualuii que muratore abissino sa fare meglio di noi”115. Per evitare di trasformare i littoriali in un’occasione di aperta contestazione sull’indirizzo didattico della sua scuola di architettura, Piacentini propone competizioni solo tra giovani già laureati, su li mi “vivaci e di alto interesse”116. Certamente tra questi temi non rientra quello scelto per i littoriali del 1940, ancora più strumentali alla polemica di Pagano: si tratta di progettare il Palazzo della Qui nella “degradante scenografia stilistica” dell’E 42. Ora Pagano apci tamente accusa le scuole di Roma e di Firenze di “castrazione mura ria” e coglie il vero spirito dei littoriali nel “senso di ribellione” dei giovani verso le “ricette scolastiche”. Nell’“orgia di colonne” e di “finti archi” dell’E 42, il progetto vincitore di Stefano Garau e Elln re Stella viene esaltato proprio per la chiarezza costruttiva. La “le zione di moralità” impartita dai due allievi della scuola di Roma do vrebbe, conclude Pagano, “far arrossire” il loro direttore117. 115. M. Piacentini, «Esito dei Littoriali per l’architettura», cit., pp. 354-35.*»; «Littoriali della Cultura e dell’Arte. Sezione Architettura. Anno XV», cit. La giurili nazionale, oltre a Pagano, è composta da Melchiorre Bega, Raffaello Fagnoni, Pie tro Angelini, Franco Petrucci. 116. Relazione di Piacentini sull’andamento della Facoltà di architettura del 27 febbraio 1940, cit. 117. G. Pagano, «Littoriali di Architettura. A. XVIII», cit., p. 34; S. Rattu, -I Littoriali dell’architettura per l’anno XVIII», cit., pp. 227-230. La commissioni1 giudicatrice del concorso è composta da: Calza Bini presidente. Franco Petrucci, Amedeo Luccichenti, Giovanni Michelucci, Enrico Castiglioni.
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VI. La professione e il professore
I. Anatomia di una professione Su pressione del sindacato, nel 1931 erano stati riaperti i termini l’iscrizione in sanatoria all’albo degli architetti. Potevano con igliere coloro che, privi di laurea, erano già stati respinti nella pre miente tornata1. Nel luglio del 1935 si hanno i risultati di questa sanatoria, la se conda dunque dopo quella del maggio 1929. A presiedere la com missione è chiamato ancora una volta Giovannoni2. Egli è critico, come si è visto, sulle modalità dell’esame, basate sull’“esercizio lo devole della professione”, e favorevole invece a una prova più “effi cace”, a un vero esame di stato. Il docente romano insiste nel ricor dare che “la legge è fatta per sanare il passato, non per creare scor ciatoie al presente”3. 1 candidati sanati dalla commissione sono 61 e per Giovannoni questa è una soglia oltre la quale non si deve andare. “Ulteriori am missioni, rispondenti a quel facile vivere italiano che il Fascismo ha messo da parte per fortuna d’Italia - egli avverte - sarebbero ingiuslc”. Ne uscirebbero compromesse la serietà e l'efficienza di quella |ht
1. Il termine per l’iscrizione all’albo, ai sensi degli articoli 9 e 10 della L. 24 giugno 1923, n. 1395, era stato riaperto con r.d. 23 novembre 1931, n. 1594. 2. La seconda commissione, nominata con r.d. 12 luglio 1933, è composta da ( liovannoni, Milani, Vincenzo Fasolo, Morpurgo in qualità di docenti, da Giuseppe Boni, Stacchini e Aschieri in qualità di architetti. Supplenti sono nominati Fagnoni c l’iccinato. 3. Relazione della commissione giudicatrice delle domande degli aspiranti all'iscrizione negli albi degli architetti del 20 luglio 1935, in ACS, PI, IS, div. II, 1932-45, b. 212.
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classe di architetti “che ora nuovamente si forma e che deve risolve re problemi d’arte e di tecnica forse tra i più gravi nella vita e nelle civiltà d’Italia”. Affermazioni presto smentite dalla condotta lassista del sindacato fascista architetti. Paradossalmente, alcuni episodi hanno visto proprio il sindacato protagonista di “quel facile vivere italiano” che Giovannoni condanna. Una conferma di questo costu me indulgente giunge nello stesso anno, con la riapertura dei termini di sanatoria. A Giovannoni, che declina l’incarico di presiedere an che questa terza commissione, subentra Foschini4. Solo nell’aprile del 1938, cioè con ben 15 anni di ritardo dall’isti tuzione per legge, viene resa obbligatoria l’iscrizione all’albo per chi esercita la professione5. I poteri di custodia degli albi, prima af fidati a giunte speciali - quella del Lazio è presieduta da Piacentini -, ultimo residuo degli ordini professionali, sono ora trasferiti al di rettorio del sindacato fascista. Sulla rivista “Architettura”, compare l’elenco degli architetti iscritti agli albi di tutt’Italia6. Finalmente, sulla base di questi dati è possibile avere un quadro completo della professione. Le vicende fin qui descritte hanno avuto per oggetto la nascita e l’innesto della nuova figura di architetto su una realtà professionale alquanto eterogenea. Dietro un titolo che rende uniforme tutta la ca tegoria, ci sono invece differenze anche sostanziali. Qual è dunque, nel 1938, l’effettiva composizione dei 1646 architetti iscritti all’albo? Su un campione di 1600 architetti7, il 22% proviene dalle sei nuo ve scuole di architettura e si è laureato dopo il 1924. Sono questi i nuovi architetti “integrali”. A essi vanno aggiunti i loro colleghi del la sezione di architettura della scuola di ingegneria di Milano, lau4. I termini vengono riaperti una terza volta con r.d. 16 dicembre 1935, n. 2263 e viene nominata una terza commissione esaminatrice con d.m. del 5 maggio 1935. Oltre a Foschini vi fanno parte Morpurgo, Del Debbio e Roccatelli in rappresentan za del corpo docente, Cancellotti, Vincenzo Fasolo e Aschieri in rappresentanza de gli architetti. Le domande regolari sono 139. La commissione inizia a riunirsi nel luglio del 1937. 5. L. 25 aprile 1938, n. 897. La legge entra in vigore il 1 luglio 1939; cfr. «Il passaggio della tenuta degli albi professionali ai direttori dei sindacati», Architettu ra. Supplemento sindacale, n. 1, gennaio 1939, p. 1. 6. «Gli albi professionali degli architetti italiani», Architettura. Supplemento sin dacale, dicembre 1938. Poiché gli architetti sono quasi tutti liberi professionisti che per esercitare la professione devono essere iscritti all’albo, i dati forniti dal sindaca to possiedono un buon grado di completezza. 7. In totale risultano iscritti agli albi 1646 architetti, ma di 46 non si conoscono i dati sulla loro formazione scolastica.
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reati tra il 1925 e il 1934. Sono appena il 3% del totale e formano comunque un gruppo a parte: provengono infatti, come si è visto, dalla scuola più aperta alle novità, anomala rispetto al programma didattico di Giovannoni. Accanto ai “nuovi” architetti ci sono poi quelli che per tipo di formazione definiamo i “vecchi” architetti. Essi si dividono tra lau reati nelle sezioni di architettura delle scuole di ingegneria o dei po litecnici e coloro che hanno usufruito della sanatoria8. I primi costituiscono un numero esiguo: sono il 15% e tra questi la maggioranza proviene dal politecnico di Milano e in misura mi nore dalla scuola di ingegneria di Roma e dal politecnico di Torino9. Una classifica che ben rispecchia i rapporti di forza esistenti prima dell’istituzione della scuola superiore di Roma. Infine, ci sono 16 ar chitetti, in maggioranza residenti nei territori annessi allTtalia nel 1918, che hanno compiuto studi in politecnici stranieri10. Ben più consistente tra i “vecchi” architetti è invece il numero di coloro che hanno usufruito della sanatoria: i professori di disegno, ora a pieno titolo architetti, sono ben il 39%, mentre gli architetti sa nati, benché privi anche di questi studi, sono il 4%. Dietro le appa renze, al di là dei titoli, la professione dell’architetto è ancora a metà strada tra quelle definite “maggiori” e quelle definite “minori”. Ma come sono distribuiti gli architetti sul territorio? Il Lazio e la Lombardia detengono il maggiore numero di iscritti: rispettivamente 346 e 349. Di contro ci sono alcune regioni del sud e delle isole do ve gli architetti si contano sulle dita delle mani: appena 6 in Abruz zo, 5 in Sardegna, 3 in Calabria, nessuno in Lucania11. L’affermazio ne della categoria non riguarda certamente tutto il Paese. Da questi ultimi dati si possono trarre due conclusioni. La prima è che l’architetto ha difficoltà ad affermarsi nelle aree economicamen8. Tra i laureati nella sezione di architettura della scuola di ingegneria di Milano sono inclusi solo coloro che ottengono la laure prima del 1925. 9. Da Milano proviene il 29%, da Roma il 20%, da Torino il 15%. Le altre scuo le di provenienza sono le sedi di ingegneria di Napoli, Padova, Palermo e Bologna. 10. Di questi, 6 si sono laureati al politecnico di Monaco, 6 al politecnico di Vienna, gli altri nei politecnici di Zurigo, Berna, Berlino, e Karlsruhe 11. La Venezia Giulia conta 204 architetti, 124 la Toscana, 104 il Piemonte, 97 l’Emilia Romagna, 93 la Venezia Euganea, 79 la Campania, 41 la Sicilia, 24 la Pu glia. Un discorso a parte va fatto sui dati delle province della Venezia Giulia, dove molto elevato è il numero degli architetti: in particolare, nella sola provincia di Trieste se ne contano 153. In queste province, possono iscriversi all’albo anche i baumeister. nella provincia giuliana ce ne sono ben 128 (83%) a cui è stato ricono sciuto il titolo di architetti, in base al r.d. 3 settembre 1926, n. 1660.
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te più povere, dove gli è preferito l’ingegnere. In queste regioni, per la progettazione delle opere pubbliche più significative e celebrative da innalzare al centro delle città di solito giunge da Roma il collega architetto più rinomato. La seconda è che gli architetti sono concen trati nelle due più grandi città, dove maggiori sono le opportunità di lavoro. A Milano ne risiedono 282, a Roma ben 329: assieme sono oltre un terzo degli architetti italiani. La provincia italiana non è an cora diventata terra di conquista. Ancora più significativo è per noi il dato relativo agli architetti laureati dopo il 1924, dove la parte del leone è svolta dalla scuola di Roma. Dalla capitale provengono ben il 43% degli architetti: quasi la metà dei nuovi architetti è stata quindi allieva di Giovannoni e Piacentini e proviene dalla scuola che impone agli allievi una più spiccata educazione stilistica. In questi numeri si coglie l’estensione del processo di nazionalizzazione dell’architettura12. Il controllo sull’immissione degli architetti nel mercato del lavoro avviene attraverso l’esame di stato. Per affinare questa selezione, Calza Bini suggerisce che la prova si svolga dopo un periodo di tiro cinio del candidato presso uno studio professionale. Nel 1937 l’esa me di stato è sostenuto da 128 laureati e superato da 104. Il numero dei nuovi abilitati è dunque contenuto. Gli esami di stato sono spesso motivo di concorrenza tra le fa coltà. La prova negativa equivale a un giudizio sfavorevole sulla formazione scolastica ricevuta nell’istituto di provenienza. E questo il caso, ad esempio, di Rogers. Il brillante neolaureato della scuola di Milano viene respinto dalla commissione romana perché insuffi ciente in decorazione. Nel 1937, i “meno preparati” sono i laureati della scuola di Torino, con 6 candidati non idonei su 21 partecipanti. Nel 1939, a Venezia sono respinti 18 su 29 candidati provenienti da Milano e a Milano 4 su 8 provenienti dalla città lagunare. Le “tribù accademiche” quando percepiscono di essere esse stesse sotto esame si mostrano bellicose. Piacentini suole ricordare l’episodio del “pro fessore che fece sapere al suo collega di altra università, che se fos sero stati bocciati tre dei suoi allievi, egli ne avrebbe bocciati sei”13. Nel 1937, la percentuale dei non idonei all’esame di stato in ar chitettura è del 20%. Un dato nettamente superiore a quella degli in 12. Dal 1924 si sono laureati 195 architetti aRoma, 53 a Milano, 48a Firenze, 41 a Venezia, 33 a Torino e 32 a Napoli. 13. Relazione di Piacentini sull’andamento dellaFacoltà di architettura di Roma del 27 febbraio 1940, cit.
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gegneri (4%), che si attesta sui livelli dei chimici (21%) e dei lau reati in economia e commercio (25%). La tendenza nei due anni successivi è di ridurre l’immissione di laureati sul mercato del lavo ro. Nel 1938 il numero degli architetti abilitati alla professione scen de a 99 e nel 1939 a 76, con una percentuale di non idonei di ben il 33%14. Un giro di vite che ha solo l’effetto di un palliativo, attivato per sedare una grave crisi occupazionale. Prende già forma quella forbice tra la carenza di lavoro e un sistema scolastico che all’opposto continua a richiamare un numero sempre maggiore di aspiranti architetti. Un fenomeno ancora in nuce, che esploderà nel dopoguerra. Come denuncerà con coraggio e lucidità Bonelli, queste scuole funzionano come un corpo a sé stante dalla doman da del mercato, un corpo che autoprolifera, richiedendo nuove cattedre, alimentando l’illusione di studenti che non saranno mai architetti. Tra le professioni, l’architetto veste i panni del libero professioni sta. È insolito trovarlo impiegato nelle amministrazioni pubbliche, ancora più raro assunto dalle aziende private. Nel 1936, la percenluale degli architetti liberi professionisti è infatti tra le più alte (70,9%), inferiore solo agli avvocati (89%), di gran lunga maggiore agli ingegneri (38%)15. Paradossalmente, la figura che più di altre assegna una funzione politica alla propria attività, la più politica tra le professioni, parrebbe dunque risultare tra le più “libere”. In realtà, come è stato osservato, il concetto stesso di libera professione muta e si restringe durante il fascismo. Nel 1938 viene introdotto per leg ge il principio di “pubblico servizio” anche per le professioni libera li e più tardi si tende a sostituire l’espressione “libera professione” con “professione intellettuale”16. Nel caso degli architetti non si è atteso il 1938. Come si è visto, l’istanza di una professione non fine a se stessa ma “pubblica” - dapprima al servizio della nazione, poi dello Stato fascista, nel secondo dopoguerra del sociale - è connatu rata alla sua storia. Scuola e sindacato hanno fatto di questa neces sità politica il motivo del loro esistere. 14. «Statistiche degli esami di stato per l’abilitazione all’esercizio professiona le», Bollettino ufficiale del Ministero dell’Educazione nazionale, parte II, Atti di amministrazione, 27 luglio 1939, n. 30; 21 settembre 1939, n. 38; 13 giugno 1940, n. 24; 14 novembre 1940, n. 46. L. Lenti, «Ingegneri, architetti e chimici in Italia alla fine del 1940», cit., pp. 141-146. 15. I dati sono riportati da: A. Cammelli, A. Di Francia, Studenti, università, professioni: 1861-1993, in Storia d'Italia. Annali, voi. X, cit., p. 62. 16. L. 25 aprile 1938, n. 887. Cfr. G. Turi, Le libere professioni e lo Stato, cit., pp. 32-33.
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2.1 camerati architetti Nel febbraio del 1936, Calza Bini dà le dimissioni da segretario nazionale, carica che deteneva ininterrottamente dal 1923. A sosti tuirlo è chiamato Del Debbio, già membro del direttorio nazionale. La nomina di un docente della scuola di Roma è la conferma del le game esistente tra quell’istituzione didattica e il sindacato. La sparti zione delle cariche è tutta giocata in quell’ambito ristretto. Le vere ragioni della sostituzione non si conoscono. Ufficialmen te, Calza Bini le motiva con l’avere raggiunto l’obiettivo che si era prefisso, cioè la “riforma degli studi superiori e l’inquadramento delle facoltà di architettura nella grande famiglia universitaria, la più preziosa conquista del Sindacato”17. In altra occasione, tuttavia, le giustifica diversamente. La tutela degli interessi della sua famiglia richiede una più ampia “libertà di azione”. Non è da escludere l’ipo tesi che le dimissioni siano da collegare alle vicende della progetta zione della città nuova di Guidonia, che si svolgono a cavallo del febbraio 1936 e che coinvolgono Calza Bini padre e figlio18. Certamente Calza Bini non lascia un ambiente sindacale sereno. Sono significative le parole pronunciate al congresso di Napoli, po chi mesi dopo la sua sostituzione, da Alessandro Pavolini. Il presi dente della confederazione professionisti e artisti chiede a Del Deb bio il “massimo della giustizia” nella distribuzione degli incarichi e invita gli architetti a “piantar grane”, necessarie quando c’è un “mo nopolio da rompere”, perché “qui occorrono”. Ma nessuno pare trovare la forza per sollevare seriamente la que stione morale. Quando due anni dopo, al congresso di Genova, que sta questione diviene tema del congresso, essa viene svuotata di contenuto. Il relatore ufficiale Griffini incanala la discussione nei soli termini del rispetto degli onorari stabiliti dal tariffario e della di sapprovata collaborazione tra architetti e ingegneri. Al biasimato uso delle provvigioni è dedicato solo un breve accenno19. Il risanamento morale si rivela così solo un’operazione di facciata, svilito e piegato agli interessi di categoria. 17. «Le dimissioni dell’on. Calza Bini dall’ufficio di segretario nazionale del Sindacato fascista architetti», Architettura. Supplemento sindacale, n. 3, 31 marzo 1936, p. 2. 18. La fondazione di Guidonia avviene il 27 aprile 1935, ma i lavori iniziano so lamente il 1 settembre 1936, dopo le dimissioni di Calza Bini. 19. «Il Convegno nazionale degli architetti a Genova», Architettura. Supplemen to sindacale, n. 16, 15 dicembre 1938, pp. 193-196.
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Quello morale è un problema “interno” appena sussurrato. Il senso di malessere silenzioso, ma diffuso, che attraversa la professione emerge solo nei periodi di maggiore crisi occupazionale, quando il meccanismo sindacale di distribuzione dei lavori si inceppa. All’op posto, l’altra faccia della questione degli incarichi pubblici e dei con corsi, quella “esterna” da divulgare ad alta voce, è un argomento ri corrente. Se ne parlerà nei congressi nazionali del sindacato che dopo Napoli, si svolgono nel 1938 a Genova e nel 1940 a Milano. Le ope re finanziate con denaro pubblico costituiscono infatti una percentua le sempre più consistente sull’insieme degli incarichi professionali e proprio sulla capacità di far assegnare quelle opere alla categoria si costruisce il consenso sindacale. Agli architetti riuniti a Napoli ven gono prospettate “immense possibilità di lavorò” con i progetti per Roma, per il ventennale della rivoluzione, per le nuove terre dell’im pero, con i piani regolatori per il rinnovamento delle città. Pur privato della carica di segretario nazionale, Calza Bini rimane la vera mente dell’organizzazione. In sede di commissioni di bilancio dei vari ministeri competenti, egli sta infatti svolgendo un ottimo lavo ro per fare assegnare fondi nel campo delle opere pubbliche. Successi vamente, attraverso i concorsi, il sindacato si adopera per distribuire gli incarichi ai suoi iscritti. Con soddisfazione, nel 1938 Del Debbio può rammentare ai colleghi che negli ultimi due anni ne sono stati isti tuiti ben 110; che a seguito dei concorsi, in quattro mostre realizzate a Roma nello stesso periodo, si è dato lavoro a oltre 100 architetti20. In queste competizioni netta è la prevalenza degli architetti sugli ingegneri: “tutti i concorsi principali sono vinti dai nostri” annuncia esultante Griffini21. Su un campione di 199 concorsi di architettura effettuati tra il 1926 e il 1942, 110 Sono vinti da architetti, 59 da gruppi misti, 30 da soli ingegneri. I. Concorsi si confermano il punto di forza del sindacato, che li vuole istituiti per legge. Un progetto le gislativo per regolamentare i concorsi e per definire una percentuale fissa di opere pubbliche da assegnare attraverso gare è in cantiere e viene illustrato da Vaccaro22. 20. Delle quattro mostre, Del Debbio indica solo quella autarchica del minerale ilaliano. Le altre tre dovrebbero essere la mostra delle colonie estive e dell’assisten za all’infanzia, la mostra del tessile nazionale, la mostra della bonifica integrale. 21. Ibidem, p. 193. 22. Il progetto è illustrato da Vaccaro ed è oggetto di un’“animatissima” discus sione. «Il congresso nazionale degli architetti a Napoli», Architettura. Supplemento sindacale, n. 10, 31 ottobre 1936, pp. 11-14. 193
Tuttavia solo in parte i concorsi contribuiscono a rendere meno 1 acuta la crisi occupazionale. L’invito rivolto agli architetti a recarsi I in Africa orientale per cercare nuove opportunità di lavoro si è rive- I lato un fallimento: sono, infatti, solo 12 gli architetti che hanno fatto richiesta di trasferimento. Accanto a questo esodo mancato, ce n’è ] un altro che invece coinvolge gli architetti trasferitisi dai piccoli I centri alle grosse città alla ricerca di lavoro. Un confronto tra i dati del 1938 e quelli del 1941 rivela un calo tra gli iscritti in molte re- I gioni, mentre invece si registra un sensibile aumento di professioni sti nelle due maggiori città. Ci sono 20 architetti in meno in Liguria, 19 nella Venezia Tridentina, 7 nella Venezia Euganea, mentre a Ro- ] ma ce ne sono 53 in più e a Milano 55. Un altro possibile sfogo occupazionale è dato dalle amministra zioni pubbliche. L’assunzione degli architetti negli uffici tecnici del le so^TTntendenze ai monumenti e del genio civile, feudo degli inge- 1 gneri, è da sempre un punto fermo dell’azione sindacale, ma copre I solo in minima parte il “disagio” dei giovani laureati. Il mercato ri vela già un’evidente distorsione tra la domanda e l’offerta universi- | taria. E significativo osservare che su 693 architetti laureati fra il 1924 e il 1937, appena il 58% è iscritto all’albo23. La crisi occupazionale rende inoltre più acuto il conflitto di com petenze. Al XIII Congresso internazionale architetti svoltosi a Roma\ nel 1935, Enrico Tedeschi giudica superate ed elusive le norme di legge che separano l’attività degli architetti da quella degli ingegneri24. Dal canto loro gli ingegneri attaccano la preparazione professionale degli architetti e le loro scuole, con i “programmi im perfetti, gli insegnanti impreparati al difficile compito”. La controproposta degli ingegneri è di trasformare le scuole di architettura in sezioni di perfezionamento delle scuole di ingegneria e di riunificare i sindacati25. 23. I dati si riferiscono all’albo del 1938. Sul disagio occupazionale cfr. A. Calza Bini, «L’architettura italiana d’oggi», Le Professioni e le Arti, n. 3 marzo 1933, p. 3. 24. E. Tedeschi, «Architetti e ingegneri», Architettura. Supplemento sindacale, 1 n. 7, 15 giugno 1935, pp. 62-63. 25. La proposta è contenuta nella relazione generale di Alessandro Orsi al IV Congresso nazionale degli ingegneri italiani tenuto a Torino. Uno stralcio della re- \ lazione di Orsi compare in un documento dattiloscritto di Annoni, conservato nell’archivio Bbpr. Sull’unificazione dei sindacati cfr. «Riunione del Consiglio na- I zionale per la elezione delle cariche sindacali», Architettura. Supplemento sindaca- ] le, n. 13, 5 novembre 1935, pp. 113-114; «Smentita», Le professioni e le arti, n. 7, luglio 1935, p. 12.
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L’accordo professionale tra architetti e ingegneri del luglio 1935 viene raggiunto proprio per placare i contrasti esplosi tra le due cate gorie e si risolve in una semplice operazione di cosmesi, in un intesa che rimane sul vago senza nulla apportare in materia di competenza26. Il conflitto tra le due professioni è un’evidente smentita dei risultati della politica di collaborazione corporativa propagandata dal fascismo e sintomatico è il silenzio richiesto da Calza Bini sull’intera vicenda. Alcuni anni più tardi, l’intervento di Marconi al convegno sinda cale di Genova riconferma le difficoltà che incontra la figura dell’ar chitetto, a cui non sono riconosciuti con precisione i confini della professione. Al congenito conflitto con gli ingegneri sull’interpreta zione delle opere di “rilevante carattere artistico”, a quello successi vo con i geometri e i periti industriali, sull’interpretazione delle co struzioni civili “modeste”, si aggiunge ora quello in materia di piani regolatori, pure con gli ingegneri27. La competenza della categoria non può certamente essere difesa seguendo l’invito, di ristrette vedute, di Griffini a non collaborare nei concorsi con gli ingegneri. Architetti e ingegneri si presentano anzi molte volte uniti, soprattutto nelle competizioni urbanistiche. Su un campione di 45 concorsi per piani regolatori, ben 35 sono vinti da gruppi misti. I conflitti professionali esistono perché in realtà la figura dell’architetto è un’incompiuta e, così come è conce pita, recepisce con affanno le nuove problematiche. Emblematica, a questo riguardo, è la posizione tenuta sulla que stione della prefabbricazione. Il sindacato dapprima esprime un giu dizio negativo, “una costrizione all’invenzione architettonica”, poi l’affronta in modo controverso al convegno di Milano28. Del Debbio si dichiara contrario ad estendere la standardizzazione a interi com plessi edilizi e la mozione sindacale presentata da Marconi, accoglie solo parzialmente la relazione di Ridolfi: nella standardizzazione il sindacato coglie soprattutto il rischio di vedere indebolito il lato creativo della professione, di vedere sfumare le differenze che di stinguono l’architetto dall’ingegnere29. 26. «L’accordo professionale tra architetti e ingegneri», Architettura. Supple mento sindacale, n. 8, 15 luglio 1935, p. 70. 27. Il regolamento della professione del geometra all’art. 16 prevede la compe tenza sul “progetto, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili”. R.d. 11 febbraio 1929, n. 274. 28. «La riunione del Direttorio nazionale a Firenze», Architettura. Supplemento sindacale, n. 17, 31 dicembre 1939, p. 183. 29. «Convegno del sindacato architetti», Architettura. Supplemento sindacale, 1940, fascicolo speciale, pp. 15-23, 35-38.
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L’organizzazione sindacale, come abbiamo visto, ha un controllo capillare sugli incarichi pubblici e soprattutto grazie a questo potere riceve il consenso interessato degli architetti. Ma già durante la non trasparente gestione di Calza Bini si era prodotta una disaffezione tra gli iscritti e Del Debbio era costretto a riconoscere che molti ar chitetti “si sono allontanati dalla vita sindacale”. Nel 1936, su circa 1400 architetti solo 286 ricevono la rivista “Architettura” e solo 300 il bollettino sindacale, una lettura che per Calza Bini doveva essere un “preciso dovere” di ogni iscritto30. I dati individuali sull’adesione sindacale compaiono solo sull’Annuarìo del 1941. Gli architetti in totale iscritti al sindacato sono il 78% del totale. Suddivisi per regioni, la Lombardia detiene la per centuale maggiore, seguita dalla Liguria, dalle Marche, dal Piemonte, dalla Toscana e dalla Campania, tutte oltre il 90%. Consistente è in vece la disaffezione nella Venezia Giulia - dove la gran parte dei Bajjmeister della provincia di Trieste non si iscrive - e nel Lazio. Nel Confronto con le altre professioni, la media nazionale è inferiore a quella dei giornalisti (85%), ma superiore a quella dei medici (77%), dei chimici (73%), degli ingegneri (66%), degli avvocati (62%)31. L'Annuario del 1941 contiene anche un altro importante elenco, quello degli architetti iscritti al partito fascista32. Il dato nazionale è di 1225 iscritti, pari al 73%, con un’adesione quindi di alcuni punti più bassa rispetto al sindacato. Non sempre chi è iscritto al fascio lo è anche al sindacato, e viceversa. La Campania, la Puglia, le Mar che, la Sicilia hanno medie superiori al 90%. Nella Venezia Euganea, in Piemonte, in Toscana e in Lombardia essa diminuisce attorno all’80%. Percentuali più basse si registrano in Emilia e in Liguria con il 56%, dove però altissima è l’adesione sindacale. Infine, nella Venezia Tridentina e nel Lazio il numero degli architetti iscritti al partito è appena del 50%. Nel complesso si tratta, dunque, di un da to disomogeneo e in parte discordante. Ma la coraggiosa decisione di chi rifiuta la tessera, soprattutto dove l’adesione è plebiscitaria, 30. Architettura. Supplemento sindacale, n. 10, 31 ottobre 1936, p. 4; A. Calza Bini, «Ai camerati architetti», Architettura. Supplemento sindacale, n. 1, 25 gen naio 1934. 31. G. Turi, La presenza del fascismo e le professioni liberali, in Cultura e so cietà negli anni del fascismo, Cordani, Milano, 1987, p. 24. 32. L’annuario del 1938 riporta i dati relativi agli iscritti al sindacato nella sola regione Lazio, dove, su 346 iscritti all’albo, 76 sono gli architetti privi di tessera sindacale.
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contrasta con il diffuso fenomeno dell’opportunismo politico e apre crepe sull’assolutorio luogo comune per cui l’iscrizione al partito o al sindacato era una scelta obbligata. La disaffezione al partito è maggiore tra chi ha un’età superiore ai 40 anni. Tra gli altri, non figurano iscritti Mario Labò in Liguria, Giuseppe Gyra in Piemonte, Bottoni, De Finetti, Pollini e Gigiotti Zanini in Lombardia, Bonelli, Eugenio Montuori, Muratori, Ridolfi e Valle nel Lazio33. Risulta invece possedere la tessera chi, come Pane, (iene rapporti con elementi comunisti, e alcuni tra coloro che di li a poco faranno una decisa scelta antifascista: Pagano e Banfi che mori ranno a Mauthausen, Belgiojoso che verrà internato a Gusen, Albini e Peressutti che aderiranno al Comitato di liberazione nazionale34. Infine, anche i dati dell’Annuario del 1941 confermano il fitto in treccio tra vita sindacale e istituzioni scolastiche. Il direttorio nazio nale è composto da cinque insegnanti universitari - Del Debbio, Marconi, Griffini, Chiaromonte, Vincenzo Fasolo - su dieci compo nenti. Nelle regioni sede di facoltà di architettura, il direttorio inter provinciale comprende sempre insegnanti delle stesse: Molli Boffa e Giorgio Rigotti in Piemonte; Griffini, Muzio e Portaluppi in Lombar dia; Del Giudice, Wenter Marini e Angelo Scattolin nel Veneto; Nel lo Baroni, Fagnoni, Italo Gamberini e Luigi Zumkeller in Toscana; Marconi nel Lazio; Chiaromonte e Canino in Campania. Inoltre Cirilli è nel direttorio delle Marche, Carbonara in quello della Puglia.
3. Il professionista professore Nel febbraio del 1939, Bottai presenta a Mussolini la Carta della scuola, la seconda riforma organica del sistema scolastico dopo quella realizzata da Gentile. La Carta, un documento programmatico suddiviso in 29 dichiarazioni, fornisce i principi pedagogici del regi me e costituisce l’impalcatura della legislazione futura. 33. I dati del Lazio non sono completamente attendibili. Ad esempio, tra i non iscritti al partito fascista risultano esserci Piccinato e Samonà, che invece da altri documenti risultano nel 1940 essere ancora iscritti. Piccinato è iscritto dal 1932 e Samonà dal 1933. 34. Sui rapporti di Pane con la rete clandestina comunista: P. Varvaro, Una città fascista, Sellerio, Palermo, 1990, p. 141. Solo nel dicembre del 1942 Pagano si di mette dalla consulta della Scuola di mistica fascista. In febbraio, la consulta aveva ribadito la sue “fede assoluta” nel duce. C. De Seta, Introduzione, in G. Pagano, Ar chitettura e città durante il fascismo, cit., p. LXX; D. Marchesini, La scuola dei ge rarchi, Feltrinelli, Milano, 1976, pp. 188-189, 209-211.
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Con la Carta della scuola, l’istituzione scolastica tende ad assume re un più accentuato ruolo di “strumento politico”. Nello Stato totali tario la scuola non ha più la funzione di “semplice distributrice di sa pere” intellettuale, ma diviene “strumento politico di educazione”35. La libertà d’insegnamento, difesa da Gentile, già fortemente attaccata dalla “bonifica fascista” di De Vecchi, riceve ora una nuova spallata. Per altri versi, la riforma di Bottai si pone invece in continuità con la riforma del 1923: con l’introduzione del latino nella nuova scuola media unica - la più vistosa novità dal punto di vista tecnico della riforma di Bottai - è salvaguardata la concezione umanistica della cultura e la funzione selettiva della scuola voluta da Gentile. La XIX dichiarazione è dedicata all’ordine universitario. Le fun zioni dell’istruzione universitaria si richiamano ancora alle finalità della legge Casati, ma ora il carattere formativo è esteso decisamen te sul piano politico. Nella relazione a Mussolini sulla Carta della scuola, Bottai precisa che l’università “prepara sì alle scienze, ma non astrattamente, sibbene nella concreta realtà dello Stato fasci si^. Sui contenuti della riforma si rimane invece sul vago, prefe rendosi probabilmente precisare le direttive solo dopo il varo dei settori inferiori. La centralità della riforma universitaria viene tutta via ribadita dal ministro che scrive: “Una rivoluzione che come la fascista, ari nel profondo ... s’imbatte negli istituti universitari pri ma che in altri. E contro di essi che il nuovo pensiero picchia”37. La pubblicazione della Carta della scuola accende un’ampia di scussione e dà corpo a una vasta pubblicistica in materia. L’ampio respiro della riforma, lo stretto legame invocato tra la scuola e il si stema economico corporativo prefigurano una probabile ridefinizio ne della figura professionale dell’architetto e dell’ingegnere civile. Il sindacato architetti vede nella Carta della scuola lo strumento per accentuare un indirizzo, ormai ventennale, di affrancamento dagli studi di ingegneria. Nella tesi sindacale, l’architetto appare ora in grado di concepire da solo e integralmente l’organismo architettoni co. La raggiunta autonomia dal “sussidio di tecnici affini” è un chia ro riferimento agli ingegneri: “Siamo cioè tornati, e lo saremo sem pre più, alla concezione greca e rinascimentale della professione 35. G. Bottai, La Carta della Scuola, Mondadori, Milano, 1939, pp. 313-314. 36. Ibid., p. 68; G. Gentili, Giuseppe Bottai e la riforma fascista della scuola, La Nuova Italia, Firenze, 1979, p. 131. 37. G. Bottai «L’Università nella Carta della Scuola», Annali della Università d’Italia, 29 ottobre 1939, p. 7.
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dell’architetto”38. La demagogia della politica, che mitizza strumen talmente il passato per i propri scopi contingenti, è propria in quegli anni del fascismo, e si applica anche per gli architetti. Diversamente dalla riforma Gentile, entrata immediatamente in vigo re, Bottai intende procedere per gradi, iniziando dalla scuola elementare per poi risalire fino all’università. Il ministro prevede di attuare la rifor ma tra il 1939 e il 1941, ma l’inizio del conflitto europeo e l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del 1940 ne allontanano i tempi. Nell’anno scolastico 1940-41 decolla la scuola media unica e nell’autunno del 1940 si sta elaborando la riforma dell’istruzione ar tistica39. Nel novembre del 1941, Bottai annuncia il varo entro l’an no anche della riforma universitaria. In quell’occasione, nel dare le direttive del nuovo anno scolastico, il ministro richiama i presidi e i docenti a una maggiore integrazione tra la scuola e la politica: “Non è oggi concepibile ... una scuola universitaria che si ponga e s’orga nizzi come fine a se stessa, nemmeno nell’ambito della pura specu lazione e della pura indagine scientifica”. In particolare, lamenta la scarsità di rapporti tra docenti e studenti fuori dell’ambiente scola stico, che mette in crisi il legame educativo e “indebolisce il presup posto per la funzione politica della scuola universitaria”. Nell’attuare la riforma universitaria, Bottai ricerca il consenso del mondo accademico. Un questionario viene inviato alle singole fa coltà. In progetto c’è la separazione del titolo professionale da quel lo dottorale, quest’ultimo “diretto principalmente ad aprire la carrie ra degli studi”. Una delle maggiori cause della crisi che attraversa l’università dal suo interno è, infatti, individuata dal ministro in cer te dinamiche invasive della professione. Quel particolare mondo “professionale” sta sopravanzando quello “scientifico”, lo “guasta, lo mina alle radici. Bisogna ristabilire l’equilibrio”40. Un monito che pare quasi rivolto direttamente alla facoltà di architettura di Roma, dove l’invadenza della professione si era fatta più marcata dopo la sostituzione di Giovannoni con Piacentini. 38. «La preparazione dell’architetto italiano nella nuova scuola intesa come at tuazione dell’educazione umanistica integrale», Architettura. Supplemento sindaca le, n. 17, 31 dicembre 1939, pp. 195-196. Si veda anche: «La riunione del Diretto rio nazionale a Firenze», ibidem, p. 187; F. Fichera, «Riordinamento dell’Istruzione artistica », Architettura. Supplemento sindacale, f. speciale dicembre 1938, p. 233. 39. Cfr. la relazione di Marino Lazzari in «Il Convegno degli Istituti d’istruzio ne artistica», Le Arti, f. 5-6, giugno-settembre 1940, p. 331. 40. G. Bottai, L’Università nella Carta della Scuola, cit., p. 10.
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Commissioni ristrette vengono create per valutare i pareri espressi dalle facoltà sul questionario41. Piacentini e Foschini, in rappresen tanza dei colleghi delle facoltà di architettura, si dichiarano decisa mente contrari al doppio titolo42. La distinzione dei titoli avrebbe in taccato quell’intreccio tra figura di docente e figura di professionista su cui, con grande abilità, essi avevano costruito il loro potere nelle scuole e nei cantieri. Per molti docenti l’impegno professionale pre varica quello universitario, a tutto discapito del tempo dedicato agli studenti. Un’efficace descrizione della febbrile attività dello studio professionale del preside dalla facoltà di Roma è offerta da Papini, che va a trovare Piacentini un giorno del dicembre 1940: “nel poco tempo che passai con lui, fu chiamato al telefono da tre eccellenze, cinque imprenditori, quattro banchieri e alcune persone di poca im portanza; fu costretto a chiamare varie volte i suoi aiuti in cappa bianca, che gli fornirono non architetture, ma cifre”43. L’attività di docente di Piacentini è dunque strettamente avvinghia ta a quella frenetica di progettista. Il cantiere dell’E 42 è il prosieguo dell’attività didattica e quelle architetture costruite sotto la sua supervisione sono la vera conclusione delle lezioni universitarie. Ma non **sempre questo passaggio dalla scuola al cantiere si è rivelato lineare. Ad esempio, le teorie urbanistiche esposte nel corso delle lezioni non sono sempre coerenti con la pratica professionale. C’è, anzi, un evi dente contrasto tra la lucida critica all’urbanistica romana esposta nelle lezioni di edilizia cittadina dell’anno accademico 1923-24 e l’esito dei successivi interventi piacentiniani sulla città44. Il suo ex assistente Piccinato ha posto in rilievo il “cinismo” del professore 41. Per le facoltà di architettura e di ingegneria fanno parte della commissione, Felice De Carli, Francesco Giordani, Alfonso Maffezzoli, Giancarlo Vallauri, Fo schini e Piacentini. ACS, PI, IS, div II, 1932-45, b. 17, f. ordinamento didattico. 42. Risposte delle facoltà ai quesiti sulla riforma universitaria, Poligrafico dello Stato, Roma, 1942, p. 28. 43. R. Papini, «Archipenzolo», Il Popolo di Roma, 5 dicembre 1940; ora in Cro nache di architettura: 1914-1951, cit., p. 328. 44. La contraddizione più lampante si coglie tra la critica enunciata a lezione del taglio dei Borghi, “con evidente danno di tutta la caratteristica di questa parte di città” e il successivo progetto di sventramento per realizzare via della Conciliazio ne. Sull’incoerenza tra Piacentini docente e Piacentini progettista cfr. E. Guidoni, «Gli scritti urbanistici di Marcello Piacentini: nel segno della contraddizione»; C. Severati, «L’etica cittadina nelle lezioni del 1924», entrambi in Bollettino della Bi blioteca della Facoltà di Architettura dell’università degli studi di Roma «La Sa pienza», n. 53, 1995, pp. 9-11 e 12-17. Sulla collusione tra potere accademico ed economico nella scuola romana cfr. C. De Seta, La cultura architettonica in Italia tra le due guerre, Laterza, Bari, 1972, pp. 149-151.
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che smentisce se stesso, che mentre a lezione “illustrava ai suoi allie vi il metodo del risanamento per il quartiere Rinascimento al quale aveva partecipato con Giovannoni”, fuori dall’aula universitaria pro gettava la distruzione del centro di Brescia e dei Borghi a Roma45. Lo stretto legame tra scuola e professione difeso da Piacentini è presente nella facoltà romana sin dalla fondazione e ne compone la cifra. Esso non va certo letto solo come prerogativa dell’ambiente universitario della capitale, ma connota anche le altre facoltà di ar chitettura. Oltre al caso di Gaetano Moretti, a Milano, ad esempio, Portaluppi sovrappone all’insegnamento di composizione una frene tica attività di architetto, con incarichi anche all’estero. Il preside della facoltà è il professionista di fiducia della borghesia milanese più in vista - Conti, Borletti, Bassanini, Crespi - e di società come l’Agip, l’Alfa, la Pirelli, la Skne di New York46. Ritornando a Piacentini, in una sua proposta indirizzata a Bottai egli suggerisce di realizzare all’interno della facoltà di architettura di Roma appositi studioli per permettere ai professori “di svolgere in esso anche una parte della [propria] attività professionale”. Il “professionista-professore”, secondo una felice definizione dell’architet to romano, avrebbe così una vera “convenienza di rimanere a lungo nelle sedi universitarie, con profitto suo e degli alunni”. Una delle principali direttive di Bottai, atte a introdurre il lavoro nella scuola, riceve così un’interpretazione molto singolare. Per consolidare l’intreccio tra la realtà affaristica e quella didattica Piacentini propone di introdurre dopo la laurea un praticantato sul modello delle professioni forensi, riprendendo così un progetto di Calza Bini. Gli apprendisti architetti sarebbero stati impiegati per un anno nei cantieri del Palazzo del Littorio, dell’E 42, della nuova sta zione ferroviaria. Riformulata poco dopo da Del Debbio al Convegno nazionale del sindacato a Milano, la proposta di Piacentini verrà giu dicata seccamente da Ridolfi una perdita di tempo per i giovani47. 45. L. Piccinato, «Piacentini urbanista», Urbanistica, n. 31, luglio 1960, p. 90. 46. C. Bianchetti, «L’urbanistica al Politecnico di Milano: insegnamento e pro fessione (1929-1963)», cit., pp. 16-18. 47. Relazione di Marcello Piacentini sull’andamento della Facoltà di architettura di Roma del 27 febbraio 1940, cit. La proposta di Calza Bini appare in «La riunio ne del Direttorio nazionale a Firenze», cit., p. 189. Il giudizio di Ridolfi in: «Con vegno del sindacato architetti», Architettura. Supplemento sindacale, 1940, f. spe ciale, p. 23.
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Nel rapporto squilibrato tra professione e ricerca scientifica, con l’università umiliata a luogo di promozione professionale del docen te e l’impegno didattico sottomesso a quello del cantiere, va colta la difficoltà delle facoltà di architettura a elevarsi a un reale livello universitario.
4. Una scuola da cambiare: le proposte di Argan e Pagano, consiglieri di Bottai La separazione del titolo dottorale da quello professionale è solo un aspetto a noi noto dell’azione di riforma intrapresa da Bottai nei confronti delle facoltà di architettura. Altri indizi ci portano però a credere che la sua azione, non diversamente da quella intrapresa da Fedele alla fine degli anni venti, abbia inteso estendersi in modo più diretto anche nel campo dell’educazione architettonica impartita nel le facoltà di architettura. Non dimentichiamo che in questi stessi an ni Bottai promuove un’ampia riforma delle arti, per la valorizzazio ne dell’arte contemporanea e per un maggiore rigore nella tutela dell’antico. La creazione di un Ufficio per l’arte contemporanea, dell’Istituto centrale del restauro, il varo delle due leggi sulla tutela delle cose d’arte e sulla protezione delle bellezze naturali sono il frutto di questa svolta nella politica fascista delle arti. Anche l’architettura è investita da queste iniziative. In particolare, nel 1942 viene pubblicato dal ministero un radicale documento, VIstruzione, che ha per oggetto il restauro dei monumenti, ma che contiene una norma dirompente: il divieto di costruire nuovi edifici in stile48. Tra i bersagli di questo testo, prodotto alla fine del 1939 e di cui era prevista la trasformazione in legge, è la messa in discus sione di tutta l’impalcatura teorica stilistica piacentiniana e della grande operazione dell’E 42. Un elaborato che per altro smentisce lo stesso avallo dato da Bottai all’architettura classicista nel discorso fatto agli architetti nel settembre del 1935 e che fa luce sul dissenso maturato anche in campo architettonico tra Mussolini e il più “criti co” dei suoi ministri. L’autore del l'Istruzione è Giulio Carlo Argan. Singolare è il per corso del giovane intellettuale, che ha raccolto l’eredità di Persico, scomparso nel 1936. Allievo di Lionello Venturi, legato agli am 48. P. Nicoloso, «La “Carta del restauro” di Giulio Carlo Argan», cit., pp. 105-106.
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bienti antifascisti, ha fatto il “postino” tra Torino e Parigi. Ora occu pa un posto di primo piano al ministero delle Educazione nazionale e ottiene la stima di Bottai, fino a diventare una sorta di coscienza critica nel campo de 11'arte. All’opposto di Persico, ha deciso di con sumare il tradimento del chierico, di penetrare nel cuore delle istitu zioni. Da li, come dimostra VIstruzione, può promuovere la battaglia per un’etica dell’architettura, contro il suo uso retorico di strumento del fascismo. Da parte dello stesso Argan proviene un altro documento inedito, successivo all’entrata in guerra dellTtalia, che per noi costituisce la più chiara traccia della volontà di Bottai di porre mano a una rifor ma delle scuole di architettura. Questo documento, fatto pervenire nel suo ufficio di ministro, è in stridente contrasto con le risposte fornite dal mondo accademico, per cui le scuole di architettura non richiedono aggiustamenti. L’esame di un progetto per la creazione di una scuola d’arte mu rale, già prefigurata da Piacentini al convegno Volta del 1936, è il pretesto per l’impietoso giudizio di Argan sulle condizioni attuali dell’architettura, vent’anni dopo la creazione della prima scuola. Ro vesciando il giudizio di valore di Piacentini, che aveva parlato di “grande disagio” e disorientamento delle arti figurative, Argan affer ma invece che di fronte a “una grande pittura e una grande scultura” in Italia non “esiste un’architettura”49. Le grandi architetture ufficiali - aggiunge tagliente Argan - sono solo “quinte e fondali di una commedia rettorica” che soffoca l’arte: alla base delle motivazioni urbanistiche c’è “la speculazione sulle aree fabbricabili”, così come l’origine delle “polemiche stilistiche è la speculazione sulle cave di pietra”. Nel primo caso il riferimento diretto è all’apertura di via della Conciliazione a Roma di Piacentini e Spaccarelli. Nel secondo è un’allusione ai grossi interessi econo mici nascosti dietro lo sfruttamento delle cave di marmo. All’uso del marmo proveniente dal comune di Apuania e destinato alla co struzione dell’E 42, in ottemperanza a una direttiva che ne impartiva l’utilizzazione50. Un’allusione alle 18.000 tonnellate di marmo di Carrara impiegate nella costruzione del foro Mussolini, che aveva coinvolto Renato Ricci, presidente dell’Opera nazionale balilla ma 49. Appunto di Argan per Bottai, in ACS, PI, AABBAA, div. III. 50. Si veda il documento riportato in M. Magnani Cianetti, L’uso dei materiali costruttivi nella realizzazione delle opere per l’E 42, in E 42. Utopia e scenario del regime, cit., p. 172, nota 13.
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anche del Consorzio per il commercio e l’industria dei marmi di Carrara, il suo amico e conterraneo Del Debbio, e Cirillo Figaia pro prietario di cave e suocero di Ricci51: allo stesso Mussolini, cui è sfuggito il controllo delle spese, apparirà incomprensibile quel son tuoso impiego di marmi52. In Italia, prosegue Argan, la scuola di architettura “non è neppure nata”. In quelle aule l’arte è assente. Invece di studiare i problemi sociali dell’abitare, di ricercare i valori autentici del costruire, vi si svolgono solo “aride esercitazioni stilistiche” che producono false architetture. L’E 42 è il risultato più clamoroso. Se la guerra non avesse fermato i lavori, “la cultura della Rivoluzione - e qui il criti co lascia trasparire un’ambigua adesione politica al fascismo avrebbe toccato sui campi delle Tre Fontane la più grave sconfitta”. In assenza di una vera scuola, la sua provocatoria proposta è di mandare gli studenti, “orfani di maestri”, a studiare la “vera architet tura di una natura morta di Morandi, di un paesaggio di Carrà, di un nudo di Manzù o di Marini. Sarebbe lo scandalo: sarebbe la salvez za”. Invece di pensare a nuove scuole di arte murale, conclude Ar gan, “bisognerebbe cominciare col creare una, almeno una, scuola di architettura che fosse degna di questo nome”. E importante osservare che alle botteghe di un Morandi o di un Carrà, Argan assegna la stessa funzione didattica di base che nella Bauhaus aveva il corso preliminare. Là, attraverso l’analisi di un qua dro, la scomposizione della struttura formale interna, l’allievo era spinto a emanciparsi dagli schemi stilistici tradizionali e a liberare la propria energia creativa. La Bauhaus e il metodo pedagogico di Gro51. J. Charnitzky, Fascismo e scuola, cit., pp. 340-341. Sulla protezione che Del Debbio riceve da Ricci cfr. Gli obelischi, le piazze, gli artisti: conversazione con Ludovico Quaroni, cit., pp. 283-284. Sulle accuse a Renato Ricci di avere favorito il suocero cfr. S. Setta, Renato Ricci. Dallo squadrismo alla Repubblica sociale ita liana, cit., p. 111. 52. Nel maggio del 1937 dopo aver visitato l’appartamento progettato da Luigi Moretti, Mussolini scrive: “Nel fabbricato della nuova piscina, Ricci mi ha prepara to un appartamento, ma questo appartamento è lussuosissimo. Tutto marmi, tutto M alle porte. Sono entrato appena, non ho voluto andare oltre per il timore di trovare sempre più lusso. ... Non si è ancora capito che io non voglio che si spenda per me. Temo che così facendo si voglia coprire o giustificare altre spese. La gente dirà: chi spende? E quello che non so con precisione neppure io, malgrado lo abbia chiesto più volte a Ricci”. Il documento è riportato da: S. Setta, Renato Ricci. Dallo squa drismo alla Repubblica sociale italiana, cit., pp. 165-166. Su Luigi Moretti, sul suo ruolo nella Gii e sui rapporti con Ettore Muti cfr. A. Greco, Architettura e arte, in Foro Italico, a cura di A. Greco, S. Santuccio, Multigrafica, Roma, 1991, p. 31.
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pius sono l’orizzonte di riferimento di questo documento di Argan per Bottai. Nei programmi del ministro e del suo consigliere, il dopo Pia centini delle facoltà di architettura è un’istituzione sul modello della Bauhaus. Singolarmente, quella scuola, chiusa dal nazismo perché produceva un’arte degenerata e bollata dal preside della facoltà come un “trionfo dell’ebraismo”, è presa a esempio dal fascismo53. Poco dopo, nella Roma occupata dai tedeschi, Argan comincerà ad appun tare il suo libro sulla pedagogia formale della scuola di Gropius54. Al questionario inviato alle facoltà da Bottai risponde a distanza Pagano dalle pagine di “Costruzioni-Casabella”, presentando il suo programma per una scuola di architettura55. La scuola di Pagano re cepisce la radicale critica di Argan ed è una sorta “di punto a capo” per l’insegnamento: una scuola antipiacentiniana e antiaccademica, un polemico rifiuto verso tutta l’attuale “burocrazia di insegnanti”, voluta da Giovannoni e Piacentini attraverso i concorsi e collocata nelle principali sedi di insegnamento. Un giudizio sfavorevole diret to verso tutte le facoltà di architettura, con l’unica nota positiva ri servata a Milano, per la collaborazione in atto tra studenti e docenti. Significativo è anche il silenzio su Venezia, dove Samonà insegna ormai da sei anni e che rappresenterà nel dopoguerra il modello an tiromano. Ma la svolta di Samonà ci sarà solo dopo la caduta del re gime. E intanto il docente palermitano non gode la stima di Pagano, che in privato lo ha definito un “pericolo pubblico”56. Per Pagano, il cattivo funzionamento delle attuali scuole di archi tettura è davanti agli occhi, è nel gran numero di “opere di falsa ar chitettura” costruite negli ultimi anni. All’origine di questi “falsi” non c’è un mancato aggiornamento tecnico, ma l’assenza di una “chiara impostazione critica”. Una lacuna, questa, che deriva a suo giudizio da un insegnamento della storia fondato su una “stupida e falsa interpretazione tecnicista”, di impostazione giovannoniana. 53. Sull’affermazione di Piacentini, che risale alla primavera del 1941, cfr. R. Mariani, E 42. Utopia e scenario del regime, cit., p. 179. 54. Il libro di Argan su Walter Gropius e la Bauhaus verrà pubblicato nel 1951. La lettura strumentale impressa da Argan agli avvenimenti della Bauhaus emerge da una lettera di Gropius all’autore: “Io avrei voluto pensare tutte le cose che Lei mi ha attribuito, ma non le ho pensate”. 55. G. Pagano, «Programma per una scuola di architettura», Costruzioni-Casabella, n. 184-185, aprile-maggio 1943; ora in Id., Architettura e città durante il fa scismo, cit., pp. 167-176. 56. M. Tafuri, Gli anni dell’«attesa»: 1922-1945, in Giuseppe Samonà. Cin quantanni di architetture, Officina, Roma, 1980, p. 17.
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La scuola di Pagano non è riservata solo agli architetti, ma anche agli ingegneri, ai geometri, ai maestri d’arte e ai muratori, tutti impe gnati in una “comune missione di ricerca”. In questo “centro speri mentale” i nuovi docenti vengono ricercati nel mondo dei mestieri e delle professioni, traducendo così l’invito di Argan ad abbandonare le aule universitarie e a mandare gli studenti nelle botteghe. Nell’ac costare la scuola di architettura al mondo del lavoro, va colta l’ade sione di Pagano all’invito di Bottai, di imprimere una più forte inte grazione tra sistema scolastico e Stato corporativo fascista, sintesi della Carta della scuola. All’asse Bottai e Piacentini della seconda metà degli anni trenta, pare ora sostituirsi nei primi anni quaranta quello tra Bottai e Pagano, uniti nella ricerca di quei valori sociali e morali, capaci di rinnovare l’arte e la politica. Un legame significati vo e, per certi aspetti singolare, che coglie Pagano nella fase prece dente la sua transizione politica, che si concreterà con il passaggio dalla Scuola di mistica fascista al Partito socialista di unità proletaria. Eppure non si può non cogliere, al di là dell’odio che ormai li di vide, un fondamentale punto in comune tra le idee di Pagano e i programmi perseguiti da Giovannoni prima e da Piacentini poi. Tutti e tre assegnano alla scuola un ruolo determinante nella “conquista dello stile”. Così come i due direttori della scuola romana avevano sostenuto la necessità di un’unità di indirizzi tra le facoltà per arri vare a uno stile della nazione, così Pagano chiede un’“unificazione di tutte le scuole”, un più deciso impegno dello Stato fascista nell’educazione del gusto architettonico. Non su caratteri architetto nici nazionali, ma su un’etica del fare architettonica si fonda la nuo va centralità delle scuole, officine di un nuovo galateo edilizio.
5. Verso il crollo del fascismo: esercizi di trasformismo politico Quando la tragedia della guerra e le sconfitte militari mettono in difficoltà il regime, anche l’architettura di chi ha inteso rappresentarlo sale sul banco degli imputati. Contro Pagano che lo attacca duramen te dalla sua rivista e contro chi “tenta la più bassa denigrazione”, Pia centini risponde difendendo “l’onore” dell’architettura italiana, che il “serrato progressivo raffinamento” di questi ultimi anni sta finalmente avviando “verso uno stile”. Il lungo elenco dell’“enorme” produzione architettonica, che “nessun altro popolo ha neanche lontanamente pensato di fare”, è “sufficientemente valido a rappresentare quell’ar 206
chitettura di Stato” che adesso Bottai vuole identificare sempre più con l’architettura di popolo. E contro l’indecenza delle periferie con le “file di casoni” allineati, diversamente da Argan, Piacentini indica la “salvezza” dell’architettura non ovviamente nelle botteghe dei pit tori, ma proprio in quella disciplina che egli insegna all’università, nell’urbanistica “espressione sincera ... del nuovo ordine sociale”57. Il concetto crociano di arte di Argan applicato all’architettura ma Argan, scrive Marconi, di questa disciplina s’intende “sostan zialmente poco” - appare a Piacentini un assurdo58. Nell’opera ar chitettonica i valori creativi sono “generalmente a latere, formano più una condizione climatica, che un complesso di suggerimenti concreti: sono la cultura che illumina, sprona, innalza, ma non costi tuiscono gli elementi formativi”. Posizioni, queste, simili a quelle sostenute da Giovannoni nella citata polemica contro Croce. I docenti romani ora fanno quadrato contro le critiche di Argan, Pagano, Agnoldomenico Pica, “languidi e pallidi masturbatorelli meneghini”59. Giovannoni esalta il piano regolatore di Brescia di Piacentini e il corso Rinascimento a Roma di Foschini, costruzioni modernissime e allo stesso tempo classiche: conformatosi ai nuovi eventi della politica e ai nuovi scenari, giunge al punto di richiamar si al Me in Kampf di Hitler, per dare forza alla proprie tesi. Marconi elogia Foschini, Piacentini loda Foschini e viceversa60. L’amicizia tra questi due docenti, alimentata da reciproci favori, è fra terna: “Mi dispiace - gli scrive Foschini - se il tuo affetto per me ti abbia fatto calcare la mano, poiché al tuo affetto tengo in modo indici bile”. Per essere meno esposto alle critiche, il preside della facoltà di architettura di Roma pensa anche a una nuova rivista, dietro cui poter si celare, da affidare tra gli altri a Piccinato e ad Aldo Della Rocca61. 57. G. Bottai, «Nuova vita di “Architettura”», Architettura, n. 5, maggio 1941, p. 261; M. Piacentini, «Onore all’architettura italiana», ibidem.', ora in Id., Architet tura moderna, cit., p. 291. 58. Lettera di Piacentini a Marconi del 14 luglio 1942; lettera di Marconi a Pia centini del 28 luglio 1942, in AMP, b. 111. 59. Lettera di Piacentini a Giovannoni del 16 settembre 1942, in AMP, b. 111. 60 G. Giovannoni, «Restauro dei monumenti e urbanistica», Palladio, n. 2-3, 1943, pp. 38-39; P. Marconi, «Arnaldo Foschini architetto», Meridiano di Roma, 11 aprile 1943; M. Piacentini, «Il concorso internazionale pel monumento all’Ataturk Kemal Pascià ad Ankara», Architettura, f. 11, novembre 1942, pp. 347-348; A. Fo schini, «Marcello Piacentini architetto», Meridiano di Roma, 30 maggio 1943. 61. Lettera di Foschini a Piacentini del 15 ottobre 1942, in AMP, b. 111.
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Nelle affermazioni ottenute dagli architetti italiani all’estero Pia centini coglie altre prestigiose conferme. Foschini, vincitore per il monumento ad Ataturk ad Ankara, e Muzio, con un progetto segna lato nello stesso concorso, Luigi Vagnetti e La Padula, vincitori ri spettivamente per il Teatro dell’Opera a Belgrado e per la città uni versitaria di Bratislava, sono tutti in qualche modo legati alla facoltà di Roma o impegnati nell’E 42. L’indirizzo classicista dell’architet tura è dunque, secondo Piacentini, riconosciuto “trionfalmente” an che “fuori casa” e rispecchia le ambizioni di dominio “universale” di un nazione totalitaria62. Ma se da un lato Piacentini difende a spada tratta quell’immagine dell’architettura italiana che nella sua scuola, sulla sua rivista, nei concorsi, attraverso le sue opere ha tentato di imporre, dall’altro la to, a iniziare dal giugno del 1942, il preside della facoltà di Roma assume una posizione sempre più critica verso la politica del fasci smo e inizia lo sganciamento dal regime. Già nella primavera del 1942 aveva cominciato a incrinarsi il rap porto di fiducia con Bottai, che lo sostituisce con Terragni al Consi glio superiore delle belle arti63. Nel dicembre dello stesso anno, Pia centini, che pure ha fornito consulenze per la villa di Claretta Petacci alla Camilluccia, giunge a criticare apertamente anche Mussolini. Adesso per l’accademico tutto quello “che è fascista è sempre sba gliato e inopportuno” e il duce è un “rammollito”64. Pure in pubblico Piacentini tende a farsi notare per le sue posizio ni contrarie, in alcuni casi sprezzanti verso il fascismo, iniziando co sì a spianarsi la strada per un imminente dopo Mussolini. L’impunità concessa al fin troppo dichiarato antifascista stupisce lo stesso infor matore della polizia: “Il pezzo grosso che protegge Piacentini deve essere però una ben grande personalità, perché altrimenti non si spiegherebbe la sfrontatezza e la sicumera con cui per ogni dove, i coniugi Piacentini vanno sputando le loro grossolane ingiurie”. An cora una volta prende corpo la voce di legami con la massoneria, non più quella storica di Palazzo Giustiniani, ma una moderna, so pravvissuta al fascismo e radicata nello stesso, quella “massoneria 62. M. Piacentini, «Architettura romana nel mondo», Augustea, n. 23-24, 31 di cembre 1942, pp. 791-796. 63. Piacentini era stato anche progettista dell'arredamento della casa di Bottai. M. Lupano, Marcello Piacentini, cit., p. 196. 64. Informativa del 4 dicembre 1942, in ACS, MI, PS, poi. polit., f. personali, 1926-44, sf. Marcello Piacentini.
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affaristica che si è creata attorno alla sua persona”, quella rete che per “sostenersi difende lui e i suoi interessi”65. Ora Piacentini, che alcuni anni prima aveva esaltato “l’Impero fa scista”, che aveva intravisto nelle nuove colonie la possibilità di rea lizzare uno sviluppo architettonico “unitariamente e totalitariamen te”66, che ancora alla fine del 1942 esaltava le affermazioni dell’in dirizzo architettonico italiano all’estero, riscopre i valori sani di una nazione contadina e artigiana, di un’Italia antimperialista dei comuni e delle tradizioni locali. Abbandonata repentinamente l’idea dell’in dirizzo unitario, nazionale dell’architettura, ritorna ai valori dell’ar chitettura minore e locale, rustica, di cui era già stato fautore prima dell’avvento del fascismo67. A Samonà, ma siamo già oltre l’8 set tembre 1943, appena nominato preside della scuola di architettura di Venezia, scrive sulla comprensione di un ambiente fatto di architet ture minori e indica nell’“essere veneziani del 1900” la strada da se guire nella didattica68.
6. L’epurazione dei professori compromessi con il fascismo: i casi di Calza Bini e Piacentini Lo sbarco in Sicilia nel luglio del 1943 accelera la caduta del re gime, che avviene una decina di giorni dopo. Il 4 giugno 1944 gli americani entrano in Roma. Il giorno successivo, in mezzo al parco Nemorese, Samonà brucerà goliardicamente in una pentola il ritratto di Mussolini69. Il più importante intervento legislativo contro il fascismo viene emanato dal governo del Sud nel luglio del 1944, con un decreto che prevede sanzioni sia penali, contro i delitti, sia amministrative, que st’ultime destinate soprattutto a epurare la pubblica amministrazione e ad allontanare i fascisti70. Le sanzioni amministrative avrebbero do 65. Informativa del 10 gennaio 1943, Ibidem. 66. La Direzione, «Realizzazione costruttiva dell'Impero», Architettura, n. 6, giugno 1936, p. 241. 67. M. Piacentini, «Arte aristocratica e arte paesana», La Tribuna, 3 aprile 1920. 68. Lettera di Piacentini a Samonà del 4 novembre 1943, in F. Infossi, Giuseppe Samonà. Una cultura per conciliare tradizione e innovazione, in P. Di Biagi, P. Gabellini, Urbanisti italiani, cit., p. 169. 69. M. Tafuri, Gli anni dell’«attesa», cit., p. 16. 70. D.l.l. 27 luglio 1944, n. 159.
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vuto essere “finalizzate alla costruzione di uno Stato nuovo o almeno profondamente rinnovato”71. In novembre, il Sindacato nazionale fa scista architetti e la Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti sono sciolti e la custodia dell’albo viene affidata al Consiglio dell’ordine, nominato ora con sistema elettivo72. Sono inoltre previste speciali commissioni incaricate di rivedere le iscrizioni agli albi, di cancellare o di sospendere gli architetti dall’esercizio. Nel 1943 Piacentini si è dimesso dalla carica di preside e nel di cembre, arrestato dai tedeschi, viene rinchiuso per qualche giorno a Regina Coeli. Liberato grazie all’intervento del futuro papa, Giovan ni Battista Montini, si nasconde per alcuni mesi. Nel frattempo a Napoli, la commissione rettorale presieduta da Adolfo Omodeo, in caricata di procedere alla defascistizzazione dell’università, esamina la posizione di Calza Bini. Per avere dato lustro alla facoltà di archi tettura, per avere chiamato “all’insegnamento elementi scelti in base al personale valore anche quando questi potevano riuscire sospetti per atteggiamenti e idee contrari al regime”, la commissione decide di non dover procedere al suo allontanamento73. Non è però di questo avviso la Commissione di controllo alleata che, nel febbraio del 1944, impone il licenziamento di Calza Bini dall’università “perché squadrista e consigliere nazionale” e lancia un richiamo per una maggiore imparzialità di giudizio74. Di li a po co, l’ex segretario del sindacato architetti viene rinchiuso nel campo di concentramento di Padula in Campania e messo a disposizione degli alleati. A Roma, nell’agosto del 1944 compare all’albo della scuola un manifesto in cui si chiede l’allontanamento di Piacentini. Un memo riale anonimo, fatto giungere a Calandra, chiamato a sostituire Pia centini alla presidenza, accusa il docente di urbanistica di essersi “largamente servito” delle amicizie di Bottai, Ciano, Turati e Mar gherita Sarfatti per “procurarsi affari, incarichi e prebende”. Aperta 71. C. Pavone, Alle orìgini della repubblica, Bollati Boringhieri, Torino, p. 140. Dati sull’epurazione negli ambienti ministeriali sono riportati da: R.P. Domenico, Processo ai fascisti, Rizzoli, Milano, 1996, pp. 105-106. 72. D.l.l. del 23 novembre 1944 n. 369, Soppressione delle organizzazioni sin dacali fasciste', D.l.l. del 23 novembre 1944, n. 382, Norme sui Consigli degli ordi ni e collegi e sulle Commissioni interne professionali. 73. H. Woller, I conti con il fascismo, il Mulino, Bologna, 1997, p. 95. 74. Lettera di G.R. Gayre al rettore dell’Università di Napoli del 14 febbraio 1944; lettera di T.V. Smith a Guido De Ruggiero del 28 agosto 1944. ACS, PI, IS, f. professori ordinari, III versamento, 1940-70, b. 90, f. Alberto Calza Bini.
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mente ora gli studenti chiedono il suo licenziamento per “ragioni politiche e morali”. Come a Napoli, anche a Roma la Commissione di risanamento universitaria chiamata a pronunciarsi su Piacentini si esprime a favo re di una conferma dell’insegnamento, anche se deplora “la troppo accentuata attività industriale” che ha affiancato “l’opera di architetto da lui largamente prestata al regime fascista”. Eppure la requisitoria di Augusto Cassuto, docente della facoltà di medicina, contro l’archi tetto è stata durissima: “A gran voce gli architetti d’Italia lo designa no come capo della camorra professionale e profittatore del regime, avendo fatto della professione il più sfacciato affarismo. Accademico d’Italia, ha sempre anteposto il suo interesse personale, quando la sua parola doveva essere al di sopra di questo e decisiva per l’interesse collettivo. Quello che è più grave ai fini dell’epurazione è che questi deve essere ritenuto un’abile professionista ma un pessimo professo re: senza onestà dello spirito e fomite di corruzione”75. Nel febbraio del 1945 Piacentini e Calza Bini vengono sottoposti a un primo giudizio della Commissione per l'epurazione del personale universitario76. Entrambi devono rispondere alle accuse di essersi mo strati “indegni di servire lo Stato” sia con l’aver partecipato “attiva mente alla vita politica del fascismo”, sia con “manifestazioni ripetute di apologia fascista”; d’aver dato prova di “faziosità fascista” e del “malcostume introdotto dal fascismo nelle pubbliche amministrazioni”. A carico di Piacentini, l’alto commissario aggiunto per le sanzioni Ruggero Grieco elenca le numerose cariche ricoperte, contemporanea mente e per lunghi anni, durante il fascismo, comprovanti la sua attiva partecipazione alla vita politica: quella di accademico d’Italia, di mem bro rispettivamente dei consigli superiori dei lavori pubblici e delle belle arti, di componente di entrambe le commissioni edilizia e urbani stica di Roma, di vice presidente dellTnu, di consigliere dell’Istituto nazionale di credito edilizio, di soprintendente per l’architettura all’E 42, di direttore della rivista del sindacato fascista architetti. “Numero sissime” sarebbero poi le manifestazioni di apologia del fascismo. Tra gli scritti, enumera alcuni articoli apparsi su quotidiani e su “Architet tura”: l’accusa più grave quella che coglie nell’esaltazione dell'“arte 75. Relazione di Augusto Cassuto sul personale da epurare ddl’Università di Roma, inviata al ministro della Pubblica istruzione il 31 agosto 1944. ACS, PI, IS, f. professori ordinari, III versamento, 1940-70, b. 375, f. Marcello Piacentini. 76. La commissione è composta da Andrea Lorusso Caputi, consigliere della Corte suprema di cassazione, Vittorio Marchese, ispettore ministeriale, Umberto Calosso delegato dell’alto commissario aggiunto per l’epurazione. 277
imperiale e romana” una contiguità di pensiero con le teorie razziali di Goebbels; tra le opere, i simboli fascisti collocati sui monumento ai ca duti di Bolzano e di Genova e in piazza Vittoria a Brescia77. Nell’occupare queste cariche, protetto dall’amicizia personale di Mussolini - che in pubblico Senato lo proclamò “architetto capo del regime” -, Piacentini avrebbe dato prova di “malcostume” organiz zando “colossali imprese di carattere speculativo”. L’alto commissa rio cita a riguardo gli interventi per la ricostruzione di via Roma a Torino, per la piazza centrale di Brescia, per la piazza Vittoria a Ge nova, per il taglio di via della Conciliazione a Roma. Per alcune città, accanto all’opera compare il nome del personaggio eccellente che ha favorito Piacentini: a Brescia si è avvalso dell’amicizia di Turati, al lora segretario generale del partito fascista, mentre nei lavori per il Palazzo di Giustizia di Milano e per Genova ha avuto l’appoggio del la marchesa Maria De Seta, amica del ministro dei Lavori pubblici e noto ex massone Michele Bianchi. A Livorno, invece, ha ottenuto l’incarico per il piano regolatore grazie all’interessamento di Ciano78. Altri episodi aggravano le imputazioni di malcostume. Gli viene contestata la condotta poco chiara tenuta in occasione della soprele vazione dell’albergo Bernini in piazza Barberini a Roma. Quale membro del Consiglio superiore delle belle arti avrebbe dato parere favorevole al progetto presentato, sollecitato dal deputato e futuro ministro Oreste Bonomi, che aveva interessi personali, attraverso l’impresa Bonomi-Federici79. 77. Gli articoli incriminati sono: «Realizzazione costruttiva delPImpero», «Ono re dell’architettura italiana» e «Il Palazzo dell’ambasciata italiana a Berlino. Arch Friedrich Hetzelt con la sovrintendenza dellTspettore generale delle costruzioni nel la Capitale del Reich, arch. Albert Speer», comparsi rispettivamente su Architettura del giugno 1936, p. 241; luglio 1941, pp. 263-273; settembre-ottobre 1941, p. 341; «Per l’autarchia politica dell’architettura», Il giornale d'Italia, 17 luglio 1938. 78. Per quanto riguarda il caso di Livorno, una conferma proviene dallo stesso po destà Aleardo Campana che in un documento coevo scrive: “per l’interessamento di S.E. Costanzo Ciano, potemmo assicurarci la preziosa collaborazione di S.E. Piacenti ni”. L. Bortolotti, Livorno dal 1748 al 1958. Profilo storico urbanistico, Olschki, Fi renze, 1970, p. 328. Sui rapporti intercorsi tra Turati e Piacentini nel concordare i la vori e gli incarichi per il piano di Brescia - con particolare rilievo alla lettera del po destà Pietro Calzoni a Piacentini del 25 febbraio 1929 - cfr. M. Maifrini, Tecnici e amministrazione: il piano di Brescia, in La costruzione dell’utopia, cit., p. 316. 79. Oreste Bonomi, dirigente delle organizzazioni sindacali del commercio e del turismo, è commissario aggiunto all’E 42 e soprintendente ai Servizi interni, propa ganda e ospitalità. Viene nominato ministro degli Scambi e delle valute dal feb braio al luglio 1943. Cfr. R. De Felice, Mussolini l’alleato 1940-1945. I. L’Italia in guerra 1940-1943, Einaudi, Torino, 1990, p. 1049. L'impresa Silvio Federici si ag giudica l’appalto per la costruzione del Palazzo delle forze armate all’E 42.
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È accusato inoltre di avere promosso la fondazione di una società per azioni tra ingegneri e architetti di tutt’Italia. La società, di cui sarebbe stato presidente, avrebbe dovuto avere un grande studio tec nico per l’esecuzione pratica dei progetti, mentre soci e procuratori in tutte le città avrebbero dovuto procurare incarichi e imbastire spe culazioni. Nella sua veste di componente di numerose commissioni pubbliche, si sarebbe trovato anche a dover esaminare, giudicare e approvare i progetti elaborati dallo studio tecnico della società, po nendosi al centro di un inaccettabile conflitto di interessi. Piacentini si difende presentando diverse memorie difensive, cor redate da numerosi documenti. Ribatte l’accusa di aver partecipato alla vita sindacale, sostenendo di non sapere “neppure dove fosse la sede del sindacato architetti di Roma”. Ricusa l’addebito di attiva partecipazione alla vita politica del regime, asserendo, anzi, di avere una “naturale riluttanza” per le manifestazioni di carattere pubblico e affermando di aver avuto in tutte le cariche un ruolo “esclusivamente tecnico”. Respinge l’addebito di malcostume e rigetta l’accusa di aver organizzato imprese a carattere speculativo. Sostiene di non ave re ricevuto incarichi “per interventi o pressioni di qualsiasi genere”. Nega di avere “avuto amicizia personale con Mussolini”, ma di essere solo andato “alcune volte a Palazzo Venezia insieme ad altri per ragioni di competenza tecnica”. Nega di aver conosciuto Turati se non nella circostanza dell’incarico bresciano, di “aver mai parlato o trattato con Ciano, né padre, né figlio”, di aver mai avuto rapporti con Bianchi, “nemmeno per mezzo di signore”. Smentisce di aver caldeggiato l’approvazione della soprelevazione dell’albergo Berni ni, ma di avere, anzi, chiesto la demolizione della parte abusiva. Af ferma di non essere stato a conoscenza degli interessi di Bonomi. Ammette l’esistenza di un progetto per la costituzione di una società per azioni tra architetti e ingegneri, ma di avere rifiutato la presiden za quando gli fu offerta80. La documentazione Tornita alla commissione per l’epurazione da enti e uffici ministeriali - Istituto di credito edilizio, ministero dei Lavori pubblici, ex Accademia d’Italia - è così scarsa da sembrare reticente. L’apparato burocratico della pubblica amministrazione è rimasto quasi ovunque immutato ed è perciò restio a collaborare con 80. Memoria riguardante l’arch. Marcello Piacentini, dattiloscritto; Memoria del prof. Marcello Piacentini, dattiloscritto, entrambi in AMP, 112.2; In difesa del prof. Marcello Piacentini, Roma, 1945, pp. 12-20.
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la giustizia nei processi. Una partecipazione maggiore proviene in vece dalla direzione delle belle arti. Questo ufficio conferma che in sede di consiglio superiore c’era stato un interessamento diretto e ri solutivo di Piacentini nel definire l’altezza dell’albergo Bernini in piazza Barberini a Roma, in deroga alle norme del regolamento edi lizio. Inoltre denuncia un’altra circostanza poco chiara, un costruen do palazzo in piazza Diaz a Milano, in cui l’architetto si era attivato perché l’altezza venisse aumentata fino a 70 metri, contro il parere del soprintendente Chierici81. Meno complessa è la posizione di Calza Bini. Il suo attivo ruolo politico durante il fascismo è fuori discussione. Pesa poi la decisione della Commissione di controllo alleata: il suo internamento significa che per gli alleati non esistevano dubbi sulla sua colpevolezza e che erano favorevoli all’epurazione. A Calza Bini, l’alto commissario contesta l’attività politica di squadrista antemarcia, di deputato per due legislature, di consigliere nazionale della Camera dei fasci e del le corporazioni, di segretario del Sindacato nazionale fascista archi tetti. Di gran lunga più intensa appare l’attività svolta come deputato rispetto a quella di insegnante. Dalla relazione della presidenza della Camera emerge un grande attivismo, soprattutto nel campo delle opere pubbliche, mentre dagli atti forniti dal rettore dell’Università di Napoli risulta che raramente si era recato nella città partenopea per assolvere i suoi doveri di docente. Nel tentativo di scagionarlo, il rettore dichiara che Calza Bini non aveva svolto nella facoltà attività politica e che, probabilmente riferendosi al caso di Pane, aveva an che accordato protezione e facilitazioni a insegnanti antifascisti82. A differenza di Piacentini, Calza Bini prostrato dalla prigionia ri nuncia a presentare una memoria difensiva. La Commissione per l’epurazione del personale universitario decide di allontanare Calza Bini dall’insegnamento, poiché si è “mostrato indegno di servire lo Stato”. Pur riconoscendo, invece, a Piacentini la colpevolezza dell’addebito di apologia del fascismo, non lo considera di gravità tale da vietargli di servire ulteriormente la pubblica amministrazione e pertanto propone la “sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per la durata di 6 mesi”. 81. Relazione della Commissione per l’epurazione del personale universitario del 24 febbraio 1945, in ACS, PI, IS, f. professori ordinari, III versamento, 194070, b. 375, f. Marcello Piacentini. 82. Relazione della Commissione per l’epurazione del personale universitario del 25 febbraio 1945, in ACS, PI, IS, f. professori ordinari, III versamento, 194070, b. 90, f. Alberto Calza Bini.
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7. Concorsi a cattedra da annullare: Piacentini soccorso da Andreotti Anche le nomine a professore ordinario per chiara fama ottenute senza concorso durante il fascismo sono oggetto di riesame. Le desi gnazioni di Piacentini, Papini e Calza Bini sono sottoposte al vaglio del consiglio superiore. Piacentini difende la propria nomina, ritenendola “la più natura le”, “dovuta”, sostenuta “immediatamente” dal consiglio dei profes sori della scuola. Per merito della sua attività didattica e sotto la sua direzione la facoltà di Roma - una “famiglia sana e compatta” - ha ottenuto risultati “stupefacenti”83. La posizione del consiglio è improntata a grande severità e questo inusuale rigore preoccupa un infastidito Piacentini, che vede in peri colo il titolo accademico. “Questi signori del Consiglio superiore pare asseriscano che la chiara fama non si potrebbe dare che sì e no a Dante e Guicciardini: quindi tendono a cancellarci tutti dall’Uni versità. Io ammetto che abusi ci siano stati, ma perché arrivare a questi abusi generalizzati. Non si tratta di nominare l’imperatore della Cina, si tratta di professore di Università”84. Sulla nomina di Piacentini, il consiglio superiore ha chiamato a riferire Calandra, Nervi e Gustavo Colonnetti. Il docente romano cerca di influenzare il giudizio dei relatori. Sicuro dell’appoggio del collega di facoltà - “nessuno meglio di Calandra potrebbe parlarne” - si appella ai sentimenti di Nervi: “lei è un uomo di ingegno e di cuore: comprende quale umiliazione sarebbe per me (oltre le tante sofferte) uscire dalla scuola, alla quale ho tanto dato, e il meglio di me, fin dalla sua nascita”85. Le manovre di Piacentini raggiungono il risultato e le relazioni di Nervi e Calandra concordano nel “riconoscimento incondizionato” dell’alta fama di Piacentini. Particolarmente favorevole è il giudizio di Calandra, insegnante nella scuola a fianco di Piacentini, che già nel 1928 aveva indicato nel Palazzo di Giustizia di Messina dell’ar chitetto romano “una delle poche opere architettoniche di oggi in tutto degne dell’arte”. Per il docente siciliano, la figura di Piacentini “resta fra le maggiori, se non la massima, dell’ultimo trentennio”. 83. Memoria in difesa del prof. Marcello Piacentini, in AMP, b. 112.2. 84. Lettera di Piacentini a Remo Pannain del 2 ottobre 1945, in AMP, b. 112.4. 85. Lettera di Piacentini a Nervi dell’ 1 ottobre 1945, in AMP, b. 112.4.
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La sua presenza in quasi tutte le commissioni giudicatrici di concor si, specialmente urbanistici, è motivata con “il riconoscimento della sua posizione sempre preminente in quel campo”. Calandra tace sui gravi contrasti tra Giovannoni e Piacentini. Noi sappiamo invece che la proposta di nomina è stata osteggiata da Giovannoni e che so lo dopo molte resistenze viene accolta. Per Calandra, al contrario, quel voto dato da Giovannoni, “oppositore al Piacentini come indi rizzo urbanistico”, diventa una conferma del valore di docente. Di altro parere è il terzo relatore, Colonnetti, per il quale invece non si “sarebbe dovuto procedere alla nomina con procedura eccezionale”. Anche Ranuccio Bianchi Bandinelli, direttore delle belle arti, sentito a riguardo, “nega la preparazione scientifica” del docente romano. In soccorso di Piacentini, l’amico conosciuto in un aula dell’Isti tuto di belle arti nel lontano 190586, interviene Foschini, divenuto nel frattempo preside della facoltà di Roma. Foschini paventa il dan no che all’insegnamento deriverebbe dall’allontanamento “di un do cente di così alto valore”. Nel giustificare la nomina del 1930, ricor da che già allora Piacentini “emergeva incontrastato fra i cultori” e adduce le “insormontabili” difficoltà che avrebbe incontrato l’allora ministro nel comporre una commissione di professori ordinari com petenti in urbanistica. Eppure le difese di Nervi, Calandra e Foschini non bastano per convincere il consiglio superiore, riunitosi il 4 ottobre 1945. I titoli e i meriti scientifici di Piacentini fanno ritenere che egli all’epoca avrebbe potuto solo “degnamente” figurare nella terna di un regolare concorso. Non gli vengono, cioè, riconosciute quelle “eccezionali qualità di scienziato, di ricercatore e di docente” che valsero allora a qualificarlo “maestro insigne” nel campo dell’urbanistica. Il consi glio superiore esprime perciò il parere “che sia da annullare la nomi na del prof. Piacentini a ordinario di edilizia cittadina”, e in via straordinaria gli offre la possibilità di vedere legittimata quella stes sa nomina attraverso un regolare concorso87. Contro il parere favorevole all’annullamento della nomina, Pia centini chiama in soccorso i nuovi politici. Come già accadde duran te il fascismo, dimostra un eccellente fiuto nella scelta del protettore di turno. Del suo allontanamento dall’università ne fa una questione 86. A. Foschini, «L’architetto Marcello Piacentini», Meridiano di Roma, 30 maggio 1943. 87. Adunanza del consiglio superiore del 4 ottobre 1945. ACS, PI, IS, f. profes sori ordinari, III versamento, 1940-70, b. 375, f. Marcello Piacentini.
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esclusivamente politica e del caso ha investito anche il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. Ma il suo referente più vicino ri mane Giulio Andreotti, che già gli è corso in aiuto nel processo di epurazione. “Il suo appoggio - scrive Piacentini al giovane, ma già influente politico - anche questa volta avrà assai peso: sono certo che me lo darà. Sarebbe possibile che lei ne parlasse al Ministro, an che a nome del Presidente, il quale allora era informato della cosa e si dichiarò favorevolissimo”88. Secondo Piacentini, fautore convinto dell’annullamento della no mina è il presidente del consiglio superiore, l’azionista Guido De Ruggiero89. Se in un primo momento il docente romano aveva solle citato presso Andreotti un rapido riesame del suo caso, ora invece ha mutato tattica: attende fiducioso lo scioglimento dell’attuale con siglio superiore e la nomina, per sistema elettivo, del nuovo. Per questo motivo vuole evitare di essere riesaminato nell’ultima seduta dal consesso presieduto da De Ruggiero. Inoltre è preoccupato per le assenze di Calandra, ammalato, e di Nervi. Quest’ultimo diverrà, di li a pochi mesi, collega dello stesso Piacentini nella facoltà di ar chitettura di Roma, assumendo l’incarico di tecnologia dei materiali e assieme più tardi progetteranno il Palazzetto dello sport all’Eur. Chi interviene per far slittare la discussione sulla nomina di Pia centini a ordinario è ancora una volta Andreotti, i cui favori alimen tano uno stretto legame di riconoscenza: “Caro Andreotti, succede sempre nella vita che quando uno fa un favore si lega perpetuamente alla persona beneficiata e gli è difficile staccarsene”90. Con una motivazione simile a quella data su Piacentini, il consi glio superiore si esprime anche nei confronti di Roberto Papini, che nel novembre del 1941 aveva ottenuto da Bottai per chiara fama la cattedra di storia dell’arte e storia degli stili di architettura nella fa coltà di architettura di Firenze, su proposta di Brizzi, Fagnoni e Michelucci91. Dopo avere sentito il parere dei “tecnici” Lionello Ventu ri, Matteo Marangoni e Roberto Longhi, il consiglio gli riconosce la 88. Lettera di Piacentini a Giulio Andreotti del 25 gennaio 1946, in AMP, b. 112.4. 89. Lettera di Piacentini a Francesco Severi del 6 febbraio 1946. Ibidem. 90. Lettera di Piacentini a Giulio Andreotti del 9 febbraio 1946. Ibidem. 91. Il consiglio superiore si esprime nei confronti di Papini il 4 ottobre 1945. Lionello Venturi e Marangoni rinunciano a dare un parere. Il giudizio di Longhi non si discosta da quello poi formulato dal consiglio. ACS, PI, IS, f. professori or dinari, III versamento, 1940-70, b. 355, f. Roberto Papini.
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possibilità di figurare nella terna di un regolare concorso, ma non le eccezionali qualità previste dalla chiara fama. Anche nei confronti di Calza Bini, il parere del consiglio superiore è sfavorevole. Qui il sostegno politico ricevuto durante il fascismo è più che evidente. De Ruggiero non ritiene che la produzione scienti fica dell’ex segretario nazionale del sindacato sia stata tale da giusti ficare un provvedimento eccezionale. Inoltre osserva che difficilmen te Calza Bini - “qualora un regolare concorso fosse stato bandito e vi avesse partecipato - poteva conseguire la collocazione nella relativa terna”: per questo motivo il consiglio superiore esprime il parere che sia da “annullare la nomina del prof. Alberto Calza Bini ad ordinario di architettura nella Scuola superiore di architettura di Napoli”92. Con modalità diverse, nessuno dei tre pareri del consiglio supe riore diviene sentenza definitiva. L’abolizione dell’Alto commissa riato per le sanzioni nel marzo del 1946 e l’evoluzione politica in at to segnano l’effettiva conclusione del processo di defascistizzazione e l’inizio della fase di normalizzazione. Il pericolo già paventato da Croce nel 1943, di un fallimento dell’epurazione se non si fosse in tervenuti in tempi brevi, si è avverato93.
92. Verbale del Consiglio superiore della pubblica istruzione del 19 febbraio 1946. ACS, PI, IS, f. professori ordinari. Ili versamento, 1940-70, b. 90, f. Alberto Calza Bini. 93. Scrive Croce: “L’opera di epurazione è necessaria, ma deve essere compiuta rapidamente per chiudere al più presto questa dolorosa pagina della vita pubblica italiana”. La frase è riportata in G. Ricci, Aspettando la Repubblica, Donzelli, Ro ma, 1996, p. 32.
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Conclusioni
Tra il 1944 e il 1945, a Firenze Michelucci sostituisce Brizzi, a Mi lano Mancini subentra a Portaluppi, a Venezia Samonà succede a Cirilli, mentre a Torino viene riconfermato Pugno. A Napoli invece, Calza Bini riprenderà l’insegnamento solo nel 1950, dopo una senten za del Consiglio di Stato che accoglie l’istanza di riammissione in ser vizio1. Il preside Canino, nel comunicare al suo ex professore il parere favorevole del consiglio della facoltà di architettura di Napoli al suo reinserimento, assicura che nel frattempo ha seguito “la via che la tua anima generosa e la tua mente acutissima ci aveva tracciato, e tu stes so hai potuto constatare che buon seme non è andato perduto”2. Due anni dopo, nel 1952, Calza Bini riassume la presidenza della facoltà3. Con l’eccezione di Giovannoni, scomparso nel 1947, anche la fa coltà di architettura di Roma ricostituisce il suo gruppo storico. Nel giugno del 1945, Del Debbio viene reintegrato nelle sue funzioni di docente e in dicembre Piacentini vede ridotta la sua “pena” iniziale di sei mesi di sospensione alla sola censura. Per quanto riguarda l’annullamento del titolo di professore ordinario, nell’aprile del 1947, il ministro della Pubblica istruzione Guido Gonnella, disatten dendo il parere del consiglio superiore, decide di non intraprendere alcun provvedimento4. 1. Verbale del Consiglio di Stato del 9 luglio 1949, in ACS, PI, IS, f. professori ordinari, III versamento, 1940-70, b. 90, f. Alberto Calza Bini. 2. Lettera di Canino, preside della facoltà, a Calza Bini del 19 giugno 1949. Ibi dem. Canino è stato assistente di Calza Bini al V anno di composizione architetto nica dal 1931 al 1935. 3. Calza Bini è collocato a riposo dal 1 novembre del 1957. 4. Lettera di Gonnella al rettore dell’Università di Roma del 19 aprile 1947, in ACS, PI, IS, f. professori ordinari, III versamento, 1940-70, b. 375, f. Marcello Piacentini. 2/9
A De Renzi, giunto da Napoli nel 1944 chiamato da Calandra, il nuovo direttore Foschini affida il ruolo di aggiornare la didattica. Al le sue lezioni, per la prima volta nella storia della facoltà, gli studen ti sono educati sulle opere di Gropius, Mies van der Rohe e Wright5. Le proteste degli studenti, che contestano Del Debbio al suo rientro, e lamentano i suoi “vecchi e superati metodi accademici” preferen dogli De Renzi, vengono liquidate da Foschini come manifestazioni politiche. Inoltre, piace precisare al direttore, se un cambiamento di indirizzo c’è stato con De Renzi, questo non corrisponde a una sua iniziativa ma a “direttive studiate ed impartite dalla facoltà”6. Tra queste direttive c’è anche l’incarico affidato nel 1948 a Guido Fiori ni: all’ingegnere, noto per i suoi studi sulle tensostrutture e per esse re stato il più diretto interlocutore di Le Corbusier in Italia, Foschini non affida una materia tecnica, ma l’insegnamento di scenografia7. Chi troverà invece sbarrata la strada alla carriera universitaria è Ridolfi, paradossalmente per Zevi 1’“unico” docente degno8. Gli studenti delle facoltà di architettura sono in continua crescita. Nel 1946-47 gli iscritti alla facoltà di Napoli sono 225, a quella di Torino 271, a Firenze sono 338, a Milano 362, a Venezia 383, a Ro ma 5679. Rispetto all’anno accademico 1930-31 è diminuito il diva rio tra il numero degli iscritti della capitale e delle altre scuole. Ora la facoltà di Milano, con 143 allievi al primo anno, tallona da vicino la facoltà romana che conta 196 matricole. Complessivamente, nel 1946-47, nelle sei facoltà di architettura gli iscritti sono 2508 e i laureati 568. Nell’arco di 15 anni il numero de gli studenti è aumentato di cinque volte, quello dei dottori in architet tura dieci volte. Numeri in costante ascesa, ma ancora assorbiti dalla domanda di un Paese avviato verso la ricostruzione. Certamente lon tani dall’assurdità delle cifre attuali. Attualmente in Italia si contano 15 scuole con 86.546 iscritti capaci di sfornare 5149 nuovi architetti in un anno: improponibile il confronto con i 1215 laureati tra il 1923 e il 194210. Alle nuove facoltà istituite a Palermo nel 1957, a Genova 5. A. Bruschi, Mario De Renzi. Professione e poesia, in M.L. Neri, L’architettu ra come mestiere, cit., pp. 7, 68. 6. Lettera di Foschini a Gonnella del 13 febbraio 1947, in ACS, PI, IS, f. profes sori ordinari, III versamento, 1940-70, b. 157, f. Enrico Del Debbio. 7. M.C. Pepponi, «Guido Fiorini architetto. 1891-1965», Parametro, n. 187, novembre-dicembre 1991, pp. 52-77. 8. Da una testimonianza di Zevi in F. Bellini, Mario Ridolfi, cit., p. 158. 9. ACS, PI, IS, div. I, 1938-55, b. 23. 10. I dati si riferiscono all’anno accademico 1994-95. ISTAT, Compendio stati stico 1996, Roma 1996, p. 153. Cfr. anche G. Ciucci, Guida alla Facoltà di Archi-
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nel 1968, a Pescara e Reggio Calabria nel 1971 si sono aggiunte quelle di Bari, Camerino, Ferrara, Napoli II, Roma III, Milano II: la loro istituzione non è certamente dovuta alla necessità di soddisfare la richiesta sul mercato di nuovi architetti. Già Bonelli, nel 1946, aveva denunciato questo grave scandalo: è un “vero delitto” contro la società e contro i giovani il proliferare di laureati, licenziati da un nu mero eccessivo di scuole. E l'autentica ragione del sorgere di nuove scuole era individuata senza esitazione nell’esigenza di “fornire a presunti insegnanti posti di ruolo e incarichi universitari”11. Se fino al 1950 Alberto Calza Bini è dispensato da incarichi nella pubblica amministrazione, Foschini e Piacentini continuano a svol gere un ruolo egemone fin dal primo dopoguerra. Certamente per entrambi si può parlare di continuità dal prefascismo al postfasci smo, attraverso il fascismo. Nel corso di questo secolo, Piacentini si è distinto nell’interpretare, meglio di tutti i colleghi in Italia, la figu ra di moderno “architetto del principe”. Ma, a differenza del “princi pe”, egli è sopravvissuto al mutare delle ideologie e può vantarsi di avere prestato servizio ai massimi livelli in tre distinti regimi politi ci, succedutisi nel segno della contrapposizione. Le elezioni politi che dell’aprile 1948, nel sanzionare a “livello istituzionale e politico la ricomposizione del blocco di potere dominante”12, rassicurano sull’avvenuto trapasso. Gli esiti del voto si ripercuotono nella ge stione dell’architettura e contribuiscono a restaurare antichi rapporti. Nel 1951, Piacentini assume di nuovo le redini della facoltà di ar chitettura di Roma. Nel frattempo ha ripreso l’attività professionale dividendo lo studio con Giorgio Calza Bini. Con Spaccarelli riapre il cantiere di via della Conciliazione rimasto interrotto durante la guer ra. Con Alberto Calza Bini disegna il piano regolatore di Bari, ri creando anche a livello progettuale quel sodalizio, così operoso ne gli anni trenta, nell’amministrare il potere. Al Consiglio superiore della pubblica istruzione, dopo la breve parentesi di Samonà chiamato a sostituire Calandra, Foschini torna tettarci, il Mulino, Bologna, 1983; T. De Mauro, Guida alla scelta della facoltà uni versitaria, il Mulino, Bologna, 1996. Sullo “stravolgimento quantitativo” e sul tra vaglio dell’identità culturale e professionale dell’architetto nel secondo dopoguerra cfr. G. Zucconi, La professione dell’architetto. Tra specialismo e generalismo, in Storia dell’architettura italiana. Il secondo Novecento, a cura di F. Dal Co, Electa, Milano, 1997, pp. 294-315; D. Calabi, L’architetto, cit., pp. 362-375. 11. R. Bonelli, «Per un’inchiesta sulle facoltà di architettura», La Nuova Città, n. 8, luglio 1946, p. 35. 12. C. Pavone, Alle orìgini della repubblica, cit., pp. 183-184. 227
ad occupare il posto che già aveva durante il fascismo, nominato co me allora direttamente dal ministro13. Dal 1949, al Consiglio supe riore delle belle arti ritorna a sedere nuovamente anche Piacentini: in più, rispetto' a Foschini, ha la soddisfazione di essere ora eletto democraticamente dai suoi colleghi, molti dei quali erano stati pro mossi ordinari dallo stesso docente. Una continuità di metodi e di persone - di contro a disposizioni di legge cambiate - si riscontra anche nei concorsi a cattedra. Nel 1947 vengono indetti quattro concorsi in materie attinenti l’architet tura, i primi dopo gli otto banditi durante il fascismo. Le norme sul la composizione della commissione giudicatrice in vigore durante il fascismo sono state abolite e i cinque componenti della commissio ne non sono più nominati direttamente dal ministro, ma eletti dai colleghi ordinari. Con il nuovo sistema elettivo, Piacentini è presidente della com missione giudicatrice per la cattedra di urbanistica a Venezia, mentre Foschini siede in commissione per la cattedra di caratteri distributivi a Roma. Come nel 1936, sono messe in palio un gruppo di cattedre contemporaneamente, e seppure limitata ai soli due concorsi di Ro ma e di Venezia, si ripropongono le stesse dinamiche di allora14. Il concorso di Venezia si chiude lo stesso giorno in cui si apre quello di Roma. Piacentini nella prima commissione, Foschini nella secon da, hanno la possibilità di continuare a tessere quel disegno di occu pazione delle cattedre, interrottosi con la guerra e la caduta del fa scismo. E significativo che su sei ternati scelti nei due concorsi, ben quattro insegnino nella facoltà di Roma. A Venezia la tema vincitri ce sarà composta nell’ordine da Piccinato, Marconi e Quaroni, a Ro ma da Carbonara, Muratori e Cassi Ramelli. Un dato singolare acco muna i vincitori di Venezia: tutti e tre sono stati assistenti del presi dente della commissione. Preferendoli al candidato Chiodi, Piacenti ni preclude per sempre all’ingegnere milanese, suo antagonista stori co, la cattedra in urbanistica. 13. Samonà viene chiamato a far parte del consiglio superiore con decreto mini steriale del 30 giugno 1946, in sostituzione di Calandra, deceduto nello stesso anno. 14. Oltre a Venezia e Roma, vengono banditi un concorso in architettura tecnica alla Facoltà di ingegneria di Pisa e uno in tecnologia dei materiali alla Facoltà di ar chitettura di Firenze. Sul concorso di urbanistica di Venezia: P. Nicoloso, Le vicen de del concorso per la cattedra di urbanistica all’Istituto universitario di architet tura di Venezia. 1947-1949, in Tra guerra e pace. Società, cultura e architettura nel secondo dopoguerra, a cura di P. Bonifazio, S. Pace, M. Rosso, P. Scrivano, Angeli, Milano, 1998, pp. 59-66. 222
Se il processo di epurazione della pubblica amministrazione, e in particolare nel nostro caso di quella scolastica, si rivela inefficace, celebrando uno dei maggiori successi della “continuità” dello Stato, ancor più evanescente è la revisione degli albi professionali. Le nor me di revisione degli albi prevedono la cancellazione degli iscritti colpevoli di “faziosità o malcostume fascista”. Ma il meccanismo di revisione è istruito in modo che - spettando la valutazione a chi è incaricato della tenuta degli albi - si ritrovi a giudicare chi in realtà avrebbe dovuto essere sottoposto a giudizio15. In questo contesto generale non si distingue la categoria degli archi tetti. La particolare storia del sindacato fascista, il suo essere cresciuto di pari passo con la figura dell’architetto che si andava formando, la fitta rete di interessi tra attività professionale e sindacale, lo scambio di moli e il sistema diffuso di favori, rende estremamente diffìcile una vera revisione, che infatti non ci sarà. Va comunque ricordata la pro posta di riesame degli albi del comunista Bottoni, allora rappresentan te degli architetti e degli ingegneri nella Consulta nazionale, l’organo che coopera con il governo in assenza del parlamento. L’architetto mi lanese prevede di estendere l’epurazione non solo a chi è stato politi camente indegno, ma anche a chi non ha dimostrato coscienza sociale: oltre a testimoniare il clima resistenziale presente in alcune frange di architetti, anche nel massimalismo e nella genericità di richieste di quel tipo va colta una ragione del fallimento dell’epurazione16. Al posto del disciolto Sindacato fascista architetti subentra l’Ordi ne degli architetti, ma ancora nella primavera del 1946 alcune città non hanno formato gli ordini. A Roma, nel periodo di transizione che ha preceduto l’istituzione dell’ordine, attivo già nell’autunno del 1945, è sorta l’Associazione architetti. Presieduta da Foschini, essa ha rappresentato di fatto l’intera categoria, “pur senza averne né veste né diritto”. A Milano vengono creati l’Aria (Associazione regionale lom barda architetti) e il Collegio ingegneri e architetti. In altre città, so prattutto nell’Italia meridionale, si è ricostituita l’Aniai (Associazione nazionale ingegneri e architetti italiani). Accanto a queste associazio ni vengono creati alcuni gruppi di tendenza: il Msa (Movimento di studi per l’architettura) a Milano, l’Apao (Associazione per l’architet tura organica) a Roma, il gruppo “Giuseppe Pagano” a Torino17. 15. D.l.l. 9 novembre 1945, n. 702. 16 «All’Ordine degli Architetti di Roma», Metron, n. 2, settembre 1945, p. 73. 17. «Ordini e Associazioni degli Architetti», Metron, n. 8, marzo 1946, pp. 2-4; A. Petrilli, «Problemi e aspetti dell’organizzazione della classe», Metron, n. 9, 1946, pp. 62-67; F. Brunetti, L’architettura in Italia negli anni della ricostruzione, Alinea, Firenze, 1986, pp. 48-65.
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Il compito di coordinamento nazionale degli ordini è raccolto dal Consiglio nazionale architetti, creato nel 1949. Dopo il periodo di transizione di Ugo Gennari, la presidenza viene assunta nel 1952 da Foschini, mentre segretario è Marconi, già redattore capo della rivi sta del sindacato, direttore del supplemento sindacale della stessa, segretario interprovinciale del sindacato fascista del Lazio dal 1940 al 194318. Al consiglio dell’ordine degli architetti della provincia di Roma è eletto Ghino Venturi: tra i fondatori con Calza Bini del sin dacato nel 1923, era stato il primo segretario provinciale di Roma e successivamente segretario del sindacato interprovinciale fascista del Lazio dal 1937 al 1939. Chi nel dopoguerra, tra il gruppo storico dei fondatori della scuo la di architettura, concentra nelle proprie mani maggiori cariche è indubbiamente Foschini, meno compromesso col vecchio regime ri spetto a Piacentini e Calza Bini. Il numero di uffici che l’ex profes sore di disegno riesce ad accumulare non è inferiore a quello gestito dai due colleghi durante il fascismo. Oltre alla presidenza della fa coltà e del Consiglio nazionale architetti, è membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione. Dal 1952 al 1962 fa parte anche del Consiglio superiore dei lavori pubblici nelle sezioni dell’edilizia, della viabilità e dell’urbanistica19. Dal 1950 al 1960, Foschini è inoltre presidente della Gestione Ina casa e, dal 1961 al 1963, del Comitato di attuazione della stessa. At traverso l’Ina casa si attua il piano del ministro del lavoro Amintore Fanfani per il rilancio dell’occupazione e dell’economia. Ancora una volta, come era già accaduto durante il fascismo, il massiccio inter vento statale per la ristrutturazione economica del Paese passa attra verso il settore dell’edilizia e viene nuovamente a favorire la profes sione dell’architetto. E inoltre, a rimarcare la continuità, non va di menticato che già nel 1939 la Corporazione edile aveva proposto di creare un ente, finanziato da vari istituti tra cui l’Ina, per realizzare case per le classi lavoratrici20. La collaborazione tra Stato e architet ti, spezzatasi con la caduta del fascismo, dopo essere stata spogliata di tutto l’apparato politico ideologico, è ora ricomposta. Quel trait d’union tra potere politico e professione, che fu del sin dacato di Calza Bini e di Del Debbio, è ora assunto da Foschini. La 18. Foschini è presidente del Consiglio nazionale architetti nel biennio 1954-1955. 19. Nel 1952, quando la sezione urbanistica e viabilità sono ancora riunite, Fo schini è membro anche della Assemblea generale del consiglio superiore. 20. L. Bortolotti, Storia della politica edilizia in Italia, cit., pp. 167-168.
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dimensione complessiva dell’operazione Ina casa - è prevista la co struzione di 180.000 alloggi nel primo settennio, nel 1950 sono aperti 2505 cantieri21 -, la capillarità degli interventi, la gestione ac centrata, l’accumulo di cariche, permettono a Foschini di operare su un orizzonte ben più vasto. Dalla sua scrivania all’Ina casa, il presi de della facoltà di architettura di Roma, dispensando centinaia di in carichi ai colleghi di tutta Italia, può riallacciare i fili dell’organizza zione professionale, rinserrare i ranghi della categoria, procrastinare le istanze di riforma, restaurare quell’edificio didattico e professio nale che pure lui aveva contribuito a costruire. La sua capacità di far presa nel mondo della politica, della professione e dell’università è ragguardevole. Ridolfi ne ricorda, con riconoscenza, il darsi da fare presso Fanfani per pilotare lavori che il ministro è restio ad assegna re a un architetto iscritto al partito comunista. Nella pungente aned dotica di Giovanni Klaus Koenig, l’autorevolezza e l’influenza del preside della facoltà di Roma è sintetizzata con il batter di tacchi dell’ex allievo Libera al solo nome del “Gran Maestro” Foschini22. L’intreccio tra vecchio e nuovo che caratterizza il passaggio dal fascismo alla repubblica ha messo in evidenza una continuità di uo mini e di mentalità. Non vanno tuttavia disconosciuti gli elementi di rottura. Nel 1944 Calza Bini, Giovannoni e Piacentini, il primo in qualità di presidente, gli altri di consiglieri concludono la loro ge stione più che decennale dellTnu, sostituiti da un consiglio direttivo in cui compare tra gli altri anche Piccinato; nel 1951 avviene la svolta più radicale con la presidenza dell’istituto offerta ad Adriano Olivetti e la vicepresidenza a Quaroni23. Nell’estate del 1945, Carlo Ludovico Ragghianti, allora sottosegretario alle belle arti, crea l’Uf ficio urbanistico, affidato a Zevi, Tedeschi, Calandra, Franco Minissi, con l’obiettivo di approntare una nuova legge urbanistica: l’ini ziativa, osteggiata tra gli altri da Foschini, si esaurisce nel novembre dello stesso anno con la caduta del governo Parri24. 21. S. Pace, «Una solidarietà agevolata: il Piano INA-Casa, 1948-1949», Rasse gna, n. 54, giugno 1993, pp. 20-27. 22. Arnaldo Foschini. Didattica e gestione dell'architettura nella prima metà del Novecento, a cura di N. Pirazzoli, Faenza, 1979, pp. 104, 144; G.K. Koenig, Ar chitettura del Novecento, Marsilio, Venezia, 1995, p. 260; L. Benevolo, Architettu ra nell’Italia contemporanea, cit., pp. 155-157. 23. C. Olmo, Urbanistica e società civile, Bollati Boringhieri, Torino, 1992, pp. 14-24; L. Falco, La rivista “Urbanistica ’’ dalla fondazione al 1949, cit., pp. 20-21. 24. Sono grato a Michela Morgante che mi ha messo a disposizione i suoi studi sull’Ufficio urbanistico di Ragghianti. 225
A Milano, nel settembre del 1944, il primo nucleo del Cln archi tetti della Lombardia, composto da Gabriele Mucchi, Carlo Pagani e Peressutti chiede di rifondare l’associazionismo di categoria sulla questione morale. Alcuni mesi più tardi, lo stesso nucleo, ampliato ad Albini, Bottoni, Irenio Diotallevi, Gardella, Mario Pucci, Aldo Putelli, progetta di riunire architetti e ingegneri in un’unica Associa zione di laureati edili25. Va oltre Bottoni, che prospetta la riunifica zione anche'delle facoltà di architettura e di ingegneria in una sola scuola di edilizia26. Nel loro complesso, l’attività dell’architetto e l’ordinamento delle scuole richiedono di essere riformulate secondo lo “spirito della rivoluzione”. Bottoni denuncia la “corruzione” di una gestione sindacale accentrata e priva di controllo, che ha tenuto lontano le forze migliori. Una corruzione che, “nota ai più o anche impunemente tollerata o praticata”, si è estesa anche tra la categoria. Ma se questa degenerazione ha portato alla “morte” morale della ca tegoria professionale, gli errori del passato indicano pure la via della “risurrezione”: ai “divismi” e ai personalismi dell’anteguerra si con trappone ora la “particolare missione” dell’architetto al servizio del bene comune della società27. Alla scuola riformata il compito di fare dell’architetto “un apostolo delle idee sociali dell’architettura”28. Il principio di “pubblica necessità” della professione, contemplato dal la legge sindacale fascista, è ancora attuale. A Roma, in opposizione al clima di restaurazione che si respira nella facoltà, già nell’estate del 1945, si è costituita una scuola alter nativa di architettura organica. Nelle stanze di Palazzo Drago, Piccinato insegna urbanistica, Nervi progettazione strutturale, Ridolfi tec nologia e tecnica delle costruzioni, Della Rocca economia delle co struzioni. La rivista “Metron” parla di una scuola dove non si inse gna a disegnare archi e colonne, né ad ampliare le sezioni delle stra de, ma si affrontano i problemi essenziali della prefabbricazione e dell’urbanistica. Il Paese non chiede “ideatori di monumenti”, ma 25. S. Protasoni, Per un “comune orientamento": le associazioni di architetti, in M. Baffa, C. Morandi, S. Protasoni, A. Rossari, Il Movimento di Studi per l’Archi tettura, Laterza, Roma-Bari, 1995, pp. 127-128. 26. «All’Ordine degli Architetti di Roma», cit., p. 73. 27. P. Bottoni, «Morte e risurrezione della categoria professionale», Metron, n. 4-5, novembre-dicembre 1945, pp. 93-97. 28. P. Bottoni, «Scuole e professione dell’architettura», Costruire. Bollettino an tifascista di studio e d’informazione, n. 1, gennaio 1945; ora in Id., Una nuova anti chissima bellezza, a cura di G. Tonon, Laterza, Roma-Bari, 1995, pp. 235-241. 226
tecnici in grado di pianificare il lavoro, “non l’apoteosi del governo al potere”, ma il benessere della società civile29. Nel 1946, l’Apao organizza nella stessa sede una serie di incontri sulla riforma degli studi nelle facoltà. Numerosi sono gli interventi sul tema della formazione dell’archi tetto ospitati sulle riviste “Domus”, “Metron” e “La nuova città”. Quaroni esprime il bisogno di “umanizzare” l’insegnamento dell’ar chitettura, inteso come apertura alla cultura del sociale. Samonà indi ca un metodo di insegnamento nelle facoltà, privo di preoccupazioni stilistiche. Pane propone la soppressione del liceo artistico, l’elimina zione della sezione edile delle scuole di ingegneria e la separazione del titolo professionale da quello dottorale, recuperando così la pro posta di Bottai del 1941. A sua volta Bonelli riprende i termini della critica radicale di Argan, anche nei suoi riferimenti filosofici, per ne gare l’esistenza di fatto della facoltà di architettura in Italia: nelle at tuali scuole, infatti, non si svolge alcun lavoro scientifico - gli inse gnanti sono professionisti che “si curano assai poco di venire a scuo la” -, né viene fornita la necessaria preparazione alla professione30. Nel 1947, aH’interno dell’VIII Triennale, il congresso degli stu denti di architettura si confronta sulla necessità di aggiornare la di dattica di fronte ai problemi posti dalla ricostruzione: l’agnostici smo, già affrontato da Rogers nel 1933, è di nuovo argomento di di scussione. Nello stesso anno a Firenze, si riuniscono per la prima volta i docenti delle facoltà di architettura per dibattere le questioni didattiche. Contrasti emergono sull’insegnamento delle scienze delle costruzioni ai fini della comprensione estetica e sulla storia dell’ar chitettura intesa come visione critica e non solo come modello stili stico. Il convegno si conclude con una richiesta - la mozione è vota 29. «Cassaforma», Metron, n. 1, agosto 1945, p. V. 30. G. De Luca, «Sulla riforma dell’insegnamento nelle facoltà di architettura», Metron, n. 9, 1946, pp. 68-76; R. Pane, «Note per una riforma delle facoltà di ar chitettura», La Nuova Città, n. 8, luglio 1946, p. 27; R. Bonelli, «Per un’inchiesta sulle facoltà di architettura», ibidem, p. 35; A. Sartoris, «Di un nuovo ordinamento delle facoltà di architettura», La Nuova Città, n. 9-10, agosto-settembre 1946, pp. 15-18; E.N. Rogers, «Per gli studenti di architettura», Domus, n. 213, settembre 1946, p. 2; R. Bonelli, «Per l’indipendenza delle facoltà di architettura», La Nuova Città, n. 11-12, ottobre-novembre 1946, pp. 15-21; A. Annoni, «L’insegnamento nelle facoltà di architettura», Metron, n. 14, 1947, pp. I-II; G. Astengo, «Pianificare l’insegnamento dell’architettura», in Metron, n. 16, 1947, pp. 33-36; G. Samonà, «Lo studio dell’architettura», Metron, n. 15, 1947, pp. 7-15; L. Quaroni, «Il conve gno dei docenti delle facoltà di architettura», Metron, n. 19-20, 1947, pp. 62-71.
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ta tra gli altri da Samonà, Michelucci, Piccinato, Pane, Giovanni Astengo, Quaroni e respinta da Fasolo - di revisione dell’ordina mento degli studi31. Due anni dopo, coerentemente, Michelucci, in dissenso con una scuola che ancora pretende di educare al gusto, de cide di abbandonare l’insegnamento nella facoltà di architettura di Firenze e di trasferirsi nella facoltà di ingegneria di Bologna32. Nel 1948, invitato da Lionello Venturi a tenere il corso di storia dell’architettura moderna alla Scuola di perfezionamento in storia dell’arte a Roma, Zevi dedica la prolusione alla figura di Pagano. L’architetto istriano aveva indicato nei pregiudizi degli storici dell’ar chitettura nei confronti delle nuove tendenze una causa della crisi della scuola. Per Zevi quel corso fa da contraltare agli insegnamenti impartiti nella facoltà di architettura di Roma e concepiti all’insegna della continuità con la didattica dell’anteguerra. Eccezione fatta per Calandra, la sua avversione per quel gruppo di docenti è profonda: con orgoglio, si compiace di non avere mai stretto la mano a Piacen tini. Quando i contrasti con Mario Salmi lo convincono a raccogliere l’invito di Samonà, troverà a Venezia l’opportunità di continuare a insegnare una storia per l’architettura moderna e promuovere quella scuola come il “grande laboratorio” prefigurato da Pagano33. E dalla scuola di Venezia diretta da Samonà che arriva la voce più chiara di rottura, in un quadro generale che è all’insegna della conti nuità. Il docente siciliano prefigura una rifondazione dell’insegna mento dell’architettura e contemporaneamente la ridefinizione della disciplina. Nel novembre del 1946, all’inaugurazione dell’anno acca demico, auspica “radicali mutamenti” nell’istituto. Lo studente di ar chitettura, il futuro architetto impegnato nella ricostruzione del Pae se, deve formarsi su nuovi programmi e con nuovi insegnanti. Si de ve, sostiene Samonà nel 1948, porre le basi “per un edificare che me glio corrisponda alle esigenze umane”, misurandosi sui problemi rea li. Anche il modello pedagogico della Bauhaus contribuisce ad arric chire il dibattito sulla didattica. Zevi può portare la sua esperienza di 31. E. Tedeschi, «Il Convegno di docenti di architettura», Metron, n. 21, 1947, pp. 23-30; M. Baffa, La questione dell’insegnamento dell’architettura negli anni del dopoguerra, in M. Baffa, C. Morandi, S. Protasoni, A. Rossari, Il Movimento di Studi per l’Architettura, cit., pp. 88-92. 32. G. Michelucci, Felicità dell’architetto, il Libro, Firenze, 1949. Michelucci è stato preside della facoltà di Firenze dall’ottobre 1944 al settembre 1945 e dal giu gno 1947 all’agosto 1948. 33. B. Zevi, Zevi su Zevi, cit., pp. 64-65, 208.
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retta, essendo stato allievo “ribelle” di Gropius ad Harvard. A diffe renza di Argan, che ha manifestato esplicitamente le sue simpatie per l’esperienza tedesca, Samonà non formula però una precisa adesione. Le persone che Samonà riesce a far giungere a Venezia, anche at traverso un’abile politica interna di incarichi, sono la riprova più chiara della svolta didattica impressa alla scuola: oltre a Piccinato e Zevi, nella città lagunare insegnano Albini, Astengo, Gardella, Belgiojoso, Giancarlo De Carlo. Scelte che, nella maggioranza dei casi, ancora una volta paiono richiamarsi al programma di Pagano del 1943, di una scuola formata da professori tratti dalla libera profes sione, “esenti da tutta la burocrazia degli insegnati di ruolo”. Mentre dunque Venezia si propone come protagonista del rinno vamento della scuola, Roma si arrocca in una difesa delle posizioni conquistate negli anni trenta. E anche le caute aperture al nuovo di Piacentini rivelano il disagio di chi coglie ora nell’insegnamento il peso di un impegno divenuto “difficile e delicatissimo”. Nell’invitare i colleghi “a controllare e inquadrare i giovani nei giusti limiti”, a tenere conto “non solo di quanto fino a oggi si è fatto, ma anche di questi nuovi orientamenti”, egli vive la partecipazione alle nuove tendenze come un fatto esteriore. Cinicamente suggerisce di lasciare “ai giovani la sensazione di comprenderli e di vivere nella loro stes sa orbita”34. A Venezia non è più la questione dello “stile” dell’architettura ita liana - leitmotiv delle scuole di architettura negli anni trenta - al centro del progetto didattico, ma l’urbanistica. Oltre alla riforma dell'insegnamento della storia, è attorno all’urbanistica - già per Piacentini, lo ricordiamo, la “salvezza” dell'architettura - che si mi surano i “radicali mutamenti” della scuola. L’identità tra architettura e urbanistica è propugnata da Samonà. L’estensione del piano rego latore in un “piano dei piani” è richiesta da Piccinato: una proposta, questa, che richiama il piano di tutela nazionale auspicato da Marino Lazzari, direttore generale all’epoca di Bottai, e che rimarca l’intrico esistente tra continuità e discontinuità con il fascismo35. L’urbanistica, in definitiva, pare ancora poter assegnare, nel mo mento particolare della ricostruzione e attraverso una rinnovata mo 34. Relazione della commissione per il concorso della cattedra di urbanistica del 24 febbraio 1949, in ACS, PI, IS, div. I, 1924-54, b. 343, f. 756. L’originale mano scritto della relazione è di Piacentini. 35. M. Lazzari, «La tutela delle bellezze panoramiche», Le Arti, f. 2, dicembre 1939-gennaio 1940, pp. 79-85.
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tivazione politica, alle scuole di architettura e agli architetti un ruolo centrale nella formazione culturale della nazione. La breve storia della scuola d’architettura in Italia è segnata da questa esigenza di centralità, che ne giustifica il suo esistere. Istitui ta per conseguire un progetto di rinascita di un’architettura italiana, la scuola diventa negli anni trenta sempre più strumento della “poli tica architettonica” del fascismo. Resa vulnerabile dagli interessi di un professionismo sempre più invadente, venute a cadere le ideolo gie nazionaliste, ricerca nel dopoguerra la sua rinascita nell’urbani stica, assunta a motivazione etica e sociale. Un nuovo elevato fine, ora sopranazionale, dell’architettura pare essere in grado non solo di riscattare il ruolo di una professione, ma anche di ricomporre quell’originale dicotomia tra una scuola tecnico professionale e una scuola che persegue un programma ideologico. Nel 1919, il supera mento di quella dicotomia aveva legittimato il sorgere della scuola di architettura; ora, quasi trent’anni dopo, giustifica nuovamente l’esistenza dell’istituzione scolastica. Dalla ricostruzione dell’architettura nazionale del primo dopo guerra, alla ricostruziqne dei valori morali e civili del fare architet tura del secondo dopoguerra. Ma neppure là dove si intende dare vi ta a un nuovo corso si scava a sufficienza su quel passato prossimo, da cui tuttavia si prendono decisamente le distanze. “Noi che siamo fuori dalla scuola - scrive Rogers - buttiamo sassi contro i vetri sen za troppo rischiare”36. Gli architetti hanno rimosso la storia delle proprie origini: gli inizi dell’insegnamento e della professione rimar ranno una zona oscura. Dimenticate le contingenti ragioni ideologi che alla base della scuola di architettura, la funzione politica della categoria. Scordate le carriere accademiche viziate da favoritismi, la dubbia preparazione scientifica dei docenti, gli intrallazzi dentro e fuori l’università, il professionismo spregiudicato, le clientele e i monopoli nella gestione dell’architettura, i concorsi pilotati. Conge dato quel passato, senza mettersi seriamente in discussione, senza scrollarsi di dosso quell’eredità, gli architetti sono ripartiti nel dopo guerra. La “grande casa” dell’architettura, ora cresciuta in modo ab norme - dai 1.665 architetti del 1941 si è passati ai 74.418 iscritti all’ordine del 1996, con oltre 80.000 laureati solo negli ultimi vent’anni -, traballa perché ha le fondamenta fragili. 36. E.N. Rogers, «Per gli studenti di architettura», Domus, n. 213, settembre 1946, p. 2.
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Indice dei nomi
Abriani, Alberto 123 Albertini, Cesare 60, 142, 145, 155, 182 Albini, Franco 182, 197, 226, 229 Aloisio, Ottorino 121, 177, 178 Alpago Novello Alberto 64 Arnaldi, Ugo 76, 114 Amerio, Alessandro 112 Anceschi, Luciano 185 Andreotti, Giulio 19, 215, 217 Anelli, Luigi 71 Angelini, Pietro 71, 76, 149, 185, 186 Annoni, Ambrogio 27, 105-108, 110, 111, 138, 179, 194, 227 Antonio da Sangallo il Giovane 81, 163 Antonioni, Michelangelo 185 Aquarone, Alberto 56, 117 Arata, Giulio 130 Ardy, Silvio 68, 69, 109, 141 Argan, Giulio Carlo 20, 21, 93, 202207, 227, 229 Artale, Ettore 71 Aschieri, Pietro 71, 78, 80, 92, 95, 125, 128, 130, 150, 161, 163, 166, 168, 187, 188 Asnago, Mario 72 Astengo, Giovanni 227-229 Autore, Camillo 71, 173, 185 Azimonti, Carlo Isnardo 112, 113 Baccelli, Alfredo 33-35 Badessi, Alfredo 71 Baffa, Matilde 226, 228 Baglia, Lia 107
Balbo, Italo 90 Baldessari, Luciano 121 Balducci, Ezio 130, 131 Ballatore di Rosana, Vittorio Eugenio 72 Banfi, Luigi 111, 131, 197 Barbagelata, Angelo 112 Barbagli, Marzio 67, 95 Barbieri, Giocondo 71 Bardi, Pier Maria 18, 94, 111, 112, 121, 124, 127-134, 138, 149, 150, 152, 164, 184, 185 Bargellini, Giulio 28, 31 Barillari, Diana 118 Baroni, Nello 130, 197 Basile, Ernesto 32, 38, 58, 63, 71, 114, 120, 127, 173 Bassanini, 201 Battestin, Prospero 63 Battigelli, Raffaello 149 Bazzani, Cesare 34, 71, 116 Beer, Guido 122 Bega, Melchiorre 186 Behrens, Peter 139 Belgiojoso, Ludovico 111, 131, 182, 197, 229 Belli, Carlo 77 Bellini, Federico 78, 79 Belluzzi, Amedeo 127 Belluzzo, Giuseppe 70, 86, 93, 97-99, 118 Beltrami, Luca 26, 27, 32 Benevolo, Leonardo 14, 15, 225
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Benfratello, Salvatore 173 Berardi, Pier Nicolò 79 Berenini, Agostino 34 Bernini, Lorenzo 81, 213, 214 Bernocco, Giovanni 85 Besati, Laura 142, 144 Betta, Pietro 144 Bianchetti, Cristina 64, 182, 201 Bianchi Bandinelli, Ranuccio 216 Bianchi, Michele 52, 212, 213 Bianchini, EnriEXy-103 Boito, Camillo 15, 24, 36, 41-43, 102, 105, 106 Bona, Andrea 64 Bonelli, Renato 163, 191, 197, 221, 227 Boni, Giacomo 52 Boni, Giuseppe 63, 71, 92, 116, 187 Bonicelli, Enrico 71 Bonifazio, Patrizia 222 Bonomi, Oreste 212, 213 Bontempelli, Massimo 183 Bordiga, Giovanni 25, 26 83, 85, 102 B orletti 201 Borromjni, Francesco 81 Borsi, Franco 40 Bortolotti, Landò 126, 212, 224 Bottai, Giuseppe 20, 21, 49, 52, 67, 68, 90, 152, 168, 176, 178, 197-199, 201-203, 205-208, 210, 217, 227, 229 Bottini, Fabrizio 141 Botto, Carlo 32 Botto, Giuseppe 47 Bottoni, Piero 21, 80, 108, 111, 121, 150, 158, 164, 197, 223, 226 Bramante, Donato 81 ' Brasini, Armando 72, 89 Brioschi, Diego 71, 149, 157 Brizzi, Raffaello 72, 83, 84, 103-105, 119, 126, 130, 149, 164, 165, 175, 177, 179, 217, 219 Broccardi, Eugenio 142 Broggi, Luigi 27, 28 Brunetti, Fabrizio 129, 223 Bruni, Giuseppe 112 Brunon Guardia, G. 151 Bruschi, Arnaldo 220 Bugarini, Fabio 14 Buscioni, Maria Cristina 40 Busiri Vici, Andrea 88
Caffarelli, Giuseppe 142 Cafiero, Vittorio 148 Cagliostro, Rosa Maria 173 Calabi, Daniele 111 Calabi, Donatella 14, 221 Calamandrei, Piero 105 Calandra, Enrico 100, 114, 175, 177, 179, 210, 215-217, 220-222, 225, 228 Calletti, Pio 53 Calosso, Umberto 211 Calvesi, Maurizio 157 Calza Bini, Alberto 18, 19, 49, 51, 5458, 60-72, 74, 77, 84-86, 89, 90, 92, 97-101, 112, 115, 116, 118-120, 122-124, 126, 128, 129, 131-133, 136-139, 141, 142, 145-156, 158, 159, 163, 164, 172-179, 181, 182, 186, 190, 192, 194-196, 201, 209211, 214, 215, 218, 219, 221, 224, 225 Calza Bini, Gino 54, 68 Calza Bini, Giorgio 100, 159, 164, 221 Calzoni, Pietro 212 Camillo Autore 173 Cammelli, Andrea 191 Cancellotti, Gino 121, 125, 137, 145, 149, 156, 159, 188 Canino, Marcello 63, 86, 100, 101, 127, 149, 156, 176-178, 181, 197, 219 Canonica, Pietro 49, 117 Capponi, Giuseppe 125, 150 Caraman, Edoardo 86 Caravacci, Amerigo 34 Carbonara, Pasquale 95, 163, 179, 182, 197, 222 Caronia, Giuseppe 31, 178 Carrà, Carlo 204 Casanova, Giulio 72, 85, 177 Casati, Alessandro 48, 49, 95 Casati, Gabrio 15, 46, 198 Casella, Alfredo 183 Casiello, Stella 91 Cassi Ramelli, Antonio 182, 222 Cassuto, Augusto 211 Castagnoli, Ubaldo 108 Castelli, Michele 98 Cavaglieri, Giorgio 109 Cavalozzi, Antonio 71
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Ceas, Giovanni Battista 100, 126, 128, 129 Cecchelli, Carlo 74 Cennamo, Michele 77, 108 Cento, Giuseppe 72, 85 Ceradini, Mario 72, 83-85, 97, 104, 110, 119, 127, 130, 132, 174, 177, 181 Cereghini, Mario 121 Cerpi, Ezio 71 Charnitzky, Jürgen 99, 204 Chevalley, Giovanni 71 Chialvo, Guido 30, 116, 163 Chiaromonte, Ferdinando 86, 100, 127, 149, 197 Chierici, Gino 74, 86, 100, 101, 127, 149, 214 Chiodi, Cesare 109, 111, 155, 158, 179, 182, 222 Cianferoni, Corrado 58 Ciano, Costanzo 52, 90, 210, 212, 213 Ciano, Galeazzo 213 Cini, Vittorio 157, 170, 179 Cippico, Antonio 119 Cirilli, Guido 71, 83, 84, 101, 102, 119, 131, 132, 168, 169, 175, 177, 179, 181, 197, 219 Cisotti, Umberto 112 Ciucci, Giorgio 101, 152, 166, 169, 220 Civico, Vincenzo 144-146, 154 Cofferoni, Corrado 34 Colasanti, Arduino 37, 47, 83, 85, 86 Collamarini, Edoardo 32, 58, 116, 119 Colleoni, C. Maria 16, 63, 98 Colombo, Giuseppe 31-34, 105, 107 Colonna, Flavia 80, 92 Colonnetti, Gustavo 215, 216 Columba, Cesare 153 Compagnin, Loredana 14 Conforti, Claudia 127 Consonni, Giancarlo 158 Conti, Ettore 48, 107, 201 Coppedé, Adolfo 72 Cordova, Ferdinando 29 Cosenza, Luigi 64, 100, 182 Costantini, Costantino 67 Costantini, Innocenzo 118, 128, 159 Costantini, Stefania 80 Cottone, Antonio 173
Crespi, Silvio 201 Cresti, Carlo 84, 103 Crippa, Maria Antonietta 15 Croce, Benedetto 51, 52, 72, 81, 82, 95, 115, 116, 207, 218 Crollalanza, Araldo 141, 142, 153, 159 Cugoletto, 63 Curuni, Alessandro 57, 58, 91, 92 D’Annunzio, Gabriele 45 D’Aronco, Raimondo 86, 101, 118, 119, 156 D’Ovidio, Aldo 51 Dal Co, Francesco 221 Danesi, Silvia 14 Dante, Alighieri 215 Danusso, Arturo 112 De Angelis d’Ossat, Gioacchino 76, 114 De Angelis d’Ossat, Guglielmo 164 De Carli, Felice 200 De Carlo, Giancarlo 229 De Carolis, Adolfo 117 De Felice, Renzo 45, 90, 212 De Finetti, Giuseppe 72, 197 De Gasperi, Alcide 217 De Luca, Giulio 227 De Mauro, Tullio 221 De Michelis, Marco 139 De Min 157 De Renzi, Mario 46, 86, 101, 125, 133, 148, 156, 171, 220 De Rose, Arianna Sara 36 De Ruggiero, Guido 210, 217, 218 De Seta, Cesare 140, 154, 197, 200 De Seta, Luigi 16, 23 De Seta, Maria 212 De Simone, Rosario 78, 164 De Stefani, Lorenzo 14, 41, 106, 107, 110 De Vecchi di Val Cismon, Cesare Ma ria 49, 160, 161, 172, 173, 175, 198 Del Bufalo, Edmondo 73, 149, 178 Del Debbio, Enrico 34, 67, 70, 72, 88, 92, 120, 126, 134, 149, 170, 176, 179, 181, 188, 192, 193, 195-197, 201, 204, 219, 220, 224 Del Giudice, Brenno 72, 83, 102, 126, 197 Dell’Acqua, Adolfo 121
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Della Rocca, Aldo 207, 226 Di Francia, Angelo 191 Di Benedetto, Maria 158 Di Biagi, Paola 66, 209 Di Giacomo, Giacomo 54, 55, 61, 84 Di Leo, G. Laura 145 Dioguardi, Saverio 149 Diotallevi, Irenio 226 Domenico, Roy Palmer 210 Donati, Guglielmo 32 Donghi, Daniele 111, 173 Ercole, Francesco 110, 112, 113, 134 Ernesti, Giulio 159 Eugenio Ballatore di Rosanna 85 Fabbri, Sileno 60, 158 Fabbrichesi, Renato 177, 181 Fagiuoli, Ettore 71 Fagnoni, Raffaello 63, 64, 84, 103, 130, 149, 170, 176, 177, 179, 184, 186, 187, 197,217 Falco, Luigi 57, 142, 225 Faludi, Giacomo 121 Fanfani, Amintore 224, 225 Fani, Cesare 16, 23 t Fantoli, Gaudenzio 113 Fariello, Francesco 95, 172 Farinacci, Roberto 90, 151 Fasolo, Furio 164 Fasolo, Vincenzo 28, 29, 34, 37, 39, 54, 70, 80, 92, 114-116, 126, 149, 165, 167, 174, 175, 177, 179, 185, 187, 188, 197, 228 Fedele, Pietro 18, 49, 70, 76, 79, 84-87, 95-98, 112, 114, 116, 117, 162, 202 Federici, Silvio 212 Fera, Luigi 51 Fermi, Enrico 183 Ferrari, Ettore 28-31, 33, 35, 38, 47, 116, 119 Ferrari, Giordano Bruno 30 Ferreri, Isabella 155 Fichera, Francesco 38, 71, 119, 127, 149, 175, 199 Figaia, Cirillo 204 Figini, Luigi 80, 108, 121-123 Finocchiaro, Camillo 23 Fiorini, Guido 220
Firpo, Luigi 185 Floriani, Mario 60, 61 Fontana, Vincenzo 106 Forni, Giuseppe 71 Fortini, Franco, pseudonimo di Lattes Franco 185 Foschini, Arnaldo 14, 19, 24, 28, 30-32, 34, 37, 39, 41, 47, 49, 51, 58, 63, 70, 72, 74, 76-78, 88, 89, 92, 94, 101, 114-117, 119, 120, 122, 125, 126, 128, 129, 134, 150, 170, 172, 174178, 182, 188, 200, 207, 208, 216, 220-225 Fossa, Giovanna 109 Frascherelli, Ugo 47, 71, 83, 84, 87, 9698, 105, 112, 117 Fraticelli, Vanna 31, 92 Furiosi, Lamberto 63 Fuselli, Eugenio 120, 125, 128 Gabellini, Patrizia 66, 209 Gabetti, Roberto 14 Gamberini, Italo 130, 197 Garau, Stefano 186 Gardella, Ignazio 182, 226, 229 Gariboldi, Luigi 63 Garroni, Ezio 34, 58 Gayre, G.R. 210 Gennari, Ugo 224 Gentile, Giovanni 15, 17, 18, 45-48, 51, 52, 60, 81, 83, 95-97, 99, 105, 107, 114, 117, 119, 160, 180, 197-199 Gianelli, Aristide 114 Gilberti, Ettore 71 Giolitti, Giovanni 24 Giolli, Raffaello 21, 139, 140, 168 Giordani, Francesco 200 Giovannoni, Gustavo 16-20, 26, 28, 29, 31-33, 35-49, 57-59, 64-66, 68, 7083, 86-89, 91-94, 96, 97, 100, 101, 103-105, 108-112, 115, 116, 118122, 124, 125, 128-130, 132, 134, 136, 137, 139, 141-145, 155, 156, 158, 159, 161, 162, 165, 168, 173, 175-177, 179, 180-182, 185, 187, 189, 190, 199, 201, 205-207, 219, 225 Giovenale, Giovanni Battista 58 Giuliano, Balbino 99, 120, 123, 131
234
L
Giulio Romano 81 Giunta, Francesco 90, 151 Giuriati, Giovanni 1 19 Giustini, Giuseppe 178 Goebbels, Joseph 212 Gonnella, Guido 219, 220 Gorla, Giuseppe 157, 178 Granata, Ivano 98, 99 Grandi, Dino 54 Greco, Antonella 181, 204 Gregotti, Vittorio 123 Greppi, Giovanni 72 Grieco, Ruggero 211 Griffini, Enrico 125, 150, 181, 192, 193, 195, 197 Grippo, Pasquale 26-28, 32, 42 Grisanti, Ezio 134 Gropius, Walter 21, 41, 95, 205, 220, 229 Gualuppi, Arturo 53 Gubler, Jacques 123 Guerra, Camillo 100, 177, 181 Guerrisi, Michele 115 Guerzoni, Mario 63 Guicciardini, Francesco 215 Guidoni, Enrico 157, 169, 179, 200 Gullini, Amerigo 71 Guttuso, Renato 185 Gyra, Giuseppe 197 Hermite, Vittorio 130 Hetzelt, Friedrich 212 Hitler, Adolf 207 Hoffmann, Josef 139 Infussi, Francesco 209 Ingrao, Pietro 185 Irace, Fulvio 111 Isastia, Anna Maria 29 Jerace, Francesco 132 Koenig, Giovanni Klaus 225 La Padula, Ernesto Bruno 121, 148, 171, 208 Labò, Mario 197 Laera, Rosa Angela 159 Lambertini, Ettore 71
Larco, Sebastiano 125 Latour, Giovanna 178 Lavini, Giuseppe 15, 26, 32 Lazzari, Giovanni 183 Lazzari, Marino 199, 229 Le Corbusier, pseudonimo di CharlesEdouard Jeanneret Gris 94, 152, 163, 220 Legnani, Alberto 130, 149 Lenti, Libero 73, 191 Leoni, Antonio 141 Levi Montalcini Gino 128 Levi, Giacomo 112 Libera, Adalberto 39, 76-79, 108, 121, 123, 124, 133, 148, 171, 182, 225 Liberi, Antonino 71 Lilli, Dino 63 Limoncelli, Mattia 83, 86, 101 Limongelli, Alessandro 92 Lingeri, Elena 80 Lingeri, Pietro 72, 80 Locati, Sebastiano 37, 70, 114, 119 Loiacono, Pietro 71 Longhi, Roberto 183, 217 Lori, Ferdinando 53, 112 Lorusso Caputi, Andrea 211 Lucchini, Secondo Francesco 109 Luigi Rossi 51 Lupano, Mario 30, 31, 38, 119, 120, 169, 208 Lupi, Dario 47 Luraghi, Francesco 80 Lux, Simonetta 157 Mademo, Carlo 81 Maffezzoli, Alfonso 200 Magnani Cianetti Maria 203 Magni, Giulio 28, 34, 36, 39, 40, 58, 71,76, 97, 114 Maifrini, Mariarosa 212 Mainetti, Giovanni 149 Malpeli, Bino 44 Mancini, Giuseppe 32, 58, 177, 219 Manfredi, Manfredo 25, 28, 29, 31, 32, 36, 37, 39-41, 47, 69-71, 75, 76, 78, 93, 106, 114-119 Manieri Elia, Mario 80, 94 Mansutti, Francesco 67 Maniero, Enrico 171
235
Manzù, Giacomo 204 Marangoni, Matteo 217 Marchese, Vittorio 211 Marchesini, Daniele 197 Marconi, Paolo 14 Marconi, Plinio 66, 140, 145, 150, 163, 170, 185, 186, 195, 197, 207, 222, 224 Mariani, Riccardo 79, 133, 150, 159, 165,205 5 Marini, Marino 71, 204 Marino, Roberto 44, 95, 149, 173 Marletta, Giuseppe 79, 121 Martinelli, Roberta 159 Marzari, Giovanni 123 Masoni, Ulderico 86 Masotti, Arnaldo 160 Massagli 63 Mattioli, Amerigo 75, 76 Mauro, Francesca 53 Mazzola, Maria Luisa 14 Mazzoni, Angiolo 120, 153 Medori, Corrado 62, 63 Melis, Armando 85, 141, 149, 177, 179 Meneghetti, Lodovico 158 Mengarini, Guglielmo 53 Merlini, Chiara 109 Merlo, Giuseppe 158 Mesturino, Vittorio 72 Mezzasoma, Fernando 185 Miani, Cesare 52, 64 Miano, Giuseppe 40 Michelangelo, Buonarroti 81, 110 Michelazzi, Giovanni 32 Michelucci Giovanni 72, 103, 127, 130, 149, 165, 170, 176-178, 184, 217, 219, 228 Midana, Arturo 149 Mies van der Rohe, Ludwig 220 Milani, Giovanni Battista 28, 36, 39, 40, 70, 76-78, 95, 97, 101, 115, 120, 121, 124, 129, 160, 175, 177, 180, 181, 187 Minesso, Michela 52 Minissi, Franco 225 Minnucci, Gaetano 77, 79, 124, 125, 127-129, 133, 150, 163, 170, 178, 179, 181 Mioni, Alberto 126
Miozzo, Gino 67, 72 Misuraca, Giacomo 71 Mola, Aldo 30, 45, 90 Molinari, Luca 110 Molli Boffa, Alessandro 144, 197 Mollino, Carlo 130, 182 Monneret de Villard, Ugo 106, 115 Montini, Giovanni Battista 210 Montuori, Eugenio 130, 197 Moraldi, Vincenzo 34 Morandi, Corinna 182, 226, 228 Morandi, Giorgio 204 Moretti, Gaetano 26, 27, 34, 37, 101, 105-107, 110, 112-114, 129, 150, 160, 175, 177, 180, 184, 201 Moretti, Luigi 67, 170, 204 Morgante, Michela 225 Moro, Aldo 185 Morozzo della Rocca, Robaldo 88, 121 Morpurgo, Vittorio 126, 176, 177, 181, 187,188 Moser, Karl 139 Mucchi, Gabriele 226 Muggia, Attilio 116, 120, 181 Mulazzani, Marco 67 Muñoz, Antonio 34 Muntoni, Alessandra 39, 76, 169, 171 Muratori, Saverio 163, 172, 182, 184, 197, 222 Mussolini, Benito 14, 18, 43, 45, 49, 51, 61, 67-70, 79, 90, 99, 101, 102, 121, 122, 125, 128, 134, 141, 142, 146-154, 160, 164-166, 170-172, 176, 177, 197, 198, 202-204, 208, 209, 212, 213 Muti, Ettore 177, 204 Muzio, Giovanni 64, 74, 106, 111, 135, 142, 170, 176-181, 197, 208 Nathan, Ernesto 29, 30, 90 Nava, Cesare 17, 23, 24, 27, 28, 31-34, 49, 52 Negri, Edgardo 34, 58, 71, 74 Neri, Maria Luisa 46, 69, 84, 101, 134, 220 Nervi, Pier Luigi 52, 215, 216, 217, 226 Nicolosi, Giuseppe 92, 159, 177, 178, 181 Nicoloso, Paolo 69, 93, 202, 222
236
Nitti, Francesco Saverio 33 Nitti, Gian Paolo 33 Nuti, Lucia 159 Ojetti, Ugo 102-104, 110, 139, 168, 176 Olivetti, Adriano 225 Olmo, Carlo 225 Omodeo, Adolfo 210 Orsi, Alessandro 194 Pacchiarini, Domenico 53 Pace, Sergio 222, 225 Pagani, Carlo 226 Pagano, Giuseppe 18, 94, 104, 129, 130, 132-134, 138-140, 150, 154, 163, 165, 169, 170, 172, 183-186, 197, 202, 205-207, 223, 228, 229 Paladini, Vinicio 121 Palladio, Andrea 44, 81, 93 Pandolfini, A. 132 Pane, Roberto 20, 100, 101, 127, 177, 179, 181, 197, 214, 227, 228 Paniconi, Mario 89, 125, 150 Pannain, Remo 215 Pantaleo, Vittorio 71, 86, 100, 127, 181 Paoletti, Pietro 102 Papini, Roberto 59, 78, 79, 97, 99, 104, 110, 155, 164, 165, 168, 200, 215, 217 Paribeni, Roberto 47 Parisella, Antonio 163 Parisi, Enrico 142 Parri, Ferrucio 225 Pascoletti, Cesare 120, 170 Pasquale Grippo 26 Pasquali, Alessandro 82, 94, 140, 184, 185 Passarelli, Tullio 42, 97 Patetta, Luciano, 14 Pauletta, Alfeo 121 Pavolini, Alessandro 192 Pavone, Claudio 149, 210, 221 Pediconi, Giulio 125 Pensabene, Giuseppe 121, 127, 147, 154, 185 Pepponi, Maria Cecilia 220 Pera, Luigi 177 Peressutti, Enrico 111, 131, 197, 226 Perogallo, Cornelio 142
Perret, Auguste 135, 137, 150 Persico, Edoardo 122, 202 Petacci, Claretta 208 Petetti, Eusebio 149 Petrilli, Antonio 223 Petrucci, Concezio 76, 103, 144, 158, 159 Petrucci, Francesca 17 Petrucci, Franco 148, 186 Piacentini, Marcello, 12, 19, 20, 30, 31, 34, 36, 38-41, 44, 45, 49, 51-53, 58, 65-67, 70-72, 74, 78, 80, 87-94, 97, 100, 101, 104, 109, 111, 114, 116122, 124-129, 132, 133, 139, 140, 142-145, 147, 148, 155-159, 161179, 181-186, 188, 190, 199-201, 203, 205-217, 219, 221, 222, 224, 225, 228, 229 Piacentini, Pio 30, 38, 116 Pica, Agnoldomenico 140, 207 Piccinato, Luigi 75-77, 80, 92, 100, 101, 120, 121, 125, 128, 129, 144, 145, 150, 155, 156, 161, 165, 166, 169, 171, 179, 181, 187, 197, 200, 201, 207, 222, 225, 226, 228, 229 Piccinelli, Alessandro 115 Pifferi, Emilio 184 Pilotti, Vincenzo 71, 175 Pintonello, Achille 67 Pintor, Giaime 185 Pirazzoli, Nullo 225 Pisani, Mario 12 Pistrucci, Camillo 34, 58 Poelzig, Hans 139 Poggi, Cesare 130 Polin, Giacomo 108 Polli, Carlo 71 Pollini, Gino 108, 121, 123, 124, 150, 171, 197 Ponti, Gio (Giovanni) 64, 149, 176-178, 185 Poretti, Sergio 154, 159 Portaluppi, Piero 105-107, 111, 116, 136, 149, 155, 158, 174, 176, 177, 182, 184, 197, 201, 219 Posener, Julius 139 Pracchi, Attilio 134 Prati, Arturo 32 Prati, Oscar 75, 76
237
Protasoni, Sara 226, 228 Pucci, Mario 226 Pugno, Giuseppe Maria 85, 160, 161, 174,219 Puppini, Umberto 53 Puppo, Ernesto 121 Putelli, Aldo 226
Rossi, Tullio 79, 170 Rosso, Giuseppe 149 Rosso, Michela 222 Rossoni, Edmondo 54, 60, 90 Roux, François 135 Rovelli, Antonio 71 Ruberti, Guido 119 Rusconi, Antonio 149
Quaroni, Ludovico 22, 95, 124, 163, 166-168, 170, 172, 181-183, 204, 222, 225, 227, 228 Ragghianti, Carlo Ludovico 225 Rapisardi, Ernesto 120 Rapisardi, Gaetano 120 Rattu, Salvatore 149, 183, 186 Rava, Carlo Enrico 72, 77, 108, 122, 123, 125 Redenti, Alberto 157 Reggiori, Ferdinando 177 Respighi, Ottorino 183 Riccardi, Carmela 159 Ricci, Aldo G. 218 Ricci, Corrado 25, 49, 52, 101, 102, 115, 1 16 Ricci, Giuliana 14, 17, 107 Ricci, Giulio 53 Ricci, Renato 67, 203, 204 Ridolfi, Mario 77-79, 89, 121, 148, 155, 183, 195, 197, 201, 225, 226 Rigotti, Annibaie 72, 86, 118, 119. 154. 156, 177 Rigotti, Giorgio 179, 181, 197 Rinaldi, Luca 107 Roccasecca, Pietro 29 Roccatelli, Carlo 129, 173, 181. 188 Rocco, Alfredo 62 Rocco, Giovanni 24, 25, 27, 32, 34, 57, 58, 72 Rogers, Ernesto Nathan 110, 111, 131, 136-138, 182, 227, 230 Romanelli, Giandomenico 84 Romanin Jacur 25 Romano, Sergio 87 Rosadi, Giovanni 19, 23, 25, 26-28, 30, 31,32, 35, 36,41,58 Rosi, Giorgio 79 Rossari, Augusto 226, 228 Rossi, Ettore 147, 154, 155, 169, 171
Sabatini, Giulio 158 Sabatino, Michelangelo 110 Sabbatini, Innocenzo 72, 120 Sacconi, Giuseppe 30, 177 Salandra, Antonio 24 Salmi, Mario 228 Salviati, Mariuccia 118 Samonà, Giuseppe 100, 101, 120, 127, 156, 170, 176, 177, 180, 181, 197, 205, 209, 219, 221, 222, 227-229 Santuccio, Salvatore 204 Sarfatti, Margherita 89, 125, 210 Sartoris, Alberto 118, 122, 123, 133, 227 Saverio Muratori 184 Savi, Vittorio 165 Scalpelli, Alfredo 121, 145 Scano, Dionigi 71 Scarpa, Carlo 72, 102 Scarpa, Oscar 112 Scattolin, Angelo 197 Scrivano, Paolo 222 Scuderi, Lucia 66 Scudiero, Maurizio 36 Seccherelli, Arduino 32 Selvafolta, Ornella 106 Setta, Salvatore 67, 204 Severati, Carlo 200 Severi, Francesco 134, 217 Sezanne, Augusto 32, 102 Siila, Lucio 30 Sissa, Ugo 186 Sitte, Camillo 36 Smith, T.V. 210 Sommaruga, Giuseppe 25, 27, 32 Sommella Grossi, Marina 123 Sonego, Carla 102 Sottsass, Ettore 72 Spaccarelli, Attilio 51, 63, 175, 176, 203, 221
238
Speer, Albert 172, 212 Spinelli, Luigi 80 Stacchini, Ulisse 27, 51, 53, 58, 71, 107, 150, 187 Starace, Achille 183 Stella, Ettore 186 Sullam, Guido 71 83, 84, 126, 169, 183 Tacchi, Francesca 57 Tafuri, Manfredo 205, 209 Tajani, Filippo 112 Talamona, Marida 123 Taviani, Paolo Emilio 185 Tedeschi, Enrico 194, 225, 228 Tenca, Cesare 60 Tentori, Francesco 121, 185 Terragni, Giuseppe 80, 108-110, 121, 150, 152, 171, 172, 208 Terranova, Antonino 95 Terranova, Giovanni 127 Terrazzi, Attilio 151 Tessenow, Heinrich 135, 139 Testa, Virgilio 141-144, 146, 163 Thoenes, Christof 43 Tognetti, Gustavo 76, 114, 177 Tonini, Giuseppe 34 Tonon, Graziella 108, 158, 226 Torres, Duilio 25, 52, 58, 63, 72, 144, 149, 177 Torres, Giuseppe 32, 72, 83, 84, 102, 126 Torrigiani, Domizio 90, 117 Tousijn, Willem 14 Trebbi, Oreste 63 Trentacoste, Domenico 26 Tridenti, Carlo 90 Tumadei, Cesare 142 Tuminelli, Calogero 74 Turati, Augusto 52, 210, 212, 213 Turella, Angiola 36 Turi, Gabriele 47, 50, 57, 105, 191, 196 Ungaretti, Giuseppe 183 Vacca, Mario 63 Vaccaro, Giuseppe 120, 150, 170, 193
Vagnetti, Fausto 28, 31, 39, 76 Vagnetti, G. 183 Vagnetti, Luigi 14, 31, 114, 164, 170, 186, 208 Vago, Joseph 137, 139 Valente, Antonio 148 Vallauri, Giancarlo 200 Valle, Cesare 92, 145, 150, 170, 179, 197 Vallecchi, Ugo 84, 144 Vallot, Virgilio 149 Varvaro, Paolo 197 Vassalli, Giuliano 185 Vender, Claudio 72 Venturi, Ghino 34, 54, 60, 62, 76, 224 Venturi, Lionello 202, 217, 228 Veresani, Luca 171 Veronesi, Giulia 122 Verzone, Paolo 179 Vietti, Luigi 77-80, 121, 150, 169, 170 Vignola, (Jacopo Barozzi, detto) 36, 44, 81 Villani, Rodolfo 34 Vismara, Francesco 35 Vitali, Guido 142 Vitruvio, Pollione 44 Volpi, Giuseppe 71, 84, 87, 171 Wenter Marini, Giorgio 35, 36, 71, 120, 177, 178, 180, 197 Woller, Hans 210 Wright, Frank Lloyd 154, 220 Zacheo, Maria Italia 77, 124, 127, 128 Zangrandi, Ruggero 185 Zaniboni, Tito 90 Zanini, Gigiotti 72, 197 Zari, Giacinto 62, 63 Zevi, Bruno 185, 225, 228, 229 Zuccheddu Guido, 71 Zucconi, Guido 14, 41, 93, 173, 221 Zumkeller, Luigi 84, 197 Zunini, Luigi 106
239