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Mario Castelnuovo-Tedesco
Angelo Brillante Romeo - Maturità Maturità 2015 (versione per per la diffusione online)
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Dopo aver scavato per diverso tempo nella vita e nell’opera di Mario Castelnuovo-Tedesco, Castelnuovo-Tedesco, sono giunto alla conclusione che tanti erano i percorsi che si potevano seguire per un’eventuale tesina. L’obiettivo principale che mi ero prefissato era quello di contribuire a un processo di riscoperta della sua musica che negli ultimi tempi sta interessando il mondo della chitarra classica, ma poi, cominciando a ricercare informazioni sulla sua vita e le sue opere, ho scoperto una serie di innumerevoli collegamenti tra il lavoro svolto a scuola nel corso di questi anni e il compositore che tanto amavo. La decisione che ho preso, dunque, è stata quella di scegliere alcuni di questi collegamenti e metterli in luce, sperando di suscitare curiosità nel lettore e spingerlo a indagare più a fondo in una figura come quella di Castelnuovo-Tedesco. Durante il viaggio che ho intrapreso attraverso la musica di Castelnuovo-Tedesco, non ho potuto far a meno di notare un aspetto molto importante: l’attinenza alla realtà delle sue composizioni. Ci sono, è vero, pagine di musica scritte per essere “pura invenzione melodica”, ma è quasi sempre presente, anche in quest’ultime, un aspetto descrittivo. Una grande porzione della sua produzione è formata da commenti/accompagnamenti musicali a opere letterarie (prosa, poesia, teatro), come per esempio Platero y Yo 1, gli innumerevoli innumerevoli sonetti sonetti della letteratura letteratura inglese inglese2 , I giganti della montagna 3, L’Infinito 4 ecc.5, oppure oppure a opere opere di arte figurati figurativa va
come Los Caprichos Caprichos de Goya Goya6 e I e I fioretti di San Francesco ; ma comunque quasi tutta l’opera del compositore può essere ricondotta alla descrizione di paesaggi, vicende ed emozioni propri della sua memoria: 1 Vedere
capitolo 4
2 Scrisse
6 Shelley Songs e e un ciclo di 33 Shakespeare songs, affermando: “Mi riusciva così facile e naturale musicare Shakespeare! Era proprio il poeta che ci voleva per me (invano ne avevo cercato l’equivalente nella letteratura italiana): per la sua immensa varietà, la sua profonda conoscenza del cuore umano, la sua forma concisa e perfetta. E in lui trovai anche quella “mistura” che avevo cercato nella commedia: l’espressione dell’elemento tragico e di quello comico ”. Mario Castelnuovo-Tedesco, Castelnuovo-Tedesco, Una vita di musica , Cadmo, Fiesole 2005,
p. 156 Dramma di Luigi Pirandello, per cui l’autore stesso aveva chiesto a Castelnuovo-Tedesco di comporre le musiche di scena. Dopo la morte di Pirandello, però, Castelnuovo-Tedesco fu messo da parte in seguito a un litigio con il regista 3
4 Su
testo di Giacomo Leopardi, vedere capitolo 2
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Degne di nota sono anche La Mandragola (1920), Il Mercante di Venezia (1956, vd. capitolo 4.1.2), il Romancero Gitano (1951 vedere capitolo 4), 6 Odi di Orazio (1930), i Songs of the Oceanides dal dal Prometeo Incatenato di Eschilo (1954) 6 Vedere
capitolo 4.1
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Rileggendo questi titoli (quanti, quanti! Forse troppi...), e ricordando dove i vari pezzi furono scritti, e le persone a cui furono dedicati, posso, meglio che in qualunque altro modo, ritracciare e ricostruire la mia vita. Poiché (e questo – mi sembra – è l’elemento più importante) la musica per me non è mai stata un’attività speculativa e astratta, ma è stata invece così intimamente connessa alla mia vita (e ai luoghi, e alle persone) che potrebbe costituire, da sola, la mia autobiografia. E in realtà queste pagine, che mi accingo a scrivere, non vogliono essere che una guida per poter meglio seguire e comprendere la mia produzione musicale. È per voi, miei figliuoli, ch’io le scrivo (Clara queste cose le sa e le ricorda meglio di me): perché possiate un giorno ripercorrere, passo per passo, la vita del vostro Babbo, che è stata veramente “una vita di musica”7 Con la sua autobiografia, da cui è tratto questo breve frammento, l’autore vuole svelare le parti della sua vita a cui i “commenti musicali” della sua produzione fanno riferimento. Essa diventa quindi un documento preziosissimo nell’analisi della sua opera, ma non solo: ci fornisce anche una conoscenza profonda e intima del pensiero (non solo dal punto di vista musicale) di un uomo eccezionale, che nonostante tutto ciò che ha passato è rimasto, fino all’ultimo, pieno di amore per gli uomini e per la sua Patria che gli ha voltato le spalle. Emblematiche, per quanto riguarda quest’ultimo punto, sono le parole di Luigi Dallapiccola, amico di Castelnuovo-Tedesco, scritte poco dopo l’annuncio della morte del compositore, e riferite ai giorni precedenti il suo “esodo” dall’Italia: Era stato in viaggio con i suoi due figli […]: aveva voluto che visitassero alcune località della Toscana e che vedessero l’Umbria. Voleva che vedessero Barna da Siena e Piero della Francesca e che, da lontano, non dimenticassero il loro Paese per quello che di più autentico e di insostituibile aveva dato al mondo. Voleva, in una parola, che i suoi figli conservassero nelle loro pupille l’immagine della vera Italia, di quella vera Italia che continuava ad esistere, nonostante le brutalità di quei 7
Mario Castelnuovo-Tedesco, op. cit., pp. 43-44.
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tempi; triste preludio di altre brutalità. Così l’uomo scomparso recentemente, l’uomo innamorato della cultura dava l’addio alla sua Firenze nel 1939 e si avviava verso l’esilio. Non una parola di rancore gli sentii pronunciare. Egli era capace soltanto d’amore.8 Da queste parole sembra emergere una figura di grande peso, non soltanto intellettuale e artistico ma anche umano, e questa supposizione trova piena conferma sia dagli innumerevoli rapporti di amicizia che riuscì a intrattenere nel corso della sua vita (amicizie che, come quelle con Toscanini e Heifetz, furono fondamentali per la sua sopravvivenza9), sia dalla sua autobiografia, ricca di passaggi che lasciano abbagliati per la profondità dell’uomo che li ha scritti. L’uomo Castelnuovo-Tedesco è un uomo che non smette mai di credere nel prossimo né di amarlo, è un uomo che nelle avversità non abbassa mai la testa, è un uomo come pochi ne rimangono, ormai. Ripercorrendo nella sua memoria gli anni del fascismo e della fuga dall’Italia alla volta degli Stati Uniti, il compositore scrive queste toccanti parole: Eppure, se torno col pensiero a quella dura esperienza, devo esser grato al destino, che (portandomi in un paese nobile, generoso, ospitale) mi ha permesso di continuare nel mio lavoro e di dare ai miei figliuoli un’educazione sana, libera e giusta: devo benedire la sorte, che (tenendomi lontano dagli orrori della guerra, dalle crudeltà delle persecuzioni, dalle follie degli animi esasperati) mi ha concesso il più grande privilegio che possa toccare ad un essere umano: quello di non odiare. Per capire meglio ciò di cui si parlerà più avanti, è fondamentale avere come minimo qualche riferimento biografico: partiamo quindi dalla vita.
Luigi Dallapiccola, In memory of Mario Castelnuovo-Tedesco , in “the composer and conductor” , 9/6, maggio 1968, p.3 8
9 Heifetz
e Toscanini aiutarono Castelnuovo-Tedesco nella sua fuga dall’Italia, vedere capitolo 3.
5 1.
La vita
Mario Castelnuovo-Tedesco nacque a Firenze il 3 Aprile 1895 da una ricca famiglia ebraica. Trascorse la maggior parte della sua infanzia in modo felice e tranquillo tra il centro di Firenze, dove risiedeva, e la villa di campagna a Giramonte, mentre d’estate soleva trascorrere qualche giorno a Marina di Pisa (luogo prediletto da Gabriele D’Annunzio, che su una spiaggia della città ambienterà “Meriggio”). La sua vastissima cultura, di stampo principalmente umanistico, e il suo amore per le arti sembrano le caratteristiche del perfetto fiorentino; abbiamo già visto, citando qualche titolo, come l’enorme cultura che si va formando in questi anni influenzerà la sua produzione: soltanto un uomo dotato di tale cultura potrebbe infatti musicare una rosa di autori così varia come quella musicata da Mario Castelnuovo-Tedesco nel corso della sua vita: Eschilo, Orazio, Dante, Cavalcanti, Machiavelli, Alfieri, Leopardi, Palazzeschi, Pirandello, Vogelweide, Shakespeare, Shelley, Keats, Wilde, Cervantes, Jimenez, Lorca, per citarne alcuni.10 I suoi primi approcci al pianoforte avvennero nel 1904, quando sua madre decise di dargli le prime lezioni (ella era, infatti, una pianista di buon livello). Il talento del giovane Mario si mostrò fin da subito e, dopo un periodo di lezioni private, iniziò a studiare in conservatorio, arrivando al diploma in pianoforte nel 1914 e in composizione nel 1918. La parte più importante della sua formazione come compositore è dovuta al maestro Ildebrando Pizzetti, col quale egli tenne buoni rapporti per moltissimi anni a venire, fino all’ “incidente” del Mercante di Venezia (1958), di cui parleremo più avanti11. Frequentando i gruppi di amicizie del suo maestro, Castelnuovo-
Ildebrando Pizzetti
Tedesco si fece notare dal pianista e compositore Alfredo Casella, fondatore della “Società Nazionale di Musica”, il quale inserì nei suoi programmi da concerto alcuni Dice Clara, moglie di Mario: “Easily conversant in more than a half dozen languages, he was intimately acquainted with all the major works of literature in their original languages: Greek, Hebrew, Latin, Italian, Spanish, French, English, and German” 10
“C onversatore fluido in più di una mezza dozzina di lingue, conosceva intimamente le più importanti opere della letteratura nelle loro lingue originali: Greco, Ebraico, Latino, Italiano, Spagnolo, Francese, Inglese e Tedesco” La Sua Fede, Clara Castelnuovo-Tedesco, interviewed by Rebecca Andrade 11 Vedere
capitolo 4.1.2
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brani del giovane compositore fiorentino, contribuendo a farlo conoscere in Italia e in Europa. La composizione che, ironicamente, gli procurò maggior fama fu l’inno Fuori i Barbari! , su testo del fratello Ugo (che, durante gli anni precedenti la Grande
Guerra, era schierato dalla parte interventista), composta nel 1915: “ironicamente” perché il giovane Mario non si lasciava facilmente infervorare dai sogni di guerra e, anzi, non partecipò neanche alla Prima Guerra Mondiale: verrà congedato per una forma di grave pleurite. Questa composizione infiammò gli animi e generò parecchio entusiasmo, tanto da andare incontro a un destino molto particolare: durante l’impresa fiumana di Gabriele d’Annunzio, quest’ultimo rimaneggiò l’inno (cambiandone le parole) trasformandolo nell’inno di Fiume liberata. E’ in questi anni che Castelnuovo-Tedesco cominciò a lavorare come critico musicale per diverse riviste, recensendo una sezione molto vasta ma soprattutto varia della scena musicale del tempo (a testimonianza dell’interesse del compositore per ogni forma di musica contemporanea). Tra il ’20 e il ’23, in occasione del Concorso Lirico indetto dalla Direzione Generale delle Belle Arti, Castelnuovo-Tedesco lavorò alla stesura dell’opera Mandragola , basata sulla omonima commedia di Machiavelli. La scelta del soggetto, dopo qualche esitazione, cadde su tale commedia per il “bel parlare fiorentino, schietto e sonante come una moneta di zecchino”12 di Niccolò Machiavelli. L’opera nel 1925 si aggiudicò la vittoria del Concorso, con premio la rappresentazione al teatro La Fenice di Venezia. Della fine degli anni venti sono tre tra le amicizie che segnarono la vita di Castelnuovo Tedesco: Heifetz, Segovia e Toscanini. Il primo incontro con il violinista ebreo Jascha Heifetz, di origini russe ma naturalizzato americano, avvenne nel ’28 (Heifetz stava già portando in giro il Concerto Italiano di Castelnuovo-Tedesco); è di pochi anni dopo (1931) la prima composizione di C.T. dedicata a lui, ed è dello stesso anno la seconda: il bellissimo “concerto ebreo” 13 i Profeti. 12 “In fondo, dietro a tutte queste incertezze, c’era il fatto che ero innamorato della mia Firenze, e che desideravo scrivere un’opera fiorentina! Ma non volevo un fiorentinismo di seconda mano, […] Desideravo, come ho detto, qualche cosa di autentico; ma, se la novellistica era ricca, il teatro italiano classico offriva ben poco. Se non che, cercando tra le commedie del nostro Rinascimento, lessi La Mandragola del Machiavelli, e non ebbi esitazioni: capii che era proprio quello che faceva al caso mio.”, Mario Castelnuovo Tedesco, op. cit ., p. 148 13 “Mentre nel Concerto Italiano avevo cercato di esprimere l’elemento latino della mia cultura, del mio ambiente, della civiltà in mezzo alla quale ero nato e cresciuto, nel nuovo Concerto avrei desiderato esprimere l’altro lato (più riposto e lontano, ma non meno importante) della mia personalità, l’elemento ebraico.”, Mario Castelnuovo Tedesco, op. cit ., p. 230.
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Al Festival Internazionale di Venezia del 1932, il compositore eseguì personalmente il suo nuovo Quintetto in Fa (per pianoforte e quartetto d’archi); in tale occasione egli incontrò Andrés Segovia, chitarrista spagnolo di chiarissima fama (non è il primo incontro, a dire il vero, ma è quello significativo, in quanto verrà seguito da un breve scambio epistolare che porterà alle prime composizioni chitarristiche di C.T.), per il quale compose pochissimo tempo dopo le Variations à travers les siècles e, l’anno successivo, la Sonata omaggio a Boccherini , uno dei suoi capolavori per chitarra. Nel 1933 arriva a C.T. una lettera dall’amico Nino Rota (noto compositore di musica da film, conosciuto in particolare per le colonne sonore dei film di Federico Fellini) con una notizia incredibile: egli ha visto la partitura de I profeti sul leggio di Arturo Toscanini, uno dei più grandi direttori d’orchestra mai vissuti. C.T. inizialmente attribuì il fatto alla curiosità del direttore, ma poco tempo dopo, con una seconda lettera (questa volta dall’editore Ricordi) si chiarirono tutti i dubbi: ad aprile il concerto sarà “battezzato” (rappresentato per la prima volta) da Heifetz e Toscanini, con la New York Philarmonic Orchestra. Non passò molto prima dell’incontro tra i due: è il Febbraio del ’33, inizio di un’amicizia che salverà a Castelnuovo-Tedesco la vita. La vicenda della fuga dall’Italia (e il ruolo che ne ebbero le figure di Heifetz, Segovia e Toscanini) verrà analizzata nel capitolo 3, per ora ci limitiamo a dire che il 13 luglio 1939 Castelnuovo-Tedesco si trovava sulla nave Saturnia alla volta degli Stati Uniti d’America.
Foto della Nave Saturnia
Dal punto di vista biografico sugli anni americani non c’è molto da dire. Il compositore venne molto apprezzato per le sue abilità, ma a causa delle sue origini ebraiche e italiane non verrà mai completamente accettato dalla sua nuova patria, mentre verrà guardato di cattivo occhio da quella vecchia: egli rimarrà sempre “sospeso tra due mondi”, venendo chiamato “l’Italiano” dagli Americani, e “l’Americano” dagli Italiani. Nel 1940 iniziò a lavorare nel campo della cinematografia, venendo assunto dalla Metro-Goldwyn-Mayer, e si trasferì da New York (dove aveva una sistemazione temporanea) a Beverly Hills. Per la MGM egli musicò circa 600 scene per una sessantina film, senza che gliene venisse attribuita neanche una. Il contratto scadde nel ’43, e da quel momento in poi CastelnuovoTedesco (a cui non era piaciuto affatto l’ambiente degli studios ) lavorerà come insegnante di armonia (nella lunga lista di suoi allievi compaiono nomi come quello
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di John Williams) e come compositore indipendente per varie case produttrici, assicurandosi degli introiti economici sufficienti per vivere bene. Nell’ambiente di Los Angeles Castelnuovo-Tedesco si trovò a conoscere moltissimi musicisti europei emigrati; per fare qualche nome: Horowitz, Tansman, Schönberg, Stravinsky. Nel 1948 gli venne offerta la direzione del Conservatorio di Napoli: il 28 Maggio Mario Castelnuovo-Tedesco approdò nella città campana, in mezzo a enormi festeggiamenti. Il destino del compositore era però ormai segnato: il figlio Lorenzo, 10 anni dopo essersi salvato da una grave poliomelite, si ammalò di nuovo gravemente di Meningite. C.T. lo vide come un segno del destino, perciò, dopo un rapido giro per i luoghi a lui cari, tornò negli Stati Uniti (dove rimase fino alla morte, eccezion fatta per qualche soggiorno in Italia). Nel 1955 Il circolo della stampa di Milano, con il patrocinio del Teatro alla Scala, bandì il “Concorso Campari” per un’opera in tre atti. E’ così che nasce Il Mercante di Venezia , a cui nel 1958 venne assegnato il primo premio (che doveva essere una
rappresentazione al Teatro alla Scala). Sulle vicende che riguardano quest’opera ritorneremo nel corso dell’analisi del XX Capricho de Goya 14 . La produzione degli ultimi anni è meno copiosa, e vede come protagonista la chitarra, vista dal compositore come uno strumento intimo e sensibile, come la voce della sua stessa anima. Sono di questo periodo, per esempio, Escarraman, Divan of Moses-IbnEzra, le Guitares bien tempérées (con riferimento al Clavicembalo ben temperato di J.S. Bach), gli appena citati Caprichos de Goya, Platero y yo. A testimonianza della fama che ormai, in fin di vita, aveva ottenuto, Il 12 marzo 1968 C.T. scrisse all’amico Angelo Gilardino: Per il mio compleanno (il 3 aprile) un gruppo di allievi dell’Università di California (dove io non ho mai insegnato!) prepara un concerto tutto di musica mia. Mario Castelnuovo-Tedesco non ebbe però la fortuna di essere presente. Morì a Beverly Hills 4 giorni dopo aver scritto queste parole, il 16 Marzo 1968. Sulla sua scrivania l’incompiuta opera 210: gli Appunti , commissionata da Ruggero Chiesa e destinata a diventare opera didattica per i giovani studenti di chitarra.
14 Vedere
capitolo 4.1.2
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2. L’infinito op. 22 15 “La poesia è una musica silenziosa, e la musica una poesia muta”. Questo motto di un poeta del XVII secolo, è, a parer mio, qualcosa di più di una bella antitesi, e contiene un senso profondo: quando sentiamo recitare una poesia, tace la musica che in essa si nasconde. Quando invece ascoltiamo una musica, tace la poesia che essa a sua volta cela in sé. Solo nell’unione delle due […] esse si completano e si illuminano reciprocamente, e solo allora la musica parla per la poesia e la poesia per la musica. Queste sono le parole con cui Haus-Heinrich Unger, in Musica e retorica fra XVI e XVIII secolo , mette in luce il legame insito tra musica e poesia.
Tralasciando per un momento l’impersonalità della scrittura (che pure è dovuta in questo tipo di lavoro), mi sembra necessario fare qualche considerazione introduttiva del tutto personale. Fino a qualche anno fa non mi era molto chiaro il legame tra musica e poesia, ma poi, l’anno scorso, ho avuto la fortuna di frequentare, in Conservatorio, un corso di Analisi delle forme compositive incentrato sulla retorica in musica: ho scoperto tutta una serie di incredibili corrispondenze che mai avrei potuto immaginare. E’ per questo che ascoltando per la prima volta L’Infinito di Mario CastelnuovoTedesco (per pianoforte e voce) ne sono rimasto completamente affascinato. Ciò che seguirà non sarà né una dettagliata analisi poetica né una dettagliata analisi musicale, ma sarà invece una breve analisi dell’intimo collegamento tra la poesia di Leopardi e la musica creata da Castelnuovo-Tedesco, incentrata sulle emozioni e sensazioni leopardiane che vengono amplificate dalla musica e le modalità con cui questo viene fatto.16 Il tutto, frutto della mia personale sensibilità (e quindi, in alcuni punti, del tutto soggettivo), rimarrà comunque sempre semplice e comprensibile a chiunque non abbia alcuna formazione di tipo musicale. Nel 1819, anno della sua grande crisi, Giacomo Leopardi scriveva forse il più noto dei suoi componimenti, L’infinito : 15 L’unica 16 Una
registrazione fatta bene che ho trovato è questa: https://www.youtube.com/watch?v=0bAi3voEPY8
dettagliata analisi armonica sarebbe, oltre che inutile e insensata vista la destinazione di questo elaborato, impossibile, dato che purtroppo non sono riuscito a reperire la partitura del brano.
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Sempre caro mi fu quest'ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l'eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s'annega il pensier mio: E il naufragar m'è dolce in questo mare.
Ogni manuale scolastico, parlando di questo componimento, inizia col citare la Teoria del Piacere e la poetica del Vago e indefinito : per proseguire correttamente è
necessario chiarire brevemente questi punti. Nello Zibaldone, diario (o meglio, collezione di appunti) di Giacomo Leopardi, il poeta scrive: L’anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere […]. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perché ingenita o congenita coll’esistenza, e perciò non può avere fine in questo o quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita. […] Il fatto è che quando l’anima desidera una cosa piacevole, desidera la soddisfazione di un suo desiderio infinito, desidera veramente il
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piacere, e non un tal piacere […]. E perciò tutti i piaceri debbono esser misti di dispiacere, come proviamo, perché l’anima nell’ottenerli cerca avidamente quello che non può trovare, cioè una infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desiderio illimitato. […] Indipendentemente dal desiderio del piacere, esiste nell’uomo una facoltà immaginativa, la quale può concepire le cose che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono. Considerando la tendenza innata dell’uomo al piacere, è naturale che la facoltà immaginativa faccia una delle sue principali occupazioni della immaginazione del piacere. E stante la detta proprietà di questa forza immaginativa, ella può figurarsi dei piaceri che non esistano, e figurarseli infiniti: 1. in numero, 2. in durata, 3. in estensione. Il piacere infinito che non si può trovare nella realtà, si trova così nell’immaginazione […] Essenzialmente ciò che Leopardi dice è che l’uomo è destinato all’infelicità perché per sua natura tende ad un piacere infinito, il piacere, che però non può ottenere dalla realtà che è invece finita. Ma ciò che la realtà non può darci, ci viene dato dall’immaginazione, che invece è libera di spaziare nell’infinito, regalandoci un assaggio del piacere infinito; ma il piacere non è veramente ottenibile, le nostre sono soltanto illusioni, perciò al piacere si mischia sempre anche un elemento di dispiacere, di malinconia. Il passo successivo è il seguente: che cosa spinge l’immaginazione a volgersi all’infinito? Secondo Leopardi, tutto ciò che è Vago e Indefinito : un suono in lontananza, la visione di un paesaggio interrotta da un ostacolo, un evento passato richiamato alla memoria e dunque da essa filtrato, ecc.
Bene, ora parliamo di musica. Il suggerimento è quello di ascoltare il brano leggendo le righe seguenti. Castelnuovo-Tedesco inizia il brano con due accordi che sembrano dire “caro ascoltatore, ti sto per presentare la mia idea di infinito”: infatti egli con il primo dei
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due crea un contesto particolarmente ricco di indefinitezza, mentre con il secondo, che si allarga sulla tastiera contemporaneamente a suoni più gravi e più acuti, lascia un senso di immensità e contemplazione dell’infinito: questo “contrasto” (anche se di contrasto vero e proprio non si può parlare, dato che da tale contrasto nasce completezza) continuerà ad essere sfruttato per tutto il brano. Il resto dell’introduzione continua a rappresentare perfettamente la poetica del Vago e Indefinito: la successione di accordi al pianoforte, senza voce, crea un senso di instabilità, di assenza di punti di appoggio. Una volta entrata la voce ci rendiamo conto di quanto nella musica di CastelnuovoTedesco sia davvero evidente l’aspetto descrittivo di cui si parlava nell’introduzione. Vediamo cosa succede: • Sempre […] esclude : ai primi tre versi viene associata una musica piena e avvolgente, dolce ma con una sottesa malinconia. Ascoltando più attentamente ci si rende conto della sua semplicità, che però non è mai scontata e mai fallisce nell’impatto emozionale che crea. Dal passaggio tra secondo e terzo verso ci si rende conto come le frasi musicali rispettino gli enjambement: la musica non si ferma a fine verso, ma continua seguendo l’articolarsi del fluire di pensieri leopardiano (e così avverrà per tutto il brano). • Ma sedendo […] silenzi : “mirando” ha qui il significato di osservare con gli occhi
dell’immaginazione; secondo quanto abbiamo già detto sul pensiero di Leopardi, non è difficile da capire, quindi, come mai questa immaginazione di “interminati spazi” sia portata in musica con dolcezza da Castelnuovo-Tedesco. • e profondissima […] spaura : ma Leopardi dice anche che in ogni piacere umano
deve per forza essere presente una parte di inquietudine, di malinconia, e questo viene fuori nella lentissima e inquietante espressione “profondissima quiete”, che irrompe dopo il silenzio musicale mimetico rispetto all’espressione poetica precedente. Ma in questa prima sezione della poesia non ci avviamo verso una conclusione felice, anzi, “per poco il cor non si spaura”, non si smarrisce; qui sta la genialità di Castelnuovo-Tedesco, che con un salto discendente che è tra i più comuni della nostra musica occidentale (una 3a maggiore, la componente fondamentale di praticamente ogni accordo) riesce, grazie all’armonia che ci mette sotto, a creare un senso di sgomento incredibile proprio sulla parola spaura . • E come […] piante : qui prende vita un altro processo mimetico davvero ben
riuscito, ovvero la rappresentazione in musica del vento che passa attraverso le
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foglie, che sembra davvero uscire con violenza dalle note del trillo che viene eseguito dal pianoforte. Questo processo è anche l’inizio di un climax espressivo che sembra fermarsi a “infinito”, ma che in realtà culminerà nei versi successivi, prima di calmarsi per avviare il brano alla conclusione. • quello infinito […] lei : il crescendo creato dal vento sfocia con violenza in uno
slancio quasi titanico verso l’infinito, creato da un salto vocale carico di enorme espressività, ma, come abbiamo appena detto, il climax non è ancora giunto al suo culmine, e il processo di carica espressiva continua a riproporsi in un crescendo sempre più esasperato: prima su voce , poi su eterno , morte stagioni , viva … una volta giunti a il suon di lei però la situazione si sta già calmando
avviandosi verso la conclusione: l’atmosfera sta mutando, la musica sta tornando dolce, l’animo si sta di nuovo acquietando: l’uomo sta per immergersi nell’immensità per trovare il piacere che sta tanto cercando. • Così tra questa immensità : Il clima è ormai diventato dolce, il piacere sembra
essere finalmente quasi raggiunto: il pianoforte compie delle figurazioni che creano allo stesso gioia e quiete, ma anche soddisfazione di essere giunti alla fine di un percorso tormentato e in alcuni punti quasi violento (anche se pur sempre ricco di piacere). • s’annega il pensier mio : ma come abbiamo già detto, al piacere è sempre sottesa
malinconia, che non può mancare: la melodia che Castelnuovo-Tedesco crea per annega sembra preludere a qualcosa di brutto, anche se comunque il clima
rimane complessivamente dolce. In effetti dopo mio troviamo una breve pausa, come una specie di presagio, che porta verso la conclusione. • e il naufragar […] mare : ecco che arriva ciò che veniva presagito dal passaggio
precedente: nella melodia vocale di naufragar sfocia tutta l’inquietudine di cui si è parlato in precedenza. Ma ciò, come dice Leopardi, non vuol dire che non vi sia dolcezza nel naufragio, infatti subito dopo si ritorna in un clima di contemplazione dell’immensità, testimoniato dall’ultimo slancio verso l’infinito su mare; questo slancio è però molto diverso dagli altri: è molto più calmo, più rassegnato e meno titanico, ma soprattutto il suo leggero diminuendo(che poi verrà ripreso dal finale di pianoforte) sembra proprio rappresentare l’affondare nel mare (dell’immensità) e il perdere di se stessi nel processo. Dopo quest’analisi dettagliata della poesia in musica, possiamo infine notare la relazione presente anche nella struttura dei due Infiniti : L’infinito di Leopardi è diviso
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in due parti da sette versi e mezzo, ognuna delle quali è ulteriormente divisa in altre due parti: queste divisioni sono evidenziate dalla musica, infatti a ogni punto fermo corrisponde un intermezzo musicale; a ogni virgola, punto e virgola e due punti corrispondono invece pause più o meno lunghe (dal respiro a una vera e propria pausa). In conclusione, c’è da dire che la registrazione allegata è l’unica esistente di questo capolavoro. E’ davvero un peccato che brani di tale bellezza e genialità vengano perduti nell’enormità della storia della musica, perciò è anche compito di tutti noi diffonderli il più possibile. Sebbene non tutti capiscano i processi che stanno dietro alla musica, non è assolutamente vero che non tutti possano apprezzare la musica stessa e l’intima comunione che ha con la poesia. E’ di una persona non particolarmente esperta di musica, ma certamente di letteratura, questo commento all’ infinito op. 22 : “Anche senza testo si sentirebbe che è L’infinito , in ogni sua parte, Lo si vede, lo si percepisce.”17
17 E’
il commento, del tutto informale, di una cara amica, Elisa Becce.
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3. Exodus Mario Castelnuovo-Tedesco, come tantissimi altri, ebbe una sfortuna: essere ebreo nel periodo sbagliato della storia europea. Tracciando la storia di quello che lui stesso, nella sua autobiografia, definisce exodus, si possono ritrovare i sentimenti, le paure, le indecisioni che erano caratteristiche di tutti coloro che furono colpiti dalle leggi razziali. Per fortuna però, grazie alla sua intelligenza, alla sua determinazione e alle sue amicizie (e ovviamente anche grazie all’importanza che la sua figura di musicista gli donava), egli ebbe occasione di evitarsi i veri orrori della seconda guerra mondiale18, fuggendo dall’Italia nel 1939. Durante l’estate nel 1938, quando già la situazione in Italia si stava facendo difficile, Mario Castelnuovo-Tedesco decise di mandare suo figlio Pietro (il primogenito) in un collegio estivo in Svizzera. Fu sulla via del ritorno che agli inizi di settembre, a Milano, il compositore scoprì delle prime leggi Razziali: Quando, sulla via del ritorno, ci fermammo a Milano (era il 2 settembre 1938) leggemmo lì, sui giornali, la prima delle cosiddette leggi razziali: era contro i ragazzi!, era quella che vietava ai fanciulli ebrei di frequentare le scuole pubbliche, e ne faceva, fin dall’infanzia, dei paria, dei fuorilegge! Neanche in Germania si era cominciato così! E fu un colpo terribile: qualunque cosa avrei potuto sopportare, la fine della mia attività professionale, l’esproprio dei beni, ma non questo! Rivedo ancora l’espressione disperata sul volto di Pietro quando lesse “la condanna”, e, se c’è una cosa che non posso perdonare al Fascismo, è proprio questo dolore muto, chiuso, profondo che lessi sulla faccia del mio bambino. 19 Appena tornato a Firenze la decisione fu presa: non restava che partire; dove andare? Dopo aver considerato varie possibilità (tra cui la Palestina) alla fine la scelta ricadde sugli Stati Uniti d’America. Una volta decisa la meta, CastelnuovoTedesco (che come dicevo prima, attuò una serie di manovre molto intelligenti per riuscire ad andarsene) si attivò per ottenere tutto il necessario per partire:
18 Vedere 19 Mario
p. 4
Castelnuovo-Tedesco, op. cit. p. 302
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Non volevo scrivere dall’Italia, perché la corrispondenza allora era censurata e non volevo render noti, prima del tempo, i miei progetti. Andai dunque a Lugano, dove risiedeva allora un’amica fidata, Gisella Seldes-Goth, e, dopo essermi consultato con lei, scrissi di là tre lettere: una a Toscanini, una a Heifetz ed una a Spalding20, esponendo semplicemente la situazione e le ragioni che ci avevano indotto all’espatrio; pregandoli di trovarmi qualche lavoro musicale in America; per pregarli infine di procurare, per me e per la mia famiglia, un “affidavit”, cioè quella specie di garanzia che il governo americano richiede da qualche cittadino statunitense prima di permettere l’immigrazione degli stranieri.21 Subito gli amici di Castelnuovo-Tedesco si mossero per aiutarlo: in breve tempo gli fu trovato un lavoro nell’industria cinematografica e l’affidavit (che richiese un po’ più di tempo) arrivò.22 Con l’affidavit il compositore si recò, felice, al consolato americano di Napoli, ma ottenne subito una grande delusione: scoprì che in quel periodo il governo italiano stava rifiutando a tutti il permesso di espatrio, figuriamoci quindi cosa avrebbe fatto con un ebreo! Nessuno si stupì quando, da Roma, arrivò il rifiuto dal governo. E allora cominciò la mia via crucis: non so dire quante gite feci a Roma, a quante porte bussai sempre invano! Ma non mi arresi: e finalmente, con l’aiuto di un amico musicista, che, per ragioni d’ufficio, aveva facile accesso nelle alte gerarchie, ottenni il sospirato permesso! Mi fu recapitato il 3 aprile 1939, proprio il giorno del mio compleanno! E dissi subito che questo era l’ultimo dono che ricevevo dalla Patria mia! Il permesso era valido per sei mesi; avremmo potuto quindi partire in settembre: ed era grande la tentazione di rimanere qualche mese di più vicino ai miei genitori, di passare un’altra estate a Usigliano! Ma non me ne fidai. Dissi a Clara: “Durante l’estate i dittatori perdon sempre la
20 Albert
Spalding, violinista e compositore statunitense.
21 Mario
Castelnuovo-Tedesco, op. cit. p. 303
22 Castelnuovo-Tedesco,
nel suo racconto dell’exodus , spiega come (una volta tornato in italia) l’affidavit non fu mai menzionato nelle lettere che inviava oltreoceano: lui e Heifetz utilizzavano un sorta di linguaggio cifrato, facendo finta di parlare di musica ed editori.
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testa: meglio partire al più presto!” (Difatti ai primi di settembre la Polonia fu invasa, e scoppiò la seconda guerra mondiale)23 Le pagine di Una vita di musica in cui il compositore racconta i preparativi e l’espatrio sono davvero un capolavoro: l’eccellente conoscenza che CastelnuovoTedesco aveva della lingua italiana gli permise di immortalare le emozioni dell’espatrio in delle pagine che sono davvero commoventi. Una riscrittura servirebbe soltanto a rovinare l’emozione di quei passi; lasciamo la parola a lui: Io, dal canto mio, feci il pellegrinaggio ai miei “luoghi santi”. Andai, per primo, a Usigliano, Guardando la campagna toscana lì salutai, uno ad uno, i miei cari cipressi, accarezzandone i tronchi. [...] L’ultima visita fu a Giramonte, dove andai a salutare i miei Genitori (in apparenza calmi): per illudere me e loro, avevo perfino preso il biglietto di andata e ritorno, e promisi che sarei tornato. Ma, alla fine, quante lagrime! Feci, singhiozzando, la stradina incassata tra i muri, e giunto alla svolta del Viale dei Colli guardai di lassù, per l’ultima volta, la mia Firenze. […] Quel che provai in quel momento non lo saprei ridire; e chi non conosce l’amarezza dell’espatrio non la può immaginare. Non si può parlare di dolore, di rimpianto, di sofferenza morale: fu quasi uno strazio fisico, uno strappo, una mutilazione! (mi parve la prova generale della morte); e da allora qualche cosa è definitivamente morta in me: non la speranza, ma l’illusione; e se qualche cosa mi ha tenuto in vita è stato l’amore per i miei cari e l’amore per la musica.24
23 Mario
Castelnuovo-Tedesco, op. cit., p. 304
24 Mario
Castelnuovo-Tedesco, op. cit., p. 306-307
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4. I legami con la Spagna e Los Caprichos de Goya Ascoltando la sua musica o anche solo dando un’occhiata al catalogo delle sue opere degli ultimi anni, è molto semplice intuire che ci siano forti legami tra Castelnuovo-Tedesco e la Spagna. Molte sono le opere che con essa hanno a che fare (le elencheremo tra poco), ma anche in opere che, almeno in via del tutto teorica, non dovrebbero aver nulla a che fare con la Spagna, le sue sonorità ritornano in continuazione25 (che il compositore ne sia consapevole o meno: probabilmente, nel corso del tempo, diventarono così insite nella sua “cassetta degli attrezzi” da compositore che venivano fuori spontaneamente anche quando non le ricercava); questo fenomeno è, per esempio, parecchio evidente nell’utilizzo di cromatismi (spostamenti melodici privi di salti, di semitoni, uno in fila all’altro). Ma da dove derivano tali influenze? La risposta non è molto semplice e può essere affrontata sotto vari aspetti: Lorenzo, il figlio del compositore e dedicatario dell’opera26 , crede che Castelnuovo-Tedesco abbia avuto il primo contatto con la Spagna e la sua arte quando durante l’adolescenza vi fece un viaggio in compagnia dei nonni. Fu allora che visitò il museo del Prado dove sono esposte molte opere di Goya. 27 Ma questa risposta è certamente riduttiva. Altro aspetto che va fatto notare in è quello genealogico: Il cognome “Castelnuovo-Tedesco”, infatti, deriva dall’antico cognome Spagnolo Castilla Nueva , italianizzato Castelnuovo dopo il trasferimento della famiglia in Toscana a cavallo tra ‘400 e ‘500 (Tedesco fu aggiunto dal nonno del compositore come riconoscenza per un’eredità ricevuta da una famiglia di tale nome).
Suggerisco di riascoltare con attenzione L’infinito , alcune influenze spagnole sono a parer mio decisamente percepibili. 25
26 27
Los Caprichos de Goya.
I 24 Caprichos de Goya per Chitarra op. 195 di Mario Castelnuovo-Tedesco e il loro rapporto con le incisioni di Goya , Lily Afshar, il Fronimo nn. 73-74
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Farei infine notare che, a parer mio, un’influenza decisiva su Castelnuovo-Tedesco nacque dalla sua enorme cultura. Egli (che come già abbiamo ricordato era un abile conversatore in spagnolo) conosceva a fondo l’arte Europea, e con essa quella spagnola (lo testimoniano le opere da lui musicate): sicuramente nel suo incontro con la cultura del più importante paese iberico deve essere scattato qualcosa che l’ha fatto innamorare di esso. Forse le sue antiche origini? Ma vediamo dunque di fare un elenco delle più importanti opere “spagnole”: • Romancero Gitano (1951), raccolta di 7 poesie tratte dal Poema del Cante jondo
(1921) di Federico García Lorca per chitarra e quartetto vocale. • Escarramán (1955), suite per chitarra sola ispirata agli Ocho entremeses di Miguel
de Cervantes (1615), divisa in 6 parti. • Platero y Yo (1960), raccolta di 28 poemetti per chitarra e voce recitante, tratti
dall’omonima opera del premio Nobel Juan Ramón Jiménez (scritta nel 1914). L’opera è divisa in 4 volumi da 7 poemetti ciascuno e la bellezza della musica è tale che viene eseguita tranquillamente in concerto anche senza la voce recitante. • Los Caprichos de Goya (1961), di cui tratteremo nel seguente paragrafo.
Non deve stupire che tutte e quattro le opere citate includano la chitarra, strumento tipicamente spagnolo.
4.1 Los Caprichos de Goya op. 195 28 Los Caprichos de Goya , ispirati alle note stampe satiriche dell’artista spagnolo
Francisco José de Goya y Lucientes29, sono indubbiamente uno dei più grandi capolavori per chitarra classica di Mario Castelnuovo-Tedesco. Il monumentale lavoro che Castelnuovo-Tedesco fece tra il 25 gennaio e il 18 marzo 1961 (nonostante la malattia cardiaca che ormai faceva sentire i suoi effetti, la composizione fu completata in tempi brevissimi, con una pausa di 2/3 giorni tra un
28
Su youtube, Spotify, Itunes ecc. è presente l’intera opera registrata da Zoran Dukic.
29 Pittore
spagnolo vissuto tra il 1746 e il 1828.
20
brano e l’altro, in accordo con le sue consuete tempistiche) consiste nella re-interpretazione musicale di 24 tra gli 80 capricci di Goya30. Los Caprichos de Goya, pubblicati
soltanto nel 1970 (2 anni dopo la morte del compositore) dopo la revisione di Angelo Gilardino, sebbene consistano in 24 brani separati l’uno dall’altro, erano stati scritti come un’opera unitaria, con l’idea di essere poi registrati integralmente da Andrés Segovia e pubblicati in due LP: non stupisce quindi che la struttura sia in un certo senso circolare, con una ripresa del tema iniziale alla fine del ventiquattresimo capriccio. Ma quindi, se l’opera era destinata a Segovia, come mai fu pubblicata così tardi e da un altro chitarrista? A causa di un litigio tra il Castelnuovo-Tedesco e Segovia (i cui motivi non ci sono noti), quest’ultimo non incise i pezzi, perciò il compositore dovette ripiegare sull’amico Angelo Gilardino. La mancata incisione dei brani da parte di Segovia ebbe però un fortissimo effetto negativo sui C aprichos : l’opera rimase del tutto insuonata per moltissimo tempo (anche a causa delle sua enormi difficoltà tecniche) e solo negli ultimi anni sta riprendendo piede (molto rapidamente) insieme a innumerevoli altre composizioni del musicista fiorentino. In questi anni, grazie sia al livello dei giovani concertisti che girano in Italia e nel mondo, sia all’opera di divulgazione di figure come Lorenzo Micheli (un vero esperto in materia), si sta giungendo a una riscoperta di Castelnuovo-Tedesco: ogni giorno sembra saltar fuori qualche perla rara dal catalogo delle sue opere. E sfogliandolo a fondo solo una cosa si può dire: questo è soltanto l’inizio. Ci sono ancora moltissimi brani che non sono nemmeno stati registrati: tante cose sono ancora da scoprire. Si potrebbe parlare per pagine e pagine di tutti i capricci, ma purtroppo non è lo scopo di questo elaborato. Ciò che faremo è parlare molto brevemente di due 30 Anche
se in realtà l’ultima opera di Goya musicata da Castelnuovo-Tedesco, El sueno de la mentira y la incostancia , anche se affine alle tematiche dei capricci, non fa parte della serie di stampe.
21
capricci in particolare, il XVIII, El sueno de la razón produce monstruos , e il XX, Obsequio al maestro. La scelta di questi due capricci non è casuale: il primo (tra le più famose stampe di Goya) è certamente uno dei meglio riusciti tra i 24 caprichos , mentre il secondo (anch’esso bellissimo) nasconde un retroscena interessante che finalmente potremo andare a spiegare: quello del premio Campari del 1958.
4.1.1
XVIII -
El sueno de la razón produce monstruos
Questo capriccio, diciottesimo nella serie di Castelnuovo-Tedesco e quarantatreesimo in quella di Goya, viene così descritto dal pittore stesso: L’immaginazione, abbandonata dalla ragione, produce mostri incredibili; unita con essa però, è madre delle arti e fonte delle loro meraviglie. Nella stampa di Goya vediamo un uomo, abbandonato al suddetto “sonno della ragione”, assalito dai mostri della superstizione: pipistrelli, gufi, un enorme gatto. Il pittore sta cercando di diffondere lo spirito illuministico all’interno di una società che egli vede persa nella superstizione. Il capricho di Castelnuovo-Tedesco si configura come un tema e variazioni: dopo l’esposizione iniziale del tema (che crea un effetto molto sognante), abbiamo una serie di cinque variazioni che rappresentano il precipitare dell’uomo sempre più a fondo nel sonno della ragione; dalla terza variazione in poi abbiamo i veri e propri mostri che uno ad uno vengono fuori con violenza, in un crescendo dinamico
22
sempre più evidente31. Dopo le variazioni è però presente una coda finale, che ha un senso soltanto apparentemente scontato: essa rappresenta il risveglio dell’uomo dal sonno della ragione, ma tale risveglio è consapevole, non gli fa dimenticare ciò che ha vissuto ma anzi glielo fa integrare nella sua esperienza, arrivando a quella che Hegel chiamerebbe “sintesi” tra ragione e sonno della ragione; è proprio tale sintesi che porta alla nascita dell’arte (così come diceva lo stesso Goya). 4.1.2
XX -
Obsequio al Maestro
32
Adorazione senza fine nei confronti del loro maestro da parte delle streghe, le quali gli portano in sacrificio un neonato mentre lo ringraziano per ciò che da lui hanno imparato: questa è la stampa di Goya, una critica aspra contro la cattiva educazione, l’ignoranza e l’accettazione senza pensiero critico di tutto ciò che viene insegnato dai maestri. Negli ultimi 2 secoli moltissimi storici hanno cercato di collegare le stampe di Goya a personaggi ed eventi realmente accaduti, e questo ci fa capire una cosa: ciò che Goya ha voluto rappresentare era certamente qualcosa che a lui era molto caro e soprattutto che sentiva molto vicino. Era lo stesso per CastelnuovoTedesco? Certamente sì, infatti non a caso egli decise di costruire il suo XX capricho su una serie di citazioni da opere del suo maestro, Ildebrando Pizzetti. Le
citazioni principali sono 4 e provengono, nell’ordine da:
31 Per
sentire meglio questo effetto consiglio la versione di Pietro Locatto (presente su youtube), che concorda con me nell’interpretazione che sto dando del brano. 32
Vivamente consigliata la versione di Lorenzo Micheli, presente su youtube
23
• I Pastori (1908) • Sonata per Violino e Pianoforte (1918-1919) • Fedra, 3° atto (1909-1912) • Altra citazione dalla Sonata per Violino e Pianoforte
Per capire i motivi di queste citazioni e della struttura del brano, occorre però fare un passo indietro e capire che cosa era successo tra Mario Castelnuovo-Tedesco e Ildebrando Pizzetti tra 1958, e il 1960, alla vigilia della composizione dei caprichos. Abbiamo già detto che nel 1958 il Mercante di Venezia di Castelnuovo-Tedesco si aggiudicò il primo premio al concorso Campari bandito tre anni prima, nel 1955. Nella giuria, tra gli altri, figuravano Eugenio Montale (per il libretto) e proprio Ildebrando Pizzetti. La notizia della vittoria giunse l’11 aprile 1958 con un telegramma da parte della casa editrice Ricordi, in mezzo alle lodi di tutti; nel telegramma Pizzetti elogiava l’opera per “l’innegabile senso del teatro, [...] la coerenza stilistica, l’abbondanza di temi di vario carattere, [...] la tessitura armonica e contrappuntistica che rivela una maestria tecnica non comune”. Come abbiamo detto nel capitolo 1, il premio più importante era la rappresentazione dell’opera al Teatro alla Scala di Milano, che venne subito fissata per il 26 gennaio 1959. Fin da subito però c’è qualcosa che non quadra: il teatro sembra temporeggiare nella scelta di cast e regista, e per tre mesi non risponde alle lettere del compositore. Nel novembre del 1958, finalmente, arriva una risposta dagli organizzatori: a causa delle difficoltà incontrata, il Teatro alla Scala rinuncia alla rappresentazione nella stagione ’58-‘59; ma non si parla di rinvio, soltanto di cancellazione. La risposta di Castelnuovo-Tedesco è molto dura: Caro Francesco e caro Gianandrea33, la notizia che Il Mercante di Venezia non verrà altrimenti incluso nel cartellone della Scala per
quest’anno, com’era stato progettato, mi ha naturalmente assai addolorato, ma non sorpreso. Non sono giunto invano alla non più tenera età di 63 anni; e nulla può sorprendermi più. Forse la sola cosa in cui mi ero illuso era nel pensare che bastasse vincere un concorso in testa a 64 opere per vedere la propria opera rappresentata. Che altro 33
Organizzatori delle stagioni scaligere
24
posso dirvi? Che tutto questo mi addolora, ma non mi scoraggia: seguiterò a scrivere musica come prima (e ho finito, proprio ieri l’altro, il primo atto di Saùl ): poiché il mio compito [...] è quello di “scriver musica”: il vostro compito (quello che avete scelto) sarebbe quello di farla eseguire, se meritevole; se non lo fate, la mancanza è vostra e non è mia. 34 Ma quale fu il motivo di questa ostilità da parte della direzione artistica del teatro scaligero? Castelnuovo-Tedesco era quasi sicuro che il motivo fosse l’ostilità di Ildebrando Pizzetti, il quale era da poco diventato consulente artistico del teatro. Alla fine del 1959 il compositore decise di chiedere spiegazioni al maestro per cui aveva un tempo avuto molta stima e ammirazione (e probabilmente ancora aveva, da qui l’amara delusione per l’accaduto); la risposta fu secca: Io sono sempre stato del parere, e lo confermo, che l’opera potesse essere premiata come la migliore fra tutte quelle presentate al Concorso [...]; ma ho pur sempre pensato che i meriti dell’opera non fossero tanti e tali per cui la Commissione potesse assumere in proprio la responsabilità della sua presentazione alla Scala. 35 La risposta addolorata del compositore (alla quale non ricevette mai risposta), fu la seguente: Caro Maestro, la risposta è, press’a poco, quella che mi attendevo; ma non posso dire che il Suo ragionamento mi abbia convinto. Poiché (e penso che Ella debba essere il primo a riconoscerlo) un’opera di teatro si premia col presupposto che essa debba essere presentata in teatro, e non colla “riserva mentale” che essa debba essere richiusa in un cassetto. Se Ella pensava (e ne aveva perfettamente il diritto!) che i meriti dell’opera non fossero né tanti né tali per cui la Commissione potesse assumere in proprio la responsabilità della sua presentazione alla Scala, allora Lettera di Castelnuovo-Tedesco a Francesco Siciliani e Gianandrea Gavazzeni, in Mario CastelnuovoTedesco, op. cit., pp. 601-602. 34
35
Lettera di Ildebrando Pizzetti a Castelnuovo-Tedesco, in Mario Castelnuovo-Tedesco, op. cit., p. 603.
25
sarebbe stato più onesto e più coerente se il premio non fosse stato assegnato affatto.36 L’amarezza di Castelnuovo-Tedesco fu certamente grandissima, e questo è fondamentale per capire Obsequio al Maestro . Le citazioni di Pizzetti, infatti, si presentano (nell’ordine descritto prima) in un’atmosfera che varia tra il sereno, il cupo e il drammatico, come se volesse rappresentare il miscuglio di sentimenti presenti nel compositore nei confronti del suo maestro: ammirazione, delusione, stima, amarezza, dolore. Ma ad un certo punto, a sorpresa, la serie di citazioni viene interrotta da una sezione (“Allegretto scherzando”) in cui le parti del lamento vengono riprese scherzosamente, come se fosse una satira delle opere del maestro; questo si ripropone anche nel finale, l’ultima citazione (“Vivo e fresco” in Pizzetti, “Mosso (Allegretto scherzando) in Castelnuovo-Tedesco”), che contrasta decisamente con l’atmosfera precedente e all’ascolto (se non si conosce il retroscena) sembra davvero una conclusione beffarda, ironica, quasi incomprensibile. Ma dopo aver capito che cosa rappresenti questo brano, non è difficile coglierne il significato: le opere di Pizzetti, seppur belle, non possono essere paragonate a quelle del suo allievo, il quale prende in giro il maestro che non riesce ad ammettere, per invidia, la bravura di quello che un tempo era il suo pupillo.
36 18.
Lettera di Castelnuovo-Tedesco a Ildebrando Pizzetti, in Mario Castelnuovo-Tedesco , op. cit., p. 603.
26
Fonti: • The New Grove Dictionary of Music • Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti • Una vita di musica: un libro di ricordi, Mario Castelnuovo-Tedesco, James Westby • www.escarraman.altervista.org • Fronimo, rivista di chitarra, n. 71, 73, 74. • “Una Vita di Musica”: saggio di Lorenzo Micheli pubblicato sul Fronimo • La sua Fede , Clara Castelnuovo-Tedesco, intervistata da Rebecca Andrade Ringraziamenti: • Guido Fichtner, mio maestro di chitarra dal 2007 • Pietro Locatto, per avermi consigliato • Marco Musso, per avermi messo in contatto con Lorenzo Micheli • Lorenzo Micheli, per la sua gentilezza e il suo aiuto • Prof. Bruno Alberto Busca, per avermi consigliato nell’impostazione del lavoro • La biblioteca del Conservatorio "Guido Cantelli" di Novara, per avermi messo a disposizione i suoi mezzi per la ricerca • Luca Battioni, per i suoi consigli, e il resto della mia classe di chitarra per il supporto • Elisa Becce • Mario Castelnuovo-Tedesco, per essere stato l'uomo che è stato