853 — RENZO PIANO, RPBW A MALTA — METROPOLITANE NO FRILLS — HERZOG & DE MEURON FOOTBALL CLUB — EXTRA: AESOP
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SISTEMA POSA PAVIMENTI E RIVESTIMENTI INNOVAZIONE E TR ADIZIONE
attualità fiere
Cersaie 2015
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architettura e design protagonisti a cura di Livio Salvadori
Promossa da Confindustria Ceramica in collaborazione con BolognaFiere, Cersaie (28 settembre - 2 ottobre 2015) rappresenta la più importante vetrina mondiale del settore, con oltre 900 aziende espositrici in rappresentanza di 38 paesi. Non solo per mostrare l’eccellenza del sistema ceramico Made in Italy, ma, a fianco alle sue tradizionali funzioni di evento espositivo e momento commerciale internazionale, per sottolineare il rapporto privilegiato tra ceramica, design e architettura. Punto di forza del salone, la mostra Cer-Stile, curata da Angelo Dall’Aglio e Davide Vercelli, presenta nuovi concept di vivibilità e valorizzazione di alcuni paesaggi tipici italiani; baite, rifugi, impianti di risalita in alta montagna, vecchi arenili abbandonati vengono ripensati in una nuova veste, per dare vita a nuove possibili attività, e reinterpretati attraverso progetti di riqualificazione che ne ridefiniscono le potenzialità abitative, commerciali e funzionali. Come in un vero e proprio “Grand Tour”, il territorio italiano è raccontato tramite un percorso che si sviluppa in tre tappe, dal Padiglione Montagna al Mare, collegati attraverso un tunnel - metafora del viaggio, con le sembianze di un treno in stile Orient Express, dove i visitatori sono accompagnati dai sapori della buona cucina italiana. Nel ricco calendario di convegni ed eventi legati al mondo del costruire, segnaliamo la Lectio Magistralis tenuta da Glenn Murcutt, presentato da Francesco Dal Co (29 settembre). Premio Pritzker nel 2002, l’architetto australiano, ideatore di una architettura definita “funzionalismo ecologico”, realizza le sue opere utilizzando materiali “semplici”, che ne facilitano l’inserimento nei contesti naturali che le accolgono, evidenziando un’attenzione pionieristica alle tematiche ambientali e di sostenibilità tipiche dei giorni nostri. Presso la Galleria dell’Architettura, due importanti esponenti del panorama internazionale, il tedesco Matthias Sauerbruch e lo spagnolo Francisco Mangado, si confrontano sulla loro filosofia progettuale. A moderare l’incontro, Fulvio Irace (1 ottobre). Riflettori puntati anche sull’architetto tedesco Markus Bader (1 ottobre), del gruppo Experimental Architecture Practice di Raumlabor Berlin, laboratorio sperimentale - composto da architetti, urbanisti e artisti - che si rapporta con professionisti di altri settori, designer, registi, musicisti, etnologi e sociologi, per affrontare i problemi della riqualificazione urbana attraverso una struttura collaborativa incentrata sugli scambi con i diversi utenti e il legame sociale con i residenti delle diverse città. Uno degli appuntamenti di punta con il mondo dei giovani, la lezione alla rovescia, quest’anno ospita l’eclettico Massimo Giacon (2 ottobre), considerato uno dei padri del fumetto e del design italiano moderno. A interrogarlo saranno gli studenti degli istituti superiori provenienti da tutta l’Emilia Romagna, che avranno la speciale possibilità di interagire direttamente con uno degli autori più amati del mondo giovanile. Cersaie www.cersaie.it
2 1. 2. Casa nella Kangaroo Valley Australia progetto Glenn Murcutt 3. Casa a Mosman Sydney, Australia progetto Glenn Murcutt, Wendy Lewin foto ©Anthony Browell
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PH. ANDREA FERRARI
Collections: Mystone: Pietra Italia, Silverstone, Silverstone 20mm / Treverkever
Marazzi. Il tuo spazio. La materia incontra il design. Mystone: il nuovo gres effetto pietra di Marazzi. www.marazzi.it
attualità fiere
50 edizioni di Marmomacc La più importante manifestazione internazionale dedicata a marmi, graniti, tecnologie di lavorazione, design quest’anno taglia il traguardo delle 50 edizioni e torna a Veronafiere dal 30 settembre al 3 ottobre. Marmomacc si conferma il punto di riferimento mondiale per la commercializzazione dei prodotti lapidei e delle tecnologie di lavorazione, l’anello di congiunzione tra produttori di macchinari, accessori, aziende di estrazione, lavorazione e trasformazione, progettisti e consumatori. Le sempre più numerose iniziative culturali, l’ormai pluridecennale premio per l’Architettura di Pietra e il coinvolgimento di designer, architetti e progettisti di fama internazionale proiettano la mostra verso nuove interpretazioni e soluzioni dell’abitare e dell’edilizia, un ponte tra il mondo della progettazione e il mercato. Evento centrale di questa edizione particolare è “The Italian Stone Theatre”: l’eccellenza assoluta dell’industria italiana del marmo in un grande “teatro” dedicato al mondo della pietra e delle macchine per la lavorazione, in cui sono messe in mostra tecnologie e sperimentazioni litiche rigorosamente italiane, con prodotti innovativi appositamente progettati per questa occasione. Curato da Raffaello Galiotto e Vincenzo Pavan, lo spazio espositivo si articola in due nuclei. Il primo, dedicato ai materiali, sviluppa i temi dell’orizzontalità e della verticalità: Carpets of Stone, un collage di pavimenti litici di diversi autori disposto in un percorso segmentato, dove fantasia progettuale e precisione esecutiva dimostrano le infinite possibilità interpretative e le sfaccettature sia testurali che cromatiche offerte dai materiali lapidei; Lithic Vertigo, una serie di installazioni tridimensionali concepite come isole nelle quali pareti, scale e rampe mettono in mostra le potenzialità della pietra in varie componenti costruttive, sia sotto il profilo meccanico sia nelle sue qualità espressive. Il secondo nucleo espositivo, Digital Lithic Design, riguarda l’interazione delle macchine di lavorazione della pietra con il progetto di design, dove strumentazioni digitali e macchinari di alta tecnologia trasformano il materiale lapideo rilanciandolo in una nuova dimensione, con il coinvolgimento di produttori di utensili, macchinari, software house, marmisti e cavatori. Tra le numerose iniziative collaterali alla mostra segnaliamo: la 14ª edizione dell’International Award Architecture in Stone, premio biennale riservato a opere di architettura realizzate con la pietra; gli incontri della Stone Academy, progetto che coinvolge 20 università tra italiane e internazionali nella realizzazione di seminari e master di secondo livello sulla progettazione in pietra; il Best Communicator Award, dedicato all’exhibit design; lo Spazio Forum, cornice di convegni, seminari, lectio magistralis, premiazioni, presentazioni di architettura, design, didattica e ricerca universitaria, incluso l’International Stone Summit, primo summit internazionale delle associazioni del marmo; Marmomacc & The City, rassegna di opere in marmo esposte nelle vie e nelle piazze di Verona. Marmomacc - Veronafiere www.veronafiere.it - www.marmomacc.com
ABITARE IL TEMPO 2015 In contemporanea con Marmomacc, torna Abitare il Tempo, il salone rivolto agli operatori dell’interior design e del contract con le migliori proposte di materiali e design d’interni. Orientata al mondo del progetto, del su-misura e del contract, la manifestazione intende valorizzare il saper fare di industrie del design - piccole e medie aziende, laboratori artigianali e produzioni di nicchia - con proposte che vanno dal mobile in stile all’oggettistica e illuminazione, fino a tessuti, cucine e arredobagno. Momento di incontro e aggiornamento per i gli operatori del settore, questa edizione propone l’area “Living Under 20”, uno spazio espositivo commerciale dedicato all’arredamento per giovani. A partire da questa edizione, inoltre, AIPI - Associazione Italiana Progettisti d’Interni - partner del salone, avvia una serie di attività, fra le quali diversi seminari sul “benessere casa”, e un’areaconsulenza dove gli operatori e le aziende presenti possono interagire con i progettisti AIPI. www.abitareiltempo.com
A.D. GraphX / Ph. Tommaso Sartori Dipinto: Franco Angeli
Cersaie 2015 / 28 settembre > 02 ottobre Pad. Hall 22 / Stand A124-B111
Atelier Kerakoll Design House_Studio > via Solferino, 16 Milano
attualità concorsi
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Premio Internazionale Architettura Sostenibile 2015 Si è svolta recentemente nella prestigiosa cornice di Palazzo Tassoni Estense la Cerimonia di consegna del Premio Internazionale Architettura Sostenibile, evento promosso dall’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Ferrara, dalla Fondazione degli Architetti di Ferrara e realizzato con il patrocinio del Comune di Ferrara. Il Premio, ideato e promosso dal Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara e da Fassa Bortolo, azienda di primo piano nel settore delle soluzioni innovative per l’edilizia, da ormai undici anni incentiva e promuove progetti di architettura che sappiano rispettare e coesistere con l’ambiente circostante, per una visione del costruire sostenibile nel mondo. Grazie al successo delle edizioni passate, il Premio Architettura Sostenibile è stato suddiviso in due diversi momenti temporali, che si alternano con cadenza biennale: una Sezione riguardante Tesi di Laurea, Master e Dottorato sviluppate nel territorio italiano, che ha avuto la sua prima edizione nel 2014 e che si ripeterà nel 2016, e una Sezione delle Opere realizzate, come quella di quest’anno, che vede la partecipazione di studi di architettura e ingegneria di tutto il mondo, e che si ripeterà nel 2017. L’obiettivo è quello di incentivare la partecipazione di neo laureati italiani e nel medesimo tempo proseguire la tradizione del Premio rivolto a progettisti che, attraverso le loro opere, forniscano un contributo fondamentale allo sviluppo e alla diffusione di una cultura sostenibile nelle costruzioni edili. La Giuria, presieduta da Thomas Herzog, era composta da Muck Petzet, Philippe Samyn, Luca Emanueli e Gianluca Frediani. Anche per questa edizione tutti i membri valutatori sono stati eletti con background culturali differenti per garantire la massima varietà di esperienze possibile. Nelle parole di Thomas Herzog, i progetti vincitori di questa edizione, nell’ambito dell’evoluzione del termine sostenibilità, sono stati capaci di “integrarsi in maniera adeguata alle condizioni del contesto, fornendo risposte ottimali alle necessità di vita dei fruitori. Si tratta di architetture che si possono definire “appropriate”, perché nascono dalla piena conoscenza dei luoghi, dallo studio e comprensione del loro funzionamento e dal rispetto della cultura locale”.
Fassa www.premioarchitettura.it www.fassabortolo.com
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Fondazione Valore Italia Tel. 066896982 Fax 0668192816 www.
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attualità concorsi
1 Medaglia d’Oro 1. ONOMICHI U2 Hiroshima (Giappone) Suppose Design Office Co. - Makoto Tanijiri e Ai Yoshida Attraverso la conservazione e il recupero di un magazzino in disuso, il progetto restituisce alla città un fabbricato del quale si è mantenuta l’identità originaria, armonizzandola con lo spazio urbano circostante. Internamente, il grande volume è stato sapientemente suddiviso in diverse aree con l’utilizzo di materiali tipici della cultura locale, generando un legame identitario con il contesto e definendo un’articolazione spaziale di elevata qualità. L’approccio progettuale prefigura una modalità d’intervento estremamente funzionale e ripetibile per il recupero dei tanti edifici simili presenti sul territorio. Medaglie d’Argento ex-aequo 2. CASA DCS Riuso e ristrutturazione di un edificio in Sicilia Ragusa (Italia) Giuseppe Gurrieri e Valentina Giampiccolo L’intervento di recupero realizza un’abitazione pienamente funzionale, in grado di rispondere alle esigenze microclimatiche imposte dalle condizioni del luogo. I progettisti attuano la rimozione di una parte consistente del volume originario sul fronte sud, per generare una corte interna, sviluppata in altezza per tre livelli, funzionale
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alla creazione di un nuovo filtro microclimatico e di una maggiore privacy - strumento di ventilazione per effetto camino. Si apprezza la capacità nel gestire il delicato rapporto fra l’esistente, che viene comunque rispettato, e il nuovo, concepito come strumento funzionale al completamento e alla valorizzazione delle preesistenze.
Menzioni d’Onore 4. Skills Centre Malaa Scuola di formazione professionale nei pressi di Nairobi (Kenya) Susanne Gampfer, Stefan Kroetsch con studenti della Technische Universitaet München
3. Scuola secondaria nel villaggio di Roongin (Cambogia) ASF - Architetti Senza Frontiere, Italia ONLUS Camillo Magni, Elisabetta Fusar Poli, Paolo Garretti, Filippo Mascaretti, Marta Minetti, Marco Tommaseo Nel progettare la scuola, si sono valorizzati i materiali tradizionali del luogo, quali il mattone di terra cruda e soprattutto il bambù, anche sperimentando processi costruttivi inusuali. Ideato come un semplice volume lineare, l’edificio presenta le diverse aule che si susseguono, unite da un ampio corridoio coperto, elemento di distribuzione e filtro microclimatico. All’interno è garantita una piena luminosità e un’efficace ventilazione trasversale, ottenuta attraverso le pareti filtranti in bambù. Il progetto è di fatto la prima esperienza utile a testare la funzionalità di scelte costruttive che potranno essere ripetute e affinate negli stralci di completamento successivi.
5. Termas Geométricas Coñaripe, Villarrica National Park (Cile) Germán del Sol 6. Fondazione Elisabeth e Helmut Uhl Laives, Bolzano (Italia) Modostudio - Fabio Cibinel, Roberto Laurenti, Giorgio Martocchia 7. Centro di educazione ambientale dei monti Krkonoše KCEV Vrchlabi (Repubblica Ceca) Petr Hájek 8. Centro pediatrico Emergency Port Sudan (Sudan) Tamassociati Massimo Lepore, Raul Pantaleo, Simone Sfriso con Laura Candelpergher, Enrico Vianello 9. Rifugio II Fiandre (Belgio) Wim Goes Architectuur foto ©Filip Dujardin
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AGC Flat Glass Italia Stopray LamiSmart 24 > www.yourglass.com
vetro e metallo per il settore delle costruzioni realizzazioni, materiali, componenti e sistemi a cura di Livio Salvadori
dossier Vetro e Metallo
dossier vetro e metallo realizzazioni
AGC Flat Glass Italia
Secco Sistemi
progetto 5+1AA Alfonso Femia, Gianluca Peluffo
progetto Camillo Botticini, ABDA Architetti Botticini - De Appolonia e Associati
Torri San Benigno - Genova (I)
Alps Villa - Lumezzane, Brescia (I)
Per le facciate di queste torri residenziali sono stati utilizzati vetri AGC in sei colori diversi, accostati tono su tono, con tinte più chiare sui fronti meno esposti, più scure su quelli maggiormente soleggiati. Formate da una lastra esterna in Stratobel 88.4 - vetro stratificato e temprato composto da un mix di vetri da 8 mm; Interlayer 18 mm con Argon 90%; e lastra interna in Stratophone iplus Top 1.0, le facciate uniscono estetica ed efficienza, raggiungendo i valori termo-acustici richiesti.
Ecologica, dal linguaggio contemporaneo e integrata perfettamente nel paesaggio alpino, questa villa monofamiliare è stata realizzata con materiali naturali, come il rame ossidato ondulato che riveste l’esterno della casa, e il legno Accoya che tappezza la parte esterna della grande strombatura sopra le vetrate a sud. I sistemi EBE 85 e EBE 65 di Secco Sistemi in acciaio zincato verniciato, utilizzati per gli alzanti scorrevoli, le finestre apribili e fisse, hanno consentito generose vetrate, aperte al paesaggio e alla luce naturale.
> www.agc-glass.eu
> www.seccosistemi.it
PLOUM divano. Design: Ronan & Erwan Bouroullec. Catalogo: www.ligne-roset.it
dossier vetro e metallo realizzazioni
Marzorati Ronchetti - Vetreria Bazzanese - Gruppo Zordan
Pilkington
progetto Steve E. Blatz e Antonio Pio Saracino
progetto Denton Corker Marshall
Black Hole - Altavilla, Vicenza (I)
Accesso a Stonehenge - Wiltshire (GB)
Legno, metallo, vetro, aria, luce sono gli elementi fondamentali per questa costruzione, ideata per la mostra-evento di Interni, esposta oggi presso la Fondazione CUOA. La copertura è formata da lastre sovrapposte, con fori di forma irregolare rivestiti da lamine d’acciaio, che danno la sensazione di un vortice, e sembrano attrarre a sé il pavimento in legno. Le sabbiature sulle vetrate laterali modificano la trasparenza verso l’esterno, favorendo il raccoglimento.
L’accesso al sito archeologico - dalla struttura leggera, con sottili colonne in acciaio che sorreggono un tetto lievemente digradante e morbidamente curvo - è stato realizzato con Pilkington Planar™ Intrafix, sistema di vetro strutturale basso emissivo e sufficientemente robusto da affrontare eventuali venti forti. Pilkington Optiwhite™ e Pilkington K Glass™ OW hanno inoltre consentito di ottenere luminosità e trasparenza e di sfruttare al meglio la radiazione solare.
> www.marzoratironchetti.it - www.vetreriabazzanese.com - www.zordan1965.com
> www.pilkington.it
Schüco International Italia
Gruppo Permasteelisa
progetto Massimiliano Fuksas Architetto
progetto Renzo Piano Building Workshop
Sede Unica Regione Piemonte - Torino (I)
Whitney Museum of American Art - New York (USA)
Distinta per l’eleganza delle linee, nonostante l’imponenza dei volumi, l’opera si segnala per l’assoluta trasparenza dei prospetti, per la realizzazione dei quali Schüco ha messo a punto un sistema del tipo a “doppia pelle”, un importante contributo al contenimento dei consumi. Le specchiature esterne sono composte da una vetrocamera extrachiaro; l’intercapedine è equipaggiata con una tenda a rullo microforata; il vetro interno è del tipo extrachiaro.
Il Museo presenta una forma complessa, con i vari fronti che mostrano gradi e versi di inclinazione differenti, per i quali Permasteelisa ha dovuto affrontare molte sfide, dettate sia dalle diverse tipologie di facciate sia dalla dimensione e forma dei pannelli progettati: pannelli di alluminio a doppia pelle per il prospetto principale; un rivestimento vetrato che illumina naturalmente l’interno del museo per i fronti Nord ed Est e 600 mq completamente trasparenti per la Hall. Foto Karin Jobst
> www.schueco.com
> www.permasteelisagroup.com
SHOWROOM: MILANO ROMA BOLOGNA PARMA GENOVA TORINO BRESCIA FIRENZE PALERMO CATANIA COSENZA VIENNA NIZZA MADRID BARCELLONA BILBAO BRUXELLES COLONIA MONACO DI BAVIERA ABIDJAN ISTANBUL BEIRUT TEL AVIV VARSAVIA SHANGHAI TAIPEI HONG KONG BANGKOK SINGAPORE NEW YORK CITTÀ DEL MESSICO
THE SPIRIT OF PROJECT PANNELLI SCORREVOLI VELARIA, CABINA ARMADIO ZENIT DESIGN G.BAVUSO VISIT WWW.RIMADESIO.IT
dossier vetro e metallo realizzazioni
Prefa Italia
Finstral
progetto ampliamento Holzbauer & Partner
progetto Philipp Architekten
“Aqua Dome” - Längenfeld (A)
Villa Mauthe - Stoccarda (D)
Per la copertura di questa struttura termale che offre continuità formale alle superfici oblique delle facciate, si sono dovute superare innumerevoli difficoltà statiche e tecniche per le quali è stato necessario rinforzare la sottostruttura fin dalle fondamenta. Le Scandole Prefa antracite P.10 - elementi in alluminio preverniciato - si sono rivelate la soluzione ideale: grazie alle ridotte dimensioni, all’estrema maneggevolezza e versatilità e con il loro peso ridottissimo di soli 2,3 kg/mq hanno permesso di esaltare le originali forme del tetto.
Suddiviso in uno spazio orizzontale, proiettato verso l’esterno - che comprende le stanze comuni a tutta la famiglia -, e uno spazio verticale - dove si trovano le stanze riservate a momenti più privati, come la biblioteca o lo studio -, l’edificio è connotato da linee eleganti e slanciate, sottolineate dai serramenti in alluminio FIN-Project di Finstral. Anche per i frangisole è stata studiata una particolare modalità di installazione sotto l’intonaco, in modo che l’effetto d’insieme non venisse pregiudicato.
> www.prefa.com
> www.finstral.com
dossier vetro e metallo realizzazioni
EKU - Gruppo Profilati
Istituto Italiano del Rame - KME Italy
progetto Beltrame Gelmetti Architetti Associati
progetto Foster + Partners
Giax Tower - Milano (I)
Emirati Arabi Uniti - EXPO 2015 - Milano (I)
Certificazione energetica in Classe A, tecnologia geotermica, pannelli fotovoltaici, domotica, piscina, palestra, Spa, giardini pensili, finiture di pregio e schermature solari: queste le caratteristiche della torre residenziale milanese. Per realizzare la facciata che chiude i due ascensori panoramici, è stata utilizzata una soluzione altrettanto prestigiosa: il sistema per facciate continue a montanti e traversi EKU 50 Glass, con vetro extrachiaro stratificato 6+6.
Il padiglione, tra i più interessanti di Expo 2015, presenta uno spettacolare cuore in rame dorato: si tratta di un auditorium multimediale, che, appena visibile dall’esterno, svela tutto il suo fascino durante il percorso guidato. Il rivestimento in lega di rame, duraturo e brillante, accompagna i riferimenti al deserto - le palme e le dune - ai caratteri di modernità di Dubai presenti nel padiglione, concepito secondo i principi della sostenibilità.
> www.eku.it - www.gruppoprofilati.com
> www.copperalliance.it - www.kme.com/it
VMZinc - Umicore Building Products
Sistemi Raso Parete
progetto di riqualificazione mg2architetture
progetto Chiara Fumi
Villa Plurifamiliare - Colline torinesi, Torino (I)
Sede Ediltech - Brescia (I)
In questo intervento sul costruito, le facciate sono state rivestite in zinco titanio VMZinc color Anthra-Zinc abbinato a materiali nobili, come il marmo di Carrara e il mogano Meranti. Per accentuare il gioco di riflessi di luci e ombre, il materiale è stato posato a doghe verticali di quattro larghezze differenti su corsi orizzontali di diverse altezze. Alcune doghe sono state montate in “negativo” creando una sorta di basso rilievo dal ritmo dinamico. Foto Pier Mario Ruggeri
Nella sede Ediltech di Brescia, le porte, le armadiature e le nicchie, totalmente a filo della parete, hanno dato il loro contributo per organizzare gli uffici nel modo razionale, offrendo spazi per riporre, disporre, ordinare, catalogare e avere tutto a portata di mano. Grazie al sistema Amplia®, il cristallo diventa protagonista, con profili, accessori e ferramenta invisibili alla vista. Il risultato è un progetto funzionale ed elegante.
> www.vmzinc.it
> www.sistemirasoparete.it
grandprix tenth edition
2013/2015
concorso internazionale di architettura*
1000 designers in the past editions
over
1500 projects 4
X categories
are you ready for the tenth edition?
*aperto ai progettisti di opere che hanno impiegato elementi in grès porcellanato casalgrande padana
submit your works
deadline 31.12.2015 www.grandprixcasalgrandepadana.com
CASALGRANDE PADANA Pave your way
dossier vetro e metallo materiali e componenti
Armstrong Building Products
B-H 300
Bertolotto Porte
Natura
design R&D Bertolotto
Fakro
FerreroLegno
Finestre fuori standard
Visio e Delineo
Controsoffitto metallico a travette parallele, montate su una struttura di sospensione Bandraster, completato con pannelli rettangolari 60x120 cm, microforati in metallo. Consente di montare pareti divisorie che si spostano con semplicità tra le travette. Le linee essenziali e pulite delle doghe, unitamente a una microperforazione, conferiscono un aspetto estetico liscio e compatto al soffitto garantendo isolamento e assorbimento acustico e riflessione della luce.
Collezione di porte per interni ispirata al mondo naturale, con i pannelli che riproducono graficamente intrecci di rami, steli di fiori e petali asimmetrici. Venti nuovi decori incisi o pantografati e ventitré disegni sabbiati su vetro temperato, nella versione trasparente o satinata in quattro diverse colorazioni. La serie Natura 3D declinata in sei differenti modelli adotta una tecnologia che permette di creare un effetto ottico e materico tridimensionale.
Fornitura di finestre personalizzate e fuori standard per quanto concerne forme, dimensioni e colori. In grado non solo di adattarsi alle evoluzioni dell’architettura e alle nuove concezioni di volta in volta da essa proposte, ma anche di concretizzare le singolari visioni dei più arditi progettisti.
Due modelli di porte in vetro della linea Scenario - il sistema di porte scorrevoli, abbinabili anche a pannelli fissi - ideali per separare gli ambienti con stile garantendo leggerezza e luminosità. Visio è la soluzione tutto vetro con sistema di scorrimento a parete e a soffitto. Delineo invece si caratterizza per avere il vetro contornato da un profilo in alluminio con sistema di scorrimento a parete e a soffitto. La profilatura è disponibile in versione classica, con alluminio anodizzato, nero e bianco, o laccata in tre esclusive tonalità metallizzate.
> www.armstrong.it
> www.bertolotto.com
> www.fakro.it
> www.ferrerolegno.com
Drutex
MB-70
Bauxt
Plank
design Giuseppe Bavuso
Moderno infisso in alluminio che, grazie all’applicazione di distanziatori termici e all’uso di guarnizioni, è caratterizzato da un coefficiente di trasmittanza termica U molto basso, garantendo quindi eccezionali performance in termini di efficienza energetica e protezione dell’ambiente. La forma dei profili consente, inoltre, di ottenere strutture sottili e resistenti allo stesso tempo. L’ampia gamma di colori, 180 RAL, permette di adattarsi a ogni richiesta.
Blindata che si stacca dalla parete e diventa un volume tridimensionale, un quadro che delinea perfettamente lo spazio riconquistando un ruolo da assoluta protagonista nell’equilibrio della stanza. Sul piano tecnico, il progetto ha imposto la riprogettazione dell’anima in acciaio della porta che viene però carenata da profili in alluminio per mascherare tutti gli elementi tecnici di assemblaggio. Pannello esterno in vetro retrolaccato opaco color corda.
> www.drutex.it
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dossier vetro e metallo materiali e componenti
Domal
Slide C160
UniFor
Parete RP
design Renzo Piano Building Workshop
Nuovo alzante scorrevole in alluminio, permette di realizzare specchiature di notevoli dimensioni, a garanzia della massima luminosità degli ambienti. Maneggevole e resistente, grazie a speciali meccanismi di sollevamento servoassistito e ad appositi carrelli che possono sostenere fino a 400 kg per anta, a garanzia di un movimento sempre fluido e leggero delle vetrate. Ampie le possibilità di configurazione e ricca la gamma di colori.
Sistema di partizione modulare a tutta altezza, progettato per organizzare con efficienza e razionalità ambienti di lavoro flessibili e differenziati. È costituito da strutture in profilati di alluminio e pannellature di tamponamento totalmente vetrate o cieche oppure in configurazione mista, completate da porte a battente e scorrevoli in vetro o cieche. Le lastre in cristallo accoppiato trasparente con interposto un film di sicurezza, sono assemblate tramite sottili profili in alluminio.
> www.domal.it
> www.unifor.it
Pixima Fontanot
Vitrealspecchi
Scala a chiocciola in acciaio verniciato di colore cromo o bianco. Ringhiera con colonnine lineari. Il corrimano è in PVC di colore grigio come le finiture della scala e il pannello che serve da antisdrucciolo e antiusura per i gradini. La scala è caratterizzata da un pianerottolo universale che ne consente l’installazione in aperture di qualsiasi forma e dimensione. Il senso di rotazione, orario o antiorario, viene deciso al momento della posa in opera.
Nuovi Trasparenti Madras® in vetro extrachiaro. Un lato della lastra è lavorato chimicamente, permanentemente e uniformemente con texture a piccoli punti incisi che non altera la trasparenza del vetro. Se in fase di installazione si posizionano dei LED lungo lo spessore del vetro, in situazioni notturne, i piccoli punti trasformano la lastra in una texture di luce. Al tatto, la superficie è liscia e l’incavo dei piccoli punti è appena percettibile per assicurare una facile e immediata pulizia.
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Steel
Punto-NL e Punto-N Cristalli
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Rimadesio
Velaria
design Giuseppe Bavuso
Metra
NC 65 STH HESa
L’interpretazione della porta scorrevole all’insegna del massimo rigore geometrico. Un progetto in cui i pannelli vengono realizzati sempre su misura, con un profilo strutturale in alluminio di minimo spessore che valorizza al massimo le qualità estetiche esclusive del vetro aziendale. Proposto con forte valore espressivo, che prende forma grazie all’introduzione di due nuove finiture: la struttura alluminio palladio e il nuovo vetro maglia gold, uno stratificato composto da due lastre di vetro extrachiaro, con interposta la maglia metallica.
Nuova finestra a battente capace di rispondere ai principali bisogni emersi dal mercato: design moderno ed essenziale, elevate prestazioni di isolamento e sicurezza, risparmio energetico con utilizzo di materiali innovativi e green per una migliore sostenibilità ambientale. Particolarmente adatta a essere impiegata in interventi d ristrutturazione. Con un valore di trasmittanza termica Uw di 1,0 W/m2K, un potere fonoisolante di 48 dB e una classe antieffrazione che raggiunge la categoria RC3, si posiziona ai massimi livelli di performance della categoria.
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Vetro chiaro con coating magnetronico che garantisce un controllo solare del 25%. Può essere utilizzato senza essere inserito in vetrata isolante, protetto esclusivamente con una laminazione. L’utilizzo come vetro singolo permette, oltre a una importante riduzione di pesi delle vetrate, anche un forte risparmio economico. Ideale nelle applicazioni che necessitano di protezione solare, ma non d’isolamento termico, come giardini d’inverno, verande, piscine e padiglioni temporanei.
Scorrevoli a taglio termico dalle elevate prestazioni termiche, soluzione ideale per la ristrutturazione residenziale. Il sistema può montare vetrocamere da 28 a 36 mm: un range di applicazione elevato - ottenibile sostituendo solo la gomma di trattenuta del vetro - che permette di offrire ottime performance di isolamento termico e acustico (trasmittanza termica Uw fino a 1,0 W/m2K). Profili piuttosto snelli, un nodo centrale ridotto (36 mm), linee squadrate e pulite.
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Navello
Scala elicoidale caratterizzata da cosciali e parapetti in acciaio inox Aisi 304 satinato, la struttura presenta 17 pedate in cristallo temperato triplo strato, extrachiaro e satinato. Contraddistinta da un’estrema pulizia visiva, conferita dalla totale assenza di saldature meccaniche, nonché dalla cura di ogni più piccolo dettaglio estetico: dalla basetta di partenza lungo tutto lo sviluppo della struttura non sono visibili viterie a vista e la dinamicità della struttura caratterizza l’ambiente rendendolo unico e di carattere.
Serramento con anta a tuttovetro che offre il più ampio sguardo sull’esterno senza scendere a compromessi sui parametri di efficienza energetica. In tutte le versioni, a battente, con anta ribalta e scorrevole, il telaio esterno è completamente incassato nel muro valorizzando la superficie vetrata; internamente le cerniere possono essere incassate mentre la versione scorrevole dispone di uno speciale sistema di fissaggio dell’anta che nasconde completamente le guide.
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Gruppo GSG International
Scenografico giardino verticale realizzato con un motivo ornamentale a foglie di vite americana, con cui rivestire pareti per evocare un caratteristico scenario autunnale scaldato dalla scelta del materiale, il rame, e dalla sua finitura giocata tra le preziose nuances di una palette calda: dal bruno-rossastro al bronzo, ai verdi. Il pattern geometrico tridimensionale è ottenuto attraverso foglie sagomate in rame piegato, ossidato, spazzolato o con finitura al verderame.
Serie di portefinestre alza e scorri con anta a scomparsa abbinata a un controtelaio completamente incassato, esclusivamente per esterni, che permette la scomparsa dell’anta all’interno del muro. Le ante si caratterizzano per il profilo di alluminio ossidato a taglio termico, incollato tra le due lastre e occultato tramite una doppia fascia di serigrafia realizzata sulla faccia interna dei due vetri, disponibile nei colori bianco, nero e grigio, con possibilità di personalizzazione.
> www.decastelli.com
> www.essenzafinestra.it
Vertical green
Secco Sistemi - AGB Alban Giacomo
Ebe
Essenza
Saint-Gobain Glass
Cool-lite Xtreme 60/28 ®
Rintal
Aira Glass
Erco
Shade
design Giuseppe Bavuso
Grazie all’inserimento di una seconda ferramenta sviluppata con AGB e a nuovi accessori, gli infissi assecondano le richieste dell’architettura più esigente che, per esaltare le trasparenze, si orienta decisamente verso aperture finestrate di maggiori dimensioni e pesi. Con le nuove cerniere per porte si supporta il peso massimo di 300 kg. Potenziata anche la ferramenta per finestre ad anta ribalta. Migliorata inoltre la resistenza alla corrosione delle cerniere che è stata addirittura raddoppiata.
L’ultima generazione di vetri che fissa un nuovo standard nel controllo solare altamente selettivo. Grazie alla rivoluzionaria tecnologia di questo prodotto è possibile selezionare solo il meglio del sole unendo un’elevata trasmissione luminosa e una ridotta trasmissione energetica in un solo prodotto. Il nuovo vetro con la sua trasparenza estrema assicura una trasmissione luminosa del 60% portando negli ambienti interni un livello elevato di luce solare senza far passare troppo calore: il 72% della radiazione solare non penetra nell’edificio, ma viene respinta.
Esclusiva scala a sbalzo realizzata completamente in vetro stratificato chiaro o extrachiaro. I gradini sono fissati al muro mediante un sistema di ancoraggio brevettato Rintal così da eliminare la necessità di ogni ulteriore accessorio di supporto e avere una soluzione estremamente leggera ma sicura. Ogni pedata offre la sensazione di essere sospesa nel vuoto per un effetto incredibile che viene amplificato dalla speciale ringhiera realizzata da lastre di vetro stratificato fissate direttamente al gradino.
Famiglia di serramenti; dalla forma minimale, sono capaci di integrarsi perfettamente nello spazio architettonico a cui sono destinati, valorizzandolo come un vero e proprio elemento d’arredo. La gamma si amplia ulteriormente con la versione alzante scorrevole, sempre con carenatura in estrusi di alluminio associata ai profili in PVC, rigorosamente in classe A, disponibile in più misure e in due soluzioni: ad anta fissa/mobile e mobile/mobile.
> www.seccosistemi.it - www.agb.it
> www.saint-gobain-glass.com
> it.rintal.com
> www.shade.ercoitalia.it
dossier vetro e metallo materiali e componenti
Tecno
Parete divisoria W80
design Daniele Del Missier ed Elliot Engineering & Consulting
Schüco International Italia
Scorrevole ASS 77 PD
Parete divisoria che risponde a tutti i requisiti strutturali, acustici, di attrezzabilità, personalizzazione e flessibilità necessari alla progettazione e alla definizione degli spazi operativi e di relazione. Disponibile sia con chiusura ad anta battente sia scorrevole a scrigno, è caratterizzata da grande flessibilità nelle finiture superficiali (che possono essere realizzate in cartongesso, vetro, legno, metallo, stoffa o pelle) e predisposta ad accogliere qualsiasi tipo di tecnologia.
Soluzione progettuale evoluta, questo scorrevole in alluminio unisce un’estetica moderna e raffinata a elevate performance tecniche. Progettato in tre differenti versioni per far fronte a ogni condizione climatica, si distingue per i profili sottili, con montante centrale in vista di soli 3 cm, telaio esterno a scomparsa (inserito nel raccordo alla struttura dell’edificio) e nessun ingombro a terra, poiché il telaio inferiore viene inserito direttamente nel pavimento.
> www.tecnospa.com
> www.schueco.it
Pilkington
Garofoli
Vetro autopulente che, grazie al suo speciale rivestimento, è in grado di sfruttare la radiazione solare per decomporre i depositi organici (fotocatalisi) ed eliminarli quando pioggia o acqua colpiscono la lastra, migliorando lo scorrimento dell’acqua sulla sua superficie (idrofilia), senza lasciare le tipiche tracce o le macchie dovute all’asciugatura.
Sistema di porte e pareti divisorie. Proposta in un ampio ventaglio di colori e finiture, la collezione si articola in una linea di prodotti che si differenziano per le opzioni di configurazione, pur garantendo le stesse prestazioni strutturali e di qualità. La serie genera quattro diverse famiglie: BiGlass, BiPlan, Panvi e Pannelli. Le ante, disponibili in varie combinazioni - lato in legno e lato in vetro; due lati in legno; due lati in vetro - consentono la più ampia personalizzazione.
> www.pilkington.it
> www.garofoli.com
Pilkington Activ™
BiSystem
dossier vetro e metallo
EclissE
Silk
Porta a battente filomuro, in vetro-alluminio, composta da una struttura in alluminio anodizzato e spazzolato argento opaco, tamponata con due lastre in vetro extra chiaro da 4 mm, lucido temperato. Il pannello-porta è dotato di serie di una speciale borchia filovetro in alluminio cromo satinato; disponibile nella versione laccata lucida oppure opaca, con o senza decori retrolaccati; con altezza superiore a 200 cm, si stabilizza mediante un tirante regolabile. > www.eclisse.it
Gibus
Vetrate FrangiVento Chiusure frangivento in vetro; semplici da installare, sono il completamento ideale di una tenda da esterni o di un terrazzo. Realizzate con pannelli in cristallo temperato dello spessore di 10 mm - il cui peso è scaricato a terra grazie al sistema brevettato Todocristal -, senza profili perimetrali, sono in grado di resistere a vento, urti, polvere e raggi UV, con un abbattimento sonoro fino a 14 dB. Offrono grande versatilità di utilizzo, ad ante chiuse o con impacchettamento laterale totale o solo parziale. > www.gibus.it
primo piano ceramica
SmartCity Malta Il-Kalkara (M) Paul Camilleri & Associates tipologia parco tecnologico materiali ceramici facciate ventilate e pavimentazioni esterne in grès porcellanato, collezione Sunrise, colori Golden, Quartz e Smoke, nei formati 120x60 e 30x60 cm; produzione Ceramiche Keope
Rivestimenti di facciata in ceramica Livio Salvadori
Affidabilità delle soluzioni tecnologiche, qualità dei materiali in termini di prestazioni tecniche e sostenibilità ambientale, elevati livelli estetici, ricca offerta cromatica: le proposte dell’industria italiana delle piastrelle di ceramica sono in grado di soddisfare una domanda sempre più esigente proveniente dal mondo della progettazione anche nel settore degli involucri esterni e delle finiture di facciata
Residenze Libeskind - City Life Milano (I) Studio Daniel Libeskind tipologia complesso residenziale materiali ceramici parete ventilata rivestita con lastre in grès porcellanato Linea Granitoker, serie Travertino Paradiso Grigio M8, nei formati 30x90 e 60x90 cm e Linea Granitogres, serie Unicolore Bianco B Levigato, nel formato 22,5x90 cm; parapetti e celini di terrazze e balconi rivestiti serie Travertino; produzione Casalgrande Padana foto ©SDL
L’utilizzo nei rivestimenti di facciata degli elementi in ceramica di ultima generazione, disponibili anche con particolari configurazioni morfologiche, in lastre di grandi dimensioni e in spessori minimi, con finiture superficiali differenziate e in numerosissime varianti cromatiche, permette di realizzare manufatti edilizi con soluzioni personalizzate di grande qualità architettonica e notevoli prestazioni tecnologiche, che guardano ai principi della sostenibilità come traguardo irrinunciabile. Qualificati da elevate caratteristiche di affidabilità, durevolezza e resistenza agli agenti atmosferici, i prodotti ceramici risultano di semplice manutenzione e possono essere opportunamente impiegati per migliorare le prestazioni di coibentazione acustica e isolamento termico degli edifici. Le ragioni di questo successo, confermato dall’utilizzo abituale degli elementi ceramici anche da parte di grandi protagonisti del panorama architettonico internazionale, vanno ricercate nelle proprietà intrinseche del materiale e nella sua capacità di evolversi continuamente. Gli esempi che seguono sono la dimostrazione di come, dai rivestimenti di facciata con posa tradizionale a malta fino alle più avanzate tecniche di parete ventilata con fissaggi meccanici a vista o completamente a scomparsa, la ceramica prodotta dall’industria italiana ha dimostrato di saper rispondere in maniera efficace alla domanda sempre più esigente in termini qualitativi, prestazionali e funzionali proveniente dal mondo della progettazione, così come del cantiere, contribuendo a valorizzare le soluzioni applicative maggiormente orientate all’innovazione. Regolata da un articolato piano di sviluppo architettonico firmato da Paul Camilleri & Associates, SmartCity Malta a Kalkara si estende su una superficie di 360.000 mq lungo la costa della cittadina maltese. L’area diventerà, entro il 2021, un parco tecnologico che ospiterà uffici, residenze, strutture commerciali e un’ampia zona adibita a spazio pubblico. Per il rivestimento di tutte le facciate ventilate e per tutte le pavimentazioni esterne i progettisti hanno scelto una collezione in grès porcellanato contraddistinta da nuance naturali che bene si inseriscono nell’ambiente circostante, affacciato sul mare, offrendo notevoli qualità estetiche associate a elevate caratteristiche prestazionali di protezione da salsedine, umidità, piogge acide, sbalzi termici.
Chiesa della Misericordia Terranuova Bracciolini, Arezzo (I) Studio Archea Associati tipologia edificio di culto materiali ceramici facciata ventilata rivestita in grès porcellanato smaltato, collezione Esagona, finiture diverse; produzione Tagina Ceramiche d’Arte
Bridge 129 Reggio Emilia (I) Giuseppe Innocenti tipologia riqualificazione capannone industriale materiali ceramici facciate ventilate AGS realizzate con elementi in grès porcellanato serie EvolutionStone Luserna, strutturato; formato 60x120 cm; colore Monolith Black, bocciardato 60x120 cm; produzione Marazzi Engineering foto ©Daniele Domenicali
Grazie a scelte impiantistiche mirate, a soluzioni costruttive di assoluta qualità e al sofisticato sistema di facciata, le Residenze Libeskind a Milano City Life assicurano elevati standard di efficienza energetica che hanno permesso di conseguire la certificazione in classe A. Diversi per tipologia, affaccio, disposizione e altezza, gli edifici progettati da Daniel Libeskind evidenziano la cifra stilistica che caratterizza il suo modo di lavorare, in particolare nelle soluzioni di facciata, dove l’uso accurato dei materiali ceramici asseconda ed enfatizza l’esuberante plasticità della struttura. Coerentemente eseguita in ogni dettaglio, la messa in opera della parete ventilata e dei parapetti di terrazze e balconi segue un preciso schema di posa, calibrato sullo sviluppo volumetrico del manufatto architettonico. Il paramento di finitura esterna della parete che riveste i piani tipo e le penthouse è costituito da un pannello di supporto in fibrocemento a cui sono fissate mediante incollaggio e aggancio meccanico di sicurezza a scomparsa le speciali lastre in grès porcellanato, specificatamente studiate per questo progetto. La Chiesa della Misericordia a Terranuova Bracciolini, in provincia di Arezzo, si sviluppa su due piani fuori terra e uno interrato. Il rivestimento esterno si contraddistingue per l’involucro tridimensionale, ottenuto mediante l’impiego quasi caleidoscopico di mattonelle in grès porcellanato dalla forma esagonale, disegnate da Marco Casamonti di Archea Associati, (lo studio che ha progettato anche il complesso religioso) e realizzata attraverso l’Atelier Tagina. La particolarità della soluzione proposta consiste nel fatto che alcune piastrelle sono piatte mentre altre sono trattate come piccoli volumi prismatici in rilievo: ciò crea un piacevole effetto ottico, in quanto la smaltatura del materiale ceramico interagisce con la luce e tramuta la pelle architettonica in una superficie cangiante e preziosa. L’involucro, costituito da una parete ventilata, garantisce inoltre eccellenti prestazioni termiche e dunque di risparmio energetico. Bridge 129 rappresenta un importante progetto di recupero di un capannone artigianale inserito in una zona produttiva a nord della città di Reggio Emilia, area che ha subito una profonda trasformazione dal punto di vista urbanistico con la costruzione, poco lontano, della nuova stazione dell’alta velocità progettata da Santiago
primo piano ceramica
Protoshop Lamborghini S. Agata Bolognese, Bologna (I) Studio di architettura Prospazio tipologia edificio industriale materiali ceramici rivestimento di facciata ventilata realizzato in lastre di grès laminato serie Slimtech, formato 300x100x0,35 cm, finitura cromatica Nero Lamborghini, creata appositamente per questo progetto; produzione Lea Ceramiche foto ©Matteo Serri
Calatrava. Senza demolire la struttura preesistente, il progetto, a firma Giuseppe Innocenti, ha dato all’edificio una forma del tutto nuova, in un rapporto volumetrico essenziale e più pulito rispetto al precedente. Applicate con la tecnica della parete ventilata, le lastre in grès porcellanato di grandi dimensioni, che rivestono completamente la costruzione, disegnano con rigorosa precisione la scansione dei nuovi fronti. Questo ha contribuito al raggiungimento di due importanti obiettivi: la riqualificazione energetica dell’edificio con una soluzione ottimale in termini di coibentazione e comfort, e una riconoscibile qualità del volume architettonico. Protoshop di Lamborghini è il primo edificio industriale multipiano in Classe A realizzato in Italia: con una estensione di quasi 5.000 mq, ospita il reparto Prototipi e Preserie della famosa casa automobilistica. Il progetto è stato realizzato dallo studio di architettura Prospazio, che ha sviluppato un intervento in cui gli elementi più significativi sono design, sicurezza e risparmio energetico. La struttura in cemento armato e lo studio geometrico dei 3 nuclei rigidi dei vani scala garantiscono sicurezza, forza e stabilità. Lastre ultrasottili (3,5 mm di spessore), formato oversize (3x1 m) in grès laminato costituiscono il paramento della facciata ventilata; posate in orizzontale con un sistema di ancoraggio a vista, nel grande formato e nella finitura cromatica Nero Lamborghini, creata appositamente per questo progetto, assolvono in modo esemplare sia il ruolo estetico che quello funzionale e tecnico. Le forme nette, il carattere muscolare e le linee a spigolo vivo sono alla base del concept architettonico, che trasforma un semplice volume industriale in un’architettura dalla forte identità. A San Pietroburgo l’architettura storica del centro della città, in gran parte costituita da edifici barocchi e neoclassici del XVIII e XIX secolo, è affiancata da palazzi di ultima generazione, incluse le residenze del St. Petersburg Building, progettate da Evgeniy Gerasimov & Partners, che riflettono lo stile elegante della capitale imperiale. Il rivestimento esterno di questo complesso residenziale, la cui maestosità e grandezza è in perfetta armonia con lo spirito della città, è realizzato con un sistema di facciate ventilate, per le quali sono stati impiegati oltre 9.000 mq di rivestimento ceramico dal colore sabbia, caldo e naturale, grazie al quale gli edifici risaltano e donano luminosità e armonia al quartiere in cui sorgono.
St. Petersburg Building San Pietroburgo (RUS) Evgeniy Gerasimov & Partners tipologia edificio residenziale materiali ceramici facciata ventilata rivestita con lastre in grès porcellanato, collezione Format, colore Sand, formato 30x60 cm; produzione Atlas Concorde
primo piano ceramica
Green Paradiso Lugano (CH) Promoedil tipologia edificio residenziale materiali ceramici 1.000 metri quadrati di facciata ventilata realizzati utilizzando la linea Magnum Oversize, collezione Industrial, formato 120x300x0,6 cm; produzione Floor Gres foto ©Fotofoglia
Il grès ceramico è il protagonista anche dell’intervento denominato Green Paradiso, progettato da Promoedil a Lugano, in Svizzera. La facciata ventilata del complesso, che si sviluppa per circa 1.000 mq, è stata realizzata utilizzando lastre di grande formato (120x300 cm), applicate con sistema di aggancio meccanico a vista. Grazie all’elevata versatilità del prodotto, alla modularità e alle ampie dimensioni degli elementi ceramici, è stato possibile realizzare, mediante taglio, una serie di sottomultipli, in modo da soddisfare specifiche esigenze di progetto. Lo spessore ridotto delle lastre (soli 6 mm), inoltre, ha contribuito ad alleggerire l’intera struttura, pur mantenendo elevati livelli di resistenza. Il pacchetto di rivestimento, oltre al paramento di finitura in moduli ceramici integrati sul retro da una rete fibrorinforzata di sicurezza, prevede una camera di ventilazione di 35 mm e uno strato di isolante di 140 mm. Affacciato sul litorale romagnolo di Riccione, il Complesso di palazzine residenziali progettato da Federica Signorini si contraddistingue per la coerenza compositiva dell’impianto volumetrico, l’accurato studio cromatico e la selezione dei materiali di finitura. Per il rivestimento esterno di queste prestigiose residenze è stato adottato il sistema a cappotto con finitura superficiale ceramica e a intonaco. L’effetto legno delle piastrelle in grès porcellanato, tagliate a misura e applicate nelle parti basse degli edifici, propone un originale disegno a doghe, gradevole per essenzialità e rigore delle forme.
Complesso Palazzine Residenziali Riccione, Rimini (I) Federica Signorini tipologia edilizia residenziale materiali ceramici rivestimento a cappotto con finitura superficiale in piastrelle di grès porcellanato, collezione Doghe 0.3, colore Rovere verniciato, formato 100x300 cm, tagliato a misura; produzione Ceramica Panaria foto ©Luciano Busani
Per un quadro più completo e aggiornato dell’offerta produttiva e delle soluzioni progettuali messe a disposizione dall’industria italiana delle piastrelle di ceramica, con riferimento sia ai rivestimenti di facciata, sia a tutti gli altri ambiti applicativi, l’appuntamento è al Cersaie, Salone internazionale della ceramica per l’architettura e dell’arredobagno, in programma presso il quartiere fieristico di Bologna, dal 28 settembre al 2 ottobre 2015. Cersaie www.cersaie.it
[email protected]
Ceramics of Italy www.laceramicaitaliana.it
[email protected]
primo piano concorsi
Concorso di architettura
Live outside the box Giordano Hadamik Architects si aggiudica la prima edizione del Premio Imago AGB Si è conclusa la prima edizione del Concorso di architettura “Live outside the box”, promosso e organizzato da AGB - Alban Giacomo in collaborazione con Casabella. Concepita con la formula del concorso di idee, l’iniziativa ha come obiettivo quello di segnalare e premiare le realizzazioni più interessanti e significative che, nei vari campi d’intervento architettonico, meglio valorizzino le eccellenti prestazioni tecniche e le potenzialità espressive dell’alzante scorrevole Imago, prodotto di punta nell’ambito della vastissima gamma aziendale. Aperto ad architetti, ingegneri e interior designer, il concorso ha selezionato progetti, anche riferiti a opere non ancora completate, in cui il corretto inserimento del sistema Imago ne esaltasse le caratteristiche di sostenibilità, risparmio energetico e minimalismo del design. Le opere selezionate hanno evidenziato requisiti di notevole livello qualitativo; in particolare, la grande attenzione posta nell’installazione degli infissi, oltre a qualificare gli interventi sul piano della leggerezza formale, ne ha ottimizzato le prestazioni di isolamento termico. La giuria di Casabella ha attribuito il primo premio a Villa Nemes, Imperia, progettata dallo Studio Giordano Hadamik Architects, Daniele Giordano, Nadine Hadamik, con il contributo tecnico dell’Imago Point - Fa-Sol snc di Gazzoni Luigi & figli.
AGB - Alban Giacomo SpA
[email protected] www.imago.agb.it www.agb.it
Villa Nemes Imperia Studio Giordano Hadamik Architects, Daniele Giordano, Nadine Hadamik www.gha4u.com Ph: Silvano Palumbo
ImagoPoint Fa-Sol snc di Gazzoni Luigi & figli Via Provinciale, 88 - 18036 Soldano (Im) Tel. 0184289122
[email protected] - www.fasolsnc.it
Situato sulle colline che si affacciano sul golfo di Imperia, l’edificio monofamiliare si inserisce coerentemente nel paesaggio antropizzato delle terrazze liguri diventandone parte integrante. Le facciate in pietra naturale si caratterizzano per le grandi aperture rivolte verso la valle e il mare, dove i serramenti svolgono un ruolo fondamentale nella valorizzazione della componente panoramica e della luce. Disposti su un unico piano, i due volumi semi-ipogei si piegano, seguendo la morfologia del terreno, e si spezzano a formare l’accesso in asse: da una parte si apre il grande open space della zona giorno e dall’altra le camere da letto con i servizi. Lunghi setti murari creano continuità tra il fabbricato, gli ambienti interni e le fasce esterne sistemate a verde con essenze della macchia mediterranea, mentre il patio e gli elementi frangisole fungono da filtro. La copertura vegetale contribuisce all’inserimento nel contesto riducendo sensibilmente l’impatto della costruzione. L’involucro semi-ipogeo altamente isolato e il controllo dell’apporto solare passivo, insieme all’utilizzo di energie rinnovabili, riducono notevolmente il consumo energetico, aumentando il comfort abitativo e portando le prestazioni dell’edificio ai livelli di Passivhaus. Come specificato nella motivazione della giuria: “L’inserimento di Imago si distingue per la capacità di dare leggerezza ed essenzialità compositiva alla facciata dell’edificio. Incassati e nascosti grazie all’utilizzo di pavimenti galleggianti in legno e rivestimenti in pietra e cartongesso, i telai hanno consentito alle grandi vetrate trasparenti di creare un dialogo continuo tra gli ambienti interni e il paesaggio circostante, interpretando al meglio le possibilità espressive offerte dal minimalismo di Imago. Posto al centro dell’esperienza abitativa, il serramento dà forma allo spazio aperto dell’intera zona giorno, mentre all’interno del processo costruttivo, sviluppato secondo i principi dell’architettura ecosostenibile, diventa esso stesso attore fondamentale per il raggiungimento di una classe energetica a consumo quasi zero. Di particolare interesse l’attenzione posta in fase di progettazione ai dettagli della posa, con l’utilizzo di vetro cellulare sotto la soglia del serramento per il taglio termico del massetto, in grado di valorizzare le alte prestazioni di isolamento che contraddistinguono Imago”. La giuria ha inoltre assegnato una menzione speciale al progetto Un nuovo suolo, Bassano del Grappa (Vi), dello Studio 3xL, Silvia Longo, Enrico Longo, con il supporto dell’Imago Point - Serradura Serramenti Arredamenti Srl.
Menzione speciale Un nuovo suolo Bassano del Grappa (Vi) Studio 3xL, Silvia Longo, Enrico Longo www.studio3xl.it “L’edificio, organizzato in due abitazioni distinte, è l’ampliamento di una preesistenza agricola, adagiata lungo il versante di una collina che si affaccia sul centro storico di Bassano del Grappa. Il sistema Imago si è dimostrato perfetto nel conciliare le esigenze di elevate prestazioni di isolamento termico con quelle di essenzialità delle facciate, fusione con il paesaggio e selezione di viste privilegiate, che incorniciano il panorama. Grazie alle sue ridotte dimensioni e tramite il posizionamento in continuità con la coibentazione, il telaio fisso rimane invisibile dall’esterno, pur garantendo il taglio termico e assicurando la massima illuminazione naturale”. ImagoPoint Serradura Serramenti Arredamenti Srl Via Fontanazzi, 1 B - 36020 Solagna (Vi) Tel. 0424816105
[email protected] - www.serradura.it
primo piano riscaldamento
Gruppo Piazzetta Via Montello, 22 31011 Casella d’Asolo (TV) Tel. 04235271
[email protected] www.piazzetta.it
Caminetti Panoramic
Caminetto Helsinky
Gruppo Piazzetta
Caratteristiche tecnico-prestazionali
La storia del Gruppo Piazzetta è fatta di ricerca e innovazione, competenza, selezione dei materiali migliori, tecnologia unita a maestria artigiana. Azienda flessibile e organizzata, è in grado di dare risposte precise e puntuali a un mercato in costante evoluzione, attento ed esigente. I focolari Piazzetta racchiudono un’anima tecnologica che garantisce grande funzionalità, affidabilità ed efficienza. La sperimentazione di nuove metodologie sempre più performanti e il costante impegno consentono all’azienda di mettere a punto soluzioni di riscaldamento tecnologicamente avanzate per assicurare il massimo comfort, in totale sicurezza. Tra le varie proposte, la Collezione Panoramic scaturisce dalla capacità di Piazzetta di progettare e realizzare un camino in grado di coniugare grande impatto estetico, buoni rendimenti e combustione pulita, in una perfetta combinazione di tecnologia e materiali innovativi. L’ampia superficie vetrata che avvolge il focolare, priva di profili metallici, offre una visione a 360° o 180° della fiamma, con un vetro panoramico a saliscendi, completamente a scomparsa all’interno del basamento, motorizzato con comandi a pulsanti. La collezione comprende oltre dieci modelli che ripropongono in chiave moderna lo stile intramontabile dei focolari di un tempo: a centro stanza con base circolare, quadrata o rettangolare, oppure con base rettangolare a filo muro. I focolari sono disponibili in tre finiture: nero, bianco e cor-ten. Completano i vari modelli preziose superfici di maiolica realizzata a mano, disponibili in un’ampia gamma di oltre trenta colori, che permettono al cliente una grande varietà di soluzioni innovative e personalizzate. Tra le ultime proposte, il modello Helsinki è un caminetto che integra design, tecnica ed esperienza artigianale. Nel profilo spiccano l’importante cappa in pregiato acciaio cor-ten e la base, realizzata con pannelli di grande dimensione in maiolica. All’interno, il monoblocco rettangolare con vetro ad angolo è dotato dell’esclusivo sistema a saliscendi motorizzato elettricamente. I quattro elementi di vetro ceramico assicurano una perfetta visione della fiamma, con un cuscino d’aria che contribuisce a mantenere pulito il vetro. Il focolare in Aluker®, materiale ceramico brevetto esclusivo Piazzetta, migliora la combustione e la diffusione del calore. Simili caratteristiche per il Caminetto Malmo. La generosa cappa in acciaio verniciato nero, disponibile anche nella versione bianco e cor-ten, si impone alla vista, concorrendo in modo determinante alla definizione della qualità spaziale dell’ambiente. L’intero monoblocco ne è valorizzato, e con la grande panca reversibile, realizzata in pannelli di maiolica lavorati a mano, offre una soluzione estetica di sicuro pregio ed eleganza.
struttura in acciaio verniciato con focolare chiuso con vetro panoramico a 360° o 180° focolare in Aluker® con paralegna cappa in acciaio verniciato nero o bianco o cor-ten piano fuoco in Aluker® apertura a saliscendi con sistema motorizzato elettricamente riscaldamento a convezione naturale e irraggiamento volume riscaldabile 275-470 mc potenza termica del focolare 21,6 kW rendimento termico nominale 75,7%
Caminetto Malmo
organized by
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STO N E CO M M U N I T Y
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Electaarchitettura in libreria Architetti e architetture
ristampe e novità
Maria Bonaiti Architettura è Louis I. Kahn, gli scritti 180 pagine 60 illustrazioni quarta edizione
Architettura e architetti moderni
Documenti di architettura
A cura di Anna Bronovitskaya Leonid Pavlov
A cura di Federico Tranfa Bak Gordon Architetture abitate
336 pagine 550 illustrazioni edizione inglese
www.amazon.it www.ibs.it www.mondadoristore.it
144 pagine 220 illustrazioni edizione bilingue italiano e inglese
Rem Koolhaas Delirious New York 308 pagine 230 illustrazioni undicesima edizione
Ad esempio
Marco Mulazzani Edoardo Milesi Forum Fondazione Bertarelli Sala da concerti nella Maremma toscana 96 pagine 150 illustrazioni edizione bilingue italiano e inglese
Rafael Moneo Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei 336 pagine 355 illustrazioni quarta edizione
Design & grafica
Alberto Bassi Food design in Italia Progetto e comunicazione del prodotto alimentare 272 pagine 340 illustrazioni edizione italiana e inglese
spagna Federazione Russa giappone Cluster Zone Aride Cluster Bio-Mediterraneo Cile Cluster Riso Thailandia Kuwait Cluster Caffè Gift Shop a cura di Livio Salvadori
EXPO
2015
©Padiglione Spagna
[3]
Spagna Progetto architettonico e design dei contenuti B720 Arquitectos - Fermín Vázquez
Spagna “Coltivando il futuro” I segreti del successo della filiera alimentare spagnola sono il miglioramento nei processi distributivi, la presenza di una grande varietà di paesaggi, zone climatiche ed ecosistemi. Ispirato a una serra a forma di portico, il padiglione spagnolo accoglie i visitatori attraverso una ventina di “valigie” che proiettano altrettante proposte visive, ognuna dedicata a un alimento. Spazi esterni e interni si compenetrano, con una prevalenza di zone all’aria aperta in cui ci si può rilassare tra il patio degli aranci, il chiringuito e l’auditorium. L’idea della convivenza tra tradizione e innovazione prende corpo in due grandi caseggiati affiancati parallelamente, uno composto di strutture in legno e l’altro in acciaio, ognuno dei quali contiene prodotti, spazi espositivi e materiali illustrativi a tema.
Progetto architettonico e design dei contenuti B720 Arquitectos - Fermín Vázquez Allestimento area mostra, auditorium e aree laboratori Acción Cultural Española Design istallazione multimediale Antoni Miralda Progetto audiovisivo e 3D delle installazioni Pulgon - Gruppo Empty General contractor Empty Montaggio struttura Altermateria - Gruppo Empty Progetto audiovisivo e 3D delle installazioni Pulgon - Gruppo Empty Architettura 3D Prompt Collective - Gruppo Empty Prodotti chimici per l’edilizia Mapei Pavimentazioni e rivestimenti in agglomerato Gruppo Cosentino Luci e forniture elettriche Artec3 Allestimenti aree ristorazione Grupo Sagardi
©Padiglione Spagna
©Padiglione Spagna
attualità expo 2015
©Livio Salvadori
Federazione Russa “Crescere per il mondo. Coltivare per il futuro” Paese degli spazi infiniti, delle lunghe distanze e dei boschi naturali, la Federazione Russa presenta un padiglione dall’architettura lignea, fulcro attorno a cui ruota il concept. La grande facciata in legno, con funzione brise-soleil, sostiene una copertura a terrazza che sale e si estende gradualmente verso l’ingresso principale, in modo da sviluppare una lunga e slanciata tettoia di circa 30 m. L’ampia collina diventa un elemento del paesaggio naturale, circondato da organici cerchi in legno che formano il ‘naso’ di una barca a vela. L’interno semi-trasparente del piano terra e il suo tetto verde creano una serie armonica di spazi aperti e piattaforme di osservazione, facilmente accessibili ai visitatori. Nella parte superiore dell’edificio, la serpentina pende dal tetto rivestito di vegetazione, a simboleggiare campi sconfinati.
Progetto architettonico SPEECH Architectural Office Sergei Tchoban, Alexei Ilyin, Marina Kuznetskaya Impresa di costruzioni RT EXPO Sistemi di facciata Schüco International Italia; SECH Costruzioni Metalliche realizzazione Rivestimenti ceramici Marazzi Soluzioni illuminotecniche iGuzzini Illuminazione
Esempio di architettura innovativa, capace di esprimere appieno la fusione di cultura tradizionale e tecnologia avanzata, il Padiglione, composto da 17mila pezzi di legno incastrati tra loro in modo da lasciar penetrare la luce solare, si sviluppa all’interno di “una griglia tridimensionale”, edificata con una commistione di tecniche costruttive tradizionali, analisi strutturale moderna e il cosiddetto “metodo di tensione compressiva”. Le pareti lignee poggiano su una struttura in acciaio costituita da elementi verticali a “T” ed elementi orizzontali tubolari. Al primo piano, nei ristoranti e zona eventi, il Giappone propone la propria cultura alimentare come esempio di nutrimento sano, sostenibile ed equilibrato, con i tipici piatti a base di riso, pesce crudo e verdure.
Progetto architettonico e d’interni Atsushi Kitagawara Architects Progetto strutture Arup Italia - Maurizio Teora Architettura e ingegneria Ishimoto Architectural & Engineering Firm Ingegneria meccanica Stain Engineering Progetto opere civili IPARCH - Stefano Pellin Progetto allestimento Dentsu General contractor Takenaka Europe Strutture in legno lamellare Galloppini Legnami Sistemi di vetrazione AGC Glass Europe Prodotti chimici per l’edilizia Mapei Percorsi guida per non vedenti Artigo Soluzioni illuminotecniche Lumen Center Italia ©Livio Salvadori
Giappone “Diversità armoniosa”
©Livio Salvadori
attualità expo 2015
Cluster Zone Aride “L’agricoltura e l’alimentazione delle zone aride” Eritrea, Gibuti, Mauritania, Mali, Palestina, Senegal, Somalia, Giordania
©Livio Salvadori
Il Cluster Zone Aride ospita paesi connotati dalla presenza di zone desertiche, aride, appunto, con scarsità d’acqua - condizione dalle gravi ripercussioni sociali, economiche, imprenditoriali. Il progetto nasce dall’idea della tempesta di sabbia nel deserto, interpretata da una moltitudine di cilindri semitrasparenti, sospesi su tutta l’area. Le bacchette in PMMA satinato creano un effetto nebbia che s’intensifica e si dirada creando trasparenze, opacità e distorsioni. I padiglioni emergono come grandi cristalli che bucano la tempesta; la loro forma è ottenuta con tessuto tecnico tensionato fissato a una struttura metallica. Oasi fresca e accogliente, una “fontana dell’acqua” accoglie il visitatore, ad enfatizzare il ruolo del liquido prezioso.
Cluster concept Politecnico di Milano con Birzeit University (Palestinian National Authority) e ETSAM (Madrid) Concetto architettonico e design Politecnico di Milano Concept e layout della mostra Alessandro Biamonti, Michele Zini con Barbara Camocini Collaborazione Sara Callioni, Andrea Cattabriga, Sebastiano Longaretti, Sara Michelini, Claudia Zoboli Sviluppo contenuti Politecnico di Milano Responsabile scientifico Luisa Collina Principal investigator Barbara Camocini General contractor Rubner Objektbau - Gruppo Rubner Strutture in legno Rubner Holzbau - Gruppo Rubner Progettazione esecutiva Sering Prodotti chimici per l’edilizia Mapei
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Cluster Bio-Mediterraneo “Salute, bellezza e armonia” Albania, Algeria, Egitto, Grecia, Libano, Malta, Montenegro, San Marino, Serbia, Tunisia Il progetto è ispirato all’immagine della città del Mediterraneo e si sviluppa attorno a una grande piazza semicoperta che ospita quattro strutture dedicate alla distribuzione di prodotti tipici di quest’area geografica. La varietà cromatica del pavimento, composta da diverse tonalità di azzurro, richiama tutte le sfumature del mare che abbraccia le nazioni ospitate nel Cluster. Nella zona centrale, le cucine all’aperto della tradizione fungono da poli d’attrazione. Qui i visitatori trovano una selezione di alcuni prodotti tipici della cucina mediterranea: l’olio d’oliva, il pane, il vino. I padiglioni presentano un rivestimento in policarbonato compatto opalino, bianco opaco, mentre la parte superiore è in lamiera d’alluminio, stirata e ondulata.
Cluster concept Politecnico di Milano con Seconda Università degli Studi di Napoli e American University in Cairo (Egypt) Concetto architettonico e design Politecnico di Milano Design Credits Cherubino Gambardella, Stefano Guidarini, Camillo Magni con Lorenzo Capobianco, Simona Ottieri Collaborazione Vittorio Di Gioia, Gianluca Ferriero, Maria Gelvi, Concetta Tavoletta, Riccardo Spreafico, Luca Varvello, Francesco M.G. Vozza Sviluppo contenuti Seconda Università degli Studi di Napoli Responsabile e coordinatore ricerca Cherubino Gambardella Partner ufficiale Regione Sicilia General contractor Rubner Objektbau - Gruppo Rubner Strutture in legno Rubner Holzbau - Gruppo Rubner Progettazione esecutiva Sering
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attualità expo 2015
Cile “El Amor de Chile” Il Padiglione consente un viaggio tra i diversi ecosistemi cileni, deserti, fiumi, valli e montagne, mostrando come la vita cresce in ognuno di essi, e con quali strumenti la si preserva. Il materiale principe, il legno, è usato per ricordare che la superficie forestale in Cile è in aumento, in controtendenza rispetto alla deforestazione in corso sulla Terra. L’architettura del Padiglione, che si sviluppa in uno spazio di 1.910 metri quadri, vuole essere incentrata sull’arte dell’ospitalità. È un volume sospeso, una grande architrave in legno avvolta da uno scheletro in travi incrociate, sollevata da pilastri di acciaio che creano uno spazio intermedio - l’orizzonte temperato tipico dell’architettura cilena.
Progetto architettonico Cristián Undurraga Undurraga Devés Arquitectos Coordinatore progetto Sebastián Mallea Progettista locale Progettisti Associati Architettura - Hugo Sillano Progetto strutture e impianti F&M Ingegneria Direttore creativo Eugenio Garcia Exibition design El Otro Lado Consultora Multimedia design RIOLAB General contractor Valori Sarappalti Strutture in acciaio Stahlbau Pichler Struttura in legno lamellare Albertani Corporates Soluzioni illuminotecniche iGuzzini Illuminazione
Cluster Riso “Abbondanza e sicurezza” Bangladesh, Cambogia, Myanmar, Repubblica Democratica Popolare Laos, Sierra Leone, Padiglione Basmati Grazie a un gioco di specchi d’acqua, i padiglioni sono inseriti in un paesaggio agricolo: entrando nel Cluster ci si trova immediatamente immersi in una risaia in miniatura, una mostra a carattere botanico di aree coltivate con diverse tipologie di riso, con riconoscibili texture dei campi - i colori, i profumi e le ombre che accompagnano la crescita del riso. Le vasche delle risaie sono collegate a cascata con un dislivello che permette all’acqua di defluire senza alcun ausilio meccanico, come avviene nella realtà. Il rivestimento a specchio dei padiglioni e l’inclinazione verso il basso dei loro prospetti riflette in modo scenografico il paesaggio delle risaie.
Cluster concept Politecnico di Milano con Tongji University (China), National University of Civil Engineering Hanoi (Vietnam) Concetto architettonico e design Politecnico di Milano Design Credits Agnese Rebaglio, Davide Crippa, Barbara Di Prete con Lorenzo Loglio, Francesco Tosi Collaborazione Paolo Saluzzi Sviluppo contenuti Università degli Studi Milano Bicocca Responsabile scientifico e coordinatore di ricerca Marialuisa Lavitrano Principal investigator Marialuisa Lavitrano, Maurizio Casiraghi, Massimo Labra General contractor Moretti - Gruppo Terre Moretti Strutture in legno Moretti Interholz - Gruppo Terre Moretti
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attualità expo 2015
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Thailandia “Nutrire e deliziare il mondo in modo sostenibile”
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Il Padiglione della Thailandia si ispira al cappello tipico del coltivatore di riso, chiamato “ngob”. Esiste solo in questo Paese, dove viene utilizzato fin dai tempi antichi, e per questo è l’emblema del sapere contadino e della saggezza locale. A questo, si affianca un’altra forma, quella del “naga”, che riprende le linee sinuose degli spiriti della natura, protettori di fonti, pozzi e fiumi e portatori di pioggia e fertilità. La rampa di accesso incolonna i visitatori e li porta all’edificio principale, riprendendo nel disegno le simbologie divine tipiche della tradizione buddista. Le strutture in elevazione sono realizzate interamente in carpenteria metallica, con travi HE, IPE e UPN a formare l’ossatura; nell’edificio principale i piani sono costituiti da impalcati metallici con solette in lamiera grecata.
Progetto architettonico OBA The Office of Bangkok Architects Progettazione architettonica locale, progettazione strutturale e impiantistica Work in Progress Architettura del paesaggio Landprocess Co. General contractor Work Right JV, Padiglioni EXPO scarl Impresa costruzioni CMB - Coop. Muratori e Braccianti Costruttore metallico GED Prodotti chimici per l’edilizia Mapei Soluzioni illuminotecniche iGuzzini Illuminazione
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attualità expo 2015
L’acqua, l’agricoltura e l’energia sono le più grandi sfide che il Kuwait affronta per garantire una migliore qualità della vita in un’ottica di sostenibilità. La partecipazione a Expo Milano 2015 offre l’occasione di far conoscere ai visitatori sia i grandi progetti ideati in questi tre settori sia i risultati raggiunti. Il padiglione è un affascinante spaccato del territorio del Paese, della sua cultura, delle risorse umane e paesaggistiche; la struttura richiama le imbarcazioni kuwaitiane, i “Dhow”, tuttora utilizzate nel Golfo Arabico, mentre la facciata laterale presenta un esempio delle serre e dei sistemi di coltura idroponica; il grande spazio dedicato alla ristorazione è arricchito da elementi tipici dei souk arabi e da un grande focolare al centro, consentendo ai visitatori di gustare i sapori della cucina tradizionale kuwaitiana.
Progetto architettonico Italo Rota Progettazione esecutiva facciate, impianti e strutture Studio Progetto CMR - Massimo Roj General contractor Nussli Italia Impresa costruzioni Vanoncini Sistemi di facciata Schüco International Italia; ISA realizzazione e installazione Sistemi di vetrazione AGC Glass Europe Tensostrutture Maffeis Engineering Rivestimenti ceramici Cooperativa Ceramica d’Imola Sistemi di illuminazione Artemide Arredi Maligno Arredamenti
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Kuwait “La sfida della natura”
©Livio Salvadori
Cluster Caffè “L’energia delle idee” Burundi, El Salvador, Etiopia, Guatemala, Kenya, Repubblica Dominicana, Ruanda, Timor-Est, Uganda, Yemen Le immense piantagioni di caffè distese all’ombra delle foreste tropicali hanno ispirato il progetto del Cluster del Caffè. L’architettura degli spazi richiama infatti i rami più alti degli alberi, all’ombra dei quali crescono le piante di caffè, mentre i Padiglioni sono una metafora dei loro tronchi. I toni caldi e i colori naturali che caratterizzano l’ambiente cambiano in base alla luce che filtra dall’esterno attraverso la copertura, influendo sulla percezione dello spazio e dando al visitatore l’illusione di trovarsi proprio in una foresta. Il percorso espositivo è un vero e proprio viaggio dalla pianta alla tazzina, suddiviso in quattro stazioni tematiche, a raccontare il percorso che trasforma un chicco in una delle bevande più consumate al mondo.
[continua sui prossimi numeri]
Cluster concept Politecnico di Milano con FAU Universidade de São Paulo (Brazil) Concetto architettonico e design Politecnico di Milano Design credits Alessandro Colombo, Stefan Vieths, illycaffè Collaborazione Francesca Rapisarda, Alexandre Hepner, Maddalena Nakato Mainini, Silvia Pomodoro Sviluppo contenuti Università Commerciale “Luigi Bocconi”, Università del Caffè / illycaffè Direttore del cluster Roberto Morelli Responsabile scientifico Università Commerciale “Luigi Bocconi”, Chiara Mauri, Università del Caffè / illycaffè Coordinatore di ricerca illycaffè General contractor Bilfinger Prodotti chimici per l’edilizia Mapei
primo piano expo 2015
UN MANTELLO DI SCANDOLE PER EXPO Come sempre accade quando l’architettura diventa sinonimo di qualità del progetto, l’intreccio tra estetica, funzione, tempi di realizzazione ed esigenze di rappresentanza genera un risultato inaspettato, cui concorrono in modo fondamentale abilità delle maestranze, sinergie progettuali, scelte tecniche ed esecutive. La sfida affrontata e risolta in soli ottanta giorni all’EXPO da Alessandro Pedron e Marco Zito, su proposta del gruppo COIN, che attraverso i brand OVS ed Excelsior Milano è official retailer dell’Esposizione Universale, ha consentito la realizzazione di due sorprendenti padiglioni che non solo si configurano come strutture dai caratteri di forte modernità, ma, pur nascendo da un’occasione temporanea, contribuiranno, smontati e riutilizzati, alla costruzione di un asilo aziendale nel veneziano. Un singolare mantello di larghe scandole metalliche a losanghe diagonali caratterizza gli edifici; sviluppata da Pedron e Zito, la copertura è stata realizzata da De Castelli, azienda che fonde, nella propria strategia di impresa, una ormai invidiabile esperienza nelle finiture metalliche per l’architettura e un’inesausta ricerca di innovazione. Dalla collaborazione tra progettisti e produttore, è nato l’innovativo rivestimento che, pur in un’analoga risoluzione formale ed esecutiva, si declina nel colore industriale e tecnologico dell’alluminio spazzolato per il padiglione OVS, e nella preziosità dai riflessi
©Alessandra Chemollo
De Castelli riveste il Gift Shop OVS - Excelsior Milano
aurei del cor-tén délabré per rappresentare l’identità più sofisticata ed esclusiva di Excelsior Milano. Entrambe le lavorazioni sono completate da una finitura realizzata a mano sulle singole scandole, il che contribuisce a trasformare in texture un mantello già mosso dalla disposizione diagonale e sfalsata, alla cui risoluzione tecnica e installazione ha apportato un prezioso contributo la partnership tra De Castelli e la Lattoneria Vladimiro Giacometti. L’interfaccia tra gli edifici, risolta piegando e differenziando le falde, smentisce l’esatta somiglianza tra gli elementi costitutivi, e dona allo spazio apparenti dilatazioni e inaspettate complessità; conferisce nobiltà materica ed espressiva ai padiglioni, ne garantisce resistenza nello smontaggio e durata nel tempo. Numerose prove di laboratorio, favorite dalla disponibilità alla sperimentazione della De Castelli, hanno permesso di superare i problemi tecnici, estetici e funzionali, per conquistare, attraverso la speciale lavorazione manuale, la raffinatezza di una pelle metallica luminosa e cangiante che il tempo provvederà ad ossidare. Dallo stretto rapporto tra i progettisti e l’azienda sono scaturiti esiti innovativi, come la possibilità di celare completamente i fissaggi tra le scandole grazie alla sovrapposizione di quattro differenti piani di posa, all’origine anche del particolare effetto tridimensionale, di leggera sospensione, che caratterizza il rivestimento. La disposizione a losanghe oblique genera inoltre un notevole impatto estetico, dovuto a un ribaltamento verso l’alto delle ombre, ben percepibile soprattutto al tramonto e la mattina presto. De Castelli Via delle Industrie 10, 31035 Crocetta del Montello (Tv) Tel. 0423638218 Fax 042383467 www.decastelli.it
[email protected]
Committente OVS - Gruppo COIN Progetto architettonico ed esecutivo Marco Zito + Alessandro Pedron architetti Progettazione e coordinamento Lorenzo Mattozzi Collaboratori Valentina d’Alberto, Ilaria dell’Orco, Ilaria Fracassi, Alessandro Zanini Progetto di interni Vincenzo De Cotiis Architects Ingegneria Studio Progedi strutture metalliche FM Ingegneria fondazioni Studio Zambonin impianti Direzione lavori e coordinamento Alessandro Bonaventura FM Ingegneria Imprese e fornitori Tarquinio capo commessa e impianti Sara Appalti fondazioni Eurofrio strutture metalliche e tamponamenti Masergroup cartongessi e finiture Stragal serramenti e vetri Greenwood Professional Pavimenti pavimenti esterni Joyflor giardino Rivestimento di facciata De Castelli rivestimenti metallici Lattoneria Giacometti montaggio
Argilla
Acqua
Colore
Terra cruda
Elena Del Prete e Guglielmo Gennari Università degli Studi della Repubblica di San Marino Università IUAV di Venezia / Laurea in Disegno Industriale
28 SETTEMBRE / 2 OTTOBRE /2015
BIGLIETTO OMAGGIO ONLINE
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settembre è in edicola
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kk1996–2014 INDICI kkINDICES 632–845
casabellaweb.eu
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MUSEO NACIONAL DEL PRADO
a cura di Carlotta Tonon
–Diego Velázquez, Esopo, 1638, olio su tela, Museo del Prado, Madrid
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sommario
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RPBW
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Renzo Piano Building Workshop
Herzog & de Meuron
Valletta City Gate, Valletta, Malta 5 Renzo Piano Building Workshop – Un brano di città intessuta con pietra maltese Federico Bucci
Nuovo stadio di Bordeaux, Francia 50 Herzog & de Meuron – Un tempio trasparente per il Bordeaux Football Club Marco Biagi
24—47 Metropolitane no frills
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Barcellona, tre stazioni della linea l9, Garcés De Seta Bonet arquitectos + Budapest, Due stazioni della linea M4, sporaarchitects
Aesop a cura di Carlotta Tonon 64
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Aesop: il paradosso del brand Francesco Dal Co
Garcés De Seta Bonet Arquitectos
67 Aesop: l’inusuale storia di un successo Annemarie Kiely
Tre stazioni della metropolitana L9, Barcellona, Spagna 26
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Discesa agli inferi e ritorno Massimo Ferrari
I 108 negozi Aesop 92
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Paulo Mendes da Rocha + Metro Aesop Oscar Freire, San Paolo, Brasile Paulo Mendes da Rocha
sporaarchitects Due stazioni della metropolitana M4, Budapest, Ungheria 38 Tormentate geometrie sotterranee Giovanna Crespi
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MICHEL DENANCÉ
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RENZO PIANO BUILDING WORKSHOP
RENZO PIANO BUILDING WORKSHOP — UN BRANO DI CITTÀ INTESSUTA CON PIETRA MALTESE
Renzo Piano Building Workshop Valletta City Gate, Valletta, Malta fotografie Mario Carrieri, Michel Denancé disegni Renzo Piano Building Workshop
FEDERICO BUCCI
«Di quando ero bambino ricordo una bandiera piena di croci e una barba rossa». Corto Maltese
1 -dettaglio del rivestimento in pietra della facciata del nuovo Parlamento della Repubblica di Malta -detail of the stone facing of the new Parliament of the Republic of Malta
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Lezioni di onestà architettonica dalla preistoria di Malta: è questo il titolo dell’articolo con il quale, settantacinque anni fa, Giuseppe Pagano apre il numero 155 di «Costruzioni-Casabella». L’incipit merita la citazione, per i motivi che spero di provare in seguito: «Fa sempre piacere imbattersi in qualche onesto collega che non prostituisce l’architettura ai servizi della bassa rettorica e che cerca di ottenere i massimi risultati col minimo dispendio di accidenti decorativi». L’editoriale del direttore prosegue con l’elogio del libro di Carlo Ceschi sui templi megalitici di Hagar Qim, studiati nella missione archeologica diretta da Luigi Mario Ugolini, giovane e brillante archeologo prematuramente scomparso nel 1936, spedito dal fascismo a Malta per affermare le radici italiche del Mediterraneo. Ceschi, nuovo soprintendente ai monumenti della Liguria, ridisegna i ruderi preistorici e immagina l’aspetto originale dei volumi in pietra;
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Pagano apprezza il modernissimo “cubismo architettonico” emerso dall’accurata ricostruzione filologica. È il 1940. A giugno Mussolini dichiara l’ingresso dell’Italia nel conflitto mondiale e una delle prime azioni è il bombardamento di Malta, roccaforte inglese dall’Ottocento, preludio alla serie infinita di raid aerei, condotti insieme all’aviazione tedesca fino al 1943. La Valletta, fondata nel Cinquecento dal Gran Maestro dei Cavalieri Ospitalieri Jean de la Valette e progettata come fortezza inespugnabile dall’ingegnere militare Francesco Laparelli, resiste strenuamente, grazie ai rifugi ricavati sottoterra. Tra questi, non va dimenticato il tunnel della linea ferroviaria, aperta dal 1883 al 1931 tra La Valletta e l’antica capitale Mdina. In superficie, i bombardamenti colpiscono anche la Royal Opera House, fastoso teatro neoclassico costruito nel 1866 e, a causa di un incendio, ri-
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costruito dieci anni dopo. La sera del 7 aprile 1942 l’edificio è devastato dalle bombe della Luftwaffe. Per chi volesse approfondire questi eventi, non mancano puntigliose ricostruzioni storiche dedicate dell’assedio di Malta (il secondo dopo il Great Siege compiuto dall’Impero Ottomano nel 1565 e respinto dai Cavalieri), tuttavia in una prospettiva diversa consiglio la lettura di V., il primo romanzo dello scrittore americano Thomas Pynchon, perché le “confessioni di Fausto Maijstral” toccano sicuramente corde più emozionanti. In ogni caso, in particolare nella zona della Porta Reale, l’ingresso dalla terraferma vicino all’Opera e alla stazione ferroviaria, Valletta ha lasciato aperte le ferite della guerra per molti anni, con una serie di parcheggi che stridevano non poco con il bollino di “patrimonio dell’umanità” apposto al sito dall’Unesco. Fino al 2009, quando è stato aperto il cantiere per la realizzazione del progetto di Renzo Piano. Un progetto di sistemazione complessiva dell’area delle mura, verso i bastioni esterni di Floriana, che inizia nel 1986 con il ridisegno del City Gate datato anni Sessanta, è interrotto e poi ripreso in una dimensione più ampia, con l’aggiunta della nuova sede del Parlamento e la riapertura del Teatro e, infine, ha inaugurato ufficialmente i suoi spazi quest’anno. Mettiamo da parte le lunghe e noiose scaramucce con la committenza pubblica, preda in tutto il mondo delle direzioni politiche che vogliono lasciare segni materiali del proprio passaggio (ma per diventare un Pompidou bisogna conoscer bene la poesia!), oltre agli umori dei singoli cittadini, amplificati nell’epoca dei social network, e vediamo cosa e come è stato fatto per la città, senza trascurare ciò che ancora serve per completare quanto pensato dall’architetto.
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2 -Malta e Valletta, pianta del 1888 -Malta and Valletta, map, 1888 3 -Valletta, pianta del 1943 -Valletta, map, 1943 4 -Valletta, foto aerea del 2010 -Valletta, aerial photo, 2010 5, 6 -due vedute dei templi megalitici di Hagar Qim -two views of the megalithic temples of Hagar Qim 7 -il sito archeologico di Hagar Qim con la copertura realizzata dall'Unesco nel 2009 -the archaeological site of Hagar Qim with the roof made by UNESCO in 2009 8, 9, 10 -il cantiere del progetto di Renzo Piano Building Workshop -worksite of the project by Renzo Piano Building Workshop
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ALESSANDRA PIZZOCHERO
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che ospitano l’aula del Parlamento della Repubblica di Malta e gli uffici annessi. Sotto i quali, in una vera e propria piazza coperta, nel sito occupato dalla stazione ferroviaria e poi lasciato vuoto, apprezziamo lo spettacolare taglio diagonale allineato con il lato corto del Cavaliere di Saint James, opera di Laparelli portata a termine dal maltese Girolamo Cassar, trasformato in centro culturale nel 2000. In questo modo, risulta più precisamente segnalata la direzione verso la Chiesa di Santa Caterina (la “Chiesa degli Italiani”) e l’Auberge d’Italie (uno degli otto edifici costruiti nel Cinquecento da Cassar, in omaggio alle lingue parlate dai Cavalieri), fino al Victoria Gate e al nuovo approdo delle navi da crociera. Descritta la forma, ora dobbiamo dire dei materiali che compongono i blocchi di pietra del Parlamento, le cui facciate da lontano somigliano alle pareti di una cava in piena attività estrattiva, percorse da nette incisioni procurate dalle macchine da taglio a filo diamantato. I 316 kmq delle isole maltesi sono formati da rocce sedimentarie e la pietra locale ha due varietà principali, usate entrambe come materiale da costruzione fin dalla preistoria: c’è la morbida e chiara Globigerina, in maltese franka o softstone in inglese, e la più resistente Coralline (in versione upper o lower), nota anche come maltese marble o hardstone, la cui composizione e le caratteristiche venature dal color miele al rosso derivano dall’abbondante presenza di fossili di alghe. Renzo Piano e i collaboratori del suo Building Workshop hanno lavorato molto per cercare la pietra più adatta, una Lower Coralline hardstone di una cava scoperta a Gozo, a cui è affidato il prezioso compito di interpretare la tradizione architettonica maltese (dai templi megalitici alle fortificazioni di Laparelli e Cassar),
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Iniziamo dalla Porta e dal fronte interno delle mura. Arrivati alla piazza con la Fontana del Tritone, ancora dominata dalle bancarelle e dal carosello dei bus del Malta Public Transport (a cui però va dato il merito di aver sostituito i vecchi Dodge gialli senza aria condizionata), il ponte è stato riportato alla sua più stretta dimensione originale, più adatta ai percorsi pedonali. Guardando in basso, il fossato deve ancora accogliere il giardino disegnato da Piano, insieme al bar e alla terrazza panoramica collocati nel tunnel dell’antica stazione ferroviaria, spazio sotterraneo di grande importanza sia per le fondazioni del nuovo edificio del Parlamento, sia per la sua climatizzazione. Mentre di fronte siamo accolti da un largo taglio nei bastioni, aperto verso l’alto, segnato ai lati da due alti pennoni e sulle mura da pareti metalliche che, come lame, separano nettamente la pietra antica da quella usata per la nuova costruzione. Questo ingresso, rivolto verso il mare e il Forte di Sant’Elmo attraverso l’asse di Triq ir-Repubblika (o Republic Street) permette di cogliere con uno sguardo la forma ortogonale della Valletta. Superata la nuova Bieb ilBelt (porta della città), prima di osservare i volumi costruiti, è importante soffermarsi sui vuoti, ovvero, sul percorso che con due larghe scalinate appoggiate alle mura mette in connessione i due cavalieri di St. James e di St. John, com’era dalle origini fino alla Seconda guerra mondiale. A questo punto, possiamo concentrare il nostro sguardo sulla costruzione: una massiccia torre in pietra priva di aperture sembra sostenere, sollevati da terra “su esili sostegni”, due grandi blocchi lapidei tagliati in forma di parallelepipedi regolari, uno dei quali è diviso a metà in senso perfettamente verticale. Si tratta degli edifici
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anche attraverso il dettaglio dei blocchi che presentano nel loro spessore un profondo taglio a 45 gradi, utilissimo brise-soleil per le finestre degli uffici e degli spazi illuminati ai lati con luce naturale. Così, “pezzo per pezzo” (termine caro all’architetto e senatore italiano) è costruito il puzzle di ogni facciata dell’edificio, piena laddove non prende luce e traforata quando l’interno ne ha bisogno; composizione, esito di ricercati accostamenti cromatici, che personalmente consiglio di apprezzare nelle ore pomeridiane, dalla strada sopra gli archi del vecchio isolato posto di fronte al Parlamento su Republic Street. Da qui, guardando le variazioni della “luce di taglio” sulla pietra, è difficile trattenere il rimando alla Decollazione di San Giovanni Battista che, a poche centinaia di metri, nella Concattedrale dedicata al Santo, testimonia il genio di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, approdato a Malta all’alba del Seicento e rimesso in fuga dall’irrequietezza. A questo punto, per concludere la descrizione del progetto firmato RPBW, non resta che ordinare una Cisk con vista sul Teatro all’aperto riproposto sullo stesso sito della Royal Opera House, lavorando di fino all’interno dei ruderi con una struttura metallica reversibile, con file di verdi poltroncine, contro la quale si sono ovviamente scagliati i più nostalgici tra gli abitanti della Humilissima Civitas Vallettae, ignari che ogni ricostruzione –più o meno filologica– è il modo più rapido per cancellare le testimonianze del passato. Forse è meglio lasciar fare al tempo, al quale anche Renzo Piano ha consegnato questa sua finissima ricucitura in pietra di un prezioso tessuto storico: oggi, a Malta, c’è una bella lezione di “onestà architettonica”. FB
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11 -veduta del Forte di Sant'Angelo dai giardini Barrakka -view of Fort St. Angelo from the Barrakka gardens 12 -veduta aerea della Valletta lungo l'asse di Triq ir-Repubblika (Republic Street) -aerial view of Valletta along the axis of Triq ir-Repubblika (Republic Street) 13 -schizzo di studio di Renzo Piano: in evidenza, l'allineamento del nuovo Parlamento al lato lungo del Cavaliere di St. James -study sketch by Renzo Piano, showing the alignment of the new Parliament building along the Saint James Cavalier 14 -il modello del progetto -project model 15 -planimetria generale del progetto Valletta City Gate con la porta (1), l'edificio del nuovo Parlamento (2), il Teatro sui resti della Royal Opera House (3) e la sistemazione a verde (da realizzare) dei bastioni e della piazza (4) -siteplan of the Valletta City Gate project with the gate (1), the new Parliament building (2), the Theater over the ruins of the Royal Opera House (3) and the landscaping (not yet built) of the bastions and the plaza (4) 16, 17 -l'edificio del nuovo Parlamento della Repubblica di Malta, con l'aula e il blocco degli uffici: pianta del primo piano e del piano terra -the new Parliament of the Republic of Malta, with the hall and the office block: plan of the first floor and the ground floor
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DATI DEL PROGETTO -PROGETTO
Renzo Piano Building Workshop, architects 3
-IN COLLABORAZIONE CON
Architecture Project Ltd (Valletta) -DESIGN TEAM
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A. Belvedere, B. Plattner (partners in charge) con D. Franceschin, P. Colonna, P. Pires da Fonte, S. GiorgioMarrano, N. Baniahmad, A. Boucsein, J. Da Nova, T. Gantner, N. Delevaux, N. Byrelid, R. Tse e B. Alves de Campos, J. LaBoskey, A. Panchasara, A. Thompson; S. Moreau; O. Aubert, C. Colson, Y. Kyrkos (modelli) -CONSULENTI
Arup (strutture e impianti), Kevin Ramsey (rivestimento), Daniele Abbado (musica e teatro), Franck Franjou (illuminazione), Studio Giorgetta (paesaggio), Silvano Cova (impianti teatro) Muller-BBM (acustica), Bovis Lend lease (responsabile del progetto) -COMMITTENTE
Grand Harbour Regeneration Corporation -AZIENDE
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UniFor (sistemi di partizione vetrata, arredi Parlamento e uffici), Schindler (collegamenti verticali), Refin (rivestimenti ceramici), Antonio Lupi (sanitari), iGuzzini (illuminazione), Vitra (sedute)
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-DATI DIMENSIONALI
40.000 mq superficie del sito 7.000 mq superficie totale del Parlamento 2.800 mq superficie totale dell’Opera -CRONOLOGIA
2009–11: progetto 2010–15: costruzione -LOCALIZZAZIONE
Valletta, Malta
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20, 21 -sezione e fronte su Triq ir-Repubblika (Republic Street) del nuovo Parlamento e del Teatro -section and facade on Triq ir-Repubblika (Republic Street) of the new Parliament and the Theater 22 -il fronte della nuova porta della città con l'inserimento negli antichi bastioni -the front of the new gate of the city with insertion in the historic bastions
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23 -l'aula del nuovo Parlamento vista dal Teatro; sullo sfondo, la Porta -the hall of the new Parliament seen from the Theater; in the background, the Gate
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24, 25, 26 -la piazza, la Porta e il ponte d'accesso -the square, the Gate and the access bridge
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27 -la scalinata verso il Cavaliere di St. James di fianco al blocco degli uffici del Parlamento -the steps towards St. James Cavalier next to the block of the Parliament offices 28 -la Porta e la scalinata verso il Cavaliere di St. John -the Gate and the steps towards St. John Cavalier
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29 -il taglio dei due blocchi del nuovo Parlamento -the cut of the two blocks of the new Parliament
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30, 31, 32 -due vedute dell'edificio visto dalla Porta, lungo l'asse di Triq ir-Repubblika (Republic Street), e il fronte sulla scalinata verso il Cavaliere di St. James -two views of the building seen from the Gate, along the axis of Triq ir-Repubblika (Republic Street), and the facade on the steps towards St. James Cavalier
MICHEL DENANCÉ
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C A SA B E LLA 85 3
17
34
MICHEL DENANCÉ
33, 34 -due vedute del Teatro, dal Cavaliere di St. James e da Triq ir-Repubblika (Republic Street), con i resti delle colonne della Royal Opera House -two views of the Theater, from St. James Cavalier and from Triq ir-Repubblika (Republic Street), with the ruins of the columns of the Royal Opera House
FEDERICO BUCCI
33
18
RENZO PIANO BUILDING WORKSHOP
35
36
35, 36 -planimetria e sezione del Teatro -planimetric and section of the Theater 37, 38 -due modelli per lo studio della copertura -two study models for the roof
37
C A SA B E LLA 85 3
38
19
39
MARIO CARRIERI
39-42 -l'aula del nuovo Parlamento della Repubblica di Malta: lo spazio interno, disegno della sezione e due vedute dal Cavaliere di St. James e dal Teatro -the hall of the new Parliament of the Republic of Malta: the internal space, section drawing and two views from St. James Cavalier and from the Theater
20
RENZO PIANO BUILDING WORKSHOP
PARAPET ST.JAMES CAVALIER
7
8
6
575
PARAPET SOCIAL HOUSING
325
SLOPE 1%
4
5 100
3 690
310
SLOPE 1%
825
PARAPET SOCIAL HOUSING 825
SLOPE >1.5 degree
SLOPE >1.5 degree
141
ROOFLIGHT DOUBLE GLAZING
37
130 50
50
270 10 50
76
120 STEEL CEILING
60
10 50
50
15 50
130
130 60
SLOPE 4° (=7%)
26
SSL ROOF SLAB CEILING UNDERSIDE DATUM
ROOF SETTING OUTLINE
60
SLOPE 6.4° (=11%)
50
75
250
PARAPET ST.JAMES CAVALIER
SLOPE
ROOF SETTING OUTLINE LOUVERS
1
2
FACADE SETTING OUTLINE
40
490
SUSPENDED ACOUSTIC PANELS 385
22 300
LOBBY
250
300
TOILETS
120
85
90
150
42
78
CEILING UNDERSIDE DATUM
100 FFL 3RD FLOOR
50 22
130 58
80
78
130
30 42
FFL 3RD FLOOR SSL 3RD FLOOR
12
1494 80
FFL 2ND FLOOR
100
13 CEILING UNDERSIDE DATUM
300
310
LOBBY 250
300
TOILETS
404
400
78
CEILING UNDERSIDE DATUM
42
FFL 2ND FLOOR SSL 2ND FLOOR
Acoustic Absorbing Ceiling w/ plasterboard backing for acoustic insulation
250
270
250 30 42
270
270 100
CONTROL ROOM
28 50 22
400
CEILING UNDERSIDE DATUM TOILETS
Stone interior finish
99 35 40
50
25 44
16
110
21
20
45
310
115
155
217
55
225
FFL 1ST FLOOR
24
28
2520
30 40
50 20
52 60
30 CEILING UNDERSIDE DATUM LOBBY
Floor plenum for air distribution
52 44
FFL 1ST FLOOR
200
30
680
Below Chamber 2 Layers hung plasterboard, 50mm mineral wool, 200mm void Fabricated Column 620x400x20
Steel ceiling fixed to Primary Structure LOBBY 65 INTERIOR 260
361
300
40
Ground floor facade Double galzing with glass fins
Stone interior finish
Floor plenum for air distribution
300
40
100
50
100
100
260
Concrete Beam to support Rock
LIFT VOID lift wall omitted for clarity
30 10
100
120
20
SSL LOWER GARDEN LEVEL
112 35
200
75
45
170
5
FFL LOWER GARDEN LEVEL
15 37
FFL LOWER GARDEN LEVEL SSL LOWER GARDEN LEVEL
SSL LOWER GARDEN LEVEL LOBBY
250
300
300mm thk. RC wall
25 3512 120
5 LOBBY
Gutter aligned with steel blade of city gate
FFL GROUND FLOOR
30
5
400mm thk. RC wall
8
SLOPE 1%
80
TOILETS
60
110 442
47
35 35
47
47 95
5
Exterior hardstone finish on motar bed & concrete sub-base 200 SLOPE 1%
CEILING BOTTOM DATUM 9
65
EXTERIOR
Air supply in floor plenum
SLOPE 1% FFL GROUND FLOOR SSL GROUND FLOOR
455
40
455
MAIN LOBBY
TOILETS 400mm thk. RC Core Wall open gutter
455
455
515
60
LIFTPIT
448
PLANTROOM
650x650 Concrete Column
35
100
15
90
350X350 concrete column
80
65 FFL YELLOW GARAGE SSL YELLOW GARAGE
150
100
15
8
FFL YELLOW GARAGE SSL YELLOW GARAGE
50
222
BMS ROOM
228
278
500mm thk. RC wall
301
SSL LIFTPIT
Pad foundation for core walls refer to structural drawings
old Railtrack Platform refer to survey drawings
41
42
FEDERICO BUCCI
FEDERICO BUCCI
scala no
C A SA B E LLA 85 3
21
43 INTERNAL CLADDING STACKED STONE HORIZONTALLY SUPPORTED VERTICAL FRAMES ROCKWOOL (80 kg/m3 FOR ACOUSTIC INSULATION 142.0
INTERNAL SEAL INSULATION BY FACADE CONTRACTOR BREATHING BARRIER
PRIMARY STEELWORK STONE RESTRAINT INWARD OPENING GLAZED WINDOW BRONZE FRAME
0.5
STONE FIXING POINT TOP AND BOTTOM FIXING ELASTIC JOINT
4.0
15.0
20.0
15.0
8.0
3.0
10.0
8.0
3.0
10.0
43, 44, 45 -dettaglio del rivestimento in pietra della facciata: disegno e vedute dall'esterno e dall'interno -detail of stone facade cladding: drawing and views from outside and inside 46 -lo spazio aperto che da Triq ir-Repubblika (Republic Street), passando sotto l'edificio del nuovo Parlamento, porta verso il Cavaliere di St. James e la zona del Grand Harbour -the open space that from Triq irRepubblika (Republic Street), passing under the new Parliament building, leads towards St. James Cavalier and the Grand Harbour zone
22.8
490.0
10.0
49.5 29.0
50.0
348.0
7.3
85.0
5.0
56.0
14.0
30.0
20.0
6.5
15.0 20.0
24.0
10.6
14.4
9.5
55.5
50.0
12.6 1.4
12.5
18.0
2.7
161.4
100.0
30.0
50.0
18.0
4.0
8.0
2 A5-1402
62.6
1.0
85.0
18.0
56.0
200.0
ACOUSTIC BARRIER
61.0
50.0
12.6 18.0
161.4
200.0
18.0
1.4
20.0
83.5
1497.0
50.0
44.0
10.0
10.6
24.0
10.6
24.0
18.0 15.0 20.0
6.5
14.4
9.5
55.5
4.0
12.6
12.0
10.0
12.0
7.0
10.0
87.0
17.0
18.0
57.2
8.0
60.5
50.0
25.0
120.0
12.6
18.0
0.5
1.4
85.0
100.0
49.5
EXTERIOR 9.4
12.6
120.0
50.0
EXTERIOR
18.0
5.0
18.0
12.6
7.3
200.0
18.0
1.4
20.9
1.4
18.0
2.5
622.6
50.0
4.0 2.2
12.6
20.2
50.0
85.0 14.0
DRIP GROOVE DRIP GROOVE IN ELASTIC JOINTS BOTTOM FIXING WITH REDUNDANCY CABLE
MICHEL DENANCÉ
44
22
RENZO PIANO BUILDING WORKSHOP
scala no
45
MICHEL DENANCÉ
200.0
MICHEL DENANCÉ
46
C A SA B E LLA 85 3
23
METROPOLITANE NO FRILLS BARCELLONA, TRE STAZIONI DELLA LINEA L9 GARCÉS DE SETA BONET ARQUITECTOS
+BUDAPEST,
DUE STAZIONI DELLA LINEA M4 SPORAARCHITECTS
A CURA DI MASSIMO FERRARI
24
METROPOLITANE NO FRILLS
1
«[…] Stupita, Zazie ci mise un po’ di tempo prima di accorgersi che, non lontano da lei, un barocco lavoro di ferro battuto piantato sul marciapiede era coronato dalla scritta METRÓ. Subito dimentica dello spettacolo della via, Zazie si avvicinò al fiato dell’apertura, sentendosi mancare il proprio per l’emozione. Girando attorno ad una balaustrata, un passo dopo l’altro, scoperse finalmente l‘ingresso. Ma il cancello era sbarrato. Una lavagna appesa recava, scritta col gesso, un’iscrizione che Zazie decifrò agevolmente. Lo sciopero continuava. Un odore di polvere ferrugginoso e disidratato saliva lento dall’abisso vietato. Sconfortata, Zazie si mise a piangere […]».
CÉLINE ROMANI
Raymond Queneau, Zazie nel metró, Einaudi, Torino 1960
C A SA B E LLA 85 3
25
Discesa agli inferi e ritorno
Garcés De Seta Bonet Arquitectos
Massimo Ferrari
Tre stazioni della metropolitana L9, Barcellona, Spagna fotografie Adrià Goula
Combattere la convenzione è da sempre un atteggiamento anacronistico, perdente il più delle volte, antistorico, rivoluzionario e libertario nella portata ottimistica del rinnovamento, ricco di grandissime idealità, ma da sempre carico di altrettante solide reticenze, incomprensioni, strumentalizzazioni. Per di più –spesso– il discrimine tra la possibilità, tanto inaspettata quanto coraggiosa ed efficace, di reinterpretazione delle condizioni note e costanti e una moda temporanea, effimera, solamente diversa dal consueto, è sempre più sottile, soprattutto nel nostro tempo presente, davvero sgualcito da una società che brucia senza sapere le differenze sul rogo delle diversità. È naturale, molti l’hanno già sottolineato, come solo una prospettiva lunga riesca a cogliere le caratteristiche di un mutamento, la riscrittura consapevole di un modo di procedere acquisito oramai in maniera acritica; l’accettazione disillusa della consuetudine è forse la più grossa schiavitù presente nel conformismo. Aldo Rossi sosteneva spesso come ci vogliano almeno cinquant’anni per capire se i contenuti critici di un’architettura, nei confronti di ciò che l’ha preceduta, siano davvero capaci di diventare modello per i tempi futuri; una riflessione sull’idea di modello, la ripetizione ogni volta inattesa di un ricorrente modo di interpretare un tema che si conferma nel tempo, è comunque lontana dalla discussione proposta che vuole solamente dimostrare un atteggiamento progettuale, come postulato in apertura, un punto di vista differente nelle forme e nei contenuti. Non è, infatti, una vera e propria rivoluzione quella descritta dalle cinque stazioni metropolitane costruite, a breve distanza di tempo, al nord e al sud dell’Europa da due capaci studi di progettazione, ma l’interpretazione disillusa di uno dei caratteri più propri dell’idea di metropolitana, del ruolo che l’infrastruttura sotterranea riveste nella società di oggi, del suo valore sociale, della sua sostenibilità economica non commerciale o quantomeno –questa attenzione– racconta una posizione decisa e coerente che, con le dovute differenze geografiche e compositive, riflette sul tema dell’adeguatezza delle forme dell’architettura nell’interpretazione di contenuti riconoscibili, dei valori, delle epoche. Le stazioni della Linea 9 a Barcellona saranno 52 alla fine del 2016, dopo
Associati dal 2011, Jordi Garcés, Daria De Seta e Anna Bonet inaugurano una nuova tappa di concorsi e incarichi internazionali che integra e continua la già consolidata ricerca di Jordi Garcés. I recenti progetti vincitori per la Stazione Marittima di Siracusa e per il restauro e ampliamento del Palazzo di Giustizia di Strasburgo, cosi come per l’edificio annesso al Museo Picasso, le tre stazioni della metropolitana Linea 9 e lo studio per il pittore Arranz Bravo riflettono una nuova complementarietà professionale tanto dal punto di vista generazionale quanto culturale. Jordi Garcés , architetto dal 1970 (Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Barcelona) è Dottore di ricerca all’Universidad Politécnica de Cataluña dal 1987 e professore di progettazione all’ETSAB dal 1975. A partire dall’anno accademico 1995–96 è professore invitato presso l’Ecole Polytechique Fédérale di Lausanne. Daria de Seta , architetto dal 1998 (Facoltà di Architettura di Napoli) è dottore di ricerca al Politecnico di Milano e all’ETSAB nel 2004; invitata in diverse università europee, dal 2009 al 2014 è professore di progettazione a Ginevra (HEAD-HEPIA). Attualmente insegna all’Elisava di Barcellona. Anna Bonet , architetto dal 2003 (Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Barcelona) dopo aver collaborato con diversi studi quali Dani Freixes i Varis arquitectes o MMBM, nel 2007 entra a far parte dello studio.
26
METROPOLITANE NO FRILLS
una previsione iniziale –poi disattesa– di 40 accessi in 49 km; questo lungo tunnel sotterraneo, con i 57,8 km di lunghezza completati, si qualificherà come la metropolitana automatica più lunga d’Europa, a soli 17 anni dall’inizio del progetto, collegando attraverso cinque comuni i principali centri della città: dall’aeroporto al porto, dal mercato all’università. I dati indicano, oltre alla previsione dimostrata della convenienza di un sistema automatico per le lunghe linee metropolitane delle grandi città, la centralità del tema dell’identificazione dei luoghi d’accesso, del ruolo che le stazioni hanno nel dare identità e orientamento ai 90 milioni di utenti annui all’interno della maglia complessa e sovrapposta dei due livelli della città. «[…] Quivi sospiri, pianti ed altri guai / risonavan per l’aere sanza stelle, / per ch’io al cominciar ne lagrimai. / Diverse lingue, orribili favelle, / parole di dolore, accenti 2
Can Tries - Gornal
Sant Josep
Ildefons Cerdà
Amadeu Torner Europa-Fira
Avinguda Carrilet
Gornal Fira
B-20
B-10
Parc Logístic
La Ribera
Mercabarna El Prat Estació
Les Moreres
d’ira, / voci alte e fioche, e suon di man con elle / facevano un tumulto, il qual s’aggira / sempre in quell’aura senza tempo tinta, / come la rena quando turbo spira […]»1. Le parole della Divina Commedia sembrano descrivere con precisione l’ambiente immaginato da Jordi Garcés, Daria de Seta, Anna Bonet dopo la vittoria del concorso per le stazioni di Amadeu Torner / Europa-Fira, Parc Logistic, Mercabarna accomunate in un unico disegno; i rumori, i suoni, i colori, l’immagine di un luogo sotterraneo lasciato alla sua identità di scavo geologico, di antro, di grotta naturale che plasticamente
→
3
1 AMEDEU TORNER
C A SA B E LLA 85 3
27
4
DATI DEL PROGETTO -PROGETTO
Jordi Garcés, Daria De Seta, Anna Bonet -COLLABORATORI
Jordi Calvet (Garcés de Seta Bonet), Antonio Santiago (TEC 4) -INGEGNERIA STRUTTURALE
TEC 4
-INGEGNERIA IMPIANTISTICA
TD&T S.L.
-DIRETTORE CANTIERI
David Morentin i Farré (TEC 4) -COMMITTENTE
Gisa, Gestió de Infraestructuras S.A. -IMPRESE
Grupo Empresarial Copisa, S.L. Fomento de Construcciones y Contratas, S.A. Obrascón Huarte Lain, S.A. -DATI DIMENSIONALI
14.766 mq area di progetto -CRONOLOGIA
2008: progetto 2010–12: costruzione -LOCALIZZAZIONE
Amadeu Torner, Mercabarna e Parc Logístic, Linea 9, Metro Barcelona, Barcellona, Spagna
5
28
METROPOLITANE NO FRILLS
6
Note 1 Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, Canto III, vv. 22-30 2 Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIV, vv. 133-139
1 -Celine Ramoni, Skymetro, Zürich Airport, 2009 -Celine Ramoni, Skymetro, Zürich Airport, 2009 2 -planimetria del sistema metropolitano della Linea 9 di Barcellona con le tre nuove stazioni -map of the metro system of Line 9 in Barcelona with the three new stations 3 -il grande varco di discesa alla stazione metropolitana Amedeu Torner -the large descent passage of the Amedeu Torner subway station 4, 5 -Amedeu Torner, discesa e risalita -Amedeu Torner, descent and ascent 6 -schizzi di studio della sezione, collegamenti tra città e metropolitana -study sketches of the section, connections between the city and the subway 7, 8 -schizzi di studio delle piante, il sistema di risalite e la banchina di accesso ai treni -study sketches of the plans, the vertical access system and the platform for access to the trains
C A SA B E LLA 85 3
ha ricavato vuoti e cavità all’interno di un terreno ricco di memorie stratificate. Austera e anticonvenzionale questa interpretazione del tema elimina ogni diaframma tra la forma derivata dalle necessità volumetriche degli spazi ipogei e qualsiasi superfetazione decorativa, neppure ipotizzata per allontanare gli echi danteschi, né per accompagnare fintamente il passeggero attraverso una realtà immaginaria, costruendo viceversa, per sottrazione, una fortissima identità. Questa assoluta povertà di segni, calcolata e disegnata con precisione, senza sconti al lavoro di progetto, ha costruito, come per un modello esportabile, un chiaro rapporto tra lo spazio tecnico necessario e le strutture meccaniche, illuminotecniche, acustiche, impiantistiche che ne permettono l’attraversamento nella discesa fino ai binari. Un rapporto dialettico non mediato, capace di confrontare, in uno scontro alla pari, povere tecniche e ricche tecnologie, movimento veloce e affacci quieti, lucidi riflessi e ottuse opacità, silenzi e rumori in uno scontro sincero che sembra eleggere il contrasto stridente come vincitore. In realtà, ogni materiale utilizzato corrisponde a un comfort necessario, a una illuminazione ottimale, a un movimento sincronizzato dei passeggeri, a una qualità essenziale che, senza maschere, si mostra in una scena occupata da puntoni da costruzione, rivestimenti in lamiera, lastre in cemento, pareti protette dall’azione dei graffiti, gres di ceramica, illuminazione industriale; un ambiente che non fa rimpiangere i segni della colla che anche Heinrich Tessenow temeva. Lo sguardo lontano è rivolto all’aria industriale nell’uso disinvolto dei materiali che, per primo, Lluís Domènech i Montaner, nella modernità spagnola, impresse alla caffetteria, al ristorante Castell dels Tres Dragons progettato senza fronzoli per l’Esposizione Universale di Barcellona nel 1888. Alla stazione Europa-Fira, le travi in cemento, inizialmente installate per la stabilizzazione temporanea dei diaframmi durante la costruzione, sono rimaste al loro posto, alla stazione Mercabarna i grandi vuoti approfonditi per consentire ai macchinari lo scavo sotterraneo sono stati lasciati a vista, utilizzati come cavedi rendono questa nuova stazione l’unica a essere illuminata dalla luce del giorno e così via. Piccoli congegni che ogni giorno traghettano dal buio della terra a rivedere il cielo. Andata e ritorno. «[…] Lo duca e io per quel cammino ascoso / intrammo a ritornar nel chiaro mondo; / e sanza cura aver d’alcun riposo / salimmo sú, el primo e io secondo, / tanto ch’i’ vidi de le cose belle / che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo; / e quindi uscimmo a riveder le stelle […]»2. MF
29
7
8
9
10
9 -lo spazio d’ingresso alla stazione metropolitana -entrance space of the subway station 10 -scale e scale mobili -staircases and escalators 11 -le travi in cemento che attraversano lo spazio di discesa ai treni -the concrete beams crossing the space leading to the trains 12 -la banchina di accesso ai treni -subway platform
11
30
METROPOLITANE NO FRILLS
12
C A SA B E LLA 85 3
31
13
2
MERCABARNA
32
METROPOLITANE NO FRILLS
14
15 13 -discesa alla banchina della nuova fermata Mercabarna -descent to the platform of the new Mercabarna stop 14 -il sistema di risalita: scale e scale mobili -vertical access: staircases and escalators 15 -studi della pianta: ingressi, discese e risalite -plan studies: entrances, descent, ascent
C A SA B E LLA 85 3
33
16
17
16, 17 -la struttura in calcestruzzo e gli impianti a vista nello spazio della stazione -the concrete structure and the exposed physical plant systems in the space of the station 18 -banchina di accesso ai treni nella nuova stazione Parc Logistic -subway platform of the new Parc Logistic station
34
METROPOLITANE NO FRILLS
18
3 PARC LOGÍSTIC
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35
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20
36
METROPOLITANE NO FRILLS
21
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23 19 -i corpi di servizio agli spazi di ingresso alla metropolitana -service volumes for the entrance spaces of the subway 20 -sala di controllo della stazione metropolitana Parc Logistic -control room of the Parc Logistic subway station 21 -la barriera d’ingresso alla metropolitana -subway entrance barrier 22 -lo spazio di collegamento tra le risalite e la banchina di accesso ai treni -connection space between ascents and subway platform 23 -disegni di studio della pianta -study drawings of the plan
C A SA B E LLA 85 3
37
sporaarchitects
Tormentate geometrie sotterranee
Due stazioni della metropolitana M4, Budapest, Ungheria
Giovanna Crespi
fotografie Tamás Bujnovszky
Dopo Londra, la più antica rete metropolitana d’Europa è quella della città di Budapest. La prima linea è stata inaugurata in occasione delle celebrazioni del millennio della Nazione Ungherese, nell’anno 1896. Costruita mediante scavi in superficie con la tecnica cut and cover, da allora a oggi ha ramificato la sua rete in quattro linee ferroviarie sotterranee, l’ultima delle quali è stata aperta al pubblico lo scorso anno e verrà completata entro il 2017. Il progetto della quarta linea della metropolitana, M4, che collega Buda, la parte sud-occidentale della città, con Pest, la parte nord-occidentale, risale alla fine degli anni Ottanta e prevede una prima tratta tra la stazione ferroviaria di Kelenföldi e la Stazione Centrale della città per una lunghezza di sette chilometri e mezzo e un totale di dieci stazioni. La progettazione di due di queste, le stazioni di Szent Gellért e Fovam, poste rispettivamente in corrispondenza delle sponde orientale e occidentale del Danubio, è stata affidata allo studio magiaro sporaarchitects. Il decenni trascorsi dall’ideazione della quarta linea metropolitana alla sua realizzazione hanno portato a un naturale invecchiamento del progetto, l’identità delle nuove stazioni si fonda quindi, da un lato, sulla necessità di valorizzare le scelte di carattere generale introdotte dal progetto originario, dall’altro dalla volontà di razionalizzare la struttura, le tecnologie, gli spazi inizialmente previsti allo scopo di dare forma a una architettura pubblica in grado di rappresentare con pienezza lo spirito del XXI secolo di cui è parte. È la struttura, in particolare, a esprimere la natura del progetto e a conferire agli spazi sotterranei un carattere spettacolare. L’idea di partenza, ispirata all’utopia strutturale e sociale dell’architetto ungherese, naturalizzato francese, Yona Friedman, prevede la messa a punto di un sistema strutturale predeterminato tale da poter essere idealmente ampliato e esteso a tutta la linea. Il risultato del processo di progettazione, enfatizzato dallo sviluppo in profondità proprio delle stazioni, costruisce ampi spazi viscerali di piranesiana memoria. Una struttura assoluta e autoreferenziale in grado di permettere lo svuotamento del sottosuolo e dare vita a un rinnovato spazio pubblico sotterraneo capace di accogliere non solo
sporaarchitects è un giovane studio di architettura fondato a Budapest nel 2002 da Tibor Dékány (1968), Sándor Finta (1973), Ádám Hatvani(1972) e Orsolya Vadasz (1976), dopo aver maturato esperienza lavorando per diversi studi ungheresi e internazionali. Laureati alla Facoltà di Architettura e di Ingegneria Civile della Budapest University of Technology and Economics hanno lavorato negli ultimi dieci anni al progetto delle due stazioni delle linea metropolitana M4 di Budapest, Fővám e St. Gellert Square, prima loro realizzazione con cui hanno vinto il “Best Building of the Year Awards for the Best Public Building” indetto dal portale ArchDaily. Architetti, designer e ricercatori, i quattro partner, T. Dékány, S. Finta (fino al 2013), Á. Hatvani e O. Vadász, hanno operato e operano nei settori dell’architettura, urbanistica, della ricerca e dello sviluppo coniugando architettura innovativa con complesse ricerche tecnologiche. L’interdisciplinarità caratterizza fortemente il team ungherese che è tra i fondatori dell’Hungarian Contemporary Architecture Center (KÉK), un collettivo di giovani architetti e artisti che intende creare un centro culturale indipendente aperto a tutti, per rafforzare la vita comunitaria e promuovere l’educazione architettonica in Ungheria. Ádám Hatvani nel 2013 ha partecipato come professore invitato al Workshop WAVE presso l’Università Iuav di Venezia.
38
METROPOLITANE NO FRILLS
le funzioni infrastrutturali, ma nuove attività comuni per la collettività. Le stazioni di Szent Gellért e Fovam sono concepite come due stazioni gemelle alle due sponde del Danubio, entrambe sono costituite da un contenitore realizzato con il sistema cut and cover integrato a gallerie tradizionali a sezione semicircolare. L’involucro, realizzato in cemento armato, è rinforzato al suo interno da trame di travi disposte a livelli successivi; la struttura risultante appare come una progressione di reti sovrapposte l’una all’altra con trame sfalsate alle diverse quote il cui disegno irregolare appare come la proiezione casuale delle bacchette di gioco dello Shangai. Un concetto strutturale compatibile senza compromessi con le condizioni spesso mutevoli dei processi di pianificazione e costruzione di infrastrutture come
Puskás Fere
1
Keleti pályaudvar Deák Ferenc tér
Blaha Lujza tér II. János Pál pápa tér
Astoria Rákóczi tér
Kálvin tér
Fo ˝ vám tér
Corvin-negyed
Gellért tér
Klinikák
Nagyvárad tér Móricz Zsigmond körtér Népliget
E Csonka János tér
questa che possono richiedere lunghi tempi di realizzazione oltre a riformate esigenze funzionali. La città pubblica disegnata nel sottosuolo da sporaarchitects è espressione della rinnovata condizione dell’architettura contemporanea magiara. Aiutati dai caratteri di necessità propri dell’architettura ipogea, i giovani architetti ungheresi muovono i loro passi consapevoli dell’eredità dei maestri che li hanno preceduti come Odon Lechner e Bela Lajta, dosando con maestria razionalismo e tradizione, linearità e ornamento, caos e forma, disciplina e disordine, impri-
→
2
4
˝ FOVÁM TÉR
→
C A SA B E LLA 85 3
39
3
DATI DEL PROGETTO -PROGETTO
Tibor Dékány, Sándor Finta, Ádám Hatvani, Orsolya Vadász -COLLABORATORI
Zsuzsa Balogh, Attila Korompay, Bence Várhidi, Noémi Soltész, András Jánosi, Diána Molnár, Károly Stefkó STUDIO D’ARCHITETTURA METROPOLITANA M4
Palatium Stúdió: Zoltán Erő, Balázs Csapó COLLABORATORI
Consortium of Főmterv, Uvaterv, Mott-Macdonald -COMMITTENTE
Budapest Transport Ltd., DBR Metro Project Directory -DATI DIMENSIONALI
14.200 mq area di progetto 6.000 mq superficie utile -CRONOLOGIA
2005–12: progetto 2006–14: costruzione -LOCALIZZAZIONE
Fővám tér e Gellért tér, M4 Metro, Budapest, Ungheria
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1 -mappa della linea M4 della metropolinata di Budapest -map of the M4 line of the Budapest subway 2 -veduta dall’ingresso degli intrecci di travi ai tre differenti livelli -view from the entrance of the beams at the three different levels 3 -la serie di scale mobili che collegano la quota della banchina a servizio dei binari alla quota dell’ingresso sotterraneo -the series of escalators connecting the platform level to the level of the underground entrance 4 -gli spazi di attesa alla quota della banchina -waiting areas on platform level 5, 6 -schizzi di studio -study sketches
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mendo alla propria architettura un carattere monumentale da sempre proprio dell’identità nazionale. Il rigore del disegno e dei tracciati rettilinei della costruzione in cemento armato a vista, pervaso di toni neutri e freddi, è mitigato, una volta raggiunta la banchina a ridosso dei binari, dalla presenza del tunnel dei treni che, oltre a proporre la tradizionale forma semicircolare, è rivestito di tessere colorate di ceramica Zsolnay, un esplicito omaggio ai sontuosi interni decorati dell’Hotel Gellért, noto edificio Art Nouveau costruito all’inizio del Novecento lungo le sponde del Danubio. La stazione Fovam è molto di più di una semplice stazione della metropolitana, rappresenta un vero e proprio luogo di interscambio per tram, autobus, metropolitana, traghetti, auto e pedoni. La stazione, con la sua presenza, individua uno spazio pubblico unico sopra e sotto il suolo e costituisce una sorta di porta di accesso al centro storico della città da sud-est. A denunciare in superficie la presenza della stazione sotterranea, come graditi intrusi all’interno della geografia urbana di Budapest, una serie di prismi vetrati a forma di cristallo punteggia l’area in cui si trova la stazione e fà sì che la luce del sole illumini il più possibile naturalmente l’interno, valorizzando il fascio di travi della struttura della stazione che ne costituisce il vero e proprio apparato osseo. La stazione di Szent Gellért è una delle stazioni più profonde della linea M4; è situata sotto la riva orientale del Danubio, sul lato di Buda, e si trova al di sotto della Collina Gellért, divenuta negli ultimi anni patrimonio mondiale dell’Unesco. La sua posizione particolare ha determinato la realizzazione della banchina di servizio ai binari a 36 metri di profondità nel sottosuolo: per raggiungerla, la struttura della stazione è stata realizzata attraverso due parti distinte. In corrispondenza del terrapieno di Mûegyetem, dove sorge il Politecnico di Budapest, è stato realizzato un primo involucro in cemento armato in corrispondenza di un avvallamento naturale, la seconda parte della stazione si trova sotto un edificio esistente, e ripropone una struttura analoga alla stazione di Fovan, dove la grande aula sotterranea è sostenuta dagli intrecci di tre differenti livelli di travi in cemento armato. All’interno, la stazione è arricchita da una parete interamente rivestita in lamine di acciaio corten e da due ascensori vetrati che collegano sia visivamente che fisicamente le parti dell’edificio con la superficie. Con le nuove stazioni, immerse negli inferi, i giovani architetti di sporaarchitects danno forma a un paradiso inatteso. GC
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7 -vedute della stazione in costruzione -views of the station during construction 8 -sezione longitudinale sulle scale mobili principali -longitudinal section through the main escalators 9 -piante ai vari livelli -plans at various levels
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10 -la hall d’ingresso sotterraneo che conduce alla scale mobili -the underground entrance hall leading to the escalators 11 -lo spazio a tutta altezza, dove si trovano le scale mobili principali, illuminato dalla luce naturale -the full-height space of the main escalators, with natural light 12 -il livello intermedio che funge da snodo tra le diverse scale mobili -the intermediate level that forms a junction between the different escalators
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13 -gli intrecci di travi ai differenti livelli sopra le scale mobili principali -the patterns of the beams at different levels over the main escalators 14 -la hall d’ingresso sotterranea con gli elementi strutturali in cemento armato e una parete rivestita in lamine di acciaio corten -the underground entrance hall with the structural elements in reinforced concrete and a wall clad in blades of Cor-ten steel 15 -le scale mobili che, dalla quota urbana, raggiungono oltre 36 metri di profondità -the escalators extending for a depth of 36 meters from ground level
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16 -vedute della stazione in costruzione -views of the station during construction 17 -sezione longitudinale su una delle gallerie -longitudinal section of one of the tunnels 18 -piante ai vari livelli -plans at various levels
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19 -particolare della volta del tunnel di passaggio dei treni sotterranei rivestita in tessere colorate di ceramica Zsolnay -detail of the vault of the tunnel of passage of the underground trains, covered in Zsolnay colored ceramic tiles 20 -i volumi in cemento armato che affiorano in superficie e denunciamo la presenza della stazione sotterranea -the reinforced concrete volumes that emerge at ground level and indicate the presence of the underground station
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Come innumerevoli altri aspetti della vita contemporanea, anche il mondo del calcio professionistico è stato investito negli ultimi decenni da un intenso processo di «finanziarizzazione»1 che ne sta rapidamente alterando il codice genetico, trasformando quello che molti consideravano il gioco più bello del mondo «da rito collettivo animatore di passione popolare a complesso d’attività altamente razionalizzate e finalizzate alla produzione di utilità»2. Il modello anni Sessanta del mecenatismo familiare munifico e capriccioso è sicuramente in estinzione e le società di football più quotate e vincenti in campo internazionale sono oggi, nella maggior parte dei casi, amministrate con spirito manageriale e tecniche imprenditoriali, nell’intento di ricavarne profitto e non solo risultati agonistici. Anche l’architettura degli stadi, che dello spettacolo pedatorio è da sempre il luogo deputato, ha risentito di tali cambiamenti. Nell’era del calcio televisivo, in linea generale, gli invasi mastodontici che, un tempo, accoglievano democraticamente le masse proletarie per dispensare loro evasione nei pomeriggi domenicali sono divenuti ridondanti e si tendono a edificare impianti di minore capienza in grado però di soddisfare le nuove norme di sicurezza e i criteri di maggiore comfort affermatisi in tutto il mondo a partire dagli anni Ottanta. Oggi, poi, l’ultima tentazione per i club più intraprendenti e ambiziosi è rappresentata dallo “stadio di proprietà”, vale a dire dalla realizzazione di nuove arene di pertinenza esclusiva «che oltre a rafforzare la struttura patrimoniale della società, in linea con le richieste degli organismi europei in termini di controllo dei bilanci, contribuiscono notevolmente alla crescita dei fatturati»3. Tra questi stadi definiti di “terza generazione”4 e quelli della leva precedente passa, pressapoco, la stessa differenza che esiste storicamente fra il teatro “classico” e la sala a palchi “all’italiana”, dove il primo traduce in forma
Herzog & de Meuron Nuovo stadio di Bordeaux, Francia fotografie Iwan Baan, Philippe Caumes, Roland Halbe, James Sanders
Fondato a Basilea nel 1978 da Jacques Herzog (1958) e Pierre de Meuron (1958), oggi lo studio Herzog & de Meuron è diretto da cinque Senior Partner: Jacques Herzog, Pierre de Meuron, Christine Binswanger, Ascan Mergenthaler e Stefan Marbach e ha sedi ad Amburgo, Londra, Madrid, New York e Hong Kong. Vincitore del Premio Pritzker nel 2001, della RIBA Royal Gold Medal e del Praemium Imperiale nel 2007, lo studio è composto da un team internazionale di 38 Associates e 376 collaboratori. Loro opere sono state presentate su «Casabella» nei numeri: 633, 1996 (Centro sportivo Pfaffenholz, St. Louis/Haut-Rhin); 661, 1998 e 684/685, 2000-01 (Tate Modern, London); 714, 2003 (Prada Store, Tokyo); 717/718, 2003-04 (Schaulager, Münchenstein); 726, 2004 (Forum 2004, Barcellona); 733, 2005 (Centro informazione, comunicazioni e media dell’Università Tecnica del Brandeburgo, Cottbus); 741, 2006 (Michael H. de Young Memorial Museum, San Francisco e Walker Art Centre, Minneapolis); 765, 2008 (CaixaForum, Madrid); 768, 2008 (Espacio Goya, Museo di Saragozza); 788, 2010 (VitraHaus, Weil am Rhein); 789, 2010 (nuova sede per la Fondazione Feltrinelli a Milano); 792, 2010 (St. Jakob Turm, Basilea); 822, 2013 (Parrish Art Museum, Water Mill, New York); 836, 2014 (Pérez Art Museum, Miami); 842, 2014 (Arena do Morro, Mãe Luiza, Natal, Brasile).
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costruita l’assemblea egualitaria della comunità, mentre la seconda riflette, nella sua articolazione spaziale, la struttura di una società gerarchicamente stratificata. Così i nuovi stadi “ridotti”, realizzati in anni recenti da numerose società calcistiche in giro per il mondo, puntano a fidelizzare l’utenza e massimizzare i ricavi vendendo pacchetti di servizi “customizzati” alle diverse tipologie di consumatori: Vip, stampa, comuni cittadini e tifosi. Si chiama differentiation strategy e si basa sul principio per cui «i clienti attribuiscono un valore più elevato ai prodotti e ai servizi percepiti come “unici”. La previsione, nella realizzazione di un nuovo stadio di calcio, di sky boxes, sky lounges, museo della squadra, arene dove ospitare concerti e rappresentazioni teatrali aumenta l’esclusività dei prodotti e dei servizi previsti dall’impianto, rendendo lo spettatore più soddisfatto e disposto a pagare una cifra maggiore per usufruire di determinati servizi»5. I nuovi stadi sono dunque, di norma, all-seater, ovvero privi di posti in piedi; provvisti di tribune coperte e talvolta anche di copertura apribile del campo; multifunzionali e cioè atti a ospitare un ampio mix di eventi anche extrasportivi, come meeting aziendali, convegni, concerti, performance spettacolari di varia natura. Senza contare, inoltre, che, in linea di massima, l’investimento immobiliare ingente diventa recuperabile e sicuramente remunerativo solo quando trascina con sé, nei limiti consentiti dalle varie legislazioni nazionali, integrato o al contorno, un indotto di attività commerciali capaci di generare ricavi adeguati: shopping center, hotel, ristoranti, cinema multisala ecc. Se il panorama strutturale degli stadi italiani è ancora, nel complesso, fermo ai Mondiali del 1990, con molte squadre che si apprestano a seguire l’esempio dell’unico club, la Juventus F.C., riuscito finora a concedersi, nel 2011, l’atout di un nuovo impianto riservato al termine di un iter burocratico prolungatosi per quasi dieci anni, in Europa, l’esperienza
1 -lo stadio illuminato dal parcheggio ovest, caratterizzato dalla sistemazione paesaggistica studiata da Michel Desvigne -the lit stadium from the western parking area, with the landscaping designed by Michel Desvigne 2, 3 -vedute a volo d’uccello dello stadio nel paesaggio verdeggiante e ricco di acque del quartiere di BordeauxLac, alla periferia nord della città, raggiungibile in automobile o attraverso due linee tranviarie che lo collegano direttamente al centro urbano e alla stazione ferroviaria St. Jean -bird’s-eye views of the stadium in the green landscape with bodies of water of the BordeauxLac district, on the northern outskirts of the city, reached by car or by two streetcar lines directly from the urban center and the St. Jean railway station
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degli stadi di proprietà è da tempo diffusa e consolidata, particolarmente in quei paesi che possono vantare i campionati dalle performance economiche più forti: Inghilterra e Germania. La Francia, in tal senso, rappresenta un’eccezione, anche se, in previsione dei campionati europei di calcio che lì si disputeranno nel 2016, alcuni club stanno costruendo o ristrutturando gli impianti, mentre in altre città i nuovi stadi rimarranno di proprietà dei Comuni, ma saranno ceduti in concessione ai club, che si occuperanno della loro gestione fino alla scadenza dell’accordo. È questo il caso del nuovo stadio di Bordeaux, inaugurato nello scorso mese di maggio e realizzato a tempo di record nell’arco di soli tre anni e mezzo. L’opera, costata 183 milioni di euro, è frutto di un partenariato pubblico-privato tra l’amministrazione municipale e la società Stade Bordeaux Atlantique, che condurrà l’impianto fino al 2045. Il finanziamento pubblico complessivo ammonta a 75 milioni di euro, ripartiti fra città, comunità urbana, regione e stato, mentre il contributo del club residente, il FC Girondins de Bordeaux, è dilazionato fra un anticipo di 20 milioni di euro e un canone annuale di 3,85 milioni di euro per le prossime tre decadi. Costruita dal consorzio d’imprese azioniste Vinci-Fayat, l’architettura è suggellata della firma prestigiosa dello studio Herzog & de Meuron (con la collaborazione di Groupe 6 per lo sviluppo esecutivo), giunto qui alla sua quarta prova nel campo della progettazione di arene per il calcio: per molti aspetti, forse, la più convincente. La comparazione con le proposte precedenti può indurre sorpresa e sconcerto, confermando l’atteggiamento eclettico e sperimentale che continua a segnare la parabola professionale del rinomato atelier elvetico. L’impressione è che ciascun’occasione sia sfruttata per saggiare il potenziale espressivo di una specifica chiave interpretativa del tema compositivo fra le diverse praticabili. Così, per quanto riguarda la declinazione del tema progettuale dello
stadio, dove, analogamente a quanto accade, ad esempio, per il grattacielo, vige comunemente il doppio registro della stilizzazione iconica o dell’emblematica tecnologicoingegneristica, i due form-giver svizzeri si sono già pronunciati tanto sul primo versante, con l’Allianz Arena di Monaco di Baviera, nel 2005, quanto su un’inedita soluzione di compromesso tra le due alternative, con lo Stadio Nazionale di Pechino, il famoso “nido d’uccello”, nel 2008. Storia a sé, in un certo modo, fa invece l’introversa e promiscua vocazione urbana dello St. Jakob Park di Basilea (1998-2002), che incorpora inaspettatamente alcune residenze per anziani. Alle porte del capoluogo aquitano, la scelta operata è ancora differente e il ragguardevole impegno strutturale profuso appare sublimato in una sintassi architettonica di cristallina purezza e limpida impronta civile, che sembra idealmente rimandare al giudizio formulato a suo tempo da Giuseppe de Finetti, quando scriveva che «lo stadio, essendo dopo tutto un’aula a cielo aperto, pretende tradizionalmente nel nostro spirito ad una sua “aulicità”»6. Tale risultato è stato favorito anche dall’adozione insolita di un sistema costruttivo misto prevalentemente a carpenteria metallica, che ha permesso di ridurre costi, tempi di cantiere, pesi e conseguire la sorprendente rarefazione fisica che caratterizza il manufatto, soprattutto nello slancio della sua selva perimetrale di colonne. La sezione ridotta e la snellezza straordinaria di tali elementi metallici sono, infatti, dovute alla circostanza per cui essi lavorano“a trazione”, come tiranti, piuttosto che “a compressione”, ancorando a terra lo sbalzo di 45 metri delle mensole reticolari che armano la copertura degli spalti. L’impianto, che ha una capacità di 42.000 posti a sedere ed è conformato secondo uno schema rettangolare “all’inglese”, mostra un’esemplare chiarezza distributiva. Il catino si articola in un doppio ordine di tribune sovrapposte divise in quattro settori e separate dal taglio di un anello di circolazione
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orizzontale. Tale galleria, raggiungibile direttamente dalle scalinate esterne contrapposte sui lati lunghi del volume, a est e a ovest, disimpegna bagni e punti di ristoro alloggiati dentro una sottile manica a serpentina che cinge la costruzione all’apice del podio di accesso. L’alzato tripartito gioca sull’ariosa svasatura determinata dall’inclinazione contrapposta delle rampe d’ingresso e dell’intradosso delle tribune superiori, rivestito da una scocca scalettata in alluminio che si prolunga fittiziamente fino alla linea netta di gronda. Tra le due superfici oblique si estende un’esile trama di ben 900 pilastri circolari (di cui 600 strutturali e 300 decorativi, per celare le canalizzazioni verticali) che, scandita in dissolvenza su piani progressivamente arretrati nella fascia d’ombra, disegna un prospetto virtuale di poetica inconsistenza. Il colore bianco, immacolato, accentua il carattere astratto dell’oggetto edilizio che qualifica con la sua sobria monumentalità il verde paesaggio lacustre, attrezzato per lo sport e le esposizioni, della periferia a nord della città. Ciò che manca all’impianto è, al momento, soltanto un nome. I naming rights sono in vendita e per aggiudicarseli la cifra minima richiesta è di 3,9 milioni di euro l’anno per almeno due lustri di contratto. MB
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1 M. Bellinazzo, Goal Economy. Come la finanza globale ha trasformato il calcio, Baldini & Castoldi, Milano 2015, p. 14. 2 P. Russo, L’invasione dell’Ultracalcio. Anatomia di uno sport mutante, Ombre corte, Verona 2005, p. 9. 3 A. Alessandria, Un business chiamato stadio, ed. digitale, Greenbooks editore, 2014, p. 11. 4 Cfr. S. Nixdorf, The composition of stadiums: between multifunctionality and reduction, in Stadiums, numero monografico di «Detail», n. 9, settembre 2005, pp. 22-24. 5 A. Alessandria, Un business…, op. cit., p. 29. 6 G. de Finetti, Stadi. Esempi, tendenze, progetti, Editore Ulrico Hoepli, Milano 1934, p. 53.
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4 -il catino interno dello stadio, articolato in un doppio ordine di tribune coperte per una capacità complessiva di 42.000 posti a sedere, tutti provvisti di seggiolino numerato. Le pensiline di protezione degli spalti sono rivestite di lamiera ondulata e forata fonoassorbente e di policarbonato traslucido nella fascia di bordo -the internal basin of the stadium with a dual order of sheltered stands for an overall capacity of 42,000 seats, all numbered. The canopies protecting the stands are clad in corrugated and perforating sound-absorbing sheet metal with translucent polycarbonate borders 5 -l’interno dell’arena durante una delle partite inaugurali in notturna con il sistema di lampade capace di garantire la potenza luminosa di 2.300 lux e l’indice di uniformità ≥ al 70% attualmente richiesti da UEFA e FIFA per far fronte alle esigenze delle riprese televisive -the interior of the stadium during one of the first night matches with the lighting system capable of guaranteeing 2,300 lux with uniformity of ≥ 70% as presently required by UEFA and FIFA to permit televised coverage 6 -particolare di un ingresso di servizio sotto una scalinata d’accesso per il pubblico -detail of a service entrance under access steps for the spectators 7, 8 -vedute diurna e serale da nord-ovest -daytime and evening views from northwest
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DATI DEL PROGETTO
9 -planimetria generale -siteplan 10 -pianta al livello superiore delle tribune -plan of the upper stands level 11 -pianta al livello della galleria di distribuzione intermedia. Legenda -1galleria di distribuzione -2- chioschi -3- bagni -plan at the level of the middle circulation gallery. Legend -1- circulation -2- kiosks -3- restrooms 12 -sezione nord-sud -north-south section 13 -sezione ovest-est -west-east section 14 -pianta al livello delle sky boxes. Legenda -1- boxes -2- atrio visitatori -plan at the level of the sky boxes. Legend -1- boxes -2- visitors’ lobby
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-PROGETTO
Herzog & de Meuron -ARCHITETTI ESECUTIVI
Groupe 6
-PROGETTAZIONE PAESAGGISTICA
Michel Desvigne Paysagiste -STRUTTURE
Cabinet JailletRouby, Structures Île de France -INGEGNERIA CIVILE
Ingerop
-IMPIANTI ELETTRICI, IDRAULICI, MECCANICI E COMFORT AMBIENTALE
Egis Bâtiments Sud-Ouest -MANUTENZIONE
Vinci Facilities -IMPRESE
SOGEA Sud-Ouest Hydraulique, Castel & Fromaget, GTM Bâtiment Aquitaine, GTM TP GC, RazelBec, SEG Fayat -CONSULENTI
IdB Acoustique (acustica), Egis Bâtiments Sud-Ouest (fisica delle costruzioni), Agence ON (illuminazione), Veritas France (sicurezza), SSI Coor (antincendio), Agence Franck Tallon (segnaletica), ATE, Lignières les Roye (campo da gioco) -COMMITTENTI
ADIM Sud-Ouest (Vinci Construction), CPI SOMIFA (Fayat Group)
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-DATI DIMENSIONALI
186.910 mq superficie dell’area 77.090 mq superficie totale lorda 45.480 mq superficie occupata 163.000 mc volumetria totale -CRONOLOGIA
2010–12: progetto 2013–15: costruzione -LOCALIZZAZIONE
Cours Jules Ladoumègues, 33300 Bordeaux, Francia
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15 -pianta del piano terra. Legenda -1- ingresso stampa -2- sala conferenze -3- zona mista -4spogliatoi squadra ospite -5- spogliatoi squadra di casa -6- ingresso al campo -7- sbarco squadra ospite -8- strada anulare -9- negozio -10- biglietteria -11- ristorante -12- sicurezza -13controllo ingressi Vip -14- controllo ingressi normali -plan of the ground level. Legend -1press entrance -2conference room -3- mixed zone -4visiting team locker rooms -5- home team locker rooms -6entrance to playing field -7- visiting team landing -8- ring road -9store -10- box office -11- restaurant -12- security -13VIP entrance control -14- normal entrance control
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strato assorbente -detail section of the joint between the upper stands and the roof canopy. Legend -1- RAL 9003 corrugated sheet metal, perforated 15%, 43x180mm -2- RAL 9003 corrugated sheet metal, perforated 15%, 18x76mm with absorbant layer 18 -sezione di dettaglio della passerella di manutenzione dei riflettori per l’illuminazione del campo. Legenda -1zona accessibile per la manutenzione e regolazione delle lampade di illuminazione del campo da gioco -2- illuminazione tribune -3- altoparlante -4illuminazione campo -5- lamiera ondulata RAL 9003 perforata al 15% 43x180mm -detail section of the catwalk for maintenance of field spotlights. Legend -1- zone accessible for maintenance and adjustment of lighting fixtures for the playing field -2- lighting of the stands -3- loudspeaker -4- field lighting -5- RAL 9003 corrugated sheet metal, perforated 15%, 43x180mm 19 -le tribune a struttura d’acciaio in costruzione -the steel structure of the stands during construction 20 -veduta delle mensole reticolari a sbalzo che armano la copertura delle tribune -view of the reticular overhanging consoles that reinforce the roof over the stands 21 -il montaggio in opera di sezioni preassemblate della struttura metallica del tetto -on-site installation of preassembled sections of the metal roof structure 22 -veduta aerea del cantiere durante la posa del rivestimento di copertura -aerial view of the worksite during installation of roof cladding
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16 -sezione trasversale della tribuna ovest. Legenda -1- pacchetto di copertura: lamiera grecata traforata, isolamento Parvacoustic 30mm, lana di roccia 40mm, guaina impermeabilizzante in PVC -2sagola di salvataggio -3- botola di ispezione copertura Skydome -4- passerella per la manutenzione -5- lampade di illuminazione del campo -6- giunto in alluminio -7- lastra in policarbonato traslucido -8- lampada a tenuta stagna incassata nel controsoffitto -9- protezione galleria -10- protezione tribune -11- galleria di distribuzione -12- salone aperto -13- loggia da dodici posti consegnata al rustico -14- salone Prestige ovest -15- terrazza Vip ovest -16- sala conferenze -17- spogliatoio giocatori -18- rilievo visuale -19- prato sintetico -cross-section of the western stands. Legend -1- roof packet: embossed perforated sheet metal, Parvacoustic insulation 30mm, rock wool 40mm, waterproofing sheath in PVC -2lifeline -3- Skydome roof inspection hatch -4- maintenance catwalk -5lighting for playing field -6- aluminium joint -7- translucent polycarbonate -8- watertight fixture built into suspended ceiling -9protection balcony -10- protection for the stands -11- circulation corridor -12- open room -1312-seat loggia delivered rough -14western Prestige room -15- west VIP terrace -16- conference room -17- locker rooms -18- visual relief -19- synthetic grass 17 -sezione di dettaglio del nodo di raccordo fra la tribuna superiore e la pensilina di copertura. Legenda -1lamiera ondulata RAL 9003 perforata al 15% 43x180mm -2- lamiera ondulata RAL 9003 perforata al 15% 18x76mm con
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24 -il nastro dei servizi dalla galleria di distribuzione sopraelevata -ribbon of services from the raised circulation gallery 25 -una delle terrazze belvedere sulla copertura della serpentina perimetrale dei servizi -one of the belvedere terraces on the roof of the perimeter service coil 26 -scorcio del fronte ovest -view of the western facade 27 -prospettiva del fronte sud con l’ingresso per i Vip -perspective of the southern facade with VIP entrance
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28, 29 -vedute dal catino interno e dalla galleria perimetrale delle rampe di accesso al secondo ordine di gradinate -views of the internal basin and the perimeter gallery of access ramps to the second level of stands
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30 -vista del deambulatorio pensile di 800 metri di lunghezza che raccorda in orizzontale tutti i percorsi di ingresso e di uscita del pubblico generico -view of the upper 800-meter ambulatory that horizontally connects all the entry and exit routes of the general public
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31 -particolare del fronte ovest scenograficamente esaltato dall’impianto d’illuminazione notturna -detail of the western facade, theatrically enhanced by the nighttime lighting system
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AESOP A CURA DI CARLOTTA TONON
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Aesop: il paradosso del brand
1 -Kylix, ca 440 a.C., Musei Vaticani, il cosiddetto ritratto di Esopo -Kylix, about 440 BC, Vatican Museums, the so-called portrait of Aesop 2 -Diego Velázquez, Esopo, 1638, olio su tela, Museo del Prado, Madrid -Diego Velázquez, Aesop, 1638, oil on canvas, Museo del Prado, Madrid 3 -uno dei prodotti Aesop -one of the Aesop products
MUSEO NACIONAL DEL PRADO
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AESOP
Il branding non è una scienza. Se ne occupano studiosi intelligenti, esperti autorevoli e non pochi apprendisti stregoni. Il denominatore comune del loro lavoro è l’aleatorietà. Anche per questa ragione non è interessante chiedersi quale definizione di branding si adatti a Aesop, un marchio nato a Melbourne meno di trent’anni fa di cui ora ci occuperemo e la cui storia è raccontata in maniera intelligente da Annemarie Kiely nelle pagine che seguono. Bisogna però ammettere che, per considerare anche dal nostro punto di vista un fenomeno quale Aesop, è necessario fare qualche concessione e tentare così di capire di quale strategia di branding esso è espressione. Per farlo ci limiteremo, però, a occuparci di ciò che di Aesop si può materialmente vedere. Cominciando dal nome: Aesop. In una Kylix, una coppa di ceramica, conservata a Roma nei Musei Vaticani, si può osservare quello che per lungo tempo è stato ritenuto un ritratto di Esopo. «Con la fronte aggrottata e la bocca aperta», lo descrive Paul Zanker in Die Maske des Sokrates (1995), Esopo «ascolta attentamente gli insegnamenti della volpe seduta di fronte a lui; il suo mantello è strettamente avvolto attorno al corpo magro, come se stesse rabbrividendo dal freddo; è brutto, trascura il proprio aspetto esteriore, ha lunghi capelli spettinati, la fronte calva e inoltre una barba rada e trasandata». Differente da quello rappresentato intorno al 440 a.C. nella Kylix dei Musei Vaticani, è l’Esopo ritratto da Velázquez che si ammira al Prado. Se questo è l’Esopo più conosciuto, comunque celebre per il suo non gradevole aspetto, sembrerebbe essere stata una decisione bizzarra dare il suo nome a una gamma di raffinati prodotti, studiati con attenzione per consentire a quanti li usano di prendere sul serio la cura dei propri corpi. Ma Esopo non è conosciuto solo per il suo aspetto e le “favole” che ne hanno raccontato le indefinite origini non hanno fatto che accrescere la fama che si è meritato come favolista eponimo. E per spiegare come possa essere accaduto che la figura del vecchio trasandato che ispirò Velázquez abbia dato il proprio nome alle creme di bellezza prodotte da Aesop, bisogna tenere conto di questo: Esopo è il più geniale tra gli inventori di favole e le fiabe contengono «spiegazioni generali della vita», come sosteneva Italo Calvino. Le favole, spiegava da parte sua Bruno Bettelheim, «mostrano ai bambini dove andare, come procedere», così come Aesop fa con tutti coloro che si avvici-
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nano a un negozio Aesop. Ciò che il brand Aesop promette e offre, infatti, è un piccolo mondo dove regna la simulazione, ma dove questo termine perde ogni connessione con il senso di colpa che ne accompagna l’uso corrente per assumere quello che gli spetta nelle fiabe. I prodotti di Aesop sono resi apparentemente uguali dalla grafica che li caratterizza. Il chiaro prevalere del logotipo sulle forme dei contenitori dei prodotti ha lo scopo di indurre i consumatori a percepire che la qualità delle merci acquistate è garantita dalla loro appartenenza a un’unica famiglia. Per questa ragione, i caratteri e lo stile del logotipo si ritrovano nelle etichette applicate ai contenitori per spiegare gli usi per i quali i prodotti possono essere acquistati. Questi caratteri discendono dall’Helvetica disegnato da Max Miedinger alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, a sua volta «un fortunatissimo, banale remake del robusto Akzident Grotesk», come ha scritto Sergio Polano in Abecedario (2002), e sono giunti sulle etichette applicate ai flaconi prodotti da Aesop dopo avere compiuto un percorso a ritroso: dal monitor del computer, che ne ha garantito l’universale riconoscibilità, alla carta stampata. Questo è uno dei tratti caratteristici della “filosofia” di Aesop: imboccare strade diverse o compiere percorsi a ritroso rispetto a quelli battuti da quanti ritengono che la capacità di adattarsi senza fine al variare dei modi della comunicazione sia la chiave per conquistare il successo commerciale. I prodotti che Aesop propone sono diversi per consistenza, colore, odore; sono creme, unguenti, liquidi e diversi sono ovviamente i loro contenitori. Questi contenitori, tendenzialmente monocromatici, hanno un aspetto moderno ma non attuale e sono del tutto intonati con il logotipo Aesop. La varietà degli usi ai quali i prodotti sono destinati passa in seconda linea di fronte alla ripetitività dei modi in cui vengono presentati. Ma grazie alla ripetizione, la percezione del marchio tende a trasformarsi in quella di un simbolo. Il meccanismo è semplice: ai simboli si associano i sogni; ciascun sogno è suscitato dal desiderio; contenuto del sogno è l’appagamento del desiderio: Aesop indica la strada che consente ai sogni di trovare soddisfazione. La fedeltà alla grafica del nome è più di un indizio del fatto che l’“intransigenza ripetitiva” è la chiave di volta del “progetto Aesop”. I negozi Aesop ne sono una dimostrazione. Anch’essi sono paradossali, come lo è stata la decisione di dare il nome di un uomo celebre per la sua brut-
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tezza a una industria che offre prodotti per la cura della bellezza. I negozi Aesop, infatti, sono diversi l’uno dall’altro ma tutti, rigidamente, rispondono a principi che paiono derivati dal “decalogo del buon design” stilato da Dieter Rams più di quaranta anni fa. Inoltre, nei loro interni si compie un rituale che non muta, ovvero un processo di sublimazione favolistica del sempre uguale della merce fondato sull’apparente metamorfosi della sua natura, ossia sulla separazione, a tutto vantaggio del primo, del valore d’uso dal valore di scambio. La varietà con la quale questo processo è messo in scena da Aesop deriva, ancora una volta, dalla ripetizione di un principio che non cambia: i prodotti come i negozi dove vengono venduti devono trasmettere l’impressione che lo scambio non è il loro fine; gli uni e gli altri prima di soddisfare le loro domande, suggeriscono agli acquirenti “dove andare e come procedere”. Le vetrine dei negozi dove vengono vendute merci simili a quelle commercializzate da Aesop cambiano continuamente con il mutare delle stagioni e dei prodotti; ad esse le città riservano luoghi deputati, dai quali Aesop rifugge; queste vetrine sono spazi d’elezione per la rappresentazione di un luogo comune: il costante mutare del mondo sotto la spinta dell’apparente continuo divenire della merce. I negozi Aesop sono l’esatto opposto: per lo più non hanno vetrine e gli spazi sono configurati come scene fisse che accolgono prodotti che non mutano e la cui collocazione non cambia. Inoltre, i prodotti sono esposti in modo tale che il loro numero non può mai essere percepito come indizio della loro appartenenza all’universo della merce prodotta in maniera meccanica e massificata. Tutto ciò che potrebbe indurre ad associare Aesop con una qualsiasi impressione riconducibile all’idea stessa della massa è ciò che programmaticamente Aesop richiede agli architetti ai quali si rivolge di bandire dai propri spazi di vendita. “Massa” è un parola blasfema per ogni produttore di beni di lusso. Gli spazi dove le merci da loro prodotte vengono commercializzate sono modellati dal culto per l’unicità. Nei negozi Aesop avviene il contrario: la merce è messa in mostra in grande quantità. Ciò che rende questa merce diversa è la garanzia di qualità attestata dal logotipo Aesop, che “arreda” ossessivamente ogni negozio. L’ordine con cui i prodotti sono esposti nei negozi induce gli acquirenti a provare una sensazione inedita: quella che anche un bambino avverte allorché per soddisfare un desiderio scompagina un ordine in apparenza in-
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violabile. Acquistando un prodotto in un negozio Aesop si ha l’impressione di compiere una trasgressione. Ma proprio questa sensazione elimina ciò che di meccanico è insito nello scambio, nell’atto stesso dell’acquistare. Sottraendo un flacone con il marchio Aesop dallo scaffale dove lo si vede esposto nello spazio che gli è stato accuratamente assegnato, non si acquista soltanto un prodotto, ma si entra far parte, o almeno questo è ciò che Aesop mira a fare percepire, di un mondo dove anche la più innocua delle vanità può essere soddisfatta, facendola apparire come un passo compiuto verso la conquista di uno stile di vita che annulla la distanza tra il superfluo e il necessario. Anche i gesti che gli spazi di vendita Aesop finiscono per imporre a quanti li visitano completano questa sublimazione della merce, puntando, ancora una volta, sulla ripetizione. In ogni negozio chi vi entra è invitato a sottoporsi a un piccolo rituale, come spiega Annemarie Kiely: a ogni potenziale acquirente è suggerito di lavarsi le mani usando uno dei tanti lavabi che si vedono fotografati in queste pagine. Lo scopo è di far sì che ciascuno dei visitatori, un volta varcata la soglia di un negozio, provi la sensazione di essersi lasciato alle spalle il mondo dell’indifferenza e di essere entrato in quello del “prendersi cura”, così come accade ai bambini quando i genitori regalano loro il tempo di una fiaba, una finzione che li guiderà. Il simbolismo dell’acqua adottato nei negozi Aesop ha un fondamento analogo, le cui origini sono le più lontane: il lavaggio delle mani è il momento in cui il distacco coincide con un diverso inizio. Nessuno dei cento e più negozi che Aesop ha aperto nel mondo è, dal punto di vista strettamente architettonico va ribadito, uguale all’altro. A differenza di quanto accade di solito nel mondo del commercio dei beni di lusso, anche i materiali impiegati e gli arredi sono i più diversi. Entrandovi, però, ogni acquirente è in grado di riconoscerlo come una manifestazione di un mondo concluso, ordinato, dove la ripetizione, come si è detto, non suscita ansia e la varietà si fonda sull’immutabile, un mondo che non tarderà a identificare con tutto ciò che il logotipo Aesop annuncia. La declinazione all’infinito dei modi in cui l’immutabile può essere declinato è il segreto sul quale il creatore di Aesop, Dennis Paphitis, ha costruito il suo brand. Nel farlo sembra abbia preferito leggere Esopo piuttosto che i molti libri che negli ultimi anni hanno contribuito a rendere vagamente sinistra la parola branding. FDC
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Aesop: l'inusuale storia di un successo Annemarie Kiely
Nella storia del marchio dell’industria cosmetica australiana Aesop –che oggi conta più di cento negozi indipendenti e innumerevoli concessionari in tutto il mondo– sembra rispecchiarsi la morale dei racconti del favolista cui il brand deve il suo nome; una morale fondata su assiomi universali: la confidenza toglie riverenza, l’onestà è la politica migliore, chi vuole piacere a tutti finisce per non piacere a nessuno. Quella iniziata in un piccolo salone di Melbourne nel 1987 (all’epoca in cui i capelli cotonati andavano di pari passo con l’esportazione di capitali e canoni estetici occidentali verso i mercati emergenti di India, Cina e Russia) è una versione moderna della favola di Esopo Il leopardo e la volpe -creatura astuta, la volpe, che contrapponeva alla bellezza del corpo del felino vanaglorioso la bellezza della propria intelligenza. Il fondatore di Aesop, Dennis Paphitis, all’epoca un giovane ventitreenne inesperto con la testa piena di libri che discuteva di acconciature e di Kant (i suoi studi filosofici erano venuti dopo l’apprendistato compiuto con l’esigente maître dell’acconciatura Monsieur Maurice) considerava la bellezza la conseguenza naturale di una vita equilibrata, ma non aveva un business plan, né una “strategia di missione”, né tantomeno una visione a largo raggio della realtà industriale. Ad animarlo era un idealismo epicureo instillatogli dai suoi precedenti datori di lavoro francesi e italiani e un’avversione per quella che egli stesso definisce l’atmosfera «volgare e intimidatoria» della concorrenza. «Il nostro era un salone per gente terrorizzata dai parrucchieri», dichiara l’oggi il cinquantaduenne Paphitis riflettendo su ciò che rendeva diverso il suo salone di bellezza, «e noi ci mettevamo dalla parte del cliente, offrendo un servizio fondato su un’etica fatta di passione, accuratezza, dedizione». Questo rigore si esprimeva anche nella progettazione degli spazi, degni della cella di un monaco cistercense, dove il design era impalpabile, l’inessenziale bandito e tutto ispirava calma e compostezza, in una sorta di silenzio visivo in grado di colpire un pubblico dai capelli stressati da tinture chimiche, abituato ad allestimenti chiassosi degli interni e a un servizio sciatto. Mentre Emeis (questo era il nome del salone di bellezza a conduzione individuale) acquisiva lentamente una certa notorietà, ecco sopraggiungere un nuovo membro del personale rivelatosi essenziale per l’elaborazione di un approccio olistico e per lo sviluppo di quel rituale di psico-relax al quale i
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clienti iniziavano a partecipare indossando un avvolgente accappatoio a nido d’ape: si tratta della “grande Suzanne”, come ricorda Paphitis raccontando l’arrivo della sua nuova collaboratrice, Suzanne Santos, oggi general manager di Aesop per l’Australia e la Nuova Zelanda, «la musa appassionata, la guida e lo spirito dell’azienda». Paphitis e Santos hanno adottato e potenziato i concetti di personalizzazione e originalità, due stereotipi del commercio del terzo millennio, facendo del culto dell’autenticità e del pragmatismo il loro campo di azione privilegiato. L’unico punto debole in questa proposta di bellezza che coinvolgeva più ambiti sensoriali era rappresentato dai prodotti per la cura della pelle e dei capelli, un settore allora dominato dai grandi marchi legati a celebrità hollywoodiane. «Gli articoli offerti sul mercato avevano un aspetto e un odore sgradevoli, erano terribili da usare», racconta Paphitis per spiegare da dove venne il suo primo impulso a innovare. «L’uso di oli essenziali per camuffare il tanfo delle tinte per capelli finiva per mascherare l’odore degli shampoo ultra-profumati, alimentando un circolo vizioso». Nel descrivere come “pura follia” la sua intenzione di trasformare questo suo personale disprezzo in una linea di prodotti etici a base vegetale, Paphitis si interroga se le start-up di successo siano appannaggio esclusivo di giovani ambiziosi. Senza compiere generalizzazioni, ricorda le sue peregrinazioni presso laboratori locali e imprenditori con i quali tuttavia non riusciva a entrare nella giusta sintonia. La scintilla finalmente scoccò con un chimico del sud della California e dalla loro collaborazione nacquero sei prodotti per capelli ispirati al Pantheon, il monumentale trionfo in calcestruzzo dell’antica Roma destinato a rivoluzionare i canoni dell’ingegneria dell’epoca. «Gran parte di ciò che accade nel mondo del commercio al dettaglio è il frutto di un colpo di genio», spiega Paphitis parlando del suo “Pantheon”. «Volevamo (e vogliamo) qualcosa di duraturo, prodotti efficaci che siano genuini, duttili e in qualche misura senza tempo. Personalmente preferisco usare e toccare una calcolatrice progettata da Dieter Rams negli anni Sessanta che la tanta spazzatura prodotta nei trent’anni successivi». Scegliendo, come nel Pantheon, di subordinare l’elemento decorativo alle scelte architettoniche, Paphitis distilla i suoi prodotti per la cura dei capelli in flaconi di vetro ambrato, un espediente pragmatico per minimizzare l’uso dei conservati più che un voluto richiamo all’atmosfera delle farmacie, ed esibisce con chiarezza, in caratteri serif e sans serif, le informazioni sul contenuto e le modalità d’uso, in genere confinate sul retro, e qui invece riportate nell’etichetta applicata sul davanti del contenitore dove condividono lo spazio con il logo. Una citazione esplicativa
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di qualche mente eccelsa, viene aggiunta per conferire un significato moderno al nome del marchio Aesop. Tutto l’insieme punta a minimizzare l’impressione di esclusività, evitando qualsiasi ostentazione di ricchezza e interpretando, come fece a suo tempo Rem Koolhaas, il concetto di lusso come “equilibrio”. Paphitis testa la gamma dei prodotti nel suo salone di Melbourne senza tuttavia stimolare un riscontro da parte della clientela. «La ricerca del feedback è la grande piaga sociale della nostra epoca», afferma, difendendo l’originalità di una visione che è insieme la ragione del suo successo, ma ne rappresenta anche il punto critico. «Il nostro controllo qualità ossessivo, ma efficace, fondato sul ricorso fino all’eccesso ai test, ai prototipi, alla cura manifatturiera e alla formazione, rappresenta un parametro di riferimento per tutto il mondo industriale». Questa innegabile pedanteria contraddice la prassi commerciale abituale, ma Paphitis si preoccupa unicamente di fare ciò che sente come «giusto, meritevole, interessante». È il suo istinto a guidare l’azienda e, a quanto pare, questo istinto sa dargli buoni consigli. Tanto che gli ha consentito di prevedere il riposizionamento dell’estetica e della cultura dei consumi verso un nuovo “puritanesimo” molto prima del crollo dei mercati azionari alla fine del 1987. Paradossalmente il suo spirito anti-commerciale gli ha aperto la prospettiva di un mercato ancora più ampio e nel 1996 Paphitis si è lanciato nello sviluppo di nuove linee di prodotti. Il rigore del marchio si è espresso nella costruzione di un laboratorio e di un quartier generale rispondenti ai canonici estetici di Aesop, dove la messa al bando di qualsiasi inutile orpello si è tradotta anche nella scelta di tenere tutta la corrispondenza in Arial Narrow (un carattere che alcuni ritengono abbia ascendenze umanistiche). Un controllo così rigido dell’estetica e dell’essenza del marchio ha fatto sì che questo brand, ostile a qualsiasi forma di promozione, assumesse non volendolo, lo status di icona. È iniziato così un vero e proprio arrembaggio alla conquista dei prodotti Aesop esposti sugli scaffali dei negozi (secondo una fonte newyorchese Oprah Winfrey ne avrebbe svuotato interamente uno). «Ma la crescita continuava a essere casuale, non pianificata», ricorda Paphitis, individuando nell’arrivo dell’esperto di strategie commerciali e CEO, Michael O’Keeffe il momento in cui il motto aziendale è divenuto: «Lavora bene, con correttezza, puntando all’eccellenza, lasciandoti coinvolgere». In mancanza, tuttavia, di un esempio tangibile sul modo in cui i rivenditori di prodotti Aesop dovevano esporli, seguendo indicazioni rigorose in merito alla scelta dei materiali, all’illuminazione, alla temperatura, agli aromi e persino al modo di parlare, le rigide direttive del marchio rischiavano di essere disattese. Così nel
2003 lo “spirito” di Aesop ha trovato la sua incarnazione architettonica nel primo punto vendita indipendente inaugurato a St. Kilda, un caratteristico sobborgo di Melbourne in riva al mare, che per lungo tempo ha influenzato l’arte e la cultura musicale della città. Il negozio, disegnato dal locale studio di architettura Six Degrees Architects, è il frutto della riconversione della rampa di un parcheggio per auto: uso di materiali riciclati e suggestioni provenienti dal cinema d’autore caro a Paphitis (Buñuel, Almodovar e Antonioni) connotano il progetto. «Era un seminterrato largo 3 metri e lungo 21», ricorda il fondatore di Aesop a proposito di questo spazio separato, ma inserito nello stesso fabbricato di un hotel tra i più amati dalla gente del luogo. «Il progetto, perfettamente in linea con la nostra filosofia, ci ha insegnato che l’integrazione nella comunità e l’espressione chiara e assoluta del nostro punto di vista è ciò che ci avrebbe distinto dagli altri». L’attenzione al contesto e alla collettività è diventato un elemento ricorrente anche nella progettazione degli altri punti vendita, ciascuno dei quali costituisce un’articolazione unica di spazio, architettura e valori del brand che deve soddisfare tre esigenze fondamentali: la presenza di un magazzino retrostante, di acqua corrente e di spazio per esporre. Come spiega Paphitis, dopo aver trovato la giusta collocazione per un nuvo spazio commerciale, seguendo l’ideaguida che punta al rapporto armonico con il contesto, la fase successiva consiste nell’assegnazione del progetto a un architetto, ma questo passo è subordinato a una generale “valutazione di compatibilità”. «Stabilito che il primo obiettivo è la ricerca di una personalizzazione, ci avventuriamo in una sorta di corteggiamento romantico finalizzato ad approfondire insieme ai progettisti quali siano le nostre esigenze e quali le possibilità di successo», spiega Paphitis, «e una volta sicuri di poter procedere, stipuliamo una specie di accordo pre-nuziale, basato sull’intesa emozionale, per definire quanto e come ciascuna delle due parti contribuirà alla realizzazione del progetto». Volendo continuare a usare la metafora romantica di Paphitis potremmo dire che, nell’arco degli ultimi dodici anni, il corteggiamento di quarantotto studi di architettura ha conosciuto tutte le sfumature dell’amore: dal rapporto di una sola notte all’unione appassionata e duratura. Ma le liaisons architecturale cui sono legati i ricordi più belli sono state per Paphitis quelle con Ilse Crawford di Studio Ilse (restauro di un edificio vittoriano con una verve moderna a Londra), con Paulo Mendes da Rocha (brutalismo aspro e pesanti masse a San Paolo), con Hugo Hass di Ciguë (funzionalismo ritrovato a Parigi e a Londra), con Rodney Eggleston di March Studio (giocoso pragmatismo materiale a Melbourne, Sydney, Parigi, New York, Singapore,
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Ginevra e Zurigo), con Ogata Shinichiro di Simplicity (trasparenza e richiami alla tradizione di Kyoto) e Sean Godsell (essenzialità espressa in un involucro di cemento perforato a Sydney). «I progetti migliori comunque non sono mai stati quelli che hanno richiesto i budget più elevati, o relativi ai negozi più grandi, o legati ai nomi di archistar, ma quasi sempre quelli elaborati dalle personalità più sensibili e complesse», afferma Paphitis, «dotate di un innato senso estetico e di una grande capacità di sviluppare la propria idea di ciò che un’architettura d’interni a misura d’uomo può offrire». Il tratto comune dei progetti discende da un approccio poetico che punta all’essenziale. Entrando con discrezione nel cuore delle città, privilegiando una relazione profonda e non superficiale, di natura filosofica e culturale con il tessuto urbano, Aesop è riuscito a penetrarvi “emozionalmente”, con modalità del tutto sconosciute ai grandi marchi. «Viviamo in una società sempre più omologata, in gran parte priva di alternative valide e originali per quanto riguarda beni e servizi» sostiene Paphitis «e ciò che ci serve sono meno imitatori e più persone capaci di pensare in maniera originale». Nel 2012, tuttavia, quando il pensiero originale ha dovuto confrontarsi con l’esigenza di creare nuove infrastrutture, Aesop (Emeis Holdings) ha cercato un investitore finanziario tra aziende che avessero idee e interessi simili. Così Natura Cosmeticos, un gruppo brasiliano che opera nel settore della cosmesi e del benessere, tra i maggiori venditori a livello mondiale per quota di mercato, ha acquistato una partecipazione rilevante, mettendo in comune competenze (il management è rimasto invariato), obiettivi, valori e idee, mentre Aesop ha continuato a esistere come azienda indipendente e come marchio autonomo, mantenendo il proprio quartier generale a Melbourne. L’espansione dell’azienda ha consentito a Paphitis di scoprire Oslo, la capitale norvegese dove Aesop ha inaugurato di recente il suo centesimo punto vendita, progettato in collaborazione con Snøhetta Architects. Il traguardo del centesimo negozio ha stimolato Paphitis a riflettere sul segreto del suo successo. «Lavorare prima con il cuore e poi con la testa», afferma il fondatore di Aesop, minimizzando gli sforzi straordinari compiuti per realizzare qualcosa che in realtà è semplice e naturale. A questa contraddizione allude la citazione di Albert Camus che spunta con discrezione tra la segnaletica del quartier generale di Aesop nel centro di Melbourne: «Nessuno si rende conto di come certe persone spendano energie incalcolabili soltanto per essere normali». AK
—AUSTRALIA
Kerstin Thompson Architects Aesop Burnside Village, Adelaide
March Studio Aesop Adelaide, Adelaide
Clare Cousins Aesop Queens Plaza, Brisbane
Kerstin Thompson Architects Aesop Carindale, Brisbane
Kerstin Thompson Architects Aesop Canberra, Canberra
Aesop Internal Aesop ACL, Melbourne
Clare Cousins Aesop Fitzroy, Melbourne
Clare Cousins Aesop South Yarra, Melbourne
Genesin Studios Aesop Rundle Street, Melbourne
Kerstin Thompson Architects Aesop Chadstone, Melbourne
Kerstin Thompson Architects Aesop Collins Street, Melbourne
Kerstin Thompson Architects Aesop Emporium, Melbourne
March Studio Aesop Flinders Lane, Melbourne
March Studio Aesop Greville Street Prahran, Melbourne
March Studio Aesop North Melbourne, Melbourne
Russell & George Aesop Armadale, Melbourne
Russell & George Aesop Doncaster, Melbourne
Russell & George Aesop Indooroopilly, Brisbane
—I 108 NEGOZI AESOP
WWW.AESOP.COM
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Six Degrees Aesop St Kilda, Melbourne
Kerstin Thompson Architects Aesop Perth City, Perth
Russell & George Aesop Claremont, Perth
CIBI Aesop Bondi Beach, Sidney
Aesop Internal Aesop Newtown, Sidney
Aesop Internal Sydney City, Sidney
Henry Wilson Studios Aesop Balmain, Sidney
March Studio Aesop The Strand, Sidney
March Studio Aesop Westfield Bondi Junction, Sidney
Russell & George Aesop Chatswood, Sidney
Ciguë Aesop Montmartre, Parigi
Ciguë Aesop Tiquetonne, Parigi
—FRANCIA
Sean Godsell Aesop Paddington, Sidney
Russell & George Myer Bourke St, Melbourne
Ciguë Aesop Le Marais, Parigi
—GERMANIA
Jean François Bourdet Aesop Saint-Germain-des-Prés, Parigi
March Studio Aesop Saint-Honoré, Parigi
Dimore Studio Aesop Saint Sulpice, Parigi
Weiss-heiten Aesop Berlin Mitte, Berlino
VVDA Aesop ABC Viertel, Amburgo
—HONG KONG
Einszu33 Aesop Karlspassage, Stoccarda
Einszu33 Ludwig Beck, Monaco
Cheungvogl Aesop City Plaza, Hong Kong
Cj Studio Aesop Fashion Walk, Hong Kong
Aesop Internal Aesop Festival Walk, Hong Kong
Aesop Internal Aesop Hollywood Road, Hong Kong
Cheungvogl Aesop Hysan Place, Hong Kong
NADAAA Aesop IFC, Hong Kong
Aesop Internal Aesop Lyndhurst Terrace, Hong Kong
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Weiss-heiten Aesop Pfeilstrasse, Colonia
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—GIAPPONE
Russell & George Aesop Sheung Wan, Hong Kong
Cheungvogl Aesop Telford Plaza, Hong Kong
Torafu Aesop Kawaramachi, Kyoto
Simplicity Aesop Kyoto, Kyoto
Torafu Aesop Grand Front Osaka, Osaka
Simplicity Aesop Shinsaibashi, Osaka
Schemata Aesop Aoyama, Tokyo
Schemata Aesop Ginza, Tokyo
Torafu Aesop Shibuya, Tokyo
Torafu Aesop Shin Marunouchi, Tokyo
—COREA
Aesop Internal Mid-Town, Tokyo
Torafu Aesop Yokohama, Yokohama
Russell & George Aesop ML Store Pavilion, Kuala Lumpur
Kerstin Thompson Architects Aesop Lot 10, Kuala Lumpur
March Studio Aesop Millenia Walk, Singapore
Kian Yam Aesop Club Street, Singapore
MALESIA
WISE Architects Seoul Garosu-Gil, Seoul
Kerstin Thompson Architects Clare Cousins Aesop Bangsar Village Kiosk, Kuala Lumpur Aesop Bangsar Village II, Kuala Lumpur
—NORVEGIA
—SINGAPORE
Snohetta Aesop Prinsensgate, Oslo
Aesop Internal Aesop Ngee Ann City, Singapore
Kerstin Thompson Architects Aesop Suntec City, Singapore
—SVEZIA
—SVIZZERA
IPOS Aesop Stockholm, Stoccolma
Einszu33 Aesop Bern, Berna
Russell & George Tangs, Singapore
—TAIWAN
March Studio Aesop Barengasse, Zurigo
March Studio Aesop Geneva, Ginevra
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March Studio Aesop Oberdorfstrasse, Zurigo
Moser Wegenstein Aesop Spalenberg, Basilea
CJ Studio Aesop Eslite, Taipei
—GRAN BRETAGNA
CJ Studio Aesop Service Centre Central, Taipei
Aesop Internal Aesop Breeze Center, Taipei
Aesop Internal Mitsukoshi Tainan, Tainan
Ciguë Aesop Covent Garden, Londra
Ciguë Aesop Islington, Londra
Studio KO Aesop Marylebone, Londra
Studio Ilse Aesop Mayfair, Londra
Aesop Internal Aesop Richmond, Londra
Tolila & Gilliland Aesop Shepherds Bush, Londra
Aesop Internal Aesop Shoreditch, Londra
—USA
William O’Brien Jr Aesop Newbury St, Boston
Frida Escobedo Aesop Invisible Dog pop-up, Brooklyn
Architecture Outfit Aesop Harvard Square, Cambridge
NADAAA Aesop Abbot Kinney, Los Angeles
Brooks + Scarpa Aesop Downtown LA, Los Angeles
Frida Escobedo Aesop Lincoln Road, Miami
March Studio Aesop Bleecker St, New York
Aesop Internal Aesop Chelsea, New York
NADAAA Aesop East Hampton, New York
Architecture Outfit Aesop Greenwich Ave, New York
Tacklebox Aesop Nolita, New York
Tacklebox Aesop University Place, New York
NADAAA Aesop West Broadway, New York
Tacklebox Grand Central Pop-up, New York
John Randolph Aesop NW 23rd Avenue, Portland
John Randolph Aesop West End, Portland
NADAAA Aesop Chestnut Street, San Francisco
NADAAA Aesop Fillmore St, San Francisco
John Randolph Aesop Silver Lake, Los Angeles
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Ciguë Aesop Soho, Londra
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AESOP THE STRAND SIDNEY —MARCH STUDIO
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AESOP NORTH MELBOURNE MELBOURNE —MARCH STUDIO
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AESOP FLINDERS LANE MELBOURNE —MARCH STUDIO
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AESOP SAINT-HONORÉ PARIGI —MARCH STUDIO
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AESOP LE MARAIS PARIGI —CIGUË
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AESOP KYOTO KYOTO —SIMPLICITY
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AESOP SHINSAIBASHI OSAKA —SIMPLICITY
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AESOP BIBLIOTEKSTAN STOCCOLMA —IPOS
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AESOP SHOREDITCH LONDRA —AESOP INTERNAL
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AESOP UNIVERSITY PLACE NEW YORK —TACKLEBOX
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PAULO MENDES DA ROCHA + METRO —AESOP OSCAR FREIRE SAN PAOLO, BRASILE
These are the basic ideas that guided the project for this specific Aesop Store: To preserve the visual impact of the flow of people on the main street, without too much emphasis on the street corner where the shop is located. The entrance of the store will be in the street façade. The address must clearly be Rua Oscar Freire, one of the most important retail streets in São Paulo. To make the products – especially the small glasses– shine, revealing its peculiar colour, in a seductive way so as to generate the general public's curiosity. The goal is to create a kaleidoscopic glowing volume where the mirrored walls multiply the images thru movement inside this space. To eliminate the central column as an object of interference. Given the inexorability of its existence our proposal is to transform it into a meeting point – a counter for the experimentation of Aesop’s essences in the form of a cloud, where a water fountain will be placed. This element should assume an unexpected and ludic character, far from the current domestic sinks. To have a finely fragmented floor, as fallen leaves or small flowers, in order to create the right atmosphere.
Paulo Mendes da Rocha
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-schizzo di studio di Martin Corullon per l'elemento centrale del negozio Aesop a San Paolo -sketch by Martin Corullon for main element in the Aesop São Paulo Store
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BIBLIOTECA 96 Recensioni.
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k A cura di Manuel Herz con Ingrid Schröder, Hans Focketyn, Julia Jamrozik. Fotografie di Iwan Baan e Alexia Webster African Modernism Park Books, Zürich 2015 isbn 978 3906027746
FRANK SCHERSCHEL/TIME LIFE PICTURES/GETTY IMAGES
L’Africa di cui si sono occupati meritoriamente gli autori di questo libro non è quella che siamo abituati a conoscere, tormentata da guerre, violenze e terribili miserie. Le centinaia di belle fotografie riprodotte nelle più di 600 pagine del volume documentano quanto l’architettura ha realizzato nei Paesi dell’Africa subsahariana in Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Kenya e Zambia. Da questo panorama sono state escluse programmaticamente le ex colonie portoghesi. La storia che le diverse parti del libro e i saggi che le accompagnano raccontano è quella della formazione di “un mondo postcoloniale neocolonizzato” (sintomaticamente i coronamenti di molti edifici alti fotografati da Baan e Webster in città diverse e di anni diversi sorreggono la medesima scritta pubblicitaria: Samsung). Questa realtà, all’origine dei molti drammi che l’Africa vive, è ben spiegata da Herz nel saggio introduttivo e ad essa fa riferimento tutto ciò che nel libro le fotografie e i contributi di H. Le Roux, L. Noyer-Duplaix, Z. Efrat, T. Förster, I. Schröder documentano e analizzano, ricostruendo i modi in cui l’architettura moderna si è trasformata in architettura tropicale (n.b.: già nel 1954 un programma di insegnamento di tropical architecture venne varato all’Architectural Association School a Londra). La disponibilità con cui l’architettura moderna si è “tropicalizzata” non ha, però, comportato il completo tradimento dei suoi modelli o archetipi europei, come dimostra, in particolare, il capitolo dedicato al Ghana. Naturalmente sono numerosi gli esempi, sui quali il libro non si sofferma, che dimostrano il contrario, ovvero come l’architettura sia anche una merce prodotta nei Paesi svi-
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luppati e semplicemente esportata in Africa (si vedano, per esempio, le pagine dedicate ad Abidjan, ex capitale della Costa d’Avorio). Occupandosi della Costa d’Avorio gli autori hanno dedicato diverse pagine e molte immagini a Yamoussoukro, la nuova capitale del Paese voluta dal presidente Félix Houphouët-Boigny, ma non hanno riservato alcuna attenzione al più assurdo (ed emblematico in quanto rappresentativo di uno dei molti volti della “modernizzazione” dell’Africa) degli edifici lì costruiti, la Basilique de Notre Dame de la Paix, ritenuta da alcuni il più grande luogo di culto del mondo, una “copia” di San Pietro. Uno dei capitoli più interessanti del libro è quello di Z. Efrat ed è dedicato al ruolo che Israele, le imprese e gli architetti israeliani hanno avuto nella “modernizzazione” di diversi Paesi dell’Africa (leggendo il saggio di Efrat è opportuno ricordare che anche Theodor Herzel, il fondatore del movimento sionista, nel 1903 aveva pensato all’Uganda come alla terra destinata ad accogliere lo Stato ebraico). L’Institute of Planning and Development costituito dal Ministero degli Esteri d’Israele negli anni Sessanta assistette diversi Paesi africani nell’affrontare i processi di modernizzazione e alcuni insediamenti, derivati dai modelli del Kibbuz e del Moshav, vennero costruiti dalla Nigeria all’Etiopia. Un ruolo di rilievo in questa attività lo ebbe Arieh Sharon, il progettista della Obafemi Awolowo University a Ile-Ife in Nigeria. Sharon era un allievo del Bauhaus, fu un collaboratore di Hannes Meyer e sposò Gunta Stölzl che al Bauhaus dirigeva il laboratorio di tessitura. Sharon arrivò in Israele intorno al 1932 e contribuì in ogni modo alla costruzione del Paese e a definire il volto moderno di Tel Aviv. Negli anni Cinquanta tentò di prospettare ai Paesi dell’Africa, con i quali Israele intratteneva strette relazioni, un modello originale di modernità e progresso diverso da quelli che hanno finito per prevalere, rimasto, però, privo di effetti di rilievo. Tra gli obiettivi di questo libro vi è anche quello di dimostrare come in Africa esistano opere moderne di architettura che meriterebbero attenzione e di venire preservate. Ne sono buoni esempi costruzioni quali la Fiera di Dakar (1974), l’Hôtel de Ville di Abidjan (costruito da un architetto, Henri Chomette, di cui il libro si occupa diffusamente), il Mercato di Nairobi degli anni Trenta e il Wakulima Market del 1966, o l’Università dello Zambia a Lusaka (1965-68). www
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k XIX Bienal de Arquitectura y Urbanismo de Chile Publicaciones AOA, Santiago 2015 isbn 978 9569119064 Nel 2015 la Biennale di architettura cilena si è svolta nel Parque Cultural di Valparaíso, un complesso espositivo ricavato da un vecchio carcere da HLPS Arquitectos (vedi «Casabella», n. 823, marzo 2013). Mostre minori sono state presentate in altre cinque località del Cile e all’organizzazione della Biennale hanno partecipato le istituzioni dalle quali dipendono sia le iniziative varate nel campo dell’architettura e dell’urbanistica che la vita professionale e le attività culturali che si svolgono in Cile. La mostra di Valparaíso ha rappresentato una nuova occasione per comprendere le ragioni per le quali in Cile, da qualche tempo, sono attivi ottimi architetti e molti giovani più che promettenti. Il catalogo che segnaliamo (scaricabile dal sito http://www.bienaldearquitectura.cl), nonostante le immagini minuscole che vi sono pubblicate, spiega succintamente queste ragioni, presenta 127 opere e 36 progetti (di Rodrigo Larrain, Cristián Undurraga, Alejandro Aravena, Sabbagh Arquitectos, Cristián Izquierdo Lehmann, Gonzalo Mardones, tra gli altri), le attività che vengono svolte nelle principali scuole di architettura del Paese, molte delle quali private, e i risultati delle ricerche che lì vengono compiute (un premio della Biennale è riservato alle pubblicazioni specializzate). Al progettista, al quale è stato assegnato il Premio Nacional de Arquitectura 2015, il catalogo ha dedicato un breve profi lo e la Biennale una mostra, richiamando così l’attenzione sulla figura di Teodoro Fernández Larrañaga (n. 1948), un insegnante influente e rispettato della Universidad Católica di Santiago, dove molti dei più intraprendenti architetti cileni si sono formati. www
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k A cura di Daniela Mondini Hélène Binet. Quarantotto pagine di architettura insegnata Mendrisio Academy Press-Silvana Editoriale, Mendrisio-Cinisello Balsamo 2015 isbn 978 8836630707
centuano gli aspetti materiali» e che vanno osservate «come se dovessimo percepirle attraverso il tatto anziché la vista». Quello di Elena Gargaglia si concentra sul confronto tra le fotografie del convento di Santa Maria de La Tourette e quelle che hanno come soggetto l’osservatorio del Jantar Mantar a Jaipur. Mondini, infine, scrive del rapporto che lega architettura e fotografia. Nel libro dedicato a Francesco Venezia possiamo leggere, in forma di conversazione, una serie di sue riflessioni scaturite dai cento giorni passati in compagnia degli studenti dell’Accademia di Mendrisio durante i quattro semestri da lui lì trascorsi. Venezia parte da questo dato quantitativo per raccontare come abbia scelto di imprimere alla didattica un ritmo scandito dall’alternanza dei due temi di progetto: il rapporto con l’antico e il confronto con la città storica. Incalzato dalle domande di Andrea Faraguna, Venezia non si sottrae, entra nel merito delle questioni e lascia ai lettori una viva testimonianza del suo spirito arguto e insofferente nei confronti dei luoghi comuni. La risposta che ha dato all’ultimo quesito: «come si resta fedeli nel tempo alle proprie convinzioni?» è, da sola, una “lezione di vita” rivolta ai giovani architetti: «Capii che bisogna sempre lavorare sodo e che in assenza di prospettive concrete il punto importante è essere preparati. La cosa peggiore è che ti si possa affiancare la grande occasione e tu non sei pronto a coglierla. Bisogna dunque affilare sempre le armi in attesa del momento giusto, non sapendo se e quando verrà». www
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k A cura di Daniela Mondini Francesco Venezia. Quarantotto pagine di architettura insegnata Mendrisio Academy Press-Silvana Editoriale, Mendrisio-Cinisello Balsamo 2015 isbn 978 8836630691 I primi due titoli di questa agile collana sono dedicati, rispettivamente, alla fotografa Hélène Binet e all’architetto Francesco Venezia. Come si legge nel risvolto di copertina «la collana intende testimoniare i modi con cui la cultura architettonica odierna si confronta e si trasmette con il lavoro didattico. Le pubblicazioni vogliono privilegiare, in particolare, l’attività svolta presso l’Accademia di Architettura di Mendrisio dai docenti invitati (di progettazione, ma non solo) così da preservarne il contributo culturale». Il libro dedicato a Hélène Binet è a cura di Daniela Mondini; contiene quattro saggi e una selezione di fotografie emblematiche. Il primo testo, di Juhani Pallasmaa, descrive la specificità delle fotografie di Binet che «ac-
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k Antonio Monestiroli Il mondo di Aldo Rossi Lettera Ventidue, Siracusa 2015 isbn 978 8862421577 Tre conferenze raccolte insieme, perché non occasionali e legate da un unico filo. Il libro, agile e gradevole, ha un pregio fondamentale: Monestiroli, che di Rossi è stato allievo e
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amico, non ha mai confuso i ruoli. Il suo io compare in queste pagine con le vesti di un testimone affidabile, che accompagna, ma solo accompagna, lo sforzo che Monestiroli ha compiuto di spiegare quali furono i fondamenti del pensiero sull’architettura di Aldo Rossi e della sua pratica di progettista. Essendosi posto a una giusta distanza dall’uno e dall’altra, Monestiroli ha colto nel segno. In ognuno dei tre saggi vi sono passaggi illuminanti. Mettendoli in ordine si ottiene una tela di cui quanti vorranno occuparsi di Rossi, d’ora in poi, dovranno tenere conto. “Mettere in opera” significava per Rossi “mettere in scena”, spiega Monestiroli. Da qui l’uso della metonimia del teatro continuamente utilizzata da Rossi nei disegni, negli scritti, nei progetti, nelle opere (“come non considerare una forma teatrale il Cimitero di Modena”, si chiede giustamente Monestiroli). Ancora da qui il pensare la città e la storia delle città come palcoscenici del tempo, “scene fisse delle vicende umane”. E il tempo non può che essere messo in scena come accaduto, ma non come trascorso, suggerisce Monestiroli che ricorda opportunamente sia l’amore che Rossi riservava a Hölderlin, sia il suo ininterrotto ritornare sul tema dell’“architettura della casa”, che fa «risplendere ciò che resta della casa dopo il suo uso». “Ciò che resta” è una espressione chiave per comprendere l’opera di Rossi. Monestiroli le ha dedicato la giusta attenzione, sia prendendo in esame i rapporti che Rossi intrattenne con i suoi più diretti interlocutori e con i suoi maestri, primo fra tutti Adolf Loos –«a Loos Rossi ruba tutto, con un’abilità che mostra un talento straordinario»–, sia parlando del modo in cui pensava (e usava) la storia, correlato al suo frequente ritornare sul tema della rovine. Un altro passaggio chiarificatore del libro è rappresentato dalla spiegazione che Monestiroli ha dato della definizione di razionalismo esaltato, la formula da lui adottata per chiarire il senso della distinzione coltivata da Rossi tra il lavoro finalizzato a interpretare una funzione e quello teso a dare alla funzione una forma, che implica l’«oscura innocenza» richiesta a chi persegue lo scopo «non di mettere in opera meccanicamente la nostra vita, ma di metterne in scena il senso». Anche l’ultimo saggio pubblicato nel libro, quello dove l’io dell’autore smette discretamente i panni del testimone, dedicato alla Tendenza –ormai quasi mezzo secolo ci divide da questo momento in cui l’architettura italiana ha interpretato per l’ultima volta il ruolo del protagonista– non mancherà di suggerire ai lettori, agli architetti e agli storici dell’architettura, riflessioni non scontate anche sullo stato presente delle cose e su come le cose andarono. www
turale aspettarsi da coloro che hanno contribuito a realizzarlo. Bak Gordon è un architetto capace, discreto e disponibile; nessuna di queste sue doti va confusa con l’arrendevolezza, quanto di più lontano vi è dal linguaggio rigoroso e serio delle sue costruzioni e dei suoi progetti. www
Alejandro Aravena nel breve commento ospitato nel libro, l’architettura vive nel prendere continuamente le distanze da quanto produce. Piuttosto che semplice «fisica echa carne» (Juan Borches) l’architettura presuppone l’instaurarsi di una distanza che la rende percepibile e conoscibile, simile a quella che è necessario rispettare per osservare un corpo riflesso in uno specchio. Sono soltanto appunti quelli di Pérez Oyarzun, ma aiutano a liberarsi dai pensieri pigri.
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k A cura di Federico Tranfa Bak Gordon. architetture abitate Electa, Milano 2015 isbn 978 8891802651 Ricardo Bak Gordon (n. 1967) ha studiato in Italia e in Portogallo; nel 2002 ha aperto il suo studio a Lisbona ed essendosi rapidamente segnalato come una delle personalità più vivaci tra quelle degli architetti del suo Paese, soltanto ora giunti alla boa dei cinquanta anni, ha svolto una variegata attività di insegnante in patria e in Europa. Diverse opere presentate nel libro, edito in italiano e in inglese, sono residenze unifamiliari. Ma non soltanto. Nella sua succinta ma chiara prefazione Tranfa parla della riduzione della distanza tra “lusso” e “comfort” nelle costruzioni residenziali dell’architetto portoghese, mentre Ricardo Carvalho commenta in maniera lievemente più oscura le sue opere, mettendo però in luce quali sono i suoi più certi riferimenti, citando, tra questi, Fernando Távora e Luis Barragán, Álvaro Siza e gli Smithson. Se vi sono echi delle attenzioni dedicate da Bak Gordon a questi personaggi, il libro dimostra però come egli abbia saputo integrarli in una ricerca espressiva originale, sia quando si è occupato di piccole costruzioni sia quando si è cimentato con opere impegnative, quali il Frantoio a Ferreia do Alentejo e le scuole che ha ristrutturato a Porto e a Seixal. Considerando il frantoio o altre opere di minor impegno, quale il caffè costruito nel 2011 sulla riva del Tago, si comprendono le ragioni per le quali Bak Gordon ha instaurato un rapporto privilegiato con Paulo Mendes da Rocha e, più in generale, con l’architettura brasiliana (paulistana). L’amicizia e l’ammirazione che lo legano a Mendes da Rocha si sono tradotte in un sodalizio professionale e i due hanno firmato insieme il Museo della Carrozze a Lisbona inaugurato nel 2015 (si veda «Casabella», n. 851-852, luglio-agosto 2015). Quest’opera così importante è presentata con molta discrezione nel libro, com’era na-
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k Fernando Pérez Oyarzun El espejo y el manto ARQ ediciones, Santiago de Chile 2014 isbn 978 9569571008 Questo piccolo libro bifronte e bilingue (spagnolo e inglese) fa parte di una collana edita dalla Universidad Católica di Santiago del Chile che ospita l’esatto opposto di quelli che “non sono coffee-table books ma coffee-tables”, come spiega nella presentazione Francisco Díaz. Il primo titolo di questa serie è quello che segnaliamo e di cui è autore Fernando Pérez Oyarzun, uno degli animatori della Facoltà di Architettura della Universidad Católica. Il libro contiene due brevi saggi. Il primo è noto ai nostri lettori; con il titolo Ortodossia/ eterodossia. Architettura moderna in Cile apparve nel numero 650 di «Casabella» nel novembre 1997. Il secondo, invece, è inedito e affronta in maniera intelligente un tema esplorato innumerevoli volte, quello del rapporto tra corpo e architettura. Forse si potrebbe discutere quello che Pérez Oyarzum scrive del Modulor, poiché non esplicita la differenza sostanziale che il significato ergonomico, dato da Le Corbusier alle misure derivate da quelle del corpo, ha rispetto a quello attribuitogli dalla cultura umanistica, che lo considerava fonte dell’armonia della forma che emerge dallo smisurato della materia ed è fine del fare. Ma ciò detto, i riferimenti di Pérez Oyarzun a una “storia” che da Vitruvio arriva a Valéry servono a suffragare l’idea che li cuce insieme, secondo la quale, come spiega
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k Jonathan Petropoulos Artists under Hitler. Collaboration and Survival in Nazi Germany Yale University Press, New Haven-London 2014 isbn 978 0300197471 Orson Wells ma non Hannah Arendt; Peter Gay ma non Elias Canetti; Elaine Hochman ma non Fritz Neumeyer: questi sono soltanto alcuni esempi dei nomi degli autori che Petropoulos cita e non cita nella pagine di questo libro. Il capitolo più interessante è il più inutile: riguarda alcune figure minori di dirigenti nazisti (O. A. Schreiber in particolare) e i loro atteggiamenti nei confronti dell’arte degli anni Veneti e Trenta. Avendo fatto ricorso ad ogni sorta di “ismo” per spiegare di “cosa” il suo libro si occupa, Petropoulos ha finito per disorientare i lettori e se stesso, tanto che è quasi impossibile comprendere quale significato egli abbia attribuito, per esempio, a parole quali “impressionismo” oppure “modernismo” (spesso usate in maniera intercambiabile). Il libro, a differenza di quanto il titolo promette, non consente di capire, fatti salvi i casi più indiscutibili, quali furono gli artisti e gli intellettuali che “sopravvissero” al regime nazista (un tema non secondario, attiguo a quello della “migrazione interna”) e quelli che “collaborarono” ai suoi successi.
Per gli architetti, e per chi si occupa di storia dell’architettura, il libro contiene affermazioni sorprendenti e spesso facete. A puro titolo di esempio, alcune meritano una citazione. Secondo Petropoulos numerosi intellettuali, avendo “trionfato” negli anni Venti, come Mies van der Rohe, «a gruff (burbero) man, a difficult genius type», dopo il 1933 erano afflitti da un eccessivo «sense of self-importance». Se è lecito pensarla così, si resta però allibiti nell’apprendere che Petropoulos basa questo giudizio sul fatto che Mies, dando così prova della sua bizzarria, «preferred the word “Baukunst” (literally, building art) to “Architektur”». D’altro canto Petropoulos considera Gropius un precursore dell’“architettura verde e della sostenibilità”: «a key, for Gropius, was green architecture: both in the sense of the conservation of resources and with regard to nature». Infatti, sostiene Petropoulos, Gropius «non progettò mai edifici con più di quattro piani», una affermazione, questa, che potrebbe indurre a rimettere in discussione diversi dati di fatto, a cominciare dalla paternità del progetto per la sede del «Chicago Tribune» (che prevedeva la costruzione di un edificio comunque più alto di quattro piani) firmato da Gropius con Adolf Meyer nel 1922. Petropoulos sembra anche nutrire una particolare ossessione per le bandiere: se in un progetto tedesco degli anni Trenta per un edificio pubblico compare una bandiera con la svastica questa è per lui una prova dell’acquiescenza, nel migliore dei casi, dell’autore di quel progetto nei confronti del regime nazista. Ma la bandiera con la svastica nera su fondo rosso era la bandiera della Germania: quale altra bandiera Mies, per esempio, avrebbe potuto inserire nello schizzo del prospetto del Padiglione della Germania per l’Expo di Bruxelles del 1935? Come le bandiere anche Volk, Deutschland, Reich ecc. per Petropoulos non sono parole ma indizi: associate a un nome o a un avvenimento, stampate su un documento divengono per lui prove del legame di quel nome o di quell’accadimento con il regime nazista. L’ultimo capitolo del libro è dedicato ad Albert Speer, alla cui opera Canetti ha dedicato un saggio decisivo che Petropoulos ignora. Il capitolo termina così: «Speer was not Mies or Gropius, but a very different kind of modernist». Si tratta di una constatazione penetrante –per chi non l’avesse notato, è bene prenderne atto: “Mies e Gropius non erano Speer”–, e di una conclusione talmente originale –“Speer fu un modernista diverso da Mies e Gropius”– che dopo averle registrate non si può andare oltre. Meglio fermarsi qui. www
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k A cura di Peter Elmlund and Johan Mårtelius Swedish Grace: The Forgotten Modern Axel and Margaret Ax:son Johnson Foundation, Stockholm 2015 isbn 978 9189672666 Swedish Grace è un termine strano che può risultare persino sgradevole. È stato impiegato la prima volta dall’aristocratico giornalista cultore dell’architettura inglese P. Morton Shand per descrivere la produzione del design svedese prima della grande Esposizione di Stoccolma del 1930, in occasione della quale si profilò in Svezia una nuova e fertile idea di modernità. Ma Shand ammirava gli svedesi, anche perché, a causa della purezza della loro stirpe razziale, hanno affrontato il futuro senza soccombere al bolscevismo. L’espressione Swedish Grace è sopravvissuta e ha finito per assumere una vita propria, utilizzata per parlare di architettura e spesso impiegata nel marketing di piatti, carte da parati, seggiole ecc. Il libro che ora segnaliamo usa le parole Swedish Grace per identificare un periodo e uno stile, quelli del design svedese degli anni Venti, quando a questa produzione collaborarono architetti quali R. Östberg, C. Bergsten, G. Asplund e S. Lewerentz, designer come E. Hald, W. Kage, E. Gullberg, scultori quali E. Grate e M. Johansson, e urbanisti quali P. O. Hallman. Il libro colloca Swedish Grace tra “tradizione e modernità”, stando al titolo, che non brilla per originalità, del primo saggio che vi compare di Eva Eriksson e sostiene, in maniera più prudente, che gli architetti attivi in quell’epoca offrono un modello per la pratica architettonica contemporanea. Ma stabilire se in realtà vi sia stato un periodo storico coerente, dal punto vista stilistico, definibile con le parole Swedish Grace, non è un problema appassionante. Sebbene questa espressione abbia goduto di una crescente popolarità negli ultimi anni, non le è stato riconosciuto alcun peso rilevante dalla letteratura più autorevole dedicata all’architettura svedese del
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ventesimo secolo. Nel libro di cui ci stiamo occupando, però, Helena Kåberg solleva una serie di domande circa l’uso e il valore di questa definizione, partendo dalla constatazione che, poiché all’inizio del Novecento ciò che si usa definire “classicismo” era diffuso in molte nazioni, sarebbe stato opportuno chiedersi quale sia stato il carattere distintivo della sua “versione” svedese. I contributi più interessanti forniti dal libro riguardano i rapporti che si stabilirono tra designer e architetti, e l’uso da loro fatto dei modelli antichi. Johan Mårtelius, per esempio, illustra le connessioni tra la Basilica di Vitruvio a Fano e la Skandinaviska Kreditbanken (1913) di Erik Josephson sulla piazza Gustaf Adolf a Stoccolma, tra gli studi archeologici dell’antico Arsenale del Pireo e il lavoro del sottovalutato architetto Ragnar Hjorth. Tra gli altri saggi ospitati nel libro vi sono quelli di Helen Kåberg sulle arti decorative, che mette in evidenza il debito contratto nel campo della produzione vetraria degli anni Venti nei confronti delle esperienze neoclassiche, e di Aleksander Wolodarski che si è occupato diligentemnete del lavoro di Per Olof Hallman, e di Johan Rådberg che ha schizzato un panorama dell’urbanistica svedese sempre negli anni Venti. Un catalogo di trentasette esempi di architettura Swedish Grace, compilato da Johan Örn, completa il libro. Il libro non indaga sia il contesto culturale sia la committenza di cui questo “movimento” fu il prodotto; finisce così per offrire un pedigree a operazioni di marketing, aprendo però qualche spiraglio per future ricerche.
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A new work of urban architecture, woven in history with maltese stone Federico Bucci From my childhood, I remember a flag full of crosses and a red beard. Corto Maltese
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“Lessons of architectural honesty from the prehistory of Malta”: this is the title of the article with which, 75 years ago, Giuseppe Pagano began issue no. 155 of «Costruzioni-Casabella». The first sentence bears quoting, for reasons I will try to prove later: “It is always a pleasure to run into some honest colleague who does not prostitute architecture at the service of low rhetoric and tries to achieve maximum results with a minimum expenditure of decorative incidents.” The editorial by the editor of the magazine continues by praising the book by Carlo Ceschi on the megalithic temples of Hagar Kim, studied during the archaeological mission headed by Luigi Mario Ugolini, the brilliant young archaeologist who died prematurely in 1936, sent by the fascist regime to Malta to prove the Italian roots of the Mediterranean. Ceschi, the new superintendent of monuments in Liguria, redrew the prehistoric ruins and imagined the original appearance of the stone volumes; Pagano appreciated the very modern “architectural cubism” that emerged from the careful philological reconstruction. It was 1940. In June Mussolini declared Italy’s entry in the World War and one of the first actions was the bombing of Malta, an English stronghold since the 1800s, the prelude to an endless series of air raids done together with the Germans until 1943. Valletta, founded in the 1500s by the Grand Master of the Order of Malta Jean Parisot de Valette and designed as an impregnable fortress by the military engineer Francesco Laparelli, resisted strenuously, thanks to its underground refuges. Among them, we should remember the railway tunnel opened from 1883 to 1931 between Valletta and the ancient capital of Mdina. On the surface, the bombs also struck the Royal Opera House, a splendid neoclassical theater built in 1866 and reconstructed ten years later, due to fire. On the evening of 7 April 1942 the building was destroyed by the bombs of the Luftwaffe. For those who wish to know more of these events, there are detailed historical reconstructions of the siege of Malta (the second of the Great Siege attempted by the Ottoman Empire in 1565 and resisted by the Knights). Nevertheless, in a different perspective, I recommend reading V., the debut novel by the American writer Thomas Pynchon, because the “confessions of Fausto Maijstral” certainly
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ring more thrilling notes. In any case, especially in the zone of Porta Reale, the entrance from the mainland near the Opera and the rail station, Valletta has left the wounds of war open for many years, with a series of parking lots that certainly clashed with the label of “heritage of mankind” granted the site by UNESCO. Until 2009, when work began on the construction of the project by Renzo Piano. A project for an overall renewal of the area of the walls, towards the outer bastions of Floriana, which began in 1986 with the redesign of the City Gate dating back to the 1960s, was interrupted and then resumed on a larger scale, with the addition of the new Parliament building and the reopening of the Theater, finally leading to the official inauguration of the spaces this year. Let’s put aside the long and boring skirmishes with the public client, victim all over the world of political factors that want to leave material signs of their passage behind (but to become a Pompidou you need to know something about poetry!), along with the moods of individual citizens amplified in the era of the social networks, and let’s look at what has been done for the city, and how, without neglecting what is still needed to complete what has been imagined by the architect. We can start from the Porta and the inner face of the walls. Reaching the plaza with the Triton Fountain, still dominated by the stands of vendors and the bus terminus of Malta Public Transport (which should be given credit for having replaced the old yellow Dodges without air conditioning), the bridge has been taken back to its narrower original size, more suitable for pedestrian traffic. Looking down, the moat has yet to welcome the garden designed by Piano, together with the cafe and panoramic terrace located in the tunnel of the old railway station, an underground space of great importance both for the foundations of the new Parliament building and for its climate control. While in front of us we see a large gap in the bastions, opening upward, marked at the sides by two tall poles and on the walls by metal surfaces, which like blades clearly separate the antique stone from that used in the new construction. This entrance, facing the sea and Fort St. Elmo through the axis of Triq ir-Repubblika (Republic Street) makes it possible to grasp the orthogonal form of Valletta in a single glance. Past the new Bieb il-Belt (the gate of the city), before observing the constructed volumes it is important to linger over the voids, i.e. the route that with two large flights of steps against the walls connects the two Cavaliers of St. James and St. John, as was the case from the origins until World War II.
At this point we can concentrate on the construction: a massive stone tower without openings seems to support, raised off the ground “on slender supports,” two great stone blocks cut in the form of regular parallelepipeds, one of them divided in half in a perfectly vertical direction. These are the buildings that contain the hall of the Parliament of the Republic of Malta and its connected offices. Below them, in a true covered square, on the site occupied by the railroad station and then left empty, we can admire the spectacular diagonal cut aligned with the short side of the Saint James Cavalier, a work by Laparelli completed by his Maltese assistant Girolamo Cassar, transformed into a cultural center in 2000. In this way, there is a more precise indication of the direction towards the church of Saint Catherine (“of Italy”) and the Auberge d’Italie (one of the eight buildings constructed in the 1500s by Cassar, as a tribute to the languages spoken by the Knights), all the way to the Victoria Gate and the new docks for cruise ships. Having described the form, we should now look into the materials that go into the blocks of stone of the Parliament, whose facades, from a distance, resemble the walls of an operating quarry, crossed by clear incisions made by the diamond saws. The 316 square kilometers of the Maltese islands are formed by sedimentary rocks, and the local stone has two main varieties, both used as construction materials since prehistoric times: the soft, pale Globigerina, known as franka in Maltese or softstone in English, and the stronger Coralline (in the versions upper or lower), also known as Maltese marble or hardstone, whose composition and characteristic veins from honey color to red come from the abundant presence of algae fossils. Renzo Piano and the staff of his Building Workshop worked hard to find the most suitable stone, a Lower Coralline hardstone from a quarry they found in Gozo, assigned the precious task of interpreting the Maltese architectural tradition (from the megalithic temples to the fortifications of Laparelli and Cassar), also through the detail of the blocks that display, in their thickness, a deep cut of 45 degrees, a very useful sunscreen for the windows of the offices and the spaces lit at the sides by natural light. And so, “piece by piece” (a favorite term of the Italian architect and senator), the puzzle of each facade of the building has been constructed, full where no light is needed and perforated where the interiors require it; a composition, the result of refined color combinations, I personally recommend observing in the afternoon, from the street over the arches of the old block located in front of the Parliament on Republic Street.
From here, looking at the variations of the “cross-cutting” light on the stone, it is hard not to be reminded of the Beheading of Saint John the Baptist, which a few meters away, in the CoCathedral named for the saint, bears witness to the genius of Michelangelo Merisi, known as Caravaggio, who reached Malta at the dawn of the 1600s, only to flee due to his restless nature. At this point, to complete the description of the project by RPBW, all that remains is to order a Cisk with a view of the outdoor theater placed on the same site as the Royal Opera House, finely crafted inside the ruins with a reversible metal structure, with rows of green seats, against which the most nostalgic of the inhabitants of the Humilissima Civitas Vallettae obviously raised a hue and cry, unaware of the fact that any reconstruction – more or less philological – is the quickest way to erase the signs of the past. Maybe it is better to let time do the job, to which Renzo Piano has bestowed this very fine mending, in stone, of a precious historical fabric: today, in Malta, we can see a fine lesson in “architectural honesty.” www
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To the underworld, and back Massimo Ferrari Fighting against convention has always been an anachronistic stance, usually a lost cause, anti-historical, revolutionary, libertarian in the optimistic impact of renewal, rich in great ideals but always laden with equally solid reluctance, misunderstandings, exploitations. Furthermore, often, the distinction between the unexpected but courageous and effective possibility of reinterpretation of known and constant conditions and a temporary, ephemeral fashion, simply different from the usual, is increasingly subtle, especially in our time, truly creased by a society that burns differences on the bonfire of diversities without even knowing it. It is only natural, as many have already emphasized, that only a long perspective, a dilated time, can manage to grasp the characteristics of a change, the conscious rewriting of a way of proceeding absorbed in what is by now an acritical manner; the disenchanted acceptance of habit is perhaps the greatest slavery present in conformism. Aldo Rossi often said that at least 50 years are needed to understand if the critical contents of an architecture, in relation to what came before it, are truly able to become a model for the future; a reflection on the idea of the model, the always unexpected repetition of a recurring way of interpreting a theme that is confirmed over time, is in any case far from the proposed discussion, which
usually attempts to demonstrate a design attitude, as an opening postulate, a viewpoint that is different in its forms and contents. The five subway stations built in a close span of time in the north and south of Europe do not, in fact, narrate a true revolution, but the disenchanted interpretation of one of the most specific characteristics of the idea of the subway, the role of underground infrastructure in society today, its social value, its economic, noncommercial sustainability. Or at least this attention narrates a decisive, coherent position that taking geographical and compositional differences into account, reflects on the theme of the suitability of architectural forms in the interpretation of recognizable contents, values, eras. The stations of Line 9 in Barcelona will be 52 in number, at the end of 2016, after an initial plan –later altered– for 40 stops in 49 km; this underground tunnel, with 57.8 km of completed length, will be Europe’s longest automatic metro line, just 17 years after the start of the project, connecting the main centers of the city through five municipalities: from the airport to the port, the market to the university. The data indicate, besides demonstrating the feasibility of an automatic system for long subway lines in big cities, the central importance of the identification of the stops, of the role stations play in giving identity and orientation to 90 million annual users inside the complex, overlapping fabric of the two levels of the city. «[…] Quivi sospiri, pianti ed altri guai / risonavan per l’aere sanza stelle, / per ch’io al cominciar ne lagrimai. / Diverse lingue, orribili favelle, / parole di dolore, accenti d’ira, / voci alte e fioche, e suon di man con elle / facevano un tumulto, il qual s’aggira / sempre in quell’aura senza tempo tinta, / come la rena quando turbo spira […]»1. The words of the Divine Comedy seem to precisely describe the environment imagined by Jordi Garcés, Daria de Seta, Anna Bonet after the victory in the competition for the stations of Amadeu Torner / Europa-Fira, Parc Logistic, Mercabarna, sharing a single design; the noises, sounds, colors, image of an underground place left to its identity as a geological excavation, a hole, a natural cavern that has sculpturally opened spaces and cavities inside a terrain rich in stratified memories. Austere and anti-conventional, this interpretation of the theme eliminates any diaphragm between the form derived from the volumetric necessities of the underground spaces and any decorative addition, not even hypothesized to banish the Dantesque echoes, or to falsely accompany the passenger through an imaginary reality. Instead, by subtraction, a very strong identity has been constructed. This absolute poverty of signs, calcu-
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lated and designed with precision, without concessions in the design work, has constructed a clear relationship, as in a model that can be exported, between the necessary space and the mechanical, lighting, acoustic and physical plant structures that permit the descent as far as the tracks. A dialectic, non-mediated relationship capable of interfacing, on even terms, humble techniques and remarkable technologies, rapid movement and quiet scenes, lucid reflections and obtuse opacities, silences and noises, in a sincere encounter that seems to choose strident contrast as its winner. Actually every material used corresponds to a necessary comfort, optimal lighting, synchronized movement of passengers, an essential quality that without disguise displays itself on a stage occupied by construction struts, sheet-metal facings, concrete slabs, walls protected from graffiti, stoneware, industrial lighting; an environment that does not make us miss the signs of glue also feared by Heinrich Tessenow. The distant gaze looks towards the industrial air in the nonchalant use of materials, which Lluís Domènech i Montaner –for the first time in Spanish modernity– deployed in the cafe at the Castell dels Tres Dragons restaurant, designed without frills for the Universal Exposition of Barcelona in 1888. At the Europa-Fira station, the concrete beams initially installed for the temporary stabilizing of the diaphragms during construction have remained in place; at the Mercabarna station the large spaces opened for the excavation machinery have been left on view, and used to make this new station the only one that has daylight from above. Small inventions that in each case guide us from the darkness of the depths of the earth, to rebehold the sky. Round trip. «[…] Lo duca e io per quel cammino ascoso / intrammo a ritornar nel chiaro mondo; / e sanza cura aver d’alcun riposo / salimmo sú, el primo e io secondo, / tanto ch’i’ vidi de le cose belle / che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo; / e quindi uscimmo a riveder le stelle. […]»2. Notes 1 Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, Canto III, vv. 22-30 2 Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIV, vv. 133139 www
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Tormented underground geometries Giovanna Crespi The oldest underground urban rail system in Europe, after London, is that of the city of Budapest. The first
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line was opened to celebrate the millennium of the Hungarian nation in 1896. Built by surface excavation with the “cut and cover” technique, it has since branched out into four underground lines, the latest of which was opened last year and will be completed in 2017. The project of the fourth metro line, M4, which connects Buda, the southwestern part of the city, to Pest, the northwestern part, dates back to the late 1980s and called for an initial segment between the Kelenföldi railroad station and the Central Station of the city, for a length of 7.5 kilometers, with a total of ten stops. The design of two of the stations –Szent Gellért and Fovam, respectively at the eastern and western banks of the Danube– was assigned to the Hungarian studio Sporaarchitects. The decades that have passed from the design of the fourth metro line to its construction have brought a natural effect of ageing to the project. The identity of the new stations is therefore based on the need to enhance the choices of a general character made in the original project, while rationalizing the structure, the technologies and the spaces initially envisioned, to give form to a work of public architecture capable of fully representing the spirit of the 21st century. In particular, the structure expresses the nature of the project and gives the underground spaces a spectacular character. The initial idea, inspired by the structural and social utopia of the Hungarian architect and French citizen Yona Friedman, called for development of a structural system that could ideally be expanded and extended throughout the line. The result of the design process, emphasized by the depth of the stations, constructs visceral Piranesi-like spaces. An absolute and self-referential structure capable of gutting the underground space and generating renewed public space to welcome not only infrastructural functions, but also new community activities. The stations of Szent Gellért and Fovam are designed as two twin stations on the two sides of the Danube, both composed of a container made with the cut and cover system, combined with traditional tunnels with a semicircular section. The enclosure in reinforced concrete is strengthened inside by patterns of beams placed on successive levels; the resulting structure is like a progression of networks overlaid on each other, with staggered patterns at the various levels, whose irregular design seems to have been generated by the random tossing of pick-up sticks. The structural concept is compatible, without compromises, with the often mutable conditions of processes of planning and construction of such infrastructures, which can require long implementation periods, and adaptation to changing functional needs.
The public city designed underground by Sporaarchitects is an expression of the renewal taking place in Hungarian contemporary architecture. Helped by the characteristics of necessity imposed by underground architecture, the young Hungarian architects proceed in the awareness of the legacy of the masters who came before them, like Odon Lechner and Bela Lajta, skillfully balancing rationalism and tradition, linearity and ornament, chaos and form, discipline and disorder, giving their architecture a monumental character that has always been part of the national identity. The rigor of the design and the rectilinear portions of the exposed reinforced concrete construction pervaded by cool, neutral tones is mitigated, once on the platform against the tracks, by the presence of the tunnel for the trains, that takes the traditional semicircular form and is faced in colored Zsolnay ceramic tiles, an explicit tribute to the sumptuous decorated interiors of the Hotel Gellért, the well-known Art Nouveau building from the start of the 1900s, on the banks of the Danube. The Fovam station is much more than a mere subway stop. It is a true place of interchange for streetcars, buses, subway, ferries, automobiles and pedestrians. With its presence, the station identifies a single public space below and above ground level, and constitutes a sort of gate of access to the historical center of the city from the southeast. The presence of the subway station is indicated at ground level, as a welcome intrusion in the urban geography of Budapest, by a series of glass prisms with a crystal form studding the area, and bringing natural light inside, enhancing the pattern of beams of the station structure, its true skeleton. The station of Szent Gellért is one of the deepest on the M4 line; it is located under the eastern bank of the Danube, on the Buda side, below the Gellért Hill, now listed by UNESCO as a world heritage site. Its particular position has led to the construction of the service platform for the tracks at a depth of 36 meters below ground. To reach it, the structure of the station has been made with two separate parts. At the position of the Mûegyetem embankment, location of the Budapest Polytechnic, an initial reinforced concrete enclosure has been made in a natural hollow. The second part of the station, on the other hand, is located under an existing building, with a structure similar to that of the Fovan station, where the large underground hall is supported by the pattern of three different levels of reinforced concrete beams. Inside, the station is enhanced by a wall entirely clad in Cor-ten steel blades, with two glass elevators that visually and physically connect the parts of the building with the ground level.
With the new Szent Gellért and Fovam metro stations, immersed in the underworld, the young architects of Sporaarchitects have created an unexpected heaven. www
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A modern temple for soccer Marco Biagi Like so many other aspects of contemporary life, the world of professional soccer has been impacted in recent decades by an intense process of «financialization»1 that is rapidly altering its genetic code, transforming what many consider the most beautiful game in the world «from a collective ritual igniting popular passion to a complex of highly rationalized activities organized for the production of profit.»2 The 1960s model of munificent and whimsical family patronage is definitely becoming extinct, and the leading soccer teams are now mostly run with a managerial spirit and business techniques, bent on generating income and not just good results on the field. The architecture of stadiums, too, always the site of football matches, has been impacted by these changes. In the era of televised soccer, along general lines, the gigantic spaces that once democratically welcomed the working-class masses to provide them with entertainment on Sunday afternoons have become redundant, and smaller facilities tend to be built, ready to comply with new safety and security regulations, and offering greater comfort. This has been happening all over the world, starting in the 1980s. Today the latest temptation for the most enterprising and ambitious clubs is to own their own stadium, producing new arenas with exclusive ties «that reinforce the asset structure of the company, in line with the requirements of European organisms regarding control of accounting, and make a significant contribution to the growth of income.»3 Between a stadium of the “third generation”4 and those of its predecessor, we can see roughly the same difference that existed, in historical terms, between the “classical” theater and the halls with balconies “all’italiana,” where the first translates the egalitarian assembly of the community into constructed form, and the latter reflects a society structure in hierarchical terms, in its spatial arrangement. So the new smaller stadiums built in recent years by many soccer teams around the world focus on user loyalty and maximization of income, selling packages of “custom” services for different types of consumers: VIP, press, ordinary citizens, fans. This strategy of differentiation is
based on the principle «clients attribute a higher value to products and services perceived as “unique”. The inclusion, in the construction of a new soccer stadium, of sky boxes, sky lounges, the team museum and areas for concerts or theater increase the exclusivity of the products and services, making the spectator more satisfied and ready to pay a larger sum to use given services.»5 So the new stadiums, as a norm, are “all-seaters” without standing room areas; they have covered stands and at times roofs that can be opened and closed over the field; they are multifunctional, ready to host a wide range of events, including non-sports events, such as corporate meetings, conventions, conferences, concerts, performances of all kinds. In rough terms, the large real estate investment can be recovered and become profitable only when it drags with it, within the limits set by national law, integrated or in the vicinity, a range of commercial activities capable of generating adequate income: shopping centers, hotels, restaurants, multiplex cinemas, etc. If the structural panorama of Italian stadiums is still, as a whole, stuck back at the World Cup of 1990, with many teams gearing up to follow the example of the only side, Juventus F.C., that has so far managed –in 2011– to make its own facility, after almost ten years of bureaucratic bickering, in Europe the experience of owned stadiums has spread and been consolidated for some time, especially in countries that have championships with high levels of economic performance: England and Germany. France, in this sense, is the exception to the rule, though for the European championship in 2016 several clubs are building or renovating their facilities, while in other cities new stadiums will still be owned by municipalities, but ceded to the clubs, which will take care of management for the length of their leases. This is the case of the new stadium of Bordeaux, opened in May and built in record time, in a span of just 3.5 years. The work, with a cost of 183 million euros, was the result of a public-private partnership between the municipal administration and the company Stade Bordeaux Atlantique, which will run the facility until 2045. The overall public financing was 75 million euros, divided between city, urban community, region and state, while the contribution of the resident club, FC Girondins de Bordeaux, is in installments, with an advance of 20 million euros and an annual fee of 3.85 million for the next three decades. Built by the consortium of contractors Vinci-Fayat, the architecture is by the prestigious studio Herzog & de Meuron (with the collaboration of Groupe 6 for the definitive development), now on its fourth soccer stadium project: this latter work, in many ways, is perhaps the most convincing.
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Comparing it with the previous stadiums one might be surprised and disconcerted, confirming the eclectic and experimental character still found in the professional progress of the famous Swiss studio. The impression is that every opportunity is exploited to test the expressive potential of a specific interpretation of the compositional theme. In the case of stadiums, or in that of skyscrapers, a dual register of iconic styling and technological-engineering prowess exists, with the two Swiss “form givers” landing on the side of the former in the Allianz Arena in Munich, in 2005, or at an original compromise between the two alternatives, in the National Stadium in Beijing, the famous “bird’s nest” in 2008. A tale apart, in a certain sense, is that of the introverted and promiscuous urban vocation of the St. Jakob Park in Basel (1998-2002), which unexpectedly incorporates residences for senior citizens. At the gates of Bordeaux the choice is yet another, and the remarkable structural effort expended seems to be sublimated in an architectural syntax of crystalline purity and clear civil commitment, which seems to ideally evoke the judgment formulated in the past by Giuseppe de Finetti, when he wrote that «the stadium, as it is above all an open-air auditorium, traditionally lays claim in our spirit to its own “courtliness.»6 This result has also been favored by the unusual application of a mixed construction system mostly in metal carpentry, which has reduced costs, construction time and weights, while achieving a surprising physical rarefaction, especially in the thrust of the perimeter forest of columns. The reduced section and extraordinary slimness of these metal parts are due to the circumstance of their operation through “tension,” as ties, rather than “compression,” anchoring the overhang of 45 meters of the reticular consoles that reinforce the roof of the stands to the ground. The facility, with a capacity of 42,000 seats, is shaped by a rectangular “English” scheme, revealing exemplary layout clarity. The basin is organized in a dual order of stands divided into four sectors and separated by the cut of a horizontal circulation ring. This gallery reached directly from external staircases opposite each other on the long sides of the volume, to the east and west, offers access to restrooms and refreshment points contained in the slender coil that wraps the construction at the top of the access podium. The tripartite elevation plays with the airy flaring caused by the opposition of the entrance ramps and the intrados of the upper stands, covered by a stepped chassis in aluminium that seems to extend all the way to the clear eaves line. Between the two oblique surfaces stretches the thin pattern of as many as 900 circular pillars (of which 600 are structural and 300 are decorative, to high the
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vertical channels), which set as in a dissolve on the progressively recessed levels in the shadow, designs a virtual elevation of poetic lack of consistency. The immaculate white color accentuates the abstract character of the constructed object, whose sober monumentality adds character to the green lakeside landscape, equipped for sports and expositions, on the northern outskirts of the city. What the facility is lacking, for the moment, is just a name. The naming rights are for sale, and the minimum fee required is 3.9 million euros per year for at least ten years. Notes 1 M. Bellinazzo, Goal Economy. Come la finanza globale ha trasformato il calcio, Baldini & Castoldi, Milano 2015, p. 14. 2 P. Russo, L’invasione dell’Ultracalcio. Anatomia di uno sport mutante, Ombre corte, Verona 2005, p. 9. 3 A. Alessandria, Un business chiamato stadio, digital edition, Greenbooks editore, 2014, p. 11. 4 Cfr. S. Nixdorf, The composition of stadiums: between multifunctionality and reduction, in Stadiums, theme issue of «Detail», n. 9, September 2005, pp. 22-24. 5 A. Alessandria, Un business…, op. cit., p. 29. 6 G. de Finetti, Stadi. Esempi, tendenze, progetti, Editore Ulrico Hoepli, Milano 1934, p. 53. www
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Aesop: the brand paradox Francesco Dal Co It would be stretching things to call the research sector known as “Branding” a science. Though intelligent scholars and authoritative experts are involved, there are also many apprentice sorcerers. The common denominator of their work is unreliability. Also for this reason, it is not interesting to wonder what branding definition best suits Aesop, a trademark born in Melbourne less than thirty years ago on which we will concentrate here, and whose story is narrated in an intelligent way by Annemarie Kiely on the following pages. We must admit, however, that to examine a phenomenon like Aesop from our viewpoint, it is necessary to make some concessions and to attempt to understand just what branding strategy it expresses. To do so we will limit the study to what can be materially observed, however. Starting with the name: Aesop. On a Kylix, a ceramic cup conserved in Rome in the Vatican Museums, we can observe what for many years has been identified as a portrait of Aesop. «With a furrowed brow and open mouth,» Paul Zanker writes in Die Maske des Sokrates (1995), Aesop
«carefully listens to the teachings of the fox seated before him; his cloak is tightly wrapped around the thin body, as if he were shivering with cold; he is ugly, he neglects his appearance, he has long unkempt hair, a receding hairline, a patchy, disheveled beard.» Unlike the Aesop represented around 440 BC on the Kylix in the Vatican Museums, at the Prado one can admire the Aesop depicted by Velázquez. If this is the better known Aesop, famous for his unpleasant image, it might seem bizarre to choose his name for a line of refined products carefully developed to help their users to take serious care of their bodies. But Aesop is not known only for his looks, and the “fables” that explain his indefinite origins have simply increased his fame as a storyteller. To explain how the figure of this unattractive oldster that inspired Velázquez could end up on the beauty creams produced by the brand Aesop, we need to consider this: Aesop is the most brilliant inventor of stories and fables that contain «general explanations of life,» as Italo Calvino said. Fables, Bruno Bettelheim thought, «show children where to go, how to proceed,» just as Aesop does with all those who approach an Aesop store. What the brand Aesop promises is a small world where simulation reigns, but where the term loses any connection with the sense of guilt that accompanies it in current usage, taking on the meaning it merits in fables. Aesop’s products are apparently made equal by their graphics. The clear impact of the logo on the forms of the containers has the aim of inducing consumers to perceive that the quality of the purchased merchandise is guaranteed by the fact that the items belong to a single family. For this reason, the characteristics and style of the logo are found on the labels applied to the containers to explain the uses for which the products can be purchased. The typefaces are based on the Helvetica font designed by Max Miedinger halfway through the 1950s, in turn «a very successful, banal remake of the robust Akzident Grotesk,» as Sergio Polano has written in Abecedario (2002), and have reached the labels on the products of Aesop after backtracking: from the monitor of a computer, granting them universal recognizability, to printed paper. This is one of the characteristics of the “philosophy” of the Aesop brand: to take different paths or to backtrack with respect to those beaten by people who believe that the ability to endlessly adapt to the variations of modes of communication is the key to commercial success. The products offered by Aesop are different in terms of consistency, color, odor; they are creams, lotions, liquids, and they obviously come in different packages. These containers, which tend to be monochrome, have a modern but not timely look, and are completely in
tune with the Aesop logo. The variety of uses for which the products are designed fades into the background with respect to the repetitive character of the ways they are presented. But thanks to the repetition, the perception of the brand tends to shift towards that of a symbol. The mechanism is simple: symbols are associated with dreams; every dream is prompted by a desire; the content of the dream is desire’s fulfillment: Aesop shows the way to fulfill dreams. The loyalty to the graphic design of the name is more than an indication of the fact that ”repetitive inflexibility” is the key of the “Aesop project.” The Aesop stores are a good demonstration of this. They too are paradoxical, as was the decision to give the name of a man famous for his ugliness to a company that offers beauty products. The Aesop stores, in fact, are all different, but they all rigidly respond to principles that seem to be based on the “ten commandments of good design” outlined by Dieter Rams over forty years ago. Furthermore, inside them a ritual is performed that never changes, namely a process of fablelike sublimation of the always equal character of the merchandise based on the apparent metamorphosis of its nature, i.e. on the separation –fully to the advantage of the former– between usage value and trade value. The variety with which this process is staged by Aesop is derived, once again, from the repetition of a principle that does not change: the products, like the stores where they are sold, have to convey the impression that the trade is not their goal; both, before responding to demands, suggest to consumers “where to go and how to proceed.” The windows of stores that sell goods similar to those marketed by Aesop change constantly, with changing seasons and changing products; they are placed in specific zones of cities, which Aesop avoids; these windows are elective spaces for the representation of a commonplace: the constant changing of the world under the pressure of the apparent ongoing evolution of merchandise. The Aesop stores suggest the exact opposite: most of them have no windows displays, and the spaces are configured as fixed sets that contain products that do not change, whose positions remain the same. Furthermore, the products are displayed in such a way that their number can never be perceived as a clue to the fact that they belong to the universe of merchandise produced in a mechanical, massive way. The only thing that might prompt association of Aesop with any impression of the very idea of mass production is what the company programmatically demands of the architects called in to prepare the retail spaces. “Mass” is a blasphemous term for all producers of luxury goods. The spaces where those goods are sold are shaped by the cult of uniqueness. In the Aesop stores just
the opposite happens: the merchandise is displayed in large quantities. What makes it different is the guarantee of quality conveyed by the Aesop logo, which obsessively “furnishes” each store. The order in which the products are displayed triggers an unusual sensation in the consumer: that of a child who, to satisfy a desire, breaks up an order that seemed inviolable. Purchasing something in an Aesop store one has the impression of breaking a rule. And precisely this sensation eliminates all that is mechanical in the exchange, in the very act of buying. Taking a bottle with the Aesop brand off the shelf where it is displayed in its accurately assigned spot, one does not just buy a product, but becomes part –or at last this is what Aesop wants the consumer to perceive– of a world where even the most innocuous of vanities can be satisfied, making it seem like a step taken towards the conquest of a lifestyle that erases the distance between the superfluous and the necessary. Even the gestures the Aesop retail spaces imposed on those who visit them strive for repetition. In each Aesop store those who enter are invited to perform a small ritual, as Annemarie Kiely explains: each potential customer is invited to wash his or her hands using one of the many washstands that can be seen in the pictures on these pages. The purpose is to make every visitor, once past the threshold, have the sensation of leaving the world of indifference behind, of entering a space where they will be cared for, just as happens to children when their parents take the time to tell them a story, a fable that will guide them. The symbolism of water deployed in the Aesop stores has a similar basis, with the most distant roots: the washing of the hands is the moment in which separation coincides with a different beginning. Not one of the over one hundred stores Aesop has opened around the world is the same as another, from a strictly architectural standpoint. Unlike what usually happens in the world of luxury retailing, even the materials and furnishings are highly varied. Entering, however, any customer can recognize the place as the manifestation of a complete, orderly world, where repetition does not prompt fears, where variety is based on the immutable, a world that is quickly identified with everything the Aesop logo announces. The infinite interpretation of the ways in which the immutable can be expressed is the secret on which the creator of Aesop, Dennis Paphitis, has built his original brand. In doing so, he seems to have opted to read Aesop instead of the many books that in recent years have contributed to make the word “branding” vaguely sinister. www
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kk page 67 Aesop: the unusual story of a success Annemarie Kiely True to the moral tales told by its fabulist namesake, the story of Australian beauty brand Aesop –today numbering more than 100 free standing stores and countless concessions worldwide– is one of universal certitudes. Familiarity breeds contempt, honesty is the best policy and attempts to please all, result in pleasing none. It is a modern day reprisal of Aesop’s The Leopard and the Fox –wily creature contesting the beauty ‘ideal’ with a vainglorious species– opening in a small Melbourne salon in 1987 (when ‘big hair’ matched the big migration of wealth and western beauty standards into the emerging markets of India, China and Russia). The salon’s bookish, but naive 23 yearold founder, Dennis Paphitis, is schooled in both coiffure and Kant (philosophy studies following tutelage under demanding French hair maître, Monsieur Maurice) and considers beauty to be the by-product of a well-balanced life. But he has no business plan, no mission statement, no big picture view of the industry, only an Epicurean idealism fed by former French and Italian employers and an aversion to what he terms the “vulgar and intimidating” atmosphere of competitor offerings. “We were a salon for people terrified of hairdressers,” says the now 52 year-old Paphitis, reflecting on his parlour’s point of difference. “[We offered] a client centred perspective…an ethos of love, diligence and dedication.” This earnestness translated to a salon environment deserving of a Cistercian monk – invisible design, free of non-essentials, instilling composure and calm. It was sensate and visually silent, but it struck a chord with a chemicallycoiffed public conditioned to loud design and dispassionate service. ‘Emeis’ (as the one-man salon was known) slowly garnered referrals and a new member of staff who was required to both field distractions and aid in a psycho-soothing ritual that started with the donning of a warm waffle-weave robe. “The great Suzanne,” says Paphitis, recounting the arrival of his then novice helper, now Aesop’s general manager (Australia and New Zealand), Suzanne Santos. “She is the passionate muse, guide and spirit of the company.” Together they augment personalisation and authenticity (now the clichés of 21st century commerce) making nurturing realism their niche. But the one inconsistency in their immersive offering is the hair and skincare, then limited to bigbrands with values steeped in Hollywood celebrity. “The product available was ugly to use, smell and look at,” recalls Paphitis of his first impetus to innovate. “The use of essential oils to mask the hideous odour of hair
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colour led to masking the odour of over-perfumed shampoos and so on.” Describing his decision to turn disaffection into a line of ethically produced, botanically based products as sheer “madness”, Paphitis ponders the question of whether successful startups are the province of young upstarts. He doesn’t do generalisations, but does recall endless visits to local laboratories and contractors who wouldn’t ‘touch’ him. Eventually he is directed to a chemist in southern California with whom he makes the “human connection”. Their synergy results in six hair products inspired by the Pantheon – the indomitable, dome-capped triumph of ancient Roman concrete that no current engineering codes would approve for construction. “So much of the retail world is after a ‘fast hit’,” explains Paphitis of his architectural stimulus. “We wanted (and want) something more enduring - meaningful products that are sincere, resilient and in a way timeless. I’d much rather use and touch a calculator that [Dieter] Rams designed in in the ‘60’s than much of the garbage produced for 30 years after that.” Emulating the Pantheon’s subordination of decoration to design solution, Paphitis decants his haircare into amber glass bottles (pragmatic minimisers of preservatives rather than apothecary allusions) and brandishes the information, typically buried on product back, across its logo-diminished front - label plainly expressing contents and their use in serif and sans serif font. A motivating quote, from a noteworthy mind, is added to make modern sense of the brand name Aesop. The range affects the understatement of aristocracy, while eschewing the visible values of wealth – it is luxury as Rem Koolhaas once defined it: “stability”. Paphitis trials the range in his Melbourne salon but solicits no client reviews. “Feedback is the great social disease of our time,” he says, defending a singularity of vision that defines both his success and his sticking point. “We are the industry benchmark in neurotic, yet functional quality control; excessive testing, prototyping, factory engagement and nurturing.” Such hands-on pedantry runs counter to conventional business practice, but Paphitis cares only about doing what feels “right, worthy and interesting”. His gut determines governance and it seemingly gives good advice – Paphitis intuits the repositioning of both aesthetic and consumer culture to a new puritanism long before stock markets crash in late 1987. Ironically, his anticommercialism resonates with a wider market. In 1996 Paphitis steps out of the salon to further develop product lines. The brand’s austerity shapes a custom-built laboratory and office complex that whites-out innocuous detail and determines that all correspondence commit to Arial Narrow
(type said to have humanist traits). So tightly controlled is the Aesop essence and aesthetic that the promotionaverse brand assumes a contradictory ‘cult’ status and starts clearing off store shelves (Oprah Winfrey reportedly emptying one New York source). But the growth continues to be “accidental rather than planned”, recalls Paphitis, pinpointing the arrival of commercial strategist and CEO, Michael O’Keefe, as the moment the mission states: ‘to do it well; with decency, distinction and compassion’. But without tangible example to instruct Aesop stockists on the desired display environment (inclusive of dictates on materiality, lighting, temperature, aromas and ‘speak’) the company’s exacting standards are open to subversion. In 2003 the Aesop ‘spirit’ articulates in architecture, when the first stand-alone Aesop store opens in seaside St. Kilda – a gritty Melbourne suburb that has long seeded the city’s art and music culture. It is designed by local practice, Six Degrees Architects, who lend their signature crafting of repurposed materials (and Paphitis’ then cinema auteur inspirations of Bunuel, Almodovar and Antonioni), to a former car-park ramp. “It was a three metre wide, 21 metre long basement,” recalls Paphitis of the discrete space woven into the fabric of a hotel that is a local favourite. “[It] made perfect sense to us and taught us that community integration and an honest and complete expression of what we believe in is what would distinguish us.” This regard for context and community would repeat in other outlets – each a unique articulation of place, architectural practice and Aesop perspective spinning around a core brief requesting back-of-house storage, water-flow and display space. But Paphitis makes it plain that after finding the right location –“our own neighbourhood comfort is the key”– the commissioning of an architect is contingent upon the outcome of a general ‘compatibility assessment’. “If we conclude that the individual is desirable, we embark on an almost romantic courtship process – to drill down together on what our needs are and what the possibilities of success are,” he says. “Once we’re convinced we can proceed, we engage in a kind of emotional ‘pre-nuptial’ agreement that outlines how and what each party will contribute.” To use Paphitis’ romantic parlance, his courtship with 48 distinct architectural practices, over the last 12 years, has run the gamut from onenight stands to enduring soulful unions. But he declares the design liaisons that have elicited the happiest memories were with: Ilse Crawford of Studio Ilse (restoration Victorian with modern verve in London), Paulo Mendes da Rocha (rough brutalism and bulky massing in São Paulo), Hugo Hass-Ciguë of Ciguë (found functionalism in Paris and London),
Rodney Eggleston of March Studios (playful material pragmatism in Melbourne, Sydney, Paris, New York, Singapore, Geneva and Zurich), Ogata Shinichiro of Simplicity (transparency and allusion to traditional text in Kyoto) and Sean Godsell (parsimony expressed in perforated cement skin in Sydney). “Those that have delivered the best projects were never the biggest budgets, largest stores or loudest designers, they were almost always the most sensitive and complicated personalities,” says Paphitis. “Yet they all possessed an inherent aesthetic gift and a great capacity to stretch their notions of what humanistic, interior architecture can deliver.” And they all exemplify a poetic approach that edits down to the essentials. Going deep into cities –silently, culturally, philosophically– rather than wide, has earned Aesop an emotional penetration that eludes the big brands. “We live in an increasingly homogenised society that’s largely bereft of meaningful options and distinction with regards to good and services,” he says. “We need fewer plagiarists and more original thought.” But in 2012, when original thought was outstripped by needs for new infrastructure, Aesop (Emeis Holdings) sought financial investment from a like-minded corporate interest. Brazilian wellness and beauty company, Natura Cosmeticos –one of the world’s largest direct sellers by market share– bought a major stake, sharing competencies (management teams maintained), commitments, values and visions, while leaving Aesop to continue as an independent company (still headquartered in Melbourne) and a stand-alone brand. “I’m better as a lone wolf, at arm’s length,” says Paphitis of being freed up to direct creativity. “It’s a revelation to me personally that despite our vastly different scale, human decency and kindness prevail. I have absolute respect for the three Natura founders and their continued drive and resilience.” Company expansion has allowed Paphitis to discover Oslo, the Norwegian capital in which Aesop’s 100th store, designed in collaboration with Snøhetta Architects, recently opened. This century marker provides the company founder with pause for reflection on the secret of his success. “Working with my heart first and my head second,” says Paphitis, understating his fabled efforts to affect the effortless - a contradictory pursuit captured in the Albert Camus quote that quietly signposts Aesop’s innercity headquarters. “Nobody realises that some people expend tremendous amounts of energy merely to be normal”.
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CASABELLA
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numero/issue 853 n. 09/2015 anno/year LXXIX settembre/September 2015
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