BRUNO ROMANO
APPUNTI DI BIOLOGIA VEGETALE
ISTOLOGIA ED ANATOMIA VEGETALE
ISTOLOGIA
Introduzione
Con il termine Cormofite si intendono tutte quelle piante pluricellulari, per la quasi totalità autotrofe, adattate a vivere in ambiente subaereo, con alcuni casi di ritorno a quello acquatico, che presentano una struttura morfologica complessa imperniata sul fatto essenziale che l'acqua, elemento indispensabile alla vita, non può raggiungere direttamente tutte le cellule dell'individuo, ma deve essere trasportata, mediante cellule specializzate a questo scopo, a tutto il corpo del vegetale. Ecco allora che si impone una specializzazione delle strutture basate su un sistema idrico dinamico, con la differenziazione di interi gruppi di cellule, associazioni congenite di cellule (tessuti veri), tendenti a permettere all'individuo di sopravvivere in un ambiente, quello subaereo, completamente diverso da quello in cui i vegetali si erano originati. S’impone così la necessità di avere un apparato destinato al reperimento dell'acqua, uno al trasporto ed infine uno all'utilizzazione. Si profila la struttura delle piante a cormo, provviste di radice (apparato assorbente), di fusti (apparato di trasporto) e di foglie (apparato utilizzatore). Il cormo, quindi, non è altro che il corpo di vegetali provvisti di radici, fusto e foglie. Volendo fare un confronto immediato tra Tallofite e Cormofite si potrebbe dire che la foglia delle Cormofite rappresenta la parte del cormo che più si avvicina alla struttura a tallo. Essa, nella maggior parte dei casi, ha la forma di una lamina verde a livello della quale avviene l'organicazione del carbonio, del tutto simile nella sua forma, ad un tallo pluricellulare laminare, ma con una grande differenza: mentre il tallo può assorbire acqua direttamente dall'ambiente per utilizzarla nella fotosintesi, la foglia delle Cormofite deve essere approvvigionata di tale elemento ed ecco quindi la necessità che la foglia ha di prolungarsi fino al terreno (fusto e radice) per procurarsi il quantitativo di acqua indispensabile. Da quanto sopra detto è evidente che le piante, abbandonando l'ambiente acquatico per meglio sfruttare l'energia solare e quindi potenziare al massimo il processo fotosintetico, hanno dovuto affrontare numerosi problemi che sono stati più o meno risolti. 2
Un primo problema è dato dal fatto che la pianta, innalzandosi nell'aria, non può essere più sorretta dall'ambiente circostante (la densità dell'acqua è 775 volte più grande di quella dell'aria) ed inoltre non ha più una facile disponibilità di acqua e sali minerali. L'unica fonte sicura di acqua è il suolo da dove deve essere prelevata e trasportata a tutte le cellule del corpo. Un altro problema è che l'acqua, una volta prelevata e trasportata, deve essere trattenuta dalla pianta. E' stato quindi necessario sviluppare dei mezzi atti a prevenire una eccessiva perdita d'acqua dalle parti aeree della pianta, specie nei periodi in cui l'acqua nell'ambiente è carente. Questi fondamentali problemi sono stati gradualmente risolti dai vegetali evoluti. Le prime cormofite che hanno colonizzato le terre emerse, le Briofite, sono prive di particolari modificazioni e questi problemi sono stati aggirati in quanto esse vivono sulle terre emerse ma in ambienti molto umidi, dove cioè il fattore acqua non è limitante. Esse, inoltre, mantengono una taglia molto ridotta e quindi non necessitano di particolari strutture. Le Pteridofite, invece, iniziano a mostrare adattamenti strutturali atti a risolvere i suddetti problemi. In esse si differenziano strutture pluricellulari specializzate nella funzione di sostegno del corpo della pianta, nel trasporto dei liquidi e nella protezione del corpo della pianta, ancora imperfette, ma che verranno gradualmente migliorate con l'evoluzione. Iniziano a comparire particolari sostanze come la lignina, la cutina, la suberina, che, impregnando le pareti cellulari, conferiscono alle cellule particolari proprietà e permettono di risolvere i problemi che le piante hanno dovuto affrontare colonizzando le terre emerse. La lignina, conferendo una notevole rigidità alle cellule, la ritroveremo in quelle cellule che necessitano di questa caratteristica, come nelle strutture pluricellulari con funzioni meccaniche e di conduzione. La cutina e la suberina, essendo sostanze altamente idrofobe che assicurano alle cellule carattere di impermeabilità, caratterizzano tutte quelle cellule che ricoprono il corpo della pianta, aventi il compito di limitare le perdite di acqua dovute al calore del sole e ad un ambiente (quello aereo) povero di acqua. Sia la lignina che la cutina iniziano ad apparire nelle Pteridofite, la suberina invece la ritroviamo solo nelle piante più evolute. Un altro problema che si è posto alle piante una volta emerse, è stato oltre all'approvvigionamento di acqua, anche quello dell'aria. Sembrerebbe un controsenso, 3
dato che la pianta vive immersa nell'ambiente aereo, ma abbiamo appena detto che per evitare perdite di acqua la pianta si è rivestita di un sistema pluricellulare, quello tegumentale impermeabile, che se non fa uscire l'acqua d'altra parte non permette l'ingresso di aria. Ecco allora che la pianta evoluta ha messo in atto due sistemi che permettono a tutte le cellule di avere a disposizione aria per poter svolgere i processi metabolici: gli stomi e gli spazi intercellulari. I primi non sono altro che piccolissime aperture a livello delle cellule di rivestimento che interrompono la continuità di questo sistema e permettono una circolazione d’aria dall'esterno all'interno del corpo della pianta e viceversa. L'intensità degli scambi gassosi che gli stomi consentono è uguale a quella che si avrebbe se le cellule di rivestimento non ci fossero. E' evidente, però, che se gli stomi fanno circolare l'aria determinano anche una perdita di acqua per evaporazione, ma la pianta ha ovviato a ciò regolando essa stessa l'apertura degli stomi: se la pianta ha disponibilità di acqua gli stomi saranno aperti, se invece l'acqua scarseggia la pianta tenderà a limitare al minimo indispensabile l'apertura di tali apparati. Nell'interno della foglia, del caule e della radice, l'aria, una volta entrata da queste aperture, può liberamente circolare grazie agli spazi che le cellule lasciano liberi tra loro. Così, all'interno del cormo, si avrà, oltre alla circolazione di acqua assicurata dai tessuti conduttori, anche una circolazione di aria assicurata dagli spazi intercellulari. Un altro grosso problema che si è posto ai vegetali allorché sono emersi dall'acqua è stato quello degli apparati riproduttori. Divenendo terrestri le piante hanno dovuto gradualmente modificare il proprio ciclo metagenetico, riducendo sempre più la generazione gametofitica. Nelle tallofite l'incontro dei due gameti è assicurato dall'ambiente acquatico che permetteva al gamete maschile, provvisto di ciglia o flagelli, di nuotare liberamente per raggiungere il gamete femminile. Una volta divenute terrestri le piante hanno dovuto abbandonare questo tipo di gamia per mancanza del mezzo indispensabile: l'acqua. Come in tutti i cambiamenti anche in questo caso si assiste ad adattamenti progressivi tanto è vero che le Briofite, le prime cormofite che si sono svincolate dall'acqua, hanno ancora bisogno del mezzo liquido per la loro gamia producendo ancora cellule germinative mobili per ciglia vibratili. Ecco allora che queste piante, pur essendo terrestri, sono costrette a vivere in ambienti umidi o ad aspettare periodi piovosi per poter effettuare il processo gamico. Lo stesso discorso vale anche 4
per le Pteridofite, piante più evolute delle Briofite, almeno sotto l'aspetto istoanatomico, ma anche loro ancora vincolate all'acqua per quanto concerne l'unione dei gameti di sesso opposto. Tuttavia, in queste piante, si incomincia a vedere un adattamento più marcato alla vita terrestre con la presenza della generazione sporofitica svincolata, almeno in un secondo momento, dalla generazione gametofitica che appunto è quella più legata all'ambiente acquatico. Nelle Spermatofite la gamia si svincola completamente dall'acqua riducendo sensibilmente la generazione gametofitica, che perde la propria autonomia andando a vivere come parassita della generazione sporofitica. Nelle Gimnosperme più antiche ancora si ha produzione di gameti maschili mobili, ma questi nuotano non più nell'acqua fornita dall'ambiente ma dall'individuo stesso. Nelle Gimnosperme più evolute e in tutte le Angiosperme, il mezzo acquatico svanisce completamente dal processo gamico, le cellule riproduttrici perdono le ciglia e la fecondazione avviene del tutto fuor d'acqua. Lo sporofito si sviluppa sempre di più e la riproduzione diviene strettamente legata al processo di impollinazione. L'impollinazione affidata al vento nelle forme più evolute, è affidata, nelle forme più recenti, ad animali pronubi, specialmente insetti, che le piante attirano con la produzione di nettare e guidano con i profumi, i colori, la vistosità delle foglie perianziali del fiore. Fra i numerosi adattamenti fisiologici e morfologici che si sono verificati nel passaggio alla vita terrestre delle piante, sempre a riguardo dei processi riproduttivi, vi è stato lo sviluppo di uno strato di cellule sterili attorno alle cellule che producono gameti, nei gametangi, e spore, negli sporangi, al fine di proteggere queste cellule vitali dal disseccamento. Inoltre, lo zigote una volta formatosi, viene trattenuto e quindi protetto all'interno del gametofito genitore, più precisamente nel gametangio femminile. Da questo zigote così protetto si originano le prime cellule del nuovo sporofito che risulteranno anch'esse protette dal gametofito genitore, almeno nei primi stadi di sviluppo. A queste cellule così protette, che già presentano una marcata polarità con la differenziazione di parti diverse, si dà il nome di embrione, da cui il termine di Embriofite che alcuni usano dare alle Cormofite. Nelle Spermatofite, le Cormofite più evolute, la protezione dell'embrione è ancora più marcata in quanto esso oltre ad essere protetto dal gametofito genitore è, insieme a 5
quest'ultimo, protetto dallo sporofito di prima generazione e più precisamente dallo sporangio femminile. Si giunge così alla massima condizione di difesa di un nuovo individuo dove lo sporofito di prima generazione riesce a racchiudere e difendere dalle avversità dell'ambiente subaereo lo sporofito di seconda generazione, l'embrione, con quella struttura classica ed a tutti familiare che è il seme. L'embrione è costituito da cellule tutte in grado di dividersi, cioè, da cellule meristematiche dalle quali derivano o altri meristemi o altre cellule che tendono a differerenziarsi in tessuti veri, in quanto le divisioni che queste cellule subiscono avvengono nelle tre direzioni dello spazio. Nelle Cormofite, ad un certo stadio del loro sviluppo, che è appunto quello embrionale, l'intero individuo è composto da meristemi. Successivamente, con la crescita dell'embrione, alcune cellule nella porzione mediana si differenziano in vari sistemi pluricellulari specializzati nello svolgimento di specifiche funzioni, denominati tessuti, dividendo il meristema embrionale in due porzioni che si distanziano reciprocamente fra loro. Si origina così, da una parte, un apice vegetativo caulinare da cui deriverà il caule con le foglie e, dall'altra, un apice vegetativo radicale che differenzierà appunto la radice. Quindi, le cellule meristematiche localizzate ai rispettivi apici derivano direttamente dal meristema embrionale, sono cioè in diretta continuità genealogica con le cellule che costituivano l'embrione, mantengono il carattere embrionale per tutta la durata della vita dell'individuo (embriogenia continuata) e prendono il nome di meristemi primari. Questi sono importanti non tanto per la formazione dei tessuti adulti sottostanti ma quanto per la continua produzione di nuovi organi vegetativi e /o riproduttivi. Infatti, lungo i fianchi dell'apice del fusto, durante il suo accrescimento, si formano altri apici, i primordi delle foglie,
destinati ad
accrescersi in foglie. Successivamente, all'ascella di questi primordi in fase di crescita, appaiono nuovi apici. Questi ultimi, a differenza dei primi che hanno un accrescimento limitato, hanno una crescita illimitata in quanto assumono, a loro volta, il ruolo di apici caulinari per formare i rami laterali. Ciascuno di questi apici caulinari laterali ripete la storia dell'apice caulinare principale e così via. Ognuno di questi apici, principali e laterali, costituisce una gemma, pertanto in una pianta possiamo trovare gemme terminali o apicali e gemme laterali o ascellari. 6
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Nelle piante erbacee annuali le gemme, man mano che si formano, si svolgono presto in nuovi rami che muoiono col morire della pianta. Nelle piante erbacee perenni e nelle piante legnose sottoposte ad una periodicità determinata o dal succedersi delle stagioni, come avviene nei nostri climi temperati, o dal succedersi delle piogge e delle siccità, come si verifica nei paesi tropicali, le gemme attraversano un periodo di vita latente. Caratteristiche sono le gemme ibernanti delle nostre piante legnose le quali, per resistere alle condizioni avverse dell'inverno, sono protette alla periferia da foglioline squamiformi, le perule, strettamente avvicinate e spesso rivestite di abbondante peluria o di resine o di gomme e racchiudenti tra loro strati d'aria in modo da costituire un insieme cattivo conduttore di calore e quindi d'efficace protezione per i giovani meristemi embrionali dell'apice. In primavera, quando le gemme sbocciano, le perule cadono lasciando sul germoglio, ben visibili, le loro cicatrici. Non tutte le gemme ibernanti dei nostri alberi vegetano in primavera. Quelle che si muovono sono dette pronte, le altre che rimangono per più anni allo stato di riposo si dicono dormienti o preventive. Queste ultime, in condizioni speciali e anche dopo molto tempo, sono capaci di risvegliarsi e di svilupparsi; così, per esempio, sono esse che danno origine a nuovi rami quando una pianta viene privata della sua chioma naturalmente, per qualche causa accidentale, o artificialmente. Di regola all'ascella di ogni foglia si trova una sola gemma, tuttavia in alcune piante se ne possono produrre diverse disposte l'una accanto all'altra (gemme multiple giustapposte: albicocco) oppure l'una sull'altra (gemme multiple sovrapposte:
lonicera, sambuco). In altri casi le gemme non si trovano all'ascella delle foglie ma sono spostate verso l'alto o verso i lati, sia per accrescimento intercalare, sia per altre cause, prendendo il nome di gemme extrascellari. Nel Platano, nella Robinia ed in altre piante le gemme ascellari non sono visibili perché nascoste dentro la base del picciolo dilatata a forma di cappuccio (gemme intrapeziolari). Anche nella radice possono sorgere nuovi centri meristematici per la formazione delle radici laterali. Questi si originano a una certa distanza dall'apice ed hanno origine da un tessuto interno del corpo primario, il periciclo, le cui cellule mostrano una particolare attitudine a riprendere l'attività meristematica. Si può quindi affermare che questi apici meristematici laterali hanno, nella radice, una origine profonda, cioè 8
endogena, contrariamente agli apici meristematici dei rami e delle foglie che hanno una origine superficiale, cioè esogena. Nelle Cormofite, dunque, l'accrescimento è localizzato in tali gruppi di cellule, perennemente allo stato giovanile, capaci di costituire nuovi tessuti e nuovi organi, durante la vita dell'individuo, che succedono a quei tessuti ed organi originati durante l'embriogenesi. Carattere questo che fa delle piante più evolute degli organismi dotati di un accrescimento a sistema aperto. Si può allora dire che lo sviluppo e l'accrescimento di un vegetale non è un singolo episodio, ma una serie continua di ontogenesi ricorrenti che portano ad una indeterminatezza del numero degli organi di un vegetale e ad un continuo rinnovamento delle parti di una pianta. Quando la continuità genealogica viene interrotta allora insorgono altri meristemi definiti secondari. Questi derivano da meristemi primari che si sono differenziati in cellule adulte e che solo successivamente, in particolari condizioni, riprendono l'attività meristematica interrotta. In genere le piante che presentano tali meristemi hanno un accrescimento e una struttura diversi da quelli che presentano solo i meristemi primari. I meristemi secondari sono due: uno più interno o cambio cribro-vascolare, generatore dei tessuti conduttori secondari, ed uno più esterno o fellogeno, generatore del sughero e della scorza. Nessuno di questi meristemi secondari produce organi, né contribuisce all'accrescimento in lunghezza del fusto e della radice: essi, infatti, per la loro stessa posizione, hanno soltanto il compito di accrescere il fusto e la radice in diametro (accrescimento secondario). Questo accrescimento, tipico delle piante arboree, porta alla formazione di quel corpo legnoso più o meno sviluppato, ben noto a tutti per la presenza di anelli legnosi concentrici, e di quel corpo corticale variamente conformato che altro non sono che i prodotti dell'attività periodica, stagionale, del cambio e del fellogeno. Questa classificazione dei meristemi, che abbiamo appena descritto, non è più usata perché basata sul vecchio concetto che le cellule che ritornano allo stato meristematico
subiscono
un
differenziamento
riacquistando
la
potenzialità
meristematica. Sebbene studi sperimentali con cellule o tessuti viventi indicano che le potenzialità meristematica e istogenetica delle cellule sono influenzate dal loro sviluppo come membri di certi sistemi di tessuto, il grado di tale differenziazione fisiologica è 9
altamente variabile e non è possibile distinguere tra un'accellerazione dell'attività meristematica che non è mai cessata e una ripresa di tale attività dopo un periodo di inattività. Questa classificazione è in relazione alla corrispondente distinzione in parti primarie e secondarie del corpo della pianta. Le parti fondamentali di questo corpo, la sua radice e assi caulinari, le sue branche e appendici, costituiscono le parti primarie ed esse si originano dai meristemi primari. I tessuti addizionali che possono essere formati dopo l'accrescimento primario sono secondari e derivano da meristemi secondari. I meristemi, oltre che in base all'origine, vengono anche classificati diversamente e precisamente: -in base alla posizione che assumono nella pianta: a) meristemi apicali, quelli che si trovano all'apice dell'organo; b) meristemi intercalari, quelli che
rimangono separati dall'apice e sono
intercalati fra tessuti adulti; - in base alla struttura istologica: a) meristemi ad iniziale unica, quelli costituiti da una sola cellula; b) meristemi ad iniziali multiple, quelli costituiti da più cellule disposte in uno o più strati; - in base alla durata: a) meristemi indefiniti, quelli le cui cellule si moltiplicano indefinitamente; b) meristemi
definiti, quelli che hanno una attività limitata e quindi si
esauriscono nel corso del tempo. Per quanto riguarda, poi, i diversi tipi di cellule che si possono riscontrare nell'organizzazione dei vegetali superiori, si può applicare benissimo la classificazione proposta da Cawdry (1942), in base al livello di differenziazione delle cellule ed alla loro capacità di dividersi: - cellule intermitotiche vegetative, quelle indifferenziate e con capacità continua di dividersi per dare origine ad altre cellule con le stesse caratteristiche o a cellule che subiranno una differenziazione successiva (sono quelle che fino ad ora abbiamo chiamato cellule meristematiche);
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- cellule intermitotiche differenziate, quelle che fra due mitosi successive vanno incontro ad una progressiva differenziazione che le porterà, una volta persa definitivamente la capacità meristematica, a formare i tessuti; - cellule postmitotiche differenziate, quelle cellule che non si dividono più ma sono altamente differenziate e rappresentano i tessuti adulti. Queste ultime potrebbero essere ulteriormente suddivise in reversibili ed irreversibili. Infatti può succedere che alcune di esse possano tornare a dividersi
formando nuove cellule per riparare ferite accidentali o lacerazioni naturali prodotte dalla spinta tangenziale determinata dalla proliferazione dei tessuti secondari. Parleremo in questo caso di cellule postmitotiche differenziate reversibili. Se, infine, la capacità a dividersi viene persa completamente, soprattutto perché molte di queste cellule si differenziano e funzionano solo dopo aver perduto il nucleo o addirittura tutto il protoplasma, avremo cellule postmitotiche differenziate irreversibili. Le cellule che compongono il cormo, dunque, sono riunite a formare i tessuti ed i diversi tessuti sono riuniti a formare i già citati tre organi fondamentali del cormo: caule, foglia e radice. L’istologia, dunque, è la scienza che si occupa dei tessuti, ossia del modo di riunirsi delle cellule in strutture per lo più omogenee. Questi si possono definire come un insieme di cellule, intimamente unite tra loro, che hanno origine comune, una stessa organizzazione morfologica e una stessa funzione.
L'istologia, studiando i vari tipi di
tessuti, stabilisce alcuni aspetti morfologici che consentono di distinguere, indipendentemente dal loro processo formativo, i tessuti veri dagli pseudotessuti. I primi hanno cellule provviste di una lamella mediana la quale, per la sua composizione pectica, rappresenta un elemento cementante. La loro parete cellulare è dotata di punteggiature e attraversata da plasmodesmi che assicurano la continuità plasmatica. Infine si ha la formazione di spazi, o lacune intercellulari, pieni d'aria che permettono la respirazione di tutti gli elementi. 1 suddetti caratteri non si riscontrano negli pseudotessuti, a eccezione di strutture analoghe ai plasmodesmi rappresentate dai filamenti plasmatici che collegano le cellule dei cenobi e delle sottilissime briglie che uniscono i protoplasti di cellule che si sono separate per costrizione, nelle Alghe filamentose e nelle ife fungine. 11
Una cellula completamente differenziata non è più in grado di riprodursi; per la formazione dei tessuti vi è allora la necessità che altre cellule mantengano per tutta la vita la capacità di dividersi e di generare cellule simili. Su questo fatto si basa una prima classificazione delle cellule vegetali in due grandi categorie: quelle meristematiche, costituenti le parti embrionali e generanti continuamente cellule a funzione specifica, e quelle che vanno a costituire i tessuti adulti o definitivi, derivanti dai meristemi e con cellule incapaci di moltiplicarsi. Meristemi o cellule embrionali
Dall'ovocellula fecondata o zigote, attraverso una serie di divisioni cellulari con differenti modi di organizzazione delle cellule, si giunge alla formazione dell'embrione. Lo sviluppo embrionale varia considerevolmente nei diversi gruppi vegetali e vi sono tuttora differenti interpretazioni sul significato delle prime fasi di strutturazione dell'embrione stesso e sulle parti a cui le cellule di questi precoci stadi di sviluppo daranno origine nell'embrione definitivo. In molti gruppi sistematici l'embrione inizialmente ha un aspetto sferoidale, con cellule simili fra loro, tutte caratterizzate dalla capacità di moltiplicarsi più o meno attivamente e quindi dotate di caratteristiche completamente meristematiche. In molte Dicotiledoni e Monocotiledoni si assiste a una precoce e talvolta precocissima polarizzazioine tanto che già allo stadio di due o poche cellule si individua la formazione della parte basale e radicale dell'embrioiìe (verso la zona micropilare) e della parte apicale o caulinare. La sequenza successiva delle divisioni appare molto ordinata e porta anche all'abbozzo del o dei cotiledoni. Lo sviluppo di questa struttura è accompagnata e talvolta immediatamente preceduta da cambiamenti delle caratteristiche interne di gruppi di cellule che iniziano l'organizzazione in sistemi di tessuti. La futura epidermide denominata 'protoderma' o anche 'dermatogeno', in particolare per quanto riguarda la radice, si forma grazie a numerose divisioni prevalentemente orientate in senso periclinale rispetto alla superficie e ricopre anche i cotiledoni.
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Nella massa meristematica embrionale si individuano poi un meristema fondamentale, caratterizzato da cellule in cui compare precocemente una abbondante vacuolizzazione e in cui la forma permane isodiametrica, e cellule procambiali, con scarso apparato vacuolare, che determinano la formazione del sistema vascolare primario, mostrando precocemente un aspetto allungato in senso longitudinale. Dal sistema procambiale embrionale si differenzierà il sistema vascolare della plantula che si sviluppa dall'embrione.
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L'accrescimento della pianta è reso possibile dall'organizzazione di un apice meristematico caulinare e da uno radicale, costituiti da cellule organizzate in strutture diverse a seconda dei gruppi sistematici, ma che comunque mantengono per tutta la vita dell'organismo la capacità moltiplicativa. La presenza di questi apici costituisce una delle caratteristiche differenziali fra mondo animale e vegetale: nel primo si raggiunge una dimensione definita grazie all'azione di tutti i tipi cellulari dell'individuo, mentre nel secondo l'accrescimento è teoricamente illimitato e, soprattutto, si svolge a carico di pochi gruppi di cellule localizzate in siti tipici, gli apici meristematici, e in poche altre zone di accrescimento. Questi gruppi di cellule meristematiche, derivando direttamente da quelle embrionali e mantenendo tale carattere per tutta la vita del vegetale, si denominano 'meristemi primari'. Questi si possono definire: “cellula o insieme di cellule iniziali indifferenziate che hanno la facoltà (attuale e potenziale) di moltiplicazione indefinita”.
Talvolta rimangono piccoli gruppi di cellule meristematiche primarie del tipo sopra descritto in posizione lontana dagli apici, interposti a tessuti adulti le cui cellule hanno perduto la capacità di dividersi. Questi meristemi, anch'essi da considerare primari per la loro origine, prendono il nome di 'meristemi intercalari'. Essi sono responsabili dell'accrescimento intercalare dei fusti e di quello delle guaine fogliari di molte Monocotiledoni, nelle Dicotiledoni spesso sono presenti e attivi negli organi fiorali. Dal punto di vista citologico le cellule dei meristemi primari presentano alcune caratteristiche abbastanza costanti: sono sempre notevolmente più piccole delle cellule adulte alle quali daranno origine, presentano parete cellulosica sempre molto sottile, hanno citoplasma abbondante e denso, reticolo endoplasmatico spesso rugoso, mitocondri abbondanti e plastidi frequentemente indifferenziati, dictiosomi ben sviluppati, nucleo grande in rapporto al volume cellulare, sistema vacuolare scarso, formato da piccoli vacuoli non confluenti.
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Il tipico modo di crescere delle cellule meristematiche è la divisione cellulare. Al termine di una mitosi la cellula si ritrova divisa in due cellule figlie, grandi la metà della cellula madre. Ciascuna cellula figlia si accresce sino a diventare come la cellula madre e poi si ridivide. Quindi, ogni cellula in accrescimento è caratterizzata da una prima fase rappresentata dalla crescita per divisione vera e propria e da una seconda fase rappresentata dalla crescita plasmatica. Il passaggio di una cellula dallo stato meristematico allo stato di cellula adulta, qualunque sia il destino come cellula adulta, implica tre avvenimenti fondamentali: forte aumento delle dimensioni della cellula mediante l’accrescimento per distensione; accentuarsi di tutti i caratteri che distinguono la cellula vegetale (parete, plastidi, vacuoli); specializzazione per una determinata funzione; perdita della capacità di dividersi, che può essere riacquistata solo in casi particolari.
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La crescita delle cellule prosegue con la loro differenziazione, cioè il diversificarsi delle stesse seguendo varie vie di sviluppo divergenti. Tale processo porta, logicamente, alla formazione di varie cellule, specializzate per lo svolgimento di determinate funzioni, e associate in aggregati pluricellulari congeniti con particolari caratteri che qualificano i vari tipi di tessuti che si vengono così a generare e che hanno come requisito: la lamella mediana, i plasmodesmi e i porocanali, gli spazi intercellulari.
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La differenziazione, pur con ben definiti eventi che si ripetono in tutte le cellule che abbandonano lo stato meristematico, porta alla formazione di aggregati cellulari con caratteristiche profondamente diverse. Molte cellule raggiungono un elevato grado di differenziazione, ma mantengono lo stato vitale ed alcune di loro, in particolari condizioni e sotto particolari stimoli, possono sdifferenziarsi e riassumere i caratteri di cellule meristematiche. Altre raggiungono un livello di differenziazione così elevato da andare incontro, come traguardo della stessa differenziazione, alla morte della cellula o alla disorganizzazione citoplasmatica. Si può parlare, in questo caso, di differenziazione esasperata con conseguente morte o disorganizzazione cellulare, funzionali. Chiaramente, queste cellule che caratterizzano alcuni tipi di tessuti altamente specializzati, perdono la capacità di sdifferenziarsi. L'accrescimento in lunghezza è molto spesso accompagnato da un aumento in spessore degli organi assili: esso può assumere proporzioni molto diverse a seconda delle specie. In genere è presente anche se moderato nella maggior parte delle piante annue, mentre può diventare estremamente cospicuo in piante pluriennali. A tale accrescimento provvede l'attività di due particolari meristemi, il cambio e il fellogeno. Essi prendono il nome di 'meristemi laterali' dal momento che occupano una posizione laterale sia nel fusto sia nella radice e sono secondari dal momento che derivano da cellule che hanno subito un primo processo di differenziazione e che solo successivamente hanno ripreso la capacità moltiplicativa. Questa loro origine da cellule già in parte differenziate è osservabile anche dal punto di vista citologico, dal momento che presentano nucleo relativamente piccolo rispetto al volume cellulare, sistema vacuolare ampio che spinge contro le pareti il citoplasma residuo. Il loro volume è sempre ridotto rispetto a quello delle cellule adulte e le pareti rimangono anche in questo caso molto sottili e cellulosiche. Il cambio cribro-vascolare è il meristema che produce legno e libro secondari e forma una sottile striscia di cellule, in genere unistratificata. In esso sono riconoscibili due tipi cellulari fondamentali, le cellule iniziali fusiformi (di forma allungata) da cui prenderanno origine, per divisione dipleurica, gli elementi conduttori secondari del legno e del libro, e le cellule iniziali dei raggi, pressoché isodiametriche, che 19
origineranno gli elementi dei raggi midollari. L'iniziale fusiforme si divide in senso periclinale, producendo una cellula che rimarrà cambiale e una che evolverà ad elemento conduttore. La differenziazione determina la formazione di elementi liberiani verso l'esterno dell'organo assile e legnosi verso l'interno. La successione delle divisioni è tale per cui, in teoria, una volta si forma un vaso liberiano e una cellula cambiale, dalla quale, alla divisione successiva, si forma una nuova cellula cambiale e un elemento del legno. Questo tipo di successione prende il nome di 'divisione dipleurica'. In realtà essa non è strettamente rigorosa e, normalmente, prevale la produzione di elementi del legno rispetto a quelli del libro. Le divisioni del cambio sono notevolmente rapide e questo comporta un accumulo di cellule ben poco differenziate ai due lati della zona propriamente meristematica, per cui le cellule iniziali sono difficilmente distinguibili in questi primi stadi dalle future cellule vascolari, Il cambio si forma sia fra legno e libro primari (cambio intrafasciale), sia nella zona midollare compresa fra i fasci cribrovascolari (cambio interfasciale), e tende a formare un'unica linea meristematica continua. Le cellule iniziali dei raggi mostrano anch'esse divisioni successive, con formazione di cellule che rimangono poco differenziate, sia nel legno sia nel libro, a formare i raggi midollari. Le divisioni saranno prevalentemente radiali o radiali e anticlinali a seconda che la specie abbia raggi biseriati o multiseriati. Il fellogeno o cambio subero-fellodermico si differenzia a varie profondità nelle zone più esterne del fusto e della radice. Anch'esso deriva da cellule già differenziate e la sua posizione può essere subito sottoepidermica o corticale o più profonda, anche nel libro e, in alcune radici, anche nel periciclo. A differenza del cambio vascolare spesso non forma un anello continuo, ma costituisce zone o placche separate fra loro. Il fellogeno ha una struttura relativamente semplice, essendo costituito da un solo tipo di cellule uni- o bistratificate, che si dividono prevalentemente in senso periclinale o radiale, formando all'esterno una serie di elementi che in sezione trasversale appaiono rettangolari e appiattiti e costituiranno le cellule suberose, mentre all'interno si formano elementi cellulari di tipo parenchimatico, costituenti il felloderma. Anche in questo caso le divisioni sono di tipo dipleurico.
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Mentre le cellule del sughero subiranno trasformazioni profonde che determineranno a maturità l'assetto compatto, privo di spazi intercellulari, le pareti fortemente suberificate e la completa scomparsa del contenuto protoplasmatico (sono cioè cellule morte), quelle del felloderma rimangono di tipo parenchimatico, pressappoco isodiametriche e vitali per lungo tempo. L'insieme dei tessuti di protezione costituiti da sughero, fellogeno e felloderma costituisce il periderma. Altri meristemi secondari, la cui comparsa non è preordinata nel piano di accrescimento del vegetale, possono generarsi in parti diverse, a carico di qualsiasi organo, in seguito all'insorgere di particolari stimoli o a condizioni anomale quali possono essere ferite o traumi di vario genere. Essi costituiscono i cosiddetti “meristemi avventizi” che abbastanza rapidamente sono in grado di cicatrizzare le ferite o le zone di invasione inducendo la proliferazione di tessuti cicatriziali più o meno abbondanti. Nei tessuti vicino alla ferita le cellule si sdifferenziano e riprendono a moltiplicarsi formando un tessuto denominato “callo” che può successivamente evolvere in tessuti differenziati o rimanere come ammasso informe che frequentemente lignifica o suberifica. La produzione di calli per reazione a microrganismi è legata spesso alla produzione, da parte del parassita, di sostanze capaci di stimolare nell'ospite l'attività meristematica con iperplasia cellulare frequentemente collegata anche a ipertrofia per azione di sostanze ormonali. Sempre alla categoria dei meristemi secondari si possono ascrivere i meristemoidi, costituiti da una o poche cellule che riacquistano caratteri embrionali nell'epidermide degli organi epigei per formare strutture particolari come stomi o peli. Durante lo sviluppo degli stomi nelle Angiosperme la cellula madre delle cellule di guardia, che costituisce il meristemoide, comunemente ha origine da una divisione ineguale di una cellula del protoderma ed è rappresentata dalla più piccola delle due. Successivamente essa si divide nelle due cellule di guardia che con differenti e caratteristici accrescimenti acquistano la forma definitiva. La lamella mediana delle cellule di guardia si lisa e si forma così la rima stomatica. Altre cellule. strettamente connesse o no dal punto di vista ontogenetico con la cellula madre dello stoma, e anch'esse interpretabili come meristemoidi, possono 21
costituire, con una o più divisioni, le cellule compagne, di forma e numero caratteristico per la specie. I peli o tricomi, presenti in tutte le parti della pianta e caratterizzati da vita più o meno lunga, possono derivare anch'essi da meristemoidi uni- o pluricellulari. L'attività meristematica sia primaria sia secondaria non è continua, in particolare nei climi che presentano stagionalità. Durante i periodi avversi essa si attenua fino a bloccarsi. Nei nostri climi tale periodo è rappresentato dall'inverno e il rallentamento dell'attività dei meristemi si osserva già a partire dal periodo autunnale, mentre riprende a primavera all'epoca della germogliazione. Anche per quanto riguarda l'attività meristematica dell'embrione nei semi si osservano periodi anche lunghi di pausa, interrotti quando, dopo aver raggiunto la maturità anatomica e fisiologica del seme, si verificano anche le condizioni ambientali idonee alla germinazione. Dal punto di vista filogenetico le Briofite, la maggior parte delle Pteridofite e delle Monocotiledoni presentano solo meristemi primari; Gimnosperme e Dicotiledoni hanno sia meristemi primari che secondari. Eccezionalmente, in alcune Monocotiledoni e Pteridofite possono differenziarsi tessuti interpretabili come meristemi secondari, ma localizzati in siti diversi rispetto a quanto si verifica negli altri gruppi. Tessuti
Costituiscono le parti adulte delle cormofite e rappresentano la maggior parte del corpo del vegetale. Le cellule, che li costituiscono hanno perduto o, talvolta solo sospeso, la capacità di dividersi e sono il risultato di un processo di differenziamento più o meno spinto, che ha determinato l'acquisizione di caratteristiche strutturali peculiari in relazione alle differenti funzioni che le singole cellule si sono adattate a svolgere. Nella stessa categoria di tessuti si possono trovare cellule molto diverse fra loro. E’ quindi improprio stabilire delle generalità per definirne le caratteristiche. Si può più semplicemente elencare un piccolo numero di caratteri che sono comuni alla maggior parte delle cellule dei tessuti definitivi: sono normalmente più grandi delle cellule meristematiche, sono fortemente vacuolizzate e relativamente povere di
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citoplasma, sono prive di autonomia e spesso, a differenziazione ultimata sono morte, ripiene di aria o di acqua. Nella schematizzazione tradizionale, a seconda che i tessuti definitivi derivino da meristemi primari o secondari sono suddivisibili anch'essi in questo senso: tale distinzione, che ha significato anatomico ed embriologico, non ne ha però dal punto di vista istologico, dal momento che, qualunque sia l'origine, le cellule risultano strutturalmente eguali. 1 tessuti si formano filogeneticamente e ontogeneticamente in tempi e con modalità diverse nei differenti gruppi vegetali. In una pianta evoluta (Spermatofita) adulta essi sono raggruppabili, a seconda delle funzioni che svolgono, in prevalenza in: 1) tessuti parenchimatici o fondamentali, 2) tessuti di protezione; 3) tessuti conduttori; 4) tessuti segregatori, .5) tessuti meccanici e di sostegno. Tessuti parenchimatici o fondamentali
Il termine 'parenchimatico' (dal greco parà = attorno, oltre, e enchèin = versare) indica un fluido che riempie degli spazi. Nel corpo vegetale questi tessuti costituiscono la massa fondamentale nella quale sono inglobati altri tessuti, in particolare quelli conduttori, meccanici e segregatori.
Per la loro abbondanza. essi rappresentano la massa principale delle piante erbacee, mentre nelle perenni si riducono notevolmente, superati dal punto di vista quantitativo dai tessuti conduttori e meccanici. Filogeneticamente i parenchimi sono 23
considerati tessuti piuttosto primitivi, come si può rilevare dall'osservazione di Alghe e Briofite costituite essenzialmente da cellule paragonabili a quelle parenchimatiche delle piante superiori. Anche dal punto di vista ontogenetico rappresentano il tipo cellulare con differenziazioni e specializzazioni meno spinte.
I parenchimi non sono però da considerare tessuti poco importanti o che svolgano funzioni secondarie: essi, a differenza di altri costituiti da cellule maggiormente specializzate, possono svolgere anche contemporaneamente più di una funzione. possono nel tempo mutare la loro funzione principale. Si tratta di tessuti con cellule vive, le cui principali caratteristiche sono schematizzabili nei seguenti punti: dimensioni notevoli; forma variabile, da cui dipende la possibilità di formare spazi intercellulari più o meno ampi, fino alla costituzione di strutture lacunari; citoplasma ancora abbondante con vacuoli grandi e organuli attivi; pareti poco ispessite, spesso costituite dalla sola parete primaria che rimane cellulosica (raramente lignificata come nel parenchima del legno in fase di invecchiamento); grande plasticità funzionale dal momento che sono sede delle più caratteristiche funzioni vitali come la respirazione, la fotosintesi, l'assimilazione, l'accumulo di sostanze di riserva, il trasporto laterale dei materiali dai tessuti conduttori.
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A seconda della loro ubicazione e origine possono essere primari o secondari, ma questo non riveste alcuna importanza dal punto di vista della loro funzionalità. La funzione più appariscente è quella che determina un criterio di suddivisione valido soprattutto dal punto di vista didattico in: 1) parenchima clorofilliano; 2) parenchima di riserva; 3) parenchima acquifero; 4) parenchima aerifero; 5) parenchima di conduzione. Parenchima clorofílliano
Detto anche 'clorenchima', è caratterizzato dalla presenza dei cloroplasti. Si trova in tutte le parti verdi di una pianta (foglie, cortecce giovani del fusto e dei rami) e in quelle non verdi che, se esposte alla luce, conservano la capacità di convertire, i proplastidi in cloroplasti, come le radici aeree, i tuberi di patata, ecc.
La funzione essenziale di tale parenchima è la fotosintesi. Poiché si tratta di un'attività che richiede un intenso scambio gassoso con l’ambiente, il tessuto si trova situato nelle parti esterne e presenta ampi spazi intercellulari, particolarmente grandi a livello della pagina inferiore della foglia dorsoventrale.
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Parenchima di riserva
Con questo termine si comprendono tessuti diversi per caratteri e per sede, aventi la funzione di raccogliere sostanze utili alla vita della pianta. Si trovano in organi non esposti alla luce (bulbi, tuberi, rizomi, radici tuberizzate, cotiledoni) o in parti protette da tessuti superficiali (il midollo, la corteccia dei fusti e delle radici e i frutti). Dal momento che le riserve possono essere di vario tipo ed essere accumulate in differenti parti delle cellule, la morfologia di tali tessuti è fra le più variabili. L’immagazzinamento delle riserve può avere carattere periodico, in relazione alle fluttuazioni stagionali, o permanente, nel qual caso si risolve con la morte delle cellule.
Si distinguono i parenchimi ubiquitari ricchi di granuli di amido secondario, detti 'amiliferi'. Essi hanno forma e dimensioni varie, per cui sono riconoscibili nelle diverse specie. Questo ha evidentemente importanza nel riconoscimento delle farine e delle fecole a uso alimentare. In organi carnosi come frutti, radici tuberizzate, midollo di fusti ecc. in cui sono presenti carboidrati solubili, amminoacidi, ammidi, queste sostanze sono spesso sciolte nel vacuolo. Negli organi quiescenti come i semi, nella maggior parte dei casi molto disidratati, le riserve sono allo stato solido. per cui compaiono amidi nei plastidi amiliferi, gocce di olio o globuli lipidici nel citoplasma, concrezioni proteiche come i granuli di aleurorie nel vacuolo. In alcune specie i diversi materiali di riserva si trovano in tessuti separati. Emicellulose di riserva sono tipiche dei semi di alcune palme cui conferiscono un tale grado di durezza da costituire una specie di 'avorio vegetale'. Le emicellulose 26
sopradescritte si trovano addossate alla parete, che rendono spessa e consistente. Essa ridiventa sottile quando le riserve sono state consumate: una peculiarità questa che distingue queste cellule parenchimatiche.
Possono essere accumulate anche sostanze minerali e tannini, il cui significato non è completamente chiaro, Cellule a tannini si possono trovare isolate, a gruppi o a formare un sistema continuo. Parenchima acquifero
Tessuto addetto alla raccolta dell'acqua, posto nelle parti profonde dei fusti o nello spessore delle foglie di molte piante dei climi secchi, dette 'piante succulente' (le comuni 'piante grasse' dei generi Cereus, Euphorbia, Alóe ecc.).
È costituito da cellule molto grandi con pareti sottili e con un grosso vacuolo ricco di mucillagini, che assorbono e trattengono acqua per imbibizione. Tale tipo di tessuto
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si riscontra anche in piante non succulente (acacie e astragali) e in specie steppiche e predesertiche. In questo caso il processo di ritenzione idrica viene assolto da gomme che tali vegetali producono in grande quantità, Parenchima di conduzione
Si tratta di un tessuto di riempimento situato nei raggi midollari della radice. del fusto e della foglia, attorno ai vasi cribrosi (parenchima liberiano) e a quelli legnosi (parenchima del legno).
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È formato da cellule allungate e ricche di punteggiature. Svolge, sebbene in modo meno efficace, la funzione di trasporto dei liquidi che è tipica dei tessuti conduttori, e talvolta può trasformarsi in parenchima di riserva. Può lignificare, cessando così la sua funzione. Parenchima aerifero.
Questo tessuto presenta un grande sviluppo degli spazi intercellulari fino a formare veri canali aeriferi e per tale motivo si rende idoneo al trasporto o alla ritenzioiìe dei gas. Si riscontra nelle piante acquatiche e in quelle che vivono in ambienti acquitrinosi i cui organi sommersi hanno biso gno di ossigeno. Questo gas, scarsamente diffusibile nell'acqua, viene trasportato dalle parti aeree a quelle sotterranee attraverso un sistema di canali che si forma appunto per la confluenza dei numerosi spazi del parenchima aerifero.
Questo tipo di tessuto svolge anche funzioni di galleggiamento, di fotosintesi (clorenchima aerifero) e di riserva. Tessuti di protezione o tegumentali
Questi tessuti ricoprono tutta la superficie della pianta a contatto con l’ambiente esterno e proteggono le parti interne del vegetale isolandolo parzialmente dall'ambiente circostante. L'acquisizione di validi tessuti di protezione è una delle tappe che, durante l'evoluzione, ha consentito ai vegetali di colonizzare le terre emerse. Possono esistere anche tessuti di protezione interni al corpo vegetale, che isolano complessi di tessuti più 29
profondi rispetto ad altri di zone esterne. Considerandone l'ontogenesi, anche i tessuti di protezione possono essere classificati in primari e secondari: quelli primari esterni sono l'epidermide e l'esoderma; primario interno è l'endoderma (o endodermide); secondario esterno è il sughero. Non sono conosciuti tessuti di protezione secondari interni. Epidermide. Forma uno strato continuo di cellule vive, molto appiattite, a stretto
contatto fra di loro, attorno al corpo della pianta, con le pareti esterne più ispessite. Deriva dalla parte esterna dei meristemi apicali (protoderma) e si estende dalle foglie fino alle radici. Lo strato epidermico della radice presenta notevoli differenze rispetto a quello tipico degli organi epigei, per cui molti autori lo differenziano con il nome di “rizoderma” o “epiblema”. La sua funzione è duplice: di protezione e di assorbimento.
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Per quanto riguarda gli organi subaerei l'epidermide è costituita da una serie di cellule (unistratificata) o da più serie (pluristratificata), come nelle piante dei climi secchi o tropicali. Epidermidi pluristratificate si trovano nelle foglie di Ficus, in quelle di Piperacee, di Begoniaceee, di molte palme, come pure nelle radici aeree (velamen) delle Monocotiledoni epifite, come le Orchidacee e le Aracee. Oltre che avere funzione di rivestimento, diminuisce la traspirazione, regola gli scambi gassosi, rappresenta una difesa contro i parassiti; talvolta può dar luogo al processo fotosintetico, secernere sostanze di vario tipo, partecipare ai meccanismi di movimento e percepire gli stimoli. Lo strato epidermico presenta vari tipi di cellule: normali, specializzate (stomatiche) e produzioni tipo peli o tricomi. Quelle normali sono generalmente appiattite, a contorno regolare, sinuoso o denticolato. Lunghe e strette negli organi allungati (fusti, radici), poligonali e isodiametriche negli altri casi. Posseggono un citoplasma ridotto a una sottile lamella parietale, un grosso vacuolo centrale talvolta ricco di pigmenti (antociani blu-rossastri, flavoni gialli e xantoni biancastri) e pochi plastidi non ben ben differenziati (leucoplasti (leucoplasti e cromoplasti). cromoplasti). La struttura più specializzata è rappresentata dalla parete, la quale si ispessisce verso 1'esterno per apposizione di strati cellulosici e rimane sottile ai lati e verso l’interno. L'ispessimento risulta notevole se si tratta di piante di luoghi secchi: è scarso nelle piante di zone umide. Nelle foglie delle Conifere e nei semi, la parete si ispessisce su tutti i lati in modo che la cavità cellulare viene quasi del tutto obliterata; per contro, nelle piante acquatiche, nei petali e nelle radici, non vi è alcun aumento di spessore. La parete può inoltre impregnarsi di cutina (cutinizzazione) (cutinizzazione) o coprirsi di tale sostanza in strati sovrapposti (cuticolarizzazione). La formazione della cuticola rende l’epidermide impermeabile ai gas e all'acqua, la preserva dall'azione dei microrganismi, le assicura una lunga conservazione (ritrovamenti fossili). Questa struttura, di spessori variabili a seconda della necessità di protezione, si estende sulle aperture stomatiche e talvolta penetra fra cellula e cellula dando luogo a formazioni cuneiformi dette 'chiodi della cuticola'. A sua volta lo strato di cuticola può essere ricoperto da un rivestimento ceroso formante zone biancastre o glaucescenti, specie in corrispondenza dei nodi, oppure a scaglie (es.: frutti di Benincasa cerifera , foglie di Sempervivum), o a pellicole granulari (pruina dei frutti della vite e del susino). La cera aumenta l'impermeabilità della parete e 31
si forma sugli organi delle piante che devono difendersi o da un'eccessiva perdita oppure da un'esagerata penetrazione di acqua. A carico della parete si osservano inoltre processi di calcificazione, silicizzazione (Equiseti, Graminacee), lignificazione (Felci, foglie di Conifere). Tali trasformazioni aumentano le proprietà meccaniche del tessuto. Nei semi si possono poi osservare pareti completamente gelificate.
In genere le Monocotiledoni e le Dicotiledoni che presentano solo struttura primaria mantengono l'epidermide per tutta la vita, mentre Dicotiledoni e Gimnosperme con accrescimento secondario sostituiscono tale tessuto con il sughero. In quest'ultimo caso, quando l'accrescimento secondario non è notevole, si ha un ritardo di uno o due anni nella sostituzione dell'epidermide, che rimane funzionale ed è in grado di seguire l'allargamento del fusto grazie a una serie di divisioni in senso radiale. La differenziazione dell'epidermide non è tale da far perdere in modo irreversibile la capacità di divisione, ma tale capacità non perdura a lungo e l'epidermide sarà presto 32
lacerata e sostituita durante l'ulteriore accrescimento in larghezza degli organi interessati. La produzione epidermica più frequente è rappresentata dai peli o tricomi: si tratta di appendici costituite da una o più cellule, con aspetto, struttura e funzione diverse, a carattere persistente o effimero. Essi possono avere origine esclusivamente epidermica e sono denominati “peli” o “tricomi”, mentre se all'organizzazione partecipano anche tessuti più profondi il termine più corretto è “emergenze”. “emergenze”. Va tuttavia sottolineato che la classificazione classificazione non è sempre agevole.
Una singola cellula iniziale epidermica può accrescersi esclusivamente per distensione formando un pelo unicellulare, oppure può subire divisioni che portano alla formazione di un piede (formato da cellule affondate nello spessore dell'epidermide) e 33
del corpo, che costituisce la parte emergente dal tessuto di protezione. Possono esistere anche cellule dette 'compagne del pelo', disposte ad anello intorno al piede. Negli organi aerei si osservano: peli di protezione, morti e pieni di aria, di aspetto bianco e lucente in quanto riflettono totalmente la luce; aggrappanti, aggrappanti, tipici delle piante rampicanti, facilitano l'attacco al sostegno; uncinati, presenti nel luppolo e nella canapa, ricchi di cistoliti; secretori, forniti di una o più cellule capaci di elaborare oli eterei e anche enzimi proteolitici necessari alle piante carnivore; urticanti, con pareti calcificate e punta silicizzata, contenenti un liquido irritante (generi Urtica, Laportea, Loasa); tattili, sensibili allo stimolo di contatto (pagina superiore delle foglie di Dionaea muscipula).
L'aspetto vellutato caratteristico di giovani foglie o dei petali dei fiori è dovuto a peli corti, conici, che possono essere interpretati come semplici estroflessioni delle cellule epidermiche, e sono detti 'papille'. Le emergenze, a cui prima si è accennato, hanno funzioni analoghe a quelle dei peli; sono tipici gli aculei dei rovi, con funzione aggrappante aggrappante e quelli che rivestono i frutti dell'ippocastano e dello stramonio. La radice è rivestita da un sottile strato epidermico detto 'rizoderma' che mantiene cellule con parete cellulosica sottile, senza ispessimenti ne cutinizzazioni. Non sono presenti peli di protezione ma solo peli assorbenti, localizzati nella zona detta appunto 'di assorbimento', poco al di sopra dell'apice meristematico, dove la crescita per distensioiìe è praticamente terminata. Essi sono indispensabili per l'assorbimento di acqua e sali dal terreno.
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Nel rizoderma sono evidenziabili evidenziabili cellule corte, corte, dette “tricoblasti”, “tricoblasti”, che produrranno il pelo radicale e cellule lunghe, “atricoblasti”, che formano le normali cellule epidermiche. In prossimità dell'apice i peli derivati dai tricoblasti sono appena accennati, poi si allungano e diventano tubulari e filiformi, fino a raggiungere le dimensioni definitive con lunghezza da 0,08 a 8 mm, a seconda delle specie. Il nucleo, inizialmente alla base del pelo, penetra poi nell’estroflessione e si porta in prossimità della zona apicale. Finché sono funzionanti hanno parete sottile, cellulosica, gelificata nella parte superficiale dove abbondano le sostanze pectiche. Il citoplasma è scarso e fortemente vacuolizzato. A mano a mano che la radice si allunga nuovi peli si formano a partire dalla zona subapicale, mentre cadono verso la zona distale. Il grande numero di queste produzioni, che accresce notevolmente notevolmente la superficie di assorbimento (di circa dodici volte nel pisello), e la loro forma che si plasma alle particelle del terreno, facilitano in modo notevole il processo di assorbimento. assorbimento. I peli radicali mancano nelle piante acquatiche e palustri. Essi hanno una vita breve, intorno ai dieci giorni, e cadono insieme alle cellule del rizoderma. Dal momento che se ne formano di nuovi, la lunghezza della zona pilifera assorbente rimane pressoché costante. Nelle parti aeree del vegetale la continuità dell'epidermide è interrotta da aperture, o stomi, che regolano lo scambio dei gas con l'ambiente esterno, altrimenti impossibile data l'impermeabilità delle pareti cellulari. Il numero, l'ampiezza e la disposizione degli stomi varia da specie a specie. Sono per lo più costituiti da due cellule vive dette 'cellule di guardia' o 'di chiusura', ricche di cloroplasti, reniformi uniti a un polo, in modo che delimitano un'apertura o rima stomatica, sotto cui si apre un grande spazio intercedulare, o camera stomatica, in comunicazione con i tessuti sottoepidermici. Le cellule di guardia possono trovarsi a diretto contatto con l'epidermide o essere circondate da cellule più piccole, dette 'cellule annesse' o 'compagne', anch’esse partecipanti alla funzione dello stoma in quanto ne favoriscono l'apertura o la chiusura. Numero, struttura e disposizione delle cellule annesse sono caratteri sistematici. Il numero di stomi per unità di superficie varia moltissimo così come è variabile la loro posizione sulle parti aeree della pianta. Sono prevalenti sulla lamina fogliare e nella maggior parte dei casi risultano più abbondanti sulla pagina inferiore delle foglie 35
dorsoventrali. Esistono però numerose eccezioni. Possono essere irregolarmente sparsi su tutta la superficie o risultare disposti prevalentemente in file longitudinali che seguono le venature delle foglie parallelinervie (in questo caso anche le camere sottostomatiche risultano collegate fra loro a formare una lunga lacuna). A seconda poi dell'habitat caratteristico della specie 1e cellule di guardia dello stoma possono affiorare alla superficie dell'epidermide, favorendo così la traspirazione in ambiente normalmente umido, oppure possono risultare inserite al fondo di cripte, spesso provviste di peli, in modo da ridurre le perdite di acqua in condizioni di prevalente carenza idrica.
Le cellule di guardia differiscono dalle cellule epidermiche circostanti per alcune caratteristiche peculiari. In primo luogo hanno abbondanti cloroplasti, quindi sono in grado di fotosintetizzare formando monosaccaridi che possono essere polimerizzati ad amido, che a sua volta può essere idrolizzato dando mono - e disaccaridi. Questo tipo di attività permette alle cellule variazioni abbastanza rapide della concentrazione delle soluzioni interne in modo da ottenere rapide oscillazioni del turgore. Inoltre le pareti 36
risultano variamente ispessite e tali cambiamenti di turgore determinano modificazioni della forma delle cellule, con apertura o chiusura della rima stomatica.
La diversa conformazione degli apparati stomatici caratterizza famiglie e generi di piante. Il tipo 'Amarillidacee', frequente nelle Monocotiledoni Monocotiledoni e nelle Dicotiledoni, è rappresentato da due cellule in cui le pareti rivolte verso la cavità sono spesse e rigide e all'opposto sottili ed elastiche quelle rivolte lateralmente. Il contenuto delle cellule di guardia è costituito da soluzioni più o meno concentrate di disaccaridi, derivati per decomposizione enzimatica dell'amido. Se la loro concentrazione aumenta, si ha un forte turgore cellulare, le pareti sottili si ripiegano e forzano le pareti rigide a scostarsi e ad aprire lo stoma. Quando il turgore diminuisce, il ravvicinamento delle pareti rigide 37
provoca la chiusura dello stoma. Il secondo tipo, 'Graminacee', 'Graminacee', presenta pareti omogeneamente ispessite fuorché alle due estremità, dove le cellule di guardia si allargano a guisa di ampolle (sacche polari) e sono ricoperte da pareti molto sottili, in grado di distendersi e afflosciarsi. La dilatazione delle sacche polari provoca l'allontanamento delle pareti rigide, mentre l'afflosciamento ne determina il ravvicinamento e la chiusura. Nei Muschi e nelle Felci è molto diffuso il terzo tipo, Mnium 'Mnium', nel quale le
cellule reniformi, a differenza del tipo Amarillidacee, presentano le
pareti sottili rivolte verso la fessura stomatica, mentre quelle poste ai lati possono essere sia sottili sia spesse. Se il turgore è scarso, le pareti verso lo stoma risultano convesse e collabiscono; in caso di rigonfiamento le stesse si appianano e aprono la fessura in quanto seguono l'allontanamento delle due pareti disposte verso la superficie e verso il fondo. Stomi molto più semplici si riscontrano in piante inferiori (nelle Epatiche): si tratta per lo più di fessurazioni beanti, di forma variabile, limitate da un numero costante di cellule.
La disposizione degli stomi e i loro rapporti con le cellule circostanti, sono caratteri diagnostici di particolare interesse tassonomico e di grande utilità per il riconoscimento delle foglie e delle loro polveri. Per le Dicotiledoni, METCALFE e CHALK hanno distinto quattro tipi principali di stomi che prendono il nome della famiglia in cui furono osservati per la prima volta: 1) Tipo Ranuncolacee o anomocitico, detto anche a cellule irregolari, in cui lo stoma risulta circondato di cellule epidermiche, tutte uguali per forma e dimensione e irregolarmente disposte intorno alle cellule di guardia. Stomi anomocitici sono presenti nelle Cucurbitacee, nelle Malvacee, nelle Papaveracee, nelle Burseracee, nelle Aceracee e nelle Ninfeacee.
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2) Tipo Crucifere o anisocitico, o a cellule disuguali, nel quale lo stoma è circondato da tre cellule distinte di cui una nettamente più piccola delle altre due. È una struttura alquanto rara che si nota anche nelle Papilionacee e nelle Crassulacee. 3) Tipo Rubiacee o paracitico, o a cellule parallele, dove lo stoma è circondato da cellule compagne disposte parallelamente all'asse delle cellule di guardia. Stomi paracitici si trovano trovano nelle Convolvulacee Convolvulacee,, nelle Guttifere e nelle Calicantacee. Calicantacee. 4) Tipo Carofillacee o diacitico, o a cellule incrociate, in cui l'asse maggiore dello stoma è disposto perpendicolarmente perpendicolarmente alla parete comune delle cellule annesse. Il tipo diacitico è presente nelle Acantacee.
Oltre agli stomi aeriferi, l'epidermide presenta, a livello delle foglie, verso l'apice delle denticolature e sui margini altre aperture, isolate o a gruppi, che permettono la fuoriuscita dell'acqúa in eccesso (guttazione) e sono dette 'stomi acquiferi'. Questi sono costituiti da cellule più grandi delle normali cellule di guardia, non presentano clorofilla
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e hanno vita breve. Poiché sono privi di meccanismi che regolino l'apertura e la chiusura della rima, essi restano sempre aperti.
Dal protoderma di alcune specie di piante (es.: Ficus, palme, orchidee) può svilupparsi un tipo particolare di epidermide a più strati (multipla o multiseriata) in cui gli strati interni sono composti di cellule grandi, capaci di trattenere acqua. A questa categoria appartiene il velamen, tessuto che riveste le radici aeree di molte piante epifite ed è formato di cellule a vita breve, con pareti spesse e ricche di perforazioni, che in clima asciutto si riempiono d'aria e in clima umido di acqua.
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Esoderma.
È un tessuto di rivestimento che si forma nelle radici delle Gimnosperme e
delle Angiosperme per un processo di suberificazione delle cellule di un tessuto preesistente, generalmente generalmente parenchimatico. parenchimatico. Si osserva talvolta anche anche nei fusti sotterranei e in qualche Pteridofita. Esso compare quando lo strato epidermico della radice, avente vita breve, si distacca, nel qual caso il sottostante tessuto, privo di spazi intercellulari, subisce la sopraddetta modificazione e assume funzione di protezione.
L'esoderma è costituito da cellule vive, uni - o pluristratificate e presenta punti di permeazione in cui cellule a pareti tangenziali sottili si alternano a zone d'ispessimento. Per la suberificazione delle pareti dimostra una certa analogia con il sughero ; da esso differisce per avere cellule vive e perché la lamella di suberina che riveste le pareti è ricoperta in direzione centrifuga da strati cellulosici. Endoderma.
Si tratta di un tessuto interno, tipico degli organi assorbenti e conduttori
(radici, fusti sotterranei, fusti di piante acquatiche) il quale, come una guaina cilindrica, avvolge i tessuti vascolari e li separa da quelli circostanti. Embriologicamente è considerato un tessuto di protezione primario. L'endoderma è formato da cellule vive, prismatiche o allungate, prive di spazi intercellulari, aventi le pareti radiali e trasversali quasi completamente impermeabilizzate. Prima di assumere l'aspetto definitivo, esso passa attraverso diversi stadi. Nello stato giovanile le cellule posseggono posseggono una parete sottile, elastica, di natura cellulosica su quasi tutta la superficie a eccezione di una fascia circolare, resa impermeabile per l'impregnazione di sostanze affini alla lignina e alla suberina. Tale struttura, cui il citoplasma aderisce in modo particolare, prende il nome di 'banda del Caspary', dall'autore che per primo la descrisse nel 1865; 'punti del Caspary'
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vengono chiamate le zone più scure visibili in sezione, appartenenti alle pareti radiali della fascia.
Nelle radici di quasi tutte le Monocotiledoni Monocotiledoni e di alcune Dicotiledoni, in cui non si verifica un accrescimento in spessore, l'endoderma presenta una fase, detta 'secondaria', durante la quale le pareti si rivestono internamente di uno strato continuo di lamelle di suberina; ciò nonostante le cellule si mantengono vive e funzionanti. Segue alla fine una modificazione 'terziaria', rappresentata dal fatto che grossi strati di cellulosa si oppongono alla suberina, sia radialmente che tangenzialmente, e formano un ispessimento a U della parete. Tali fasi interessano quasi tutte le cellule endodermiche, ad eccezione di alcune che si mantengono allo stato primario e, essendo situate di fronte ai fasci vascolari, costituiscono i punti di permeazione attraverso cui passano le soluzioni assorbite dal terreno. 42
Questo tessuto costituisce una sorta di filtro attraverso cui sono costrette a passare le soluzioni assorbite dal terreno e penetrate fino a esso attraverso lo spazio libero delle cellule epidermiche e corticali, senza aver subito efficaci selezioni da parte degli strati cellulari attraversati. Incontrando l'endoderma, le cui cellule presentano pareti radiali e tangenziali suberificate, suberificate, e quindi impermeabili, il flusso di liquidi che scorre nello spazio libero è costretto, prima di giungere ai tessuti vascolari interni, a passare attraverso il citoplasma delle cellule dell'endoderma subendo quindi l'azione selezionatrice della membrana plasmatica semipermeabile. Nelle radici con accrescimento accrescimento secondario (Gimnosperme e molte Dicotiledoni) l'endoderma nelle parti vecchie dell'organo viene di solito schiacciato e può essere espulso. Sughero.
Lo strato epidermico, nelle Gimnosperme e nelle Angiosperme Dicotiledoni,
non ha la capacità di aumentare in proporzione all'accrescimento diametrale dei fusti e delle radici, perciò viene lacerato ed eliminato precocemente. In sua sostituzione si produce, a opera di un meristema secondario (fellogeno), un tessuto tegumentale detto 'sughero' o 'fellema', situato nelle scorze dei grossi tronchi sotto forma di croste assai spesse, sulle radici, sui tuberi, su alcuni frutti succulenti, sulle squame delle gemme pellicole molto sottili. Le differenze di spessore dipendono dal comportamento comportamento del fellogeno la cui attività può esaurirsi rapidamente o continuare per un numero indefinito di anni, seppure intervallata da periodi di stasi (es.: quercia da sughero).
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Il sughero si forma anche come tessuto cicatriziale a opera dei meristemi avvetitizi. È composto di cellule prismatiche, appiattite e ordinate in file radiali, prive di spazi intercellularì, con pareti sottili (rairamente ispessite più o meno omogeneamente) omogeneamente) e suberificate. Si tratta di cellule morte che si riempiono d'aria o di sostanze del tipo delle resine e dei flobafeni, assumendo colorazioni brune e rugginose, Il sughero rende la pianta impermeabile all’acqua e ai gas e le conferisce resistenza all'azione di sostanze chimiche e di microrganismi parassiti: quando si riempie d'aria, diviene uno strato coibente che protegge i tessuti sottostanti dagli sbalzi di temperatura.
Si deve ricordare ancora che, come si è già accennato parlando del fellogeno, la sua attività non si esaurisce con la produzione di sughero verso l’esterno, ma esso forma anche, per divisioni dipleuriche, uno strato più o meno spesso di tessuto parenchimatico verso l'interno, detto 'felloderma'. Tutte le produzioni del fellogeno (sughero e felloderma) costituiscono il periderma. 'Scorza' o 'ritidoma' è quanto sta al di sopra del fellogeno verso l'esterno ed è costituito da tessuti morti; 'corteccia' è l'insieme dei tessuti che si trovano sotto il fellogeno, verso l'interno, prima della zona vascolare. vascolare. Lo spessore della corteccia secondaria è dunque variabile a seconda della zona in cui si differenzia il meristema che può essere molto superficiale nell'epidermide (genere Salix),
o nel parenchima corticale ( Robinia), nell'endoderma (Coffea), ne periciclo
Ribes) o anche nel libro ( Vitis). ( Ribes 44
La funzione svolta nell'epidermide dagli stomi è affidata, ne sughero, alle 'lenticelle', le quali permettono la fuoruscita de vapore acqueo e la penetrazione dell'aria necessaria alla respirazione. Hanno l'aspetto di verruche lenticolari sporgenti sul fusto e sulla radice, orientate longitudinalmente, di grandezza variabile (talvolta superano un centimetro), in numero non costante e sempre minore di quello degli stomi. Sono costituite da cellule arrotondate, con pareti poco o affatto suberificate, ed ampi spazi intercellulari. Traggono origine da un meristema locale, ‘fellogeno della lenticella', il quale, all'approssimarsi di ogni inverno, forma uno straterello sugheroso di chiusura e a inizio della primavera produce una nuova massa di tessuto che spinge contro lo strato di sughero fino a lacerarlo, provocando la riapertura della lenticella. Tali meccanismi di chiusura e di riapertura si ripetono regolarmente, per cui nelle vecchie lenticelle si osservano successivi strati sugherosi lacerati e intercalati dai residui dei tessuti di riempimento che si sono di volta in volta prodotti.
Tessuti conduttori
Mentre nei vegetali inferiori il trasporto delle soluzioni all'interno del corpo vegetale è affidato a cellule non specializzate, di tipo parenchimatico che, solo in alcuni gruppi. assumono forma leggermente allungata, a partire dalle Pteridofile, si assiste alla comparsa di cellule specializzate nella funzione di trasporto. Il grado di specializzazione 45
aumenta gradualmente così come aumenta l'efficienza a mano a mano che si passa dalle Pteridofite alle Gimnosperme, alle Angiosperme, in cui si raggiunge il massimo della complessità. I tessuti conduttori specializzati sono formati da cellule molto allungate, ordinate una sull'altra in senso longitudinale, con pareti trasversali più o meno perforate in modo da rendere minima la barriera rappresentata da membrane a pareti sovrapposte. L'acqua e le sostanze minerali disciolte vengono portate dalla radice alle foglie attraverso il tessuto vascolare o legnoso, costituito da cellule morte; le sostanze metabolizzate decorrono dalle foglie alla radice mediante un sistema di vasi a cellule vive formanti il tessuto cribroso. Questi tessuti possono avere origine primaria (dal procambio) o secondaria (dal cambio), e sono quindi presenti tanto nel corpo primario che in quello secondario del vegetale. Tessuto vascolare.
Questo tessuto forma un sistema di canali distribuito per tutta la
lunghezza della pianta, in cui il flusso dei liquidi va dalla radice fino alle ultime venature fogliari. Le soluzioni trasportate sono prevalentemente costituite da sali minerali e da sostanze organiche semplici. Gli elementi costitutivi del tessuto vascolare sono i vasi, formati da più cellule ciascuna delle quali rappresenta un articolo. Le cellule sono cilindriche, sovrapposte le une alle altre, con plasma dapprima vacuolizzato e addensato contro le pareti, quindi riassorbito. Pertanto a completa differenziazione sono elementi morti. Le pareti trasversali si perforano, per processi di gelificazione e di solubilizzazione, o scompaiono; quelle longitudinali ispessiscono e lignificano acquistando un grado di rigidità tale da impedire l'obliterazione della cavità vasale in seguito a flessioni dell'organo o alla depressione che si crea in essi ogni volta che la traspirazione è ingente. Per garantire la capacità di cedere l'acqua e le sostanze disciolte a tutti i tessuti l'ispessimento non è totale, in quanto permangono sempre delle aree, più o meno vaste, costituite dalla sola parete primaria, elastica e permeabile. Il processo di lignificazione si svolge in modo diverso secondo i tipi di vasi: può dar luogo ad anelli separati da zone sottili nei vasi anulati; può formare delle spirali continue nei vasi e presentare anelli intercalati a spire nei vasi anulo-spiralati; in quelli reticolati costituisce una specie di 46
reticolo a maglie larghe. Quando l'ispessimento è tanto esteso da circoscrivere aree sottili piccolissime, si parla di vasi punteggiati; nei vasi scalariformi le punteggiature assumono una disposizione disposizione simile ai pioli della scala. Fra queste strutture fondamentali esiste una serie di transizioni e ogni tipo di vaso può presentare nella stessa pianta o in specie differenti una grande variabilità di particolari. Una delle forme di punteggiatura punteggiatura più caratteristica è quella detta detta areolala che nelle Gimnosperme presenta un'ulteriore complicazione costituita dal toro. In questo caso le pareti primarie che separano due vasi coiìtigui vengono rinforzate da una parete secondaria non continua, che lascia degli spazi: le punteggiature. Sulla parete primaria, in corrispondenza di tali zone, si depone una struttura fortemente lignificata, il toro. La parete primaria, ancora sufficientemente sufficientemente elastica da potersi flettere a causa delle differenti pressioni che si verificano nei due vasi adiacenti e con il toro, può così regolare il fiusso laterale dei liquidi. In base al diverso comportamento delle pareti trasversali i vasi possono essere classificati in trachedi o vasi chiusi se la parete divisoria permane più o meno integra e trachee o vasi aperti se
essa viene riassorbita lasciando soltanto una traccia.
Le tracheidi sono quindi cellule singole, con pareti trasversali oblique che, sebbene ricche di punteggiature, si mantengono integre. Sono elementi di piccole dimensioni, con diametro medio di 0,03 mm e lunghezza che raramente supera i 4 mm.
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Le trachee costituiscono invece file di cellule che hanno fuso le loro cavità in un unico tubo. Il lume è generalmente più ampio di quello delle tracheidi, intorno a 0,3 mm, anche se esistono eccezioni che presentano lume ridotto, e la loro lunghezza può essere anche dell'ordine di qualche centimetro. Nelle liane si raggiungono lunghezze eccezionali, anche di alcuni metri. Il maggiore calibro determina un flusso più rapido, 48
secondo la legge di Poisseuille, quindi le tracheidi a lume stretto filogeneticamente e ontogeneticamente più primitive (sono infatti presenti nelle piante più primitive e nel protoxilema delle Angiosperme) Angiosperme) risultano meno efficaci nella distribuzione dei liquidi rispetto alle trachee che compaiono già nel metaxilema e costituiscono poi la regola nel legno secondario. Nelle Gimnosperme esistono tracheidi con punteggiature areolate e con pareti particolarmente ispessite, in grado di svolgere contemporaneamente funzioni di trasporto e di sostegno. Esse sono dette fibrotracheidi.
Il dissolvimento delle pareti trasversali nelle trachee e la formazione delle perforazioni nelle tracheidi sono schematizzabili schematizzabili secondo una sequenza abbastanza abbastanza costante. Quando i vasi terminano l'accrescimento per distensione, ha inizio la deposizione delle pareti secondarie longitudinali, mentre a carico della parete primaria trasversale si osserva un abbondante rigonfiamento dei materiali pectici della lamella mediana su tutta la superficie o solo nelle aree corrispondenti alle future perforazioni. Finita la formazione della parete secondaria lignificata, la parete primaria e le lamelle mediane trasversali, rigonfie, vengono disciolte. A questi eventi si accompagnano la morte e il successivo successivo riassorbimento del contenuto cellulare. Tessuto cribroso.
L'altro tessuto conduttore, deputato al trasporto inverso dei liquidi
circolanti, dalla periferia al fusto e alle radici, è il tessuto cribroso, cosi denorninato poiché le pareti dei suoi elementi cellulari risultano perforate come crivelli e non vengono mai completamente dissolte. Tali elementi conduttori sono le cellule cribrose, 49
più prinìivive e filogeneticamente filogeneticamente più antiche, che presentano perforazioni sia lungo le pareti longitudiiìali sia lungo le trasversali, e sono caratteristiche sia delle Pteridofite sia delle Girimosperme, e i tubi cribrosi, muniti di perforazioni solo sulle pareti trasversali e tipici delle Angiosperme. Angiosperme.
È opportuno sottolineare che cellule cribrose e tubi cribrosi non sono mai presenti nello stesso stesso gruppo vegetale, neppure neppure in diversi diversi stadi di sviluppo. sviluppo. Non sono sono cioè l'equivalente di tracheidi e trachee, che possono susseguirsi nello sviluppo dell'individuo, ma rappresentano tappe filogenetiche che sono rimaste univoche per i gruppi che hanno seguito differenti vie evolutive. Anche nel tessuto cribroso gli articoli sono impilati in file longitudinali in direzione del flusso e, grazie alle perforazioni, comunicano abbastanza abbastanza liberamente. Le pareti rimangono sempre sottili, cellulosiche ed elastiche, costituite generaimente dalla sola parete primaria che rimane tesa grazie all'azione del contenuto cellulare che si mantiene per tutta la vita, con protoplasto sottile addossato alla parete stessa. Nelle cellule cribrose il nucleo permane, mentre nei tubi cribrosi si assiste a una sua precoce degenerazione, ancora prima dalla totale differenziazione. La vitalità del tubo cribroso è garantita dalle cellule compagne che derivano, per divisione trasversale, da una cellula sorella del tubo cribroso. Queste cellule mantengono nucleo nucleo vitale per tutta la vita ed essendo connesse connesse ai tubi cribrosi da ampi piasmodesmi provvedono alla loro sopravvivenza. Esse hanno dunque con i tubi cribrosi legami embrionali, morfologici e funzionali. 50
Nei tubi cribrosi le pareti trasversali presentano placche cribrose, aree sottili, fittamente perforate, attraverso le quali passano cordoni plasmatici che connettono i protoplasti di 51
articoli adiacenti. La placca cribrosa può essere semplice oppure si possono avere zone alterne, perforate e no, che costituiscono le placche composte. Nello spessore della parete le perforazioni contengono un polisaccaride di composizione composizione chimica non ben definita, detto calloso (Mangin 1890), che dà una caratteristica colorazione blu con blu di anilina o resorcina. Durante l'invecchiamento del tubo cribroso aumenta la quantità di detta sostanza con conseguente riduzione del diametro delle perforazioni; quando il tubo cessa la sua attività, l'intera placca è ricoperta su entrambe le facce da una massa di calloso detta generalmente callo, che chiude come un tappo la comunicazione cribrosa. In molte piante, durante il successivo successivo periodo vegetativo, il callo per l'azione di enzimi si ridiscioglie e il tubo ricomincia a funzionare. L'alternarsi dell'apertura e della chiusura si ripete di solito non più di due volte nella vita della pianta Quando invece il callo non si discioglie più, le cellule del tubo cribroso muoiono, i protoplasti si disorganizzano e scompaiono i cordoni plasmatici. Subentra allora l'attività dei meristemi cambiali ad assicurare la formazione di nuovi tubi cribrosi, Dal punto di vista filogenetico nei tubi cribrosi si assiste con l'evoluzione all'ingrossamento dei cordoni plasmatici di connessione fra gli articoli, all'allargarnento del diametro dei pori, alla presenza di pareti trasversali meno oblique fino a diventare quasi perpendicolari rispetto alle pareti longitudinali, al passaggio da placche cribrose composte a placche semplici. Fasci conduttori.
I vasi legnosi e i tubi cribrosi sono generalmente uniti in sistemi
istologici eterogenei detti fasci che decorrono lungo l'asse delle radici e del fusto e si risolvono a livello delle foglie in un sistema reticolare. Il complesso dei tubi cribrosi e delle cellule parenchimatiche che li circondano costituisce il fascio f ascio cribroso, detto anche libro, floema (dal
greco phloiòs = scorza, corteccia tenera) o leptoma (dal greco leptòs =
sottile); al complesso di trachee, tracheidi, parenchima e fibre sono state date le denominazioni di legno, xilema o adroma . Sia nel legno sia nel libro, oltre agli elementi conduttori si riscontrano cellule parenchimatiche (parenchima del legno e del libro) e fibre. La varietà di tipi istologici con differente funzionalità conferisce al fascio significato di organo. Di rado i fasci legnosi sono separati da quelli liberiani formando così fasci incompleti; nella maggior parte dei casi si trovano ravvicinati a formare un 52
fascio cribro-vascolare, spesso avvolto da una guaina più o meno completa di tessuti non conduttori la cui funzione principale è di aumentare la resistenza (sono spesso costituiti essenzialmente essenzialmente da sclerenchimi).
Il fascio vascolare o xilema è di origine primaria ma i suoi elementi non compaiono tutti contemporaneamente: esiste un protoxilema che si forma per primo e completa precocemente la dif ferenziazione. Esso è formato da tracheidi e da cellule parenchimatiche. parenchimatiche. Il metaxilema compare più tardi, comincia a differenziarsi mentre l'organo sta allungandosi e arriva a completa maturazione quando l'accrescimento longitudinale è pressoché terminato. Nel metaxilema pur essendovi ancora tracheidi sono però abbondanti e caratteristiche. come si è già detto, le trachee; il parenchima è più scarso e le fibre del legno sono molto più abbondanti. Nelle piante in cui per attività cambiale si formano grandi quantità di legno secondario i vasi del metaxilema perdono funzionalità ma non si deformano. Nelle specie con scarsa o nulla produzione secondaria tali vasi permangono permangono sempre funzionanti. Analoghe caratteristiche sono riferibili anche a protofloema e metafloema. Nel protofloema, che si forma durante le fasi di allungamento dell'organo, i tubi restano sottili, con breve periodo di funzionalità, stirati e distrutti durante l'allungamento e sostituiti dagli elementi del metafloema che, nelle specie senza accrescimento accrescimento secondario, restano funzionali per tutta la vita. A seconda della posizione reciproca assunta dai fasci legnosi e liberiani nella costituzione del fascio completo si hanno tre tipi fondamentali di fasci cribro-vascolari: 53
collaterali, concentrici, radiali. Il fascio collaterale è uno dei tipi ti pi più comuni nei fusti di
Gimnosperme e Angiosperme. Legno e libro si trovano disposti su uno stesso raggio, il primo sempre rivolto verso l'interno e il secondo verso l'esterno. Se fra i due tipi di tessuto non rimangono cellule meristematiche il fascio collaterale è chiuso (Monocotiledoni), se invece è presente il meristema, detto cambio, esso è aperto (Gimnosperme e Dicotiledoni).
Esiste una variante alla struttura descritta, detta fascio bicollaterale, in cui vi sono due cordoni librosi che racchiudono un cordone legnoso (es.: Cucurbitacee, 54
Convolvolacee, Solanacee). Esso è in genere di tipo aperto e il cambio si trova solo fra il libro più esterno e il legno. Con l'accrescimento secondario il libro interno risulta schiacciato e poco riconoscibile, Nel fascio collaterale il protoxilema è nella posizione più interna del cordone legnoso (protoxilema endarco), mentre il protofloema è nella posizioiìe più esterna (protofloema (protofloema esarco). esarco). I fasci di tipo concentrico presentano una porzione legnosa cilindrica avvolta da una liberiana (fascio perifloematico) o viceversa (fascio perixilematico). Essi sono di tipo chiuso e sono particolarmente frequenti nei fusti di molte Pteridofite e nei rizomi di talune Monocotiledoni. Monocotiledoni.
I fasci radiali presentano cordoni legnosi e liberiani, indicati con il nome generico di arche, disposti alternativamente su raggi diversi. Sono abbastanza eccezionali nei fusti (alcuni Licopodi), ma rappresentano la regola nella struttura delle radici. Il numero dei cordoni vascolari varia da 2-4 a 100. In questi fasci la posizione del protoxilema è all’esterno (protoxilema esarco) così come lo è il protofloema, Nelle radici delle Pteridofite e delle Monocotiledoni Monocotiledoni tale organizzazione organizzazione è unica per tutta la l a vita delle piante mentre nelle Girnnosperme e nelle Dicotiledoni fra le arche legnose e liberiane si differenzia un cambio che consente un accrescimento trasversale dell'organo. La posizione di tale cambio è caratteristica dal momento che costituisce una linea sinuosa che passa al di sotto del libro e sopra il legno primario. Gli elementi legnosi e liberiani derivati dal meristema secondario hanno le stesse caratteristiche di quelli già descritti. 55
Tessuti segregatori
Ogni cellula, in dipendenza dai processi metabolici, assorbe ed espelle varie sostanze. 1 materiali eliminati possono essere rappresentati dai prodotti finali della demolizione di composti organici (escrezione), oppure da composti aventi compiti funzionali (secrezione), o anche da sostanze rimaste estranee al metabolismo, come i minerali introdotti in quantità eccessiva o non necessari al chimismo cellulare (recrezione). Le funzioni sopraelencate vengono genericamente indicate con il termine di “segregazione” e sono detti “tessuti segregatori” gli aggregati cellulari corrispondenti. A differenza degli animali che quasi sempre posseggono apparati specializzati per la funzione escretoria, la pianta noiì sempre eliniina all'esterno i materiali iiìzitili o di rifiuto; molto spesso li accantona e accumula nei vacuoli, all'interno delle cellule stesse. Pertanto nei vegetali si possono distinguere tessuti che espellono all'esterno le sostanze segregate (ghiandolari) e altri che le depositaiìo in vacuoli (secretori ed escretori). Talvolta l'attività segregatrice è affidata a singole cellule (idioblasti) sparse in tessuti altrimenti differenziati. Cellule e tessuti secretori ed escretori.
1 prodotti di segregazione vengono immessi nei vacuoli, molteplici o unici, e in questo caso, talmente voluminosi da occupare tutta la cellula e determinarne la morte, Le sostanze segregate sono costituite da ossalato di calcio, oli eterei, mucillagini, resine, gomme, balsami, tannini, alcaloidi, latici, pigmenti ecc.
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Ai tessuti secretori appartengono i tubi laticiferi, frequenti in piante erbacee come le Papaveracee e le Euforbiacee dei nostri climi, o in piante arbustive e arboree come le Moracee e le Euforbiacee esotiche. Si trovano diffusi in tutte le parti della pianta, ma talvolta si localizzano in alcuni organi soltanto e allora, di preferenza, nel floema. Sono così denominati in quanto presentano grossi vacuoli ricchi di un latice biancastro (eccezionalmente arancione in Chelidonium, bruno-giallastro in Cannabis ).
Si tratta di un’emulsione eterogenea di acqua, gomme, resine (particolarmente rappresentato il caucciù), granuli di amido, acidi organici, sali, alcaloidi, sostanze
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proteiche, mucillagini. enzimi ecc. La funzione di questo secreto non è ancora nota; probabilmente varia a seconda della composizione chimica. chimica. Il latice nell'interno dei tubi si trova in stato di compressione per cui, quando un fusto si spezza o subisce una lesione, esce abbondante abbondante dal laticifero. A contatto dell'aria molti latici imbruniscono e si rapprendono per la presenza di enzimi ossidanti e di sostanze idrofobe. Secondo la struttura i laticiferi si suddividono in due categorie: non articolati (semplici o apociziali) e articolati (composti o sinciziali). 1 primi sono costituiti da cellule conformate a tubo che si allungano per tutta l'altezza della pianta (anche vari metri in alcuni alberi) e si mantengono uniche, dando luogo talvolta a prolungamenti laterali a fondo cieco. Esempi di apociziali non ramificati si riscontrano nelle Apocinacee, nelle Cannabacee e nelle Urticacee, quelli ramificati si trovano in molti generi di Euforbiacee, di Asclepiadacee e di Moracee. Il secondo tipo di laticiferi, quelli articolati, è costituito dalla sovrapposizione dì lunghe file di molte cellule le cui pareti divisorie o sono state in gran parte riassorbite o talvolta solamente perforate. Anche questi tubi si presentano o in forme non ramificate (nelle Convolvulacee, nelle Papaveracee, nelle Liliacee e nelle Musacee), oppure stabiliscono tra di loro delle connessioni connessioni mediante prolungamenti prolungamenti laterali (in alcune Composite, nelle Campanulacee, nelle Lobeliacee e nelle Euforbiacee). Come risulta dagli esempi sopracitati, la stessa famiglia di piante può possedere laticiferi di tipo diverso. Le cellule dei laticiferi, sia le apociziali sia le sinciziali, sono vive, posseggono una parete cellulosica elastica e priva di punteggiature; il citoplasma è ridotto a un sottile strato parietale contenente molti nuclei e granuli di amido. Tasche lisigene.
Sono costituite da spazi intercellulari ripieni di oli essenziali e si
riscontrano nella buccia degli agrumi, nella ruta e in molte Mirtacee. Hanno origine da gruppi di cellule escretrici le quali, dopo aver accumulato gli oli, muoiono e subiscono un processo di lisi (da cui il nome). Al loro posto si forma nel tessuto una lacuna (tasca) ripiena dei materiali escreti, Cellule e tessuti ghiandolari.
Si tratta di cellule o di tessuti che riversano all'esterno le
sostanze elaborate e si possono trovare sia in parti superficiali sia profonde del corpo della pianta. Le strutture ghiandolari esterne, di origine epidermica, comprendono i peli secretori, i peli digerenti, i peli urticanti, i nettari, i cui prodotti fuoriescono attraverso 58
porosità o lacerazioni della cuticola. Se l'attività ghiandolare si svolge in profondità, a carico di tessuti interni, le sostanze secrete si raccolgono nei vasti spazi che si creano a seguito dell'allontanamento di una cel lula dall'altra (schizogenia). Tali aree assumono l'aspetto di cavità isodiametriche (tasche schizogene) o di tubi (canali schizogeni) e risultano sempre delimitate da strati di cellule ghiandolari. Tasche schizogene, veri e propri serbatoi di oli essenziali, si osservano nelle foglie di Hypericum perforatum e di Myrtus.
1 canali schizogeni percorrono tutto il corpo della pianta e talvolta si
anastomizzano tra di loro dando origine a un sistema molto complesso. A seconda dei prodotti elaboratori si distinguono i canali resiniferi (nelle Conifere, nelle Guttifere, nelle Dipterocarpacee ecc.), quelli mucipari (in alcune Malvacee, Sterculiacee e Tiliacee) e quelli oleiferi (in molte Ombrellifere).
Possono assumere funzione ghiandolare alcune piccole cellule parenchimatiche, al cui complesso si dà il nome di “epitema”, prive di clorofilla e poste sotto gli stomi acquiferi. Esse eliminano l'acqua sotto forma di piccolissime gocce (guttazione) (guttazione) allorché le condizioni ambientali non consentono una sufficiente traspirazione. Alla medesima 59
funzione sono deputate anche cellule epidermiche specializzate e formazioni tricomatose pluricellulari.
Tessuti meccanici e di sostegno
Molti organismi inferiori (Alghe, Funghi) devono la resistenza meccanica esclusivamente al turgore cellulare. Ciò si verifica quando la cellula ha assorbito dall'esterno tanta acqua quanto lo consente l'elasticità della sua parete che diventa tesa e consistente, Lo stesso fenomeno presentano alcuni tessuti, destinati a dare solidità 60
all'organismo. Naturalmente nelle piante superiori il turgore cellulare assicura una certa resistenza soltanto nei primissimi periodi di vita oppure, nello stadio adulto, a particolari organi (es.: foglie, petali). Ad accrescimento ultimato, una pianta è sottoposta a molteplici forze quali peso, pressione, piegamento, trazione ecc. Inoltre molti tessuti, del tutto o parzialmente morti in seguito alla specializzazione, hanno perduto la capacità di divenire turgidi, possibile soltanto in cellule vive. Pertanto i vegetali devono produrre dei tessuti meccanici o di sostegno che assicurino a tutte le parti adulte un grado permanente di resistenza. Tali tessuti sono costituiti da cellule con pareti ispessite e senza spazi intercellulari. L'irrigidimento della parete conferisce resistenza e determina contemporaneamente una struttura concamerata in grado di dare, oltre alla solidità, anche leggerezza all'organo. In relazione al diverso tipo di ispessimento delle pareti, i tessuti di sostegno si distinguono in collenchimatici e sclerenchimatici. Collenchima. È
un tessuto di saldatura, originato dai meristemi apicali del caule,
formato da cellule vive, con ispessimenti a zona, della parete; le parti rimaste sottili consentono gli scambi intercellulari e ulteriori aumenti di volume per distensione. In rapporto a tali caratteristiche il collenchima si trova di preferenza negli organi in via di accrescimento, come le porzioni giovani del fusto e dei rami, i piccioli e le nervature fogliari; è presente, sotto forma di creste sporgenti, nel fusto erbaceo di molte Ranuncolacee e Labiate e manca invece nelle radici normali; raramente compare nelle cortecce delle radici aeree. Le cellule de collenchima si presentano sotto forma prismatica più o meno allungata; il citoplasma è ricco di cloroplasti e le pareti longitudinali, di natura celluloso-pectica, sono inegualmente ispessite. Il massimo spessore si verifica generalmente nei punti ove confluiscono più cellule, dando origine ad ammassi triangolari quadrangolari o poligonali (collenchima angolare). Nel sambuco. nel rabarbaro e in altre piante, l'ispessimento interessa le pareti tangenziali (collenchima lamellare); in molte Asteracee o Composite, nella malvacee, si riscontra nelle pareti a contatto con spazi intercellulari (collenchima lacunato). Tali disposizioni degli strati cellulosici sulle pareti conferiscono elasticità e rigidità al tessuto collenchimatico il quale, accrescendosi per distensione, segue lo sviluppo degli organi e li rende resistenti allo schiacciamento e alla flessione.
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Selerenchima. È
un tessuto che offre una resistenza molto maggiore, a differenza dei
collenchima; è costituito da cellule che presentano un ispessimento totale e omogeneo della parete in genere dovuto alla lignina. Il processo sclerotizzazione che fa morire le cellule e arresta l'accrescimento del tessuto è completo quando la pianta si trova al termine della propria crescita. In tal modo lo sclerenchima viene a costituire una specie di scheletro. Le cellule che lo formano si distinguono in sclereidi, quando si sviluppano ugualmente nelle tre direzioni dello spazio assumendo aspetto tondeggiante, poliedrico o ramificato, e in fibre, che si accrescono maggiormente in lunghezza fino a diventare fusiformi o filiformi. Le prime, dette anche “cellule petrose”, sono distribuite in molti organi: tipicamente tondeggianti o poligonali si trovano a gruppi nella polpa delle pere, irregolarmeiìte ramificate e solitarie nelle foglie del tè e nel guscio di taluni frutti, a forma di stella nelle foglie di Trochodendrum, a bastoncino nei tegumenti del seme di molte Leguminose. Hanno origine da cellule giovanili precocemente differenziatesi in “primordi di sclereidi” oppure da cellule di tessuti epidermici e parenchimatici che vanno soggette a un processo di sclerosi. Allo stato giovanile presentano citoplasma, nucleo e vacuoli; successivamente la cavità cellulare si oblitera in seguito alla 62
lignificazione o mineralizzazione della parete traversata da porocanali semplici o ramificati.
Le fibre raggiungono lunghezze notevoli, variabili da specie a spcecie (in Tilia da 1 a 2,5 mm, in Linum da 20 a 40 mm, in Stipa tenacissima da 50 a 350 mm). Posseggono una parete cellulosica (nel lino) oppure lignificata in parte (nella canapa) o completamente (nella iuta) con pochi porocanali e talmente spessa che la cavità cellulare risulta puntiforme. In considerazione della la posizione occupata nella pianta si classificano in fibre xilematiche o del legno, ed extraxilari. A queste ultime, derivate da meristemi apicali e laterali, appartengono tutte le fibre che non fanno parte del legno: le corticali poste nella corteccia, le liberiane nel libro, le perivascolari a forma di guaina avvolgente i fasci conduttori. Le fibre sono quasi sempre addossate fra loro a formare gruppi o fasci, come si osserva nei fasci floematici di lino, di canapa e di iuta, che rappresentano le più utilizzate fibre vegetali. Quelle xilematiche si trovano nel metaxilema e nel legno secondario delle Angiosperme frammiste ai vasi e alle cellule parenchimatiche. Hanno la parete sempre lignificata, la forma, la lunghezza lunghezza e la frequenza delle punteggiature punteggiature variano da specie a specie. Talvolta presentano pareti divisorie trasversali e restano vive per lungo tempo accumulando accumulando amido, resine, oli e cristalli di ossalato di calcio. Appartengono Appartengono alle fibre f ibre xilematiche le fibro-tracheidi le quali, presentando una struttura intermedia tra le fibre xilematiche e i vasi chiusi, assumono sia funzione meccanica sia 63
di conduzione. Esse costituiscono il legno di tipo più primitivo delle Gimnosperme e si trovano raramente nelle Angiosperme: per questo motivo molti autori sostengono che le fibre xilematiche derivano per modificazione morfologica e specializzazione funzionale dalle fibro-tracheidi.
I complessi delle selereidi e delle fibre sono detti “stereomi”. Essi sono distribuiti nei diversi organi vegetali secondo principi di meccanica così rigorosi da conseguire il massimo rendimento con il minimo dispendio di materiale, e in modo tale da lasciare la maggior parte dello spazio a disposizione di tessuti non meccanici nei quali si svolgono le funzioni vitali. Negli organi più sottoposti a sforzi di piegamento, come i fusti, i rami 64
e i piccioli fogliari, i tessuti meccanici si dispongono in forma di fasci a doppia T fra loro incrociati (es.: nelle Lamiacee o Labiate), oppure di molti cordoni a doppia T saldati tra loro per le ali o uniti da materiali dotati di una certa resistenza (es.: il culmo delle Graminacee). Molti altri schemi si riscontrano nei fusti delle Angiosperme e delle Gimnosperme. Nella foglia, la cui lamina è sottoposta a forze tendenti a piegarla in direzione perpendicolare alla superficie, gli stereomi formano una specie di travatura disposta perpendicolarmente alla lamina. Le radici, i fusti sommersi e i rizomi devono opporre resistenza a sforzi di trazione; per questo motivo tutti i tessuti meccanici sono riuniti in un unico cordone centrale. centrale.
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Anatomia delle piante
L'anatomia delle piante studia la struttura interna, le cellule ed i tessuti delle piante nello stadio adulto e durante lo sviluppo. Le piante sono costituite da diversi tipi di cellule che tendono ad organizzarsi in tessuti o sistemi di tessuti. La conoscenza dell'anatomia delle piante è alla base di molte altre discipline. Le Cormofite sono i vegetali che hanno compiuto la conquista dell'ambiente subaereo, adattandovisi perfettamente. Soltanto poche specie, per adattamenti successivi, sono tornate all'ambiente acquatico, conservando conservando parte degli organi aerei come le ninfee e le specie di Potamogeton, o rinunciando completamente ai contatti con l'aria come Posidonia
e Zostera. Si tratta però di pochi esempi su centinaia di migliaia di specie
viventi attualmente. Il fatto di svilupparsi a contatto con l'aria ha portato le piante alla necessità di avere un rivestimento esterno capace di limitare o di regolare le perdite di acqua dall'interno del corpo, e quindi alla comparsa di tessuti specializzati (epidermidi e sughero) e di apparati regolatori degli scambi gassosi, quali gli apparati stomatici. Contemporaneamente, la presenza di un fusto aereo, normalmente eretto, ha posto il problema della distribuzione delle sostanze nell'interno del corpo, risolto con il differenziamento differenziamento di speciali tessuti conduttori (libro e legno). Un ulteriore problema che si è presentato con il passaggio dall'ambiente acquatico a quello aereo è stato quello statico, cioè quello di poter mantenere eretto il corpo, dato che la posizione eretta è la più adatta a questo nuovo ambiente. Anche questa difficoltà è stata superata con il differenziamento differenziamento di tessuti specializzati proprio nelle funzioni meccaniche: meccaniche: collenchima e sclerenchima. È quindi anche giusto affermare che le Cormofite sono vegetali in cui compare una netta differenziazione in “ veri tessuti”. Anche nella modalità di divisione delle cellule si nota qui una netta differenza, in quanto non si ha più la formazione di un setto a partire dall'esterno, ma la comparsa di una particolare struttura, il fragmoplasto, che costituisce una prima parete divisoria, la lamella mediana in direzione centrifuga. Poi ogni cellula costruisce contro questo primo strato una propria parete primaria e una secondaria. La continuità fra i due protoplasmi resta però assicurata dai plasmodesmi. Nelle Cormofite, come già nelle Tallofite più evolute, evolute, le cellule non mantengono mantengono tutte la capacità di dividersi, che resta esc1usiva di gruppi particolari di cellule, i meristemi. Le Cormofite hanno poi spinto molto più avanti il processo di differenziazione dando 66
origine a organi ben distinti o con funzioni diverse: in primo luogo delle porzioni laminari, le foglie, più adatte a ricevere la luce e quindi specializzate nel processo fotosintetico; delle porzioni sotterranee a sviluppo notevolissimo, le radici, specializzate specializzate nella funzione di assorbimento dell'acqua e di ancoraggio al suolo; e un fusto, con funzioni di supporto, di collegamento e di conduzione. È questa la ragione per cui molti autori considerano come Cormofite le piante che possiedono radici, fusto e foglie, e che presentano una netta distinzione distinzione in tessuti. tessuti.
Generalizzando così la definizione, sorge però un problema, ossia non si sa come considerare le Briofite, cioè i Muschi e le Epatiche. In questi vegetali, infatti, non si ha una notevole differenziazione di tessuti: mancano sia tessuti di sostegno e sia conduttori marcatamente differenti dagli altri tipi cellulari, e in alcuni di essi, le Epatiche, il corpo ha perfino un'organizzazione talloide. Gli autori moderni, considerando soprattutto gli organi riproduttivi che corrispondono a quelli delle vere Cormofite, sono dell'idea che Muschi ed Epatiche rappresentino un ramo laterale della linea evelutiva che ha portato 67
alle piante superiori, soggetto forse anche a un processo di evoluzione regressiva. Essi rappresenterebbero probabilmente soltanto uno stadio attraverso cui sono passate le primitive piante terrestri, evolvendosi evolvendosi poi verso le vere Cormofite. D'altra parte i confronti anatomici con questi vegetali sono resi ancor più ardui dal fatto che in essi le parti che svolgono le funzioni vegetative sono tutte costituite da cellule aploidi, rappresentando rappresentando la fase gametofitica, mentre negli altri gruppi, dalle Pteridofite in avanti, queste funzioni sono svolte essenzialmente dalla fase sporofitica diploide. Un problema molto discusso è altresì la primitività dei diversi organi, ossia se sia più antica la foglia o il fusto. Se si osservano molte Epatiche con la loro organizzazione ancora “a tallo”, ma con una netta differenziazione strutturale interna, viene da pensare di trovarsi di fronte alle forme più primitive di piante terrestri, costituite praticamente da una foglia adagiata sul substrato. Si è però già accennato come queste siano da considerarsi forme regredite più che primitive. Studiando lo sviluppo dell'embrione, a partire dallo zigote, di una felce acquatica, Ceratopteris thalictroides, Chauveaud osservò che esso differenziava dapprima una lamina fogliare, poi una radice; processo analogo si ripeteva per la seconda foglia che compariva lateralmente, mentre soltanto in un secondo tempo la porzione di collegamento collegamento fra le due foglie assumeva assumeva posizione posizione assile, differenziandosi differenziandosi in fusto. Su queste basi egli, nel 1921, formulò la teoria cosiddetta della 'filloriza' (dal greco phyllon = foglia, e rhiza = radice) secondo la quale il fusto sarebbe comparso solo in seguito alle foglie, come organo di collegamento. Contro questa teoria però, oltre ai dati sullo sviluppo embrionale di molte specie, vi sono anche parecchi reperti paleontologici paleontologici che ci indicano come più antiche le Psilofitali, piante in cui praticamente l'unico organo ben sviluppato è il fusto. Si deve perciò ritenere che il primo organo differenziato dalle piante terrestri sia stato il fusto e che in seguito siano comparse le foglie e le radici. Il fusto.
Il fusto, o caule, prende origine dallo sviluppo della gemma apicale o caulinare dell'embrione e rappresenta la porzione assile del cormo. Esso porta come appendici laterali le foglie e le collega con l'apparato radicale. Ha funzioni di trasporto dell'acqua e dei sali disciolti in essa, dal basso verso l'alto, e delle sostanze elaborate dalle foglie
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dall'alto verso il basso. Può funzionare da organo di riserva, specialmente nelle piante legnose e nelle porzioni sotterranee (rizomi, bulbi, tuberi).
La struttura più semplice del fusto si ritrova nei Muschi. Fra essi nelle Andreaeales il fusto in sezione si presenta formato da cellule tutte uguali. Nelle Bryales
le strutture si complicano, si differenziano un'epidermide, spesso con cellule a pareti ispessite con funzioni di sostegno (stereidi) e una massa centrale di cellule tutte uguali, come nelle Neckera. In altri Muschi, come in Atrichum, si ha anche una differenziazione 69
in una zona corticale e in una porzione centrale con cellule a funzione conduttrice. Questa struttura è quella che si conserverà come schema generale di organizzazione in tutti i fusti delle Cormofite. La struttura più complessa nel fusto dei Muschi appare nei Polytrichum, in cui il centro è occupato da una massa di cellule allungate e a parete fortemente ispessita (stereomi) che svolgono funzioni di sostegno; fra queste si trovano cellule notevolmente grosse che hanno la funzione di riserve di acqua (idroidi) e che da alcuni autori vengono interpretate come vecchie cellule conduttrici modificate. Su tre lati di questa colonna centrale si trovano tre cordoni di cellule conduttrici (leptoidi). Attorno si nota il parenchima corticale ed esternamente l'epidermide.
Nelle Pteridofite e nelle Spermatofite lo schema di struttura che già è apparso nei Muschi si conserva, e il fusto può essere distinto in due regioni anatomiche, la corteccia e il cilindro centrale che comprende tutti i tessuti conduttori. Basandosi proprio su questa organizzazione fondamentale, Van Tieghem (1886) ha formulato la sua “teoria della stele”, che spiega in modo abbastanza completo l'evoluzione delle strutture del fusto. Per questo autore la “stele” corrisponde al cilindro centrale ed è tutta la porzione centrale del fusto, comprendente il legno, il libro e gli eventuali parenchimi, e limitata esternamente dallo strato più interno della corteccia che può differenziarsi e costituire l'endoderma. Il tipo di stele più primitivo è la “protostele”, costituita da una massa centrale compatta di legno, circondata da un anello di libro. Nel suo schema più 70
semplice, l’”aplostele”, si ritrova nelle prime piante terrestri, le Psilofitali fossili dei generi Rhynia e Horneophyton, e nella porzione basale del fusto di Pteris aquilina. Variazioni in questa struttura basilare compaiono in conseguenza della forma assunta dalla massa legnosa, che può avere una disposizione raggiata, dando così la “actinostele”, come si può osservare nel fusto degli Psilotum e in alcune specie di Lycopodium
e anche nel cilindro centrale della radice in struttura primaria delle
Gimnosperme e delle Dicotiledoni. Se il legno risulta costituito da masse parallele frammiste al libro si ha la “plectostele”, caratteristica del fusto di molti Lycopodium. Un'ulteriore complicazione si può avere col frammentarsi della massa legnosa in singole masserelle isolate, dando la “polistele” tipica delle Selaginelle. Nel corso dell'evoluzione, dell'evoluzione, però, queste strutture sono state presto superate, e con la comparsa di un parenchima midollare al centro, riducendo così anche il legno a un anello, si è costituita la “sifonostele”. Il libro può rimanere solo esterno e allora si parla di sifonostele ectofloica, come in Botrychium e in Osmunda, oppure può comparire nuovamente all'interno e si parla allora di sifonostele anfifloica, come si può osservare in Marsilea, in Adianthum e
nella porzione basale di Pteris aquilina. In questi casi frequentemente
compare anche un nuovo endoderma a separare internamente il libro dal parenchima midollare, e questa particolare stele viene allora distinta con il nome di “solenostele”. A complicare la struttura del cilindro centrale interviene la comparsa delle foglie in cui una parte dei vasi si trasferisce a costituire la traccia fogliare. Questo fa sì che a livello della divergenza della traccia fogliare dal cilindro centrale si formi una zona priva di elementi vascolari e occupata da parenchima, quella che è stata definita una “lacuna”. Queste lacune possono differire molto per forma e per posizione; nelle piante superiori esse confluiscono fra loro longitudinalmente, riducendo le porzioni vascolari a una specie di reticolo, per cui in sezione queste appaiono come piccole masse isolate, le “meristeli” o “fasci vascolari” secondo le prime definizioni e la stele viene defInita una “dictiostele”. Le singole meristeli possono trovarsi tutte su di un cerchio attorno al parenchima midollare, come nei fusti in struttura primaria delle Ginmosperme e delle Dicotiledoni e si ha allora una “eustele”, oppure apparentemente sparse in un parenchima che non può più essere distinto in corticale e midollare e viene indicato come “parenchima “parenchima
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fondamentale”, come nel fusto delle Monocotiledoni, con una struttura che viene definita “atactostele”. “atactostele”. Si è finora accennato a una generica sezione trasversale del fusto già differenziato dei diversi gruppi di piante, si è anche fatto cenno nelle SpermatofIte a strutture primarie, il che implica la comparsa di strutture secondarie differenti, almeno in parte, da esse, esse, ma prima di continuare continuare questa esposizione esposizione è forse meglio illustrare illustrare dove e come si originano le diverse strutture del fusto. Parlando del fusto in generale, si è già detto che esso prende origine dallo sviluppo della gemma apicale o caulinare dell'embrione, bisogna quindi vedere come è organizzato questo apice caulinare.
Già nelle Tallofite più evolute si differenziano delle cellule o dei gruppi di cellule che si sono indicate come “cellule meristematiche”, le quali conservano la capacità di dividersi e permettono l'accrescimento l'accrescimento del tallo. Situazione analoga si ritrova nelle Cormofite, dove però, soprattutto in quelle più evolute, cioè nelle Spermatofite, si possono distinguere due categorie di meristemi: i meristemi primari, che derivano direttamente dai tessuti dell'embrione e che mantengono inalterata la loro caratteristica capacità mitotica, e i meristemi secondari, che derivano invece da cellule già 72
differenziate che riacquistano la capacità mitotica e funzionano ex novo da meristemi. Nel caso dell'apice caulinare ci si trova in presenza di una tipica zona meristematica primaria. Gli apici caulinari, in accordo accordo con Clowes, possono possono essere distinti in tre grandi tipi: 1) apici con una singola cellula meristematica apicale; 2) apici con cellule ordinate in file radiali; 3) apici con cellule ordinate in strati paralleli alla superficie. Il primo tipo, che può essere considerato più primitivo in quanto si riscontra, anche se non identico, in alcune Tallofite, è caratterizzato da una cellula apicale normalmente tetraedrica, più grossa delle cellule vicine, che si divide alternativamente in modo parallelo alle tre facce interne del tetraedro, originando così nuove cellule. Un apice di questo tipo lo si riscontra nelle Briofite e, fra le Pteridofite, negli Equiseti, in alcune Selaginelle e in molte Felci. Il secondo tipo, molto meno diffuso, è caratterizzato da un gruppo di cellule iniziali superficiali, che dividendosi danno origine a file di cellule che convergono all'interno verso il centro dell'apice. Apici così organizzati sono presenti in alcune Gimnosperme Gimnosperme (Cicadacee). (Cicadacee). Le rimanenti Gimnosperme e tutte le Angiosperme hanno invece apici caulinari in cui si possono osservare strati sovrapposti di cellule più o meno paralleli alla superficie. Proprio a causa di questa apparente stratificazione dei meristemi caulinari, dopo il tentativo di applicare anche a essi la teoria della presenza di una sola cellula iniziale (Hofmeister, 1862) diverse teorie si sono succedute per spiegare l'organizzazione e il funzionamento di questi meristemi. Una delle prime è la 'teoria degli istogeni' (Hanstein, 1864), più facilmente applicabile agli apici radicali, che presuppone la presenza di cellule meristematiche iniziali, derivate da un promeristema apicale, che si differenzierebbero dall'esterno all'interno in dermatogeno, responsabile della formazione del tessuto epidermico, periblema, che dà origine ai tessuti della corteccia, e pleroma, che sviluppa il cilindro centrale. Poichè anche i dati sperimentali non confermano questa stretta predestinazione delle cellule meristematiche, è stata in seguito formulata un'altra teoria, basata essenzialmente sui piani di divisione divisione delle cellule, cellule, la 'teoria della tunica-corpus' tunica-corpus' di Schmidt (1924). (1924).
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Se si osserva una sezione dell'apice caulinare si nota che gli strati superficiali, da uno a cinque a seconda della pianta presa in considerazione, hanno divisioni cellulari prevalentemente prevalentemente anticlinali, cioè perpendicolari perpendicolari alla superficie e rimangono abbastanza 74
distinti da quelli sottostanti in cui le divisioni avvengono un po' in tutte le direzioni, sia anticlinali sia periclinali. Il primo gruppo di strati costituisce la tunica, la massa centrale il corpus. Tunica e corpus non hanno più una netta predestinazione predestinazione per quanto riguarda i tessuti a cui daranno origine, soltanto nel caso in cui la tunica sia unistratificata essa coincide con il dermatogeno; dermatogeno; hanno invece diverse funzioni nella costituzione dell'apice, in quanto la tunica ne estende la superficie, mentre il corpus ne ingrossa la massa. Questa teoria si adatta bene anche alla comparsa di abbozzi fogliari o di rami laterali, la cui origine è sempre superficiale.
Sempre dal punto di vista dell'attività delle diverse cellule dell'apice caulinare si può ancora ricordare la “teoria di Buvat” (1952), anche se essa non è sempre dimostrabile come valida, soprattutto per l'affascinante analogia che essa pone fra l'apice caulinare e quello radicale. Secondo Buvat, infatti, in alcune Dicotiledoni e in diverse Monocotiledoni, un gruppo più superficiale di cellule costituirebbe il cosiddetto “meristema di attesa”, e avrebbe un ritmo di divisioni non molto alto, mentre alla base di esso si avrebbe uno strato concavo molto più attivo che costituirebbe l’”anello iniziale” il quale sarebbe il vero responsabile dell'accrescimento dell'apice. Al di sotto si troverebbe il meristema midollare. Anche il fusto quindi, nella sua porzione terminale, avrebbe un gruppo di cellule meristematiche non direttamente interessate nei fenomeni di accrescimento, simile al centro quiescente della radice. Altri autori, tra i quali Clowes, hanno proposto altre suddivisioni in zone dell'apice caulinare, ma questi schemi
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risultano troppo complicati e non sempre facilmente evidenziabili. Durante i fenomeni di sviluppo, lateralmente all'apice, compaiono gli abbozzi fogliari e i primordi dei rami laterali e si formano così la gemma apicale e le gemme ascellari. Con la crescita successiva si vengono a individuare nettamente zone di inserzione di foglie o “nodi” e zone intermedie o “internodi” e si giunge così all'abbozzo del fusto adulto.
Contemporaneamente
ai
fenomeni
di
allungamento,
all'inizio
legati
essenzialmente alla moltiplicazione delle cellule e in un secondo tempo dovuti alla distensione delle cellule stesse, si hanno anche i processi di differenziamento che portano alle “strutture primarie”. In base alle possibilità di differenziamento differenziamento possiamo 76
distinguere ancora nell'apice lo strato superficiale o protoderma, la porzione che dà origine ai tessuti conduttori o procambio e il meristema fondamentale dal quale prenderanno origine i diversi parenchimi. La prima a differenziarsi è l'epidermide, spesso già ben distinguibile a poca distanza dall'apice; in seguito si caratterizza il procambio, soprattutto per il permanere della sua attività meristematica quando i parenchimi sono già in fase di vacuolizzazione vacuolizzazione delle cellule. Esso dà origine a cellule allungate, riunite a gruppi che formano cordoni longitudinali, quelli che danno origine alle singole meristeli o fasci vascolari. In questi cordoni le prime cellule che si differenziano sono le primarie floematiche, i primi elementi del libro che compaiono al limite con la zona corticale. Poco dopo all'interno compare il protoxilema e cioè i primi elementi del legno, rappresentati da tracheidi anulate e spiralate. Continuando il differenziamento, quando sono praticamente terminati i fenomeni di allungamento, compaiono gli elementi del metaxilema e del metafloema, cioè i veri vasi, rispettivamente all'esterno del protoxilema e al l'interno del protofloema. In questo modo i tessuti conduttori all'interno di ogni singola meristele tendono a confluire. Qui si può osservare una netta differenza fra Monocotiledoni e Dicotiledoni. Infatti nelle prime il differenziamento del metaxilema e del metafloema interessa tutti gli elementi meristematici presenti, quindi legno e libro vengono veramente a contatto l'uno all'interno dell'altro, per cui i loro complessi si possono individuare come 'fasci collaterali', e con la scomparsa delle cellule meristematiche cessa ogni possibilità di accrescimento ulteriore del fascio. Si parla quindi di “fasci chiusi”. Nelle Dicotiledoni invece si ha il permanere fra legno e libro di uno strato di cellule meristematiche, che formano il cambio intrafasciale, per cui si parla di “fasci collaterali aperti”. La differenza fra Monocotiledoni e Dicotiledoni per quanto riguarda la struttura primaria del fusto appare più evidente se si effettua una sezione a una certa distanza dall'apice.
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Sezionando a livello di un internodio, si osserva nelle Dicotiledoni, al di sotto dell'epidennide, dell'epidennide, una fascia di parenchima corticale all'interno del quale si ha un anello di fasci vascolari, separati fra loro da zone di parenchirna che costituiscono i raggi midollari primari, e al centro una zona di parenchima midollare. Nelle Monocotiledoni, invece, al di sotto dell'epidermide non sono più distinguibili una zona corticale e una zona midollare, ma si ha un parenchima fondamentale nel quale stanno immersi apparentemente a caso molti fasci sparsi. Questa differenza è dovuta al diverso decorso che i gruppi di cellule conduttrici hanno nel fusto. Nelle Dicotiledoni i fasci decorrono più o meno parallelamente alla superficie, penetrando nelle tracce fogliari più o meno a livello dell'inserzione delle foglie. Nelle Monocotiledoni, invece, le tracce fogliari penetrano obliquamente nel fusto, portandosi verso il centro di esso; di qui la disposizione apparentemente sparsa dei fasci in una sezione trasversa. Si realizzano così le due strutture più complesse della stele: l"eustele” e l"atactostele”. In qualche Monocotiledone, specialmente nelle porzioni sotterranee del fusto (rizomi), il legno si accresce lateralmente lateralmente fino a circondare completamente il libro e si formano così dei fasci concentrici perixilematici. In un numero ristretto di famiglie di Dicotiledoni (Cucurbitacee, Solanacee e poche altre) si ha la comparsa di uno strato di libro anche all'interno del legno, con la formazione di fasci bicollaterali. Spesso ad accompagnare le 79
colonne di elementi vascolari si differenziano dei cordoni di fibre fi bre sclerenchimatiche con funzioni di sostegno, che nelle Monocotiledoni possono circondare completamente il fascio originando la cosiddetta “guaina sclerenchimatica” sclerenchimatica” .
In altri casi, per irrobustire il fusto a partire dal parenchima corticale, si differenziano dei cordoni di collenchima, come ad esempio nei Rumex, che possono
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sporgere come costole, o anelli di sclerenchima che occupano la zona più periferica come nei bambù e in molte Graminacee. . Per molte MonocotiIedoni e per diverse Dicotiledoni erbacee i differenziamenti del fusto si fermano a questo punto, ma per le Gimnosperme e le Dicotiledoni arboree specialmente, e per alcune Monocotiledoni, dopo un periodo di attività vegetativa il fusto continua ad accrescersi, assumendo una “struttura secondaria” .
Nelle Gimnosperme e nelle Dicotiledoni il raggiungimento raggiungimento di questo nuovo tipo di struttura avviene con un incremento del meristema cambiale, che si salda ad anello uscendo dalla zona intrafasciale e occupando anche le zone interfasciali. 81
Il cambio interfasciale prende in parte origine da una proliferazione laterale del meristema compreso nei singoli fasci e in parte da uno sdifferenziamento del parenchima interposto interposto ai fasci. Si viene così a formare un anello anello completo di cambio, un meristema secondario, che inizia la sua attività producendo verso l'interno legno e verso l'esterno libro. In breve il fusto presenta quindi al centro una porzione midollare circondata da due anelli concentrici di legno e di libro, separati dal tessuto cambiale. Questo porta a delle complicazioni, in quanto la presenza di queste masse continue di elementi conduttori orientati in senso longitudinale rende difficili gli scambi orizzontali nel fusto, per cui contemporaneamente al legno e al libro il cambio, a partire da alcune sue cellule più corte di quelle che fungono da iniziali per i vasi, differenzia delle serie di cellule parenchimatiche che si accrescono in senso trasversale e interrompono le zone legnose e liberiane, i raggi midollari. I raggi midollari permettono così un collegamento fra il parenchima corticale e il parenchima midollare. Il successivo accrescimento del fusto porta alla formazione, f ormazione, verso l'interno, di una massa legnosa sempre più grossa, per cui Il cambio viene spinto sempre più alla periferia e continua ad allargarsi di diametro grazie a delle serie di divisioni anticlinali delle sue cellule. La produzione di nuovi elementi vascolari da parte del cambio, specialmente nelle regioni con ben accentuate differenze climatiche stagionali, che impongono un periodo di riposo spesso coincidente con la caduta delle foglie, non segue un ritmo costante. La massima produzione, caratterizzata anche da vasi, soprattutto legnosi, più grossi, si ha all’inizio del periodo vegetativo, quando si ha la schiusura delle gemme, mentre verso la fine del ciclo annuale gli elementi formati sono discretamente scarsi e notevolmente più piccoli. Nel periodo di riposo manca generalmente ogni produzione da parte del cambio. Si ha cosl un'alternanza di vasi grossi e di vasi piccoli, molte volte accentuata dalla deposizione verso la fine del periodo vegetativo di tannini e flobafeni a livello delle pareti, che conferiscono un colore più scuro agli ultimi strati di cellule. Questo dà i caratteristici “cerchi annuali” del legno, riconoscibili spesso anche a occhio nudo.
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Nel libro queste strutture sono sono difficilmente osservabili osservabili in quanto l'accrescimento l'accrescimento verso l'esterno del legno, le cui cellule hanno pareti notevolmente resistenti perchè ispessite di lignina, schiaccia gli elementi cribrosi vecchi non più funzionanti e meno resistenti. Naturalmente con l'accrescersi della massa la funzione di collegamento 85
orizzontale effettuata dai raggi midollari primari risulta insufficiente, per cui si ha ogni anno la produzione di nuove serie di raggi midollari secondari che si interpongono ai precedenti a distanze abbastanza regolari. La differenza fra questi nuovi raggi e i raggi primari è data essenzialmente essenzialmente dal fatto che che essi non sono più in rapporto rapporto con il midollo e con la corteccia, ma si iniziano da un anello di legno e terminano contro il corrispondente anello di libro. Mentre avvengono queste trasformazioni nel cilindro centrale, già durante il primo anno di vita, si ha la comparsa di nuove strutture anche nella zona periferica. La comparsa di legno secondario infatti provoca lo sviluppo in diametro del fusto, ma l'epidermide, che fino a questo momento ha svolto le funzioni protettive in superfIcie, avendo cellule non più atte a moltiplicarsi, non può seguire queste variazioni e si rompe. Per creare nuovi strati protettivi superficiali si differenzia allora a livello del parenchima corticale, spesso dallo strato subepidermico o talvolta a livello del libro primario (generi Vitis, Berberis), un nuovo meristema, il fellogeno, il quale produce strati di sughero o fellema all'esterno, e all'interno un tessuto di tipo parenchimatico, parenchimatico, il i l felloderma. La comparsa di sughero, con le sue cellule regolarmente impilate, prive di spazi intercellulari e con pareti rivestite di suberina, crea uno strato impermeabile che si sostituisce all'epidermide. Il differenziamento e il funzionamento del fellogeno non avvengono contemporaneamente e regolarmente su tutta la superfIcie del fusto, ma spesso si hanno aree attive e aree inattive; inoltre ogni anno o più frequentemente si possono originare più in profondità nuovi strati di questo meristema (ritidorni). Questo fa sì che le parti superfIciali possano distaccarsi e cadere in modo molto diverso, dando gli aspetti caratteristici delle scorze dei tronchi (dette volgarmente e impropriamente cortecce) che possono avere anche valore sistematico (platano, ciliegio, betulla). Ciò porta alla progressiva eliminazione del parenchima corticale e del libro non più attivo, per cui nei vecchi fusti la massa è praticamente rappresentata solo dal legno. Se il sughero formasse uno strato continuo alla superfIcie del fusto, gli scambi gassosi che attraverso l'epidermide erano consentiti dagli stomi verrebbero a mancare. Dal fellogeno, però, qua e llàà si differenziano anche gruppi di cellule non appiattite come quelle del sughero, ma simili a quelle parenchimatiche, con spazi intercellulari, che facendo ernia sugli strati più esterni li rompono dando origine alle “lenticelle”. Attraverso queste aperture, che possono venire 86
chiuse alla fine del periodo vegetativo dalla produzione alla loro base di uno strato di sughero, si ripristina la possibilità degli scambi gassosi fra l'interno del fusto e l'atmosfera. Come si è già accennato, queste strutture secondarie sono tipiche delle Ginmosperme e delle Dicotiledoni; non bisogna però pensare che il fusto in struttura secondaria nei due gruppi si presenti identico. Una differenza fondamentale è data dal
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tipo di legno, che nelle Ginmosperme è formato soltanto da fIbrotracheidi, che svolgono contemporaneamente le funzioni di sostegno e di conduzione, per cui si presenta tutto uniformemente costituito e infatti si parla di “strutture omoxile”. Nelle Dicotiledoni invece il legno risulta formato da vasi, fIbre e cellule parenchimatiche, per cui si parla di “strutture eteroxile”. Altra differenza, meno netta però, è data dai raggi rnidollari che nelle Ginmosperme hanno normalmente lo spessore di una sola cellula, mentre nelle Dicotiledoni sono normalmente costituiti da più strati di cellule. Inoltre nel fusto di molte Ginmosperme, sia nella regione corticale, sia nel legno sono presenti canali resiniferi. Di regola le Monocotiledoni non possiedono un accrescimento secondario, secondario, ma in alcune Liliiflore, come nei generi Dracaena, Jucca, Aloë , Cordyline, si può avere la comparsa di un meristema secondario, non nel cilindro centrale, ma alla periferia del fusto. Da questo meristema prendono origine sia cellule parenchimatiche che permangono tali, salvo talvolta andare incontro a un processo di lignificazione, sia cordoni procambiali che differenziano fasci chiusi completi. In questo modo il fusto aumenta di diametro senza variare la sua struttura, che permane perciò atactostelica. Fin dal primo apparire delle piante terrestri, l'asse del fusto ha presentato la tendenza alla “ramifIcazione”. Anche nelle Rhynia e negli Horneophyton e Asteroxylon, che rappresentano rappresentano le PsilofIte fossili, primi esempi di piante terrestri, il fusto si presenta già
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ramifIcato. Il tipo di ramifIcazione più primitivo, oggi quasi praticamente scomparso, almeno nelle piante superiori, è la ramifIcazione dicotomica. Essa è facilmente realizzabile nel caso di un'unica cellula apicale, in quanto una divisione longitudinale di
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questa e poi la ripresa normale delle divisioni nelle due cellule figlie assicurano la comparsa di due rami equivalenti. Si può osservare negli Psilotum e in Lycopodium complanatum
e L. alpinum. Spesso il diverso accrescimento dei due rami porta a
mascherare la dicotornia e a simulare altri tipi di ramifIcazione. Esempi si possono trovare in molti Lycopodium e nelle specie di Selaginella. 91
Un altro tipo di ramificazione, non più realizzabile a partire direttamente dalla cellula apicale ma che si origina da cellule laterali, è la “ramificazione monopodiale”. Con essa si ha l'accrescimento di un asse principale che origina rami laterali rispettivamente di I, II e III ordine, la cui importanza è via via decrescente. Strutture di questo tipo sono osservabili negli Equiseti e nelle Conifere. Non si deve dimenticare che in queste piante l'apice caulinare non ha più una singola cellula apicale. Il tipo più diffuso è però senza dubbio la “ramificazione simpodiale” nella quale l'asse principale cessa di accrescersi mentre acquistano importanza i rami di I ordine, i quali a loro volta dopo un certo accrescimento si arrestano e sopravvengono allora i rami di Il ordine e così via. Anche in questo tipo di ramificazione, a seconda dell'importanza e del numero dei rami di l, Il e III ordine, si possono avere aspetti diversi e in qualche caso simulare altri schemi. Riguardo allo sviluppo che possono assumere i rami si devono distinguere macroblasti e brachiblasti. I macroblasti hanno di regola intemodi ben sviluppati, portano parecchie foglie, prendono origine da gemme apicali e sono i responsabili responsabili dell'accrescimento del corpo del vegetale. I brachiblasti sono invece caratterizzati da intemodi estremamente raccorciati, portano in genere soltanto una rosetta di foglie e prendono origine da gemme laterali quiescenti situate lungo i rami. Appartengono Appartengono a questo secondo tipo i cosiddetti “dardi” dei più comuni alberi da frutta. Nelle Conifere i macroblasti sono i responsabili dell'accrescimento, ma portano foglie squamifonni incapaci di compiere la funzione fotosintetica. All'ascella di queste foglie rudimentali si sviluppano i brachiblasti che portano foglie capaci di fotosintesi, quelle che comunemente vengono dette 'aghi'. A complicare l'aspetto del cormo, oltre alla ramificazione intervengono anche il differenziamento e lo sviluppo di gemme avventizie, che si possono formare sia sul fusto sia sul rami e a volte anche sulla radice e persino sulle foglie. Il loro sviluppo crea nuovi assi laterali che a loro volta possono poi ramificarsi. Il modo con cui avviene la ramificazione e il diverso accrescimento e dilferenziamento dei rami portano a tipi diversi di vegetali. Se il fusto rimane per un certo tratto indiviso e poi si ramifica e in tutte le sue parti si ha un notevole sviluppo di legno, si hanno gli “alberi” (es.: sequoia, ippocastano ecc.), se invece la ramificazione avviene in prossimità del suolo o perfmo sotto il suolo stesso e si ha quindi l'emergenza di vari rami anch'essi lignificati si parla di “frutici” o “arbusti” (es.: nocciolo, 92
biancospino). biancospino). La lignificazione li gnificazione può interessare solo la base dei rami, mentre le parti più giovani possono avere ancora consistenza erbacea e venire eliminate alla fme del periodo vegetativo, vegetativo, e si hanno così così i “suffrutici”, come come ad esempio la lavanda lavanda e la salvia. salvia. In molte piante, poi, la porzione aerea non subisce praticamente alcun processo di lignificazione, e rimane verde e relativamente tenera, ancora notevolmente legata al turgore come fattore meccanico e si parla allora di “erbe” o “erbacee”. Il fusto e i rami, spesso indipendentemente dalla loro struttura prevalentemente legnosa o erbacea, possono caratterizzare i diversi vegetali per il loro portamento o habitus. Possiamo infatti avere fusti eretti come nella maggioranza delle Conifere, nei comuni alberi e in molte erbe; sarmentosi se sono addossati al terreno e che possono venire distinti in prostrati (es.. timo) e striscianti (es.. fragola) a seconda se emettono o no radici che li legano al terreno. Caratteristica di questi ultimi vegetali è la formazione di “stoloni”, cioè di rami che si diramano dalla pianta madre, radicano all'apice in corrispondenza di un gruppo di foglie e, separandosi spontaneamente dalla pianta che li ha generati, permettono così la propagazione propagazione della specie. Altri fusti vengono detti “volubili” (es.. convolvolo, glicine) se si attorcigliano a sostegni per portarsi verso la luce, e se inoltre differenziano organi di attacco, rappresentati da spine (luppolo), cirri (pisello), viticci (vite), ventose (vite del Canada), radici avventizie fulcranti (edera) ecc. si distinguono come fusti “rampicanti”. Il fusto in qualche caso può rimanere eretto ma i suoi rami ricadere verso il suolo, come nel salice piangente (portamento piangente) oppure portarsi verso il basso per poi rialzarsi nella parte terminale come nel fico (portamento procombente), procombente), e talvolta nella pratica del giardinaggio si selezionano selezionano varietà caratterizzate da questi portamenti. Un caso che va ancora menzionato è dato da quelle piante in cui il fusto praticamente non si sviluppa, le cosiddette piante “acauli”, caratterizzate da una rosetta basale di foglie da cui si innalzano direttamente i fiori, oppure un asse fiorale normalmente privo di foglie o “scapo” (primula, cipolla, asfodelo). In relazione all'ambiente poi, e soprattutto alle condizioni am bientali più sfavorevoli, il fusto può andare incontro a modificazioni più o meno profonde trasformandosi trasformandosi tutto o in parte in organi con funzioni estremamente diverse. diverse. Un esempio è dato dai cosiddetti “fusti sotterranei”, i quali rappresentano l'unica parte perennante della pianta, mentre la porzione aerea annualmente muore. Il rizoma (es.: mughetto, 93
Felci) è un fusto che ha perso il suo caratteristico geotropismo negativo che normalmente spinge i fusti verso l'alto, ma è dotato di plagiotropismo e si sviluppa parallelo alla superficie del suolo, al disotto di essa, e conserva ancora un aspetto più o meno cilindrico e un accrescimento apicale. Più modificato è il tubero (es.: patata) in cui la porzione midollare ha avuto uno sviluppo notevolissimo ed è ricca di materiali di riserva. Scompare però l'accrescimento apicale e sulla superficie di questa formazione più o meno sferica si differenziano gemme (occhi) capaci di dare origine a fusti aerei. Nel bulbo (es.: cipolla, tulipano) il fusto è praticamente ridotto a una porzione laminare tondeggiante, il “girello”, su cui prendono origine da una parte una rosetta di foglie modificate in organi di riserva che circondano una gemma e dall'altra le radici. Il bulbotubero è una struttura affine al bulbo in cui le scaglie sono in parte saldate (es.: colchico). Altro esempio è dato dai “fusti succulenti” o “carnosi” in cui la principale funzione è l'immagazzinamento di acqua, per cui la forma esterna può diventare tozzamente cilindrica o sferica (es.: euforbie e Cactacee) e secondariamente, per riduzione delle foglie, il fusto diventa anche l'organo fotosintetico (cladodi, come nel pungitopo). Trasformazioni Trasformazioni di parti del fusto si hanno quando si formano spine a partire da brachiblasti come in Prunus spinosa e in Gleditschia triacanthos o organi di attacco come in Vitis e in Ampelopsis. La foglia.
La foglia è nel caso più generale un organo laminare specializzato nelle funzioni fotosintetiche. Mentre la sua origine embrionale è, almeno nelle piante superiori, contemporanea a quella del fusto, in quanto si differenzia nella gemma a partire dalla stessa zona meristematica che presiede allo sviluppo del fusto, dal punto di vista filogenetico si può quasi con assoluta certezza ammettere una sua derivazione dal fusto. Infatti fra le prime piante terrestri di cui ci siano pervenuti i resti fossili, si possono trovare i generi Rhynia e Horneophyton, costituiti unicamente dal fusto che presenta ramificazioni dicotomiche, ma già in piante della stessa era come Asteroxylon e Pseudosporochnus Pseudosporochnus compaiono
i primi esempi di strutture riferibili a foglie. E già in
queste piante del Devoniano si vedono comparire i due tipi fondamentali di appendici fogliari: i microfilli e i macrofilli. I microfilli sono delle semplici espansioni laterali appiattite del fusto, o secondo alcuni autori la terminazione di un'unica dicotomia 94
anch'essa appiattita, interessate da un'unica traccia vascolare che si inoltra fra i parenchimi fogliari senza ramificarsi e che talvolta è praticamente assente. Esempi di questo tipo di foglie si possono osservare oltre che nel già citato Asteroxylon anche in specie attuali come in Psilotum, nei Licopodi e negli Equiseti e, secondo alcuni autori, anche le foglie delle Conifere potrebbero essere ricondotte a questo tipo. I macrofilli sono invece delle appendici laterali derivate da gruppi di rami appiattiti e fusi assieme a formare un'unica lamina percorsa da diverse venature. Secondo la “teoria del teloma” di Zimmermann (1930) si sarebbe partiti da un fusto privo di appendici fogliari e caratterizzato da una ramificazione dicotomica in tutte le direzioni, con rami laterali perfettamente equivalenti fra loro. In seguito alla tendenza di alcuni rami a svilupparsi più degli altri si sarebbe progressivamente progressivamente passati a una dicotomia irregolare, con la formazione di un asse principale che spinge lateralmente le rimanenti ramificazioni, come si può osservare in alcune Selaginelle e in alcuni Licopodi. Si sarebbe così venuto a costituire un sistema di ramificazione simpodiale, con alcuni rami laterali ancora dicotomici. In questi si sarebbe avuta una tendenza all'appiattimento e alla fusione originando i primi esempi di foglie. Questo è osservabile sia nella pteridofita fossile Pseudosporochnus Pseudosporochnus , in cui le ultime dicotomie dei rami appaiono appiattite, sia in molte
Felci attuali come ad esempio in Hymenophyllum e in Adiantum che rappresentano due esempi ancora primitivi. In Scolopendrium, pur conservandosi la dicotomia delle venature, la foglia appare già completamente saldata in un'unica lamina. Da tipi simili sarebbero derivate le foglie delle piante superiori. Nelle gemme lo sviluppo degli abbozzi fogliari avviene in modo acropeto, cioè gli abbozzi più giovani sono i più vicini all'apice. Nella formazione di questi abbozzi sono interessati soltanto gli strati più esterni della regione meristematica: di qui la definizione di “origine esogena” degli abbozzi abbozzi fogliari. Per la formazione di una foglia si assiste alla divisione periclinale di un gruppo di cellule poste uno o due strati al di sotto della superficie, raramente delle stesse cellule superficiali. A queste divisioni fa presto seguito una serie di divisioni anticlinali dello strato più superficiale, per cui si viene a formare una estroflessione che circonda per un certo tratto l'apice caulinare. Continuando l'accrescimento, l'abbozzo fogliare assume un aspetto laminare. Poichè nella gemma i primordi delle foglie rimangono racchiusi racchiusi fino alla schiusura della gemma 95
stessa, si vengono presto a differenziare, specialmente per il diverso accrescimento, una faccia ventrale rivolta verso l'apice e una faccia dorsale rivolta verso l'esterno. Per raggiungere la struttura definitiva gli abbozzi fogliari devono subire dapprima un processo di accrescimento e in seguito un processo di differenziazione. differenziazione. L'accrescimento inizialmente è apicale, ma ben presto (tranne che nelle Felci, dove continua molto a lungo consentendo di raggiungere lunghezze notevoli) cessa l'attività di questa zona e diventa attiva una zona meristematica intercalare basale che può restare funzionante anche a lungo, come ad esempio in molte Monocotiledoni. In questo modo anche i processi di differenziamento differenziamento cellulare che portano alla comparsa dei tessuti adulti procedono dall'apice verso la base, mentre nelle Felci essi avvengono avvengono in modo opposto. Contemporaneamente all'accrescimento in lunghezza si ha, per molte foglie, un accrescimento in larghezza legato alla presenza di due meristemi marginali. Normalmente l'attività meristematica nella foglia cessa a un certo grado di sviluppo e tutte le celluie si differenziano in tessuti adulti. Fanno eccezione i meristemi basali delle foglie di Welwitschia mirabilis che mantengono la loro attività per tutta la vita della pianta. In questa questa gnetacea, gnetacea, infatti, dal fusto ridotto ridotto a un disco a livello del suolo, suolo, nascono nascono soltanto due lunghe foglie nastriformi che hanno una continua crescita basale, mentre la porzione apicale può anche andare incontro a distruzione. Con l'ulteriore sviluppo si differenziano le parti fondamentali della foglia adulta, cioè la lamina fogliare, il picciolo, le stipole e la guaina, che corrisponde all'inserzione sul fusto. Non tutte le foglie possiedono tutte queste parti. Alcune sono prive di picciolo (foglie sessili) e si inseriscono direttamente con la lamina sul ramo, abbracciandolo più o meno ampiamente (foglie guainanti, frumento; amplessicauli, caprifoglio, papavero; perfogliate, tlaspi; decorrenti). decorrenti). Altre mancano di stipole. In molte poi non è presente presente una guaina, ma l'inserzione sul fusto è data direttamente dai picciolo senza alcuna dilatazione particolare.
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La porzione più importante della foglia è senza dubbio la lamina o lembo, sia perchè è generalmente la parte devoluta alla funzione fotosintetica, sia perchè la sua morfologia, risultante dal diverso sviluppo delle zone meristematiche, è estremamente varia e quindi fornisce degli ottimi caratteri sistematici per le diverse specie. Già la forma generale della lamina può essere notevolmente diversa. Si hanno infatti foglie aghiformi (es., larice, pino), lineari (grano, segale), lanceolate (pesco), ellittiche (ciliegio), ovate (limone), tondeggianti o rotonde (tropeolo, pioppo tremulo), cuoriformi (viola, tiglio).
Nella lamina poi si riconoscono riconoscono la sommità o apice, la base, cioè la zona di inserzione del picciolo, e un margine. Inoltre tutta la lamina è percorsa dalle venature (erroneamente dette nervature). La sommità si può presentare mucronata, quando il 97
lembo fogliare si prolunga in una spina (agave) o in una setola; acuta, quando si restringe bruscamente prima della sua terminazione (ippocastano); (ippocastano); ottusa (viola); ( viola); tronca, quando sembra bruscamente interrotta ( Liriodendron); retusa o smarginata, quando quando nella porzione apicale si presenta un'intaccatura più o meno profonda ( Ginkgo). La base può essere attenuata, quando la lamina si restringe progressivamente verso il picciolo (quercia); cuneata, quando il restringimento della lamina è più accentuato Ficus, limone); tronca ( Liriodendron Liriodendron); cordata, se il punto di (margheritina); rotondata ( Ficus
attacco del picciolo sulla lamina appare quasi rientrato nella lamina stessa per cui essa si prolunga ai lati di questo con due porzioni arrotondate (tiglio); astata, se ai lati del picciolo si hanno due prolungamenti prolungamenti triangolari della lamina (spinacio, sagittaria). Un caso particolare è dato dalle foglie peltate (nasturzio o tropeolo, fior di loto) in cui il picciolo si inserisce inserisce al centro centro della lamina (foglie ombelicate). ombelicate).
Il margine si presenta talvolta intero o liscio ( Ficus, olivo); talvolta ondulato (faggio) o seghettato (olmo). Se le incisioni sono più grossolane si parla di margine dentato (castagno) o crenato se i denti sono arrotondati (erba betonica). Un caso un po' particolare è dato da quelle foglie il cui margine presenta dentature rivolte verso la base fogliare, che vengono indicate come “roncinate” (soffione o radicchio dei prati).
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Se le incisioni del margine si fanno più profonde si parla rispettivamente di foglie lobate (quercia), fesse (cardoni) e partite (achillea) a seconda della profondità delle incisioni. Ai tipi più incisi si possono collegare le foglie composte, in cui il lembo fogliare è addirittura suddiviso in tante foglioline che si inseriscono indipendentemente sulla venatura o rachide principale. A seconda poi del modo di inserzione si hanno foglie pennato-composte pennato-composte (rosa, robinia) e palmato-composte palmato-composte (ippocastano,lupino). (ippocastano,lupino).
L'estrema variabilità morfologica delle foglie, che caratterizza le diverse specie, può comparire perfino in uno stesso individuo. Classico è l'esempio delle foglie sommerse e delle foglie aeree di Ranunculus aquatilis che ben si presta a caratterizzare il fenomeno dell’”eterofillia”.
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Le venature, importantissime per il rifornimento idrico del lembo fogliare, sono presenti con tipi molto diversi. Nelle foglie più primitive, come ad esempio in molte Felci (es., Adiantum) e in Ginkgo, le venature nel lembo fogliare hanno una ramificazione dicotomica abbastanza regolare, per cui manca una venatura principale. In aitre Felci (Scolopendrium) è già presente una venatura principale: da essa però partono ancora diramazioni laterali dicotomizzate. In questi tipi le singole venature non hanno più contatti fra loro. Questo porta a un difetto funzionale; funzionale; infatti se si si pratica un'incisione un'incisione nel lembo fogliare tutta la parte a monte dell'incisione resta priva di apporto di liquidi e dissecca rapidamente.
Già in molte Felci e poi nelle Dicotiledoni e nelle Monocotiledoni, le venature hanno un andamento diverso. I rami laterali ben presto stabiliscono fra loro delle
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anastomosi, creando così una vera e propria rete di tessuti conduttori che interessa tutta la lamina fogliare. In questo modo anche se avviene una lesione, non si ha un'interruzione nell'afflusso dell'acqua che può arrivare attraverso le venature non interrotte. A seconda del decorso delle venature principali si può riconoscere un tipo pennato o penninervio (usando (usando il termine poco adatto di nervatura in luogo di venatura), un tipo paJmato o palminervio e un tipo parallelo o parallelinervio, più comune nelle Monocotiledoni. Nelle Dicotiledoni, in generaJe, le venature secondarie, pur anastomosandosi fra loro, presentano ancora delle terminazioni libere, mentre nelle Monocotiledoni tutte le varie porzioni sono saJdate fra loro per cui si parla anche di foglie “retinervie”. Per quanto riguarda la morfologia esterna della foglia basterà ancora citare alcune particolarità che riguardano il picciolo e le stipole. Fra le più importanti sono i “pulvini motori” presenti alla base del picciolo o anche alla base delle singole foglioline, se si tratta di foglie composte, costituiti da gruppi di cellule che con rapide variazioni di turgore permettono dei movimenti di orientazione delle foglie. Notissimi sono quelli della sensitiva Mimosa pudica. Le stipole possono avere vita breve ed essere caduche, cioè staccarsi durante i processi di distensione della foglia (es.: faggio) oppure assumere tanta importanza da sostituire il lembo fogliare nella funzione fotosintetica (pisello) oppure ancora trasformarsi in spine (robinia). La “guaina” è una parte della foglia che caratterizza alcune famiglie di Angiosperme. Così nelle Apiacee (Ombrellifere) la guaina abbraccia parzialmente il fusto e talvolta può anche essere carnosa (finocchio). Maggior importanza ha la guaina presente nelle Graminacee che avvolge un intero internodio proteggendolo proteggendolo e rinforzandolo dall'esterno. In queste piante all'inserzione della guaina sulla lamina fogliare spesso compare una sporgenza detta “ligula”.
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La struttura interna del lembo fogliare, pur con infInite variazioni legate all'ambiente, è relativamente costante. La maggior parte delle foglie ha infatti una posizione prevalentemente prevalentemente plagiotropa, cioè parallela al suolo e più esattamente perpendicolare perpendicolare alla direzione prevalente della luce, l uce, che si riflette in i n una dorsoventralità delle strutture interne. Già durante lo sviluppo dell'abbozzo fogliare possiamo distinguere una superfIcie ventrale (pagina superiore) e una dorsale (pagina inferiore). A sviluppo ultimato, dopo la schiusura della gemma e la distensione della foglia, la superfIcie ventrale si trova normalmente rivolta verso l'alto e quella dorsale verso il basso. In alcune foglie già l'aspetto esterno differenzia le due facce, quella superiore risulta più scura e più lucida, mentre quella inferiore appare più chiara e opaca (es.: faggio, olivo, Ficus). Questo è dovuto in primo luogo al fatto che l'epidermide rivolta verso l'alto viene normalmente rivestita da una cuticola più spessa per renderla più resistente agli agenti atmosferici. In molte foglie poi, gli stomi sono più numerosi sulla pagina inferiore che su quella superiore, dalla quale possono anche mancare del tutto come nel gelso, nel tasso, nell'ulivo ecc. Nelle piante acquatiche a foglie galleggianti gli stomi si trovano tr ovano soltanto sull'epidermide superiore della foglia (es.: ninfea).
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Sezionando il lembo fogliare, oltre alle due epidermidi si ha una zona parenchimatica parenchimatica che prende il i l nome di “mesoflllo”. Nella porzione superiore a contatto con l'epidermide, è presente un parenchima a cellule strettamente ravvicinate e allungate perpendicolarmente perpendicolarmente alla superfIcie. Questo Questo parenchima, che che può presentarsi in uno o più strati sovrapposti, prende il nome di “parenchima a palizzata” o “parenchima clorofIlliano”, per l'aspetto delle sue cellule e per il fatto che normalmente la maggior parte dei cloroplasti presenti nella foglia è addensata addensata nelle sue cellule, e quindi risulta devoluto essenzialmente alla fotosintesi. Al di sotto del parenchima a palizzata appare un altro parenchima con cellule quasi isodiametriche e con molti spazi intercellulari, il “parenchima lacunoso” lacunoso” o “tessuto lacunoso”. Gli spazi che esistono fra le cellule sono in rapporto con delle cavità che spesso si trovano al di sotto degli storni, le camere sottostomatiche, sottostomatiche, e facilitano gli scambi gassosi con l'esterno.
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Al centro del mesoflllo appaiono le venature, costituite da una porzione di legno rivolta verso la faccia ventrale o superiore e da una porzione di libro rivolta verso la faccia inferiore, talvolta accompagnate da fIbre sclerenchimatiche con funzione di sostegno. Attorno alle venature i parenchimi possono assumere un andamento parallelo formando una vera e propria guaina. Particolarmente sviluppato è nelle Pinacee il tessuto che ricorda la traccia vascolare e che prende il nome di “tessuto di trasfusione”. Accanto a questo tipo fondamentale di organizzazione, si hanno anche altri tipi di strutture fogliari. Le foglie equifacciali o isolaterali, come si possono trovare in Artemisia o inAtriplex ecc., sono caratterizzate da un mesofIllo che presenta due strati periferici di parenchima a palizzata a cui si intercala uno strato di parenchima lacunoso. Simili sono le foglie di alcune Graminacee o dei Lilium, in cui non si ha un netto differenziamento nei parenchimi e tutto il mesoflllo appare omogeneo. Condizione di isolateralità si realizza anche, ma per un adattamento xerofItico, nelle foglie di Eucalyptus, nelle quali è presente soltanto più un parenchima a palizzata che occupa il mesofillo.
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Un altro tipo di strutture fogliari è dato dalle foglie unifacciali, derivate probabilmente da una foglia dorso-ventrale che ripiegandosi su se stessa e saldando i suoi margini, lasciando esterna la faccia dorsale, costituisce una specie di tubo. Esempi di questo tipo si riscontrano nella cipolla e in Iris, e la conferma di questa ipotesi, oltre che dalla struttura più o meno tubulosa della foglia, è data dal fatto che le venature presentano il floema rivolto verso l'esterno e il legno all'interno.
Notevoli variazioni nella struttura della lamina fogliare sono legate all'ambiente. Caratteristici sono gli adattamenti xerofitici, già evidenziabili in uno stesso individuo, ad esempio un albero, fra le foglie esterne della chioma o “foglie di luce” e quelle interne o “foglie d'ombra” (anisofillia). Un primo adattamento xerofitico è dato dall'epidermide, che normalmente unistratifIcata, può ispessirsi e divenire pluristratifIcata e talvolta, come nelle Conifere, andare incontro a un processo di sclerificazione. Anche nel mesoflllo una tendenza allo xerofitismo è caratterizzata da un incremento del parenchima a palizzata, palizzata, a spese del parenchima parenchima lacunoso lacunoso che si riduce. Esempi Esempi di questo
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tipo si trovano anche in una stessa pianta nelle foglie di luce più esposte alle radiazioni solari e ai venti e quindi più facilmente soggette a un disseccamento e nelle foglie d'ombra più protette (faggio), e culminano nella foglia di Eucalyptus dove è presente soltanto un parenchima a palizzata. Accanto a questo tipo di adattamento basato su una riduzione degli spazi intercellulari nell'interno della foglia, si ha un altro modo di vincere la siccità dell'ambiente senza rinunciare alla funzione fotosintetica fogliare, ed è il caso delle piante a foglie carnose o succulente. In queste, ad esempio in Sedum, in Crassula,
in Sempervivum, si differenzia a spese del parenchima lacunoso uno speciale
tessuto a grosse cellule ricche di mucillagini, il parenchima acquifero, che permette di trattenere notevoli quantità d'acqua.
Un altro adattamento all'ambiente secco è dato dall'infossamento degli storni, cercando così di ridurre la traspirazione, come si osserva in alcune Conifere, ad esempio
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nei pini, e in altre specie come nell'oleandro, nell'oleandro, dove gli stomi sono racchiusi in formazioni apposite, dette “cripte stomatiche”, infossate rispetto alla superficie e spesso ricche di peli che ostacolano ostacolano una notevole circolazione circolazione dell'aria. dell'aria. In modo analogo in molte Ericacee, come nei generi Calluna e Loiseleuria, e in Empetrum nigrum, la foglia si
ripiega creando così dei solchi simili alle cripte già citate.
Anche in molte Graminacee e Ciperacee si hanno adattamenti simili. Nelle loro foglie, in cui le venature hanno un decorso parallelo, le zone delle venature sono rinforzate da un notevole sviluppo di fibre sclerenchimatiche, mentre le zone interposte in superficie o nel mesoflllo contengono grosse cellule a parete sottile, le cellule bulliformi o motrici, che con variazioni di turgore determinano l'accartocciamento o la distensione della lamina fogliare. Un tipo particolare di adattamento xerofilo è rappresentato dalle foglie di pino. In esse infatti l'epidermide risulta lignificata e gli stomi sono infossati a livello dello strato sottoepidermico, l'ipodenna, anch'esso sclerificato. sclerificato. All'interno si ha una zona occupata da un parenchima molto compatto le cui cellule hanno pareti con introflessioni caratteristiche, che ne aumentano notevolmente la superficie, favorendo così la fotosintesi. Al centro, circondata da un endoderma ben differenziato, è presente un'unica venatura, costituita da uno o due fasci circondati dal già citato tessuto di trasfusione. Meno vistosi sono gli adattamenti all'idrofitismo: si osserva soltanto un assottigliamento delle cuticole, una tendenza a far sporgere gli stomi dalla superficie fogliare, e soltanto in casi particolari si ha la comparsa di tessuti aeriferi a livello dei piccioli e di tessuti di galleggiamento a spese della lamina fogliare ( Victoria regia) o del picciolo ( Trapa natans, Eichhornia crassipes) . Sempre in relazione all'ambiente e alle speciali funzioni
a cui risultano devolute, le foglie possono subire anche trasformazioni notevoli. notevoli. In primo luogo bisogna ricordare le foglie che si specializzano nella funzione riproduttiva, gli sporofilli delle Cormofite più primitive e tutte le parti fiorali delle Angiosperme. Accanto a questi si hanno diversi esempi di trasformazioni. Le “brattee” sono foglie parzialmente ridotte che accompagnano accompagnano le infiorescenze. infiorescenze. Possono essere ancora molto simili alle altre foglie, come ad esempio in molte campanule, o presentare già caratteri più simili agli organi fiorali, come quelle che si ossevano in Lavandula stoechas o in Salvia splendens.
Talvolta sono le brattee che assumono la funzione vessillare,
simulando i petali dei fiori come ad esempio nelle cartine o nella stella di Natale
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Poinsettia pulcherrima). Una maggiore riduzione e anche una più notevole ( Poinsettia
modificazione nella struttura interna è caratteristica delle “perule”, le foglie esterne generalmente sclerificate e prive di funzione fotosintetica che proteggono le gemme. Queste molto frequentemente cadono alla schiusura della gemma. Anche le “squame” che spesso sono presenti sui fusti sotterranei, e talvolta, come nella cipolla, ne rappresentano gli organi più sviluppati avendo assunto le funzioni di riserva, sono riferibili a foglie trasformate. Normalmente Normalmente per le squame e le perule, che hanno perso la funzione fotosintetica, si usa il tennine comprensivo di “catafilli”. Un caso particolare è rappresentato dai “cotiledoni” o foglie embrionali, che sono le prime foglie differenziate dall'embrione della pianta. Essi possono essere simili, almeno come struttura, anche se spesso diversi come forma, alle normali foglie. Si tratta in questo caso di specie in cui durante la germinazione i cotiledoni fuoriescono dal terreno e svolgono veramente la funzione di prime foglie (es.: faggio, pino). In altri casi i cotiledoni possono diventare degli organi di riserva e partecipare per nulla (noce, quercia) o in modo molto limitato alla funzione fotosintetica (fagiolo) e spesso rimangono sotterranei. Le modificazioni più spinte si osservano nel cotiledone delle Graminacee, trasformato in un organo, lo “scutello”, che svolge funzioni di secrezione di enzimi e di assorbimento delle sostanze nutritive dal seme. Le foglie, poi, in relazione a particolari adattamenti possono essere trasformate in cirri (pisello) o persino in spine (Cactacee). Tranne rare eccezioni, come ad esempio il caso già citato di Welwitschia in cui le foglie durano per tutta la vita della pianta, o anche nelle Araucarie, Araucarie, dove esse esse possono durare durare anche trent'anni, normalmente normalmente le foglie sono organi a vita limitata: in molti casi anche solo a un ciclo vegetativo annuale. Quando le condizioni ambientali diventano avverse, le piante tendono a riassorbire dalle foglie le sostanze ancora utilizzabili e ad accumulare in esse le sostanze di rifiuto. Successivamente, a livello dell'inserzione del picciolo sul fusto, si forma un “setto di abscissione” molto simile al sughero, che forma una lamina che interrompe ogni rapporto fra la foglia e il resto della pianta. Ben presto si verifica la caduta delle foglie e sul fusto spesso permane una caratteristica “cicatrice fogliare”. Molto visibili sono ad esempio le cicatrici fogliari dell'ippocastano. In alcuni vegetali, come ad esempio nelle Graminacee, si distrugge soltanto parte della foglia, mentre la porzione basale rimane a rivestire e a proteggere le gemme. Infine, è bene ancora ricordare come
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la loro disposizione nella gemma come abbozzi, e poi sul fusto, non sia legata al caso, ma risponda in genere a leggi abbastanza fisse per ogni specie. Nella gemma i singoli abbozzi fogliari si adattano allo spazio a loro disposizione, assumendo assumendo forme diverse. Si parla così di “vemazione” “vemazione” o prefogliazione prefogliazione piana, pieghettata, pieghettata, involuta involuta ecc., a seconda seconda di come si trovano i singoli abbozzi. Inoltre i diversi abbozzi fogliari possono avere rapporti diversi fra loro, toccandosi più o meno. Si parla allora di “estivazione” aperta, embriciata, spirale e così via. Se poi si considera la “fillotassi”, cioè la disposizione delle foglie lungo il fusto, si può notare come esse possano risultare isolate o sparse, cioè una per ogni nodo, oppure verticillate, cioè riunite a due (opposte) o più per nodo. Eseguendo i diagrammi fogliari, cioè immaginando di proiettare su un piano perpendicolare perpendicolare al fusto la posizione delle singole foglie, si osserva inoltre che per ogni specie botanica, una foglia rispetto a quella adiacente è spostata di un angolo costante, detto “angolo di divergenza” e che in verticilli successivi le foglie non risultano mai sovrapposte. Tutto questo va considerato nel concetto generale di massima economia della natura, per cui le singole foglie si dispongono in modo da sfruttare al massimo le radiazioni luminose, evitando di ricoprirsi a vicenda. D'altra parte sono noti i movimenti effettuati dalle foglie di alcune piante (ad esempio nel tiglio) per cercare durante il corso della giornata di orientare sempre le foglie in modo perpendicolare alla luce; in specie come l'edera, le foglie si dispongono a mosaico. La radice.
La radice è senza dubbio l'organo filogeneticamente filogeneticamente più giovane delle Cormofite. Infatti nei già citati esempi di prime Cormofite del Devoniano (generi Rhynia, Horneophyton, ecc.) manca ogni traccia di radice e le funzioni radicali di ancoraggio al
suolo e di assorbimento dell'acqua e dei sali sono svolte da porzioni sotterranee del fusto. Situazione analoga è presente nelle Psilotali attuali ( Psilotum e Tmesipteris). E non si può pensare a un fenomeno di regressione in queste piante, poichè anche durante il loro sviluppo embrionale manca ogni accenno alla formazione di una radice. Che la radice rispetto al fusto risulti un organo meno evoluto e quindi di più recente comparsa è anche confermato dalla sua struttura primaria che è sempre una “actinostele”. D'altra parte la minore spinta evolutiva sulla radice può essere spiegata dalla discreta costanza
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dell'ambiente in cui essa si sviluppa, in quanto nel suolo tutte le variazioni, specialmente specialmente climatiche, vengono notevolmente smorzate. Si può soltanto ipotizzare che la radice sia derivata da porzioni sotterranee del fusto ma, resta per ora completamente sconosciuto, come abbia subito tutte le modificazioni che la caratterizzano a livello dei meristemi, nel modo di accrescimento e nel modo di ramificazione. Anche a un'osservazione macroscopica la radice nella sua porzione apicale presenta una zonazione molto evidente. Si distinguono una “cuffia”, chiamata anche “pileoriza” o “caliptra”, che riveste la parte terminale della radice, una zona intermedia, “zona liscia”, che è sede del maggiore accrescimento accrescimento per distensione, e una “zona pilifera” sulla quale si sviluppano i “peli radicali” che svolgono la funzione assorbente. Sezionando longitudinalmente l'apice radicale si può studiare più a fondo la sua struttura e l'organizzazione dei meristemi. Come si è già osservato per il fusto, anche nei meristemi apicali della radice possiamo riconoscere tipi diversi. Il tipo che si può ritenere più primitivo si ritrova nelle Pteridofite, tranne qualche eccezione, ed è caratterizzato da un'unica grossa cellula apicale di forma tetraedrica con una faccia rivolta verso la cuffia e tre facce rivolte verso l'interno della radice. La differenza con gli apici caulinari con un'unica cellula apicale è data dal fatto che nella radice questa cellula si divide parallelamente a tutte le facce, originando verso l'esterno le cellule iniziali della cuffia e verso l'interno le iniziali dei tre strati, dermatogeno, periblema e pleroma che costituiscono il corpo della radice. Un tipo più evoluto si ritrova nelle Gimnosperme e in diverse Angiosperme (es.: faggio, quercia). In esse si può distinguere un gruppo di cellule meristematiche profonde che danno origine al procambio o pleroma in cui si hanno divisioni sia periclinali sia anticlinali. Esternamente a queste, spesso con l'interposizione di un piccolo gruppo di cellule quiescenti, si ha un altro gruppo di cellule meristematiche nelle quali inizialmente predominano le divisioni periclinali per cui si viene a formare una serie anche discretamente lunga di cellule regolarmente impilate, la “columella”. Nella porzione terminale la columella produce unicamente cellule della cuffia, ma lateralmente per successive divisioni anticlinali si originano contemporaneamente la cuffia, l'epidermide primitiva o protoderma e il meristema fondamentale o periblema. Queste cellule in sezione longitudinale appaiono con una disposizione a doccia rivolta verso il corpo della radice.
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Nelle Angiosperme si ha invece l'affermarsi del “centro quiescente” quiescente” che determina una separazione dei singoli meristemi delle diverse regioni anatomiche. Il centro quiescente è caratterizzato da un gruppo di cellule, spesso di dimensioni lievemente superiori a quelle meristematiche, poco attive dal punto di vista delle divisioni cellulari, che occupano il centro della regione meristematica. Alla periferia di quest'area si trovano le cellule iniziali del procambio verso il centro della radice, lateralmente le iniziali del parenchima corticale, più verso l'esterno le iniziali dell'epidermide e infine rivolte all'esterno le iniziali della cuffia. Il centro quiescente è importantissimo per la sopravvivenza dei meristemi radicali in quanto si è visto che in caso di lesioni, mentre le cellule meristematiche subiscono generalmente danni irreparabili, le cellule del centro quiescente, meno attive e quindi meno sensibili, sono in grado, entrando esse stesse in attività, di ricostruire le zone meristematiche circostanti, permettendo così un regolare accrescimento accrescimento della radice. Già molto vicino alla zona
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meristematica è possibile una netta distinzione delle diverse regioni anatomiche, cioè della cuffia, dell'epidermide, della corteccia e del cilindro centrale.
Le cellule che vanno più rapidamente incontro al differenziamento sono le cellule della cuffia, che danno un parenchima relativamente compatto in cui le cellule più esterne hanno hanno pareti in parte gelificate gelificate e quindi desquamano desquamano facilmente. facilmente. Infatti con il continuo accrescimento della radice la cuffia ha una funzione protettiva sull'apice e di facilitazione dello scivolamento fra i diversi costituenti del suolo. In posizione prossimale rispetto all'apice si ha una zona in cui le mitosi sono ancora abbastanza abbastanza frequenti, ma l'attività più marcata è la crescita per distensione.
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In posizione ancor più prossimale si ha la zona pilifera. All'esterno il fenomeno più evidente è la comparsa dei peli radicali, che sono delle tipiche estroflessioni delle cellule epidermiche che in questa zona della radice sono specializzate nell'assorbimento nell'assorbimento e aumentano in questo modo la loro superficie. Sezionando trasversalmente una radice a questo livello si può già osservare la sua struttura primaria. All'esterno si ha l'epidermide monostratificata con le cellule che possono presentare, tutte o solo in parte, a seconda della specie, le estroflessioni corrispondenti ai peli radicali. All'interno si ha il cilindro corticale, caratterizzato da parecchi strati strati di cellule parenchimatiche. parenchimatiche.
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È bene ricordare che, a differenza del fusto, nella radice è generalmente lo strato corticale che assume funzioni di parenchima di riserva. Nelle radici tuberizzate come la rapa e la carota è infatti lo strato corticale che presenta il maggior sviluppo e che è ricco di sostanze di riserva. Talvolta a questo livello è già distinguibile il primo strato al di sotto dell'epidermide che con !'invecchiamento e la progressiva caduta dei peli radicali e delle cellule epidermiche, che possono restare funzionanti anche per periodi molto brevi venendo continuamente sostituiti dai nuovi elementi formati nella regione apicale, rimpiazzerà l'epidermide nelle funzioni protettive. Tale strato è detto “esoderma”. Lo strato più interno del parenchima corticale è anch'esso nettamente riconoscibile, oltre che per la mancanza di spazi intercellulari, per la presenza sulle pareti radiali delle sue cellule dei caratteristici ispessimenti suberizzati, le cosiddette “bande del Caspary” e forma l'”endoderma”. In questo modo nella radice il confine fra corteccia e cilindro centrale è sempre ben marcato e facilmente reperibile. Nel cilindro centrale, spesso lo
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strato più periferico, il periciclo, può essere distinguibile per la regolarità della disposizione delle sue cellule. All'interno si osservano gruppi alternati, le cosiddette “arche”, di libro, che occupano però una posizione più periferica, e di legno, che si approfondano fino a confluire in una massa centrale unica, inframmezzati da un parenchima. In questo modo la radice presenta una tipica struttura actinostelica. Anche nella radice è possibile distinguere un protoxilema e un metaxilema, però la loro successiva maturazione avviene in modo opposto al fusto, cioè in direzione centripeta, partendo dalla periferia e progredendo progredendo verso il centro. Per questo la porzione centrale della radice è occupata dai più grossi elementi metaxilematici.
Differenze fra i diversi gruppi di vegetali si possono osservare soprattutto sul numero di arche legnose, numerose nelle Monocotiledoni e relativamente scarse, da 2 a 6 circa, nelle Dicotiledoni. Inoltre nelle Monocotiledoni è spesso presente una zona centrale di parenchima midollare. Con l'invecchiamento, la prima modificazione avviene a carico dell'esoderma, che dopo la caduta dell'epidermide va incontro a un processo di
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suberificazione. Ben presto però intervengono modificazioni che portano a una struttura secondaria in tutto simile a quella del fusto.
A partire dal periciclo generalmente si ha la comparsa di cellule meristematiche che formano un cambio con andamento sinusoidale, che si differenzia all'interno delle
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arche liberiane e all'esterno delle arche legnose. Quando il cambio si è saldato si può già parlare di struttura secondaria, secondaria, le modificazioni modificazioni successive successive saranno soltanto date dalla produzione verso verso l'interno di un anello di legno e verso l'esterno di un anello anello di libro. La differenza con il fusto, anche a causa del diverso accrescimento del legno nelle diverse zone che tende a portare il cambio veramente su un anello periferico, sarà data soltanto più dalla mancanza di una porzione midollare centrale. Contemporaneamente Contemporaneamente a queste modificazioni, nel cilindro centrale si ha la comparsa periferica del fellogeno, che talvolta ha anche origine relativamente profonda a partire dallo stesso periciclo, e la costituzione di un periderma, in modo perfettamente analogo al fusto, solo generalmente mancano o sono scarse le lenticelle. Nelle Monocotiledoni, in cui mancano delle strutture secondarie, l'endoderma va incontro a un'ulteriore evoluzione. Le sue cellule subiscono un processo di ispessimento e di lignificazione a carico delle pareti radiali e spesso anche a carico della parete interna, dando in sezione un caratteristico disegno a U. Non tutte le cellule dell'endoderma sono però interessate a questo fenomeno, ma restano delle cellule non ispessite che permettono gli scambi liquidi fra corteccia e cilindro centrale, i cosiddetti “punti di permeazione”, generalmente in corrispondenza delle arche legnose. Anche la radice, come il fusto, è interessata da ramificazioni. Nelle forme più primitive, in cui compare una ramificazione di tipo dicotomico, come ad esempio nelle Selaginelle e nei Licopodi, è lo stesso apice radicale che dividendosi in tale modo origina le ramificazioni. A parte però questi casi, normalmente nelle radici, a differenza del fusto, le ramificazioni non vengono abbozzate a livello apicale, ma molto più lontano oltre la zona pilifera. Inoltre l'origine degli abbozzi laterali, che nei fusti è tipicamente esogena, è invece endogena, originandosi a livello del periciclo (Angiosperme e Gimnosperme) o dell'endoderma (Pteridofite). Il gruppo di cellule meristematiche che si viene così progressivamente a differenziare, si accresce progressivamente progressivamente verso la periferia, provoca provoca generalmente generalmente la lisi dei tessuti sovrastanti sovrastanti o li rompe e fuoriesce dalla radice. Talvolta i tessuti vengono trascinati dalla nuova radice a formare una specie di cuffia primitiva attorno al nuovo apice laterale.
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Si può così formare un sistema ramificato di radici a volte estesissimo. Il modo di ramificazione può essere anch'esso variabile. In generale nelle Gimnosperme e nelle Dicotiledoni dal seme si ha lo sviluppo di una radice principale che permane come tale e dà in seguito radici laterali. Si parla in questo caso di “apparato aIlorizico” in cui si possono distinguere distinguere due situazioni situazioni un po' diverse. diverse. In alcune specie, specie, come ad esempio esempio nel pino e nella quercia, la radice primaria continua ad accrescersi, mantenendo mantenendo sempre una netta dominanza sulle radici secondarie laterali. Si parla in questo caso di “radice a fittone”, che talvolta, come nella carota, può divenire tuberizzata per l'accumulo di sostanze di riserva. In tutti questi casi la ramificazione può essere ricondotta a un tipo monopodiale. monopodiale. In altre specie, come ad esempio nel faggio e nel melo, la radice principale viene ben presto uguagliata e superata dalle radici secondarie, con un tipo di ramificazione riconducibile al tipo simpodiale, e in questo caso si parla di “radici fascicolate” o “affastellate”. Nelle Monocotiledoni Monocotiledoni e in molte Dicotiledoni acquatiche le radici hanno uno sviluppo diverso. La radice primaria che nasce dal seme ha vita breve,
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talvolta di pochi giorni, ben presto essa scompare o almeno cessa di accrescersi e dalla base del fusto si sviluppano delle serie anche molto numerose di “radici avventizie” che a loro volta possono poi andare incontro a una ramificazione. Si parla in questo caso di “apparato omorrizico” che spesso può presentarsi di tipo fascicolato. Radici avventizie possono svilupparsi svilupparsi anche in altre parti parti del fusto, oltre che alla sua base, base, e talvolta anche a livello delle foglie. Nella pratica di giardinaggio è proprio sfruttata questa capacità di emissione di radici avventizie per la propagazione per talea dei vegetali. A questo gruppo di radici, che prendono anche il nome di “radici accessorie”, si possono riferire tutti gli esempi di radici aeree delle Orchidee e di molte Aracee, le radici colonnari dei Ficus, le radici aggrappanti dell'edera. Nelle radici aeree, che spesso hanno la funzione di assorbire dall'atmosfera vapor d'acqua e di trattenere l'acqua piovana, si osserva un notevole ispessimento dell'epidernùde, che diviene pluristratificata (velamen) e capace di funzionare da riserva d'acqua. Fra le trasformazioni più spinte delle radici si possono ancora ricordare le radici con funzioni respiratorie, comuni nelle piante di terreni paludosi, che si arricchiscono di parenchimi aeriferi (es.: calamo aromatico) o differenziano veri e propri organi respiratori come gli pneumatofori di Taxodium e delle Mangrovie. Anche nelle piante emiparassite come il vischio e i Melampyrum, e in quelle parassite come la cuscuta e le orobanche, orobanche, la radice subisce delle profonde trasformazioni, modificandosi in “austorio”. Nelle radici delle piante forestali, specialmente per le radici più superficiali, si hanno notevoli alterazioni nelle strutture come conseguenza della micorrizia. Quando i Funghi simbionti si legano alle radici delle essenze arboree formano in genere delle micorrize ectotrofiche che modificano sia la ramificazione, sia l'anatomia interna della radice. Quanto alle ramificazioni si osserva un asse principale che porta numerosissimi rami laterali corti e tozzi talvolta biforcati come nelle Conifere, talvolta ripetutamente ramificati con aspetto coralloide, o riuniti in glomeruli. Nei singoli rametti, poi, le radici appaiono molto trasformate. Manca completamente una cuffia e la zona pilifera è anch'essa assente. assente. Sulla superficie della radice, al posto di queste strutture, si stende uno strato formato da ife fittamente intrecciate, la “micoclena”. Da questo mantello superficiale le ife del fungo penetrano nell'interno della radice attraverso spazi intercellulari. La stessa epidermide radicale cambia struttura, le sue cellule invece di
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essere appiattite e prive di spazi intercellulari assumono forma prismatica allungata, perpendicolarmente perpendicolarmente alla superficie, superficie, e lasciano liberi fra loro numerosi numerosi spazi che vengono vengono occupati dalle ife formanti il cosiddetto “reticolo di Hartig”. Questo reticolo può interessare soltanto l'epidermide, come nella maggioranza delle latifoglie, o spingersi più profondamente profondamente nel parenchima corticale, e raggiungere perfino l'endoderma, come nelle Conifere. Con queste nuove strutture la radice usufruisce, attraverso il micelio del fungo, che si diffonde nel terreno, di un apparato assorbente estremamente più efficace perchè più esteso, mentre , contemporaneamente contemporaneamente fra pianta e fungo avvengono avvengono scambi di metaboliti. Sempre nelle piante arboree, si verifica frequentemente un altro fenomeno estremamente interessante e cioè l'anastomosi fra radici contigue. Si realizza così, specialmente nei boschi, una progressiva fusione degli apparati radicali, prevalentemente prevalentemente fra individui della stessa specie, che tende a poco a poco a fare di tutto il bosco, almeno per quel che riguarda gli alberi, un unico grande 'individuo'. Si realizza in tal modo il massimo progresso, non si hanno più singole cellule, o masse di cellule indifferenziate, come nelle Tallofite, ma individui pluricellulari altamente differenziati in parti funzionalmente diverse, a loro volta costituite da tessuti specializzati, che si fondono per costituire un'unica entità biologica estremamente complessa.
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