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Maatteem FFaaccoollttàà d dii S Scciieennzzee M Fiissiicchhee ee N Naattuurraallii maattiicchhee,, F CCoorrssoo d dii L Laauurreeaa iinn SSCCIIEEN E T CH NO OLLO OG GIIEE C HIIM MIICCH HEE NZZEE E TEECCN V A ED PPEER CO R EESS T R L LL A A C ON NSSEER R V AZZIIO ON NEE E D IILL R T A AU UR R O O T DII L L A TEESSII D UR R EE A A AU SS T DEELLLL A CO DEELL B BR TU UD DIIO O D A C OR R R RO R O SSIIO ON NEE D N R O ON NZZO O IIN M T T E M MO M A AN NU UFF A A T T T TII A AR R TIISS T TIICCII E OD DEELLLLII A AR R TIIFFIICCI A I ALLII R prroof f .. R R EEN G A R eellaattoorree :: p NZZO O G AN NZZEER R LL A A CCoorrrreellaattoorree :: p prroof f .. U UM T C A O MBBEER R TO O C ASS A ALLLL A A T TO
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1. P P re m e s s a Un’opera d’arte si presenta a noi come un’insieme di estetica, tecnologia ed eventi storici. Per questo motivo è necessario che prima di qualsiasi intervento conservativo o di restauro, ci sia una fase conoscitiva del manufatto, che metta in luce tutti i suoi aspetti: dallo stato di degrado alle sue caratteristiche stilistiche. Fase conoscitiva che necessita di un approccio interdisciplinare, dove figure professionali diverse, come storici dell’arte, scienziati e restauratori, devono lavorare insieme per perseguire la più profonda conoscenza storica, artistica e tecnologica possibile, dell’opera d’arte. Una corretta campagna analitica prende il via dall’anamnesi dell’oggetto, mediante la quale vengono alla luce le varie vicissitudini storiche ed artistiche del manufatto, e se ne analizzano iconografia e iconologia. In seguito si redige il progetto diagnostico, nel quale si evidenziano con quali modalità vengono svolte le analisi scientifiche, invasive e non, che saranno utili per ottenere il maggior numero di informazioni possibili sull’opera d’arte. Tema di questo elaborato sono proprio alcune delle metodologie di indagine chimico – fisiche più diffuse ed utilizzate, e la loro applicazione su alcuni campioni bronzei. In questo scritto viene preso in considerazione, in primo luogo, il caso della statua bronzea del “San Giovanni”, di Baccio di Montelupo, proveniente dalla chiesa di Orsanmichele a Firenze, dove la campagna d’indagini, promossa dalla Sopraintendenza per i Beni Artistici e Storici di Firenze, è stata svolta con il fine di individuare lo stato ed il tipo di degrado che presentava la scultura. In secondo luogo viene trattato il “Progetto Battistero 1”; un’esperienza di ricerca multidisciplinare, ideata inizialmente dal prof. M. Matteini in collaborazione con il prof. G. Bernardini dell’Università di Firenze, condotta sulle Porte bronzee Sud e Nord del Battistero di Firenze; progetto che ha avuto inizio nel gennaio 2003. Il programma d’indagini, coordinato dall’ICVBC 2, coinvolge inoltre l’OPD 3, l’OPA4, alcuni istituti del CNR, la Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico per le province di Firenze, Pistoia e Prato, organi universitari, l’ARPAT 5 ed altri Enti di ricerca. Scopo del progetto è quello di studiare la fenomenologia del degrado delle due Porte del Battistero, mediante, in questo caso, indagini direttamente in situ su modelli artificiali: otto placche di bronzo poste sulle porte stesse, ed esposte alle intemperie, agli agenti inquinanti e biologici. 1 Si veda la bibliografia alla voce riviste. 2 Istituto per la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali del Cnr. 3 Opificio delle Pietre Dure di Firenze. 4 Opera di S. Maria del Fiore. 5 Agenzia regionale per la protezione ambientale Toscana. 6 Andrea da Pontedera (Pontedera (PI), 1290 ca. - Orvieto Orvieto (TN), 1348-1349)
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detto Pisano.
Il monitoraggio delle cause di degrado, il monitoraggio degli effetti indotti ed i relativi dati raccolti saranno utili per programmare per tempo eventuali interventi di restauro sulle due famose opere.
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2. IIl R R ame eed iil B Bronzo Il rame è uno dei primi metalli scoperti ed utilizzati dall’uomo, insieme con oro ed argento. All’inizio usato per la produzione di piccoli oggetti a scopo ornamentale, poi per realizzare armi ed utensili. Questo metallo è presente in natura sottoforma di pepite con un grado di purezza molto elevata, prossima al 99,9%; associate al rame, si trovano tracce d’argento, nichel, ferro e piombo ed altre impurezze come arsenico, antimonio, zolfo. Il rame puro può essere utilizzato solo per la produzione di lamiere per tetti e per la produzione di recipienti, oggetti sbalzati e conduttori elettrici; nella maggior parte dei casi viene però impiegato sottoforma di leghe, dove le più comuni sono i bronzi e gli ottoni. Il bronzo, ottenuto mescolando rame e stagno allo stato di fusi, può essere considerato come la prima lega impiegata intenzionalmente e su vasta scala dall’uomo, tanto da dare il suo nome ad un lungo periodo della storia dell’umanità, l’Età del Bronzo (3000-2000 a.C.) Nel secondo millennio avanti Cristo la tecnologia di lavorazione del bronzo raggiunse un elevato livello; furono prodotte grandi quantità di strumenti, utensili, oggetti ornamentali, prevalentemente per fusione. Le leghe utilizzate erano leghe binarie rame-stagno ben definite e contenenti una percentuale di stagno prossima al 10%. Questo tipo di bronzo è tuttora utilizzato nella produzione produzione di parti meccaniche; la concentrazione concentrazione di stagno stagno varia a seconda della destinazione d’uso del manufatto, inoltre non venivano utilizzate solo soluzioni binarie, ma erano aggiunti al fuso anche piombo, zinco e nichel. Si ottiene un fuso facilmente lavorabile intorno agli 800 °C, temperatura abbastanza accessibile; una volta freddo il materiale ottenuto si presenta resistente a trazione e compressione. Per abbassare ulteriormente la temperatura del fuso di rame e stagno, si usava spesso il piombo: metallo che allo stato liquido si scioglie sia nel rame che nelle leghe rame-stagno e che durante la solidificazione, si separa, formando dei globuli, più o meno grandi a seconda della quantità del metallo e della velocità di solidificazione della lega, negli spazi interdendritici. Un’altra lega binaria è l’ottone, più recente del bronzo, soluzione solida di rame e zinco, dove quest’ultimo può raggiungere valori anche del 40%. Può avere diverse colorazioni secondo la percentuale di zinco: da similoro (10-20%) a gialla verdastra (più del 20%). Le tecniche di lavorazione di queste leghe sono fondamentalmente fondamentalmente tre: A laminatura: che consisteva nel martellare a freddo un pane di bronzo, fino ad ottenere una lamina della forma e dello spessore desiderati; A sagome chiuse; utilizzata soprattutto soprattutto nella realizzazione di di sculture e campane. A cera persa: tecnica utilizzata 3
2..1. C Coorrrossioone d dei M Meettaallii La genesi dei prodotti d’alterazione, o patine, nei bronzi è un processo regolato non solo dalle condizioni ambientali in cui il manufatto si trova, ma dipende anche dai costituenti del materiale stesso e da eventuali sostanze apportate dall’uomo, come ad esempio vernici e protettivi. Le patine sono distinte in prodotti di corrosione d’origine primaria e patine d’origine secondaria, cioè derivante dall’alterazione di una patina preesistente a causa d’agenti aggressivi come acido acetico o solfidrico, o per l’interazione di prodotti di degrado di materiali utilizzati nel corso di restauri. restauri. Terza categoria, le patine composite, composite, che comprendono il deposito di di particolato atmosferico o la deposizione di sali per evaporazione di soluzioni saline (spray marino). I fenomeni corrosivi, che portano poi alla formazione di patine, sono suddivisi in corrosione chimica e corrosione elettrochimica, per comodità di studio. I fenomeni di corrosione chimica, o corrosione secca, avvengono per reazione diretta tra il metallo e ed un particolare reagente chimico. Quelli più studiati sono quelli d’ossidazione, reazioni che hanno luogo tra metalli e ossigeno e che possono essere studiati determinando l’aumento in peso di un campione metallico esposto ad un’agente ossidante. La velocità di ossidazione dipende inoltre dalla temperatura e dai prodotti che si formano sulla superficie: se si formano strati di ossido molto compatti, l’ossigeno poi diffonderà molto lentamente negli strati sottostanti, e la velocità di ossidazione subirà un arresto, come avviene per l’alluminio. Invece, se la patina è porosa, come nel caso di metalli alcalini, l’ossigeno sarà costantemente a contatto con il metallo, e la corrosione avverrà a velocità pressoché costante (a temperatura costante). La corrosione elettrochimica, invece, avviene in presenza d’acqua, anche sotto forma d’umidità, dove sono presenti presenti ioni metallici in soluzione e avvengono avvengono passaggi d’elettroni d’elettroni e migrazione di ioni nella soluzione. In questo modo si forma una pila dove l’anodo, il metallo meno nobile, si corrode. Esistono tipi di pila che, insieme alla pila di Volta, consentono l’interpretazione d’alcuni fenomeni corrosivi dei metalli; come la pila a concentrazione e la pila a temperatura differenziale. La pila a concentrazione può essere costituita da due elettrodi dello stesso metallo, ognuno dei quali in contatto o con una soluzione salina a diversa concentrazione 6, o con una soluzione che presenta una diversa concentrazione d’ossigeno in prossimità dei due elettrodi 7. La pila a temperatura differenziale è costituita da due elettrodi del medesimo metallo, uno dei quali si trova ad una temperatura più alta rispetto all’altro, diventando così l’anodo che si corroderà. 6 In questo caso l’anodo è l’elettrodo immerso nella soluzione meno concentrata. 7 Nota anche come pila ad aerazione differenziale; dove l’elettrodo in carenza di ossigeno diventa an odico, dissolvendosi.
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Questi casi possono verificarsi, ad esempio, quando una barra metallica è immersa parzialmente in acqua: la parte esterna può presentare una maggiore temperatura e una maggior quantità d’ossigeno, la parte sommersa può essere in contatto con una maggiore carica salina. L’instaurarsi di questi fenomeni, da soli o contemporaneamente, porta nel tempo alla corrosione del metallo nella zona sotto il pelo dell’acqua. I vari tipi di corrosioni, suddivise generalmente in corrosione atmosferica, nel sottosuolo e per immersione in acqua, sono tutte riconducibili ad una o più combinazioni dei vari tipi di pila sopra descritte. Varie sono le forme di corrosione che un metallo o lega può subire: Corrosione uniforme: dove il manufatto subisce una corrosione uniforme in tutti i suoi punti, si tratta di un fenomeno meccanico dove l’acqua asporta particelle del metallo; crateriforme e caverniforme: il degrado si manifesta con crateri c rateri localizzati, che Corrosione crateriforme possono manifestarsi a causa della formazione di pile ad aerazione differenziale o per la presenza di fasi o inclusioni eterogenee sulla superficie; Corrosione intergranulare: quando il fenomeno si propaga lungo i grani e non investe la matrice, sono fenomeni che possono pregiudicare la resistenza meccanica del pezzo; Corrosione transgranulare: transgranulare: fenomeno dove la corrosione si propaga attraverso i vari grani metallici; Corrosione selettiva: si verifica in leghe con almeno due fasi; dove una risulta essere meno nobile (quindi più anodica) dell’altra, la fase anodica si corrode mentre quella catodica rimane inalterata; Corrosione intragranulare: fenomeno che interessa l’interno dei grani, lasciando intatti i bordi; Corrosione interdendritica: interdendritica: corrosione che avanza lungo i contorni delle dendriti; Corrosione stratificata: si verifica quando un materiale è caratterizzato da disomogeneità, sia chimiche che strutturali, ad andamento stratificato. stratificato. A queste vanno aggiunte la corrosione galvanica: corrosione di tipo elettrochimico che si presenta in metalli a diverso potenziale posti a diretto contatto, l’anodo, il metallo a potenziale più basso si dissolve, lasciando inalterato il catodo; l’erosione: fenomeno di natura meccanica, dove particelle solide trasportate dall’acqua o dall’aria abradono la superficie metallica.
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I principali prodotti di corrosione del rame sono riportati nella tabella sottostante: Composti del Rame Derivanti da un’azione di Degrado
Nome Nantokite Atacamite Paratacamite Botallakite Clinoatacamite Cuprite Calcocite, Covellite Brochantite Azzurrite Malachite Moolooite
Formula CuCl Cu2(OH)3Cl Cu2(OH)3Cl Cu2(OH)3Cl Cu2(OH)3Cl Cu2O Cu2S, CuS Cu4(SO4 )(OH) )(OH)6 Cu3(CO3 ) )2(OH)2 Cu2(CO3 )(OH) )(OH)2 Cu(COO)2 · nH2O
Sistema Cristallino cubico ortorombico romboedrico monoclino monoclino cubico romboedrico monoclino monoclino monoclino ortorombico
Colore verde pallido verde bottiglia verde pallido blu -verde pallido verde pallido rosso cupo nero verde azzurro verde azzurro chiaro
Vanno inoltre ricordati i prodotti di alterazione del piombo come il litargirio e la plattnerite (PbO2 ), la cerrusite e l’idrocerrusite (PbCO 3 e Pb3(CO3 )2(OH)2 ), l’anglesite (PbSO4 ), la galena (PbS) e la cotunnite (PbCl 2 ); la cassiterite (SnO2 ), amorfa, praticamente l’unico prodotto di alterazione dello stagno.
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3. M Manuf atti ssog g ge tti aad iindag ini 33.11. ““Saan G Giio v annnii” SStaatuuaa B Bronnzzeea d di B Baaccciio d daa M Monttelluupoo CChiieesa d di O Orrsaanm Firreenzee miichheelee aa F
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Baccio da Montelupo8 nacque da una famiglia di modesta estrazione sociale. Poco sappiamo sulla sua formazione avvenuta nel borgo natale; tra il 1487 ed il 1488, il giovane Baccio si trasferisce a Firenze ed inizia a frequentare la scuola d’arte del giardino di San Marco diretta da Bertoldo di Giovanni; vera e propria accademia 9 che alla fine degli anni ottanta del XV secolo era frequentata da artisti che sarebbero divenuti famosi come Ghirlandaio, Francesco Granacci, Jacopo Sansovino e soprattutto Michelangelo. Una volta chiusa la scuola, poche sono le notizie riguardanti l’artista, sino al 1494, quando un documento fa sapere che lo scultore aveva ottenuto un importante incarico dai frati di San Domenico a Bologna, i quali commissionano a Baccio l’esecuzione di un “Compianto 10” in terracotta, che l’artista eseguì a Firenze e che poi trasportò a Bologna per collocarlo nella Cappella Bolognini nella chiesa di San Domenico Fu un piagnone, vale a dire un seguace convinto di Savonarola, dopo la morte del quale, decise di rifugiarsi di nuovo a Bologna, dove realizzò 12 busti d’apostoli in terracotta, ora nella Cattedrale di Ferrara. La consacrazione della sua carriera si ebbe con la commissione da parte dell’Arte della Seta nel 1514 della statua di San Giovanni Evangelista, per una delle nicchie di Orsammichele a Firenze, opera che fu realizzata in bronzo, suo capolavoro della maturità per la potente espressione del volto e dei gesti. La chiesa d’Orsanmichele, detta anche di San Michele in Orto, era una loggia costruita in origine per il mercato delle granaglie, in seguito trasformata in chiesa delle Arti, le antiche corporazioni fiorentine. Orsanmichele ha rappresentato fin dal suo nascere l’incontro della civiltà civile e religiosa della città di Firenze divenendo sede d’attività e di rappresentanza per il Comune, per la potente Confraternita della Madonna di San Michele in Orto e per le più importanti Arti cittadine, capeggiate dall’Arte della Seta, che nel 1339 ha l’incarico dalla Signoria di coordinare la decorazione dei pilastri esterni con tabernacoli contenenti le immagini scolpite dei Santi protettori. Tabernacoli e sculture 11, quattordici in tutto, furono eseguiti dai maggiori artisti, tra i quali si annoverano Donatello, Nanni di Banco, Ghiberti, e, più tardi, Verrocchio e Giambologna, venendo a costituire una straordinaria galleria all’aperto ed un repertorio 8 Conosciuto anche come Bartolomeo di Giovanni d'Astore dei Sinibaldi (Montelupo Fiorentino 1469 - Lucca ca. 1523) 9 Nata intorno al 1475 per volontà di Lorenzo dei Medici dove i giovani artisti potevano imparare i rudimenti dell’arte.
Chiuse definitivamente con la morte, nel 1492, del Magnifico e di Bertoldo. gruppo scultoreo è incompleto; composto dalla Maddalena, dalla Madonna, da Maria Marta e da Maria Cleofe, da San Giovanni e dal Cristo morto. 11 Nell'Ottocento sono state realizzate copie delle statue, le quali sono state messe al sicuro all'interno del museo a primo piano dell'edificio. Di alcune statue non sono s ono disponibili copie, perciò oggi all'esterno alcune nicchie sono s ono vuote. Non tutte le statue originali sono in bronzo: solo quelle delle Arti più ricche dato il costo di una statua bronzea. Alcune copie sono realizzate in un materiale diverso da quello originale. 10 Il
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altrettanto mirabile della scultura fiorentina del Quattrocento, ricca d’implicazioni tardogotiche e rinascimentali. 1. Giambologna, San Luca in marmo. 1601 (arte dei Giudici e Notai). 2. Andrea del Verrocchio, Verroc chio, Incredulità di San Tommaso in bronzo. bronz o. 1467-1483 (arte della Mercatanzia). In sostituzione del San Luigi di Tolosa di Donatello, in bronzo dorato (1413), spostato nella chiesa di Santa Croce e attualmente nel Museo dell’Opera di Santa Croce. 3. Lorenzo Ghiberti, San Giovanni Battista in bronzo. 1412-1416 (arte della Calimala). 4. Baccio da Montelupo, San Giovanni Evangelista in bronzo. 1515 (arte della Seta). 5. Niccolò di Pietro Tedesco (o Simone di Ferrucci), Madonna della Rosa in marmo. 1399 (arte dei Medici e degli Speziali). Sostituita da una copia, l’originale è all’interno. 6. Niccolò di Pietro Lamberti (?), San Giacomo Maggiore in marmo, 1415 (arte dei Pellicciai). Sostituito da una copia, l’originale è all’interno. 7. Donatello, San Marco, in marmo. 1411-1413 (arte dei Linaioli e Rigattieri). Sostituito da una copia, l’originale è all’interno. 8. Nanni di Banco, Sant’Eligio, in marmo. 1411-1415 (arte dei Maneschalchi). Sostituito da una copia, l’originale è all’interno.
fig. 1 ▲Immagine della chiesa di Orsanmichele fig. 2 ▼Schema della disposizione dei tabernacoli con sculture sulle facciate dell'Orsanmichele. Nella tabella accanto sono indicate le varie statue ed i loro autori
9. Lorenzo Ghiberti, Santo Stefano, in bronzo. 1426-1428 (arte della Lana). 10. Lorenzo Ghiberti, San Matteo, in bronzo. 1419-1423 (arte del Cambio). 11. Donatello, San Giorgio, originale in marmo (ora al Museo del Bargello), rimpiazzato da copia in bronzo. 1415-1417 (arte dei Corazzai). Rilievo sulla base del tabernacolo con San Giorgio che libera la principessa dal drago. 12. Nanni di Banco, Quattro Santi Coronati, in marmo. 1410-1412 (arte dei Maestri di Pietra e Legname, di cui faceva parte lo stesso artista). Gruppo sostituito da una copia, l’originale è all’interno.Rilievo sulla base del tabernacolo con i santi intenti all’opera di scultore. 13. Nanni di Banco, San Filippo, in marmo. 1412-1414 (arte dei Calzaiuoli), Sostituito da una copia, l’originale è all’interno. 14. Donatello (o Bernardo Ciuffagni), San Pietro in marmo. 14081413 (arte dei Beccai). Sostituito da una copia, l’originale è all’interno.
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Via dei Calzaioli
Nel 1515 Baccio realizzò l’edicola in marmo che circonda l’affresco miracoloso della Vergine nella chiesa di Sant’Agostino a Colle Val d’Elsa. Sul finire del decennio lavorò a Lucca, a partire dalla Pietà in marmo per la pieve di Segromigno (1518), opera alla quale seguirono una serie di monumenti funebri (Tomba del vescovo Silvestro Gigli, chiesa di San Michele al Foro, con il figlio Raffaello; Monumento di San Silao Museo di Villa Guinigi; Monumento a Giano Grillo chiesa di Santa Maria dei Servi); progettò inoltre, Chiesa di San Paolino, sempre a Lucca. Gli ultimi anni sono avvolti da mistero, si presume che si sia ritirato dall’attività intono al 1523, morendo forse a San Luca. Vasari parlò di lui nel suo libro “Vite de’più eccellenti pittori scultori ed architettori”: “…e fugli allogato per l’arte di porta Santa Maria una statua di San Giovanni Evangelista per farla di bronzo; la quale prima che avesse, ebbe assai contrarii, perché molti maestri fecero modelli a concorrenza. La quale figura fu posta poi sul canto di San Michele in Orto, dirimpetto all’ufficio. Fu quest’opera finita da lui con somma diligenzia. Dicesi che, quando egli ebbe fatto la figura di terra, chi vide l’ordine delle armadure e le forme fattele addosso, l’ebbe per cosa bellissima, considerando il bello ingegno di Baccio in tal cosa. E quegli che con tanta facilità la videro gettare, diedero a Baccio il titolo di avere con grandissima maestria saldissimamente fatto un bel getto.”
3..2. P Porrttaa N Noorrdd ee P Poorrttaa SSuud d dell B Batttiisteero d di SSann G Giioo v aannnii aa F Fiirrennzzee Il battistero di San Giovanni a Firenze, opera romanica, era ritenuto, nel primo Quattrocento un monumento classico. Ritenuto per questo simbolo dell’antica virtù dei cittadini, al suo interno erano conservati vessilli conquistati ai nemici, venivano svolte cerimonie politiche e civili; era quindi ritenuto il centro ideale della città e la somma delle sue memorie storiche. All’epoca del concorso del 1401 per la decorazione del battistero, solo la Porta Sud era terminata. Questa è dedicata al santo patrono, San Giovanni appunto; ornata da ventotto formelle polilobate, in bronzo dorato, realizzate da Andrea Pisano 12 tra il 1330 e il 1336, ove sono raffigurate le “Storie di San Giovanni e Virtù”. Le Porte Est13 e Nord, anch’esse in bronzo dorato, sono dedicate invece a storie del Vecchio (Porta Nord) e Nuovo Testamento (Porta orientale); entrambe realizzate dal Ghiberti 14 tra il 1403 e il 1452. La Porta Nord, realizzata tra il 1403 e il 1424 presenta ancora un’impostazione un’impostazione gotica, e ad una prima occhiata può sembrare un’opera unitaria dal punto di vista stilistico: i racconti religiosi 13 Nota anche come Porta del “Paradiso”. 14 Lorenzo Ghiberti (Firenze 1378-1455). Scultore, orafo, architetto e scrittore d’arte.
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sono rappresentati all’interno di formelle polilobate. Osservando bene si notano però cambiamenti di stile dell’autore, che passa da uno stile più calligrafico e decorativo ad uno più razionale, dove con un linguaggio classico sono rappresentati realistici contesti spaziali. La Porta Est presenta solo dieci formelle, ma il numero d’episodi rappresentati sale a trentasette: questo perché il Ghiberti riunisce più scene in un’unica formella 15.
fig. 3▼ Immagine della Porta Sud realizzata da Andrea Pisano. fig. 4 Immagine della Porta Nord realizzata dal Ghiberti. ▼
15 Si
passa così da composizioni paratattiche, dove gli elementi rappresentati non non sono in relazione tra loro, a composizioni sintattiche.
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4. SStrumentazione 44.11.. SSppettrroscooppiia IInnf rraarossssa Questa particolare spettroscopia utilizza le radiazioni infrarosse per individuare i gruppi funzionali di molecole organiche ed inorganiche, presenti in un campione dato. L’assorbimento di energia radiante è a carico dei legami molecolari presenti, i quali si piegano 16 e si stirano17 a seconda delle varie lunghezze d’onda inviate. Per poter avere un assorbimento di radiazione IR, è necessario che i gruppi molecolari siano dotati di un momento dipolare, anche non permanente; in caso contrario, se ad esempio la molecola è dotata di legame omeopolare, non si avrà alcun assorbimento nella regione dell’infrarosso. dell’infrarosso. Naturalmente, come per tutti i tipi di assorbimento elettromagnetico, anche nell’IR solo determinate frequenze possono provocare provocare i vari assorbimenti, secondo la legge:
∆ E = h ⋅ν dove “ h” è la costante di Plank (6,626 10 -34 Js), “ν” è la frequenza frequenza in Hz e “∆E” è l’energia
fig. 5 Spettro Elettromagnetico
16 Detti
anche bending. Movimenti che provocano una variazione dell’angolo di legame all’interno di una molecola poli atomica; possono essere sul piano o fuori dal piano. Si verificano a frequenze minori rispetto ai movimenti di stiramento. 2 Detti anche streching. Si verificano tra i 4000 ed i 1500 cm-1; provocano l’allungamento e l’accorciamento dei legami molecolari e nelle molecole poli atomiche sono simmetrici s immetrici e asimmetrici.
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della radiazione in Joule ( J ) , la quale consente il passaggio da uno stato energetico fondamentale ad uno eccitato. La regione dell’infrarosso viene convenzionalmente suddivisa in infrarosso lontano ( dai 500 ai 20 cm-1, prossimo alla regione delle microonde), medio (4000-400 cm -1 ) e vicino ( dai 14000 ai 4000 cm-1, regione al di sotto del color rosso) 18. Il range generalmente utilizzato per compiere le indagini è l’IR medio, in quanto la maggior parte degli assorbimenti si verifica tra i 4000 e i 400 cm-1 . Ogni gruppo funzionale ha bande caratteristiche di assorbimento per frequenza, forma ed intensità. La frequenza è il primo parametro che viene preso in considerazione, in quanto indica la presenza di quel particolare particolare gruppo gruppo funzionale, nel materiale in analisi. analisi. Una banda singola singola dovrebbe avere una forma simmetrica, con un picco massimo e due ali equivalenti ai lati. Casi di deviazione delle bande possono verificarsi in molecole complesse, dove più assorbimenti si sovrappongono. L’intensità caratterizza la quantità di quel dato gruppo funzionale presente nell’analita. Nel campo dei beni culturali la spettroscopia IR, tecnica non distruttiva, viene applicata per caratterizzare pigmenti, colorant coloranti,i, leganti, fibre, polimeri naturali e di sintesi, solventi ed i prodotti di degrado dei materiali. I campioni utilizzati per compiere analisi spettrali possono essere sia solidi che liquidi 19. Questi devono essere rappresentativi ed utili al tipo di indagine per cui sono stati scelti; devono essere posti in idonei contenitori, affinché non subiscano contaminazioni, che potrebbero compromettere compromettere l’indagine. Vari sono i metodi di analisi che utilizzano la radiazione infrarossa, i quali vengono scelti a seconda della morfologia del campione. Questi sono: Misure di Trasmissione: tecnica nella quale il raggio IR attraversa il campione. Utilizzata per analisi qualitative e quantitative, in quanto l’assorbimento da parte del campione è direttamente proporzionale proporzionale alla sua concentrazione ed al suo spessore. Misure in Riflessione Diffusa: in questo caso il campione diffonde la radiazione incidente; quest’ultima è riflessa con diverse angolazioni, diverse rispetto all’angolo di incidenza. Tecnica utilizzata per campioni opachi e porosi, o per analiti sotto forma di polvere che diffondono la radiazione incidente. 18 Le
frequenze delle radiazioni Infrarosse vengono solitamente espresse in numeri d’onda (ν) anziché in hertz, in quanto il numero d’onda non è altro che il reciproco della lunghezza d’onda espressa in cm, ecco perché le frequenze sono espresse in cm-1. 19 I campioni analizzabili possono essere anche gassosi, situazione inusuale per i beni artistici. I campioni gassosi hanno però lo svantaggio di essere scarsamente riproducibili.
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Misure in Riflessione Speculare: qui il campione si presenta con una superficie liscia, capace di riflettere la radiazione incidente in modo che l’angolo di incidenza sia uguale all’angolo di riflessione. Misure in Riflessione Totale Attenuata (ATR): analisi dove il campione viene posto a contatto con un cristallo con alto indice di rifrazione. Il raggio IR attraversa il cristallo subendo una riflessione ogni volta che incontra la superficie di separazione tra cristallo e campione. Solo la superficie del campione viene analizzata, in quanto il raggio attraversa pochi µm di analita. Si usa per materiali particolarmente opachi alla radiazione infrarossa.
fig. 6 Schema dell’interazione tra radiazione IR e campione in una misura in geometria ATR
Misure in Riflessione-Assorbimento: metodo nel quale, il campione, viene schiacciato su uno specchio d’oro. Il raggio IR inviato al campione, attraverso quest’ultimo, viene riflesso dal supporto speculare sottostante e attraversa nuovamente il campione prima di raggiungere il rilevatore. Il campione non deve essere troppo spesso, altrimenti alcune frequenze rischiano di essere totalmente assorbite, e lo spettro risultante non sarebbe leggibile. Ogni tecnica, presenta spettri lievemente diversi, per intensità, forma e posizione delle bande di assorbimento, pur analizzando una stessa sostanza. Queste deviazioni si verificano per le diverse preparazioni che subisce il campione e per le diverse strumentazioni utilizzate (lenti, specchi d’oro, cristalli per misure in ATR, etc.).
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44.11..1.. M Miccrroscoppiia IInnf rraarossssa La microscopia infrarossa accoppia alcune delle geometrie d’indagine già discusse (trasmissione, riflessione ed ATR), ad uno microscopio. In questo modo il microspettrometro microspettrometro offre la
◄ fig. 7 Immagine del microspettrofotometro accoppiato a microscopio, in dotazione al CNR-ICIS di Padova fig. 8▲ Particolare dell’obbiettivo
possibilità di osservare il campione in luce visibile, di fotografarlo fotografarlo e filmarlo. filmarlo. Inoltre, è possibile selezionare un’area ristretta dell’oggetto in analisi, al quale inviare la radiazione IR, grazie alle sue aperture mobili 20. Così è possibile svolgere analisi quasi puntuali del campione. Il dispositivo presente al CNR di Padova indaga l’intervallo spettrale che va da 4000 a 650 cm-1, utilizzando un rivelatore MCT (mercurio-cadmio-tellururo) raffreddato ad azoto liquido. Il tempo impiegato per fig. 9 Immagine al microspettrofotometro IR. L’area all’interno il riquadro rosso è quella effettivamente l’accumulo di un centinaio di spettri è di analizzata. Si possono notare le forme curve ed irregolari che corrispondono a dei depositi di campione. qualche minuto Questo strumento è utile per individuare zone diverse del campione analizzandole, quindi, separatamente, realizzando in un secondo tempo una mappatura di quest’ultimo.
20 Il Getty Conservation Institute consiglia di usare aperture non inferiori ai 20 µm, questo perché possono verificarsi fenomeni di
diffrazione, se le aperture sono troppo strette, così lo spettro raccolto non corrisponderebbe all’area di interesse ma a zone che non vediamo con il microscopio.
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Prima di svolgere un’analisi è necessario registrare uno spettro di background 21, che è utilizzato per la correzione dello spettro finale . Le analisi svolte durante lo stage, sono state effettuate principalmente principalmente in modalità riflessione riflessione ed in ATR. La prima è molto simile alle misure di assorbimento-riflessione che si svolgono in spettroscopia IR. Anche qui il campione, di minime dimensioni, viene schiacciato su uno specchio d’oro con appositi utensili e analizzato. A volte si utilizzano estrazioni con solventi diversi per separare le parti organiche di interesse dal supporto. Le soluzioni ottenute sono concentrate e depositate su vetrino dorato ove vengono analizzate. Fondamentale, per questo genere di analisi, è che la radiazione IR subisca una riflessione speculare, altrimenti la radiazione risultante dall’interazione fascio IR-materia potrebbe non essere sufficientemente energetica a fornire uno spettro leggibile. Nel secondo caso, al campione in analisi al microscopio, viene posta a contatto una semisfera fig. 10, 11 e 12 Strumento per compiere indagini con geometria ATR e relativo schema
di silicio; la radiazione IR inviata viene focalizzata sul campione da uno specchio metallico semisferico presente all’interno della semisfera di silicio. In questo modo si forma un cono di radiazione IR che va a colpire il campione interagendo con gli strati più superficiali di quest’ultimo. Il raggio emerge in modo normale alla superficie del campione. Questo metodo si usa in casi in cui il campione presenti una superficie particolarmente scabra, la quale diffonde molto la radiazione incidente, e quindi una geometria a riflessione diffusa non sarebbe efficace. Questo metodo si usa anche in casi di campioni particolarmente opachi allo spettro IR.
21 Corrisponde all’analisi del bianco nelle altre
tecniche spettroscopiche.
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fig. 13 Immagine del portacampione per ATR, che va poi appoggiato sopra i sensori a pressione circolari, visibili nella foto.
Diversi sono i vantaggi che presenta l’accoppiata tra uno spettrofotometro IR con un microscopio, questa tecnologia : E’ relativamente non distruttiva, Non necessita di preparazione del campione con KBr o altre sostanze, Fornisce un’analisi precisa e puntuale dell’area scelta con possibilità di confronto con zone adiacenti, E’ di veloce esecuzione, Necessita di quantità minime di campione. Ai vantaggi si affiancano gli svantaggi, che c he sono analisi di superficie ed analisi anche fin troppo puntuali, che obbligano a più prove su un unico campione per avere risultati attendibili e rappresentativi di tutto il campione.
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4..22. II R R ag g g g X gi X I raggi X, o raggi Röntgen 22, sono radiazioni elettromagnetiche con lunghezza d’onda tra i 10 e i 10-3 nm; all’interno dello spettro elettromagnetico sono localizzati tra i raggi UV ed i raggi γ. Queste radiazioni ionizzanti possono essere prodotte da radioisotopi, come 241 Am, 109Cd e 55Fe; o da un tubo catodico per l’emissione di raggi X. Quest’ultimo consiste in un involucro di vetro sotto vuoto spinto, di forma cilindrica, la quale contiene al suo interno un catodo ed un anodo, tra i quali è applicata una forte differenza di potenziale. Il catodo, costituito da un filamento di tungsteno scaldato mediante passaggio di corrente elettrica, emette elettroni, che vengono accelerati dal campo elettrico verso l’anodo 23, e colpendolo provocano l’emissione di radiazione X che passa poi attraverso una delle quattro finestre di berillio presenti.
fig. 14 Schema di un tubo per l’emissione dei raggi X
Lo spettro emesso dall’anticatodo è continuo, con alcuni picchi di emissione caratteristici del materiale di cui questo è composto; ciò si verifica perché due processi avvengono quando gli elettroni urtano gli atomi dell’anodo. Se l’energia dell’elettrone non viene ceduta tutta al primo impatto con gli atomi dell’anticatodo, questo continuerà a collidere con altri atomi del materiale, perdendo via via frazioni della propria energia, sino all’esaurimento di quest’ultima. In questo modo si ottiene uno spettro continuo, chiamato radiazione bianca o radiazione di sottofondo. 24 Se, al contrario, la corsa dell’elettrone viene fermata dal primo impatto con gli atomi dell’anodo, la sua energia cinetica viene convertita in energia radiante, la quale viene trasferita ad uno degli elettroni dei gusci interni, che per questo si allontana dall’atomo, lasciando una lacuna nell’orbitale K, L o M. La mancanza elettronica viene subito colmata da un elettrone proveniente da un’orbitale più esterno, che durante la transizione elettronica, emette radiazione X, che viene rilevata come i picchi dello spettro di emissione dell’anticatodo. I picchi prendono il nome di K 125 (il picco più intenso) e Kβ 1 ( il picco meno intenso ma con lunghezza d’onda inferiore), a
22 Wilhelm Conrad Röntgen,(Remscheid-Lennep, 1845-Monaco 1923) fisico tedesco
che scopri nel 1895, i raggi X. Per questa scoperta, Röntgen ricevette il primo Premio Nobel per la fisica nel 1901. 23 Chiamato anche anticatodo, realizzato solitamente in rame. 24 Rispettivamente white radiation e background radiation. 25 Esistono altre radiazioni K, ed anche radiazioni L ed M, che derivano da transizioni elettroniche che portano, però, all’emissione di radiazioni X molto meno intense e risolte.
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seconda del caso che la lacuna elettronica del guscio K venga colmata da un elettrone proveniente da un orbitale L o M. Le radiazioni così ottenute vengono utilizzate per compiere le analisi non distruttive quali l’XRF e l’XRD .
44..2..1.. D Dif f f fr azziionnee d deeii R R aag g g g X ( gi i X ( ( X XR R RD ) ) La diffrazione dei raggi X, permette di identificare sostanze cristalline, siano esse inorganiche o organiche, presenti in un campione, grazie alla caratterizzazione della loro struttura cristallina; non si può applicare alle sostanze amorfe. Con quest’analisi si possono identificare pigmenti, prodotti di corrosione, Sali inquinanti e tutto ciò sia dotato di un reticolo cristallino. La tecnica si basa sull’interazione tra un’onda di radiazione X 26 e gli elettroni degli atomi del materiale in esame. Un cristallo è composto da unità, le celle cristalline, che si ripetono più e più volte nelle tre dimensioni; all’interno delle celle gli atomi si dispongono secondo determinate simmetrie, caratteristiche del materiale in esame. In ogni cristallo, i vari atomi che lo compongono, si dispongono formando dei piani reticolari, dove la distanza “d” tra un piano e l’altro l’a ltro è una caratteristica del materiale cristallino.
fig. 15 Schema dell’interazione tra raggio X incidente ed atomi in un reticolo cristallino
Quando raggi X vengono inviati ad un sistema cristallino, l’interazione tra la radiazione ed i gusci elettronici degli atomi genera effetti di diffrazione costruttiva e distruttiva, che possono essere raccolti ed elaborati per ottenere un diffrattogramma. I caratteristici picchi di uno diffrattogramma corrispondono alle radiazioni in fase costruttiva, perché ciò si verifichi è necessario che il raggio incidente soddisfi l’equazione di Bragg: nλ = 2 d ⋅ sen θ 26 Vengono
usati raggi X con lunghezze d’onda comprese tra i 0,7 e i 4,8 Ǻ, in quanto questi si avvicinano alle distanze interatomiche esistenti tra gli atomi che compongono il materiale.
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dove “d” è la distanza interplanare tra due piani reticolari, θ è l’angolo di diffrazione, “n” un numero intero ≥1 e “λ” è la lunghezza d’onda dei raggi X. Le onde diffratte da due piani contigui e paralleli danno interferenza costruttiva solamente se la differenza nel cammino ottico 2dsen θ è pari ad un multiplo intero della lunghezza d’onda della radiazione incidente. Una volta ottenuto sperimentalmente θ, e conoscendo la lunghezza d’onda della radiazione X incidente, è possibile ricavare la distanza “d” utilizzando l’equazione di Bragg. Importante applicazione applicazione della diffrazione X è l’analisi con ilil metodo delle polveri, dove dove l’analita viene polverizzato e posto posto all’interno della della camera di diffrazione. diffrazione. Un tempo l’analisi veniva effettuata con camera di Debey-Scherrer, con la quale si ottengono degli archi di diffrazione dovuti ai coni di diffrazione della sostanza in esame, che impressionano una pellicola fotografica giustapposta alle pareti circolari dello strumento. fig. 16 ◄ Immagine di una camera DebeyScherrer fig. 17 ►Schema del funzionamento di una camera Debey-Scherrer fig. 18 ▼ Immagini di coni di diffrazione impressi su pellicole
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Oggi si utilizzano diffrattometri a polveri a geometria Bragg-Brentano, essenzialmente composti da un generatore di alta tensione e una fonte di raggi X, da un goniometro, un porta campioni, da un detector che raccoglie i raggi diffratti e da un sistema di controllo e registrazione dei dati. fig. 19 Schema di un diffrattometreo a polveri con geometria Bragg-Brentano due theta-theta
Quando si svolge l’analisi con uno strumento a geometria due theta-theta, sono il porta campioni27 ed il detector a muoversi in modo circolare, il primo con un angolo θ, il secondo con un angolo 2 θ rispetto alla sorgente di raggi X. Il porta campioni può inoltre girare su se stesso per minimizzare il problema di cristalli che presentano orientazioni preferenziali come nel caso del gesso, caratterizzato da cristalli anisotropi oblunghi. fig. 20 Diffrattometro a polveri Philips, in dotazione al CNR-ICIS di Padova
27 Il
porta campione è realizzato in silice orientata, particolare materiale che non presenta diffrazione ai raggi X.
21
Esiste anche la geometria Bragg-Brentano theta-theta, per un diffrattometro a polveri. In questo caso il porta campioni rimane immobile mentre tubo a raggi X e detector si muovono simultaneamente con lo stesso angolo θ rispetto ad una immaginaria normale al porta campione. Questa geometria presenta il vantaggio di poter analizzare anche fasi non solide o Sali fini, cosa non possibile con la geometria due theta-theta. fig. 21 Schema di un diffrattometro a polveri con geometria Bragg-Brentano theta-theta
Una volta ottenuto il diffrattogramma, diffrattogramma, il riconoscimento dell’analita avviene per confronto con i diffrattogrammi di sostanze note conservati in banche dati, con l’ausilio di un programma computerizzato. La banca dati universalmente riconosciuta è la ICDD, International Centre for Diffracion Data.(ex JCPD).
22
4..3.. SSEM M-EED DSS Il microscopio elettronico a scansione, a differenza dei microscopi ottici, utilizza un fascio di elettroni (caratterizzati da una natura ondulatoria, oltre che corpuscolare) per “illuminare” il campione in analisi. Si sa che illuminando un oggetto con lunghezze d’onda sempre più piccole, la definizione dell’oggetto aumenta. Il problema sta nel maneggiare radiazioni con lunghezza d’onda minore di quella della luce UV; per questo si utilizzano gli elettroni, facili da manipolare mediante campi magnetici e dotati di una bassa lunghezza d’onda; in questo modo il SEM fornisce immagini fino a 3-400.000 ingrandimenti, ingrandimenti, con un potere risolutivo dell’ordine dell’ordine del milionesimo di millimetro. Inoltre, può dare informazioni sull’aspetto, sulla natura e sulle proprietà di superfici e degli strati sottostanti di campioni solitamente solidi, con risoluzione media di 2 ÷5 nanometri. Se associato alla Sonda in Dispersione di Energia, è utile per svolgere microanalisi elementari su campioni e ad elaborare mappature degli elementi presenti nel campione.
44..3..1. M Miccrosscooppioo aa SScaannsiionnee E Elletttronniicaa ( ( SSEM M ) ) Il microscopio elettronico è essenzialmente composto da una sorgente elettronica, generalmente un filamento di tungsteno 28 (riscaldato mediante passaggio di corrente, sino ad incandescenza, che emette elettroni per effetto termoionico 29 ), da un sistema di focalizzazione degli elettroni e da un sistema di deflessione del fascio. Gli elettroni emessi in tutte le direzioni, per effetto termoionico, sono costretti dal campo elettrico dell’elettrodo di controllo Wehnelt a convergere nella regione di cross-over, dove si forma l’immagine della sorgente. L’anodo, un elettrodo circolare forato, al quale è applicata una tensione positiva, accelera gli elettroni. Lungo il cammino il fascio elettronico ad alta energia finemente focalizzato, è deflesso dai campi magnetici generati da sistemi di scansione, in modo tale da fig. 22 Schema di un microscopio a scansione elettronico e dotato di EDS
28 Un
altro tipo di catodo che emette elettroni per effetto termoionico, è in esaboruro di lattanio (LaB 6 ), ), il quale ha un più basso lavoro di estrazione. 29L'emissione degli elettroni avviene perché questi ultimi acquistano, a causa del riscaldamento del filamento metallico, un'energia termica superiore al lavoro di estrazione del materiale. Il lavoro di estrazione è essenzialmente l’energia minima richiesta per estrarre gli elettroni dal metallo.
23
ricoprire una superficie sul campione definita come successione di linee parallele ed equidistanti. Gli elettroni primari, interagendo con il campione, danno origine a vari effetti, tra cui l’emissione di elettroni secondari e retrodiffusi, che costituiscono i due segnali più comunemente usati. Le radiazioni successivamente emesse dall’impatto tra campione ed elettroni primari sono raccolte da rivelatori e presentate su un tubo a raggi catodici (CRT). Il generatore di scansione oltre a essere collegato alla bobina di scansione, è collegato al display e allo schermo per registrazione fotografica. È possibile muovere il campione durante l’analisi rispetto agli assi x, y, z, nonché ruotarlo. ruotarlo. Tutto ciò avviene nel vuoto ultra spinto, spinto, assicurato da un sistema di pompe.
fig. 23 ▲ Immagine del microscopio elettronico a scansione in dotazione al CNR-ICIS di Padova
◄ fig. 24 Particolare dell’interno dello strumento.
24
Come già detto, quando la superficie del campione 30 solido viene scansionata, scansionata, vengono prodotti diversi tipi di segnali; i più importanti ed utili utili ai fini di un indagine morfologica morfologica ed elementare di un campione, riguardano l’emissione di elettroni secondari, elettroni retrodiffusi (backscatterati) e raggi X.
fig. 25 Schema che illustra i vari prodotti derivanti dall’interazione tra materia e elettroni primari.
Gli elettroni secondari, o segnale SE (Secondary Electron) provengono da una profondità di pochi nm (~10nm) e sono gli elettroni in origine legati ai livelli atomici più esterni, che vengono generati per diffusione anaelastica nell’urto tra elettroni primari ed elettroni dell’analita; per questo hanno un’energia tra 0 e 50 eV. Sono frequentemente utilizzati per ottenere informazioni riguardanti morfologia e topografia delle superfici; l’immagine fornita da tali elettroni appare in tre dimensioni, come se l’osservatore fosse allo stesso livello del diaframma interno e guardasse l’oggetto illuminato da un’ipotetica sorgente situata in corrispondenza del rilevatore. Gli elettroni retrodiffusi, o segnale BSE (Back-Scattered Electron), sono la risultante degli elettroni del fascio che viene riflessa con energia che va da 50 eV fino a quella di incidenza. Sono generati della diffusione elastica nell’urto tra fascio elettronico e campione. Forniscono informazioni riguardo morfologia , struttura cristallina e numero atomico medio della zona indagata dal fascio di elettroni primari. Provengono Provengono da profondità profondità massime di alcuni �m. L’intensità e l’energia dei raggi X, prodotti dall’interazione tra fascio incidente e campione, vengono utilizzate per compiere microanalisi su quest’ultimo e per conoscere quantità e distribuzione degli elementi nel campione. I raggi X, caratteristici degli elementi che compongono 30
In genere l’analisi si svolge su cross-section o su sezioni sottili; ma possono essere analizzati campioni grezzi, non inglobati, che vengono così incollati su un adeguato supporto ed osservati al SEM. In questo caso però, l’analisi chimica con EDS non risulta precisa come può esserlo analizzando un campione ben lucidato. Particolare attenzione va posta a quei campioni che mal conducono gli elettroni, in questo caso, la superficie di quest’ultimi verrà rivestita da un sottile film metallico, o strato di graffite, prodotto per sputtering o per evaporazione sotto vuoto.
25
l’oggetto in esame, possono essere registrati e discriminati sulla base della lunghezza d’onda (WDS) o dell’energia (EDS). Per svolgere questa analisi si utilizza uno spettrometro a dispersione di energia che rileva le varie radiazioni X emesse. Lo spettro ottenuto dà un’indicazione qualitativa e semiquantitativa degli elementi presenti nel campione in esame. Uno spettro EDS ( e WDS) può presentare più di un picco per ogni elemento, questo perché il fascio di elettroni incidente, può strappare più di un elettrone dai gusci elettronici interni; le lacune così lasciate, vengono colmate dagli elettroni degli orbitali più esterni, che nel “salto” da un livello energetico più alto a quello più basso, emettono energia sotto forma di radiazione elettromagnetica (i raggi X appunto) tipica dell’elemento. Più il salto elettronico sarà grande, più saranno energetici i raggi X prodotti; inoltre, la quantità di radiazioni prodotte, sarà proporzionale alla concentrazione dell’elemento nel campione. Molti altri sono i prodotti che derivano dall’interazioni tra fascio elettronico e materia, che vengono usati più raramente. raramente. Molto Molto brevemente questi questi sono: Immagini di catodoluminescenza31, Elettroni Auger32, Immagini da elettroni trasmessi, Immagini da conducibilità indotta. Questi prodotti di interazione vengono raccolti da opportuni rivelatori i segnali vengono raccolti da opportuni rivelatori e trasformati in segnali elettrici che restituiscono, su uno schermo CRT, un’immagine in bianco e nero. Gli elementi costituenti l’immagine finale prendono il nome di punti immagine o pixels (0.01 mm 2 ).
31 Emissione
di radiazione luminosa compresa tra l’ultravioletto l’ultravioletto e l’infrarosso, il cui spettro di emissione permette lo studio e la localizzazione delle specie attivatici. att ivatici. 32 Emessi dagli strati superficiali del campione da una profondità massima di 2nm, permettono di ottenere mappe di distribuzione degli elementi leggeri.
26
5. Analisi ddel ““San G Gio v anni” 55..1.. P Punnttii d di P Prreeliiee v oo d deeii C Cam mpioonni
27
55.11..1.. Annaliisi SStrrattig g rraaf iica
fig. 26 foto al microscopio di due frammenti. fig. 27 Immagine al microscopio della cross section del campione SL-04. fig. 28 Schema della stratigrafia del campione in analisi.
28
Interpretazione (dopo analisi con SEM-EDS e XRD)
Nome dello Strato
Descrizione
1
Strato giallo arancio, sottile, con andamento abbastanza irregolare e privo di inclusi. Non è completo, infatti si notano delle discontinuità nello strato.
Strato di Cuprite, Cu2O.
2
Strato grigio chiaro, non omogeneo, con andamento irregolare, presenta al suo interno inclusi neri di piccole dimensioni e inclusi giallo-arancio.
Strato di gesso, con presenza di silicati argillosi con ossido di ferro.
3
Strato verde chiaro, composto da più straterelli sovrapposti (sulla destra), con andamento molto irregolare e spessore variabile. Al suo interno inter no sono visibili diversi inclusi neri e giallo-arancio, di dimensioni variabili. Sono inoltre presenti “isole” di materiale, marroni con piccoli inclusi neri all’interno.
moolooite, atacamite , paratacamite; ossalato di rame e ossicloruri di rame, come risulta dalla analisi XRD.
4a
Stato nero molto irregolare con spessore variabile. Al suo interno inte rno sono presenti pre senti inclusi marroni e gialli, di diverse dimensioni.
Zona che risulta essere ricca di gesso all’analisi con SEM, dovuta ad una possibile patinatura con paraffine.
4b
Strato nero, omogeneo, irregolare, di spessore variabile; sporadici inclusi gialli di dimensioni diverse. Si nota un sottile strato verde chiaro che divide lo strato 4a dallo strato 4b.
Composizione analoga allo strato 4a.
5
Strato grigio, sottile, con andamento e spessore abbastanza regolari. All’interno si vedono diversi inclusi inc lusi gialli, neri e marroni, di dimensioni diverse.
Gesso e silicati.
6
Strato dall’andamento irregolare, spesso e molto eterogeneo. Si notano inclusi bianchi, neri, gialli, rossi e marroni di dimensioni variabili.
Strato costituito soprattutto da gesso e particellato ( silicatico e carbonioso), con una minima presenza di solfato di rame.
7
Strato nero, di spessore ed andamento molto irregolare. Abbastanza omogeneo, con sporadici inclusi gialli e rossi di dimensioni variabili.
Gesso.
8
Strato eterogeneo, dove in una matrice grigio chiara, sono presenti molti inclusi neri, arancioni, marroni e bianchi di varie dimensioni. Sono inoltre visibili inclusi verde chiaro e rosso. r osso. Spessore e andamento sono molto irregolari; in alcuni punti lo strato si insinua all’interno dello strato sottostante.
Strato costituito da gesso e da particellato carbonio, con una minima presenza di solfato di rame,
29
55.22. D Diif f f fr raazioone d dei R R aag g gi X X In seguito sono state svolte indagini, mediante la diffrazione dei raggi X, su altri tre campioni prelevati dalla statua. L’analisi ha messo in luce la presenza di sostanze di deposito come il gesso e il quarzo; gli esempi di diffratogrammi sotto riportati mostrano anche la presenza di cuprite, d’antlerite ( un ossisolfato di rame), di cerussite, d’ossicloruri di rame, più o meno basici, e di nantokite. In alcuni campioni si notano picchi anche importanti di moolooite, ossalato di rame. Non sono indicati prodotti d’alterazione dello stagno, molto probabilmente perché la cassiterite è amorfa e quindi non analizzabile mediante XRD.
30
31
5..3.. SSEM M-EED DSS Le indagini mediante SEM e EDS hanno confermato confermato la presenza presenza di quarzo, gesso, cloruri cloruri e solfati di rame.
F E C D
fig. 29, 30,31, 32 e 33 Immagini concernenti le analisi svolte con SEM e EDS, sul campione SL-04.
32
55.44.. C Conccllussiiooni La scultura bronzea analizzata presenta vari strati di degrado, dovuti soprattutto a particolato atmosferico ed escrementi di piccione. Le analisi condotte hanno rilevato, come già detto, presenza di gesso e quarzo, questi derivanti dalle polveri disperse nell’atmosfera, che nel corso degli anni, si sono depositate sull’opera. Gli esami mediante XRD hanno messo in luce la presenza di cerussite, un carbonato di piombo, prodotto di alterazione che suggerisce la presenza di piombo nella lega. Inoltre sono presenti, come già detto, ossalato di rame, sottoforma sottoforma di moolooite, e solfato basico di rame, presente come antlerite; dovuti probabilmente all’azione di agenti organici (come il guano dei piccioni) e l’azione combinata di umidità e anidridi solforiche e solforose presenti nell’atmosfera. Ancora, ci sono vari cloruri di rame, quali paratacamite, atacamite e nantokite, forse dovuti a reazioni chimiche tra sali clorurati e il rame alterato delle superfici. Le fasi di restauro, che dovrebbero sempre essere successive alle analisi di caratterizzazione del degrado, consisteranno innanzi tutto in una fase di pulitura, atta ad asportare quella patina di sporco dovuta al guano e al deposito di particolato. Si auspica che la pulizia sia svolta in maniera controllata, in modo che si possa salvaguardare la patina di cuprite sottostante i depositi; patina che oltre a conferire il tipico colore bronzo al manufatto, impedisce all’ossigeno atmosferico di ossidare la lega sottostante la patina passivante. Dopo il restauro, con tutti i trattamenti del caso, l’opera verrà posta all’interno di un museo, o comunque uno spazio riparato, dove i parametri ambientali saranno tenuti costantemente sotto controllo. Nella nicchia della chiesa di Orsanmichele l’originale verrà sostituito con una copia.
33
6. Analisi ddei C Campioni ddel P Prog etto B Battistero Per la campagna di monitoraggio, come già accennato, sono utilizzati modelli artificiali costituiti da tavolette in bronzo 33, che simulano la composizione delle leghe delle Porte Nord e Sud del Battistero. Composizione media delle leghe delle due Porte
Cu Zn Sn Pb
Lega Porta Sud (%) 72 20 5 3
Lega Porta Nord (%) 83 13 3 1
Si tratta di targhette con c on una particolare conformazione: Con una parte superiore inclinata in modo da consentire il diretto contatto con le acque piovane; Con una parte inferiore angolata in modo da esser protetta dall’effetto dilavante delle piogge, ma comunque esposta ai fenomeni di deposito; Con un dente nella parte terminale, per simulare i fenomeni di ristagno. Tutte le piastre bronzee sono incise sul retro, così da facilitarne l’asportazione periodica e programmata, di sezioni verticali, che vengono poi suddivise in nove cubetti.
Sul retro d’ogni cubetto sono incise: Il tipo di lega che simulano: S per la Porta Sud, N per il nord; La Porta ove sono collocate: G per quella del Ghiberti, P per quella d’Andrea Pisano; La posizione sulla porta: A se in alto, B se in basso; 33 Dalle analisi si è visto che più che bronzi, le porte del Battistero B attistero sono degli ottoni, visto il tenore di zinco.
34
La posizione nella targhetta: con le lettere A, B, C e D sono indicate le colonne, con numeri da 1 a 9 la riga d’appartenenza. Le targhette che simulano simulano le composizioni delle delle due porte, sono poste poste su queste in posizione incrociata: su ogni porta si trovano così due targhe di lega S e due di lega N.
fig. 34 Nell’immagine sono indicati il luogo dove sono posti i provini artificiali: quelli rossi stanno ad indicare la lega che simula la Porta Nord, quelli gialli indicano la lega che imita la Porta Sud.
Una volta tagliato un cubetto, questo viene subito posto all’interno di un apposito portacampione in plexiglas, a sua volta imballato e inviato ad un ente per le analisi del caso.
35
6..11. O Ossseer v aziionii cconn M Miicroossccoopiioo O Ottiicoo3344 L’osservazione delle targhette mediante il microscopio ottico e la loro documentazione con foto rientra nelle indagini non invasive. In questo modo è possibile documentare ed acquisire informazioni sull’evoluzione dei fenomeni corrosivi in atto sul modello artificiale, e fare una prima ipotesi sui prodotti del degrado. Le osservazioni sono state compiute su campioni prelevati dopo 8 mesi d’esposizione agli agenti esterni, e confrontati confrontati con un campione di riferimento, della stessa lega. Macrofotografie di porzioni di targhetta di composizione analoga a quella della Porta Sud. fig. 35◄ Campione di Riferimento. fig. 36▼Campione della parte orientata verso l’alto. fig. 37► Campione della parte orientata da sottosquadra.
Già dopo un breve periodo d’esposizione si sono verificate notevoli modificazioni della superficie metallica a causa della corrosione corrosione in atto e del deposito deposito di particellato. particellato. Le osservazioni con il microscopio hanno mostrato che i processi corrosivi sono localizzati ed interessano piccole aree, con dimetri dimetri che vanno da pochi mm a qualche decina di mm. I depositi di particolato atmosferico sembrano composti soprattutto da gesso, idrocarburi pesanti, particelle carboniose e alcune fibre che presentano una spiccata fluorescenza in luce UV. L’osservazione dei cubetti, che simulano il sottosquadra, in luce UV, ha messo in evidenza una fluorescenza giallo-arancio, dovuta, probabilmente, alla presenza di materiale organico. Si possono vedere delle piccole bolle verdi-azzurre, dovute a prodotti di corrosione a carico del rame, probabilmente idrossicloruri e idrossisolfati; sono anche visibili delle piccole pustole rossastre, probabilmente cuprite.
34 Queste analisi sono state svolte dal Laboratorio Scientifico dell’OPD.
36
Si è notato che il diverso stato di degrado dipende soprattutto dal tipo d’orientazione dei campioni: quello esposto alle acque piovane presenta una maggior quantità di particolato atmosferico; fattori come la composizione della lega e la posizione dei campioni non sembrano avere alcun effetto per il momento.
66.22.. O Osser v Miicrroosppettrrof oottoom F T v azziionnii ccoonn M mettro F TIIR R 3355 Con lo scopo di individuare i vari prodotti di deposito e di corrosione dei campioni bronzei, sono state svolte analisi con il microspettrometro ad FTIR con geometria ATR. Le zone scelte per l’analisi, sono state prima fotografate, prima di appoggiare la semisfera di silicio al campione, anche se l’unico danno che può arrecare la pressione dello strumento è un leggero schiacciamento della polvere presente sulla superficie. Gli spettri raccolti ed in seguito analizzati, indicano la presenza di solfati, carbonati, ossalati, nitrati, vari silicati come l’ortoclasio; il gesso e la calcite. ca lcite.
35 Analisi svolte dall’ICIS del CNR
di Padova.
37
38
Successive indagini sono state svolte da altri enti: come misure della bagnabilità delle superfici esposte; analisi elementari e morfologici mediante ESEM 36 e spettroscopia micro-Raman; analisi dei sali solubili mediante cromatografia ionica e determinazione degli idrocarburi presenti sulle targhette mediante estrazione e analisi con GC/MS.
36 Environmental
ambiente.
Scanning Electron Microscope, microscopio elettronico a scansione in grado di lavorare a pressione
39
66.33.. C Conccllussiiooni Tutti i campioni inviati ed analizzati presso l’ ICIS simulavano la lega della Porta Sud, erano posti nella parte alta delle porte e la riga di appartenenza, la settima, era in una zona non soggetta a dilavamento. Solo uno dei campioni era posizionato sulla porta nord (quella del Ghiberti); gli altri tre erano posti sulla porta sud (realizzata da Pisano). Le analisi con microspettrofotometro microspettrofotometro FTIR, principalmente indicano la presenza presenza di ortoclasio, gesso e calcite, calc ite, cioè sostanze derivate da deposito di particolato presente nell’atmosfera. Solo in un campione è stata rilevata la presenza di ossalato di calcio (whewellite), forse dovuto all’azione di qualche agente organico, o al possibile degrado di componenti oleose, derivanti dalla combustione dei carburanti. Inoltre, sulle superfici dei campioni, sono visibili dei piccoli crateri di colore verde chiaro: l’ipotesi è che si tratti di cloruri e ossicloruri di rame, come nantokite e paratacamite, per l’appunto di colore verde chiaro. Per quanto riguarda invece le piccole aree rosse, si presume si tratti di cuprite. Sia per i cloruri di rame che per gli ossidi le analisi con il microspettrofotometro non sono applicabili, in quanto il microspettrofotometro microspettrofotometro FTIR non è in grado di rilevarli.
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R ingr aziamenti Ringrazio in anzi tutto i miei genitori, per il loro sostegno in questi anni. Ringrazio inoltre il mio relatore prof. Renzo Ganzerla, il mio correlatore prof. Umberto Casellato, e l’ ICIS del CNR di Padova che mi hanno ospitato per il periodo di stage. Ringrazio tutti i professori che ho incontrato nel mio percorso di studio. Ultimi ma non meno importanti sono i ringraziamenti per tutti gli amici che mi hanno accompagnata in quest’impresa e aiutata a migliorarmi; che non mi hanno mai abbandonata e con i quali ho vissuto alcuni dei momenti più belli: Stefania Muto (Ste), Sara Perone (Mukka), Laura Montagner (Lauretta), Alfredo Cremonese (Alfry), Lisa Bertuola, Natasha Maronese (Naty), Giovanni Mariuzzo (Giova), Alessio Radon (Ale), Silvia Lazzeri (Salvietta), Serena Panighello (Serenella), Danilo Franconetti (Dan), Francesca De Conto (Chekka), Sara Disette. Le mie Salsicce.