Metafisica e filosofia
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Giuseppe Masi
METAFISICA E FILOSOFIA
Metafisica e filosofia non sono termini corrispondenti. In senso lato il termine filosofia viene usato per tutte quelle discipline che fanno parte dello scibile umano con estensione corrente anche ad oggetti che in verità ben poco pare abbiano a che fare con la speculazione scientifica o filosofica: si parla perfino di una filosofia delle macchine, del crimine, della droga ecc. In senso più specifico il termine filosofia può essere ristretto a quella speculazione sui principi, sia quelli che regolano il mondo sia la condotta umana in generale, quando non venga privati vamente anche usato per indicare tutto tut to ciò che esula, o meglio sopravanza, dal campo specifico della scienza come tale, con la quale in antico pure faceva tutt’uno. Quanto al termine metafisica, esso viene tuttora usato per indicare la riflessione sui principi primi o sulle cause supreme (Dio, la natura, il mondo inteso come tale), ovvero sui principi astratti, generalissimi (l’essere, il non essere, il divenire) che ben poco, almeno a prima vista, sembrano abbiano a che fare con i principi concreti della realtà come la concepiamo abitualmente. Può quindi esservi una filosofia che indaga sulle più lontane origini o scaturigini dell’essere, dell’essere, o meglio dell’esistere, considerate in totale, e che in questo senso può qualificarsi come metafisica, e una filosofia che indaga invece su aspetti parziali, o per meglio dire a noi più vicini, sia dell’essere che dell’esistere (l’uomo, la natura, il mondo di per sé considerato), oppure con riferimento alle attività specifiche umane (la conoscenza, il linguaggio, l’etica, l’estetica, la politica ecc.), con possibile estensione anche ad aspetti di per sé Giornale di Metafisica -
Nuova Serie - XV (1993), pp. 423-428.
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negativi del comportamento umano, sia individuale che sociale (come il crimine, la droga ecc.). Ma anche a proposito della ricerca sulle origini, sul fondamento, sulle radici ultime dell’essere e dell’esistere, la definizione della metafisica è tutt’altro che univoca: perché vi sono metafisiche materialistiche e metafisiche spiritualistiche, metafisiche realistiche e metafisiche idealistiche, metafisiche razionalistiche e metafisiche irrazionalistiche..., metafisiche che preferiscono insistere sull’aspetto generale dell’essere o su quello più concreto dell’esistere, metafisiche che infine lo sono pur pretendendo di non esser tali: come nel caso della filosofia scettica che presuppone una metafisica del puro divenire, o della filosofia kantiana che presuppone una metafisica di tipo intuizionistico, assunta cioè al di fuori degli schemi della semplice ragion pura. Esistono infine due fondamentali tipi di metafisica: quella che prendendo come base l’unità ne deduce la molteplicità (schema aristotelico), e quella che prendendo come base la molteplicità ne inferisce l’unità (schema platonico): di una metafisica in senso assoluto monistica o pluralistica non essendo il caso di parlare, proprio perché il logos non lo consente1. In conclusione, esistono molte metafisiche come esistono molte filosofie. Esistono inoltre metafisiche senza filosofia, o che relegano quest’ultima al puro ambito della doxa (come nel caso dell’eleatismo), ed esistono filosofie senza metafisica (o che pretendono essere tali, come appunto nel caso della filosofia scettica o di quella kantiana), ed esistono infine tipi di filosofia che cercano di far passare i loro principi come principi metafisici, con esiti inevitabilmente dogmatici (come nel caso di certi tipi di filosofia: della scienza, della storia, della religione, dell’arte, del linguaggio, della morale, dell’economia, del diritto, della politica, ecc. ecc.). È impossibile peraltro negare, anche in tutti questi casi, una certa connessione tra filosofia e metafisica, nel senso almeno della comune ricerca di un perché, o di una risposta, anche se non ultimativa, ai vari perché: in altri termini, anche queste filosofie s’interrogano sull’essere (nonché sul non essere, sul divenire o sul dover 1␣Cfr.
“Uni-equivocità e analogia, forme perenni della metafisica”, Biblioteca del Giornale di Metafisica, n. 3, Tilgher, Genova 1989, pp. 123-132.
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essere) di certe cose. L’essere insomma entra dappertutto. Ciò che distingue comunque l’atteggiamento metafisico da qualunque altro atteggiamento è il fatto d’interrogarsi non su questo o quell’aspetto dell’essere, ma sull’essere in sé e per sé: ammesso che questo in sé e per sé dell’essere, svuotato di ogni riferimento alle cose (come nell’eleatismo), abbia qualche significato. Diciamo allora che ciò che distingue l’atteggiamento metafisico da qualunque altro atteggiamento, nonché da quello semplicemente filosofico, è il tono ultimativo della domanda sull’essere. Le varie “filosofie” (sic et simpliciter ) non hanno di solito la pretesa o l’ambizione di procedere a una scoperta delle ragioni ultime dell’essere delle cose, o, come si usa dire, del fondamento ultimo (Urgrund ) che le fa essere. Lo stesso può dirsi della scienza che può, almeno fino a un certo punto, assimilarsi a una filosofia del dato empirico. Per questo tutte queste varie specie di filosofie non si pongono neppure il problema dell’ultimo perché (di Dio, del significato globale del mondo, della realtà umana e del suo destino, ecc.), dandoli per scontati (ovvero desumibili da principi che non sono i propri), oppure disinteressandosene completamente. Si può anzi dire che, in genere, le filosofie moderne (se si eccettua l’esistenzialismo e certi esiti della fenomenologia), tendono a respingere sempre più l’istanza metafisica, considerandola come un problema non proponibile perché senza risposta, propendendo quindi sempre per la settorialità (in cui si annida sempre il pericolo del dogmatismo), ovvero privandosi volutamente di quel carattere che più vale a distinguere la filosofia dalle filosofie, ovvero l’atteggiamento metafisico dagli altri atteggiamenti riflessivi in senso meramente empirico o circostanziale. Con questo non si vuole certamente dire che esista un’unica filosofia o un’unica metafisica (in grado di fornire una risposta definitiva ai perché ultimi), ma solo che esiste un unico atteggiamento fi- losofico come un unico atteggiamento metafisico : quello che non accontentandosi del dato empirico, pretende di oltrepassarlo, di porsi al di là di questo, non già per obliterarlo o ignorarlo, ma per assumerlo più completamente (e per così dire panoramicamente) nell’interconnessione reciproca e organica dei vari elementi acclarati, nel senso organico, appunto, della totalità.
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Se un compito si offre oggi ancora alla metafisica, non è certo quello del perseguimento, in assoluto, della verità, ma è quello di non lasciarsi circoscrivere, ovvero di non condannare il pensiero alla settorialità, sempre deviante, delle singole indagini; di non lasciarlo accontentarsi dei risultati parziali, che sono sempre falsificanti; di non lasciarlo assorbire dalla routine del quotidiano che è sempre corruttore; di non permettergli insomma di appagarsi dell’ovvietà delle soluzioni più facili e meno impegnative, di confermargli insomma il crisma secolare dell’inappagamento e dell’ ine- sauribilità.
Esso è, d’altra parte, anche quello di rendere le singole filosofie sempre più consapevoli di sé, ovvero dei limiti propri, incitandole in pari tempo all’autosuperamento e all’interconnessione, nella consapevolezza dei grandi problemi che si presentano ai loro confini, per impedire che esse vengano degradate in quanto educate (o per meglio dire diseducate) alla rinuncia di ogni più efficace sforzo speculativo. La metafisica è, in altri termini, in grado di elevare le cose a un livello più alto, a una considerazione non puramente pragmatica o addirittura miserabile del loro divenire. Pur non pretendendo di raggiungere l’essere, ne prospetta però l’esigenza. Consapevole della propria debolezza non se ne fa una ragione di vita, ma un mezzo per definire uno scopo che va al di là delle circostanze abituali e assume forza ed energia proprio dal non accontentarsi mai del vissuto. Nei confronti delle filosofie, non proclama la propria superiorità, ma il proprio servizio, così come non ne ignora le acquisizioni, limitandosi a denunciarne la provvisorietà e l’arbitrarietà collegata alle delimitazioni circostanziali e ambientali. Il suo sforzo è infatti quello di raggiungere un’unità organica delle varie acquisizioni e dei vari significati dello stesso esistere, senza peraltro illudersi né lasciare illudersi che ogni sistemazione sia quella definitiva. Per questo il suo stesso apporto alla scienza è fondamentale: e difatti ogni scienza, in quanto sensibile ai richiami della metafisica, finisce per prospettarsi alla fine nelle sue stesse dimensioni. La metafisica considera infatti l’analisi non come il suo punto di arrivo, ma di partenza, includendo nella sintesi anche quegli aspetti dell’essere e dell’esistere che si sottraggono di per sé a una pura e semplice indagine scientifica o analitica. In questo senso essa è in grado
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di costituire più che un sapere, un vero contatto con la vita e una vera guida per essa. La tensione metafisica esprime infatti le ragioni più vitali dell’essere come orizzonte dell’esistenza umana. Tra essere e non essere, la sua opzione è quella del divenire, ossia del non rassegnarsi all’essere, ma di considerarlo come un varco, come un’apertura nei confronti delle varie possibilità (in senso speculativo) dell’esistere. Per questo le è impossibile di definirsi in un sistema, ma la sistematicità le è indispensabile, come l’aria per chi respira, è il suo asse portante e il suo cavallo da battaglia. Neanche il termine “dialettica”, che è di origine oltreché gnoseologica, transattiva, vale a definirla, a meno di intendere per dialettica (come per Platone che l’associa all’eros ) un processo non paritetico ma discensivo-ascensivo. La metafisica non è infatti transazione, ma è un logos sempre più affinato nello scoprire significati sempre nuovi, in quanto non logorati dalla ripetitività e dall’uso. Il tramonto della metafisica non può quindi significare altro che rinuncia a scoprire sempre nuovi significati, ovvero tramonto del modo di pensare specificamente umano, assegnazione alla ripetiti vità di un modo di vivere animale. È facile obiettare che la metafisica ha sempre a che fare con gli stessi concetti: essere, non essere, divenire, unità, molteplicità, eccetera. Questo non significa nient’altro se non che gli schemi del pensiero umano sono sempre gli stessi e non possiamo evaderne. Ma questi schemi sono suscettibili di sempre nuovi contenuti che spetta all’esperienza sia storica che individuale o sociale, di somministrare. Ciò implica che anche le varie filosofie, costituenti la prima elaborazione di tale esperienza, non abbiano per la metafisica sempre lo stesso significato. È dalla propria incontentabilità che la metafisica trae la sua inesauribile capacità di interpretazione sempre nuova anche dei vecchi contenuti. È proprio questo a costituirne l’autentica novità : non desunta dalla varietà degli elementi in essa contenuti, ma dal suo modo d’interpretarli. La metafisica infine non è una disciplina, ma soprattutto una mentalità. Metafisici si nasce come si nasce artisti e poeti. E come a nessuno verrebbe mai in mente di accusare la poesia e l’arte di ripetitività per via che trattano sempre più o meno gli stessi temi (quante crocifissioni o sospiri d’amore troviamo sul loro cammino!) non si vede perché questo possa o debba dirsi della metafisica. Sia
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la metafisica che l’arte sembrano animate dallo stesso spirito: l’ in- contentabilità. Ed è questo stesso spirito che fa sì che l’istanza metafisica, per quanto di volta in volta conculcata o derisa o ancor peggio ridotta a sistema, risorga più viva di prima offrendo al pensiero sempre nuove aperture e possibilità.