Michela Santoro
IL PROFILO GRECO DI GIORGIO DE CHIRICO
Roma 2012
In copertina e frontespizio: elaborazione grafica da G.de Chirico, Se ipsum, 1922
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
INDICE P. 5
Prefazione di Antonella Sbrilli
p. 9
Introduzione
p. 13
Ritratto di famiglia: Evaristo de Chirico
p. 22
Dalla Grecia il museo “domestico” di Giorgio de Chirico
p. 59
Lettera di Giorgio de Chirico a Dimitris Pikionis
p. 66
Immagini di città. Geografie interiori di Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Dimitris Pikionis
p. 80
Il mito nietzscheano dell’Arianna: un engramma nel repertorio iconografico neogreco e dechirichiano
p. 87
I bagni misteriosi
p. 92
Il gallo
p. 98
Passeggiate ateniesi di primo Novecento dello studente d’Accademia Giorgio de Chirico
p. 118
La partenza dell’amico
p. 130
Nel segno di Bisanzio. De Chirico e Kòndoglou a confronto
p. 141
Eco dechirichiana nell’opera pittorica di Engonopoulos e Chatzikiriakos-Ghikas
p. 159
“Arie Acque Luoghi”: da Yannopoulos a de Chirico la Metafisica della Grecia
p. 170
Conclusioni
p. 175
Indice delle illustrazioni
p. 186
Elenco degli artisti e delle opere riprodotte
p. 190
Giorgio de Chirico - Note biografiche
p. 195
Bibliografia
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Il profilo greco di Giorgio de Chirico
PREFAZIONE
L’autrice di queste approfondite ricerche sui trascorsi ellenici del Maestro di Volos (“Nostro” per i greci quasi quanto lo è per noi), ha avuto dalla sua il rapporto privilegiato con la lingua e con la terra greca, grazie alle personali origini materne. Questo le ha permesso di poter accedere alle fondazioni locali, agli archivi e ai documenti originali, ai collezionisti e agli studiosi del posto. Ha potuto così ricostruire, con particolare precisione, l’ambiente, gli influssi storici e culturali dello scenario tessalico e ateniese in cui Giorgio de Chirico si forma tra fine Ottocento e primo Novecento. Il futuro “Pittore Glorioso” ha diciotto anni quando lascia il Paese che ha visto i suoi natali, per conoscere finalmente la Nazione degli avi, quell’Italia tenuta ostinatamente in vita nel ricordo e nell’orgoglio familiare, ma in fondo a lui estranea nella quotidianità. A diciotto anni (a maggior ragione un secolo fa) si è maturi abbastanza da avere sviluppato una propria e peculiare individualità, la quale si modella anche in virtù degli insegnamenti impartiti, delle amicizie coltivate, degli eventi contingenti, dei luoghi ove si cresce che si imprimono nei ricordi. Michela Santoro ha condotto questi suoi studi nel corso del dottorato di ricerca, seguito in co-tutela tra l’Università di Roma e quella di Atene. Ho avuto il piacere di affiancarla in questa avventura come relatore per il versante italiano, mentre mio equivalente greco è stato il professor Nikos Zias, apprezzato storico di arte contemporanea neo-ellenica, profondo conoscitore delle principali personalità di quell’Accademia ateniese che vide allievo l’adolescente de Chirico dal 1900 al 1906. Alla scuola di Belle Arti della Capitale greca insegnano Jakovidis e Ghyzis, reduci da Monaco i quali, come viene qui messo in evidenza dall’autrice, costituiscono il ponte fra il giovane Giorgio e le suggestioni tedesche di Böcklin e Klinger. La ricercatrice ha avuto la fortuna – fortuna, del resto, toccata anche a me – di imbattersi, nel suo percorso formativo universitario e personale, in Marisa Volpi Orlandini. La storica e critica d’arte, ma anche raffinata scrittrice e narratrice, è stata un prezioso viatico al de Chirico nietzscheano. Le feconde conversazioni nel salotto di una veterana
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della storia dell’arte di simile calibro, acuta osservatrice di indole speculativa, sono state senza dubbio l’elemento propulsore per approfondire i risvolti filosofici germanici del Grande Metafisico. Sicuramente la giovane studentessa non ha potuto non assorbirne la riverberante influenza di metodo e di stile. Gli anni scolastici del “Pictor Classicus”, che parla greco e negli elenchi appare come Jorgos Kirìkos e che in Germania si presenterà come cittadino ellenico, sono fondanti anche in virtù della cerchia di amici cui egli si lega. Sono nomi che con gli anni si guadagneranno un posto nel panorama artistico greco: Pikionis, Bouzianis, Kantzikis e questo lavoro ne ricostruisce gli addentellati. Da segnalare il rinvenimento presso l’archivio cartaceo di Aghnì Pikioni, figlia dell’affermato architetto, di una lettera di posta pneumatica, olografa e in greco, che de Chirico indirizzò a Dimitris Pikionis quando entrambi erano a Parigi nel 1912, rintracciata ad Atene e qui pubblicata e tradotta. Né si può omettere una lettera del pittore Bouzianis scritta al sodale Santorineos in cui, con una punta di amarezza prende atto che de Chirico “è diventato italiano”, quasi a ripudiare la sua grecità. Quella grecità che Michela Santoro individua nelle consonanze con altri artisti del milieu greco degli Anni Trenta del Novecento: Kondoglou, Theophilos, Engonopoulos, Ghikas. Per tutti c’è un calco comune, una matrice uniformante: è la Grecia che volge l’occhio al suo declinato passato di gloria, quello della classicità ma anche quello di Bisanzio, per traguardare il suo avvenire europeo. Il testo è riccamente illustrato, per meglio raffrontare e comprendere quelle affinità e corrispondenze iconografiche che si è detto. Per poi concludere con una incantevole passeggiata per le strade dell’Atene neoclassica, lungo le assolate e solitarie vie del centro cittadino, simulando di essere nei primi anni del Novecento e ripercorrendo gli itinerari immaginari di de Chirico ragazzo, nel suo muoversi tra la casa di piazza Syntagma, giù per viale Panepistimìou, sino al Politecnico per raggiungere le aule della Scuola di Belle Arti. E in questa escursione virtuale, all’autrice è offerto il destro per un compendio, sintetico ma sufficientemente esaustivo, dell’architettura e dell’urbanistica della neonata Capitale del
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Regno di Grecia, quale è stata disegnata dagli architetti tedeschi e danesi chiamati a dare un assetto da Capitale europea a quello che sino a pochi decenni prima era poco più che un villaggio. Arriviamo così alle Olimpiadi del 1896, un evento che risveglia la città dal suo torpore provinciale e che accende la fantasia di due ragazzini di otto e cinque anni, entusiasmati dalle gare, dalle frotte di turisti, dalle luminarie. Quei due fanciulli vestiti alla marinara, come d’uso nelle famiglie borghesi del tempo, sono i fratelli Giorgio e Andrea de Chirico, toccati dal privilegio di “essere nati all’ombra del Partenone” ed entrambi destinati a un luminoso avvenire. Antonella Sbrilli*
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* Professore associato di Storia dell’arte contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma Sapienza
Giorgio de Chirico a 6 anni, Atene 1894c. Fondazione de Chirico, Roma
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
INTRODUZIONE “…benché viva e lavori da tanti anni in Italia, ogni qualvolta io dico che sono nato in Grecia, c’è sempre qualcuno che aggiunge: ‘Ma allora lei è greco’.” G. de Chirico, Memorie della mia vita, p. 93
Sono qui di seguito raccolti alcuni saggi e testi, alcuni dei quali già singolarmente pubblicati nel corso degli ultimi anni, con cui si tratteggia in chiaroscuro il profilo greco di Giorgio de Chirico, delineandone vicende biografiche e culturali. Si tratta di interventi sparsi di scrittura che hanno seguito di pari passo la stesura della mia tesi di dottorato di ricerca, incentrata sul Pictor Optimus e sulla sua ellinikòtita (grecità, per dirla nella lingua neoellenica che il Nostro padroneggiava, parlandola e scrivendola, come vedremo, correntemente). Gli articoli qui riproposti sono stati riveduti, ampliati ed arricchiti da quel corredo illustrativo necessario alla comprensione dell’assunto, per meglio mettere a fuoco assonanze e comune sentire con artisti e pittori del panorama greco del tempo. Obiettivo di questo lavoro, infatti, è stato rintracciare nelle opere di Giorgio de Chirico le immagini – sopravvissute come traccia mnestica, come impronta – degli anni trascorsi in Grecia, riconoscendole all’interno dei vari camuffamenti programmaticamente operati dall’artista. Nei dipinti di de Chirico, infatti, frammenti della memoria riportati alla luce e altri nuovi di zecca rubati all’esperienza presente sono sempre combinati, sotto il nume tutelare dell’analogia, in un tertium datur, un’immagine che serba l’eco lontana dell’origine da cui proviene. Per ricostruire il serbatoio iconografico della Grecia moderna e valutare quanto i personaggi e le esperienze lì vissuti da de Chirico abbiano influito sulla sua arte è stato necessario svolgere le ricerche ad Atene e a Volos, le città dell’infanzia e della prima formazione di Giorgio de Chirico. Chi scrive ha avuto modo, data la perfetta conoscenza della lingua neogreca, di accedere alla documentazione necessaria per tracciare una mappa di elementi neoellenici ricorrenti nei quadri e negli scritti di de Chirico, sia in termini di confronti diretti tra luoghi, architetture di Atene e Volos e le immagini dipinte dall’artista, sia in termini di ricostruzione filologica dell’ambiente culturale in cui de Chirico si forma. Consultando ad Atene gli Archivi del Museo Benaki, dell’Accademia di Belle Arti e del Museo di Arte Moderna; quelli, a Volos, del Centro di Documentazione comunale, è stato possibile ricostruire un primo nucleo di documenti che ha rivelato diversi canali di espansione, che successivamente hanno chiamato in causa anche collezionisti privati.
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Di estrema rilevanza, per il tipo di materiale rinvenuto, si è rivelato l’approfondimento dell’amicizia e dello scambio intellettuale fra de Chirico ed il pittore e architetto greco Dimitris Pikionis, un sodalizio nato nella Capitale greca nel 1904, continuato a Monaco di Baviera nel 1909 e rinnovatosi a Parigi nel 1912, ai tempi della genesi della metafisica. Presso l’Archivio cartaceo Pikionis, allestito in casa Pikionis-Papagheorghiou, è stata ritrovata una inedita lettera scritta di proprio pugno in greco moderno da Giorgio de Chirico e indirizzata all’amico architetto: si tratta dell’unica testimonianza autografa di un de Chirico neoellenico. Presso l’Archivio del Benaki è conservato invece l’intero corpus dell’opera grafica e architettonica dell’artista greco. Parimenti illuminanti sono gli scritti di Pikionis, conservati dalla figlia Aghnì. Si tratta di testi completamente sconosciuti in Italia – se si eccettua la traduzione di alcuni brani per mano della prof.ssa Monica Centanni, Università IUAV, Venezia, nell’unica monografia dedicata all’autore in lingua italiana, curata dal professore arch. Alberto Ferlenga (IUAV, Venezia) – e che è stata premura di chi scrive tradurre. Il lavoro si è poi concentrato sulla ricostruzione della formazione artistica di de Chirico, a partire dai luoghi dell’infanzia fino all’esperienza del Politecnico di Atene. La documentazione emersa conferma quanto le immagini dell’ambiente greco, della natura greca, siano una costante dell’opera dechirichiana, anche quando, dissimulate ad arte, sembrano esser state dimenticate. Ed è stato inoltre valutato con una nuova attenzione il ruolo svolto dai disegni ingegneristici di Evaristo de Chirico per la costruzione della ferrovia, dei quali abbiamo avuto modo di rintracciare – presso il collezionista Kostas Androulidakis – il catalogo completo, un’edizione del 1889 fatta appositamente per l’esposizione dei progetti al Padiglione greco dell’Esposizione Universale di Parigi di quell’anno. I documenti rinvenuti presso l’Archivio ΑΣΚΤ (Anòtati Scholì Kalòn Technòn) del Politecnico di Atene e presso le collezioni della Biblioteca della University of Crete – qui, nello specifico, sono state trovate le prove d’esame e le valutazioni finali degli allievi – per la maggior parte ancora inediti anche in Grecia, hanno permesso di ricostruire non soltanto le prime esperienze di de Chirico, ma l’intero panorama artistico che il Nostro ha vissuto in prima persona e nel quale si è formato: dai maestri dell’Accademia ai compagni di corso, tra cui Dimitris Pikionis e Jorgos Bouzianis. Si tratta di personaggi che il Nostro cita nelle sue Memorie, e sono sconosciuti in Italia, una lacuna che occorreva colmare per comprendere meglio certe scelte stilistiche di de Chirico.
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Sono emersi interessanti legami iconografici: per fare un esempio, certi nudi dipinti nell’arco dell’intera carriera da de Chirico, così come i centauri, sono quasi una citazione letterale delle opere di due suoi grandi maestri: Jorgos Jakovidis e Nikolaos Ghyzis, e si evince il fatto che il simbolismo tedesco, cui de Chirico tende sempre, entrò a far parte del suo repertorio di stili e tematiche proprio grazie agli insegnamenti al Politecnico di Atene. Molto utile, in merito, è stata la consultazione dell’archivio e dei depositi della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Atene, la più completa raccolta d’arte neoellenica dell’Ottocento. Questo filone di ricerca ha aperto numerosi scorci verso tutta una generazione di artisti neogreci più o meno coetanei di de Chirico – ricordiamo Kòndoglou e Ghikas – formatisi sempre nell’alveo del Politecnico: la cosiddetta Generazione del Trenta, gruppo interessato al recupero della tradizione greca attraverso il linguaggio popolare e l’arte bizantina. Le affinità iconografiche e teoriche con de Chirico hanno motivato un approfondimento del tema, con un attento studio degli scritti – conservati principalmente all’Archivio Ghikas, presso il Benaki – dei quali, i più significativi per un confronto diretto sono stati tradotti e riportati nella tesi di dottorato. Parallelamente è stato fatto uno spoglio delle immagini tratte dalla tradizione popolare neoellenica – le fonti “basse” che de Chirico ama mescolare alle fonti “alte” della pittura antica – presso le collezioni del Centro Studi della Tradizione popolare greca di Atene, che hanno dato luogo ad una interessante serie di confronti iconografici vòlti a individuare e isolare elementi di stampe, pubblicità, manifesti della Grecia di fine secolo sparsi e nascosti nelle tele dechirichiane. Questi sono i percorsi con cui si è andata formando una corposa base documentaristica che ha permesso di cogliere con precisione e confermare filologicamente la presenza effettiva della parlata neogreca nello stile di de Chirico, la sua declinazione “bizantina”. Hanno seguito e sostenuto questo mio percorso nel dottorato di ricerca in cotutela tra le sedi universitarie di Roma e Atene, e ad entrambi va il mio riconoscente ringraziamento: Antonella Sbrilli professore associato di Storia dell’arte contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma Sapienza, ed il suo omologo greco, prof. Nikos Zias della National and Capodistrian University of Athens. Michela Santoro Roma, 15 febbraio 2012
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G. de Chirico, Attique, acquerello su carta, cm. 16x14,5, collezione privata
“Giorgio de Chirico/quando vuoi imitare/Giorgio de Chirico/non dimenticare/le rive di Tessaglia.” Nikos Engonopoulos
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Ritratto di famiglia: EVARISTO DE CHIRICO (Costantinopoli 1841-Atene 1905) Evaristo de Chirico1 nasce a Costantinopoli nel 1841 e muore ad Atene nel 1905. Proveniente da famiglia di diplomatici d’origine dalmata e di lingua italiana, è l’unico dei sette figli di Giorgio Filigone de Kiriko e Adelaide Mabili (nativa di Corfù) a laurearsi e a non seguire la tradizione familiare: anziché vivere di rendita preferisce lavorare come ingegnere. Reduce da precedenti incarichi nei Balcani, arriva in Tessaglia nel novembre del 1881 (anno in cui la regione è annessa al Regno di Grecia) con la moglie Gemma Cervetto, che gli darà tre figli: Adelaide (nata a Volos nel 1883 e morta ad Atene nel 1891), Giorgio (Volos 1888-Roma 1978) e Andrea (Atene 1891-Roma 1952). Sino al 1890 la famiglia de Chirico risiede a Volos, dove l’ingegnere Evaristo dirige la costruzione della rete ferroviaria della regione. Nel 1889 la sua impresa rappresenta la Grecia all’Esposizione Universale di Parigi. Nel 1890 i de Chirico si trasferiscono ad Atene per tornare, nel 1896, a Volos dove Evaristo deve sovrintendere la costruzione di un altro tratto ferroviario, raggiunto dal resto della famiglia. Nel 1897-98 l’ingegnere si distingue durante la guerra greco-turca per il contributo economico e diplomatico a favore della Grecia. Nell’autunno del 1898 si trasferisce definitivamente con la famiglia ad Atene, ma le sue condizioni di salute sono precarie. Dopo pochi anni, durante i quali la situazione peggiora, muore nella Capitale nel 1905. “Il signor Chirico direttore della compagnia ferroviaria della Tessaglia è un uomo di straordinaria cultura e di onestà fuori del comune. Alto, piuttosto sottile e biondo sembra straniero. E lo è, perché dall’Italia dove è nato è venuto in mezzo agli scuri e castani Tessali. Parla il francese e il greco, molto meglio il primo perché ha fatto all’estero studi superiori nell’ambito dell’ingegneria idraulica e meccanica…i suoi progetti per i lavori idraulici della Tessaglia sono di eccezionale valore. Il nostro tragitto ferroviario insieme 1 Per vicende e cronologia della famiglia de Chirico in Grecia cfr. G. de Chirico, Memorie della mia vita, [1945-II edizione ampliata, 1962] Bompiani, Milano 2002; M. Fagiolo Dell’Arco, L’opera completa di Giorgio de Chirico 1908-1924, Classici dell’arte Rizzoli, Milano [1984] 1999; K. Androulidakis, Mikrò aphièroma ston Giorgio de Chirico (Breve saggio dedicato a Giorgio de Chirico), Athina 1988; P. Baldacci, De Chirico 1888-1919. La Metafisica, Leonardo Arte, Milano 1997
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sino a Larissa, mi ha dato l’occasione di parlare di infiniti argomenti con un uomo che, a causa della sua posizione, aveva la facoltà di conoscere tutti i problemi della Tessaglia…”. Evaristo de Chirico, padre di Giorgio e Andrea (alias Alberto Savinio), agli occhi dei greci è una figura leggendaria, come dimostra il testo dello scrittore Alèxandros Filadelfeos, del 1897. Negli scritti dei fratelli de Chirico sono continue le dissimulazioni sulle proprie radici familiari: datazioni falsate, l’ostentata rivendicazione di origini toscane e siciliane (da parte di padre), liguri (da parte di madre), non poche occasioni in cui la Grecia è omessa, quando non proprio rinnegata («…ormai mi sono rassegnato a sentirmi dire sovente, quando si tratta del luogo dove sono nato: “Ma allora lei è greco!”», G. de Chirico, Memorie della mia vita, p. 93). Un indubbio gusto per il mascheramento, unito alla naturale esigenza dell’apòlide di appropriarsi di una fisionomia definita, ha reso per lungo tempo difficile una precisa genealogia dei de Kirico. Greci? Italiani? Oggi possiamo dire che le origini sono indubbiamente levantine: Evaristo nasce da famiglia dalmata di lingua italiana, stabilita a Costantinopoli, nel quartiere cristiano di Pera, sin dagli inizi del ‘700, per via degli incarichi diplomatici di alcuni antenati, e dove i de Kirico si legano ad altre famiglie di ambasciatori europei, tra cui gli spagnoli Mabili y Buligny (gli stessi che ospiteranno a Corfù Giorgio, Andrea e la madre all’indomani della definitiva partenza dalla Grecia, nell’estate del 1906). La cittadinanza italiana si deve al padre di Evaristo, Giorgio Filigone de Kirico (Costantinopoli 1794-1875), il quale riceve la doppia cittadinanza diplomatica in quanto rappresentante del Regno di Sardegna a Costantinopoli. Dei sette figli, Evaristo è l’unico a “buttare un’ombra in famiglia” (Savinio, Lettera a “Il Meridiano di Roma”, 1937) decidendo di laurearsi in ingegneria e intraprendere la riprovevole strada del lavoro, “dovere di plebei”. Una strada che lo porta a lavorare in Toscana e in Bulgaria, per poi approdare, nell’autunno del 1881, in Grecia, accompagnato dalla neosposa Gemma Cervetto (Smirne 1852–Roma 1937), “genovese” secondo i figli, in realtà nata da commercianti cattolici di Smirne di ascendenze greco-turche. Gli eventi socio-politici che caratterizzano il regno ellenico di quegli anni – l’ambizioso programma del Primo Ministro Charilaos Trikoupi di industrializzazione del paese; l’incoraggiamento dei danarosi Greci di Costantinopoli ad investire nella propria terra d’origine; l’annessione, dopo il dominio ottomano, della Tessaglia alla Grecia nel 1881 – segnano in modo decisivo il percorso di Evaristo. Il piano di Trikoupi prevede la realizzazione di una rete ferroviaria nella regione della Tessaglia, per facilitare il collegamento dei paesi dell’interno con la costa. Theòdoros Mavrogordatos, banchiere
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
greco di Costantinopoli, costituisce la Societé de Chemins de Fer de la Théssalie per finanziare l’impresa. E non ha dubbi: sarà Evaristo (che nel frattempo ha adottato il cognome de Chirico), distintosi nei Balcani per le sue capacità, a dirigere i lavori. E’ il 1882: l’Enterprise E. de Chirico et c.ie, di cui Evaristo è direttore e amministratore delegato, inizia la sua missione destinata a rimanere quasi “epica” nella memoria dei greci; basta vedere i toni ammirati con cui il nostro ingegnere è descritto nel brano che apre queste note. I coniugi de Chirico (quasi predestinati a una mescolanza di culture e tradizioni, date le loro origini familiari) si trasferiscono, dunque, in Tessaglia, che la gente del luogo chiama sìnora, cioè, confini: ultima provincia della Grecia a nord-est, membrana di terra che mette in comunicazione l’Asia e l’Europa, l’Oriente e l’Occidente. Ma soprattutto è la terra del Mito: lì, tra l’Olimpo e i monti del Pelio hanno avuto origine i Centauri (anch’essi creature di confine, metà uomo e metà cavallo), lì si era espresso in tutta la sua follia mistica Dioniso. Evaristo e Gemma si stabiliscono a Volos, l’antica Jolco degli Argonauti, cittadina densa di “avvenimenti metafisici e provinciali” (Memorie, p. 33). E’ facile immaginare, dunque, quanto il crescere in queste terre sarà “fatale” per i loro figli. Essi vivono in prima persona, e in modo del tutto spontaneo, quello che più tardi, tramite lo studio dell’arte, riconosceranno e ammireranno nei pittori simbolisti tedeschi Böcklin e Klinger: il “far apparire possibile e naturale il fantastico e il soprannaturale”, come ben sintetizza Paolo Baldacci. E’ quella naturalezza con cui gli eventi quotidiani diventano mitici come il racconto di una gita in treno fatto da Savinio: «E talvolta che il treno si fermava in aperta campagna per quelle ragioni che nessuno, nemmeno i tecnici, sanno spiegare, un centauro venerabile, grondante peli e fili d’erba, si avvicinava al nostro “saloncino”, si fermava a guardare da dietro il vetro noi che stavamo mangiando il pilaf con lo spezzatino d’abbacchio o tagliando nello spicchio a barca la polpa di un odoroso popone. Mio padre gli faceva cenno di favorire, ma il venerabile ippantropo continuava a guardare senza rispondere, poi, come rinunciando a capire, se ne andava via con un piccolo trotto stanco»2. E alla luce di tutto questo, ci è più facile comprendere Alberto Savinio quando, alla domanda dello scultore Arturo Martini “Che cos’è questa Metafisica?” risponde “Non è niente. E’ in famiglia: un linguaggio familiare”3. La risposta non poteva essere che questa.
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A. Savinio, Opere. Scritti dispersi. Tra guerra e dopoguerra (1943-1952), Bompiani, Milano 1989, pp. 670-671 G. Scarpa, Colloqui con Arturo Martini, Rizzoli, Milano 1968, p. 109
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Torniamo alla ferrovia. Nel 1884 viene completato il primo tratto (Volos–Larissa) e nel 1886 il secondo (Trikala–Kalambaka). Si tratta di un’operazione davvero di ottimo livello, Evaristo gode di grande stima e notorietà, ottenendo anche alti riconoscimenti ufficiali. Non a caso saranno i progetti della Enterprise de Chirico a rappresentare la Grecia all’Esposizione Universale di Parigi del 1889, quello storico evento che nell’immaginario collettivo è riassunto dalla silhouette dinamica della Torre Eiffel. Di quel viaggio nella capitale francese resta un album stampato per l’occasione, in cui sono raccolti tutti i disegni della società di Evaristo per la costruzione della ferrovia: un susseguirsi di linee sottili, nette e precise; torrette, archi, timpani e vòlte; prospetti di stazioni coi loro vezzosi cancelletti. Di quel viaggio la memoria di Giorgio bambino cattura e conserva il ricordo di “un’enorme farfalla meccanica, che mio padre mi aveva portata da Parigi…dal mio lettuccio guardavo quel giocattolo, incuriosito ed impaurito, come i primi uomini dovevano guardare gli pterodattili giganti…” (Memorie, p. 25). Il futuro pittore ha circa due anni, già una vocazione alla scoperta (è impaurito ma anche incuriosito) e non può ancora immaginare quanto l’attività del padre sarà formativa nel tracciare le basi del suo mestiere di pittore. Intanto siamo arrivati al 1890: Evaristo, unico straniero, viene inserito nel Consiglio direttivo della Societé de Chemins de Fer de la Théssalie, che ha sede ad Atene. La famiglia de Chirico si trasferisce nella Capitale, dove nel marzo 1891 muore la primogenita Adelaide e dove, qualche mese dopo, il 25 agosto, nasce Andrea che si sceglierà lo pseudonimo Savinio. Abitano in casa Vouros e, per un breve periodo, in casa Gunarakis. Di quegli anni il piccolo Giorgio ricorda il susseguirsi dei terremoti: “Tutta la casa si muoveva lentamente, come una grossa nave sul mare in burrasca. Gli abitanti del quartiere, compresi noi, portavano i materassi fuori, in una piazza, per dormire all’aperto” (Memorie, p. 27). Quasi una prefigurazione, un anticipo della serie Mobili nella valle a venire. In Tessaglia, i lavori proseguono sotto la direzione del francese Charles Coustenoble (padrino del piccolo Giorgio), il quale però muore nel 1895. Così Evaristo deve tornare al nord per seguire la costruzione della ferrovia; questa volta è il tratto lungo la catena del Pelio (quella che ancora oggi offre al turista un viaggio panoramico molto suggestivo sul trenaki, il trenino ancora perfettamente funzionante). E’ l’autunno del 1896: la famiglia si prepara a un nuovo trasloco (“è una fatalità della mia vita quella di cambiare sempre abitazione” dice Giorgio) e “allora con tutti i mobili, i bauli e le valigie, si partì alla volta della città degli Argonauti, sopra un piroscafo che salpò dal Pireo”(Memorie, p. 29).
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Il secondo soggiorno a Volos vedrà Evaristo diventare una sorta di pioniere leggendario per la storia di quei luoghi. Fino a quel momento è l’uomo capace di grandi opere pubbliche, condotte con perizia e capacità nonostante le difficoltà oggettive di un territorio impervio, dove gli smottamenti continui e le irregolarità compromettono continuamente la stabilità dei ponti e delle strade ferrate che mano a mano stanno cambiando la fisionomia del paese. Quando poi il suo intervento nell’ambito della guerra greco-turca (1897-98, durante la quale la Tessaglia viene invasa e la ferrovia strategicamente occupata dalle forze militari turche) tanto diplomatico – incontrando Etem-Pascià e i consoli delle grandi potenze europee – quanto pratico di soccorso nei confronti dei militari greci e degli stranieri accorsi loro in aiuto, si rivela fondamentale e proficuo; il suo prestigio è definitivamente consacrato e l’ingegnere sarà “decorato con l’ordine di San Giorgio per intervento personale del Re Giorgio di Grecia” (Memorie, p. 39). Gli anni del secondo soggiorno a Volos sono anche gli anni in cui Evaristo cura l’educazione artistica di Giorgio: sceglie un impiegato delle ferrovie, Kostantinos Mavrudìs, per impartire le prime lezioni di disegno al figlio. “Era un greco di Trieste che parlava un po’ l’italiano con l’accento veneto. Disegnava meravigliosamente… Fu il primo che m’insegnò l’amore per le linee pulite e belle… per il buon materiale: lapis di marca Faber molto appuntiti… a far spuntare la punta del lapis in modo regolare, tagliando intorno il legno con cura e simmetria… i nostri geni modernisti… farebbero meglio ad imparare a fare una buona e bella punta al loro lapis” (G. de Chirico, Memorie, pp. 31, 33). Di sicuro l’ambiente delle ferrovie, i disegni ingegneristici, le squadre, i goniometri, i regoli che riempivano lo studio del padre (FIGG. 1, 2, 3, 5) sono elementi che hanno inciso fortemente su Giorgio, accompagnandolo in tutto il suo percorso di artista (FIGG. 4, 6). Soprattutto lo strumento del disegno “che non pietrifica le cose ma le rende attraversabili” e permette il dialogo tra “la dimensione evidente e quella più segreta” (come spiegato da V. Trione in Atlanti metafisici) le “linee pulite” da ingegnere o da architetto, sono alla base delle Piazze così come di tutte le costruzioni dello spazio dei suoi quadri. Sul finire del 1898 la famiglia de Chirico torna ad Atene, per alloggiare in casa Stambulopulos, di fronte al parco reale. Ai primi del Novecento Evaristo è sempre più malandato di salute, fino a spegnersi nel maggio 1905. Sarà Giorgio a lasciarci una descrizione composta e commovente di quella sua “ultima notte sulla terra” (Memorie, pp. 62-63):
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«Mio padre era sempre al letto e non migliorava. Una mattina dovetti recarmi per una commissione in un quartiere lontano; era maggio, una giornata bellissima splendeva sulla città di Minerva. Ad un tratto, alla mia destra, dall’altra parte della strada, ad un balcone, al primo piano di una casa, vidi sventolare un gran panno nero; fu come un lampo di tenebre nella gran luce circostante; sentii come un’improvvisa angoscia ed un terribile presentimento; sentii che qualcosa di fatale era avvenuto dietro di me. Tornai di corsa verso casa…salii di corsa verso la camera da letto di mio padre; per le scale mi venne incontro don Brindisi, mi abbracciò e cercò di ricondurmi giù, al pianterreno; mi svincolai e corsi di nuovo verso la camera di mio padre…mi precipitai verso il letto ove mio padre giaceva e lo vidi tranquillo…come qualcuno che stanco d’un lungo e faticoso viaggio stia finalmente riposando in dolce e profondo sonno...Suonò mezzanotte…rimasi solo a vegliare mio padre…guardavo fuori…la bella notte di maggio, tutta chiara di luna: “La sua ultima notte sulla terra” pensavo. “Per questo la natura gli offre una notte così bella”…Poi in punta di piedi andai nella mia camera e presi della carta ed un lapis e tornato disegnai al lume delle candele il profilo di mio padre riposante nel sonno della buona morte». Michela Santoro, 2007
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 1 Evaristo de Chirico, Planche 38, 1881-1886
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Figura 2 E. de Chirico, Planche 54, 1881-1886
Figura 3 Il “trenino del Pelio” attraversa la città di Volos
Figura 4 G. de Chirico, La piazza misteriosa, 1914
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 5 E. de Chirico, la stazione di Volos, 1884
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Figura 6 Giorgio de Chirico, Solitudine, 1917
DALLA GRECIA IL MUSEO “DOMESTICO” DI GIORGIO DE CHIRICO “Ricordi! Che parola sonora e profonda …vi commuove solo a pronunziarla, o semplicemente a leggerla.” G. de Chirico, Ebdòmero, 1929
“Ellinikòtita” di Giorgio de Chirico Ellinikòtita4 ovvero, per tradurre il termine neogreco usato, “grecità” che si cela e manifesta nella produzione artistica del Pictor Optimus, sarà il tema conduttore di questo lavoro, nel tentativo di rintracciare le immagini sopravvissute degli anni trascorsi in Grecia da Giorgio de Chirico, intercettandole mentre scivolano rapide – contaminandosi e reinventandosi ad ogni passaggio – attraverso gli scritti e i dipinti dell’autore. “In linguaggio cinematografico, questi passaggi si chiamano dissolvenza incrociata. Da cosa nasce cosa”5, scrive Savinio; in breve potremmo dire che frammenti della memoria riportati alla luce e altri nuovi di zecca rubati all’esperienza presente sono combinati, sotto il nume tutelare dell’analogia, in un tertium datur, un’immagine che serba l’eco lontana dell’origine da cui proviene. Segni importati dall’infanzia riaffiorano dissimulati tra le Piazze d’Italia; l’autore li ritrova nelle fabbriche di Ferrara, le case di Roma e i portici di Firenze, un po’ come si ritrova la dracma perduta nel Libro X delle Confessioni di Agostino6, e li dissemina, a volte in modo evidente altre più nascostamente, come indizi per un raffinato gioco intellettuale, una sfida da enigmista. Cercheremo, a mano a mano di segnalarle nel corso di questo saggio, ricostruendo una sorta di museo “domestico”. 4 Su questo tema, cfr. M. Santoro, Ellinikotita di Giorgio de Chirtico. L’esperienza della Grecia nell’opera del Pictor Optimus, tesi per il dottorato in storia dell’arte presso la Sapienza Università di Roma in cotutela con la National and Capodistrian University di Atene 5 A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città (1944), Adelphi, Milano 1984, p. 47 6 “Così avviene sempre quando cerchiamo e troviamo una cosa perduta. Se essa – un oggetto qualsivoglia visibile – è perduta di vista dagli occhi, ma non dalla memoria, la sua immagine viene conservata nel nostro interno, e la si ricerca finché ritorni alla vista: e, tornata, noi la riconosciamo da quella immagine interiore. Né diciamo di aver trovato una cosa perduta se non la riconosciamo: non possiamo riconoscerla se non ce ne ricordiamo” Agostino, Le confessioni, libro X, cap. XVIII, ed. consultata a cura di C. Vitali, Rizzoli, Milano 2003, p. 278. Un ruolo simile alle monete citate da Sant’Agostino è svolto, nella prima pagina delle Memorie di de Chirico, dai dischetti lucenti del copricapo orientale della madre dell’artista, “quei dischetti perfettamente uguali, perfettamente combacianti e lucenti, con quel foro perfetto nel centro, mi apparivano allora come qualcosa di miracoloso, come più tardi miracoloso mi apparve l’Ermes di Prassitele nel museo di Olimpia…”: aperta dichiarazione di lavorare nel segno del Nostos e di Mnemosyne. G. de Chirico, Memorie della mia vita (1945, 1962), Bompiani, Milano 2002 (da qui Memorie), pp. 23-24
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
L’humus in cui de Chirico si forma è la Grecia moderna, membrana di terra tra oriente e occidente, che è Europa solo per la geografia7, esempio di un disordinato quanto prolifico sincretismo culturale, che intreccia l’idioma francese, al tedesco, ad usi e costumi turchi e slavi. È la Grecia sdoppiata dalla “questione della lingua”, che scrive in katharevousa, “la lingua della liturgia, dei funzionari, dei puristi…togata…inamidata”8 e parla il demotico, o Maliarà, lingua “giovane e spregiudicata…[che] ha ospitato tutti i neologismi, tutti i barbarismi…colorita ed efficacissima…offre tali possibilità alla freddura, che l’argot in confronto ha la gravità di un linguaggio aulico…strumento mirabile per una letteratura che non respinge le sottigliezze, le sfumature, la varietà e molteplicità dei significati, che non ha paura di questo gioco divino: il bisenso”9. Il linguaggio arguto10 di Giorgio de Chirico e la sua ars combinatoria – con cui moltiplica all’infinito le potenzialità di un’immagine o di una suggestione – risentono della koinè linguistica e sociale della Grecia fin de siècle. Il lapis di Volos La formazione artistica di Giorgio comincia verso il 1896 a Volos, dove la famiglia de Chirico si è trasferita nuovamente dopo un breve soggiorno ad Atene. Evaristo de Chirico sceglie un impiegato delle ferrovie, Kostantinos Mavrudìs, per impartire le prime lezioni di disegno al figlio. “Era un greco di Trieste che parlava un po’ l’italiano con l’accento veneto. Disegnava meravigliosamente… Fu il primo che m’insegnò l’amore per le linee pulite e belle… per il buon materiale: lapis di marca Faber molto appuntiti… a far spuntare la punta del lapis in modo regolare, tagliando intorno il legno con cura e simmetria… I nostri geni modernisti… farebbero meglio ad imparare a fare una buona e bella punta al loro lapis” (Memorie, p. 33). Di sicuro l’ambiente delle ferrovie, i disegni “Le terre che cominciano alla sponda italiana dell’Adriatico e si dilungano fino alle rive dell’Atlantico, il Greco le chiama indistintamente Occidente o Europa. A dispetto della verità geografica, il Greco si pone fuori di questo continente”. A. Savinio, Lorenzo Mabili, in Narrate, uomini, la vostra storia (1942), Adelphi, Milano 2005, p. 137 8 Ibidem, p. 138 9 Ibidem, p. 139 10 Pensiamo soltanto al romanzo Ebdòmero, edito nel 1929 in francese e riscritto (non semplicemente tradotto) in italiano, per il quale rimandiamo al testo in catalogo Album di Ebdòmero di Antonella Sbrilli (in M. Ursino, De Chirico e il museo, catalogo della mostra, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma 20 novembre 2008–25 gennaio 2009, Electa, Milano 2008, pp. 47-56) 7
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ingegneristici (dei quali resta l’album presentato nel Padiglione della Grecia dall’Enterprise E. de Chirico et c.ie, di cui Evaristo è direttore, all’Esposizione Universale di Parigi del 1889 (FIG. 7), le squadre, i goniometri, i regoli che invadono lo studio del padre incidono fortemente su Giorgio, accompagnandolo in tutto il suo percorso di artista11. Soprattutto lo strumento del disegno, le “linee pulite” da ingegnere o da architetto, sono alla base delle Piazze così come di tutte le costruzioni dello spazio dei suoi quadri. Un curioso assemblaggio di elementi tratti dai progetti del padre e da opere di de Chirico è rintracciabile anche in un dipinto di Alberto Savinio, del 1925-26 (FIG. 8): un biglietto del treno, la rimessa dei vagoni, un ponte ferroviario della Tessaglia figurano accanto a silhouettes che richiamano la pittura di Giorgio. Al disegnare, il giovane de Chirico accosta la passione per la copia. “Oltre ai classici modelli e studi per imparare il disegno, che i miei genitori mi compravano nelle cartolerie, copiavo tutte le figure che mi capitavano sotto le mani” (Memorie, p. 41), attitudine che affina nel corso di tutta la sua carriera artistica, come anche questa mostra12 mette chiaramente in luce, illustrando il rapporto dell’artista con i grandi maestri del passato. Atene-Monaco a/r Esercitarsi nella copia delle opere antiche, prima ancora che nella copia dal vero, è un precetto che de Chirico impara quando comincia a studiare al Politecnico di Atene (19031906). L’Accademia di Belle Arti della capitale greca era stata istituita dal re Ottone di Baviera13 nel 1837 e dal 1873 prende il nome di Ethnikò Metsòvion Politechnìo, trasferita in Sul periodo di Volos v. K. Androulidakis, Mikrò aphièroma ston Giorgio de Chirico, Athina 1988; K. Androulidakis, Oi Thessaliki Sidirodromoi (1881-1955), Museo della Fotografia “Christos Kalemkeris”, Dimos Kalamarias, Thessaloniki 2002; M. Santoro, Evaristo de Chirico, biografia critica, in El siglo de Giorgio de Chirico. Metafìsica y arquitectura, catalogo della mostra a cura di V. Trione (IVAM, Valencia 18 dicembre 2007-17 febbraio 2008) Skira, Milano 2007, pp. 422-423 12 De Chirico e il museo, Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma 20 novembre 2008-25 gennaio 2009 13 Atene e Monaco sono due città legate a doppio filo per vicende storiche. Dopo la Grande Rivoluzione del 1821, che aveva segnato la fine dell’impero ottomano, nel 1832 Ottone I, figlio di Ludwig I re di Baviera (grande sostenitore della lotta per l’indipendenza del popolo greco), diventa re della Grecia, su proposta della Triplice Alleanza. Nel 1834 Atene diviene capitale. Nel 1862 Ottone viene destituito e nel 1864 subentra re Giorgio I di Danimarca. Durante questi anni architetti nordeuropei, come i fratelli Hansen ed Ernst Ziller, vengono chiamati ad Atene per ridisegnarne il profilo di capitale del regno. Le residenze reali e gli edifici pubblici costruiti fra gli anni ’30 e ’70 sono improntati ad un neoclassicismo affine alle coeve architetture presenti in Baviera (i progetti, numerosissimi, sono tuttora conservati negli Archivi Architettonici del Museo Benaki di Atene). Non dimentichiamo, poi, che ai tempi di Ludwig I (1825-1848), l’architetto Leo von Klenze era stato incaricato di ridisegnare la città bavarese con il compito di renderla l’Atene dell’Isar (si pensi ai Propilei 11
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
un complesso di tre edifici neoclassici, congeniali ad ospitare le diverse scuole in cui era suddiviso14. Ad insegnare vengono richiamati dalla Baviera artisti neogreci formatisi all’Accademia di Monaco e che lì hanno acquisito chiara fama: Nikifòros Lytras (18321904), Kostantinos Volanakis (1837-1907), Jorgos Jakovidis (1853-1907). A questo elenco va aggiunto Nikòlaos Ghyzis (1842-1901), il quale tornerà in Grecia per un breve periodo, per poi rientrare a Monaco, dove sarà direttore dell’Accademia e dove morirà nel 1901. Questi pittori costituiscono la cosiddetta “Scuola di Monaco” e traghettano il romanticismo e simbolismo tedeschi di Böcklin e di Klinger in Grecia. Li analizzeremo tra poco in modo più dettagliato. Si tratta di un passaggio fondamentale nella vicenda artistica di de Chirico: prima ancora di Monaco o Firenze è Atene che lo “inizia” ai misteri metafisici15. Così come il suo occhio ha già “incontrato” nelle architetture neoclassiche della capitale ellenica, la Monaco di von Klenze e di Schinkel, per poi citarle entrambe nella spazialità delle Piazze italiane. “Il modo d’insegnare al Politecnico di Atene era molto giusto e sistematico; era fatto con quei metodi così utili che, in seguito, con le cosiddette evoluzioni in fatto d’arte, con i cosiddetti modernismi, sono, poco alla volta, caduti in disuso… Un pessimo sistema è quello usato oggi di far lavorare il giovane allievo direttamente dal vero. Al Politecnico di Atene si facevano quattro anni di disegno e di studio del bianco e nero da stampe e da sculture, prima di lavorare direttamente da un modello vivo” (Memorie, pp. 54-55). De Chirico è molto preciso nel descrivere gli anni di formazione all’Accademia, la cui affiliazione alla pittura tedesca è resa dall’artista con l’immagine/espediente letterario dello stanzone della classe di disegno illuminato da una luce “eguale e fredda del Nord” di Monaco di Baviera, opera di von Klenze). Parallelamente la ricca borghesia greca sceglie la Germania per la formazione culturale dei giovani. Per questo motivo tanti sono gli studenti greci che vengono mandati a Monaco a proseguire gli studi, un’usanza che rimane anche ai tempi di Giorgio de Chirico, che non a caso sceglie la capitale bavarese per il proseguimento della sua formazione pittorica, in anni in cui è Parigi che, generalmente, sta imponendosi come città all’avanguardia. Per i rapporti fra Atene e Monaco: Athina-Monaco. Tèchni kie politismòs sti nea Ellàda, catalogo della mostra a cura di M. Kasimàti (Pinacoteca Nazionale e Museo Storico Nazionale, Atene 5 aprile-3 luglio 2000) Edizioni Ethnikì Pinakothìki, Athina 2000 14 Al Politecnico si poteva scegliere tra Ingegneria, Arti applicate, Scuola di Belle Arti. Per la storia del Politecnico dalla fondazione ad oggi si veda: Teaching art: the history of the Athens School of Fine Arts through the works of its teachers 1840-1974, curator N. Daskalothanàssis, Athens School of Fine Arts, Athens 2004 15 Del resto anche nelle Memorie leggiamo “avevo appena diciassette anni, eppure avevo già capito, non meno di quanto lo capisca ora, la profondità e la metafisica dell’opera di Boecklin, di Klinger” (Memorie, p. 68), dove l’indicazione dei “diciassette anni” conferma una conoscenza di tali opere precedente al viaggio a Monaco ed al soggiorno fiorentino
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(Memorie, p. 54). Le stampe su cui gli allievi devono esercitarsi sono per lo più copie di reperti classici, e di opere degli insegnanti stessi risalenti al periodo monacense16. “A correggere nelle classi di disegno veniva allora al Politecnico ogni settimana un vecchissimo pittore che si chiamava Bolonakis; era un marinista; verso la metà del secolo scorso aveva dipinto quadri che non erano privi di valore pittorico ed erano anche molto suggestivi e pieni di poesia; come soggetti raffiguravano spiagge greche nei pressi di Atene e vedute del porto del Pireo…era una pittura liscia ma non leccata” (Memorie, p. 56). Con la descrizione di Kostantinos Volanakis17 de Chirico ci introduce in una galleria di autori tra i più rappresentativi dell’arte greca della seconda metà dell’Ottocento, e che costituiscono un primo nucleo di quel “museo personale” in cui il nostro autore stipa le immagini che di volta in volta lo sollecitano in attesa di quello stimolo inaspettato che le faccia riemergere. Dei dipinti di Volanakis (erroneamente trascritto nelle Memorie “Bolonakis”) de Chirico riprende gli scorci con le ciminiere e le fabbriche (FIG. 9), alcune tematiche (v. Il ritorno degli Argonauti, 1880c. FIG. 10), il colore verde per i cieli liquidi e per il mare con cui Giorgio familiarizza ora, per poi riconoscerlo ed amarlo attraverso la pittura veneta. E si deve sempre a Volanakis la “rivelazione dell’olio di lino” per dipingere, come de Chirico riporta nelle Memorie: «Il pittore Bolonakis, al quale domandai come si fa la pittura ad olio…mi disse… “con l’olio di lino”… L’olio di lino fu una rivelazione come tanti anni dopo, in un pomeriggio d’inverno, al museo del Louvre, davanti ad un dipinto di Velasquez, furono per me una rivelazione le parole di Isabella Far: “la vera pittura non è colore prosciugato, ma bella materia colorata”»18. 16 Chi scrive ha avuto modo di visionare l’Archivio del Politecnico, attualmente in fase di catalogazione in vista di una prossima pubblicazione, dove sono conservate le opere utilizzate, per lo più, come modelli per le prove d’esame degli studenti ad ogni passaggio d’anno. Si tratta spesso di nudi dalle forme classiche, eseguiti per ottenere le borse di studio per Monaco messe a disposizione dall’Accademia (vinte, per l’appunto, da personaggi come Jakovìdis e Ghyzis), e di nature morte oscillanti tra il realismo delle forme e un forte simbolismo nella resa atmosferica. Ricordiamo, inoltre, che tali borse di studio permangono nei primi del Novecento, con il nome di “Esame Averoff”, dal loro finanziatore. Nell’archivio del Politecnico sono conservati alcuni dei lavori dei partecipanti, che presentano più di una somiglianza con taluni disegni di de Chirico, permettendo di ricostruire plausibili fonti comuni 17 Kostantinos Volanakis (Iraklion, Creta 1837- Pireo 1907), si trasferisce a Monaco di Baviera nel 1860, studia pittura presso Karl von Piloty. Dopo aver lavorato a Monaco, Vienna e Trieste, nel 1883 torna in Grecia e insegna Elementi di disegno e Teoria della scultura al Politecnico di Atene fino al 1903. Da qui, per i pittori neogreci trattati, se non diversamente specificato, si fa riferimento a M. Papanikolàou, Istorìa tis tèchnis stin Ellàda, Zografikì kie gliptikì tou XX eòna, Adam, Athina 1999 18 G. de Chirico, Memorie, op. cit. pp. 56-57
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Esiste una copia di una nave dipinta da Volanakis eseguita dal giovane Giorgio e da lui segnalata come “un mio disegno d’infanzia” (FIGG. 11, 12). Continuiamo a seguire il percorso nell’arte neogreca suggerito dal Pictor Optimus : “Quando conobbi il pittore Bolonakis egli era già molto vecchio… stava con lui un vecchio scultore, suo amico e coetaneo… nel suo studio che era una specie di bottega da marmista aperta sulla strada, si vedeva il vecchio scultore che lavorava con in testa un berretto di carta. In questo studio-bottega c’erano molte belle sculture, tutte in marmo del Pentelico; egli contrariamente agli scultori di oggi, aveva una grande avversione per il legno, la terracotta, la ceramica e la cera. Il suo capolavoro era una grande scultura che si chiamava Xilotraftés (lo spezzatore di legna). Raffigurava un uomo completamente nudo, con forme atletiche ma armoniose, curvo sopra un grosso pezzo di ramo, di cui teneva le estremità strette nei pugni e su cui calcava con forza il piede destro”. De Chirico non ci dice di quale artista si tratti, tuttavia in quelle poche righe, ma di rara efficacia grazie a quella capacità ecfrastica cui ci ha abituato la sua scrittura, riconosciamo Dimitrios Filippotis19 e la sua opera più famosa, lo Xilothràfstis (Spezzatore di legna, 1875), che si trova nei giardini dello Zappion ad Atene (FIG. 13). Cogliamo l’occasione per introdurre a questo punto una breve annotazione sulla scultura neogreca dalla metà dell’Ottocento ai primi del Novecento20, in quanto molte delle statue che popolano le piazze e i giardini della città di Atene – come il Monumento a Kolokotronis di Lazaros Sochos21 in Piazza dell’Antico Parlamento (FIG. 14) o 19 Dimitrios Filippotis (Tinos 1839-Atene 1919), figlio di uno scultore, comincia l’apprendistato presso la bottega paterna, a Tinos, isola nota per il suo marmo e per la sua tradizione nell’ambito della scultura. Filippotis studia per qualche anno anche a Roma per poi trasferirsi definitivamente ad Atene, dove realizza moltissime opere che lo rendono uno degli scultori più celebri ed importanti della Grecia di secondo Ottocento. Per gli scultori trattati in questo capitolo si fa riferimento a S. Lydàki, I Èllines glìptes, vol. V, Melissa, Athina 1981; Ch. Chrìstou, M. Koumbakàli-Anastasiàdi, Neoellinikì gliptikì 1800-1940, Emporikì Trapèzis tis Ellàdos, Athina 1982 20 Oltre al già citato Filippotis, nel novero degli scultori greci ricordiamo: Yannoulis Chalepàs, Leonìdas Drosis, Lazaros Sochos, Jorgos Bonanos, Thomàs Thomòpoulos, Kostantinos Dimitriadis. Roma e Monaco sono le città di riferimento per la loro formazione. La maggior parte di essi, al rientro ad Atene, insegnerà al Politecnico 21 Lazaros Sochos (Tinos 1862-Atene 1911) studia al Politecnico di Atene e a Costantinopoli. Nel 1881 si trasferisce a Parigi, dove ammira soprattutto Rodin e dove, una volta terminati gli studi, apre un proprio laboratorio di scultura. I temi delle sue opere ruotano intorno alla natura, la storia e la mitologia greca. L’inclinazione al romanticismo lo porta a scegliere soprattutto soggetti legati alla storia della Resistenza greca del 1821, come appunto il monumento a Theòdoros Kolokotronis, premiato dall’Accademia di Belle Arti di Roma. Nel 1905 supervisiona gli scavi di Olimpia. Dal 1908 insegna al Politecnico di Atene, fino alla sua morte
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il Panaghìs Valliànos di Jorgos Bonanos22, di fronte alla Biblioteca Nazionale (FIG. 15), entrambi del 1900 – si intuiscono in filigrana nelle figure a cavallo o in redingote che de Chirico pone, come fantasmi di cartapesta su piedistallo, al centro, agli angoli, negli scorci, delle sue piazze-giocattolo che ora sono di Torino, ora di Firenze o di Ferrara. Tornando alla pittura, percorrendo ancora la pinacoteca ricostruita a memoria, de Chirico cita Jorgos Roïlòs23 e Theòdoros Rallis24. È il 1898-99: “fu in quel tempo che per la prima volta vidi un’esposizione di pittura e ne rimasi molto impressionato. I quadri che più mi colpirono furono anzitutto un episodio della guerra greco-turca in Tessaglia… L’autore del quadro si chiamava Roilòs e più tardi fu mio professore di disegno… aveva molto talento, disegnava bene e possedeva il dono della composizione. Se fosse vissuto… in un altro Paese più europeo della Grecia, avrebbe potuto acquistarsi una buona fama…e se si fosse trovato in Italia sarebbe stato sicuramente paragonato dai critici e dagli intellettuali a Paolo Uccello. Egli non era per nulla inferiore a Fattori…era superiore a Fattori. Un altro pittore che allora m’impressionò molto si chiamava Rallis ed abitava a Parigi ove, pare, fosse noto negli ambienti dei Salons. Rallis dipingeva con colori oltremodo vivi e brillanti ed aveva il disegno molto preciso; i suoi soggetti erano per lo più scene orientali” (Memorie, p. 44). Di Roïlòs restano nel serbatoio di immagini dechirichiano i cavalli al galoppo della Battaglia di Farsalo25 (FIG. 16); di Rallis (FIG. 17) le fogge orientali 22 Jorgos Bonanos (Cefalonia 1863-Atene 1940) studia ad Atene e Roma. Nel 1911 diventa insegnante all’Accademia di Belle Arti della capitale ellenica. Abbandona quasi subito l’incarico, per dedicarsi esclusivamente al suo lavoro di scultore. Molte sono le opere realizzate e premiate (nel 1889 e nel 1900 anche a Parigi) 23 Jorgos Roïlòs (Arcadia 1867-Atene 1928), allievo di Nikifòros Lytras all’Accademia di Belle Arti di Atene, nel 1888 vince la borsa di studio per Monaco, dove prosegue gli studi presso Nikolaos Ghyzis. Nel 1890 si trasferisce a Parigi e segue gli insegnamenti di Benjamin Constant e Paul Laurence. Dal 1895 al 1903 insegna Teoria della scultura al Politecnico di Atene. Nel 1897 parte con l’esercito greco per la Tessaglia, durante la guerra greco-turca, della quale dipinge molte versioni di scene di battaglia. Dopo un breve soggiorno londinese, torna nella capitale greca e dal 1910 al 1927 insegna, sempre alla Scuola di Belle Arti, pittura a olio 24 Theòdoros Rallis (Costantinopoli 1852-Losanna 1909), conosciuto anche come Jacques Ralli, è il più noto rappresentante della pittura orientalista in Grecia. Proveniente da una ricca famiglia greca di Costantinopoli, studia pittura all’Accademia di Belle Arti di Parigi, presso Jean-Léon Gérôme, ed espone al Salon del 1875. Si sposta continuamente fra la Grecia, l’Asia Minore, la Palestina e l’Egitto, alla ricerca di materiale per i suoi dipinti. Farà anche un pellegrinaggio sul Monte Athos, poiché interessato ai temi dell’ortodossia greca, di cui resta il notevole diario di viaggio 25 “Un episodio della guerra greco-turca in Tessaglia… si vedeva… un distaccamento di soldati di fanteria, che insieme ad alcuni ufficiali a cavallo, pareva aspettassero il momento di entrare in azione. Più lontano si vedeva la battaglia: una fila di fanti, parte con un ginocchio a terra e parte coricati al suolo che sparavano, e a destra,
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degli abiti con cui, a volte, Giorgio riveste i suoi autoritratti ispirati dal gusto per la finzione e la simulazione tipiche di una compiaciuta teatralità barocca. Gli artisti più significativi, tuttavia, con cui de Chirico entra in contatto sono Jorgos Jakovidis26 e Nikòlaos Ghyzis27, corifei della “Scuola di Monaco”, autori che non soltanto modificano e plasmano la fisionomia dell’arte neogreca di quegli anni, ponendo le basi per i futuri sviluppi in direzione delle correnti moderne europee, ma che nello stesso percorso pittorico di de Chirico possiedono un peso specifico da non sottovalutare. Se per gli artisti che fino a questo momento abbiamo citato, possiamo parlare di curiosità, suggestioni, echi, ora si tratta di insegnamenti veri e propri. Con Jakovidis (FIG. 18) de Chirico affina la sua abilità nel disegno e prende confidenza con il vocabolario di Hans von Marées, di Feuerbach e Klinger; tramite Ghyzis (FIG. 19) ha la rivelazione della pittura di Böcklin. «Dopo il tirocinio di disegno e di bianco e nero ero entrato nella classe di pittura. Il mio professore si chiamava Jakobidis ed era un greco di Smirne. Era molto apprezzato come ritrattista; quando più tardi in Italia vidi i ritratti di Giacomo Grosso, di Tallone e di altri lungo un largo stradone polveroso, si vedeva un distaccamento di cavalleria che si allontanava al galoppo…” (Memorie, p. 44) 26 Jorgos Jakovidis (Lesbo 1853-Atene 1932), fin da piccolo mostra interesse per l’arte, soprattutto nel lavorare il legno. Nel 1870 si trasferisce ad Atene per studiare scultura. Suoi maestri all’Accademia sono Nikifòros Lytras e lo scultore Leonìdas Drosis. Diplomatosi a pieni voti, nel 1877 vince la borsa di studio per Monaco. All’Accademia bavarese studia presso Ludwig νοn Löfftz, Wilhelm νοn Lindenschmidt, Gabriel νοn Max. Nel 1883 termina i corsi, ma resta a lavorare a Monaco per altri diciassette anni. Dal 1878 al 1898 dirige un suo laboratorio e una sua scuola di disegno. Il suo talento lo rende presto famoso e conosciuto; numerosissimi sono i premi che riceve, da Parigi a Brema, da Barcellona a Trieste. Nel 1900 è chiamato in Grecia a dirigere la Pinacoteca Nazionale di Atene e nel 1904 subentra a Nikifòros Lytras come maestro di pittura a olio al Politecnico. Ritrattista di corte prediletto dalla famiglia reale, Jakovidis si impone nel panorama artistico ellenico, per il suo naturale talento e per la sua solida e lunga esperienza monacense. Nel 1910 è direttore dell’Accademia di Belle Arti (che in quell’anno si distacca dal complesso del Politecnico), nel 1918 lascia la direzione della Pinacoteca Nazionale e nel 1930 è insignito del titolo di Accademico di Atene. Nel 2005 la Pinacoteca Nazionale ha dedicato al pittore un’importante mostra antologica, in occasione della quale è stato pubblicato il testo Jorgos Jakovìdis: anadromikì, a cura di O. Mentzafoù-Polìzou, Ethnikì Pinakothìki, Athina 2005 27 Nikòlaos Ghyzis (Tinos 1842-Monaco di Baviera 1901) comincia gli studi al Politecnico di Atene (1854-1864) e nel 1865, grazie ad una borsa di studio offerta da un’associazione ecclesiastica di Tino, parte per Monaco dove ritrova l’amico e collega Nikifòros Lytras. I primi maestri sono Hermann Anschütz, Alexander Wagner, Karl von Piloty. Completati gli studi nel 1871, nel ’72 torna ad Atene per rilevare la casa paterna e trasformarla in atelier. Con l’amico Lytras compie il viaggio in Asia Minore (1873) e a Parigi (1876). Deluso dall’ambiente intellettuale neogreco, Ghyzis decide di ritrasferirsi a Monaco, dove resterà fino alla fine, a parte un nostalgico rientro ad Atene, per l’ultima volta, nel 1895, durante il quale lascia definitivamente il proprio segno sulle nuove generazioni di pittori che si vanno formando. Per Ghyzis si veda N. Misìrli, Ghyzis, Adam, Athina 1996
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pittori di quel tempo, mi ricordai di Jakobidis; egli disegnava benissimo e un giorno nel suo studio mi mostrò dei nudi eseguiti a carboncino che aveva fatti da giovane all’Accademia di Monaco; rimasi impressionato dalla perfezione del disegno e dal rilievo e dalla finezza del modellato; era molto esigente per quanto riguarda l’esecuzione e la forma. Richiesto da mio padre se trovasse che io avessi la disposizione per la pittura, gli rispose che mi lasciasse lavorare tranquillamente: “Lo impasta! Lo impasta!” aggiunse ridendo Jakobidis» (Memorie, p. 57). I disegni citati da de Chirico in questo brano si trovano attualmente alcuni alla Pinacoteca Nazionale, altri in collezione privata (FIG. 20); datati alla fine degli anni Settanta e primissimi anni Ottanta dell’Ottocento, teutonici nella forma, sono crocevia fra i nudi di von Marées e quelli di de Chirico (si pensi, solo per fare un esempio, a Il saluto degli Argonauti partenti, 1920, FIG. 21). Al nome di Ghyzis de Chirico affida, nelle Memorie, il compito di traghettatore del proprio nostos verso il Paese natale, quasi a creare un parallelo tra se stesso e il pittore neogreco28 vissuto, a parte pochi momenti, lontano dalla sua terra d’origine: «Dopo tanti anni rivedo quello spettacolo come lo vedevo allora, ma se volessi descriverlo completamente, rappresentarlo con la penna, la matita o il pennello, non ci riuscirei del tutto. La Grecia ha ispirato molti artisti in tutti i tempi, ma ci sono cose tanto belle che si possono solo immaginare. Grande verità pertanto contengono le parole del pittore greco dell’Ottocento Nicolaos Ghisis quando egli dice: “Non posso dipingere la Grecia così bella quanto la immagino”» (Memorie, p. 37). Soprattutto in Ghyzis de Chirico proietta se stesso, perché in Ghyzis “ritrova” il Centauro della sua infanzia in Tessaglia29: l’artista neogreco, infatti, è autore di un dipinto molto noto in Grecia, Centauro ed Eros30 (FIGG. 22, 23). Il parallelo con Ghyzis viene fatto anche da Jorgos Bouzianis, compagno di studi di de Chirico tanto ad Atene quanto a Monaco, in una lettera datata Parigi 3 ottobre 1930, indirizzata ad un pittore greco, Nikos Santorineos: “Kiriko qui si è fatto una gran fama. Non l’ho incontrato ancora ma neanche l’ho cercato. Ho solo ho saputo che è diventato italiano [corsivo mio]. Ma non lo biasimo: ha avuto ragione, come l’ha avuta Ghyzis quando è diventato tedesco. Anch’io non so che farò un domani. La nostra patria non si prende cura dei suoi figli. E nel frattempo perde i suoi migliori talenti”. La lettera (v. più avanti il mio saggio La partenza dell’amico e FIG. 126) è stata rintracciata da chi scrive presso l’archivio privato dell’ing. Kostas Androulidakis, Atene 29 Il mito quotidiano dei fratelli de Chirico è magistralmente interpretato anche da Savinio: “Mi trovo ai piedi del Pelio… Scopro il vecchio centauro ferito… Mi chiede come mai mi trovo così solo… Egli mi consiglia di ritornare in casa dei miei genitori, e si offre a trasportarmici egli stesso… gli salgo sul dorso… Traversiamo un piccolo borgo. Il centauro si ferma alla porta del maniscalco per farsi riparare un ferro dello zoccolo” A. Savinio, Tragedia dell’Infanzia (1937, 1945), Adelphi, Milano 2001, pp. 134-136 30 Nonostante Ghyzis abbia trascorso quasi tutta la sua vita lontano dalla patria, è da considerare come una delle voci più rappresentative della Grecia. Le sue opere erano molto diffuse, ed egli stesso aveva partecipato anche a varie Esposizioni nella capitale greca. Per quanto riguarda il Centauro ed Eros, 1896-98, il quadro è stato 28
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Anche Savinio insiste su questa corrispondenza Grecia-Germania, che abbiamo finora tentato di rendere nella sua pregnanza e nel suo valore all’interno della formazione dechirichiana. Scrive in Narrate, uomini, la vostra storia: “Il centro del böcklinismo era Monaco capitale della Baviera. A settentrione il böcklinismo si estendeva trionfante finché trovava case abitate da uomini e vita di animali ragionanti. A ponente moriva in Alsazia e in Italia si fermava a Milano: non perché il Mezzogiorno lo respingesse (nella penisola balcanica arriva ad Atene e oltre) ma perché le correnti del romanticismo seguono in Europa l’itinerario delle cicogne. Nei loro viaggi periodici dall’Europa all’Africa e viceversa, le cicogne traversano la Francia da una parte e la penisola balcanica dall’altra, ma o non sorvolano affatto l’Italia, o la sorvolano in numero molto ristretto”31. AteneMonaco: andata e ritorno. L’Atene tascabile dei ‘ritornanti’ Fra i numerosi personaggi che popolano le Memorie di de Chirico vi è il famoso architetto greco Dimitris Pikionis32, conosciuto sotto le arcate del Politecnico di Atene nel 1904, quando Giorgio studia all’Accademia di Belle Arti e Dimitris, più grande di un anno, ingegneria nell’edificio di fronte. Un’amicizia che si rinnova a Monaco e poi, soprattutto, a Parigi, quando si rincontrano casualmente nel 1912. Nelle Memorie de Chirico ricorda l’amico lodandone la sapienza: “Conoscevo in Grecia anche un giovane studente di nome Pikionis; studiava ingegneria ed architettura, ma fuori della scuola disegnava e dipingeva; era un’intelligenza straordinaria, una profonda iniziato probabilmente poco prima di lasciare definitivamente la città di Atene, e negli anni in cui de Chirico studia al Politecnico fa parte del materiale iconografico (stampe e riproduzioni) messo a disposizione degli studenti per le esercitazioni di disegno. Attualmente si trova nelle collezioni della Banca Nazionale di Grecia 31 A. Savinio, Arnoldo Böcklin, in Narrate, uomini, la vostra storia, op. cit., p. 34. Sempre in questo libro, più volte (v. Arnoldo Böcklin, Lorenzo Mabili) Savinio cita l’isola di Pontikonisi a Corfù come possibile fonte iconografica dell’Isola dei morti di Böcklin 32 Dimitris Pikionis (Pireo 1887-Atene 1967), studia al Politecnico di Atene, dove si diploma in ingegneria nel 1908. Nel 1909 è a Monaco di Baviera per studiare pittura e nel 1910 parte per Parigi. Ristrettezze economiche lo spingono ad abbandonare la pittura e a diventare architetto. Nel 1912 torna in Grecia. Nel 1925 è nominato professore di Progettazione architettonica, e i suoi insegnamenti saranno incisivi per la nuova generazione di architetti greci. Dal 1935 al 1937 pubblica con un gruppo di pittori la rivista d’arte e architettura “To trito mati” (“Il terzo occhio”). Comincia in questi anni un più approfondito interesse per la tradizione popolare greca. Fra il 1951 e il 1957 dà vita alla sua opera più significativa: la sistemazione della zona dell’Acropoli e del Filopappo e della chiesa di San Demetrio Loumbardiaris. Nel ‘61 è nominato membro dell’Accademia di Monaco e nel ’65 dell’Accademia di Atene
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intelligenza da metafisico. L’ho incontrato più tardi a Parigi” (Memorie, p. 58). E ancora, quando racconta di Isabella Far (“la persona più profondamente intelligente che io abbia incontrato nella mia vita”, Memorie, p. 151), sottolinea: “fino allora le persone più intelligenti che ricordassi erano l’architetto greco Pikionis, che conobbi in Grecia da ragazzo e che più tardi ritrovai a Parigi, e mio fratello Alberto Savinio” (Memorie, p. 151). Nel 1958 Dimitris Pikionis scrive le sue Note autobiografiche33. Il testo non solo conferma il grado di amicizia e di stima fra i due artisti, ma testimonia i momenti cruciali in cui la metafisica come genere pittorico prende corpo nell’iter dechirichiano. «Si avvicinava il tempo del ritorno (inizio del 1912), e durante l’ultimo mese del mio soggiorno a Parigi capitò un fatto che ebbe per me una grande importanza…Viaggiavo in autobus … quando una persona salì e si sedette proprio di fronte a me: era Giorgio de Chirico… Mi parlò di Böcklin, dicendo che egli era – come aveva detto anche Nietzsche – l’unico vero pittore metafisico… mi disse che in un giorno d’autunno, sotto un cielo limpido (“limpido” fu proprio la parola che usò)… trovò il libro di Nietzsche in cui si formula la teoria dell’Eterno ritorno. In seguito aveva trovato conferma di quella enigmatica cosmologia nelle opere di Eraclito. Mi invitò a casa sua. Ero il primo a Parigi cui egli mostrasse i prodotti della teoria metafisica… Pochi giorni dopo ricevetti una sua lettera, in greco, che cominciava così: “Egregio amico, sento la necessità di vederti e di parlare con te, perché accade qualcosa di nuovo nella mia vita…”. Ci incontrammo spesso e passammo molte ore discutendo della luce metafisica che gettava sull’esistenza la teoria di de Chirico… Alla fine apparve anche per noi l’ora enigmatica della separazione…»34. Negli scritti dell’architetto greco si colgono evidenti somiglianze di famiglia coi fratelli de Chirico, affinità dovute alla matrice culturale comune da cui provengono: in Topografia estetica35, ad esempio, la Natura è trasformata in statua, statue sembrano organismi viventi, 33 Le Note autobiografiche (da qui NA) sono state tradotte e pubblicate da M. Centanni, v. D. Pikionis, Autobiografikà simiòmata, 1958, in A. Ferlenga, Pikionis 1887-1968, Electa, Milano 1999; pp. 29-35. Si veda anche l’articolo di M. Centanni, Pictor classicus sum: il ritorno e l’enigma, “Engramma”, n. 7, aprile 2001, (http://www.engramma.it/rivista/saggio/italiano/aprile/saggio.html); per la biografia critica: M. Santoro, Dimitris Pikionis biografia critica, in El siglo de Giorgio de Chirico. Metafìsica y arquitectura, op. cit., pp. 426-428 34 Chi scrive ha rintracciato la lettera scritta in greco da de Chirico (v. saggio seguente e FIG. 64), l’unico testo in caratteri greci che possediamo dell’artista, dove possiamo notare oltre la grande stima di de Chirico nei confronti di Pikionis, anche l’ottima padronanza della lingua neogreca. Ringrazio Aghnì Pikioni per aver messo a disposizione il suo archivio 35 D. Pikionis, Estetikì topografìa, in “To trito mati”, Athina 1935-37, ora in Kìmena, a cura di A. Pikionis, Z. Lorenzatou, National Bank of Greece, Athina 1985
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
divinità si confondono col paesaggio; è “l’immortalità terrestre”36. Sebbene non proprio apolide come Giorgio, tuttavia anche Pikionis, con i suoi viaggi a Monaco e a Parigi, si nutre del fertile dolore del nostos. Quando torna ad Atene (è il 1912) il Partenone e la luce secca che ne taglia i volumi, lo stordiscono come se non li avesse mai vissuti prima; lui, che da quelle parti è nato e chissà quante volte vi ha girato intorno. “Devo riconsiderare tutto quanto ho imparato” (NA); tutto va nuovamente riconquistato, ridecifrato, è il viaggio a ritroso del ritornante dechirichiano, di Ebdòmero che fa in barca il giro della sua stanza37. Il metodo di lavoro di Pikionis è inusuale, più che di un architetto è di un artista toutcourt: egli raccoglie una quantità enorme di scritti, schizzi, disegni di fantasia, analitici studi di architetture antiche e della tradizione popolare, come tanti ritagli che il tempo ha trasbordato fino ai nostri giorni e li scompone e ricompone con un procedimento che ricorda de Chirico quando manipola l’antico come fosse un gioco di costruzioni38. Solo così il passato smette di essere lingua morta e rimane, vivificato e rinnovato, come dynamis, cioè “forza” ma anche “dinamica”, “movimento” e agisce sul presente. È questo il processo che Pikionis innesca quando disegna un fregio romano come fosse lo scoglio di una costa greca (FIGG. 24, 25, 26); questo il meccanismo alla base del de Chirico che fa rivivere il mito nei cavalli e le colonne sulle spiagge (FIG. 27) o nei templi stipati nelle stanze; questo ancora, il significato delle Arianne che più volte ricorrono nei lavori di entrambi39 (FIGG. 70, 71). Con precisione da chirurgo, Pikionis si serve del bisturi del disegno40 e dell’ironia41 per penetrare le cose e trarne il significato nascosto. La serie dei disegni Attica (1945-50), ad 36 Scrive Savinio: “L’arte è sorta dal fecondo grembo della Memoria. E’ per questo che nell’arte, più che in nessun altro modo, spira come una nostalgia, non di celesti rapimenti, ma della grazia che in principio fioriva quaggiù: dell’immortalità terrestre”. A. Savinio, Primi saggi di filosofia delle arti III, in “Valori Plastici”, III, 5, settembre-ottobre 1921 37 Anche un disegno di de Chirico, raffigurante Ulisse e datato 1934, riporta la scritta: “fece in barca il giro della sua camera” 38 “Il tempio greco è alla portata di mano come un giocattolo”. G. de Chirico, Classicismo pittorico (1920), in Il meccanismo del pensiero, Einaudi, Torino 1985, pp. 227-228 39 Vorremmo ricordare che in Grecia un primo recupero dell’Arianna si era avuto ad opera dello scultore Yannoulis Chalepàs, ed aveva ottenuto grande risonanza nell’ambiente artistico. Si tratta del monumento funebre noto come Koimomèni (La dormiente), del 1876 (FIG. 73). Di quest’opera, soprattutto negli anni Trenta, l’autore farà molte versioni sempre più stilizzate, decisamente simili alle Arianne di de Chirico 40 Abbiamo già avuto modo di notare quanto il disegno sia fondamentale anche per de Chirico 41 Per Savinio l’ironia è “ricerca e maniera sottile d’insinuarsi nel segreto delle cose”. A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, op. cit., pp. 291-293
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esempio, considerata in genere solo un’esercitazione di stile, è in realtà una vera e propria fase preliminare di un progetto: Pikionis registra le presenze fantasmatiche evocate dai luoghi che sta ritraendo e che l’intuizione ha captato – de Chirico parlerebbe in questo caso di rivelazione – e su questa base costruisce il lavoro propriamente architettonico. Questo indefesso lavoro di accatastamento di immagini, oggetti, suggestioni comune a de Chirico e a Pikionis si traduce splendidamente nei Trofei, che entrambi dipingono e disegnano più volte nel corso della loro carriera (FIGG. 28, 29). Al di là dell’evidente riferimento ai trofei romani, si tratta dell’allestimento scenico di memorie stratificate. Prendendo in prestito un gioco di parole usato da de Chirico in Hebdòmeros42, dove la parola acropole è una sciarada basata sui due suoni che la compongono (accroc/Paul), possiamo dire che, in virtù di una liaison linguistica, rivivono nei trofei l’accrochage di reperti archeologici affastellati l’uno sull’altro o incastonati in pannelli di legno43 (FIGG. 30, 31) e, per assonanza con l’italiano, l’arroccamento del monumento a Filopappo sulla Collina delle Muse (FIG. 32) e della stessa Acropoli, ovviamente. È la mise en scène di una cabala fonetica. Souvenir d’enfance Souvenir d’enfance à Athènes è il titolo di un dipinto di Savinio del 1930c., conservato alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma. Un trofeo, anche questo, ma fatto di giocattoli; un tributo all’infanzia, tema nella cui orbita gravitano continuamente entrambi i fratelli de Chirico. Le immagini che hanno catturato da fanciulli mantengono un forte potere evocativo, l’occhio del bambino prefigura lo sguardo trasfigurante dell’artista, che rende la finzione più vera del reale. La stanza dei giochi è il primo laboratorio dove avviene questo prodigio: per Savinio è lo spazio concluso che esalta le facoltà percettive e l’immaginazione, osservatorio privilegiato per seguire le “rimutazioni che avrebbero dovuto rivelarmi l’intimo fondo delle cose e i suoi aspetti interni e invisibili al comune… Seduto io nel mezzo della camera dei giochi, quanto più vasto e ricco diventava il mondo che inquadravano le due finestre!” 44.
La sciarada scompare nell'edizione italiana: “ – L’acropole, l’acropole! – «Non, dit-il avec un fin sourire; il ne s’agit, cette fois-ci, ni d’accroc ni de Paul…”. Hebdòmeros, Collection “L’Age d’Or”, Flammarion, Paris 1964. v. A. Sbrilli, Album di Ebdòmero, nota 54, in catalogo 43 Kiriakos Pittakis (1798-1863), uno dei primi archeologi greci, fissava i reperti ai muri o su pannelli di legno per proteggerli dai furti (v. Athens 1839-1900. A photographic record, Benaki Museum, Athens 2004, p. 103) 44 A. Savinio, Tragedia dell’Infanzia, op. cit., pp. 138-139 42
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Attraverso i ricordi di Giorgio e di Alberto, e gli indizi sparsi nei dipinti del primo, si ricompone un album di ricordi, fatto di immagini – metafisiche e provinciali direbbe il Nostro – tratte dalla vita quotidiana, sfogliando fotografie d’epoca della città di Atene, affiches pubblicitarie, manifesti di eventi che avevano avuto grande risonanza nella società greca del tempo; quel che c’era nella stanza dei giochi. L’album di Volos può iniziare con una veduta dei bagni di Ànavros (FIG. 76), spiaggia a non molta distanza dalla città: fonte iconografica “bassa” che va ad affiancare quella “alta” di Klinger per quanto riguarda la serie dei Bagni misteriosi di de Chirico. Sempre a Volos aveva sede la fabbrica Glavànis, la cui inserzione pubblicitaria (FIG. 33) deve esser tornata in mente all’artista, magari risvegliata dalla vista delle fabbriche ferraresi, quando nel 1917 dipinge l’Interno metafisico (con grande officina) o Les jeux du savant 45 (FIGG. 34, 35). “Durante l’occupazione di Volos da parte dei turchi avvennero anche dei drammi… Una mattina il prete cattolico fu trovato anche lui ucciso nella sua camera da letto… furono trovati fez gettati qua e là. Pare che anche in questo delitto si trattasse di falsi soldati turchi; si disse che erano stati dei greci che avevano ucciso il sacerdote cattolico per attirare l’attenzione delle potenze straniere” (Memorie, pp. 37-39, passim). Probabilmente de Chirico pensa anche ai guerriglieri greci assiepati fra le montagne da mito arcaico del Pelio (FIGG. 39, 40, 41) quando si lascia trasportare dalla passione per le scene di lotta, per le sparatorie dei film americani, per le storie di pugili, per il mito del gladiatore. L’assassinio del prete cattolico46 è un fatto di cronaca che sconvolse realmente la comunità di Volos, ed è plausibile che il giovane de Chirico si sia imbattuto nella fotografia, che allora circolava, del prete defunto (FIG. 42) e che possiamo mettere a confronto con l’uomo dagli occhi chiusi e dalle lunghe ciglia ne Il cervello del bambino del 1914 (FIG. 43). Sempre questo ritratto ci permette di scivolare verso altre associazioni visive: la stazza del personaggio e i suoi baffi neri rimandano allo storico atleta olimpionico citato anche nelle Memorie: Dimìtrios Tofalos (FIG. 44) “enorme come una balena e pesava 115 chili. Era Facciamo notare che sullo sfondo di queste affiches d’epoca appare spesso una locomotiva, così familiare e cara al Nostro, che passa a fianco dell’edificio; basta confrontare la carta intestata di una conceria di Volos, le pubblicità di una fabbrica di tessuti, di una distilleria del Pireo (FIGG. 36, 37, 38). Queste immagini completano il “riconoscimento” dell’officina per la bonifica del Po a Codigoro, fatto da Maurizio Fagiolo (v. scheda 119 in L’opera completa di Giorgio de Chirico 1908-1924, a cura di M. Fagiolo Dell’Arco, Classici dell’arte Rizzoli, Milano 1999) 46 Riportato anche da Savinio in Achille innamorato, Adelphi, Milano 1993, p. 178 45
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figlio di un vinaio del Peloponneso e nella bottega di suo padre sollevava da solo delle enormi botti piene di vino” (Memorie, p. 45). Quei folti mustacchi rinviano al ritratto del poeta Rigas Fereos Velestinlìs (FIG. 45), aedo della Megàli Epanàstasi del 1821, vero e proprio simbolo dell’Indipendenza greca e orgoglio della Tessaglia – dove era nato – del quale riconosciamo i tratti nel personaggio sulla destra, che compare nel dipinto di de Chirico La partenza degli Argonauti, 1909 (FIG. 46), e che riprende esattamente l’iconografia di Rigas circolante in Grecia, quale si può vedere anche da un dipinto di Theophilos (FIG. 47). Velestino, inoltre, ha per de Chirico il valore aggiunto di essere una delle stazioni ferroviarie principali, tra quelle realizzate dal padre Evaristo. In entrambi i dipinti citati, è riconoscibile anche la statua di Atena della città di Volos (FIG. 48). Le Olimpiadi del 1896 (FIGG. 49, 50, 51), le prime olimpiadi moderne47, sono l’evento che accende la città di Atene e che affascina ovviamente Giorgio, il quale ricorda anche la rappresentazione teatrale allo Stadio olimpico, una Ifigenia in Tauride (Memorie, pp. 45-46) il cui allestimento (FIG. 52) fa pensare alle composizioni/gioco di costruzioni tipiche della pittura dechirichiana. Nel frattempo, seguendo il meccanismo dechirichiano, da Volos siamo passati ad Atene, senza rendercene conto. La capitale della Grecia moderna offre a de Chirico vedute allucinate ed estranianti, di per se stesse metafisiche: archi che affacciano su spazi disabitati (FIG. 53), colonne sospese in bilico sul vuoto (FIG. 54), rocce primordiali che incombono sugli edifici (FIG. 55). A differenza delle città italiane, qui il segno della presenza umana sopravvive isolato, circondato dal silenzio, come gli ideogrammi appartati e solitari dei quadri dechirichiani. La Stimmung di Atene (FIGG. 56, 57) sottende anche il Paesaggio romano del 1922 (FIG. 58), aleggia sui monti Parioli inquadrati dalla via Flaminia; ma c’è anche una singolare somiglianza con una veduta stereoscopica48 di Argo dei primi del Novecento (FIG. 59). Così la Tour rouge del 1913 evoca la mole solitaria del I bozzetti dei francobolli emessi per l’occasione (FIG. 49) sono opera dello svizzero Emile Gilliéron (18501924), che insegnerà disegno a de Chirico durante il periodo ateniese al Liceo Leonino, cfr. G. de Chirico, Memorie, p. 47; K. Androulidakis, Mikrò aphièroma ston Giorgio de Chirico, op. cit. p. 53. Alla mano di Nikòlaos Ghyzis (FIG. 51) si deve il diploma di qualificazione ai giochi 48 Tra il 1896 e il 1906, grazie alle Olimpiadi di Atene, l’Europa concentra il proprio interesse sulla storia e l’arte greche. Numerosi fotografi stranieri arrivano in Grecia e le immagini stereoscopiche si rivelano un diffuso espediente per viaggiare attraverso siti archeologici e paesaggi restando in casa. Con ogni probabilità erano presenti anche dai de Chirico. Per le immagini stereoscopiche si veda: Greece 1896-1906. Images from stereoscopic photographs, Rizareios Foundation, Apeiron Photos, Athens 2004 47
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Lefkòs Pyrgos sul lungomare di Salonicco, da un’ingiallita cartolina d’epoca: bronzi equestri di Torino o tombe dell’Appia Antica si mescolano e confondono con eroi del 1821 e memorie di Tessaglia (FIGG. 60, 61, 62). Immagine stereoscopica: Atene 1900. Un bimbetto vestito alla marinara (FIG. 63), mani sui fianchi, gambe da soldatino, posa fiero, di profilo, davanti al tempio di Zeus Olimpio, perfettamente a suo agio nonostante la grandiosità dei resti archeologici che lo sovrastano: il mito per lui è una cosa di famiglia. In lontananza i “tamburi delle colonne” come “grani per terra di colossali collane rotte”49. Non c’è dubbio: in quella silhouette abbiamo riconosciuto in trasparenza il profilo greco di Giorgio de Chirico. Michela Santoro, 2008
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A. Savinio, Narrate, uomini, la vostra storia, op. cit., p. 230
Figura 7 E. de Chirico, Planche 56, 1881-1886
Figura 8 A. Savinio, Senza titolo, 1925-26
Figura 9 K. Volanakis, Cantiere a Corinto (partic.), 1867c.
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 10 K. Volanakis, Il ritorno degli Argonauti, 1880c.
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Figura 11 K. Volanakis, Navi alla proda, 1895c.
Figura 12 G. de Chirico, “Un mio disegno d’infanzia”
Figura 13 D. Filippotis, Spezzatore di legna, 1875
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 14 L. Sochos, Monumento a Kolokotronis, 1900
Figura 15 J. Bonanos, Panaghìs Vallianos, 1900
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Figura 16 J. Roïlòs, La battaglia di Farsalo, 1898
Figura 17 T. Rallis, Luxor, 1885c
Figura 18 J. Jakovidis, Creusa, 1881
Figura 19 N. Ghyzis, Lezione di danza, 1876
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 20 J. Jakovidis, Studio di giovane nudo, 1880c.
Figura 21 G. de Chirico, Il saluto degli Argonauti partenti (partic.), 1920
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Figura 22 N. Ghyzis, Centauro ed Eros, 1896-98
Figura 23 G. de Chirico, Centauro con amorino, 1958
Figura 24 D. Pikionis, Cavalli sulla spiaggia, 1930c.
Figura 25 D. Pikionis, senza titolo, 1940-50
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 26 D. Pikionis, senza titolo, 1940-50
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Figura 27 G. de Chirico, Cavalli sulla spiaggia (partic.), 1927c.
Figura 28 D. Pikionis, Trofeo, 1940-45
Figura 29 G. de Chirico, Trofeo con la testa di Giove, 1929-30
Figura 30 Sculture sull’Acropoli, 1864c.,
Figura 31 Reperti fissati a pannelli di legno, 1855c.
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
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Figura 32 Monumento a Filopappo, 1880c., Atene
Figura 33 Inserzione pubblicitaria della fabbrica Glavànis di Volos, 1896c.
Figura 34 G. de Chirico, Interno metafisico (con grande officina), 1917
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 35 G. de Chirico, Les jeux du savant, 1917
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Figura 36 Carta intestata della conceria Z. Nikoulis & C. di Volos, 1904
Figura 37 Affiche pubblicitaria di una fabbrica di tessuti del Pireo, stampa di fine Ottocento
Figura 38 Affiche pubblicitaria di una distilleria del Pireo, stampa di fine Ottocento
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 39 Monaci armati e soldati alle Meteore, 1897, immagine stereoscopica
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Figura 40 G. de Chirico, Centauro morente, 1909
Figura 41 G. de Chirico, Prometeo, 1908-1909
Figura 42 Ritratto funebre del prete cattolico di Volos
Figura 43 G. de Chirico, Il cervello del bambino, bambino 1914
Figura 44 Dimitrios Tofalos,, Panelleniche, 1904
Figura 45 D. Tsokos, Rigas Fereos Velestinlìs, Velestinlìs 1850-60
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 46 G. de Chirico, La partenza degli Argonauti, 1909
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Figura 47 Theophilos, Koraìs e Rigas Fereos soccorrono la Grecia, 1930c.
Figura 48 G. Previsan, Atena, 1884, Piazza della Stazione, Volos
Figura 49 E. Gilliéron, Francobollo emesso per le prime Olimpiadi moderne, Atene 1896
Figura 50 Gara agli anelli, Atene 1896
Figura 51 N. Ghyzis, Diploma di qualificazione ai giochi olimpici, Atene 1896
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 52 Rappresentazione di Ifigenia in Tauride allo Stadio Panatenaico, Atene fine Ottocento
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Figura 53 Arco di Adriano, Atene 1870
Figura 54 Lato sud dell’Acropoli, Atene 1902
Figura 55 Monumento a Lisicrate, Atene 1907
Figura 56 G. de Chirico. Tempio e foresta nella stanza, 1928
Figura 57 G. de Chirico, L’enigma dell’arrivo e della sera, 1912
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 58 G. de Chirico, Paesaggio romano, 1922
Figura 59 Argo, 1900c.
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Figura 60 G. de Chirico, La tour rouge, 1913
Figura 61 Lefkòs Pyrgos (Torre Bianca), Salonicco, 1917
Figura 62 L. Sochos, Monumento a Kolokotronis,Atene, 1900
Figura 63 Tempio di Zeus Olimpio, Atene 1900c.
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
LETTERA DI GIORGIO DE CHIRICO A DIMITRIS PIKIONIS. “Ma allora lei è greco!” De Chirico neoellenico, un contributo Le origini della famiglia de Chirico sono difficili da districare, volutamente rese ambigue dai due fratelli – tanto Giorgio quanto Andrea (alias Alberto Savinio) – nell’indefesso tentativo di costruire una mitologia di se stessi: datazioni falsate, l’ostentata rivendicazione di blasonate origini toscane, siciliane (da parte di padre) e liguri (da parte di madre). Tuttavia le radici sono indubbiamente levantine, la cittadinanza italiana si deve all’attività diplomatica del nonno, Giorgio Filigone de Kirico, rappresentante del Regno di Sardegna a Costantinopoli, mentre Giorgio de Chirico è registrato all’Accademia di Monaco come “studente di cittadinanza greca”50. C’è in tutto questo lavoro sui propri dati biografici, il desiderio umano dell’apolide di trovare un’appartenenza definitiva ad un Paese, ad una popolazione: « anche io e mio fratello l’abbiamo avuto ed ingenuamente allora abbiamo pensato che presentandoci alla chiamata alle armi… avremmo cambiato qualche cosa. Oggi quest’ingenuità non l’avremmo avuta, tanto più che anche oggi, benché viva e lavori da tanti anni in Italia, ogni qualvolta io dico che sono nato in Grecia, c’è sempre qualcuno che aggiunge: “Ma allora lei è greco” »51. Tuttavia sono proprio questa koinè anagrafica e i continui spostamenti tra la Grecia, la Germania, l’Italia, la Francia ad alimentare la prodigiosa capacità di de Chirico nell’attingere ai modi più disparati di espressione artistica e a ricomporli in forme sempre rinnovate, nel trascolorare dal linguaggio visivo a quello verbale senza farsi accorgere, nel padroneggiare l’idioma francese e l’italiano tanto da poter scrivere due versioni di uno stesso romanzo – ci riferiamo a Hebdòmeros/Ebdòmero52 scritto in francese nel 1929 e in italiano nel 1942 – mantenendo sia nella prima che nella seconda edizione lo stesso grado di complessità e appeal.
Cfr. W. Schmied, G. Roos, Giorgio de Chirico. München 1906-1909, Akademie der Bildende Künste, München 1994. Per la lettera di Jorgos Bouzianis (FIG. 126), compagno di studi di de Chirico sia ad Atene che a Monaco, scritta da Parigi il 3 ottobre 1930 e indirizzata al pittore greco Nikos Santorineos v. nota 28 e, più avanti, il mio saggio La partenza dell’amico 51 G. de Chirico, Memorie della mia vita (1945, 1962), Bompiani, Milano 2002 (da qui Memorie), p. 93 52 G. de Chirico, Hebdòmeros. Le peintre et son génie chez l’écrivain, Ed. du Carrefour, Paris 1929, nuova edizione Hebdòmeros, Collection “L’Age d’Or”, Flammarion, Paris 1964. G. de Chirico, Ebdòmero, Bompiani, Milano 1942, riedito a cura di J. De Sanna, Abscondita, Milano 2003 50
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Questo il de Chirico conosciuto fino ad oggi. Quello che vogliamo presentare in questa sede è il de Chirico neogreco. Chi scrive, durante le proprie ricerche di dottorato in storia dell’arte, incentrate sull’influsso della cultura neoellenica nell’opera dechirichiana, ha rintracciato l’unico documento finora noto scritto dall’artista in greco moderno (FIG. 56). È una lettera indirizzata all’amico greco Dimitris Pikionis, datata 191253 – periodo fervido per il pittore, che si trova a Parigi dove sta elaborando i primi quadri propriamente metafisici – filologicamente interessante per una ricerca storico-artistica, ma al tempo stesso è una traccia di vita quotidiana, testimonianza di un’amicizia e di un sodalizio intellettuale nati all’ombra dei portici del Metsovion Politechnion della capitale ellenica. L’architetto e pittore Dimitris Pikionis54 fa parte della variegata carovana di ricordi che costituisce le Memorie della mia vita di Giorgio de Chirico. I due giovani si conoscono nel 1904 al Politecnico di Atene, dove Giorgio studia all’Accademia di Belle Arti e Dimitris, più grande di un anno, segue i corsi di ingegneria; è un’amicizia che si rinnova a Monaco nel 1909 («Ieri sera, tornato in carrozza alla pensione dove alloggiavo, salendo le scale ho sentito una voce che mi chiamava da dietro: “Scusate, siete il signor Pikionis?”. Nel buio della sera riconobbi Giorgio de Chirico»55) e poi, soprattutto, a Parigi, grazie al fortuito incontro del 1912. Ricorda de Chirico: “Conoscevo in Grecia anche un giovane studente di nome Pikionis; studiava ingegneria ed architettura, ma fuori della scuola disegnava e dipingeva; era un’intelligenza straordinaria, una profonda intelligenza da metafisico. L’ho incontrato più tardi a Parigi” (Memorie, p. 58). E ancora, quando racconta di Isabella Far (“la persona più profondamente intelligente che io abbia incontrato nella mia vita”, Memorie, p. 151), sottolinea: “fino allora le persone più intelligenti che ricordassi erano l’architetto greco Pikionis, che conobbi in Grecia da ragazzo e che più tardi ritrovai a Parigi, e mio fratello Alberto Savinio” (Memorie, p. 151). La data è ricostruibile attraverso le memorie del destinatario, l’architetto greco Dimitris Pikionis Per un sintetico profilo biografico di Dimitris Pikionis (Pireo 1887-Atene 1968) v. nota 32 e, più estesamente, M. Santoro, Dimitris Pikionis biografia critica, in El siglo de Giorgio de Chirico. Metafìsica y arquitectura, catalogo della mostra a cura di V. Trione (IVAM, Valencia 18 dicembre 2007-17 febbraio 2008) Skira, Milano 2007, pp. 426-428 55 Continua il ricordo di Pikionis: « Grande è stata la gioia per entrambi, ed è superfluo dire che i pochi giorni che è ancora qui li passiamo insieme a discutere d’arte…Mi ha mostrato alcune incisioni su rame fatte al laboratorio dell’Accademia dove studia…Ha intenzione di partire a breve per Milano, in una casa di famiglia, dove avrà un grande studio. Mi ha parlato anche di Bouzianis… “E’ il più serio tra i pittori greci” mi ha detto…» D. Pikionis, Kìmena, a cura di A. Pikionis, Morfotiko Idrima Ethnikis Trapezis, Athina 1987, pp. 36-37. La traduzione è di chi scrive 53 54
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Il rapporto fra i due artisti va oltre il semplice aneddoto: molte sono le convergenze e le risonanze56. Entrambi sono pungolati dal fertile dolore del nostos; entrambi attendono che le visioni comuni abbandonino “la rigidità della posa”57, come scrive Savinio, e mostrino il loro aspetto inconsueto (metafisico); entrambi attingono senza discriminazione e senza gerarchie a elementi “alti” e “bassi”, al museo e all’immaginetta popolare; entrambi lavorano nel segno di Mnemosyne, tanto da poter considerare l’intero corpus della loro opera sub specie autobiografica. Ancora: l’architettura, segno fatale che agisce sulla materia enigmatica dei dipinti dechirichiani, in Pikionis è una vera e propria professione, che incide e modifica il paesaggio reale della sua Grecia, traslandovi quella Stimmung di cui amava discutere con il Nostro. E se più volte de Chirico con la sua raffinata operazione concettuale di retrodatazione dei suoi dipinti, ha costituito un problema per critici e studiosi, non meno difficoltà ha creato in Grecia Pikionis, del quale sono molto pochi i disegni, i progetti e i dipinti di cui si abbia una data certa. L’archivio, così come è stato lasciato dall’artista, è suddiviso per tematiche, per fonti d’ispirazione, le quali possono aver avuto tempi di gestazione anche di decenni. Et quid amabo nisi quod rerum metaphysica est?: in de Chirico e Pikionis la metafisica non è, per definizione, incasellabile in un tempo lineare. Nel 1958 Dimitris Pikionis scrive le sue Note autobiografiche. Il testo non solo conferma il grado di amicizia e di stima fra i due artisti, ma testimonia i momenti cruciali in cui la metafisica come genere pittorico prende corpo nell’iter dechirichiano. «Si avvicinava il tempo del ritorno (inizio del 1912), e durante l’ultimo mese del mio soggiorno a Parigi capitò un fatto che ebbe per me una grande importanza…Viaggiavo in autobus … quando una persona salì e si sedette proprio di fronte a me: era Giorgio de Chirico… Mi parlò di Böcklin, dicendo che egli era – come aveva detto anche Nietzsche – l’unico vero pittore metafisico… mi disse che in un giorno d’autunno, sotto un cielo limpido (“limpido” [in italiano nel testo] fu proprio la parola che usò)… trovò il libro di Nietzsche in cui si formula la teoria dell’Eterno ritorno. In seguito aveva trovato conferma di quella Il rapporto de Chirico-Pikionis è al centro della tesi di dottorato di chi scrive, dal titolo L’ellinikòtita di Giorgio de Chirico. L’esperienza della Grecia nell’opera del Pictor Optimus. Sul ruolo svolto dall’arte e dalla cultura neogreca nell’ opera di de Chirico si veda M. Santoro, Dalla Grecia il museo “domestico” di Giorgio de Chirico, in De Chirico e il museo, a cura di M. Ursino, Roma, Galleria Nazionale d’arte moderna 20 novembre 2008-25 gennaio 2009, Electa, Milano 2008 57 A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città (1944), Adelphi, Milano 1984, p. 37 56
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enigmatica cosmologia nelle opere di Eraclito. Mi invitò a casa sua. Ero il primo a Parigi cui egli mostrasse i prodotti della teoria metafisica58… Pochi giorni dopo ricevetti una sua lettera, in greco, che cominciava così: “Egregio amico, sento la necessità di vederti e di parlare con te, perché accade qualcosa di nuovo nella mia vita…”… Ci incontrammo spesso e passammo molte ore discutendo della luce metafisica che gettava sull’esistenza la teoria di de Chirico… Alla fine apparve anche per noi l’ora enigmatica della separazione…»59. La lettera di de Chirico citata in queste note, è stata ritrovata ad Atene, da chi scrive, in casa della figlia di Pikionis, Aghnì, la quale gestisce l’archivio cartaceo del padre60; è un invito di de Chirico all’amico per incontrarsi e dimostra una perfetta padronanza della lingua, per altro già intuibile dalla naturalezza con cui l’artista (e il fratello Andrea) era solito inserire parole e modi di dire greci nei suoi scritti. Il greco utilizzato è, come d’obbligo a quei tempi, il greco forbito, di ascendenza bizantina, riconosciuto come lingua ufficiale dallo Stato ellenico e molto diverso dal linguaggio parlato61. La Grecia di de Chirico, infatti, è la Grecia ottocentesca sdoppiata dalla “questione della lingua”, che scrive in katharevousa, “la lingua della liturgia, dei funzionari, dei puristi… togata… inamidata”62 e parla il demotico, o Maliarà, “[lingua] giovane e spregiudicata… [che] ha ospitato tutti i neologismi, tutti i barbarismi”63 , come efficacemente spiega Savinio in Narrate, uomini, la vostra storia. In una intervista rilasciata a Costanzo Costantini64 poco prima di morire, il novantenne Maestro racconta di poter parlare ancora greco.
Secondo quanto riporta Pikionis, de Chirico mostra all’amico: Enigma di un pomeriggio d’autunno (1910), L’enigma dell’oracolo (1910), Autoritratto, Et quid amabo nisi quod aenigma est? (1911), Enigma dell’ora (1911), Enigma dell’arrivo (1912), Melanconia di una bella giornata (1912-13) 59 Le Note autobiografiche sono state tradotte e pubblicate da M. Centanni, v. D. Pikionis, Autobiografikà simiòmata, 1958, in A. Ferlenga, Pikionis 1887-1968, Electa, Milano 1999, pp. 29-35 60 Disegni, progetti architettonici e dipinti di Pikionis sono conservati, invece, presso l’Archivio architettonico del museo Benaki, Atene 61 Bisognerà attendere il 1976 per la riforma linguistica, con la quale il demotico, il greco parlato, diventa lingua ufficiale e, dunque, adottato anche nella scrittura 62 A. Savinio, Lorenzo Mabili, in Narrate, uomini, la vostra storia (1942), Adelphi, Milano 2005, p. 138 63 Ibidem, p. 139 64 C. Costantini, Il pittore glorioso, SugarCo Milano 1978, p. 87 58
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Πέµ̟τη βράδυ ’Αξιότιµε φίλε Αισθάνοµαι τήν ανάγκην νά σέ ειδω καί νά οµιλίσω µαζί σου διότι συµβαίνει κάτι τό νέον εν τη ζωη µου. Εάν θέλεις αύριον τό βράδυ να γευµατίσοµαι µαζί εις µίαν Crémerie καί νά µίνουµαι µετά εός τάς δόδεκα εις ενα καφενειον ή άλλοθεν. Εγω θά σε αναµένω εις τάς ̟έντε µετά µεσεµβρίαν εις τό ̟εζοδρόµιον ̟λισίον του καταστίµατος του Bernheim ως χθές. ’Εάν δέν δύνασαι νά έλθεις γράψε µου, σέ ̟αρακαλλω, ένα pneumatìque ̟ρίν της µεσεµβρίας της αύριον. Χαιρε, αξιότιµε φίλε. G. de Chirico Rue de Chaillot 43.
Riportiamo di seguito il testo tradotto65: Giovedì sera Egregio amico, sento il bisogno di vederti e parlarti perché accade qualcosa di nuovo nella mia vita. Se hai piacere potremmo cenare insieme domani sera in una Cremerie e restare fino alle dodici in un Caffè o altrove. Io ti aspetto per le cinque del pomeriggio sul marciapiedi vicino al locale del Bernheim come ieri. Se non ti è possibile venire scrivimi, ti prego, una pneumatique prima del mezzogiorno di domani. Ave egregio amico G. de Chirico Rue de Chaillot 43.
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La traduzione è di chi scrive. Ringrazio Agni Pikionis per aver messo a disposizione il suo archivio
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Esclusi pochi, veniali errori ortografici – plausibili dato che sono trascorsi circa sette anni dalla definitiva partenza dalla Grecia – si tratta di un testo molto corretto, connotato da una certa gravitas sul finale, che rimanda ad un uso di formule liturgiche66 presente anche nei testi di Pikionis (come di molti letterati del tempo) e che ben risponde al gusto tutto dechirichiano per il motto, la frase retorica, il vezzo, per così dire, araldico. Χαιρε, αξιότιµε φίλε Ave, egregio amico Il Monomaco parla – per citare un articolo di de Chirico del 1922 – : il µονοµάχος, il “gladiatore”, si congeda. Michela Santoro, 2009
La lettera si conclude: Χαιρε, αξιότιµε φίλε (“Ave, egregio amico”), formula che richiama direttamente l’invocazione alla Madonna nel rito ortodosso: Χαιρε κεχαριτωµένη Μαρία ο Κύριος µετά σου (“Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te”)
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Il profilo greco di Giorgio de Chirico
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Figura 64 Lettera chirografa di Giorgio de Chirico a Dimitris Pikionis, fronte-retro (Archivio Pikionis, Atene)
IMMAGINI DI CITTÀ. GEOGRAFIE INTERIORI DI GIORGIO DE CHIRICO, ALBERTO SAVINIO, DIMITRIS PIKIONIS “Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.” Italo Calvino, Le città invisibili, 1972
Esploratori, viandanti, viaggiatori erranti “Io non conosco immagini più poetiche, più affascinanti, più ispiratrici delle carte geografiche” A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, 1944 “Siamo esploratori pronti per nuove partenze…E’ l’ora…Signori in vettura!” G. de Chirico, Zeusi l’esploratore, 1918
Il pittore metafisico Giorgio de Chirico, suo fratello Andrea, alias Alberto Savinio, il suo compagno di studi, l’architetto greco Dimitris Pikionis, apolidi sempre in viaggio, imbevuti di Nietzsche67, di filosofia presocratica, attenti lettori di Oswald Spengler e del suo Tramonto dell’Occidente, sono artisti dei quali è possibile azzardare una lettura attraverso un Benjamin sub specie nietzscheana: la ricerca del futuro perduto – come la chiama Szondi68 – si mescola, nella loro opera pittorica e narrativa, all’eterno ritorno dell’uguale. Aggiungiamo a questo uno spiccato senso “melancolico”, lunare ed umido, presente tanto nel Tedesco69 che in de Chirico (ma che si può rintracciare anche in Savinio e Pikionis): la Stimmung del tramonto che grava sulle loro teste. Soprattutto in essi è centrale lo sguardo primigenio del bambino, quello sguardo che permette una visione non consueta, lo choc che riscatta la quotidianità, scorgendo Nell’ambito degli studi sui legami fra l’opera pittorica di Giorgio de Chirico e la filosofia di Friedrich Nietzsche, segnaliamo gli importanti contributi di Marisa Volpi, la quale ha attentamente individuato ed analizzato i numerosi riferimenti nietzscheani presenti nei dipinti del Pictor Optimus. Si vedano in proposito: M. Volpi, Nietzsche e De Chirico, in “Scritti in onore di Giuliano Briganti”, Roma 1990 e M. Volpi, Il vate e il filosofo. De Chirico illustratore di Nietzsche, in “Ars”, n. 1, gennaio 2001 68 W. Benjamin, Städtebilder, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1963 (ed. it. W. Benjamin, Immagini di città, Einaudi, Torino [1971-1980] 2007, nuova edizione a cura di E. Ganni, prefazione di C. Magris, postfazione di P. Szondi) 69 “Prima che Mosca stessa, è Berlino che si impara a conoscere attraverso Mosca” scrive Walter Benjamin, Immagini di città, op. cit., p. 7 67
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
nell’immagine di quella, ciò che sempre si ritrae, che non si mostra ma si rivela in un istante. E’ lo stesso sguardo che Walter Benjamin ricerca viaggiando nel tempo (parlando della sua Berlino) e nello spazio (le città straniere restituiscono all’autore lo sguardo pionieristico del fanciullo)70. Così come nel tempo e nello spazio viaggiano, lungo tutta la loro vita, i nostri artisti, nel perimetro segnato principalmente da Grecia, Italia, Francia e Germania. Non a caso la figura di riferimento tanto per de Chirico quanto per il fratello e per Pikionis è Ulisse, che, come nota Vincenzo Trione, “analogalmente allo Zarathustra di Nietzsche, è ‘astro privo di atmosfera’, individuo dall’animo superiore. L’occhio rivolto all’interiorità. Lo spirito verso l’avvenire. Sempre pronto a intraprendere un ulteriore viaggio…de Chirico si rispecchia in questo destin errant71. Nell’oscillare da una sponda a un’altra, senza giungere mai a un porto sicuro”72. In proposito riportiamo un appunto tratto dagli scritti giovanili del pittore, riferito al libro V dell’Odissea: “Leggevo; un passaggio di Omero mi avvince – Ulisse nell’isola di Calipso – qualche immagine e il quadro mi si presenta davanti – in quel momento si ha la sensazione di aver finalmente trovato qualche cosa”73. Ed emblematico è il Capitano Ulisse del dramma composto da Savinio, che come il tarocco numero zero, il Matto, vaga senza fine e sa che “l’ultimo viaggio si converte in penultimo”74. Dimitris Pikionis impronta il suo lavoro nel segno del Nostos e di Mnemosyne, soprattutto quando, dopo anni lontano dalla sua Grecia per motivi di studio, tornato ad Atene sente il bisogno di imparare di nuovo a vederla. Da quello sguardo rinnovato verrà fuori non solo l’immagine della Grecia, ma quella di Pikionis stesso e del suo popolo in cerca di un’identità75. 70 Si veda la descrizione della città di Mosca: “Subito, appena si arriva, ci si trova retrocessi a uno stadio infantile. Camminare sullo spesso ghiaccio di queste strade è infatti una cosa del tutto nuova, che bisogna imparare”. W. Benjamin, Immagini di città, op. cit., p. 19 71 G. de Chirico, Salve Lutetia, in “Bulletin de l’Effort Moderne”, 33, marzo 1927 ora in G. de Chirico, Il meccanismo del pensiero. Critica, polemica, autobiografia 1911-1943, op. cit., p. 275 72 V. Trione, Atlanti metafisici. Giorgio de Chirico. Arte, architettura, critica, Skira, Milano 2005, pp. 16-17 73 G. de Chirico, Appendix A. Prima parte, in J. T. Soby, Giorgio de Chirico [1941], The Museum of Modern Art, New York 1966, p.246. Occorre ricordare, inoltre, il grande interesse di Giorgio e Andrea per le cartine geografiche, che spesso compaiono nelle loro opere 74 A. Savinio, Capitano Ulisse (1934), a cura di A. Tinterri, Adelphi, Milano 2003, p. 21 75 Ricordiamo che nella Grecia degli anni Trenta, dopo la perdita definitiva delle città greche d’Anatolia (1922) ed il tramonto della vagheggiata riconquista costantinopolitana, gli intellettuali greci e greco-asiatici si vedono impegnati a ricostruire una identità nazionale che era stata oscurata da secoli di dominio ottomano. Impegno questo che comporta il recupero di una tradizione che, comunque, non era stata mai dimenticata,
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Il dèmone dell’analogia. Le città di Giorgio de Chirico (Volos 1888–Roma 1978) “E’ delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra” I. Calvino, Le città invisibili, 1972
“Le strade e le case delle città metafisiche hanno una vertiginosa verticalità temporale. Sono in bilico tra memoria e avvenire, tra il ricordo dell’antica Grecia e del Rinascimento e la prefigurazione del futuro”76. A prima vista sono immagini chiare, ordinate, logiche, ma un senso d’inquietudine pungola anche lo spettatore meno attento. Perché in realtà niente è come sembra, ogni elemento rimanda ad un altro, ci sembra di aver individuato ora Torino, ora Ferrara, poi dobbiamo ricrederci: quel particolare lì è preso in prestito da Monaco, o forse no, da Atene. E le aberrazioni prospettiche, i conti che non tornano nell’apparente purezza dei geometrici allestimenti corrispondono a quel bisogno di sottrarsi al consueto richiesto dal viaggiatore-Benjamin. La città di de Chirico non è semplicemente una città di fantasia77, non è “altro dal mondo”, per utilizzare il vocabolario adorniano. Non è nella realtà, ma di essa è filigrana, è in nessun luogo, ma in tutti contemporaneamente: frammenti della memoria riportati alla luce e altri nuovi di zecca rubati all’esperienza presente sono combinati, sotto il nume tutelare dell’analogia78, in immagini che serbano l’eco lontana dell’origine da cui salvaguardata dal senso di appartenenza religioso ed etnico. Essa andava riordinata ed inquadrata, organizzata secondo i differenti aspetti, dal linguistico al letterario, dal politico allo storico, dal figurativo all’architettonico 76 V. Trione, Atlanti metafisici. Giorgio de Chirico. Arte, architettura, critica, op. cit., p. 173 77 Nel breve saggio Discorso sul meccanismo del pensiero, de Chirico descrive le immagini metafisiche come “né puri prodotti della fantasia, né esatti corrispondenti della realtá (…)le impressioni che hanno una grandissima importanza per noi, quando, per il prolungamento della loro durata, si trasformano in sentimento (sentimenti dal punto di vista sensitivo, naturalmente) sono delle vere e proprie immagini, dei veri e propri pensieri sentiti dal nostro corpo...I momenti in cui noi sentiamo o pensiamo per mezzo del nostro corpo sono probabilmente i soli momenti in cui il nostro cervello non pensa poiché esso è completamente occupato ad ‘ascoltare i pensieri del nostro corpo’”. G. de Chirico, Discorso sul meccanismo del pensiero (1943), in Il meccanismo del pensiero, op. cit., p. 412 78 Ricordiamo che tra le letture di de Chirico, così come di Pikionis, figura Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler, basato sulla lettura analogica della storia, e dove nel capitolo intitolato L’anima della città l’autore definisce il nomade intellettuale come colui per il quale “la nostalgia per la grande città è forse più forte di qualsiasi altra” e “patria significa ognuna di queste città”. O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes. Umrisse
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
provengono. I portici e le arcate di de Chirico sono l’analogon della porta carraia, il metodo con cui lavora (ripetizione nel corso di tutta la sua vita di tematiche, elementi pittorici, fino ad arrivare ad autofalsificarsi) una specie di eterno ritorno dell’uguale. Nei dipinti di Giorgio il pronome personale “io” è sempre presente, forse più nei paesaggi e nelle città che non nei quadri apertamente autocelebrativi (pensiamo agli autoritratti in costume del Seicento, o ai profili suoi e del fratello che accompagnano i celebri motti enigmatici). Se i primi, infatti, sono la risultante di una complessa operazione intellettuale, dalla quale scaturisce anche non volendo il mondo sommerso dell’autore, i secondi sono una mise en scène – a volte perfino volutamente polemica nei confronti dei suoi numerosi detrattori – dove l’artista, sempre vigile e perfettamente padrone della situazione, maschera se stesso, e da ultimo non si concede. Agostino, libro X, cap. XVIII: “Così avviene sempre quando cerchiamo e troviamo una cosa perduta. Se essa – un oggetto qualsivoglia visibile - è perduta di vista dagli occhi, ma non dalla memoria, la sua immagine viene conservata nel nostro interno, e la si ricerca finché ritorni alla vista: e, tornata, noi la riconosciamo da quella immagine interiore. Né diciamo di aver trovato una cosa perduta se non la riconosciamo: non possiamo riconoscerla se non ce ne ricordiamo”79. Si tratta del racconto della donna che cerca la dracma perduta. Un ruolo simile alle monete citate da Sant’Agostino è svolto, nella prima pagina delle Memorie di de Chirico, dai dischetti lucenti del copricapo orientale della madre dell’artista80. Le “immagini perdute” di Atene e della Grecia, segni importati dall’infanzia, riaffiorano dissimulate tra le Piazze d’Italia; l’autore le “ritrova” nelle fabbriche di Ferrara, le case di Roma e i portici di Firenze, e le dissemina, a volte in modo evidente altre più nascostamente, come indizi per un raffinato gioco intellettuale, una sfida da enigmista (palmette che spuntano alle estremità dei quadri, barche a vela quasi impercettibili sul fondo).
einer Morphologie der Weltgeschichte [1919], München 1922, tr. it. O. Spengler, Il tramonto dell'Occidente. Lineamenti di una morfologia della storia mondiale, tr. it. a cura di J. Evola, [Longanesi, 1957, 1978], nuova ed. a cura di R. Calabrese Conte, M. Cottone, F. Jesi, Guanda, Milano 1999. Anche nel romanzo senza trama scritto nel 1929, Ebdòmero, de Chirico procede per trascoloramenti da un’immagine all’altra, attraverso analogie e metafore, v. G. de Chirico, Ebdòmero (1929), a cura di J. De Sanna e P. Picozza, Abscondita, Milano 2003. Ringrazio Alberto Ferlenga per le lunghe discussioni su questi temi, che ne hanno stimolato l’approfondimento 79 Agostino, Le confessioni, ed. consultata a cura di C. Vitali, ed. Rizzoli, Milano 2003, p. 278 80 G. de Chirico, Memorie della mia vita [1945, 1962], Bompiani, Milano 2002, p. 23
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Basta confrontare i dipinti dechirichiani con fotografie e stampe d’epoca di Atene o con quadri neogreci di fine Ottocento per stilare un rapido elenco di esempi: gli acroteri, le cimase merlettate, i timpani dei palazzetti neoclassici (spesso di color rosso ruggine con le finestre e le porte incorniciate di bianco) che caratterizzavano, all’epoca, il paesaggio urbano della Grecia; i cortili interni delle abitazioni private, quasi la versione “quotidiana” degli Interni metafisici; le stazioni ferroviarie e soprattutto i progetti per la costruzione della ferrovia della Tessaglia, le lunghe ciminiere di mattoni, il cui profilo caratterizza lo skyline greco quanto quello dechirichiano. Mentre le zone balneari vicino al Pireo, con le cabine a padiglione, sul mare, sormontate da bandierine sono il pendant della serie degli anni Trenta I Bagni misteriosi81. E’ la Berlino che Benjamin riconosce a Mosca. E’ il monumento all’eroe della resistenza greca Kolokotronis, che sopravvive – lo abbiamo riconosciuto – nelle piazze allucinate di Torino.
Tragedia dell’infanzia. Alberto Savinio (Atene 1892-Roma 1952) “Aforisma 422. Tragedia dell’infanzia. – Accade non di rado che uomini dalle aspirazioni alte e nobili debbano superare la lotta più dura nell’infanzia…” F.Nietzsche, Umano troppo umano, 1878 “Non ‘Commedia dell’Infanzia’ – commedia (Dante), comédie humaine (Balzac) – non ‘Dramma dell’Infanzia’ che, in quanto drasis, sottintende un ‘risultato’; ma ‘Tragedia’, ossia sacrificio e annientamento. La parte del toro è fatta dai bambini.” A. Savinio, Tragedia dell’Infanzia, 1937
Il percorso letterario e pittorico di Savinio si dipana attraverso le immagini delle sue città e della sua infanzia. Poco importa se si tratti di immagini reali o frutto della fantasia: tutto è ugualmente “vero”, ché “quanto è corrotto dalla falsità, l’oblio lo cancella e lo distrugge”82. Il viaggio di Savinio è quello di chi, come il viandante di Nietzsche83 o il “Tutti quegli spettacoli di eccezionale bellezza che vidi in Grecia da fanciullo e che sono stati i più belli che io abbia visto finora nella mia vita, m’impressionarono così profondamente, mi rimasero così potentemente impressi nell’animo e nel pensiero, perché io sono un uomo eccezionale, che tutto sente e capisce cento volte più fortemente degli altri”. G. de Chirico, Memorie della mia vita, op. cit., p. 36 82 A. Savinio, Tragedia dell’Infanzia [1937, 1945], Adelphi, Milano 2001, p. 13. “Ho dubitato per molti anni che alle vicende reali si fossero mischiati frammenti di sogni che a quelle si connettevano. Ma come determinare dove cessa la realtà e a questa subentra il sogno? Ora non me lo domando più. Il dubbio si è placato. Tutti i 81
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flâneur di Benjamin, sa che ci si può fermare, di città in città, di ricordo in ricordo, senza il timore di ritardare l’arrivo, poiché “mete da raggiungere né quaggiù ci sono né altrove”84. La forma di questo viaggio è il labirinto: “la via giusta per chi arriverà, in ogni caso, sempre troppo presto alla meta”85. L’itinerario saviniano comincia con Atene. “Grande privilegio essere nati all’ombra del Partenone: questo scheletro di marmo che non butta ombra. Si riceve in eredità una generatrice di luce interna e un paio di occhi trasformatori…L’indigeno non ha diritto a questi doni…ma il singolo soltanto, l’isolato, colui che, nato in Grecia, greco non è…Dice il Destino al privilegiato: ‘prendi questa luce che trapassa i metalli più duri e serbala nella sede più riposta del tuo retrosguardo’”86. La capitale di una Grecia fin de siècle offre all’uomo e all’artista lo strumento per penetrare le cose e carpirne l’ultimo segreto. In Tragedia dell’Infanzia, Atene più che una planimetria sembra avere il corpo di una donna, e nella sua immagine, l’immagine stessa dell’autore si confonde: “dolcissima città della mia infanzia…ben fortunato mi reputo dell’essersi dischiusa laggiù la mia ragione, fra i templi portatili, gli edifici che si volgono col volgersi del sole, le statue e le colonne animate di una serena magia…essa non aveva segreti per me. Fosse o lieta oppure qualche ombra la oscurasse, ero addestrato a sentire l’umore della mia città; a seguirne le rimutazioni…a compatirne i sentimenti più gelosi, nella varia espressione dei suoi occhi innumerabili”87. Ascolto il tuo cuore, città, scritto da Savinio nel 1944, è un libro ambulante e dialogico, racconta passeggiando, ma più che procedere di avvenimento in avvenimento, scivola da un’immagine all’altra, ora per suggerimento dei sensi: “Odore: spirito della parte mortale degli uomini, delle cose, delle città. Ferrara è sorella in odore a Monaco di Baviera. Entrambe sanno di ceppo bruciato”88, l’aria delle calli di Venezia è “sorella a quella dei ricordi stimo memorabili, che a mano a mano si vanno deponendo in noi con la gravità delle cose eterne”. Ibidem 83 “Chi sia giunto anche solo relativamente alla libertà della ragione, sulla terra non può sentirsi altro che un viandante, - anche se non un viaggiatore diretto verso un’ultima meta, che non c’è…”. F. Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches. Ein Buch für freie Geister, I-II (1878-1879), in Nietzsche Werke, herausgegeben von G. Colli, M. Montinari, Walter de Gruyter & Co, Berlin 1967, ed. it. consultata F. Nietzsche, Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi, a cura di G. M. Bertin, Newton Compton, Roma 1990, p. 225 84 A. Savinio, Tragedia dell’Infanzia [1937, 1945], op. cit., p. 12 85 W. Benjamin, Parco centrale (1939), in W. Benjamin, Angelus novus. Saggi e frammenti, a cura di R. Solmi con un saggio di F. Desideri, Einaudi [1962], Torino 1995, p. 135 86 A. Savinio, Narrate, uomini, la vostra storia [1942], Adelphi, Milano 1984, p. 229 87 A. Savinio, Tragedia dell’Infanzia [1937, 1945], op. cit., p. 192-193 88 A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città [1944], Adelphi, Milano 1984, p. 17
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bazàr”89; ora per il capriccio di un accento scambiato: “Fra quei marosi di terra grigia…Lucio Apuleio si andava aggirando in cerca di lèmuri e di làmie. Spostiamo l’accento e abbiamo Lamìa. Eccoci in Grecia”90. Città analoga alla vera è la Milano di Savinio, descritta attraverso le parole di Stendhal, bellissima ma “nel genere della bellezza greca”, cioè “suadente e confidenziale”91, quali potrebbero essere le architetture dipinte da Giorgio de Chirico: enigmatiche, certo, ma non spaventose; come il tempio greco, a portata di mano92. Venezia, come Mosca per Benjamin, risveglia “infantili voluttà”; il segreto del suo fascino è di “essere non dico un grembo, ma un’ascella colossale, all’ombra della quale… ritrovarsi bambini e nudi al contatto di questa città di carne e pelle”93. E sempre con curiosità di fanciullo, Savinio percorre tutto il libro. “I segreti mi chiamano”. “Forse non si dovrebbe dire, ma come rimanere sordo al richiamo di un segreto?”94. Ed è con quest’occhio che occorre vedere le città: “si tratta insomma di vedere le cose che gli altri non vedono: quelle che vivono all’ombra delle sorelle ammirate: le cenerentole della città. Si tratta di vedere le cose che vedono anche gli altri, ma nei momenti in cui gli altri non le guardano, e quelle dimettono la rigidità della posa, si abbandonano, respirano più tranquille”95. Questo è, del resto, il meccanismo proprio dell’arte, che coglie lo spettro delle cose, e che richiede la “permanenza sulla terra”. Un artista serio “non evade, non èsula, ma sulla terra, nelle cose terrestri e a portata di mano trova mistero e lirismo, stupore e
Ibidem, p. 19 Ibidem, p.280. Si tratta dell’analogia fra Costantina, in Algeria, e la Tessaglia. “Per felici circostanze della mia vita, conosco tanto la Tessaglia quanto la terra che circonda Costantina, posso garantire la più che aria di famiglia, la perfetta affinità di queste due regioni. Terre di fantasmi entrambe, di streghe, d’incontri funesti e fascinosissimi. Qui come là il suolo ha la stessa vegetazione frusta, dura, innutritiva; la stessa aria secca, salsa, da mare scomparso…Al Rummel di là fètido, incassato, sinistro, qui risponde il Penèo: biondo, aperto, sonoro. Signori, siamo in Grecia”. Ibidem, p. 280. 91 “Frivolo e acuto, Stendhal aveva capito l’‘ellenismo’ di Milano. Leggete nel libro citato questa nota del 6 novembre 1816: ‘Il lato della chiesa di San Fedele…è bellissimo ma nel genere della bellezza greca: gaio, nobile ma nient’affatto spaventoso…’. La prensilità, la maneggevolezza sono i caratteri più profondi dell’edificio greco, quelli che lo rendono così suadente e confidenziale, mentre la Rotonda non sai da che parte prenderla…”. Ibidem, p. 288 92 “Il tempio greco è alla portata di mano come un giocattolo”. G. de Chirico, Classicismo pittorico (1920), in Il meccanismo del pensiero, op. cit., pp. 227-228 93 A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città [1944], op. cit., p. 20 94 Ibidem, pp. 172-173 95 Ibidem, p.37 89 90
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profondità”96. “Cerchiamo le Isole Fortunate”97, scrive Savinio. Le isole fortunate sono i luoghi (non-luoghi) dell’immortalità terrestre, che l’artista cerca girovagando, ora è Milano, ora la Versilia, o la crea da sé come L’isola portatile, quadro del 1930, dove figura dipinta una zolla di terra su basamento mobile, ricoperta di lussureggiante vegetazione, da paradiso terrestre. In Tragedia dell’Infanzia tutto quanto detto finora è già stato vissuto, come in laboratorio, dal Savinio bambino. Il laboratorio è la stanza dei giochi: “roccaforte della mia sicurezza”, la giusta distanza da cui osservare il mondo, spazio concluso che esalta le facoltà percettive e l’immaginazione, osservatorio privilegiato per seguire le “rimutazioni che avrebbero dovuto rivelarmi l’intimo fondo delle cose e i suoi aspetti interni e invisibili al comune”98. “Seduto io nel mezzo della camera dei giochi, quanto più vasto e ricco diventava il mondo che inquadravano le due finestre!”99. Lo sguardo infantile fa, dunque, esperienza di quello che nell’adulto sarà il valore trasfigurante dell’arte, la quale rende la finzione più vera del reale. Quando il piccolo protagonista viene “iniziato ai misteri del teatro”, seduto nella platea di un teatrino estivo di provincia, la Volos dipinta (immaginiamo in modo dozzinale e ben poco veristico) sul telone dello sfondo, ha il valore di una rivelazione. Non la riconosce subito, poi irrompe pieno di meraviglia: « “Il golfo, mamma, il golfo!”. Il golfo, il molo da un lato, l’anello dei monti lontani: erano quegli stessi, eppur stentavo a riconoscerli. Quale ambigua somiglianza è questa, che fa la cosa simile a se stessa e assieme diversa? L’arte coglie lo spettro delle cose e lo fissa per sempre. L’arte sorprende la natura nel suo stato di pazzia. Dipinto, il golfo era più bello che al naturale. Quell’ignoto scenografo era un cacciatore di spettri»100. In ultima analisi, possiamo dire che negli artifici dei fratelli de Chirico permangono le sfide cerebrali della tradizione barocca: le rintracciamo nelle concettose autocitazioni, nei loro inganni, nella vocazione alla simulazione e alla finzione. Barocca è la necessità di mettere in scena l’enigma del tempo, di cui il più alto esempio, ancora oggi, sono i reali di 96 Ibidem, p. 198. cfr. anche G. de Chirico negli scritti parigini (Manoscritti Eluard-Picasso, Parigi 1911-1915): “ Sur la terre. Il y a bien plus d’énigmes dans l’ombre d’un homme qui marche au soleil que dans toutes les religions passées, présentes et futures“ (“Sulla terra. Vi sono molti più enigmi nell’ombra di un uomo che cammina nel sole che in tutte le religioni passate, presenti e future”), in G. de Chirico, Il meccanismo del pensiero, op. cit., p. 12 97 A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città [1944], op. cit., p. 199 98 A. Savinio, Tragedia dell’Infanzia [1937, 1945], op. cit., pp. 138-139 99 Ibidem, p. 139 100 Ibidem, p. 69
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Spagna còlti allo specchio da Velásquez. Barocchi sono i costumi presi in affitto da de Chirico al Teatro dell’Opera di Roma. Per dipingere i suoi autoritratti. E come omaggio.
Geografia inferiore. Dimitris Pikionis (Pireo 1887-Atene 1968) “Dunque tutto questo esiste veramente, proprio come l’abbiamo imparato a scuola?!” S. Freud, Un disturbo della memoria sull’Acropoli, 1936
“Geografia inferiore” è l’itinerario scelto da Pikionis, che invece di muoversi in larghezza o in altezza decide di scendere in profondità, lì dove tutto è cominciato. Scrive in Topografia estetica101: “Terra, tu riporti tutto a te stessa…Sei stata tu a dar forma alla Città…Tu hai modulato i suoni della lingua”. Tenendo occhi e orecchi aperti, come scrive in altre note, per essere sempre “pronto a vedere”, Pikionis distingue nel paesaggio consueto della sua terra, le immagini che solo lo “spirito vigile” può catturare: “I ciottoli del fiume Cladeo mi sembrano teste di eroi e le statue sui frontoni mi sembrano montagne. La chioma di Zeus mi appare come dirupi, e questo monte polimorfico, dove girovagando ricompongo l’armonia dei suoi tracciati, è per me come una statua greca”102. Natura trasformata in statua, statue che sembrano organismi viventi, divinità che si confondono col paesaggio: la metafisica di Pikionis è il metalinguaggio che permette di superare la natura entrandovi in profondità103. E’ l’immortalità terrestre104. D. Pikionis, Estetikì topografìa (Topografia estetica), in “To trito mati” (“Il terzo occhio”), Athina 1935-37, ora in Kìmena (Saggi), a cura di A. Pikionis, Z. Lorenzatou, National Bank of Greece, Athina 1985 102 Così in Savinio: “io avevo inteso non di meno la significativa presenza degli eroi sulla terra, i segni del loro grave aggirarsi fra di noi”. A. Savinio, Tragedia dell’Infanzia [1937, 1945], op. cit., p. 188 103 L’itinerario ultraterreno tracciato nel mondo antico disegna tutta una mappa di “Inferi”, pertugi di intercomunicazione tra differenti piani dimensionali: una geografia, in questo senso “inferiore”, che si snoda da Delfi ai Campi Flegrei, dall’Etna ad Eleusi. Chissà che non avesse a mente questa visione ellenica del sottosuolo Heidegger, quando parla del tempio che scaturisce dalla zolla e diviene quasi il tramite tra terra e cielo, tra l’uomo e la divinità. v. M. Heidegger, Der Ursprung des Kunstwerkes (1937), in Holzwege, V. Klostermann, Frankfurt am Main 1950, tr. it. M. Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, in Sentieri erranti nella selva, a cura di V. Cicero, Bompiani, Milano 2002. Edizione consultata: M. Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, in Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1984, pp. 27-28 104 Scrive Savinio: “L’arte è sorta dal fecondo grembo della Memoria. E’ per questo che nell’arte, più che in nessun altro modo, spira come una nostalgia, non di celesti rapimenti, ma della grazia che in principio fioriva quaggiù: dell’immortalità terrestre”. A. Savinio, Primi saggi di filosofia delle arti III, in “Valori Plastici”, III, 5, settembre-ottobre 1921, ora in A. Savinio, La nascita di Venere. Scritti sull’arte, a cura di G. Montesano e V. Trione, Adelphi, Milano 2007, pp. 102-103. E ancora, riferito direttamente alla Grecia: “Nivasio Dolcemare ha 101
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Quando nel 1912 Dimitris Pikionis (a quel tempo giovane architetto per necessità e non per vocazione immediata) torna nella sua terra d’origine dopo gli studi compiuti a Monaco e a Parigi, il Partenone e la luce secca che ne taglia i volumi, lo stordiscono come se non li avesse mai vissuti prima; lui, che da quelle parti è nato e chissà quante volte vi ha girato intorno. “Devo riconsiderare tutto quanto ho imparato”, annota nelle sue memorie105; tutto va nuovamente riconquistato, ridecifrato, è il viaggio a ritroso del ritornante (tema dechirichiano) o dell’Ulisse che “fece in barca il giro della sua stanza”106. Affine a Pikionis è anche la riflessione saviniana sul tempo: “La prospettiva del desiderio falsa la direzione, mostra nel futuro ciò che invece è nel passato. Più che desiderare nuovi acquisti, desideriamo riavere ciò che abbiamo perduto. L’illusione ci illude che avanziamo verso i nostri desideri, mentre in verità questo nostro avanzare è un ritorno. La nostra aspirazione più grande, il nostro desiderio più profondo è di ritornare alla condizione che ha preceduto la nostra nascita; e poiché non ci è consentito rientrare nel grembo di nostra madre, ci contentiamo di una metafora, e rientriamo nel grembo della terra”107. Esattamente questo sarà il percorso di Pikionis, che parte da se stesso, per poi recuperare più generalmente l’intera tradizione del suo popolo, cercando l’Universale che sottende l’umanità intera. E lo farà attraversando la storia, la cultura, per approdare in seno alla Madre Terra. “Su questo suolo divino, cosparso di cocci di vasi, fra pozzi spalancati che mi parlano degli antichi abitatori di questa terra, ho formato la mia coscienza di questo paese, la mia consapevolezza della sua storia”, è la dichiarazione con cui Pikionis apre le Note autobiografiche. Nell’economia generale del testo – è significativo – gli anni giovanili e della formazione sono i più densi di informazioni. Si dilunga nel raccontare le dotte discussioni
75 tratto un salutare complesso di superiorità: primo beneficio ricevuto da quell’occasionale terra nativa, al quale fa séguito il ricordo di epici monti e di eroiche vallate, di mari chiari e profondi, di una ‘immortalità terrestre’ offerta nel suo spettacolo più fermo e confortante”. A. Savinio, Infanzia di Nivasio Dolcemare [1941], Adelphi, Milano 1998, p. 12. Su questo tema rimandiamo al precedente paragrafo Tragedia dell’infanzia. Alberto Savinio 105 I brani delle memorie sono tratti dall’autobiografia di Pikionis Autobiografikà simiòmata (1958) in Kìmena, op. cit. . v. M. Centanni, Dimitris Pikionis. Note autobiografiche, e M. Centanni, Nostos. Memoria dell’antico in Dimitris Pikionis, in A. Ferlenga, Pikionis 1887-1968, Electa, Milano 1999 106 Si tratta di un disegno di Giorgio de Chirico del 1934, sul cui bordo l’artista ha scritto questa nota 107 A. Savinio, Narrate, uomini, la vostra storia [1942], op. cit., p. 44
con de Chirico, insiste sul legame con la sua Grecia, che il fertile dolore del nostos alimenta e vivifica negli anni trascorsi a Monaco108. I progetti architettonici effettivamente realizzati da Pikionis non sono molti, ma il suo operato in realtà va giudicato, come nota anche Alberto Ferlenga109, nell’insieme di una mole incredibile di lavoro. E’ quasi un tentativo di opera d’arte totale: una quantità enorme di scritti, schizzi, disegni di fantasia, analitici studi di architetture antiche e della tradizione popolare. Egli raccoglie spunti e suggestioni come tanti ritagli che il tempo ha traghettato fino ai nostri giorni e li scompone e ricompone con un procedimento che ricorda de Chirico quando manipola l’antico come fosse un gioco di costruzioni. Solo così il passato smette di essere lingua morta e rimane, vivificato e rinnovato, come dynamis, cioè “forza” ma anche “dinamica”, “movimento” e agisce sul presente. Con precisione da chirurgo, Pikionis si serve del bisturi del disegno e dell’ironia110 per penetrare le cose e trarne il significato nascosto. La serie dei disegni “Attica” (1945-50), ad esempio, considerate in genere esercitazioni artistiche, sono, in realtà, vere e proprie fasi preliminari di un progetto: Pikionis registra le presenze fantasmatiche evocate dai luoghi che sta ritraendo e che l’intuizione ha captato – de Chirico parlerebbe in questo caso di rivelazione – e su questa base costruisce il lavoro propriamente architettonico. L’opera più significativa resta il percorso pedonale che egli traccia nella capitale, attorno all’Acropoli e lungo la collina di Filopappo. Qui Pikionis anima di un guizzo dionisiaco e nietzscheano il profilo apollineo dell’Atene che ha dirimpetto. Il progetto, realizzato tra il 1951 ed il 1957, è vagheggiato sin dagli anni Trenta, se già nel suo articolo Topografia estetica, pubblicato nel 1935 sulla rivista greca “To trito màti”(Il terzo occhio), scrive: “Questo sentiero solitario è incommensurabilmente superiore a qualsiasi viale di una metropoli: perché in ogni sua piega, in ogni curva, in ogni impercettibile cambiamento di prospettiva che si presenta, ci insegna la divina consistenza del particolare, vincolato dall’armonia del Tutto”. Non si tratta solo di Land art: troppi sono i riferimenti filosofici, estetici ed etici che stanno alla base. Il sentiero che si snoda lungo la collina delle Muse, attraverso gli alberi di ulivo e che a un certo punto svolta e ci “[A Monaco] leggevo Eschilo, e i miei occhi si riempivano di lacrime quando ricordavo, come l’eroina di Goethe, la lontana terra degli Elleni. Mi recavo sovente a visitare il Museo paleontologico per studiare l’architettura degli scheletri, che mi apparivano come i resti di un’architettura primordiale; mi sembrava che in essi fossero nascoste le leggi che governano ogni cosa” (D. Pikionis, da Note autobiografiche, 1958) 109 A. Ferlenga, Pikionis 1887-1968, op. cit. 110 Per Savinio l’ironia è “ricerca e maniera sottile d’insinuarsi nel segreto delle cose”. A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città [1944], op. cit., pp. 291-293 108
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fa vedere il monumento che bisogna raggiungere, per poi reimmergersi nella fitta vegetazione e così proseguire, sembra la messa in opera delle teorie sul disvelamento della Verità, del controverso filosofo tedesco Martin Heidegger. Analogamente, infatti, il sentiero heideggeriano attraversa la cupa Selva Nera, svolta e sbocca in una radura, l’unico punto rischiarato dalla luce (è l’attimo del non nascondimento della Verità). Ma è un istante, subito il sentiero è inghiottito di nuovo dalla fitta boscaglia. Si ricomincia il cammino. Come in un Atlante della Memoria, nell’incidere il suo tracciato Pikionis si serve del frammento (basoli spezzati, sconnessi, materiale di recupero); dello schizzo (interrotto, altalenante, tremulo, accennato); dell’accostamento apparentemente casuale ma tutto progettato al tavolo da disegno. E’ come se, mescolato il suo mazzo di tarocchi, avesse apparecchiato alla rinfusa le carte, tentando poi di decifrare il fortuito abbinamento di quell’arcano abbecedario di lastre marmoree. Quella di Pikionis più che geometria è geodesia. I suoi selciati, trama frantumata di scaglie dell’Imetto e di Pentelico, somigliano ad incrinature di specchi, reticoli di fratture craniche, affondi di lama sul dorso rinsecchito della Grecia: strappi, fenditure, spiragli da cui riesce a filtrare un barbaglio intermittente di verità, celata sin lì negli strati sottocutanei della Gran Madre. “A volte percepivo che nelle fondamenta che penetravano in profondità nella terra, nei volumi delle mura e delle volte, la mia anima era una pietra tra le tante, murata nella massa anonima delle altre pietre”111. Se dovessimo scegliere un aggettivo solo per definirlo, il sentiero di Pikionis è eloquente: “consultabile” come la mappa astrale di un cielo rovesciato a terra come i cocci del vaso rotto di Rodi112 raccontati nel romanzo Ebdòmero di de Chirico, o, con velleità di chiromanti, come le linee di un quadro di Paul Klee. Proprio un’opera di Klee, artista tanto 111 Sentimento condiviso dallo scrittore greco Nikos Kazantzakis, l’autore di Zorba il greco: “L’anima sa molto bene, anche se finge spesso di dimenticarlo, che deve render conto alle terre dei padri. Non dico patria, dico terre dei padri; le terre dei padri sono qualcosa di più profondo, più schivo e taciturno, fatto di antichissime ossa triturate”. N. Kazantzakis, Anaforà ston Gkreko, Athina 1961, tr. it. El Greco e lo sguardo cretese, a cura di G. Bonavia, Biblioteca del Vascello, Roma 1994, p. 32 112 “La disposizione dei cocci del vaso sul pavimento aveva largamente contribuito ad affascinare in tal modo i sette membri della famiglia. Quei cocci, infatti formavano sul pavimento un trapezio, come una costellazione ben nota e l’idea del cielo rovesciato incantava sino all’immobilità, tutte quelle brave persone le quali dopo tutto e tranne per il fatto che invece di guardare in alto guardavano in basso, erano, durante quella contemplazione, i degni colleghi di quei primi astronomi, caldei o babilonesi, che vegliavano, durante le belle notti d’estate, coricati sulle terrazze, con lo sguardo rivolto alle stelle”. G. de Chirico, Ebdòmero, op. cit., p. 16
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amato da Pikionis, è associabile al sentiero dell’architetto greco: Angelus novus, del 1921, acquistato da Walter Benjamin, la cui descrizione da parte del pensatore tedesco, è rimasta celebre: “…Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso…lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”113. Anche per Pikionis il tragitto verso il futuro è stato fatto con lo sguardo rivolto al passato, a quei frammenti davanti ai quali si è fermato, nel paziente tentativo di “ricomporre l’infranto”. Michela Santoro, 2010
113
W. Benjamin, Tesi di filosofia della storia (1940), in W. Benjamin, Angelus novus. Saggi e frammenti, op. cit., p. 80
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Alberto Savinio
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Figura 65 G. de Chirico, Ifigenia. Siparietto, 1951 Il bozzetto per un fondale scenico con le architetture/simbolo delle città più rappresentative del percorso biografico del Maestro – l’Acropoli, un villino neoclassico romano, il Duomo, grattacieli d’oltreoceano – che sfumano in dissolvenza una nell’altra, si presta come perfetta sintesi iconografica per una copertina di Memorie dechirichiane
IL MITO NIETZSCHEANO DELL’ARIANNA: UN ENGRAMMA NEL REPERTORIO ICONOGRAFICO NEOGRECO E DECHIRICHIANO Sii saggia, Arianna!... Hai piccole orecchie, hai le mie orecchie: metti là dentro una saggia parola! – Non ci si deve prima odiare, se ci si vuole amare?... Io sono il tuo Labirinto… F. Nietzsche, Lamento di Arianna in Ditirambi di Dioniso
Ricorrente nell’iconografia dechirichiana, a partire dalla Melanconia del 1912 (FIG. 66), riproposto in una infinità di varianti sino agli anni Trenta (per non parlare delle tarde esercitazioni di stile del pittore ormai ottuagenario, FIG. 67), è il tema dell’Arianna e del suo mito. Per Giorgio de Chirico esso rimanda, inequivocabilmente, alle suggestioni nietzscheane ed alla rilettura, in chiave figurativa, del filosofo tedesco tanto amato dal pittore di Volos. Sono ben note le derivazioni di questa figura: i repertoires di arte ellenistica, come quello famosissimo di Salomon Reinach; le copie romane ai Musei Vaticani o a Firenze (FIG. 68); la replica del Van Cleve collocata nei giardini di Versailles (FIG. 69). E in sottofondo l’enigma dall’Ecce homo (come se il Nostro avesse voluto raccoglierne l’inconfessabile confidenza): “Chi all’infuori di me sa che cos’è Arianna!”. Ma qui si vuole ampliare la visione d’insieme, estendendo la ricostruzione iconografica del mito di Arianna a quello che era l’orizzonte culturale e figurativo dell’ambiente greco di fine Ottocento e di primo Novecento in cui ebbe luogo la formazione del giovane de Chirico, il quale affrontò i primi studi accademici proprio ad Atene, in una capitale di sovrani mitteleuropei, permeata di influenze germaniche. E’ proprio al Politecnico di Atene che de Chirico stringe amicizia con Dimitris Pikionis114, il futuro e stimatissimo architetto, con il quale si incontrerà di nuovo a Monaco Fino ad oggi il testo italiano più completo sull’opera di Pikionis è A. Ferlenga, Pikionis 1887-1968, Electa, Milano 1999. In occasione del premio Scarpa per l’architettura del paesaggio, è stato pubblicato anche Tra terra e cielo. I sentieri di Pikionis di fronte all’Acropoli di Atene, catalogo della mostra, Palazzo Bomben, Treviso 2003. Su Pikionis architetto v. A. Pikionis, Dimitris Pikionis 1887-1968: Routes and Encounters, catalogo della mostra, Athina 1987; K. Frampton (a cura di), Dimitris Pikionis, Architect 1887-1968, A Sentimental Topography, 114
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di Baviera nel 1909 e poi a Parigi nel 1912. Monica Centanni ha tradotto alcuni degli scritti del prolifico artista greco, in particolare il brano in cui viene rievocato l’incontro con de Chirico nella capitale francese e la rivelazione della pittura Metafisica115. Accanto all’architettura, Pikionis coltivò una spiccata e qualificatissima passione per il disegno e la pittura. Nelle cartelle delle sue opere grafiche116, conservate presso l’archivio del museo Benaki di Atene, sono presenti una gran quantità di disegni a penna e ad acquerello in alcuni dei quali, con rapidi e nervosi segni, si riconosce l’inconfondibile glifo dell’Arianna sdraiata (FIG. 70), così prossimo alla cifra stilistica dechirichiana (FIG. 71), da far trasparire in filigrana un imprinting ed un’origine comuni. Questa iconografia è, infatti, particolarmente sentita in Grecia, come possiamo vedere anche nell’Arianna di un altro artista della cosiddetta Generazione del Trenta, Jerasimos Steris117, un olio su tela databile tra il 1926 ed il 1930 (FIG. 72). Ma è fondamentale aggiungere a questo elenco un nuovo elemento: l’engramma dell’Arianna era stato riformulato in Grecia nel 1876 da Yannoulis Chalepàs nel monumento funebre noto come la Kimomèni (la dormiente), nel Cimitero monumentale di Atene (FIG. 73). Chalepàs è uno dei maggiori scultori neoellenici, e la Kimomèni diventa da subito uno dei più alti esempi dell’arte plastica della Grecia moderna, spesso proposta come studio agli allievi del Politecnico118. Accanto alle riproduzioni del Reinach, alle copie romane di Firenze o Roma o quella del Van Cleve, dunque, il giovane de Chirico ebbe modo, durante
Architectural Association, London 1989; L’opera di Dimitris Pikionis, “Controspazio. Architettura urbanistica”, a cura di A. Bernitsas, anno XXII, n. 5, settembre-ottobre 1991, Gangemi, Roma 1991. Per i progetti architettonici v. A. Pikionis, Dimitris Pikionis. Architechtonikò èrgo 1949-1964 (L’opera architettonica. 1949-1964), VIII tomi, Basta-Plessa, Athina 1994 115 Note autobiografiche in A. Ferlenga, Pikionis 1887-1968, Electa, Milano 1999, pp. 32-33 116 La serie Attica, in particolare, di cui il bozzetto di Pikionis qui esaminato fa parte, riunisce soprattutto lavori degli anni Trenta, spesso su sottili fogli di carta velina, anche di ridotte dimensioni 117 Nato a Cefalonia nel 1898, morto a New York nel 1987, Jerasimos Stamatelatos, assume lo pseudonimo Steris e, successivamente, emigrato in America, quello di Guelfo d’Este 118 Cfr. M. Kondelieri, Yannoùlis Chalepàs, Erinni, Athina [1977] 2006. Ricordiamo, inoltre, che a partire dagli anni Trenta, Chalepàs produrrà molte versioni della Kimomèni, sempre più stilizzate e sempre più simili alle Arianne di de Chirico e Pikionis
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il periodo ateniese, di raccogliere anche questo suggerimento iconografico di matrice neoellenica; così come il suo amico Pikionis. Quest’ultimo, a distanza di tanti anni, quando ormai è un professore affermato ad Atene, ancora ricorda il forte impatto dell’arte di Yannoulis – le cui tristi vicende biografiche119 contribuirono ad accrescerne la mitologia – e sente il bisogno di accompagnare i suoi studenti a vedere il bozzetto in gesso della Dormiente che si trovava alla “Casa Italia”, edificio situato di fronte al Politecnico e che, negli anni Cinquanta, ospitava provvisoriamente le collezioni della Pinacoteca Nazionale, chiusa dal ’40. Il ricordo di quel momento da parte di Pavlos Kalantzopoulos bene esprime cosa significasse per Pikionis e per gli intellettuali greci Chalepàs – cui è dedicato ampio spazio anche nel numero triplo della rivista “To trito mati” (gennaio-marzo 1936) – una figura che, dunque, non poteva essere stata ignorata da de Chirico. Riportiamo di seguito la traduzione di alcuni stralci dal brano di Kalantzopoulos relativo alla visita con Pikionis: «Pikionis, dunque, chiese a Marinos Kalligàs, allora direttore, di aprire anche solo per una volta la porta della Casa Italia, perché voleva rivedere assieme ai suoi studenti, le poche opere di Yannoulis Chalepàs…Prima della guerra in qualche numero della rivista “To trito mati” erano state pubblicate alcune fotografie con opere di Chalepàs e tra queste la Dormiente. Questa fotografia era l’idea fissa di Pikionis a quel tempo, e fu il pretesto per far aprire le porte della Casa Italia anche per noi studenti… La Dormiente fu scoperta…”Qui qualcosa non va bene” disse Pikionis tenendosi il mento come infastidito… “Certo una scultura può essere vista da diverse angolazioni, ma questo non significa che tra i molti punti di vista possibili non vi siano alcuni più adatti di altri per comprendere il senso dell’opera”. Girava intorno, guardava, si abbassava, riguardava… “Penso che la Dormiente sia l’apice dell’arte di Chalepàs. È sceso nell’Ade ed è riemerso e la sua opera è ispirata. Ditemi però, il modo in cui viene visto da noi questo bozzetto in gesso è quello giusto? Intendo l’altezza. Pensate sia quella adatta? La scultura pone sempre problemi di ambiente che non si possono trascurare… Penso che tutti noi dovremmo mantenere viva la memoria di Chalepàs, altrimenti quali aspettative lasceremo a chi verrà dopo di noi?...
Nato nell’isola di Tinos nel 1851, morto ad Atene nel 1938, Chalepàs ha un’esistenza segnata da lunghi periodi di disturbi psichici e ricoveri ospedalieri che lo costringono all’inattività
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Nell’indagare il sogno, Chalepàs ha trovato l’equilibrio della forma nello spazio”…»120. Pikionis, che gira e rigira intorno al gesso della Kimomèni alla ricerca dell’angolazione giusta, ricorda de Chirico alle prese con i piedistalli delle sue statue, lì a studiarne le posizioni, come in una sequenza filmica, con l’occhio indagatore, pronto a cogliere l’inquadratura da fissare sulla tela. Michela Santoro, 2010
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P. Kalantzopoulos, Mia katedàfisi. 23 istorìes me pròto pròsopo ton D. Pikionis (Una demolizione. 23 storie con protagonista D. Pikionis), Plethron, Athina 1988, pp. 27-40
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Figura 66 G. de Chirico, Melanconia, 1912
Figura 67 G. de Chirico, Piazza d’Italia con statua, 1970
Figura 68 Arianna dormiente, Museo Archeologico, Firenze
Figura 69 C.Van Cleve, Ariane endormie, 1684-88, Parigi
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Figura 70 D. Pikionis, Arianna, 1930/1940)
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Figura 71: G. de Chirico, Arianna dormiente, da Bacchus et Ariane, 1931
Figura 72 J. Steris, Arianna, 1926/30
Figura 73 Y. Chalepàs, Kimomèni, 1876, Atene
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I BAGNI MISTERIOSI Giorgio de Chirico negli ultimi anni di vita, instancabile ultraottuagenario di invidiabile vitalità, si ripropone in esercitazioni di stile, ripercorrendo tutte le stagioni di una prolungata e fertile carriera artistica, tornando sui vezzi pittorici, le cifre estetiche, i temi e gli stilemi della sua sterminata produzione, ricchissima di topoi figurativi, sempre nuovi e diversificati di decennio in decennio. Si susseguono così, dopo gli anni densi e intensi della Metafisica, il periodo dei trofei, quello dei gladiatori, dei mobili nella valle, dei templi nella stanza, dei cavalli sulla riva del mare, delle lune e dei soli neri, ciascuno con una sua connotata impronta d’autore che se da un lato li rende inconfondibili, dall’altro li espone al rischio della serialità e della falsificazione (vero e proprio dilemma per tanti storici e critici d’arte). Ma anche questa provocazione fa parte del gioco di specchi dechirichiano del mascheramento e della dissimulazione che riconduce alla filosofia nietzscheana, con l’inconfessato piacere di prendersi beffa degli expertises (tra autentici de Chirico disconosciuti dal pittore stesso e dubbie attribuzioni di autenticità). Per il Nostro, lettore e cultore di Nietzsche già in lingua originale dai primi anni a Monaco, la riproposizione atemporale delle vecchie tematiche è quasi un programma estetico; poiché in una concezione non lineare del tempo la datazione di un’idea, di un concetto e di un’immagine non ha importanza, allorché passato e futuro convergono in una perenne “attualità”, in un eterno ritorno dell’uguale. “I quadri non sono come i francobolli, o come i vini, che acquistano valore per l’annata. I quadri valgono per ciò che rappresentano pittoricamente e spiritualmente”121. La serie dei Bagni Misteriosi (FIGG. 74, 75) è inaugurata negli anni Trenta del secolo scorso (quando esegue 10 litografie per Mithologie di Cocteau e si cimenta in numerose versioni su tela, dai vividi colori, esposte alla Quadriennale del 1935) ma negli anni Settanta il Maestro di Volos se ne riaccosta in occasione della XV Triennale di Milano con la realizzazione di una fontana nei giardini di viale Alemagna (FIG. 79). Il Pictor Classicus sperimenta la messa in scena tridimensionale nello spazio di tutto l’apparato iconografico che caratterizza i Bagni Misteriosi: i flutti del mare disegnati a zig-zag come listelli di un pavimento a parquet od il geroglifico egizio usato per rappresentare l’acqua122; la cabina
Così il Meastro in una conversazione con C. Costantini, Il pittore glorioso, SugarCo, Milano 1978, p. 36 Si confronti anche un testo di Giulio Caïmi, molto noto nella Grecia degli anni Trenta, sul teatro delle ombre del Karaghiozi, con illustrazioni di Vrieslander, dove le indicazioni grafiche per la rappresentazione delle onde
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palafitta; la grande palla colorata; busti di bagnanti che emergono dalle onde; un borghese vestito di tutto punto che si affaccia sulla sponda; bandierine sventolanti; un fantastico animale marino con le sembianze di un salvagente di gomma. Il frammento, l’accostamento apparentemente accidentale e senza correlazione di oggetti disparati fra loro, sono come un rebus (cioè, etimologicamente, “un rompicapo per mezzo delle cose”) con cui l’artista lancia la sua sfida e formula enigmi, come una sfinge al cospetto di Edipo, una Turandot al cospetto di Calaf. E ancora in Nietzsche: quando Zarathustra tenta di ricomporre “in uno ciò che è frammento ed enigma ed orrida casualità”123, richiama proprio la struttura del rebus, un’enigma per immagini, come suggerisce il termine tedesco che lo designa, Bilderrätsel (Rätsel, enigma; Bilder, immagini). Giorgio Colli124 rimarca come nella filosofia presocratica l’insegnamento sapienziale, da Omero a Pitagora, ad Eraclito, si esprima per enigmi ed il verbo greco “ainissomai” (da cui il lemma deriva) significa, appunto, “parlare per motti oscuri”. Il quadro qui presentato è del 1973. Se il segno pittorico è un po’ esitante e rende riconoscibili le repliche della vecchiaia, lo smalto e la lucidità del “meccanismo del pensiero” dechirichiano sono senza età. Nelle cabine dei Bagni misteriosi abbiamo riconosciuto125 reminiscenze degli stabilimenti balneari sulla spiaggia di Ànavros presso Volos (FIG. 76), tessere sparse di mai rimosse suggestioni, come i lidi balnerari della giovinezza, a Faliro e al Pireo (FIGG. 77, 78); ma anche certe analogie con i quadri di loggia126 della tradizione framassonica (FIG. 80). Rocchi di colonne sullo sfondo e ruderi di templi sulla riva, sono malcelate allusioni alla nostalgia per quei luoghi natali che fanno scrivere al de Chirico autobiografico: “Non posso dipingere la Grecia così bella quanto l’immagino”127. Michela Santoro, 2010
hanno non poche assonanze con il mare dei Bagni misteriosi dechirichiani: G. Caïmi, Karaghiozi ou la Comédie Grecque dans l’ame du Théatre d’Ombres, “Hellinikes Tèchnes”, Athènes, 1935 123 F. Nietzsche, Così parlo Zarathustra, Adelphi, Milano 2010, p. 162 124 G. Colli, La nascita della filosofia, Adelphi, Milano 1975 125 M. Santoro, Ellinikotita di Giorgio de Chirico, l’esperienza della Grecia nell’opera del Pictor Optimus, tesi di dottorato di ricerca in strumenti e metodi per la Storia dell’arte, Università degli Studi Sapienza, Roma 2009 126 Si vedano a titolo esemplificativo alcuni quadri di loggia inglesi, in secondo grado di compagno, risalenti ai primi dell’Ottocento in: A. Roob, Alchemy and mysticism, Taschen, Colonia 2001, pp. 294-295 127 G. de Chirico, Memorie della mia vita, Bompiani, Milano 2002, p. 37
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Figura 74 G. de Chirico, Bagni misteriosi, 1973
Figura 75 G. de Chirico, I bagni misteriosi, da Mythologie, 1934
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Figura 76 Bagni della spiaggia di Ànavros, presso Volos, fotografia del 1900c.
Figura 77 Spiaggia del Faliro, cartolina di primo Novecento
Figura 78 Bagni del Pireo, su progetto di E. Ziller
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Figura 79 G. de Chirico, L’artista davanti alla fontana dei Bagni misteriosi, 1973, Parco Sempione, Milano
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Figura 80 G. de Chirico, Fontana dei Bagni misteriosi, 1973, Parco Sempione, Milano
Figura 81 F. Curtis, Work Chart for the 2nd Level, 1801
IL GALLO Stridente vessillo rigido di zinco Nero sulle tegole della casa Paterna, che non rivedrò più mai. Polo magnetico nell’aere nivale. Sul marciapiede bianco di polvere e di freddo, Etrange jouet della mia già lontana Infanzia Così Giorgio de Chirico in alcuni versi128 del 1917 dedicati a Carlo Carrà. E Paolo Baldacci ha riconosciuto l’allusione ai segnavento metallici129 della vagheggiata casa di Volos che vide gli anni giovanili del Pictor Optimus in Grecia ove, per tradizione, le banderuole issate sul colmo dei tetti avevano la sagoma del gallo. L’immagine del gallo presentata nella serie di litografie a illustrazione di Hebdòmeros (FIG. 82) offre, dunque, più livelli di lettura. C’è la traccia mnestica, di quella matrice nostalgica così ricorrente e dissimulata per simboli nell’iconografia dechirichiana, che porta alla prima età felice, quella della beata infanzia e del rassicurante mondo familiare, in Tessaglia, con il padre, lo stimato ingegner Evaristo, e la madre Gemma Cervetto. De Chirico, tutta la sua produzione figurativa – ma anche il suo libro di Memorie – ne è testimonianza, ha traslitterato per immagini la cospicua mole di ricordi, di miti, di scorci e personaggi, sedimentati come in una stratificazione geomorfica. C’è poi l’interpretazione esoterica, quella del mondo alchemico congeniale a de Chirico, affine alla sua indole da enigmista presocratico che gli fa dire con Eraclito l’oscuro: “Il signore di cui è l’oracolo in Delfi non dice e non nasconde: significa130”. Con il suo sostrato culturale ellenico, imbevuto – per formazione e per studi – di germanesimo e di letture nietzscheane, certamente egli non può ignorare che il gallo è l’uccello di Mercurio, la divinità dell’Opus Magnum ermetica. Nella ritualistica massonica (e in de Chirico non pochi sono i riferimenti all’icastica dell’Ars Regia) l’emblema del gallo campeggia nel gabinetto di riflessione (FIG. 83) ed il suo canto simboleggia l’approssimarsi del giorno, l’arrivo della luce, il passaggio dalla nigredo all’albedo, vale a dire il compimento dell’opera
Dalla poesia Viaggio in G. de Chirico, Il meccanismo del pensiero, Einaudi, Torino, p. 46 P. Baldacci, De Chirico 1988-1919 La Metafisica, Leonardo Arte, Milano 1997, n. 22 p. 381 130 Eraclito, I frammenti e le testimonianze, Mondadori, Milano 2004, p. 53 128 129
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al nero. Ma anche nella tradizione cristiana il Battista, Giovanni il Prodromo, è assimilato al gallo perché annunziatore del Cristo; ed il gallo ritorna con il tradimento di Pietro, con il suo triplice canto (superfluo sottolineare la mistica del tre) che precede la resurrezione, la rinascita. Nel disegno dechirichiano il gallo è colto nell’atto di spiegare il suo verso ed espande tutta la sua vitalità in un fonosimbolo onomatopeico che irrompe graficamente in una successione di lettere ripetute nell’aria, come in un fumetto d’autore. Chissà se vocali e consonanti, sparpagliate in libertà con la casualità di un gioco di tarots della Sibilla (così come la scritta AIDEL131 in Il sogno di Tobia del 1917), ricomposte in qualche modo – Ordo ab chao – non decriptino un celato responso da cabala. Nel testo del romanzo, de Chirico non aiuta a dipanare l’arcano. Racconta sì che le lettere riassemblate “formarono questa strana iscrizione: Scio detarnagol bara letztafra”132, ma suona ancora più enigmatico. E’ soltanto una traccia, un’allusione per adepti. L’oscuro verso in realtà rimanda al Cantico del gallo silvestre delle Operette morali leopardiane (1824). E solo lì apprenderemo che si tratta di uno “scritto in lettera ebraica, e in lingua tra caldea, targumica, rabbinica, cabalistica e talmudica, un cantico intitolato, Scir detarnegòl bara letzafra, cioè Cantico mattutino del gallo silvestre”133. La prima edizione di Hebdòmeros, le peintre et son génie chez l'écrivain, scritto in lingua francese da de Chirico, risale al 1929, pubblicato a Parigi per i tipi di Carrefour. La versione italiana, uscita nel 1942, non è una pedissequa traduzione ma una vera e propria rielaborazione del testo originale, a cura dell’autore stesso. Il disegno di seguito riprodotto è uno dei 24 prototipi eseguiti dal Nostro per le litografie a corredo dell’Ebdòmero, pubblicate dalle Edizioni d’Arte Carlo Bestetti di Roma nel 1972. Michela Santoro, 2010
Una allusione alla sorellina morta Adelaide? All’Ade ed alla invisibilità (dal greco Αίδηλος)? Queste le note interpretazioni di Fagiolo dell’Arco (cfr. M. Fagiolo dell’Arco, L'opera completa di de Chirico 1908-1924, collana Classici dell'Arte, Rizzoli, Milano 1984, p. 100) . Ma c’è anche chi, come il semiologo Paolo Fabbri, rimanda al termine ebraico Aidel che significa “ben fatto”(cfr. P. Fabbri, Comprendere e spiegare la metafisica di de Chirico e Savinio, conferenza tenuta a Castiglioncello, Castello Pasquini, 10 agosto 2006 132 G. de Chirico, Ebdòmero, Abscondita, Milano 2003, pp. 42-43 133 G. Leopardi, Operette morali, Feltrinelli, Milano, 2010, p. 186 131
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Figura 82 G. de Chirico, Il gallo
Figura 83 L. Rabuf, I simboli del gabinetto di riflessione, 1948
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PASSEGGIATE ATENIESI DI PRIMO NOVECENTO DELLO STUDENTE D’ACCADEMIA GIORGIO DE CHIRICO Ἀγεωµέτρητος µηδείς εισίτω. “Non entri chi non è geometra” “Raccontano che il filosofo Aristippo, gettato da un naufragio sulla spiaggia dell’isola di Rodi, vide disegnate sulla sabbia alcune figure geometriche. Allora, rivolto ai compagni, esclamò: ‘Possiamo ben sperare! Vedo infatti tracce umane’.” Vitruvio, De Architectura, libro VI
L’intonazione è quella lapidaria delle fulminanti epigrafi dechirichiane: Ἀγεωµέτρητος µηδείς εισίτω ed il monito, ispirato a Pitagora, campeggiava all’ingresso dell’Accademia platonica di Atene134. “Non entri chi non è geometra” esorta il maestro di filosofia, palesando l’attitudine tutta ellenica al ragionar sottile, all’astrazione matematica di chi vuole “misurare il mondo”. Difficile per un greco sottrarsi alla seduzione del numero e della geometria se è vero, come avverte Plutarco135, che Αεί ό Θεός γεωµετρεί, il dio controlla le dimensioni del cosmo, rende ordinato il caos. Persino il Creatore dei bizantini è raffigurato con un compasso intento ad “architettare” la Terra. Figlio di un severo e compassato ingegnere, de Chirico familiarizza sin da fanciullo, nello studio del padre Evaristo136, con pantografi e regoli, squadre e archipendoli che disseminerà, da adulto, in un’infinità di sue tele. Per inclinazione connaturata, gli architetti d’Attica, nati sotto il segno della sapienziale Atena, hanno fatto del modulo, della proporzione, della sezione aurea (tutta basata sul rigore di immutabili e sacri rapporti armonici), la cifra estetica di un intero mondo, quel mondo classico che è divenuto un topos, una regione dell’anima che di volta in volta, di
L’iscrizione è tramandata da storici e grammatici tardo antichi e greco-medioevali. Tra i primi a citarla è Giovanni Filopono di Alessandria (VI sec. d.c.) nel commentario al De Anima di Aristotele; ne parla, tra gli altri, anche il dotto bizantino Giovanni Tzetze (XII secolo) nel suo Chiliades. Cfr. K. Gaiser, Testimonia Platonica. Quellentexte zur Schule und mündlichen Lehre Platons [Stuttgart 1963] - Testimonia Platonica, le antiche testimonianze sulle dottrine non scritte di Platone, Vita e Pensiero, Milano 1998, p. 8 135 Plutarco riporta un concetto attribuito a Platone. Cfr. Plutarco, Convivialium Disputationum Libri IX, VIII, 2, Didot, Paris, 1841 136 “Mio padre era un uomo dell’Ottocento; era ingegnere ed era anche un gentiluomo d’altri tempi…” G. de Chirico, Memorie della mia vita [Astrolabio, Roma 1945-II edizione ampliata: Rizzoli, Milano 1962]. Edizione consultata: Bompiani, Milano [1988] 2002, p. 20 134
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stagione in stagione, nel susseguirsi dei secoli con puntuale ricorrenza, la cultura europea ha cercato di ritagliarsi come spazio spirituale metastorico. E’ la luminosità stessa dell’Ellade, tagliente e cruda, a investire radente le sue architetture, a denudarle da qualsiasi morbidezza chiaroscurale, svelandone spigolosità, angoli, demarcazioni nette di luce ed ombra, assemblaggi di geometrie e linee rette, senza alcuna concessione alla gravida, sensuale sinuosità della curvilinearità (che sarà, invece, sigla formale della romanità o del barocco). E’ un “mistero diurno” – come ha intuito il poeta neo-greco Elitis137 e, prima ancora, Nietzsche138 – che disvela il lato metafisico della realtà. L’architetto Pikionis, lo scrittore Kazantzakis139, il pittore Ghikas, lo stesso de Chirico140 che partecipa in prima persona del medesimo humus da cui provengono gli artisti citati, hanno colto e sottolineato l’aspetto acuto, penetrante, asciutto della solarità greca: το φώς è
Odisseo Elitis (premio Nobel per la letteratura nel 1979) titola la sua più nota raccolta di versi Ìlios o pròtos Sole il primo, a significare la regalità, la fondazione dinastica, la primordialità divina del sole, elemento così fisicamente onnipresente nella natura greca. Elitis parla di "metafisica della luce" ed osserva come, a differenza dei nord-europei che "…trovano sempre il mistero nell'oscurità, nella notte", i greci "lo trovano nella luce, che per noi è un assoluto." Cfr. O. Elitis, Ìlios o pròtos, parallaghès pàno se mìan achtìda [Athina 1943] - Sole il Primo, Guanda, Milano 1979, introduzione di N. Crocetti, p. 10 138 Si veda l’emblematico aforisma nietzscheano dal Götzen-Dämmerung [Leipzig 1889] ben noto anche al nostro De Chirico, imbevuto di cultura germanica, che suona: "Mezzogiorno; momento dell'ombra più corta; fine del lunghissimo errore ” e prelude a Zararthustra. Cfr. F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, Adelphi, Milano [1983] 2007, p. 47 139 “Ciò che rende lieve, smaterializza, le montagne, i villaggi, la terra di Grecia, è la luce; in Italia la luce è molle, femminile; la luce delle isole Ionie è dolcissima, piena di passione orientale; in Egitto è densa e voluttuosa; la luce in Grecia è tutta spirituale. E’ in questa luce che l’uomo è riuscito a veder chiaro, a mettere ordine nel caos e a farne un universo. E un universo, questo vuol dire un’armonia”. N. Kazantzakis, Anaphorà stòn Grèko [Athìna 1961] - Lettre au Greco, tr. par M. Saunier, Pocket, Paris [1983] 2000, p. 67. La traduzione italiana dal francese è ripresa da Giovanna dalla Chiesa. Cfr. G. dalla Chiesa, Verso i luoghi della formazione. Atene: scenario dell’anima – Monaco: strumento della Bildung in De Chirico nel centenario della nascita, catalogo della mostra a Venezia, Museo Correr, 1 ottobre 1988 – 15 gennaio 1989, a cura di M. Calvesi, Mondadori , Milano 1988, p. 52 140 “Sur la terre. Il y a bien plus d’énigmes dans l’ombre d’un homme qui marche au soleil que dans toutes les religions passées, présentes et futures”. Così il Nostro nei manoscritti Éluard (Parigi 1911-1915). Cfr. G. de Chirico, Il meccanismo del pensiero, a cura di M. Fagiolo dell’Arco, Einaudi, Torino 1985, p. 12. In occasione del trentennale dalla morte del Maestro sono stati ripubblicati tutti i testi di Giorgio de Chirico. v. G. de Chirico, Scritti/1. Romanzi e Scritti critici e teorici (1911-1945), a cura di A. Cortellessa, Bompiani, Milano 2008. In corso di pubblicazione il secondo volume 137
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parola neutra, mentale, né maschile né femminile, tutta di testa, senza genere, cerebrale come un rebis platonico. Con tali presupposti, con siffatto bagaglio ereditario, magari intimiditi dalla ingombrante presenza delle tangibili testimonianze architettoniche sul campo, termini di paragone di un passato che può inibire, gli architetti del XIX secolo ad Atene – chiamati a dare assetto moderno alla nuova capitale del neonato Regno di Grecia – hanno dovuto sfidare se stessi in questo impari confronto con Iktìnos e Mnesiklès. Atene nell’Ottocento I moti insurrezionali che portano all’indipendenza greca dagli Ottomani, hanno il sostegno economico, politico e militare delle grandi potenze europee: Germania, Francia, Inghilterra e Russia. E sono le stesse a scegliere sia la capitale sia il sovrano da insediarvi141. I Greci, orgogliosamente ortodossi e patriottici, modellati da oltre millecinquecento anni di cultura bizantina, amavano definirsi romèi, quasi a voler prendere le distanze dagli elleni precristiani del mondo antico. Rivendicavano infatti un legame di sangue con il tramontato Impero romano d’Oriente e con Bisanzio e per indicare la loro appartenenza etnica usavano il termine romiosìni (che vale per “grecità”). Per questo, la capitale nelle aspirazioni dei rivoluzionari greci era semmai Costantinopoli, vagheggiato approdo finale della Megàli Idea, il grande sogno di riscatto e riconquista che andava dai Balcani meridionali al Bosforo, dalla dirimpettaia sponda anatolica sino a Cipro. Giovanni Capodistria, eroe della Epanàstasis (il Risorgimento greco), fissa la prima sede del governo (1827-1831) ad Egina, nell’isola del golfo Saronico. Nel 1832 la capitale è trasferita provvisoriamente a Nauplia nel Peloponneso dove, l’anno successivo, sbarca il diciottenne Ottone di Baviera, primo re di Grecia. Infine nel 1834, liberata anche Atene, è la città dell’Attica ad essere proclamata ufficialmente capitale ed è qui che si sposta la corte del Wittelsbach. Gli europei erano sensibili all’aura che avvolgeva di mito quel borgo cui era ridotta Atene in quel tempo; onusta sì di storia e gloria ma ormai spopolata, un choriò142 con la 141 Per una cronologia degli eventi storici del XIX secolo si veda: R. Clogg, A concise history of Modern Greece [Cambridge 1992] - Storia della Grecia moderna. Dalla caduta dell’impero bizantino a oggi, Bompiani, Milano 1998 142 Agli inizi del XIX secolo, come riferisce il compagno di viaggio di lord Byron in Grecia John Cam Hobhouse, Atene non è che un choriò, un paese (“Affendi, Affendi to chorio…” indica la guida greca ai due illustri viaggiatori inglesi, alla vista dell’Acropoli in lontananza). Cfr. J.C. Hobhouse, A Journey through Albania and
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leggendaria Acropoli trasformata dai Turchi in fortilizio. Ma per i filelleni del vecchio continente continuava ad esercitare l’appeal di città-simbolo. Per i Greci, al contrario, la Polis per antonomasia, la Capitale, la città che faceva dir loro “Is tin Polin” – per significare che si andava al centro dell’Impero – continuava ad essere, per tradizione, Costantinopoli143. Nella prima metà del XIX secolo, quando si parla del Regno di Grecia di Ottone I (18321862) e della regina Amalia144, si allude in realtà ad un piccolo primo nucleo geografico che comprendeva Peloponneso, Attica, Etolia, Eubea, isole Cicladi. Costretto a deporre la corona, gli succede il danese Guglielmo-Giorgio Sonderburg-Glücksburg, più gradito agli Inglesi, che assume il nome di Giorgio I (1863-1913). Nella seconda metà dell’Ottocento il regno si espande: del 1863 è l’acquisizione delle isole Ionie, cedute dalla Corona britannica; del 1881 l’annessione della Tessaglia145. La popolazione di Atene che già nel 1861 conta oltre 41 mila abitanti, alla fine del secolo è più che triplicata (nel 1899 gli ateniesi sono 130 mila). Una simile espansione urbana esigeva una pianificazione che da subito fu nei programmi dei giovani sovrani. Si pensi che nel 1837 sono settanta le lampade ad olio che illuminano la città. Nello stesso anno si costruiscono le prime condutture idriche. Sovrintenderà, tra il 1857 ed il 1862, lavori pubblici e infrastrutture l’ingegnere francese P. E. Daniel146. Al 1857 risale la prima illuminazione a gas; al 1869 l’inaugurazione della linea other provinces of Turkey in Europe and Asia to Costantinople during the years 1809 and 1810 [London 1813], Carey and son, Philadelphia 1817, vol. I p. 240. Al censimento del 1824 Atene conta 9.040 abitanti, 1605 case, 35 parrocchie (basti pensare che, nello stesso periodo, Salonicco ha 60 mila abitanti, Tripoli e Patrasso 15 mila). Durante gli anni della Rivoluzione, anni Trenta dell’Ottocento, il numero si riduce ulteriormente: Ottone di Baviera entra in una città sfiancata da 11 mesi di assedi, bombardamenti, incendi, evacuazioni. Cfr. L. Kallivretàkis, I Athìna toù 19ou eòna: apò eparchiakì tìs Othomanikìs aftokratorìas, protèvousa toù Ellenikoù vasilìou [Athens in 19th century: a provincial town of the Othoman Empire becomes the capital of the Greek Kingdom] in Archeologhìa tìs pòlis tòn Athinòn, National Hellenic Research Foundation, Athens 1996, pp. 173-196 143 Proprio da questo modo di dire (pronunciato dai greci “Istimbòlin”) si modulerà il nome turco di Istanbul. Va però detto che le potenze europee non avevano la reale intenzione di spingere oltre i limiti la sfida alla Sublime Porta o di sferrare un così esiziale attacco al cuore del Sultano. Da qui il freno alle mire irredentistiche dei Greci 144 Anch’essa tedesca, sposata nel 1837 145 A Volos, in una Tessaglia “greca” da appena sette anni, nasce Giorgio de Chirico nel 1888. Le ulteriori espansioni (Macedonia, Creta, Tracia, Dodecaneso) sono del secolo successivo tra il 1913 ed il 1947, e portano la Grecia all’estensione che conosciamo oggi 146 K. Chatzis, La modernisation technologique de la Grèce, de l’indépendence aux anées de l’entre-deux-guerres: faits et problèmes d’interprétation in “Balkan Studies” n. 3/2004, Institut po balkanistika, Sofia 2004, pp. 3-23
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
ferroviaria Atene-Pireo. Dal 1882 circolano i primi tram a cavallo. Il canale di Corinto è inaugurato nel 1893; a beneficiarne è il Pireo, porto della Capitale, che diventa così primo scalo di Grecia. Nel 1896 Atene ospita le prime Olimpiadi dell’era moderna. E’ un evento che catapulta la capitale greca – sessant’anni prima, poco più che un villaggio – nel circuito delle grandi metropoli europee. Per l’occasione viene costruito lo Stadio in marmo pentelico, fedele copia dell’antico stadio panatenaico descritto da Pausania. L’avvenimento sportivomondano anima ed entusiasma la quieta, sonnacchiosa vita cittadina, la cui eco è rievocata vivida nelle pagine di entrambi i fratelli de Chirico. Così Alberto Savinio147: “Nel 1896 Atene si preparava a celebrare la ripresa dei giochi olimpici. Nivasio Dolcemare ebbe la ventura di assistere a questo memorabile avvenimento, e benché gli anni della sua età si contassero sulle dita di una mano sola, quei fatti brillano ancora nella sua memoria come un paesaggio di fosforo sotto un cielo di velluto nero”. Di rimando (FIG. 108) de Chirico nelle sue Memorie148: “Sempre durante il nostro soggiorno in casa Stambulopulos ebbero luogo i primi giochi olimpici. Atene era in festa; archi coperti di fiammelle a gas scavalcavano le vie del centro, illuminato a giorno”. Giorgio all’epoca aveva otto anni, il fratello Andrea (alias Savinio) solo cinque. L’architettura neoclassica di Atene Ottone I, appena insediato, affida il progetto urbanistico della città all’architetto bavarese Leo von Klenze149 che ne traccia lo schema ad impianto triangolare, con via Ermoù come base, le vie Pireòs e Stadìou ai lati e piazza Omonìas al vertice (FIG. 84). Il
99 A. Savinio, Infanzia di Nivasio Dolcemare, [1941], Adelphi, Milano 1998, p. 140 G. de Chirico, Memorie della mia vita, op. cit. p. 45 149 Architetto, pittore ed incisore tedesco (Bockenem 1784-Monaco1864) già alla corte di Ludwig I di Baviera, per il quale aveva progettato a Monaco la Glyptoteca e l’Alte Pinakothek, il Walhalla a Ratisbona (1831-42), Leo von Klenze fu chiamato ad Atene da Ottone di Wittelsbach (che di Ludwig era figlio) inizialmente per catalogare reperti archeologici e restaurare l’Acropoli. Di ritorno a Monaco lavorò per dare un assetto neoclassico alla città tedesca, con l’obiettivo di farne l’Atene di Germania. Suoi sono, sempre a Monaco, il Tempio della Fama (1843-53) e i propilei di Königsplatz (1846-63). A Sanpietroburgo attende agli ampliamenti neoclassici dell’Hermitage (1839-49) 147 148
neoclassicismo, dopo avere attraversato epoche e culture, reinterpretato nelle brume settentrionali, fa ritorno nella sua terra natale, al clima che gli è congeniale150. Il piano di von Klenze è del 1834 e viene preferito ad un precedente studio degli architetti Kleanthis e Schaubert, giudicato troppo invasivo e, soprattutto, costoso per le casse reali. Ne conserva l’impostazione con sviluppo a nord dell’Acropoli e dei vecchi quartieri popolari di Plaka e Monastiraki ma ne ridimensiona la grandiosità da città ideale. Dopo il 1860 si costruiscono i quartieri ad est di piazza Syntagma e sopra Omonia, lungo odòs Patissìon (FIG. 85). Nel frattempo si scava sull’Acropoli – bonificata da superfetazioni e sovrastrutture militari turche – e i suoi illustri monumenti vengono restaurati151. A condurre gli sterri sono archeologi europei: il tedesco Ludwig Ross che nel 1836 coordina l’anastilosi del tempietto della Nike, eseguita da Eduard Schaubert e Christian Hansen; o il francese Beulé che nel 1853 individua la porta romana di accesso alla rocca. Nel 1878 lo Schliemann demolisce la Torre Franca innestata sui Propilei. Allo stesso Leo von Klenze viene commissionata la chiesa cattolica di San Dionigi Areopagita, il cui disegno progettuale è del 1844. La sua costruzione (iniziata nel 1854, terminata nel 1863) è seguita dall’architetto greco Kaftantzoglou al quale si deve il portico di facciata, in stile neo-rinascimentale (FIG. 86). De Chirico nelle sue Memorie ne rievoca gli interni affrescati dal “bolognese Bellincioni”152, conosciuto personalmente negli anni della sua infanzia ateniese. Ed è la chiesa ove hanno luogo i funerali del padre Evaristo153. Per un panorama dettagliato dell’architettura neoclassica nella Grecia dell’Ottocento e per una approfondita bibliografia si veda: Anthologhia Ellinikìs Architektonikìs, i katikìs stin Ellada apò to 15° ston 20° eona (Antologia di architettura greca, l’abitazione in Grecia dal 15° al 20° secolo), a cura di Iordanis Dimarkopoulos, Ipourghìo Politismoù kie Epistimòn, Athina 1981; A. Papagheorghìou-Venetàs, Athina. Ena òrama tou klassikismoù (Atene. Uno sguardo sul classicismo), Kapon, Athina 2001; Athens 1839-1900 a photographic record, Benaki Museum, Athens 2004; M. Biris, M. Kardamitsi-Adami, Neoclassical Architecture in Greece, Getty Publications, Los Angeles 2004. Per le notizie biografiche dei singoli architetti si è fatto riferimento al Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica (diretto da P. Portoghesi), Istituto Editoriale Romano, Roma 1969 151 Fortunatamente – per mancanza di fondi o per un sussulto di pudore – è accantonato l’ambizioso (e avventato) progetto di Schinkel del 1834 per un palazzo reale da costruirsi addirittura sull’Acropoli, con il Partenone a fare da quinta scenografica. I disegni di Schinkel, un’esercitazione stilistica che egli stesso definì “nulla più che un bel sogno”, sono conservati a Monaco di Baviera, presso la Staatliche Graphische Sammlung. Cfr. J. Imscher, Schinkel Vorschlag der Akropolisrestauration, in Karl Friedrich Schinkel und die Antike, Stendal 1985, pp. 40-45 152 “…era venuto in Grecia per dipingere tutta la cupola sovrastante l’abside della chiesa cattolica dedicata a san Dionigi l’Areopagita; oltre alla cupola il Bellincioni affrescò pure le pareti laterali. La pittura principale 150
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L’impronta moderna di Atene, la sua immagine di città occidentale è quella cui la conformano architetti tedeschi o danesi, parallelamente all’alternarsi di case regnanti del nord Europa, quest’ultime fastidiosamente subite come un corpo estraneo dal popolo greco154. Friedrich von Gärtner155, anch’egli alla corte bavarese di Ludwig I, è chiamato in Grecia per costruire il palazzo reale. A lui si deve la realizzazione dell’imponente volume architettonico in piazza Syntagma, completato nel 1842, oggi sede del Parlamento, originariamente residenza del primo sovrano del nuovo stato greco (FIG. 87). L’edificio si staglia maestoso nel paesaggio urbano e de Chirico lo ripropone in certe sue composizioni degli anni Dieci e Venti, evocanti – come in una maquette – la città della sua adolescenza, rievocata anche negli anni della vecchiaia (FIGG. 111/115). Fintanto che la reggia non è terminata, Ottone risiede, dal 1837 al 1843, presso l’elegante palazzetto Vourou, ampliato nel 1859 dall’architetto Jerasimos Metaxàs (e che oggi ospita il Museo della Città di Atene). Stamatios Kleanthis156 (finalmente un nome greco) aveva studiato in Germania insieme ad Eduard Schaubert157, entrambi allievi di Schinkel; con il collega tedesco aveva firmato il primo ambizioso piano urbanistico di Atene, accantonato a favore di quello del von Klenze. Ad Atene, Kleanthis lega il proprio nome alla villa sull’Ilisso, in stile neorinascimentale toscano, per quel pittoresco personaggio che fu la cosiddetta duchessa di Piacenza158. Completata nel 1849, la villa (FIG. 88) è stata successivamente trasformata nell’odierno museo di arte cristiano-bizantina.
rappresentava l’assunzione in cielo di san Dionigi. Ricordo benissimo questa pittura; certo non era né un Tintoretto né un Tiepolo…” G. de Chirico, Memorie della mia vita, op. cit., p. 49. In realtà “il bolognese Bellincioni” citato dal Nostro è il riminese Guglielmo Bilancioni (1836-1907), cfr. V. Tosi, In memoria del Prof. Cav. Guglielmo Bilancioni nel settimo anniversario della sua morte, Bondanini, Forlì, 1914 153 G. de Chirico, Memorie della mia vita, op. cit. p. 63 154 Ottone I è costretto ad abdicare in seguito a disordini intestini. Giorgio I sarà assassinato 155 Nato a Coblenza nel 1791, morto a Monaco nel 1847, costruisce nella capitale della Baviera, dove è famosissimo, la Feldherrnhalle, alcuni edifici della città universitaria, la Biblioteca 156 Nato in Tessaglia nel 1802, muore ad Atene nel 1862. Progetta nella capitale greca, oltre a diverse abitazioni private, anche l’ambasciata d’Inghilterra e la chiesa anglicana 157 Nato a Bratislava nel 1804, Schaubert muore nel 1860 158 Sophie de Marbois coniugata Lebrun (da cui acquisisce il titolo), trasferitasi in Grecia, appoggia anche finanziariamente il Capodistria nella lotta per l’indipendenza. Stabilisce la sua residenza ad Atene e qui per lei
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Con Giorgio I, regnante di casato danese sposato alla granduchessa Olga di Russia, sulla scena artistica ateniese è la volta degli scandinavi fratelli Hansen, Christian (18031883) e Theophilus (1813-1891). Il maggiore, Christian Hansen, dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti della natia Copenaghen, si stabilisce ad Atene nel 1833, chiamato da Ottone I per i restauri dell’Acropoli. Resta in Grecia 17 anni. Nel 1835 costruisce l’edificio che oggi è il Centro Culturale del Comune (FIG. 89), in passato un centro ospedaliero, ma la notorietà gli arriva quando gli viene commissionato il progetto per l’Università di Atene (FIG. 90) che, iniziato nel 1839, fu completato – a causa delle difficoltà finanziarie – solo nel 1864. In pregiato marmo pentelico, è un vero e proprio manifesto dell’architettura neoclassica in Grecia. Il complesso costituisce il quadro centrale della cosiddetta “trilogia ateniese” degli Hansen, con prospetto su odòs Panepistimìou. Completano il trittico, ai due lati, l’Accademia di Scienze (1859-1887) e la Biblioteca Nazionale (1887-1902), entrambe opere del fratello minore Theophilus (FIGG. 91, 92). Questi, che aveva raggiunto Christian nella capitale greca sull’onda delle crescenti affermazioni professionali, lascia la sua firma anche allo Zappion, l’elegante e sontuosa residenza dei cugini Zappas, costruita tra il 1874 ed il 1888, a fianco del Giardino Nazionale (FIGG. 93, 94). Anche il prestigioso hotel Grand Bretagne, oggi rimaneggiato, in origine è un edificio privato, costruito proprio su un progetto di Christian Hansen del 1842. Sino al 1874 ospita la Scuola Archeologica Francese, per poi diventare albergo di lusso per i facoltosi viaggiatori del Grand Tour. Insolita la miscela di elementi bizantini e classici nella Clinica Oculistica di Atene, progettata da Christian Hansen nel 1854 ma integrata da modifiche di Kaftanzoglou159 e ampliata, nel 1860, con la sopraelevazione di un piano. E’ proprio l’architetto greco ad inserire gli elementi della tradizione greco-medioevale. Di Lýsandros Kaftantzoglou è il Politecnico di Atene (1861-1876), grandioso complesso neoclassico articolato in tre edifici, ciascuno per i diversi rami d’insegnamento (FIGG. 95, 96). Proprio qui de Chirico frequenta, negli anni ateniesi della suo giovinezza, la scuola di Belle Arti, stringendo amicizia con Pikionis e Bouzianis, come si evince dalle sue Memorie e dagli scritti dei due Stamathis Kleanthis costruisce dapprima la Torre della Duchessa (1841), poi la residenza sull’Ilisso che diventa presto un ambito salotto del tempo 159 L’architetto greco Lýsandros Kaftantzoglou (Salonicco 1811- Atene 1885), dopo gli studi a Roma ed in Francia, si stabilisce ad Atene nel 1838 dove collabora con i più affermati architetti stranieri. Sue sono le chiese di S. Irene e di S. Costantino
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
artisti greci. Sempre di Kaftantzoglou è il rinomato Arsakion (1846-1855) prestigiosa scuola femminile della capitale greca, in cui convergono elementi eclettici (FIG. 97). A François-Louis-Florimond Boulanger160, architetto francese, si deve la primitiva sede del Parlamento, oggi sede del Museo Storico ed Etnologico (FIG. 98), imponente edifico neoclassico, costruito fra il 1858 ed il 1871, con interventi dell’architetto greco Panaghìs Kalkos. Il vecchio Parlamento prospetta sulla centrale piazza Kolokotronis, la cui statua equestre del 1904 campeggia al centro. L’eroe a cavallo – che de Chirico non poté non vedere prima della partenza per l’Italia – ha la posa che ritroverà nelle statue equestri di Torino, quando spuntano inquietanti dietro le quinte urbane di molti suoi estraniati paesaggi metafisici. Il menzionato Kalkos lavora anche al Museo Nazionale (FIG. 99), iniziato nel 1866 su progetto di Ludwig Lange161, terminato nel 1889 con le sistemazioni di Ernst Ziller. Ernst Ziller162 è l’altro nome di spicco nella seconda metà del secolo e ad Atene è cospicuo il numero di edifici, pubblici o privati, costruiti su progetto dell’architetto tedesco. Dal lungo elenco vanno citati almeno i suoi interventi più noti, tra questi l’edificio che oggi ospita il Ministero degli Esteri, costruito da Ziller per la famiglia Syngròs (1873); la raffinata Iliou Melathron (FIG. 100), residenza dell’archeologo Schliemann il quale volle chiamare la sua casa con il nome della reggia di Troia, movimentata da un doppio loggiato d’ordine ionico (1879); palazzo Melàs (1887). Dal 1890 al 1897 procedono i lavori per il palazzo dei principi ereditari, usato attualmente come residenza presidenziale. Anche il Teatro Regio (oggi Nazionale) è su progetto di Ziller; costruito tra il 1891 ed il 1901, è in stile neorinascimentale palladiano (FIG. 101) ed ha come modello quello di Vienna. A chiudere questa passeggiata nell’Atene fin-de-siecle, l’elegante e manierato palazzetto Stathatou, del 1895 (FIG. 102). Ormai Ziller è architetto conteso dalle facoltose famiglie della borghesia della Capitale (FIG. 103).
Nato a Douai nel 1807, Grand Prix de Rome nel 1836, Boulanger muore a Parigi nel 1875 Architetto tedesco, Lange nasce a Darmstadt nel 1808, muore a Monaco nel 1868 162 Nato in Sassonia a Oberlößnitz (Radebeul) nel 1837, Ernst Moritz Theodor Ziller muore ad Atene nel 1923, nel Paese che gli aveva dato gloria e successo e di cui ottenne anche la cittadinanza. E’ noto anche come Ernestos Ziller (vezzosamente alla greca). Oltre al nutrito curriculum ateniese, a lui si devono: il teatro Apollon di Patrasso; il Municipio di Ermoupolis nell’isola di Siros e quello di Pyrgos nell’Elide; chiese ed edifici ad Aigion, in Acaia 160 161
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Sin qui l’Atene monumentale, quella delle grandi commissioni e dei prestigiosi architetti neoclassici venuti dall’Europa. Di riverbero, anche l’architettura di seconda fila, quella delle nuove case dei ceti emergenti – professionisti, funzionari dello Stato, commercianti – segue la traccia indicata dai modelli colti. E’ un idioma architettonico che, un po’ come avviene per la lingua, punta al lustro ed alla garanzia rassicurante della katharèvousa, del parlar forbito e della bella maniera. Il risultato è quello di un dignitoso decoro che conferisce alla città un’immagine, quale sopravvive nelle foto d’epoca, di signorile eleganza. Purtroppo moltissime case, interi isolati sono stati demoliti nel secondo dopoguerra del secolo scorso, per fare posto ad una sregolata ed insipiente espansione urbana di Atene, dando alla città quell’aspetto disordinato e caotico che essa produce al primo impatto. Esempio emblematico il delizioso edificio ispirato al monumento di Lisicrate – d’angolo tra le vie Pireòs e Menàndrou – avventatamente abbattuto per far posto ad un anonimo fabbricato condominiale, del quale non resta che una nostalgica testimonianza fotografica (FIG. 104) e un bozzetto di Engonopoulos (FIG. 171). Fortunatamente negli ultimi decenni è subentrata una maggiore sensibilità, una presa di coscienza che ha indotto urbanisti, architetti ed amministratori ad una più avveduta politica di recupero e restauro degli scorci – fortunatamente sopravvissuti – più pittoreschi e suggestivi dell’Atene che fu (FIGG. 105, 106, 107). Con questo sintetico excursus si è cercato di compendiare il panorama architettonico della capitale greca quale doveva presentarsi agli occhi di un ragazzo, incuriosito cacciatore di immagini e attento rielaboratore di emozioni, come poteva essere il nostro de Chirico non ancora diciottenne nel suo gironzolare tra Syntagma163 e Patissìon, lungo i
Nel peregrinare della famiglia de Chirico - da Volos ad Atene, di nuovo a Volos, per tornare infine nella Capitale – si alternano molti domicili: “Si cambiava spesso casa in Grecia; ogni due anni circa avveniva lo sgombero; è una fatalità della mia vita quella di cambiare sempre abitazione” (G. de Chirico Memorie della mia vita, op. cit. p. 46-47). L’indirizzo del primo soggiorno ateniese (1890-96) dei de Chirico è casa Vouros “nella parte alta della città” (Memorie p. 25), seguito da casa Gunarakis “una palazzina di stile neoclassico con un bel giardino” (Memorie, p. 28). Si trovano a casa Stambulopulos nel 1896, durante le prime Olimpiadi dell’era moderna (Memorie, p. 45). Nel secondo periodo ateniese (1898-1906) i de Chirico tornano nei pressi di Syntagma: “Si andò ad abitare una casa d’aspetto molto signorile che dal nome del proprietario si chiamava casa Stambulopulos. Questa casa stava di fronte al parco reale, nel quartiere più elegante della città” (Memorie, pp. 40-41). Dopo casa Stambulopulos “si passò ad una casa di cui non ricordo il nome…lontana dal centro…sita ai limiti della città verso settentrione” (Memorie, pp. 46-47). Kostas Androulidakis (Mikrò 163
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lindi ed ampi boulevards della città moderna (FIGG. 109) o nel dedalo dei vecchi quartieri. Ovunque e comunque con il profilo dell’Acropoli o del Licabetto e la sagoma del Partenone immancabilmente, inesorabilmente sull’orizzonte (FIG. 110), stigma di un passato che – al variare della traiettoria del sole – allunga la sua ombra sul presente, sotto un cielo che trascolora dal verde al viola, come in certi fondali da mise en scène metafisica. Michela Santoro, 2011
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Aphièroma, p. 65) ha identificato l’ultimo domicilio nella Capitale dei de Chirico in via Tzavella 11, nel quartiere di Exarchia
Figura 84 L. von Klenze, piano della città di Atene, 1834
Figura 85 Atene nel 1861
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 87 F. von Gärtner, Palazzo Reale, Atene Figura 86 L. von Klenze, L. Kaftantzoglou, S. Dionigi Areopagita, Atene
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Figura 88 S. Kleanthis, Villa sull’Ilisso della Duchessa di Piacenza, Atene
Figura 89 C. Hansen, Centro culturale del Comune di Atene
Figura 91 T. Hansen, Accademia, Atene
Figura 90 C. Hansen, Università, Atene
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 92 T. Hansen, Biblioteca, Atene
Figura 93 T. Hansen, Zappion: peristilio, Atene
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Figura 94 T. Hansen, Zappion, Atene
Figura 95 L. Kaftantzouglou, Complesso del Politecnico, Atene
Figura 96 L. Kaftantzoglou, Politecnico, corpo laterale, Atene
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 97 L. Kaftantzoglou, Arsakion, Atene
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Figura 98 F.-L.-F. Boulanger, Vecchio Parlamento, Atene
Figura 99 L. Lange, Museo Archeologico, Atene
Figura 100 E. Ziller, Casa Schliemann, Atene
Figura 101 E. Ziller, Teatro Regio, Atene
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 102 E. Ziller, Casa Stathatou, Atene
Figura 103 E. Ziller, Casa Vasilaki, disegno di progetto
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Figura 104 Vecchio edificio, demolito, tra le vie Pireòs e Menàndrou (cfr. FIG. 173), Atene
Figura 105 Scorcio di piazza Lisikràtous a Plaka, nel cuore della vecchia Atene
Figura 106 Palazzetto neoclassico a piazza Heroon, Atene
Figura 107 Casa Coletti, abitazione neoclassica a Plaka, Atene
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 108 Piazza Syntagma illuminata a festa in una cartolina di fine Ottocento, Atene
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Figura 109 Il Licabetto da Vasilissa Sophia, 1890c., Atene
Figura 110 Atene dall’alto, ai nostri giorni
Figura 111 G. de Chirico, Composizione metafisica, 1914
Figura 112 G. de Chirico, La casa nella casa, 1924
Figura 113 G. de Chirico, La ville dans la chambre, 1927
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 114 G. de Chirico, Mercurio messaggero degli dei, 1961
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Figura 115 G. de Chirico, Veduta di Atene, 1970
LA PARTENZA DELL’AMICO Il sodalizio de Chirico, Pikionis, Bouzianis La figura di Giorgio de Chirico è qui investigata attraverso il rapporto con gli artisti greci della sua generazione. Dal confronto emergono indubbie affinità, a testimoniare quanto l’esperienza della Grecia, la Grecia esperita sul campo da de Chirico, sia un sostrato attivo della sua produzione artistica. Il primo nucleo di indagine è incentrato sul rapporto diretto con l’architetto Dimitris Pikionis (1887-1968) e il pittore Jorgos Bouzianis (1885-1959). La ricostruzione del legame fra questi tre personaggi è stato possibile incrociando le memorie autobiografiche di ciascuno, ed ha fatto emergere nuovi documenti – rinvenuti presso l’Archivio Pikionis ad Atene e presso il collezionista Kostas Androulidakis – che abbiamo ritenuto fondamentale tradurre e riproporre in questa sede. In particolare è stata rintracciata una lettera in neogreco di Giorgio de Chirico, indirizzata a Pikionis, la quale rappresenta ad oggi l’unica testimonianza di una scrittura in greco moderno del Nostro. Inoltre, abbiamo avuto modo di visionare una lettera inedita di Jorgos Bouzianis, nelle mani dell’ing. Androulidakis, dalla quale si evince che Giorgio de Chirico era considerato dai suoi colleghi neoellenici, un greco a tutti gli effetti. Questa nuova documentazione è andata ad unirsi con tutta una bibliografia sul periodo e sugli artisti trattati, ancora totalmente sconosciuta in Italia – testi di critica e fonti d’archivio – della quale sono state tradotte e riportate alcune parti più significative. Dimitris Pikionis e Jorgos Bouzianis sono grani di un koboloi, il “rosario greco” di ricordi di Giorgio de Chirico. I tre giovani si conoscono nel 1904 all’Ethnikò Metsòvion Politechnìo, il Politecnico di Atene: Giorgio e Jorgos frequentano l’Accademia di Belle Arti e Dimitris segue i corsi di ingegneria164. De Chirico (FIG. 116) non nomina mai direttamente Bouzianis, ma i cataloghi riportano un suo Autoritratto del 1909 (FIG. 117) a matita litografica, dedicato all’amico greco, con il quale a Monaco, dai primi di ottobre del 1908, divide un atelier165 al quinto piano in Nel 1995 il Centro d’Arte “Giorgio de Chirico” del Comune di Volos, ha organizzato la mostra Mères tou Giorgio de Chirico sto Politechnìo tis Athìnas-Skolìo ton Kalòn Teknòn (Giorni di Giorgio de Chirico al Politecnico di Atene-Scuola di Belle Arti), 1 ottobre-26 novembre 1995, con una esposizione di opere dei compagni di studio e dei professori di de Chirico, seguendo il percorso tracciato nelle Memorie della mia vita 165 V. G. Roos, Giorgio de Chirico und der lange Schatten von Arnold Böcklin, in Arnold Böcklin, Giorgio de Chirico, Max Ernst. Eine Reise ins Ungewisse, catalogo della mostra, G. Magnaguagno, J. Steiner, Kunsthaus, Zurich 1997, 164
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Schwanthalerstrasse 21. C’è poi un Autoritratto metafisco del Nostro, datato 1922 (FIG. 118), che ne echeggia il primo stile (FIGG. 119/123). Riguardo ai suoi compagni di studio usa parole di grande ammirazione, mettendoli poi a confronto con l’ambiente di Monaco di Baviera: “tra i miei compagni c’erano molti ragazzi assai dotati, pieni di talento e di voglia di lavorare”166 (Memorie, p. 57). In questo passo de Chirico cita Stavros Kantzikis (Atene 18851958), allievo al Politecnico di Atene e, dal 1901 al 1906, studente all’Accademia di Monaco. Professore alla Scuola d’arte Sivitanidis di Atene dal 1929, di lui si perdono le tracce (l’ultimo “indizio” – collezione Androulidakis – è la sua partecipazione ad una mostra del 1949 allo Zappion, dove espone il dipinto böckliniano Eva, FIG. 124). Invece il Pictor Optimus ricorda della Germania: “contrariamente a quanto avevo visto al Politecnico di Atene, ove c’erano molti giovani pieni di talento e pieni di temperamento romantico e di amore per la pittura, all’Accademia di Monaco non ve n’era nemmeno uno che sapesse tenere un carboncino o un pennello in mano. La pittura che allora dominava era la pittura della Secessione” (Memorie, p. 75). Anche dal punto di vista dell’insegnamento, mentre elogia i maestri greci, de Chirico resta invece deluso dai tedeschi, tanto da ridurre il suo soggiorno bavarese a soli due anni (1906-1908).
pp. 204-247, in particolare p. 222 e G. Roos, Giorgio de Chirico und seine Malerfreunde Fritz Gartz, Georgios Bousianis, Dimitrios Pikionis, in W. Schmied, G. Roos, Giorgio de Chirico. München 1906-1909, Akademie der Bildende Künste, München 1994, p. 54. Uno stralcio delle memorie di Pikionis è stato tradotto in tedesco e riportato in G. Roos, Giorgio de Chirico, Alberto Savinio. Ricordi e documenti. Monaco 1906-1911, Bora, Milano 1999, pp. 431-432 166 «Tra gli altri ricordo Kanzikis; era veramente eccezionalmente dotato; inoltre si era creata una vita tutta sua; andava quasi sempre solo; si fermava per le strade a disegnare uomini, bestie, carretti, alberi, qualunque cosa; viveva in un continuo sogno di arte e di lavoro, faceva ogni sforzo per progredire ed era quindi il contrario di quello che sono tanti dei nostri “geni” modernisti; inoltre aveva un modo curioso di parlare; dava a ogni cosa un nome speciale; i capelli li chiamava “le trecce”, la parte posteriore del corpo umano formata dalle due natiche la chiamava il “nicolì”; un uomo lo chiamava un “satiro” ed una donna una “casseruola”; così per dire che aveva visto un signore con la consorte diceva che aveva visto un satiro con la sua casseruola. Kanzikis avrebbe potuto diventare un grande pittore, forse lo è diventato, però io no ho più sentito parlare di lui. Certo che le circostanze della vita e l’ambiente voglion dir molto nella formazione, nello sviluppo e nella carriera di un artista»
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Presso l’Archivio “Alèxandros Xidis”167 sono conservati i registri dell’Accademia di Belle Arti di Atene, dalla cui consultazione è stato possibile ricostruire il quadro comparativo dei risultati scolastici di de Chirico e Bouzianis168. Bouzianis si classifica primo – con il voto 8,5 – alla classe ΣΤ di fine corso (1903-04), mentre de Chirico (che è più giovane di tre anni e frequenta la classe ∆) ottiene il voto 6,5 (FIG. 125). Due anni dopo, agli esami della classe ΣΤ (1905-06), il Nostro non raggiungerà la sufficienza. Del resto lo stesso de Chirico ricorda: “agli esami finali fui bocciato. Il soggetto per l’esame era un vecchio nudo con la barba bianca che posava nudo fino alla cintola, la testa fasciata da un turbante e tenendo in mano una lunga pipa orientale. Credo che la mia bocciatura sia stata abbastanza giustificata; lavorai male per quell’esame, non stavo troppo bene in salute; la scossa nervosa in seguito alla morte di mio padre, frequenti disturbi intestinali e il caldo afoso del luglio ateniese avevano fatto subentrare in me una stanchezza, una malinconia ed uno scoraggiamento che influirono notevolmente sul mio lavoro” (Memorie, p. 64). De Chirico e Bouzianis giungono a Monaco nel 1906, Pikionis li raggiunge nel 1909, e come ricorda in un saggio dedicato a Bouzianis: «ieri sera, tornato in carrozza alla pensione dove alloggiavo, salendo le scale ho sentito una voce che mi chiamava da dietro: “Scusate, siete il signor Pikionis?”. Nel buio della sera riconobbi Giorgio de Chirico»169 (D. Pikionis, Kìmena, p. 36). La capitale bavarese, per legami storici e dinastici è meta quasi obbligata per i giovani studenti d’arte neogreci, che vi arrivano carichi di aspettative, spinti dall’interesse nei confronti della pittura di Hans von Marées, Arnold Böcklin, Max Klinger, con cui hanno familiarizzato grazie all’insegnamento presso il Metsòbion. Aspettative che non trovano lo sperato riscontro negli ambienti culturali di Monaco, e questa inclinazione al simbolismo tedesco finisce per rimanere nell’hortus conclusus della cerchia dei greci. Come nota Paolo Dipartimento di Storia dell’Arte, Facoltà di Lettere, University of Crete, Rethymnon A quel tempo la scuola greca era strutturata in un ciclo di studi di sei anni (classi Α, Β, Γ, ∆, Ε, ΣΤ) ed un ciclo superiore di tre (classi Ζ, Η, Θ). La sufficienza è rappresentata dal 5. Giorgio de Chirico ripeterà la classe Γ – avendo riportato nell’anno 1901/05 la votazione 4,5 (così come Bouzianis ripeterà la classe Ε) – e agli esami di ΣΤ nel 1906 sarà bocciato con il 4. De Chirico si è iscritto dodicenne direttamente alla seconda classe Β nell’anno 1900-01 quando Bouzianis, più grande di lui di tre anni, è già alla classe ∆. Si noti (FIG. 125) il cognome de Chirico – evidenziato al numero d’ordine 39 – traslitterato Κηρῦκος, con accento sulla penultima sillaba. Così continuerà a chiamarlo Bouzianis nella sua lettera inedita del 1930 (FIG. 126) 169 D. Pikionis, J. Bouzianis (1956), in Kìmena (Saggi), a cura di A. Pikionis, Z. Lorenzatou, National Bank of Greece, Athina 1985, p. 36 167 168
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Baldacci: “per inclinazione e per formazione de Chirico sentiva di appartenere a questa schiera idealistica…Ma i suoi insegnanti dell’Accademia, Gabriel von Hack per il disegno, un individuo insignificante al quale in seguito sia lui sia Savinio non risparmiarono feroci ironie, e Carl von Marr per la pittura…non erano certo le persone adatte a porre i loro allievi di fronte a problemi di questa portata. Era invece nella ristretta schiera di amici greci che si erano iscritti con lui all’Accademia di Monaco…che si dibattevano in modo appassionato tali questioni, tanto più che il filone dell’arte idealista attraversava in quegli anni una profonda crisi d’identità e di fiducia, di cui aveva approfittato la schiera opposta per sferrare nel 1905 un violento attacco contro Böcklin, morto da pochi anni”170. In seguito, però, Pikionis e Bouzianis cedono al fascino della pittura di Cézanne171 il primo e della Secessione il secondo. Il gruppo si divide, per poi incontrarsi solo occasionalmente, anzi, fatalmente, a Parigi. Agli inizi del 1912, poco prima della partenza di entrambi dalla capitale francese, de Chirico e Pikionis si ritrovano su di un autobus che da Place de la Concorde porta al Quartiere Latino. Dei giorni che seguono, in cui gli artisti si scambiano opinioni sulla nascente pittura metafisica, restano due testimonianze importanti: il racconto di Pikionis e, soprattutto, una lettera di Giorgio de Chirico, l’unico documento esistente, per quanto ne sappiamo, scritto dall’artista in greco moderno. La lettera è stata ritrovata ad Atene, da chi scrive, in casa della figlia di Pikionis, Aghnì, la quale gestisce l’archivio cartaceo del padre; è un invito di de Chirico all’amico per incontrarsi e dimostra una perfetta padronanza della lingua, per altro già intuibile dalla naturalezza con cui l’artista e il fratello Andrea sono soliti inserire parole e modi di dire greci nei loro scritti. Bouzianis, che in Germania è riuscito a farsi un discreto nome grazie al gallerista Barchfeld, soggiorna a Parigi dal 1929 al 1932, ma in Francia non riesce facilmente a farsi strada, tutt’altro. In questo periodo, come si evince da alcuni scritti del pittore greco172, de P. Baldacci, Il periodo simbolista: dal mito all’autobiografia, in De Chirico, a cura di P. Baldacci, G. Roos, op. cit., p. 4. Tuttavia Baldacci riconduce al periodo monacense la scoperta di Böcklin da parte di de Chirico, mentre, come abbiamo già avuto modo di esporre in questa tesi, la conoscenza del pittore era già avvenuta, attraverso Ghyzis, ad Atene 171 Ricordiamo che alcuni dipinti di Cézanne erano stati esposti alla mostra della Secessione di Monaco nel marzo 1909 172 V. Jorgos Bouzianis. Gràmmata pros ton Barchfeld (Jorgos Bouzianis, Lettere a Barchfeld), a cura di F. Michos, Morfotikò Ídrima Ethnikìs Tràpezis, Athina 1989. Altre annotazioni si trovano in D. Delighianni, M. Z. 170
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Chirico e Bouzianis si rincontrano solo una volta, il 14 maggio 1931, a Montparnasse presso il Cafè Dôme. De Chirico è in compagnia di sua moglie173 – “un’interessante russa” ricorda Bouzianis – e del fratello Alberto. “Le parole non possono esprimere come rifiorimmo di colpo – gli sguardi che ci scambiavamo l’un l’altro – quel momento fu emozionante, molto emozionante. Domenica pomeriggio, il 17 del mese, ci rivedremo a casa del fratello, Alberto Savinio, alla Porte de Versailles” (J. Bouzianis, Gràmmata pros ton Barchfeld, p. 323, n. 137). In realtà questo secondo incontro non avrà mai luogo. Chi scrive ha ritrovato una lettera di Bouzianis indirizzata all’amico Nikos Santorineos – altro studente del Politecnico all’epoca di de Chirico – del 3 ottobre 1930, alcuni mesi prima, dunque, dell’episodio riportato sopra174. In questa lettera si percepisce la grande ammirazione per l’amico dell’adolescenza, nonostante il grande divario di stile e di ricerca artistica; ma soprattutto il fatto che i greci che conoscevano de Chirico lo consideravano un greco, non un italiano: “Kiriko qui si è fatto una gran fama. Non l’ho incontrato ancora ma neanche l’ho cercato. Ho solo ho saputo che è diventato italiano [corsivo mio]. Ma non lo biasimo: ha avuto ragione, come l’ha avuta Ghyzis quando è diventato tedesco. Anch’io non so che farò un domani. La nostra patria non si prende cura dei suoi figli. E nel frattempo perde i suoi migliori talenti… Le opere di Kiriko sono neoclassiche. Io le ho viste qui alla Galerie Bernheim. Mi sono piaciute molto anche se io non sono affatto per il neoclassicismo. Ma questo non c’entra niente, l’Arte è Arte” (J. Bouzianis, lettera a Nikos Santorineos, Parigi, 3 ottobre 1930, FIG. 126). Segnaliamo che in Grecia il cognome del Nostro era trascritto come Kiriko, di nome Jorgos (lo si evince dalle tavole delle valutazioni del Politecnico prima citate); e che all’Accademia di Monaco viene registrato come “studente di cittadinanza greca”175.
Kasimàti, Tetràdio me tous aforismoùs tou Bouzianis (Quaderno di pensieri di Jorgos Bouzianis), Botsis, Athina 1988 e K. D. Lambropoulou, Jorgos Bouzianis, Giorgio de Chirico kie i modèrna tèchni (Jorgos Bouzianis, Giorgio de Chirico e l’arte moderna), tesi di dottorato, National and Capodistrian University, Athina 2005 173 Si tratta di Raissa Gurievich Krol, sposata in prime nozze dall’artista, sulla quale de Chirico, per non risvegliare le gelosie della Far, fece calare l’oblio 174 La lettera fa parte della coll. Santorineos, conservata presso l’ing. Kostas Androulidakis, Atene 175 W. Schmied, G. Roos, Giorgio de Chirico. München 1906-1909, op. cit., p. 54
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Jorgos Bouzianis: cenni biografici Pittore e poeta dal triste destino, Bouzianis dopo un promettente esordio in Germania (dove si era trasferito), messo poi al bando dal nuovo corso hitleriano, passa gli ultimi anni in Grecia, in ristrettezze, dove muore in un ospedale della Capitale. Nato ad Atene nel 1885, studia alla Scuola di Belle Arti dal 1899 al 1906, dove conosce de Chirico e Pikionis. Diplomatosi (classificandosi primo, a pari merito con Santorineos), si trasferisce a Monaco di Baviera (1906-1909) per continuare gli studi artistici e qui si ritrova con gli stessi amici ma, di lì a poco, ciascuno di essi prende la propria strada: Bouzianis va a Berlino (1910); de Chirico, dopo un breve soggiorno in Italia, a Parigi; anche Pikionis nella capitale francese, per poi tornare in Grecia. Jorgos Bouzianis decide di rimanere in Germania (dal 1914 al 1919 è membro del Kunstler-Genossenschof di Monaco) dove la sua vena espressionista trova la giusta consonanza nei movimenti d’avanguardia tedeschi del primo dopoguerra, facendo gruppo con Kokoshka, Nolde, Pechstein (19191920). Espone alla Munchner Neue Secession e riesce ad affermarsi sul mercato. Tra il 1929 ed il 1932 è a Parigi. Torna nella Germania nazista dove l’ostilità alle arti non figurative, bollate come “degenerate”, lo induce al ritorno definitivo in patria, nel 1935, dopo 28 anni di assenza. In Grecia espone una prima volta ad Atene, nel 1936, ma dopo la tiepida, quasi fredda accoglienza, subentra un lungo periodo di silenzio, interrotto nel 1949. Questa seconda mostra suscita maggiore interesse: tempi e gusti sono mutati, critica e pubblico possono guardare all’artista senza preclusioni da benpensanti. Le ferite della guerra hanno fatto dischiudere gli occhi verso quella realtà di pessimismo, sgradevolezza, malessere esistenziale che l’espressionismo di Bouzianis riesce a tradurre su tela. “La sua pittura grida la disperazione di tutta una generazione disincantata e delusa, il conflitto spirituale di un’epoca che non sa porsi davanti alla vita con umiltà e amore, ma che attinge dalla sofferenza il suo sentimento di rivolta…I soggetti che lo assillano hanno come fulcro una umanità drammatica in cui prendono corpo delle forme appena suggerite in una luce fatta di toni finemente smorzati. Corpi dalle membra troncate che avanzano
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stanchi, trascinando una cupa schiera di aspirazioni schernite, figure deformi dai nasi e dalle bocche contorte, dai volti contratti, donne dalle nudità sformate, sfatte, dai seni pesanti…testimone di un’epoca, Bouzianis ci sa commuovere con il suo amore sincero per l’uomo. Questo amore tuttavia non sa manifestarsi che mostrando le piaghe, le ferite profonde di straccioni ribelli che la vita ha colpito ma che non ha saputo vincere”176. Nel 1950 espone alla Biennale di Venezia; nel 1956 a New York e qui si aggiudica il premio Guggenheim per la Grecia. Tuttavia, al consenso dei critici più lungimiranti non fa riscontro quello del mercato: l’artista dispone di pochi mezzi e Bouzianis, già malandato e sofferente da tempo di bronchiti croniche, muore ad Atene nel 1959 per complicazioni polmonari.
QUADRO COMPARATIVO DELLE VOTAZIONI D’ESAME IN DISEGNO DI JORGOS BOUZIANIS E GIORGIO DE CHIRICO (ANNI 1897-1906) SCHOLÌ TON KALÒN TECHNÒN / METSOVION POLITECHNÌON – ATENE (anno scolastico, numero d’ordine, classe, voto, posizione in graduatoria)
176
T. Spiteris, Arte dopo il 1945. Grecia, Cappelli, Firenze 1971, pp. 47-48
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
JORGOS BOUZIANIS Γ. Μ̟ουζιάνης Atene 1885-1959
GIORGIO DE CHIRICO Γ. Κηρύκος Volos 1888-Roma1978
a. scolastico
n.
classe
voto
posiz.
n.
classe
voto
posiz.
1897-98
69
Α
7,5
10°
1898-99
50
Β
7,6
3°
1899-1900
52
Γ
4
-
1900-01
45
∆
6,5
-
67
Β
5
-
1901-02
31
Ε
4,5
-
58
Γ
4,5
-
1902-03
26
Ε
8
2°
47
Γ
5,25
4°
1903-04
18
ΣΤ
8,5
1°
39
∆
6,5
4°
21
Ε
7,5
4°
19
ΣΤ
4
-
1904-05 1905-06
13
Ζ
8
2°
Tavola sinottica estrapolata dai registri del Metsòvion Politechnìon, conservati presso l’Archivio “Alèxandros Xidis”, University of Crete, Rethymnon, Creta
125
Figura 116 G. de Chirico, La partenza dell’amico, 1930c.
Figura 117 G. de Chirico, Autoritratto, 1909
Figura 118 G. de Chirico, Autoritratto metafisico, 1922
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 119 J. Bouzianis, Ritratto maschile, 1919
Figura 120 J. Bouzianis, Autoritratto, 1920c.
127
Figura 121 J. Bouzianis, Ritatto maschile, 1920c.
Figura 122 J. Bouzianis, Ritratto, 1927
Figura 123 J. Bouzianis, Ritratto di Hans Weigl, rettore di Eichenau, 1927
Figura 124 S. Kantzikis, Eva, s. d.
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 125 Risultati di fine anno 1903-04 al Metsòvion Politechnìon, Atene, 28 giugno 1904. Materia: disegno. Bouzianis n° d’ord. 18, voto 8,50. Kirìkos, n. d’ord. 39, voto 6,50
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Figura 126 Lettera di Bouzianis a N. Santorineos Parigi, 1930 (Ta erga tou Kirìkou ine neoklssikà)
NEL SEGNO DI BISANZIO De Chirico e Kòndoglou a confronto La sfida di Fotis Kòndoglou (1895-1965)177 è decisamente singolare, inserita in un panorama artistico già da tempo rinnovato dai movimenti d'avanguardia. Egli misconosce i dettami della Scuola di Monaco – che nei primi decenni del Novecento esercita ancora una certa influenza – ed ignora, almeno apparentemente, le novità d'ambiente parigino. La sua attenzione si rivolge, esclusivamente, all'arte bizantina, unica arma per affrancarsi dall'egemonia culturale dei paesi dell'occidente, e si trincera, soprattutto negli ultimi anni della sua attività, dietro un atteggiamento di esasperata devozione, un misticismo che lo porterà, addirittura, a rinnegare le aspirazioni che lo avevano animato in gioventù e lo avevano comunque spinto a timide aperture nei confronti della pittura europea. Di seguito, riportiamo un brano, tradotto dai suoi scritti, vero e proprio manifesto della sua estetica: “Un popolo che ha perduto le sue origini è come un uomo che abbia perso la memoria. L'oggi e il domani sono legati al passato. L'oggi si nutre del passato, e il futuro del presente. Con la tradizione l'uomo rafforza la sua coscienza, sentendosi vicino e dentro ai suoi predecessori, felice e triste con loro, riconoscendo in essi gli stessi sentimenti, le stesse abitudini, le stesse debolezze, le stesse preoccupazioni, le stesse aspirazioni, che ritrova dentro di sé. I motivi che spingono l'uomo a sfuggire la tradizione, sono l'indifferenza o la presunzione. Il presuntuoso crede che, seguendo la tradizione, perde la propria identità, che senza la tradizione diventerà un uomo libero ed originale. Questo avviene nei deboli, mentre ai forti la tradizione tempra il carattere ed accentua la personalità”178.
177 Per l’analisi più completa e approfondita finora svolta sull’artista v. N. Zias, Mnìmi Kòndoglou (In ricordo di Kòndoglou), Astir, Athina 1975 e N. Zias, Fotis Kòndoglou, Zogràfos (Fotis Kòndoglou, pittore), Emporikì Tràpeza tis Ellàdos, Athina 1991; si veda anche Fotis Kòndoglou, en ikòni diaporevomènos. Afièroma ekatò chrònia apò tin ghènnisi kie triànta apò tin kìmisì tou (Fotis Kòndoglou, nel tracciato dell’icona. Un tributo per i cento anni dalla nascita e i trenta dalla morte), a cura di I. Vivilaki, Akritas, Athina 1995; di recente è stata pubblicata una raccolta di interventi sull’artista, tra i quali anche di Nikos Zias, sulla rivista “I Lèxi” (“La parola”), fasc. 198, ottobre-dicembre 2008, Athina 2008 178 F. Kòndoglou, Pàlin kie Pollàkis. H dìnami tis paràdosis ( Di nuovo e altre volte ancora. La forza della tradizione) in "Ellinikì Paràdosi", Athina 1979; pp. 65-66
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
De Chirico condivide con la figura di Kòndoglou una sorta di “inattualità”. Diversi sono i punti di contatto, a partire dall’interesse per la tecnica dell’encausto – come si evince dal trattato dechirichiano sulle tecniche pittoriche – e chissà che anche de Chirico non abbia in mente i ritratti del Fayyūm, quando dipinge certi ritratti dai grandi occhi, sottolineati con una spessa linea di bistro nero, il volto atteggiato di tre quarti. Del resto i ritratti funerari dell’Egitto post-tolemaico sono una fonte iconografica che, tra gli anni ’20 e gli anni ’40, seduce molti artisti dell’Europa mediterranea179 (FIGG. 127/130). Nel 1927 Fotis Kòndoglou comincia la scrittura, in una perfetta grafia bizantina, del romanzo O Astrolàvos (L’Astrolabio) (FIG. 131), pubblicato nel 1934, che per dichiarazione stessa dell’artista è alla maniera bizantina180, nella forma e nell’impianto. Si tratta di un testo corredato da illustrazioni dello stesso autore, strutturato come fosse un flusso unico di immagini che si susseguono e si accavallano, con protagonista l’alter ego del pittore, di cui sono narrati i viaggi e le peripezie, attraverso luoghi visionari e curiosi personaggi. In un certo senso è il corrispettivo greco di Ebdòmero, ed è quanto meno singolare che sia stato scritto più o meno negli stessi anni. Una serie di confronti diretti, permettono di definire “bizantini”, nei quadri di de Chirico, certi volti allungati come santi da icona e con le barbe o i capelli dai riccioli “scolpiti” (FIG. 132), così simili ai filosofi o ai protagonisti dei racconti popolari greci dipinti da Kòndoglou (FIG. 133), specialmente nelle pitture murali della sua casa (1932), oggi strappati e conservati alla Pinacoteca Nazionale di Atene. Possiamo ipotizzare una matrice bizantina anche per la serie di litografie dei Bagni Misteriosi. La critica ha sempre notato il ruolo di raccordo tra vero e soprannaturale delle scalette che collegano le pedane delle cabine al mare-parquet, mettendole in relazione con la scaletta della celebre acquatinta di Klinger, Accorde, Opus XII, 1894. I Bagni sono “Misteriosi” nel senso indicato dal simbolismo tedesco, questo è senza dubbio acclarato, ma crediamo vada implementato con l’idea di “mistero” così come inteso dalla Chiesa ortodossa bizantina, dove l’icona mette in contatto direttamente il mondo fisico e ultraterreno e trasforma immediatamente una stanza in un tempio. E tempietti sacri sembrano le cabine di de Chirico, anche se abitati da uomini in giacca e cravatta (FIG. 134), 179 v. M. Santoro, Fayyūm e pittura europea 1910-1930, in “Rolsa”, Rivista on line di Storia dell’Arte, Dipartimento di Storia dell'Arte, Università di Roma, n. 2, 2004 180 N. Zias, Fotis Kòndoglou, Zogràfos (Fotis Kòndoglou, pittore), op. cit. Ricordiamo che già nel 1918 aveva pubblicato Pedro Cazas, un altro testo dall’intonazione simile
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in una composizione che ricorda, ad esempio, il Bruto o Le figlie di Licomede di Kòndoglou (1937-38), inseriti in edicole chiaramente costantinopolitane (FIGG. 135, 136). Del resto sono molti i riferimenti espliciti alla chiesa greca ed al suo particolare potere evocativo, tanto in de Chirico quanto nel fratello Savinio181. Sia in de Chirico che in Kòndoglou i paesaggi sembrano spesso intagliati nel legno come le rigide linee delle icone bizantine greche (FIG. 137). Prendiamo come esempio calzante la scenografia allestita da Kòndoglou per il Sacrificio di Abramo di Fotis Politis, messo in scena nel 1929 al Teatro Nazionale, la cui documentazione fotografica è conservata presso il “Museo e Centro studi del Teatro greco” di Atene (FIG. 138). La montagna, gli alberi, l’architettura in primo piano, tutto riporta ai templi “a portata di mano” di de Chirico182, “portatili come un giocattolo”183, da riporre in una stanza, come le case e gli “alberelli a cavolfiore”184 del Giotto degli Scrovegni raccontato da Savinio (quasi una ekfrasis della scenografia di Kòndoglou). In effetti de Chirico può rimutare l’arte del dipingere di greco in latino, poiché anche la tradizione bizantina, così come quella classica, è “familiare”, assorbita dall’artista attraverso un’esperienza diretta, la conosce da sempre e nella sua veste contemporanea, così come è sopravvissuta nella cultura della Grecia moderna. L’elemento del paesaggio, inoltre, è un carattere distintivo delle icone greche rispetto alle icone russe. La sua maggiore presenza nell’icona greca, conferisce minore staticità all’immagine e la percezione di una metafisica “concreta” – la metafisica dell’essere secondo Florenskij185 – , la profondità è suggerita pur non utilizzando la prospettiva, ma semplicemente evocandola. Probabilmente è anche questa una delle origini delle aberrazioni prospettiche di de Chirico; dichiaratamente lo è per lo schiacciamento delle immagini su di un unico piano di Kòndoglou. Pensiamo per de Chirico alla parastasis (la tenda che isola la zona più sacra della chiesa) dell’Enigma dell’oracolo (1909-10) o al racconto del passaggio dell’Epitaffio, durante la processione del Venerdì Santo (Memorie, p. 47) ed al racconto del fratello sulla chiesa ortodossa in A. Savinio, Infanzia di Nivasio Dolcemare, [1941], Adelphi, Milano1998, pp. 62-63. Anche Kòndoglou, negli affreschi della sua abitazione, illustra scene fantastiche ispirate alle tradizioni di tutto il mondo, mettendo sullo sfondo la parastasis 182 “Il tempio greco è a portata di mano come un giocattolo”, G. de Chirico, Classicismo pittorico [1920] in Il meccanismo del pensiero, op. cit., p. 228 183 A. Savinio, Casa “la Vita”, op. cit. p. 205 184 A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, op. cit., p. 64 185 P. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull'icona, ed.it. a cura di E. Zolla, Adelphi, Milano 1999, in partic. pp.132 e sgg. 181
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Altro pertinente esempio che possiamo proporre in questa sede è senza dubbio il confronto tra i Gladiatori della decorazione di casa Rosenberg a Parigi eseguita da de Chirico nel 1927 (FIG. 139) e il ciclo della storia greca – dalle origini mitologiche agli eventi contemporanei – del Municipio di Atene, dipinte da Kòndoglou fra il 1937 e il 1939 (FIGG. 140, 141). Oltre al fatto di essere state pensate entrambe per decorare dei grandi ambienti, risalta in maniera evidente l’affinità fra i corpi dei gladiatori e quelli degli eroi della Grecia (FIGG. 142, 143): tetracromia, stesse pose, stessa tensione nervosa nei muscoli, stesse rigidità e, specie se analizziamo i disegni, stesso tratto. E’ possibile scovare addirittura affinità sottocutanee con il popolare Theophilos186 (FIGG. 144/147). Il calco che manca – e che è di entrambi gli artisti – risale a Bisanzio. Fotis Kòndoglou, cenni biografici Fotis Kòndoglou187 nasce nel 1895 ad Ayvalik (la greca Aïvalì), in Asia Minore sulla costa dirimpetto all’isola di Lesbo. Qui compie i primi studi e stringe una forte amicizia con Stratis Doukas (personalità rilevante nel panorama culturale greco il quale diventerà un noto editore). Assieme visitano diversi monasteri della Cidonia e qui il pittore manifesta molto presto il suo interesse per l'iconografia bizantina. Terminato il liceo, parte per Atene per iscriversi alla Scuola di Belle Arti. Durante la I Guerra Mondiale, Kòndoglou decide di interrompere gli studi e parte per l'Europa. Nel 1917, dopo esser stato in Belgio ed in Italia (trovando lavoro come minatore) giunge in Francia. A Parigi collabora come disegnatore con la rivista “Illustration”. In questo periodo, la sua fisionomia, indiscutibilmente orientale, entra in contatto con il mondo cosmopolita della capitale francese. Di questa esperienza serberà il ricordo degli incontri fatti con i personaggi più curiosi (artisti, avventurieri, viaggiatori di ogni nazionalità), incontri che avvenivano, solitamente, Au Rois du cafè in place Clichy. Sono tutte suggestioni 186 Pittore naïf dell’isola di Lesbo (1870?–1934), amato da Seferis ed Elitis, è personaggio simbolo dell’arte popolare greca degli Anni Trenta. Fu lanciato sul mercato dal noto critico Tériade, con il crisma di un lusinghiero articolo di Le Corbusier, di ritorno dal IV CIAM di Atene del 1933, v. Le Corbusier, Theophilos , in “Voyage en Grèce” n. 4, Paris 1936 187 Per la ricostruzione biografica del pittore si veda principalmente il testo di S. Doukas Enthìmisi Foti Kòndoglou [In memoria di Fotis Kòndoglou] in "Eolikà Grammata", fascicolo 6, 1971
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che, unite ai ricordi della sua infanzia, faranno da sfondo al suo primo romanzo, Pedro Cazas, scritto nel 1918. L'anno successivo torna in patria, ma, in seguito alla disfatta dell'Asia Minore del 1922, è costretto ad abbandonare Aïvalì, per trasferirsi ad Atene, assieme al milione di profughi che si riversano nella Grecia continentale. Nella Capitale entra in contatto con il circolo culturale di Ellis Alexiou, personaggio di un certo rilievo nell'ambiente intellettuale ateniese. Alla primavera del 1923 data il suo primo viaggio presso il convento del Monte Athos dove l'incontro con la pittura bizantina è davvero totalizzante (copia icone, ritrae i monaci e raccoglie i propri disegni nel volume L'arte dell'Athos). Nel 1930 assume l'incarico di direttore del nascente museo Benaki, che diventerà nel tempo la massima raccolta d'arte bizantina in Grecia (di quest'arte egli stesso grande cultore). Forte della propria fama, nel 1933 sarà convocato dal governo egiziano per lavorare nel museo copto del Cairo. Nel 1934 partecipa alla XIX Biennale di Venezia. Negli anni successivi è un susseguirsi di mostre, restauri degli affreschi bizantini nei vari monasteri di Grecia (tra cui significativi quelli a Mistrà), rifacimenti ex-novo come quelli della Mikrì Mitropoli nel centro della Capitale. Trascorsa la II Guerra Mondiale, condurrà una vita ritiratissima, quasi monastica, per morire ad Atene, in un incidente d'auto, assieme alla moglie, nel 1965.
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 127 G. de Chirico, Paul Guillaume, 1915
Figura 128 G. de Chirico, La signorina Amata, 1920
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Figura 129 N. Chatzikiriakos-Ghikas, Ritratto di Stratis Eleftheriadis (Tériade), 1925
Figura 130 F. Kòndoglou, Ritratto del fratello Antonio, 1928
Figura 131 F. Kòndoglou, da Astrolàvon, 1934
Figura 132 G. de Chirico, Gladiatori, 1932
Figura 133 F. Kòndoglou, I Quaranta martiri, 1959c.
Figura 134 G. de Chirico, Bagni misteriosi, 1934
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 135 F. Kòndoglou, Bruto, 1937-38
Figura 136 F. Kòndoglou, Le figlie di Licomede, 1937-38
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Figura 137 F. Kòndoglou, Ciclo di Teseo (partic.), 1937-38
Figura 138 F. Kòndoglou, Scenografia per il Sacrificio di Abramo, 1929
Figura 139 G. de Chirico, Decorazione casa Rosenberg, 1928-29
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 140 F. Kòndoglou, Ercole e Acheloo, 1937-38
Figura 141 F. Kòndoglou, Teseo e Scirone, 1937
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Figura 142 G. de Chirico, Gladiatori nella stanza, 1928-29
4 Figura 143 G. de Chirico, Combattimento di gladiatori, 1927
Figura 144 Theophilos, Eracle, 1928-30
Figura 145 G. de Chirico, Leone e gladiatori, 1927
Figura 146 Theophilos, Hermes, 1912
Figura 147 G. de Chirico, Ippolito e i suoi compagni (partic.), 1963
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
ECO DECHIRICHIANA NELL’OPERA PITTORICA DI ENGONOPOULOS E CHATZIKIRIAKOS-GHIKAS Impronta della tradizione greca: corrispondenze tra la Ghenià tou Trianda (la Generazione del Trenta) e Giorgio de Chirico Il ritorno all’antico, per de Chirico condizione necessaria per poter essere davvero un artista moderno, è un atteggiamento intellettuale altrettanto condiviso dai protagonisti della cosiddetta “Generazione del Trenta”188, movimento artistico che caratterizza significativamente l’arte greca fra le due Guerre. Tuttavia, date le condizioni socio-politiche, nella Grecia tra le due Guerre questo recupero dell’originarietà delle forme assume un valore ancora più profondo: il rovesciamento della direzione dello sguardo – che per essere rivolto al futuro deve guardare verso il passato – se in de Chirico è principalmente speculazione artistica, nei greci è un dovere nei confronti della Patria. Scrive Tsarouchis: “Torniamo all'Antico e sarà un progresso”189. La Grecia degli anni Trenta affida all’arte il compito di riscatto e ricostruzione; è l’ideale antico del καλὸν και αγαθὸν che permane, l’estetica che coincide con l’etica. Gli fa eco Ghikas: “Per creare un'arte greca bisogna, innanzi tutto, conoscere il suo carattere particolare, ritrovare le sue costanti, e la loro presenza lungo tutto il suo ciclo evolutivo nel tempo e nelle diverse espressioni della sua morfologia. E' l'interpretazione di questo carattere che si trova nella tradizione, che può guidare nella ricerca verso un'espressione nazionale pienamente autentica. Ora questa tradizione in Grecia esiste nell'arte popolare, nell'arte bizantina, in quella ellenistica ed ellenica”190. Atene 1938: la mostra di Arte popolare Tra il 15 e il 30 gennaio 1938, nella sala Strategopoulos dell’Hotel Kentrikon di Atene si svolge la mostra di Arte popolare greca, fortemente voluta e sostenuta I testi più significativi per comprendere nei suoi vari aspetti quello che fu la Generazione del Trenta nel panorama artistico greco sono: A. Kotidis, Modernismòs kie paràdosi stin ellinikì techni tou mesopòlemou (Tradizione e modernità nell'arte greca fra le due Guerre), University Press, Salonicco 1993; AA. VV. Se anazìtisis tis Ellinikòtitas: “I Ghenià tou '30” (Alla ricerca della Grecità: la “Generazione del '30”), AENAON, Athina 1994 189 Y. Tsarouchis, introduzione alla mostra, Galleria “Il Gabbiano”, Roma 1974 190 N.Chatzikiriakos-Ghikas, Perì ellinikìs tèchnis (Sull’arte greca) in “Nèon Kràtos”, 5, gennaio 1938, Athina 1938, p. 127 188
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economicamente da Anghelikì Chatzimichali e magistralmente orchestrata da Dimitris Pikionis, con l’aiuto dei suoi colleghi e amici, Nikos Engonopoulos e Nikos ChatzikiriakosGhikas, e dei suoi allievi. Gli intenti della mostra sono sintetizzati da Engonopoulos nell’introduzione al catalogo, che si è avuto modo di consultare presso l’Archivio Ghikas: “Scopo di questa mostra è conoscere noi stessi. Sarebbe un grande guadagno se facesse in modo che ciascuno di noi raffrontasse la propria vita e la propria opera a quella della tradizione”191. Attraverso il catalogo della mostra, possiamo ricostruire l’allestimento meticolosamente progettato da Pikionis, pensato per svolgersi in tre ambienti. Nei primi due vengono esposti disegni, illustrazioni, tavole e fotografie di architetture delle varie regioni della Grecia, dalla Macedonia all’Epiro, alle Isole. L’ultima sala è dedicata alla tradizione greca nei suoi aspetti più popolari e quotidiani, dalle suppellettili alle stampe, al Teatro delle Ombre. Per quanto riguarda la sezione architettonica, colpiscono, per affinità con la pittura dechirichiana, i rilievi supervisionati da Pikionis ed eseguiti dai suoi allievi, delle case signorili di Kastoriàs, centro urbano della Macedonia occidentale, e le illustrazioni delle case ateniesi, dipinte da Nikos Engonopoulos, artista di grande fama che, dopo gli esordi come pittore di icone, diventerà il maggior esponente del surrealismo greco192. Le sue case sono davvero un diretto corrispettivo degli edifici dechirichiani. In particolare in La casa nella casa (1924, FIG. 112) de Chirico inserisce anche elementi tratti dall’arredamento popolare neogreco, come il pavimento a listoni di legno e il tappeto dai decori orientali tipico delle regioni del nord della Grecia. Nei disegni di Kastoriàs193, ciò che i contemporanei di Pikionis colgono come elemento di disturbo – e che per noi è, al contrario, indizio fondamentale per inserirlo in un’ottica dechirichiana – è lo svuotamento della scena riprodotta. Quando Pikionis mostra i disegni 191 N. Engonopoulos, Isagoghì (Introduzione), A’Ekthesis afieromèni is tin Tèchni tis Neoellinikìs Paradòseos (Prima mostra di Arte popolare neogreca), Ethousa Strategopoùlou, 15-30 ianuàriou, Athina 1938, p. 2 192 N. Zias, Nikos Engonopoulos, o Vizantinòs (Engonopoulos, il bizantino), Idiotikì ekdosi, Athina 2001 193 Nel 1935 Pikionis comincia gli studi sull’architettura tradizionale greca e, in particolare delle Archontikà Kastoriàs, le Case signorili di Kastoriàs, che vengono pubblicati solo a partire dal 1948. Oltre a Kastoriàs, vengono studiate anche le case di Zagorà, sul monte Pelio, per le quali esce un’altra pubblicazione nel 1949. Qui i disegni sono principalmente di Pikionis e Klaus Vrieslander. (v. D. Pikionis, Archontikà Kastoriàs (Case signorili di Kastoriàs), Chorighìa Ethnikoù Idrìmatos, Athina 1948; M. Zagorissiou, Y. Yannoulellis, Spìtia tis Zagoràs Pìliou (Case di Zagorà, Pelio), Chorighìa Ethnikoù Idrìmatos, Athina 1949 (Archivio Hatzimichali, Atene)
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
agli studenti del Politecnico, la platea, che si aspetta di vedere opere di arte popolare, e dunque animate dalla vita degli abitanti, si ritrova invece di fronte ad “architetture astratte” come ricorda l’architetto Pavlos Kalantzopoulos, all’epoca allievo di Pikionis194. “Tutte le case sono vuote/risucchiate dal cielo aspiratore/tutte le piazze deserte.Tutti i piedistalli vedovi. Le statue emigrate in lunghe carovane di pietra/verso porti lontani…” aveva scritto de Chirico nel 1918195. L’intuizione di Pikionis (FIG. 148) sulle potenzialità dell’arte popolare corrisponde allo sguardo “chiaroveggente” che consente a de Chirico (FIG. 149) di cogliere la potenza evocativa e metafisica del cavalluccio dei cioccolatini Poulain (FIG. 150); di fermarsi carico di stupore di fronte alle vetrine di giocattoli e pasticcerie durante le passeggiate per le vie di Ferrara; di elevare a monumento trottole, biscotti, scacchiere o caschi di banane e ridurre i monumenti a giochi di costruzioni. Il tema del giocattolo lega de Chirico a Pikionis e, tramite quest’ultimo, a Chatzikiriakos-Ghikas (FIGG. 151, 152). Nel primo numero della rivista “To trito mati” (1935), Pikionis pubblica il saggio Ta pechnìdia tis odòs Eòlou (I giocattoli di via Eòlou), dove i balocchi della tradizione popolare greca sono assunti a simbolo della capacità dell’artista di saper cogliere l’aspetto “altro”, i significati nascosti degli oggetti quotidiani. Lo spunto per iniziare queste considerazioni, è dato all’architetto greco dal ritrovare in casa dell’amico Ghikas dei vecchi giocattoli che, poco tempo prima, aveva visto da un rigattiere in una strada di Atene, odòs Eòlou appunto, senza dar loro troppa importanza. Gli stessi, invece, apparecchiati ordinatamente nell’atelier dell’artista196, in via Kriezotou 5, si palesano a Pikionis diversi, assumono i toni della rivelazione. Il saggio dell’architetto greco mostra molti punti di contatto con la poetica dechirichiana degli oggetti come fonemi di una lingua accessibile solo a chi sa ascoltare – “a chi sa farsi, quando occorre, tutto orecchi” –, che per de Chirico, come per Savinio, è l’artista con la sua creatività o il bambino con la sua immaginazione trasfigurante, al chiuso della sua stanza dei giochi.
“Pikionis mostrava i suoi rilievi fatti durante le ricerche sull’abitazione a Kastoriàs e Zagoràs, li spiegava in classe agli studenti, ma erano vuoti, senza nulla (cioè senza riferimento alle persone) e in questo modo sembravano delle architetture astratte” v. P. Kalantzopoulos, Mia katedàfisi. 23 istorìes me pròto pròsopo ton D. Pikionis (Una demolizione. 23 storie con protagonista D. Pikionis), Plethron, Athina 1988 195 G. de Chirico, L’ora inquietante, in Il meccanismo del pensiero, op.cit., p. 54 196 Questi giocattoli compaiono in più dipinti di Chatzikiriakos-Ghikas e furono anche esposti alla Mostra di Arte popolare organizzata nel 1938 da Pikionis 194
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Ulteriore fruttuoso confronto iconografico con de Chirico è possibile se paragoniamo certe nature silenti del Nostro con le numerose fotografie – che servivano da modello per dipingere – conservate all’Archivio Ghikas e scattate dall’artista medesimo, ai vari assemblaggi di giocattoli o attrezzi da lavoro, ai carretti degli ambulanti, per le vie di Atene, sovraccarichi di oggetti “futili”, questi ultimi a metà strada fra i tàmata, gli ex-voto nelle chiese ortodosse, e l’allestimento di un trofeo di cose comuni. Per analogia con Ghikas, possiamo ipotizzare che anche de Chirico tenga presente queste ispirazioni “colte dalla strada”, quando parla di “farfalle meccaniche”197, allestisce trofei, compone, metà ta fisikà, “con le cose”, dei rebus, per l’appunto. Di certo il metodo di lavoro accomuna entrambi: sia l’uno che l’altro, memori degli insegnamenti del Politecnico di Atene, alla copia dal vero prediligono la copia di riproduzioni fotografiche o da stampe. Il dépaysagiste – per dirla con Jean Cocteau198 – dall’immagine all’immaginazione (FIGG. 153, 154). Un accenno, infine, al Teatro delle Ombre199 (FIGG. 155, 156), tanto amato da Pikionis, citato anche spesso da Savinio200, e che possiamo ipotizzare come fonte di certe silhouettes che de Chirico ricava ritagliando le ombre nietzscheane di tanti suoi dipinti (FIGG. 157, 158, 159). In particolare: la figura di Alessandro Magno (FIG. 160) – che ci riporta ai gladiatori, soprattutto nella versione popolare delle immaginette Liebig201, che de Chirico utilizza – , del Sor Nionios o Omorfoniòs (FIGG. 161, 162) con il loro bastone ricurvo, lo G. de Chirico, Memorie della mia vita, op. cit., pp. 24-25 Con questo artificio lessicale J. Cocteau, Le Mystère laïc: essai d’étude indirecte (Giorgio de Chirico), Editions des Quatre chemins, Parigi 1928, interpreta la potenza straniante di una pittura di spaesamenti come quella dechirichiana. Traduzione italiana: J. Cocteau, Il mistero laico. Studio su Giorgio de Chirico, Lerici, Cosenza 1979; SE, Milano 2000 p. 43 (“De Chirico ci mostra la realtà spaesandola. E’ uno spaesaggista”); Abscondita, Milano 2007, a cura di A. Boatto 199 Originario dell’Estremo Oriente, viene introdotto in Grecia nel XVIII secolo, da attori girovaghi provenienti dalle varie regioni dell’Impero Ottomano. Karaghiozis (“Occhio nero”) assume subito i tratti del povero ma astuto greco tormentato dal Pascià, portavoce della Grecia tiranneggiata dalla Turcocrazia. Testo storicamente importante sull’argomento è G. Kaïmi, Karaghiozi ou la Comédie Grecque dans l’ame du Théatre d’Ombres, “Hellinikes Tèchnes”, Athènes, 1935, scritto in francese ma edito in Grecia, corredato da xilografie di Klaus Vrieslander (ed. consultata G. Kaïmi, I archèa comodìa stin psichìn tou thèatrou skiòn (La commedia antica nell’anima del Teatro delle Ombre), tr.gr. a cura di K. Mekkas, T. Milias, Ekdosis Gavrilidis, Athina 1990). Molti sono gli artisti della Generazione del Trenta che si sono occupati di Karaghiozis (Tsarouchis ne cura anche delle scenografie): tutti vedono in questa figura l’impronta della Commedia antica, come dei canti popolari. Si veda anche N. Engonopoulos, O Karaghiozis. Ena ellinikò thèatro skiòn (Karaghiozis. Un teatro delle ombre greco), Ipsilon, Athina [1969] 1980 200 “Passava nel pomeriggio per via Manzoni un giovanotto alto, dai baffi felini, dal naso uncinato, dalla faccia da Karaghieuz” A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città [1944], Adelphi, Milano 2001, p. 30 201 Cfr. A Sbrilli, Album di Ebdòmero, in De Chirico e il museo, op. cit., pp. 47-55 197 198
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
stesso bastone che il pittore inserisce come elemento apparentemente incongruo in alcuni quadri (FIGG. 164, 165), oltre a certi elementi della scena – palmette, case, barchette (FIGG. 166, 167) – e, infine, il modo di rappresentare graficamente il mare (FIG. 163) che, come si può vedere nel testo di Giulio Caïmi con illustrazioni di Klaus Vrieslander, del 1935, ha delle assonanze con il mare-parquet dei Bagni misteriosi dechirichiani (FIG. 168). Va ricordato che proprio negli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, ovvero gli anni dell’infanzia di de Chirico, il Teatro delle Ombre gode di una particolare popolarità. Famoso era, all’epoca, quello di Kifissia, luogo di villeggiatura della famiglia de Chirico202, a pochi chilometri da Atene, dove, nel 1898, quando de Chirico ha dieci anni, viene rappresentato – e sarà considerato un grande evento – il Karaghiozis di Mitzos Vasiliotis, uno degli autori più celebri della storia del Teatro delle Ombre203. La mostra del ’38 ha anche il merito di presentare per la prima volta artisti che non provengono dalla tradizione accademica, ma che si sono formati autonomamente, come Theophilos. I giornali esaltano questa naïveté204, anche se spinti più dalla politica propagandistica di governo – sono gli anni della dittatura di Mataxàs – che non dall’aver compreso davvero l’elemento progressista e rinnovatore dell’ardita scelta di Pikionis. Theophilos Chatzimichaìl (Lesbo 1870?-1934) per gli intellettuali greci diventa il simbolo della Laïkì Techni, e le sue opere oggi costituiscono il nucleo centrale del Museo di Arte popolare di Atene. Cresciuto nel microcosmo della sua Lesbo, Theophilos non conosce le novità che giungono dall’Europa, non conosce de Chirico, così come l’Europa e de Chirico non conoscono Theophilos, se non a partire dalla metà degli anni Trenta quando Le Corbusier gli dedica un lungo articolo di ritorno dal viaggio in Grecia per il IV Congresso Internazionale di Architettura Moderna, e Tériade (anch’egli di Lesbo) lo lancia sul mercato greco e francese. Eppure riscontriamo alcune affinità iconografiche tra i due artisti; riconoscendo in de Chirico dei tratti che sono di Theophilos, ovvero dell’espressione più genuina e immediata della tradizione greca, non filtrata da
Cfr G. de Chirico, Memorie, op. cit., p. 58 Cfr. G. Kaïmi, I archèa comodìa stin psichìn tou thèatrou skiòn (La commedia antica nell’anima del Teatro delle Ombre), pp. 23-34, in partic. p. 33. Ancora oggi il Karaghiozis viene rappresentato sia nei teatrini all’aperto che in programmi televisivi 204 “Non hanno frequentato né il Politecnico, né alcuna altra facoltà. Non hanno imparato l’arte da nessuno. Provengono dal popolo ed esprimono nei loro disegni i sentimenti autentici del popolo” si legge in “Elèftero Vìma” (“Tribuna libera”), 15 gennaio 1938 202 203
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intellettualismi, riconosciamo, in realtà, per analogia, i tratti neogreci che sopravvivono nelle figure dechirichiane (FIGG. 169/172). Il pennello di Mitilene attinge ai personaggi del mito, sia pure con ingenuità di accento, perché essi sono patrimonio storico condiviso, comune sia al colto che al naif. Nikos Engonopoulos (Atene 1910–1985) Nikos Engonopoulos205 nasce ad Atene nel 1910. Nell’estate del 1914, mentre è in viaggio ad Istanbul, la famiglia Engonopoulos viene sorpresa dallo scoppio della prima Guerra Mondiale ed è costretta a stabilirsi in Turchia. Nel 1923 è a Parigi dove si iscrive al liceo e resta in Francia quattro anni. Nel 1927 torna in Grecia e si arruola nel primo Reggimento Fanteria. Nel 1930 ottiene un impiego come disegnatore nel dipartimento di pianificazione urbana del Ministero per i Lavori Pubblici. Nel 1932 si iscrive alla scuola di Belle Arti di Atene dove studia con la supervisione di Parthenis. Segue anche il corso d’arte presso lo studio di Fotis Kòndoglou, insieme a Tsarouchis. In quel periodo conosce il poeta Embirikòs, il pittore Moralis e scopre de Chirico. I suoi primi dipinti, per la maggior parte a tempera su cartoncino, riproducono case della tradizione popolare greca e vengono esposti alla mostra Arte della moderna tradizione greca organizzata nel gennaio 1938. Un mese dopo pubblica la traduzione in greco di alcune poesie di Tristan Tzara e, nello stesso anno, la sua prima raccolta di versi, dal titolo Min omilìte is ton odigòn (Non parlate al conducente). L’anno successivo è la volta di una seconda raccolta poetica, Ta klidokimvala tis siopìs (I clavicembali del silenzio) che consacra Engonopoulos uno dei più apprezzati poeti surrealisti di Grecia. Nel 1944 circola clandestinamente il poema Simon Bolivar. Seguono Eleusis del 1948 e En anthirò Ellini logo (In fiorita lingua greca) del 1957. Nel 1945 è lettore all’Università di Atene presso il dipartimento di disegno architettonico diretto da Pikionis, dove rimane sino al 1956. Nel frattempo e per tutti gli anni Sessanta, disegna scenografie e costumi teatrali. La sua attività letteraria si alterna ed interseca con quella pittorica, dove forte e dichiarata è l’influenza dei surrealisti in generale e dechirichiana in particolare; scandita da riconoscimenti letterari, onorificenze Per l’attività poetica di Engonopoulos cfr. M. Vitti, Storia della letteratura neogreca, Eri, Torino1971. Per l’attività pittorica cfr. Nikos Engonopoulos - Schedia kie chromata, Ypsilon vivlia, Athina 1996
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Il profilo greco di Giorgio de Chirico
(nel 1966 è decorato con la croce d’oro di Giorgio I), mostre personali, in Grecia e all’estero (Roma 1953; Canada 1953; Biennale di Venezia 1954). Nel 1967 è nominato professore associato di disegno al Politecnico. Dal 1976 è professore emerito. Muore per un attacco cardiaco nel 1985. Di sé egli ha scritto: “Io non ho mai fatto parte del movimento surrealista. Il Surrealismo io l’avevo in me da sempre”. Al contrario, influssi ed echi di de Chirico (“pittore di Volos” come sottolinea lo stesso Engonopoulos) sono pubblicamente confessati206 (FIGG. 173/179). E nell’epigramma Le Fils de l’ingénieur, Engonopoulos ammonisce207: “Giorgio de Chirico/quando vuoi imitare/Giorgio de Chirico/non dimenticare/le rive di Tessaglia”. Nikos Chatzikiriakos Ghikas (Atene 1906–1994) Nikos Chatzikiriakos Ghikas208 nasce ad Atene nel 1906 da agiata famiglia borghese che, riconosciutone il talento, indirizza il ragazzo allo studio di disegno e pittura presso l’atelier di Kostantinos Parthenis. Nel 1923 si reca a Parigi per studiare lingua ed estetica alla Sorbona. Qui, nel 1924 perfeziona gli studi artistici presso l’Academie Ranson e del 1927 è la sua prima esposizione personale alla Galerie Percier, guadagnando gli apprezzamenti di Picasso. In Francia Ghikas scopre il Cubismo, la luminosità mediterranea di Matisse e, soprattutto, la luce metafisica di de Chirico (FIGG. 180/186). Qui i connazionali Christian (Christos) Zervos e Tériade209, apprezzati collezionisti ben inseriti nel milieu artistico della capitale francese, dedicano la loro attenzione al giovane artista greco e sul numero 6 di “Cahiers d’Art” (Parigi, 1927) appare un lusinghiero articolo a firma di Tériade, dal titolo Peintres nouveaux, Kyriaco Ghika. Nel numero di dicembre del 1952 di “Cahiers d’Art” sarà lo stesso Zervos a celebrare con un suo scritto l’ormai affermato pittore greco. Da parte sua Ghikas omaggia i suoi riferimenti iconografici storici Cfr. lezione di Engonopoulos del 1963, riportata in “Epitheòresi technis” a. 17, n. 99, marzo 1963, p. 196 Da I zogràfi kie ta topìa tous, Poimata B’, in Nikos Engonopoulos - Schedia kie chromata, op. cit., p. 19 208 Per una più ampia biografia dell’artista si veda: N. Paissios, Ghika, Museo Benaki, Athina 2004 209 Nati il primo a Cefalonia nel 1889, l’altro (il cui vero nome è Stratìs Eleftheriàdis) a Mitilene nel 1897, si affermano entrambi a Parigi come critici ed editori d’arte. Zervos fonda nel 1926 la rivista “Cahiers d’Art” 206 207
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– Matisse, Picasso, de Chirico – scrivendo altrettanti articoli sulla rivista greca “Nea Estìa”, dei quali si segnala, in particolare, quello su Giorgio de Chirico del 1947210. Tornato in Grecia, nel 1933 organizza ad Atene il IV Congresso Internazionale di Architettura Moderna e Le Corbusier lo cita in Aria-Suono-Luce, suo celebre intervento alla conferenza. Ghikas ricambia la cortesia pubblicando, nel 1935, su “To Trito Mati” (rivista di cui è coeditore dal 1935 al 1937 e che è considerata palestra letteraria di Pikionis) l’articolo dell’architetto svizzero: Il paesaggio dell’Attica e l’Acropoli. Nel 1941 gli è offerta la collaborazione alla Scuola di Architettura presso il Politecnico di Atene. Nel 1949, insieme ad artisti quali Moralis, Tsarouchis, Engonopoulos ed altri, dà vita al gruppo artistico Armòs. L’anno successivo è presente alla Biennale di Venezia con 17 tele. Tra gli anni 50 e gli anni 60 espone - oltre che ad Atene, naturalmente - nelle maggiori capitali europee (Parigi, Londra, Berlino, Ginevra) e a New York. Nel 1973 diviene membro dell’Accademia di Grecia e nel 1986 membro della Royal Academy a Londra. Altri riconoscimenti internazionali gli vengono tributati dalla romana Accademia Tiberina e dalla Francia, dove è nominato Officier des Arts et des Lettres. Muore ad Atene nel 1994 e la sua casa ateniese, diventata museo, è oggi appannaggio del Museo Benaki. Scrive Tériade dell’arte di Ghikas211: “La luce – isolata, concentrata, quintessenziale e potente entro i suoi limiti autoproclamati – diviene un concetto artistico stupefacente, una fonte di rigenerazione della pittura”.
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N. Chatzikiriakos-Ghikas, Giorgio de Chirico in “Nea Estìa”, n. 41, Athina 15 giugno 1947, pp. 762-763 Tériade, Peintres nouveaux, Kyriaco Ghika in “Cahiers d’Art”, n. 6, Paris 1927, pp. 213-216
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 148 D. Pikionis, La festa di S. Nicola ad Egina, 1940-50
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Figura 149 G. de Chirico, Il ritorno di Ulisse, 1973
Figura 150 G. de Chirico, L’enigma del cavallo, 1914
Figura 151 G. de Chirico, Il cattivo genio di un re, 1914
Figura 152 N. Chatzikiriakos-Ghikas, Giocattoli nell’atelier di via Kriezotou, 1935
Figura 153 Torre dei venti, 1854, Atene
Figura 154 G. de Chirico, Il tributo dell’oracolo (partic.), 1913
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 155 K. Vrieslander, Il teatro delle Ombre, 1935
Figura 156 K. Vrieslander, Fondale del Karaghiozis, 1935
Figura 158 G. de Chirico, L’ombra di Leonida, 1930
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Figura 157 G. de Chirico, Mistero e malinconia di una strada, 1914
Figura 159 G. de Chirico, L’estasi, 1968
Figura 160 K. Vrieslander, MegAlèxandros, 1935
Figura 161 K. Vrieslander, Sor Nionios, 1935
Figura 162 K. Vrieslander, Omorfoniòs, 1935
Figura 163 K. Vrieslander, Tre modi di rappresentare il mare, 1935
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 165 G. de Chirico, La méditation automnale (partic.), 1912
Figura 164 G. de Chirico, Mobili nella valle (partic.), 1929
Figura 166 K. Vrieslander, Fondale del Karaghiozis, 1935
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Figura 167 K. Vrieslander, Fondale del Karaghiozis, 1935
Figura 168 G. de Chirico, L’arrivo del Centauro da Mythologie, 1934
Figura 169 Theophilos, Paesaggio, 1928
Figura 170 G. de Chirico, Sole e luna, 1972
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 171 Theophilos, Artemide (partic.), 1928
Figura 172 G. de Chirico, Niobe addolorata, 1921
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Figura 173 N. Engonopoulos, Casa ad Atene, 1937 (cfr. FIG. 104)
Figura 174 N. Engonopoulos, Casa al Pireo con statua vestita, 1949
Figura 175 N. Engonopoulos, Bozzetto teatrale, 1958
Figura 176 N. Engonopoulos, Kafenìon, 1956
Figura 177 N. Engonopoulos, Il poeta Mavìlis, 1961
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 178 G. de Chirico, Il figliol prodigo (L’enfant prodigue), 1926
Figura 179 N. Engonopoulos, Alessandro, Filippo e i Greci senza gli Spartani, 1963
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Figura 180 N. Chatzikiriakos-Ghikas, Case di Atene II, 1928
Figura 181 G. de Chirico, Autoritratto (Et quid amabo nisi quod metaphysica rerume est?), 1919, particolare e insieme
Figura 182 N. Chatzikiriakos-Ghikas, Acropoli: Propilei, 1927-28
Figura 183 N. Chatzikiriakos-Ghikas, Acropoli: Eretteo, 1927-28
Figura 185 N. Chatzikiriakos-Ghikas, Cabine a Glyfada, 1936
Figura 184 G. de Chirico, Tempio nella stanza (Les conjonctures cruelles), 1927
Figura 186 N. Chatzikiriakos-Ghykas, Atene: panorama, 1940
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
“ARIE ACQUE LUOGHI”: DA YANNOPOULOS A DE CHIRICO LA METAFISICA DELLA GRECIA Il paesaggio greco attraverso gli scritti della Ghenià tou Triànda e analogie con Giorgio de Chirico Per comprendere il percorso di un Paese, di un popolo, o nello specifico di un personaggio, si è soliti ripercorrere le tappe storiche che lo connotano. Il suo raggio d’azione è più frequentemente misurato attraverso il tempo, e solo in un secondo momento si fa riferimento alle coordinate spaziali. Eppure, la posizione geografica di un luogo, le condizioni climatiche che ne conseguono, determinano l’indole degli abitanti. Proseguiamo il lavoro di identificazione dei luoghi e dell’atmosfera della Grecia nella produzione di Giorgio de Chirico, ma dall’interno, ovvero, rintracciando le espressioni artistiche dechirichiane che siano riconducibili ad una inclinazione tipicamente ellenica, determinate dall’essere nati in un preciso spazio, quale il suolo lambito dall’Egeo. Per far questo ricorriamo sempre al confronto diretto con gli artisti della Generazione del Trenta, Pikionis in primis. Nei capitoli precedenti queste comparazioni sono state fatte attraverso le opere pittoriche, ora, invece, lo stesso meccanismo viene applicato agli scritti, dai quali emerge un tessuto connettivo comune, indizio di un medesimo sentire che origina dalla stessa matrice – tanto che a volte, letti in sequenza – risulta difficile distinguere dove finiscano i testi greci e comincino i testi dei fratelli de Chirico. Per introdurre l’indagine sull’influsso dei luoghi, le speculazioni del mondo antico offrono sufficienti spunti: “Chiunque voglia occuparsi rettamente di medicina, deve fare così: in primo luogo considerare le stagioni dell’anno, quali influssi è in grado di produrre ciascuna […] poi i venti caldi e i freddi, soprattutto quelli comuni a tutti i popoli, ma poi anche quelli che sono tipici di ciascuna regione. Bisogna quindi anche che prenda in considerazione le proprietà delle acque […] quando uno arriva in una città di cui non è pratico, occorre che valuti attentamente la sua posizione, (cioè) com’è orientata sia rispetto ai venti sia rispetto al sorgere del sole […] Su queste cose bisogna riflettere il più attentamente possibile […] la
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terra, se brulla e arida, oppure boscosa e umida; e se sia infossata e afosa oppure elevata e fresca…”212 ( Hipp. aer. 1). Il brano è tratto dal Corpus Hippocraticum, 72 libri scritti tra il VI e il IV secolo a. C., attribuiti ad Ippocrate di Cos, in cui la medicina, depurata dalle connotazioni magicomistiche dei rimedi terapeutici primitivi, si propone come ricerca fatta da uomini per gli uomini. L’esortazione con cui si apre Arie acque luoghi, è chiara, Ἰητρικὴν ὅστις βούλεται ὀρθῶς ζητεῖν, τάδε χρὴ ̟οιεῖν: chi vuole essere un bravo medico deve tener presente principalmente che il corpo non solo è condizionato, ma letteralmente plasmato dall’ambiente in cui nasce e cresce, l’indole stessa dell’uomo ne è segnata “fatalmente”, prima ancora che dalle abitudini della vita quotidiana213: “Alla crescita e alla civiltà contribuisce più di tutto il clima in cui nessun elemento predomina con violenza, ma dove su tutto si impone un equilibrio” (Hipp. aer. 12). L’Attica di Platone214, così come è riportata nel Timeo (24c-d) e nel Crizia (110e-111a111e), per la bontà del clima e il perfetto equilibrio delle stagioni ha permesso la nascita di uomini eccezionalmente saggi. Così fa dire al vecchio ateniese (alter ego del filosofo) nell’Epinomide: “noi abitiamo una regione, la Grecia, che è probabilmente la migliore ai fini dell’acquisizione della virtù. Diciamo che è particolarmente apprezzabile in essa il fatto che sia messa a metà fra le zone fredde e quelle torride” (Plat. Epin. 987d). Gli fa eco Aristotele: “La stirpe greca, come occupa una posizione geografica intermedia215 […] è ardimentosa e intelligente perciò vive in libertà, ha le istituzioni migliori e potrebbe dominare su tutti se fosse unita sotto una sola costituzione” (Aristot. Pol. 1327b).
212 Hippocratus, Περί αἔρων ὑδάτων τό̟ων (da qui: Hipp. aer.), v. Ippocrate, Arie acque luoghi, a cura di L. Bottin, Marsilio, Venezia [1986] 1997. Per una trattazione del determinismo geo-climatico nel mondo antico si veda F. Borca, Luoghi, corpi, costumi. Determinismo ambientale ed etnografia antica, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2003 213 “Dove le stagioni presentano cambiamenti molto sensibili e molto frequenti, là anche il territorio è assai selvaggio e irregolare […] dove invece le stagioni non presentano grandi differenze, il territorio è assai uniforme. E così stanno le cose anche per quel che riguarda gli uomini…” (Hipp. aer. 13) 214 Per i testi platonici citati in questa sede si fa riferimento alle seguenti edizioni: Platone, Epinomide, in Opere complete, vol 7, trad. a cura di C. Giarratano, A. Zadro, F. Adorno, Laterza, Bari 2001; Platone, Timeo, Crizia, in Opere complete, vol 6, trad. a cura di F. Sartori, C. Giarratano, Laterza, Bari 2003 215 Anche qui Aristotele si rifà alla µεσότης, il “giusto mezzo” dell’Εtica nicomachea
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Nel mondo romano è Vitruvio a far propri i precetti ippocratici e sottolineare l’influenza dei luoghi sulle genti. L’architettura, per tale motivo, deve riuscire a interpretare i segni della natura, agire come una medicina che risolva le “patologie” di volta in volta riconosciute nel corpo dell’ambiente. Nel Libro I del De Architectura sono annoverate le discipline necessarie alla preparazione professionale dell’architetto. La fisiologia deve essere tenuta di gran conto “perché molti e vari sono i problemi posti dalla natura” (Vitr. De arch. I, 1, 7) con il dettame: medicinae non sit ignarus, “in quanto bisogna conoscere gli elementi che possono essere utili o dannosi alla salute dell’uomo: gli influssi del clima (κλίµατα in greco), le caratteristiche dell’aria, dei luoghi (che possono essere salubri o malsani), delle acque”216 (Vitr. De arch. I, 1, 7). Significativamente Vitruvio dedica il primo paragrafo del Libro VI alle influenze del clima sull’architettura: “Poiché dunque diverse condizioni climatiche caratterizzano le varie regioni, rendendo i rispettivi abitanti differenti sia nell’animo che nelle qualità e proprietà del corpo, io non ho esitato a indicare una diversa tipologia degli edifici a seconda delle varie caratteristiche dei popoli: la stessa natura giustifica apertamente ed esaurientemente la mia tesi [corsivo mio]” (Vitr. De arch. VI, 1, 12). Ruolo centrale è svolto dal sole, che determina l’uomo sia nel fisico – dal colore della pelle alla tipologia dei capelli, fino al timbro della voce217 – che nello spirito. Vi è un chiaro riferimento al testo ippocratico. Per il testo si veda Vitruvio Pollione, Dell’architettura, a cura di G. Florian, Giardini Editori e Stampatori, Pisa 1978 217 Interessante è in proposito la corrispondenza che Vitruvio coglie fra la musica e l’esposizione del sole: “Ci accorgeremo allora senza ombra di dubbio che il mondo è racchiuso dallo schema del triangolo, che richiama la forma di quello strumento musicale che i Greci chiamano σαµβύκη. Le genti che vivono nelle estreme regini meridionali, a sud dell’equatore, per la bassa latitudine hanno voci dai toni acuti ed esili, come nella sambuca la corda più vicina all’angolo. Gli altri popoli da qui alla Grecia (che occupa una posizione centrale) parlano con suoni che diventano, man mano che ci si allontana al sud, un po’ più gravi. Procedendo ancora dalle regioni centrali verso quelle più settentrionali, gradatamente cresce l’altezza del cielo e corrispondentemente le voci dei popoli diventano per natura più profonde. Sembra insomma che nel sistema terrestre ci sia una esatta corrispondenza fra la musica e l’esposizione al sole, che dipende dalla maggiore o minore inclinazione dello zodiaco” (Vitruvio Pollione, Dell’architettura, op. cit., pp. 109-110) 216
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Metafisica della Grecia Il sole, motore primo e forza vitale – Ílios o pròtos, del poeta Elitis – la luce abbacinante ellenica, che affetta le ombre in perfetti ritagli geometrici, sono un tema centrale degli artisti neogreci, in particolare per i pittori e gli architetti della Generazione del Trenta, concentrati nell’elaborazione di un’arte che esprimesse in ogni sua fibra la Stimmung di una terra, quella greca, recuperata e da raccontare da capo. Quanto il rapporto letteralmente fisico con la Grecia sia quasi inevitabile è testimoniato dallo stesso de Chirico quando, intrecciandole al filo dei suoi ricordi, fa proprie le parole di Nikolaos Ghyzis: «Le partite di pesca erano per me una gran gioia. Certo che tutti quegli spettacoli di eccezionale bellezza che vidi in Grecia da fanciullo e che sono stati i più belli che io abbia visto finora nella mia vita, m’impressionarono così profondamente, mi rimasero così potentemente impressi nell’animo e nel pensiero, perché io sono un uomo eccezionale, che tutto sente e capisce cento volte più fortemente degli altri…il mare era uno specchio; mai più in seguito in altri Paesi vidi uno specchio d’acqua così bello…Dopo tanti anni rivedo quello spettacolo come lo vedevo allora, ma se volessi descriverlo completamente, rappresentarlo con la penna, la matita o il pennello, non ci riuscirei del tutto. La Grecia ha ispirato molti artisti in tutti i tempi, ma ci sono cose tanto belle che si possono solo immaginare. Grande verità pertanto contengono le parole del pittore greco dell’Ottocento Nicolaos Ghisis quando egli dice: “Non posso dipingere la Grecia così bella quanto l’immagino”» (G. de Chirico, Memorie, pp. 36-37) Il suolo greco, suolo del mito, dei culti misterici – basta fare il nome di luoghi come Eleusi o Delfi per renderne tutta la potenza evocativa – del rito ortodosso bizantino, celebrato dal paesaggio lunare dei monasteri delle Meteore, per “fatalità geografica”218 presenta caratteristiche morfologiche ed etnografiche adatte ad una visione metafisica delle cose, e il riferimento ad esso è costante. Rifarsi alla propria tradizione, all’arte del proprio popolo219, diventa per i greci degli anni Trenta, di cui alcuni anche compagni di studio del nostro de Chirico, un mezzo per esprimere il legame reversibile tra l’uomo e
Fatalità geografica è il titolo di un breve paragrafo contenuto nell’articolo Sull’arte metafisica, pubblicato da Giorgio de Chirico in “Valori Plastici”, fasc. 4-5, Roma 1919 (cfr. G. de Chirico, Il meccanismo del pensiero, a cura di M. Fagiolo, Einaudi, Torino 1985, p. 85) 219 Sull’arte popolare v. cap II, par 2.3 sub voce 218
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
l’ambiente220: “lo spirito dell’ambiente naturale agisce sull’uomo, ma anche lo spirito umano agisce sull’ambiente. Così vediamo in un’opera d’arte primitiva questa reciproca collaborazione intellettuale. Collaborazione che prende vita nell’arte e nelle anime complesse degli uomini. L’uomo cattura la bellezza della natura, la illumina con la tradizione, che la raccoglie e le dà uno stile eterno”221. In proposito sono esemplari alcuni saggi tratti dalla rivista “To trito mati”, “Il terzo occhio”. Il numero doppio 2-3 della rivista, del novembre-dicembre 1935, è dedicato al tema della natura e dei luoghi. In esso viene riedito l’importante studio di Periklìs Yannopoulos (Patrasso 1869-Atene 1910)222 dal titolo Ellinikì grammì (La linea greca)223, già apparso sulla rivista “Anatolì” nel 1903. Non è escluso che anche de Chirico fosse a conoscenza di questo saggio, data la popolarità di cui godeva l’autore nell’ambiente artistico neoellenico. “Fondamento dell’estetica greca è la terra greca. Ogni terra plasma l’uomo a propria immagine e somiglianza. Vuole che il suo uomo, come la sua pianta, il suo animale, la esprimano…Il primo approccio dunque, per una ricerca dell’estetica greca, è un approccio verso la Terra…Studiando la Terra e analizzando la nostra psicologia, Si veda l’interesse rivolto nei confronti di casa Rodakis nell’isola di Egina, dimora costruita da un contadino, Alexandros Rodakis, nel 1880, e assunta dagli artisti neogreci come paradigma per un auspicato rinnovamento dell’architettura contemporanea. “Nello stile delle Cicladi e dell’Attica troviamo un’espressione greca caratteristica, che nasconde dentro i molti valori architettonici anche una ricchezza che non troverete in nessun libro moderno. Tale la casa di Rodakis, fiore dell’architettura di Egina, il più luminoso esempio dello stile popolare attico…Non arriviamo proprio alla porta, ma facciamo un giro intorno alla casa…Rodakis ci dà così il primo canone plastico. Non arriviamo mai direttamente alla porta della casa attica, ma faremo un giro e cambieremo direzione, e questo affinché venga data espressione alla sensibilità plastica del paesaggio greco”. K. Vrieslander, G. Kaïmi, To spiti tou Rodàki stin Æghina (Casa Rodakis ad Egina, 1934), a cura di A. Kostantinidis, D. Filippidis, Akritas, Athina 1997, prefazione 221 Ibidem 222 Intellettuale e teorico di estetica, traduttore di poeti francesi ed inglesi, muore suicida a soli 41 anni sulla spiaggia di Skaramangàs, nella baia di Elefsina (Atene) 223 Ad esso aveva fatto seguito Ellinikòn chroma (Il colore greco), pubblicato sulla rivista “Asty” nel 1904. Su Yannopoulos si veda P. Yannopoulos, Ápanta (Tutti gli scritti), Lazoiorgos-Ellinikos, Athinæ 1963; A. Danos, The Culmination of Aesthetic and Artistic Discourse in XIX century Greece: Periklis Yannopoulos and Nikolaos Gyzis, “Journal of Modern Greek Studies”, vol. 20, n. 1, May 2002, The Johns Hopkins University Press, Baltimore 2002, pp. 75-112; P. Yannopoulos, La ligne grecque. La couleur grecque, tr. par M. Terrades, Études Grecque, L’Harmattan, Paris 2006 220
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vediamo che ogni bellezza e nobiltà che esista in essa esiste anche in noi. Plasmati in modo simile, abbiamo tutte le espressioni simili…È la perfezione greca del tutto: la chiarezza. Dunque la forza della luce, penetrante, l’aria tersa, il tracciato limpidissimo della linea sono sorprendenti. A qualunque altezza voi saliate, vedrete un mondo intero. Attraverso la vista avete il senso di tutto ciò che vi circonda. Tutto, dal grande al minuscolo, appare. Ogni cosa, per quanto piccola sia, ci tiene a farsi vedere, come fa un greco al passeggio. A tal punto tutto vuole mostrarsi e si mostra che dopo il tramonto un esile albero che svetta all’interno del muro orientale dell’Acropoli e che si inscrive minuziosamente sullo sfondo del cielo illuminato, dice…a chi cammina per la spianata dello Zappion… ”Io appaio!”. Questo tracciato naturale limpidissimo della Linea…è la fatale Necessità a cui si conformeranno, volenti o nolenti, tutte le arti…E questa linea, per necessità naturale, sarà limpidissima”224 (P. Yannopoulos, Ellinikì grammì, 1903). Che de Chirico conoscesse direttamente o meno questo testo non è indispensabile: di certo, è questo il clima teorico che circola ad Atene negli anni della formazione del Nostro. Leggendo il brano di Yannopoulos non possiamo non fermare alcune parole o concetti che sono familiari alla pittura dechirichiana, innanzitutto il tema stesso della linea greca, che viene affrontato dal Nostro soprattutto nei saggi sulla tecnica e l’antico, del periodo romano-fiorentino (1921-1924). Già nella prefazione alla personale presso la Galleria Arte di Milano, del 1921, in cui vengono esposti quaranta disegni, de Chirico dichiara la sua volontà di riproporre il disegno come “opera a sé, bella e pulita, emozionata ed emozionante; un ritorno alla tecnica del lapis, della penna, del carboncino e della sanguigna” (G. de Chirico, Meccanismo del pensiero, p. 224), ma è soprattutto in Classicismo pittorico, pubblicato su “La Ronda” nel luglio 1920 che ravvisiamo le maggiori coincidenze: “Il demone della pittura greca è anzitutto demone lineare…Nella pittura greca è dalla linea e dal segno che si rivela l’emozione d’un che d’inspiegabile che va dritto alla mèta, oppure si spezza per via tracciando…le necessarie curve… In questa specie di misticismo della linea…si può scorgere…la tendenza a ridursi solo all’alfabeto religioso dei segni che formano il contorno d’una figura, o d’un oggetto. Il
P. Yannopoulos, Ellinikì grammì (La linea greca), “To trito mati” (“Il terzo occhio”), n. 2-3, novembredicembre, Atene 1935, passim 224
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
profilo d’un piede, tracciato da Douris o da Botticelli…è la parte demoniaca di quest’arto che l’artista classico ci rivela… Meravigliosamente sentirono i greci la magia della linea. Nel paradiso dell’arte il loro spirito chiedeva alla linea perfettamente diritta o dolcemente curva, o ancora rivolta esattamente a spirale come il ricciolo d’una dea, quell’ineffabile frescura ch’è refrigerio dolcissimo… Si giunge così a una misteriosa interpretazione della natura…In tal guisa trovansi gli uomini allo stesso livello degli dèi, e viceversa. Le statue stanno su piedistalli bassi: Hermes stanco, poggiato sull’anca, insegna la grazia della curva e della linea spezzata… (G. de Chirico, Meccanismo del pensiero, pp. 225-229, passim). Così l’Acropoli, l’Attica e la Grecia tutta, di Yannopoulos: “È una sola linea, come la nostra arte antica, dove tutte le costruzioni sembrano sorelle e tuttavia nessuna somiglia all’altra, tutte le statue come gemelli, ma nessuna uguale all’altra, come la nostra arte bizantina, come le canzoni popolari, riconducibili a una eppure nessuna è del tutto uguale…È una sola linea curva. Ovunque una semplicissima, dolcissima curva, flessuosa e fugace come i grandi e calmi respiri del mare” (P. Yannopoulos, Ellinikì grammì, 1903). Altri punti di contatto con le teorie di Ellinikì grammì sono: la metafisica della luce – “la luce di questa divina trasparenza attica”225 –; l’“immortalità terrestre”di Savinio; la “vita silente” delle cose che reclamano il loro diritto di cittadinanza; la fatalità di un mistero non fumoso ma limpido e chiaro, la “forza fatale che viene dalla terra”226. Scrive de Chirico:
Definizione dello scultore neogreco Michalis Tombros. V. M. Tombros, To Attikò topìo kie i Akròpolis, “To trito mati”, n. 2-3, op. cit. 226 Sono parole di Nikos Chatzikiriakos-Ghikas, a proposito di Aixonì, progetto degli anni Cinquanta di Pikionis per un nuovo centro abitativo che avrebbe dovuto sorgere vicino Atene, alle pendici occidentali del monte Imetto, presso Glyfada: “Il movimento di Aixonì è come un colpo di vento che ha aperto violentemente delle porte chiuse. Il suo nome sembra possedere una forza fatale che proviene dalla terra” (N. ChatzikiriakosGhikas, Heil Aixonì, 1950, in AA. VV., Dimitris Pikionis. The architectural work, a cura di A. Pikionis, vol. VI, Aixonì 1951-1955, Bastas Plessas, Athina 1994 225
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«Ora io nella parola “metafisica” non ci vedo nulla di tenebroso; è la stessa tranquillità ed insensata bellezza della materia che mi appare “metafisica” e tanto più metafisici mi appaiono quegli oggetti che per chiarezza di colore ed esattezza di misure sono agli antipodi di ogni confusione e di ogni nebulosità» (G. de Chirico, Meccanismo del pensiero, p. 70). Infine: la familiarità con dèi ed eroi, di chi il mito ce l’ha in casa – parentela che i fratelli de Chirico più volte sottolineano compiaciuti227 – e l’incalzante gioco di scambi per cui l’oggetto si umanizza e l’umano si cosifica. Leggiamo in Ellinikì grammì: “Tutte le rocce, le colline, le montagne giacciono una accanto all’altra, come belle matrone del popolo, come madri che tengono in grembo bei bambini, come Madonne bizantine che inclinano un po’ il loro viso con profonda amorevolezza. Le piccole colline giacciono ai piedi di quelle grandi come giovinette che accostano il capo alle ginocchia del loro amato…Sia l’Imetto che l’Arditto, sia l’Egaleo che il Parnete o il Pentelico, come un nerboruto e vigoroso giovane…dicono in maniera semplice, come statue, come figure sepolcrali: ‘siamo belli’. In totale assenza di erte, di dislivelli, di balzi verso il cielo, guardano dall’alto, immobili e adoranti, la terra, persino il Pentelico, che è come Artemide che scende dal monte; guardano come le statue, come gli antichi templi e con le aeree ali piegate, come le cupole bizantine, come i santi greci ricchi di ornamenti, sontuosi, lieti, come se vedessero davanti a sé una tavola ben imbandita e un profumato agnello” (P. Yannopoulos, Ellinikì grammì, 1903). “Avvenimenti metafisici e provinciali” (Memorie, p. 33) direbbe de Chirico. Viene alla mente l’avventura sull’Acropoli narrata ne Il signor Dudron228: «Lei sa certamente, mio caro amico, che nei pressi, o meglio, al lato della città dove io abito si trova una altura, una specie di collina che da una parte è chiusa da rocce simili ad una scogliera dai profili di apostoli gotici a strapiombo sopra la bianca distesa delle case della città, e dall'altra parte è formata da un pendio dolce che scende dalla sommità fino alla pianura. Su quella collina si vedono le sagome bianche di templi, di santuari e di altri monumenti antichi… La sera quando l'aria è limpida e quando la luna bagna con la
Così in Savinio: “io avevo inteso non di meno la significativa presenza degli eroi sulla terra, i segni del loro grave aggirarsi fra di noi”. A. Savinio, Tragedia dell’Infanzia [1937, 1945], Adelphi, Milano 2001, p. 188 228 G. de Chirico, Il signor Dudron (1945), ed. consultata Le Lettere, Firenze 1998 227
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
sua luce dolce l'acropoli addormentata, lo spettacolo è talmente suggestivo… si ha l'impressione di un'atmosfera talmente differente da tutto ciò che ci circonda, che più di una volta sono stato tentato di passare lassù tutta la notte, una notte di luna piena, solo, in mezzo ai ruderi, con ai miei piedi la città immersa nel riposo notturno e sopra la mia testa la vasta volta dell'eterno cielo… Sentii la voce lontana e nasale di un guardiano che gridava: “Si chiude!...”. Il momento fatale era arrivato. Con aria distratta e facendo finta di dirigermi verso l'uscita, mi nascosi dietro un ammasso di ruderi; infilai i miei guanti bianchi e incipriai abbondantemente collo e faccia. Poi mi rannicchiai tra i sassi in modo da essere il meno possibile visibile ed aspettai… ormai emersa dai vapori della serata estiva, la luna saliva nel cielo. Il suo dolce chiarore, il suo dolce e solenne chiarore toccava in quel momento le colonne e i ruderi ed allungava le loro ombre sul suolo. Il silenzio si fece più profondo. Improvvisamente io sentii un rumore strano, come se sopra la mia testa fosse stato ritirato un enorme velarium. Le maschere sovrumane degli dei antichi apparvero, simili a giganteschi modelli appesi sullo sfondo del cielo che sembrava basso, molto basso. Pareva che il cielo si fosse avvicinato alla terra in maniera inquietante. Avevo l'impressione che alzandomi in punta di piedi o, al massimo, salendo su uno dei frammenti di colonne di cui il terreno era cosparso, avrei potuto toccarlo con le dita. Le maschere divine sorridevano… Avrei voluto guardare giù, ma non vidi niente... Un dolce rumore era salito dalla pianura, e su quel mare nuovo l'acropoli, rotti gli ormeggi, navigava come portata dal vento...» (G. de Chirico, Il signor Dudron, pp. 92-97). “To trito mati” pubblica, sempre nel numero monografico dedicato ai luoghi e alla natura, anche interventi di Le Corbusier229 e di Erich Mendelsohn sul tema To Attikò topìo kie i Akròpolis, “Il paesaggio attico e l’Acropoli”:
Ricordiamo che Le Corbusier è in Grecia nel 1933, in occasione del IV CIAM (Congresso Internazionale di Architettura Moderna), durante il quale matura un profondo interesse per l’architettura popolare ellenica e, assieme a Christian Zervos (direttore della celebre rivista “Cahier d’art”) stringe uno stretto rapporto di amicizia e collaborazione con Ghikas. Si veda: AA. VV., Le Corbusier e l’antico. Viaggi nel mediterraneo, a cura di B. Gravagnuolo, Electa, Napoli 1997, pp. 35-61; S. Basch, A. Farnoux, Le Voyage en Grèce 1934-1939. Du périodique de tourisme à la revue artistique, Actes du colloque international (Andros 23-26 septembre 2004), éd. par École française d'Athènes et Fondation Vassilis et Eliza Goulandris, Andros 2006 229
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“Sull’Acropoli, nell’abbraccio silenzioso di questo paesaggio si leva una parola accorata, quasi un urlo, un grido breve…tagliente, deciso: il marmo dei templi porta voce umana…le forme sono tanto ben studiate, nel senso della luce e della materia, che sembrano quasi legate al cielo, al terreno, in modo naturale. Questo crea un fatto naturale per il nostro intelletto quanto il fatto “mare” e il fatto “montagna”…L’equilibrio…è determinato dal famoso paesaggio che si estende dal Pireo fino al monte Pentelico” (Le Corbusier, To Attikò topìo kie i Akròpolis, “To trito mati”, n. 2-3, 1935). “Uno degli elementi più sostanziali dell’architettura come recinzione di uno spazio [è] l’aria nella quale un edificio è costruito e di cui l’edificio chiede una parte per sé…In altre parole il contrasto: aria e materia, morbidezza e durezza, spazio finito e infinito, soffio del paesaggio e respiro fisso, fluidità della natura e suo consolidamento nell’opera architettonica. Questa natura è definita ogni volta dalla posizione geografica e dal clima ed è portatrice del pensiero architettonico, poiché dalla posizione e dal clima dipende tanto la formazione tecnica di questo pensiero, cioè l’uso dei materiali e il modo di costruire. Questa natura produce il paese e il popolo, determina il loro livello economico e culturale, stabilisce il respiro della loro vita e le loro creazioni artistiche” (E. Mendelsohn, To Attikò topìo kie i Akròpolis, “To trito mati”, n. 2-3, 1935). Al determinismo geo-climatico richiamato da Mendelsohn fa eco, sempre nella sezione Il paesaggio Attico e l’Acropoli, il contributo di Spyros Papalukàs (1892-1957), altro pittore neogreco del gruppo Omàda Fìlon: “Il paesaggio greco si sviluppa in modo semplice, tranquillo e chiaro, in una maniera che non si riscontra in nessuna altra parte, né in Oriente, né in Occidente. Nel primo caso ci sono eccessi verso i toni caldi, nel secondo verso i freddi” (S. Papalukàs, To Attikò topìo kie i Akròpolis, “To trito mati”, n. 2-3, 1935). Nelle immagini che seguono (FIGG. 187, 188, 189): il profilo dell’Acropoli da tre diverse mani a confronto, quella di Le Corbusier (1911); di Ghikas (1927-28); di Pikionis (1940c.).
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 187 Le Corbusier, Acropoli, 1911
Figura 188 N. Chatzikiriakos-Ghikas, Acropoli: Partenone, 1927-28
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Figura 189 D. Pikionis, Senza titolo, 1940c.
CONCLUSIONI Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua, dove non fui mai. G. Caproni, Biglietto lasciato prima di non andare via, 1975
Da questi studi la figura di Giorgio de Chirico esce ulteriormente delineata, con l’acquisizione di nuovi dati e la rielaborazione di quelli già noti, ma riletti da un diverso punto di osservazione, angolato cioè dall’interno dell’ordito culturale neogreco. La vastità di materiale ha aperto numerose questioni. Un primo risultato riguarda la ricostruzione filologica dell’argomento: sono emersi documenti inediti, come la lettera scritta in greco moderno, ed è stato presentato un quadro completo degli artisti gravitanti nell’orbita dechirichiana ai tempi, decisivi, della formazione pittorica, introducendo anche in Italia nomi come Jakovidis, Ghyzis, Chalepàs, la “Generazione del Trenta”, tutti artisti di grande levatura, ma sconosciuti al di fuori dei patrii confini. In particolare si sono distinte le personalità dei compagni ateniesi di Politecnico: Bouzianis e Dimitris Pikionis, quest’ultimo non solo un originale architetto, ma anche scrittore raffinatissimo e valente pittore. Dalla comparazione con le opere dechirichiane – dipinti e scritti – si può dire che Pikionis sia quasi un alter ego neoellenico di Giorgio. La grecità di de Chirico è venuta in superficie grazie ad un continuo confronto diretto con la cultura artistica della Grecia moderna, sia attraverso le immagini – dipinte o fotografate – sia attraverso i testi. Questo metodo è stato scelto perché il più idoneo a mettere in risalto certe caratteristiche prettamente greche, superando un generico riferimento alla classicità, e superando anche la sua accezione come solo dato biografico. L’ellinikòtita è un modo di essere, che a volte latente altre più apertamente, è riscontrabile nell’intero corpus dechirichiano, tanto è vero che i dipinti selezionati per i confronti iconografici non appartengono ad un periodo delimitato. La Grecia di de Chirico non è la Grecia appresa dai libri o vagheggiata sui Carnets de voyage da anacronistici sognatori, ma quella “esperita” direttamente; per questo è stato necessario mettere in relazione il pittore con gli artisti neogreci: con loro condivide lo stesso sguardo, le stesse esperienze. Quando de Chirico cita il classico, è il classico che sopravvive nel mondo moderno (FIGG. 190, 191), che per via genetica ancora parla attraverso la gente, la quale “porta il nome di dèi ed eroi” come dice il Nostro.
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Anche Bisanzio, attraverso la tradizione popolare greca, trapassa nella Grecia moderna; è intimamente radicata nel suo linguaggio. De Chirico non copia le icone bizantine, non fa citazioni colte che nascono e muoiono nell’estemporaneità di una suggestione; l’arte bizantina è in lui come memoria personale – quando da piccolo visita le chiese greche o assiste alle processioni per la Pasqua – e collettiva. Così è stato per i suoi colleghi della Generazione del Trenta; e se per Pikionis e i suoi accoliti questo è immediatamente evidente, queste ricerche permettono ora di riconsiderare il nostro Giorgio de Chirico sub specie graecitatis. Il Pictor Classicus è “anche” greco non tanto per jus soli, per la padronanza della lingua o perché iscritto, a Monaco, come cittadino ellenico; ma perché della Grecia egli ha assorbito gli umori – dello spirito, degli spazi, della cultura e della società in cui si forma, sino ai 18 anni – così permeanti da modellarne l’indole e trasmettergli quell’attitudine “levantina” al filosofare per paradossi ed enigmi. Di Grecia e di metafisica raccontano quei meriggi affocati di sole che, dai portici e dai monumenti, allungano ombre affilate su piazze e strade sospese in afona immobilità, evocanti atmosfere da controra estiva mediterranea quando, per la calura, “si scioglievano le candele nei candelieri” (Memorie p. 24). Le coste irregolari e frastagliate dell’Ellade (FIG. 192), con l’Eubea che si incunea nel golfo della natìa Tessaglia, sono le stesse che compaiono nel dipinto dechirichiano del 1916, dal titolo quanto mai significativo: La malinconia della partenza (FIG. 193). Ma il Nostro sa che, per quanto navighi errabondo come Ulisse, Ebdomero (e con lui de Chirico medesimo) “compie sempre il giro della propria camera” (FIG. 149). Dalle rive dell’Egeo, dalla luce e dai silenzi di una terra di miti e semidei egli non potrà separarsi mai del tutto. Tanto peregrinare altro non è che girare attorno a se stessi: attorno a quel fanciullo di Volos (FIG. 194) ritratto da Savinio (FIG. 195), nell’abbraccio protettivo della madre e della sorellina Adelaide.
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Figura 190 G. de Chirico, L’enigma dell’oracolo, 1910
Figura 191 Nelly (Elli Souyoultzoglou-Seraidari), Nikolska, dalla serie fotografica Nudi dell’Acropoli, 1929.
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Figura 192 Tessaglia, carta geografica greca, 1881
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Figura 193 G. de Chirico, La melanconia della partenza (partic.), 1916
Figura 194 Lungomare di Volos, cartolina, 1906
Figura 195 A. Savinio, La mère bleue, 1927
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Indice delle illustrazioni fig. 1
E. de Chirico, Planche 38 da Atlas de la construction des Chemins de Fer de Thessalie 1881-1886, Paris 1889, collezione K. Androulidakis, Atene, p. 19
fig. 2
E. de Chirico, Planche 54 da Atlas de la construction des Chemins de Fer de Thessalie 1881-1886, Paris 1889, collezione K.Androulidakis, Atene, p. 19
fig. 3
Il “trenino del Pelio” attraversa la città di Volos, cartolina, fine Ottocento, Archivio DH.KI, Volos, p. 20
fig. 4
G. de Chirico, La piazza misteriosa, 1914 , inchiostro su cartone (retro di L’enigma del cavallo), collezione privata, p. 20
fig. 5
E. de Chirico, La stazione di Volos, 1884, fotografia di D. Michalidis, Museo della fotografia, Kalamarià, p. 21
fig. 6
G. de Chirico, Solitudine, 1917, disegno su carta, collezione privata, p. 21
fig. 7
E. de Chirico, Planche 56 da Atlas de la construction des Chemins de Fer de Thessalie 1881-1886, Paris 1889, collezione K. Androulidakis, Atene, p. 38
fig. 8
A. Savinio, Senza titolo, 1925-26, olio su tela, collezione privata, Roma, p. 38
fig. 9
K. Volanakis, Cantiere a Corinto (particolare), 1867c., olio su tela, coll. Banca Nazionale di Grecia, Atene, p. 38
fig. 10
K. Volanakis, Il ritorno degli Argonauti, 1880c., olio su tela, collezione privata, p. 39
fig. 11
K. Volanakis, Navi alla proda, 1895, Pinacoteca Nazionale, Atene, p. 39
fig. 12
G. de Chirico, “Un mio disegno d’infanzia”, s. d., matita su carta, collezione privata, p. 39
fig. 13
D. Filippotis, Spezzatore di legna, 1875, statua in marmo, Giardini dello Zappion, Atene, p. 40
fig. 14
L. Sochos, Monumento a Kolokotronis, 1900, statua in bronzo, Piazza Antico Parlamento, Atene, p. 41
fig. 15
J. Bonanos, Panaghìs Vallianos, 1900, statua in marmo, Biblioteca Nazionale, Atene, p. 41
fig. 16
J. Roïlòs, La battaglia di Farsalo, 1898, olio su tela, Metsobio, Pinacoteca Averof, Atene, p. 41
fig. 17
T. Rallis, Luxor, 1885c., olio su tavola, collezione privata, p. 42
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fig. 18
J. Jakovidis, Creusa, 1881, olio su tela, collocazione ignota, p. 42
fig. 19
N. Ghyzis, Lezione di danza, 1876, inchiostro su carta, collezione privata, Atene, p. 42
fig. 20
J. Jakovidis, Studio di giovane nudo, 1880c., carboncino e matita su carta, coll. privata, Atene, p. 43
fig. 21
G. de Chirico, Il saluto degli Argonauti partenti (particolare), 1920, tempera su tela, collezione privata, p. 43
fig. 22
N. Ghyzis, Centauro ed Eros, 1896-98, olio su tela, collezione Banca Nazionale di Grecia, p. 43
fig. 23
G. de Chirico, Centauro con amorino, 1958, olio su tela, Fondazione de Chirico, Roma, p. 43
fig. 24
D. Pikionis, Cavalli sulla spiaggia, 1930c., inchiostro su carta, da Opere di fantasia, Archivio Pikionis, Museo Benaki, Atene, p. 44
fig. 25
D. Pikionis, senza titolo, 1940-50, inchiostro su carta, dalla serie Attica in Opere di Fantasia, Archivio Pikionis, Museo Benaki, Atene, p. 44
fig. 26
D. Pikionis, senza titolo, 1940-50, inchiostro su carta, dalla serie Attica in Opere di Fantasia, Archivio Pikionis, Museo Benaki, Atene, p. 45
fig. 27
G. de Chirico, Cavalli sulla spiaggia, 1927c. olio su tela, collezione privata, p. 45
fig. 28
D. Pikionis, Trofeo, 1940-45, inchiostro su carta e collage, dalla serie Attica in Opere di Fantasia, Archivio Pikionis, Museo Benaki, Atene, p. 46
fig. 29
G. de Chirico, Trofeo con la testa di Giove, 1929-30, olio su tela, collezione privata, p. 46
fig. 30
Sculture sull’Acropoli, 1864c., fotografia, collezione Theodòrou, Archivio fotografico Museo Benaki, Atene, p. 46
fig. 31
Reperti fissati a pannelli di legno, 1855c., fotografia di Ph. Margarìtis, collezione Theodòrou, Archivio fotografico Museo Benaki, Atene, p. 46
fig. 32
Monumento a Filopappo, 1880c., foto C. Athanassiou, collezione Maìllis, Archivio fotografico Museo Benaki, Atene, p. 47
fig. 33
Inserzione pubblicitaria della fabbrica Glavànis di Volos, 1896c., Archivio DH.KI, Volos, p. 48
fig. 34
G. de Chirico, Interno metafisico (con grande officina), 1917, olio su tela, Staatsgalerie, Stoccarda, p. 48
fig. 35
G. de Chirico, Les jeux du savant, 1917, Minneapolis Institute of Arts, Minneapolis, p. 49
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
fig. 36
Carta intestata della conceria Z. Nikoulis & C. di Volos, 1904, Archivio DH.KI, Volos, p. 49
fig. 37
Affiche pubblicitaria di una fabbrica di tessuti del Pireo, stampa di fine Ottocento, Archivio Centro di Arte popolare neogreca, Atene, p. 50
fig. 38
Affiche pubblicitaria di una distilleria del Pireo, stampa di fine Ottocento, Archivio Centro di Arte popolare neogreca, Atene, p. 50
fig. 39
Monaci armati e soldati alle Meteore, 1897, imm. stereoscopica, Rizareios Foundation, Atene, p. 51
fig. 40
G. de Chirico, Centauro morente, 1909, olio su tela, collezione Assitalia, Roma, p. 51
fig. 41
G. de Chirico, Prometeo, 1908-09, collezione privata, p. 51
fig. 42
Ritratto funebre del prete cattolico di Volos, fotografia d’epoca, coll. K. Androulidakis, Atene, p. 52
fig. 43
G. de Chirico, Il cervello del bambino, 1914, olio su tela, Moderna Museet, Stoccolma, p. 52
fig. 44
Dimitrios Tofalos in una stampa in occasione delle Panelleniche, 1904, Archivio Centro di Arte popolare neogreca, Atene, p. 52
fig. 45
D. Tsokos, Rigas Fereos Velestinlis, 1850-60, Museo Storico ed Etnologico, Atene, p. 52
fig. 46
G. de Chirico, La partenza degli Argonauti, 1909 olio su tela, collezione privata, p. 53
fig. 47
Theophilos, Koraìs e Rigas Fereos soccorrono la Grecia, 1930c., collezione privata, p. 53
fig. 48
G. Previsan, Atena, Piazza della Stazione, Volos, fine Ottocento, Museo della fotografia, Kalamarià, p. 53
fig. 49
E. Gilliéron, Francobollo da 2 dracme, emesso dalle Poste Elleniche in occasione delle prime Olimpiadi dell’era moderna, Atene 1896, p. 54
fig. 50
Gara agli anelli, giochi olimpici di Atene, 1896, Archivio fotografico Museo Benaki, Atene, p. 54
fig. 51
N. Ghyzis, Diploma di qualificazione ai giochi olimpici di Atene, 1896, collezione Musée Olympique, Losanna, p. 54
fig. 52
Una rappresentazione di Ifigenia in Tauride allo Stadio di Atene, fotografia di fine Ottocento, collezione K. Androulidakis, Atene, p. 55
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fig. 53
Atene, arco di Adriano, 1870, foto P. Moraites Archivio fotografico Museo Benaki, Atene, p. 55
fig. 54
Atene, lato sud dell’Acropoli, 1902, immagine stereoscopica, Rizareios Foundation, Atene, p. 56
fig. 55
Atene, monumento a Lisicrate, 1907, immagine stereoscopica, Rizareios Foundation, Atene, p. 56
fig. 56
G. de Chirico. Tempio e foresta nella stanza, 1928, olio su tela, collezione privata, p. 56
fig. 57
G. de Chirico, L’enigma dell’arrivo e della sera, 1912, olio su tela, collezione privata, p. 56
fig. 58
G. de Chirico, Paesaggio romano, 1922, tempera su tela, collezione privata, New York, p. 57
fig. 59
Argo, 1900c., immagine stereoscopica, Rizareios Foundation, Atene, p. 57
fig. 60
G. de Chirico, La tour rouge, 1913, olio su tela, Peggy Guggenheim Foundation, Venezia, p. 57
fig. 61
Lefkòs Pyrgos (Torre Bianca), Salonicco, in occasione dell’abbattimento di un Zeppelin, cartolina del 1917, collezione privata, p. 57
fig. 62
L. Sochos, Monumento equestre a Theodoros Kolokotronis, 1900, piazza del vecchio Parlamento, Atene, p. 58
fig. 63
Atene, tempio di Zeus Olimpio, 1900c., imm. stereoscopica, Rizareios Foundation, Atene, p. 58
fig. 64
Lettera chirografa di Giorgio de Chirico a Dimitris Pikionis, Archivio Pikionis, Atene, p. 65
fig. 65
G. de Chirico, Ifigenia. Siparietto, 1951, olio su cartone telato, Teatro Comunale, Firenze, p. 79
fig. 66
G. de Chirico, Melanconia, 1912, Estorick Collection of Modern Italian Art, Londra, p. 84
fig. 67
G. de Chirico, Piazza d’Italia con statua, 1970, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, p. 84
fig. 68
Arianna dormiente, depositi del Museo Archeologico, Villa Corsini, Firenze, p. 84
fig. 69
C.Van Cleve, Ariane endormie, 1684-88, Giardini di Versailles, Parigi, in una foto del 1904, p. 84
fig. 70
D. Pikionis, Arianna, 1930-40, inchiostro su carta, serie Ariadni in Opere di fantasia, Archivio Pikionis, Museo Benaki, Atene, p. 85
fig. 71
G. de Chirico, Arianna dormiente, 1931, disegno su cartone, Wadsworth Atheneum Museum of Art, Hartford, Connecticut, p. 85
fig. 72
J. Steris, Arianna, 1926-30, collezione privata, Atene, p. 86
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
fig. 73
Y. Chalepàs, La dormiente, 1876, statua in marmo, Cimitero Monumentale, Atene, p. 86
fig. 74
G. de Chirico, Bagni misteriosi, 1973, olio su tela, Fondazione de Chirico, Roma, p. 89
fig. 75
G. de Chirico, I bagni misteriosi, 1934, litografia per Mythologie di Jean Cocteau, 1934, p. 89
fig. 76
Bagni della spiaggia di Ànavros, presso Volos, fotografia del 1900c., collezione K. Androulidakis. Atene, p. 89
fig. 77
Spiaggia del Faliro, cartolina di primo Novecento, Archivio fotografico Museo Benaki, Atene, p. 90
fig. 78
Bagni del Pireo, su progetto di Ziller, fotografia dei primi del Novecento, Archivio fotografico Museo Benaki, p. 90
fig. 79
G. de Chirico, L’artista davanti alla fontana dei Bagni misteriosi, 1973, Parco Sempione, Milano, p. 91
fig. 80
G. de Chirico, Fontana dei Bagni misteriosi, 1973, Parco Sempione, Milano, p. 91
fig. 81
F. Curtis, Work Chart for the 2nd Level (Quadro di loggia in secondo grado), 1801, p. 91
fig. 82
G. de Chirico, Il gallo, matita, carboncino e acquerello su carta uso mano (da Ebdòmero, Bestetti, Roma 1972), p. 94
fig. 83
L. Rabuf, I simboli del gabinetto di riflessione, da J. Boucher, La Symbolique Maçonnique, Dervy, Parigi 1948, p. 94
fig. 84
L. von Klenze, piano della città di Atene, 1834, p. 106
fig. 85
Atene nel 1861, foto d’epoca, Benaki Museum, Atene, p. 106
fig. 86
L. von Klenze, L. Kaftantzoglou: S. Dionigi Areopagita, 1844-63, Atene, p. 107
fig. 87
F. von Gärtner, Palazzo Reale, 1842, Atene, p. 107
fig. 88
S. Kleanthis, Villa sull’Ilisso della Duchessa di Piacenza, 1849, Atene, p. 107
fig. 89
C. Hansen, Centro culturale del Comune di Atene, 1835, Atene, p. 108
fig. 90
C. Hansen, Università, 1839-64, Atene, p. 108
fig. 91
T. Hansen, Accademia, 1859-87, Atene, p. 108
179
fig. 92
T. Hansen, Biblioteca, 1887-1902, Atene, p. 109
fig. 93
T. Hansen, Zappion, 1874-88, Atene, p. 109
fig. 94
T. Hansen, Zappion: peristilio, 1874-88, Atene, p. 109
fig. 95
L. Kaftantzouglou, Complesso del Politecnico, 1861-76, Atene, p. 110
fig. 96
L. Kaftantzoglou, Politecnico, corpo laterale, 1861-76, Atene, p. 110
fig. 97
L. Kaftantzoglou, Arsakion, 1846-55, Atene, p. 111
fig. 98
F.-L-.F. Boulanger,Vecchio Parlamento, 1858-71, Atene, p. 111
fig. 99
L. Lange, Museo Archeologico, 1866-89, Atene, p. 112
fig. 100
E. Ziller, Casa Schliemann, 1879, Atene, p. 112
fig. 101
E. Ziller, Teatro Regio, 1891-1901, Atene, p. 112
fig. 102
E. Ziller, Casa Stathatou, 1895, Atene, p. 113
fig. 103
E. Ziller, Casa Vasilaki, disegno di progetto, p. 113
fig. 104
Vecchio edificio, demolito, tra le vie Pireòs e Menàndrou, fotografia di primo Novecento, Atene, p. 113
fig. 105
Scorcio di piazza Lisikràtous nel quartiere di Plaka, Atene, p. 114
fig. 106
Palazzetto neoclassico a piazza Heroon, nel quartiere di Psirrì, Atene, p. 114
fig. 107
Casa Coletti, abitazione neoclassica a Plaka, Atene, p. 114
fig. 108
Atene, piazza Syntagma illuminata a festa per l’arrivo del re d’Italia, cartolina commemorativa di fine Ottocento, Museo Benaki, Atene, p. 115
fig. 109
Il Licabetto da Vasilissa Sophia, 1890c., foto d’epoca, Museo Benaki, Atene, p. 115
fig. 110
Atene dall’alto ai nostri giorni (da Atene ediz. M. Toubis, Atene 1997), p. 115
fig. 111
G. de Chirico, Composizione metafisica, 1914, olio su tela, collezione privata, p. 116
fig. 112
G. de Chirico, La casa nella casa, 1924, olio su tela, collezione privata, p. 116
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
fig. 113
G. de Chirico, La ville dans la chambre, 1927, olio su tela, collezione privata, p. 116
fig. 114
G. de Chirico, Mercurio messaggero degli dei, 1961, acquerello su carta, collezione IRI, Roma, p. 117
fig. 115
G. de Chirico, Veduta di Atene, 1970, olio su tela, Fondazione de Chirico, Roma, p. 117
fig. 116
G. de Chirico, La partenza dell’amico, olio su tela, cm. 40x50, collezione privata, p. 126
fig. 117
G. de Chirico, Autoritratto, disegno su carta, collezione privata, p. 126
fig. 118
G. de Chirico, Autoritratto metafisico, 1922, disegno su carta, collezione privata, p. 126
fig. 119
J. Bouzianis, Ritratto maschile, 1919, olio su tela, Pinacoteca, Rodi, p. 127
fig. 120
J. Bouzianis, Autoritratto, 1920c., olio su tela, collezione Bouzianis, Atene, p. 127
fig. 121
J. Bouzianis, Ritratto maschile, 1920c., disegno su carta, collezione privata, p. 127
fig. 122
J. Bouzianis, Ritratto maschile, 1927, acquerello su cartoncino, collezione privata, p. 127
fig. 123
J. Bouzianis, Ritratto di Hans Weigl rettore di Eichenau, 1927, olio su tela, collezione privata, p. 128
fig. 124
S. Kantzikis, Eva, s.d., dal catalogo della mostra allo Zappion, Atene 1949, p. 128
fig. 125
Quadro dei risultati finali a. a. 1903/04 alla scuola di Belle Arti di Atene/Metsòvion Politechneìon, Archivio Xidis, Rethymnon (Creta), p. 129
fig. 126
Lettera di Jorgos Bouzianis a Nikos Santorineos, Parigi, 3 ottobre 1930, collezione K. Androulidakis, Atene, p. 129
fig. 127
G. de Chirico, Ritratto di Paul Guillaume, 1915, olio su tela, Musée d’Art Moderne de La Ville de Paris, Parigi, p. 135
fig. 128
G. de Chirico, La signorina Amata, 1920, tempera su tavola, collezione privata, p. 135
fig. 129
N. Chatzikiriakos-Ghikas, Ritratto di Stratis Eleftheriadis (Tériade), 1925, olio su tela, perduto, p. 135
fig. 130
F. Kòndoglou, Ritratto del fratello Antonio, 1928, olio su tavola, collezione privata, p. 135
fig. 131
F. Kòndoglou, pagina disegnata a mano, da Astrolàvon, 1934, p. 136
181
fig. 132
G. de Chirico, Gladiatori (Personaggi antichi in una stanza), 1932, olio su tela, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, p. 136
fig. 133
F. Kòndoglou, I Quaranta martiri, 1959c., pittura murale, Pinacoteca Nazionale, Atene, p. 136
fig. 134
G. de Chirico, Bagni misteriosi, 1934, olio su tela, collezione privata, p. 136
fig. 135
F. Kòndoglou, Bruto, 1937-38, pittura murale, Municipio di Atene, p. 137
fig. 136
F. Kòndoglou, Le figlie di Licomede, 1937-38, pittura murale, Municipio di Atene, p. 137
fig. 137
F. Kòndoglou, Ciclo di Teseo (particolare), 1937-38, pittura murale, Municipio di Atene, p. 137
fig. 138
F. Kòndoglou, Scenografia per il Sacrificio di Abramo, 1929, fotografia, Museo e Centro studi del Teatro greco, Atene, p. 138
fig. 139
G. de Chirico, Decorazione casa Rosenberg, 1928-29, fotografia da “Vogue”, Parigi 1929, p. 138
fig. 140
F. Kòndoglou, Ercole e Acheloo, 1937-38, pittura murale, Municipio di Atene, p. 139
fig. 141
F. Kòndoglou, Teseo e Scirone, 1937, carboncino su carta, collezione privata, p. 139
fig. 142
G. de Chirico, Gladiatori nella stanza, 1928-29, olio su tela, collezione privata, p. 139
fig. 143
G. de Chirico, Combattimento di gladiatori, 1927, olio su tela, collezione privata, p. 139
fig. 144
Theophilos, Eracle, 1928-30, pittura murale, Pinacoteca Nazionale, Atene, p. 140
fig. 145
G. de Chirico, Leone e gladiatori 1927, olio su tela, The Detroit Institute of Art, Detroit, p. 140
fig. 146
Theophilos, Hermes, 1912, pittura murale, casa Kondos,Volos, p. 140
fig. 147
G. de Chirico, Ippolito e i suoi amici (part.), 1963, olio su tela, Fondazione de Chirico, Roma, p. 140
fig. 148
D. Pikionis, La festa di S. Nicola ad Egina, 1940-50, acquerello su cartone, archivio Pikionis, Museo Benaki, Atene, p. 149
fig. 149
G. de Chirico, Il ritorno di Ulisse, 1973, olio su tela, Fondazione de Chirico, Roma, p. 149
fig. 150
G. de Chirico, L’enigma del cavallo, 1914, acquerello, matita e tempera su cartone, collezione privata,
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
p. 149 fig. 151
G. de Chirico, Il cattivo genio di un re, 1914, olio su tela, Museum of Modern Art, New York, p. 150
fig. 152
N. Chatzikiriakos-Ghikas, Giocattoli nell’atelier di via Kriezotou, 1935, inchiostro su carta, Archivio Ghikas, Museo Benaki, Atene, p. 150
fig. 153
Torre dei venti ad Atene, 1854, fotografia d’epoca, MuseoBenaki, p. 150
fig. 154
G. de Chirico, Il tributo dell’oracolo (particolare), 1913, olio du tela, The Philadelphia Museum of Art, Filadelfia, p. 150
fig. 155
K. Vrieslander, Il teatro delle Ombre, xilografia, 1935, p. 151
fig. 156
K. Vrieslander, Fondale del Karaghiozis, xilografia, 1935, p. 151
fig. 157
G. de Chirico, Mistero e malinconia di una strada, 1914, olio su tela, collezione privata, p. 151
fig. 158
G. de Chirico, L’ombra di Leonida, 1930, litografia per i Calligrammes di Apollinaire, p. 151
fig. 159
G. de Chirico, L’estasi, 1968, olio su tela, collezione privata, p. 151
fig. 160
K. Vrieslander, MegAlèxandros, xilografia, 1935, p. 152
fig. 161
K. Vrieslander, Sor Nionios, xilografia, 1935, p. 152
fig. 162
K. Vrieslander, Omorfoniòs, xilografia, 1935, p. 152
fig. 163
K. Vrieslander, Tre modi di rappresentare il mare, xilografia, 1935, p. 152
fig. 164
G. de Chirico, Mobili nella valle (particolare), 1929, olio su tela, collezione privata, p. 153
fig. 165
G. de Chirico, La méditation automnale (particolare) 1912, collezione privata, p. 153
fig. 166
K. Vrieslander, Fondale del Karaghiozis, xilografia, 1935, p. 153
fig. 167
K. Vrieslander, Fondale del Karaghiozis, xilografia, 1935, p. 153
fig. 168
G. de Chirico, L’arrivo del Centauro dalla serie I bagni misteriosi, litografia per Mythologie di Jean Cocteau, 1934, p. 153
183
fig. 169
Theophilos, Paesaggio, 1928, Museo Theophilos, Mitilene, p. 154
fig. 170
G. de Chirico, Sole e luna, 1972, tempera su carta, collezione privata, p. 154
fig. 171
Theophilos, Artemide (particolare), 1928c., Atene, Pinacoteca Nazionale, Atene, p. 155
fig. 172
G. de Chirico, Niobe addolorata, 1921, tempera su tavola, coll. privata, p. 155
fig. 173
N. Engonopoulos, Casa ad Atene, 1937, collezione privata, p. 155
fig. 174
N. Engonopoulos, Casa al Pireo con statua vestita, 1949, tempera su carta, collezione privata, p. 155
fig. 175
N. Engonopoulos, Bozzetto teatrale, 1958, collezione privata, p. 156
fig. 176
N. Engonopoulos, Kafenìon - I gagliardi, 1956, china e acquerello su carta, collezione privata, p. 156
fig. 177
N. Engonopoulos, Il poeta Mavìlis, 1961, inchiostro e acquerello su carta, collezione privata, p. 156
fig. 178
G. de Chirico, Il figliol prodigo (L’enfant prodigue), 1926, olio su tela, collezione privata, p. 157
fig. 179
N. Engonopoulos, Alessandro, Filippo e i Greci senza gli Spartani, 1963, olio su tela, collezione privata, p. 157
fig. 180
N. Chatzikiriakos-Ghikas, Case di Atene II, 1928, olio su tela, collezione privata, p. 157
fig. 181
G. de Chirico, Autoritratto (Et quid amabo nisi quod metaphysica rerume est?), 1919 (part. e insieme), olio su tela, collezione privata, p. 157
fig. 182
N. Chatzikiriakos-Ghikas, Acropoli, Propilei, 1927-28, olio su tela, collezione privata, p. 158
fig. 183
N. Chatzikiriakos-Ghikas, Acropoli, Eretteo, 1927-28, olio su tela, collezione privata, p. 158
fig. 184
G. de Chirico, Tempio nella stanza (Les conjonctures cruelles), 1927, olio su tela, collezione privata (già coll. Paul Guillaume), p. 158
fig. 185
N. Chatzikiriakos-Ghikas, Cabine a Glyfada, 1936, disegno a matita, china e acquerello su carta, collezione Ghikas, Museo Benaki, Atene, p. 158
fig. 186
N. Chatzikiriakos-Ghikas, Panorama di Atene, 1940, olio su tela, collezione privata, p. 158
fig. 187
Le Corbusier, Acropoli, 1911, disegno a matita su carta, dal Carnet de Voyage en Grèce, p. 169
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
fig. 188
N. Chatzikiriakos-Ghikas, Acropoli, Partenone, 1927-28, olio su tela, collezione privata, p. 169
fig. 189
D. Pikionis, Senza titolo, 1940c., inchiostro su carta, dalla serie Attica in Opere di Fantasia, Archivio Pikionis, Museo Benaki, Atene, p. 169
fig. 190
G. de Chirico, L’enigma dell’oracolo, 1910, olio su tela, collezione privata, p. 172
fig. 191
Nelly (Elli Souyoultzoglou-Seraidari), Nikolska, dalla serie fotografica Nudi dell’Acropoli, 1929, Museo Benaki, Atene, p. 172
fig. 192
La Tessaglia, carta geografica greca, 1881, collezione K. Androulidakis, Atene, p. 173
fig. 193
G. de Chirico, La melanconia della partenza, olio su tela, collezione privata, p. 173
fig. 194
Lungomare di Volos, cartolina del 1906, collezione privata, p. 174
fig. 195
A. Savinio, La mère bleue, 1927, olio su tela, collezione privata, p. 174
185
Indice degli artisti e delle opere in elenco BONANOS Jorgos (Cefalonia 1863-Atene 1940): fig. 15 BOULANGER François-Louis-Florimond (Douai 1807-Parigi 1875): fig. 98 BOUZIANIS Jorgos (Atene 1885-1959): figg. 119, 120, 121, 122, 123 CHALEPÀS Yannoulis (Tinos 1851-Atene 1938): fig. 73 CHATZIKIRIAKOS-GHIKAS Nikos (Atene 1906-1994): figg. 129, 152, 180, 182, 183, 185, 186, 188 CLEVE (van) Corneille (Parigi 1645-1732): fig. 69 CURTIS F. (Gran Bretagna XVIII-XIX sec.): fig. 81 DE CHIRICO Evaristo (Costantinopoli 1841-Atene 1905): figg. 1, 2, 5, 7 DE CHIRICO Giorgio (Volos 1888-Roma 1978): figg. 4, 6, 12, 21, 23, 27, 29, 34, 35, 40, 41, 43, 46, 56, 57, 58, 60, 65, 66, 67, 71, 74, 75, 79, 80, 82, 111, 112, 113, 114, 115, 116, 117, 118, 127, 128, 132,134, 139, 142, 143, 145, 147, 149, 150, 151, 154, 157, 158, 159, 164, 165, 168, 170, 172, 178, 181, 184, 190, 193 DE CHIRICO ANDREA (v. SAVINIO Alberto) ENGONOPOULOS Nikos (Atene 1910-1985): figg. 173, 174, 175, 176, 177, 179 FILIPPOTIS Dimitrios (Tinos 1839-Atene 1919): fig. 13 GÄRTNER (von) Friedrich (Coblenza 1791-Monaco di Baviera 1847): fig. 87 GHYZIS Nikòlaos (Tinos 1842-Monaco di Baviera 1901): figg. 19, 22, 51 GILLIÉRON Emile (Villeneuve, Svizzera 1850-Atene 1924): fig. 49 HANSEN Christian (Copenaghen 1803-1883): figg. 89, 90 HANSEN Theophilus (Copenaghen 1813-Vienna 1891): figg. 91, 92, 93, 94 JAKOVIDIS Jorgos (Lesbo 1853-Atene 1932): figg.18, 20 KAFTANZOGLOU Lýsandros (Salonicco 1811-Atene 1885): figg. 86, 95, 96, 97
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
KANTZIKIS Stavros (Atene 1855-1958): fig. 124 KLEANTHIS Stamatios (Tessaglia 1802-Atene 1862): fig. 88 KLENZE (von) Leo (Bockenem 1784-Monaco di Baviera 1864): figg. 84, 86 KÒNDOGLOU Fotis (Ayvalik/Aïvalì 1895-Atene 1865): figg. 130, 131, 133, 135, 136, 137, 138, 140, 141 LANGE Ludwig (Darmstadt 1808-Monaco di Baviera 1868): fig. 99 LE CORBUSIER (Jeanneret Ch.Edouard, La Chaux-de-Fonds 1887-Roquebrune-Cap Martin 1965): fig. 187 NELLY (Elli Souyoultzoglou-Seraidari, Aidini 1899-Atene 1998): fig. 191 PIKIONIS Dimitris (Pireo 1887-Atene 1968): figg. 24, 25, 26, 28, 70, 148, 189 PREVISAN G. (Italia XIX sec.): fig. 48 RABUF Luÿs (Francia XX sec.): fig. 83 RALLIS Theòdoros (Costantinopoli 1852-Losanna 1909): fig. 17 ROÏLÒS Jorgos (Arcadia 1867-Atene 1928) : fig. 16 SAVINIO Alberto (Andrea de Chirico, Atene 1891-Roma 1952): figg. 8, 195 SOCHOS Lazaros (Tinos 1862-Atene 1911): figg. 14, 62 STERIS Jerasimos (Cefalonia 1898-New York 1987): fig. 72 SOUYOULTZOGLOU-SERAIDARI Elli (v. NELLY) THEOPHILOS Chatzimichaìl (Lesbo 1870?-1934): figg. 47, 144, 146, 169, 171, TSOKOS Dionysios (Zante 1814/1820-Atene 1862): fig. 45 VOLANAKIS Kostantinos (Iraklion, Creta 1837-Pireo 1907): figg. 9, 10, 11 VRIESLANDER Klaus (Germania 1900?-1944): figg. 155, 156, 160, 161, 162, 163, 166, 167 ZILLER Ernst (Oberlößnitz-Radebeul 1837-Atene 1923): figg. 100, 101, 102, 103
187
Il piccolo Giorgio vestito da euzono, Atene 1891c. Fondazione de Chirico, Roma
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
Certificato di battesimo di Giorgio de Chirico, presso la chiesa cattolica dell’Immacolata Concezione a Volos. Il documento, redatto in latino, al n. 117 di ruolo, anno 1888, alla voce Georgius Joseph Evaristi De Chirico recita: Anno Domini 1888 die 29 Julii Ill.mus Dominus Franciscus Maria Canonicus Braggiotti Cubicularius ad honorem S. S. de mei consensu baptizavit infantem natum in hac civitate die 10 huius ex Evaristo De Chirico Italo et Gemma Cervetto conjugibus huius Parœciae, cui imposita sunt nomina Joseph Maria Albertus Georgius. Patrini fuerunt Carolus Coustenoble et Adelaides Evaristi De Chirico Joannes F. Dalesio Miss. Ap.licus et Parochus Nell’anno del Signore 1888 il giorno 29 luglio, l’ill.mo Canonico signor Francesco Maria Braggiotti, Cubiculario ad onore della S. S. con il mio consenso ha battezzato il bimbo nato in questa città il giorno 10 di questo mese da Evaristo De Chirico italiano e Gemma Cervetto coniugi di questa parrocchia, al quale sono stati dati i nomi: Giuseppe Maria Alberto Giorgio. Padrini sono stati Charles Coustenoble e Adelaide di Evaristo De Chirico. Giovanni F. Dalesio Messo Apostolico e Parroco
189
GIORGIO DE CHIRICO (Volos 1888–Roma 1978) NOTE BIOGRAFICHE 1888-1898 Giuseppe Maria Alberto Giorgio de Chirico nasce a Volos, in Tessaglia, regione situata ai confini del nordest della Grecia, il 10 luglio 1888, da Evaristo (figlio di diplomatici dalmati trapiantati a Costantinopoli) e Gemma Cervetto (cantante d’operetta nata a Smirne e sangue greco-turco-italiano nelle vene). La famiglia de Chirico trascorre a Volos questi primi anni di vita di Giorgio, durante i quali Evaristo segue i lavori per la costruzione della ferrovia della Tessaglia. Sul finire del 1890 si trasferiscono per la prima volta ad Atene, dove a marzo del 1891 muore la sorellina di Giorgio, Adelaide (nata nel 1884 aveva sette anni), e il 25 agosto nasce il fratello Andrea. Quest’ultimo scriverà poi: “grande privilegio essere nati all’ombra del Partenone…si riceve in eredità una generatrice di luce interna e un paio di occhi trasformatori…”. Al rientro a Volos (1896) i due ragazzi cominciano la loro formazione anche artistica, sempre sotto il rigido, gesuitico e puritano sguardo dei genitori, “questa corazza di gelo, questo divieto d’amore” (Savinio). Giorgio si appassiona al disegno grazie ai precetti del suo primo maestro, l’ingegnere Kostantinos Mavrudìs. Alla fine del 1898 la famiglia de Chirico torna ad Atene. 1899-1908 Nella Capitale greca Andrea studia musica, mentre Giorgio, dopo un anno al liceo Leonino, si iscrive al Politecnico. I corsi sono svolti dai maggiori artisti greci dell’epoca (da Jakovidis a Ghyzis) tutti appartenenti alla cosiddetta Scuola di Monaco, data la loro formazione nel capoluogo bavarese. Grazie ad essi de Chirico affina le sue doti disegnative e familiarizza con i grandi artisti della tradizione simbolista tedesca: Böcklin, Klinger, von Marées. Al Politecnico conosce Dimitris Pikionis, studente d’ingegneria (“una profonda intelligenza da metafisico”), Kantzikis (“veramente eccezionalmente dotato”) e Jorgos Bouzianis, compagni di corso. Sarà bocciato all’esame finale nel luglio del 1906: “la scossa nervosa in seguito alla morte di mio padre…[aveva fatto] subentrare in me una stanchezza, una malinconia…che influirono notevolmente sul mio lavoro”. Il padre era morto nel 1905. Non c’è più ragione di restare in Grecia: come gli Argonauti dall’antica Jolco, i fratelli de Chirico e Gemma partono dall’ odierna Volos. Dopo un brevissima sosta a Corfù, ospiti del cugino Lorenzo Mabili y Buligny, passando per l’Italia (Venezia, Milano, forse Firenze) arrivano a Monaco, che, come d’uso presso la borghesia colta ellenica, è meta cui si guarda per gli studi di formazione (ricordiamo che la Grecia era retta da una monarchia di casato tedesco). Monaco: la città che per quel “certo qual ordine” e “una certa quale comodità”, con strade in cui “in nessun luogo si vedevano spazzature”, fa dire a Giorgio “è il paradiso, il paradiso sulla terra”, salvo poi notare come “non tutto era così bello e soprattutto così buono come in un primo tempo avevo pensato”. All’Accademia di Belle Arti Giorgio ritrova gli esempi pittorici che ha imparato ad amare ad Atene. A Monaco arrivano anche gli amici del Politecnico, con i quali si riunisce di nuovo. Dipinge i primi quadri enigmatici e böckliniani (Enigma dell’oracolo, 1908) 1909-1911 Primavera del 1909: de Chirico raggiunge la madre e il fratello, che nel frattempo si sono trasferiti a Milano. Comincia una fase importante per la genesi delle teorie metafisiche: in questo periodo de Chirico matura alcune intuizioni, stimolato dalle idee del fratello, da certe sue composizioni per il teatro. Leggono appassionatamente Nietzsche e Schopenauer. E’ anche l’anno della celebre invenzione letteraria, scritta da de Chirico per spiegare la genesi della metafisica: “In un chiaro pomeriggio d’autunno ero seduto in una panchina
Il profilo greco di Giorgio de Chirico
nel mezzo di Piazza Santa Croce a Firenze. Non era la prima volta che vedevo questa piazza. Ma ero uscito appena da una lunga e dolorosa malattia intestinale e mi trovavo in uno stato di sensibilità quasi morbida. La natura intera, fino al marmo degli edifici e delle fontane mi sembrava in convalescenza”. E’ il racconto della rivelazione in piazza S. Croce a Firenze da cui nasce L’enigma di un pomeriggio d’autunno. L’architettura di Firenze lo colpisce moltissimo, soprattutto la cupola del Brunelleschi. Gli è compagna la lettura di Nietzsche. In estate, con la madre lascia Firenze e, dopo una breve sosta a Torino raggiunge il fratello, che si trova già da sei mesi a Parigi. Torino, come Firenze e poi Ferrara e Roma, alimentano l’immaginazione artistica e lo sguardo metafisico del pittore, che nelle architetture di quelle città, negli archi e nelle vòlte, trova quasi il corrispettivo reale della “porta carraia” dell’eterno ritorno nietzscheano. Su Torino, in particolare, scriverà: “Confesso, in verità, che devo molto anche a Federico Nietzsche…Il suo Ecce Homo, scritto a Torino prima di precipitare nella follia, mi ha aiutato molto a capire la bellezza così particolare di questa città”, città dove “tutto è apparizione. Si esce su una piazza e ci si trova di fronte un uomo in pietra che ci guarda come solo le statue sanno guardare”, Torino: “la città quadrata dei re vittoriosi, delle grandi torri e delle piazze soleggiate”.
1912-1914 A Parigi Giorgio e Andrea vengono accolti dai circoli diplomatici franco-ellenici e frequentano l’ambiente musicale d’avanguardia greco. Grazie a questa colonia greca di Parigi (soprattutto tramite il critico musicale greco Michalis Dimitris Calvocoressi) de Chirico espone per la prima volta. L’occasione è il Salon d’Automne, al Grand Palais, dove presenta, oltre all’Autoritratto, l’Enigma dell’oracolo e L’Enigme d’un après-midi d’automne, destando l’interesse della critica. Conosce Apollinaire e comincia a frequentare gli artisti che gravitano attornoall’intellettuale: Braque, Brancusi, Max Jacob, Derain e Picasso, che chiamava Giorgio “peintre des gares”, il pittore delle stazioni. Sempre nel ’12 incontra di nuovo l’amico Dimitris Pikionis, con il quale discute di metafisica e a cui mostra per la prima volta i quadri poi esposti al Salon. In quest’arco di tempo inizia a lavorare alla serie delle Piazze d’Italia e infittisce il sodalizio con Apollinaire. Quest’ultimo contribuisce alla divulgazione e alla comprensione dell’opera del maestro, facendo uso del termine “metafisico”. Inizia il ciclo dei Manichini. 1915-1918 La Grande Guerra. “Apollinaire si era precipitato ad arruolarsi, ma egli fece questo non tanto per amore della Francia…quanto perché egli aveva delle origini molto imbrogliate ed oscure…egli anelava quindi ad appartenere ad un Paese, ad una razza, ad avere un passaporto in regola…anche io e mio fratello…ingenuamente allora abbiamo pensato che presentandoci alla chiamata alle armi…avremmo cambiato qualche cosa” (G. de Chirico, Memorie) Dal distretto di Firenze, i “soldati semplici” Giorgio e Andrea (che dal ’14 ha assunto lo pseudonimo di Alberto Savinio) vengono mandati a Ferrara: “una delle città più belle d’Italia…ma quello che mi colpì soprattutto e m’ispirò nel lato metafisico…erano certi aspetti di interni ferraresi, certe vetrine, certe botteghe, certe abitazioni, certi quartieri, come l’antico ghetto”. A seguito di una crisi è ricoverato all’Ospedale militare, dove conosce Carlo Carrà. Prosegue l’attività intellettuale. Entra in contatto con l’ambiente dada per poi immergersi totalmente nel fascino alchemico ed esoterico di Ferrara, frequentando poeti e artisti come Corrado Govoni (cui dedica la poesia Il signor Govoni dorme) e Filippo de Pisis. Delle amicizie fiorentine, invece, bisogna ricordare i rapporti mantenuti con Giovanni Papini (traduttore di Nietzsche in Italia).
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1919-1924 Terminata la guerra, anche il panorama artistico rimedita su stesso e sulle sue ferite. Il motto di de Chirico, Pictor classicus sum, suona come biblico monito che decreta la fine del caos futurista e il principio del ritorno al mestiere. A Roma collabora con Mario Broglio alla neonata rivista “Valori Plastici”. La mostra alla Galleria Bragaglia nel febbraio 1919 ha scarso successo e di essa resta celebre la stroncatura del critico d’arte Roberto Longhi, con l’articolo Al dio ortopedico. 1925-1929 Nel novembre del 1924 va a Parigi, e partecipa alla fondazione de “La Révolution Surréaliste”, la rivista di André Breton. “Il momento in cui vidi per la prima volta la riproduzione del quadro di de Chirico Le Chant d’Amour fu uno dei più emozionanti della mia vita: i miei occhi videro il pensiero per la prima volta” è il commento di Magritte. I rapporti con i surrealisti sono però destinati a frantumarsi in aspre polemiche, soprattutto in seguito ai quadri esposti, nel 1925, presso la galleria di Léonce Rosenberg e presi da Breton a esempio della “degenerazione” della pittura dechirichiana. Sempre per Rosenberg decorerà la casa con il ciclo dei Gladiatori. A Roma nel 1925 conosce la prima compagna, l’attrice russa Raissa Gurievich Krol, di cui sono gustose le descrizioni della “terribile baronessa” Gemma Cervetto. Nel 1928 esce Le Mystère laïc di Jean Cocteau, profonda analisi dell’opera dell’artista e nel 1929 esegue le litografie per i Calligrammes di Apollinaire e pubblica il romanzo Hebdòmeros, in lingua francese. L’edizione italiana uscirà nel 1942, per la Bompiani. 1930-1935 Espone alla Galleria Milano con Campigli, de Pisis, Paresce, Savinio, Severini e Tozzi nella Prima mostra di Pittori italiani di Parigi, presentati da Waldemar George e nel ’32 alla Biennale di Venezia nella sala degli “Italiani di Parigi”, presentata da Gino Severini. Nel ’31 conosce Isabella Pakszwer, immigrata bielorussa ebrea, che sposerà nel 1946 e sarà la sua compagna per il resto della vita. Trasferitisi in Italia, vivono tra Firenze e Milano, lavora molto per il teatro. Nel 1933 partecipa con artisti del calibro di Sironi, Funi, Campigli e Severini alle grandi decorazioni murali per la V Triennale di Milano. Il tema generale è L’Italia nelle sue manifestazioni più nobili e varie, lo scopo: conciliare le esigenze del monumentalismo con il problema del mestiere e della ripresa delle antiche tecniche artistiche. In realtà l’esperimento fallisce dal punto di vista tecnico, suscitando comprensibili polemiche. De Chirico per l’occasione esegue un dipinto con la tecnica della tempera all’uovo, intitolato Cultura italiana: “Questo mio lavoro riuscì benissimo ed era anche d’un bell’effetto, malgrado che il pittore Sironi mi avesse attaccato davanti certi giganteschi lampadari di stile cubista che sembravano colossali scaldabagni e mi avesse, per sopramercato, messo in mezzo al mio affresco un mosaico di Severini che ci stava come i cavoli a merenda…Dopo la chiusura dell’esposizione furono distrutte tutte le pitture di quella sala, probabilmente perché non ardirono, ché sarebbe stato troppo scandaloso, distruggere solo la mia”. 1936-1938 “A Nuova York il soffio di metafisica più potente si sprigiona dall’architettura; questa è la cosa più sorprendente e, non fosse che per questo, vale la pena di attraversare l’Oceano e di soffrire il mal di mare”. Nell’agosto del 1936 parte per gli Stati Uniti. Ospite del collezionista Barnes (del quale scriverà un articolo ridimensionando decisamente il valore della sua celebre collezione d’arte) espone con successo di pubblico e di critica alla Pierre Matisse Gallery e – nel ’37 e nel ’38 – alla galleria Julien Levy. Espone i Bagni Misteriosi (e in
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questa occasione scrive il brano relativo alla loro genesi, unico documento d’epoca in merito). Lavora come illustratore per le riviste “Vogue” e “Harper’s Bazaar”. Nel 1937 è raggiunto dalla notizia della morte della madre. 1938-1959 Dopo la parentesi americana, lavora a contatto con la Galleria Il Milione di Milano. Alla fine di giugno del 1938 va a Londra, per la personale alla galleria Lefevre e per lo spettacolo al Covent Garden, di cui ha curato scenari e costumi. “Vissi durante il mio soggiorno a Londra ore di profonda emozione metafisica, specialmente nei pomeriggi di domenica in cui andavo a passeggiare solo, lungo il Tamigi, fermandomi davanti agli uffici chiusi delle Società di Navigazione…fermandomi davanti ai magazzini…”. Alla fine del ‘38 è a Parigi, dove è in gestazione il periodo “barocco” della sua pittura. Allo scoppio della guerra tra Francia e Germania, torna in Italia. Continua a scrivere le sue meditazioni sull’arte, con accenti sempre più polemici nei confronti dei pittori moderni, assieme (o, a volte, sotto il nome di) la compagna Isabella Far. D’altro canto la critica continua i suoi attacchi, non riuscendo a comprendere la scelta di questo nuova maniera barocca dei numerosi autoritratti in abiti del Seicento (costumi che de Chirico affittava al Teatro dell’Opera di Roma). Tra il 1940 e il ’41 si dedica alle sculture, espone all’estero (Londra, New York, Città del Messico) e pubblica Il signor Dudron e l’importantissimo saggio sulla scultura Brevis Pro Plastica Oratio. Durante l’occupazione tedesca, con Isabella si nasconde in Toscana e a Roma. Dal ‘44 si stabilisce definitivamente nella Capitale. Pubblica Memorie della mia vita. Nel 1946 comincia il grande problema dei “falsi”, dopo che la galleria Allard, a Parigi espone una serie di dipinti del maestro in realtà per gran parte eseguiti dal surrealista spagnolo Oscar Dominguez. Compra l’attico a Piazza di Spagna, oggi sede della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico. Nel 1950 organizza la prima Antibiennale di Venezia, i cui fini sono precisati nel catalogo con l’esplicito titolo Museo degli orrori. Dichiarazione Biennale a fuoco. Il 5 maggio 1952 muore Alberto Savinio: “mio fratello conservava ancora quel sorriso tra leggermente ironico e un po’ sprezzante che gli conoscevo e che era anche il sorriso dell’uomo eccezionale che sa”. Da quel momento Giorgio indosserà sempre una cravatta nera. 1960-1969 Gli anni trascorrono tra polemiche, problema dei falsi, volute retrodatazioni o autofalsificazioni, lavori per opere teatrali, quadri neometafisici e mostre in tutto il mondo. Sul finire degli anni Sessanta si dedica alle sculture in bronzo, con i temi di sempre (ettori e andromache, manichini, cavalli). 1970-1978 A Milano viene organizzata la Mostra Antologica (Palazzo Reale, aprile-maggio 1970) curata da Franco Russoli e Wieland Schmied, poi presentata alla Kunsthalle di Hannover. Nel ‘71 esce il primo volume del Catalogo Generale di Giorgio de Chirico, curato dall’artista e da Claudio Bruni Sakraischick (i volumi saranno in totale otto). Numerose sono le mostre in tutto il mondo, fino al Giappone (Tokyo, Kyoto, Nagoya). Nel 1973 realizza la curiosa Fontana I Bagni Misteriosi al Parco Sempione, in occasione della XV Triennale di Milano (mostra Contatto Arte/Città). Nello stesso anno torna ad Atene, per assistere all’Orfeo ed Euridice di cui ha curato scenografia e costumi. Nel 1974 è nominato Accademico di Francia e l’anno successivo il Musée Marmottan di Parigi gli dedica un’importante antologica.
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Dopo un lungo ricovero in ospedale, si spegne a Roma il 20 novembre 1978 ed è sepolto, in una tomba anonima, a S. Francesco a Ripa, nel quartiere Trastevere. Quattro mesi prima il Campidoglio aveva celebrato i novant’anni del Grande Metafisico.
Giorgio de Chirico e la moglie Isabella Far ad Atene nel 1973 sul percorso tra gli ulivi, lastricato (in basso) da Dimitris Pikionis
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BIBLIOGRAFIA Parte degli scritti raccolti nel presente volume, qui riveduti ed ampliati, sono stati singolarmente pubblicati nell’ambito di precedenti edizioni e di seguito se ne riporta il riferimento bibliografico RITRATTO DI FAMIGLIA: EVARISTO DE CHIRICO M. Santoro in V. Trione, El siglo de Giorgio de Chirico. Metafisica y arquitectura, catalogo della mostra, Institùt Valencià d’Art Modern, Valencia (Spagna) 18 dicembre 2007-17 febbraio 2008, Skira, Milano 2007, pp. 422-423 DALLA GRECIA IL MUSEO “DOMESTICO” DI GIORGIO DE CHIRICO M. Santoro in M. Ursino, De Chirico e il museo, catalogo della mostra, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma 20 novembre 2008–25 gennaio 2009, Electa, Milano 2008, pp. 194-203 LETTERA DI GIORGIO DE CHIRICO A DIMITRIS PIKIONIS con una nota di Michela Santoro. “Ma allora lei è greco!” De Chirico neoellenico, un contributo M. Santoro in “Quaderni di Metafisica”, n. 7/8, 2007-2008, Le Lettere, Firenze 2009, pp. 580-588 IMMAGINI DI CITTÀ. GEOGRAFIE INTERIORI DI GIORGIO DE CHIRICO, ALBERTO SAVINIO, DIMITRIS PIKIONIS M. Santoro in AA.VV., Ripensare le immagini, a cura di G. Di Giacomo, Carocci Editore, Roma 2010, pp. 229-244 IL MITO NIETZSCHEANO DELL’ARIANNA: UN ENGRAMMA NEL REPERTORIO ICONOGRAFICO NEOGRECO E DECHIRICHIANO M. Santoro in “Engramma”, n. 78, Marzo 2010 http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=437 BAGNI MISTERIOSI M. Santoro in A. Sbrilli, A. De Pirro, Ah che rebus! Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in Italia, catalogo della mostra, Palazzo Poli, Roma 16 dicembre 2010-8 marzo 2011, Mazzotta, Roma 2010, pp. 70-72 IL GALLO M. Santoro, testo per il pannello espositivo alla mostra Ah che rebus! Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in Italia, a cura di A. Sbrilli e A. De Pirro, op. cit. PASSEGGIATE ATENIESI DI PRIMO NOVECENTO DELLO STUDENTE D’ACCADEMIA GIORGIO DE CHIRICO M. Santoro in “Engramma”, n. 93, settembre/ottobre 2011 http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=783
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FONTI D’ARCHIVIO ATENE Archìa neoellinikìs Architectonichìs (Archivi dell’architettura neogreca) Museo Benaki Architettura neoclassica di Atene, progetti e rilievi architettonici: S. Kleanthis, L. von Klenze, fratelli C. e T. Hansen, E. Ziller Archìa Musìo tis Pòleos ton Athinòn (Museo della Città di Atene) Architettura neoclassica di Atene, progetti e rilievi architettonici: S. Kleanthis, E. Ziller, F. von Gartner, L. Lange Fotografikà Archìa (Archivio fotografico), Museo Benaki Fotografie d’epoca della Grecia tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, in particolare vedute di Atene Archìo Pikionis (Archivio Pikionis), Museo Benaki Documentazione iconografica di Dimitris Pikionis: progetti architettonici; opere grafiche (disegni e dipinti) Archìo Pikionis Gheorghìou-Venetas (Archivio Pikionis Gheorghìou-Venetas) Archivio cartaceo Dimitris Pikionis: scritti Carteggio Pikionis: Lettera in neogreco di Giorgio de Chirico a Pikionis, Parigi 1912 Rivista “Exonì”, serie completa, Athina 1950-1955 Rivista “Filikì Eterìa”, serie completa anno I, Athina 1925 “Elèftero Vìma” (“Tribuna libera”), 15 gennaio 1938 Archìo Chatzikiriakos-Ghikas (Archivio Chatzikiriakos-Ghikas) Museo Benaki Documentazione cartacea ed iconografica sulla Ghenià tou Trianda: Tériade, Peintres nouveaux, Kyriaco Ghika in “Cahiers d’Art”, n. 6, Paris 1927 Rivista “To trito mati” (Il terzo occhio), serie completa, quattro numeri, Athina 1935-1937 Le Corbusier, Theophilos , in “Voyage en Grèce” n. 4, Paris 1936 Carteggio Ghikas-Pikionis: Lettera di Pikionis a Ghikas, Zagoràs 1939 N. Chatzikiriakos-Ghikas, I giochi di odòs Eòlou, 1935, inchiostro su carta A’ Ekthesis afieromèni is tin Tèchni tis Neoellinikìs Paradòseos (Prima mostra di Arte popolare neogreca), catalogo della mostra, Ethousa Strategopoùlou, 15-30 ianuariou, Athina 1938 N.Chatzikiriakos-Ghikas, Perì ellinikìs tèchnis (Sull’arte greca) in “Nèon Kràtos”, 5, gennaio 1938, Athina 1938 N. Chatzikiriakos-Ghikas, Giorgio de Chirico in “Nea Estìa”, n. 41, Athina 15 giugno 1947 Archìo Angelikì Chatzimichali, Kèntro Tekmirìosis Laïki Tèchni (Centro Studi di Arte Popolare, Museo dell’Artigianato): D. Pikionis, Archontikà Kastoriàs (Case signorili di Kastoriàs), Chorighìa Ethnikoù Idrìmatos, Athina 1948
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M. Zagorissiou, Y. Yannoulellis, Spìtia tis Zagoràs Pìliou (Case di Zagorà, Pelio), Chorighìa Ethnikoù Idrìmatos, Athina 1949 Archìa ΑΣΚΤ (Archivi della Scuola di Belle Arti): Documentazione iconografica insegnanti e studenti del Politecnico J. Jakovìdis, Nudo maschile, 1877 Archìa Ethnikì Pinakothìki (Archivi della Pinacoteca Nazionale) Depositi della Pinacoteca, documenti Arte neogreca XIX secolo J. Jakovidis, nudi maschili, disegni già coll. Jakovidis, 1878-1882c. Kèntro Ellinikìs Paràdosis (Centro della Tradizione greca) Stampe, fotografie d’epoca, pubblicità, locandine di fine Ottocento e primi del Novecento Collezione privata Kostas Androulidakis Evaristo de Chirico, Atlas de la construction des Chemins de Fer de Thessalie 1881-1886, Paris 1889 Evaristo de Chirico, documento autografo, aprile 1895 A. Filadelfeos, Aktìnes ek tis Thessalìas, Athina 1897 Lettera Jorgos Bouzianis a Nikos Santorineos, Parigi 1931 Fotografie d’epoca di Atene e Volos VOLOS Archìa DH.KI. (Archivi del Centro di Documentazione e di Ricerca Comune di Volos) Documentazione fotografica Volos e Tessaglia tra fine Ottocento e primi del Novecento Stampa pubblicità Fabbrica Glavanis, Volos 1896 Copertina di Diario intimo (appartenuto famiglia Zòghia) ricamata su disegno di Giorgio de Chirico, 1901-1903 Archìa ton Sidirodròmon Vòlou (Archivi della Ferrovia di Volos) Documentazione fotografica dei lavori di fine Ottocento per la costruzione della Ferrovia di Volos RETHYMNON, CRETA Archìo “Alèxandros Xidi”, History of Art Department, University of Crete Documentazione esami e valutazioni finali del Politecnico di Atene, relative a J. Bouzianis, G. de Chirico, 19001906
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BIBLIOGRAFIA GENERALE I testi greci, suddivisi per tematiche, seguono l’ordine cronologico. Per la bibliografia relativa a de Chirico si è ritenuto preferibile utilizzare l’ordine alfabetico Atene (cultura, architettura, neoclassicismi) HOBHOUSE [1813] 1817 J.C. Hobhouse, A Journey through Albania and other provinces of Turkey in Europe and Asia to Costantinople during the years 1809 and 1810, [1813] Carey and son, Philadelphia 1817 ARCHITETTURA DIZIONARIO 1969 Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica, diretto da P. Portoghesi, Istituto Editoriale Romano, Roma 1969 ARCHITETTURA NEOGRECA 1981 Anthologhia Ellinikìs Architektonikìs, i katikìs stin Ellada apò to 15° ston 20° eona (Antologia di architettura greca, l’abitazione in Grecia dal XV al XX secolo), a cura di Iordanis Dimarkopoulos, Ipourghìo Politismoù kie Epistimòn, Athina 1981 CLOGG [1992] 1998 R. Clogg, A concise history of Modern Greece [1992] / Storia della Grecia moderna. Dalla caduta dell’impero bizantino a oggi, Bompiani, Milano 1998 KALLIVRETAKIS 1996 L. Kallivretàkis, I Athìna toù 19ou eòna: apò eparchiakì tìs Othomanikìs aftokratorìas, protèvousa toù Ellenikoù vasilìou / Athens in 19th century: a provincial town of the Othoman Empire becomes the capital of the Greek Kingdom in Archeologhìa tìs pòlis tòn Athinòn, National Hellenic Research Foundation, Athens 1996 PAPAGHEORGHIOU-VENETAS 2001 A. Papagheorghiou-Venetàs, Athina. Ena òrama tou klassikismoù (Atene. Uno sguardo sul classicismo), Kapon, Athina 2001 BIRIS, KARDAMITSA-ADAMI 2004 M. Biris, M. Kardamitsi-Adami, Neoclassical Architecture in Greece, Getty Publications, Los Angeles 2004 CHATZIS 2004 K. Chatzis, La modernisation technologique de la Grèce, de l’indépendence aux anées de l’entre-deux-guerres: faits et problèmes d’interprétation in “Balkan Studies” n. 3/2004, Institut po balkanistika, Sofia 2004 ATENE BENAKI 2004 Athens 1839-1900 a photographic record, Benaki Museum, Athens 2004
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Volos (storia e cultura) FILADELFEOS 1897 A. Filadelfeos, Aktìnes ek tis Thessalìas, Athina 1897 ANDROULIDAKIS 1988 K. Androulidakis, Mikrò aphièroma ston Giorgio de Chirico (Breve saggio dedicato a Giorgio de Chirico), Athina 1988 ANDROULIDAKIS 1990 K. Androulidakis, Fos sta skotinà chrònia. Pedikès mnìmes apò tin Ellàda sto èrgo tou Giorgio de Chirico (Luce sugli anni in ombra. Ricordi d’infanzia dalla Grecia nell’opera di Giorgio de Chirico), in “Arti”, n. 2, novembredicembre 1990 ANDROULIDAKIS 1995 Mères tou Giorgio de Chirico sto Politechnìo tis Athìnas-Skolìo ton Kalòn Teknòn (Giorni di Giorgio de Chirico al Politecnico di Atene-Scuola di Belle Arti), cat. mostra, Volos, Kèntro Tèchnis “Giorgio de Chirico” 1 ottobre-26 novembre 1995, ekd. Dimotikò Kèntro Tèchnis, Volos 1995 ANDROULIDAKIS 2002 K. Androulidakis, Oi Thessaliki Sidirodromoi (1881-1955) (Reti ferroviarie della Tessaglia), Museo della Fotografia “Christos Kalemkeris”, Dimos Kalamarias, Thessaloniki 2002 NATHENAS, KARATHANOU 2004 J. Nathenas, M. Karathanou, To trenàki tou Pìliou. Apò tin pòli ton Argonàfthon sto vunò ton Kentàvron (Il trenìno del Pelio. Dalla città degli Argonauti alla montagna dei Centauri), Militos, Athina 2004
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G.de Chirico, Se ipsum, 1922, olio su tela, cm. 38,4x51, Toledo Museum of Art, Toledo, Ohio (USA)
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Michela Santoro Il profilo Greco di Giorgio de Chirico Roma, giugno 2012