T !ru Takemitsu
Nostalghia in memoria di Andrei Tarkovskij (1987)
per violino ed orchestra d’archi (1987) ed. Schott
-analisi-
Alessandro Kirschner Storia ed analisi del repertorio II Professoressa Patrizia Montanaro
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Prologo Breve storia della contaminazione tra musica tradizionale giapponese e la musica occidentale. La formazione di una musica contemporanea giapponese. Nel luglio del 1853 il commodore Matthew Perry della marina militare degli Stati Uniti arriva con le sue navi nel porto di Uraga in Giappone mettendo inavvertitamente fine al letargo feudale in cui versava il Giappone da più di un quarto di millennio. Era dal 1641 che lo Shogun non permetteva alcun tipo di scambio tra il Giappone e il mondo esterno: era proibita severamente l’importazione di libri stranieri e di qualsiasi espressione culturale proveniente dall’estero compresa qualsiasi forma di evangelizzazione. Solo dopo la metà dell’Ottocento cominciò, con lo sbarco degli americani, una contaminazione del mondo orientale con quanto stava accadendo al di fuori. I canali di trasmissione attraverso cui la musica occidentale giunse ad una . prima penetrazione in Giappone sono sostanzialmente tre. In primo luogo, la reintroduzione della musica devozionale cristiana, ridotta al silenzio nei primi anni del diciassettesimo secolo, ma gradualmente riammessa con la riapertura dei porti negli anni Cinquanta dell'Ottocento, e specialmente dopo che il bando del cristianesimo fu abrogato nel 1873. In secondo luogo, l'inserimento dello studio della musica nei cicli scolastici, aspetto che andrà approfondito più oltre. In terzo luogo, la consuetudine più assidua con la musica occidentale, che si sviluppò laddove l'impulso alla modernizzazione era più profondamente sentito: la creazione di una moderna forza militare. Le bande militari svolsero un ruolo vitale nella ricezione della musica occidentale in Giappone dando concerti pubblici in tale misura che «fino a circa il 1879... l'attività musicale fu organizzata attorno alla banda militare, nella quale possiamo individuare il nucleo di ciò che noi oggi chiamiamo concerto pubblico». 1 Fu durante gli anni Ottanta dell'Ottocento che, oltre quelli per banda militare, si cominciarono a dare concerti pubblici con la prima generazione di studenti giapponesi. Come si è già accennato, l'istituzione di un sistema di istruzione pubblica sul modello occidentale fu probabilmente il fattore decisivo per la diffusione della musica occidentale in Giappone. Perché, nei suoi zelanti sforzi di 1
KOICHI NOMURA, Occidental Music, in Japanese Music and Drama in the Meiji Era, a cura di TOYOTAKA KOMIYA, tradotto e adattato da Edward G. Seidensticker, Tokyo, Obun Sha, p. 456.
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imitare all'ingrosso le pratiche pedagogiche dell'Occidente, il ministro dell'educazione aveva stabilito nei suoi regolamenti del 1872 che la pratica del canto avrebbe fatto parte del curriculum scolastico di livello elementare, e l'insegnamento di uno strumento del livello medio. Tutto ciò malgrado le opportunità di inserire tali ideali utopici nella pratica fossero sostanzialmente nulle «un atto sintomatico del carattere progressivo delle autorità, che avevano ricevuto il battesimo del nuovo spirito di riforma» .2 Buona parte della responsabilità di tradurre in atto tali ambiziosi progetti fu affidata ad un aristocratico funzionario del Ministero chiamato Shiiji Izawa (1851-1917), che per ordine del ministro, fu mandato negli Stati Uniti nel 1875 per esaminare i metodi pedagogici americani, e per studiare musica sotto la guida del Direttore della Boston Music School, Luthe Whiting Mason (1828-1896). Nell'ottobre del 1879, poco dopo il ritorno di Izawa in Giappone, fu costituito un Consiglio per lo Studio della Musica (Ongaku Torishirabe Gakary - in effetti un piccolo collegio musicale) per interessamento di Izawa, e in quello stesso mese egli diede forma ai suoi ideali per l'educazione musicale nel Progetto per lo studio della musica. Dopo un primo periodo di studio acritico della musica occidentale, si sente il bisogno di voler in qualche modo conciliare il mondo musicale occidentale con quello orientale e lo stesso Izawa aggiunge ora qualcosa di nuovo. Egli suggerisce una sintesi delle due tesi alternative: la possibilità di «intraprendere un corso intermedio tra le due vie, e attraverso la combinazione di musica orientale e occidentale, stabilire un nuovo genere di musica, adatta al Giappone di oggi». Ed è qui che si palesa per la prima volta, una specie di idée fixe comune a molti giapponesi nei cento e più anni successivi: il desiderio di risolvere, almeno a livello musicale, il problema di quella doppia struttura presente nella psicologia giapponese e di cui s'è già detto, la ricerca di una qualche sintesi delle musiche europee e giapponesi in una forma più alta. Tra i primi compositori giapponesi di formazione accademica di stile occidentale si può ricordare, soprattutto per la musica vocale Rentaro Taki (1879-1903). La breve carriera di Taki incluse anche un periodo di studi all'estero, al Conservatorio di Lipsia: un modo di concludere gli studi che era considerato altamente desiderabile per ogni musicista che volesse esser preso sul serio in quel periodo quando quasi tutti gli insegnanti della Tokyo Music School (come dal 1887 si chiamò il Music Study Committee) erano di estrazione tedesca e i musicisti giapponesi tendevano a considerare la tradizione tedesca come l'unica tradizione. L'esempio di Taki fu emulato qualche anno più tardi da un' altra interessante figura che il Giappone ancora riverisce come primo grande 2
Ivi, p. 460.
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patriarca dei compositori giapponesi: Kosaku Yamada (1886-1965). Dopo essersi diplomato in canto alla Tokyo Music School nel 1908, Yamada si spostò a Berlino dove studiò per quattro anni alla Hochschule con Max Bruch e Karl Leopold Wolf, e dove nel 1912 produsse la prima sinfonia di colore locale giapponese, Kachidoki to Heiwa (Vittoria e pace), seguita nel 1913 da un poema sinfonico in stile tardo romantico, Mandala no Hana (Fiori del Mandala). Fu per eseguire opere ambiziose come queste che nel 1915 dopo il suo ritorno in Giappone, egli organizzò la prima orchestra sinfonica giapponese; una seconda orchestra, fondata nel 1924 dopo il collasso finanziario della prima, sarebbe diventata l'odierna orchestra NHK. 3 L'esempio di Taki e Yamada stabilì le coordinate per una riconoscibile 'scuola' di stile tedesco in Giappone, e sulla scia di questi due pionieri seguì un'intera generazione di compositori 'tedeschi' con uno spiccato interesse per la musica vocale: Ryutaro Hirota (1892-1952), Shinpei Nakahama (1887-1952), Nagayo Moto'ori (1885-1945) e Kiyoshi Nobutoki (1887-1965). Nel modo in cui questo stile si diffuse, è possibile notare una forma di acculturazione tipicamente giapponese: l'iniziale mimesi di un'altra cultura si trasforma in fedele riproduzione perché i compositori che condividono lo stesso stile si raccolgono in gruppi, o perché quello stile è trasmesso, attraverso il tradizionale metodo confuciano, da un maestro riverito ad un reverente allievo. Molti artisti francesi fin de siécle avevano iniziato a volgere il proprio sguardo a est, nella speranza di aprire una via di fuga dal peso opprimente della loro storia culturale. Basti pensare qui, alle reinterpretazioni delle xilografie di Hiroshige da parte di Van Gogh , oppure (molto più pertinente al nostro tema) agli epifanici incontri di Debussy con la musica asiatica nel 1889 alla Exposition di Parigi e alla scelta di una stampa di Hokusai per ornare la copertina della parti tura di La mer. Non
passò molto tempo prima che alcuni compositori giapponesi si orientassero verso la
tradizione francese per approfondire i propri studi. Il pioniere fu Tomojiro Ichenouchi (1906-91), il primo giapponese a entrare nel Conservatorio di Parigi, dove studiò composizione con Paul Henri Batisser (1873-1972) dal 1927 al 1936. Tra gli allievi di Ichenouchi si trovano importanti figure della musica giapponese, come Saburo Takata (1913-), Akio Yashiro (1929-1976), Toshiro Mayuzumi (1929-1997) e Akira Miyoshi (1933-); e l'onda dell' influenza francese si allungò fino a toccare compositori come Meiro Sugawara (1897-1988) e Kunihiko Hashimoto (1904-1948). La fascinazione esercitata su questi compositori dalla musica 'impressionistica' fu in non piccola misura dovuta al fatto che essa rimandava, da una prospettiva europea, a molti aspetti inerenti alla loro cultura musicale. Un idioma armonico fondato su una base modale era particolarmente adatto ad essere utilizzato con le scale della musica tradizionale giapponese, ed entrambe le tradizioni 3
Nippon Hoso Kyokai, radio di stato giapponese.
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mostravano interesse per il dettaglio timbrico e, ad un livello più generale, per riferimenti extramusicali e per elementi naturalistici e pittorici. Tutto questo non deve meravigliare visto che i compositori giapponesi riconoscevano nel riflesso europeo struttture profonde proprie alla loro cultura. Si trattava di un processo che Takemitsu, ammiratore devoto della musica di Debussy, ha descritto come «azione reciproca - arte musicale reimportata in Giappone». 4 In uno stadio così incerto della storia musicale giapponese, era forse necessario che il 'carattere orientale' fosse esportato e poi reimportato. Col sigillo della legittimazione occidentale quel carattere orienpoteva tornare alla fonte ed essere riaccolto. Presto, comunque, sarebbe emersa in Giappone una scuola di composizione avrebbe abolito tali consuetudini culturali ufficiali, per lavorare direttamente sui materiali indigeni della propria tradizione. Negli anni che portarono alla Seconda Guerra Mondiale, cominciò a farsi ascoltare una voce che rifuggiva l'imitazione di modelli europei, coltivati dai compositori più accademici, sostituendoli con elementi di una più specifica identità nazionale. Si può star certi che una buona parte dei compositori associati a questo movimento aveva maturato sentimenti nazionalistici in un senso politico più generale, ed è anche vero che l'ascesa di quella scuola coincise con il periodo in cui la recettività nei confronti dell'Occidente, si era rapidamente trasformata nel suo opposto. Pochi compositori di scuola nazionalista trascorsero un periodo di studio in Europa, ritenuto essenziale a molti dei loro predecessori, e per giunta, alcuni, Ifukube e Haysaka, furono quasi completamente autodidatti. Compositori giapponesi strettamente associati a quei movimenti furono Akira Ifukube (1914-), Kishio Hirao (1907-53), Shiro Fukai (1907-59), Fumio Hayasaka (1914-55) per le cui musiche da film Takemitsu sarebbe divenuto più tardi assistente, e il compositore di regola citato come il solo maestro di composizione di Takemitsu, Yasuji Kiyose (1899-198l). Come si è accennato, gli anni che videro l'ascesa del 'nazionalismo' musicale furono anche quelli in cui si sviluppò in Giappone una analoga politica nazionalista, destinata agli esiti catastrofici della Seconda Guerra Mondiale. Gli anni dell’immediato dopoguerra furono duri, di estrema privazione e con poche opportunità di intraprendere studi musicali regolari; eppure, proprio a partire dagli anni Cinquanta, l'attività compositiva giapponese iniziò a risorgere dalle ceneri, anche se molte delle opere prodotte appartengono ancora all'orizzonte delle vecchie scuole d'anteguerra. Vi si trovano compositori accademici, debitori delle tendenze europee, spesso impegnati in soggiorni di studio in 4
TORU TAKEMITSU, Ongaku no Yohaku kara (Dallo spazio lasciato dalla musica), Tokyo Shinco Sha, 1980, p. 148. Citato in
NORIKO OHTAKE, Creative Sources for the Music of Toru Takemitsu, Aldershot, Scolar Press, 1993, p. 6.
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Europa, e che ancora possono essere divisi secondo l'orientamento 'francese' o 'tedesco'. Alla prima categoria appartenevano gli allievi di Ikenouchi, Akio Yashiro e Akira Miyoshi, formatisi a Parigi rispettivamente con Nadia Boulanger e con Raymond Gallois-Montbrun; nella seconda, quella di ascendenza tedesca, figurano i tre allievi di Saburo Moroi: Yoshiro Irino, Makoto Moroi, Minao Shibata. La scena europea era comunque molto cambiata dai giorni in cui Yamada era andato ad assimilare i metodi del tardo romanticismo tedesco o Ikenouchi quello degli impressionisti francesi, e quei nuovi sviluppi influirono sui compositori del dopoguerra. Irino, per esempio, fu il primo giapponese a comporre un'opera dodecafonica, il suo Concerto da camera per sette strumenti del 1951, mentre l'attività di Shibata negli anni Cinquanta percorse l'intera gamma delle tecniche e degli stili del dopoguerra, sperimentando il metodo dodecafonico, la serialità integrale, la musique concrète, la musica elettronica e con strumenti elettrici. Negli anni successivi, i compositori appena citati produssero opere sperimentali in cui venivano impiegati anche strumenti tradizionali giapponesi, spesso in combinazione con risorse occidentali. Mentre non è per nulla sorprendente che compositori dal profilo accademico volgessero la loro attenzione ai nuovi sviluppi del dopoguerra, ciò che ci si aspetterebbe di meno è che molti compositori ancora militanti nella tradizione nazionalista - qualificata da Judith Ann Herd come «movimento neonazionalista» - sfruttassero anch'essi le nuove risorse sonore ora disponibili, piuttosto che limitarsi ai motivi giapponesi e alle armonie pentatoniche che avevano appagato i loro predecessori. Tra i numerosi gruppi di compositori che spuntarono in Giappone negli anni Cinquanta, due in particolare vennero associati a questa tendenza. Il primo era il Yagino Kai (Gruppo del Capricorno), inizialmente formato nel 1953 da Hikaru Hayashi (1931-), Yuzo Toyama (1931-) e Michio Mamiya (1929-) ai quali si aggiunse cinque anni più tardi Toshiya Sukegawa (1930-). Il secondo era il Sannin no Kai o Gruppo dei tre,
fondato anch' esso nel 1953 da Yasushi Akutagawa (1925-1989), Ikuma Dan (1924- ) e il
più famoso degli alI ievi di Ikenouchi, Toshiro Mayuzumi. In modo programmatico, questi compositori graduavano l'assorbimento delle tecniche moderniste all'interno di una estetica essenzialmente nazionalista. I membri del Yagi no Kai, per esempio, ammiravano Bart6k, e Mamiya utilizzò materiali folklorici, mentre Hayashi tendeva a sperimentare le tecniche vocali più inusuali, oppure utilizzava motivi melodici tradizionali come materiali di base da sottoporre a procedimenti compositivi cromatici e quasi seriali. All'estremo opposto di Mamiya, forse il più radicale dal punto di vista tecnico, fu Mayuzumi, che negli anni Sessanta fu per un certo tempo piuttosto noto sia in Giappone che in Occidente, per la colonna sonora del film di John Huston The Bible (1965). Mayuzumi aveva studiato con Tony Aubin al Conservatorio di Parigi dal 1951 al 1952, dove assimilò non solo le tecniche di Varèse, Messiaen e Boulez, ma visitò anche lo studio di Pierre 7
Schaffer, completando ben presto, dopo il suo ritorno in Giappone, sia il primo esperimento di musica concreta (Oeuvre pour Musique Concrète x, y, z, 1953) che il primo esempio giapponese di musica elettronica (Shusaku I, 1955). In pochi anni egli mise a punto un armamentario tecnico messo poi al servizio della sua visione 'panasiatica'. In particolare, le sue ricerche sul timbro lo condussero a studiare le strutture di risonanza delle campane dei templi buddisti, applicando in questo modo le tecniche più avanzate ad un materiale sonoro carico di potere simbolico per la cultura asiatica. Per il suo Nehan Kokyokyoku (Sinfonia del Nirvana) del 1958, che rappresenta uno dei più eccentrici capolavori strumentali della musica del dopoguerra, Mayuzumi utilizzò come materiali di altezza i 'parziali' di una campana buddista. È perciò piuttosto deprimente venire a sapere che per l'autore di questa impressionante partitura, il 'nazionalismo' musicale avesse un accentuato risvolto politico. Già in questi primi lavori, Mayuzumi sembrava volervi trasfondere la sua identità di giapponese; col passar degli anni questo interesse assunse sempre più la forma di un coinvolgimento attivo nella destra politica, fino a culminare nella carica di Chairman di un' organizzazione il cui nome era Consiglio per la difesa nazionale del Giappone (Nippon o Mamoru Kokuminkaigi)
tra il 1981 e il 1991. Da questo punto di vista Mayuzumi rivela una stretta affinità
con un altro critico spassionato della società giapponese, che egli incontrò per la prima volta a Parigi nel 1952: il famoso scrittore Yukio Mishima (1925-1970). È da uno dei romanzi più noti di Mishima che Mayuzumi estrasse il soggetto per la sua opera Kinkakuij (Il padiglione d' oro), commissionata dalla Deutsche Oper di Berlino e rappresentata per la prima volta nel 1976. Ad ogni modo, tra i compositori formati secondo l'accademia europea e i 'nazionalisti' che per contrasto asserivano la necessità di una unicità giapponese, v'era ancora spazio, nello scenario del dopoguerra, per una terza forza. Tra i vari raggruppamenti sorti negli anni Cinquanta, come Yagi no Kai
o Sannin no Kai, ve le era almeno uno la cui costituzione era radicalmente differente. I suoi
membri comprendevano non solo compositori ma artisti che operavano in altri ambiti. I compositori che ne facevano parte erano per lo più autodidatti, che, essendo privi di un'educazione istituzionale, si trovavano ai margini della comunità ufficiale ei compositori giapponesi. Il gruppo in questione si chiamava Jikken Kobo, cioè Laboratorio sperimentale e la sua comparsa nella mappa dei movimenti artistici segna l'avvio della autentica avanguardia giapponese, di una reale alternativa sia alla tradizione accademica che alla retorica nazionalista. I compositori associati a questa tendenza volevano soprattutto prendere le distanze da quelle tradizioni screditate, poiché essi cercavano diligentemente di sbarazzarsi del marchio del modello nazionalista, impresa nella quale furono assistiti, nei primi anni del dopoguerra, dalle forze d'occupazione, diffidenti verso le manifestazioni di nazionalismo ma favorevoli ai nuovi stili in voga in Europa e negli Stati Uniti. Come nella 8
Germania devastata dalla guerra, i compositori vollero quasi tutti ritornare allOra zero, trovandosi in questo modo in linea con la generazione dei compositori post-weberniani desiderosi di creare una nuova musica 'internazionale', e più tardi con l'estetica di Cage e degli sperimentalisti americani. Uno dei membri fondatori di questa associazione fu un giovane che aveva appena festeggiato i suoi ventun anni: Toru Takemitsu.
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La formazione musicale di Toru Takemitsu 5 Criptata in un punto preciso di un tardo lavoro di Takemitsu, Family Tree-Musical Verses far Young People
(1992), si trova una sorta di
allusione biografica in codice. Quando la voce narrante femminile, introducendo a turno ciascun membro della famiglia giunge al padre, la musica si lancia in qualcosa di simile ad un pastiche nello stile jazz 'big band' dell'era swing. Per l'ascoltatore che ha familiarità con i dettagli biografici dei primi anni di Takemitsu, le ragioni private per cui il 'jazz' possa essere considerato una metafora della paternità sono facilmente svelate. Sebbene fosse nato nel distretto Rongo di Tokyo, nel giro di un mese dalla sua nascita -1'8 ottobre 1930 - Toru Takemltsu si era riconginto a suo padre Takeo nel luogo dove questi lavorava, la città di Dalian (Luda) nella regione della Cina conosciuta dai giapponesi come Manciuria e da essi amministrata come colonia. Qui, godendo dei privilegi accordati ai membri di una comu nità espatriata, Takeo Takemitsu aveva potuto indulgere ad una delle sue più grandi passioni molto più frequentemente di quanto sarebbe stato in grado di fare in condizioni normali: l'ascolto di dischi jazz della sua vasta collezione. Takeo
aveva
anche altre
predilezioni musicali che con tutta probabilità hanno avutoinfluenza sullo sviluppo della sensibilità musicale di suo figlio Toru. Il biografo di Takemitsu, Kuniharu Akiyama, nota che per un periodo egli fu un 'fanatico' suonatore di shakuhachi6 , e vinse un primo premio in una gara di imitazione di Versi d'uccelli. Ma fu l'ascolto costante degli amati dischi 'stile Dixieland, New Orleans' a lasciare un'impronta duratura sul piccolo futuro compositore, al punto che, circa cinquant' anni più tardi, durante una conversazione con Seiji Ozawa,
da
quei giorni poterono riaffiorare alla memoria nomi
come Kid Ory and his Creole Band, e lo stesso Takemitsu aggiungeva che «un po' di quella musica jazz è rimasta dentro di me». Ma in termini più generali, la più forte impressione dei primissimi anni di Takemitsu proveniva da una fonte 'occidentale', e la sua reazione a questo stimolo fu senza ombra di dubbio positiva. Le cose non andarono allo stesso modo con la musica radizionale giapponese. All'età di sette anni, Takemitsu fu rimandato a Tokyo per iniziare il primo ciclo di istruzione scolastica. Suo padre lo seguì un anno più tardi a causa di una malattia della quale morì a Kagoshima nel 1938 (sua madre Raiko gli sopravvisse fino al 1983). Takemistsu si sistemò nel 5
Per informazioni più approfondite si rimanda a: Peter Burt La musica di Toru Takemitsu ed.Ricordi, 2003 Milano da cui sono state dedotte la maggior parte di queste informazioni. 6 flauto dritto giapponese.
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distretto di Akebonocho da suo zio, la cui moglie era insegnante di Koto.7 Forse l'inevitabile associazione di quella presenza musicale ad un periodo di profonda infelicità lo indusse a reagire negativamente a quel primo incontro con la musica tradizionale giapponese. «Quando ero bambino ho vissuto a Tokyo con una mia zia - il compositore ricorderà più tardi - ascoltavo la musica tradizionale giapponese che a quel tempo mi circondava. Per qualche ragione essa non mi ha mai attirato, né mi ha mai commosso. Più tardi, ascoltare la musica tradizionale giapponese mi richiamava amari ricordi di guerra». 8 Come suggerisce questa citazione, l'avversione alla musica tradizionale giapponese fu aumentata dall' esperienza degli anni di guerra quando la musica giapponese veniva associata, come nella Germania nazista, alla cultura dominante militare mentre altri generi furono sviliti al rango di entartete Musik (oppure, secondo l'espressione giapponese, Tekiseiongaku,
musica dal carattere ostile). Fu a questo punto che una particolare esperienza
contribuì a rafforzare le connotazioni positive della musica occidentale di cui Takemitsu si era imbevuto, che nel contesto musicalmente immiserito degli anni di guerra, lo indusse a modificare il corso della sua vita. Possiamo dire che fu ancora una volta una forma popular americana - o almeno un musicista occidentale - ad essere responsabile di questa epifanica conversione di Takemitsu. Con la mobilitazione del 1944, la formazione di Takemitsu si era bruscamente interrotta ed egli fu mandato a lavorare in una base militare di approvvigionamenti nella prefettura di Saitama, sistemata in un sotterraneo scavato nella profondità di una montagna. In quell'occasione, un cadetto raccolse un certo numero di persone per organizzare ascolti clandestini di musica vietata, utilizzando un grammofono a manovella con una puntina ricavata da un pezzo di bambù accuratamente affilato. Uno dei primi pezzi ascoltati pare sia stato Parlez-moi d'amour, cantata da Lucienne Boyer, e per Takemitsu, abituato ad una dieta musicale basata su can-
zoni di genere patriottico, questa musica fu una rivelazione che avrebbe ricordato per tutta la vita. «Per me ascoltare quella musica ebbe l'effetto di un enorme
shock;
ero sbalordito, e
improvvisamente mi accorsi della splendida natura della musica occidentale» . Risvegliando la sensibilità musicale assopita, quel momento rivelatore confermò in Takemitsu l'inclinazione verso la musica occidentale. Con la fine delle ostilità queste preferenze si estesero molto più in là. Come molti giapponesi del dopoguerra, Takemitsu assunse un atteggiamento 'erodesco' nei confronti dello screditato nazionalismo del recente passato, «una risposta viscerale per la quale ogni cosa che sapeva di giapponese veniva rifiutata», e a quel rifiuto si accompagnava un entusiasmo per tutto ciò che proveniva dall'Occidente. Il clima ideologico dell'occupazione americana offriva al giovane Takemitsu ampie opportunità di coltivare le sue predilezioni, ed in 7 8
Uno strumento simile allo zither con tredici corde, pizzicate con plettri d'avorio attaccati alle dita dell' esecutore. TORU TAKEMITSU, Contemporary music in Japan, in "Perspectives of New Music», 27/2, 1989, p. 200
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particolare la musica moderna. Il governo di occupazione aveva costruito ciò che il compositore descrisse come «una enorme biblioteca» a Tokyo , dove egli andava «ogni giorno a guardare partiture - tutte americane, e nessuna europea» col risultato inevitabile che finì per conoscere «la musica americana prima di quella di Schoenberg e Webern». Questi ultimi poteva ascoltarli nei programmi di una stazione radio chiamata WUTR, e Takemitsu, in quel periodo spesso costretto a letto da una malattia, poteva passare molto tempo «ascoltando networks delle forze armate americane»,che «trasmettevano vari generi di musica, tra i quali George Gershwin, Debussy e Mahler. In seguito, durante gli anni della sua formazione più o meno autonoma, il giovane Takemitsu ebbe modo di conoscere importanti opere teoriche: dapprima il Manuale d’orchestrazione di Rimskij-Korsakov e qualche anno dopo il saggio di Messiaen Tehnique de mon langage musical nella
sua traduzione giapponese. Il testo di Messiaen lasciò un segno molto
profondo nella formazione musicale di Takemitsu. La storia della formazione del mondo poetico di Takemitsu è il risultato di una ricerca continua che egli ha svolto per tutta la vita. Non bisogna dimenticare che oltre alla musica da concerto è autore di oltre cento colonne sonore, di musica per la radio e di consumo in genere, e perfino di romanzi gialli e di un libro di ricette di cucina illustrato di proprio pugno. Fu solamente a partire dalla metà degli anni 60 che Takemitsu cominciò a guardare con rinnovato interesse alla musica giapponese, ma probabilmente più attratto dall’aspetto timbrico che tradizionale in senso stretto. È del 1967 November Steps opera che ha rappresentato per la critica il punto d’unione tra il mondo occidentale e quello orientale. Novembre è tuttavia anticipata da Eclipse per biwa e shakuhachi due strumenti tradizionali giapponesi.
La strada di una sintesi tra Oriente ed Occidente non ha mai interessato profondamente Takemitsu, come disse una volta: non sarebbe difficile inserire la musica tradizionale giapponese all’interno della musica occidentale, o mescolarle insieme. A me non interessa nessuna delle due possibilità.
Ed inoltre parlando della musica tradizionale del suo paese così si espresse: Non amo
utilizzare melodie giapponesi come materiale, nessuna forza… nessun sviluppo. Le melodie giapponesi sono come il Fuji- belle ma eternamente immobili.
La critica internazionale ha visto in Takemitsu il musicista che è riuscito a fondere due poli opposti, ma in realtà la sua musica resta personalissima e non si può dire che appartenga ne all’una ne all’altra cultura. È il mondo poetico nato dalla sensibilità unica di un piccolo uomo giapponese cresciuto ascoltando Debussy.
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Nostalghia per violino ed orchestra d’archi è un brano del 1987 ed è dedicato dalla stesso
Takemitsu alla memoria del regista russo Andrei Tarkovskij (1932-1986), amico personale del compositore. Scritto per un solista di spicco, Yehudi Menuhin, fu eseguito per la prima volta al Festival Internazionale di Edimburgo nell’agosto del 1987 con la Scottish Chamber Orchestra diretta da Sir Peter Maxwell Davies. A partire dal 1979, Takemitsu scrisse una serie di epitaffi per commemorare il ricordo di amici o persone particolarmente care. Si tratta in totale di poco meno di una decina di lavori tutti caratterizzati da una forte ricerca di una dimensione interiore e di un mondo poetico che in qualche maniera poteva avvicinare il compositore alla sensibilità dell’amico. Lo stesso Takemitsu presenta così il suo brano Nostalghia: Il titolo “Nostalghia” in italiano deriva dal titolo di un film drammatico diretto dal regista sovietico Andrei Tarkovskij che ha incontrato una morte prematura nel 1986 a Parigi, suo rifugio politico. E questa musica è stata scritta come un ricordo di Tarkovskij. Una semplice melodia ricca di pathos, introdotta dal violino solo, è dominante sulla musica. Talvolta l’orchestra d’archi divisa crea una sensazione di acqua e foschia, che è una immagine caratteristica dei film di Tarkovskij e anche la musica vuole essere come un ricordo totale avvolto in un sentimento elegante e nostalgico.
Il carattere eminentemente funebre di questo brano deriva probabilmente dall’inevitabile riferimento con il Requiem per archi del 1957, unico altro brano destinato ad un utilizzo concertistico, con lo stesso organico. 9 Inoltre altre caratteristiche accumunano i due brani: il tempo iniziale estremamente lento, e l’indicazione calmo e lamentoso, sempre rubato suggeriscono anch’esse un collegamento al Requiem. Anche il modo in cui il brano comincia, una sola nota dal pianissimo che emerga da una sorta di flusso sonoro, è un atteggiamento che si può trovare nel Requiem e anche in molte altre composizioni di Takemitsu. Si può dire a ragione che questo modo
di cominciare sia una caratteristica dell’approccio di Takemitsu al suono: una sorta di entrare lentamente per poi trovarsi in un tutto sonoro in continuo divenire. L’indicazione metronomica iniziale è di 48 alla semiminima col punto e il metro adottato si presenta molto variabile, con indicazioni che variano quasi ad ogni battuta. Resta tuttavia invariata l’unita di suddivisione. (Le indicazioni della sola prima pagina sono 9/8, 10/8, 8/8, 14/8, 9/8). Tuttavia in alcuni punti viene di poco aumentato l’indicazione di metronomo (b. 17, 28, 32 ecc.) e 9
Requiem è
stato il brano che ha cambiato radicalmente la posizione di Takemitsu rispetto alla critica ufficiale. In maniera quasi casuale è stato ascoltato e apprezzato da Strawinskij durante la sua visita in Giappone, dando immediata notorietà al suo compositore.
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portata a 72 alla semiminima. Sono inoltre presenti molti segni che suggeriscono degli accelerandi e rallentandi; tutto questo rende il brano estremamente libero, una sorta di flusso della memoria e del cuore apparentemente libero da schemi ritmici regolari. Una macrostruttura del brano può essere ipotizzata suddividendo il brano in tre episodi, creando così una forma ciclica A B A 1. Tuttavia può anche essere ipotizzata una forma ciclica più ampia, una sorta di Rondò A B A 1 C A 2 D A Coda. Propendo tuttavia per una suddivisione più sintetica e preferisco raggruppare nell’episodio centrale una serie di sottoepisodi che comprendono anche sporadici ritorni più o meno variati del tema iniziale. La macrostruttura individuata è quindi la seguente: A: da battuta 1 a battuta 35; B: da battuta 36 a battuta 83; A1: da battuta 84 a battuta 138.
Primo episodio Nonostante tutte le affinità con il Requiem del 1957, Nostalghia è un brano appartenente all’ultimo periodo di Takemitsu, periodo in cui il linguaggio armonico è in molti punti più apertamente tonale. Ne è un esempio l’accordo di do minore della battuta 5 da cui parte il violino solista. Il nucleo generatore melodico-armonico, è dato dalle quattro note iniziali del violino solista:
Tuttavia il materiale melodico non sempre scaturisce dalle scale adottate, ma molto spesso si muove tra cromatismi dei modi utilizzati utilizzando quindi anche note estranee e apparentemente lontane rispetto al contesto modale adottato. Spesso Takemitsu utilizza diversi criteri compositivi e li sovrappone stratificandoli. Nel nostro caso viene infatti utlizzato: -
criterio intervallare
-
criterio modale
-
criterio modale con cromatismi. 14
Le prime 4 misure hanno funzione di introduzione all’intervento del solista e presentano melodicamente una contrazione intervallare del moto contrario (o rovescio) di quello che abbiamo chiamato “nucleo generatore”. Le entrate dei singoli suoni creano fin dall’inizio delle atmosfere estremamente suggestive ed inoltre interessanti da un punto di vista analitico. La prima battuta infatti genera tra i suoni dei continui rapporti di 4 eccedente, tuttavia questa tensione viene per così dire stemperata attraverso appoggiature di semitono per arrivare ad un cluster composto da un frammento di scala esatonale. È tuttavia possibile leggere questo accordo di 4 suoni vicini distanti un tono intero come l’accostamento di due intervalli armonici 2 terza maggiore, quindi come una contrazione dell’intervallo di 4 eccedente non verso la 5 giusta ma verso la terza. 10
L’episodio di risposta delle battute 3 e 4 consiste in una trasposizione una terza minore sopra delle due battute precedenti. A battuta 5 entra il violino solista ma è tuttavia significativo notare che fino alla battuta 32, con la quale comincia una sorta di cadenza del solista, il violino solo interviene raddoppiando i primi o i secondi e solo talvolta fiorendo la melodia con note di passaggio o con rapidi arpeggi verso l’acuto, generalmente terminanti con armonici. (b. 7,12,16,ecc.) Si può inoltre osservare una scrittura violinistica molto evoluta che va a sfruttare appieno le caratteristiche degli archi in un contesto riflessivo e drammatico come questo. L’orchestra è molto spesso divisa e la ricerca timbrica è quanto mai approfondita. 11 Le armonie che vengono a formarsi si generano in ordine a due criteri principali: alcune derivano da una sovrapposizione di intervalli (un esempio ne è l’accordo risultante di battuta 2), altre invece derivano da triadi desunte dai modi utilizzati. Fin dall’inizio è possibile osservare come l’intervallo di quarta eccedente generi accordi ed arpeggi contenenti l’ottava diminuita o, se utilizzato nel suo rivolto, l’ottava aumentata. A queste triadi aumentate sono tuttavia affiancate triadi minori (accordo di do minore di b. 5) od accordi più complessi con note che apparentemente fungono da nona, undicesima e tredicesima (accordo di b.8). Queste armonie sono generate da una scala di 6 suoni 10
è tuttavia possibile interpretare enarmonicamente la 4 eccedente, in ogni caso quello che si vuole far notare è un atteggiamento di introflessione dell’elemento intervallare. 11 Si confronti con l’introduzione, in riferimento all’estrema sensibilità verso la componente timbrica della mentalità giapponese.
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molto utilizzata da Takemitsu, che possiede particolari proprietà simmetriche. Infatti il suo complementare non è altro che una trasposizione della stessa scala. Essa è formata da intervalli di terza minore e di semitono: possono quindi formarsi tutti gli accordi precedentemente descritti.
Dagli arpeggi del violino solista, si può desumere un altro atteggiamento melodico, con ripercussione armonica, caratteristico dell’intera composizione. Un esempio esplicito ne è l’arpeggio di battuta 9 e 10: l’intervallo di terza maggiore si dilata man mano che si procede verso l’acuto, diventando quarta eccedente creando un intervallo complessivo di ottava diminuita o più che diminuita. Ripercorrendo il primo episodio si può notare come a battuta 8 ci sia una nuova esposizione della cellula melodica iniziale per arrivare a battuta 13 dove comincia un breve dialogo tra l’orchestra e il solista partendo da una trasposizione del tema per moto retrogrado. Il movimento cromatico ascendente finale porta la frase musicale verso l’acuto in più riprese, creando anche movimenti di moto contrario tra solista e orchestra (es. b.20), per terminare con una nuova ripresa del tema trasposto una seconda maggiore sopra ancora una volta con armonie differenti. Fermandosi ad analizzare nel particolare la b. 27 si possono ritrovare tutti i procedimenti armonici descritti in precedenza: l’accordo degli armonici che da accordo maggiore si trasforma con movimento cromatico e di terza minore in accordo eccedente e il movimento per moto contrario tra parti estreme che si appoggia su ottava diminuita e quarta eccedente. Dopo un’ultima esposizione del tema da parte del solista a b.30, comincia un intervento a cadenza del solista che porta al secondo episodio. Il materiale utilizzato è sempre lo stesso: frammenti della scala sopra descritta (quindi 2m e 3M e 3m) e intervalli di 4 aumentata. Vista la grande importanza dell’elemento melodico, lo schema seguente riassume il movimento melodico complessivo dell’intera composizione. I valori utilizzati non rispecchiano le durate ma una più o meno regolarità dell’evento sonoro. Vengono inoltre segnati tutti i punti in cui ci sono dei riferimenti con quanto è avvenuto in precedenza, e le dinamiche culmine della composizione. 16
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Secondo episodio Il secondo episodio si presenta fortemente frammentato e suddiviso in sottoepisodi. Se ne possono individuare almeno sette. Da battuta 36 a 47: caratterizzato da uno spunto di carattere imitativo, imitato melodicamente da Vle, Vl solo e Vl I. Da notare a battuta 38 la polimodalità tra orchestra (in particolare Vl I con lo spunto imitativo) e il frammento scalare discendente del solista. Dopo una gran pausa seguono delle battute in omoritmia in cui è possibile ricavare il frammento iniziale dai contorni melodici di diverse voci (Vl II b.41,42, VlI b. 41,42). Le battute 43 e 44 ripercorrono con variazioni ritmiche le battute 25 e 26, mentre le battute 45,46,47 corrispondono alle battute 27, 28, 29 ma trasportate un tono sopra. Da battuta 48 a 55: ampi arpeggi del violino solo caratterizzati dagli intervalli caratteristici: 2m, 3M, 4ecc. È questo un episodio estremamente limpido che ben si contrappone alla densità del momento successivo. Da battuta 56 a 59: nonostante la durata sia di appena 4 misure è un sottoepisodio fortemente strutturato. L’orchestra è divisa e i Vl I sono addirittura divisi in 4. Qui è chiaramente visibile un procedimento compositivo utilizzato frequentemente da Takemitsu: l’adozione di un modo e contemporaneamente il suo utilizzo anche con note alterate. Il movimento scalare ascendente utilizza solamente le note della scala, mentre le brevi note in tremolo dei Vl I utilizzano anche note estranee, alterate. Le armonie generate dal modo utilizzato vengono poi trasportate una terza maggiore sopra nelle battute 58 e 59. La figura seguente esemplifica quanto sovraesposto.
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Da battuta 60 a 66: breve episodio incorniciato da battute in pausa. Utilizzo di una pseudo omoritmia per contrastare quanto avvenuto in precedenza, grande intraprendenza ritmico-melodica del solista rispetto all’orchestra. Da battuta 67 a 71: il solista espone per moto retrogrado il tema ma ben presto tutta l’orchestra si porta al fortissimo, culmine dell’intera composizione. Da battuta 69 un pedale dei contrabbassi sul do grave e l’intervallo di 5 dim dei Vl II, fanno da elementi di congiunzione con la frase successiva. Da battuta 72 a 80: su un’atmosfera rarefatta ed affascinante il solista riespone la testa del tema nel suo tono originario, ma improvvisamente interviene l’orchestra che si porta con una battuta di preparazione su un forte per poi ritornare al silenzio. Glissati ed armonici del solista portano alla frase successiva. Da battuta 80 a 83: breve cadenze del solista, una sorta di diluizione del materiale sonoro in preparazione alla ripresa successiva. Come si è notato questi momenti, pur avendo una loro consequenzialità, rimangono tuttavia come isolati, a tal punto che alcuni di essi sono quasi cesellati tra battute di pausa. A questo proposito è bene fare una breve digressione e spendere qualche parola su un concetto importantissimo non solo per il mondo poetico di Takemitsu, ma anche per l’intero sistema filosofico giapponese: il concetto di ma. Si potrebbe dare del ma la seguente definizione: «Il ma è una forza espressiva che riempie il vuoto tra gli oggetti separati nel tempo e nello spazio». Fondamentale è in tal senso che il vuoto venga ad acquistare una connotazione attiva e non più passiva: è verissimo ed è una delle grandi differenze (più che altro in senso quantitativo però) tra la civiltà dell'Oriente e quella dell'Occidente. Il contrasto tra pieno e vuoto, oppure fra suono e silenzio, non sta casualmente al centro della speculazione orientaleggiante di John Cage e di tutti quei compositori occidentali che hanno saputo tendere l'orecchio verso l'Oriente. Per cercare di capire il ribaltamento prospettico tra i due piani del suono e del silenzio implicato neI concetto di ma, si può ritornare alle parole di Kenjiro Miyamoto, per il quale il silenzio non è qualcosa di vuoto, ma piuttosto qualcosa riempito dagli innumerevoli suoni e rumori dello spazio. La funzione della musica sarebbe dunque quella di portare alla vita gli infiniti suoni del silenzio. Per comprendere adeguatamente la concezione attiva del vuoto occorre però rifarsi alla grande tradizione della pittura cinese per la quale il vuoto non è, come saremmo portati a pensare, qualcosa di vago e inesistente, ma piuttosto un elemento essenzialmente dinamico, direttamente connesso con l'idea dei soffi vitali yin-yang. Il vuoto è il luogo per eccellenza nel quale si operano le mutazioni, il luogo quindi nel quale il pieno può raggiungere la sua pienezza. Nel suo saggio Vide et Plein François Cheng, commentando i dipinti del periodo Song, scrive: «In certi quadri si può notare che 20
il Vuoto (spazio non dipinto) arriva ad occupare due terzi della tela. Davanti a quadri del genere perfino uno spettatore ingenuo avverte confusamente che il Vuoto non è una presenza inerte e che esso è percorso da soffi che collegano il mondo visibile a quello invisibile... per esempio tra la montagna e l'acqua, che costituiscono i due poli, circola il vuoto rappresentato dalla nuvola. È quest'ultima a svolgere una funzione intermedia tra i due poli apparentemente antinomici. La nuvola, nata dalla condensazione dell'acqua, assume la forma della montagna, venendo a creare così un processo di divenire reciproco tra la montagna e l'acqua». Il tema della montagna sul quale si regge gran parte della pittura cinese, è antichissimo e grandioso12. Questo tema è connesso a quello più generale e onnipervasivo del Vuoto, e basterà sfogliare le antologie degli scritti di Lao Tseu per coglierne la centralità: «Trenta raggi si congiungono in un unico mozzo: questo vuoto nel carro ne permette l'uso. Da una zolla di argilla si forma un vaso; è il vuoto nel vaso a permetterne l'uso. In una stanza si dispongono porte e finestre; ma è il vuoto nella stanza a permetterne l'uso. L'avere costituisce il vantaggio ma è il non avere a consentirne l'uso». E poco oltre: «Niente al mondo è più soffice e più debole dell'acqua. Ma per attaccare quello che è forte, chi potrà uguagliare l'acqua? Il vuoto che è in lei la rende capace di produrre trasformazioni» e quindi: «Quello che c'è al mondo di più tenero trionferà alla lunga su quello che è più solido». Quel concetto di interconnessione al quale il ma chiaramente allude, sviluppa tutta la sua potenzialità, solo se colto in queste sue antichissime radici filosofiche. Naturalmente anche la musica dell'Occidente ha grande considerazione del valore dei silenzi ma si tratta di un'attenzione più episodica, ovvero di un atteggiamento contemplativo dal quale si viene distolti dall'incalzare della dynamis dell' opera che procede. Si può aggiungere che si possono trovare nella nostra musica dei punti di contatto, magari anche impressionanti (l'idea di silenzio come suoni che pulsano inudibili nello spazio presenta da noi delle magiche riverberazioni nelle opere di Varèse, di Bartok, di Cage, di Feldman, di Sciarrino, di Nono, giusto per citare alcuni compositori tra loro molto diversi) ma non va trascurato che si tratta di analogie che si sviluppano essenzialmente nella sfera dei concetti.
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Per avere un'idea moderna e suggestiva della centralità del tema della montagna nella cultura cinese si legga il romanzo di Gao Xin,fan, La montagna dell'anima, Milano, Rizzoli, 2002.
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Terzo Episodio Nonostante la ripresa vera e propria avvenga solamente a b.118, si possono pensare tutte le battute che precedono come una progressiva introduzione ad una nuova riesposizione del tema. Inoltre la breve cadenza del violino solista delle battute 80-85 può separare queste due parti, come è avvenuto al termine del primo episodio. La ragione forse più profonda è comunque che in questa ripresa del tema allo stesso tono di partenza, l’orchestra accompagna esattamente con le stesse note (c’è tuttavia una trasposizione all’ottava superiore). Da battuta 92 a 103 si può trovare il momento forse più giapponese di tutta la composizione. È probabilmente l’evocazione della foschia o della nebbia, secondo gli intenti didascalici dell’autore come presentazione dell’opera. Su un ostinato di due battute (completo è visibile dalle battute 93, 94), il violino solista esegue una scala discendente di cinque suoni spezzandone la continuità, dando così l’impressione di una nota pedale che torna su un pulviscolo di suoni. L’ostinato è così composto: un movimento cromatico in glissato di 4 ecc nelle viole, armonici nei vlc che generano accordi di ottava diminuita e quinta diminuita, varie note pedale in rapporto di 3M (enfatizzazione del quinto suono armonico), 4 ecc e 2M. Inoltre per tutto questo ostinato un fa grave dei violoncelli svolge funzione di pedale, quasi a rendere più statico possibile qualsiasi movimento si svolga all’interno. Le battute successive provengono dalle battute 43-45 del secondo episodio, e contrastano omoritmicamente con il pulviscolo sonoro di poco precedente. Viene riesposto il tema trasportato una terza maggiore sopra e dopo alcuni arpeggi del solista si arriva alla vera e propria ripresa del tema (b. 118). A battuta 134 comincia la CODA. Lo spunto melodico è dato da una trasposizione un semitono sopra dell’elemento imitativo con cui comincia la seconda parte ma su un’armonia accordale dell’orchestra, il solista si sposta verso suoni più acuti, quasi alla ricerca di un punto di arrivo. L’accordo finale è quanto mai interessante: un accordo di mi bemolle maggiore con aggiunto il bicordo fa diesis-la. È possibile leggere in questo accordo tutte le note del tema generatore (fa diesis, sol, si bemolle, la), ed inoltre l’accordo di mi bemolle maggiore con cui termina il brano potrebbe avere anche una funzione catartica, o meglio rasserenante, rispetto al colore di do minore dell’inizio della composizione.
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È sorprendente notare come in una composizione di questo genere ci si trovi a parlare di semantica degli accordi (l’alternanza maggiore, minore) pur conservando tutte le caratteristiche di un pezzo contemporaneo che nulla ricicla dal passato, ma che anzi ci introduce in un mondo poetico unico e personalissimo. Questo è il risultato della ricerca espressiva musicale di Takemitsu, cercare una fusione tra Oriente e Occidente. Ma in fin dei conti questo non sarà mai possibile se non a costo di compromessi. E tutto questo Takemitsu lo sapeva e lo viveva profondamente. In una lettera scritta a Peter Serkin pochi giorni prima di morire egli espresse il desiderio di “avere un corpo sano come una balena” e di “nuotare in un oceano che non ha Oriente né Occidente”. Quindi non un unione tra i due poli, ma un essere liberi in una dimensione nuova. Nostalghia rappresenta questo essere fuori o meglio un essere dentro un vuoto che prende forma, colore e significato in relazione a quello che è intorno, senza alterarlo. È la manifestazione sonora del concetto del ma.
Padova, 5 luglio 2005
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