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SECOLI SUL MONDO - LA LA CREAZIONE CREAZIONE 1 (Fernando Rapi)
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ORIGINE DELLE RELIGIONI Tutte le società contemporanee note possiedono credenze cr edenze e pratiche religiose, e gli archeologi ritengono di aver rinvenuto, a partire da otre 60.000 anni fa, prove che attestano l’esistenza di credenze religiose già nell’Homo sapiens. Questi seppelliva seppelliva deliberatamente i propri morti, e numerose tombe contengono resti di cibo, attrezzi e altri oggetti che probabilmente si pensava potessero essere utili nell’altra vita. E’ possibile che alcuni dei prodotti artistici degli uomini moderni, a partire da 30.000 anni fa, siano stati utilizzati per scopi religiosi. E’ possibile che le pitture rupestri in cui le immagini predominanti sono quelle di animali che venivano cacciati riflettessero la credenza cre denza che la raffigurazione avesse un qualche potere sugli eventi. Forse i primi uomini pensavano che la caccia avrebbe conseguito risultati migliori se avessero dipinto immagini di cacce fortunate. Poiché possiamo ragionevolmente presupporre l’esistenza di una religione preistorica, e dal momento che vi sono prove dell’universalità della religione nei tempi antichi, possiamo capire perché la religione sia stata oggetto di tante riflessioni, ricerche e teorizzazioni. Già nel V sec. A.c. il greco Erodoto stabilì dei confronti abbastanza oggettivi tra le religioni delle cinquanta società che aveva visitato. Egli notò numerose somiglianze tra gli dei dèi vari gruppi e richiamò l’attenzione sulle testimonianze della diffusione del culto religioso. Nel corso dei 2.500 anni che ci separano da Erodoto la religione è stata oggetto di congetture da parte di studiosi, teologi, storici e filosofi. Molti scienziati sociali, in particolare antropologi, antropologi, sociologi e psicologi, hanno tentato di spiegare il fenomeno dell’universalità della religione. L’origine del mondo visibile e, in modo particolare, dell’uomo, suo principale ornamento e fine immediato, ha sempre provocato, attraverso i secoli, le solerti ricerche dei pensatori. Ma non tutti sono arrivati a risolvere soddisfacentemente il problema: molti di loro, anzi, senza riuscire ad illuminare l’enigma, finirono, spesso, per rendere più ingarbugliati, a sé ed agli altri, metodi ed idee. Il filosofo e lo scienziato, che, si dice, d ice, abbiano avuto entrambi qualche sentore di queste cose, hanno discusso per degli anni intorno all’entità ed al significato di queste due grandezze : in fondo, durante tutto questo tempo, non hanno fatto altro che ingiuriarsi a vicenda, senza comprendersi. C’è una cosa che esige, per essere studiata, tutta l’espansione del cuore, tutto il vigore dell’intelligenza, tutto lo slancio della gioventù e che non è né la
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gloria, né l’ambizione, né la scienza: è il valore della nostra vita, la sua dignità morale e l’immortale destino dell’anima in seno al suo autore, au tore, Dio. Tra le tante incertezze, l’interrogativo umano va, in definitiva, a puntarsi sul primo capitolo della Bibbia, che di queste origini espone i principi essenziali. A dire il vero, il racconto mosaico è una pagina un po’ scabrosetta , che ha impegnato, ed impegna tuttora, seriamente, esegeti, teologi, filosofi, storici e scienziati. Di fronte alle potenti costruzioni elevate dalle scienze naturali, na turali, storiche e religiose sui gravi problemi della origine del mondo e degli esseri, si resta davvero sconcertati nel dover constatare che la Bibbia, e proprio la Bibbia, mostri tanta discrezione, da ridurre questi stessi problemi a delle concezioni quasi puerili. Semplice e complicata, anzi tanto più complicata quanto semplice, questa pagina è stata oggetto di innumerevoli dissertazioni, tanto da parte degli avversari, quanto da parte dei difensori del racconto. Obiezioni e risposte hanno, naturalmente, seguito le fluttuazioni di queste scienze e, conseguentemente, le une e le altre sono, in gran parte, ormai troppo fuori moda per meritare una menzione. Le principali difficoltà finora insistevano sulla successione delle creazioni parziali, assegnate ai sei giorni della Genesi. Si è criticata, per esempio, la creazione del giorno prima della creazione del sole; l’apparizione del sole soltanto quarto giorno, quando le piante, che hanno bisogno del sole per vivere, erano già state create al terzo; il sole più recente della terra, distaccata dalla sua massa e che, fin dal primo giorno, da lui doveva ricevere la luce regolante l’alternativa dei giorni e delle notti, la produzione degli uccelli al quinto giorno, e quella dei rettili al sesto, mentre la paleontologia scopre, nei sedimenti fossili, rettili molto prima degli uccelli. Inoltre la scienza non può più ammettere che tutti i vegetali , e similmente gli animali delle acque, gli uccelli dell’aria e poi gli animali terrestri, siano stati creati insieme nello stesso giorno, poiché è certo che, in tutti i regni degli esseri viventi, le specie sono apparse successivamente, seguendo una legge di progresso; prima le specie meno perfette e poi le altre, sempre più perfette. E’ difficile anche accettare dal filosofo, filosofo, come da uno Spirito purissimo sia potuta venire fuori la materia. Come conciliare insieme un Essere infinito e una materia, finita, da Lui distinta? Come mai questo essere, se assoluto e perfettissimo, ha fatto esistere l’imperfetto e il contingente; come mai se infinito ha creato i limiti nello spazio e, se eterno ed immutabile, la successione nel tempo?
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I più alti ingegni S. Agostino, S. Tommaso, Rosmini, Newton, Pasteur, ecc.. più che discutere il mistero, per nulla contrario, del resto, alla ragione, sebbene molto al di là dei suoi limiti, né riconobbero l’altezza, e resero saggiamente omaggio all’onnipotenza del Creatore. Poche pagine della letteratura mondiale possono vantare le perfezione di questo racconto. In pochissime battute, e con laconica semplicità, esso espone l’avvenimento più grandioso della storia, senza nulla esagerare, e senza nulla derogare alle prerogative della sua maestà. Gli interpreti, dopo S. Tommaso, sogliono considerare in questa pagina quattro parti: L’Opera creatrice, che abbraccia i versetti 1-2 del cap. primo; L’opera ordinatrice di distinzione; versetti 3-13 L’opera ordinatrice di ornamento versetti 14-31 Il riposo di dio versetti 1-3 cap.2°. La divisione in opera di distinzione e opera di ornamento è suggerita, in certo qual modo, dal testo stesso, quando dice: “Così furono compiuti i cieli e la terra, ed ogni loro ornamento. Questo racconto è, visibilmente, costruito secondo un piano scelto dall’autore sacro, il quale, senza ombra alcuna di preoccupazioni scientifiche, si accomoda francamente alle concezioni della sua epoca. Egli ha un fatto da esporre, una idea da inculcare: “ Il mondo e tutto ciò che esso contiene è opera di dio”. Ecco il tema. Per tale assunto, egli adatta la divisione popolare del mondo in tre parti o regioni: cielo, acque e terra, mostrando in ciascuna di esse l’operazione del Creatore, il quale procede quasi per tappe. La prima tappa è la creazione della materia primordiale: essa segna la creazione delle tre regioni allo stato informe, mescolate e allo allo stato confuso. La seconda è l’opus distintionis, come si esprime S. Tommaso. Essa segna la distinzione l’ordine, successivamente, in ogni regione: nel cielo, con la produzione della luce, che Dio separa dalle tenebre, nelle acque, con la separazione delle acque al di sopra della distesa da quelle che stanno al di sotto; sulla terra, con la separazione dei mari dai continenti. Alla terza tappa l’azione di Dio riprende in ogni regione, sempre seguendo l’ordine cielo, acque, terra, per ornarli e dar loro degli abitanti. Vi sono dunque tre tappe principali, ognuna delle quali (eccetto la prima) comprende tre tappe secondarie o tre gradini. A questi sei gradini, componenti la seconda e la terza tappa principale, pr incipale, è attribuito il nome di “giorno”. Notare che questa distinzione dell’opera dell’opera di Dio in sei giorni è supposta da Mosè come nota. Dopo Dio si riposa.
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Ora, che tutta la creazione abbia potuto compiersi seguendo l’ordine simmetrico di questo quadro, assolutamente parlando, non è impossibile, senza dubbio; sorge, però, il sospetto, che questa simmetria sia dovuta al redattore, il quale, senza dilungarsi nel riprodurre la successione reale delle creazioni divine, del tutto indifferente per l'insegnamento da mettere in rilievo, ha mirato a presentarle in un insieme impressionante. Dunque, nell'opera della distinzione, il primo giorno segna la formazione della luce, come distintiva del cielo; il secondo giorno segna la formazione del firmamento, come distintivo delle acque; il terzo giorno segna la produzione delle piante come distintivo della terra, emersa nei suoi continenti. Parimenti, nell’opera dell’ornato, il primo giorno di questo nuovo or dine, che è il quarto giorno mosaico, vengono ornati i cieli con la produzione di due luminari e delle stelle, destinati ad illuminare il giorno e la notte; il secondo giorno, che è il quinto mosaico, l’elemento fluido e quello aeriforme vengono popolati di una grande quantità di animali a nimali acquatici e volatili; il terzo giorno, finalmente, che è il sesto nella nostra cosmogonia, cos mogonia, la terra diventa, per comando del Creatore, l’abitazione di un numero infinito di bestie, e viene ornata dall’apparizione dell’uomo, il re di tutta la creazione. A chi ben osserva, risalta r isalta subito un perfetto parallelismo tra la prima e la seconda parte: le stesse ragioni del mondo, che sono create nei tre giorni della prima e la seconda parte: le stesse ragioni del mondo, che sono create nei tre giorni della prima parte con la “distinzione”, vengono poi arricchite del proprio “esercito” di esseri esseri animati, animati, nei tre giorni giorni corrispondenti della parte parte seconda. Così l’ornato del quarto giorno corrisponde, riguardo al cielo, alla distinzione del giorno primo; l’ornato del quinto giorno corrisponde, rispetto all’acqua, alla distinzione del giorno secondo; finalmente, l’ornato del sesto giorno corrisponde, in relazione alla terra, alla distinzione del giorno terzo. Nel terzo e nel sesto giorno Dio pronunzia pronunzia una doppia parola creativa: al terzo giorno viene separato il mare dalla terra e vengono prodotte le piante; al sesto vengono creati gli animali e l’uomo, al cui servizio sono destinati la terra e le piante. Le piante compaiono nella prima parte, tra gli esseri immobili ed inanimati, perché esse, nel concetto degli antichi, a ntichi, non erano dotate di movimento. Il termine originale ebraico è zàbà=schiera, esercito, che traduce meglio l’idea dell’autore, invece di “ornamento”. Difatti tutte lr cose, che sono create nella parte seconda, si muovono, mentre ad esse, nella parte prima, corrispondono gli spazi immobili ( anche le piante), le quali potrebbero essere chiamate “ornamento”, ma non “esercito”, “schiera”. E’ Dunque chiaro che l’autore si è servito di uno schema letterario, per spiegare come tutto provenga da Dio. Perciò non è da cercarsi una ipotetica concordanza tra scienza e Bibbia, ma piuttosto, si deve cercare cosa abbia voluto dire l’autore, l’autore, quale sia stato stato il suo fine nel scegliere questa via. Questo fine è esposto nella finale del racconto, al versetto primo del capitolo secondo: Dio fece ciò che anche Israele dovrà fare per mandato
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divino. L’autore, cioè, ha voluto inculcare l’origine divina del sabato, raccomandando così il precetto sabbatico con l’esempio divino: “Lavora per una settimana, ma al settimo giorno riposa”. La settimana della creazione vuole essere considerata come l’originale divino, di cui la nostra settimana è l’esempio terrestre. Il punto importante in questa questione è la nozione di settimana e non quella di giorno, su cui tanto insistono concordasti e controconcordisti. Per inculcare questo scopo, l’autore sacro dispone le opere (otto) in modo che esse siano compiute in sei giorni, e così appare meglio come non si tratti, in questo capitolo, di una vera successione delle cose, ma di un artificio letterario, dovuto all’autore. Che sia uno schema, composto ad arte, si ricava ancora dal fatto, che dio viene presentato antropomorficamente (in modo umano), come operaio, e che l’operazione divina si compie istantaneamente, contrariamente ai dati dell’astronomia, della geologia, della paleontologia, ecc. Inoltre la descrizione è geocentrica, cioè, per l’autore, che si adatta alla concezione del suo tempo, la terra è il centro dell’universo: per prima, quindi, fu creata la terra, mentre il sole, la luna, le stelle, ecc.. vennero dopo, in un secondo tempo, e considerati solo in quanto hanno relazione con la terra. L’astronomia ha superato da secoli tale concezione. c oncezione. Da quanto si è detto si comprende, fin d’ora, che l’interpretazione letterale di questo capitolo è insostenibile, come è da rigettarsi il concordismo. Non è difatti in sei volte ventiquattro ore, che ha potuto realizzarsi la distinzione degli astri, dei pianeti e dei satelliti, l’emersione dei continenti e la comparsa della vita vegetale, animale, umana. Come accordare poi, stando ai concordasti, co ncordasti, i requisiti delle scienze con i dati della Bibbia, secondo la quale il sole è più recente della terra, e le piante anteriori al sole e alle stagioni? La scienza afferma che non vi fu una precedenza assoluta dei vegetali sugli animali: flora e fauna comparvero e si svilupparono parallelamente. Il nostro sistema di interpretazione, invece, senza violentare il testo, rende ragione tanto ai requisiti della storia, quanto a quelli della scienza, mentre gli altri sistemi, per aver sacrificato o il senso storico a vantaggio della scienza o le esigenze della scienza a quelle della storia, si sono trovati e si trovano in serio imbarazzo. Così, molte obiezioni non hanno più ragione di preoccuparci. Resta ancora da segnalare un’ultima cosa, relativa alla struttura letteraria. Dobbiamo, cioè, parlare della forma stilistica, con cui Mosè espose e spose le profonde dottrine di questo primo capitolo. Egli espone tali dottrine unendo una grande g rande arte ad una somma semplicità. Abbiamo in tutto otto formule, di cui egli si serve nella descrizione dei singoli elementi:
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1.- Una formula introduttoria: “disse Dio….”, ripetuta dieci volte. 2.- Il comando: “sia…” o termine affine, ripetuto otto volte. 3.- L’esecuzione: “ e fu così…”, ripetuta quattro volte. 4.- La descrizione: “ e Dio fece…”, ripetuta quattro volte. 5.- L’imposizione del nome: “ e chiamò…”, ripetuta quattro volte. 6.- La benedizione: “ benedisse Iddio…”, ripetuta tre volte. 7.- La lode o formula di approvazione: “ e vide che ciò era cosa buona…”, ripetuta sette volte. 8.- La clausola finale: “ e fu sera e fu mattina: giorno…”, ripetuta sei volte. I singoli giorni vengono, così, separati dalla formula introduttora “disse Dio…” e dalla formula finale “ e fu sera e fu mattina:” Ogni opera creata abbraccia dunque: 1 il decreto divino, 2 l’esecuzione del decreto divino, 3 descrizione dell’opera divina ( sua bontà, sua relazione con le altre creature, e sua missione nel creato). Da questa composizione artificiale risalta chiara, e viene confermato ancora una volta, che il racconto è proposto così, intenzionalmente, perché esso possa imprimersi nella memoria. Queste formule sanno di antropomorfismo: sono, cioè, un modo umano di dire. Così, per esempio, la formula introduttoria esprime l'ordine intimo della volontà divina ed il verbo interno, su cui questo ordine modella la sua virtù feconda. Nessun genio, per quanto potente po tente nella produzione di effetti oratori, potà trovare una forma più semplice, più popolare e più energica, per dirci che Dio, nel creare l’universo, non è ricorso che alla sua volontà. Questo atto della sua volontà è espresso per mezzo della sua parola, la quale è viva, efficace, onnipotente. L’imposizione dei nomi (formula quinta), segno della sovranità del Creatore, non indica la determinazione divina dei vocaboli, che le cose porteranno, ma la posizione da parte di dio di una causa, la quale sarà, per gli uomini, la ragione delle varie denominazioni. La visione di Dio, poi, (formula settima) va intesa spiritualmente, come la parola: Dio, cioè, constatò che l’effetto del suo volere intimo rispondeva pienamente all’esemplare che era in lui, ed alla finalità finalità da lui intesa. intesa. Non già che il creatore avesse bisogno di una esperienza per determinare la sua scienza, ma l’autore sacro mette in piena luce, sotto la veste di questo procedimento concreto, la conformità della creatura all’intenzione di colui che l’ha prodotta. Una sola volta, dopo l’opera del secondo giorno, questa menzione dell’approvazione data da Dio al suo operato è omessa.
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Il motivo di questa omissione è facile a spiegarsi, e prova con quale qu ale profonda concezione Mosè abbia scritto questa prima pagina della sua storia. L’opera sembra scritta di getto e tuttavia nulla è lasciato al caso. L’omissione è dovuta al fatto che questa opera non è definitiva: essa dovrà essere completata, ed anche trasformata, dall’opera del terzo giorno, e perciò non può essere l’oggetto dell’approvazione divina. Essa non sarà conservata da Dio quale si presenta alla fine del secondo giorno, ma bisognerà che le acque si ritirino, e che i continenti attuali emergano: sarà l’opera del terzo giorno, intimamente connessa con quella del secondo. Soltanto allora Mosè menziona l’approvazione data da Dio all’opera sua: Dio chiamò terra l’asciutto e mari l’insieme delle acque. E vide Dio che ciò era cosa buona. Ogni parte dell’universo, presa a sé, risponde al suo fine, e merita l’approvazione e l’elogio l’elogio del Creatore; ma la creazione vista vista nel suo insieme e considerata nei suoi rapporti con l’uomo, che ne è il capolavoro ed il re, ottiene da Dio un’approvazione ed un elogio d’una pienezza, che esclude ogni riserva ed ogni rammarico. Inoltre , nel corso del suo s uo racconto, Mosè fa risaltare, più volte, (formula terza), la corrispondenza perfetta tra l’ordine divino e l’opera creata, con un termine che egli non omette ma: “ e fu così”, e con il parallelismo dei termini, che esprime, mirabilmente, il parallelismo delle cose. Versetto 11: “Dio disse ancora: Germogli la terra erbe verdeggianti, fornite di seme, e alberi fruttiferi, che facciano frutti secondo la loro specie, aventi in se stessi il proprio seme, sopra la terra”. Al quale corrisponde il versetto 12: “ Difatti la terra produsse erbe verdeggianti, fornite di secondo la propria specie, ed alberi facenti frutto, con semenza in ciascuno secondo la specie sua”. Simili parallelismi formano quasi tutto il contenuto del primo capitolo della bibbia. Chi oserà qui negare la meravigliosa potenza di uno stile, per far risaltare vivamente, soprattutto nello spirito di un popolo fanciullo, questa grande verità: Che tutto è stato fatto nella creazione per opera di Dio. E conformemente al piano del Creatore? Ancora una parola sull’arte letteraria di questa stupenda pagin. L’opera creatrice, che operò “i cieli e la terra”, si compie in otto parole, non più formule, le quali sono ripartite in tre atti. Si tratta di costituire il palazzo della vita, di cui l’uomo dovrà essere l’abitante, l’animatore, il re. I tre atti consecutivi ne stabiliscono la scena, il mobilio, gli attori. Il mezzo della creazione è la parola. La creazione per mezzo della parola senza intermediario, senza lavoro, senza durata, è la nozione più elevata, più grandiosa e più pura della potenza divina in azione. La scuola di Ermopoli, in Egitto, e senza dubbio anche Zaratustra, fondatore del mazdeismo, in Persia, erano arrivati a questa
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nozione. E’ a questo concetto, che si rifà l’autore del Salmo XXIII, quando dice: “Per la parola dell’Eterno sono stati fatti i cieli e tutto il loro esercito per il soffio della sua bocca…Egli dice ed è fatto, Egli comanda e tutto esiste”.
Le tre prime parole, stabiliscono, con tre vittorie sul caos, la scena della dimora umana: la prima parola segna la vittoria sulle tenebre con la creazione c reazione della luce; la seconda, la vittoria sull'abisso delle acque a cque con la distesa del firmamento, che separa le acque superiori super iori dalle inferiori; la terza, la vittoria sulla materia informe e sterile sotto il firmamento: l'elemento liquido si concentra per lasciare apparire il secco, la terra, dimora dell'uomo. La quarta e la quinta parola, avendo lo scopo di ammobiliare questa dimora, costituiscono il secondo atto creatore. Bisogna che, quando l'uomo ed il suo corteo di esseri viventi appariranno, trovino dove alloggiare, trovino cioè, di che alimentare la loro esistenza e dar ritmo alla loro attività. La quarta parola segna la creazione della vegetazione nutritiva: erba, legumi e frutti. Si sa che per gli ebrei la vita propriamente detta non appartiene che al regno animale, agli esseri dotati di respirazione visibile (soffio) e di sangue. La quinta parola enunzia la creazione del mondo siderale. L’astro è l’orologio dei tempi primitivi: il sole, la luna le e stelle sono stabiliti come segni per marcare il tempo e le sue rivoluzioni, fissando l’attività ed il riposo degli esseri, e regolando questa vasta officina, in cui va effettuandosi l’elaborazione della vita. Tutto è pronto, Il nostro mondo è organizzato, approvvigionato, regolato: i suoi abitanti possono apparire. Le parole sesta, settima ed ottava costituiscono il terzo atto creatore. Essendo l’uomo il centro e lo scopo della creazione. L’evocazione degli esseri viventi comincia dall’ ultimo cerchio della circonferenza, dagli animali più lontani dall’uomo, e per lui meno accessibili. La terra, essendo l’elemento più nobile, l’ultimo creato, deve fornire alla natura gli esseri più perfetti. La sesta parola, perciò, segna la creazione dei pesci (l’acqua : ilil più antico elemento) e degli uccelli (firmamento: secondo l’elemento creato). La settima, la creazione degli animali, prodotti dalla terra (ultimo elemento creato), esseri viventi che occupano il medesimo suolo dell’uomo. La loro enumerazione incomincia da quelli che vivono in commercio con l’uomo: gli animali domestici. La ottava parola proclama la creazione dell’uomo. Questi non viene direttamente da un elemento, ma è introdotto con solennità come il compimento di un disegno speciale di Dio, come un risultato: egli riattacca
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tutta la creazione a dio, dal quale è creato direttamente, fatto a somiglianza divina. E’ l’apparizione del re. Colpo su colpo, con una sicurezza ed una fecondità onnipotenti, le parole creatrici si sono succedute, illuminando il caos, stendendo il cielo, disimpegnando la terra, coprendola delle meraviglie della natura e dandole il suo capo. Compiuta la creazione, Dio benedice la prima coppia umana, investe l’uomo della regalità su tutti gli esseri viventi, pone la condizione universale che la vita non si alimenti a detrimento della vita e constata la perfezione dell’opera sua. “ Così, conclude il redattore, furono compiuti i cieli, la terra e tutto il loro esercito”. L’UNIVERSO “ Dio ci mette tutto questo mondo fisico sotto gli occhi e spiega davanti a noi tutta questa poesia, per insegnarci a leggere”. (Gratry) Ma le sue lettere “sono troppo grandi: ne vediamo delle parti solamente, non la forma intera”. (Fenelon).
Mosè lo dice sotto una forma concreta: i cieli, sono il mondo siderale, il mondo intero, meno la terra: la terra è il pianeta che noi abitiamo. Con questi due termini, nella letteratura ebraica, viene indicata l’universalità degli esseri visibili, il mondo intero in relazione alla terra, l’universo quale noi lo conosciamo con tutti i suoi elementi. Nel linguaggio filosofico, il termine “universo”” è usato, qualche volta, come sinonimo di mondo o cosmo, più spesso, ad indicare la totalià dell’esistenza fisica, di cui i sistemi cosmici sono parte. Alcuni preferiscono distinguere nettamente tra universo, mondo e stella. Oggi, per universo, noi intendiamo la totalià delle cose esistenti, ossia tutto ciò che viene o verrà comunque rivelato alla nostra esperienza: non soltanto, quindi, come per gli antichi, l’insieme di tutte le cose visibili, con particolare riferimento alla terra, ma il significato è diventato più vasto, in modo da comprendere anche tutti gli oggetti celesti, la cui esistenza viene accertata con qualunque mezzo. Un mondo, invece, è un insieme di corpi celesti, uniti tra loro da i legami di un’attrazione mutua, preponderante sull’azione dei corpi estranei, che li rende solidali gli uni agli altri. Il nostro mondo, per esempio, comprende il sole, i pianeti con i loro satelliti e le comete che popolano la porzione di spazio sottomesso all’attrazione predominante di questo gruppo di astri.
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Una stella è un astro luminoso per se stesso, come il nostro sole. Nel linguaggio scientifico vi è spesso una certa ambiguità, tanto che avviene di sentire parlare con frequenza di universi paralleli. Nella teoria della relatività l’universo viene chiamato cronotopo, o spaziotempo, cioè l’ambiente in cui noi pensiamo si svolgano i fenomeni naturali. Ma questo significato non è sostanzialmente diverso da quello comune. Un carattere comune a tutti i sistemi astronomici primitivi è dato dalla distinzione netta, assoluta, tra il cielo e la terra. La dottrina, da loro professata, assegna al cielo l’immutabilità, alla terra la variabilità; al cielo la libertà, alla terra la dipendenza; al cielo l’impeccabilità, alla terra l’ignoranza; al cielo limpeccabilità, alla terra la colpa. Le interferenze inevitabili tra l’uno e l’altro l’ordine di fenomeni hanno bensì attenuato il concetto di un distacco assoluto, primordiale, pr imordiale, ma non l’hanno fatto scomparire mai. Gli antichi filosofi ponevano a base dell’universo una sostanza unica, rivelantesi a noi attraverso quattro elementi e lementi fondamentali: aria, acqua, terra, fuoco. Oggi, però, tutti sanno che questa classificazione, stabilita in base a considerazioni filosofiche, ma non chimiche né fisiche, è insostenibile.
I CIELI Mosè li nomina quasi di passaggio. Ci ritornerà di proposito al secondo giorno quando tratterà del firmamento. Si può dire che la molteplicità e la apparente indipendenza relativa dei movimenti osservati in cielo fu occasione presso i popoli più dediti all’astronomia al diffondersi di mitologie ricche di dèi e di semidei. Politeisti furono difatti i Babilonesi, gli Indiani, gli Egiziani, i Cinesi e gli stessi Greci, almeno sino a quando la formazione di una nuova coscienza filosofica e religiosa più progredita, non condusse le menti più illuminate a riconoscere nell’unità del cosmo rispecchiata l’unità della causa prima: sorse allora il panteismo.
FIRMAMENTO Gli Ebrei, come gli altri popoli antichi, credevano ad una pluralità di cieli: questi erano gli spazi superiori, separati dalla terra per mezzo di una volta, chiamata firmamento.
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Il "firmamentum" della volgata latina è un traduzione assai inesatta del termine ebraico raqià. San Gerolamo 'aveva adottato sotto l'influsso delle idee del suo tempo sulla costituzione dell'universo, ma il vero senso del testo ebraico è stato ristabilito dopo. Esso era immaginato come una distesa di materia solida e rilucente, probabilmente concava, a guisa di cristallo, appoggiata sulle montagne eterne. I punti, dove la volta celeste tocca la terra, sono le estremità del cielo; ivi si distinguono i quattro punti cardinali, da dove partono i quattro venti; l’insieme di questi quattro punti di contatto forma un grande cerchio: l’orizzonte. Per l’antichità greco-romana il firmamento era una volta solida, metallica, metallica, capace, come il cristallo, di illuminarsi ai raggi del sole. Ad esso erano attaccate le stelle fisse, e trascinava nel suo movimento il cielo inferiore dei pianeti. La serie discendente delle loro sfere diede origine, fin dai tempi di Augusto, alla “settimana planetaria”.
PLURALITA’ DEI CIELI
Gli Ebrei distinguevano tre cieli: sotto il firmamento, quello aereo o atmosferico, che abbracciava la superficie interna della volta celeste, dove passeggiano le nuvole e volano gli uccelli.
Poi, nel firmamento, vi era il cielo sidereo, dove dimorano e splendono gli astri: il sole, la luna, e le stelle. Al di sopra di questa volta, l’immaginazione popolare poneva un oceano celeste, il serbatoio delle pioggie e di tutta l’acqua dolce, la quale dava al firmamento il suo colore azzurrino di giorno e buio di notte. Nella volta del d el firmamento vi erano dei fori, chiamati cateratte o botole, che Dio apriva per far cadere sulla terra le acque del mare celestiale. Al di là dell’oceano celeste, al di là della portata di vista, gli Ebrei ponevano il soggiorno di Dio e dei suoi angeli. È il terzo cielo o cielo dei cieli, l’empireo. E’ fino a questo cielo che San Paolo dice di essere stato rapito ( II cor. 12,2). Questa pluralità di cieli non ha nulla a che vedere con i cieli di Dante, il quale ha attinto ad altra fonte, alla letteratura giudaica g iudaica extrabiblica, che ne
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conta sette. Non è forse, del tutto estraneo, in questa concezione, l’influsso ellenistico dei sette cieli planetari. Il più elevato, l’Aravoth, l’empireo conteneva il trono di Dio. Sotto il cielo empireo, sede di Dio, degli angeli e dei beati, gli antichi e gli scrittori del medioevo ponevano il primo cielo, detto da loro primo mobile, perché “ per lo ferventissimo appetito di congiungersi all’empireo”. (Dante, Convito, 2-4) si muove velocissimamente. E’ appunto la misura del moto di questo cielo quello, che, secondo loro, costituisce il tempo. Questo primo cielo riceve dall’empireo non già l’impressione fisica del suo moto, ma la virtù di contenere i cieli inferiori, influendo su di loro in un modo a noi sconosciuto. Esso viene così descritto da Dante:
a natura del moto, che quieta Il mezzo, e tutto l’altro intorno move, quinci comincia come da sua meta. E questo cielo non ha altro dove Che la mente divina, in che s’accende L’amor che il volge e la virtù ch’ei piove. Luce ed amor d’un cerchio lui comprende, sì come questo gli altri, e quel precinto colui che il cinge solamente intende. Non è suo moto per altro distinto; ma gli altri son misurati da questo sì come dieci da mezzo e da quinto. E come il tempo tenga in cotal testo Le sue radici e negli altri le fronde, ormai a te puot’esser manifesto”. (Par. XXVII)
Il secondo cielo era il cielo detto acqueo o cristallino, per la condizione con dizione glaciale delle sue acque e per la sua natura diafana. Finalmente il terzo cielo, detto il cielo delle sfere, comprendeva in tutto otto sfere. La prima, di cui parla Dante al canto II del paradiso, versi 64-66, era la
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sfera delle stelle fisse,detta anche cielo sidereo o firmamento, del quale Dante tratta al canto XXII, 118-120. Sotto questa prima sfera si aggiravano i sette cieli dei pianeti, con le rispettive sfere, cioè: quella di Saturno, di Giove, di Marte, del Sole, di Venere, di Mercurio e della Luna. Secondo Aristotele, queste stelle erano fisse nei rispettivi cerchi, e il loro moto determinava pure il moto di questi, ossia delle sfere. Di tutte queste sfere era centro la nostra terra. Dante le descrive in compendio, quando, giunto nel segno dei Gemelli, viene richiesto da Beatrice di “ rimirare in giuso”; “ Col viso ritornai per tutte e quante le stte spere, e vidi questo globo tal ch’io sorrisi del suo vil sembiante; e quel consiglio per migliore approdo che l’ha per mano; e chi ad altro pensa chiamar si può veracemente probo. Vidi la figlia di Latona incensa Senza quell’ombra, che mi fu cagione Per che già la credetti rara e densa. L’aspetto del suo nato, Iperone, quivi sostenni, e vidi com’ si move circa e vicino a lui Maio e Dione. Quindi m’apparve il temperar temperar di Giove tra il padre e il figlio; e quivi mi fu chiaro Il variar che fanno di lor dove. E tutti e sette mi si dimostraro Quanto son grandi, e quanto son veloci, e come sono in distante riparo. L’aiuola che ci fa tanto feroci, volgendom’io con gli eterni Gemelli, tutta m’apparve dai colli alle foci”. (Par. XXII. 133-153)
Tale era il sistema planetario dei nostri antichi; distema, che se mancava di base scientifica, è indizio evedente del grande ardore, con cui era coltivata l’astronomia. In un tempo , in cui mancavano strumenti di precisione, oggi a portata di mano. Era riservato, primo al celebre cardinale Nicolò da Cusa (1464) di abbozzare, e poi all’illustre canonico di Vormazia, Nicola Copernico (1542), (1542), di stabil stabilire ire scient scientifi ificam cament ente e la falsit falsità à del sistem sistema a tolema tolemaico ico,, che
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doveva venire rovesciato irreparabilmente dalle invincibili dimostrazioni di Galileo Galilei (1642). L’etimologia della parola “cielo” è sconosciuta. I rabbini spiegan spiegano o male la sua etimologi etimologia a ebraica: ebraica: “samaim” “samaim” deriverebbe, deriverebbe, seco second ndo o loro, oro, da sam sam=ivi =ivi,, mai maim= acque cque,, ment mentre re è più più proba robabi bille la derivazione dal verbo samah=essere alto.
LA TERRA CAOS.- “La terra, pertanto era informe e deserta, e tenebre eran sulla faccia dell’abisso, ma lo spirito di Dio si librava sulle acque”. L’autore, lasciato da parte il cielo, limita i suoi sguardi alla terra, che doveva diventare l’abitazione dell’uomo. Dei cieli non farà più menzione, se non nella misura dei rapporti che essi hanno con cose terrestri: firmamento ed astri. Con pochi tratti, d’una concisione e d’un vigore ammirevoli, egli ci presenta il nostro pianeta all’origine della sua evoluzione o almeno ad un periodo remotissimo. L’immagine della terra ci è dipinta in tutto l’orrore della sua formazione primitiva: primitiva: priva di ogni ordine ed ornamento, ornamento, circondata circondata di tenebre tenebre e coperta coperta da acque tumultuanti, essa si trova in uno stato di confusione completa e di nudità assoluta. Tutto Tutto intorno intorno era un abisso abisso di acque, acque, e, sopra sopra questo questo abisso, abisso, immense immense e spesse tenebre l’avvolgevano come di un manto di oscurità. Questa terra caotica, coperta di acqua, tenebrosa, tenebrosa, era “vuota, “vuota, deserta”, deserta”, cioè non aveva alcuna traccia di vita organica, organica, sia animale, animale, sia vegetale. vegetale. Deserto sconfinato, senza via e senza limiti; taciturna e liscia, come una lastra di marmo senza mobilio: né fiori, né uccelli, né rettili, né quadrupedi, né uomini. Nulla, tranne che silenzio, solitudine e caos. I termini del testo ebraico (imperfettamente resi in latino per solitudo ed inanitas) sono intraducibili esattamente, ma il senso non è dubbio: esso implic implica a disordi disordine, ne, confus confusion ione, e, solitu solitudin dine, e, oscurit oscurità; à; l’aut l’autore ore,, cioè, cioè, vuol vuol far rilevare che essa si trovava allora allo stato di immensità deserta e vuota, sprovvista, conseguentemente, di ciò che costituirà poi la sua fisionomia: i rilievi orografici, i corsi d’acqua, la vegetazione, gli animali, l’uomo più la luce rischiarante e che dà risalto a tutta la sua superficie. In una parola, lo stato dell della a mate materi ria a info inform rme, e,,, prim prima a che che il Creat Creatore ore ne aves avesse se orga organi nizz zzat atii gli gli elementi.
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I partigiani del concordiamo, tra il racconto della Genesi ed i sistemi cosmogonici moderni, pensano che i due termini designino lo stato della terra, durante la condensazione della nebulosa primitiva, quale la descrive Laplace nella sua celebre ipotesi. Il nostro globo, cioè, per effetto della sua prima prima cond condens ensaz azio ione ne,, da una una mass massa a omog omogen enea, ea, pass passò ò man man mano mano ad assumere la forma di tre grandi sfere concentriche. La più vicina al centro, fondata dai corpi più pesanti, costituenti la parte solida e disposti in vari stati a seconda della loro densità; la seconda, composta dai corpi di minor peso, costituenti la parte liquida; e la terza, formata dai corpi più leggeri, dai gas, cioè l’atmosfera. Così la scienza verrebbe a confermare che una volta, al periodo cambrico o azoico, tutto il nostro globo fu coperto dalle acque. Checchè ne sia della teoria di Laplace e di questo accordo tra Bibbia e scienza, il pensiero di Mosè non potrebbe essere più ovvio. Il caos caos,, o univ univer erso so primo primord rdia iale le,, cons consta tata tava va di tre tre elem elemen entiti o strat stratii sovrapposti, che Dio separa con tre atti distinti: 1.- separate le tenebre, si ha la luce; 2.- separate le acque superiori ed inferiori, si ha il firmamento; 3.- separate le acque dalla terra, appare l’asciutto, germinante, per comando di Dio, erbe ed alberi. TERRA Nella cosmologia degli antichi, guidati dalle sole apparenze, la terra è piana, piatta, circondata tutta intorno dall’oceano, e coperta da una volta immensa. Questo duomo, poggiato su pilastri piantati all’estremità dell’orizzonte, era considerato come solido, per cui il termine “firmamento” (=ciò che è fermo, solido), che designava la volta celeste e che noi ancora adoperiamo. In Caldea, come in Egitto, si credeva il mondo in equilibrio sulle acque eterne. La terra formava un tutto parallelo col cielo visibile, ed insieme formavano l’universo, di cui la terra era il centro: intorno a questo centro dovevano muoversi tutti i corpi celesti. In particolare, gli Egiziani immaginavano la terra piana, come una specie di tavola formata dai continenti e dai mari, e circondata da montagne. Di queste, quattro, situate ai punti cardinali, sostenevano il soffitto di ferro, che costituiva il firmamento, dal quale pendevano le stelle. I Caldei se la figuravano come una specie di baule capovolto, formante la parte bassa del mondo. Essa si elevava, poco a poco, gradatamente fino alle regioni nevose delle sorgenti del fiume Eufrate, dove aveva il suo punto culminante. Inoltre era circondata da un mare misterioso al di là del quale si ergeva una muraglia uniforme e continua, cui era poggiato il cielo, e perciò chiamata la “diga del cielo”. Il cielo era una cupola di metallo duro, che il sole illuminava durante il giorno e che era er a seminato di stelle durante la notte.
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Novecento anni prima di Cristo, ai tempi, cioè, del poeta Omero, si credeva che la Terra, circondata dal fiume Oceano, riempisse la metà inferiore della sfer sfera a del del mond mondo. o. Il sole sole,, od Elio Elios, s, dovev doveva, a, natu natural ralme ment nte, e, ogni ogni matt mattin ina a acce accend ndere ere i suoi suoi fuoc fuochi hi e speg spegne nerl rlii alla alla sera sera nelle nelle acqu acque e dell’ dell’Oc Ocea eano no.. Anassimandro, più tardi, sosteneva che la terra aveva la forma di una colonna di pietra; Talete, gli stoici e quelli della loro scuola, come ci narra Pluta lutarc rco, o, furon urono o i pri primi a int intuire uire la sfer sferic iciità del della Terra erra,, perc perché hé la consideravano come una palla sferica. Sicuramente questa idea, che la terra sia sferica ed isolata nello spazio, apparve nell’astronomia dei Greci con Pitagora, la cui teoria degli eccentrici e degli epicicli venne poi adattata e svolta da Tolomeo, ed accettata fino al tempo di Copernico.Altri filosofi greci, a lui posteriori, e in modo particolare Aristotele, ne enunciarono le prove elementari, che anche oggi vengono citate sull’argomento. Gli Ebrei, come ogni altro popolo antico, riguardavano il proprio paese come il centro della superficie terrestre, più o meno circolare. Da questa concezione ebbero origine non pochi anacronismi contrari alla stesura della terra, alla sua rotondità, alla sua rotazione, alla sua rivoluzione intorno al sole sole,, ed al suo suo post posto o cosm cosmic ico. o. Maa Maa ciò ciò non non deve deve far far mera meravi vigl glia ia;; essi essi sapevano che la terra era stata creata da Dio per l’abitazione degli uomini, e che per loro utilità essa era stata da Lui prosciugata, ornata di piante e di animali. Ce n’è più che a sufficienza, per un popolo dedito alla pastorizia ed all’agricoltura. Oggi, la terra ha il posto che le compete quale modesto pianeta del sistema sola olare, re, e tale posto diviene sempre più evanes nescente con l’approfondirsi delle conoscenze dell’universo, di cui sono infima parte non soltanto il sistema solare, ma tutto l’insieme delle stelle note agli uomini prima della scoperta del cannocchiale. Dentro il fitto esercito di astri, la terra, che non è più sotto il cielo, ma nel cielo, rappresenta meno di un punto. M l’importanza ideale e materiale che ha per noi questo pianeta, sul quale si svolge la nostra vita, conserva ancora il suo primato, che si rispecchia anch anche e nell nello o stud studio io sc scie ient ntifific ico o di esso esso:: esso esso rest resta a di fond fondam amen ento to alle alle determinazioni delle distanze cosmiche, delle dimensioni, delle masse e dei movimenti di tutti gli astri.
IL MISTERO DELL’ACQUA La Bibbia ce la presenta come uno degli elementi essenziali del mondo, sulla cui superficie liquida Dio ha esercitato un’azione particolare, analoga a quella dell’uccello, che si libra ulle sue uova per mantenervi il calore e facilitare lo sviluppo della vita. In un secondo tempo, Dio stabilisce la distinzione tra le
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acque atmosferiche ( nubi, pigge, ecc.) regolando così la sua missione benefica per la terra e per i suoi molteplici inquilini. Realmente, questo ruolo essenziale nella costituzione e nello sviluppo del nostro pianeta, l’acqua lo continua ancora oggi. ogg i. Essa, che si presenta in tutti e tre gli stati: solida, liquida, e allo stato di vapore, è presa come sostanza di confronto per un grande numero di misure fisiche ( densità, calore, temperatura, ecc). Grande solvente della natura, essa è alla base di ogni vita terrestre: non solo sembra che la vita abbia preso nascita in seno alle acque, ma senza acqua nessuna vita potrebbe mantenersi. Non meraviglierà, quindi, che gli antichi abbiano veduto nell’acqua uno dei quattro elementi essenziali della natura, e che l’abbiano pensata sempre come dotata di vita e di potere sacro, dandole perciò parte cospicua o predominante in un gran numero di riti e di atti magici e religiosi, ritenendola sede di spiriti e di divinità, che dovevano tutelare. In quanto alla sua origine sulla terra, gli Ebrei avevano una concezione assai elementare del ciclo dell’acqua. Laghi, fiumi, ruscelli, fonti, tutti avevano la loro sorgente nel grande oceano, il quale circondava ed impregnava le viscer viscere e della terra, terra, da cui venivano venivano fuori. fuori. La grande grande massa delle delle acque acque costituiva i mari . Le piogge, la rugiada, le acque meteoriche in genere, avevano, la loro sorgente dall’oceano celeste, le cui acque erano trattenute dal firmamento, che Dio aveva provvidenzialmente posto fin da principio a riparo della superficie terrestre.
LA LUCE
Secondo il racconto biblico, i vari elementi: tenebre, acque e terra sommersa ancora dalle acque, sono stati da Dio prodotti, ma esistono nello stato caotico; bisogna che si metta in queste cose un po’ di ordine, segnando i confini. Ora, perché Dio possa ciò adeguatamente, adeguatamente, è necessario che le cose da ordinare si possano vedere, e perciò è necessaria la luce. Dio, quindi, incomincia dalla produzione della luce, e separate le tenebre dalla luce, come due sostanze tra loro distinte, istituisce il giorno. Con essa comincia a comparire l’ordine e la varietà. Le cose nella luce prendoni forma e colore, trasfigurandosi e quasi rinascendo ogni ora. E’ difficile determinare la natura di questa luce: ai nostri sensi resta incorporea, imponderabile e con nessuna delle qualità, che noi di solito attribuiamo alle cose che tocchiamo con mano.
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Questo giustifica le varie ipotesi e teorie, che nel tempo si succedettero per spie spiega gare re la sua sua natu natura: ra: dopo dopo l’ip l’ipot otes esii dell dell’e ’emi miss ssio ione ne di Newt Newton on e delle delle ondulazioni di Descartes, un enorme passo avanti è segnato da due teorie moderne, completatesi a vicenda: quella elettromagnetica di Maxwell, che consid considera era,, analog analogame amente nte alle alle onde onde hertzia hertziane, ne, i fenome fenomeni ni lumino luminosi si come come dovuti a dei campi elettrici e magnetici rapidamente variabili nel tempo; e quella quantistica di Einstein, per il quale le radiazioni luminose sarebbero costituite da corpuscoli (i quanti di azione Plank), che si propagano nello spazio con la velocità, - cosa, del resto, comune a tutte le altre teorie o ipotesi precedenti,- di 300.000 km al secondo , e la cui energia è proporzionale alla frequenza. Questa teoria riesce a spiegare un gran numero di fenomeni scoperti nei tempi più recenti, alcuni dei quali, come l’effetto fotoelettrico, fanno parte ora del patrimonio tecnico, oltre che di quello scientifico. La teoria più recente è quella ondulatoria che, mettendo d’accordo la maxwelliana e la einsteniana, spiega quasi tutti i fenomeni che la ricerca scie sc ient ntifific ica, a, semp sempre re più più prog progre redi dita ta,, sc scop opre re quot quotid idia iana name ment nte. e. L aluc aluce e è velocissima. La sua prima misurazione fu fatta nel 1676 da Olaf Romer, il quale la fa risalire a 311.ooo Km. Al secondo. In generale, nelle mitologie, la luce preesiste agli dèi, a meno che il dio non sia lui stesso, in qualche modo, la personificazione della luce. Gli antichi concepivano la luce come racchiusa nelle stanze del cielo, dalla cui finestra si riversava sulla terra. Dalle asserzioni mosaiche risultano due fatti incontestabili: che è stata necessaria un’azione creatrice perché la luce si producesse al posto delle tenebre, e che questa luce non è inerente alla terra “informe e deserta”, ma che essa le viene da altrove. Tocca alla scienza di spiegare, fin dove lo può, la natura della luce, la sua propagazione ed i fenomeni delle sue alterazioni con le tenebre, le quali sono l’assenza di un fenomeno positivo. La luce. Le tenebre sono create in questo senso, che esse sono concomitanti ai primi esseri creati, quando la luce non li rischiarava ancora. Ma la luce ha nulla di comune con le tenebre, perché i due fenomeni si escludono a vicenda.
PIANTE Potrebbe stupirci che Mosè abbia trascurato di descriverci nei particolari la gamma dei colori e le vibrazioni dei suoni, i turbini di neve e l’irrigazione delle piogge, piogge, il sibilar sibilar del vento, vento, il saettar saettar del fulmine fulmine e lo scosciar del tuono. tuono. Così non recherà meraviglia il suo silenzio sugli innumerevoli fiori variopinti e sul diverso cinguettar degli uccelli, sull’aria e sul fuoco, su tutti quei fenomeni ed elementi, di cui la vita si sostenta, e di cui il creato si allieta ed arricchisce lo splendore della sua bellezza.
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Egli Egli,, sapi sapien ente teme ment nte, e, si è ferm fermat ato o alle alle gran grandi di line linee e arch archititet etto toni nich che e dell dell’i’ins nsie ieme me,, le qual qualii hann hanno o un ordin ordine, e, un’a un’arm rmon onia ia di prop proporz orzio ioni ni,, quas quasii facessero parte di una cattedrale, che elevi i suoi pinnacoli ai cieli. Nulla è lasciato e disposto a caso, ma tutto rivela la sapienza di un piano regolatore superiore, che tutto ha disposto con ordine, peso e misura. Nel nostro testo abbiamo la prima ed unica traccia di una classificazione popolare del regno vegetale: nella Bibbia non ricorre altrove, e neppure presso i profani. Mose’ enumera successivamente tre categorie di vegetali, che egli chiama desè “germen”, eseb, “herbe germinans semen”, ez, peri “arbor fructus facies fructum. Alcuni Alcuni interpr interpreti eti ( de Hummell Hummellaue auer, r, Hetzenau Hetzenauer, er, ecc.) ecc.) vorrebb vorrebbero ero inte intend nder ere e desè desè come come term termin ine e gene generi rico co per per desi design gnar are e tutt tuttii i vege vegeta talili,, classificati poi in piante sementose (eseb) ed alberi fruttiferi (ez peri). Ma l’in l’inte terp rpret retaz azio ione ne comu comune, ne, con con ques questo to term termin ine e inte intend nde e tutt tuttii quei quei picc piccol olii vegetali, la cui germinazione non è apparente o quasi. Del resto, checchè sia di ciò, quel che maggiormente conta è l’idea dell’autore, il quale, con questa numerazione ha voluto inculcare l’origine da Dio di tutto il regno vegetale. Caratteristica la concezione di Mosè, condivisa da tutti gli antichi, secondo i quali le piante piante non avrebbero avrebbero vita: per essi, essi, la vita propriame propriamente nte detta fa il suo ingresso sulla terra con la comparsa degli animali, quando troviamo adoper adoperato ato,, per la seconda seconda volta, volta, il termine termine solenn solenne e “creo’ “creo’ “, che non ha adoperato per i vegetali. La divisione dei vegetali in tre categorie, non ha alcuna pretesa scientifica; essa è semplicemente una classificazione popolare, fondata su caratteri del tutto esteriori, ordinariamente assai apparenti, e tali da far comprender a coloro cui Mosè si rivolge. Stando al senso preciso dei termini, desè sarebbe un collettivo designante le piante cellulari più semplici come organizzazione, l’insieme, cioè, delle erbe corte, minute e folte dei prati, che sembrano germinare dalla terra senza seme; i suoi grani, difatti, sono tanto poco apparenti, apparenti, che essi non contano agli occhi del volgare. volgare. Con fondamento fondamento non del del tutt tutto o feli felice ce,, alcu alcuni ni lo fare farebb bber ero o corr corris ispo pond nder ere e a ciò ciò che che noi noi oggi oggi chiamiamo alghe, licopodi, acotiledoni o crittogame, anfigeni, ecc.; piante cioè, che non hanno mai fiori e che non producono grani. Invece èseb, è un erba più forte, che ha ordinariamente un piccolo stelo, o fusto erbaceo, ed un seme più apparente.. Sono, quindi, i vegetali erbacei, ma produ roduce cent ntiisi per per seme semenz nza. a. Corri orrisp spon ond dereb erebb be, seco second ndo o l’an l’anttica ica classificazione di Linneo, alle nostre fanerogame, cioè alle piante provviste di fiori e producesti grani: cereali, legumi, ecc. di cui farà ancora menzione al versetto, dove Dio li assegna come nutrimento all’uomo. Infine, c’è un collettivo, comprendente gli alberi e gli arbusti, il cui fusto ha più consistenza ed è già legnoso. Questa categoria potrebbe trovare riscontro anche nelle nostre fanerogame, fanerogame, sebbene, nell’idea nell’idea di Mosè, essa si applichi applichi
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più specialmente agli alberi e arbusti legnosi propriamente detti, portanti frutto, e che Dio al versetto assegna come nutrimento all’uomo insieme con l’èseb. Queste due ultime categorie non hanno, evidentemente, alcuna pretesa scie sc ient ntifific ica, a, giac giacch chè è esse esse entr entran ano o l’un l’una a nell nell’a ’altltra ra.. Conv Convie iene ne però però non non dimenticare che fino alla fine del medioevo esse furono le sole adottate. Il numero ristretto della specie, lo spirito di comparazione poco sviluppato ed il prev preval alent ente e indi indiri rizz zzo, o, sia sia tera terape peut utic ico o sia sia agra agrari rio, o, furon furono o le caus cause e principali, che tennero gli antichi studiosi di botanica lontani dal cimento delle clas classi sififica cazi zion oni.i. Dall Dalla a dist distin inzi zion one e pura purame ment nte e arti artififici ciosa osa e supe superf rfic icia iale le di Teofrasto (371-286 a.C.) alle attuali classificazioni sistematiche dell’Engler e del Wettstein, il cammino è stato lungo e laborioso. Ciononostante ancora oggi non s’è trovato un criterio obiettivo unico e generalizzabile, che permetta il diagnosticare le specie; né si sono trovati limiti esatti, entro cui circoscrivere questo concetto, che pur corrisponde ad una realtà naturale.
ASTRI
Con il quarto giorno ha inizio l’opera dell’ornato, cioè della produzione di quelle cose che, distinte dal cielo, dall’acqua e dalla terra, furono da Dio destinate ad essere loro di rispettivo ornamento. Il firmamento del cielo è arricchito del sole, della luna e delle stelle; le acque e l’aria, dei pesci e degli uccelli; la terra, delle bestie e dell’uomo. Il posto assegnato alla formazione degli astri, dopo i vegetali, imbroglia e romp rompe e la magn magnifific ica a sc scal ala a ascen ascende dent nte e degl deglii esse esseri ri:: mate materia ria inor inorga gani nica ca,, vegetali, animali, uomo. Ma questo è anacronismo è dovuto, come è stato già detto alla concezione che gli antichi avevano delle piante, prive di movimento, ed allo schema letterario dell’autore, relativo alle tre regioni reg ioni dell’universo. Dall’insieme del passaggio, risulta che sono prospettate tre categorie di luminari: il sole, la luna, le stelle. Il sole e la luna sono distinti dalle stelle per la loro grandezza: non già che essi siano assolutamente maggiori, essendo il sole relativamente piccolo, rispetto alle altre stelle, e la luna piccolissima, quale semplice satellite di un pianet pianeta: a: ma sono sono detti detti “grand “grandi” i” dall’app dall’appare arenza nza che essi hanno rispett rispetto o ai nostri sensi, e perché maggiore è l’influenza di questi due corpi celesti sopra i fenomeni terrestri: la generazione delle piante, il flusso e riflusso del mare, e perfino la salute corporale degli animali e dell’uomo, non sono indipendenti dall’influsso di questi corpi. Il sole, poi, è detto “luminare grande”, a differenza della luna, chiamata “luminare piccolo”, perché il sole emette luce più viva
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della luna. Non poca importanza aveva la luna presso gli antichi e, in modo particolare, presso gli Ebrei, i quali dividevano l’anno in mesi lunari. Le stelle chiamate kokabìm “ le ardenti”, sono concepite come fisse e pend penden entiti sott sotto o la volt volta a cele celest ste. e. Ques Questa ta opin opinio ione ne si trov trova a diff diffus usa, a, quas quasii universalmente, in tutta l’antichità. Questi corpi celesti sono tanto belli, e tanta ammirazione destano agli occhi di chi li contempla, che essi furono creduti anim animat atii non non solo solo dai dai filo filoso sofifi plat platon onic ici,i, ma anch anche e da qual qualch che e sc scri ritt ttor ore e ecclesiastico come Origene. S. Tommaso aveva colpito nel segno, avvertendoci avvertendoci in anticipo: “ Moyses, Moyses, rudi populo populo condescende condescendens, ns, secutus secutus est quae sensibil sensibiliter iter apparent apparent”. ”. Egli parlava ad un popolo che intendeva le cose assai grossolanamente: trattava, perciò, delle cose, create come esse si presentano agli occhi, richiamando l’attenzione del suo popolo sulle cose che più eccitano la parte sensibile, per ritrarlo così dal male ed avviarlo al bene. Egli voleva far conoscere che il sole, dal quale derivano all’uomo tanti beni, non è affatto il principio delle cose, come lo pensava la maggior parte degli uomini, che adoravano in lui il dio generatore dell’universo, ma il sole, la luna e le stelle tutte sono semplici creature, che hanno ricevuto da Dio creatore la loro speciale missione, come gli altri esseri. Ciò doveva muovere gli Ebrei ad innalzare lodi al Supremo Artefice di creat creature ure sì grand grandio iose se e bene benefifich che; e; ad ador adorare are,, rico ricono nosce scent nti,i, Lui Lui solo solo,, astenendosi dal prestare onori divini agli astri del firmamento, i quali non sono altro che semplici opere, meravigliose, si, ma sempre inferiori alla natura umana. Essi sono stati creati, come il resto dell’Universo, in ordine all’utilità esclusiva dell’uomo. Tre fini sono loro assegnati: procurare l’alternativa del giorno e della notte; rischiarare la terra di giorno e di notte; essere segni per gli agricoltori, i naviganti, i viaggiatori, e manifestare le differenti stagioni, permettendo il computo dei giorni e degli anni.
ANIMALI
Con l’opera del quinto giorno, secondo la concezione mosaica, irrompe sul nostro pianeta la vita: per mezzo degli uccelli e dei pesci, che in quel giorno diconsi formati, viene iniziato nella natura il regno animale.
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Il regno minerale, abbozzato con l’opera della creazione, era stato ultimato con l’opera, del secondo, del terzo e del quarto giorno; il regno vegetale era stato istituit istituito o nel terzo giorno; giorno; ora non restava restava che la formazione formazione del regno animale, il quale, per la legge secondo cui, nella produzione delle cose, l’imperfetto debba precedere il perfetto, doveva logicamente rappresentare l’opera del quinto e del sesto giorno. Così gli animali terrestri, come più perf perfet ettiti,, sia sia quan quanto to alla alla dist distin inzi zion one e dell delle e loro loro memb membra ra sia sia quan quanto to alla alla produzione, non dovevano essere formati che al sesto giorno: dopo, cioè, la formazione degli uccelli e dei pesci, i quali sono soltanto ovipari, e nei quali manca questa perfetta distinzione. Le ricerc ricerche he biolog biologich iche e recent recentii hanno hanno insist insistito ito sul caratt carattere ere animal animale e dell’uomo; sarebbe puerile negare che la sua organizzazione fisiologica sia, in genere, simile a quella dei mammiferi. Ma questo paragone, il cui merito principale fu di battere in breccia un esagerato antropocentrismo, fa meglio spiccare spiccare i caratteri caratteri specifici della razza umana, che, se non fanno dell’uomo dell’uomo un essere isolato nella natura, bastano tuttavia per farne un essere singolare. Egli Egli è chia chiama mato to dal dal Crea Creato tore re a supe supera rare re la stad stadio io dell dell’a ’ani nima malilità tà,, ed a dominare sugli animali e sull’essere animale che si trova in lui, sviluppando, così, ciò che è la sua particolarità originale e la sua vocazione divina. L’an L’aniimale, ale, per per gli gli Ebre Ebreii, è un esse essere re mist isterio eriosso: la sua sua esi esisten stenzza è abbast abbastanza anza incomp incomprens rensibi ibile, le, giacch giacchè è esso esso possie possiede de una vita vita analog analoga a a quella dell’uomo e ne è tuttavia assai differente. L’animale, per loro, si compone d’una carne, che varia che varia con la specie, e di un’anima contenuta nel suo sangue: è per questa ragione che l’animale deve essere sempre dissanguato prima di essere mangiato. La classificazione degli animali nel nostro testo biblico è delle più semplici. Mosè e, dopo di lui, gli Ebrei hanno diviso gli animali in quattro grandi categorie: i quadrupedi, gli uccelli, i rettili ed i pesci. Questa Questa classificaz classificazione, ione, senza senza avere affatto affatto delle pretese pretese scientifich scientifiche, e, rispecchia tuttavia le concezioni del tempo. La divisione è tratta dal movimento degli animali, dei quali gli uni camminano, altri volano, altri nuotano ed altri strisciano. E’ quanto vi è di più apparente e che più colpisce nell’animale, ed anche ciò che caratterizza tra le diverse specie di animali le differenze più importanti. Questa stessa divisione è anche proposta p roposta dagli antichi autori profani. Mosè chiama il quadrupede “behemah”. Questa espressione, nella Bibbia, designa tutti i quadrupedi terrestri, purchè essi non siano di statura troppo piccola: diciamo i quadrupedi “terrestri”, per escludere certi animali acquatici o anfibi, che hanno quattro zampe, e che Mosè ha mai classificato tra “behe “behema mah”. h”.Co Così sì,, i picc piccol olii quad quadrup rupedi edi,, come come i topi topi,, le talp talpe, e, ecc., ecc., sono sono classificati da Mosè non tra i behemah, ma tra i rettili. Nel nostro testo, però Mosè Mosè ha dato dato al term termin ine e behe behema mah h un sens senso o più più rist ristre rett tto, o, inte intende ndend ndol olo o
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semplicemente dei quadrupedi domestici, come il bue, la capra, il cammello, ecc., ed opponendolo così ai quadrupedi selvaggi, come il leone, il lupo, l’orso, ecc. che egli chiama hayyat haarez. Abbiamo quindi due classi di quadrupedi: gli animali domestici e le fiere. I rettili sono chiamati da Mosè “ serez sorez al haarez, cioè gli animali che si muovono strisciando sulla terra. Egli li distingue così dai pesci, chiamati anche serez, ma che si muovono nell’acqua, e da quegl’insetti alati, chiamati anche serez, che possono muoversi o strisciare sulla terra, ma che hanno ali, e che, per questo particolare sono classificati tra gli uccelli. Quindi il termine ebra ebraic ico o reme remes, s, trado tradott tto o per per “rep “reptitile le”, ”, in manc mancan anza za d’al d’altr tro o term termin ine e lati latino no corrispondente, non è lo stesso di quello adoperato al quinto giorno per designare tutti gli animali acquatici; nel suo senso proprio, designa gli animali di piccolo taglio, che si muovono sul suolo senza gambe. Dal contesto, sembra che gli animali e i rettili terrestri vengano fuori dal suolo, come i pesci ed i rettili acquatici dalle acque. I pesci sono, generalmente, “tutti gli esseri viventi che nuotano ( serez qui ha questo senso) nell’acqua”. Gli uccelli indicano, nel linguaggio mosaico, ordinariamente “tutti gli animali con ali”. In questa maniera, lo scrittore sacro menziona la moltiplicazione dei mammiferi sulla terra, immediatamente prima dell’apparizione dell’uomo, e li classifica secondo la loro importanza e la loro utilità relativamente all’uomo. Oggi non è più tanto facile classificare i vari esseri viventi. Tutti gli esseri viventi si dividono in due grandi gruppi: gli animali e le piante. La distinzione tra animali e piante, facile nei gruppi superiori, risulta oltrem oltremodo odo diffici difficile le quando quando si studiano studiano le forme forme inferior inferiorii ( protoz protozoi, oi, alghe, alghe, funghi). Ciò perché molte di esse hanno insieme caratteri, che usualmente si attribuiscono ai due diversi regni. Il tentativo dell’evoluzionista Haeckel, che cercò di superare la difficoltà, istituendo un terzo regno, quello dei protesti, non ebbe seguito. Oggi, come principali caratteri distintivi tra i due regni classici dei vegetali e degli animali, sono elencati: 1) la sensibili sensibilità, tà, esclusiv esclusiva a degli animali; animali; 2) il moviment movimento, o, quasi quasi assente assente nelle nelle piante; piante; 3) il metabolismo: gli animali, per vivere, devono alimentarsi di sostanze organiche, comprese le sostanze proteiche; invece le piante possono vivere di sostanze minerali, acque e Sali del terreno, anidride carbonica dell’atmosfera; 4) la cell cellul ulos osa: a: le pian piante te hann hanno o pare paretiti cell cellul ulari ari di cellu cellulo losa sa,, ment mentre re gli gli animali ne sono privi. 5) L’animale, L’animale, quindi, quindi, è un essere vivente vivente dotato dotato d’una organizzazio organizzazione ne perfezionata (sistemi nervoso, locomotore, ecc.) che gli permette di emanciparsi dall’ambiente esterno.
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Per Quanto riguarda la terminologia, si può dire che l’antica distinzione tra genus e species species si conserva conserva nel seno che l’estension l’estensione e del “genere” “genere” resta sempre maggiore di quello della “specie”, in cui appunto esso si “specifica” (di cui il nesso con la dottrina della definizione, che si compie per “genus proximum et differentiam specificam): ed è questo il valore generale che è rimasto ai due termini. Nell’originale ebraico questa distinzione è evitata, perché esso adopera sempre la stessa parola “ min, da S. Gerolamo tradotta promiscuamente per genus e per species.
L’UOMO
L’uo L’uomo mo,, ques quest’t’ess esser ere e di tale tale impo import rtanz anza a e nobil nobiltà tà,, da merit meritar are e di diventare centro del mondo e argomento di tante laboriose meditazioni e discussioni! Capolavoro della creazione visibile, immagine di Dio, l’uomo è l’ultimo e supremo anello degli esseri terrestri; a lui si arresta l’opera creatrice. Possedendo un corpo materiale ed un’anima spirituale, egli tocca il mondo visibile ed il mondo invisibile. Portando nel suo corpo la rassomiglianza degli esseri inferiori, e nell’anima sua la rassomiglianza stessa di Dio, egli è collocato fra la creatura e Dio come il punto di congiunzione della materia e dello spirito, il legame del cielo e della terra. Secondo Mosè, la più recente delle de lle creature fu l’uomo. Mentre Dio si era accontentato di un semplice comando per produrre tutte le altre creature ( “sia la luce…” “Ci sia una distesa…” “ produca la terra…”, terra…”, ecc), per creare creare l’uomo l’uomo sembra entrare entrare in deliberazio deliberazione ne con se stesso, quasi si trovasse davanti ad un’opera per grandezza ed importanza. “Facciamo”, dice. Per ordine di Dio la terra fece spuntare la verdura, e per suo comando gli animali uscirono dalle acque e dal suolo; nella creazione dell’uomo, invece, tutta l’attività è attribuita direttamente a Dio. L’autore sacro si compiace di presentarci il Creatore prima di procedere alla creazione dei nostri progenitori, in deliberazione con se stesso. In tale deliberazione si stabilisce la dignità quasi impensabile dell’uomo: “ A sua immagine, secondo la sua su a somiglianza”! Archetipo dell’uomo non sarebbe stato già un’idea divina, come per gli altri esseri. Ma Dio stesso.
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Per quanto alta fosse l’idea, che la ragione ci dà dell’uomo, soltanto la rive rivela lazi zion one e divi divina na pote poteva va inse insegna gnarci rci che che egli egli è stat stato o creat creato o ad immagine di Dio, cioè, che egli è, secondo la bella interpretazione di S. Agostino, l’immagine somigliantissima di Dio. Se l’uomo sarà creato ad immagine di Dio, è normale che egli partecipi anche al suo dominio sugli animali e sulle altre creature, dominandoli con intelligenza ed asservendoli ai suoi scopi. Abbi Abbiam amo o così così tre part partii ben ben dist distin inte te in ques questa ta rela relazi zion one: e: la deliberazio deliberazione ne divina “(faccia “(facciamo”), mo”), la sua effettu effettuazione azione (“e creò “), la destinazione dell’uomo sulla terra (“ siate fecondi…popolate…abbiate dominio…”). La deliberazione divina abbraccia due elementi, in quanto prospetta l’uomo in relazione a Dio (sua immagine) ed in relazione al creato (suo sovrano). Dopo la deliberazione, l’autore espone con incontenibile giubilo, tre volte, la sua esecuzione: l’uomo è realmente creato ad immagine di Dio! Il narratore è rapito di ammirazione, contemplando la meraviglia uscita dalle mani creatrici, e questo suo sentimento viene espresso sotto forma poetica, per mezzo dei seguenti tre versi paralleli: “E creò Dio l’uomo ad immagine sua! Ad immagine di Dio lo creò! li creò maschio e femmina!” La frase: “li creò maschio maschio e femmina”, femmina”, mette in rilievo che Dio creò i sessi come creò tutte le cose, e che Egli è l’autore del potere misterioso e quasi divino della generazione. Questa frase ha fatto credere a parecchi che il primo uomo fosse Androgeno, cioè, con due faccie, virile e muliebre, rivolte da due parti opposte; la loro separazione avrebbe avuto per risultato la formazione dell’uomo e della donna. Fantasie! Da notare che Dio non dice qui, come per gli animali, “secondo la specie”: la specie umana è unica. La terza terza part parte e trat tratta ta dell della a dest destin inaz azio ione ne dell dell’u ’uom omo, o, cioè cioè dell della a legislazione che dovrà regolare questo nuovo essere del creato. La prima legge riguarda il fine naturale dell’uomo in se stesso. La fecondità ( la propagazione della vita che egli ebbe da Dio), e in rapporto a tutta la terra, di cui dovrà scoprire le nascoste ricchezze, conquistarla ed assoggettarsela, obbligandola a servirlo ed a soddisfare tutte le sue esigenze. La seconda legge riguarda l’uomo in relazione al regno animale, di cui è costituito signore, e la terza lo presenta in relazione al regno vegetale, destinato ad essere il suo alimento ed a contribuire alla sua conservazione.
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La creazione dell’uomo, dunque, ebbe luogo al termine dell’opera divina, al sesto giorno, quando tutte le condizioni necessarie alla sua esistenza furono ad un punto conveniente, o per dirla con una frase famigliare ai Padri, quando il mondo si trovò come una casa preparata ed ornata per il padre della famiglia umana, come un regno pronto a ricevere il suo sovrano, colui che era lo scopo ed il coronamento di tutta l’opera dei sei giorni. Fisicamente considerato (forma scheletrica, locomozione, sensi), l’uomo potrebbe risultare ed apparire inferiore a molti animali. Egli però ha l’intelletto e la volontà, e con queste doti egli può non solo supplire alle sue deficienze, ma anche innalzarsi molto al di sopra di ogni essere vivente: così egli viene ad essere realmente il re della creazione. L’uomo, scive Pascal, non è che una debole canna nella natura, ma è dot dotato ato del della mente ente.. Per sc schi hiac acci ciar arllo non non impor mportta che che si armi rmi l’universo, basta un nulla, un soffio, una goccia d’acqua a disperderlo; ma quando pure l’universo lo opprime, l’uomo resta ancora più nobile e più grande della causa opprimente, poiché egli sa di morire, mentre l’universo non sa del potere che esercita. Con tali proprietà, l’uomo ha misurato i cieli ed ha scrutato le profondità dell’abisso; ha consultato gli avanzi dei vetusti monumenti, ed ha chiesto loro che gli raccontassero fedelmente la storia delle generazioni sepolte. Guadagnando le vette più inaccessibili, ha visitato le scabrose sommità del pianeta, calcolò le loro età; visitò le spiagge più remote, si è addentrato nei deserti più ardenti, e giunse persino alle roccie che circondano i ghiacci dei poli. Egli si è innalzato nelle alte regio regioni ni delle delle temp tempes este te,, ed è disc disces eso o nell nelle e visc viscer ere e dell della a terr terra; a; ha decomposto gli elementi, e li ha fatti servire ai suoi bisogni o capricci; ha costretto il vapore ed il gas a guidare i suoi vascelli sulle onde dell dell’o ’oce cean ano, o, a tras traspo port rtar are e la sua sua navi navice celllla a negl neglii spaz spazii aere aereii ed i carro carrozz zzon onii in velo veloci ci e lung lunghi hi viag viaggi gi terre terrest stri ri.. Cost Costri rins nse e l’el l’elet ettri trico co a trasmettere, per mezzo del filo conduttore, in pochi secondi, ai più lontani confini della terra il proprio pensiero, dopo averlo fissato in pochi segni convenzionali, e le onde elettriche propagarono all’infinito il suo canto; lo costrinse a localizzare con facoltà di ripetizione indefinita un discorso su poca cera. Centuplicò l’attività manuale con meccanismi; interrogò l’algebra, esaurì tutti i mezzi dell’analisi e chiese ad una formula di insegnargli le leggi che regolano il corso delle stelle; misurò i moti della terra e degli astri, le loro distanze, il loro peso, le loro qualità fisiche e chimiche e la propagazione delle vibrazioni insensibili delle ultime particelle della materia, dell’etere. L’uomo dunque è padrone dei corpi bruti, i quali non possono opporre che una grave resistenza ed una durezza inflessibili alla sua volontà; ma egli, facendo agire gli uni contro gli altri, vince tutte le resistenze che trova. Non meno padrone egli è dei vegetali, che può
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rinnov rinnovare, are, accresc accrescere ere,, diminu diminuire ire,, snatur snaturare are,, distrug distruggere gere quando quando gli giova. Ma un impero più stimato egli ha sugli animali, impero legittimo, che nessuna rivoluzione potrebbe distruggere. Anche e soprattutto per questo egli deve considerarsi considerarsi come l’impero dello spirito spirito sulla materia, materia, come un diritto di natura, come un potere fondato su leggi inalterabili, e come un dono speciale del Creatore, da cui conoscere l’eccellenza della propria natura e vedere in sé l’immagine della potenza del suo Fattore. Egli non comanda come il più perfetto, il più forte, il più destro degli animali, ma regna per una decisa superiorità di natura; egli pensa e, per tal motivo, è padrone di tutti gli esseri che non pensano: se egli fosse solo solo il pri primo nell nell’o ’ord rdin ine e mede medesi simo mo,, i seco second ndii si unir unireb ebbe bero ro per per disput disputarg arglili l’imper l’impero. o. Egli domina domina gli animali animali,, dice dice Buffon Buffon,, non solo perché ha moto e sentimento come questi, ma perché possiede ancora il lume del pensiero, e sa per la cognizione dei fini e dei mezzi diriger azioni, concretar le imprese, misurare i propri movimenti, vincere la forza con lo spirito, e la rapidità con l’uso del tempo. Questo impero sugli animali, tuttavia, non è assoluto. Quanti animali vi sono, che, lungi dal riconoscere il loro sovrano, l’attaccano a viso aperto, dandogli spesso anche a nche la morte. Tutto questo ci porta naturalmente a distinguere l’impero di Dio dal dominio dell’uomo. Solo Dio, creatore degli esseri, è l’assoluto padrone della natura; l’uomo, al contrario, non influisce che poco nei prodotti della creazione. Egli non può nulla sul moto degli astri e sulle rivoluzioni del globo che abita; nulla sopra gli animali, sopra i vegetali ed i minerali in genere. Egli può solo qualche cosa sopra i soli individui, poiché le specie in generale e la materia in massa appartengono al dominio esclusivo del supremo Fattore. Tutt Tutto o pass passa, a, tutt tutto o si dist distru rugg gge e e si muov muove e per per una una pote potenz nza a irresistibile, ed anche l’uomo, trasportato sul torrente del tempo, non può nulla sulla propria durata. Legato per mezzo del corpo alla materia, avviluppato nel vortice degli esseri, è necessario che subisca le leggi comuni, e srva alla medesima potenza, cosicché simile in questo a tutti gli altri animali, nasce, cresce e perisce. Tuttavia, il raggio divino, che nobilita ed innalza l’uomo al di sopra di tutti gli esseri corporei, lungi dall’essere soggetto alla materia, ha diritto di regnare sugli individui se non può comandare sulla natura universa. Dio, sorgente prima ed unica di tutto, regge con un potere infinito l’un l’univ iver erso so e le spec specie ie tutt tutte, e, ment mentre re l’uom l’uomo o non non poss possie iede de che che una una potenza limitata a piccole porzioni di materia e non domina che gli esseri particolari. Egli, però, è il più potente fra gli esseri bruti ed animali; egli è il re della terra. Non solo questo: egli è anche il re della Creazione.
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Prima creatura di Dio fu il tempo, testimone e registratore diligente dei dei succ succes essi sivi vi atti atti creat creatori ori,, con con cui cui dio dio ha dato dato orig origin ine e e sv svililip ippo po all’universo degli esseri. Però, come creatura, doveva essere anche lui a piena disposizione del grande re, e Dio ne regolò la successione mediante il grande orologio del cielo, il sole, coadiuvato dalla luna luna segnando anni, stagioni, stagioni, mesi e giorni. Tutti i tempi, dice S. Agostino, sono stati fatti da Te e Tu sei prima di tutti i tempi, né ci fu tempo in cui c ui non fosse il tempo. Primo modello fu il giorno, composto di luce e di tenebre, di sera e di mattino: lo spazio di tempo, che ebbe per compagna la luce, si chiamò per antonomasia giorno, mentre l’altro lasso di tempo, in cui la luce si occultava, si chiamò notte. La parte del giorno che precede e segue immediatamente il tramonto del sole, fu detta sera, mentre fu detta mattino quella che precede e segue immediatamente la sua levata, ossia il principiar del giorno. Così, con questi due ultimi nomi, Mosè, determinava nettamente le varie frazioni di tempo che comporranno poi il giorno civile: la sera, che chiude il tempo della luce, e il mattino, che chiude il periodo delle tenebre. tenebre. Nello stesso stesso tempo evitava evitava la facile facile confusione, confusione, che avrebbe avrebbe causato una duplice menzione del termine “giorno” con sensi differenti nello stesso contesto. L’altro modello fu la settimana. La settimana fu in uso presso gli Ebrei anteriormente alla legislazione mosaica. Essi non l’hanno certamente presa in prestito dagli Egiziani, che ignoravano un periodo di sette giorni, e neppure dai Babilonesi, differendo la loro settimana radicalmente da tutti i periodi settenari di costoro. Mosè è il primo a dividere l’opera creatrice in sei giorni, seguito da un gior giorno no di rip riposo: oso: l’i l’inten ntenzi zion one e di dare dare,, così così,, una una bas base rel religi igiosa osa all’istituzione della settimana è tradita ancora maggiormente dal fatto che egli enumera otto opere distinte. Il suo scopo l’ha obbligato a riunire r iunire insieme due al terzo ed al sesto giorno. Egli avrebbe potuto computare, se avesse voluto, otto giorni giorni di creazione creazione invece di se. Ma lui ci teneva a fare della settimana divina il tipo della settimana umana. Il settimo giorno, dunque, diventa insieme un giorno sacro ed un giorno di cessazione dalle opere precedenti. Ora nulla di tutto questo si può osservare nel poema babilonese della creaz creazio ione ne e nell nelle e altr altre e cosm cosmog ogoni onie e paga pagane. ne. Il saba sabatt ttu u babi babilo lone nese se appare come un settimo giorno consacrato esclusivamente a certe divinità, in quanto non è permesso di offendere davanti ad altri il dono
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dei sacrifici. Il rito religioso compiuto in quel giorno rende il dio propizio, ma esso comporta comporta un certo certo numero di astensioni astensioni singolari singolari,, che sono riguardate come incompatibili con il servizio della divinità, e che fanno del “sabattu” un giorno nefasto per differenti categorie di azioni. Mosè non poteva trovare alla istituzione del sabato una origine più alta e più direttamente divina. I mesi ebraici erano lunari, ed abbracciavano lo spazio di tempo tra due due novi novilu luni ni,, cioè cioè vent ventin inov ove e o trent renta a gior giorni ni,, senz senza a un ordi ordine ne di successione regolare e ben stabilito. Conseguentemente essi potevano avere due o tre mesi successivi di trenta giorni ciascuno a seconda dell della a durat durata a del del mese mese prece preceden dente te.. Se, Se, per per il ciel cielo o rannu rannuvo vola lato to,, il novilunio non era visibile, allora gli Ebrei incominciavano il nuovo mese al trentesimo giorno, se il mese trascorso era durato ventinove giorni; se invece ne erano trascorsi già trenta, allora iniziavano senz’altro il nuovo mese. Questo fatto avrà, forse, influito a far incominciare di sera anche il giorno, nell’ora, cioè, in cui aveva inizio il mese. A ciò è dovuta anche la grande importanza che la luna aveva per gli Ebrei e per gli antichi in genere: da essa, difatti, dipendevano le neomenie e la data delle solennità. Mentre il nostro anno è indipendente dalla luna, l’anno ebraico è legato sia alla luna, sia al sole. Esso abbracciava 354 giorni, in piena armonia con gli altri calendari degli antichi semiti, mentre l’anno degli Egiziani ne contava 365. L’inizio dell’anno agricolo era in settembre; quello civile, invece, era fissato in primavera. Come per il tempo, la questione della natura dello spazio è una tra le più dibattute attraverso tutto lo sviluppo della speculazione umana, cosicché la teoria di tale problema viene a riflettere, da un certo angolo visuale, l’intera storia della filosofia. M qualunque sarà il risultato delle umane ricerche su tali profondi problemi, la verità della Bibbia non risentirà alcun danno, restando essa fuori ed al di sopra di ogni discussione. LA BENEDIZIONE DI DIO Mosè, oltre quella del sabato, ha registrato una doppia benedizione divina: la prima, al versetto ventidue, per il regno animale; la seconda al versetto versetto ventotto, ventotto, per l’uomo. l’uomo. Dio benedice benedice gli animali, elargisce, elargisce, cioè, loro loro dei nomi, nomi, affinc affinché hé essi essi si moltip moltiplic lichin hino o (la fecondi fecondità) tà),, popolin popolino o l’universo e in tal maniera possano servire al fine dell’uomo. Così
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questa questa benedi benedizio zione ne mira mira più lontan lontano: o: essa essa prepara prepara la benedi benedizio zione ne suprema data alla razza umana nella persona di Adamo. La benedizione benedizione è un atto caratteristi caratteristico co che risale risale a Dio. Per questo, solo i genitori ed i sacerdoti, che rappresentano in modo speciale Dio sulla terra, possono riprodurlo. Un amico non benedice i suoi amici, un re non benedice i suoi sudditi, un marito non benedice la sua sposa, ma solo il prete, il padre e la madre benedicono. Per benedire bisogna partecipare direttamente all’autorità divina e bisogna poter esercitare questa autorità nell’ordine religioso. Da parte di Dio la benedizione è la consacrazione solenne d’una persona o di un oggetto ad un fine determinato, con una promessa effi effica cace ce di prot protezi ezion one. e. Dio, Dio,ci cioè oè,, quan quando do bene benedi dice ce,, cons consac acra ra una una persona o un oggetto ad un fine che egli vuole vedere compiuto, e promette, perché questo fine si compia, una protezione speciale ed efficace. Una benedizione, dunque, non racchiude un semplice augurio, perché allora tutti potrebbero benedire, ma essa è una promessa di favore fatta da Dio o in nome di Dio, è una protezione o una effusione di grazie divinamente promessa in vista d’un fine su cui Dio ha messo il sigillo della sua autorità. Ecco perché bisogna partecipare direttamente dell’autorità divina per pote poterr bene benedi dire, re, giac giacch chè è bened benedir ire e è impe impegn gnare are l’au l’auto tori rità tà divi divina na e promettere la sua protezione. Ed è per questo che solo i preti, il padre e la madre possono benedire. Quando il prete e i genitori ci benedicono, essi ci consacrano a Dio, e ci promettono da parte di Dio aiuto e protezione. E’ dunque un atto grande, solenne, eminentemente salutare. In questa prima benedizione, che Dio spande su Adamo, abbiamo la sorg sorgen ente te di tutt tutte e le bene benedi dizi zion oni,i, che che si effo effond nder eran anno no sull sulle e razz razze e credenti, e che si trasmetteranno in loro di generazione in generazione come un tesoro sacro, come un legato inalienabile, come la parte più preziosa del patrimonio paterno. Dio che aveva dato esempio di lavoro per sei giorni, al settimo dà esempio di riposo, e benedisse questo giorno, e lo santificò. Più nulla, dunque, sarà aggiunto all’ordine naturale. Non vi è altro da attend attendere ere che il corona coronamen mento to e la trasfi trasfigur gurazi azione one dell’o dell’oper pera a divina divina nell’ordine soprannaturale. Dalla fine del sesto giorno Dio concorre e presiede all’evoluzione dell dell’o ’ord rdin ine e natu natura rale le,, dove dove la dua dua prov provvi vide denz nza a agisc agisce e senz senza a posa; posa; secondo secondo la rivelazione rivelazione da Lui Lui fatta fatta esplicitam esplicitamente ente a Mose Mose Egli non aggi aggiun unge ge,, né aggi aggiung unger erà à più più nuov nuove e oper opere e o nuov nuove e trasf trasfor orma mazi zion onii all’ordine naturale.
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La piena stabilità dell’ordine attuale è dunque assicurata, finchè l’umanità intera non abbia compiuto il suo destino. Allora il suo riposo si eternerà in quello divino. E’ questa, certo, una verità d’una importanza capitale. Ora, senza una speciale rivelazione, essa avrebbe potuto essere da noi sospettata, ma non sarebbe esistita per noi che allo stato di congettura più o meno prob probab abilile. e. Solo Solo la rive rivela lazi zion one e ha tolt tolto o i nost nostri ri dubb dubbii e le nost nostre re incertezze, appoggiando questa verità sull’incrollabile convinzione della nostra fede. Sull Sulle e orme orme di S.Ag S.Agos ostitino no,, dobbi dobbiam amo o affe afferm rmar are e che Dio Dio non non ci ha rivelato l’opera della creazione a titolo di documento scientifico e per soddisfare una semplice curiosità dell’uomo, ma per qualche cosa di più nobile e di più utile. Da questa pagina, come da una sorgente inesauribile di luce, milioni di spiriti hanno sempre attinto il senso della propria dignità e del proprio posto nell’Universo. Essa ci rivela, infatti, tutto quello che noi saremmo stati incapaci a scoprire da soli: al principio Dio creò tutte le cose, poi creò l’uomo; ques questiti,, crea creato to come come il coro corona name ment nto o d’un d’una a crea creazi zion one e mate materi rial ale e e animale, è dunque l’effetto di una volontà creatrice di Dio. Queste verità che dominano tutto l’ordine religioso e morale, sono esposte esposte in questa pagina pagina sotto una forma pratica ed incisiva, incisiva, semplice semplice e grandiosa, popolare e sublime. Il resto è abbandonato alle nostre ricerche. In altri termini, tale rivelazione è essenzialmente religiosa, non essendo il suo scopo quello di insegnarci la storia naturale, la geologia, l’astronomia, la botanica e l’antropologia, ma i nostri valori morali in rapporto a Dio ed al creato. La preoccupazione che ispira la Bibbia non è geocentrica, ma geocentrica, ed in questo essa resta nella suprema verità.
ETERNITA’ DI DIO Quanto più il pensiero si sforza di penetrare la natura di Dio, tanto più si accorge che gli orizzonti si allargano e si allontanano. Per Mose, Egli è l’ente supremo, che racchiude in se tutto ciò che esiste o potrebbe esistere; è la verità immutabile, che brilla più o meno ad ogni intelletto contingente; è la bellezza sempre antica e sempre
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nuova, che rapisce rapisce le menti ed i cuori; è il bene assoluto di fronte a cui ogni bene creato è solo un frammento disperso ed imponderabile; è il tutto assoluto nel quale l’intero universo si perde come un atomo vagante negli spazi immensurabili. Dio è ineffabile, perché è incomprensibile. Il suo nome è l’infinito, la sua natura è l’essere, il suo tempo è l’eternità, la sua scienza è l’onniscenza, la sua azione è l’onnipotenza, la sua luce è la luce inaccessibile. Dio non ha storia, perché la storia suppone successioni di tempi e mutamenti di cose, mentre Dio è eterno ed immutabile, è superiore a tutte le vicende dei tempi, degli spazi e delle cose. Egli era prima degli uomini, della terra, dei cieli e di tutto l’Universo. La sua origine è l’eternità. Cisì ce lo presenta Mose: senza genealogia e senza atto di nascita. Egli era già al principio, era prima del principio, e se era prima del principio, è senza principio, e se è senza principio, è eterno. Né creato, né fatto, Egli è da sé, nell’eternità, avendo in se stesso la ragione di essere, essendo sempre stato, dovendo sempre essere, non potendo non essere. E come sempre fu, sempre sarà.