. Non aveudo il Barbaro, ove ritornasse, altro luogo forte, donde fa r sortile , siccome ora da T ebe, ed il Peloponneso dicevano esser per tatti an acconcio ritiro , e loogo di sicurezza. Lo Scoliaste spiega •ptpptìn, h n i j t'k iffimptittt n i rm£trmt , ore alcouo fallo avendone sortita, si ricovfra. ( i 3 {) Il Jramezto. Parrai ch’esprima meglio il fttrm{« 7 Swtr del testo t . che non la doppia denominazione di itlhmut e fr e turn de’ traduttori latini. E tramezzo , secondo la Cruaca, a. ci£> che tra I’ una cosa e l'a ltra è posto di mezzo per dividere , e questo peli’ appunto i , cosi lo stretto di te rra , come quello di m are , cbe dae pacai tra loro separa» ( l 5 5 ) È voltalo alC occidente vernale. Le regioni sitaate fra i quattro punti cardinali della afera cele ate avean preaao gli antichi le loro denominazioni dalle stagioni in cui vi ai ritrova il sole. Corrisponde adunque la regione qui indicata al |n d r
20Ò noeti -de*moderni, 1" occidente Mtivo «1 tiercVooMl , I’ orienta vernale «I su d -est, e I' oriente estive al nord-Mt. 13 f'ij T u ttt od un tempo. Nelle note lo Sohweigh, resùniace a qnesto passo 1* mftm , eh* egli e il Cssaub. avean c d m so lo I’ ho por* accolto nella mia versione, giacché appunto dal martellar contemporaneo di latte le torri derivar dovea il con tinuo crollar • rovinar delle medenime, conforme aooetwa I* autore. (i 3 Rifabbricando g li edifizii caduti e lavando mine. Quelli escludevano le opere de* Romani , cbe sempre più avaniavansi nell* interno della città , queste scavavansi per diatrogger h macchine dò* nemici. Del resto non pare cbe le ahim è fossero controm ine, dappoiché non è detto ehe i Romani «ressero scavate m ine: quindi dall’ del testo soderebbe tolta la preposiiione, siccome ha gii osservato lo Schweigh. ne* commentarii. ( i 38 ) L’Acheo Alettone che fu cagione di salvezza agK Agri gentini. Di qaesto avvenimento non p a rli il nostro ove riferisce i particolari dell* assedio d* Agrigento , ma vi ritorna nel I. i l , c. i) , ragionando della perfidia de' Galli , che in nomero di tre mila trovavansi di presidio in quella città, è macchinavano di spogliaria. Galli eran eziandio tra i mercenari! di L ilibeo, e quelli d* Agrigento pure eran al soldo de'Cartaginesi , con forme significa Polibio al luogo citato , non già de’ Siracu sani , come qni asserisce : salvo che non vi fossero «tati man dati da quelli di Siraoosa , allorquando parteggiavano co'Car taginesi. ( 15 q) E d intimo amico d’ Aderbale. Non era Unto poco importante , siccome stima lo Schweigh., il saperti che questo Annibale era strettamente legalo io amicizia con Aderhale. Dopo Lilibeo era il porto di Trapani della maggior contea gnenza pe’ Cartaginesi, e la buona inlelligenea di chi vi co» mandava col dace che tpedivan re soccorsogli assediati, p*-
201 I n i partorir ba*nì tfleilL Ciò non pertanto m 1 necessa*rio di Mrpparre, giusta il parere dello M nm oorome statore, cbe Jknoibale fo tte prefetto delle «riremi «otto gli ordini di Aderbale: ohe in tal cito egli non sarebbe rimato in Carta gine sensa impiego «ioo a quel momento. Il perchè, io non «dottai la «na corranone, e poti il 7 in Mnao atto luto per comandante delle galee , subalterno al navarco, cbe « ra Demandante supremo della flotta. ( i^ o ) Alle itole Egmte, ohe giaccion* ira Lilibeo e Car tagine. Ma p tt presso a lilib e o , e propriamente tra Lilibeo • Trapani. Chiamnnsi anoor Egadi, e le principali anno : Egusa, aecondo alenai Elusa , oggidì Favignana, la piò prot•sima • U E beo, donde le ahre traasero il nome) Buccina, o ForÀanzia, ora Levante , Terrtmeso, o Marittima, M ontino odierno. (>{ ì ) Non peramche toemato. Stando rigo rotato ente al tetto «onverrebbe tradurre in tie r o ,- in ta tto ,'p o r o , cbe tal «nona j ma l’ indole dell* idioma italiano non soflre alcuno di qaeati vocaboli in coogiootione col sostantivo impeto. Il -perchè mi fn giuoco fo n a rinam iare alla balla templi ci ti del greco ed uaar nna oirootoruione* ( i ^ a ) Quelli di fuori. Cioè i R om ani, i quali aeoondo Dio doro ( eclog. xxiv , 3 ) attediavano Lilibeo oon aessaati mila nomini , e in tutta ne avean orni lo venti mila. Gli ajuli ohe ri cevettero i Cartagineii £t lo ateaao autore ascender a quattro mila soltanto , e non a dieci come il nostro ; ma le nnmeraaioni ehe trovami presto Diodo*» , siagolarmeoto nelle e d o -ghe , che sono tquaroi informi ansiahè no , m i u m b ra no qoaai «atte alterate. ( i ( ó ) T rafani è i l ano nome graco , ohe tignifioa falce , e che gli fu dato peHa forma ourva della costa sa oai •è fabbricata. Io le lascio il eoo nome m oderno, siccome fac cio nel corso di tutta qaeata storia colle oittà cbe sono og gidì ancora di qualche considerazione, e perciò si riconoscono
302 meglio dal nome che i moderni loro imposero* Sebbene non spingo questa licenza tant'oltre che fece qualche volgarizza tore del trecento e del cinquecento p a r e , che Inghilterra ap pellò la Britannia , Francia la Gallia , Tedeschi i G erm ani, ed altri simili. Gli uni eran rinchiusi : quelli di Lilibeo, gli altri ge losamente guardati: quelli di T rap an i, che da'm oderni si direbbono bloccali. Quindi rendesi Teritimile ohe grandi fossero le fo n e terrestri e marittime de' Romani arendo essi potato per terra e per mare torre la com unicatone fra amendue le cittì | mentre con tanto vigor» spiogtvan l’ assedio d 'u n a di esse. ( i £ 5 ) Annibale toprannomalo Rodio. Non perchè fotte in nondo da Rodi cosi chiamavasi, come vuole il G asaub., ma, conforme giustamente riflette lo Schweigh. erasi egli acquistato questo nome per qualche altra singolarità , o perchè acciden talmente nascesse a Rodi da padre P u n ico , o perchè colti vasse relazioni di commercio co’ Rodii. (i£ G ) Intorno all’ora quarta a’ intende del giorno; percioc ché i Romani calcolavano le ore diurne dallo spuntar del sole: onde l’ora q u a rta , correndo allora la stagion estiva, avrà cor risposto alle nove circa antimeridiane. ( 14 ^) Co3 remi alzati. Il vocabolo greco iwìtfmmtlmi , che rende questa id e a , è pittoresco, avendo le due file di rem i, ohe da' due fianchi della nave alzavano ad angolo quasi retto col corpo di q uella, la figura di due ali spiegate , che appa recchiansi al volo. Ma siffatto giojello non ti è potuto inca stonare nella traduzione , perciocché ne sarebbe risultalo un senso oscuro e affettato. Non eoa) nel greco , che trae quel participio da wltftvt di cui poco appresso si vale Polibio, e che giusta Esichio significa anche semplicemente e senza me tafora altare. (1 {8) Co'remi in aria. Il testo ha wltfmemt 7ir i»»i . che
io3 y ak quanto, appibcando le àli alla 'Aave. Balla proprietà della qual frale mi riferisco alla nota antecedente. ( i 4 g) Ne rettavan adombrate. C o ti, attenendomi alla spie gazione di S u id a , bo creduto d’ interpretar acoonciament» 1' iwiwftr&ùt, cbe dopo molte dotte discussioni stabilisce lo Sohweighiuser che debbasi leggere. Entrava il Rodio in porto dalla parte d’ Italia, opposta a' quella cbe guarda 1* Africa ; onde le to r r i, che a questa eran voltate , trovandosi nella s ta s a dirittura della torre più vioina al mare da quel lato , dovean dalla testi accennata esser coperte, e come «eclissate, 0 adombrate che dir vogliamo. ( i5 o ) L ‘ imboccatura .del porto. Diodoro ( eclog. i m i , i ) dioe , che i Romani empieron anche il fosso della città , cbe era -hingo trenta braccia , e profondo v en ti, e riferito# pa recchie altre circostanze relative a quest’ assedio, che non sono rammentate dal nostro : cosi narra egli, che avendo già 1 Romani scalate le mora , il dace Cartaginese assaltatili, n« oociae dieoi mila e gli altri mise in fuga ; che i Romani pell ' incendio delle macchine , e pella somma penuria di viveri ridotti erano io somma angustia , e che nn morbo pestilen■iale tra loro dilTuso ne consnnse dieci mili , a tale, cbe se Gerone non li • occorreva delle cose necessarie, essi avrebbon abbandonato l ’ assedio. ( »5 1) La quadrireme eh* era teco Ini utetia. Il C asaob., il Gronovio e il Reishe si perdettero in vane conghietture su «putto, luogo, sedotti da nna falsa lezione. Ma il Xilandro nella sua versione allemanna di Polibio , e rasi avanti di loro appigliato a una lesione più ragionevole • convertendo ■* MmlmjtXii, ohe in qualsivoglia guisa interpretato qui stava a pigione, in « ■ n»r»e»xtf, frase famigliarissima al nostro per indicare l’atto del voltarsi. Lo Schw eighiuter tenne dietro al X ilaodro, osservando molto opportu nam ente, che il Rodio
S 04 «tra «olito a ciò far* , allorquando utctva del porto • «lutava i Romani. (iS a ) La nove avvertano era ben fornita di relatori. In volgarizzando questo patta mi t o t allontanala dall* opinione di tatti i commentatori. Eooo le mie ragioni. Io primo luogo corritponde i t r t n i f ì a costruzione , apparato , fornimento , mttitnsione, disciplina, ma giammai a eccellcnsa, abilità singolare •orlila dalla nalora, o acquistata coll’arte , ticcome vorrebbe lo S 'h w eig h., « gli altri tetti pell’apponlo di Polibio da Ini citati provano contro di Ini. Rei libro zi , o. 8 , legge» rmt imtftmftirmt s a i ri i t* t » v t m f vèr , loccbè non voi dir altro te non te per via .delle ttoi ie o dell* istruzione che •e ne trae. E al 1. xxiv, aap. 7 , • it n i prtvt ... ■*&»«-■ fSt r i atfilfit *»'< 'li c e r a r s i vii, che vale: Pcrteo inferiore al fratello pei doni di natura e per istruzione. Secondariamente non è probabile .che i rim atori Romani toperauero in de strezza i C artagineii, a coi erano tanto inferiori nell* arte di navigare , e che il Rodio eoa ti fo tte provvedalo de* migliori. P er aitino i da riflettersi, che k nave , con coi i Romani in tegnivan il Rodio , era ona quadrireme , la qnale ricevuto avrà maggior namnro di rematori che non 1* altra , che q n tn lo n que chiamata tia dal nottfo templioetnenle nave, era verititniU mente una trireme , o di minor portata ancora , dappoiché non vi è tpecificala come in quella la q uantità degli ordini. Laonde pnb la qaadrireme aver avanzala l'a ltra in .velocità, pel mag gior numero o pella maggior robustezza de* rem atori, senza che nei marinai Romani fotte maggior d e l ir a ta di navigare. ( i 5 5 ) Ma rimasto inferiore a'soldati navali. P e r quanto a me pare qni non lignifica m p e ra to , tr o vandosi tubilo .dopo cadde in nano degli avversarli, loocht t«r°bbe inutil ripetizione : libbene è il tento di qnetto voca bolo, te non m’inganno, oc me l’ ho cap retto , il verbo a o s i
ao5 appartiene essendo il contrario di r p m l t f l t i t , primeggiare, restar supcriore. ( i 5 {) Un vento. I\ letto hà mtifta f r i t t i , ani aenao della qual frase i commentatori e lessicografi o«n aono d’aocordo. E n rico Stefana dietro Snida crede cbe rrmnr qai significhi rivolti) (edizione', e lo Sohweigh. pretende , cbe denoti lo (tato e la posisione del vento. 0 I’ ona o 1’ altra di qaeste opinioni (ìa la pik gioita , io siim i cbe il ritener nel volgare la semplice parola di vento non fede ponto per naooer alla ebiareaaa del ledo , dappoiché W qualità di cotesto- vento è tolto de scritta ne’ anoi «(Ietti-. ( 155 ) Resistette airaccostamento ielle macchine. M ale, aensk d u b b io , ha l’Brnesti interpretato r*> r nfrraytt, le baai « i sostegni an oni faceanai camminar le mac chine; ma niente meglio, per mio avviso , lo Scbw eigh., il quale dopo aver nella traduxiooe ritenuto il concetto dell’E rn e s ù , ai rierede nelle note, e Cucendo il sostantivo mfttmymymt equivalente al participio Wfttmyiftt > ■ , propone la («gnente epiegmione : il vento assali eoo grande impeto e violenta le macchine ohe si accostavano quasi xm /t w^atifucvn w f n y i / t 10 porto opinione , che senza far violenta al teilo wftimyymi debba lasciarsi nel ano seneo naturale d ’accostamento, e mo dificai soltanto 1’ idea dell’ impeto recato oootra cotal accostan a n t o , in qaello di reiistenaa opposta al medesimo , per non o o u a re colla proprietà del nostro idioma. ( i 5 G) Le gallerie. E ran queste pergolati contesti di tavole c di gratioci, sotto a* q aali i soldati «caravan al aienro le fon* dam euta delle mora , la coi esatta descrisione leggeii in Ve* g eiio ( iv , 15 ) Finets chiamavaoli i Romani e porticus an e o r a , conforme scorgasi da Cesare ( Bel. Ci*, i l , s ) e cosi 11 denomina qai pare il nostro. Io non ho creduto di dover conservare questa toc* nel volgare, come quella ohe non i ri c e ra ta nel disionario militare ; ma mi sono studiato di sosti-
ao6 inirle alcun» clie nella modèrna (attica etprimewe nn ingegno tintile a quelle macchine de' Romani. Onde comiderando oht fc) gallerie d ' oggidì hanno in ciò qualche analogia co* portici degli an tich i, ohe amendne tono ripari coperti per infunarti •otto le fortiGoasieni del nemico e per danneggiarle, ho pre ferito «inatto vocabolo (V . G ratti Diaion. milit. agli articoli ■Galleria , Mimi ). (157) Stona dappreuo.W p ia » la correzione dello SoLweigh. che legga "(** in loogo di wptmilpma* (itavancr dioaoB). -DilTatli te le gallerie , mobili aooh' M ie come la to rri, a 000ttavanti alle m ora per itcavarle, come rimaneva luogp pelle torri davanti alle medesime ? (1 58 ) Le tran degli arieti II Cataob . , ohe in reoe di Iw n ( tronoo, grotto legno) leggeva rv+i da rirrm (battere) tradotte quetta voce acumina arielum , cioè a d ir e , le eatremità di quette macobine, oon coi battevaoai le m n ra , locoh i oltre all’improprietà dell* eeprettione, che tcambia il tuono col corpo cbe lo prodooe, raocbinde n n ’ a tta rd ili di fatto, ettendo la ponte degli arieti di metallo darittim o, cni poco danno potea recar il fuoco : tibbene ne doveano «offerire le tr a v i, a coi I1eitremità metallica era congegnata. C ornatane tanto felice fa , a detta dello Scbw eigh., oonghiettnra dello Sea> ligero. (159) Che la itesto eseguisse. Cioè c h e ti collooaue accanto a quella eh* era prima di lei arrivata, • ohe voltatte la prora * ' nemici. (160) I Cariagineti divennero superiori. Da due cagioni de» rìvàva l'inferiorità de'Romani in quetta pugna navale ; dal l'impacciata loro potutone vicino a te rra , p«r cni non avean libero tpaxio o i di ritirarti qnando eran integuiti, nò di aoocorrer i oompagni pericolanti, e dalla qualità delle loro n a v i e delle loro oiurm e , le noe di gofla cotlrniione e mal a tta al m aneggio, le altra novelle e p«oo ctperte.
2c>7 1 ( i f i i ) Afa Publio venne in biatinu ec. La cim a principale per coi condannarono Claudio fa 1* aver egli dispreizati gli empicii j dicendo per ischerno, che i polli estratti pel prò□ottico dalla gabbia , ai gittaiMro in aoqoa , affinchè beasse ro , giacchi non roteai) becoare, conforme riferiscono T . Livio Epit. 1. xix i Val. Masi. I , 4 , 3 » Cioer. de Nat. Deor. il , 3 , Fior, n , 2 , 2g , l’ altimo de'qaali per via maggiormente dimostrar la certezza della punizione diviaa , osserva che l’acqua' appunto, ove per sno comando avean ad esser immersi i polli,, divenne a lai funesta. Polibio, che non applaudiva alle saper*1 stizio ni de* Romani, tatta la sciagura attribuisce all’avventataggtne del capitano, dalla qaale oon i dabbio che derivasse ancor il •no dilrgio per nn uso aanaionato dalla pubblica credenza. (1 6 2 ) Lucio Giugno. I fasti consolari, e gli scrittori Ro mani tutti fbnno L. Giugno collega di P. Claudio e non al trimenti console nell* anno susseguente, siccome asserisce il nostro. Ma non i da supporsi o h e . conforme osserva la Scbweigh. Polibio abbia commesso errore così massiccio nel riferire avvenimenti più vicini a* tempi di lui che di qaalstvo^ glia altro autore ohe ne parla. Ciò non pertanto non mi ap» paga qaanto il medesimo commentatore eddnne per appianar la mentovata difficoltà. Vuol egli che L. Giaguo andasse a Roma pe’ com izii, e ch e , gionta la naova della disfatta di Claudio, lo stesso Giugno, forniti i comizii, ritornasse^tosto in Sicilia. Ma quand’ anche a quell’ epooa egli fosse stato fuori di Roma, locchè non ai trova accennato, Polibio dioe esprefr* •am ente, che eletti i nuovi contoli, mondarono Fano di loro L . Giugno con vettovaglie ; sicché Giagno era nuovo consoli « non collega di Claudio. Se perita non fosse la seconda de^ eade de* libri di T . L ivio, io son persuaso che di leggeri ootal «odo si scioglierebbe. P er quanto apparisce dall’ epitome del li bro x tx , Claudio dopo la sua sconfitta richiamato dal Senato* ebbe il comando di nominar Un dittatore. Elesse egli certo
ao8 Claudi* Glicia , n o n o delta piò b a tti h I t i i m i » | il quale fa c o a rtilo ad abdicarsi. GK Teano M i l i t a t o Atilio C olatilo a mandato con nn eiercito fuor d* Italia. Bi ■ —Ux*t d o a q o e , ohe d ì Appio , nè Giugno rir—nene quell' anno pili in fun zione , dappoiché era alalo crealo ao dittatore, • ohe Giugno era partito colle nari avanti la avèolara di Claudio , e poco dopo q u ell’ avvenimento Ini fa tte coti mal concio da Cartala n e ; onda il Senato dovette ameadua totpeadere da’ loro of fici! i o w etM teote, te Giugno fn oootolo 1* aoan appretto , C laadb , che tolo 4 nominato fra i contali dell’ anno antece dente , avette an altro collega. ( i 63) CV era alla guardia di Litiòte. Il te ilo La • r» A iKifimut 7* f« i (che cntlodiva Lilibeo). Io mi M a ingegnata d ’ accollarmi alla frate grcoa, la q n a la , olire al vernando top remo che area io quella città il oo manda ole Cartagine te * esprima la ina vigilane» m erci dalla quale egli bene fecondò l’ impreia di- Cariatone. ( i6 £ ) Di pothi vascelli. Stem m a non intenderà allor C ar la Ione di entrar calla preda latta ia qualoha porto , ma di metterai in ailuaxione favorevole per impadire l’arrivo de’too«orti a’ R om ani , coti non volle egli inibirà* aarsi oon melò «stesili nemici . e ruppe una parte di quelli che avea prati. (iG 5 ) I provveditori. E ran quelli, negli eatroiti, coti di te rr a , eome di mare , pretto i Romani ooloro ohe facevano • pagamenti , e di ogni cola necsataria provvedeano i toldaù. Denomiuavanti quaest.on* , de’ «arii uTCoii de* quaK oontalliti U Kipplug» ( AntiquiU Romanar. Lugd. Bai. 1^ 13 , p. 3 {q ). Il loro pnito negli accampaninoli era dietro le tende de* tri buni dall* altra, parta del Foro ( PoILh. v i , 3 l ). Quelli ohe addetti erano alle fono di m a re , seguivano , aecondochè è chiaro da quatto luogo , le navi esploratrici per attere infor mati d’ ogni emergerne. (iGG) Cale e proniaci't;. Cala i giusta, la Crotea it pio-»
209 colo u n o di mare ,
ove posta con sic a re tta trattenerti a lo un
lampo qualche naviglio, n £«A *r, a d ir vero ,
tignilina q a i ,
conforme spiega 1’ E n te lli, nn luogo d ’ acqua profonda , ove le nari possono tta r all’ ancora ( comrehè il te nto proprio di q orsto vocabolo sia agitazione delle acque marine
e per me
tafora anche dell’ animo ) ; ma le prom inente che cignevaao coleste tl a ii o n i, le cangiavano in seni. Male , a mio cred ere, interpretò lo Scbwéigh. il wtft*Xnir*tj qua e medium spatium opportune claudebant, quasiché quelle prom inente formassero n o tetto sopra il naviglio ,
che sotto ad
ette ricoverava , e
chiodeisero lo spazio fra quelle ed il mare sottoposto. O ltre ché sarebbe questo nn
ricovero molto s tr a n o ,
vocabolo nou ha il tento che lo
Sohweigh.
gli
l'accen n ato attribnitee |
libbene vai esso c ig n e r, chiuder in to rn o , circondare. (1G7) «* T utto il lato della S icilia, dice lo Schweigh. voi* tato all’ A frica, è importuoso ed aspro ». C he importuoso fo ste, il disse Polibio, ma dell'asprezza non fece motto. D ia fani vedemmo poo' anzi , che
una parte dell’ armata Romana
erasi ritirata sotto nna c ittà , ove potea tiare con aiooreaia, loccbè al certo non avrebbe potato fare se a s p r o , cioè a dire, pieno di scogli fosse stato qael lido. (1C8) Ed il mare minacciava sommo pericolo. Fundi , turhatum ili mare ( il mare era per tconvolgersi dal fondo ) tra duce col Casaub. lo Scbweigh. Cib non panni cbe dica P o lib io , le cui parole sono « *»< w t f t r r i n i t 1* r i wixAyut i\trxnptTTiptf, letteralm ente: ed apparendo
imminente dal mare grandissima sciagura : cbe wtf/rrartf non istà qui per costituaione procellosa del m a re , sibbene per ca lamità o pericolo ohe dal tuo turbam ento sovrastava. Nel vo cabolario pertanto è questo patto dal medetimo plauaibilmenta interpretato. (iC ij) Ala gli uni per terra eo. I R o m a n i, rovinati
per
ro v in io , toma 1.
1\
210 m a re , non poteano piò spedir annate oon vettovaglie a Lili beo , ma oontentarsi doveaoo di farle gingner colà a grande stento p er te r r a , dopo aver passato lo stretto. Tattavia sarebbtsi tanta g en te, che intorno a quella città salvata dalla fame , ove Gerone dalla parte di
non
stansiava,
Siracusa non
gli avesse provvedati di viveri. La qaal circostansa, non
ac
cennata dal n o stro, si rende manifesta per n n luogo di Dio doro , che abbiam di sopra citato. (170)
Giugno ondalo all’ esercito ec.
A
malgrado
della
bnoua riuscita d ell'im presa d 'E r i c e , Giogoo c h e , non altri menti che C lau d io , scherniti
aveva gh anspicii, spaventato
dall* esempio di questi , non volle rito rn a r a R o m a , e pre venne oon morte volontaria l’ignominia della sna òondanna, (V. Cicerone e Val. Mass, a 'lu o g h i citati). Il qual arvenw mento mi oonferma nell’ opinione, che Giugno fosse collega di C lan dio, e che appena dopo la
la presa
d* Erioe rioevesse
trista novella della sua pnniiione ; ond* egli si condusse
p e r disperaaione a passo tanto violento. C he se prima d ’ogui cosa fosse stato instrutto , non avrebb* egli tentato di far am m enda al suo errore con nna nuova impresa.
I l perchè
io
c re d o , che Polibio attignesse le notiaie eh ' egli ebbe dei fatti di Roma a fonti diverse da q u e lle , onde le trassero gli storici Romani.
E se riflettiamo che per
favore di Scipione
Emiliano egli p o li valersi de’ fasti capitolini, e che a uesaana passione giammai egli sacrificò la v e rità , di leggeri ci penna* d e re m o , m eritar lai assai più fede degli stessi scrittori R o mani , i q u a li, o per non aver potato
consultare documenti
tanto autorevoli, o per non sapersi elevare sopra i pregiudizii della propria n a z io n e ,
o per desiderio d* ad u la rla ,
furono
mendaci. Taccio del giudizio che dà Cicerone stesso circa la sna esattezza somma in fatto di cronologia n e ’ libri della re* pubblica ( V. il nostro trattato della vita e Polibio premesso a questo volgarizzamento ) .
degli soritti di
211 ( 1 7 1) Quasi contìguo a Trapani. O ra
ohiamasi monto di
T ra p a n i, e il luogo dell*antica città è occupato da s. Giuliano. (1 7 2 ) I l tempio di Venere Erìcina . L ’ orìgine di questo magnifico edilizio ai perde ne* tempi favolosi. Secondo Virgilio (A en eid . ▼ , laiciaase
r . >j58 )
fa esso eretto da E n e a , innanzi che
la Sicilia p e r venire in
Italia. Diodoro ( lib. ìv )
vuole cbe Erice figlio di Venere e di Buia , certo Regolo del p aese, ne aia stato il fondatore , e eh* Enea , figlio ancor egli di V e n e re , 1* abbia soltanto di molti doni arricchito. Non h a d ir s i, in quanta venerazione esso fosse non solo presso i popoli indigeni della Sicilia , ma eziandio presso i Cartagi nesi , quando signoreggiavano parte di quell* isola ,
e singo
larmente presso i R o m a n i, p o ic h i tutta 1* ebbero conquistata. Questi , riferendo la loro stirpe alla Dea che vi era adorata , non lasciarono di tributarle c o li ogni maniera d* onori. I se natori
p i i g ra v i, allorquando vi andavano a
farle omaggio
della loro divozione , deponevan ogni severità, e per rendersi a lei grati intertenevansi col bel sesso in ischerai e in pia cevoli oolloqaii. Diciassette c itti di Sicilia, delle p i i fedeli a ’ Romani dovettero dotar quel tempio d* una ragguardevole somma d* oro , « la sua custodia era affidata a an presidio di dageoto soldati. Caduto p er vecchiezza, l ' imperatore Claodio il fece rifabbricare a spese del pubblico erario C land. c. i 5 ). Area pertanto V enere E ricina
( V. Sveton. in a n tempio in
R am a ancora fuori di porta Collatina (V . Ovid. fast, i t , ▼ . 871. — Strab. ìv, p. 373 ) e un altro nello stesso Capitolio, dedicato da Fabio Massimo (V . T . Livio x x iu , 3 i ). Vene ra ta ti p u r Venere sotto il nome d'E ricina a Profida in Arcad. ( V. Faus. A rcad. c. a { ) .
Delle anagogie e oatagogie,
festi
vità che celebravansi in onor di quella Dea ( V. Ateneo U , p. 3g £ e Aelian. Histor. animai, x , 58 . ) (173) Per cui vi si ascende da Trapani. Ho accolta la cor rezione proposta dallo Schw eigh, il quale oon ragione
trova
ai a • n a r d o che (i legga tì » i'* ì verso T r a p a n i ) , m entrechè Lipari era
wfirflant ( l a «alita nel p ia n o , e quindi
•oslituisce ri» ifin ifi. Afa la salita maggiormente. An^he io qn*»to luogo , che d a’ copisti, non meno cbe d a g l'in te r p re ti, e 'la qualche critico ancora i stato m alm enalo, attenuto mi tono al prelo dato commentatore. (l^ S ) De' Locri e de’ B ruzii. I Locri eran chiamati E p ite li rii dal promontorio Zelirio , ov’ era dapprima fabbricala la loro c ittà , per distingurrli d a 'L o c ri Epicoemidii e d a' Locri Ozolei , popolazioni dell’ Eliade. Oggidì vi è Gerace. Preten d e » che p re u o di loro si facesse il primo uso delle leggi ■ c r itle , che dettb Zaleuco. - I
Bruiii traevan origine da' L u
cani , di coi erano siiti pastori, ed abitavano 1* ultimo angolo dell’ Italia. Separavanli dalla Lucania ì Homi Sibari e Lao , cbe sono gli odierni Crali e T rrccbina, l'u n o de’ quali inette foce nel golfo di T aranto ,
I' altro
in
quello di Policaslro ;
onde vedeii che il loro paese comprendeva uoo solo J a Cala bria u lte rio re , conforme comunemente si crede , ma eziandio la citeriore. (176) Sul Carcere. È la preciia interpretazione di lìc lìfmlir. Una montagna tott’ attorno dirupata può opportuna m ente paragonarsi ad un carcere per rispetto d im o ra ,
e che
a chi sopra vi
rim ane chiuso come da nn altissimo muro.
Diodoro (eclog. xxn ,
i £ ) chiama questo luogo 7« r
,
• x x li l, l 4 7ì r • f i l i , ove dice che i Romani inanim ente l ’ assediarono con
quarantam ila fanti,
e mille cavalli
Ora
questo monte i denominalo s. Pellegrino. (179) Tra Erice e Palermo. Ma assai pih vicino a Paler mo , innanzi alla qoal città essendosi
accampali
i
Romani ,
siccome tosto vedremo , erano dal medesimo distanti soli eia* que stadii. (178) Alle brezze del mare ottimamente esposto. Ho preferito
ai3 alle altre l ' interpretazione del P fro lli : maritimis auris prae~ elare expositum. E cotesia esposizione appunto alle anre fre— •che di settentrione e di levante , temperando 1* atmosfera di q uella calda regione, non vi lascia pervenire animali pettiferi siccome bene osserva lo Scbweigh. ( l'J fi) Pugili. Nel p u g ile , il più pericoloso di ta tti gli esercizi! ginnastici che nsavauti presso i G re c i, il vincitore nou a rr a diritto alla palma, se l’ avversario non ai dichiarava vinto j onde avveniva, che taluno periva sotto i c o lp i,
ansi
c h e confessare la propria vergogna. ( F. Voyage d a Jean * Anacliara. c. 3 8 , e Luciano nell’- Anacharsi, o de* Ginnasti ). ( 1 8 0 ) Prr generoso ardir o per robustetxa ec. Io ho pre ferita l’ interpretazione del Casaub. il quale y t t t a i f l m , »«1
animi corporitque rotore, a quella dello Scbweig. che ha fortitudine dexteritateque. Im perciocché, ooaì tradace
forza come d tsir-zsa sono qualità del c o r p o , 1’ una conge nita , 1’ altra acquistata , ma qui manifestamente s* hanno a combinare le doti dell'anim o a quelle del corpo, cbe richieg* gonsi pe’ ginnastici esercizi!. Se non cbe m* è sembrato ohe
generoso aidire meglio renderebbe il y t t m i t l m del testo ohe non la robustezza d ’ animo del Casaubono. (1 8 1 ) Ite'duci de' quali ora parliamo. Il capitano Cartagi nese ,
nel corso di lutti i tre a n n i ,
era
Amilcare , ma il
Romano non fu al certo sempre Giugno. Imperciocché, quand* anche non fosse vero , e h ’ egli dopo I* infelice successo di T r a p a n i,
si fosse data la m o r te ,
è ben noto che i Romani
mandavan a comandare gli eserciti i anno , e ben
consoli di
ciaschednn
di rado prorogavano ad nno il sapremo poter
militare. ( i 8 z ) Gli stratagemmi che traggonsi dalle storie. Sono questi le astuzie di guerra cbe apparansi da' libri, o dal con versare non uomini periti dell* arte militare.
I
ritrovamenti ,
ispirati dall’ a rg e n ta de* c a s i, debbonsl al ooraggio e alla
214 gacità dell’ intelletto , che prontam ente •’ appiglia agli oppor tuni rip ieg h i, e i partiti temerarii cono figli della r i s o l a t o l a e della penetrazione , m e rci delle qoali preveggenti i ru n Itam enti delle operasioni e con imperturbabile costanxa li ese guiscono. Donde ir g a ir si possono le qualità d* un buon ca pitano , il qoale all’ in ttra iio n e nella propria arte unir dee l’intrepidessa • la p e rse v e ra m i nel l'esecuzione delle imprete. ( i 83) Perivano - quelli che cadevan combattendo, vale a dira ,
che non rimaneva ucciso n e ttu n o
di ooloro e h ’ eran ii
dati alla fuga , tiecome accader taole nelle altre pngne i p e r ciocché appena eranti sottratti alle armi degli avversari i , che riooveravanti sotto la protezione delle proprie Cortesie. ( ì 84) Un egregio ditpentator di premii. N i il Catanb. n i Io Schweigh. han latto latino il ty a /8i«7«r del testo; ma ne modificarono to ltin to l i desinensa,
rìducendolo a brabeuta.
Siccome pertanto questo vocabolo significa il giudice che nei oombattimenti ginnastici dispensava i premii a* v inc itori, così ho creduto bene di circoscrìver io tiflalto senso la mentovata espressione greca ,
che
non può aver il termine equivalente
■e lla lingua d ’ un p o polo, il quale non ne ha 1’ oggetto. Ora coletto brabeuta avea la facoltà di costrìngere i combattenti ad n n genera di p u g n i pi& pericoloso, ove scorgeva, che egoal era il successo in am endue le p a r t i , e che la vittoria non si deoideva per nessono ; ( V. Luciano 1. c. ) siccome q a i il ci mento fu trasportilo dal C arcera ad E rice. ( i 85)
Fecero pari. P o li b io , sempre attaccato all’ allegoria
delle te m o n i ginnastiche,
d ii
q u i nna Craae che gl’ interpreti
latini bensì hanno conservata, ma che in italiano non soiTeriva il senso traslato. E ra dunque costume ne’ mentovati giuoo h i, che il vincitore Cosa* coronato, ma quando ambigua era la vitto ria, oonsecravisi la corona al D io , cui era contecrala la festa, conforme soorgesi da A. Gellio ( Noci. A IL xvm, s ). Q uindi dice il nostro cbe im endue Uf •* ira i« m > 7i
»
fecero tocro la corona. Un* espressione limile trovasi in Se neca ( epist. P3 ) u qnomotlo
tamen
( scrive questo filosofo
•1 sno Lucilio ) hodiernum certamen nobis oesserit, qnaeris ? Q uod raro cursoribns e v e n it, hieram fecim iu. P e r avviso di Giasto Lipsio «1 hieram s* avrebbe a sottintendere coronai», ma a me sembra cbe cotesto aggettivo supponga il sostantivo
yp*Hfiì », linea Hi m e n o dello s ta d io , donde ingegnavanti di non nsnire i corridori, dappoiché di questi ( qnod raro cnrsoribus evenit ) qni ai parla. Cosi itpàt non fa ri più djtco rdanaa col suo sostantivo, siccome 1* avrebbe fatta se foste stata relativa a t n f m t i t . (1 8 6 ) Sim ili a generosi galli. Dopo vinti i Persiani fa fatta legge io Atene cbe si desse ogni anno in teatro lo spet tacolo di galli cbe s’ azzuffano. L a qual legge ebbe 1’ origine tegnente. Temistocle , condocendo l’ esercito patrio contro Serse , vide due galli cbe combattevano. Ne volle egli trar partito per incoraggiar i t n o i , e fece loro ot serva re , come q n e tti animali non pugnavano pella patria , n i pe’ figli , n i pella g loria, ma solo per non ceder l 'o n all*altro; onde mi rabilmente acceee I’ animo di totti, e grande stimolo aggiunte al loro valore ( V. Aelian. var. h itt. li, 28 ). Anche a Perga m o , secondochè riferisce Plinio, era in certo giorno dell’ anno pubblico combattimento di g a lli, e a ’ di nottri in Inghilterra e in Itpagoa molto dilettati
il volgo
di
quetto tpettacolo.
Coll’ aipetto di siffatta pugna n arrati che Socrate inanimiva Ificrate alla g u e r r a , e C ritippo nel libro della giutlixia la pronoie ad etempio di ooraggio. I Galli , dice Filone ( nel libro che ogni probo ì libero ) sogliono combattere con tanto a r d o r e , che per non ceder e darsi v in ti , sebbene spossati di fo rte , non perdono l’ audacia., e stanno saldi sino alla morte. (1 R-j) Perdute per debolezza le ali. Perduta
qui
non
i
qnanlo esser rimasi sen i’ ale , ma significa averne per iaposaatezsa perduto l ' u s o , oome si direbbe d* a no che fa colpito
2l 6 di paralisi» in qualche membro , egli ba perduto il braccio , la gamba. Quindi I’ ampliazione fatta dallo Scbweigb. utum alarum amiserunt era tanto meno necessaria , qoaotochè egli •tetto nella nota a questo loogo addace da Petronio e da T e re n iio due patti che fanno conoscere , poterti dire latina m ente a n c o ra , perder alcuna parte del corpo per restar privi dell’ oso di quella. (1 8 8 ) Sospendo/i alcun poco i colpi. L ’etaorim ento delle forte non pnò a meno di produrre nna toipentione delle otlilili: che il coraggio p i i invitto langue tolto il peto deU’oppretta natura. Ma come prima gli animi generati de* combattenti han ripi gliato n n pooo di l e n a , la pogna rionnovati più feroce di prim a , e non liaitce che colla morte d ’ uoo di etti. Io
ho
tratto profitto dalle corrasioni e giuditiote riflettioni dello Schweigh . , te n ta le quali qaetto periodo tarebbe avvolto in grande otcnrità , ehe non ginntero a diradare la penetrazione d ’ It. C a ia n b ., nè le acute conghietture di Merico ta o figlio, n i quelle del Gronovio e del Reiike. (1 8 9 ) Eppure i Romani. Lo Schw eigh., pretende che qui incominci la feconda parte del paragone , e che per conse guente in luogo di 'Of**r ( tuttavia ) debbati leggere Opt/mt ( c o t i ) . Ma è facile av v ed erti, che p i i «opra è il principio della conclotioae , ove dice il n o tlro ohe i Romani e i C ar tagineii erano ttanchi e giunti all’eilrem a ditperatione. Il per chè io bo coli traiportata la copnla della similitudine e qui ho ritenuto 1’ avverbio d* eccezione, continuandoti il confronto col d ir e , che i R o m a n i,
a malgrado
de’ loro
d it a it r i,
non
eranii avviliti , ticcome i g.Hi non cadono d ’ animo , sebbene tono indeboliti e paralizzati delle ale. (1 qo) Da questi cinque anni. T anto tempo
appnnlo era
traicorto fra il nau frag io , di Giugno accaduto l’ anno 5 oG di R o m a , (tecondo gli altri antori il 5 o 5 ) e la battaglia navale vinta da Lntatio , che avvenne nel 5 11. D iflatti ditte di tr p r a
21^ Polibio , che i Romani tre io n i stanziarono dinanzi
a P ale r
mo , e cbe due auai pugnarono pretao Erice. ( i q i ) Cedendo a' coti della fortuna , cioè a* due successivi naufragi cbe toffortero negli anni 4 0 0 6 5 ° ° R oma. Del retto era savio accorgimento de’Romani il perteverare nel com b atter i C ariagineti per m a re , ove qacati erano piii p o te n ti, dappoiohè non potevano tp e rar di vincere per terra Amilcare , che avea loro cinqae anni valorotamenta resistito. C oti il luogo etercitio avea gli uni e gli a ltri reoduti form idabili nel genere di guerra a p p u n to , in cui dapprima poco valeano ; i C arta* gineti ne’ oombattimenti terrestri e i Romani nelle pugne n a vali , e quella parte vincer dovea di necessità, la q u a le avrebbe 1’ altra tuperata colle armi avvertane. Q u in d i, tic come rima le ro aoccombenti i C ariagineti
perchè
furono
mare , coti tarebbon etti stati - v itto rio ii,
tcon fitti
per
te ro tte avettero le
forze di terra de’ Romani. ( i q i ) I l disperato ardire. Non bo trovata fra te italiana pili atta ad etprim ere la voce del tetto , che fecondo lo S chw eigh., lignifica il combattere to t tenuto più dalla ferma volontà e dalla forza dell* animo , che n o n da quella del cor po , come chi dicette : combattimento fatto coll‘ anim o. L ’E r netti nel tuo vocabolario la defiaitce pugna protratta tin o all'ul timo retpiro , o dir vogliamo pugna pella vita. A m e n d u e que lle
tpiegazioni itanno qui b e n e , e te
non
m* in g a n n o , la
mia interpretazione può a ciascheduna d ’ e tte adattarti . ( i f)5) Dugento vascelli da cinque palchi. G iulia Orotio (ìv , io ) ed Eutropio ( i l , 2 7 ) avean allora i Romani trecento n a v i, p e r modo ohe e’ aembra
che
le
qui
annoverate
fossero
le
nuove tollanto costrutte a apese d e ’ privati in i modello della nave del R o d io , coi è veritimile che pubblica ragione cento delle vecchie. (iq { )
tieno tlate
aggiunte di
All'isola chiamata Cera. C o ti la chiam a p u re T o -
2l8 le m eo , ma Plinio 1* appella ' Hieronnetut, che Tale itola tacra. E desta la più dittante da Lilibeo, e non da confonderti colla Gera Vulcani» delle Eolie. ( i g 5) E co' vascelli ancora carichi. Accetto la corrasione desiderata dallo S chw eig h., il quale scriver vorrebbe * { « i n yiftttrm , ancora carichi ia luogo di w f n n ( innoltre coi vatcelli cariohi): sendochì tta meglio il w f t t ripetuto la tersa T olta
,
W(»t
A nita ,
Bai »{•»
nvrns Imt
»a»7i * à r fvii/ttit,
• a ) w f ì i 771 la yifttrr» e*ap » , t t a , d io o , meglio q n e tti ri p e tise n e | cbe non sottintendere wgts inna nsi al trfrirt. (19C ) Ciò dissi riflettendo ec. P o lib io , dopo aver frapposte al primo é all* ultimo membro del periodo una lunga serie di circo stanse, attacca la conclusione al rim anente colla particella
Stiw*f , quindi, in loogo della quale h o usata la ripetisione del primo verbo , famigliare agli scrittori Italiani in siffatti lunghi periodi. (19?) Rompevan il flotto a t a f i f t » Ti» mxiitia è la fras» greca , che tecondo lo Schweigh. sarebbe letteralmente tollerar
ronda agitata. Ma il Reiske vorrebbe che s’ intendesse !* •» •f i f t u dello spingere che si fa 1* onda co* re m i , e p e r ap poggiar questa tpiegazione adduce testi di Tucidide e d* Aria no. Io ho seguila q u e st'u ltim a id e a , d* adattar alle orecchie italiane.
che
mi son ingegnato
(198) Mercè della loro robustezza. Lo Schweigh. crede di poter ad • » ■{ /« applicare il significato di d e stre z sa , e coti sente ancor 1* E rnesti uel vocabolario. Ma fatto s ta , che que sta voce non ha altro senso se non
se di buona salute e di
robusta coniplestione, conforme può vedersi in E s ic h io , e n ell'eco n o m ia d* Ippocrate del Foesio alla stessa parola. E v’ha forse più mestieri di dolcezsa che di nerboruta vincer la resistensa d ' un mare sollevato ? ( ■ 9 9 ) Tagliata la strada 7«*
iulmt
braccia p er ,
219 dice P olibio, cioi avean loro preoccupato
il
passaggio, toc
che torna al lento della frate da noi adoperata. (1 0 0 ) Cangiata la guita ec. Lo S ch w e ig h ., leggendo nel tetto con ta tti gli altri 7t» 7i • • v w y / a * B arnA ii'pintr, traduce tirlem
construendi naves nunc perceplam habebant (avean allor compresa 1* arte di cottrnir navi ) ; ma ne' commentar»
suggerisce
luogo del mentovato verbo /ti7i
in
la co
struzione ) . Ognuna di quatte tpiegazioni potrebbe a d o tta rti, ma sembra più accordarti col fatto la teconda : che compren der l ’ arte tarebbe ttato poco, te
non l’ avetsero ete g u ita , o
riformato il modo di fabbricar i vascelli. (1 0 1 ) Esercitati all'accordo, cioè ad accordarsi ne'loro mo vimenti, tovra tutto nel maneggiar i rem i, non altrimenti che diversi istrnm enti m usicali, che tra loro arm onizzano. Questa è peli* appunto la forza dèi vocabolo greco ( V. 1* erudita n rta dello S chw eigh., a questo pasto. (202) Fiaccati I t T fv ftt tt it , quasi tritali e sm inuzzati, che in volgare , per quanto io credo , non pnò renderti meglio che col verbo tettè accennato. (2o5)
E disteso il seguente trattato. P iù d iru tam en te è de-
soritto questo trattato nel libro 111 , c. 27 di q a e t t ' opera, ove sono aggiunte le modificazioni fatte al medetirao da* eommissarii del popolo.
(20^) Talenti Euboici d ’argento. Il talento E aboico teoondo P e tto valea sette mila cinquecento Cislofori ( moneta d’ Asia, su coi ara scolpita I* immagine della ceata arcana di C erere e di Bacco ) e il Cisto foro corrispondeva a otto atti Romani. A d u n q u e il talento Enboico era egnale a 60,000 assi o a z{,ooo se sie rii i , e i mille dugento talenti che obbligaronti i Cartagineii di pagare a* Romani sommavano 28,800,000 setteriii, che nella lingua dell' antica Roma ti farebbero espressi con bit centies,
octogies, oclies. In moneta fr a n c e te , ta l ragguaglio di cento lire per mille seaterzii, la mentovata tom m a rìduceti t 2 , 880,000 lire.
320 Perchè poi i Romani abbiano «cello attori la valatasione in mo neta d ’Eubea non è facile a dirai.
F o rte converti Polibio la
aomma pagati in danari greci , a maggior lam e de’ «aoi com patrioti , coi avei precipuamente detti nata qoeita «toria , e p e r avventura il talento Euboico ta r i «tato nell* Achea p ii cono sciuto di qnaliivoglia altro talento. <2oi) Battaglie ed apparecchi!. P e r quelli iotendonii i com battimenti di terra e gli atirdii. (2 0 6 )
Una volta - con meglio di cinquecento vascelli. F a
qneita I’ altima battaglia navale presto all’ito li E guta , in c o i L ntaiio ruppe Annone. I Romani vi iveano trecento vatcelli , e i C artagineti non meno al cerio di do g en to , dappoiché fra tom merli e p reti ne perdettero cento venti. (207) E l'altra con poco meno di settecento. Nella batta glia d ’ E onom o, ove farono egualmente vittorioii i Romani , ed ebbe ro trecento trenta nivi , coi i Cartagineti ne oppotero trecencinqaanta. (208) Perdettero i Romani - da settecento ec. i Carta ginesi da cinque cento. Maggiore fa la perditi de' Romani p e r cagione de’ ripetati naufragi che tofferiero, nel primo de’ quali di trecenieitanta quattro navi ne rimaiero loro m ie ottanta. Nel tecondo pare che tutte le navi p e r i u e r o , m i Polibio non n e indici il numero. (209) Di Antigono , di Tolemeo e di Demetrio. Antigono • ta o Gglio Demetrio erano re di M ace d o n il, e celebri furono i loro apparecchi navali,
lingolarmente qaello che fece De
metrio contra Tolem eo F ilo p a to re , m i pià pella mole delle navi che pel loro n u m e ro , conforme abbiamo g ii accennato di topra u e lli nota 58. (2 1 0 ) 1 Persiani contra i Greci. Con mille dagento trire mi , non com prete le navi d i cirico ,
i P e n im i attillarono
I l G recil , tecondochi riferitoono Etchilo cbe militò in quella g u e r r a , E rodoto, Iiocrate, D iodoro, Cornelio Nepote e Giutlino.
221 ( i n ) Gli Ateniesi e i Lacedemoni.
Allorquando gli Ate
niesi rn trarnn io guerra co’ L acedernooi, avean essi , per re lazione trecento trire m i, e gli S p a rtan i, sebbene in mare fu rono inferiori agli A teniesi, tuttavia ,
siccome eran allora si
gnori di due quinti del Peloponneso, e disponevano di tutte le sue forze non solo , ma eziandio di qoelle di molti esteri loro alleati, così poterono cogli Ateniesi gareggiare, e su p e rarli ancor talvolta per num ero di navi. ( 2 1 1) Ad espone la costituzione del loro governo. E que sta descritta nel testo libro , ma , come osserva lo S chw eig h ., non trovasi negli avanzi che ne abbiamo discussa la qnistiooe di cui parlasi nel testo. (215) La guerra domestica
if tp ix i tf sigui(\pa , a
d ir vero , guerra civile ; ma nessuna delle due qui mentovale era ta le , perciocché non una parte d e’ cittadini era contro 1* altra armata ; sibbene ribellarnusi i sudditi da' loro domina tori Il perché io ho abbandonata l’interpretazione dello Schweigh. da lui medesimo condannata ne’ suoi commentarli.
(21 4 ) Della guerra che chiamasi senta fede arw nStt rtXtfitt l ’ appella Polibio , eh ’ é quanto dire, guerra ia cui non si co nosce fede di tra tta ti, e violato è ogni dritto umano , quali son appunto le guerre c iv ili, e quelle a cui condace la ri nella traduzione la chiama hellum inespiabile , nel vocabolario implacabile, Esichio definisce « 1 1 1 /1 1 , ih , , s a i p i f H i f t i t t v i T i t tpiXi'mt i ù S ii b \* * ln . u Selvaggi, n e m ic i, cbe non ric o r-
bellione. Lo Snbweigh.
dansi d* amicizia o di patti ; implacabili **. ( 2 1 5) Le cause della guerra che sotto Annibaie ec. Come dalla relazioue di qaesta guerra possa conoscersi la genuina cagione di quella cbe fece Annibaie a* Romani non é facile a comprendersi. Vero è , che nella Gne del libro Polibio alcun poco ne ragion?, ma non a proposito della^ribellione de’m ercenavii e degli Africani. F orse fu una delle cause che indù*-
322 •ero i Cartagineti a rinnovar la g u e rr a , la necessità di occu pare fnori di caca la turbolenta e mescolala milisia onde vale v a n ti, e della quale didatti tappiamo oh’ era oompoito 1’ e seroito d* Annibaie. (21G) Dagli stipendii loro dovuti. D ne vocaboli qoi ota P o libio p e r lignificare gli stipendii , o ta la rii , o soldo che d ir vogliamo delle milizie. L 'a n o A n n ^ / < i , secondo E tic h io la tpeta stabilita pe’ talari! , • deriva da »/r«r fram ento , adanqne quati provvigione di fram ento: l’ altro dice Fozio Lex. H S. r* wìtf ift' t i d i l l i
, di coi
(tira ti
xiytrt
« a i r i n v i n o , cioi a dire , mercede e paoaggio , cb ’ 4 la quantità di framento , cbe m em aalm ente dittribnivaii a* so ldati. Ma sicorae coletta ditlribazione è p i i tolto chiam ata n r è ft te ffa , coti ho prese le mentovate d ae voci nel te n to più etteto pegli ttipendii ohe pagavanti all’ esercito. (1 1 7 ) La qual cosa minimamente si conviene asoldati stra
nieri. C o tto ro , non punto animati da patrio a m o re , ed avendo il guadagno per tolo scopo della loro p ro feu io n e , h ann o bi sogno di continua occupazione, e come prima veggonti all’oiio abbandonati, meditano violenze e tum ulti con anim a di pro cacciar naova etoa alla loro avidità. I Romani lunga pezza •chivarono quetta pette col bellissimo costarne di far loro socii i popoli conquistati, donde avvenne, che , te n ta ricorrer ad infedeli milizie straniere, valevanti oon ogni Ginoia delle armi de* nuovi alleati. I primi soldati mercenari! che presero al loro servizio farono i Celtiberi nella seconda gaerra P a n ic a ( Vedi T . Livio xxiv t 4 9 )• ( 2 1 8 ) Le promesse ec. Di queste abbiam veduto n n esem p io , allorquando i mercenarii tentarono di R om ani.
tradir
Lilibeo ai
(219) Di confuse favelle. Questo bo credalo essere, se non il preciso s e n to , almeno il motivo d e i r à / v i g / a , che denota m ancanza, o difficoltà di comunicazione
fri
p opoli, i quali
aa3 pella d ire n ili delle lingue non intendevanti. Il Catanb. in tra» ducendo separata consilia, espose 1’ effetto di ciò eh’ è indi cato dal testo. (aao) E turbamento ■« ) r ii X typiim r ripfiit dice Poli bio ( e di cosi detto turbamento ) ; quasi che lìpfin , donde i Latini derivarono turba, fosse ona specie particolare di confu sione. Io pertanto la trovo presso i Lessicografi sinonimo di rapaci , rapm^tt. Vedi Erodano raccolta delle lezioni d lppoc ra te , Esìchio alla voce rip)9« ; lo Scoliaste d“Aristojane nelle vespe, ove rippigu* è spiegato rapirritt, Fozio L ei. M S., Enrico Stefano , Etimologico Magno ed altri. Nello stesso si gnificato di confusione fa questa voce presa da Galeno nella parola composta di wXtTipfin (quasi confusione di cosce) delioita da lui paralisi delle estremità inferiori, per cui ora il fianco destro è portato a sinistra, ora il sinistro a destra. (231) Tunesi distante da Cartagine circa 120 stadii. Se condo T . Livio è quetta distanza di quindici mila pasti. Ora agguaglia lo stadio seicento piedi, che tono 120 passi geome trici 1 adunque ] 5,ooo pasti corritpondono a 12( stadii, spazio ■ un di presto indicato da Polibio. (222) Nessuna speranza potendo riporre nelle armi urbane. I Cartaginesi, nella loro origine una picciola colonia di Firo, ammansarono tant’ oro per via del commercio , che poteron assoldare molta gente straniera, e con questa grandemente dilatar il loro impero. Ma i cittadini poco erano nelle armi esercitati, e i capitani stesti, avanti Amilcare B arca, non furono ^ r a n fatto uomini di vaglia. I Romani al contrario da poveri principii salirono col proprio valore a quell' altesxa , donde dominarono la terra, e dopo un Inngo corto di vittorie a quelle dovizie pervennero, da cui i Cartaginesi avean prese le mosse. La disciplina , tanto difficile a conservarti, massi mamente nelle avversità , fra una soldatetca mercenaria e di «variate nazioni compost* , quale si fu quella de’ Cartaginesi,
2^4 era l'anima dalla operaiioui militari pretto i R om ani, cbe ardenti di patrio am ore, pel patrio molo combattevano. Il percliì non è da maravigliarti , se in tutte e tre le guerre Puniche fu superiore tempre lo «obietto valore all' arte raffi nata, l’ animosa povertà agli aforsi della riochesia, e il tante affetto del natio paeae all* aridità del guadagno. ( 22 3 ) Ed estendevano il pagamento all' impossibile. Io ho ■limato di potermi nell* idioma italiano accoatar pi fi alla frate greca , che non fecero gl' interpreti latini. Nel teato leggeri t/c aJvi« 7
lione , tanto poterono colle loro arti , ohe maodaroo a vuoto
2l 5 ogni trattato ili riconciliazione. Per tal gatta in tutti i politici sconvolgimenti I’ ambiiioae , I’ odio , la disperatane di pochi faoiaoroti tratciaaao oel vortice dell* aoarobia e delle guerre civili iutiere nasin ni, affascinate dal falso splendore della gloria e de* v an taci. (22
tonto
1.
i5
aa6 Non A improbabile , cbe questa eia la Bnerta m oderna, la quale corrisponde alla città testé mentovata per (ito e per ridondanca d ' acque. ( 2 3 1) Provvigioni di vettovaglie 0 di danari. Colla «ola parola esprime ameodoe questi oggetti il nostro autore. Lo Schweigh. nel dizionario Polibiano vorrebbe che le vettovaglie sole vi fossero com prete, «ebbene nella tradu zione aggiagoe eziandio il danaro- A n iS ir» p o i, che ho voli tato provvigioni , ‘lignifica in qaetto laogo lo stato de* viveri • della moneta tufTioiente per mantener 1' esercito- Laonde il Catanb. che traduase, ted nec alendi exercittu ulta suppetebat faculiat ( n i avean etti alcuna facoltà di nntrir I’ eieroito ) p ii acconciamente ti etprette dello Schweigh,, il qnale 00» toverchie parole dice : ted nec annonae copia parata erat in
horreis publicis , nec pecimiae in aerano. (232) Dalla campagna pigliavano ec. Nel tetto, a dir vero leggeti /ttt 7St mXXmt m-itlmt ( da tolti gli altri pigliavano ). Ma siccome a qnetti altri oppongomi poteia
le città , e da’ primi dicati che pigliavano metà de’ prodotti della terra 7 «» ìfi/r u t, mentrechi da'teoondi pren devano I r ib n ti , coi) ho stimato di qualificar gli ani , come lo tono gli a ltri, e di tottitair all’ etprettione generale, aiata da Polibio e conservata da’ tuoi interpreti latini, la p ii de terminata di campagna. ( 233 ) I paesani. Il Catanb. avea vallalo 7ic ** 7ì> 7ì» hominet agrestes ac rusticos, e lo Schweigh. I' ha copiato, ma finitamente otterva il Gronnvio che ciò dovea intenderti dì tatti gli abitatori di quelle contrade. Diffatti non ligni fica attoluUmonte campagna , tibbene paese , contrada , terri torio ; oltrechi non ti comprende per qual motivo qne* go vernatori, rapaci rìiparmiate avettero le città. ( 2 34 ) Tanto chi appigliarsi vuole eo. Queita ten Lenza mo rale i relativa a’ Cartagineii, i quali , non pemaodo all* ay-
aa-j yeuire , ma riguardaudo toio alla preiente utilità, alienarono da *i gli animi da’ popoli a loro «oggetti coll’ impor loro integrabili gravesze , e con incoraggiare i governatori delle provincia a far di qnelli il maggiore strasio possibile. ( 235 ) Centoporte. Non è quella g ii la Tebe dalle cento porte nell' alto Egitto, e molto meno la capitale della P artia, cbe tecondo Strab. ( x i , p. 5 14- ) area lo itetio nome. Dio doro, negli eatratti Valeiiani lib. x x i t , pania di qneita impreia di Annone , e dioe oh’ egli ebbe dalla mentovata città tre mila tlatiabi. ( j 3 C) Giace la eittà di Cartagine. Una inocinta descrizione di qaetla metropoli trovMÌ in Strabone ( xvii, p. 8 3 a ) ; ma chi desidera conteaxa esatta del luogo ove fa la Cartagine Tiria , e qnella che lorra parte delle aae raine fabbricarono poicia i R om ani, legga la erndita memoria del lig. Estrup ne’ convelle* annalei dea voyagei par Màltebrun eo. E y rie s , Jain 1 8 2 1 , ov'è determinata ancora la vera poiisione dell’ antica Utica , e lo italo preiente di tutta quella coita , e della foce del Bagrada. ( 2 3 ^) Lo tiretto che all* Africa la unitee. Cartagine , 00lonia Fenioia , non era considerata come parte dell’ Afrioa , da o n i, non meno ohe per origine, diitinguevati per (avella e per costumi. ( a 38 ) È largo venticinque stadii. Secondo Strabone ba qneito tiretto la lunghesza di sellanti itadii. E ra dono oinlo di muro , e i Cartaginesi vi aveano le stalle degli elefanti. ( 23 g) Annone adoperavate Lo iteiio a uà di presto narra Polibio di Arato ( V. il nostro trattato della vita e degli ■crilti di Polibio ). ( 2 (0 ) Fatte recar da Cartagine. Polibio dioendo che An none fece venir dalla città gli apparecchi di guerra, e poscia obe accampoui dinansi alla città, non lascia ben compren dere , se in amendue d' Utica so la, oweranieute uella prima
228 di Cartagine ragioni ) looohi indoli* io errore lo Sohweigh. , coi terabrò ohe Utica fotte la d i t i , donde il oapitino Cartaginese (eoe *itoir il bellioo apparato. Ma come poteva Annone ciò fare , ie i ribelli la attignevano d ' attedio : Il Caiaub. pertanto don ai laiciò illudere da cotal ambiguità , • tradotte i catapultii Cartilagine afTerre j u i i l i , et ad oppidum Uiicam oaitrii looitit. (2 (1 ) Ed entrato im etili. Gioì in Utica , d a 'c u i dintorni i nemici erano foggili. (2(1) Tulli sommavano direi npltt. A qual meicbinilà di io n e eranii allora ridotti i Cartagineii te tti al potenti ! Ciò oon di meno il valore , la tagacità , e la coitansa del capi tano, oui quelli trilli avaoai d’ un grand’eieroilo eran affidati, seppero alla fine trionfai di avverta rii cotanto numerati ed audaci. (2 { 3 ) Il fu m é Bacara. I oodioi manninritti hanno tutti Macara , o M acarot, o Macroi ; ma lo Schweigh., oon ti do rando che i Romani ne avean fatto Bagradat , e che Snida 1* appella |B uaara , ha dapprincipio giudicato che il nome Panico ti tm v ette colla lettera initiale B. Ma avendo poioia riflettuto , che gli Arabi chiamaron il mentovato fiume Magierda , e Megierda ( am i Mejerda , e Mej*rdad ) gli piaoque di rimettere l’iniziale M , la quale non era appoggiata ili’au toriti di nenoD codice, e, te ti eccettui la lezione di Snida, eh’ è forte viciala, non avea per tè che l’ analogia col nome Romano , nel q u a le , a 100 parere , può pen affinità di pro nom i* una labiale estere (tata scambiala coll’altra. (2{{) E fabbricò dappresso una città. <11 Caiaub. ti mara viglia, oome potettero cosi pretto fabbricar qua città, quindi vorrebbe a *•*«» toililuire (rocca); quaiicbè fowe più facile di coitruir in breve tempo un coltello ben afTurs a to , che un ammalio di catucce , oui ti darebbe il nome di città.
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( i { 5 ) Osservando ohe il fiume suddetto. P e r , comprender bene questo stratagemma ì d i (apersi , cbe la Matura sfcoooa nel mare alla sinistra di Cartagine ( ohi volge la (accia al nord ) ooo longi d* Utica ; onde Amiloare, varcato lo spaaio paludoso, su coi col favore di oerti reati forma*a*i no goado pella «abbia che ri «i afloUara , riuscir doveva al fiume , « tragittato quello alla campagoa , senta pascar l’ istmo. (a(G ) Furali a contatto. E piò che appropinquasse/ti, « rvieinaronii, e meglio , secondochè io itimo » esprime I* tìt rilutti*t del teito. (2Ì7) L'un ¥ altro esortava confortandosi< Gl'interpreti non «ono tra loro d ’ aocordo la i vero senso di qaétto luogo. Il Casanb. rende r u fn y y iit per mandata dare , e lo Sohwetgh» ritiene quella versione, e nelle note la difende, diaendo ohe wmftyyvlt qni vale passar gli ordini dall*on» all’ altro , lio» oome primitivamente questo verbo significa pan ar alcuna o o u di mano in mano. Il Reiike pretende che wmpnyylmt stia per esortarsi, mentre w*pt»ixvr suona aemplioemedte diramarsi 1* nn 1* altro. Il Gronovio volta ir< ^ y y i» > appropinquabont , e 1' Erneiti impetum faoiebant. Ora in senso di oomaodare o dar ordini, come fa no capitano a’ouoi soldati, trovasi questa vooe più d’ noa volta presso Senofonte ( Cyropaed. m , a , 8-iv , i ) , ma nel presente caso avrebbooo tutti 1* uno a l1* altro tamnlluarìamente comandato ; lòoohi non è credibile. P e r la qnal cosa io credo ohe il mentovalo verbo abbia qui forza d* esortare, ciò convenendosi apponlo a individui che formano una moltitudine. N i per ciò potrà e u e r Polibio inoolpato di ridondanza ; dappoiobì lignifica a lqnanlo più che lemplicemeote esortare , o dir vogliamo ri cordare , ammonire ; che il ano vero valore è confortare, inspirar coraggio , ecoitare , spigner all’ azione, provocare. Nel qual senso Senofonte nell* opera citata ( v i i , 5 ) disse r«fa««A i7 tym , eccita gran fiamma*
a3o (2^8) Progredir fjaant’ etti. Il greco m tltw u fiy iìtt ha una forza singolare, denotando ad on. tempo due movimenti, l'u n o di rincontro, ÀtVt, l'altro nella stessa direzione, e come dicesi parallelo ,• wmfìt. Il Casanb. e lo Schweigh. haacircoscritto questo concetto oon troppe parole. ( 2 4 9) Luogo diffcile. L* cornane lesione (d i difficoltà ) non piacque al Casanb. n i al Reiske, i quali r i sostituirono r (luogo di difficile passaggio). A me pare sembra questa lesione più ragionevole, troppo indeter minata essendo l ' espressione di difficolti. Didatti poco ap-. presso è detto , oome ginnto Amilcare a qnalche silo circon dato da m o n ti, ( per conseguente ristretto ) i nemici gli eran addosso. (25 0) Che gli altri ( merceriarii ) eran disertali e pattati da' /ternani. Qui Polibio smentirebbe di bel nnovo T . Livio , il qtiale , conforme accennammo di sopra, n a rra , ohe i Ro m ici assoldarono i primi mercenarii nella seoonda guerra Panica. Ha fatto sta che cotesti G alli, non si tosto recaronsi presso i Romani, che spogliaron il tempio di Yenere Ericina ; il perchè , finita poco tempo appresso la gnerra co' Cartagi nesi , essi gli spedirono foori d ’ Italia. ( 2 5 1) Pieno d’ impeto guerriero. L’ Aretino e il Perotti voltarono poco felicemente, in primis manti promlut ; meglio il Casaob. militari animo juvenis. Io ho creduto ohe mal non tornerebbe in volgare la traduzione a parola a parola di (252) Coltivando V affezione che loro portava suo padre. Chi volesse render sonipolosamcnle ogni parola del testo di rebbe, avendo la congiunzione ( rv r r « r ii) paterna. Il Casaob. e lo Schweigh. convertono qnesto legame in nolitiam tptae patri illiut cum ipsis intercesserot; ma ciò mi è parato poco , nna semplice couoscenza non importando amiciiia e congioDzione.
a3i ( i 55 ) Con ànimo di teco lui riconciliarti, ih ipà conciliarelur hanno il Cataub. e lo S>:hweighiuaer, ri ferendo il ttrrmSnriftiktt à nrr*n$. Il tecondo però n e lle note ò d’ av vito, o h e p iù quadrerebbe arma cim i ilio eontociaiurut. Sic come pertanto Narra dice «obito appresto oh* egli volea as socim i ad ogni opera e consiglio d’ Amilcare , cosi parrai assai più naturale j che io loogo di ripeter inotilmeote la stesta cosa , egli iooaoai d ' Esternar il detiderio di ttringei'e Con l a i società, abbia esposta la sua infestione di riconciliarsi* ( 2 5 {) Bòstaro comandante degli aiuti. Cotetti ajuti erano i meroeoarii medetimi sotto agli ortlini del oapitaoo Cartaginese, (255 ) Stravaganti tupplicii. Ho accettata la correzione pro posta dal Casaub., e approvata dallo Schweigh. ne’ comndfcota rii, p leggo io Vece di n ^ « > iA i 7^ i > « , ometti , italateiat i , che non sem a stiracchiatura il Reitke «piega i top* plicii ometti uè’ tempi andati, leggo» d itti, wapnXXayftttat,
ttraordìnarii, inusitati. ( 2 5 6 ) Invitando e persuadendo. Storiare con a e r e r itì, e quali imporre ò ben diverso dal blando ecoitar che fa chi la persuasione e le preghiere usar debbe co* sobalteroi per ese guir il tuo intento. Quindi Polibio li vale qui del verbo M / t / i n i , eh ’ è quanto iutinuarti nell’ animo per via di lodi, e cui ho creduto corrisponder I' invitare nella nottra favella. ( 2 5 ^) In qualche modo dilettavanti. Polibio adopera qui vocabolo tale , cbe molto felicemente te oon m* inganno, può trasportarli in italiano, «ebbene nel sento trailato. Quando alonno , teoza esser consumato in qualche teienta , o a r te , «e ne occupa per «olo diporto , diciamo eh’ egli di siffatto, studip dilettati. Così nell’ idioma g reco , meotrechè denota propriamente quel accareitare che fanno i cani agi tando la coda, e talvolta adulare, trovati presto ottimi autori per godere, compiacerti. Pindaro Olimp. iv, 7, i m o rp tt « y -
a3a yXtmiìmf (godettero della dolce noo*a ) , ed Enripide nel Reto v. 55 r a / m pttttì%vf (m i diletta la notturna fao») e nell* Jone v. fi85 • » y»f ftt rm/'tt Oirfxl* ( che non mi piacoiono gli oracoli ). Adunque "isoli m tir»/ièil» t i /«A i«7» molto acconciamente tradtrvaMÌ , gode vano , compiacevonsi, dilettavnnsi di questa lingua, e nella otta la composizione del v erb o , cbe am i gli dà maggior f o n a , esprimendo la famigliarità contratta da quella gente colia lingua ponica. ( 2 58 ) Tagliarono agli infelici nato e orecchie. Con nna parola esprime Polibio oiò che realmente significa 'troncar le parti estreme ila , estremità. Ora ticoome gli arti superiori e inferiori ( mani e piedi ) , per cui intendonai comunemente le estremità del corpo umano , furono poscia «paratamente motilate , così non rimanevano che naso e orecchie, altre estremità , che ancora presso qaalnhe barbara nazione vengono recise io punizione di certi delitti. (2 5 9) Incrudeliscono. Ho preferito qaetto verbo ad altri che la stessa cosa avrebbon espresso, onine inciprignire, inasprirsi, per poterlo applicare alle magagne del corpo, non meno che a quelle dell’ animo. Così osò Polibio » che vale inferocire, ma i ad nn tempo vocabolo medico , con coi si dinota il malignarsi delle piaghe, e donde deriva al* cera d'estrema malignità, descritta da Celso ( de medicina * , c. 28 , Sect. 3 ) o I' aggettivo OifimSic, ferino , applicalo da fppocrnfe alla tosse maligna ( Apbmis. 11 , sert. 2. — Epid. vi ) e da Areteo ( De caos, et sign. acuì. morb. 11, 9 ) all* au tunno apportatore di gravissime malattie. Quindi fu Iti cancro apposto il nome (fi , fiera, conforme riferisci Esirhio. (2Gì ) Serpeggiano divorando. Il testo ha x « n ìr« i +*> »*/*<>, fanno il pasto, locchè direhbesi in latino d-pascunt, verbo con coi i*i esprime appunto il dilatarsi che Fauno le nfnere distrut tric i, le quali perciò acconciamente chiamate sono da* medici
*33 alcuni d^pntetnbo. Lo Sohweigh. trad uce, intìiim — scrfKl vefociiit ; ma io ho creduto di non dover omell*re U circo-: ■Unza della distrniione conginnta col lerpeggiare. ( a f ii) Annrrnm'nti e putredini. Fidi"inut quondam ingtncTantur , oc tabet volt» lo Schweigh» Ma nè I* uno nè I' allro •Ostanti»© rappresenta oiò olle diate Polibio. Imperciocché fu Ifgù non ha mai significato in medicina l'atp elto negro di parti corrotte , ticcome la voce qui adoperata dal nostro , eqoivalente al pi'tXer/tm d’ Ippocrale , ( V edi , Poe*.’ OEoonom. Hipporr. a questa voce) il qnale per /tiìmeft» *(•/»» intete ulcere maligne e negre delle parti genitali, non altri» menti che Celso ( i l , ! ) ditte nigritiem in ulceribui. Tabet poi •nona liqnefasione e consunzione lenta, indipendente dallo «ruggenti di qualche vincere in umor m arcioto, siccome aoeade nell* tabe domale e nel marasino teoile. Laonde * o r i / o i r molto meglio «arebbeti adattato putredinet, e nigrorr» a ft (2G2) È pertanto da crrd*rti. Siccome nelle malattie del oorpo dislingtinnsi le canae predisponenti , che hanno tede nell’ individuo infermo, dalle occasionali che inno Tauri di lui, e fatinoti operative in forza delia mala dispotizione delle parti in cni ifiduisnono, coti Polibio molto taviamente tepara le cagioni delle politiche infermiti cbe albergano negli animi, da quelle ohe procedono da esterne- violenze. Ora la medicina radicale in amendue è meno la distruzione de* viiii adulti e confermati — ardua impresa , per non dir imponibile ! -— cbe I* oppoiiaione efficace al loro sviluppo. Il perchè fanno gran senno qnr’R eg n an ti, ohe per mezio d* uun'acconcia educazione procacciano di piantar genni di virt!i ne*cuori de’ loro sudditi , innatnri ohe le paasioni stabilito vi abbian atsolnio dominio. Ma le in* fluense nocive, che derivano dall’arbitrin de’inaestrati, vanno egualmente evitate. Che, sebbene, ove trovano docilità e onetti MDtimenti, bod ingenerano pericolose resistenze, a fungo aa-
a34 dare corrompono i coitami pl& uni, oon altrimenti ohe 1*abi tuale dimora in un* aria appestala guasta la salute de'corpi più robusti. ( a 6 3 ) Gli Emporii. Riferisce Strabono ( xrv, p. 835 ) che in fondo alla Sirti minore ▼ ’ area un grandissimo emporio ( piazka da mercato ) , e che in quel seoo giItasi un Game. Qui pertanto Emporio è nome proprio, e nel namero di p i i , forse pella vastità del luogo, quasi che da molti emporii fosse composto. Del resto altre città ancora portavano qoesto nome, come 1* Emporio di Spagna eretto da'Marsigliesi, e quello dei Locri alla foce del Metanro ( V. Strab. n i , p. i 5 g , iG o). (2G4) litica ed Impone. Vero è , conforme narra Diodoro ( ix , 5 {), ohe queste due città fecero valorosa e ostinata re sistenza ad Agatocle , ma finalmente egli le prese. Ma i R o mani , quando, condotti da Regolo , impossessaronsi di tulle le città intorno a Cartagine , non le poterono soggiogare.' (263) Agli Siali alleati. Roma e Siracasa eh ’ eraosi testi con loro pacificate. n«A ii(, che qui leggesi nel testo, non si gnifica soltanto c ittà , ma eziandio governi , stati , conforma avverte il Reitke. (26G) Che siffatte cote ec. Importante leziooe dà qui Poli bio a* Regnanti, facendo loro conoscere, oome pella propria sicurezza e pella felicità de* loro popoli non debban essi fa vorire giammai presso qualsivoglia nazione attentati che par tono da ammutinamento , sovrattutto d* una feroce soldatesca , quand’anche fosse per ridondarle loro qualche vantaggio. Così Gerone, come i Romani e ra D O stati nemici acerrimi dei Cartaginesi, e l’ abbassamento di questi non sarebbe loro forse dispiaciuto , se derivato fosse da qualche legittima guerra. Ma consideraron essi , che la ribellione i troppo pessimo esem pio, e che ben lungi dal dover essere con aperte o segrete pratiche sostenuta da esteri potentati , egli è comune interesse di tutti, che venga efficaineute repressa ed estinta*
a35 ( a C7) Nè debbeti ad alcuno eo. Ogni Ordine nello st«to, qua
lunque ne eia la ooatituaione, neceuario i che abbia i «noi diritti limitati e oirooicrilli a legno , che aatc^r non po iu no oonfliui perìcoloai alla salvesza dell' nDirenale. Quindi iniur•ero nella repnbblica Romana U nti tnm alti pelle Ifggi agra r ie , ohe troppo allargavano la libertà del -popolo; qoiodi lo soverchie conceuiooi fatte a Grandi ambiziosi, accelero le guer re civili. (168) Marciando alla sfiata. Ho volgarizzato 00il qoeata volta 1' àtTiM mfiytit, eh' à di mpra più fiate occono , percioccchè gli A fricani, attenendoli a ’ luoghi itretti e montoosi, romper doveano le file t e marciar a pochi a pochi. Militar mente il verbo sfilare non è ammencì dalla Grnica »e non *e in senio di sbandarsi; ma il Graisi (Dii. milit. It. t> : , p. 127) vorrebbe cbe con elio • ’ in d ic a n e , quel movimento, che fanno le troppe in cammino , qua odo incontrando an otta ccio tono coitrette a diminnir la fronte , e a diichierarii per panare nno itretto ». (a6g) Allora poteasi veder eo. Queita iteu a sentenza con poca variazione trovali in Diodoro ( « v , 1 ) , o*‘ è riferito il medeiimo avvenimento. Il Weatelingio propone colà di 10? ititnir in Polibio r i u n ì a , più calcante lembrandogli intelligenza cbe forza strategica. Ma con ragione rifiata lo Schweigh. quella correaione, facendo vedere che /•»»* sta qui per facoltà , v irtù , ingegno. (270) Molti in avvisaglie ec. Ha già onervato lo Schweigh., che queita ipoiitione è nn poco confala, appartenendo gli agguati, e gli analti improvvisi diurni e notturni a fazioni parziali, anziché a combattimenti generali Ma non lerabra che qui Polibio avesse in mente la generalità • parzialità delle snffe ,• per ciò che ipetla al numero de’ ioldati ; libbene egli è probabile che mirane all’ uuità o raultiplicità’ de* liti , in cni accadevano gli scontri. Laonde , allor
a36 quando Amilcare tagliava i patai a' nemici , e li batteva, coma li «noi dire con frase straniera , in dettaglio , aoeerchiandoli in varii luoghi, erano le tue pugne paniali : laddove la fa* sione era generale, quando con incamiciate e sorprese tutto 1* esercito, o parte di quello in an sol Inogo raccolto, met teva in pericolo. — Il traduttor francese òhe fu scorta al Folard leggendo nell* edizione del Casaubono Ut i't n i » iX tniptri , m nifiim , voltò faitanl semblant d“en voulair 4 tonte fannie ; ma in questo seoso avrebbe scritto Polibio • ( Si rv» ix tit xirSvt'tvmt ; o lasciando il testo intatto avrebbe dovuto dire l'interprete francese: camme s'il s’eùt agi d'ime
affaire ginirale. (271 ) La sega pella somiglianza ec. Appiano ( Hist. I lljr . c. * 5 ) dice d’ an luogo montuoso dell’ Illiria j ch’era oirooodato da colline appuntate, come seghe, (172) Mato pertanto ec. Ecco novella prova, cbe da Amil care io fu o ri, non avean in quel tempo i Cartaginesi capi tani di vaglia. Quanto mille pugnasse Annone abbiam di so pra veduto. Ora ci si presenta Annibale, che con istolta fìdnoia nulle proprie forse neglige i primi doveri d’ an baon condot tiero , ed è colla soa gente miseramente disfatto. (2 7 3 ) Lo stesso capitano ec. Lo Schweigb. ba notato il granchio pigliato dal Casaub. , che interpretò questo passo s ducem qui jam antea ad bellum exierat. Egli adotta la corra sione del Reiike, ducem, qui antea decessemi, e 1*amplifica a questo modo ; Hannonrm qui antea imperium deponere faerat coactus ; ma io la ritenni intatta , sembrandomi cbe cosi più s' accordi col testo. (*T Ì) Quasi per correr lo stesso aringo. E aringo lo spa zio io cni si gioitra, e è quella linea nello stadio, sa cui vanno i corridori, secondo cbe ne insegna Esicbio. Il perchè io ho credalo di non poter rendere ri» im a m t
a37 eoi li sottintende yfmpftit, oon un' immagine p it caliante e p ii italiana di quella cbe ho naata. ( i j S ) Lepri. Due città di quello noma »’ area mila coita d* Africa , la ona preu o la Sirli minore p ii viciua a Carta gine , e di q o eiu parla qui Polibio, l'altra oon Inngi dalla Sirti maggiore, ov’è la Lebda odierna, ne*dintorni della qual* veggonti le vaile roiue dell’ antica Lepti.
aleam jaeturi. (279) Tanto importa ec. Quetta tenlenta ancora fn pres soché colle itette parole di Polibio riprodotta da Diodoro ( eolog. x xv , 1 ) — Coti da questo p a n o , come dall’ am moniiione riportata di topra In occatione della iconfitta di Regolo, appariice quanto folte l'autor nostro inesorabile con tra coloro cbe non la perdonano a* v in ti, e l’ imbecille loro rabbia tfogano m i m iteri, oui tolto è ogni m en o di difeta. D ifetti nulla p ii onora 1’ eroe che la generalità aiata veno di quelli che la torte delle armi ha al tuo potere anoggettati. Alettandro fu forse p ii grande pe’ riguardi , con coi dopo la battaglia da Arbela trattò la famiglia del debellato e morto Da rio , che pella vittoria cbe il rendette padrooe dell’Asia ; e il primo Africano (Polib. x , i j ) ebbe con minor gloria dalla magnanimità e continensa , di coi diede in Ispsgna tanti belli esempli, che dalla sua fortuna Delle imprese di guerra. — Ma la vendetta esercitata sopra awersarii umiliati è ferocia piò ohe bestiale , e viltà d* animo inferiore ad ogni piò basto e odierole tentimento. (278) Circa quel tempo ec. Lo Schweigh. li maraviglia come Polibio coll brevemente ipacri questa faccenda, della quale egli nel libro teno cap. 10, dice d'aver già trattato piò difTutamente , e rnppone che alcunp cote aieno qui Hate
a38 omesse, o che qaalche epitomato™ abbia ristretta la narrazione. Ma qael pià diffusamente io noi trovo oelle parole del noatto al laogo testi «italo, ove leggesi » m $ i n p •« ruit w p * n i n i « i^ ì n ( r » i , conforma abbiam esposto tu ciò ne' libri antecedenti. Laonde la oooghiettnra del dotto
commentatore ha debole appoggio , e il cenno che qui dà l'aotore di quell’ avvenimento i sofGoieote per fam e coDosoere U circoliam o principali.
FIKE D E LL * ANNOTAZIONI DEI, PRIMO L I M O .
a3g D ELLE STORIE DI POLIBIO DA MEGALOPOLI.
LIBRO SECONDO.
.1. I N e l libro a questo antecedente abbiam esposto, A. dì fi. quando i Romani, assettate le cose d*Italia, agli affari esterni incominciarono ad appigliarsi ; poscia come tragittaron in Sicilia , e per quali cagioni mossero guerra a’ Cartaginesi per quell’ isola ; in appresso come princi piarono ad allestir forze navali, e quanto avvenne ad amendue in cotesta guerra sino alla fine ; nella quale i 'Cartaginesi sgomberarono tutta la Sicilia, e i Romani impadronironsi dell’ isola tutta, se si eccettui la parte soggetta a Gerone. Indi prendemmo a d ire , come i mercenari!, ribellatisi da’ Cartaginesi, accesero la guerra cosi detta Africana , ed a qual seguo giunsero le em pietà in quella commesse , e qual fu 1' esito di cotesti orrendi fatti sino al termine ed alla vittoria de’ Carta ginesi. Ora c ingegneremo di palesar sommariamente le vicepde che a queste tennero dietro, (j) toccando eia-»
2^0 A. &R. scbeduna, secondo il nostro divisamente. I Cartaginesi, 5 ty • come prima ebbero accomodate le cose d' Africa , a o 5 a 5 cozzaron nn esercito , e (a) spedirono Amilcare nelle contrade di Spagna. Questi prese Toste, ed insieme il figl io Annibaie, che allor avea nove aooi, e fatto il tragitto alle colonne d’ Ercole, (3 ) ristabilì in (spagna gli affari de’ Cartaginesi. Soggiornò in questi luoghi quasi nove anni, e poiché ebbe molti di qne’ popoli assoggettati a Cartagine , quali colle arme , quali colla persuasione , lasciò la vita condegnamente alle anteriori sue gesta. Imperciocché venuto a battaglia con nemici valorosissimi e potentissimi, ed esposto avendo té stesso colla maggior audacia nel fervor della mischia, mori da forte. I Cartaginesi diedero il capitanato ad ^sdrubale (4) suo parente e comandante delle sue galee. 5a3 IL In que’ tempi impresero i Romaoi a far il primo tragitto con un esercito nell’ llliria (5 ) ed in coleste parti d’ Europa. Le quali cose non di volo, ma con attenzione considerar dee chi conoscer vuole in realtà il nostro proponimento , e come crebbe e si formò il RouMino impero. Deliberaron essi pertanto di tragittare pelle seguenti cagioni. Acrone re degl’ ilJirii, figlio
24l e (7) la strìnsero d’ assedio senza interruzione, appli- A.diR. candovi ogni sfono ed industria. Ma essendo già pros simo il tempo di elegger i maestrati, e dovendosi sce glier un altro pretore , mentre che gli assediati erano già ridotti al verde, e sembrava che ogni giorno fossero per arrendersi, il pretore antico aringò gli Etoli di cendo , dappoiché egli sostenuti avea i patimenti ed i perìcoli dell’ assedio, giusto essere che, come presa sa rebbe la città, l’amministrazione della preda e T inscri zione (8) delle armi fossero a lui concedute. Ma sic come alcuni, massimamente quelli che (g) recavansi in nanzi pella suprema potestà, contraddicevano a questi d e tti, ed esortavano la moltitudine a non precipitar i loro giudizii, ma a lasciar il partito indeciso, chiunque si fosse quegli cui la fortuna cigner volesse siffatta co rona ; cosi parve agli Etoli di decretare , che , qualsi voglia pretore novellamente creato s’ impossessasse della città , accomunasse col predecessore 1’ amministrazione delle spoglie e l’ inscrizione delle arme. III. Presa questa risoluzione doveasi il giorno vegnente far 1’ elezione e la consegna del supremo maestrato, conforme è costume degli Etoli. Ma nella notte accostaronsi cento barche alla (10) Medionia, radendo i luoghi più vicini alla città, con entro cinquemila Illirii, e dato fondo nel porto , allo spuntar del di prestamente e di soppiatto discesero in terra, e (11) schierati all’ uso loro andarono a branchi verso il campo degli Etoli. I quali, di ciò accortisi, rimasero attoniti dell'avvenimento inaspettato e dell’ audacia degl’ Illirii, ma altieri com’ e* rjno da lungo tempo ed affidati nelle proprie forze, p o l i b i o t tomo 1. 16
a42 A. diR. ponto non si smarrirono. Anelarono dunque la tamg-l gior parte della grave armadura e de* cavalli innanzi al campo nel piano, e con parte della cavalleria e co’fanti leggeri occuparono le eminenze ed i luoghi opportuna mente situati davanti allo steccato. Gl’ Illirii piombati sulla milizia leggera la respinsero al primo affronto , come quelli eh’ erano superiori di numero ed aveano più poderose masse ; i cavalli poi , che a quella eransi uniti, costrinsero a retrocedere verso la grave armadura. Poscia assaltati da sito superiore quelli che schierali erano nel piano , li misero tosto in fuga , uscendo ad un tempo i Medionii pure fuori della città addosso agli Etoli. Molti ne uccisero , più ancora ne presero , delle arme e delle salmerle tutte s’ impossessarono. Gl’ Illirii pertanto, poich' ebbero eseguiti i comandamenti del re, e recata la preda e le altre robe alle navi, salparono incontanente, facendo vela pella patria. IV. I Medionii, salvati contro la loro speranza , ragunaronsi a parlamento e deliberarono intorno all’ in scrizione delle arm i, ed alle altre faccende. Piacque loro di far l’ inscrizione comune, a nome di quelli che governava allora, e di chi ( i a) si trarrebbe innanzi nella futura elezione , non altrimenti che piaciuto era agli Etoli. E ben sembrava egli che la fortuna con quanto avvenne a’ Medionii a bello studio mostrar vo lesse la sua forza agli altri uomini ancora; mercecchi le medesime sciagure che già aspettavansi da’ nemici, essi riversarono su questi in brevissimo tempo. E gli Etoli da cotesta improvvisa sventura trassero 1’ ammae stramento di non far conto dell’ avvenire , come se gii
a 43 fosse accaduto, e di non anticipar le loro speranze, J.diR . confidando io ciò che possibil è , che riesca diversamente , ma di ascriver gran parte degli eventi al caso, massimamente nelle cose di guerra , dappoiché uomini sono. Il re Agrone, ritornate che furono le barche, e sentito da’ duci ciò eh’ era stato operato in quella spe dizione , fu oltremodo lieto d’ aver vinti gli Etoli tanto superbi e tron6i, si diede all’ ubbriachezza e ad altre siffatte gozzoviglie , e cadde in una k>6ammazione di petto, della quale fra pochi giorni mori. Gli (>3) suc cedette nel regno la moglie Teuta , la quale nella par ti colar amministrazione degli affari giovavasi della fede degli amici. Costei (i/f) governandosi da donna, ed af fidando solo la recente vittoria, senza volger lo sguardo alle cose di fuori, permise primieramente a’ suoi di predare chiunque navigando riscontrassero } in secondo luogo allestì un’ armata ed un esercito non minore del 5 i^ primo , e spedigli, imponendo a' duci di trattar ogni terra come nemica. V. Costoro partitisi, fecero la prima invasione nel territorio di Elea e di Messene ; che queste contrade soleano gl’ Illirii sempre guastare , per esser le loro coste molto estese, e le città dominanti dentro a terra, onde lontani e tardi eran i soccorsi che ad esse giùgnevano contro le discese degl’ Illirii. Il perchè impu nemente correvano e spogliavano coleste regioni. Tut tavia allora , innoltratisi sino a Fenice d* Epiro per vettovagliarsi, vi si abboccarono con certi Galli eh’eran al soldo degli Epiroti, e dimoravano a Fenice, in nu mero ù* ottocento. Co* quali introdussero pratiche di
244 A. diR. farsi consegnar a tradimento la città , e sbarcati impadronironsi al primo assalto di quella e di quinti v'avea dentro, ajatati da’ Galli che vi si trovavano. Gli Epi ro ti , adito il oaso , accorsero in fretta , con tutte le loro f o n e , e giunti a Fenice , e trinceratisi dietro il fiume che corre presso alla città, vi posero il campo, e levarono per maggior sicurezza le tavole del' ponte su quello costruito. Ma come fu lor annunciato che ar rivava ( i 5) Scerdilaida con cinque mila Illirii dalla parte di terra per le strette cP Antigonea, spedirono porzione de’ suoi a presidiar Antigonea , ma poco al rimanente badarono , godendosi a sazietà il paese, e negligendo le guardie e le stazioni. Gl’ Illirii, risaputa la loro di visione e la neghittosa loro condotta, si misero in cam mino di nottetempo , e poste tavole sol ponte , passa rono il fiume a salvamento, ed occupato un luogo forte , vi stettero il resto della notte. Sopraggiunto il d i, e schieratisi amendue dinanzi alla città, (16) gli Epiroti furono vinti , e molti di loro caddero ; mag gior numero ne fu preso , e gli altri fuggirono verso Atintania. YL Da tanta sciagura colpiti, e perduta ogni spe ranza in sé stessi, mandarono ambasciadori agli Etoli ed alla nazione Achea, richiedendoli supplici d’ ajnto. Questi ebbero pietà delle loro disgrazie, e condiscesero a’ prieghi che porgevano, e poco stante vennero coi soccorsi ad Elicrano. Quelli che occupavan Fenice, ridottisi dapprima con Scerdilaida in nn luogo, acam pa ronsi presso agli ajuti con animo di combattere ; ma furon impediti dalla di (lìcolta de* s iti, e perchè eran
245* venate lettere da Tenta che imponevan loro di ritornar A. di R. subito a casa , essendosi alcuni Olirti ribellati a favore de'Dardani. Laonde depredato ch’ebbero l’Epiro, fecero tregua cogli Epiroti, mercè della quale restituirono per danari i corpi liberi e la città, e gli schiavi e 1’ altra suppellettile caricarono nelle barche e se ne andarono. Scerdilaida co'suoi ritornò per terra passando le strette d’ Antigonea. Grande terrore mise cotesto avvenimento a1 Greci che abitano la marina ; imperocché veggendo la più forte e potente città dell’ Epiro ridotta fuor di ogni opinione per tal guisa in ischiavitù, non temevano già, siccome in addietro, pel loro contado, sibbene per sé stessi e pelle loro città. Gli Epiroti inaspettatamente salvati} tanto furon lungi dal tentar di punire i lor offensori, e di render grazia a chi gli avea sovvenuti , che al contrario mandaron ambasciadorì a T en ta, e strinsero alleanza cogl’ Illirii e cogli Acamani, secondo la quale ne’ tempi appresso con questi patteggiarono, e gli Achei e gli Etoli trattaron. ostilmente. Donde si fece manifesto il loro pessimo consiglio nel rimeritar i loro benefattori, ed insieme 1’ imprudenza , con cui sin dapprincipio reggevansi ne’ proprii affari. VII. Conciossiachè , quando alcun mortale cade in qualche sciagura contro ragione , colpa non è di chi soffre, ma della fortuna, e di chi offende ; ma ove chiaramente per difetto di giudizio s' avviene ne* mag giori infortunii, egli è fuor di dubbio, che il soccom bente ne debbe esser accagionato. Quindi a colui cb’è vittima della fortuna , gli tengon dietro pietà con in dulgenza e soccorso , ma chi lo è della propria incon-
246 J.difl. sideratezza , vergogna e biasimo gliene deriva da’ Savn. Locché allora da’ Greci meritamente conseguirono gli Epiroti. Imperciocché, primieramente , chi non a tri in sospetto i Galli, per la fama in che sono comunemente, e non temerà di consegnar loro nna città prosperosa, e che offre molte opportunità al • tradimento ? In se condo laogo dii non si sarebbe guardato da’ consigli d’ nua masnada, formata d’ uomini, i quali dapprincipio cacciati dalla patria a furia di popolo, perciocché traditi aveano i loro famigliari e congiunti, ed accolti da’Car taginesi nelle angustie della guerra, còme prima nacque contesa fra i capitani ed i soldati pe’ salarii, presero a saccheggiar Agrigento, ove erano stati posti per guarni gione, in numero allora d’oltre tremila; poscia (17) con dotti ad Erice pella stessa bisogna , allorquando i Ro mani l’ assediavano, argomentaronsi di tradir la città e tutti quelli che insieme con loro eran assediati, ed es sendo la pratica riuscita vana , ricoverarono presso i nem ici, e come questi presero di loro Gdanza , spogliaron ancora il tempio di Venere Ericina. Il perchè i Romani conosciuta appieno la loro empietà , non s) tosto fecero pace co’ Cartaginesi, che con ogni maggior premura si diedero a disarmarli, ad imbarcarli , e a metterli fuori di tutta l'Italia. Costoro avendo gli Epi roti fatti custodi della repubblica e delle leggi , e con segnata loro una ricchissima città, come non sarebbono meritamente reputati gli autori de’ mali loro accadoti ? Tanto ho giudicato di dovermi intertenere sulla stol tezza degli Epiroti , e sull’ inconvenienza di giammai introdur nelle città guernigioni troppo grosse, singo larmente di Barbari.
247 Vili. Gl'Illirii eziandio ne’ tempi anteriori oltraggia^ A.
248 A. HRr cerà, vedrem modo di costringerli a corregger di buon grado e sollecitamente gli statuti regii a prò degl’ Illirii. Accolse colei con (ai) ira femminile e forsennatamente siffatta franchezza, ed • quelle parole in tanta collera montò ch e, disprezzando i diritti tra gli uomini tubi li ti , poiché aveano salpato , mandò lor dietro alcuni per uccidere l’ambasciadore che avea si liberamente fa vellato. Come ne giunse la notizia a Roma, irritati dalla perfidia ideila femmina, incontanente si diedero a far apparecchi di g u erra, e conscrissero legioni, e raccol sero un’ ^Manata. 5 a5 IX, T euta, giunta la primavera , allestì più barche dtpriA ia , e le spedi di bel nuovo in Grecia. Delle qualificane (la ) tragittarono direttamente a C ortira, le altre afferraron al porto di D urazzo, sotto pretesto di far acqua e di vettovagliarsi, ma in effetto per tra mar insidie ed occulte pratiche contro la città. Que’ di Dùraxzo , avendoli ricevali (a3) senza malizia, e non badando più iu là , vennero essi in semplice farsetto còme per attigner acqua , ma colle spade ne’ secchii, ed uccise le guardie della porta impossessaronsi tosto (a4) dell’ edifizio. Sopraggianse poi prestamente , se condo 1’ accordo, un rinforzo dalle navi, col quale ùnironsi , ed occuparono di leggeri la maggior parte delle mora. I cittadini , sebbene non preparati, come quelli eh’ erano stati sorpresi, accorsero pure e combat* tarano animosamente. Gl’ Illirii baona pezza resistettero ma Gnalmente furono cacciati dalla città. I Durezze» Hi questo fatto per negligenza vennero in pericolo dì perdere la patria , ria il loro valore fu cagione che
249 lenza danno si ammaestrassero peli’ avvenire. I duci J.diR . degl’ Illirii fecero subitamente vela , e , raggiunti quelli che innanzi navigavano, approdarono a Corcira , ove nella discesa sparsero grande terrore, e si accinsero ad assediar la città. I Corei resi ridotti in angustie, ed al tutto disperati de’fatti loro, mandaron ambasciadori agli Achei ed agli Etoli. Vennero ad un tempo gli Apolloniati ed i Durazzesi chiedendo sollecito soccorso, e pregando che non li lasciassero (a 5) disertare dagl’Illirii. Quelli prestato ascolto agli ambasciadori, e benigna mente accolti i loro discorsi, (16) armarono in comune le dieci navi coperte degli Achei, ed allestitele in pochi giorni andarono alla volta di Corcira, sperando di le vare 1*assedio. X. Gl’Illirii, prese seco sette navi coperte, date loro dagli Acarnani per patto d’ alleanza, affrontaronai coi vascelli degli Achei presso Paxo. Gli Acarnani, e le navi Acliee eh’ eran ad essi schierate di fronte, com batterono con pari fortuna, ed illesi rimasero nello scontro , se si eccettuino le ferite riportate dalla gente. Ma gl' Illirii, legate insieme le loro (27) barche a quattro a quattro , attaccarono i nemici, e poco ba dando a’ proprii legni, e andando a (28) sghimbescio , cooperarono all’ impressione degli avversarti. Ma p o i, che i vascelli nemici, toccate avendo le barche, furonsi ad esse attaccati, ed impacciaronsi penzolando da’ loro rostri le barche unite, gl’ Illirii saltarono sulle coperto delle navi A chee, e le soverchiarono pella moltitudine de’ loro soldati navali. Per tal modo insignorironsi di quattro navi da quattr’ ordini, ed nna da cinque som-
25o A.diR. inersero in un colla gente, nella quale navigava Marco da Cerine , uomo che sino a quella catastrofe prestato avea alla repubblica degli Achei ogni più- segnalato servigio. Quelli che pugnavauo cogli Acarnani, come conobbero la vittoria degl’ Illirii , diedero de’ remi n d l’ acqua , e secondati dal vento ritiraronsi salvi a casa. Facile riuscì poi l’ assedio agl’ Illirii, c h e , di tal vit toria superbi, facevano a fidanza. I Corciresi trovandosi per siffatto avvenimento fuori d’ ogni speranza , soste nuto alcun poco 1’ assedio , fecero accordo cogl’ Illirii, e ricevettero guernigione, e con essa (ag) Demetrio Fario. Ciò fatto , i duci degl’ Illirii incontanente salpa rono , ed approdati a (3 o) Durazzo, presero nuova mente ad assediar questa città. XI. Circa quel tempo il console Gneo Fulvio si parti da Roma con dugento navi , ed Aulo Postumio mosse colle forze di terra. Era il primo divisamento di Fulvio di navigar a Corcira , supponendo di trovare 1’ assedio non per anche deciso ; e sebbene egli avesse tardato , ciò non di meno accostossi all’ isola , con animo di co noscer dappresso ciò eh’ era accaduto alla città, e per chiarirsi di quanto da parte di Demetrio gli era stato annunziato. Imperciocché Demetrio accusato essendo presso T euta, per timore di lei mandato avea dicendo a’ Romani , che consegnerebbe loro la città ed ogni altra cosa eh' era in suo [>oteee. I Coreiresi veggendo con piacere la venuta de’ Romani , diedero lo ro , per consiglio di Demetrio, la guernigione degl’ Illirii, ed essi, d’ unanime consenso si arrèndettero, (3 i) recipro camente esortandosi, alla discrezione de’ Romani, re—
a
5i
potando questa loro unica salvezza in avvenire contro A. £ 11. la perfidia degl’ Illirii. I Romani , accettati i Corei resi per amici , navigarono alla volta (3a) d’ Apollonia , avendo seco Demetrio per condottiero nelle altre spe dizioni. In quello Postumio ancora traghettò da Brindisi le forze di terre, da venti mila fanti, e circa due mila cavalli. Amendue gli eserciti approdarono insieme ad Apollonia, ed avendoli gli abitanti egualmente accolti, e datisi al loro arbitrio, salparon tosto nuovamente, sen tendo esser assediata Durazzo. Gl' Illirii, come s’ avvi dero che giugnevano i Romani, si tolsero dall’ assedio, ed in disordine fuggirono. I Romani ricevettero i Du ra zzesi ancora sotto la loro protezione , e proseguirono ne’luoghi interni dell’Il liria, assoggettando nel passaggio gli (33) Ardiei. Furono a loro ambasciadori di molti popoli, fra cui (34) de’ P artin i, che vennero a farli arbitri di tutte le loro cose. Accordata a questi la loro amicizia , e similmente a quelli che da parte degli Atintani, eran venuti, avanzaronsi verso Issa, perciocché questa città ancora assediata era dagl* Illirii. Arrivati colà fu levato l’assedio, e gl’Issei ricevuti sotto la protezione d«’ Romani. Presero ancora d’ assalto alcune città Illiri che nel navigare lungo la costa, fra le quali Nutria , ove perdettero non solo molti soldati, ma eziandio qualche tribuno ed il questore. Impadronironsi pure di venti barche, che trasportavano le prede fatte in quelle contrade. Tra quelli che assediavano Issa i Farii in grazia di Demetrio non furono danneggiati, gli altri tutti sparpagliaronsi e fuggirono in Abrona. Tenta con pochissima gente salvossi a Rizona , piccola città ben
2S2 A.diR. afforzata, lontana dal mare, e situata proprio sai fiume Rizone. Dopo questi fatti i Romani assoggettarono a Demetrio la maggior parte degl’ Illirii, e gli diedero grande Signoria ; poscia ritornarono coll’ armata e col1’ esercito di terra a Durazzo. 5 26 XII. Gneo Fulvio pertanto se n’ andò a Roma colla maggior parte delle forze navali e terrestri. Postumio fu (35) lasciato con quaranta vascelli, e raccolto ch’ebbe un esercito dalle città aggiacenti, andò alle stante in vigilando sulla nazione degli A rdiei, e su gli altri die eraosi arresi. In sull’ incominciar della primavera Tenta mandò un’ ambasceria a* Romani, e fece una conven zione, in cui fu stabilito, eh’essa pagherebbe i tributi che le sarebbero imposti, si ritrarebbe da tutta l' IIliria ^fuorché da pochi luoghi, e ( il (36 ) qual arti colo massimamente apparteneva a' Greci ) non navighe rebbe oltre Lisso con più. di due barche , e queste disarmate. Ciò esaurito, Postumio spedi ambasciadori agli Etoli ed alla nazione Achea, i quali primieramente rendettero conto delle cause della guerra e del tragitto, indi narrarono le loro gesta , e lessero gli accordi che fermarono cogl’ Illirii. Trattati da amendue le nazioni colla dovuta cordialità ritornarono a Corcira, liberati avendo i Greci da non picciol tim ore, mercè della convenzione anzidetta : che non d’ alcuni ma di tutti eran gl’ Illirii allora comuni nemici. Il primo passaggio de’ Romani con un esercito nell’Illiria e in quelle parti d ’ Europa, e la prima relazione eh’ ebbero colla Grecia per vìa d’ ambasciata , furon ta li, e per tali motivi avvennero. Dopo questo principio i Romani mandarono
a53 tosto ambasciadori a’Corintii ed agli Atenieii; e questa A. di R. fu la prima volta che i (37) Corinti! ammisero i jlomani a’ giuochi Istmici. XIIL A que’ tempi Asdrubale, ( che qui abbiamo lasciati gli avvenimenti di Spagna) governando gli affari con prudenza ed assiduità, grandi progressi faceva nelT universale , e singolarmente fabbricando la città, che alcuni chiamano Cartagine, altri Città nuova, (38) con tribuì grandemente alla potenza de’ Cartaginesi, e sovrattutto peli’ opportunità del sito , relativamente alle bisogne, cosi di Spagna, come d’ Africa. Della cui po sizione, e del vantaggio eh’essa può recar ad amendue le mentovate contrade, noi discorreremo cogliendo 0 0 castone più acconcia. I Romani, veggendo costoro saliti a grande e formidabile signoria, si misero con ardore alle imprese di Spagna. £ trovando che per essersi essi addormentati ne’ tempi addietro, e per aver tutto ne gletto , i Cartaginesi eransi cotanto aggranditi, fecero ogni sforzo per emendare il loro fallo. Ma non osavan subito d’ imporre a’ Cartaginesi e di far loro guerra, per timore de’ Galli cbe ad essi sovrastavano, e da cut di giorno in giorno aspettavansi d’essere assaltati. Risol verono adunque di palpare ed accarezzar Asdrubale , a fine di attaccar i G alli, e venire seco loro a battaglia, stimando non potere giammai, non che dominar l’ Ita lia , abitare sicuri nella propria patria , avendo questa gente alle spalle. Il perchè, fatto eh’ ebbero per mezzo di ambasciadori un accordo con Asdrubale, in cui, (39) tacendo del resto della Spagna, obbligaronsi i Car taginesi a non passare il fiume Ebro con mire ostili, ruppero tostamente guerra a’ Galli d’ Italia.
254 A .£ R .
XIV. Di cotesti Galli ntil cosa mi sembra il dare tini notizia sommaria, affinché serbiamo il tenore pro prio di questa preparazione, a aorma del primo nostro divisamento. Ma risaliremo alquanto a1tempi in cui co minciarono i mentovati popoli ad occupar quelle con trade ; dappoiché io credo la loro storia oon solo de gù* d’ essere conosciuta e rammentata, ma eziandio al tutto' necessaria, per apprendere , in qual gente ed in qual paese Annibaie affidossi prendendo a distruggere la potenza de’ Romani. Dapprima dunque è da parlarsi del paese, qual esso sia, e come situato (4o) Terso il resto dell’ Italia: che meglio sì comprenderanno le cose più osservabili intorno a’ fatti che esporremo, ove la natura de’Iuoghi e del terreno fia descritta. Triangolare com’ è la forma di tutta l’ Italia , quel suo fianco che guarda ad oriente ha per confine (40 il mare Ionio ed il seno Adriatico contiguo ; quello eh* è volto a mezzodì ed occidente, il mare Siculo e Tirreno. Questi fianchi unendosi fanno la cima del triangolo , che è il promontorio d’Italia verso mezzodì denominato Cocinto, il quale separa il mare Ionio dal Siculo. Il rimanente, che si estende verso settentrione e le contrade medi* terranee, confinato é senza interruzione <42) da’ gioghi Alpini, che incominciano da (43) Marsiglia e da’luoghi situati sopra il mar di Sardegna , e proseguono conti nuamente sino all’ ultimo recesso del mar Adriatico ; se non che finiscono (44) poco prima di toccarlo. Sotto T anzidetta giogaja , che considerarsi debbe come base del triangolo , ed a mezzogiorno d’ essa giacciono gli ultimi campi di tutta la parte sellentriouale d’ Italia di
a55 cui ragioniamo, per fertilità ed estensione i più rag- A.dìB. guardevoli d' Europa, e di quanti si rammentano nella nostra storia. Ed £ la figura e circonferenza di cotesto piano triangolare , avendo per vertice la riunione dei monti così detti Appennini , e delle Alpi , non lungi dal mar Sardo, sovra Marsiglia. Al fianco settentrionale ergossi, conforme dicemmo di sopra, le Alpi pel tratto di due mila dugento stadii, ed ài meridionale gli Appen nini pello spazio di tre mila seicento. Forma di base prende la spiaggia del golfo Adriatico , dalla città di Senigaglia sino all’ ultimo suo seno, 1’ estensione della quale supera due mila cinquecento stadii. A tale che tutto il circuito del mentovato piano per poco non gingne a dieci mila stadii. XV. Non è facile a dirsi (45) qual sia la virtù di coteste terre ; perocché il grano tanto vi abbonda, che a’ nostri giorni vendesi sovente il (46) moggio siciliano di frumento per quattr’ oboli, e quello d’orzo per due; nna misura di vino si cambia con eguale d’ orzo, e il panico e il miglio oltre ogni modo soperchiano. La copia delle ghiande che traggonsi da’ querceti, sparsi pelle campagne a varie distanze, può quindi arguirsi. (47) Moltissimi animali porcini vengono uccisi in Italia, per esser mangiati, e per riporsi ad uso degli eserciti , e quelle pianure foraiscon loro tutto il bisognevole nu trimento. Ma ciò cbe più esattamente fa conoscere qual sia la viltà e la ridondanza delle cose al vitto apparte nenti si è , c h e , chi viaggia in quel paese, negli al berghi non si accorda del prezzo d’ ogni cosa in par ticolare , ma chiede a quanto si alloggia la persona ;
256 'A. di fi- ove comunemente i locandieri ricoverano gli ospiti, e li proveggono di tutto 1* occorrevole per (48) mezzo asse, eh’ è la quarta parte d’ rin obolo , e ben di rado questo prezzo sorpassano. La moltitudine degli uomini, e la grandezza e la bellezza de’ loro corpi, siccome il lor coraggio in guerra , le gesta loro appieno manife stano. Da amendue i lati delle A lpi, così da quello che guarda il fiume Rodano, come dall' altro che do mina il piano anzidetto, abitano i colli ed i luoghi pii bassi , verso il Rodano ed a settentrione, i Galli chia mati Transalpini, e verso il piano i (49) Taurisci, gli ( 5o) Agoni e molte altre genie di Barbari. I Transal pini pertanto sono denominati non dalla lor origine ; sibbene dalla differenza de’ luoghi. Imperciocché trans significa oltre; quindi appellano Transalpini coloro che sono di li delle Alpi. Le sommità per essere scoscese, e piene di perpetua neve , sono fin ad ora disabitate. XVI. L’ Appennino, da dove incomincia sovra Mar siglia , ed alla sua riunione colle A lpi, tengono (5 1) i L iguri, cosi la parte d’ esso che scende verso il mar T irreno, come quella che sovrasta al mentovato piano: lungo la marina sino a (5a) Pisa, prima città d’Etruria a ponente, e dentro a terra sino al contado (53) d’ Arezzo. Seguono (54) i Tirreni, ed a questi contigui gli (55) U m bri, che abitano amendue le falde de’ monti anzidetli. Il resto dell’ Appennino, distante da cinque cento stadii dal mar Adriatico, lasciato il piano, volgesi a destra, e per mezzo il rimanente dell’Italia si estende sino al mare di Sicilia. La parte piana che da questa banda è lasciata giugne al mare sino alla città di Se-
25^ rigaglia. Il fiume (56) P ò , celebrato da' poeti sotto il A.diR. nome di Eridano, ha le me sorgenti dalle A lpi, ove a un di presso trovasi il vertice della suddescritta fi gura ; indi si divalla ne* campi, (57) dirigendo il corso verso mezzogiorno, ed arrivato a’ luoghi piani torce la corrente, e per quelli progredisce a levante , poscia con due bocche mette foce nel golfo Adriatico. Taglia esso pertanto la pianura per modo , che la maggior parte di lei giace tra le Alpi ed il mar d’ Adria. Tao* t’ acqua mena, quanta nessun altro fiume d’ Italia, per ciocché tutti i (58) rivi che cadon nel piano , e dalle A lpi, e da’ monti Appennini, sgorgan in quello da ogni parte. La maggior piena ed il più bel cono ha desso intorno allo (5g) spuntar delle canicole, quando cresce pella quantità delle nevi che struggonsi nelle suddette montagne. È navigabile dal mare per la bocca chiamata (60) Olana nell’ estensione di circa due mila stadii : che il suo primo letto dalle sorgenti è semplice, ma a’ cosi delti (61) Trigaboli in due bocche si divide, l’una delle quali è denominata Padusa , l’ altra Olana , ov* è un porto, il quale non meno che qualsivoglia altro porto dell’ Adriatico offre sicurezza a chi vi afferra. Dagl’ in digeni il fiume è chiamato (6a) Bodenco. Le altre cose che intorno al medesimo spacciano i Greci, cioè a dire la novella di Faetonte e della sua caduta, le lagrime de’ pioppi , e la gente abbrunala che abita presso a questo fiume, la quale dicono che porti tuttavia siffatte vestiti pel lutto di Faetonte, e tutta la materia tragica a ciò relativa , al presente sorpassiamo, dappoiché non appartiene gran fatto ad no trattato preliminare l’entrar fo lib jo , tomo 1. 17
258 A. diR. in minale ricerche di qaesta sorta : ribbene coglieremo nn’ occasione più acconcia per farne conveuevol men zione , indotti a ciò precipuamente dall’ ignoranza di Timeo circa gli anzidetti luoghi. XYIL Del resto era questa pianura anticamente abi tata da’Tirreni, allorquando possedevan eziandio i campi chiamati Flegrei intorno a Capua ed a Nola, i quali per esftre frequentati e conosciuti d annoiti, vennero in gran fama di fertilità. Per la qual cosa chi legge le storie delle Signorìe de’Tirreni, riguardar non debbe al paese che occupan ora , ma (63) agli anzidetti campi ed alle ricchezze che da quelli traevano. Bazzicavanli i Galli per occasione di vicinanza , e posti gli occhi addosso alla bellezza della contrada , per lieve pretesto gli as saltarono di repente con uu grosso esercito , gli scac ciarono dalle campagne intorno al P ò , ed occuparono il loro territorio. Le prime terre aduuque che giacciono (64) circa le sorgenti del Pò tennero i (65) Lai ed i (66) Lebeci. Appresso a questi gli (67) Insubri, la più grande di queste nazioni ; indi vicino al fiume i (68) Cenomani. La parte che rimane sino al mar Adriatico occupò un’altra antichissima schiatta, che ha il nome di (6y) F eneti, e di costumi e foggia di vesti menti è poco diversa da’ Galli, ma usa un’ altra favella. Di là del Pò. circa gli Appennini stabiliti sono dapprima gli (70) A n a n i, poscia i (71) Boii, dopo questi verso r Adriatico i (72) Lingotti, e fioalmeote presso al mare i (73) Senoni. Queste sono le più illustri nazioni che occupano le anzidette provincie. Abitano (74* .costoro villaggi non murati , e non posseggono che (7 ^ po-
s 5g chissima suppellettile ; come quelli che dormono sulla A. di tì. (j6) terra, e campano pressoché di sole carni, uè altro praticano fuorché la guerra e 1’ agricoltura, menando semplice vita. Non conoscono nè scienza nè arte alcu na, e le sostanze di ciascheduno sono bestiame ed oro, perciocché queste sole possono in ogni emergenza più facilmente portar dappertutto, e traslocar a piaci mento. Le amicizie coltivauo cou grande zelo ; perciocché più temuto e potente è presso loro chi si trae dietro mag gior codazzo di dienti che lo servono. XVIH. Dapprincipio impossessaronsi non solo del 3Q3 mentovato paese , ma ridussero ancor molti vicini alT ubbidienza , spaventatili colla loro audacia. Alquauto dopo, (77) vinti avendo in battaglia i Romani, (78) e quelli die combattevano nelle loro file , ed inseguiti i fuggitivi, tre giorni appresso la pugna occuparono Ro ma , tranne il Campidoglio. Ma richiamati a casa daU 1’ irruzione (79) che i Veneti fatta aveano nelle loro terre , accordaronsi co’ Rom ani, e restituita la città si ripntriarono. Poscia travagliati furon da guerre civili. Alcuni pojKtli ancora abitanti delle Alpi gli assaltavano, e spesso uuivansi contro di loro , ponendo a confronto il proprio slato colla prosperità di quelli. Frattauto i Romani ripresero forza , ed acconciarono gli affari coi Latini. Giunti di bel nuovo i (80) Galli in Alb^ con un grosso esercito, trent’ anni dopo che avean presa Rom a, non arrischiaronsi i Romani di farsi loro in contro colle legioui , perciocché i Galli colti gli ebbero alla sprovvista e furate loro le mosse , nè lasciato loro tempo di raccoglier le forze degli alleati. Paisati «itri 4°4
a6o jt.&R. (81) undici anni fecero contra i Romani nna onora spedizione con oste numerosa , m a , avendone questi avnto sentore, raccolsero gli alleati ed animosi anda rono a riscontrarli, bramando di combattere e di venir ad nn cimento universale. I Galli , sbigottiti del loro arrivo , e venuti tra loro a contesa, giunta la notte ritiraronsi a casa non altrimenti cbe se fuggissero. Dopo questo tumulto si stettero tredici anni cheti. Ma poscia, come videro crescer la potenia de' Romani , fecero te coloro pace ed accordi. 455 XIX. (8a) I quali poich’ ebbero serbati costantemente tre n ta n n i, essendosi mossi a’ loro danni i Transalpini, e temendo essi non fosse per suscitarsi loro addosso gravissima guerra, allontanarono da si la tempesta con doni (83) e col produrre in mezzo la comune origine, ed aizzarono gl1 insarti contro i Romani, prendendo parte alla spedizione. Fatta l’ invasione pel territorio degli Etruschi, i quali eransi ad essi u n iti, ed ammas sata avendo molta p red a, impunemente uscirono dal dominio de’ Romani. Ma giunti a casa, e sollevatisi per avidità delle robe prese , perdettero la maggior parte del lor esercito e del bottino. Famigliar è siffatta con dotta a* Galli, poiché sonosi appropriate le altrui so stanze , e segnatamente quando, empiutisi di vino e di 458 cibo, hanno smarrita la ragione. (84) Dopo tre a n n i, i Sanniti ed i Galli accordatisi, diedero battaglia a'Romani nella campagna di Camerte, e molti di loro ne uccisero. I Romani irritati vie maggiormente da questa rotta, pochi giorni appresso uscirono e con tutte le le gioni attaccarono i suddetti nella campagna di Seminate,
a61
e la maggior parte di loro ammazzarono, gli altri co- A.diRstrinsero a fuggir precipitosamente , ciascheduno a casa sua. (85) Passarono nuovamente dieci a n n i, ed eccoti i 47 1 Galli con un grand’ esercito assediar Arezzo. I Romani accorsi, in ajulo ed azzuffatisi dinanzi alla città, furono sconfitti.' Io questa battaglia, essendo morto il pretore Lucio Cecilio, fu in luogo di lui creato Mario Corio. Il quale mandati avendo ambasciadori in Gallia per il cambio de’ prigioni , furon quelli a tradimento uccisi. [ Romani (86) nel bollore dell’ ira , incontanente andaron a oste contro di lo ro , e venuti loro incontro i Galli chiamati Senoni, incontratili con essi affrontaronsi. Ri masero i Romani superiori nella battaglia , e ne ucci sero la maggior parte, gli altri cacciarono del paese, che tutto ridussero iu loro potere. Indi mandarono la prima colonia in Gallia, che Senigaglia fu appellata dal nome de’ suoi primi abitanti; della quale facemmo di sopra menzione, e dicemmo eh’ essa giace sul mare di Adria, all’ estremità della pianura che bagna il Pò. XX. 1 B oii, veggendo i Senoni espulsi dalla patria ; e temendo non sovrastasse la medesima sorte a ai ed al loro paese , andarono con tutta la loro gente contro i Romani, e chiamarono in società i Tirreni. Unitisi al lago di Vadimone , affrontaronsi co’ Romani. In questa battaglia perirono quasi tutti i T irren i, e de’ Boii po chissimi scamparono. Tuttavia nel prossimo anno, in- 4ya dettatisi di bel nuovo i mentovati popoli, armarono la loro più fresca gioventù, ed uscirono in campo contro i Romani ; ma toccata una grande rotta , a malincuore deposero la loro fierezza, e mandati ambasciadori per
a fa A.diR. trottar la pace, fecero accordo co'Romani. Questi av venimenti succedettero (87) tre anni avanti il passaggio di Pirro in Italia, e cinque innanzi alla strage de’Galli a Delfo : che a que’ tempi la fortuna aveva introdotta tra i Galli quasi un’ influenza maligna di guerra^ Dai succitati combattimenti due bellissimi vantaggi deriva rono a' Romani. Imperciocché avvezzi alle sconfitte che davan loro i Galli, nulla di più terribile potean poscia veder, o aspettarsi, di quello che costoro ebber ope rato. Laonde atleti compiuti ne uscirono nella lotta con tro P irro, e fiaccata opportunamente l'audacia de’GaJli, cowb-itterono dapprima senza ostacolo con Pirro pel dominio dell’ Italia , poscia co’ Cartaginesi pel principato di Sicilia. 5 17 XXI. I Galli dopo le mentovate rotte (88) si stettero cheli quaranta cinque anui , e co’ Romani vissero in pace. Ma poiché in processo di tempo moriron coloro che co’ proprii occhi avean vedute le passate sciagure , e sopravvennero i giovani, pieni di sconsiglialo ardire, senza esperienza alcuna di mali e delle vicende della fortuna, incominciarono nuovamente conforme è natura degli uom ini, a muover lo stato tranquillo delle cose, ad inasprirsi per lievi cagioni contro i Romani , ed a trarre nel loro partito i Galli abitatori delle Alpi. Dap principio i soli duci separatamente dal volgo teneaa coleste segrete pratiche. Il perchè giunta essendo l’ oste de’ Transalpini sino a Rimini, la plebe de’ Boii non si fidando de’ capi e sollevatisi contra loro e contra quelli eh’ erano arrivati, uccisero i propri re Ati e Calato, e trucidaronsi reciprocamente, venuti a battaglia. I
i63 Romani, paventando la loro invasione, uscirono con A.diR. nn esercito, ma conosciuta la strage che i Galli aveano fatta di sé stessi, ritornarono a casa. (89) 11 quinto 5 a i anno dopo questo tum ulto, lotto il consolato di Marco Lepido, i Romani distribuirono in Gallia a* soldati la campagna Picentiua, donde espulsi aveano i vinti Se noni. (90) Cajo Flaminio con animo di procacciarsi il favor della plebe , fu autore di questa legge, e questa divenne, a dir vero, il motivo della mutazione in peg gio che fece il popolo di Rom a, e poscia la causa delle guerre cbe insursero tra i Romani e le anzidette nazioni. Imperciocché molti popoli Galli assoggettaronsi a quest' impresa e massimamente i Boii , come quelli che confinavano col territorio Romano, 0 stimavano, che non per il primato e la Signorìa i Romani movean loro guerra, aibbene per {sterminarli al tutto e per spegnerli. XXII. Per la qual cosa, senza por tempo in mezzo, 5 a 3 i più potenti di que’ popoli, gl’ Insubri ed i Boii, ac cordatisi mandarono ambasciadori a' Galli abitanti delle Alpi e delle sponde del Rodano , i quali , perciocché militavan a soldo, chiaraansi Gesati (91); locchè signi* fica propriamente questa voce. A1 loro re Concolitano ed (91) Anerocsto offerirono nelT istante molt’ oro , e peli’ avvenire moslraron loro la grande prosperiti dei Romani , e gl’ immensi beni che loro frutterebbe la vit toria. Per tal modo gli esortavano e stimolavano a> (ir guerra a'R om ani, e di leggeri ve l’ indussero, dando loro insieme parole di farsi socii all'impresa. Rammen tar on loro pure le gesta de' propri! maggiori, i quali
264 A.diR. *n un* w*m^e spedizione non colo Tinsero in battaglia i Romani, ma dopo la pugna presero Roiria di assalto, e divenuti padroni d’ ogni cosa, ebbero in loro potere sette mesi la c ittì, ed alla fine spontaneamente e per favore la restituirono, a casa ritornando con tutta la preda illesi e senza oltraggio. I loro eapi udite queste parole con tasto fervore mossero all’impresa, che giam mai né più numerosa , né più eccellente, né più ag guerrita gente usci da quel tratto delle Gallie. Frattanto i Romani, parte per ciò che sentivano , pArte pel pre sentimento che aveano dell’ avvenire , eran in continuo timore e turbamento , a tale che ora coscriveano legio ni , e facean provvigione di vettovaglie e d’ altre cose necessarie , ora conduceaao 1’ esercito al confine , come se gii entrassero nel paese i nemici, i quali non ertasi per anche mossi di casa. Non poco- fu giovevole ■ ’Car taginesi cotesto movimento per accomodare con sicurezza gli afTari di Spagna. Imperciocché i Romani, conforme abbiam gii detto diansi, giudicando questa bisogna più urgente (g3) , dappoiché avean il nemico a' fianchi, co stretti furono a negligere gli aflàri di Spagna, ed a stu diarsi prima di porre le loro cose in salvo da’ Galli. Quindi assicurata la pace co’ Cartaginesi per mezzo degli accordi con Asdrubale, di cui abbiam testé p i l lato , di unanime consenso rivolsero in qnel tempo ogni loro pensiero all* avversario presente, credendo partito vantaggioso il cimentarsi con lui ad una battaglia de cisiva. 5 ag XXIIL I Galli Gesati con un esercito ben fornito e poderoso passarono le A lpi, e vennero al fiume P ò ,
a65 otto «nai dopo eh’ erano alate divise le terre de* Senoni. Le naiioni pertanto degf Insubri e de’Boii perse verarono generosamente ne1primi disegni, ma i Veneti ed i Cenomani, ricevuta un ambasceria da* Romani, preferirono F alleanza di questi : il perchè i re de’ Galli costretti furono a lasciar una parte delle loro forze a guardia del p e se , temendo di costoro. Essi poi col grosso delT esercito francamente si fecero innanzi, mar* dando peU’ Elruria, ed aveano da (g4 ) cinquanta mila fanti, e circa (g5) venti mila cavalieri e cocchii. I Ro mani , come prima sentirono aver i Galli passate le Alpi , spedirono il console Lucio Emilio con un eser cito alla (96) volta di Rim ini, per aspettare coll T ar rivo de' nemici, ed uno de’ pretori in Etruria : che 1’ altro console Cajo Attilio era per avventura andato prima in Sardegna colle legioni. A Roma eran tolti in ùpavento, stimando che grande pericolo loro sovra stasse : e n’ avean ben donde, come quelli che porta vano tuttavia impresso negli animi 1' antico terrore dei Galli. Q u in d i, a cotal pensiero solo intenti , raccoglie vano le legioni, e nuove ne coscrtveano, ed a’ Sodi ordinavano ohe si tenessero pronti. Imposero eziandio a' subalterni di recar i roli di tolta la gioventù atta alle arm i, ingegnandosi di conoscere tutta la quantità delle forze «he possedevano. Co’ consoli fecero nsoire la mag gior e miglior parte delT oste, e di vettovaglie, di dardi, e di altre cose alla guerra necessarie fecero tal provvigione, quale innanzi que’ di a nessuno ricordava. Tutti e da ogni parte sollecitamente l’ opera loro pre stavano : che gli abitanti d’ Italia paventavano l’irru-
R.
a66 A.JM . zione de’ Galli, e non stimavano già di combattere co me alleati de’ Romani, n i cbe per procacciar a questi il dominio la gnerra si facesse ; sibbene erano persuasi cbe il perìcolo loro medesimo, le loro città e le loro contrade minacciava ; quindi ubbidivano di buon grado a quanto era loro comandato. XXIV. Ma affinchè sia chiaro pe’fatti stessi con quali forze osasse poscia Annibale d’ affrontarsi, ed a qual potenza egli temerariamente mostrasse il viso, conse guendo il suo proponimento a segno di avvolger i Ro mani in gravissime sciagure, è da esporsi l’ apparato che fecero , e la grandezza dell’ esercito cbe allor avea no. Uscirono adunque co consoli quattro legioni Roma ne , (qj ) ciascheduna di cinque mila dugento fanti, e trecento cavalli. Gli alleati d’ amendue i consoli som mavano trenta mila fanti e due mila cavalli. Di Sabini ed Etruschi, venuti opportunamente in soccorso a Ro ma , v* avea da quattro mila cavalli, e meglio che cin quanta mila fanti : i quali unirono, e stanziaron all’ ingresso dell’ E tiuria, dandp loro a capitano nn pretore. Gli Umbri (98) ed i Sarsinati , che abitao 1’ Appennino, si raccolsero in numero di venti m ila, ed i Veneti e Ceno mani furono pur venti mila. Questi collocarono a’ confini della Gallia , affinchè, invadendo il territorio de’ Boii, ritraessero quelli eh’ eran usciti. Tali furono gli eserciti posti alle estremità del paese. A Roma stavansi pronti in riserva, pe’ casi fortuiti della guerra, de* Romani venti mila fanti, e mille cinquecento ca valli , de’ socii trenta mila fanti e due mila cavalli. Nel rolo furon iscrìtti : Latini ottanta mila fanti, ciò-;
que mila cavalli; Sanniti settanta mila fanti , sette A. diR. mila cavalli ; Lucani trenta mila fanti, tre mila ca valli ; Morsi, Marrucini, Ferentani e Ventini venti mila fanti, quattro mila cavalli. Oltre a ciò fu lasciata in Sicilia ed a Taranto una riserva di due legioni , eia» schettina di quattro mila dngento fanti, e dugento ca valli. Della (99) plebe Romana e Campana foron arrolati dugento cinquanta mila fanti, e ventitré mila ca valli. Per (100) modo che le forze poste a difesa di Roma ascendevano tutte insieme a meglio di cenquaranta mila fanti, e circa otto mila cavalli, e tu Ita la massa abile a portar armi , cosi Romani come alleali, sommava oltre settecento mila fanti, e da seli anta mila cavalli. Appetto a queste forze osò Annibaie con meno di venti mila uomini d’ invader l’ Italia. Ma intorno a questo argomento, quanto direm in appresso darà mag gior luce. XXV. I Galli pertanto, entrati in G truria, corsero la campagna, guastandola impunemente, e non oppo nendosi loro alcuno, mossero alla fine contro Roma stessa , ed essendo gii presso Chiusi , città distante da Roma tre giornate , ebbero avviso che alle loro spalle seguivano ed erano per raggiugnerli le forze de’Romani stanziate a’ confini dell’ Etruria. A questa novella voltaronsi e si fecero lor incontro, affrettandosi di combat tere. Ed essendosi fra loro avvicinati in sol tramontar del sole, accamparonsi in picciola distanza , e colà per nottarono. Fattosi bujo , i Galli accesero fuochi, e la■ciaron addietro i cavalli , ordinando loro, chc in sul far del giorno , fattisi vedere da’ nemici, a bell’ agio
a68 A.&R. retrocedessero solle stesse tracce. Poscia andarono per oc* culte vie alla volta di Fiesole , ed ivi ( i o i ) altelaronsi col divisamente di ricever i loro cavalli , e di opporsi im provvisamente all’ invasione de’ nemici. I Romani, ve dendo allo spuntar del giorno i cavalli soli, stimarono i Galli andati in volta , e si misero ad inseguir fervi damente la cavalleria che si ritirava, ma come furono vicini a* nemici, balzaroa fuora i G alli, e gli assalta rono. F u dapprincipio la zuffa violenta da ambe le p arti, ma finalmente essendo i Galli superiori d’audacia e di numero , i Romani, lasciati sul campo non meno di sei mila m orti, fuggirono. La maggior parte di loro ricoverò in un luogo forte , e vi rimase. 11 quale i Galli presero dapprima ad assediare, ma mal conci come erano dal viaggio e della notte antecedente, da' pati menti e dalle fatiche, andaron a riposare ed a rinfre scarsi , lasciando parte de* loro cavalli a guardia intorno al colle, con animo di assediare il giorno vegnente quelli che eransi coli rifuggiti, ove di buon grado non si fossero arresi. XXVI. Frattanto Lucio Emilio , ch’era stanziato sulla costa dell* Adriatico, come riseppe che i Galli, tra passata 1* Etruria , appressavansi a Roma, avventurosa mente, quando più n’ era bisogno, giunse sollecito a recar soccorso. E posto il campo vicino a’nemici, quelli eh’ eransi rifuggiti sul colle veggendo i fuochi, ed ac cortisi di ciò eh’ era accaduto , ripresero animo incon tanente , e spedirono di nottetempo alcuni de’ loro di sarmati pel bosco (io a ), a fine di annunziar l’avveni mento al console. Questi, sentito l’alfare, e considerando
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che appena gli rimaneva tempo di pigliar nn partito A .£B . nell1emergenza , ordinò a’ tribuni di nscir co' fanti al primo apparir del giorno, ed egli stesso co’ cavalli incamminossi verso l’ anzidetta altura. I condottieri dei G alli, osservando i fuochi notturni , ne arguirono la presenza de’ nemici , e si ridussero a consiglio. Ove il re Aneroeste espose cotal sen tenza : dover essi dappoi ché di tanta preda eransi impossessati ( ed era la quan tità d’uomini, di bestiame , e di robe , che aveano, indicibile), cansar la battaglia , e non porre ogni cosa a cimento, ma ritornare salvi in patria. Deposto il loro carico, poter essi più spediti, quando lor cosi piaceste, riprendere le ostilità contro i Romani. Approvarono tatti il parere di Aneroeste, ed essendosi tenuto questo consiglio di notte, partironsi innanzi giorno, e prose guirono lungo il mare per il territorio Etrusco. Lucio unita alle sue forze la parte dell’ esercito eh* erasi sal vata sulF eminenza, non giudicò conveniente di tentar una battaglia campale, sibbene di seguitàr il nemico, attendendo a’ luoghi ed a' tempi opportuni per recargli ove fosse possibile, qualche danno e per torgli parte della preda. XXVII. Circa quel tempo il console Cajo Attilio ve nuto dalla Sardegna a Pisa colle sue legioni, prose guiva il cammino verso R om a, in direzione contraria a quella de’ nemici. Erano già i Galli presso a Telamone d’ Etruria , quando i loro foraggiatori , abbattutisi alla vanguardia di Cajo, furono presi. Interrogati dal Con sole gli appalesarono i fatti preceduti, ed annunziarono l’arrivo d ’ amendue gli eserciti, del Gallico eh’ era vi-
A.&R. ciniuimo, e di quello di Lucio cbe gli tenera dietro. Egli parte maravigliato di cotali nuove , parte venuto nella speranza di pigliar in mezzo i Galli , comandò ai tribuni di schierar le legioni, e d’ andar innanzi a pic ciolo passo colla fronte spiegata, per quanto i luoghi il permettessero. Osservato poi un colle opportunamente situato sovra la strada , per cui passar doveano i Galli, mosse in fretta co* cavalli per occuparne la sommità ed esser il primo ad appiccar la zufla; persuaso cbe cosi la maggior parte del buoa esito a Ini sarebbe ascritta. I Galli dapprincipio ignoravano l’ arrivo di Attilio, ma da ciò ch’ era avvenuto conghielluravano che Emilio avesse girato di notte colla cavalleria, e preoccupati qne* luoghi ; quindi mandarono tosto i loro cavalli ed alcuni fauti leggeri per prender a’ Romani cotesta al tura , ma conosciuta presto da alcuni prigioni la venuta di Cajo, altelarono in (retta i fanti, facendo la sclùera da amendue le facce, cosi da tergo , come da .fronte : che sapeau essi seguir gli uni le loro tracce, e gli altri aspettavano di riscontrare a viso a viso ; ciò deducendo da quanto veniva loro riferito, e da quanto allor a o cadeva. XXVIU. Em ilio, sentito l'approdo delle legioni a Pisa, ma non aspettando per anche che si avvicinassero^ conobbe chiaro dui combattimento che facevasi intorno al colle , essere 1’ altro esercito de’ suoi già prossimo; il percliù mandò subito i suoi cavalli in ajuto di quelli che sul colle pugaavano, ed egli, disposti i suoi fanti cuuloi'me praticano i Romani, ondò incoutro a’ uemicL I Galli schierati aveano i cosi delti Gesali delle Alpi
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alla coda, ove aspettavano Em ilio, e dietro a questi A.&R. gl’ Insubri, [n fronte attelarono i Taurisci, ed i Boii che abitano di qua del P ò , in posizione contraria agli anzidelti, guardando la parte ove avanzavansi le legioni di Cajo. I carri ed i cocchi posero di fuori alido ad amendue le ale, e la preda ridussero in uno de’ monti aggiacenti, mettendoci attorno delle guardie. L’ esercito de' Galli adunque in due fronti schierato, riuscì non solo di terribil aspetto, ma eziandio di molta efficacia. Gl’ Insubri ed i Boii sphieraronsi in brache, e eoa leggeri saj in dosso; i Cesati per vanità e fidanza git— taion via questi vestiti, e iguuJi colle armi si posero nelle prime file, stimando d’ essere così (io 3) più alti alla pugna, perciocché i prunai eh’ erano in alcuni siti avviluppavausi agli abiti , ed impedivano 1’ uso delle armi. La prima xufla fu sul colle , al cospetto di tutti, tendoché grande moltitudine di cavalli, concorsa da ciaschedun esercito, affrontata erasi colà alla mescolata. Allora il console Cajo, combattendo con soverchio ar dire, mori nella mischia, e la sua testa fu portata al re de’ Galli. Ma la cavalleria Romana valorosamente pu gnando superò alla Gne il luogo e gli avversarti. Po scia , essendosi la fanterìa già avvicinata, v’ ebbe ano spettacolo singolare e maraviglioso, non solo per chi era in quell’ occasione presente , ma per coloro pure che in appresso per via di relazione formarsi possono un’ idea dell’ accaduto. XXIX. Primieramente siccome la battaglia composta era di tre eserciti, così egli è ma ni fusto che stiano ed iusolilo apparir dovea l’ aspetto ed il genera del con-
a'jn A. £ R. flitto. In secondo luogo , chi o al presente, o a qnel tempo non avrebbe dubitato se più pericolosa fosse la posizione de’ G alli, cui da amendue le parti stringevano i nemici, o all’ opposto più acconcia all» vittoria, mercecbé combattevano ad un’ ora con amendue gli eser citi , ed insieme sahravansi le spalle dalle aggressioni di ciascheduno ? Ma ciò che più monta si è , che chinsa era loro ogni via (io4) alla ritirata cosi in avanti, co me indietro, e tolto ogni scampo ove fossero vinti : che tal proprietà ha 1’ uso d'ilo schieramento a dae fronti. A’ Romani dava animo 1’ aver presi i nemici in mezzo e circondati da ogni parte ; ma dall’altro canto gli sbigottiva l'appariscenza ed il tumulto dell’esercito de’ Galli; perciocché innnmerevol era la molliladine delle trombe e delle corna, ed oltre a ciò, salmeggiando tutta l’oste in coro, tale e tanto schiamazzo ne nasce va , che la voce sembrava venir non solo dagli stru menti da fiato e da’ soldati, ma eziandio da’ luoghi vi cini che rimbombavano. Tremendo era pure 1’ aspetto e il movimento degli nomini ignudi, cospicui per fior d’ età e per forma. Tutti quelli eh’erano nelle prime insegne andavan ornati di (io 5) collane e di smaniglie d’o ro , le quali guardando i Romani parte stupivano, parte adescati dalla speranza del guadagno erano dop piamente stimolati alla pugna. XXX. Del resto, come prima i Linciatori Romani si fecero innanzi, e secondo il loro costume con sicura mano awentaton un nugolo di frecce; a’ Galli che sta vano in dietro molto venivan in acconcio i si; e le brache ; ma ai Cesati, eh’ erano nelle prime file, co—
2^3 testo inaspettato avvenimento arrecò ali* opposto molto A. diR. incomodo ed imbarazzo. Imperciocché, siccome lo scudo gallico non può coprir tutta la persona , cosi quanto più ignudi e grandi erano i corpi, tanto maggiormente vi si appigliavano le frecce. Alla fine non si potendo difendere da’ lanciatori, per cagione della distanza e della moltitudine delle saette che piovevano , vinti dal male e disperati, parte precipitavansi nelle (ile de’ ne mici furibondi e forsennati, ed abbandonati sé stessi , incontravano spontaneamente la m orte, parte ritiravansi a poco a poco fra i suoi, e manifestando il proprio avvilimento, mettevano la costernazione in quelli di dietro (107). Per tal modo adunque i lanciatori Romani abbatterono la fierezza de’ Gesati. Ma la massa degl’in subri , de’ Boii e de’ Taurisci, non si tosto i Romani ebbero ritirati.i lanciatori, e mandaron loro addosso le insegne, che attaccati i nemici dappresso fecero aspra battaglia, e per quanto fossero tagliati (108), resistevano con egual ardore, nell’ apparato solo delle arm i, cosi uniti, come a corpo a corpo, inferiori a'Romani ((09), gli scudi de’ quali pella sicurezza e le sciabole peli’ azione sono di gran lunga più eccellenti ; laddove quelle de’ Galli sono soltanto da taglio. Poiché la cavalleria dei Romani, discendendo dal colle, fece impressione da luogo superiore e per fianco , e valorosamente pugnò , i fanti de’ Galli furono trucidati ne’loro posti, e la cavalleria andò in volta. XXXI. Perirono de’ Galli da quaranta mila ; e non meno di dieci mila ne furono presi, fra cui il re Copcolitano. L’ altro Aneroeste fuggi .con pochi in un 70LIBI0 ; tomo I. 18
a^4 A. di R. lU0g0 t OTe tolx li vita a si e J a’ suoi più prossimi. 11 capitano de’ Romani raccolse le ipoglie e mandol/e a Roma ; ma la preda restituì a chi apparteneva. Egli colle legioni, varcato il territorio de’ Liguri, fece im pressione nella campagna de’ B oii, e saziata di rapina 1' anditi de' soldati, fra pochi giorni ritornò a Roma coll’ esercito, ed ornò il Campidoglio colle insegae e colle (n o ) maniache tolte a*nemici (eran queste cerchi di o r o , che i Galli portano intorno al collo ). Le altre •poglie aerbò per fregiarne il suo ingresso trionfale. Per tal modo tornò vana la più poderosa spedizione dei GalK , che a tutti gl’ Italiani, e massimamente a*Romani 53 0 minacciata avea la più grande e spaventosa mina. Dopo questa vittoria, sperando i Romani, di poter scacciare al tutto i Galli da' paesi intorno al P ò , mandarono amendoe i consoli Quinto Fulvio e Tito Manlio no vellamente creati, con un esercito e con grande ap parecchio contro i Galli. I quali assaltati d'improvviso i Boii, spaventarongli a tale, cbe si rimisero all’ ar bitrio de’ Romani. Ma sopraggiante essendo pioggie di rotte ed una costituzione pestilenziale, alla fine niente si fece. 53 1 XXXIL I consoli dopo questi eletti, PuMio Furio e Cajo Flaminio, invasero nuovamente la Gallia per il paese ( i n ) degli Anani, i quali dimorano poco lungi da Piacenza (Marsiglia) ( n a ) . Questi si fecero amici, e passarono nel territorio degl’ Insubri al confluente dell’ Adda e del Pò. Ma essendo stati sconfitti al passo, e mentre che fi’ accampavano, tosto arrestarons: , poscia fcrmarou un trattato, e accordatisi sgombera roa quei
2^5 luoghi. Iodi più giorni per qnelle parti aggiraronsi , e A.&B* tragittato il fiume ( 113) Chieae vennero nel dominio de' Cenomani, i quali avendo presi a compagni, per ciocché erano alleati, invalero an’ altra volta dalle re gioni Subalpine il piano degl’ Insubri, ed anero 1* cam pagna , e devastarmi le abitazioni. I capi degl* Insubri, veggendo eiaer invariabili verso di loro gli animi dei Romani, determinarono di darsi in balla della fortuna, e di venir ad una fazione decisiva. Raccolsero adunque tutte (114) le insegna , levando eziandio dal (i 15) tem pio di Minerva quelle che cbiaman immobili, e fecero ogni altra provvigione necessaria : poscia arditi e mi nacciosi accamperòosi di rincontro a’nem ici, in numero di cinquanta mila. I Romani, parte scorgendo sé stessi molto inferiori agli avversarli, volevano giovarsi delle forze de* Galli loro alleati ; parte considerando l’ infe deltà di costoro, e che avrebbono dovuto combattere con nomini della stessa schiatta, temerono di associarsi sifFatta gente in cotal occasione e in tanta impresa. Fi nalmente rimasero di qua del fiume , ed i Galli eh' erano in loro compagnia fecero passare sull’ altra riva ; poi staccarono i ponti d’ in sulla corrente. Cosi guarenlimosi da quelli, ed insieme lasciarono a sé l’ unica speranza di salvezza nella vittoria, non essendo guazzabile T anzidetto fium e, che avean alle spalle. G ò latto s’ accinsero alla pugna. XXXUI. Vantasi 1' accorgimento de* Romani in cotesta battaglia , ove instatiti furono da’ tribuni come , e in comune , e ciascheduno per si avessero a com battere. Imperciocché, conosciuto avendo da’ passati ci-
276 A.dill. m enti, essere tutta la gente Gallica formidabilissima e fervida nel primo impeto, finattanto eh* è intatta , e le sue sciabole , conforme dicemmo di 6opra , pella loro costruzione non tagliare se non se calato il primo fen dente, e poscia rintuzzarsi tosto ed incurvarsi^ per lungo e per largo , a tale, che non dando tempo a chi se ne ha a valere di puntarle in terra per dirizzarle col piede, non è possibile d’ assestar con esse il secondo colpo : ciò, dico, conoscendo i tribuni , distribuirono le aste de’ triarii collocati nelle ultime file (116) alle prime coorti, ed imposero loro di adoperar dopo queste le spade. Indi attaccarono di fronte i Galli, le cni sciabole, come prima ebbero calati i primi colpi alle aste, si rendettero inutili. Allora (117) corsero loro alla viU, e tolsero a’ nemici ogni facoltà di (118) battagliare menando in distanza colpi dall’ alto, siccome è . costume de’ Galli , le spade de’ quali sono al tutto senta punta. Ma i Romani nen tagliando, sibbene i ferri diritti aventi acuta punta , (rig ) spingendo per modo , che non poteansi cansare , percuotevano con reiterati colpi i petti e le fecce degli avversarli, e la maggior parte ne trucidavano, mercè della provvidenza de’ tribuni. Imperciocché il console Flaminio non sembra «sen i bene diportato in quell’ affronto avendo schierato 1’ esercito sul ciglione del fiume , e guastato ciò che ha di proprio la battaglia Romana, non lasciando luogo alle coorti per ritirarsi a lento passo. Che per poco che i soldati nella pugna avessero piegato, doveaasì gittare nel fiume peli’ inconsideratezza del capitano. Tuttavia riportarono segnalata vittoria col proprio va-«
*77 tare , conforme dissi , e pieni di preda, e di non po- A. che spoglie impossessatisi, ritornarono a Roma. XXXIV. La state seguente mandarono i Galli am- 53 basciadori a chièder pace , promettendo che tutto farebbono ; ma i consoli di quell* anno , Marco Claudio, « Gneo Cornelio , procacciarono che la pace non fosse loro accordata. Ributtati adunque, risolverono di ci mentar 1’ ultima speranza, e di bel nuovo si volsero a stipendiare i Galli Gesati , che abitano presso al Ro llano , de’
3^8 J.& B. principale del paese degl'insubri. Gneo gl’insega) senza posa, e in men cbe non •’ avvide fu presso a Milano. I Galli dapprincipio non si mossero, ma come il con sole riprese la via d’ A cerra, sortirono ed audacemente nojarono il retroguardo, ed aveudone morti non pochi, parte degli altri costrinsero a fuggire. Gneo richiamata la vanguardia , le ordinò di fermarvi e d'affrontarsi coi nemici. I Romani ubbidiron al console, e gagliarda* mente combatterono co’Galli cbe gl*incalzavano. Questi, animosi pella vittoria che tenean in m ano, alcun poco stettero saldi, ma fra poco andaron in volta, e si ri dussero alle montagne aggiacenti. Gneo inseguii!!, guastò la loro campagna , e prese Milano colla fona. XXXV. Dopo questo avvenimento ì capi degl’ Insu bri , abbandonala qualunque speranza di salvezza , ri misero ogni loro cosa all’ arbitrio de’ Romani. Colai fine ebbe la guerra co’ Galli : guerra che , ove si ri» guardi al furore, ed all’ audacia de’ combattenti, non meno che al numero delle battaglie ed alla moltitudine degli uomini cbe in esse pugnarono e perirono, a ne* sona delle pià conte è inferiore; ma per ciò che spetta al genere delle imprese, e allo sciocco maneggio dei particolari é aflallo spregevole, sendochì i Galli non nella maggior parte , ma in tutti i loro aflàri reggonsi più ( ia 3) coir impeto che col consiglio. I quali osser vando noi poco appresso (11^) discacciati dal piano del Pò , eccetlocbè da pochi luoghi che giacciono sotto le A lp i, non abbiam creduto dover passare sotto silenzio la loro prima venuta, nè i falli che di poi seguirono, né ( ia 5) come l’ultima volta insursero. Cbe ufficio della
279 storia stimiamo esser il rammentare e descriver a’ posteri A. di R. sifòtlì (ia6) episodii delta fortuna; affinchè coloro che dopo noi verranno , ignari di cotesti avvenimenti, non si sgomentino delle repentine e temerarie irrazioni dei Barbari, ma alquanto rechinsi alla m ente, che cotal genia in breve tempo e di leggeri può esser distrutta da chi dura nel far loro resistenza , e quindi nulla la scino intentato, anziché ceder loro qualsivoglia cosa ne cessaria. E , a dir vero , quelli che a noi propagarono la memoria dell* impressione che i Persiani fecero in Grecia ed i Galli ia Delfo, mollissimo contribuirono ai combattimenti che impresi furono pella comune libertà della Grecia. Imperciocché nessuno lascerassi sbigottir dagli apparati, dalle armi ,■ dalla moltitudine di gente , e rinunzierà all’ ultima speranza in combattendo pella propria contrada e pella patria, ove si porri innanzi, agli occhi le maravigliose gesta di que’ tem pi, e si rammenterà quante migliaja il’ uomini, e quali ardimenti, e quali apparecchi ridusse a nuHa la forza guidata nei cimenti dal raziocinio. Il terrore pertanto de’ Galli ba già spesso , non solo anticamente , ma a’ nostri giorni ancora colpiti i Greci. Il perchè io mi sono tanto mag giormente indotto a tessere la loro storia sommaria m ente, facendomi da tempi più remoti. XXXVI. Asdrubale, capitano de’ Cartaginesi, ( che 533 di qui si è dipartita la nostra narrazione ) poich’ ebbe amministrati oti'anni gli affari di Spagna, (127) mori ucciso a tradimento nel suo albergo da certo Gallo in vendetta d’ingiurie private. Qoesti grande aumento avea recato alla potenza de*Cartaginesi, non tanto colle opere
280 J.di/i. di guerra, che coll’ afTabilitA verso i Signori del paese. I Cartaginesi conferirono il capitanato di Spagna ad Annibaie (ia8) ancor giovine, per cagione della perspi cacia e del coraggio che nelle sue azioni apparivano. Il quale, come prima assunse il sapremo potere, traspirar fece da’suoi consigli che portata avrebbe la guerra ai Rotnani ; locchè eziandio finalmente esegui, mettendo pochissimo tempo in mezzo. Erano gii -sin d’ allora i Romani ed i Cartaginesi in reciprochi sospetti, (129) e aizzamenti ; dappoiché quelli bramosi di vendicar le rotte sofferte in Sicilia, mulinavano nuove imprese, ed i Romani, osservando le loro macchinazioni, diffidavano. Ond’ era chiaro a chi diritto 'estimava, die fra poco sarebbonsi fatta la guerra. XXXVII. Intorno allo stesso tempo, gli Achei ed il re Filippo, insieme cogli altri alleati, impresero contro agli Etoli la guerra chiamata Sociale. Noi pertanto , poiché, narrali avendo i fatti di Sicilia e d’A frica, e gli altri a questi successivi, secondo che richiedea la serie continuata della nostra preparazione , pervenuti siamo all’ incominciamento di questa guerra Sodale , e della seconda cbe insurse tra i Romani ed i Cartagi nesi , che i più chiamano Annibalica, da* quali tempi sin da principio divisammo e promettemmo di condurre il filo della nostra storia ; stimiamo conveniente di la sciar ( t 3o) cotesta materia e di passar agli avvenimenti della Grecia, affinchè, agguagliala ogni parte del nostro lavoro preliminare , e recata a’ medesimi tempi, inco minciar possiamo la propria storia, che intendiamo di trattar ( i 3 i) dimostrativamente. Imperciocché , siccome
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■o u alenai fa tti, cooforme fecero gli scrittori innanzi A .H it. a n o i, quali sarebbono quelli de’ Greci e de* Persiani ; sibbene quelli di tutte le- parti note della terra pren demmo a descrivere , al qual subbietto singolari mezzi forniscono i nostri tempi, su che altrove più chiaro ci spiegheremo ; così sarà mestieri di toccar alcun poco, avanti d’ entrar ( i 3 a) nell’ argomento stesso, le nazioni ed i luoghi più conoscimi dell’ orbe abitato» Degli Asiani e degli Egizii basterà far menzione incominciando da’ tempi ora discorsi : che la storia de’ loro antenati ia da molti pubblicala, ed a tutti è n o ta, e a' nostri tempi la fortuna non fece incontrar loro nessuna straor dinaria mutazione , sicché fia d’ uopo rammentar le vi cende de’ loro maggiori. Ma intorno la nazione degli A chei, e la casa di Macedonia cadrà in acconcio di risalir brevemente a tempi anteriori ; dappoiché questa è ài tutto disfatta, laddove gli Achei, (133) siccome accenammo di sopra , prosperan oggidì maravigliosa mente mercé della loro concordia. M olli, a dir vero, tentaron in addietro d’ indurre i Peloponnesi a cotal utile unione , ma nessuno vi potè riuscire , sendochi ciascheduno per la propria Signorìa si affaticava, e non a prò della comune libertà. La qual cosa tale e tanto incremento e perfezione consegui a* nostri giorni , che non solo amicizia eri alleanza strinsero tra loro , ma nsan ancora le stesse leggi , gli stessi pesi, misure e monete, ed oltre a ciò hanno i medesimi maestrali , senatori e giudici. In somma, nulla manca al Pelopbnneso perchè abbia la forma d’ una sola città, fuorché 1' esser i suoi abitanti cinti dalle stesse mura. Le altre
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J,diR. cose tu lle, coti in comune} come nelle singole d u i , 1 sono eguali» XXXVIII. (134) Primieramente non sarà inutile ap prender , come e per qual guisa il nome di Achei prevalse presso tulli i Peloponuesi : che coloro i qutli dapprincipio ebbero questa patria denominatone , non erano ragguardevoli per estensione di terreno , nè per moltitudine di città , nè in ricchezza, nè in valore gli altri avanzavano, essendo la nazione degli A roadi, e similmente quella de'Lacedemoni, per numero di gente, e vastità di dominio, di gran lunga a quelli superiori, e la palma del valore non avendo i mentovati popoli ceduta giammai ad alcuno de* Greci. Come adunque e perchè questi, e tutti gli altri Peloponnesi, il governo degli Achei e la loro denominazione ( i 35) di buon grado assunsero ? Dire che fosse opera della fortuna non couvieoe in alcun modo : che frivolezza sarebbe. Sibbene cercar ne dobbiam più tosto la causa , senza cui nè le cose conforai alla ragione, nè quelle che ne sembrano esser aliene , possono aver effetto. La qnal causa è , per mio avviso , questa. Non troverà alcuno sistema più sincero di uguaglianza e di franchigia, e di ogn’ istituto che appartiene a vero governo popolare, di quello ch’esiste presso gli Achei. Alcuni Peloponnesi abbracciaronlo spontaneamente; molli vi furon indotti colla persuasione e col ragionamento , ed alcuni che per congiuntura il ricevettero forzati, tosto 1’ ebbero a grado. Imperciocché non essendo rimasto a’ primi fon datori privilegio alcuno , ed accordandosi eguali diritti a quelli che audavansi accettando , giunse colesta re-
a83 pubblica ben presto al suo intento, per m euo di dn e A.diR. cooperatori potentissimi , dell* eguaglianza , e della be nevolenza. Quetta è dunque da reputarsi U prima e genuina causa della concordia, per cui i .Peloponnesi conseguirono la presente felicità. Le massime pertanto e la forma di governo testé addotte , vigevan eziandio in addietro tra gli Achei ; locche è manifesto per molti documenti, de’ quali basterà al presente, per aggiugner fede a’ nostri d e tti, addurne uno o due. XXXIX. Allorquando nella parte d* Italia eh' era appellata Magna Grecia , ( i 36) ani furono i collegii de’ Pkagorei, insorse tosto un movimento universale negli'stati, confórme accader dovea, poiché cosi ina spettatamente eran periti gli uomini principali di cia scheduna città. Laonde empieronsi tutte le città greche in quelle contrade d'assassinii, di ribellione, e d’ ogni maniera di scompiglio. A’ quali tempi essendo da quasi tutte le parti della Grecia mandati ambasciadori per procurar un' accomodamento, a’ soli Achei ed alla fede loro si rimisero per liberani da’mali che li stringevano. Né allora approvarono soltanto la costituzione degli A chei, ma dopo qualche tempo al tutto si diedero ad imitare la loro forma di governo, ed esortandosi tra loro ed accordandosi i Crotoniati,. i Sibariti, ed i Cauloniali, stabilirono dapprima un comune sacrario a ( 137) Giove Accordatore, ed un luogo in cui tene vano le ragunanze ed i consigli ; poscia si presero i costumi e le leggi degli Achei , e se ne valsero nel1* amministrazione della repubblica ; ma dal dominio di Dionigi Siracusano, e dalla prepotenza de’ Barbari che
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A. di R. abitavan loro dintorno Impediti furono d’ eseguirli, ed a mal grado loro e per necessità li lasciarono. In ap presso essendo i Lacedemoni inaspettatamente stali scoti» fitti ( 138) nella battaglia di Leuttra, ed i Tebani contra ogni speranza ottenuto avendo il principato della Gre cia , gran turbamento nacque fra tutti i. G reci, e mas* ■imamente fra gli anzidétti, dappoiché gli (139) uni non si confessavano vinti, gli altri non credevano d’aver riportata vittoria. Tuttavia e Tebani e Lacedemoni fe cero arbitri delle lóro contese 1 soli Achei fra tutti i Greci, non riguardando alla loro potenza, come quelli che allora in Grecia eran i meno possenti, ma più presto alla loro fede ed onesti: che tal era allora l’ o pinione cbe tutti sema contrasto aveano degli Achei. Sebbene a quel tempo non avean essi che la nuda vo lontà, e nessun effetto o alto memorabile, appartenente all’ accrescimento del loro stato , ne conseguitava ; sendoché surger non poteva un capo degno de’ loro con sigli. Che se pur talvolta se ne mostrava alcuno, offu scato egli era ed impedito , quando dal principato dei Lacedemoni, quando , e ciò più sovente , da quello de* Macedoni. XL. Ma poiché trovarono, finalmente capi di vaglia, fecero ben presto manifesta la loro possanza, recando a compimento un’ opera bellissima , la concordia dei Peloponnesi. Della qual impresa tutta é da stimarsi autor e duce Aralo da Sicione , promotore e consumatore Filopemene da Megalopoli ; ma (rzfo) stabile alquanto la rendette Licorta e quelli eh’erano della sua sentenza. Ma ciò che ciascheduno fece, e come , e quando,
a85 e’ ingegneremo d’ esporre ( 14 1) secondochè sarà con- A. £ B. veniente alla nostra ragione di scrivere. Le cose pertanto amministrate da Arato , ed ora e poi rammenteremo sommariamente, avendo egli intorno alle proprie gesta ( i 4 >) composte memorie con Inolia verità e chiarezza. Quelle che ad altri ‘appartengono narreremo con mag gior accuratezza ed estensione. E sembrami che più fa» cìle sarà per riuscir a mè la sposizione, ed a’ leggitori più spedila 1’ intelligenza, se incominceremo da quei tempi p in cui essendo state da’ re di Macedonia divise le città della nazione Achea, ebbe nuovamente principio il mutuo consenso delle stesse città, donde avvenne che la nazione andò sempre crescendo , finché giunse all’ apice ov’ è a’ nostri giorni, del quale abbiamo testi 0 4 3 ) alcun pòco discorso. XLI. Volgeva l’Olimpiade centesima vigesima quarta, Olim. quando i Pairei ed i Dimei incominciarono ad esser CUI¥ concordi, a’ tempi in cui passarono di questa vita Tolemeo di Lago, Lisimaco, Seleuco e Tolemeo Cerauno, i quali tutti morirono circa 1’ Olimpiade anzidetta. Nel* 1’ età a questa anteriore tal era la situazione della nazion Achea. Da ( i 44) Tisamene, ch’era figlio d’Oreste, ed al ritorno degli Eradidi scaccialo di Sparta occupò le terre d’ Achea,'continuò una discendenza non inter rotta di regnanti sino ad (i 45)Ogige. Da’figli del qnale alienatisi poscia, perchè non colle leggi ma coll’arbitrio li governavano, mutarono il lor reggimento in Signoria popolare. Ne’ tempi appresso sino a* regni di Alessandro e di Filippo, variarono le loro vicende secondo le cir costanze : tuttavia ingegnarono sempre di conservar
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A,diR. nella loro repubblica, conforme dicemmo, lo ciato po polare. Era la loro democrazia composta di dodici d u i , cbe vi durano ancora , tranne ( i 46) 01 eoo, 0 4 ?) ed Elice, cbe fu ingojata dal mare pooo avanti la battaglia di Lettura. Queste ciui sono, P atta, D im e, F a ra , Tritea, Leonzio, Egira, Pellene, Egio, 048 ) Bnra, Cerinea, Oleno ed Elice. Dopo la morte d’Alessandro, ed innanzi all’ Olimpiade testé mentovata, vennero in tanta discordia e mal umore, massimamente per opera de’re di Macedonia, cbe lotte le d u i , l’ Una dall* all» se parala reggevansi in modo contrario alla vicendevole loro utilità. Donde avvenne die Demetrio e C ayn Jro, e poscia Antigono Gonata in alcune d’ esw posero guerntgione, ed altre governate farono da tiranni. Il qual Antigono sembra cbe molte Signorie assolate in470 traducesse fra i Greci. Circa la centesima vigesima quarta Olimpiade, siccome dissi di sopra , pentitisi incomin ciarono un’ altra fiata a concordare ; e dò avvenne quando Pirro tragittò in Italia. I primi ad unirai furon quelli di Dima, di Patra , di T ritea, di Far» ; qui odi é cbe non (i4g) esiste neppur una colonna, la quale alleati il oomun governo di queste d u i. Dopo cin que anni arca gli Egiei espulsero il loro presidio , e farono ricevuti nella lega ; appresso questi i B orii, poich’ ebber acci10 il loro tiranno. Insieme con essi repristinaronsi i C erind; perciocché reggendo Isea die a quel tempo era di Cerinea tiranno , cacciato fnor di Egio il presidio, morto per Marco e per gli Achei il Signore di Bura , e sè stesso prossimo ad aver guerra da ogni lato, depose l’ impero, e preso salvo condotto dagli A chei, aggiunse la città alla loro unione.
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XLII. Ora in grazia di cbe con io risalito a quéi A.& R. tempi ? Primieramente afGnchè fia manifesto, come, e quando, e quali fra gli antichi Achei furon i primi a rimetter il presente stato. In secondo luogo, perchi quanto dicemmo delle loro istituzioni fede acquisti, non dall* asserzione nostra,' ma da’ feti! stessi, essere, cioè, •tata sempre la massima fondamentale degli Achei di offerir a tutti 1’ eguaglianza e la liberti eh’ è tra loro, e di ‘far guerra e combattere di continuo con quelli che colle proprie forze o ajutati da qualche re ridneon ( i 5 o) in servaggio le loro patrie. La qnal opera in colai guisa e con tale intendimento compierono , parie da sè, parte col soccorso degli alleati. Imperciocché i (esaltamenti conseguiti coll’ assistenza di quelli in lai particolare ne’ tempi posteriori, riferirsi debbono alla costituzione degli Achei , i quali, avendo prestata la lor opera a m olti, e singolarmente a' Romani in ben molte e bellissime fazioni, non desiderarono giammai per sè emolumento alcuno nelle vittorie, ma in premio di tutto l’ impegno , con coi aveano serviti gli alleati, riserbavansi la libertà di ciascheduno e la comune con cordia de’ Peloponnesi. Queste cose pertanto meglio si comprenderanno dalle stesse gesta. XLUL Venticinque anni si ressero in comune- le cxxxi o tti mentovate, eleggendo in giro un segretario gene- **°° rale e due Pretori. Poscia parve loro di crearne nn aolo , ed affidar a lui tutti gli affari , ed il primo cni toccò quest'onore fu Marco da Cerinea. ( 15 1) Quattro anni dopo la cosini pretura, Arato da Sicione in eli di vent’ anni, liberala avendo la patria dalla tirannide
a8 8 J.dìR . col suo valore ed ardimento, collegolla con la repnb5 o 4 blica degli Achei, della costiamone de’ quali egli fino da' primi sooi anni era invaghito. Eletto pretore la se conda volta, e presa per via di segrete pratiche la rocca di Corinto, presidiata dà Antigono , francò da grande timore gli abitanti del Peloponneso, e liberò i Corìnti!, cxxxiv che aggiunse alla lega Achea. Nella stessa magistratura 5 i l ( i 5a) ebbe per maneggi la città di Megara, e la diede agli Achei. Ciò avvenne 1’ anno innanzi alla rotta dei Cartaginesi, per coi, sgomberata latta la Sicilia, ridótti furono la prima volta a pagar tribaio a’ Romani. Arato dunque, avendo in breve tempo fatti grandi progressi, ( i 53) continuò del resto a governare i popoli Achei per modo, che tatti i suoi disegni e latte le sue azioni ad un fine solo diresse , il qual era, di scacciar i Ma cedoni dal Peloponneso, di disfere le Monarchie , e di assodar a ciascheduno la cornane e patria libertà. Mentrechè vivea Antigono Gonata , egli, opponendosi alle sue mene ed all* avidità degli E loli, amministrava tatto con ottimo saccesso : sebbene a unto giunse l’ iniquità e 1*audacia d’ amendue, che fermaron tra loro trattata di dividere le popolazioni Achee. XL 1V. Morto Antigono, e confederatisi gli Achei cogli E toli, coi prestarono valorosa assistenza nella guerra contro Demetrio, cessate per allora le avversioni e gli sdegni, insinuarono tra loro sociabili ed amiche disposizioni. Ma regnalo avendo Demetrio soli dieci anni ed essendo morto circa ( i 54) il tempo in cui i Romani fecero il primo tragitto nell’ Illiria, un corso di felici eventi secondò gli antichi disegui degli Aclie*.
a8g Imperciocché i tiranni del Peloponneso , perduta ogni speranza pella morte d’ Antigono , che forniva loro (pese e soldo, e minacciati da Arato, il quale sapevano che cessar volea le Signorie, ed a quelli che ì avrebbon ubbidito offeriva grandi premii ed onori, ma « chi non gli badava maggiori mali e pericoli sovrastar f^cea dagli Achei, i mentovati tiranni, dico, presero il par tilo di deporre le Joro Signorie, di liberar le proprie patrie e di farsi partecipi del governo degli Achei. Lidiada da Megalppoli pertanto, vivente ancora Demetrio, di propria elezione, da quell’uomo sperimentalo e pru dente eh’ egli era, rinunziò alla tirannide ed entrò nella lega nazionale._Poscia Aristomaco tiranno d’ A rgo, Senone di Ermiona, e Cleonimo di Fliasia, deposero il dominio assoluto e furono incorporati colla democrazia degli Achei. XLV. Essendosi per siffatti accrescimenti molto ag grandita la nazione degli Achei, gli Etoli che peli’ im probità ed avarizia loro innata portavan a quelli invidia, ma sovrattutto nella speranza di dividere le città , riccome avean un di divise
A. di R. 5a i e seg* cxxxvi
ago
A.àift. ch e, ove associati avessero i Lacedemoni alla loro im presa , ed indouili ( i 5 j ) ad iuimicar anticipatamente quella nazione, più agevolmente l'avrebbooo debellila, assaltandola a tempo opportuno, e traendo loro la guerra addosso da tutte le parti. Locchè probabilmente avrebbono in breve eseguito, se omessa non avessero la principal avvertenza; non cadendo loro neppure nel1’ animo di dover lottare con Arato , uomo capace di rendersi propizia ogni circostanza. Laoude incominciando a rimestare ed a muover armi ingiuste, non che otte* nesiero I* intento, avvenne loro il contrario, e crebbero forza ad Arato eh' era allora capo dello slato, ed alia nazione stessa : cbe quelli con ogni maggior industria traeva le cose a suo vantaggio , e guastava i loro diaegni. E come egli la somma degli affari amministrasse sarà manifesto per ciò che diremo. XLVI. Considerando Arato che gli Eloli vergogna t a c i di far apertamente la guerra agli A chei, troppo recenti essendo i beneficii cbe da loro aveano ricevuti nella guerra con Demetrio; ma che consigliavansi coi Lacedemoni , ed a tal giugnea 1’ invidia che portavano agli A chei, che avendo Cleomene tolte loro per frode ( i 58) Tegea, Mentine» ed Orcomeno, città non solo alleate degli Eloli, ma eziandio parte della loro repub blica , essi non che ne fossero irritati, gliene confer marono il possesso , e che coloro i quali in addietro, valendosi d’ ogni pretesto, facean per avarìzia la guerra anche a chi non gli avea punto offesi, allora lasciavansi mancar di fede , e di buon grado perdevano le pià grandi città solo per render Cleomene rivale degli Achei
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più «officiente; ciò considerando, egli, ed insieme tolti A.diR. i capi della repubblica Achea, determinarono di non muuver le armi conica nessuno , sibbene di opporsi ai disegni de'Lacedemoni. Questi furooo i loro primi peuaieri, ma come poscia osservarono che Cleomene auda-< cernente fabbricava il cosi detto ( i 5g) Ateneo nel terriiorìo de’ Megalopolitani, dichiarandosi loro manifesto ed acerbo nemico, convocali gli Aobei a ragunanza , presero di spiegar a’ Lacedemoni aperta inimicizia. Tal fa il principio della guerra Cleomenica, ed a que’tempi 5 ag avvenne. cxxux XLVII. Dapprima gli Achei, opposero a’Lacedemoni le proprie forze , stimando bellissima cosa non riceverà da altri la salvezza, ma da sé salvar le ci Iti e la cam pagna , e voleudo insieme (160) conservarsi amici di Tolemeo pe’ beneficai da lui ottenuti, e non apparire di stender altrui la mano. Ma avendo nel progresso della guerra Cleomene abolita in patria 1’ antica forma di governo , e cangiata in tirannide la legittima potesti regia , e guerreggiando egli con accortezza ed insisten za , A m o preveggendo l’avvenire e temendo 1’ astuzia e 1’ ardire degli Etoli , risolvette prima d’ ogni cosa di render vani i loro disegoi. Conoscendo Antigono uomo (161) attivo ed intelligente , e tenace di fede, ma sa pendo aluesl bene, come (i6a) i re per natura non reputan nessuno n i inimico n i amico, ma l’ militi hanno sempre per misura delle loro nimicizie ed ami cizie , prese ad abboccarsi col mentovato re , e ad in trodurre seco lui pratiche, facendogli vedere l’ esito che avrebbono questa faccende. ■ Ma di operar ciò pale-
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R. semente credeva egli non convenirsi per più ragioni. Imperciocché Cleomene e gli Eloli sarebbesi procacciati rivali a’ suoi disegni, ed il volgo degli Achei avrebbe disanimato ricorrendo a’ nemici, e sembrando al tatto disperar delle proprie forze, locchè a nessun patto aver volea voce di fare. D perchè intendeva egli di maneg giar ciò che proponevasi segretamente. Donde avvenne che fh costretto a dir e a fare molte cose in pubblico conlro alla propria opinione, e di nascondere quanto macchinava. Pe’ quali riguardi egli qualcuno di questi sifari non inserì nelle sue memorie. XLVIU. Sapeva egli che i Megalopolitani molto sof ferivano nella guerra, perciocché confinavano colia La cerna , e più degli altri esposti erano alle ostilità , e che non riceveano la dovala assistenza dagli Achei, l quali oppressi Irovavansi dalle circostanze ; conosceva inoltre esser essi affezionati alla casa di Macedonia, sino da’tempi in cut ( 163) beneficali furono da Filippo figlio di Aminla. Quindi arguì, che stretti da Cleomene ricorsi sarebbono ad Antigono, ed ogni speranza avreb* bon riposta ne’ Macedoni. Comunicò adunque segreta mente tulio il suo disegno a Nicofàne e Cercida Me galopolitani , eh’ erano suoi ospiti paterni, ed acconcii all' opera da lui meditala. Per mezzo di questi facil mente ottenne da’ Megalopolitani di mandar un’ amba sceria agli Achei per esortarli a procacciare soccorsi da Antigono. Elessero pertanto quelli da Megalopoli Nicofane e Cercida ad ambasciadori presso gli A chei, e di li tosto presso Antigono , ove la nazione fosse per ac consentire. Gli Achei accordarono a’ Megalopolitani di
2q3 mandar ambasciadori, e Nicofane col collega non in- A. di dugiò di recarsi al re , cui intorno alla su* patria dis sero brevemente ed in succinto quant’ era. necessario ; ma circa la somma degli affari ragionarono molto se condo le incumbenze e le insinuazioni di Arato. XLIX. Le quali erano , di porre sott’ occhio al re F intelligenza degli Etoli e di Cleomene, qual forza avesse ed a che mirasse ; d’ esporgli, come i primi a temerne avrebbon ad essere gli Achei , e dopo questi Antigono ancor maggiormente. Imperciocché, come non possano gli Achei resistere alla guerra mossa da amendue , facil cosa esser a comprendersi ; ma come gli Etoli e Cleomene, soggiogati quelli, non sarebbono contenti nè arreslerebbonsi nel corsp della vittoria , es ser , a chi vi pone mente, più agevol ancora a cono scere. Che 1’ avarizia degli Etoli non che il Pelopon neso , i confini della Grecia non sazierebbono, e 1’ am bizione di Cleomene ed ogni suo disegno tender al presente al dominio del Peloponneso, ma ove ciò con* seguisse, incontanente agognerebbe alla sovranità di tutta la Grecia, a cui giugner non potrebbe senza pria disfare il regno di Macedonia. II pregaron adunque considerasse, volgendo Io sguardo all’ avvenire , se più util sarebbe a* suoi aiiàri di guerreggiar (i64) insieme cogli Achei e co’ Beozii nel Pelopooneso contro Cleo mene , pel principato della Grecia , ovveramente di ne gligere una tanta nazione, e combatter in Tessaglia cogli Etoli e co’Beozii, ed oltre a ciò cogli Acbei e co’La cedemoni peli’ impero di .Macedonia. Che se gli Etoli, compunti di vergogna pella benevolenza dimostrata loro
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A. din. dagli Achei
2q 5 Blamente perchè, siccome «Essi di sopra , Codiavasi di A. AH, non Abbisognar 4 * ajulL Chè se fosse slato costretto a ricorrervi, non voleva egli ohe la chiamata venisse, d^ ■è solo , sibbene ancor più da tatti gli Achei. Imper ciocché temeva, non il re , ove dopo il suo arrivo sog giogali avesse Cleomene ed i Lacedemoni, meditasse alla fine qualche cosa contro alla loro repubbliaa , ed egli dalla comun opinione accagionato fosse di celai avvenimento { dappoiché a buon dritto sembrerebbe Antigono aver ciò fatto , pella grave offesa da Arato derivata alla casa di Macedonia nella presa della rocca di Corinto. Laonde venuti i Megalopolilani al comune consiglio degli Achei , e mostrata a questi la lettera che avean ricevuta, edr esposta loro tutta la benevolenza del r e , ed avendo inoltre chiesto che si chiamasse Antigono prestissimamenie , concorrendo in questo de siderio la maggior parte degli Achei : Arato si fece innanzi, e commendata la benignità del r e , gli esortò con molle parole a far ogni sforzo per salvare da sè le città e la campagna : che nulla v’ avrebbe di più bello e di più vantaggioso. Che se la fortuna in ciò fosse loro avversa , dover essi, disse , pria esaurir lutti i proprii mezzi, poscia ricorrer agli ajuli degli amici. LI. Poiché la moltitudine ebbe significata la sua ap provazione ? fu decretato di non mutar nulla , e che gli Achei da sé eseguirebbòno la presente guerra. Ma poscia che Tolemeo, ( 167) lasciando per disperata la nazione Achea, incomiuciò a somministrar 1’ occorrente a Cleomene, con animo
A.diR. non negli Achei per impedir i disegni de’ re di Mace donia ) ed essendo dapprincipio gli Achei suti sconfitti presso al (168) Liceo in un combattimento con Cleo mene in cui eransi per via avvenuti, e la seconda volta superati in una battaglia campale a (169) Ladocea di Megalopoli, ove cadde pur (170) Lidiada , e la terza al tutto rotti nel territorio di Dime presso Ecatombe*), ove pugnato aveano con tutte le forze , non permet tendo gii dilazione lo stalo delle cose, costretti furono a ricorrer d'unanim e consenso ad Antigono. Allora dunque mandò Arato suo figlio per ambasciadore ad Antigono , e fermò il trattato intorno agli ajuti. Ma recava somma difficolti ed imbarazzo il credere che il re non avrebbe prestati soccorsi, se pria non avesse ricuperata la rocca di Corinto, e formalo della città di Corinto il porto della guerra. Ni osavano gli Achei di consegnar Corinto a’ Macedoni contra la volontà degli abitanti. Il perchi fu dapprima differita questa delibe* razione , a fine di provveder alle guarentigie. LII. Cleomene, spargendo terrore colle anzidette vit torie , impunemente scorreva pelle città , prendeudo le une colla persuasione, le altre colle minacce. P er tal guisa ebbe Calila , Pellene, Fereo , A rgo, Fliunte, Cleone, Epidauro, Ermione, Trezene, e finalmente Corinto: indi accampossi presso a Sicione, e liberò gli Achei del maggior impaccio. Imperciocché avendo i Corinti! intimato agli Achei e ad Arato lor pretore di sgomberar la città e mandato a chiamar Cleomene, fu data agli Achei opportunità di addurre ragionevole pre testo, del quale valulosi Aralo (171) data ad Antigono
*97 la rocca di Corinto, che allora tenevano gli A chei , J .& 1L cancellò il torto fatto alla sna casa, e gli forni un s«£fidente pegno di fedeje sodetA peli’ avvenire , e , c& che più montava , preparò ad Antigono no punto forte per far la guerra a’ Lacedemoni. Cleomene , conosciuto il trattato che fecero gli Achei con Antigono, si tolse da Sidone ; e trasportò il campo all’ Istmo, chiudendo con steccato e fossa tutto Io spazio compreso tra la rocca di Corinto (172) ed i monti Onei : e giA ab bracciava egli con ferma speranza il prindpato del Pe loponneso. Antigono, che da lungo tempo era preparato, e stava in aspettazione degli avvenimenti, conforme fu da Arato ammonito, giudicando allora dalle nuove che gli giugneano , dover poco stante (173) Cleomene coll’ eserdto penetrar in Tessaglia, mandò dicendo ad Arato e agli Achei che attenessero i patti, e venne colle sue forze (1 peli'Eubea nell’ Istmo : che gli E loti scal triti dal passalo, volendo allora pure impedir che An tigono non spedisse a ju ti, aveangli negato l’ entrata coll’ esercito nelle P o rte , minacdandogli che altrimenti gli avrebbono colle anni vietato il passaggio. Antigono pertanto e Cleomene accamparonsi l’uno di rincontro all’ altro; quegli ingegnandosi d’ entrar nel Peloponneso, questi d'im pedir ad Antigono l’ icgresso. LUI. Gli Achei, sebbene non poco nella somma delle cose abbattuti, non desistettero tuttavia dal loro pro ponimento, n i rinuuziarono ad ogni speranza. Ma come prima Aristotele Argivo insurse contra i Cleomenisii, vi accorsero, e col Pretore (175) Timosseno, entra rono di soppiatto in Argo e la presero. Dal qual av-
398 a . £ h. venimento é da credersi
che derivasse principalmente, il ristabilimento de’loro affari, perciocché ne fi) ralle nulo 1* impeto di Cleomene, ed avviliti gli animi dei aoldati, conforme da’ fatti «lessi apparve. Conciossiaché, quantunque egli occupasse i luoghi più opportuni, e più che Antigono abbondasse di provvigioni, e con maggior audacia ed ardor di gloria si foste spinto in sanii (176); non si tosto riseppe egli aver gli Achei preso A rgo, ch e, levatosi di repente , lasciò i van taggi testé indicali, e ri lirossi quasiché andasse in volta, temendo non da ogni lato gli fossero attorno i nemici. Giltatosi in Argo , alcun poco vi si sostenne, ma fii poscia valorosamente scacciato dagli Achei, e dagli A r givi ancora , che il pentimento stimolava ; onde lasciò questa impresa, e per la strada di Manlinea si ridusse a Sparta. LIV. Antigono pertanto entrò a salvamento nel Peloponoeto , e ricevette la rocca di Corinto, ma non vi si trattenne punto , e seguitando il corso degli avvenimenti venne ad Argo, donde lodati i cittadini, e dato ordina a’ pubblici affari, mosse tostamente alla volta di Arca dia. Espulse i presidi» dalle castella fabbricale da Cleo mene nel territorio (177) Egitico e Beiminate, e con* segnali que’ luoghi V Megalopolilani andò al congresso degli Achei in Egio. Colà rendette ragione delle sue gesta, e deliberato eh’ ebbe su ciò che restava a farsi, fu eletto a duce di tulli gli alleati ; poscia andò alle stanze, e soggiornò qualche tempo a Sicione ed a Coc n x ix l'imo. In sull’ incominciar della primavera si parli di lù 53o coll' esercito , e arrivato in tre giorni a T egea, ove gli
a99 vennero incontro gK Achei, vi pose attorno'il campo, J . i£JL e principiò ad assediarla. I Macedoni usavan asudoatnente ogni arte nell’ assedio, e scavavano m ine, per modo che i Tegeati perdettero tosto la speranza di tal» varai e si arrendettero. Antigono , afforzata la d iti , continuò l’ impresa, e prosegui io fretta verso là La» conia. Come fn vicino a Cleomene, ch^erasi stanziato a’ confini del suo territorio, andava tastando, ed ap> piccava qualche scaramuccia; ma avvisato dagli espio» ratori che i soldati d’ Orcomeno (176) eran venuti in •occorso di Cleomene, levò subito le tende , ed avviossi a quella città che prese d’ assalto. Accampatosi poscia nei dintorni di Man linea -vi pose l’assedio. Questa pure, sbigottita de’Macedoni, si diede in suo potere; ond’egli levatosene, progredì verso Erea e Telfusa. E prese quesie città ancora , gli abitami delle quali spontanea* mente a lui si accostarono ( 179), essendo già vicino il verno, fu in Egio al congresso degli Achei. I Mace doni mandò tutti a svernar in patria, ed egli iutertesevasi cogli A chei, e seco loro si consigliava circa gli imminenti affari. LV. Frattanto veggendo Cleomene che I’ eserdto era licenzialo e che Antigono soggiornava co’ mercenarii in Egio, Ire giornate sole distante da Megalopoli, la qnal duà sapeva eh’ era difficile a guardarsi pella sna va stità e solitudine , ed allora con negligenza cuslodivasi per cagione, della presenza d’ Antigono , e conoscendo altresì, locchè maggiormente importava, come perita era quasi lutta la gioventù nella battaglia del Liceo , e poscia in quella di Ladocea ; valutosi dell’ opera di al-
3oo A. diR. cani ( 180) fuoruscili di Messene che dimoravano a M egalopoli, per mezzo -di loro clandestinamente di notte tempo vi s’ introdusse. Venuto il giorno poco mancò, che non solo fosse scacciato, ma che al tutto rimaneste sconfitto pel coraggio de' Megalopolitani, non, altrimenti che gli era accaduto tre mesi addietro , quando entrò segretamente nel luogo (181) della città denominato alla spelonca; ma allora pella moltitudine de’ soldati, e per* chè avea preoccupati i siti più opportuni, gli riuscì l’ impresa , ed alla fine , espulsi gli abitanti, tenne la città. Fattosene signore, tanto crudelmente la guastò, che nessuno sperava poter essa uu1 altra volta abitarsi. La qual cosa, secondochè io credo , egli fece , perché in qualsivoglia più dura circostanza, nè tra (18») i Me* galopo!itani, nè tra gli Stinfalii, potè procurarsi ano che favorisse la sua fazione, o partecipasse le sue spe ranze , o gli tradisse la patria. Che i generosi e libe rali Clitorii un uomo solo vituperò colla sua scellera tezza; Tearce, che i Clitorii meritamente negano esser nato tra loro, ma dicono supposto figlio di certo sol dato veuulo da Orcomeno. LVI. Ma dappoiché v’ ha taluno che intorno agli avvenimenti di que’ tem pi, descritti da Arato, stima di maggior fede meritevole Filarco ( 183), il quale in molte cose è di parere diverso , e riferisce il contrario ; sarà utile, anzi necessario , che n o i, come quelli che nella sposinone delle gesta di Cleomene abbiam preferito di seguir A rato, non omettiamo di discutere cotesto par ticolare (i8 4 ), affinchè per la nostra omissione non avvenga che la menzogna e la verità icaggan egual fona
3oi dalle scrittore. È da sapersi adunque, come Filarco in A. di R. (aita la sua storia moke cose asserì temerariamente e a caso. Se non che circa gli altri fatti non accade ora censurarlo, n i far minuta disamina ; ma tutto ciò che s’ abbatte a’ tempi di cui scriviamo, cioè a dire a’ tempi della guerra Cleomenica, è d’ uopo che di proposito investighiamo. Locchè basterà per far conoscere tutto lo ( i 85) spirito ed il valore della sua storia. Volendo Filarco far chiara la crudeltà di Antigono e de' Mace doni , ed insieme quella di Aralo e degli Achei, dioe come i Mantinesi, venuti in potere de’ nemici, caddero in grandi sciagure, e come la città più ricca e più grande di tutta l’Arcadia fu da tali disgrazie sbattuta, che tutti i Greei posti ne furono (186) in agitazione e tratti a lagrime. Ed ingegnandosi di muover a pietà i leggi tori , e d’ intenerirli colla sua relazione , introduce ab bracciamenti di donne, e capelli stracciati, ed ignuda mammelle, oltre a ciò lagrime e lamenti d‘ uomini e di donne, che promiscuamente co’ figli e co* vecchi ge nitori vengono via menati. E ciò fk egli per tutta la storia , studiandosi sempre di porre sott’ occhio quanto v’ ha di più spaventoso. Lascio ciò che siffatto stile ha di abbietto e di femminesco, ed esamino soltanto la parte propria ed utile della storia. Dee pertanto lo sto* ri c o , non colpir i leggitori col sciorinar fatti miraco* losi, nè ricercar discorsi probabilmente tenuti, e anno- ■ veiar ogni conseguenza degli avvenimenti che trattansi, conforme £mpo i compositori di tragedie; sibbene ha egli a rammentar i fatti e i detti secondo la verità, quand’ anche per avventura sieno al tutto (187) comuni.
3oa A.iiM. Imperciocché non hanno Moria e tragedia il medesimo scopo. Questa eoa ragionamenti al sommo probabili desta di presente negli uditori maraviglia e diletto; quella per via d’ azioni e di discorsi veri ammaestra e persuade i curiosi per tutti i secoli avvenire ; dappoiché nella tragedia regna il verosimile , quantunqne aia meo■oguero (i8N), a fine d’ aggirare gli spettatori: laddove nella storia ha il vanto la verità, affinché cLi brama d ’ istruirsi ne tragga profitto. Oltreché quella espone le maggiori vicende, e non soggingne la causa ed'il modo dell' avvenuto, senza cui né impietosir con ra gion e , né convenevolmente sdegnarsi può alcuno di qualsivoglia avvenimento. E chi è colui che non freme degli stracii d’ uomini liberi t Tuttavia ove patisca tale che fu autor d’ offese, ciascheduno gùvlica che bene gli stà. E se ciò mira a correzione ed ammaestramento, quelli che straziano siffatti uomini liberi «on eziandio reputati degni d’ onore e di riconoscenza. Ora massimo delitto è stimato uccider i cittadini, e meritevole dei maggiori snpplizii, comechè chi uccide un ladro o nn adultero sia manifestamente dalla pena assolto, e chi punisce un traditore o un tiranno oitenga presso tutti i primi onori. Cosi in ogni cosa la fine del giudizio su ciò che (189) lode o biasimo si merita non dipende già da’ fatti stessi, ma dalle cause e delle intenzioni di chi li commette, e dalle loro differenze. LYLL 1 Mantinesi adunque dapprima spontaneamente rinunziarono alla repubblica degli A c h e i e diedero sé e la loro patria agli E toli, poi a Cleomene. Abbrac-* ciato eh’ ebbero questo partito, e facendo^ià parte delio
3o3 «tato de' Lacedemoni, quattro anni avanti 1’ arrivo di A.dilt. Antigono espugnati furono dagli Achei, avendo Arato tenute pratiche uella città. Nel qual tempo furono tanto lungi dall’ essere severamente puuiti del delitto lummen* tovato, che anzi andava per le bocche la repentina mutazione di volontà in amendue. Imperciocché non ai tosto ebbe Arato occupala la città, che ordinò a’ auoi di non toccar nulla della roba altrui; poscia ragunò i Manliuesi, e confortolli a non temere e ad attender ai proprìi affari : che sicuri vivrebbono in società di go verno cogli Achei. I Mantinesi, cui surse impensata e tnaravigliosa speranza, tutti netl'istante si ridussero a sentenza contraria, e gli atessi, che non ha guari, pu gnando cogli Achei, erausi (190) veduti (191) perite dinanzi molti de' loro consanguinei, e non pochi cadere gravemente • feriti , introducevano quelli nelle proprie case, e facevanli commensali di sé e della famiglia , e nessun atto di benevolenza verso di loro omettevano. £ ben a dritto ciò fecero. Cbe io non sò , a chi tra gli uomiui sieno toccati nemici di miglior animo, nè se mai alcuno lottasse coti minor danno contro le più gravi sciagure di quello che avvenne a’ Mantinesi, mercè dell’ umanità che loro usarono Arato e gli Achei. LV I 1I. In appresso , avendo sentore di qualche mo vi*- nto intestino, e delle macchinazioni degli Eloli e d ° rS^icedemoni, mandarono per ambasciadori chiedendo un presidio agli Achei. I quali avendo loro compiaciu* to , trassero a sorte trecento de’ su o i, che lasciala la patria e le fortune si partirono e dimorarono in M:in« linea a guardia della libertà e della salvezza de’ citta-
3o4 J. £ B . din!. Con esii spedirono pare dugento mercenarii, i quali insieme cogli Achei conservarono l’ ordine vigente. Ma non molto dopo, sollevatisi i Mantinesi, chiamarono i Lacedemoni, e consegnaron loro la città, trucidando gli Achei che tra loro soggiornavano: sceilerateua, della quale più grande e più terribile non è fàcile a dini ; dappoiché, per quanto avessero risoluto di an nullar ogni amicizia e riconoscenza verso quella (ia sione , dovean essi non pertanto risparmiar la mento vata gente, e lasciarla tutta andare sotto la fede dei trattati: la qual cosa è costume di accordar perfino ai nemici, secondo il diritto comune delle genti. Ma essi per dar un sufficiente pegno della loro fede a Cleomene e a’ Lacedemoni nell’ impresa che meditavano, trasgredirono le leggi dell' umanità, ed il più orrendo misfatto eseguirono di proprio mòto. Ora di qnal indi gnazione non sono meritevoli coloro i quali barbara mente micidiali divennero di quegli stessi, che presi avendoli in addietro colla fona diedero loro impunità, ed allora custodivano la loro libertà e salvezza f Qnal supplizio stato sarebbe condegno a tanta colpa f D iri forse taluno: (iga) venduti esser dovevano co’ figliuoli e colle donne, poiché furono debellati. M a, secondo le leggi della gnerra, soggetti sono a ciò sofferire ezian dio quelli che nessuna empietà hanno commessa. Adun que si meritaron essi ben più grande e segnalata f iizione , per modo c h e , quand’ anche avessero patite quelle cose che narra Filarco, nessuna compassione conseguir dovrebbono da’ G reci, i quali auzi più presto lode ed approvazione tributata avrebbono a’ vendicatori
3o5 unta scelleratezza. Ciò non di meno, altra disgrazia A. dì ft. non tessendo seguita a’ Mantinesi, fuorché d’essere state rapite le loro sostanze, e vendute le persone liberei quello scrittore', spacdator ili miracoli, non solo affa stellò mere bugie » ma bugie incredibili ancora, e per eccesso d’ ignoranza non ha saputo quanl’ era più ov vio; come gli stessi Achèi insignoritisi nel medesimo tempo per forza di Tegea, nulla fecero di simile. Ma se la vera causa di que’ fatti stala fosse la loro cru deltà , ragion voleva che questi pure, cadnti nell’ epoca stessa , sofferte avessero eguali pene. Ora , avendo essi fatta colai distinzione ne’ Mantinèsi soltanto , manifesto egli è cbe la causa dell’ ira coatra di loi o fu molto grave. LIX. Oltre a ciò, dice il medesimo, come (193) Aristomaco argivo, uomo di' nobilissima casa , che1fu già ti ranno d’Argo * e discendeva da .tiranni, caduto nelle mani d’ Antigono e degli Achei, fa menato a (<94) Ven erea , e morto con tormenti : terribile a detta sua , e ingiustissimo attentatò tra quanti mai ne furono com messi. E serbando qui pure lo stile a lui proprio, finge egli certe voci del tormentato <193) nel silenzio della notte , venqle alle orecchie di quelli cbe abitavan da presa*, e che patte attoniti di tanta empietà , parte perchè non credevano, parte perchè n’ erano sdegnati, corsero a quella casa. Ma lasciarti oramai siffatta tragica ostentazione ; che abbastanza già ne abbiam parlato. Io, a dir vero , giudico Aristomaco, quand’anche non fosse stato reo d’ altro delitto contra gli A chei, per II tenor della sua vita , e per la sua perfidia verso della patria, pouBio , tomo 1. ao
3o6 A. £ tt. degno del maggior supplivo. Sebbene F astore, eoa animo d’accrescere là sua reputazione, e muover vie più a sdegno i leggitori per ciò cbe «offerse, dica esser lui stato non solo tiranno, ma eziandio da tiranni di sceso : accusa délk quale maggiore o più acerba fadl non £ die alcuno possa pronunziare, dappoiché lo stern nome di tiranno suona empietà , e abbraccia quanto v’ha fra gli uomini d’ ingiusto • di scellerato. Che se Aristomaoo sostenne, conforme dice costui, i più atroci supplici! f non iscontò egli tuttavia qnel solo giorno, in cui Arato entrato nascostamente nella città oon una mano d’ Achei, e combattendo pella libertà degli Argivi, a gnodi perìcoli s’ espose , e ne iu finalmente scaccialo per non essersi in quella mossi i congiurati, che temevan il tiranno. Aristomaco, giovatosi di qtìesla occa sione e del pretesto che alcuni erano iotesi dell’ ingresso degli Achei, ottanta de’ primi cittadini, al tutto inno centi , fece martoriar e sgpszare al cospetto de’ loro eonsanguinei. Tralascio le altre scelleratezze, commesse da lui nel corso della sua vita, e da’ suoi antenati : che lungo sarebbe il narrarle. LX. 11 perchè non è da reputarsi cosa indegna se gli fu renduta la pariglia ; sibbene molto più indegno sarebbe , se costui, senza provare siffatti guai , morto fosse impunito. Nè debbonsi Antigono ed Arato incol par di perfidia, s e , preso avendo il tiranno per diritto di guerra, 1’ uccisero con tormenti ; perciocché in tempo di pace ancora chi toglie di mezzo un tale ed il mar toria , lode ed onor conseguisce da ciascheduno che giusto estinta. Ora s e , oltre a dò che dicemmo, egli
3oj violò la fede agli Achei, qnale strazio si è meritato f A.di RChe non molto prima area egli deposta la tirannide , ridotto in angustie dalle circostanze (196) pella morte di Demetrio, e contro ogni speranza fu salvo, protetto dalla moderazione ed onestà degli Achei, i quali non solo esente il fecero dalla punizione conveniente alle scelleratezze eseguite nella sua tirannide, ma assodatolo alla loro repubblica, lo insignirono del più grande onore, eleggendolo a loro dace e pretore. Mu egli, ben tosto dimenticatosi di tanta amorevolezza, poiché incominciarono a , rifiorir le sue speranze in Cleomene, separò la patria e 1’ animo dagli Achei ne* tempi più difficili, ed unissi a’ loro nemici. Costui, come fu preso ( non dovea già morir martoriato in Cencrea nel silenaio della notte, siccome riferisce Filaroo , «sa condotto per tulio il Peloponneso, e ad esempio mostrato fra tor« menti spirare. E tuttavia no colai mostro non ebbe a patir altro, se non se d’ esser sommerso (197) per co» loro cbe n'ebbero l’ incarico in Cencrea. LXI. Senza che Filarco ne narra le sciagure de’Man* traesi con esagerazione e grande apparalo di parole, supponendo, per quanto apparisce, esser dovere dello storico di rilevare le azioni scellerate. (198) Ma della generosità che a que’ tempi esercitarono i Megalopolrtani egli non fa punto menzione : quasi che 1’ annoverar L delitti sia più famigliare alla storia, che l'additar le opere belle e giuste, o meno corregga i leggitori la re*> lazicne di pratiche buone e commendabili, che nata quella di azioni empie ed abbominevoli. Come adunque Cleomene prendesse la città, e come intatta la costo*
3o8 J.& ti. disfle, e mandaste tòno lettera a'Megalopolitani eh’ e* raso in Messene, invitandoli a ripigliar illea la patria, e -ad associar la loro causa colla sna, ciò ne espóse egli bene, con intendimento di farci conoscere la ge nerosità e la moderazione di Cleomene verso i nemici ; cosi ancora come i Megalopolitani non lasciarono cbe ti finisse di legger la lettera , e per poco non lapida rono i corrieri cbe l’aveano portata. Fin qui giugne la sna sposizione ; ma omette egli ciò che segne, e che propriamente alla storia appartiene : vale a d ire , la lode di que’ da Megalopoli, e la menzione della magnanima loro volontà ne' buoni proponimenti; sebbene egli avea queste còse fra mano. Imperciocché se reputiamo uomini virtuosi coloro, che colla parola e colla risoluzione sol tanto sostengono una guerra pegli amici e gli alleati, e a quelli cbe assoggettanti al guasto delle campagne ed all’ assedio , non solo lode, ma la maggio* ricono scenza ed i più splendidi doni tributiamo ; qual opi nione avremo noi de’ Megalopolitani ? Non diremo che ottimi iurono e di vaglia f Essi che abbandonarono pri mièramente a Cleomene le loro oampagne, poscia per» dettero al tutto la patria, perchè parteggiavano cagli Achei, e finalmente essendo loro inaspettatamente e oltre ogni speranza data la facoltà di riacquistarla senza danno, preferirono di privarsi delle terre, de’sepolcri, de’ tem pli, della patria, delle sostanze , in somma di quanto ha Fuorno di più caro, anziché tradir la fede data agli alleati. Di siffatta azione qual fu o sarà mai più bella ? A che cosa rivolgerà uno storico maggior» mente l’attenzione de' suoi leggitori ? e oon qual esem-
3ó9 pio potrà egli maggiormente eccitare a serbar la fede -, A. UH. e a contrar società con (199) sincere e ben fondate repubbliche ? Delle quali cose Filareo non. fece men zione alcuna , cieco, per- quanto mi sembra, alle opere più egregie, e cbe precipuamente allo storico appar tengono. LXII. Prosegue egli dicendo, che delle spoglie di Me galopoli i Lacedemoni toccarono sei (200) mila talenti, de’ quali, secondo il costume , due mila furono dati a Cleomene. Chi non istrabilierà qui dell* imperizia e ignoranza eh* ebbe costui di ciò che tutti sanno intorno al peculio ed alle facoltà degli stali della Gre cia ?. La qual cognizione procacciarsi debbe sovra ogni altro chi scrive storie. Ora io sostengo , che non già a que’ tem pi, in cui le guerre co* re di Macedonia, e le continue intestine contese ridotto aveano il Peloponneso a pessimo partito, ma (201) a’ nostri giorni ancora, ne’ quali tutti hanno un sol volere, e goder sembrano della maggior prosperità , dulie .suppellettili di tutto il Peloponneso, senza le persone , accozzar non si po trebbe tanta copia di danaro. G che noi non asseriamo ciò temerariamente, ma a buona ragione appqggiati , quindi fia palese. Ch'i è colui che legge storie e non sa , come allorquando gli Ateniesi insieme co’ Tebani andaron a campo conira i Lacedemoni, e spedirono dieci mila soldati, ed allestirono cento galee, avendo determinato di levar le spese della guerra dal censo dei cittadini , stimarono tutto il territorio dell’ Attica , e le case, ed ogni loro sostanza, e ciò nondimeno tutta la stima non giunse a sei mila talenti, da cui mancavano
3io A.iiB. dugenlo cinquanta? Donde appariice non esser inverisimile ciò che ho testé asserito per rispetto a' Pelopon nesi. Ma che a que’ tempi siensi cavati da Megalopoli oltre trecento talenti, nettano oserà d' affermare , per quanto esagerar vaglia; dappoiché è noto che quasi tutti, cosi liberi, come schiavi fnggiron a Messene. Il maggior documento pertanto della verità di ciò che di» cemmo si è , che i Mantinesi, agli altri Arcadi non punto inferiori di potenza e di ricchezza, conforme egli stesso*dice, allorquando presi per assedio si arren dettero , per modo che nessuno potè agevolmente fug gire , o trafugare qualch* effetto , non furmaron allora insieme colle persone una preda di trecento talenti. LXIII. E ciò che il medesimo soggiugne a chi non recherà stupore ? Imperciocché dopo quelle asserzioni, die’ egli, che dieoi giorni circa avanti la battaglia venne da (aoa) Tolemeo un ambasciadore, il quale annunziò a Cleomene , come Tolemeo non volea più sommini strar le spese, ma lo esortava a riconciliarsi con Anti gono : locchè udendo, egli risolvette di avventurarsi a nn fatto generale, innanzi che 1’ esercito risapesse cotal notizia, non avendo egli speranza alcuna di pagare del proprio gli stipendii a’ soldati. Ma se intorno allo stesso tempo divenne padrone dì sei mila talenti, poteva egli superar eziandio Tolemeo nella facoltà dispendere, e se combattendo con Antigono ne avesse posseduti soli trecento, sufficiente sarebbe stato a prolungare la guerra oon sicurezza. Ma asserire che tutte le speranze di Cleomene riposte erano in Tolemeo per cagione delle spese, e dir ad nn tempo eh’ egli allor appunto s’ ini-
311 possessò di tanti danari , come non A ciò prova della A. di R. più grande pania e sconsideratezza ? Molte altre cose limili riferisce cotesto autore, appartenenti cosi « quei tem pi, come alla storia in generale, di cui suppongo cbe basterà al nostro proponimento dò che pur ora ne ho detto. LXIV. Dopo la presa di Megalopoli, svernando An tigono in A rgo, Cleomene all’ avvicinarsi della prima vera fece ragù nati di gente, ed avendola aringata, se» condocbè richiedeva la circostanza, nsd coll' oste ed invase il territorio degli Argivi: impresa, secondochè sembrava alla moltitudine temeraria e audace, per ca gione della fortezza de’ luoghi che vi danno accesso j m a , (ao 3) giusta il parere di chi diritto argomentava , si cura e prudente. Imperciocché veggendo che Antigono congedate avea le sue forze, sapeva egli bene, che pri mieramente la sua invasione sarebbe senza pericolo , in secondo luogo, che essendo la campagna guastata sino alle m ura, gli Argivi necessariamente a cotale spetta colo sarebbonsi doluti, e ne avrebbono biasimato An tigono. Che se egli per avventura non avèsse potuti sopportar (ao4) gli strazii del volgo ; ed uscito in campo si fosse cimentato colle forze che avea, per fermo te neva Cleomene, che fàcilmente a sè toccata sarebbe la vittoria. Ma se saldo nella sua sentenza, si fosse ripo sato , atterrendo gli avversari!, e colle proprie forze ispirando fiduda a' suoi, credeva egli che salvo si sa rebbe ridotto a casa. La qual cosa eziandio avvenne c c i n t i che come guastavasi la campagna, il volgo facea eroe- S'it c h i, e svillaneggiava Antigono, il quale, da grande
diR. capitano c re , slavasi cheto (ao 5) , non avendo mag gior cura che di render a sè Steno conto de’ saot fatti. Cleomene p«rtanto, avendo secondo il suo primo di visamente , devastala la campagna, spaventati gli wversarii, e rinfrancati i suoi contro l’ imminente pericolo f ritornò salvo a casa. LXV. Ma come si appressò la stato, ed i Macedoni e gli Achei uscirono delle stanze, Antigono, ripresa la spedizione, andò cogli alleati nella Laconia. Avea egli, Macedoni, dieci mila, che componevano la falange, tre mila d’ armadura leggera, e trecento cavalli ; inoltre mille (206) Agriani, e Galli altrettanti; (aoj) mercenari! in tutto tre mila fanti e trecento cavalli, Achei scelti, tre mila fanti, trecento cavalli; Megalopolitani mille, ar mati alla Macedonica , che conduoeva Cercida da Me galopoli ; di alleali, Beozii due mila fanti, dugenlo ca valli ; Epiroti mille fanti, cinquanta cavalli, Acarnani altrettanti ; Illirii mille seicento sotto Demetrio da Fara. (ao8) Per modo che tutte le forze sommavano veni’ol io mile fanti, e mille dugento cavalli. Cleomene , aspet tando 1’ attacco, afforzò gli accessi al paese con presidii, con fossi, e con tagliate d’ alberi, ed accampossi presso Sellasia con un esercito di venti mila uomini, conghietlurando che i nemici da quella parte fàrebbono impressione; locchè avvenne. Due colli formano quel l’ingresso di cui l’uno è chiamato Èva, l’altro Olimpo. In mezzo a questi , lungo il fiume E nunte, passa la strada che conduce a Sparla. Cleomene tirò dinanzi ai mentovati monti fosso e steccato, e schierò sull’ Èva le milizie de’ sudditi (209) vicini e degli alleati , a cui
3i3 prepose il fratello Euclida, ed egli ocitipà 1’ Olimpo A-d ifi co Lacedemoni e co’ mercenarii. Nel piano , sulla riva del fiutne , da amendue i la li della strada, al telò là cavalleria con parte de’ mercenarii. Antigono, come venne e osservi la fortezza de’luoghi, e che Cleomene presi avea i siti opportuni con tntte le parli dell’ e*eid eilo , tanto acconciamente , che : il complesso rappresen tava un accampamento di buoni (aio) armeggiatoli in posizione d’ avventare ( perciocché nulla mancava di ciò che appartiene all’attacco e alla difesa, ma era Tot* dinanza imponente ed insieme l’alloggiamento di dilBcil accesso): ciò, dissi, osservando, non volle tentar l'as salto e temerariamente affrontarsi. LXVI. Accampatosi in poca distanza, e messosi da vanti il fiume ( a n ) Gorgilo, vi rimase alcuni giorni, per spiare la qualità de’ luoghi e l ' indole delle forze, e facendo talvolta vista d’ assaltare , provocava gli av versarli a discoprire le lóro intenzioni. Ma non potendo trovar nulla che non fosse ben custodito ed armato , giacché Cleomene, a lutto apparecchiato, l’ avea preve nuto, abbandonò cotesto consiglio. Finalmente di motno accordo divisarono di decidere con nna battaglia tolto l’ affare : che egregii al tutto e simili capitani avea in costoro la fortuna fatti venir insieme al paragone del— I’ armi. Schierò dunque Antigono di rincontrò a quelli eh’ erano sulf Èva i Macèdoni che portavano lo scudo di bronzo, e gl’ Illirii alternatamente per compagnie, e prepose loro (aia) Alessandro figlio d’ Acmelo e De metrio da Fara. Dietro a questi venivano gli Acarnani ed i Cretesi , e alle loro spalle erano due mila Achei
3i4 diR. per riscossa. I cavalli collocò presso il fium ^Ennoto rimpetto alla cavalleria nemica, dando loro per duce Alessandro, ed a' fianchi d’ essi pose mille Achei e al tre t U n ti Megalopolitani. Egli avendo seco i mercenari! ed i Macedoni risolvette di combattere con quelli ch’erano sull’ Olimpo intorno a Cleomene. Messi adunqoe i mercenari! nella prima schiera, vi pose dietro la fa lange de’ Macedoni ( a i 3) divisa in due parti che di presso seguiva»!, obbligato a ciò fare dalla strettezza de’ luoghi. Il segnale convenuto cogl’ Illirii per ine»* minciare 1’ assalto > era quando avrebbon veduto alzarsi hu punnolino dalle vicinanze dell’ Olimpo ( che eransi ( a i 4) costoro appiattati di notte tempo nel fiume G orgilb , e stretti alle falde della collina ). Co’ MegalopoliU ni e colla cavalleria fa accordato, che facessero lo stesso, poiché il re sventolato avesse un drappo di porpora. LXVII. Venuto il tempo della ( a i 5) fazione, come fu dato il segno agl’ Illirii , quelli, cui ciò era com messo, comunicarono gli ordini convenienti: (a i6) ecco subitamente tutti mostrarsi, ed incominciar l ' attacco dell’ altura. Allora (a 17) l’ armadura leggera di Cleo mene, schierata dapprincipio colla cavallerìa, veggendo le insegne degli Aeh<;i da tergo ignude, assaltò le ul time file , e trasse iti gravissimo perìcolo quelli che sforzavansi di superar il colle, sendochè Euclida loro sovrastava dall’alio di fronte, e i mercenarii alle spalle gl’ incalzavano , e forte menavano le mani. In quello accortosi dell’ affare il Megalopolila (a 18) Filopemene , preveggeudo ciò eh’ era per avvenire , prese primiera-
3i5 ■lente ad avvertirne i caporali; ma siccóme nessuno gli A. dì R. dava retta , perciocché non avea egli mai comandato in campo, ed era molto giovine , così aringati i suoi con* cittadini, attaccò i nemici arditamente. Frattanto i mer cenari! , che premevan alle spalle qnelfi che salivano , udite le grida , e veduto 1’ azzuffamento de* cavalli , la sciata 1’ impresa, corsero alle prime stazioni in ajnto de’proprii cavalli. Per tale avvenimento spacciati essendo da ogni ostacolo gl* Illirii, i Macedoni e tutta la mol titudine che con essi montava , con veemenza e corag gio andaron addosso agli avversarii. Donde poscia fu manifesto essere stalo Filopemene cagione della vittoria riportata sovra Euclida. LX VIII. Q uindi, dicesi , avere di poi Antigono ta stato Alessandro , Generale della cavalleria , chiedendo gli , perchè egli avesse incominciata la battaglia , pria che fosse stato dato il segno ? Il quale negando d’ aver ciò fatto, e dicendo come un giovinetto Megalopolitano contro il suo parere anticipato avesse 1' attacco, Anti gono replicò , quel giovinetto aver fatto l’ ufficio di buon capitano, conoscendo il tempo opportuno, e Ini, sebbene capitano, essersi diportato da giovinetto grega rio. Euclida pertanto, veggendo salir le insegne, lasciò di valersi delle buone posizioni. (219) Doveva egli an dare da lungi incontro al nemico, gì tursi nelle sue file, scombuiarle , e romperle , poscia ritirarsi, a poco a poco, e ricoverarsi a salvamento ne’ sili più alti: che cosi, disordinati gli avversarli, e renduta inefficace la proprietà dell’armadura e dello sdiieramenlo, gli avrebbe agevolmente messi in fuga peli’ opportunità de' luoghi.
3i 6 A. diR. Ma non ne fece nulla ; anzi quasiché avesse la vittoria in pugno, opero tutto il contrario. Imperciocché rimase nella prima stazione sulla vetta del colle , come per prendere colà i nemici che tendevano alla sommità , affinchè la lor fuga succedesse per luoghi molto precipi tosi e scoscesi. Ma avvenne, conforme era ragionevole, 1’ opposto : che non avendo lasciato alcuno spazio alla ritirata, e ricevendo l’ impeto delle insegne intatte e ad un tempo serrate, fu egli ridotto a tanta angustia, che (aao) lungo la stessa cima dovette pugnare con quelli che innanzi spingevanii. Oppressi adunque nell’istante dalla mole dell’ armadura e delle schiere dense, presero gl’ Illirii tosto la posizione che occupava la sua gente, (aai) e questa prese la più bassi, perchè non le era rimasto luogo sufficiente per ritirarsi e per cangiare sito. Donde avvenne che andò presto in volta con grande ruiua , facendo la ritirata per luoghi dirupati e impraticabili. LXIX. Mentre che ciò succedeva s'accese la mischia fra la cavalleria , facendo grandi prove di valore i ca valieri A chei, e singolarmente Filopemene, perciocché tutto il combattimento era pella loro libertà. Ove per avventura cadde a Filopemene il cavallo mortalmente percosso, ed egli pugnando a piedi fu con grave ferita trafitto in (aaa) amendue le cosce. I re affrontaronsi dapprima presso all’ Olimpo col mezzo de’ fauti leggeri e de’mercenarii, i quali da una parte e dall’altra erano circa cinque mila, e quando partitamenle , quando tutti insieme urtandosi faceano aspra battaglia , combattendo essi al cospetto de’ re e degli eserciti : onde gareggia-
3 i7 vano iìra loro di.ardore, cosi ì singoli uom ini, coma A,diR. le schiere* Cleomene vergendo il fratello che. fuggiva j e ' n$l piano la cavalleria prossima a piegare , temendo forte , d o d i nemici da ogni lato gli fossero addosso, in costretto a distruggere le fortificazioni che coprivano; il cim po, e a uscir con tutto 1’ esercito in fronte da on solò lato degli alloggiamenti. Indi furono da amendue le parti richiamate colle trombe le milizie lèggere dallo, spaio di mezzo, e le falangi , alto gridando, e (aa 3) abbassando le aste, attaccarono. Succedette una lotta gagliarda , e ora arrelravansi •i Macedoni, sopraf* falli dal valore degli Spartani, ora erano questi respinti dalla poderosa ordinanza de’Macedoni. Finalmente quelli di Antigono , serrale le aste , e giovandosi del vantag4 gk> (aa4) proprio allà falange addossala , cacciaronsi innanzi oon impeto , e buttarono i Lacedemoni fuori de' ripari. Allora il grosso dell’ esercito tagliato andò io ro lla, e Cleomene con seco pochi cavalli si ritirò in salvo a Sparla. Sopraggiunta la notte , discese a Gaio t ove da molto tempo gli stava preparato quanto occorreva alla navigazione, per tutto ciò che potesse accadere , e eoi suoi amioi si parti per Alessandria. LXX. Antigono , impossessatosi di Sparta al primo (aa 5) arrivo ,■ trattò del resto i Lacedemoni generosamente e con umanità , e (aa6) ristabilito il loro antico governo , dopo pochi giorni levossi coll’ esercito dalla città, essendogli stato annunziato che gl’ Illirii erano entrati in Macedonia , e guastavano la campagna. Cosi suol sempre la fortuna terminar in modo inaspettato le più grandi imprese. Imperciocché, se Cleomene difle-
3i8 A .dit. riva la battaglia di qualche giorno, oweramente , a e , ritiratosi dalla pugna ia d i t i , egli alena paco traeva (a a 7) partilo dalle occasioni, riteauto avrebbe il regno. Antigono pertanto veaoe a Tegea, e ritornato a questa pure il patrio governo, re coesi il secondo giorno di li ad Argo , al tempo appunto de’ giuochi Nemei. Colà ottenne, cosi dal comune degli A chei, come da ogni città in particolare, quanto conferir prassi a chi si i meritato gloria ed oaor immortale , e sollecitamente ■ ridusse in Macedonia. Trovati gl’ Illirii nel ano territo rio , e data loro battaglia , rimase superiore ; ma per ciocché , ■ animando i soldati alla pugna , gridò a tutto potere, (aa8) incominciò a sputar sangue, e ne cadde <239) in tal infermità , che poco atonte, usci di vita. Avea egli fatte concepir a’ Greci le p ii belle speranze , non solo pella sua valentìa in campo, ma più ancora per tutto il tenor della sua vita, e pella sua probità. Il reame di Macedonia lasciò a Filippo figlio di DeDietrio. LXXI. Ma per qual cagione abbiamo noi cosi disle samente fatta menzione di questa guerra ? Perchè es sendo questi tempi annessi a quelli, di cui tesseremo la storia, ei sembra, non che ulile , necessario , giusta il primo nostro divisamento di far palese e nota a tatù la sanazione, in cui eran allora i Greci e la Macedo nia. (a 3o) Intorno allo stesso tempo mori pur Tolemeo (a 3 i) di sua malattia, e Tolemeo , denominato Filop»-' to ré , gli succedette nel regno. Morì eziandio Seleuco figlio di quel Seleuco , eh’ ebbe i sovrannomi di Callinice e di Pogone , e suo fratello Antioco gli fa suo-
3l$ cessore nel reame di Siria. Avenne a questi pressoché A. di /!. lo atesso eh» accadde a* prim i, i quali dopo la morte di Alessandro occuparono quegli siati, dico a Seleuco, Tolemeo e Lisimaco. Imperciocché essi tutti morirono circa la centesima vigesima quarta Olimpiade, conforme riferimmo di sopra , e gli altri intorno alla trigesima nona. Ma noi, poiché compiuta abbiamo T introduzione e la preparazione di tutta la storia, per cui è manife sto , quando , e com e, e per quali motivi i Romani, soggiogali i popoli d’ Italia ; fecero le prime imprese esterne, e cimentaronsi la prima volta in mare co’Car taginesi , e poiché esposta abbiamo la situazione in cbe eran allora i G reci, 1 Macedoni , e i Cartaginesi an cora ; giunti a’ tem pi, di cui sin da principio destinato abbiamo di trattare, ne’ quali i Greci apparecchiavano la guerra Sociale, i Romani l’Annibalica, e i re d’Asia la Celesiriaca, terminalo avremo acconciamente il pre sente libro colla descrizione degli affari antecedenti, e colla morte de’ Sovrani che n’ ebbero il maneggio.
FIN E DEL LIBRO SECO»DO.
320
SOMMARIO DEL
SECONDO
LIBRO.
Connessione to'fa tti antecedenti — Amilcare in Ispagaa — Asdrubale succede ad Amilcare ( § I. ) — Agrone re degt li tirii — Qli Etoli attediano Mediane — Lite fru i pretori degli Etoli circa F intitolatone delle spoglie ( § II . ) ■— Agrone soccorre i Medionei — Sconfina degli Etoli pretto Medione ( § III. ) — La fortuna torce i consigli degli E toli contra loro medesimi — Morte Agrone — Teuia regine degl' Illirii — Infesta i mari ( § IV. ) — Fenice è data per tradimento agl’ Illirii da’ Calli mercenarii — Scerdilaida ca pitano degV Illirii — GV Illirii vincono in battaglia gli Epiroti ( § V. ) — Gli Etoli e gli Achei in soccorso degli Epiroti — Elierano — Tregua degli Epiroti cogl" Illirii — Gli Epiroti e gli Acamani fanno lega cogl" Illirii — Imprudenza, degli Epiroti ( § V I. ) — Perfidia de'Galli mercenarii (§ V I I ) — Teuta riempie il mare di Corsali — Assedia Issa — Cajo e Lucio CorUncanii ambateiadori a Teuta — Vno degli ambateiadori è ucciso ( § V ili . ) — G f Illirii prendono Durazs» per inganno — E ne tono totalmente espulti — Gl" Illirii attediano Corcira ( § I X . ) — Battono formata ausiliare degli Achei presso V isola di Paxo — Marco da Cerinea — Corcira si arrende agl' Illirii ( § X. ) — Demetrio da Fara e i Corciresi si danno a‘ Romani — Indi Apollonia e Durazxo — Gli Artici soggiogati — I Portoni, gli Atintani, gl’ Issei
3at ricevuti per amici — Danna •offerto pretto Nutria — Arbo città — Riione, città e fium e— Demetrio i da’ Romani fatta governatore dell' Illirico ( § X I .) — Pace data agf Illirii —. Ambasceria Romana a'Greci per gli affari del? Illirico — 1 Romani f i t t i partecipi de’ giuochi Ittmici ( § X IL ) — Abbu iale fa ttr ic i Cartagine nuova — Trattato de* Romani com Atdrubale (§ X I I I . ) — Gallia Cisalpina — Figura triango* lare d ell Italia — Figura e confini della Gallia Citaipina ( $ XIV, ) — Fertilità della Gallia Citalpina — Galli A l pini — Galli Trantalpioi ( § X V .) — Monte Appennino — Fiume Pò ( § X VI. ) — Gli E tm o h i tacciati di'C alli fuori delT Italia tuperion Galli Transpadani — Galli Cispa dani — Modo di vivere de' Galli Cisalpini ( $ X V II. ) — Ir aniane de' Galli nel territorio romani ( $ XVUI< ) — I Galli •configgano i Romani nella campagna di Cimen it — E tono vicendevolmente da loro sconfitti — Il pretore Lucia Cecilia cade nella pugna — I Galli Senoni sterminati — Strigagli* colonia ( § X IX . ) — Rotta de' Boii e degli Etruschi al lago Fadimone — Battuti di bel nuovo chieggono pace — Per vi« delle guerre galliche i Romani t" addestrano ad altre guerre ( S X X . ) —. Nuovi movimenti de' Galli — I Boii uccidono i loro re — Legge agraria di Caji Flaminio — É- origine di grave guerra ( $ X X I.) — GF Intubi* ed i Boii fanno in~ sorger i Gitati — I Romani in timore ( § X X II, ) — I Fe*> ned ed i Cenomani favorevoli a’ Romani — Lucio Emilio con sole — Grandi apparecchi de' Romani ( § X X IIL ) — Forte de' Romani e degli M eati — Legione Romana ( § XXIV. ) — I Galli guattana F Etruria — I Romani sconfitti pretto Fiey sole ( § XXV. ) — L . Emilio viene in soccorso e salva i ri manenti — 1 GalU ritornino a caia ( $ X X V I . ) — Ed avven gami cammin facendo nel console L . Attilio che ritorna dalbf Sardegna — I Galli fr a due otti — Schiem a due fronti dii Galli ( § X XY JI. ) —. / Gelati combattono ignudi t - Cade roL iB io | tomo f, 91
323 C. Attilio nella pugna equestre — Battaglia di Telamone ( § XXVIII. ) — Incomodi e comodi della schiera bifronte — Grida guerresche de' Galli •— Braccialetti ( § XXIX. ) — / Gesati oppressi da' saettatori Romani — Il rimanente esercito de' Galli soccombe pella qualità dell" annodare ( § XXX. ) — Numero de' morti e de'prigioni — L . Em iIh trae partito dilla vittoria — I Boii arrendotisi a' nuovi consoli (§ X X X I.) — A iuti de' Cenomani sospetti a’ Romani ( § X X X II.) — Spade de'Galli mal atte alla pugna —Temerità di Flaminio (§ XXXIII)— È negata la pace agl'insubri — / consoli assediano Acerra — Marcello vincitore nella battaglia di Clastidio — Gneo Sci pione prende Acerra e Milano ( § XXXIV.) — La re n degli Ìnsubri finisce la guerra gallico — Giuoco wuwiombile delta fortuna — Nelle irruzioni de' Barbari non i da disperarsi ( § XXXV. ) — In Ispagna Annibaie succede ad Asdrubale ( § XXXVI. ) — Passaggio a lt altra parte della prepara zione — Divisamente d e lf autore — A ffari degli A chei, a loro lega (§ XXXVII) — Nome degli Aehei — Antica costi tuzione A g li Achei ( § XXXVIII. ) — / Greci d'Italia adottano la costitHiiona degli Achei — I Lacedemoni e i Tebani li funno arbitri delle loro contese ( § XXXIX. ) — Autori della lega aohea rinnovata — Arato — Filopcmene — Licorta ( § XL. ) Lega primitiva — Dodici d u i confederate — Con federazione se:olta da'Macedoni — Principio della ristaurczione ( § XLI. ) — Lode degli Achei ( § XLII. ) — Marco da Cerùlea pretore degli Achei — Arato unisce Sicione alla confederazione Achea — E Corinto a Megara — Arato pre tore degli Aehei resiste a' Macedoni e agli E toli — Antigono Gorata fe de'Macedoni ( $ XLIII. ) — G ii Achei alleati degfi E toli contra Demetrio — Tiranni che deposto il poter asso luto si congiungono cogli Achei — Lidiada tiranno di Mega> hpoli ( § XLIV. ) — Gli E toli favoriscono Antigono Datone * Cleomena cantra gli Achei — Arato towertisca i disegni
3a3 degli E toli ( f XLV.) — Cleome»* re £ Sparla prende*pavecchie città degli Àbhei ( § XLVI. ) — Aralo titubati £ fa r alleanza eoa Antigono Dotane (XLYH. ) — E d a lai effetto ti vale dell’ open de' Megalopolitani — Nicofane e Cercida da Megalopoli — Ambasciadori ad Antigono ($ XLVLII.) — Ordini dati agli amiateiodori ($ XLIX. ) — Antigono pro mette F alleanza ( § L.) — G li Achei imprendono eoli la guerra, condotti da Arato — f i tono sconfitti pretto a l l i ceo , a Ladocea, ad Ecatombeo — Arato e gU Achei- chim~ man Antigono ($ L I.) — -Cleomene prende ancor altre città degli Achei — Gli ti arrendono i Corintii — . Arato offre ad Antigono la rooca £ Corinto — Arrivo
3*4 preda tolta m'medesimi — Sears» facoltà de' Pelopennesii l § LXII. ) — F ilano sorive cose che si caatraddicotia (S L X III.) — Cleomene guasta il territorio Argivo (§ LXIV) — Antigono va eoli’ esercito sella Laconia — C leu mene mette ti campo a Sellasia — Èva e Olimpo monti — E n o fu m t — Confitenti degli -Spartani ( § LXV. ) — Campo d ’Anligano tulle rive del fa m e Gorgilo — Sohieramento d Antigone e di Cleomene ( § L IV I. ) — Battaglia t Antigono con CleomeM — Consiglio prudente di Filopemene ( § ULVIL ) Antigono loda Filopemene —*■ Imperizia
3a5
ANNOTAZIONI AL L I B R O S E C O N D O .
( i) J. oceanit ciaschaduna «i. Non ho credalo di dover lare altrani aggiunta alla prima di questa parole , come sarebbe leg* gemente, mperfeiabnente, prendendo oollo Bohaweigh. i •*g i t i l i per irl uf«Xa/«> fio tti | dappoiché ha gii detto il nostro pooo prima ntQmXmtmSmt { espor sommariamente ). Oltreché eoo è vero obe Polibio tanto di volo parla in questo libro degli avvenimenti qui aocenoatL Per la qnal oote io aliato 1*ir) al tatto pleonastica, e no* indicante ponto maggior toperfwialilà di qaello cbe indioa il verbo aempliae eoi eteo va unito. (2) E spedirono Amilcare. La morte d'Amilcara narra Dio* doro (eólog. kxv, a ) a d avguente modo. Attediando egli la città dUliee , e mandata avendo la maggior parie deU'eaei* oito cogli elefanti a svernare in Koccabianca, città da Ini fab bricala , rimate colà col retto delle Torse. Venne allora certo, re Oristo in toccorto degli attediati ( tebbene tolto falao »embiante d'amicizia , qaati cbe ajular volette Amilcare ) e mite in foga il dace Cartaginese. In foggendo prooaooii) talveiza ad Annibaie e ad Atdrobale cbe ritiraronti in Roccabianca ; ma
3a6 egli svoltato per un’ altra strada, antro ia tu gran Come col cavallo, dal qnale sballato mori sotto le onde. (3 ) R ittabill in Itpagna eo. Durante le guerre coHomani • oo’ mercenarii avean i Cartaginesi neglette le cose di Spagna ; onde dopo la pace fa lor primo pensiero di rie operare quanto vi avean perduto. — Del resto» porse a' Cartaginesi, avanti l’ epoca presente, la prima ocoaaìooe di portar le armi in Ispagna > il soeoorio ohe avean recato a’ Gaditani loro oonaangninei ( perciocché derivavan amendue da Tiro), i quali eran» stali assaltati da* vioini popoli, che portavaa invidia alla pro speriti dalla oitti nascente ( V. Jnstio. x u v , 5 )s ( 4 ) Suo parente e comandante delle tue galee. Opportu namente osserva lo Schweigh. ohe sembra presto i Cartami— nesi essere «tato in arbitrio del capitano supremo di scegliersi fra ì snei amioi quegli ohe lotto di lai comandar dovea le galee ; siooome abbiam veduto nel pria» libro u Anaihils triera reo egualmente ed amico d'Aderbale. ( 5 ) llliria. IXìipie ( llltride italiaoameote ) è il nome Greco di questo regno. I Romani il ohiamavan lUiricum. Sipoame pertanto lXXipim ( Uljria ) anoor l’appellavano i Greci oon «ksineasa conforme all’ uso del nostro idioma, cosi ho preferita questa denominasione, rigettando qaella d’ Illirico- che p ii aoooooiamente là,le ftmaioni d’ aggettivo, e serbando IUirio per esprimer il patronimico. Laonde diremo regno Illirico , e gli Illirii. Estendevasi questo reame in langhessa dall'Arsia, ulti mo termine deN’ Italia «ino al Drileme ( Dritta nera ) , cioè a dire dall’ Istria sino alla Macedonia , e conteneva la Libumìm ( Croasia marittima d’ oggidì ) la Dalmazia , e parte dell* A l bania presente. A messodl avea per confine il mar Adriatico, • a settentrione una oatena d i montagne la separava dalla Pannonic inferiore (Ungheria odierna). Qoed'era l’ l l l i r i a pròprjàmente detta , ma in senso più esteso erano «Rondo Fedo Rufo ( Breviar, rer. geat. pop. rom. )- diciasaette provincie oon
3a7 qntsto i Mn diflint*, Ira «ai dbe Noriói, da» Pannante, Dalmasia , Mésia , due Dafcie , Maoedcnia, Tessagli* , Ache* (*), dne Epirì. A detta del Boohart • i Fenioii ?i fabbricarono al-, oooe città maritiime. (6) Medionii. Era Medione città dell* Acarnania, la qaal provincia fa pressoché ««capre in goerra cogli Etoli, coi non avrebbe potato resistere sema i soccorsi de* re di. Macedonia. T. Livio ne fa mensione nel libro x u n , c. i l , e segg., ove nitrisce gli avvenimenti relativi a quella città, tratteti dal no atro sei libro iv m , Tacidide ( ili , 106 ) la chiami Mede»» n e , e la colloca negli aitimi confini dell’Aoarnania presso il territòrio degli Agrei cbe appartengon all’Etolia. Stefano Bisantmo rammenta nna Medeone città dell’ Epiro t loochè sarà ano de' suoi soliti abbagli. Nè posso collo Schweigh. menar bnona al Palmieri ( Grsec- Antiq. m , 5 ) la congettura, che la Medeone di Stefano non sarà stata diversa da quella di Tacidide e di Polibio , avendo 1*Epiro avnti in diversi teaipi diversi confini. Non sarebbe ciò impossibile, se cotesta città fosse alata situata a' contini dell’ Epiro ; ma giaceva essa all’.opposta estremità , ove incominciava il territorio degli Etoli ; ondo oon poteva giammai appartenere all’ Epiro ; chi non sapponesse, esser in alcnn tempo Epiro ed Acarnania stato lo stesso paese, a che contraddice espressamente Strabono ( x , p. 4 6 1 ). (7) Sema internatone. Cosi m* è sembrato di dover tradurre col Casanb. »«rJi r« r a tig ir , cbe significa continnasione, • non celerità , come vorrebbe lo Schweigh. il qosle l’interpreta. (*) Non la propria , ma quella clic comprendeva l'A ttic a , la M egaride, la Beusia, la Focide, la L o cride, la Doride, l’ Elolia e chiam avati ancor E tta d e ed oggidì fc denominata L ivadia. 8arehbe mai il nome d 1 Illiria stato applicato a tante diverse provincia, per chè la lingua Illirica a tulle era per avventura famigliare ( A* nostri giorni almeno molti di
3a8 ttatìm . 11 R eisle, applicando la omitfoailà alte tptmia, apiega qnetlo luogo coti t corona cm xenm t uròem pem tui, ita ni lu t poterei hiatus, per quetn obietti elaberentnr. Ma qoMla t pratioa cornane a tolti gli aite dii, nè faeea mea litri «F indi-» «aria. (8) V intenzione ie lle ermi. « Solevano i capitani w rnert angli scodi, o ani m ia della preda eh* arcati tolta a* nemici, per dedicarti ne'(empii degli Dei , » /•<•« n t x h ì t i mwr* r i i ittrm (sottintendasi «irilAafr»*, o altro verbo limite), il tale dedica agli Dei queste cote terribili, prete * coloro che gravi mali intentavano ». - Coi) il Reiake - Dapprincipio, aaoondo ohe rileritoe Snida, boevanai 1» inicriaioni a none della oiltà t Iterale fn il primo ohe r i firn menatone del ca pitano. (9) Reeavanti innarti pella potetti. l o avventurato di ri tenere la fraae grto» : r S t w p u i t r» r i I V t J i « f f c ì » * che mi i aembrata non aliena dalla conaoetndine italiana. Lo Scaligero a l'Bejrne leggono wptrtitrmt, accedeniium (che aocotlavanti)j k |io n e ( a dir vero, niente asaurda« (10) A lla Medionia. Cioè a dira al territorio dr Medione. Goal Meaaene ool aoo circondario addimandavasi la M ettente, 8ioione ool n o la Sicionia, Fliunle ool ano la F tiotia, ed al tri aimill : quasiché le proprie leggi oolle quali reggevansi co* adtaile le avettero provinole, per qnanto fotte riatretto il loro dominio, il quale sovente non conteneva che nna sola città «olle tue dipenderne. (11) Schierati a lt uso loro. Cottalo tuo è tpiegato da cii che aegue : andaron a bronchi, e in questo stesso libro al cip. 66 t dal nostro di bel nuovo mentovalo. II Cataub. tra* dntae aa rà ewtlpmt per cohortet, ma quello ordine di miliua non era conotoinlo le non da* Romani , pretao i quali ogni legione di cinque a tei mila nomini era diviaa in dieci coorti. Ma m /jw , che propriamente lignifica linea tpirale, corrùponde
3ag pì& pretto al glo&ut milition do* Romani, ohe in (u la n o di rebbeli attroppamento , e oon tooe p ii miliuro e «trenta n u l i dal Monteouooli trance. (V. Gratti Di*, milit. lu i.) lo Schweigh. ha manipnlatim, e più del Casanb. s'avvicina all’ etprettione Greca. (is) S i trarrelbe binanti. Qai ancora, tlocooae nel capitolo antecedente ho oredato di poter eontertaro nel volgarizzamento la frase del testo. ( t 3 ) Gii BiccedeUe nel regno la moglie Teuta. Per quanto U rrà Appiano , ( Illyr. eap. >j ). Agrone laaoiò nn bucinilo nominato Pineo, e Tenta , tebben era sna matrignay ammi nistrò il regno in qualità di tutrioe. (li) Gavernanéati da Janna. Qui pare cbe Polibio attribuisca al tesso femminile « la veduta corta d* nna spanna ■ » mero* della quale al presente tolo riguardano, nè gran latin curanti di ciò cbe sotto i lor ocobi non cade. Ora « sebbene non man cano fra le donne esempli d'avvedutezza e di eireospesione, e che in ogni tempo sonoti vedute femmine regger Imperi con non minor sagacità e formella di qaello obe faccian gli nom ini, non pub tntUvia dirai in generale H setto debole atto a maneggi, che richieggono matura riflessione nel concepi mento de*disegni, e inconcussa riiohiteaea nella loro etern atone. Irritabile com' ì al sommo la loro Sbra e mobile a' p ii lievi im pulti, tono ette leggere , volubili, incomegoenti, e' il pretente eoo UnU fona le scnote , che non rammentano il passato , nè preveggono 1’ avvenire^ Fu adunque savio consi glio de* Romani il rimuover le donne da ogni pubblico afTare, quantunque le loro Clelie, Vetnrir, Cornelie non la cedettero in eroiimo e in altre maachie virtà a qualsivoglia nomo (V. T it Liv. v in , 18 1 Tscit. Annal. in, 53 ; Valer. Haas. li, 5, 3 ). Io Grecia, a dir vero , v* ebbe qualche cortigiana di straordinario ingegno che sn'regittori delle repubbliche eterciUva non lieve influenza, aiooome l’ esercitò Aspasia sovra Pericle ; oiò non di meno
33o erano generilmente p rm o di Idra le mogli eòo maggior ri gore ohe noo fra i Romani confinato dentro alla ifera dell» domeitiohe oooapaiioni, ore tolte rivean intenta al minuterò dell’ economia e dell’ edocasiooe della prole, coi u la n i de— •tinolle, dando loro fragil oompleuione e spirito di poca elerixione oapace. La qnal pauiva condì*ione del leuo femminile troviti mirabilmente eipreiia nella gravissima H n lm u di Tuoidide, ( il , p. 118 ) x che il non peggiorar dalla propria Naturi ì gran vanto delle donne, e che quello godono la mag gior gloria, delle coi rirtà e maooanae gli Domini parlano n e
do
».
( i 5 ) ScrrdUaida. Lo Sohweigh. ioitiene con buone r>. gtóei auer questi il medesimo cbe T. Lirio Doma Scerdiloedtu. Fratello d’ Agteoe comandava egli ,iollo Tenta l’esercito Illirioo, m i poiohè qvolla ebbe riauniiato al trono, divenne tu tore del fancinllo Fineo • amministratore del regno insieme oon Demetrio Faro. Che Pineo p o i, giunto a età idonea, le sene lo loettro dell* Illiria, non ì a dabilarpt, dappoiché T . Livio ( m i , 33 ) il chiama Re. Tattavia sembra il ino regno ette re stato di breve dorata, leggendoli ne’ libri poste riori del owntorato storico ( u r i , l i - 1 i r il i , 5) che suo aio Scerdilaida unitamente al figlio Pleosoto eran insigniti della potesti suprema. (■6 ) Gli Epiroti. A* tempi, di cni Polibio qui parla, ei si pare che qnesta nasione non folle piò goreraata da re, ma ohe le ane citti , o ciaiohedona di per sì si, reggesse, o unite si fossero in confederaaione , non altrimenti che qaelle degli Achei, degli Aoarnani, e degli Etoli loro rioini. DifTatti, morta Olimpia, figlia del re P irro , chearea oombattnto in Italia coi Romani, non rimile della stirpe regia che doe fanciulle, Nireide , che li maritò a Gelone figlio del re di Siraouia , e Liadamia , che in nn tumulto a furia di popolo fa acciia (Vedi G * tm . xxvni, 3 ). Dopo quest* epoca non trovasi pii nella
331 storia Tatù menzione di re d* Epiro? — Mentre ohe in Epiro cotesti'fatti acoadevaoo, morii a «letta di Giustino, Demetrio padre di Filippo, cni laaoiò a tutore Antigono Dosone) loochè avvenne 1* anno 5 18 di Roma ( V. Cataub. Sjnop*. Chronol. ad Poljb. ), e gli Epiroti furono rotti daglUlirii 1' anno 5 a 4 , qoando spento era gii in Epiro il seme reale. L'iogratitndine pertanto con che trattarono gli Aohei » e gli Etoli loro libe ratori , e Talleansa ohe strinsero cogl’ Illirii, i qnali aveaoli ingiù stameote assaltati, indnoon a credere che alla monarqhu ancoednta fosse in quel paese una forma di governo molto irregolare, e che vivessero poco meno cbe in anarchia. De mocrazia fn dessa seooudo il nostro nel seguente capitolo. (19) Condotti ad E n ee ec. Nel libro anteoedente ( c . £ 3 ) narrasi che fra ooloro, i qnali macchinavano di tradir Lilibeo v* avea G alli, e ( c. j j ) che parte de* Galli, cbe militavano •otto Autarito ricovrarono presso i Romani, quando questi eran a campo intorno Erice. (18) Cajo e Lucio Coruncanu. Plinio (x x x v i, 6 ) chiama gli ambasciadori a Tenta P. Giugno e Tito Cornncanio, e dico ohe fnron «coiai amendue per ordine di Teuta. Floro l i , 5 , aens* additar il loro nom e, noconta ohe a guisa di vittime percossi forano colla acare, e i comandanti delle navi arsi nelle fiamme. T. Livio (E piu I. 1 1 ) s'aooor^a col nostro. Secondo Dione alcuni furono legati, altri uccisi. (19) ltta . Oggidì Litsa. Quest*isola, a detta di Dione, erasi ribellata dagl' Illirii e unita a* Romani vivente ancor Agrone. (20) Vantaggiarti col fa r prede. 'O p ta i•• significa vera mente utilità ; ma sicoomo qui trattasi di preda , così ho vo luto in volgarizzando riunir amendue i conoetti. (21) Con ira fem m inile. Iraconde, qui mot t t t mulierum ( con iracondia conforme è costume delle donne ) volta lo Schweigh. la tanto espressiva voce greoa : male,
33a per mio avvito > dappoiché 1*iracondia non i O tA atin corta me del tesso debole | sibbene era l’ ira di Tenta non ira co rnane , ma di femmina , cioè sfrenata e vendicativa. (sa ) Tragittarono direttamente. Il tetto ha Jjìi r i f * , eh* ■ qoanto dire peli* alto m are, opposto al costeggiare. Io a i ton altennto allo Sohweigh. che tradace reeta. ( l 3) Senti malizia 4 precisamente 1' di Polibio, che gl'interpreti lattai non b la potato rendere ooll* esattesaa che ammette l'idioma Italiano. Securi , et m i tale ntpreaw irt diate oon lunga perifrasi il Perotti, e mihil asali saspeotantes lo Schweigh. (s £ ) D elFediftia, Ho stimato necettario di far distinzione tra W a i e t f k s i , quantunque lo Schweigh. amendoe deno mini porta. Il perchè ho aegaita la definiaione del Reiske, eh* scrive « vtA i est porta ipsa, ( la porta stessa) tofana sediGciom in qno snnt portae » (ta tto l 'edificio, in coi sono le porte ). ( i 5 ) Disertare « i r n m jrttifti> at legge*! in Polibio, che Io Schweigh. dietro al Casanb. voltò sedibus suis pelli. Ma con ragione osserva il Gronovio, che ciò è troppo, ooraechè in altri luoghi del nostro trovisi la medesima frase per distruggere le c ittì, guastar le campagne. Quindi suppone egli che qui valga essa soltanto spogliare , privar delle fortune, se non vn errato, il verbo italiano da me scelto rende sufficiente tnente quest'ultimo senso. (2C) Armarono di nomini, oorrisponde a i»Aifurmt, em pierono , donde rXnfm/tu la ciurma — Allestirono d'ogni altra cou necessaria, equivale a , che non denota g ii, come pretende il Reiske , provvedere di soldati navali. (37) Barche ì i p f i t t , da'Romani pare chiamati lembi eran piccioli legni e veloci ( V. Forcellini Leiic. tot. LatiniU ) quii appunto convenivansi ad una naiione cbe come gl’ Illirii esercitavano la piraterìa.
333 (* 8 ) Andando o tgkvHbetcio eo. D m vantaggi ottennero gli
Illirii lasciandosi andar obliquamente adilossw a* nemici In primo luogo erano siònri, cbe i rostri dalle navi avversarie non doveano colpirle; poscia era neoeuario che per tal guisa •nooedesse l'orto e il aoafiocatnento a fianchi, e, merci dell’estesa superficie, avessero i marinai maggior comodo di saltar nell* nari Achee. (15) B tm etno Fono. Era eostui signore dell' isola di Faro, ( oggidì Lesina ) e ad an tempo in DIiria prossimo d ‘autorità alla famiglia reale. Ma Tenta , che il -temeva , diede a*oolto alle calunnie mosse 000tra «ti Ini, ood* egli s’ indusse, a tra d ir b patria, e Ace caro (coniar alla regina le perseoaaioni •offerte. I Romani 3 preposero a'popoli Illirici cbe aveano •oggiogati, siocome tolto vedremo, ma egli affidato ne* re di Macedonia, si ribellò daH om ani, spogliò le città Illiriche, e •e ne (eoe signore ( Polyb. n i , 6 ). Accordatosi oon Scerdi laida fece alleanza oogli Etoli, e guastò con nn'armata le coste degli Aohei ( 14 - ìv , 16 )• Ma pooo alante nnisai oogli Aohei a danno degli Etoli ( iv , 19) e fu a Filippo autore di toelta rati consigli nella guerra che questi moeae alla stessa nazione ( v , 11)1 «ebbene in appreuo lo esortò a far pace con essa, e a tragltar m Italia , allettati ohe avrebbe gli afTari dell'IlU ria, al qual efTetto entrò nel trattato ohe fermò Fi lippo oon Annibale ( v i i , 9 ) . Vinto da* Romani li rifaggi presto Filippo, dal quale fu benignamente acoolto ( u t , 18 - ìv, S j , 66 ). Finalmente qaest* nomo andaoe e inquieto, assal tando per ordine di Filippo U oittà di Messene , fu nooiso combattendo ( i n , i g ) . (So) Durazzo , città de’ T aulaniii, popoli dalla Macedonia, l ’ antico ano nome era E p itim o ; m i , se orediamo a Vomponlo Mela, i Romani, perché'cotesto nome loro sembrava di cattivo angario ( q u i i cbe aignifioMse •*< damnum, sudar a danno ) il cangiarono in Dyrrachiun, dalla peniiola sa cni
334 è M in ata ; donde i moderni fecero Doraaso. Qni loleta appro dare cbi d’ Italia tragittava in Grecia. ( 3 i) Reciprocamente enfiandoli. Lo Schweigh. aembnmi aver ool lo nel legno, voltando in quella «enteosa « e rigettando come amnrdo il «enao ohe a colai voce appone il Caianb. in tradnoendo t Romanorum /tortai*. ( 3 a) Apollonia «ol Some Avo, aeoondo Strabono, ( v i i , p. 3 i 6 ) «cManta «tadii diataate dal mare, oelebr* pelle olu me «ne leggi, • po' «noi «tndii, vivente Gìolio Ceaare, D q ia b vi mandò Ottavio per coltivarli selle lettere. ( 33 ) A rdiri. Lo Schweigh. ba preio un abbaglio circa quarta nasione ; impereiocchi la egli dir a Strabone, che in program* di tempo furono denominati Vardei, laddove Tarali gli ap pella questo geografo, • Plinio ( m , a 5 ) e Tolemeo ( u , 17) gli chiamano Vardei. Avean costoro, nn giorno, a detta del na turai Liti Romano, corsa ostilmente l’ Italia, ma a* suoi di ri dotti erano a «ole venti deourie. ( 34 ) Partini-Atintani cono da Strabone ( v ii, p» 3 iC ) no minati fra i popoli dell’ Epiro , i qnali erano mescolati cogli Illirii, e in parte toccavano il mar di Macedonia. Quindi 4 nata la confaliooe presso i geografi, ohe ora ad uno ora all’ altro di quo' paesi gli atlriboisoono. Plinio ( I. c. ) chiama i primi P a rte » , ma non rammenta gli Atinlani, cbe (arse ai suoi tempi erano spenti, «iccome molti altri di que’ popoli, de’ quali Varrone annoverava ottantatri , mentre Plinio non parla che di tredici. ( 35 ) Fu lasciato con quaranta vascelli. Nel teak» leggeai I w t X u w i f u n t virrmpmmtiT* n i f t Non 0reile eoi Retala che la fona £ coletta fraie aia, cum tilt curauet a collega relinquì qimdraginta mtvet; ma «oppongo cbe dopo iw X i tw if tt »•» sia per iavàla alato omeaao , vocabolo sovente nulo da Polibio per indicar la pretensa delle forse terrestri e marit time ohe un dace ha «eco.
335 ( 3C) Il qual articolo. Nel letto sa ) r i ì ftmXtr+m, propriamente : e ciò- che segue, tocchi massimamente. Lo Schweigh. etpone , et (quo continetnr id ec. ) ; interpretazione da non rigettarti. La rooe italiana , di cui mi tono ra ln to , credo oh* «sprinta amendne quelle idee. ( 3 9) 1 Corintii ammisero i Romani ec. p u ri^m Tttftm /ai, letteralmente , accolsero i Romani, ajfnchi parteci passero. Lo Schweigh. troppo arbitrariamente tradace decreto* e s t , ut participet Romani fierent. Più a’aocotta alla tentenni dell* aotore il R eitke, che tpiega : « Admittebant, approbaboni, consentielant, sibi patiebantur approbari ». E non te n ta probabilità credo io ohe i Corintii erano itati di ciò ricbieati da' Romani. — Del retto celebraranti i ginoohi itknioi, coti detti dalllitm o in coi era fabbricato Corinto , ogni dae anni, conforme toorgtti da Giuliano ( epitt. 3 5 ) , in onore di Net tano , che colà area nn tempio. Il loro principio cade nell* olimpiade l u x . (58) Contribuì grandemente. È da otterrarti il modo di dire pi eo Dittico •» t* (non poco ma molto), d ie tpetto ritc o n trn i nel n o ttro , ma cbe anche ad altri -toritlori è famigliare' ( V. Fiatone nel dùlogo intitolato Crilooe, c. 5. ) . (3 9) Tacendo del retto della Spagna. Non è T . Lirio (m i , a) in oppotitione a quanto qai dice Polibio, tecondochè credo lo Schweigh. , arendo quegli alterilo che pattuirono la libertà d e’ Saguntini ; dappoiché 0 0 storo , titnati fra- le potieuioni dei Romani e de* Cartagineti , non poteano contiderarti apparte nere ad alouno di due , e formarano , come ti direbbe oggi, nna popolatione neutrale. Q uetla concetiiooe pertanto era à vantaggio de* Cartagineti an tich i de* Rojnani : ohe , come vedrem appretto ( u i , 3o ) i Saguntini erano itati tem pre«otto la protetione de*Romani, ed ogni loro difTerenta in etti ri-» metterano. T nttaria direnne qoella città-il pomo della' ditoerdia tra le d o t n asio n i, per coi ai to e e tt la aooonda guerra fonica.
336 (10) F erro il retto del? Iu lit. È da notar*! obe la d a e •eaii prendeva*! l’ Italia. Nel pih cateto , aòndoraie q ai la de scrive Polibio, vi era compre** la Gatlia Cisalpina ; e le A lpi eran a telieotrione i tnoi oon Gai i nel pik ristretto inoom iacava etta al Rubicone in inll’ in g ra to delle te ira de' Sornio ni. Oude Giulio Cewre ohe dal popolo Romano tenea la prò«india della Gallia Cisalpina , della quale te n ia ordine naa gli *ra permeato d'n tcir* ginnlo al memorato fiume eoo animo d’eoonpar Rom a, riflettendo alla grandeaaa della eoa im presa, pronunciò quatte memorabili parole. «* Poasiam ai*< cor* retrocederei ohe ae varcato arreni qaetto ponticello, d sari forsa tpaooiar ogni ooia oolle armi ■ ( V. Sveton. in Ja l. Caefar. o. x xsi ) . (1 1) I l mare ionio od il tono Adriatico cottigli* - il m a m Siculo e Tirreno. Grande con fa «ione regna tra gli antichi circa
la denominazione di qnetti a a r i. Seooodo il nostro aotore quella parte del mar Adriatioo che guarda a settentrione ì il seno Adriatico , e la meridionale ohe gingne al promontorio di Corinto ( ov’4 ora Caatelretere ) t il tRar Jonio. Qnivi inoominoia il mare Siculo, il quale ^ girata la pnnta meridionale ti anitee ool m ar Tirreno , obe batte il fianoo occidentale d d P Italia. A delta di Strabono ( v a , p. 3 (6 ) Tarmano i monti Ceraunil ( C hinerei d ’ oggidì ) la boopa ore ceau il mare Adriatioo, e ha prinoipio il Jo n io , tebbene aqiendoe i mari topo da lai u re n te col nome d'Adriatico denotati. Il mare Sh c o lo , ginata il medeiimo ( u , [*. n S ) » eStendesi da Loori, Regio , Siraonta e Pachino tino a ’ promontorii di Creta ; ooli acquieta il nome di C retioo, bagna la maggior parto del Peloponneto , • a settentrione raggingne il promontorio Iapigi*, ( e. di Leuoa ) la boooa del mar Jo n io , la parte meridionale dell’ Epiro tino al seno d’ Ambraoia, e la oontigna cotta tino al teno di Corinto — Tolemeo adotta , eome Polibio, an w m A driatioo, e un mare Jo o io , ma chiama.mar Adrialioo quella
337 obe dal nostro è appellalo 8ioulo. — A* Romani era mar ta pe riore il T irren o , e inferiore 1’ Adriarioo. — L* intervallo tra Id rante (O ira n to ) e Apollonia i fecondo Plinio ( i l i . 16 *) il oonfine del mar Jonio e dell’ A driatico, e dal promontorio Japigio «ino all’ ultima punta dell'Italia giogo e il mar Sienlo, dallo stesso autore denominato Ausonio , perciocché gli - An toni! erano i primi obe abitavano le m sponde. Esiobio as serisce essere la stessa còsa il mar Jonio e I* Adriatico, • di proposito sostiene questa opinione il Boohart (C han. i , *6 ) , più acoonoiamente Agatemero ( Geogr. 1 , 3 ) definisce il mar Jonio la bocoa dell*Adriatico, e oosl la intesa il no stro anoora chiamandolo m-ipti , quasi tragitto dall* Italia nella Grecia. Secondo i moderni Geografi é mar Adrìatioo il ■•ano Adriatico e il Jonio degli antichi, e Jooio è il mar 8 ioolo i ma forma parte del mediterraneo non altrimenti obe il ^Tirreno. — Il nome del mar Adriatico secondo Livio », 33. Plinio 111, 1 6 , l o , e Strabone v , p. t i { derivada Adria o Atria colonia E tn isca, ora piooiolo luogo dentro a te rr a , ma anticamente nobile porto, sebbene gii molto decaduto a* tempi di Strabone. L*espressione di P o libio, t i r i s r l i ri» ' K$pUi a l a r i » , sembra, a dir vero, favorire l'opinione dello Schweigh. che un* altra origine abbia ootesta denom inatone, forse il fiuma A d ria, di oui parla Stefano Biiantino. Ma oltreoht nessun al tro fa mansione di questo fium e, e , conforme abbiam plh 'fiate veduto , grossi errori si riscontrano nel dizionario d ie porta il nome d i quel geografo, derivati probabilmente dall'ignoranza dal ano oompendiatore 1 oltre a cii», d in i, tro vasi in parecchi luoghi di Strabone *A fpimt ooll* articolo m a scolino ,. ove manifestamente trattasi del mare e non di nn -fiume (V edi 1, p. £ 7 , 11, p. io 5 , y , p. a i o , 1 1 1 , v i i , p. 5 16 ) . 'Nella stessa guisa dicevano 3 •<>•«, • A iya/< r YEusino, l‘Egeo, sottintendendo w h rtt mare. I Romani stessi P o lib io ,
tomo 1.
aa
338 chiamavano talvolta il mar Adriatico templicenaente Buina io gm ew mascolino, aiccome Orano ( 1. i h , Od* 3 , v. 6 ) . a D ax inquieti torbido* Hadriae. — Il m ire Jon io , età V ir gilio in , v. 210 dà l’ epiuto 3 ) i Greoi e l i a i u n a Jonio eaiandio il mar Tirreno. (£*) Da’ gioghi Alpini eo. Gioverà toocar brevemente, a maggior intelligensa delle cote qni trattate , tutto il co no delle Alpi. Incomincia questa terie imponente di montagne dala sorgente del Varo, e finitoe presto al seno Flanatioo (Q aarnaro), ohiamato dal nostro uliimo recesio dell'Adriatico. Dalla men tovata aorgente aino a* guadi Sabaaii ( Savona ) sono la Alpi marittime ; da queste a Segutio ( S aia ) le Alpi Cotte ; di qui sino al S. Bernardo piccolo le Alpi Grufe, ood denotainate dal preteso passaggio d ’ Ercole pella medesime. Seguono le Alpi Lepontine sino alla sorgente dal T ioino, le Resse , di 001 lanno parte le Brenne e le Tridentine tino alla Piave ; indi sopra al Tagtiamento sino alla fonte dalla Sava le Nonché , donde diramanai le Pmnoniche. Le ultime sono le Carmidke, cbe giungono sin alla sorgente della Colepi (C nlpa). Le Alpi Giulie non trovanti in Strabono, nè tampoco in Tolemeo, Pli nio e M ela, e non farono giammai nna divitione delle Alpi, ma occorrono toltanto negl’ itinerarii, oro polle vennero in onore di Giulio C elare, e da’ quali pattarono nelle moderne
339 geografe. Fa pertanto il noa* di Gioite non tempre a* mededmi tratti delle Alpi M*eguato. Ora lo ti cppote alla paio più oooidentale delle Alpi Reaie, confinanti oolle Loponaio, ora a quelle che topratlanno al Tagliamento fra le Reaie e le Nonché, ora alle Cantiche. Scambioiti eaiaodio talvolta la de nominai»ne di Noricbe con qnella di Garoiohe, e vioereraa. - Il ninne di Alpi deriva fecondo Strabono (vii, p. 514) da Albio, monte altiuimo, ov'eate finiaoono. Al dire di Feato 1 la loro etimologia Alpum, voce Sabina, ohe anona in 1»* tino, album, bianco, dalle perpetue nevi ohe le imbianoapo. Iiidoro è di avriao ( Hiap. orig. xiv, 8 ) ohe Alpi in lingna Gallica equivalga a montagne alte. ({3) Da Maniglia. Sembra Polibio aver fra qneale monta gne annoverale quelle de* S alii, ohe tono tra la mentovala «itti e il Game V aro, conforme otterrà il Caaanb. nello nota a Strabone ( iv , p. 198 ). ((4) Fìnitcon poco prima di toccarla. Strabene (iv, p. so l) laaciò ic ritto , che il monte il qnale forma 1’ ultima eitrem iti delle Alpi chiamavaai a’ tuoi giorni Albio, e ( v ii, p. 3 i 4 ) che la parte più batta delle medesime , denominata Oon ai ettende da* Reaii alli Jap o d i, pretao i quali ergenti eate di bel nnovo e addimandanti monti AlòiL Havvi dnnqne in aerto modo nna interraaione nel loro c o rto , cottitnita dalle emi n en te , obe formano il Carro d oggidì, il q n ale, lituato oom’4 fra i detti M. Albii e il m a re , là tl che le Alpi finitoano in nanzi di gingner all* Adriatico. A qnali montagne d* oggidì corritpondano gli Albii degli antiohi non A Creile a dirti. Pro» babilmente tono etti la catena che dalla valle d’ Idria a c o m per Cirknit* , L a i, e Gottaobe aino a* oonfini della Croaaia, ove peli* appunto aorge la Gnlpa. Tolemeo la ohiama Cena* vw ea t, e 1*Ocra CanuaHo, donde pare ohe per contrtsiooe tiaii fatto C arte. (45) Qual tia la virtù di queste torre. Anohe Strabo ita
,34o ( v , p. 2 1 0 ) parla molto della fsrtilità della Gallia Cisalpina, e narra fra le altre c o le , la oopia de* vini ohe colà li fanno «Mere tanta , ohe vi ti veggono botti più grandi delle aaae ; abbondarvi la peoe e la la n a , di cui la più fina ai raccoglieva nel Modoneae, la meizana nel Padovano, e la più ordinaria nella Liguria ; non «carteggiar qnel paete di miniere , è preaao Vercelli cavarti dell’o ro , aebbeoe a* «noi tempi ai negligevano, pella rendita maggiore di quelle dqlla GaUia T ram ai pina e della Spagna, ( 4G) Il mùgpo Siciliano. Il medimno ( che trad n u i moggio, peroiooobi Eiichio ( V. in A’ fttM ptiti non fa difTerenia Ira quei te due mirare , e Corn. Nepot. in Attioo dice - tex rnodH qni modaa m en ton o medimau* Athenia appellatnr) forma as condo P. Bembo ( Litter. voi. a, 1. 3 ad Rhamoni. ) due l e n i di itajo veneto, e giusta il Meibomi* è il «no peto 8 i libbre. A* tempi di Cicerone (in Verr. 1. m , a 7 5) era «tato ili mato in nn anno di grande abbondanza il medimno I a le tte m i. Ora,, equivalendo 4 oboli a BS 1 2 ’ e il scatenio 1
^
oorriipon-
dendo a dne ioidi di Francia, ne legne che lo itajo Siciliano, ovveramente dne le n i dello itajo Veneto valeano nella Gallia Ciislpina ioidi 5 — , e lo llajo Veneto intiero >} ioidi Fran cesi circa, quando nell’ età di Cicerone il più vii presso di qnello era 3 a ioidi di Francia. (£7) Animali porcini. Ba già notato il Cataub. ( ad Atheoaenm 1. 1, p. 3 ^ ) che lift/» (anim ali sacri) erano detti dai Greci non solo gli animali destinati a vittime, ma eziandio quelli .che nccidevami per mangiare , lendoehà ne’ primi tempi gli «omini non cibavansi di carn i, ma immolavano soltanto vitti me agli Dei. ( 48) Per mezzo atte. L ’ aste non ebbe tempre preuo i Ro mani lo 1testo valore. Ne’ primi tempi era cu o nn pezzo di
341 fama o dì bfonao dal péto d ' a n i libbra. Sefrio Tallio il ri* dotta td ana forma determinata, a v’ impresta la figura d’on animale ( pecut ) , forte per indicare 1' oso primitivo di fara i pagamenti eoa certo numero di bestiam e, innansi eh’ esi stesse la moneta. Quindi il nome di pecunia. Nella prima guerra Panica ne fa diminuito il peto a doe once e cangiala I*impronta, rappresentandovi da nna parte o a G ianobifronte, e dall*altra o n .rostro di nfcve, simboli della guerra e della pace, qnali si convenivano ad ana nasione gì4 divenuta belli cosa. Finalmente nella aeconda guerra P an ic a, sotto la Ditta» tara di Q. Fabio Massimo fa Caste ridotto a o d ' onoia, e i l danaro d'argento cbe prima valea dieci asti ■ talk a sedici -, sebbene gli ttipendii militari' continnavanti a pagare in ra gione di dieci atti per danaro ( V. P lin io , Bitlor. Nator. x x x m , 13 ). Ora essendo l ' obolo la setta parte del da* ■laro, o dir vogliamo di. sadici a tti, ne segne cbe la qaarta parte d 'u n obolo equivale a messo asse ed once dne. Il qnal computo distratta odo si per nna minusia dal vero stipen dio dato alle trnppe , conforme opportunamente osserva Gioì Federico Gronovio ( d e sestertiis lib. i u t c. l ) , non aivri ratenato P olibio , a fine di schivar nna fra*ione imbaraa•ante, dall'additir a'G reci, per cni sorivea, il valore di messo asse. (4 q) Tauritei. Sono gli atessi cbe il nostro nel libro n i, c. Co denomina Taurini. Abitavano costoro fra la ainistra sponda del P ò , le radici delle Alpi, a il fiame Orgo ( Orca )i a la loro capitale chiamavaii Tourinam ( Torino ) espugnata da Annibaia lotto dopo la sna disoesi dalle Alpi. Strabono ( iv, p . I o 6 - v , p. 2 i 3 ) e Plinio ( i h , IQ , 2 5 ) pongono i Tanrisci nella Pannonia presso a’ Carni -fra la Sava . e . il Da nubio , tratto cbe corrisponderebbe alla Carintia, a parte della Carni ola , alla S tìria, e a parte drll’Arciducato d* Austria , e Polibio lisiso ( xsxiv. lo ) rammenta i Norioi Taurisci sitwUÌ
34a •opra Aqnileja. Quindi egli sembra cbe io tempi rm loO iiim l i T an n ici Celtici abbiano latta ima ipe dizione net Norioo , • vi si sieno stabiliti, passando eziandio nna parte di loro ia Pannonia. Ansi stando a Plinio ( tu , 2^) i Borici anno anti camente denominati Taariaoi. Circa l ' origine Celtica de* fio rici vedi 1* eruditissima dissertasione del prof. H oahart : das altceltishe Horicum, oder Urgeschicbte von d ? i terrei eh, Stey er ma rk , Sslsburg , Ksrntben , nnd Krain , cioè : l’antioo Ronco Celtico, ossia la Storia primitiva dell* Aastria , della S d rìa , di Sai isbà r^o , della Carintia e del C ragno nel giornale intito lato : Stryemàrkuhe Z eiuehrift, giorn. di S tiria , Gratta il» . ^ 5o) Agoni. Qoesto nom e, obe non trovili presso nessun altro scrittore, con ragione sospetta Io Schweigh. che debba esser mntato in E nganei, i qnali avendo ( secondo che T . Li vio I , i racconta dietro n n ’ antica voce ) abitato dapprima tra il mar Tirreno e le Alpi , furono dagli Eneti o Veneti, soaooiati, e si ridussero p ii presto alle Alpi tra 1’ Adige e il lago di Como (V. Cluver. Iiitrod. in nniv. Geogr. (. in , o. Del resto pretende Plinio ( i n , ) ohe fottero d'origine greca, conforme lo indioa il loro nom e, eh’ è quanto ioymtilt o ir y tr ù t, di generosa stirpe. (5 1) 1 Liguri. Eslendevansi questi dal V iro slls M sgra, e dal mar Ligure e dal Pò sino a Piacensa. La loro ospitale e principal emporio ers Genua , che in tempi posteriori fu chia mata Janua, quasiché da Jin o fosse fabbricata. ( 5i ) Pisa prima ciltà rf* Etmria. Secondo Tolemeo (in , i) e Plinio (n i, 18) non P isa , ma Lana sulla riva sinistra della Magra nelle vioinanze dell' odierna S a n jn s era la priiaa ©itti dell’ E truris. Strabono ( v, pag. 2 2 2 ) dice,- che per avviso di molti scrittóri il oonfine de'L ig o ri o degli Etruschi ò nn picciol Inogo fra Luna e Pila denominato Macra, seb bene egli pure pone Luna all'estrem ità dell’ Elrnria. Tuttavia
343 era il trailo «fi paese fra P iù e la Maora an tiaamante abitata da una popolasione L igure, che T. Lirio ohiama Apuani, o oha l’ anno 5<]a «li Roma fu lotta trasportata nel Sannio (V . T . L ino n . , 38 ). (53} SU al contado £ Aretto, p o tila c ittà , aitaata nelle viscere dell* E truria , non pare che formar potesse il oonfiue mediterraneo de’ Liguri colla medesima. Quindi è che l’Olatenio alla voce di S teb o o Biiantiao propose di legger ia luogo di A {{»r/m i. Ma da quanto dice Polibio apparìice, che non i Liguri, aibbene gli Anani e i Boii abitavano la pianura Ora gli Appennini e il P ò , ore peli’ appunto trovati Regio. Dall’ altro canto noo è impoaaibile, che gli iteiii Li guri A puani, il cui paese dalla parte del maro giugo e «a «ino a P isa , occupaaaero tutto il tratto degli Appennini aOpra P istoja e Fieaole sino ad A re n o . ( 5| ) Tirreni. Fnron r u i cosi denominati da Tirreno figlio d ’ A ti, il quale > spiato dalla b u ie , venne dalla Lidia in Ita lia oon molta gente. Costoro , stabilitisi dapprincipio di là dall’ Appennino aovr’ amandoa le rive del P ò , ma poacia , ■oaociati da’ G alli, fissarnnsi fra 1’ Appeonioo , la Magra e il Tebro. In appresso vi giuose una colonia di Pelasgi dalla Tes saglia , e fabbricò la città di Cere , chiamata da’Greci A rgilla. ( 55) Umbri. Secondo Strabone ( L e . ) eran essi situati fra i Tirreni e i Sabini., e passali i monti giugoevano alla mari* na di Rimini e di Ravenna. Ne’primi tempi estendevano sode ooste d ’ amendue i mari ; ma diacacciati dal mare di sotto pei T irre n i, e da qnello di sopra pe’ Galli Senoni, a molto an gusto spaaio. forano ridotti. Se non cbe , sterminali i Senooi «la* Rom ani, rioccuparon essi la parte dell* antico loro territo rio che verso l’ Adriatico si prolungava. ( 56) Il fiume Pò. Ha desso le sue sorgenti sol anopte Viso, ( Vernlo degli antichi ) Alpe attissima tra la Francia e l’ Ita li a , non già precisamente ore uuiscousi le Alpi cogli Appen
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n in i, il q u i. (ito Polibio addita peli*apice del triangolo, (o tto coi rappresenta la Gallia Cisalpina; a u pooo Ino gì di c o li. Onde io trad o ui ( ti A»»» a un dipretto t legnendo il Reiika. ( 51]) Dirigendo il corto verto mezzogiorno. Ciò è da com prenderti nel tegnente modo. Finattantocbè queito fiume lootre fra montagne ( (i divalla ) è il io» progredimento r e n o m w ■odl j ma oome prime dopo piociol tratto giogne al piano al n o rd-ett di Salnaao , la tna corrente volgati a Mttentrione. Ricevati a Torino la Dora , t* inolina etto notabilmente verto levante, e lotto Chivaaio al tatto ti volge a quella p a rto , .e protegue nella aletta direiione, leggermente piegando al rad (ine alla tua imbocoatura nell' Adriatico. ( 58) Tutti i rivi. Secondo Plinio ( m , iG , ao ) trenta (odo i fiumi che il Pò mena (eoo nell* Adriatico, oltte agliimmemi laghi cbe in etto ti tgravano. Tutti qnetti fiumi vi hanno nel oorso de* teooli recata tanta ub b ia e ghiara , ohe il tuo alveo ti i a* noitri giorni di molto a lia to , e ha renduta ne* cetw ria la coitrnxione d* imponenti argini , a' -quali tuttavia la acherno alcuna fiata , con grave danno delle viaine campagne, 1* im m enu piena prodotta dille piogge dirotte dell' autunno, e loitenuta da* venti anatrali, che ne ritardano lo toarieo nel mare. (5 9) Allo tpuntar delle canicole. Lo tteu o dice Plinto ( 1* c * )•
(Co) Olana. Plinio la chiama Volane, e dice obe Olone ad-* dimandava» pria. Oggi è il porto di Volana ove mette in mare il Pò di Ferrara. (6 1 ) Trigaboli. Questo è il lito ove fu poscia fabbricata F errara , e ove il Pò li divide in Pò di Volana, di cni teitè parlam m o, e in Pò di Primaro , eh’è la bocca Padoa del noafro, o Paduia , ticcome la denomina Plinio, e dietro a 'lai Cellario ( Orb. antiq. 11, p. GgG ). (6 2 ) Bodenco. Plinio icrive cbe Bodinco il ohiamavino gK
345 Indigeni, loodhè u l t i loro lingua lignificava ten ia fondo. L ’Ardnino a qtiMlo luogo di Plinio scriv» ohe ine in lingua Gel* tioa vado senza, e Bod fine , fondo, estremiti , onde i F rin omi ban fatto boat. Nell* idioma Tedesco
346 gam o, e*ti p a ra , cbe ptrto fra gl’ I o m b ri, parte fra i C oDomani gli annoverane. Di latti Plinio aolo ( i o , i l i 19) d i Msi parla , seguendo O ttona ohe li n ò di atirpa graca, con forme indica il loro nom e, che «nona abitatori di montagne, ni tono ponto mentovati da Strabene • da Tolomeo , 1‘ ot timo de* qoali fa Como città Inaubre , e Bergamo luogo dei CenomanL (C8) Cenomani. Genomani li chiama il aotlro, diveraaraante da tutti gli altri autori. Le loro città furono e Bretcia , oapitale , Crem ona, Manina fabbricata dagli Btraachi , e gioita Tolemeo ( m , 1 ) oltre Bergamo e L o d i , T rento ancora e Verona. (69) Veneti. Q u eiti , per retato n e di T . Livio Bneti ( Heaeti ) dapprima appellati, espulsi in aita lediaiooa dalla Pa tagonia , poiob* ebbero perduto il loro re all'atiedio di T ro ja, andaron in traccia d* una nuova patria • d* un dnoe , e fatto o«po ad A ntenore, con lui vennero a ctabilirti nell* intimo teno dell’ Adnatico, donde loaoaiarono gli Euganai. Sembra pertanto cbe lo itorico Patavino, per nobilitare l'origine della m a p atria, abbia voluto crescer fede a ootal favola , « p ii probabile & I’ opinione di quelli che diicender fanno i Veneti d a g l'Illirii, i quali A ntenore, profugo da T ro ja, nel paatag* gio pel loro p a e ie , indusse a mutar aedo. Seooodo Servio (ad S n e id . I. 1, v. 2^2 ) venne dall’ llliria c-rto Eneto a regnar ia quali» oon Ira da , ed impose laro il nome d’£arzÙ 7, donde i poiteri fecero f'euaia. Padova , Vioensa , Este , Adria , BeiInno , Opilergio ( Uderzo ) A b in o , furono le loro città piò in tigni. Plinio ( n i , 22 , 15 ) mette h-Veneaia fra Aitino e Aquileja , tratto ohe 00[-risponda a un di premo all’ odierno Friuli. (70) AnanL Confinanti 00* Liguri: Piaccaaa fu la principale loro oiità. (71) Boii. Dopo gl* Intuhri i più potentiTra i Galli Citai-
347 pini. Bologna è additata pèr loro capitale, ohe chiam am i Pat tina , q n tn d a era la tede principale degli Etrnaohi. (
348 (96) Domano tutta terra e a. Lo Schweigh. appoggia queste u se n io n i d’ Ateneo ( i r , p. 15 1 ) e di Diodoro ( » , ì S ) , degni d ’ esser letti. Io rifletterò ohe cotesti popoli, nè bene Nomadi, perchè agricoltori, nè bene stab ili, perchè sovente emigravano, rassomiglian non poco alle naiioni Etiopiche, che abitano le sponde del Senegal e del Viger, le quali coW tirano bend le loro terre , hanno grande cara del bestiam e, abbondano d 'o ro , die loro fornisce la ubbia de* loro Gami, e rom m ente esercitano le erti pifa neoessarie , ma vivono fra loro in perpetua g u erra, e non di rado lasciano il paese natta per isoaccia re popoli p ii deboli, confórme ci riferiscono i viaggiatori p ii reoenti cbe si sono internati in quelle iaospki contrade , singolarmente l’ infelice M ango-Park. (79) Vind avendo - i Romani nella battaglia dell’ Alila. (98) S quelli ohe combattevano nelle loro file, Eran questi gli E trn soh i, e specialmente i C hiusini, oh* areangti chiamati in ajato ( V. T . L ivio, v , 36 ). (99) DalF irruzione che i Veneti, ec. Nulla dicono di que st’ avvenimento gli ito noi R om ani, e T . Lirio ( r , ^ 9 ) «estrisce aver Camillo sconfitti i G alli, dapprima sulle mine stesse di Roma p r e u , poscia nella via Gabinia, otto miglia dalla città. Qaindi ben a dritto osserva Plutarco ( de fortuna Romanor. Opp. t. a , p. 326 ) c h e , se vero è oiò che narra qui Polibio della ritirata de’ G alli, non può contrastarsi , obe i Romani dovettero allora la propria ulvessa alla fo rtu n a, la quale trasse altrove i nemici inaspettatamente. . (80) I Galli in Alba- Neppur qui s’ aooorda Polibio con T . L ivio, dappoiché questi ( v i, 4 * ) ben lungi dall’ affer mare , siccome sorive il nostro, ohe i Romani non arri schia ro m i di farsi incontro a' Galli, rase onta che la vittoria dei Romani non fu nè d u b b ia, nè difficile, e ohe a Camillo, allor Dittatore, i Padri e la Plebe decrelaron un trionfo. An che nel novero degli a n n i, corsi fra le due g u erre, differì-
349 •cono Polibio mettendovi l ’intervallo di trent’ anni, e Livio di ventiquattro , cioè dall’anno di Roma 365 all'anno 3 89 ) . (81) Pattati altri undici anni ec. Dae tam alti Gallici v'ebbe negli anni 5g 5 e 3g<] , nel primo de’ qnali T. Manlio oh’ ebbe poscia il nome di Torquato , uociae in aiogolar tenzone lo aniiaarato Gallo che l’ avea provocato ; onde teato ai diedero talli a preeipitoaa foga (V. T . Liv. ro , 9 , 10). Altra guerra colla mtdeaima nazione aoalennero i Romani a detta di Li vio (vii , 2^1 2 5 ) l'an n o 4°6 # e nel £16 d ’noa nuova in c o ra lo ne de’ Galli parla lo ateaao antere ( v il i, 20 ). Adun que gioita Polibio guerreggiaroo i Romani co*Galli 55. anni in quattro volte , e aecondo T . Livio lei volte in 61 anni. (82) / quali ec. Queata aoorrerìa de’Gaili è poata da T . Lì tio (x, 10) nell’anno di Roma 454; adunque 28 anni dopo l’ul tima mentovata nel precedente capitolo. Quindi io non com prendo, perchè il Reitke e lo Sohweigh. a trent’anni vorreb bero qui aoaiituir quaranta. ( 85) Con doni. D ine già Polibio ohe i Galli Ciealpini ab bondavano d ’ oro. Non è perciò maraviglia a* .oolT offerta di queato metallo poterono aalvani dall* aggreaaione de’ loro na zionali cbe abitavano di U dell’ Alpi. ( 84) Dopo tre anni. Erano q u elli, gioita Livio ( v, 2 9 ) i Galli Senoni ohe nel 458 unitiai a’Sanniti diifecero una le gione Romana preaao Chinai, aulicamente denominata Camerte. ( 85) Postarono nuovamente dieci anni. Di qoeaU guerra aocadota l’anno di Roma 468 trova*! fatta mensione nell’epitome del libro 111 della atoria Liviana. Ma nulla vi ai legge dello aterminio de’ Galli S en o n i, e della Coloaia che mandaron i Romani nel loro paeae. Coli non vi ai fa motto delle altra due guerre che euoeeaaif amento impresero i Boii imieme. cogli Etruaohi contra i Rom ani, o che eaaendo precedala immedia te stente «I tragitto di P irro in Iu lia, dovettero eaaer avvenute negli anni di Roma 4 ^9-4 ? 3.
35o (8 6 ) Nel bollore delC in . Lo Sabw«tgh. oon molli aooomoi « e m p ii, tratti dal noatro autore « da a h r i, dimostra oba la [rase i r i r i i 3p / i h vale nel momento del p ii alto «degno, nell’ atto della maggior collera, e non ammetto la oorraiooo del Casanb. • dello Saaligero , i quali le«Mro b ri t i pree i n (d ad a rabbia ) . (8 9 ) Tre am i avmd il patteggio £ Pòro ec. P a n i Pirro in Italia l’anno di Roma • qoaltr’aani appreaao , nel ( i S , fnron > Galli «oonfitti a DeUo. O ra , ùecom» la rotta oba toc carono da Cam illo, dopo arer presa Roma , «accedette nel 365 , cori è ohiaro, obe da quest’ epoca a lf impresa di Dello e al passaggio de* Galli in Alia «oon* oltre « a «ecoto. Non debbo ’adito qua confoodor m quatto calcolo il nome di Bren do obe riscontrasi in amendae k tpediaionl, qnatiabA fotao il medesimo dace d io le d iraae , e ohe d a Roma i Galli lo tto ai reoaltero in Grecia, ( 88) S i stettero ched quarantacinque anni. V unioo clorico, (he, a detta dello Schweigh,, abbia «erbata memoria più estesa di qneati fatti, ti fn Zonara, il quale nel libro *111, aap. 18 poae il principio di qneiti movimenti Bell'anno 6 1 6 , tra anni dopo finita la prima gnerr» Panica , e la ribellione de’ Galli conira i propri! re nel 5 i 8. Breve ricordo di questi p ie n a fa T . Livio nell' epitome del libro u . ( I g ) Il quinto anno dopo questo tumulto, oioè a diro l’io* no 532 di Roma nel oonaolato di M. Emilio Lepido, o di M. Poplieio. (90) C. Flaminio. Q n etti, teooodocbè riferitoe C icerone , ( Aoadem. i r , 5 ) fece la legge agraria, di oni parla Polibio, quando era tribono della plebe, contro la volontà del St> n a to , alcuni anni avanti la teconda guerra Punica. F n posata ce n io re, e dne volte console, e peri nella battaglia al Tra» aimeno. Del retto dioe T . Livio ( 11, 44 ) cbe la legge agra ri» , promulgata la prima volta l'anno 368 d i R om a, non fa
351 mai «filata seosa grandiasimi movimenti. V ebbe od altro C. Flaminio , cbe pervenne al oonialalo 1* anno 5G5 , e fa njH> de'triamviri obe condussero la coloni» in Aquileja ( V. T . Li» rio l u m i , 4 * e i m i , 55 ). (91) Ge,m a '. Il Hcitke dioe m e re questo nome il Gaerte de’ Tedeschi, ohe lignifica amici •tran ieri. e singolarmente in vitati e ooodolti con mercede. Altri ripetono questo vocabolo da gum m , «peoie d’ asta seooado Esicbio e Polluce ( v u 35) tutta di ferro , Slfv , d ie vuoiti euere alata arma propria de’Galli. Ma T . Livio (v ili, 8) la distingue dall’asta, • Festa la obiama grave jaculum.. S’ inganna pertanto , a mio parere lo Schweigh. credendo, cha nessuno degli antichi abbia detto essere gaetum nome Gallico, e arma propria de’ Galli ; dappoiché trovasi in Virgilio ( fineid. vili 6 6 1 -2 ) Alpina cornscant gatta m ann, parlando de* Galli d ie presaro R om a, al qual luogo Servio nota , per indicar 1*origine Gallica di que sta vooe ; viros fortes Galli gaetot v o can t, ( i Galli chiaman Gesi gli nomini valorosi. — Ma la spiegasione che ne dà Po* libio favorisce 1* etimologia additata dal Reiske. — Quella che spaccia. E ostano ( H. B. v. 1 8 8 ) r i y ìt £*r<7> ( dal cercar terra ) i troppo frivola. ( g l ) Alienato. Ariovisto 1’ appella Floro ( 11, 4 )• Amendue , se crediamo al Claverio (Germ. Antiq. I. 1 , c. 6) sono tus medesimo no m e, e d1 orìgine Celtioa. Un altro Ariovisto, re de' G erm ani, e oppressore de* Galli Sequani, fu sconfitto da Cesare ( B. Gali. 1 , 3 i ). (g3) Dappoiché avean il nemico fa tic h i Meta imminentis e praiiato hostis interpreta lo Schweigh. , ma io ho sti mato , ohe con maggior elegania e proprietà mi sarei attenuto all* espressiva Crase del testo , Jtk r* wptt raìt irtotpmìt in -
rmt iw m fxuf, ( g i) E d aveano da cinquanta mila fin ti ec. Diodoro (ed o g . i i v , 3 ) narra ohe i Galli aveano allor racoolto nn esercito
35a di dugento mila aomiDLQoìndi gioitunsnte arguito* lo Sobwei^b., ohe a questo D a m e r ò ascendevano le forte unita de' Gesati e de' Giaalpini. Ma i Romani ancora, dioe Diodoro, arcano •Set tecento mila fanti e ietunta mila cavilli) tocchi •’ intende p e r» Unto del namero degli arrotati, capaci di portar arm e, ed io osò i dne dorici ranno d* accordo. T . Livio ( Bpit. I. xx ) riforitoe , ohe i Romani arean in quella guerra trecento olila a r m ati, laddove il noetre b ammontare i loro combattenti a oenòinqnanta mila fanti e »ei (?) mila cavalli. ( j 5) Venti mila Ira cavalieri « cocchiì. Diodoro ( v , i g ) n a rra , ohe i Galli tervivanti in guerra di ooochii, che p o r tavano un co echi*re e nn soldato , il quale dopo aver vibrala la m a lanoia nel cavaliere a cui eraà abbattuto, discendeva e pugnava oolla «pada. (9 6 ) Alla volta di Rimini. Dopo 1* ei pollili ne de* Senoni 'era questi il confine dell* Italia colla Gallia C iulpina. (y)) Ciascheduna ( legione ) di cinque mila dugento fanti. Diverto f u , conforme bene o tterrà lo S ohm igh. il numero de* soldati, che non tolo in diverti tempi , ma enandio nel medesimo tempo in varii luoghi componevano la legione Ro mana Coti pooo appreuo in quetto tteu o capitolo leggeti oh* a Taranto e in Sicilia ttaniiarano due legioni, ognuna della quali avea quattro mila fanti e dngento cavalli ( V. Polib. 'in , io j - vi v so ). A detta di Plutaroo nella vita di Romolo, com prenderà la legione ne* primi tempi tre mila - fanti e trecento cavalieri; ma dopo l’ unione de'S abini co’Romani fa e o i recata al doppio. Tuttavia osservali da quanto riferace il -no li ro , cbe in tempi posteriori non fu tempre cctanto nume rosa. Scipione maggiore pertanto, imbarcandoti peli‘Africa, com pose le tu» legioni di tei mila fanti e treoento cavalli (V. Tito Livio x m ix , 24 ) e nella guerra Macedonica furono conce dati al contole che andava in Maoedonia per cadauna legione tei mila fanti e treoento cavalli, mentre in quelle oh*ebb«
353 seoo l’ altro console erano soltanto secondo l’antico costume, cinque mila fanti e dugento cavalli ( V. T . Livio s u i , 3 1 ). Laonde scorgeii esser falso ciò che dietro Feslo riferisce Paolo, aver Cajo Mario il primo portata la legione a sei mila du gento fan ti, qoando peli’ addietro non ne avea oltre quattro mila, nel qnal caso chiamavasi quadrata. A’ tempi di Vtgezio ( de re milit. i l , 2 ) era la legione formata di sei mila du gento fan ti, e 926 cavalieri, oonteDendo la prima coorte H o 5 fan ti, i 32 cavalli, • le altre nove ciasoheduna 555 fanti e 66 cavalli. Del resto deriva il oome di legione, giusta Vairone (d e ling. lat. iv , p. 2 4 , edit. Gryph. i 535 ) da legtre , scegliere , perciocché nella cos
tomo 1.
s i
354 come de* sa n ili qni indicata da Polibio, non ri tolta altrimenti dall’ unione delle parti. Eocooe il pruapetto.
tonti. Quattro legioni Romane di 5 ,ao o Curii per cadaana J o .Io o Alleati . 30,00» Sabini ed Etrusohi 5o,ooo Umbri e Saninati . 30,000 Veneti o Cenocnani ao.ooo Somma 1<0,800
Cavalli. l a quattro legioni Alleati Sabini ed Etraaohi .
1,100 3,000 fot00 Somma 7,100
Y*ba dnnqae fra le dne aomme nna discrepanza d i oirca dieci aaila Canti, e mille dugento cavalli : i primi in avanao , i isooodi in difetto. Qoanto £ al aoperohio de'fanti, può eo o derivare dalle migliaja , che nel contingente di aaacbednno oltrepaaaato avranno il nnmero rotondo, e de’ qnali il noatro non Icone conto. Non co«l oooprendeai, p e re ti meno cavalli egli abbia annoverati di quelli che forono realmente , ohi non opinasse collo Schweigh. che in luogo di 1{«■«*X
355 che fu presente a quella guerra, secondochè riferisce E utro pio ( ili i 5 ) , dice , essere stati pronti a combattere ottocento mila nom ini, e se vi comprese i cavalli non andò langi dal vero. Ma PKnio ( i n , so,, > ( ) esagerò di tro p p o , ponendo ottocento mila fanti e ottanta mila cavalli, ed escludendo per giunta i Transpadani ( Veneti e Cenomani ) ohe militarono eo’ Romani: Orosio i t i 3 ) asserisce , ohe i Romani e Cam pani arrotati furono treoenqoaranta otto mila fan ti, rendaci ""••a aei oento cavalli, il qoal nnmero non s'aooorda con quello di dugento settanta mila cittadini, rilevato nel prossimo censo, siccome apparisoe da T . Livio (Epit. I. » ) j sibbene con qoetto che qni adduce Polibio. (101) Attelaronii ttaptrtfimXtt ha il testo , e non ao come il Caaanb. e Io Schweigh. siensi indotti ad interpretare Mitra locami, quantunque I’ ultimo avvedutosi dell’ erro re , uè’com mentarli d ica, che meglio sarebbe acìcm intim ati ; percioc ché non avanzava tempo di fare nn accampamento, ma doveano schierati aspettarsi il nemico eh* era tosto per inseguirli. (102) Ditarmali pel bosco. Dne precauzioni necessarie, p n c h è i messi giugnessero salvi presso il console. (1 o3) Più alii alla pugna. Mi son attenuto alla lesione di Snida che ha comparativo in Inogo di a a r a r t i superlativo , dappoiché manifesta è qui la compara zione de’ Boii e degl’ Insubri che combattevano vestiti, e per conseguente meno leggeri, oo’ Gesati che pugnavano ignudi, quindi piò spediti. Senza che non suona expedtlut, conforme tradusse lo Schweigh., sibbene efficace, attivo, ben
(,
ditpotlo. (io 4) Alla ritirata tir rtv/twptr&tt ( alla ri tirata in av an ti) hanno tatti i lib ri, locchè tir ra tà rir^ ir ( indietro ) convertì il Reiske , coi sembrò assordo un movi mento di ritirata in progressione. Ma io cre d o , che amendue debban essere riten u ti, e porsi tir Itiptw-ptr^n u*\ rav v i-
356 rS ti , cioè a d ire , alla ritirata io avaoti e in dietro. Imperciocché, bifronte cem’ era lo tchieraoMnto dei G alli, non potea l’ eteroito da nna parte ritirarsi senza cbe progrediate dall* a ltra , e nell* emergerne d* una foga gli ai trovava chioao il patto io doe direzioni opposte, 1* una delle quali portaodo i n u m i , l’ altra dovea condor indietro. (t o5) Di collane t di maniglie oro. Lo Sohweigh. nell'interpreU iM ne latin» non ha tradotta la rooe Greca ^ * im •m ti, e nel dizionario ha capotto . , armili*. Ora per qoanto toorgeti da Etichio , erano le /»•>««&■ < ornamenti ohe ponefaati intorno al oollo, che anche chiamavansi u tt (lo o ette). Quindi è chiaro, ohe ftanàim i significa, non gii armiUai, tot oollane , latinamente tartfUet, quali appunto portavano i Galli, e donde M aolio, uocisor di qael soperbo G allo, ebbe il nome di Torquato. C h t poi np)%tip*t iotaero «maniglie , abbaiLaoza lo iodioa la oomposicione di qoetto vo cabolo di wtf) ( intorno ) e %tìp ( mano ). (106) J laudatori. Qoeata voco italiana ho credala la pià atta ad esprimer 1' «*«»Wrr«< del tetto , i quali erano soldati armati alla leggera, che vibravano 1’ • * • » « • > , da Etichio apiegato Jtpéhèt, fu*p£ xly%n , picciola lancia. ( lo 1}) Per tal modo i lanciatoli. Lo Schweigh. adotta l'in terpretazione del Cataob. il quale legge 75» m < i7i> t«», non 7«7r »K tihrr*7tM come hanno tolti i co d ici, ev o lta: Ita Romani jaculatores Gaetatarum ferocet animot dejecerunt. Ma nelle n o te , osservando che nmpk cottroilo col terzo cato non h a altro tem o che opud, penes ( pretto ) , vorrebb’ egli che la frase accennata foste elittica , e che ampliata tuonasse coti :
dtwi adhuc penes jaculatores et levem armaturawi rei erat. Siccome pertanto non poteasi in volgarizzando esprimere questa modificazione, cosi ho ritenuta la versione del Casaub., che eoo sufficiente chiarezza espooe il concetto di Polibio. (108) Rcsistevan con eguale ardore. 11 testo ha
357 «« i n i (duravano egualmente-) , ore oon buone ragioni di sputa io Schweigh. contro il R e iik e, deverei leggere oos) , a non 1*1 r ì m (alquanto ) : obe non na poco, ma lnnga peiaa resistettero i Galli alla fanteria Romana , né furono vinti sa non «e sopraggiunta la cavalleria de* nemici. (rog) Gli tondi de’ qùati pella sicurezza. Qui-- è nel tasto nna ragguardevole lagena, coi lo Schweigh. supplisca neUs note in questa guisa. Gli tendi pertanto de* Romani hanno pella sicurezza e le loro tpade p elt asiane an gronde vantag gia , peniocckè lo feudo di (fuetti copre luti» il corpo, e
quello de" Galli è pià èreve, e perciocché la tpmda Romana ha un3eccellente punta e il taglio acuto da amendue le parti, laddove la Celtica ha un taglio telo. P er quanto cotesto sup plì meo lo sia felice, io non n i son arm chiato d’ inserirlo nella itradusione, siccome noi fece neppur lo Sobweigh. con tentandosi- di oarar da ciò ohe rimane un senso ragionevole. — Dal resto era la spada che usavao i Romani la Spagnnola , co rta, da dne tagli, larg a, sald a, e appuntata, che Saetonio ( i n Claad. c. r 5 ) chiama machaerm, e non solo iti lapagna, n a emiandio in Oriente era com une, eoo forme 1» indica la denom inatone ebraica
i
somigliante alU Greca. (V. Baxtorf.
Laxia. T b alm n d , pp. lo à 3 , ia « ( . — Goccejns Lexic. et oommeot. seno. Bebr. ‘et ChalfL p. 455 ) . Spagnvola pertanto addimandavaà questa spada, forse pecchi divenne comune lira..i Rom ani* allorquando incominciarono a guerreggiare in Ispagna , sebbene, anche prima la conoscessero ; dappoiché quel Manlio , che accettò la disfida del presuntuoso G allo , era di quplU cin to , conforme, presso A. Gellio ( l* , i 3 ) narra Q. Claudio Quadrigario. ( n o ) Colle maniache. Di sopra avea Polibio distinte le maniache dalle sm?niglie ; il perché ragion volea che le prime ■'interpretassero collane. Ma qni comprese sono amendae sotto
358 il noma di maniache, quindi non ai i potato applicar all* feconde la medeiima dtnominasione. Io pertanto (oppongo F d ie la tpiegaaione agginnta sia nna gleata marginale, ptll’ i gaoranaa di qualche copiata introdotta nel tetto ; altrimente converrebbe creder Polibio in contraddicono con t i attu o . Non t poi véro ciò cbe per convalidar il doppio aenao di ^ ( • 4 * w , ateeriioe lo 8obweigh. denotare ooal armila k m , come M rfo m eoliarti*. Strabono ( i v , p. 199 ) , da Ini eitato in appoggio dalla ina «antenna, gli è contrario, dappoi ché , parlando degli «rnaoieaii do' Galli , dittingue rvftmT», che portavano intorno al eolio, m»f) I tit , da oh* aveano circa le braccia a i poi a i , n p ) 7*7t » ) 7««r mipmut. P ii mi piac* il ano primo «capetto, cbe U parole Tmt z*tp)u a e ì ( lo mani e ) , ohe non trovanti n e‘ co dici U rbin., Y ltie., F iorent., Angnat., Regio primo, ed il Pe rotti ignorava , aicno «tate importunamente interi!* nel codice B avaro, donde gli altri le tollero. Qniodi io pare le bo ornane. (1 1 1 ) Il patte degli Anaai. Coti leggo con Leonardo Are tino , e col P e ro tti, • con Polibio aleaao, ova annovera i popoli Ciroopadani ; non gii Anamari o Aram ini , ntaione cbe non rincontrali altrove mentovala. (112) Poco lungi da Maniglia. C iò , come ha g ii oatervato lo Schweigh. dietro il C laverio, non paò (tare : d ie troppo era qne*ta città lootana dal Pò e dagl* Inaobri. S ibbene i probabile , c h e , conforme corre*aero i anmmentovati, Polibio abbia acritto n > i ( i i 7/ a r , Piatente, oh*era appunto in quella vicinarne , e non molto dittante dal eonfloente delI* Adda e del Pò , pittato il quale, i Romani furono nel territorio degl* Intubri. (113) Chiese, u x iru » ; fiume del Mantovano che ■bocca nell* Oglio. Donde ti comprende che a’ Cenomaui ip -
359 partenera bensì Mantova, ma non Crem ona, oon forme con Toltmeo opina il Cluvèrio. ( n 4 ) Itele le insegne. I vessilli che còndaoonti innansi alle compagnie, e che significano ancora le compagnie stesse, non altrimenti cbe vexillum presso i Romani e *•/**(* presso > Greci avean amendue questi sensi. ( n 5) Dal tempio di Minerva.- Cesare (B ell. Gali, v», i«j ) annovera Minerva fra le Diviniti adorate d a'G alli, e dice ohe da lei ripètevano i principii de1 lavori e degli artifioii. Questa Dea sembra pertanto aver presso gl'insubri presieduto esiandio alla g u erra, dappoiohi era custode de’ saori vetsiHi, ohe non era lecito di muovere se non se uè’ maggiori pericoli. Codi serbavan i T rojsni con somma gelosia il P alladio, piooiolo simulacro di Pallade , ■ caduto , conforme avean io tradisioqs, dal cielo, e dalla soa cooservacione credevano dipendesse la loro aaWeiza | onde fa nedesaario eh» Ulisse con asturia il trafugasse , perchè i Greci impossessarsi potessero di quella «itti. Cosi avea il fato attaccalo il dominio di Roma all’ in* tegrilA de* saorì sondi detti ancili, d* origine essi p ar celeste * che moveansi , ciòi a d ire, portavano in"processione ogni annò per trent* giorni da'sacerdoti di Marte, durante il qual tempo era vietato di vacare a qualsivoglia pubblico affare , coti ci vile , ootUe d‘ armi. (116) Alle prime titorti. $ ran i foldati di queste armati alla leggera, e stbbem chiamavansi bastati, tattavia nelle epoohe posteriori impugnavano il pilum , asta 1lunga e sottile, ohe troppo poco' avrebbe resistilo a’ colpi delle sciabole Gal* liche per incurvarle. Quindi accortamente i tribuni lecer loro cedere da’ triarii le atte massicce di chfe eran questi armati. (i 17) Corsero loro alla vita. Il testo ha m ifm /titìtt tir 7i r £1 Ipmt (co rrend o loro nelle m a n i), cioè, accostandosi loro tanto , che avrebbon potato vicendevolmente mettersi le inaui addosso , conte si direbbe iu Latino manus conserere,
36o 6 ip GttCO. ancora ni tarlar i<( la t %ii(at, i ìt x ù fa t ina i (toccarti nelle mani, venir alle m ani). Ma il svaifaptiìis . «prim euto la yiolenz» dell' a iio n f, richiedeva Irate luliaaa pii, e dica ce , qnale iq mi 1mingo d ' aver aiata. (118) Maitagliare, menando colpi dal? alto. Diflicil era ren der accoratamente in volgare la frate Greca cb’eaprime qu«4to Concetto. Lo Schweigh. Iridata»* facahate ah lau gladio» ad e*ttim feriendvtt attollendi ( di aita i le tp#de ptr ferire a tagli»). Ma ** M / n i t n o n p o o ù w l’idea, di f a i r a taglio, tibbeoe qaella d’ aitar 1* arma a. qualche d ù l a o u , e /••£ * ■ » Jtàfnttt tigni fio» propriamente poga*,, ni cqi cado» i colpi dall’arma e h 'è Mala pria a eeft» d ittan ti aitata. A quatti ptrtiooW i io mi tot) ingegnato U’approMimanui « per quanto |a proprietà della fav«Ua IlnUfo» il pernieUov». {119) Spingendo, per modo oAei «00 p o fa ti cantare. Il tetto ha 1* Jiaxi'l’tttt , altro tem in e teooioì «ppoalp * t> tllr f . nell» ttatia goit» «he la. direzione óriionule opposta i alla pcrpiodicolare. Deriva atto da Jtaìaftfla i * , secondo P*iobk>< vocf! della paleitt-a , che a giudicar* dalle p»rji che kicom pongono, sigoìtuaiatorortU r r«vvenario a («le, oh’egli non pota» «causare il colpo che’ gli ro c h à u o ( loqefeà doyea peli’ apporto accadere nell’attitudine preM da' R im an i. «ha da grande vicinanza ferivano i Galli a pool» di tetto a’ brevi toudi , on d 'p ra copula picciola parto .della perton», Lo S«bw. per :estrr« a f>è conscguente iolcrpreU» 1U 'pretento frate puncft'w in oppotitione, 4 caesim t in -coi avea voltata I’ antece dente. Io ho amato meglio d 'u ia r nna circotcmidoe che di tpiegamii con poca esattezza. (120) Acerra. Il Clnverio ( h a i antiq. p . i { ( ) pretende chc queato loogo «ia «ggi appellato Gherr» | ma io credo che «a Voghera, città >forte tuttavia , stilata. appunto ^ come qui là dtscrive Polibio, £r* il Pò e le A lpi, e a dir meglio ira
3Gi il.Pò « gli' Appennini, essendoti di-leggeri palato soambiare U t Awttntmt « fi» in 7i» ’AAitiitS» «/«». (121) Clattidio de*’ ««sere alata altra forteira fra Voghera e P iacen ia, dappoiché era nel territorio degli A n n i: 'd ie >>*>«1 a*ha qui a- leggere - ool G rom m o, • non "AtSfmr ( d * li nom ini'), conforme vuole il C au n b o n o , :il qnale con soverchia aotdglieasa traduce Bomanorwn — Sarebbe quello laogo 1’ odierno Catteggio ? ( 111) Cta buon moneto £ fanti. Il testo ha U t wtfr*3t ■cotanto, ove non avrei difto o lti diaottin tender p if« r (parte) co ntri l’ opinione dello Schw eigh, 0 vogliali considerar 1‘ e t pressione cOm’ eliltioa, o credere che q u estap aro la sia stata omelia per inarvertenaah Fu|vio O r«ai. e lo Scaligero prefe riscono 7* 1ri£j*<» ; nta allora avrebbe detto Polibio d ie Mar«ello erati partito
36a Pi>. Ma i B oii, • allora « • molto tempo appnam , tannerò la loro tedi di qoa del F è ( cioè al meuogiorao di q se tto fiume ), e itancarono tovente i Romani owt gravi guerre, toooaado etti p o r acerbe rotte. E perita la patte della itaria Polibiaoa in eoi eipotte tono le vicende potteriori de'Boii. A detta di T . Livio ( i n v i , 3 g ) il comole P . Cornelio vinte i Boii in naa battaglia in tigne, « tolto loro circa la metà del territorio. E quetta è I’ ultima meniione ohe da’ Boii troiai pretto T . Lirio. Che potoia i Boii fotiero al tatto eapolii dall* Ita lia , e li recaaaero aU’latro , ce lo n arra Strabone ( v , p. j i 3 ) , tu c h e , te intiera aveaaimo la atoria di Poli bio , ndir potremmo la tua pròpria tpotisione. Degl* latubri non ti riaoantn pio mentiene pretto T . Livio dopo 1*anno di R o m a'56o (x x n v , £ 6 ). Milano p ertanto , obe in addietro era (lato preio da MarceHo, mt> reitituito agli abitanti verto atatichi, gli tteu i Intóbri a quel tempo ancora poatedevano : ma non bo trovato pretto nettun altro autore, che ne fouero itati cacciata- Quetta città , dice S trab ane, è r i» Ttlt ‘'A kw in , contigua ia certo meda atte A lpi, looofai •’ aecorda con ciò ohe qui tori ve Polibio, «ooettocbè da pocài luoghi che giacciono lotto le Alpi. — La oampagna degl* In* tu b ri, dal lato che guardava il P 6 , è da crederti che d m a fotte fra i coloni Rom ani, conforme qni indica Polibio. Del retto dice lo n etto Strahone ( 1. c.) che il nomo d* Inaubii era rimatto tio alla tua e li nella Gallia Cisalpina. » ( i 25) Come V ultima volta iaturterò. Non fu q u e tta , a dir vero » 1' oltima guerra cbe i Romani aottennero contro i Galli in Italia, nè Polibio parla della m edetioia, ma di altra da lai detcritta io uno d tf potteriori libri a noi non intieramente pervenuti. Gl' I u tu b ri, poiché M arnilo ebbe loro reatitnito M ilano, unirooti l'a m o 55q di Rema oo* Boii e aaaaltarono i Rom aui, ma furono aconfitti dal conaole L . Valerio Fiacco , e Tanno appretto dal co ha. T . Sempronio ( Li», x u i v , 4 6 » 4 ") )
363 dopo il qnal tempo non aliarono p ii capo. I Boii fecero l'at timo loro sferzo tre anni di p o i, nel qnale farono tante in telici , che preiero il partito di sgomberar l'Ita lia ( V. la nota antecedente ) . < (126) Episodii della fortuna. Ariitotile (d e arte poet. o. i a ) definisoe 1' episodio nna parte intiera della tragedia ch’è posta fra i canti, intieri del coro; onde Melaitasto, ohe l’ interpreta aggiunta , ( estratto detta poet. d’ Ariatot. c. 1» ) credette esser episodio secondo il medesimo tatto il dramma. Ma lo ateieo Aristotile (o p . a cip. 19 ) qualifica episodio nell'Ifigenia in Tauride il furore d’ O reste, per oni fo scoperto e preso , sebbene colai arrenimeoto non è ponto straniero all' azione della favola ; chiama pertanto episodica la tragedia , in coi senaa vertsimiglianza introdotte sono 1* nna dopo 1’ altra pa recchie asioni. Adunque le guerre de' G alli, chiamate da P o libio episodii che introdusse la fortuna nella storia de' Roma» ni t non debbon allrimeati considerarsi come giaoahi , con forme 00testa voce Greca tradusse il Casaub., ma oome parti non aliene dal tatto) Siffatti avendosi il nostro autore propo eto di narrar compendiosamente ne* dae primi libri le gesta principali de' Romani dalla prima guerra Punica sino a* suoi tempi, non poteva egli tacere i periooli in queU'epoca da loro corsi pelle frequenti irruzioni de’Galli; Senza chè egli stesso dice di sopra ( c . u t ) esser al tutto necessaria la cognizione^ di questa storia per conoscere , in qaal gente e in quali luoghi affidato Annibale imprendesse ad abbattere l’ impero de’ Ro mani. Errò q u in d i, per mio avviso, lo Sohweigh. in soste nendo òhe la (posizione delle cose Galliehe non apparteneva qui gran fatto. Nè poteva si spacciar Polibio, siccom1 egli crede, oon poche parole per dimostrare l'influenza eh' ebbero cote sti affari nella guerra Annibalica j dappoiché dovea il nostro storico far conoscere la gente e i luoghi che tanta fiducia inspi rarono al capitano Cartaginese. — Concludiamo ohe 1* epiio-
364 dico di q netti narrai ione no* cornine gii B ella strsn e m di nife ohe in c u i si tratta dal soggetto principale, ma nell* in teresse secondario ohe. ne dativa , oome quella che grandemente beasi contribuisce a comprendere tatto l’ intreccio de’ precipui avvenimenti » ma di per sé non è scopo dell'opera , siccome nell* Ifigenia in Tauride il fu ro re. d ’ Orerta è mezzo beceesario a sviluppar 1* r i o n e , ma non la meta a coi questa tende. ( l i 1)} Decito a tradimento ec. 'T . Litio ( x x i, a ) narra, ohe tm B arbaro, adirato dell*avergli Asdrubale latto m oririi padrone," pdbblioameate il trucidò , e prato da quelK che gli alavano d ’attorno e da tonnend la ce ra ti, non altrimenti obe se aalvato si- fosse, tal era in volto cbe manifestamente la gioj* ■operava il dolore* (1 2 8 ) Annibale amoor giovine. Avea egli allora veniei «irti, eeriflodhè in età di nove anni venne ip lasagna col padre Amilcare; questi vi soggiornò altri nave anni, edotto vi oon* samò Asdrubale. (129) Aizzamenti. Il testa b a w»farf/fimn , che frropramente signiGea frequenti confricazioni, e qai vale quelle iodi rette offese cbe fannoai vicendevolmente còlerò, i quali covano lì nn verso 1’ altro odio scorato , donde procedono a manilesti oltraggi e a guerra aperta. ( i 3o) Lasciar caletta materia, cioè la guerra sociale e l'Aanlbalioa cbe formeranno parte della storia propria d a Irattara ne’ libri seguenti. Sicohè non fo divisamento dell’ autore di progredir oltre , come dice lo Sohweigh., ma all’ opposto dì retrocedere, narrando gesta anteriori. ( i 3 i) Dimostrativamente. Esponendo ogni cosa con chiare»!, e addaoendo le cause degli avvenimenti, e le loro consegaense più im portanti, e i consigli dond’emanarono le im prese , per modo che non lasci luogo a dubbiesse, e contenga utili lesioni pella vita. ( i 3s) IVeirargomento stesso • /» r f i a a r« m v « r, aranti di
365 entrar nelt apparato , dice Polibio, così cbuntando la «torà propria e da lui scritta di proposito, avendo appellata wp**mr w i i t ì la preparazione a questa storia. ( | 33) Siccome accennammo di sopra. Noo trovasi che Po libio abbia fin qni parlato della conoordia e della prosperità de* Peloponneai ; ond’ i da supporsi che nelle cose anzidetto v’ abbia qualche lacuna, o ohe 1’ autore si riferisca ad altra opera avanti la presente pubblicata, nella qnale ragionasse di questa m ateria, sebbene 1*■ r im ( di sopra ) non può esser relativo se non se a questa stessa «pera* ( i 3£) Primieramente ec. In tutto questo capitolo Polibio, caldo di patrio amore > tesse 1*elogio della soa nazione pre sentandola siccome modello della vera democrazia. Tuttavia non possiamo dissimularci, cerne la oonoordia delle repubbliche, cbe la lega Achea componevano , era opera degli uomini sommi che in tempi successivi la diressero, ansiohi -della oatura del governo popolare , tl qnale sempre degenera in lioensa e anar chia , ove l'au to rità d’ un capo virtuoso non freni l’audacja del volgo, e comprima 1* ambisione de' potenti. Così per con fessione dello stesso Polibio nel capitolo susseguente dovettero i Peloponnesi la loro ieb'cità . dapprima ad A rato, poscia a Filopemente, a Licorta, cbe 1' un dopo l'altro ressero quello stato. Che se Polibio, in luogo di seguire la gloria di Sci pione , ritornato fosse in patria e prese avesse le redini del governo. teoole già ,da eoo padre oon tant* onore , egli è as i l i probabile cbe dopo la oaduta di Péraea la fazione de'mal▼agi non avrebbe alsato il oapo, e provocando 1* ira da'Ratmani precipitato il Peloponneso bell* ultima mina. Del resto osserva bene' lo Schweigh., che quando Polibio scrive* que ste cose, non era per anche distrutta C orinto, e sciolta la confederazione Achea , conciosiiachà egli qui psrli della sua prosperità e floridezza. ( i 35) Di buon grado assumerò. Lo Schweigh. interpreta
366 / ■ i m i , bene teeumacttm putant, riferendo 1’ «**»/ 7» (q v e sti) agli Araldi e a’ Laoedemoni, laddove il Casaob. tradotto area fa noni obiinent, e 1’ «v7« / 7i riportato agli Achei. A. dir v e r o , siguifici non meno laudare , approvar*, compiacerti, ohe goder fam a, esaer in grido ; ma «iooome Polibio intendeva qui d* esaltar gli Achei appetto alle altre repubbliche del Pe loponneso , cosi non poteva egli impartir a tutte e guai grada di gloria , dicendo oome gli £a d ir il Catanb.: « Qui igitor factum est — u t et Achaei, et qui in iUoram reip. so no mini* sooietate coaluere oaeteri Peloponnesii, adeo aecundaa hodie famam obtineant? ( come andò la iàooenda» ohe e gli'Adiri e gli altri Peloponnesi, che adottarono il loro nome e il lor*. governo, siano oggi in cori favorevole grido ? ) » ( i 36) A rti furori i cuIlegii degli Achei Le perseoosioni de* Pitagorei sembra che incominoiassero g i i , meatreohè il loro maestro era ancora in vita. — Pitagora, ritornato da*lun ghi viaggi ohe per instrnirsi ave* la tti, e trovata Samo ra t patria oppressa dal tiranno P olicrate, reoossi a Crotoea nella Magna Grecia , ove per meaao de’sooi ammaestramenti ritrassi i cittadini dall' estrema Inttoria alla virtù, e oon trecento di scepoli amministrava la giostiiia , formando nn governo ariatooratico. Ma i Cro tenia ti sospettando, non qne' trecento, che vedeano collegati in secreta società, macchinassero coatti d i s i qualche congiura, tentarono d ’ abbruoiar la oaaa in «a essi raguoavansi. Perirono in quel tumulto da sessanta, e gli altri andaron in bando. Pitagora dopo esaer rimaso vent’ aaa a C rotona, si trasportò a M etaponto, ove mori. Frattanto faron espulse le società de’Pitagorei da tutte le c ittì d ’ Itali* par opera della Cuione di Cilooe , e ridottisi quelli obe re stavano a Metaponto, i loro nemici poserp il fuoco al ooliegio in cui eransi raooolti, e tutti gli oooisero, tranne doe , che merci della loro fo n a ed agilità soamparono dalie fiam me. (V. Diogen. Lari. in Pjthag. — Justio. E pit. 1. u t, c. 4 —
367 Plotaroh. de Genio Socratis — Opp. t. 2, p. 583. — Iamblich, Vita Pjlhag. 0. 35 — Porphyr. vita Pythag. teot. 55 ). (r3>7) Giove accordatore. Lo Schweigh. erede o h e, non leggendoti i/ttpft» te non se nel codioe Bavaro , debhaai preferire la (elione mll* autorità degli altri manotoritri, la qual voce è tecoodo lai l ' abbreviatura di ipayvp/», nome appoato a Giove , coi Agamennone erette in Egio ( città dell ' A chea, ove tempre per legge tenevaii il congreuo degli A ch ei) nn tem pio, n el qnale ridnoevi a contiglio i principi G reci, che «eoo lai andarono con tra Troja ( V. Pana. Arcad. e. 2 ^). Ha qoell’ abbreviatura non a i garba, e sembra più ragionevole l ' altra opinione dal medetimo ennnaiata, che poita derivare ti d itta denominazione da i/in fiit in dialetto Pelopoonesiaoo ì/im ftit, che ginita Etichio lignifica eiter concordi. La qaal oow ha tanto maggior probabilità, quanto che pooo prim a dice Polibio aver le quattro città eunnoainate fatto ciò di cornuti contento. Per tal modo, continua il mentovato com mentatore , aveano le città della- Magna Greoia itabilito , ad inutasione degli A chei , un tempio a Giove O m ario, cioè al preaide de* congregai • della concordia. L* ipttpiu (confinante) A al tutto, per quanto io stimo, da rigettarti, dappoiché non solo ha debole appoggio n«* codici, ma non è al prò potilo nel c n o preiente» ove le città di cui ragionati non disputa vano già pe’ loro confini, ma erano in iicompiglio pelle in terne discordie e turbolente. ( i 38) Nella battaglia di Leuttn. Non puoni menar bnona allo Schweigh. la ragione da lai addotta per itouiar Polibio d e l non aver egli qni nominata la battaglia di Mantinea. Pooo, dio’ egli, era questa battaglia conosciuta a’ Greci. Ma sebbene f a d’ esito ambiguo avea tnttavolta messa la Greoia nella maggior confusione, conforme narra Senofonte ( Hist, Graec. vii verso la fine ) ; locchò non era al certo avvenimento di lieve importanca. Io credo pertanto , che alcuna parola sia stata
368 ometta nel tetto , U quale ricordar» il - LU t di Maotwea : quantunque ti* «stai difficile il oon gettar* re quali fottero co terie parole, e dorè fottero ooNocate. F orte dopo ri» 'E>a«wi iy t/ttt/a t leggerai! ■»< « « r ii « I I I » tt M u n i i * ( ed avendo etti poecia eoa dabbio saccenti com battuto in M antioea). (1 3 9 ) Gli ani ntm « confettavano vinti eo. Amendue, u oondoehi racconti00 Diodoro ( * t , p. 5o3 ) e Stnofoote ( 1. c. ) attribuirono la vittoria e potero trofei, oomeohè D et tan o , come te fottero stati v is ti, all’ altro dì ciò far impaciate. Polibio pertanto prende la ooea per nn altro veno, dicendo dia gli nni ( cioè i Lacedemoni ) non ti confettavano viali, e gli altri ( i Tebani ) credevano d’aver vinto , perciooobé tebbtnt gli Spartani foggirono, tuttavia i Tebani tbigottiti della morte d ’ Epaminonda , ben lungi dall’ inseguirli , trepidando, non al trimenti che ae fottero taonfitti, dilegna ronti alla metcolata ■co* nemici che andavano in volta ( V . Senofonte 1. c. ). ( i 4 d) Stabile alquanto. Allorquando Polibio tcrivea qoette .c o te , finita era la guerra con Perteo, -e gli affari dalla cotifederazione Acbaioa cominciavano a intorbidarti. Lioorta, i quale dorante quella guerra avea uviameote portato parete ohe gli Achei ai ttetterò di m etto ( Polyb. x xvu. 5-G) era venuto in eotpetlo a’ Rom àni, e morto lui il partito 1 quelli favorevole retti» tuperiore,. tingolanneote dopo
369 forme (piega lo Schweigh., succintamente nella p rep arato n e, più diffusamente o distintamente nella storia ulteriore. ( s ii) Composte motorie. Intorno alla storia ohe acrisie Arato vedi la nostra nota al libro i , cap. 3. ( ■ 43) Alcun poco parlato. Qoi si riferisce Polibio a cib ohe ogli nel cap. 3 7 di questo libro disse sulla concordia detli di versi stali del Peloponneso. ( i ( ( ) Tifamene eo. Oreste regnò in Argo e in Sparta, sposata avendo E rm ione , figlia d’ Elena e di Menelao, con coi generò Tifamene. Questi scacciato dagli Eraolidi sessanta anni dopo la distrazione di T ro ja , recossi co’ suoi figli e colle sue forse in quella parte del Peloponneso che chiamavasi
Egiolea , ed era abitata da' Jo n ii, a’ Principi de* qnali propose di stabilirsi fra loro. Ma temendo essi il suo valore e 1’ auto rità che procacciarsi potea fra il popolò m erci dell* illustre sua discendenza, non gli accordarono la richiesta ; onde ven nero tra loro a battaglia , nella qnale mori Tisamene , ma vinsero i su o i, e il regno rimase alla sna stirpe ( V. Pansan. Achaic. cap. 1. - Strab. v ili, p. 383 ). Allora prese quella oontrada il nome d'Achea dalla naaione che la conquistò, e che in origine venuta era da Ftio ad abitare S parta, oondotta da Aoheo , il quale uccisi avea involontariamente i figli di Xuto cbe regnava in Attica (V. Stràb. L e . ) . ( i £ 5) Ogige. Di questo re non ho trovata contezza in alcun altro autore. (i£ 6 ) Oleno. Questa città , giusta Strabone ( I . c.) non volle unirti alla confederazione Achea. Al tempo del mento vato geografo era essa d istrutta , e non rimaneva di lei che un nobile tempio d ’ Esco lapio ( i i , p. 386 ). (147) Elice cadde nel m a re , a detta di Strabone ( i x , p. 384 ) due anni innanzi alla battaglia di Leuttra per ven detta di Nettuno , perciocché i suoi abitanti non vollero dare ro L in io } tòmo 1.
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370 il simulacro di questo Rama aè il modello del ano tempio ■* Jonii eh' arano «tati di 00là soaooiati. Diodoro ( x v , p. 384 ) d ice, che per an terreawto sopraggiunta di notte Elice, avanti qneiia catailrofe la prim a città dell’ Aohaa , fu ingojsta dal mare , sebbene era dodici stadii da quello dittante. La cagione di siffatta soiagura ripone egli non tolo nell'ira degli Dei, ma eiiandio in oerte aotterranee caviti , ove molta acque raccol to m i , e la cui eaiitenaa nel Pelopoftnato i per n o arriso dimostrata dal precipitarti cbe fanno (otterrà due de* antri fiom i, 1J ano de* qnali al latto sparisce, l* altro risorge dopo aver peroerso al coperto lo spazio di dugento stadii. — Aooadde cotal subistamento 1' anno quarto dell* olimpiade a . ( ■ 48) Bura. Questa cittì pure, longi dal mare 4o stadii, fn assorta dalla te rra , quando Elice rimate sotto le onde sepolta ( V. Strab. 1. 0. ) . Se non che l ' ultima peri con tatti i saoi abitanti , al terremoto essendo preceduta un* inondazione ; lad dove la prima fa rifabbrioata da nna parte de’ soci cittadini, che per avventare trovatasi assenta. ( i 4g) Non etitte neppure una colonna. AlGronovio é sem brata cosa assorda, che non fossa esistito -un segno del go verno oomane delle quattro città, cbe sono qui mentovate, a perciò egli ha traslocate queste parole dopo qaelle , ove dioe Polibio cbe Antigono Gonata introdusse molte Signorie f n i G re c i, quasi eh’ egli avesse distrutto ogni memoria di libertà , abbattendo quelle colonne. Ma opportunamente riflette il Reiske, cbe 1’ erezione d ' un monumento nelle r i t t i , le quali di co m une consenso ristabilito avean 1’ antico governo, e per con seguente come nna tola poteano considerarti, aarebbe stata eu parflaa ; sibbene conveniva di farlo, quando ad esse riunrrasi qualche nnova oittà. ( i 5o) Riducon in servaggio. L ’ ambinone de’ re di Macedo n ia, i quali eziandio dopo la morte di Alessandro fomentavano discordie fra i G reci, affine di soggiogarli più facilmente, (a
3 7! la principal « u n per coi le oittà Ache* e o lle p n n ij in li bar* ooatitosione. l a progresso di tempo «tuoiuronii ** Mace doni fieri rivali ne’ re di Sparta , ov' era cessato il governo da Licurgo. Ora , sioootne gli. Achei , poiti fra gli Etoli Minici loro implacabili, e la Laoonia, ai ridussero a sommo perìcolo, eod riconciliaronai colla caaa di Macedonia, e sostennero per tal guisa la loro p re ponderane* nel Pelo ponneso. Ond’ è da crederai, c h e , olire alla lodevol inclina to n e dì beneficar altru i, il desiderio di oonaervare la propria potenza destasse loro la condotta ohe tenaero veno gli altri •tati vicini. ( i 5 t ) Quattro anni dopo ec. Plutarco iella vita di Arato ( O p p . l i , p . io 33 ) riferisoe, che questi, poiché nnl Si done alla oonfederazione Achea , tolto militò nella .cavallerìa, e , «ebbene ooll’aggiunta di tanta cittì, non pooo crebbe la pe te n ti degli Achei, servi qual gregario l’annuo duce,di qualsivogU*. eziandio la pià picciola aiti! egli foste. Dond’ è chiaro, ebe Polibio qni non parla della prima pretura d’ Aralo , la quale gli dabb' essere stata oonferita pareochi anni dopo che egli passò oolla sua patria nella lega Achea. Che se il nostro soltanto della seconda pretura di lui Da menzione, e‘sem bra, ooft forme riflette lo Sohweigh,, cbe nella prima nnlla d* im portante avvenisse per rispetto a ’progressi della mentovata oonCederaaione. Del resto , stando a Panaania ( Acbaio. 8 ) , le parole del nostro potrebbon intendersi per modo . che Arate in e li di vent’ anni fosse fatto la prima volta P re to re , dap poiché secondo queU’autors egli pervenne a colli dignità subito dopo aver liberata la patria. Ma osserva egregiamente lo stesso Schweigh. , come oltre all’ improbabilità che uii giovinetto co«i tenero , appena nnita la città sua agli A ch ei, fosse innalzato al maestrato saprem o, Paasania stripse in pochi detti le ge sta d’ A rato, laddove Plutarco ne trattò di proposito e eoa tu tu precisione.
3^2 ( i 5a) Ebbe per teoreti maneggi ha il tester, e il Catanb. tradooe atta in petestatem reduxit ( li rid a n e con aitnzia in ino potere) . Lo Sehweigb. ritiene questa in terpretasione, ma nelle note pretende, che in quell* acquino non v‘ ebbe tegrete pratiche, peroiooché neòiun altro lorittore ne parla. ( i 53) Continui a governare. Scrive Plutarco ( p. io 58 ) aver tanto potato Arato preno gli A ohei, che ogni altro anno il crearono pretore, dappoiché permeilo non era d ’ eleggerlo ogni anno a si riatta dignità ; ma che io realtà e col consiglio tempre regnava. Laonde /n riA ii wf»rr»rrSt significa, comandi perpetuamente, e bene otterrà lo Sohweigh. nel disionario Polibiano , che iim rtxùt costrutto co’ ptrticrpii denota tempre continuazione. Coti nell* in gretto dell* orasione di Demostene pella corona iv m » t JtmvtXm ri r i wtXti ralc; qnal benerolem a io porto incettante/nenie alla città. ( 154) Circa il tempo in cui i Romani fecero il pròno tra gitto neirniirìa. Sebbene Demetrio padre di Filippo mori l'anno di Roma G ai, e i Romani tragittarono la prima volta ne)l*Illiria 1* anno 52^ , io non credo cbe dopo le parole ed estendo morto abbiali a separare il dùcono, e riferir le prossime circa il tempo eo. a quelle cbe tegnono, conforme opina lo Schweigh. ; dappoiché il circa giaitifioa in nna itoria compendiata 1‘ intera ▼allo di tre an n i, c la co ltrato ne del dùcono secondo il mentovato commentatore rim ltar farebbe np tento , quasi cho d im , ridicolo, dovendoti scriver il periodo in quetta forma. Ma regnato avendo Demetrio dieci anni, ed estendo morto ■( puerile aggiunta ) , circa il tempo in cui i Romani fecero il
primo tragitto in lllina, un corto di felici avvenimenti secondò ec. ( l 55) Divise con Alessandro ec. Debb* estere stato oottni nn solennissimo ingrato, avendo per tal gnisa rimeritati gK A carnani, che , per quanto riferisce Giratino ( xXTi, 5 ) l’aveano ristabilito nel regno d’Epiro, del quale Antigono re di M i-
373 ccdoaia lo a rea «pogliato. — Così egli oome tu o padre F irro la sciarono scritti sull'arte della g u erra, lodati da A rriano e da Bliaoo.
( i 5C) Con Antigono. F a questi Antigono soprannomato Do so oc , altimo di questo nome che regnò in Macedonia. (159) Indottili ad inimicar anticipatamente. Hi sono studiato d’ esprimere oolla maggior esattezsa che per me si & potato quel ile 7«> di cui Io Schweigh. nella traduzione non tenne, oonto , quantaoqoe nelle note vi rivolga la u à attenzione. Credevano gli Etoli di metter in vie maggior imbarazzo la nazione Aohea, ove 1’ avessero prima (atta M ultare da’ Lacedemoni, indi fossero essi medesimi an dati loro addosso. ( 158) Tegea, Msnt'utea ed Orcomeno. Coteste città, sebben erano nel Pelopponeao, appartenevano tuttavia ana confedera zione degli Etoli. Cosi vedemmo di sopra che Megara, qaantunqna fuori dell' Istmo era stata da Arato procacciala alla na zione * Achea. ( 15 q) Ateneo. E ra questo secondo Plutarco ( vita di Cleomcne p. 8 0 6 ) il tempio di Minerva presso Belbina, luogo all' ingresso della Laoonia. (1G0) Amici di Tolemeo ec. L ’ amicizia d ’ Arato con T oleineo ebbe questa origink. Fioriva in Sicione sua patria , una celebre scuola di p ittu ra, eh’ era stata frequentata eziandio da Apelle. A rato, cni era nota la liberalità di Tolemeo ed insieme l ' affezione eh’ egli portava alle, belle a r ti, gli man dava sovente dipinti di que' migliori maestri , e n ’ era genero samente ricompensato. Ora , essendo dopo l’abolizione della ti rannide in Sicione, nate gravi contese fra gli esuli eh’ erano stati rimessi e i cittadini che i loro beni possedevano , Arato navigò alla volta xT Egitto , recando seco parecchie delle piò eccellenti tavole, ch’ egli offerì al re. Q uesti, cui Arato era già caro , poiché il conobbe di persona, gli si affezionò maggiormente, e gli diede pelle dipinture offertegli cenein-
374 quanta latenti, i quali tolti Aralo impiegò al nobfl oggetto di riconciliare nulla sua patria i poveri co* ricchi ( V. Platarco in A rato , p. io 3l -33 ). (1G1) Attivo e i intelligente. Doe sono le principali qnatiti ohe richieggonti nell1 nomo d’affari. In primo luogo debb'egli esser initanoabile ne’ lavori, e non Iasciarti ribaltare da dif ficolti e pericoli; poacia è necessario ch'egli iia avvedalo, «appia trar partito dalle circo sta rn e , e preveder il futuro. C h i la prima sola possiede sari avventato nelle im prese, che di rado gli rinsoiranno a buon fine: ohi unicamente alla seconda • ' appoggia, per soverchia cautela • circospesione li lasceri sfuggir le migliori occasioni d’ operare. Chiamaron i Greci la prima di qoeste virtù wfmfte , qoasi facolti operativa, I' altra r ittr u , quasi facolti intellettivo. Il Reisfce dice, esser w flfir una prodensa astuta, combinata oon agilità e industria, qual* può trovarsi anco nel malvagio, e r i u n ì spiega egli una ri posata previdenza dell'avvenire, che adatta i messi al fina pre fisso , ed 4 congiunta con gravili , dignità • probità. Ma chi non vede che siffatte qualità , essendo fra loro opposta , non possono cadere nella stessa persona, oocne qni attribuita sono da Polibio ad Antigono ? (1G2) Come i re per natura ec. Il lodevole «oopo ah’ avean proposto A rato, di rassodare co’ legami della giustizia la fe licità delle repubbliche entrate nella confederasione Aohea, abborrir gli fscea l’ ambizione che «limolava i re de’sooi tempi ( per qaanto del resto alcuni d ’essi governassero i sudditi eoa dolcezza ) ad inquietar i popoli vicini, oon animo di render sene signori. Eppure gli Etoli , oomecbi si reggessero a de» monrazia, erano di gran lunga più per6di ed avidi di conqniste, che qualsivoglia re ohe allora in Grecia dominsva, tranne Cleomene tiranno di S p arta, oon coi erano ben degni di stringer alleanza. Tanto è vti-o cbe l’ onestà in politica a nessnna forma di governo è legata, e c b e , così nelle monir-
375 cbie s u o la ta , come nel reggimento popolare, la cornane fe liciti dipende dal carattere di ohi. esercita la suprema autorità, il volgo non essendo mai altro ohe nna m atta in e rte , la qnal saga* 1* impulso datagli da ana Corsa superiore. (iG 3) Beneficati furono da Filippo eo. Di ootesti benefici! di Filippo r« n o i Megalopolitani. non trovasi latta m enàone presso altri attori. Pauaania ( v i l i , 29 ) a dir v ero , riferito* ohe Filippo ebbe nella battaglia di Cheronea un grande van taggio , ohe gli Ama di e quelli d i Megalopoli non vi combat terono. Ma lo stesso Paotania, conforme osserva lo Sohweigh., d io e, cbe non vi poterono intervenire, perché avean guerra co’ Lacedemoni. E pertanto da credersi, ohe avendo riousato dopo quella battaglia gli Arcadi soli fra i Greoi di rioonoaoer Filippo per d u c e , secondoché narra Diodoro ( x v u , p. 586 ), i Megalopolitani, quantunque fottero Aroadi, ae facestero ecoesionet onde Filippo gliene avrà largamente ricompensati. E qaesta fedeltà verso la casa di Macedonia la dimostrarono pure ad Alessandro, quando fece la spedisione contro Dario. Imperoiooché, mentre gli Arcadi non vollero per lui parteg giare , e i Lacedemoni da Ini ti ribellarono , sostennero essi nn gravissimo assedio, di oni a stento liberolli Antipatro ge nerale d* Alessandro, poich'ebbe sconfitti gli Spartani ( Y. Dio doro I. 0. - Q. C o n io I. vi nel principio, - Etchioe Orazione ooptra Ctesifonte ) - Per ciò ohe spetta a{l’ intelligenza d ’ Arato col re di Macedonia , Plutarco ( in Arato p. io £5 ) non approva la sua risolusione ; dappoiché , dio’ e g li, per quanto fossa Cleomene scellerato e tiran n o , avea detto per antenati gli E raolidi, e per patria S p arta, il oui pià vii cittadino me ritava d* esser latto duce da ohi tiene in qualche conto la Greca nobiltà, anziché il primo tra i Macedoni u. Ma non rifletté P lutarooj ohe Cleomene, sovvertitore delle patrie leg gi , ed agognante alla tirannia del Peloponneso, congiuralo avea aogli E toli, perfidissima a rapacissima g e n te , a dan
3 ,6 no della nazione Achea , c clip, per quanto (calerti splen dide le sae promene alle città cbe sarebbono per favorirlo, egli non le avrebbe al certo trattate meglio del proprio pane : laddove in Antigouo era lealtà e forza di mandar a vuoto gli ambiziosi disegni del re Spartano. - Che le Arato neglette T amicizia di Tolem eo, e non ricorse a Ini per ajo ti, ciò forte dipendeva dalla aoa pendanone , che ooo molto giova mento gli avrebbono recato le forse di Tolemeo contro quelle de’ Lacedemoni ed Eloli rioni t i , siccome ha già osaervato lo Schweigh. ( 164) Insieme cogli Achei e co’ Beozii. I B eoni, sebbene umiliati dopo che Alessandro distrusse Tebe loro capitale , oovavano sempre 1’ antica ininricitia verso S parta, di cni erano «tati on giorno felici m ali. Il perchè non è da maravigliarsi se allora collrgaronsi cogli Achei contro Cleomene. Antigono adanque, alleato degli A chei , avrebbe quelli ancora avali per sooii. (iG 5) A’ tempi di Demetrio. Oli Achei avean efficaoemente assistiti gli Etoli nella guerra che questi fecero a Demetrio. ( V. di aopra c. 44 > 46 )• (16G) Fere ed importanti. Le parole delicato tono «AaS*t i i s a i xfm y/taTuùf 'è v ii/iia tlia i v ìi 'Aparti aver Arato
indicato con verità e in quella guisa che ti conviene ad uomo pratico de“puòilici affari, conforme interpetra lo Schweigh. nel ditionario la voce wp*y(t*rt*£t. Se non m’ illudo, l'espres sione da me osata racchiude tutte le accennale idee, non po tendo esser importante ciò cbe da pari too significa chi con destrezza • cognizione maneggia le faccende di stalo. (1G9) Lasciando per disperata la navone Achea. Polibio scrive qui à*»yi*ìt Te « e il Casaub. c lo Schweigh. inter pretano : desperans retinere se poste in amicitia sua genten Achaeonan ( disperando ilì potersi conservar amica la nazione degli Achei ). Ma qnali olTcse eran corse fra am endae, che
377 Tolemeo ridotto folte a colai ditperasiooe ? H i Utnpooo p o i ammetterti l'altra spiegazione propotU dallo Sohweigh. nello note tpreti», abjectit, omitii» Achei» ; ohe ten ia motivo non avrebbe qoel re da t i ribotta la ana naaione( il di coi capo gli era tanto oiro. Non sarebb’egli più ragionevole il credere obe Tolem eo, non oonotcendo le praliolie introdotte da Aralo ooa A ntigono, il quale sapeva eeter contro di Ini irritalo pel tra dimento della rocca di C orinlo, e reggendo che Arato non V avea richiesto di to cco rto , stimasse perdala la nazione Aohea, assaltata ad nn tempo da Cleomene e dagli E to li, e nemioa de’ Macedoni ; onde aeu o o a speranza poteva egli collocare nei loro ajnti contra i dilegui d* Antigono, ed abbandonatili al Uro declino , ci feoe a ria fo n ar Cleomene, il q aa le, tiocome pooo appretto dice Polibio , pareagli piè allo che non gli Aohei a frenar i re di Macedonia, (1 6 8 ) Lieto- Alta montagna neU’ A roadia, donde ti tcopre pressoché tutto il Peloponneto. V* avea tn quella nn tempio •acro al Dio P a n , e vi ci celebravano certi giaoohi bacivi, ohe te rv ivano poscia a* Romani di modello a e ’ loro Lo per aali. Bolla vetta ara «n tempio di Giove, in cni qoetta divinità ad»* ravaai oon onlto mgreto. Altre particolarità favolose narranti di qaetto monte , ohe trovanti descritte in P aatao. Aroad. c, ) g , 3 8 -S lra b . m i , p. 388 - Plin. xv, io. (iC<)) Ladocea. Loogo snborbano ionanai Megalopoli calla tlrada che oondaoe a Tegea (V . Paotan. Aroad. c. 4 4 )" (170) E ra quelli già ciato tiranno di Megalopoli, ed avea, secondo ohe vedemmo di sopra ( 0 . 44 ) spontaneamente la sciata la signoria. C o stai, a della di Plutarco ( in Cleomene p. 809 ) inoltratosi dopò la ritirala d ’ Arato oon soverchio ardire in nn luogo impaooialo di v iti, d i'f o t ti e di m acie, f|i oocito oombatleudo valorotamenle, e Cleom ene , fattosi recar il suo cadavere, il fregiò di porpora , gli feoe por ta l oapo nna corona e maqdolla all) porta di Megalopoli POLIHIO ,
tomo
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378 (171) E data ad Atdgom te. vp th /ta t i ael t a t o , il qaal verbo, secondo li n i com poni ione, Bonifici stender ad alca no qualche c o n , perché la riceva. Ora S ò d a apiega w ptltittu , JmptìrSuì ( donare) td B iic b io »^i7i / h 7« i, illm n ( e g li d i) . Quindi n ' i sembrato troppo poco /* offerire, che al postutto non vale più che promettere, proporre, a cbe im i ri limitò certamente A rato , avendo ad Antigono seoaa indugio oonaegnata la racca di Corinto. P er la qnal oovi lo Schweigh. in laego di obìatixja» ( Acrocorintho ) avrebbe meglio delta
tndùoquè. (191) Mond Oaet. Qaaai asinioi da
», sfatati fra la Beoaia e l'istm o di Corinto , incominciano dalle rocce di S iciane, e pella itrada che da queste condaoe n ell'A ttic a , at traversano la Uegaride , ed estendonsi re n o ponente an o al Bontà Citerone. ( V . Slrab. v iti, p. 38o ). Platarco ( in Cleo■m m p. 1 15 ) ri feri»ce , che Cleomeoe avea richiesto Aralo di laaciar custodire la rocca di Corinto dagli Achei e da’L acedemeoi u n iti, promettendogli separatamente ia compenso di d i la doppia pendone ch'egli rìcevea da Tolem eo; ma che Arato oolla ne volle sapere, e che mandò il figlio con altri •tatichi ad A ntigono, e pennate gli Achei che detaero a qaesti la roooa di C orinto: che allora Cleomene guaiti» il territorio di Sicione, ai pr^fe il danaro ohe i Corinti aveaa decretato da donani ad A rato , e cinse i monti Oaei di m ara e di fosso per impedire la discesa de’ Macedoni. ( i ^ 3) Cleomene — pmetrur in Testaglia. Antigono , sen tito ch’ ebbe, aver Cleomene passato l ’istm o , ragionevolmente temea ch’egli fosse per passar in Tessaglia, oomechi l’inten sione di q ae sti, conforme vedemmo fosse da ciò ben diversa. ( l^ 4) Cranio Antigono alle T erm opile; (c b e queste sono le porte di oai tosto si parla ) gli Etoli nemioi degli A ohei, «he occupate già aveano quelle sire Ile tanto famose, per cui dalla Tessaglia si passa in fieosia , il costrinsero ad im b ir-
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can i nel u n o Maliaco per tragittar nell’ itola d ’E a b e a , e at traversata nna parte di quella recarti in Attica pel ponte ooitratto «oli* Eurìpo. Varcata 1* Attica e la Megaride , egli tolto entrava upll* Istmo. (195) Col pretore Timotseno. Lo Sohweigh., Mgaendo il C iiaabono , area tradotto duce Timoxeao. Ma arredatosi che Platarco scrive , essere ilato pretore degli Acbei T im o u en o , allorquando fecero 1* impresa d’ Argo , li ritrattò nelle n o te, e a duce sostituì pretore. (196) Non sì tosto riseppe. Non fu già l'entrata degli Achei in Argo cbe induiae Cleomene a ritirarli,, ma libbene l ’a r ri ro d* Antigono ooll* eiercito , conforme riferisce Plntarco (in Arato p. 8 i £ ) . Imperciocché , arata onora della ribellione dì Argo , ri «pedi incontanente degli ajnti. V a giunto coli T imosseno da Sicione con mille cinquecento A ch ei, ebbero i inoi la peggio : onde ri andò egli ite iio , e già ne avea sca late le mora , quando ride mila vetta de* monti Antigono, ohe icendea nel piano colla falange. Allora tem endo, non i Maoedoni scorressero impunemente lino a S p arta, in (retta li ritraile. (199) Nel territorio Egide» e Beiminate. E ra l'Egitide nn distretto della Laoonia , confinante col territorio di Megalo poli , e traeva il ino nome dalla città , Acgys. Cosi era denominata la Belminatide dalla città di Belmina, che in T . Livio e Platarco trovasi chiamata B elbira, forse pella fre quente reciproca mntasione delle labiali B e M. ‘ (198) Orcomeno. E ra queita Orcoiueno d’A rcadia, appellata da Omero »•*»/«*A«» , abbondante di pecore , per distinguerla da Orcomeno di Beosia, ch ’ egli chiama M n i n t t . Minieo ( V. Strab. v ili, p. 5 3 8 , 3^9 ). Apparteneva cotesta città alla confederazione degli Etoli ; quindi non è da maravigliarsi se era alleata di Cleomene. (199) Essendo già vicino il verno. Il Reiske copialo dallo
38o Sehweigh., t e m i il Catanb. d 'av ere nel prospetta cronotcv gioo ad nn anno solo ridotta la guerra Cleoeeemea, che dorò ben tre a n n i, e pretende di dimostrarlo recapitolando gli av venimenti principali della medesima. Ha i* inganna egli a par tito , dappoiohi il CaMab. all’anno 5 3 1 di Roma scrive a Clto(nenicum bellam , eodem geslum tempora oam Gallico, finitoli est hoo anno ». Ove aono da notarti doe cose. Priasieraaaunte i detto ohe la gnerra Cletnneuioa eadde nel tempo appunto della G allica, e questa nello stesso prospetto troviamo ram mentata negli anni 5l g , 53o , 5 3 1. In secondo loogo » fini toci est hoo aono *» dico il Casaob. loooM t ben diverto da gestum, siccome avrebbe dovuto dire se vera fosse I’ accusa del Reiske. (1B0) Alcuni fuoruscili di Mestane. I Hessenii, siccome erano nemici naturali de* Lacedemoni, oosi coltivavano l’ann oiata degli Arcadi. Quindi fu cbe nelle loro aciagure recipro ca m e n te s* assistevano , ed i fuorusciti d* nn paese nell’ altro rifnggivanai. Coti veggism ora gli eeali di Hetaene in Mega lopoli, e tosto ( csp. 6 l ) vedremo i Megalopolitani, da Cleo mene scacciati, ricoverar in Messene. Ma non furono sempre i Mestoni! di buona fede verso i loro benefattori, siccome apparisce da faiolti luoghi di questa storia ( • qui ne abbiamo nn insigne esempio. (181) Alla spelonca. Lo Sohtveigh. osserva che nel libro i i , c. 1 8 , ove dello stesso fatto si p arla , in tutti i codici leg ge» in vece di ( « A s / ir , e o a ’ i qui scritto, tranne nn solo che ha f s X u > , e cbe colà il Casanb. interpreta a i tpehmoam. 8u queste tracce io ho qui pare adottata la ver sione del Casanb. (1 8 2 ) S i tra i Megalopolitani, ni tra gli Stinfaliti. Quindi è chiaro che in totte le altre cittì dell* A rcadia, non appai* tenenti esiandio alla confederazione Etolica , Cleomene ebbe partigiani t i quali gli agevolarono la conquista di questo paese.
381 Hé eccettui Polibio i Clitorii anoora, d ie traditi furono dalla scelleratezza d’ an Orcomeoio,
38 a da nn «gmsso di dolore, anaiohè quel oommovimento d 'a n i mo , che ia lagrime prorompe. (167) Commi. Opposti a’ latti miracoloni, che nel princi pio del periodo Polibio assegna a' facitori di tragedie. Etiawtfì mediocria tini volta il P e ro tti, e a mio parere pi& s* accosta •1 testo ut (meglio • ' mt, sebbene) r i t a p i7f«a 7»> ^ar» n > •tlm, che non lo Schweigli. il qnale scrive, edavui parwm mirabilia fuerinl. Imperciocché il fttlfém sta qui assolalo per denotar il oontrsrio di h f a h t i / n t t i , e non nna modifica— sione d* esso. Il wmtv pertanto non andava negletto , ed io mi son ingegnalo di renderlo adeguatamente al senso d e ll ' autore. (1 8 8 ) Aggirare. Lo Sohweigh. pretende che i n r i non si gnifichi precisamente inganno , ma quell’ illusione ohe amiamo ci sia fatta con lusioghe e attrattive. Trovo pertanto in E sichio : im i 7*. mxirn, cioè a dire errore , e io un altro gram matico citato dallo Schweigh. leggesi pure : à r « 7«, m»f ATlimtlt (presso gli A ttici). Sembra dunque che il senso più naturale di questa voce sia aggiramento, ossia quell’ in ganno in cui alcuno cade lasciandosi condurre per vie piace voli. Donde avviene che trovasi tir* 7» talvolta accoppiato con Tifali ( diletto ) , siccome in Gins. Flavio Antiq. lud. v u i, 2, i sinonimo ancora del medesimo , oome nel grammatico Moeris : a r ili f i i 7i nìtf’ VEAA«r«>. (189) Su ciò che lode 0 biasimo si merita. Molto felice mente ha lo Sohweigh. ne’ commentarli empiuta una lacuna, che qui esiste nel testo , ove leggesi: orif 7i 7i r •«« •> 7»7i likwftistH (sovra li *** non delle cose eseguite)., pó nendovi Jiutfmi m 'i ISi mSiKmlmt ^ a ^ i 7«> (fatti ginsti e ingiusti ; ma nella traduzione I* ha egli saltata a piè pari. Io ho supplito un poco diversam ente, supponendo perdute queste parole : i'm /m w l yj/tytr *{/»*. (igo) Eransi veduti dinanzi. Seoondo lo Schweigh. 1‘ •»«
383 qn i preposto «11' ttim ri aggio gn e fo n a | ed eqnirale allo ttar dappreato all’ oggetto redolo. (191) Cadere gravemente feriti. Leggo col R e tile IfA^ptmn in loogo dì wfi'yftmn, eiseodo /Sia/«ir r pmtptmTi w$p)wMttr ( rader io grari ferito ) frase aiata altra rolla da Polibio per riportar ferite : laddore fiia/»ir wpmyftmrt wipivMuw ( ca der ia violenti sciagure), oltreobé non ) frate Polibiana, ha nn non to che di rago e indeterminato, ohe taona male dopo quel preoito : ennti veduti perir dinanzi. ( ■ ) : ) Venduti etter dovevano. Barbaro ontlume, eoo oui ditonorarónti le naaioni più incirilite dell* a n tic h ili , ti era quello di rendere gli abitanti d 'u n a oittl renota oollà fo n a in potere del nem ico, qaaod’ anche alla medeaima nazione amendue appartenessero : co tto n e delirato dalla neceu iti di precacciani tchiari che etercilataero i metlieri più rili e fatic o ii , a coi oon attoggettarioii i oittadini liberi. Non altri menti gli odierni popoli della colta Earopa ralgonti degli tchiari compri lolla coita d’ A frica, per dittodar i terreni e corar i prodotti del onoro coatinente in nn aria pregna di peatifer) efQnrii, e tolto la tlerza d’ nn cocente aole, a fine di non etporre a grari itenti i proprii cittadini. Se non ohe gli tletti motivi che' fecero oettar il tervaggio £ra le nationi d ‘ E a ro p a , incomincia gii a diminuirlo in Ame rica. « Non r ’ ha clima mila te rr a , dice il profondo Montetqnieo (E tp rit dei Loix I. xv , c. 8 ) ore non ti poetano obbligar al laroro gli nomini liberi. Perché le leggi erano mal falle, ti tono trovati nomini pigri ; perché qnetli nomini erano p ig ri, faron etti ridotti in ischiavità. ( i g 3) Arittomaco. Plotarco nella vita d’ Arato narra ohe cotlai, eicendo nella maggior grazia pretto gli A ch e i, avea chiamato Arato d’ Atene, perché l’aooompagoatie nella tp e dizione che meditava di fare nella Colonia. Aralo dapprincipio eragliai oppotlo , temendo l’ andaoia e il cretcente favore di
384 Cleom ene, dii all* fine cedette e a tri onlaei. T a llir li im pedì Aritlomsoo d* affrontarsi con CUem ene, il quale preaao Pallaoxio gli li era presentato , quantunque egli stesso poscia eoo Ini combattane ani Liceo, ore toccò ana rotta. Che poi Aneto ma oo divenisse traditore degli A abei • oongiogneaie lo eoe armi oon quelle di Cleomene^ e tante crudeli! commet teste , oonforme allento* Polibio, Plutarco noi dioe; libitene oon dissonala e g li, e ite r Arato venuto in pesaioia fama per aver fatto nocider eoo tormenti Aristomaoo, uomto a m cattivo, cfa* era stato aoo famigliar*, e oh’ egli avea iodotto a dar la u à citti agli Aohei. Laoode è da sapponi che tatto il torto noo fosse dall* parto d* Ariilomaoo, * ch e, quand' aoch* egli •vesso rubbraooiato il partito di Cleomene, A rato, da’ eoa»-. alari i del quale Polibio oonfeaaa d’ aver trailo queste rela■io n i, ve lo abbia io certo modo spioto ; dimostrandosi veno di lai diffidente ed invidioso. (ig i) Cenemi. Porto di Corinto sai golfo Sarooloo dalla parte dell’ Attica. ( i q 5) Nel silenti» della notte. Polibio soriveodo A i 7«« non ha semplicemente volato significar il tempo della n o tte, cbe più aoconciameote avrebb’ espresso per timlmf, o 7J» ti*lm | ma era suo inteodimeoto d 1 iodicar on oon so oh* di terrore prolungato nelle tenebre , qoali aon appunto le grida d’ on tormentato in mesto all1 uni versai ailensio. (ig C ) Pella morie di Demetrio. Q ueati, oonforme dioe Po* Ebio nel c. 4 f di questo lib ro , avea al ano soldo ta tù i si» gnorotti del Peloponneso ; ma morto l u i , 1*acoortosàa di Arato tolse loro ogni speraasa di soitegno. ( ' 9?) Sommerso per coloro eo. h a U t s’» l 7mlt IC iy ^ t-, #7» rtrfayfétt * ■ leggeva il C auub. e tradusse pnpter non nulla quae Cenchreis fecerat ( per alom e cose cbe fece ia C encrea). Lo Schweigh. il copiò, ma avvedutosi del sento assordo che ne risaltava, propoie a e ’commeotarii di cangiar
385 H rtrfmyfittit in e Hi voltar qaesto passo cosi : per eos quibus hoc negotium Cenchrtis mandatimi est , con f o r m o 1’ abbiamo noi interpretato. — Cotesto genere di morto pertanto in an sito remoto la conoscere, obe A rilo sacrificò A ristomaco alla ina privata vendetta, anziché al bene cornane. (iq8) Ma della generosità ec. Qui Polibio, a dir vero,
386 Moto talenti era p o r aaaurda o o u il d ir e , cbe Cleomene s u perato avrebbe Tolemeo nella faoolti di «pendere, seoondoohA reggiamo nel proaaimo capitolo. Oltreché non avrebbe ca ta sto H paragone colla stima dell* Attioa, la quale , per quanto r i feriate Demottene nell’ orazione in fi n / t p u f t ì i , aaeeae a aei mila taleuti, nè era ragionevole il creder che il valore di tutti gli effetti «nobili nel Peloponneso non avesse annotato meglio di (Clorato talenti (201) Ma a'nostri giorni amora. « Parla qui Pelibio d i quel tem po, in osi dall'anno di Roma 5^3 sin verso l'a n n o 606 (Confronta PoL 111, S e 5 , e u r , 1) tu tti ipopoli del Peloponneso, e fra questi i Mesaenii incora e i Laotti emoni furono asoriui alla oonfederaiione Achea. Allora dipeudevaa essi, a dir varo , in molli modi dal cenno e dall* arbitrio d ei Rom ani, e poscia dopo la guerra di Perseo molti eaiaudio de* piò nobili A chei, chiamati a Rom a, dimoravan io Ita lia fra ceppi: tuttavia viveano gli Achei nel Peloponneso colle proprie leggi ed istituaiom, e nessun tributo pagavano a*Ro mani , e del resto eran le loro cose in cosi lieto e florido stato , obe i fratelli Totem ei, re d 'E g itto , l'a n n o 586 ( V. Poi. n i x , 8 ) e i R o d ii, e i Cretesi implorarono il loro aoccorso 1' aono 601 ( i x i m , i 5 ). II perché Polibio in pa recchi luoghi della sua storia mira ad esortar i anoi nazionali alla tranquillità e ad ana ferma concordia , t li oonsiglia di contentarsi della loro sorte , e di sopportar paaientemente e di riverire la ormai troppo possente autorità de' Romani ( iv , i l , 111, ( t 9 ) » Schweigbauser. (202) Tolemeo. E ra questi sovrannomalo Evergete, ( bene ficato™ ) splendidissimo prinoipe , osi il padre Filadelfo la sciate aveva immense ricobeiae e un regno floridissimo. (ao5) Ma giusta il parere eo. Platarco (in Cleom. p. 8 1 6 ) citando Polibio, loda questo oonsiglio di Cleomene. (2o4) Gli straùi eo. Questo vocabolo mi è sembrato espri-
387 m tr meglio d ’ ogni altro di moio analogo l 'l n / / a n ^ i W d al torto, il eoi verbo iwipfmvJ^m 1*E m etti molto acconciamente definboe: reprefcendo , q aati tacili il penutiendo, da p»wlt, ▼erga. Lo fletto (nona il latino oon viciil proseiudere ; quindi lo 8chweigh. si i eoa ragione appigliato alla vooe oonvieta. (*o5) Non avanb maggior cura eo. Con p ii parole et pone Plutarco (Gleom. p. 817 ) ciò obe Polibio qui brevemente aocenna. u A itti gnno ( sono tue p aro le) itim ando, oon iorme .ti oonviene a capitano p rudente, vitoperevol coi» il combat tere a m a ragione, e Negliger il partito rim iro, non gii il venir in oattiva fama pretto gli ttra n ie ri, non atei al oimento, ma perteverb ne’ taoi contigli. » (1 0 6) Agriani. Popoli deHa Traoia obe abitavano intorno al monte Bmo. Eran etti n e tta to ri, armati alla leggera, ed attitaimi alle aorprete. Hella guerra d ’ Alettandro oontra Dario prettarono grandittimi servigi, e andavano comunemente uniti a’ C re te li, abiliuimi etti pare nel vibrar dardi ( V. Q. Cur ilo in , 23 — iv , 5s — v, 10 — vili, 10). (307) Mercenarii. O tterva lo Scbweigh. obe quelli dovean e ite re componi di varie n azio n i, potcltcbè gli Agriant e I Galli eran mercenarii e tti pare. (108) Tutte le fa n é sommavano. Quanto è da crederti che temati fottero gli S partani, aebbene dall* antioo valore non poco degradati , e in quanta riputazione dee tlim arti «he fotte Cleom ene, ettendoti tanta cotpiraiione di Maoedoni, Achei* Beosii, Epiroti , Acarnani e Illirii conira di loro (ormata ! B ti difetero etti (la fo rti, n i tarebbono itati ro tti . te lottato non svetterò con forze laperiori. (109) Sudditi vicini, n i ( Perìeci ) ohiama Polibio i popoli aoggetti a S p arta, che circondavano il territorio di quella città. Il Caiaob. orede ohe fotte nome p ro p rio , ma non oonita eh’ eiiiteiae n aiio n e, la qnale portava qneito nome. (aio) 'Buoni ormeggiatori in posizione avventare. Non m 'i
388 riuscito facile’ di trovar in italiano nna fraae ch^eù ttam en te rendesse il rptfliXì i r d e l'.te tto , e confesso c h e oon tono appiano contento di quella ;cha ho osata. Lo scopo di questa wftfitXì ( proiezione) è anCfioientemente spiegato nella parentesi cbe segue ; ina la posiziooe sembra che con— sisUtse nello spìnger in Danzi tutta la persona , e piè ancora lo sondo e la lancia, o la spada , siccome la peli' appunto ohi si avventa per vibrar oolpi , e per difenderti ad nn tem po da qnelli che gli vengono assettati. (zn)-G trgilo. Piociol toi+eate dafcb' esaor itato cotesto, dappoiché, come ti legge in fine del presenta capitolo, gli Illirii dentro al medetimo si rimpiattarono. Qnindi non è ma raviglia se netann altro autore ne fa menzione. (a n ) Alessandro figlio d‘ Acmelo. E ra qaetto diverto dal l'Alessandro mentovalo di poi ten ia nome di pad re, coman dante della cavalleria , quantunque il Reiake oredette ohe foste la medesima persona. ( 2 13) La falange de‘ Macedoni divisa in due parli ec. Polibio con una parola l’ appella Ji^sA ayy/W r, duplice fa lange! >na io n o n'ho voluto lignificarla con questa espres sione , affinché non ti creda che di dne falangi unite qui si tratti. Del resto divideasi la falaoge in due ed anche in tre p a rti, non solo per farle 1’ una all’ altra succedere, ove an gusto era lo spazio per cui marciava, ma eaiandio per iscliierarle di fronte in campo aperto. ( V. Polib. v i, ' o ) . I Ro mani chiam ano coletto schieramento duplicem, triplicem aciem. ( a i 4) Eransi appiattali - alle falde della collina. Siccome il rivo Gorgilo tcorrea appiè del monte Èva , cosi la gente d‘ A.bligono, eh’orati nel suo alveo nascosta, e stretta tenevasi alle radici del colle, era veduta da coloro che sul monte stesso eran alloggiati. ( a i 5) Fazione £/■/<* i il termine universale, che usa qui il noatro, e cbe Italianamente ai direbbe bisogna ; ma piò con
389 veniente m’ è panilo fattone, eh’ è «oce militare equivalente a fatto d ’ armi. ( V. Grassi Dizion. mitit. ) (a iC ) Ecco tubitamente tutti mostrarsi. Cioè a dire balzar fuori delle insidie , steccandoli dalla radice del monte che gli avea coperti. ( a i 7) Lf armadura leggera. Ev£<*>»i , i soldati spediti , gli stesti òhe oel c. G5 avea chiamati m ercenarii, e obe insieme colla cavalleria degli Achei erano schierati Del piano. (a iB ) Filopemene. E ra questi nella cavalleria degli Achei , opposta nel piano alla cavalleria de’ Lacedemoni
3po •gli fremendo d'ardore di com battere, ool movimento alterno delle gamb« io allo di camminare ruppe 1* atta per m esso, • làttici strappare i due tronconi, tgoaioò la spada e ti precipitò addosso a'nemioi: onde grandemente inanimi i «noi alla pugna e non pooo contribai alla TÌUorù. ( l i j ) Abbottando lo Mie. Il verbo greoo, ohe qui uia il ■o s tr o , denota veramente cangiar la posizione, loochè p e t 1* appunto ^accedeva in in i principio della p o g n a, qoandrf l'aata che dapprima p o n ra colla ipalla del soldato, dirigeva*! contro il nemico. H a pi&t proprio ecaendo dell'idioma italiano io queato cento il termine abbottare, io mi aono d’ ecco vaiato, quantunque umlmSÓÀÀiir oiò esprima anziché (a a £ ) Pantaggio proprio òlla falange addottala. La profon d iti della falange eemplioe era di cedioi nomini ( Polib. x y iii, i 3 ) e tal era la ana fo rca, ohe niente ri polca m ieterò . Qaanto maggior adunque dove» eater 1* impeto della falange doppia , io oui le coorti ( 74A» ) , di eoi oomponevaci erano oollooate l’ una dietro l'altra. Il Gaaaub. rende 7;* traAAcAe Q»\*yytr per geminatae phalangit, e eoa ragione V Ernecti e il Reiike disapprovano questa interpretazione ; ohecché dica in contrario lo Sohweigh. Imperciocobè geminare equivale al l’italiano doppiar* j crescere dal doppio, e non a piegar in doe p a rti, 1' nna potta dietro 1’ altra. A me A sembrato an dar meno langi dal valore dell’ espressione Greca il neatre addottare nel aenso che 1' adopera D an te, Purgai. 5. E cib che fa la prima e f altre fanno. Addogandoti a le i, c’ ella c' arresta. ( « 5) Al primo arrivo. Sstendo Sparta oittA aperta non poteva essa oppor resistenze a nn nemico vittorioso. E g ii l’ ebbero corsa i Tebani sena* oilaoolo dopo la battaglia d i Lenttra. (saC ) Ristabilito il lor antico governo. Antigono, presa la
391 « itti di primo impeto , e trattati i Lacedemoni oon benevolenaa , non avvili la digititi di S p arta, n i le lece o n ta , ma reatitnille leggi e governo, e poich'ebbe sacrificato agli D ei, ai ritirò il ten o giorno, eo. Plutarco in Cleom. p. 819. (227) Traeva partito dalle occasioni 7S» mmifmt «»7ir tiin>7t scrisse P olibio, cbe .lo Schweigh. aeguitando il Casaub. rendette per occasionem expectasset ; ma nelle note ritrattoMÌ e p o tè , li paullisper uri conatus esset opportunitatibus ( m alquanto ingegnato ai fona di valerli delle opportunità ). Ciò tuttavia non gli sarebbe bastato per conaervargli il regno ; il perchi io credo che «>7in < i7r} « i abbia qni forza di Vindicare sibi, appropriarli, render m a alcuna coia a tale, che li .p o m trarne ogoi possibile vantaggio, e in conformità di quello senio ho volgariasata la mentovata frate. — Del reato quanta utilità emerger possa dal non disperare negli estrani infortnn i i , per molti esempi) coti antichi come reoenti ai rende ma nifesto. Cosi scampò la repubblica Romana dopo la battaglia di Canne l'intrepideaaa del console C. Terenzio ( V. T . Li vio x i n , 61)1 coll fu di salvezza agli Americani l’ im pertur babile ooitania del generale W ashington, quando le loro spe ranze erano p reuoohi in fondo ( V. Botta stor. del. guer. dell' indipend. degli Stati Uniti d’ Amer. Tom. 11, cap. 7 , p. 4 3 a « « g g -)' (a a 8) incominciò a sputar sangue. Secondo Plutarco ( in Cleom. p. 8 1 9 ) inclinava «gli già pria alla tis i, ma serbarsi volea a morir con gloria, vincendo « facendo strage de’ ne mici. A detta di Filarco , cui acconsente lo storico le tti ci ta to , mentroohi egli dopo la battaglia, ove avea molto gri dato , esclamava dalla gieja : 0 bel giorno ! sputò nn torrente di tangue, e cadde in una febbre violenta , di coi morì. ( a a 9) Infermità Jimthrir ba il testo , cbe non solo significa disposinone ad ammalarsi, ma esiandio inferma costituzione già conformata di tutto il oorpo , quale li fa quella che eoo-
392 dosso Antigono a morte dopo ub abbondante sputo d i san ( V. F o n . OecoDom. Hippocr. alla voce J iU h n i ). (1 30) Intorno allo fletto tempo ec. Giastino ( i x i ^ , racconta, cbe nella medesima epoca molti regai p assar nelle mani di Sovrani pressoché b u cin ili, i q u a li, eebfc diretti non farono da nomini più vecchi, calcando le tr t de’ loro maggiori, risplendettero di grandi virtù. Ad A ntig •accedette Filippo in età di quattordici anni ; in Siria a leuco ucciso Antioco fanei allo i io Cappadooia avea ad Ai •rate ancor tenero d’ anni il proprio padre consegnato il gno, ed allora pare Annibale molto giovine ottenne il supre comando dell’esercito Cartaginese. (1 3 1) Morì pur Tolemeo di tua malattìa. Da questo pa giova arguire, che Tolemeo E vergale non fa altrim enti 1 ciso dal figlio , conforme riferisce Giustino al luogo citat dal qaal atrooe delitto vuoisi che » « T ( p e r c boon nome a cosa oattiva ) questi fosse sovrannominato Fi patore (am ioo del p ad re) Polibio ( v , 3 4 , 36 — x v , 2l asserisce bensì ch’ egli fece morir il fratello Maga e la mai' Berenice, ma non la motto dell’ altro suo attentalo oontra genitore. Tuttavia sembra che a’ giorni del nostro autore co resse si (latta voce, dappoiché egli volle rilevar la circostani che quel re mori di malattia , quasi per ismentire chi il coi trario sosteàeva.
FINE DELLE ANNOTAZIONI DEL SBCONDO LIBRO E DEL PRIMO TOMO.