B IB LIO T E C A d e g l i
SCRITTORI
LATINI
CON TRADUZIONE E NOTE
C. PLINIUS SECUNDUS
I. NINI « I I I H I S T O R I A E MUNDI LIBRI XXXVII
VOLUM EN PRIMUM
VENETUS EXCUDIT
JOSEPH
ANTONELLI
AUREIS DOVATI» MTHISMATIBUS M.OOCC.XLIT
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C. P L I N I O SECONDO LIBRI XXXVII TRADUZIONE
D I M. LODOVICO DOMENICHI EMENDATA PER LA PRIMA TOLTA SECONDO IL TOSTO U T I R O
CON L’AGGIUNTA DI UN NUOVO INDICE GENERALE
VO LU M E PRIM O
VENEZIA DALLA TIP. DI GIUSEPPE ANTONELLI ED. PR E M U TO
DI Μ Ε Ο Λ β Μ Ε
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C. PLINIO SECONDO
VITA E OPERE DI
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T o m a malagevole, e taJora vicino che impossibile, divisare la vera patria di molti uomini nominali e famosi, onde s’ onora Γ antichità. L a ninna cura de* concittadini di guarentirsi con memorie scritte il possedimento dell' illastre che loro s* attener* per nascita, e la gara degli stranieri di vantarlo per suo o pel soggiorno prestatogli, o pegli elementi della fama comunicatigli nna con le dottriue, cospirarono per diverso modo a renderne spesso via piò sospetta ed incerta la vera attenenza. Imperò non si dibattè meno dai posteri di Omero, che non si facesse dai posteri di Plinio circa la terra della soa natività. L a ereduzione più profonda non varrebbe oggimai che a ripezzare le conghiettore, che non è potuta render certe la investigazione di tanto secolo sopraccorso. Ma siccome non è nostro proposito discorrervi sopra, e d’ altra parte veggiamo che alla quantità della fama di Plinio poco o nulla rileva il determinarne la patria, ce ne passeremo di leggeri, ricordando solo che le conghiettore piò probabili lo Canno nativo d1 osa terra del tenitorio Comense, anzi di Como medesima. Certo quivi fa e fiorì la famiglia Pliniana, quivi nacque Plinio fl nipote, quivi ebbe il zio di molti poderi, e quivi più che altrove si ritrovano lapide e allusioni a quella famiglia. Noi rimettiamo chi ne volesse più sapere alle due dotte dicerie di Paolo Cigalino, che fu professore di scienza medica a Pavia. Plinio nacque l’ anno di C riat· xxn, di Tiberio ix ovvero x, da Celere e Mar cella nel consolato di Asinio Pollione e Antiatio Vetere. È probabile che menasse
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la puerizia nella terra nativa, poiché non si sa che venisse a Roma innanzi lo scorcio del terzo lustro di età. Qui ascoltò, secondo che si pare, il grammatico Apione, uomo che in fatto d 'insegnamento andava per de' primi. Dire come Plinio vi profittasse è soverchia cosa. 11 valore in che saliva dappoi e le opere che componeva dicono assai più che non faremmo noi a parole. Y ' ha chi assevera, per ciò eh' ei scrive intorno le gemme di Lollia PaoKna, che di questa pezza usasse a corte di Gaio Caligola. Ma questa asserzione non ha momento veruno : la sua verde età, stante che a detta del Rezzonico aggiungeva appena all’ anno sedecimo, non poteva averlo ancor sollevato alla stima del pubblico, alla conversazione de* grandi, e alle astuzie della cortigiania : la sua indole contegnosa, che gli conservò per tutta la vita un sommo disamore ad ogni gioia, salvo che alle purissime de' suoi studii, non poteva accostumarlo a quelle stemperate voluttà che imbriacavano la corte d’ uno stolto tiranno, e finalmente, senza che si frammettesse altrimenti delle auliche faccende, quelle gemme gli potevano essere mostre in privato, o correre alla vista quando Lollia usciva di palazzo a solennità. Comunque sia, Plinio dava intanto gran mano agli studii suoi con quella agevolezza che comportava il suo alto ingegna, e con quella assiduità che la sua gran voglia di satollarsene. E ’ codiava da per tutto, e notava ciò che avesse del singolare, o di cui fosse nuovo e selvaggio, siocome quegli che giudicava ore perdute quelle che non avesse spese ad acquisto di cognizioni. L a sconfitta dell1 Orca abbattutasi di smarrirsi nel porto di Ostia (lib. ix, cap. 6), e le peregrine fiere che tenzonavano nelle lotte Circensi, gli offerivano bell1 agio di farvi sopra le più importanti osservazioni. Sul tramontare dell' anno diciannovesimo dell* età si condusse in Africa. A questo viaggio vuolei attribuire la sua venata in Egitto e in Grecia a metter com pimento agli studii scolastici, tra perchè risedevano quivi i più gran maestroni di ogni scienza e d' ogni arte, e perché sentiva che il viaggiare è il massimo espe diente a diventar sociabile il più che si possa. D* altra parte, siccome il viaggio e la conoscenza della storia civile e naturale son due bisogni che nascono un dall’ al tro, non poteva Plinio per l ' aumento delle sue conoscenze limitarsi fra R om a e la patria, senza che i suoi studii patissero diffalta di ciò che s’ apprende con la presenza dei sensi. Quinci però sembra che ritornasse dopo tre anni, o in quel torno ; poiché nel vigesimoterzo il veggiamo far all* armi in Germania sotto le insegne di L . Pomponio, che gli pose amore pari che a germano, e il fece di corto comandante di cavalleria. Plinio sentì vivamente quel carico, che rendeagli
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pia accessibile 1' amico e piò ragguardevole la sua missione : se lo riputava affidato perchè il nobilitasse e lo mettesse in ona veduta più cospicua ; ma ne voleva cer
care gli appoggi dentro di sé e nella possa del suo ingegno medesimo. Questo era forse il sentimento che moveva Plinio a comporre il libro Del saettare a cavallo. Le intermissioni dagli eserdzii militari gliene somministravano Γ agio, e i canoni dell* arte per lo senno a mente saputi gliene agevolavano il trattamento. L ’ amore alla osservazione, già diventato in lai abituale, lo traeva in pari tempo a spiare le fonti del Danubio e le postare de* Cauri che tenevano le maremme settentrionali del mar di Germania ; né vuoisi miscredere che sceso per l’ Elba ed il W eser percorresse il Chersoneso Cimbrico e le riviere che morde il Baltico mare. Anzi é par fona attribuire alla sua dimora in Germania la perizia acquistata dell’ arte marinaresca, che alcuni fuor di ragione attribuiscono al viaggio in Egitto, sì perchè Je necessità della guerra e insieme i riposi dalle armi lo mettevano in opportunità di conoscere il mare e il come del navigarlo, e sì perché quel viaggio aveva oggetto di studii più severi che gli educassero Γ intelletto e la facoltà del pensare. Di questi tempi medesimi ei discorreva le province Romane, ond’ era composta la terraferma occidentale del Reno, e contraeva amistà con la famiglia di quel Tacito, che amò poi sì strettamente il nipote di lai, da prestargli e riceverne del pari aumento di sapienza con onor loro e vantaggio della Romana letteratura. Plinio però sentiva forte i beneficii che Pomponio gli veniva impartendo, e cercava nel suo ingegno il come ne lo potesse rimeritare. Né poteva cercarlo in ionte piò abbondevole : anzi ciò che veniva più in grado a Pomponio era per Plinio la specie di rimerito più agevole a prestare ; ond' ei dava mano di botto a due volumi, ne quali veniva narrando la vita e infiorando le imprese di quell' illu stre capitano. Non sì tosto venne quest' opera a compimento, che Plinio vide in sogno Γ immagine di Druso, sì forte di fama in Germania, il quale gli raccoman dava il suo nome e confortavate a inserire agli annali Romani la storia delle guerre che aveva quivi condotte. Plinio ne fu commosso : il dovere di campar dalla dimen ticanza quello sventurato, che troncava le speranze comuni con l ' immaturo suo fine, il sospetto che correva che una colpa di corte avesse sacrificato all' invidia le virtù di tanto giovine e quello splendore che prometteva solennissimi aumenti, e per giunta il desiderio di guadagnarsi il vanto di storico de' fatti Germanici, indus sero Plinio ad accollarsi questa novella faccenda. L a vita militere, come che in quietala da pericoli, da stragi, e talora da vittorie non meuo ingrate delle sconfitte
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medesime, il convitto con guerrieri attempati che fecero stipendii sotto Germanico, Draso e Tiberio, e finalmente i luoghi stessi e le vive immagini delle cose torna vano molto piò acconce
a comporre sì Catta storia, che non il fasto e le delicatare
di Roma, l ' agonia de* pretoriani di farsi autorevoli eolia imbecillità de* prìncipi, e quella sonnolenza che risolveva il Romano valore, giunto
a non porre più pensiero
a ciò che si facesse oltre il Danubio ed il Reno. Quest* opera voleva già essere compiuta quando Plinio dovette seguir Pomponio, il quale ridotti in soggezione i Catti ritornò a Roma a ricevere quel trionfo che per la invidia de* grandi non riteneva di sé altro che una languida effìgie. Dopo questa spedizione sembra che Plinio lasciasse stare le armi per attendere esclusivamente alle lettere. S* intendeva assai di grammatica
e di rellorica, e se non ottenne lode di sommo oratore, se ne
vuol porre cagione a quella sorte di faccende e di studii, a che aveva obbligato il suo ingegno. Nondimeno tenne aringhe e dicerie pubbliche, e trattò parecchie cause quando a Roma, e quando a Como, dove sovente riparava per amministarvi
i suoi poderi e levarsi dallo scombuglio cittadino e dalle sfacciate cose de* principi e de* liberti. Non pertanto il libro del saettare a cavallo, la vita di Pomponio e la storia delle guerre Germaniche il fecero quant' altri nominato e famoso. A lle serie meditazioni della filosofia nè alle cose poetiche non fece molta opera, amando meglio istruirsi in fatto di erudizione
e di dottrine spettanti alla natura delle cose.
11 perchè non è da far le maraviglie che esercitando più la memoria che Γ ingegno,
non raggiungesse quella forza di discernimento, che lo avrebbe rattenato dal tra mestare, siccome ei fece, tante malvage cose alle buone, tante vili alle nobili, tante bugiarde alle vere. Contuttociò è da maravigliare che Agrippina, mentre riforniva Nerone di precettori dotti che lo fermassero a savio e onesto regimine, non si ponesse in cuore di dare il figliuolo per alunno allo scrittore delle campagne G er maniche : se non che Anneo godeva allora in Roma la più alta riputazione, tra per la novità della sua dizione e scrittura, per Γ amore d* una donna che vantava A u gusto fra gli avi, e per la nota innocenza che non era potuta camparlo dal più ingiusto esilio die s* intimasse di quella pezza. Intanto la sorella di Plinio ebbe un figliuolo, che il zio toglieva pur di buon* ora ad educare nelle scienze e nelle lettere, e via più informava dell* arte del dire con tre volumi OdT eloquenza^ che per la vastità della materia sceverava poscia in sei. L a mente di quest* opera è di scorgere 1*alunno da* primi studii per insino al foro: lo mepa al ginnasio, ai bagni, alle scuole di grammatica e di rettorìca, e finalmente
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a’ rostri, toccando ancora I doveri del più piccolo imporUre, come a dire in che modo $’ abbia ad anim ar Γ oratore, come comporre la chioma, come usar le pez zuole da sudore, ed altrettali ciuffole e parvità. Però il suo ingegno sentiva di bastare a piò elevate cose : quelle die ricordam mo, benché ei vi si fosse ritrovato molto sufficiente, non erano piò che il saggio eh’ ei faceva della sua possa. L*abbandono delle cose pubbliche lo concentravano vie meglio in sé medesimo, e gli studii già fatti si voleano riprodurre in opere degne della loro estensione. Ed eccovi perdò Della continuatione di Aufidio Basso trentun libro, ne* quali conduce la storia de* contemporanei, già cominciata da quello, fino all' impero di Tiberio, non s1 affidando di toccar punto le cose di Ne rone, come di quello che lo avrebbe con la sua natura crudele e diversa pericolato, per odio a un censore delle sue stolide ferità, se n* avesse racconto il vero ; o per odio all* adulazione studiata, se avesse lor posto orpello con uno stile fittizio, quale sogliono dettare i tempi di spavento e d* intrigo. G li uomini piò bizzarri nelle lodi die sanno di non meritare ravvisano spesso altrettanto sprezzo e rimprovero. Anzi furono questi i timori che mossero Plinio ad appartarsi e andare in {scrittore di altro tenore, che non toccassero lo stato, nè i potenti che il dissipavano. G li otto libri Delle parole di duSbio senso, eh* egli pubblicò Γ anno di Cristo LXvm, degli ultimi di Nerone, suscitarono gran differenze, ma solo tra i grammatici e i filosofi, i quali però, benché facessero vista di averne a scrivere un mondo di opposizioni, soprastettero tanto, che o non prima di died anni, secondo che accenna Plinio nd proemio, o sfidati di sé non le divulgarono più mai. A questa pezza e* fu eletto procuratore di Cesare nella Spagna citeriore; carico che tutte le più volte si con ferirà alla nobiltà equestre ; onde si può inferire che Plinio avesse già acquietato
il titolo di cavaliere nel ritorno dalla Germania, tra in premio della sua milizia, e pel libro die avea composto attinente a cavalleria. L e soe ricchezze per patri monio familiare montavano a ben piò che non iacea luogo per essere ascritto a qoell* ordine, ma la dimora in Ispagna gliene procacdò delle maggiori. Teneva ancora la penisola, quando per la morte di C. Cecilio, il figlinolo di sua sorella rimase orfano, e già era passato sotto la tutela di Virginio Rufo ( anno di Cristo LXXi), quando ritornato egli in capo a due anni, adottò il giovinetto in doe lustri d’ età, e gli si pose attorno per educarlo come dicemmo. ^ er Γ amicizia contratta con Vespasiano fin da quando militava in Germania avea tacile accesso a quel grande, e specialmente nell’ ore mattutine eh’ erano le
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più franche dalle esigenze dello stato. Plinio sapeva che se non vogliono i grandi portar pericolo d 'esser idoli muti o divinità feroci, debbono levarsi alto dalla stregua delle persone che gl’ inchinano ; ma la sua indole che dal venire in tali amicizie lo spaventava, ne fa fede eh* ei non sacrificava mai le sue risoluzioni e le sue abitudini agl’ impronti bisogni delle circostanze. Il grande che lo voleva am ico dovea prediligere quella sua ingenua severità, che o lo teneva mutolo, o non lo voleva simulatore. Però questo discendere dell’ imperadore a lui il facea tanto più tenersi, quanto che la natura contegnosa e severa di Vespasiano degnava pochissimi della sua confidenza. Ebbe amico eziandio Tito : basta leggere il proemio per vedere quanto si dicesse con lui il conquistatore della Giudea. Anzi per ciò medesimo alcuni sospicarono che Plinio venisse con esso in oste a quella contrada ; ma oltraché non d ha storia che ne parli, dò che Plinio ricorda della Giudea non ha caratteri tali di verità, che possano certificare com’ ei vedesse di presenza quel suolo. Nè men debole è Γ altra opinione da qualche storico portata, che fosse creato senatore da Vespasiano. Ne tace ei medesimo, ne tace Plinio il minore, ne tacdono gli annali. S ’ arroge che V e spasiano, il quale da prindpio si dicea benissimo col senato, dopo l'insolente fare di Elvidio e la sua agonia di libertà aveva mutato tenore e tolta l ' ingerenza negli affari al corpo senatorio. O r come avrebbe egli associato $ quel corpo una persona, se lo avesse volato onorare ? come dimostratogli di averlo a capitale, se lo avesse inserto a un branco di reietti, privati della sua confidenza e de'ministerii di stato ? Bensì ebbe Plinio la prefettura della flotta nel Miseno e il governo dell1Adriatico, onde acquistò del pari fama e ricchezze. L ’ amicìzia però de' Cesari e gli ufficii che esercitò di tempo in tempo nelle repubblica non gli stremarono mai tanto 1' applicazione a' suoi studii, che per lo meno non andasse sfiorando i libri che leggeva con farsene note ed estratti. P er viaggio era questa la sola sua occupazione : teneva allato un menante, e dettavagli or d’ una, or d' altra materia ; o si faceva leggere, e tuttavia notava le cose che gl’importavano. D i questo modo s'avea fatta una scelta di Commentarii che monta vano fino a censessanta libri,che trascrisse poi di sua mano in lettera minuta. Lidnio Largo n’ era sì invogliato, che gli avrebbe comperi quattrocento mila sesterzii ; ma Plinio non volle mai partirli da sé. Pare che vi capissero quelle stesse materie eh’ egli trattò poi con più ordine nella Storia Naturale, opera vasta che gli fruttò gran fama, quandoché non goduta a lungo, però che divqlgolla l’ anno 5 5 dell* età,
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che fa il penultimo della vita. Essa é propriamente divisa in trentasei libri ; ma siccome Γ Indice che va innanzi a tutta Γ opera fu da Plinio stesso e dai posteri ritenuto per un librò, cosi essa ne conta volgarmente tremasene. Questo numero fu tenuto anche da’noi, tra per fuggire confusione, e perchè Plinio si richiama sovente ai varix libri secondo la divisione già detta. Però lo scompartimento per capi ne sapeva male: la materia in essi trattata non sempre s'acconciava bene coi titoli rispettivi, traboccando spesso fuori del termine da essi voluto. Il perchè, segnato lo scompartimento antico con le cifre arabiche, abbiamo partita la mate ria con quella discrezione che ne pareva più decente, e numeratine i capi con le dfre Rom ane. Questa novità reca il vantaggio che non le edizioni antipassate, e non toglie Γ agio di consultar nel tempo stesso il nostro autore secondo Γ antica divisione. L ’ anno seguente che Plinio divulgò quest* opera fu contrassegnato da una ca lamità, che se rispetto al suo genere non era nuova all* Italia e ad altre regioni, era delle precedenti più luttuosa per la morte'che incontrò al nostro autore. Il monte Vesuvio, che per lo volger di più secoli era stato come inerme e innocente, quell’ anno ruppe con tale veemenza, che della fitta cenere e delle pietre strabal zate e spinte immensamente di lungi nabissò Ercolano e Pompei con vastissima tratta della Campagna. Plinio che v era ito per vedere quel rovinio e studiarvi so pra, vi rimase affogato. Questa morte è descritta da Plinio il nipote nella Xvi del libro vi. Così finiva Γ uomo più erudito che vantasse Roma di quel tempo. Egli aveva emulato Empedocle nelle ricerche della natura, e pare che la stessa missione di spiare le forze vulcaniche li volesse somiglianti nella qualità del loro fine. Empedode, salito sul corazzo dell’ Etna già tranquillo e sopito, v1 affondò la persona mentre volea specularne il cratere. Plinio periva in un* età ancora vegeta. Non istraniero della filosofia, avvezzo attingere nelle fonti della fisica e della medicina, e profondato nello studio ddla natura, aveva raggiunto totta la scienza che si po teva in un tempo d1 ignoranza, o di sdenze guaste e adulterate. La sua vita, e di conseguente la sua indole, lo sceverava di gran lunga dalla volgar moltitudine : non ambi onori, ma ne meritò : non fu servo delle circostanze, né piaggiò mai persona : d’ ingegno pronto alle militari e alle civili incumbenze possedette più che altri mai Γ arte di non lasciar tramontare un ora senza che ne cogliesse van taggio alle faccende domestiche ed a*suoi studii: sufficiente a fatiche diverse in un
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tempo, intendeva a fini sempre alti e nobili, e vi riusciva con la felicità dell* uomo accorto e speculatore de1tempi e delle cose. Se ne vegga Γ epistola v nel libro m del citato nipote. Nondimeno, come spesso addiviene, Plipio s’era posto intorno a stadii, che non s’ addicevano in tatto alle eoe native facoltà, o almeno difettava di quella forza di discernimento che ordina le cognizioni, le semplifica e le raddace a sistema ; difetto che fa dar sovente in assordi e puerilità. Laonde s' ei condusse opere che vantaggiavano quelle de1 contemporanei, non condusse però quella che noi conosciamo quale si doveva attendere dal suo ingegno, e quale bisognava per tener muta la censora degli avvenire. Delle opere di Plinio che piò non esistono si può dire presso che nulla. La storia delle guerre Germaniche e la continuazione di Aufidio Basso sono più volte commendate da Tacito e da Tranquillo. Degna di lode volea pur essere la Vita
di Pomponio, come quella che spesa per gran parte in Germania doveva aver luo go e importanza nella descrizione di quelle guerre ; ed è molto a dolere che tali memorie ne perissero, perchè nella oscurità che avvolge le guerre di Roma con que’ barbari, condotte per ben quattro secoli in diverse fogge, si sarebbe potuta di esse raccogliere non iscarsa luce. Asserivano alcuni, non è guari di tempo, che in Augusta di Germania se ne ritrovasse un codice manoscritto; ma dopo il testi monio di Simmaco, il quale fin dal secolo v lagnava sulla rarità di queste opere, giova ora avere per nulla o per sospetta un1 asserzione che non si folce di argo mento veruno. Quanto è a' libri Del saettare a cavallo e Delle parole di dubbia
senso, le lodi che spesso ne movono Prisciano, Carisio e Diomede ben ci persua dono che Plinio mostrasse in essé come ben & intendeva di cavalleria e di gram matica, e che anzi le sue cognizioni erano sì vaste, qaant' era la sua usata bramo sia di aumentarne 1' acquisto. Rapporto ai tre libri Delf eloquenza se ne sa nalla affatto. Però giova credere che quest' opera non fosse da men che le altre, e che egli vi trattasse le discipline’e gli studii oratorii maestrevolmente, siccome colai che viveva a Roma in tempo, in cui Γ arte de' rettori e degli oratori era in gran fiorire} dove non mancavano scuole e biblioteche, e dove finalmente non solo ei dettava precetti di quell* arte, ma vi trattava eziandio cause, ed aveva acquistato grande esperienza del foro. Ora verremo discorrendo della Storia Naturale, eh' è la sola di lui opera da noi conosciuta. G li antichi intendevano per natura assai più che non facciamo noi di presen te. Essi comprendevano il cielo, le meteore, gli animali, i vegetabili, i minerali, la
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fisica e la geografia, e ▼' avrebbero anche aggiunta la chimica e la geologia, se le avessero meglio conosciate, e annoverate fra le scienze naturali. G li obbietti che da questo lato presenta Γ universo fanno per sé medesimi un1estensione che a ma lo stento si può percorrere, chi ne volesse toccare le parti più minute. Aristotele stesso, postoché Γ opera che compose sa questo tema é un estratto di più che mille volami, non potè abbracciare le tante minutezze che rendono più maravigliosa la natura. Però Γ università delle cose che a noi spettano si dispaia in due spe cie: ci son cose che diconsi naturali, ci son che diconsi umane. L a forza onde quelle sono affaticate di moto in molo, é immensa, eterna, universale e si doman da natura : la forza onde son governate e mosse queste, è inferma, cascaticcia e in brevi termini ristretta, e si nomina umanità. Sono però ambedue queste forze in perpetua pugna tra loro, e Γ umanità, non ostante che emerga dalla natura per poi ricadere in essa, è non pertanto spinta da una cotale emulazione che vellica, ri stringe, emenda la natura, e talvolta ancora la muta. Per Γ umana industria noi
a aduniamo le miglia sotto a quella terra medesima, che racchiude tanti arcani al la geologia impenetrabili : ascendiamo per Γ aere, emulatori de* volatili, fino a 5 6 oo metri, e valicando il mare vi tracciamo de* solchi, comeché brevissimi, a somi glianza che noi ariamo il terreno. Queste modificazioni, queste novità che a quan do a quando opera nella natura Γ industria dell* uomo compongono quella che tar da età nominò cultura della vita. L'uom o però in tali operazioni non s'adopera a caso: ei si muove dietro cognizioni certe ed evidenti che acquisi^ con l ' esperien za e con lo stadio, e dietro regole somministrategli dalle cognizioni stesse perchè s* adoperasse con sicurezza. In queste cognizioni e regole fondano le scienze e le arti umane. Il perché le discipline liberali, la storia, le lingue, la legislazione, la politica e le antichità non cadono nella natura delle cose, ma solo si 'avvicinano ad essa per relazione. Plinio adunque, a volersi contenere dentro i limiti del suo assunto, doveva aggirarsi sulle scienze naturali, senza delibar punto le umane. Ma ei non avea l’ occhio a codesta distinzione. Adottava alla confusa e riteneva tutto che pensavasi emergere dalla sua materia spontaneamente : credeva alle cose naturali dover secondare appresso quando più e quando meno ciò che con la natura non ha che una lontana relazione, e intanto che riputava la natura troppo angusta «di' estensione del suo ingegno, traboccava nell’ umanità e perdevasi nelΓ immensa famiglia degli oggetti universi. Ma se questo trasalire era in parte un contraffare Γ assunto, vorremo noi credere che trattasse a dovere la materia arro-
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gatasi ? Mai no. Ei s' aggira intorno le scienze amane, ma alla sfoggila : vi sor seggia appena, e già ne sembra ristacco. E i dà loro accesso in tatta Γ opera, ma non laogo veruno che sia loro proprio : non le scevera per ispecie, non le dinota con rispettive indicazioni. Non di meno, intanto che biasimiamo i deviamenti, a coi lo traeva la troppa libertà dell1 ingegno, noi d’ altra parte non possiamo che dolerci, che avendonela fatta sperare, non ne presentasse poi intera la pittura delΓ umanità de* suoi tempi. Egli errò adonqae, o per aver travarcati i confini della natura, o per aver troppo circoscritta Γ università nella qaale si era lanciato. Ma veniamo alla partizione dell’ opera. Il secondo libro parla i corpi celesti e le meteore : i quattro seguenti la geo grafia. I libri νπ, vni, ix, x , xi discorrono di zoologia : di botanica gli otto appres so. Seguono poscia le medicine tratte dalla botanica, fino al libro xxvu : di quindi al xxxii altre cose attinenti a zoologia. Nel restante Plinio viene divisando le pie tre e ciò che credette aver dipendenza da esse, le medicine trattene, la statuaria, la scultura, la pittura, e parecchie cose spettanti ad industria. Nè v' intrude Γ in dustria solamenti qui : ei ve la annesta per tutta Γ opera, tuttavolta che la si cre deva tornare acconcia, e specialmente nello scorcio del libro settimo. L a struttura dell1 opera a prima giunta può parere ben condizionata : si co mincia dal cielo, poi segue la terra : di questa si tratta primamente la parte geo grafica (poiché la geologia propriamente detta non era nota a que' tempi) * poi i regni di natura, qiò sono gli animali, i vegetabili, i minerali. Nondimeno ci ha gravi difetti, chi ben vi mira, ì quali crediamo di dovere testé mettere in mostra, per chè non iscorga altrui a mal passo la devozione degli antichi verso un libro, ch'essi erroneamente credevano da ogni parte perfetto. Noi dicemmo già che Plinio in serta per tutto ciò che pertiene all’ industria ·, nè ripetiamo ora com’essa è inserta abusivamente : ma, quand1 anche si comporti, ella volessi allogar più presto sicco me appendice in fine d1ogni trattato, di zoologia, di botanica, e di mineralogia, in capi separati e con i loro titoli rispettivi. Almeno si sarebbe conservato il decorso dell1 opera mondo da intoppi. Simile è quell1 altro vizio d1 inchiudere nella mine ralogia le belle arti, la scultura, ecc. come se gli artefici non si valessero d’ assai pur delle sostanze organiche : certo che all1uopo essi operavan Γ ebano non altra mente che i marmi ed i metalli. Ciò nonostante si chiederebbe indarno a Plinio di c^e materia usassero le tele i pittori, di che i pennelli, e quante tinture compo nessero con elementi tratti delle piante. A che finalmente alle due parti di storia
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naturale g ii trattale non appicca di seguito la mineralogia, ma discorre di medi cina innanzi che delle pietre ? Certo ei sarebbe uscito meglio del suo debito, se avesse riserbata al fine d' ogni parte la sua terapeutica, e trasmessa a dopo che avesse ragionato delle pietre l ' università della materia medica. Nella storia natu rale la botanica amava meglio antivenire la zoologia, e nella terapeutica la zooiogià, antivenire la botanica ; ma Plinio fa alla peggio. Nella mineralogia non cer cheremo ordine, chè ve n’ è nulla. Non basta. Ninna scienza, dalla geografica in fuori, é fornita della debita tassonomia. Nel libro che ragiona del cielo e del mondo, la differenza tra gli astri e le meteore a malo stento si ravvisa pur da chi vi badas se: della cosmogonia e cosmografia brevi cenni a spilluzzico: indi si ragiona degli elementi, di Dio, degli astri, dello ecclisse e de' fulmini : qui l ' autore tocca bom ba, e quasi se credesse che si possa allogare in qualsivoglia sito ciò che si detrasse a ona materia non compiutamente trattata, ripara da capo agli astri per ricercar ne gl*intervalli, e intanto vi fa un solenne tramestio di cose meteorologhiche ed astronomiche. Nella botanica e nella zoologia v' ha un ordine, é vero, ma solamente quale poteva approvarsi a* tempi di Plinio, quando la scienza anatomica non era conosciuta : le differenze delle specie e i caratteri loro si veggono determinati più presto secondo Γ uso de' diversi paesi, che dietro a canoni e norme generali. E come non dee strabiliare la scuola di Linneo vedendo i vegetabili sceverati in sette classi : piante esotiche e aromatiche, ortensi, salvatiche, piante sative, biade, lino, legumi ? perocché quantunque Plinio non tenga questa divisione a parole, ei la tiene però nel (atto. G li stessi libri che parlano degli animali, con tutto che meno éMfcttuosi, hanno molto di che vorrebbero essere ammendati. Della vita delle piante, della combinazione delle lor parti e del promuoverne la cultura, indarno sì attende stabiliti di precetti e giustezza di osservazione. Ma siccome gli antichi non si conoscevano di ciò che noi chiamiamo fisica particolare e sperimentale, non avvisavano i vantaggi che trar si possono dall' esame rigoroso e dall' esatta osservazione di tutte le parti di una pianta, o d’ un piccolo animale, e non vede vano le relazioni che ciò aver poteva con la spiegatura de' fenomeni naturali. Non è però questo l ' obbietto più importante ; né convien credere che lo storico della natnra debba star contento delle descrizioni esatte e de' fatti particolari. E i dee sollevarsi più alto, a cose più degne de' pensieri nostri : combinar le osservazioni, rendere generali i latti, unirli insieme coi legami delle analogie, e procacciar di spargervi quella copia di cognizioni, per cui si possa addarsi che gli effetti parti-
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colari dipendono da effetti più universali, e paragonare la natura con sé mede sima per aprire così la via al perfezionamento delle varie parti della fisica. Ma per Plinio un' erba e un insetto altro non erano che un insetto ed un' erba. Ei non li degnava della sua occupazione, perché non conosceva l ' importanza che hanno in natura ; ignorava le loro relazioni cogli oggetti di ordine più alto, e la sciava intanto trascurata quella parte della natura, le cui fisiche proprietà son dai moderni riputate sì degne della loro attenzione. Conviene però ammentare che non era mente di Plinio far disquisizione sopra ogni cosa, ina solo raccozzarne le molte degli antichi, che trascrisse o voltò di greco nel suo linguaggio. Questa é in gran parte la ragione de1 difetti che viziano la sua enciclopedia. Però vediamo com' egli errasse quanto a sé. Primamente ei non seppe far scelta de' suoi autori. Trascriveva Aristotele con tutta la fede che deesi a quell' immenso ingegno, ma troppo corrivo ad un tempo ricevea tutto che trovava affastellato in Ctesia, senza punto sfasciamelo dai miti, dai simboli e dai geroglifici dell' antica Persepoli. Preferiva spesso un' iper bole a una verità, nè si asteneva dalle cose rancide, assurde e puerili più che non adottasse le raccomandate dalla ragioue; e talora non levava pur truciolo a quante goflerie gli spiattellasse un autore. Ciò che narra o descrive non vide di presenza kbe raro, e siccome tramuta spesso le cose credendo di non tramutarne che il nome, dà nell' oscuro, o s' arresta nel bel mezzo ; il che massimamente interviene quando segna misure, distanze, specie o generi, e quando mette in latino gli autori Greci. Fa maraviglia come incespichi sì sovente nel tradurre Teofrasto, e travisi il lettore con dargli per verità quegli strafalcioni, che ponderandoli avrebbe potuto evitare, se non li avesse troppo ciecamente perdonati a sé stesso. Di nomenclatore è troppo manco ed avaro. V ' ha fiere, alberi, pietre che non si conoscono a nome, ed alcune Γ hanno imposto da lui, ma senza un aggiunto, senza una dichiarazione. Veggasi l'autore della Biographie universeìlt, t. xxxv, p. 72. Quanto però è man chevole da questo lato, altrettanto é soverchio nel ritornare sopra a materie di già esaurite : le ripetizioni ristuccano per troppa frequenza, e in ispecieltà nella bota nica e nella geografia. Non neghiamo che altri torrà forse a giustificar questa p ecca col supporre in Plinio la mira di sfastidire il lettore che dovesse altrimenti rico r rere a' luoghi affini, o la cura di mettergli in pronto dò che lo svolgerebbe dallo studio, se avesse a frugarlo altrove ; ma chi torrebbe a giustificarlo dal contrad dire a sé stesso e alla sua materia quasi ogni volta che rapporta alla sbadata le v a
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rie opinioni altrui circa on soggetto medesimo ? Chi ben mira alla descrizione degli astri e alla geografia, le trova zeppe di contraddizioni, e di pareri volti a di struggersi a vicenda. L ’ autore vi mostra come non avea raggiunta Γ evidenza della cognizione, e come nel concorso di varii giadicii ei si stava neghittoso, senza di scernere quello che fosse più consenziente con la ragione e con le dottrine de' suoi tempi : egli, a dir corto, in tali congiunture non s 'occupava che della parte mate riale del suo ufficio. Ma eoo Γ avere sì alla lunga incolpato Plinio (e confessiamo die molli altri errori si sono lasdati stare per amore di brevità) non vorremmo che il nostro giù· dirio fosse tacciato di troppo severo a petto degli stemperati elogii che furono sempre a quest* opera prolusi. Laonde perseguiteremo ora le nostre osservazioni dal lato opposito, aggiungendo anche noi quella parte di lode verace, che giusta mente d persuadiamo di doverle. L a geografia antica sarebbe per gran parte ita in dileguo, o non si potrebbe conoscere abbastanza, se Plinio non d avesse conser vato tanti nomi di nazioni, di sili, di fiumi. L'origine delle arti, il progresso, i capHavori ne sono diciferati con la massima esattezza: menzionati gli autori, e sparse in boondato qua e là nozioni sopra le arti medesime. Certo se i moderni si fossero dati assai più allo studio di questo autore, avrebbero acquistate più aàipie notizie arca Γ industria antica, che i posteri troppo stracciarono, e perdò non imitarono nelle parti più principali. Anzi chi volesse apprendere per intero le Romane cose, i profitti dell* ingegno, lo stato dell’ umanità, delle scienze, deU’ agricultura e del1’ industria ; quali arti, quali costumanze prevalessero al tempo spedalmente de’Ce-
uei, avrebbe in Plinio solo dò che gli potrebbe somministrare una copiosa biblio teca. G li antichi, ignoranti delle mende che viziano questa storia della natura, e lontani dal credere che Plinio dietro a tanti valentuomini che lo precessero avesse potuto cadere in errore, si tennero indifferenti sopra tutto dò che richiedeva on esame, dicendo delle sole bellezze che chiaro vi scorsero i più smoderati elogii che mai. Nondimeno il titolo di dottissimo che davano a Plinio era una giusta re tribuzione dello splendore alla nazione aumentato, e de’ vantaggi di'ei procacdava al mondo con la mirabile potenza del suo ingegno. L e età di poi fecero un passo più : si valsero ddl’aulorità di Plinio come d'infallibile, e spesso v'aggiunsero peso con la dtazione ddle stesse parole^ ned è a stupire che Solino, per la reverenza in coi lo area, prendesse a imitarlo sì da presso, da esser detto da Arduino scimia di Plinio. Giova credere che anche il libro De’ rimedit\ il quale passa per di Pii-
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nio Valeriano sia lavoro del nostro autore, benché disposto con altro ordine da qualche persona nominato Valerio. Di fatto, né da esso, né altronde si rileva che vivesse mai aatore di tal nome ; né fa contro alla boona latinità che Γ opera di Plinio altramente disposta è pubblicata da codesto Valerio si titolasse Plinio
Valeriano. Qaanto poi alla utilità di qaesta storia, giova desumerne la misura da ciò che dice Plinio medesimo nel suo proemio : « Io ho ridotto in trentasei libri venti mila cose degne d' esser sapute (da formar, come dice Domizio Pisone, più pre sto tesori che non libri), tratte fuori da intorno a due mila volumi, de’ quali pochi son tocchi dagli studiosi per rispetto della materia non comune, e da cento autori esquisiti, con la giunta d’ assaissime cose, le quali i primi non seppero, ο Γ inge gno ha trovate poi. » Non basta : ei dibattè contro un* immensa difficoltà : dar in novazione alle cose vecchie, autorità alle nuove, splendore alle dismesse, luce alle oscure, grazia alle sazievoli, fede alle dubbiose, la sua natura a tutte, e tutte a lli natura loro, son le più forti malagevolezze che possano incontrare ad uno scrittore. Ma Plinio vi riuscì felicemente. Egli fu il primo che trattasse la natura con tanta estensione : conobbe il travaglio che la sua materia gli domandava, ma non se ne spaventò punto ; e come se avesse misurato con essa il suo ingegno, si ritrovò di tal possa da vantaggiare le più prepotenti esigenze. Veggasi a maggior lode Γ intero brano del proemio, che precede il testé citato. Senzachè Plinio a1 contemporanei piacque assai pel suo genere di scrittura acre e severo, ma bello ad un tempo e adattissimo a metter sott' occhio le cose. L a sua età non contava più que’ nobili amatori della dizione Ciceroniana, perchè al candore e alla sincerità dell'innanzi era succeduta l'agonia dello stile turgido e parolaio. Allora s' avea già buscato Seneca il vanto del primato nell' eloquenza, eziandio che egli dall' andar sulle tracce di Tullio fosse le millanta miglia lontano. Plinio nè amatore spasimato delle eleganze di Seneca, nè graufatto seguace di Tullio, scrisse d' un suo modo, e intanto come era da meno di codesto sire del foro, tanto era da più del precettor di Nerone. Il suo linguaggio è un felice mistio del grave e semplice che contrassegnò Γ età più cospicua della favella del Lazio, col lepido e fattizio de’primi tempi della sua dacadenza: v’ ha molta novità, e ciò che v’ entra di antico, é bellamente foggiato che par d' allora allora. L a scrittura è robusta e relativa, e, che non è piccola arte, le parole acquistano dalle parole stesse luce e potenza. Solo si amerebbe che non istesse sì alla dura di voler più
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brevità che chiarezza, e non affettasse quelle laute elissi e reticenze scabrose e a prima giunta inaccessibili ; avvegnaché il suo stile non tora» soverchiamente oscuro a chi vi si è avvezzo, se non dove Γ autore medesimo aveva oscura la idea del suo soggetto. Laonde non possiamo perdonare al Domenichi quel sì sovente travedere e quel pigliare alla peggio i sensi dell’ autore, non solo dov’ egli é in tralciato o pei guasti del testo, o per la malagevole locuzione ; ma eziandio dove la frase non é ardua né il senso domanda meditazione veruna. Imperò, quantun que per difetto di buone versioni s’ é preferita quella del Domenichi, non ne sof ferse l'animo di darla sì rimpinzata di aberrazioni, com’ essa era. Racconciammo alla meglio i luoghi dove il traduttore appannava, e non ligii alla dizione di lui, che pure é assai pedestre e stemperata, ci studiammo piò presto di raddurre a corri spondenza i due testi che s 'affrontano. Nondimeno de’ primi libri (tranne l’ elenco, che si è volgarizzalo di nuovo) s’ é tocco presso che nulla, perché la minor copia d’errori ne invogliò di lasciare alla versione la sua nativa integrizia. Finalmente Plinio delle umane cose e della vita medesima tenne quel conio che dì ridevoli e indegne della sua estimazione. Sebbene ottenesse «li cospicui onori, fosse bene dell’ amore de’ principi, e avesse (ama onorata anche sempre che visse; non che ne menasse trasoneria, la contemplazione della natura e insieme dei deliri dell’ umanità gli destava un non so che di scontento, di maninconia, e di riso ama ro, che lo stornavano con fastidio da tutto che vedea fuori di sé. Quantunque della metafisica oon si conoscesse a fondo, é però fuor di dubbio che aveva il mondo e Dio per una cosa stessa : pensamento che non fu di lui solo, ma d’ altri eziandio che asserirono il Panteismo, e che molto scrissero per accreditare le loro opinioni. 11 perché que’ suoi superbi parlari, spesso acri e corrucciosi, e talvolta sparsi di
maligna derisione, intanto che mettono a ludibrio l’ umanità fanno rea la provvi denza divina. Però non vuoisi passare in silenzio il suo altamente sentire della virtù, per cui inveisce di spesso contro la spietatezza, la libidine e il depravamento de’ suoi tempi ; trasanda le verità pericolose a dire, piuttosto che velarle di simu lazione, abborre la piagenteria usa a falsare l’ onestà delle coscienze, e pare che portenda come scommessa dai vizii che avversa avesse finalmente a dissolversi la Romana potenza.
C. PLENTI SECUNDI
HISTORIARUM MUNDI LIBRI XXXVI
C . PLINII SECUNDI
H IS T O R IA R U M MUNDI LIBRI XXXVI -----------* · « ------------
PROOEMIUM
PREFAZIONE
C. Pune» Smccn>vs T. V iir u u io soo s.
C. Pumo Sxcoroo a T. V m ii u i o suo saluti.
JCitbros naturalis Historiae, novitium Camoeais Quiritium tooram opus, natam apad me proxima f e t a n , licentiore epistola narrare constitui tibi, ja e u d iiiia K Imperator : ah enim haec toi praefelio veiiisim ·, dum Maximi consenescit in patre : «.Kamqoe to solebas Meas esse aliquid potare no(M , * «t objicere moliar Catuliam conterraneum meem. Agnoscis et hoc castrense verbam. Ille e n w , i t icis, permutatis prioribus «etabis, duriai c u Iu b se fecit, quoniam volebat aestimari ea a VeranioKssBbetFabollis^imul at hac mea peto· lanlia-fiat, quod proxime non fieri questus es in alia procaci epistola nostra, ut in quaedam acta exeant, scianlqoe omnes quam ex acquo tecam vivat iraperiam. Triumphalis et censorias tu, aexMsque consci, ac tribuoitiae potestatis partiecpc, et, quod his nobilius fecisti, dum illud patri pariter et equestri ordini praestas, prae fectas praetorii ejos; omniaque haec reipubUcae : «t nobis quidem qualis in castrensi contubernio. Kee quidquam in te mutavit fortunae amplitudo, nisi ot prodesse tantumdem posses, nt velles. Itaque quam ceteris in venerationem toi pateant •mala illa, nobis ad colendum te familiarius audacia sola saperest Hanc igitur tibi imputabis, et in nostra culpa tibi ignosces. Perfricui faciem.
I o ho deliberato, o giocondissimo imperadorò (e questo sia il tuo verissimo titolo, mentre che quel di Grandissimo invecchia in tao padre), di voler narrarti con nna epistola, forse troppo licensiosa, i libri dell*Istoria naturale, opera nuova alle Mose de’ tuoi Romani, nata appresso di me in questo altimo parto. Perciò che tu pur solevi credere, che le mie ciance fossero qualche cosa, acciocché io usi il verso di Catullo mio eompatrioto. Tu pur conosci anco questa parola soldatesca. Perch’ egli, come tu sai, mutando le prime sillabe, si fece alquanto più duro, eh· non avrebbe voluto esser teouto da'suoi Veranioli e Fabulli. E parte ancora per fare con que sta mia domestichezza quello, che poco fji avesti per male, che io non facessi in un’ altra mia licenziosa lettera, acciocch’ella esca in certi atti, e sappia tutto il mondo quanto meritamente Γ imperio sia nelle tue mani. Tu hai trionfato, tn sei stato censore, e sei volte consolo, e parte cipe‘della podestà tribunizia, e quello ch’è molto più nobile, che tutte queste cose, mentre che ciò facesti per.piacere a tuo padre, e all'ordine equestre, fosti prefetto del suo pretorio, e tutto ciò in servizio della repubblica. E come ti sei tu portato con esso noi alla guerra? Ni però la gran-
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Nec tamen profeci : quoniam alia via occurris ingens, etlongius etiam submoves ingenii fascibus. Fulgurat in nullo umquam verius dicta t u elo quentiae, tribunitiae potestatis facundia. Quanto tn ore patris laudes tonas? quanto fratris amas ? quantus in poètica es? O magna fecanditas animi ! quemadmodum fratrem quoque imitareris, exeo· gì tasti. Sed haec qnis possit intrepidus aestimare, apbilurus ingenii tui judicium, praesertim lacessitum? Neque enim similis est conditio publi cantium, et nominatim tibi dicantium. Tum possem dicere : Quid ista legis, Imperator ? Humili *volgo scripta sunt, agricolarum, opificum turbae, deniqne studiorum otiosis. Quid te judicem facis? quum hanc operam condicerem, non eras in hoc sdbo. Maj orem te sciebam, quam ut descensurum bue putarem. Praeterea estquaedam publica etiam eruditorum rejectio. Utitur illa et M» Tullius, ex tra omnem ingenii aleam positus, et (quod rai re mar) per advocatum defenditur, u Haec doctissi mum Persium legere nolo, Laelium Decimum vo lo.» Quod si hoc Lucilius,qui primus condidit styli nasum, dicendum sibi putavit, si Cicero mutuandnm, praesertim quum de Republica scriberet ; quanto nos causatius ab aliquo judice defen dimus? Sed haec ego mihi nunc patrocinia ademi nuncupatione : quoniam plurimum refert, sor tiatur aliquis fudicem, an eligat: multumque afpparatus interest apud invitatum hospitem, et obtutum. Quum apud Catonem illam ambitus bostem, et repulsis tamqusm honoribus ineptis gaodentem, flagrantibus comitiis pecunias depo· nerent candidati, hoc se facere pro innocentia ( quod in rebus hun^anis summum esset ) profi tebantur. Inde illa nobilis M. Ciceronis suspiratio : ά O te felicem, M. Porci, a quo rem improbam petere nemo audet ! » Quum tribunos appellaret ti. Scipio Asiaticus, inter quos erat Gracchus, hoc ad testabatur, « vel inimico judici se probari posse. ·» Adeo summum quisque causae judicem facit quemcumque,quum eligit : unde provocatio appellatur. Te quidem in excelsissimo humaui generis fastigio positum, summa eloquentia, lumina eruditione praeditum, religiose adiri étiam a salutantibus scio. £ t ideo subit cura, ut quae tibi dicantur, te digna sint. Vernm et diis lacte rustici multaeque gentes snpplicaut, et mola tantum salsa litant, qui non habent thura : neo oUi fuit vitio deos eolerc quoquo modo posset.
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desif della tua fortuna ha mutato in te nulla, «e non che tu possa giovare altrui quanto tu vuoi. Essendo dunque tutte queste cose aperte agli altri per onorarti, a me rimane l'audacia sola per più fymigUarmente farli oaore. Questo mio ardir dunque a te medesimo imputerai, e le mie colpe a te stesso perdonerai. Io ho fatto fronte. Ni però m 'è giovato nulla, poiché per altra via tu mi vieni innanzi maggior che mai, e mi fai star discosto eoo la grandezza del tuo inge gno. In ninno altro folgora più veramente quella, che in te si chiama forza d'eloquenza. In te è la facondia della podestà tribunizia. Con quanto ' spirito intuoni tu le lodi di tuo padre ? quanto ami tu quelle di tuo fratello ? quanto se'tu grande nella facoltà poetica? O gran fecondità d’animo! Tu t'hai immaginalo ancora, come tu possa imi tar tuo fratello. Ma chi è colui, che sicuramente possa considerar queste cose per venir sotto il giudicio del tuo ingegno, massimamente provo cata ? Perciocché non è simile la condizione di coloro, che pubblicano alcun libro, e di quegli, che nominatamente te lo dedicano, lo potrei dire allora,perché leggi tu queste cose, o imperadore? Elle sono stale scritte per Tornii volgo, de'contadini, djlrtefici, e finalmente per gli oziosi studii: perchè ne vuoi tu esser giudice ? Quando 10 scriveva queat'opera, tu non erj in questo ruolo. Io sapeva bene, che tu eri maggiore, tanto eh' io non pensava, che tu avessi a scender si basso. Olirà di ciò sempre gli scrittori fuggono 11 giudicio de' dotti. È questo fa M. Tullio, il quale benché sia di tanto valore, che non abbi* a temere il giudicio di niuno, nondimeno, quel ch'è da maravigliarsi, si difende per Io avvocato, « Queste mie cose non vo’ che sien Ielle dal dottissimo Perseo, ma si bene da Lelio Decimo. » Che se Locilio, il quale fu il primo che trovò il naso dello stile, pensò di poter dir questo ; se Cicerone anch'egli lo volse accattare, massimamente quando e' scriveva della Repubblica, quanr to più giustamente sarò io difeso da qualche giudice? Ma io m'ho levalo ora da me stesso questi patrocinii col dedicarli il libro. Perciocché gran differenza c'è, che altri abbia a sorte un giudice, o che se lo elegga da sé stesso, e altro apparato rioerca un forestiero invitato, e uno improvviso. Quando appresso a quel Catone ni mico delle pratiche, il quale godeva delle repulse» come altri fa degli onori acquistati, coloro che domandavano i magistrali nella furia dello squiU linio deponevano i lor denari, usavano dire, che ciò facevano per la innocenza, la quale nelle cose del mondo è molto stimata; quindi ne venne quel nobil sospiro di M. Cicerone : « Felice tu, M. Porzio, da coi niuno ardisce chiedere cosa mal-
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Meae qaidem temeritati accessit hoc quoque, quod levioris operae hos tibi dedicavi libellos. Naa nec ingenii sunt capaces, quod alioquin nobis perquam mediocre erat: nec admittant excessas aut orationes, sermonesve, aut casus mirabiles, vel eventus varios, non alia jucunda di· do,aut legentibus blanda, sterili maleria. Rerum natura, hoc est, -vita narratur, et haec sordidis sima sui parte, ut plurimarum rerum aut rusticis vocabulis aut externis, immo barbaris, etiam cum honoris praefatione ponendis. Praeterea iter est, non trita auctoribus via, nec qua peregrinari animus exspectat. Nemo apud nos, qui idem tentaverit, nemo apud Graecos, qui unus omnia ea tractaverit. Magna pars studiorum amoenitates quaerimus. Quae vero traotata ab aliis dicuntur immensae subtilitatis, obscuris rerum tenebris premuntur. Jam omnia attingenda, quae Graeci r ii iyxuxXonratiiiας vocant, et tamen ignota, aut incerta ingeniis /acta. Alia T ero ita multis prudila, et in fastidium sint adducta. Res ardua, vetusti· novitatem dare, novis auctoritatem, obsoletis nitorem,obscuris lucem, fastiditis gratiam, dubiis fidem, omnibus vero nataram, et naturae suae omnia. Itaque etiam non assecutis, voluisse, abunde pulchrum alqne magnificum esi. Equi dem ita sentio, peculiarem in studiis causam •orum esse, qui difficultatibus victis, utilitatem juvandi praetulerunt gratiae placendi : idque jam et in aliis operibus ipse feci : et profiteor mirari me T. Liviam, auctorem celeberrimum, in histo riarum suarum, quas repetit ab origine Urbis, quodam volumine sic orsum : « Salis jam sibi gloriae quaesitum : et potuisse se desinere, ni animus inquies pasceretur opere.» Profecto enim populi gentium victoris, et Romani nominis glo riae, non suae composuisse illa decuit. Majus meri· tum emet, operis amore, non animi causa perseve rasse; et boc populo Romano praestitisse, non sibi,
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fatta. » Quando L. Scipione Asiatico appellava a' triboni, fra i quali era Gracoo, diceva questo, *Vch'egli poteva aneo esser approvato da un giu dice suo nimico. » In modo che ciascuno fa giudice supremo della sua causa, quel che ai elegge, onde si appella la provocazione. Gii so bene io, come coloro che salutano, con grandis simo’ onore T e n g o n o a riverirti, essendo tu posto nella maggior dignità del mondo, e dotalo di grande eloquenza, e di singolare eruditione. E perciò fra gli altri miei pensieri il maggior è, che le cose, che si dedicano, sieno degne del tuo nome. Ma nondimeno contadini e molle nazioni supplicano agli dei col latte, e coloro che non hanno incenso, sacrificano solamente con polti glia insalata. Nè fu mai riputato a vizio a veruno, onorare gli dei in quel modo ch'e' può. E alla mia presunzione questo s'è aggiunto ancora, ch'io t’ ho dedicato questi miei libri, opera d'assai poco momento. Perciocché nè essi sono capaci d ' ingegno, il quale per altro è in me assai mediocre, nè hanno digressioni, o orazioni, o ragionamenti, o casi maravigliosi, o varii successi, nè altre cose piacevoli e grate a coloro che leggono. Ma con iste|il materia si rac conta in essi la natura, cioè la vita delle cose, · questa nella vilissima sua parte, in modo che bisogna porre di più cose o con vocaboli rustici, 0 stranieri, anzi più tosto barbari, e anco con prefazione d'onore. Olirà di ciò io mi son messo per una via, la quale non è calpesta dagli autori, e per la quale non s'ha molto diletto camminare. Appresso di noi non c'è niuno, che ciò abbia lentato, nè anco appresso de' Greci c' è veruno, che abbia trattato tulle queste cose. La maggior parte degli uomini cerca la piacevolezza degli studii. E queste cose di gran sottilità, le quali si trovano trattate dagli altri, sono oppresse da oscurissime tenebre. Già tutte le cose sono da es ser tocche, le quali da'Greci sono chiamate iynvxkonreuèimfy e nondimeno sono oscure, o fatte incerte dagl’ ingegni. Alcune altre sono fatte tanto palesi a molli, che per ciò vengono a noia. Egli è mollo difficile, dar novità alle cose vecchie, autorità alle nuove, splendore alle dismesse, luce alle oscure, grazia alle sazievoli, fede alle dub biose, la natura a tutte, e tutte alla sua natura. Bella cosa dunque e onorata è ancora aver vo luto fare, benché altri non sia giunto al suo desiderio. E veramente io sono di questa opi nione, che coloro negli studii abbiano fallo assai, 1 quali avendo vinte le difficoltà, hanno messa innanzi la utilità del giovare alla grazia del pia cere, e il medesimo ho già fatto ancora io in altre opere,e confesso maravigliarmi assai cheT. Livio, autore celeberrimo, in un certo volume delle sue
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istorie, ch'egli comincia dall'origine di Roma, dicesse in questo modo : u Ch* egli aveva già acquistato gloria abbastanza, e che avrebbe po tuto lasciar lo scrivere, se l'animo inquieto non si fosse pasciuto della fatica. » Perciocché vera mente convenne, ch'egli avesse composte quelle cose per gloria del popolo Romano vincitor del mondo, non per gloria sua. Maggior merito sa rebbe stato il suo, ch'egli avesse continuato' dì scrivere per amor dell'opera, non per soddisfare all'animo suo ; ch'egli avesse fatto ciò per piacere al popolo Romano, non a sé stesso. Viginti millia rerum dignaram cara ( quo Io ho ridotto in trentasei libri ventimila cose niam, at ait Domitius Piso, thesauros oportet degne d'esser sapute (perchè, come dice Domizio esse, non libros ), ex lectione voluminum circiter Pisone, bisogna che sieno tesori, e non libri ), duam milliam, quorum patica admodam studiosi tratte fuori d'intorno a due mila volumi, de'quali attingunt,, propter secretum materiae, exquisitis pochi son tocchi dagli studiosi per rispetto del auctoribus-centum, inclosimos triginta sex volu secreto della materia, e di cento autori esquisiti, minibus, adjectis rebus plurimis, qaas aut igno con la giunta d'assaissime cose, le quali i primi raverant priores, aot postea invenerat vita. Nec non seppero, o la vita ha trovate poi. E non ho dubitamus, malta esse, quae et nos praeterierint. dubbio ancora di non aver saputo molte cose. Perciocché io sono uomo, e occupato negli ufficii, Homines enim somos et occupati officiis : subcisivisqae temporibus ista caramus, id est, noctur e studio queste cose Quando io posso, e quando nis, ne quis vestrum putet his cessatum horis. m'avanza tempo, cioè di notte, acciocché voi non Dies vobis impendimus: cum somno valetudinem credeste, che io avessi mancato alle vostre ore. computamus : vel hoc solo praemio contenti, quod II giorno lo spendo in servizio vostro. Dormo dum ista (ut ait M. Varro) musinamurypluribus poi quanto basta a mantenermi sano, contento di horis vivimus. Profecto enim vita vigilia est. questo premio solo, che mentre, come dice Var rone, m'impiego intorno a queste cose, vivo pià ore. Perciocché la vita è veramente una vigilia. Per le quali cagioni e difficolti non avendo Quibus de causis atque difficultatibus nihil auso promittere, hoc ipsum tu praestas quod ad io ardire di prometter nulla, tu mi dai animo te scribimus. Nec fiducia operis haec est, sed di scriverti. N i questo è fidanza dell'opera, ma indicatura. Molta valde pretiosa ideo videntur,· come darne il saggio. Molte cose sono stimate quia sunt templis dicata. Nos quidem omnes, preziose, perch'elle sono dedicate a'tempi. E ve patrem, te, fratremque diximus opere justo,, ramente noi tutti abbiamo scritto di te, di tuo temporum nostrorum historiam orsi a fine Aufidii padre e di tuo fratello in un'opera giusta, avendo Bassi. Obi sit ea quaeres ? jam pridem peracta scritto Γ istoria de' nostri tempi dalla fine d'Aufi· sancitur : et alioquin statutum erat heredi man dio Basso. Turni domanderai forse dov'è questa dare, ne quid ambitioni dedisse vita judicaretur. istoria? Egli è gii un pezzo,che è finita, e riposa. Proinde occupantibus locum faveo ; ego vero et E gii m'era risoluto d'ordinare al mio erede, posteris, quos scio nobiscum decertaturos, sicut che la pubblicasse egli acciocché non si credesse ipsi fecimus cum prioribus. ch'io l'avessi voluta pubblicare io per ambiuone. Perciò favorisco io coloro, che occupano il luogo, e quei che verranno dopo noi, i quali son certo che contenderanno con esso noi, siecou)· noi abbiamo conteso co' primi. Tu avrai lo argomento di questo mio stoma Argumentum hujus stomachi mei habebis, quod in his voluminibus auctorum nomina prae co, eh' io ho messo i nomi degli autori in questi texui. Est enim benignum, ut arbitror, et plenum volam i. Perciocché egli è cosa ragionevole e ingenui pudoris, fateri per quos profeceris, non, di gentil creanza confessare da chi tu hai impa ut plerique ex iis, quos attigi, fecerunt. Scito rato, non come hanno g ii fatto molti di coloro, enim conferentem auctores me deprehendisse a eh* io ho letti. E voglio che tu sappia, che con juratissimis et proximis veteres transcriptos ad ferendo io insieme gti autori, ho trovato alcuni verbum, neque nominatos : non ilia Virgiliana approvatissimi, e vicini, che hanno trascritto g li virtute, ut certarent; non Ciceroniana simpli- antichi parola per parola, senza avergli nominali,
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PROOEMIUM
citate, qui io libri· de R «publica, u Pia toma ae comitem » profitetur, in Consolatione filiae, «.Crantorem, Inquit, aequor», item uPanaetiom t» de Offieiia : quae volumina ejus ediscenda, non nodo io manibuf quotidie habenda, nosti. Obnoxii profecto animi, et infelicis ingenii est, deprehendi in furto malle, quam mutuum red dere, quum praesertim aors fiat ex usura.
Inscriptioni· apud Graecos mira felicitas : Kvf/er inscripsere, quod volebant intelligi favum: alii Kίςας *AftaXSi/af, quod Copiae cornu, ut vel lactis gallinacei sperare possis in volumine hau stam. Jam *1«, Mgrai, IJaP&jxreUy 'Eyfcf/f/cf/or, Auf«a»V, Π/ναξ, inscriptiones, propter quas vadimonium deseri possit. At quum intra veris, dii deaeque, quam nihil in medio invenies ! Nosiri crassiores, Antiquitatum, Exemplorum, Arliomque. Facetissimi Lucubrationem poto, ut qui Bibaculus erat et vocabatur. Paullo minus sdserit Varro in Satyris suis Sesculyssem, et Fiatatala. Apud Graecos desiit nugari Diodorus, et BìjSXjoAixjk historiam suam inscripsit. Apion quidem grammaticus, hio quem Tiberius Caesar cymbalum mundi vocabat, qoum publicae famae tympanum potius videri posset, immortalitate donari a se acripeit, ad quos aliqua componebat. Me non poenitet nullum festiviorem excogitasse titolom. Et ne in totum videar Graecos insectari, ex illis oos velim intelligi pingendi fingendique conditoribus, quos in libellis his invenies, abso luta opera, et ilb quoque quae mirando non satiamur, pendenti titulo inscripsisse : ut, A fille * rACuaiT, aut P o ly c u tc s : tamquam inchoata semper arte et imperfecta, ut contra judiciorum varietates supereaset artifici regressus ad veniam, veiut emendaturo quidquid desideraretur, d non csaek interceptu·. Quare plenum verecundiae iJJod est, qaod omnia opera tamquam novissima inscripsere, et tamquam singulis fato adempti. Tria ooa amplius, ut opinor, absolote traduntur inscripta, J u s fxcit, quae suis locis reddam : quo apparuit, summam artis securitatem auctori placuisse ; ek ob id magna invidia fuere omnia ea.
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non con Ia virtù di Virgilio per contrastare, non con la semplicità di Cicerone, il quale ne1 libri della repubblica ai chiama u compagno di Pla tone, » e nella consolazione della figliuola dice, W io seguo Crantore, e Paoezio negli Officii. « I quai suoi libri degni d'essere imparati, non pure d’esser di continuo tenuti in mano, tu gli hai ben veduti. Ed è veramente cosa d’animo servile e d* ingegno infelice voler più tosto esser colto in furto, che rendere quello che gli è stato prestato, massimamente facendosi il capitale eoa l'usura. Sono stati i Greci molto felici in fare i titoli loro: Kvf/tr intitolarono quello che volevano che a' intendesse per Salone. Alcuni altri hanno intitolato il libro Corno di dovizia, ovvero d’ Amaltea, acciocché tu possa sperare di trovare in tal libro fin del latte di gallina. Sonai trovati titoli 4 i questa sorte la , Muse, Pandette, Enchi ridionf Limotty Pinact, Schedion, per li quali libri ti farebbono lasciare il tuo mallevadore per leggerli. Ma quando ti metti poi a leggere, tu non vi truovi dentro nulla. I nostri sono molto più grossi ne' titoli, nsando dire, delle Antichità, degli Esempli, e dcll’Arti. Valerio, il quale era e chiamavasi attedino Anziate, fu il primo, che intitolò le sue fatiche Lucubrationi, e Varrone nelle sue satire Sesculisse e Flextabula. Appresso i Greci il primo, che lasciò di cianciare, fu Dio doro, e intitolò la sua istoria Biblioteca. E Apio ne grammatico, quello che Tiberio Cesare usava di chiamare cembalo del mondo, dove più tosto pareva che fosse un tamburo della pubblica fama, si vantò di donare la immortalità a coloro, ai quali egli intitolava alcuna cosa. Ma io non mi pento già di non avermi saputo immaginare titolo alcuno piò piacevole. E acciocché non paia ch'io voglia perseguitare affatto i Greci, io voglio che tu sappia come quei componitori del dipingere e del formare, i quali tu troverai in questi libri, non fecero opere finite, ma quelle che ancora non ci saziamo di vedere intitolarono con titolo pendente, perciocché essi usavano dire, Apblls, a P o l ic l it o vacava, quasi che ciò fosse sempre artificio incominciato e imperfetto, acciocché l'artefice potesse trovare perdono contra le va rietà de' giudicii, sì come quel ch'era per emen dare quel che vi mancava, se non fosse stato interrotto. Onde é coja piena di modestia, il vedere, come essi intitolarono tutte l'opere loro come se ciascuna fosse stata l'ultima, e come se per morte non l'avessero potuta finire. Tre opere e non più solamente, corte io stimo, fece colui, le quali s'intitolano come fornite, come io dirò al suo luogo, onde si vide, che l'autore vi si com piacque molto, e mostrò gran sicurezza d’arte,
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Ego plane meis adjici posse nulla confiteor ; nec his solis, sed et omnibus quae edidi : nt ob id caveam istos Homeromastigas. Ita enim verius dixerim, quoniam audio et Stoicos, et Dialecticos, Epicureos quoque ( nam de grammaticis semper exspectavi ) parturire adversus libellos, quos de Grammatica edidi, et subinde abortus faceré jam decem aonis, quum celerius etiam elephanti pariant. Ceu vero nesciam, adversus Theophra stum hominem in eloquentia tantum, ut nomen divinam inde invenerit, scripsisse etiam feminam, cl proverbium inde natum, u suspendio arborem eligendi. » Non queo mihi temperare, quominus •ad hoc pertinentia ipsa censorii Calonis verba ponam : ut inde appareat, etiam Catoni de Mili tari disciplina commentanti, qui sub Africano, ìmmo vero et sub Hannibale didicisset mutare, et ne Africanum qnidem ferre potuisset, qui im perator triumphum reportasset, paratos fuisse islos, qui obtrectatione alienae scientiae famam sibi aucupantur. Quid enim ait in eo volumine ? u Scio ego qu ae seri pia sunt, si palam proferantur, multos fore qui vitilitigent : sed ii potissimum, qui verae laudis expertes sunt. Eorum ego ora tiones sino praeterfluere. « Nec Plancus illepide, quum diceretur Asinius Pollio orationes in eum parare, quae ab ipso aut liberis post mortem Planci ederentur, ne respondere posset : « Cum mortuis non nisi larvas luctari. » Qao dicto sie repercussit i Has, nt aped eruditos nihil impu dentius jndicetur. Ergo secari etiam contra vit£ litigatores, quos Calo eleganter ex vitiis et litiga toribus composuit ( quid enim illi aliud quam litigant aut litem quaerunt? ) exsequemnr reliqua propositi. Quia occupationibus tuis publico bono parcendum erat, quid singuliscontineretur libris huic epistolae subjunxi : sunmaque cura, ne legendos eos haberes, operam dedi. Tn per hoe et aliis praestabis ne perlegant : sed ut quisque desideraverit aliquid, id tantum quaerat, et sciat quo loco inveniat. Hoc ante me fecit in literis nostris Valerius Soranus, iu libris quos ’E « v » r ii* * inscripsit. Vale.
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e perciò quelle opere gli acquistarono grande invidia. lo veramente confesso, che alle mie si possono aggiugnere di molte cose, n i solamente · queste, ma a tutte quelle, eh4io ho composto, acciocché iu mi guardi da questi biasimatori d’ogni cosa. Perché così dirò meglio il vero, perciocché io odo dire, che e gli Stoici, e i Dialettici, e gli Epi curei (che de'grammatici io me l'h o sempre aspettato), stanno per partorire alcuna cosa con tra i libri, eh' io ho composto di grammatica, e tuttavia fare sconciature già dieci anni, come che gli elefanti aneora partoriscano piò tosto. Quasi ehe io non sapessi aneora come fino a una donna scrisse conira Teofrssto, uomo di tanta eloquen za, che perciò s'acquistò nome di divino, onde ne nacque il proverbio, u di eleggersi un albero per appiccarsi. » Io non mi posso tenere, eh' io non ponga qui le parole di Catone Censorino accomodale a questo proposito, acciocché si veg ga, come Catone ancora, il quale trattava della disciplina militare, che aveva imparalo a militare sotto Africano, anzi pur sotto Annibaie, e non poteva pur sopportare Africano, il quale capilan generale avea trionfalo, trovò anch’egti di colo ro, che cercano d'acquistarsi fama col biasimar l'altrui scieoza. Or che dice egli in quel libro ? a Già io so bene, che se quelle cose, eh* io ho scritte, si metteranno fuori, che vi saranno molti, i quali le biasimeranno, e massimamente quegli, che non conoscono la vera lode. Lascerò dunque scorrere*! ragionamenti loro. w E Planco aucora egli argutamente rispose, perch'essendogli detto, che Asinio Pollione gli componeva contra alcune orazioni, le quali da lui, o da figliuoli sarebhono stale pubblicate dopo la morte di Planco, acciocch'e'non potesse rispondere, disse, u che coi morti non combattevano se non le beffane. » Col qual motto le ribattè in modo, che appresso agli uomini dotti non è cosa tenuta più vitupe rosa di quelle orazioni. Sendo io donque securo ancora contra i vitiligatori, i quali Catone ele gantemente compose da'vizi) e litigatori, per ciocché, che fanno essi altro, se non litigare, o cercar lite f seguirò il mio proposito. E perchè io ho conosciuto le tue occupazioni intorno al ben pubblico, io ho messo sotto questa epistola ciò che si contiene libro per libro : e hovvi posto gran cura, acciocché ta noe gli abbia a legger tutti. Tu per questo sarai cagione ancora, che gli altri non gli avranno a legger tutti, ma se condo, che ciascuno desidererà alcuna cosa, cer cherà quella sol·, e saprà dove trovarla. Questo medesimo fece prima di me nelle lettere Valerio Sorauo in quei libri, ch'egli intitolò Epoptidon. Si» sano.
C. PLINII SECUNDI
HISTORIARUM MUNDI ELENCHOS, QUI ET LIBER PRIMUS ---- --------
LIBRO n
LIBRO Π Corniranm db M ondo i t E luim tis.
1. An finitas sil mandas, et an unus. U. De forma ejus. III. De motu. Car mandas dicator. IV. De elementis, et planetis. V. De Deo. VI. De sideram errantiam natara. VII. De lanae et solis defectibus. VHI. De magnitudine sideram. IX. Qaae qais invenerit in observatione coelesti. X. Quando recurrant solis ac lanae defectas. U . De lanae motu. XII. Errantiam motas, et laminam canonica. XIII. Quare eadem alliora, alias propiora vi deantur. XIV. C a r motas dissimiles eadem habeant. XV. Catholica sideram errantiam. XVI. Qaae ratio colores eornm motet. X V II. Solis motos, et dierum inaequalitatis ratio. X V III. Qaare fulmina Jovi assignentur. X IX . Intervalla siderum. XX. D e sideribus, musica. XXI. D e mundo, geometrica. XXII. De repentinis sideribus, seu cometis. XXUI. Natara, et sitos, et genera eoram.
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i. 9 « il mondo è finito e uno. а. Delia forma sua. 3. Del moto di esso, e perchè chiamisi mondo. 4. Degli elementi, e de* pianeti. 5. Di Dio. б. Della natura delle stelle erranti. 7. Dell'eclisse del sole e della luna. 8. Della grandezza delle stelle. 9. Di quelle cose che alcuno ha trovate nella osservazione del cielo. 10. Del periodo degli eclissi solari e lanari. 11. Del moto della luna. ìa. Del moto de* pianeli, e de'caooni de' lami. 13. Perché le medesime stelle paiano ora pià alte, ora più basse. 14. Perchè le medesime abbiano movimenti diversi. 15 . Di alcune leggi costanti de' pianeti. 16. Che cosa muti i colori de' pianeti. 17. Del molo del sole, e perchè i giorni non sono eguali. 18. Perché i folgori sono attribuiti a Giove, ig. Degl' iolervalli delle stelle. ao. Della musica delle stelle, ai. Della geometria del mondo, uà. Delle stelle repentine, o comete. a3. Della natara, site, e specie loro.
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C. PUNII SECUNDI
XXIV. Hipparchea, de sideribus. XXV. De coelestibus prodigiis, per exempla hi storica. Faces, lampades, bolides. XXVI. Trabes coelestes, chasma coeli. XXVII. De coeli coloribos, et flamma coelesti. XXVIII. De coronis coelestibus. XXIX. De circnlis repentinis. X XX . Solis defectas longiores. XXXI. Plores soles. XXXII. Piares lunae. XXXIII. Dierum lox noctibus. XXXIV. Clypei ardentes. XXXV. Ostentum coeli semel notatum. XXXVI. De discursa stellarum. XXXVII. De stellis quae Castores vocantur. XXXVIU. De aSre; et qaare lapidibns pluat. XXXIX. De statis tempestatibus. XL. De Caniculae orta. XLI. Vis temporum anni stata. X L 1I. De incertis tempestatibus. XLUI. De tonitribus et fulgetris. X L 1V. Ventorum origo. XLV. Ventorum observationes diversae. XLVI. Ventorum genera. X LV 1I. (* Ventorum tempora *) XLV1II. Naturae ventorum. XLIX. Ecnephias et Typhon. L. Turbines, presteres, vorlices et alia prodigiosa genera tempestatum. LI. De fulminibus : quibas ia terris non cadant, et quare. L 1I. Genera fulgurum, et miracola. LUI. Etrusca observatio in his, et Romana. LIV. De fulminibus evocandis. LV. Catholica folgoram. I/VI. Qaae num^uam feriantor. LV1I. Lacte pluisse, sanguine, carne, ferro, lana, lateribus coctis. LVIII. Armorum crepitum, et tubae sonitam de coelo «oditam. LIX. De lapidibus coelo cadeotibos. Anaxagorea de his. LX. Arcus coelestis. LXI. Natara grandiois, nivis, pruinae, nebolae, ' roris : nubium imagines. LX 1I. Proprietates coeli in locis. LX1U. Natara terrae. LXIV. De forma ejas. LXV. An sint antipodes. LXVI. Quomodo aqua terrae inoexa. De oavigatiooe maris et flumioom. L X V il. An circomdatos terrae Oceanos. LXVI1I. Qaae portio terrae habitetor. LX1X. Mediam esse muhdi terram. LXX. De obliqoitate Zonarum. LXX1. De inaeqoalitate elimatam.
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a4 - Delle opinioni d 'Ipparco intorno alle stelle. a5. De* prodigii celesti, per esempii storici : facelline, lampade, bolidi. a6. Travi celesti : casma, o aprirsi del cielo. 27. De'colori e fiamme del cielo. 38. Delle corone celesti. 39. De1 circoli repentini. 30. Di alconi oscuramenti del sole più lunghi. 3 1. Più soli. 33. Più lune. 33. Loce di dì nella notte. 34. Scudi ardenti. 35. Portento del cielo notato uoa sola volta. 36. Discorsi di stelle. 37. Delle stelle dette i Castori. 38. Dell’aria, e perohè piovano sassi. 39. De1 temporali ordinarii. 40. Del nascimento della Canicola. 4 1. Influenze ordinarie deVarii tempi dell'anno. 4a. De* temporali straordioarii. 43. De* tuoni, e de’ lampi. 44* Origine de* venti. 45. Osservazioni diverse fatte sai venti. 46. Delle maniere de* venti. 47. De* venti periodici. 48. Varia natura de* venti. 49. Uragani e tifoni. 50. Turbini, presteri, vortici ed altre prodigiose maniere di tempeste. 5 1. Delle saette : in quali terre noo caggiono, e perchè. 5a. Delle sorti e miracoli de* folgori. 53. Osservazioni sui folgori,Etnische e Romane· 54. Evocazioni delle saette. 55. Cose universali de' folgori. 56. Cbe cose non sieno tocche dalla saetta. 57. Piogge prodigiose di latte, sangue, carue, ferro, lana, mattoni cotti. 58. Suono d'afrni e di trombe odilo in aria. 59. Pietre cadute di cielo : ciò che narrasi di Anassagora intorno a questo. 60. Dell’arco celeste. 61. Della gragouola, oeve, brinata, nebbia, ragiada ; delle imagini delle nugole. ба. Delle proprietà dell'aria secondo i luoghi. 63. Della natara della terra. 64. Della forma della terra. 65 . Se vi siano Aotipodi. бб. Come l’acqaa è con giunta alla terra ; della a^ iguion e del mare e de* fiumi. 67. Se l*Oceano abbracci la terra. 68. Qual parte della terra è abitata. 69. Come la terra è in mezzo del mondo. 70. DeU’obliquità delle zone. 71. Della inequalilà de* climi.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. 1.
LXXII. Ubi eclipses non appareant, et quare. LXXlll. Q aae ralio diurnae locis in terris. LXX1V. Gnomonica de eadem re. LXXV. Ubi, et qaando nullae nmbrae. LXXVI. Ubi bis anno : abi in contrarium umbrae ferantur. LXXYII. Ubi longissimi dies, ubi brevissimi. LXXVIII. De primo horologio. LXX1X. Quomodo observentur dies. LXXX. Differentia gentium ad rationem mundi. LXXXI. De terrae molibus. LXXX11. De terrae hiatibus. LXXX1II. Signa motas faturi. LXXX1V. Auxilia contra motus futuros. LXXXY. Portenta terrarum semel tradita. LXXXVI. Miracula terrae motus. LXXXVIi. Quibas locis maria recesserint. LXXXV11I. Insularum enascentium ratio. LXXX1X. Qaae et qnibus temporibus enatae sint. XC. Qaas terras interruperint maria. XCI. Quae insnlae continenti adjunctae sint. XC1I. Qaae terrae in totam mari permutatae. XCI1I. Quae terrae ipsae se sorbuerint. XC1V. Urbes haustae mari. XCV. De spiraculis terrarum. XGV1. De terris semper trementibus: et de fluc tuantibus insulis. XCV 11. Quibus locis non impluat. XCVUI. Acervata terrarum miracula. XC1X. Qua ratione aestus maris accedant et re cedant. C Ubi aestus extra rationem idem faciant. Cl. Miracula maris. CII. Qaae potentia lunae ad terrena, et maria ; CHI. Quae solis. C 1V. Quare salsam mare. CV. U bi allissimum mare. CVI. Mirabilia fontium et flominom. CV 11. Igniam et aquarum juacta miracola. CVIII. De maltha. C1X. De naphtha. CX. Quae loca semper ardeant. CX 1. Igniam per se miracula. CX U . Terrae universae mensura. CX 1II. Harmonica mundi ralio. Smns a : Res, et historiae, et observationes ccccxvii.
72. Dove non paiano gli eclissi, e perchè. 73. Disparità del giorno ne* varii luoghi. 74. Degli squadranti, allo stesso proposito. 75. Dove e quando non è ombra ; 76. Dove due volte l'anno è ombra, c dov'essa volgesi alla parte opposta. 77. Dove il giorno è lunghissimo, e dove bre vissimo. 78. Del primo oriuolo. 79. Come s'osservino i giorni. 80. Differenze di genti secondo i climi. 81. De’ terremoti. 82. Dell'apritura della terra. 83. Presagii de* terremoti. 84. Aiuti con tra a* terremoti. 85 . Portenti della terra vedati uaa volta. 86. Miracoli di terremoti. 87. Da che luoghi i mari si sieno discostati. 88. Ragione delle isole nascenti. 89. Quali isole ed in che tempo son nate. 90. Quali terre i mari hanno trapassato. 91. Di quelle isole, che si son con giunte con terra ferma. 92. Di quelle terre,che in tatto sono ite in mare. 93. Delle terre che si sono inghiottite. 94. Delle ciltà, che sono state inghiottite dal mare. 95. Delle esalazioni della terra in alcuni luoghi. 96. Terre che sempre tremano, ed isole ondeg gianti. 97. Luoghi dove non piove. 98. Miracoli yarii di alcune terre. 99. Con qual regola succedano i Bassi e refiussi del mare. 100. In quali luoghi il mare cresca e soemi fuor di regola. 101. Miracoli del mare. 102. Della possanza della lana in terra e in mare. 103. Della possanza del sole. 104. Perchè il mare sia salso. 105 . Dove il mare è altissimo. 106. De* miracoli de* fonti e de* fiumi. 107. Miracoli del fuoco e dell’acqua congianti. 108. Della malta. 109. Della nafta. 110. De* luoghi che sempre ardono. 111. Miracoli del fuoco di per sé. u à . Misura di tutta la terra. 11 3. Ragione armonica del mondo. S omma
: fra cose, storie ed osservazioni, 4 * 7·
EX AUCTORIBUS
AUTORI
M . Varrone. — Solpicio Gallo. — Tit$ Caesare imperatore. — Q. Tuberone. — Tallio Tirone. —
Marco Varrone. — Sulpicio Gallo. —· Tito Cesare imperadore. — Quinto Tuberone. — Tal-
C. PLINII SECUNDI
23
>4
L. Pilone. — T. Livio. — Gorn. Nepote. — Sutio Seboso. — Caelio Antipatro. — Fabiano. — An tiate. — Modano. — Caecina, qui de Etrusca disciplina scripsit. — Tarquitio, qui item. — Julio Aquila, qui deEtrnsca disciplina scripsit. — Sergio Paolo.
lio Tirone. — Lacio Pisone. — Tito Livio. — Cornelio Nipote. — Statio Seboso. — Celio An tipatro. — Fabiano. — Anxiate. — Mutano. — Cecina, che scrisse della disciplina Etrosca. — Tarquitio, che scrisse similmente. — Giulio Aquila, scrittore anch’esso della disciplina Etru sca. — Sergio Paolo.
EXTERNIS
STRANIERI
Platone. — Hipparcho. — Timaeo. — Sosigene. — Petosiri. — Necepso.— Pythagoricis.— Po sidonio. — Anaximandro. — E pi gene gnomonico. — Euclide. — Coerano philosopho. — Eudoxo.— Democrito. — Critodemo. — Thrasyllo. — Sera pione. — Dicaearcho. — Archimede. — Onesi crito. — Eratosthene. — Pythea. — Herodoto. — Aristotele. — Ctesia. — Artemidoro Ephesio. — Isidoro Characeno. — Theopompo.
Platone. — Ipparco. — Timeo. — Sosi gene. — Petosiri. — Necepso. — Pitagorici. — Posi donio. — Anassimandro. — Epigene gnomonico. — Euclide. — Cerano filosofo. — Eudosso. — Democrito. — Critodemo. — Trasillo. — Sera pione. — Dicearco. — Archimede. — Onesicrito. — Eratostene. — Pitea. — Erodoto. — Aristo tele. — Ctesia. — Artemidoro d*Efeso. — Isidoro Caraceno. — Teepompo.
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--♦ --
LIBRO m
LIBRO ΠΙ
CoiTntxrrcm sitos, gbrtbs, maim , opw m , portcs, ■ORTIS, PLUMI1U, MBBSOBAB, POPOLI QOI SOBT, aut fobbust.
T ratta db’ siti , ηλιιομ , mabi, città, forti, MOtITl, FIUMI, M1SORB E POPOLI CHE SONO IR BSSBBB, ο già sono stati.
I. (* E obopab in oniversom fines ac sinos prae mittantur : II. Tom Hispaoiae totios *) : III . Baeticae. IV. Hispaniae citerioris: V. Narbonensis provinciae : VI. Italiae. VII. I’ Nona Italiae regio : VIII. Septima Italiae regio : IX. Prima Italiae regio *), Tiberis, Roma. X. (* Tertia Italiae regio *) : XI. Inanlarom lxiv. In his, Balearium :
1. Premettonsi in generale i confini e i seni
XII. Corsicae : XIII. Sardioiae : XIV. Siciliae. XV. (* Magna Graecia *) a Locris. XVI. (* Secanda Italiae regio. XVII. Quarta Italiae regio. XV III. Quinta Italiae regio. XIX. Sexta Italiae regio. XX. Octava Italiae regio *) : de Pado. XXI. (* Undecima Italiae regio *) : It alti trans Padom : XXII. (* Decima Italiae regio *) XXIII. Istriae sitos et populi : XXIV. Alpiom, et gentiom Alpinarom :
22. Della regione decima
23. Posterà e popoli dell* Istria. 24. Delle Alpi e de* popoli Alpioi.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. I.
XXV. Liburniae, et Illyrici : XXVI. Dalmatiae. XXVII. Noricorum : XXVII I. Pannoniae : XXIX. Moesiae : XXX. Insolaram Jooii et Adriatici maris.
a 5. Della Libornia e dell1 Illirico. a6. Dalmatia. 37. Norici. a8. Pannonia. 39. Mesia. 3o. Isole dell1 Ionio e delPAdriatico.
S n u : Oppida et gentes..... Flumina clara....· Montes dari.... Insalae.... Qaae intercidere oppida aot gentes.»
Somma : Città e genti..... Finmi illustri.... Monti famosi.... Isole .... Città e popoli che son mancati ....
Res, et historiae, et observationes cccxxvi.
1 filiti, le istorie e le osservazioni sodo in tolto 3s6 .
E X AUCTORIBUS
AUTORI
Toranoio Gracile. *r Corn. Nepote. — T. Livio. — Catone censorio. — M. Agrippa. — M. Varrone. — Diro Aogosto. — Varrone Atacino. — Antiate. — Hygino. — L. Vetere. — Mela Pomponio. —-Curione patre.— Coelio.— Arraotio. — Seboso. — Licinio Muciano. — Fabricio Tosco. — L. Atteio Capitone, - r Verrio Flacco. — L. Pisooe. — GeUiaoo. — Valeriano.
Toraonio Gracile. — Cornelio Nipote. — Tito Livio. — Catone Censorino. — Mareo Agrippa. — Marco Varrone. — Angusto imperatore. — Varrone Atacino. — Ansiate. — Igino. — Lodo Vetere. — Mela Pompooio. — Cartone padre. — Celio. — Arrooxio. — Seboso. — Lieinio Muxiano. — Fabrizio Tosco. — Lodo Atleio Capitooe. — Verrio Fiacco. — Ludo Pisone. — Gelliaoo. — Valeriano.
EXTERNIS
STRANIERI
Artemidoro. — Alexandro Polyhistore. — Thacydide. — Theophrasto. — Isidoro. — Theo pompo. — Metrodoro Scepsio. — Callicrale. — Xenophonte Lampsaceno. — Diodoro Syracnsaoo. — Nymphodoro. — Calliphane. — Timagene.
Artemidoro. — Alessaodro Poliistore. — To · cidide. — Teofrasto. — Isidoro. — Teopompo. — Metrodoro Scepsio. — Callicrale. — Senofoote Lampsaceno. — Diodoro Siracusano. — Ninfodoro. — Callifane, — Timagene.
LIBRO IV
LIBRO IV
Ce n u t i m sitos , gbbtbs, maz ia , offid a , v o i · TBS MOOTBS, FLOMIBA, MIMOSA·, POPOLI QUI
so n
aot
p o u o rr.
J. Epiri. & II· (* Acarnaniae. III. Aetoliae. IV. Locridis, et Phoddis. V. Peloponnesi *) VI. Achajae. VII. (* Messeniae. VIIL Laconiae. IX. Argolidis. X. Arcadiae*) 11. Atticae. X1L l* Boeotiae.
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d b ' s it i ,
o a z io h i ,
m a b i,
c it t à ,
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M o m , ΡΙΟΜΙ, MISOtB, POPOLI CM · SOSO, O OIÀ SOVO STATI.
1. Dell’ Epiro.
3. DelF Acarnania. 3. Dell’ Etolia. 4. Delia Locride e della Fodde.
5. D el Peloponneso. 6. Dell* Acaia. 7. Della Messenia. 8. Delia Laconia. 9. Dell1 Argolide. 10. DelF Arcadia. 11. Dell1 Attica,
is . Della Beozia.
C. PLINII SECONDI
*7
XIII. Doridis. XIV. Phthiotidis *) XV. Thessaliae. XVI. Magnesiae ! XVII. Macedoniae : XVIII. Thraciae : (* Aegaei maris *) : XIX. Insularum ante eas terras : inter quas XX. Cretae. XXI. Enboeae. XXII. Cycladum. XX II I. Sporadum. XXIV. Hellesponti, Maeotidis. XXV. Daciae, Sarmatiae. XXVI. Scythiae. XXVII. Insularum Ponti: (* Insularum Oceani Septentrionalis XXV III. Germaniae. XXIX. Insularum in Gallico Oceano xcvi : quas inter XXX. Britanniae. XXXI. Belgicae Galliae: XXXII. Lugdunensis Galliae : XXX III. Aquitanicae Galliae : XXXIV. Citerioris Hispaniae, ab Oceano Gallico. XXXV. Lusitaniae. XXXVI. Insularum in mari Atlantico. XXXVII. Universae Europae mensura. S omma : Oppida, et gentes.... Flumina clara.... Montium dari.... Insulae.... Quae intercidere oppida, aut gentes.... Res, historiae et observationes....
1 3. Delia Doride. 14. Delia Ftiotide. 1 5. Della Tessaglia. 16. Della Magnesia. 17. Della Macedonia. 18. Della Trada, e del mare Egeo. 19. Delle Isole di faccia a quelle terre ; fra le qnali, ao. Di Creta, ai. Di Eubea. аа. Delie Cicladi. a 3. Delie Sporadi. 24. Dell' Ellesponto, e della Meolide. a 5. Dacia e Sarmatia. аб. Scizia. a7. Isole del Ponto, e delF Oceano settentrio nale. a8. Germania. 39. Delle Isole nel mar di Gallia, in tutte 96 : e fra queste, 30. Della Bretagna. 3 1. Della Belgica. за. Della Gallia Lionese. 33. Dell' Aquitania. 34. Della Spagna Citeriore, dal mar di Gallia. 35. Della Lusitania. зб. Delle Isole nell* Atlantico. 37. Della misura di tutta Γ Europa. S omma
; Città e genti .... Fiumi illustri.... Monti famosi .... Isole .... Città e genti che sono mancate ....
Fatti, storie ed osservazioni ....
EX AUCTORIBUS
AUTORI
Varrone (M.). — Catone (* M. Porcio *) cen sorio. — M. Agrippa. — Divo Augusto. — Var rone Atacino. — Corn. Nepote. — Hygino. — L. Ve tere. — Pomponio Mela. — Licinio Muciano. — Fabricio Tusco.— Attejo Capitone. — Attejo Philologo.
Marco Varrone. — Marco Porzio Catone Censorino. — Marco Agrippa. — Augusto imperadore. — Varrone Atacino. — Cornelio Nipote. Igino. — Lucio Vetere. — Pomponio Mela. — Licinio Muziano. — Fabrizio Tosco. — Atteio Capitone. — Atteio Filologo.
EXTERNIS
STRANIERI
Polybio. — Hecataeo. — Hellanico. «— Dama ste. — Eudoxo. — Dicaearcho. — Timosthene. — Eratostbene. —* Ephoro. — Cratete gramma tico. — Serapione Antiochense. — Callimacho. — Artemidoro. — Apollodoro. — Agathode. — Eamaeho. — Timaeo Siculo. — Myrsilo. — Ale xandro Polyhistore. — Thucydide. — Dosiade. — Anaximandro. — Philistide Mallote. — Dionysio.
Polibio. — Ecateo.— Ellenico. — Damaste.— Eudosso. — Dicearco. — Timostene. — Eratostene. — Eforo. — Cratete grammatico. — Serapione d 'Antiochia. — Callimaco. — Artemido ro. — Apollodoro. — Agatocle. — Eumaco. — Timeo Siciliano. — Mirsilo. — Alessandro Poliistore. — Tucidide. — Dosiade. — Anassi mandro. — Filistide di Mallo. — Dionisio. —
HISTORIARUM MUNDI MB. I.
*9
— Aristide. — Callidemo. — Menaechmo. — Aglosthene. — Antidide. — Heraclide. — Phile mone. — Xenophonte. — Pythea. — Isidoro. — Philonide. — Xenagora. — Astynomo. — Staphjlo. — Aristocrito. — Metrodoro. — Gleobulo. — Posidonio.
3o
— Arisi ide. — Callidemo. — Menecmo. — A gio itene. — Antidide. — Eraclide. — Filemone. — Senofonte. — Pitea. — Isidoro. — Filonide. — Senagora. — Astioomo. — Statilo. — Aristo· crito. — Metrodoro. — Cleobulo. — Posidonio.
-- ψ --
— «a»—
LIBRO V C o n t i n e n t u r s i t o s , g b n t e s , M ARIA, o p p i d a , p o r tu s,
MONTES, FLCMHTA, MKNSUKAE, POPOLI QUI
SUNT A O T F O U D B T .
I. Maaritaniaram. U. Nomidiae. 111. Africae. IV Syrliam. V. Cyrenaicae. Tl. ( Libyae Mareotidis *). VII. Insularam arca Africam. Vili. Aversorum Africae. IX. Aegypti et Thebaidis. X. Nili. XI. (* Urbiam in Aegypto *). XII. Arabiae, qaae est ad mare Aegyptiam. XIII. Syriae. XIV. Idumaeae, Palaestinae, Samariae. XV. Jodaeae. XVI. (* Decapoleos *). XF1L Phoenices. X?II1. Syriae Antiochiae. XIX. (* Reliquae Syriae ad Euphratem *). XX. Eophratis. XXI. (* Syriae ad Euphratem *). XXII. Ciliciae, et adjunctae gentes. XXIII. Isauricae, et Homonadam. XXIV. Pisidiae. XXV. Lycaoniae. XXVI. Pamphyliae. XXVII. Tauri montis. XXFIII Lydae. XXIX Cariae. XXX. <* Lydiae*). XXXI. Joniae. XXXU. Aeolidis. XXXIII. Troadis, et adjanetae gentes. XXXIV. Insolaram ante Asiam ccxu : in bis XXXV. Cypri. XXXVI. Rhodi. XXXVU. Sami. XXXVIII. Chii.
LIBRO V T ra tta
d e 1s i t i ,
r a z io n i,
m a r i,
c ittà ,
p o e ti,
MONTI, FIUM I, MISURE E POPOLI CHE SONO O GIÀ SONO S T A T I.
i. Delle Maaritanie. а. Della Numidia. 3. Dell1Africa. 4 - Delle Sirti. 5. Della Cirenaica. б. Della Libia Mareotide. 7. Delle Isole intorno alPAfrica. 8. Dell* Africa ulteriore. 9. Dell1Egitto e della Tebaide. 10. Del Nilo. 11. Delle città che son nelP Egitto. ia. Dell1Arabia sul mar d’ Egitto. i 3. Della Siria. i 4 - Dell1 Idomea, Palestina e Samaria. 1 5 . Della Giudea. 16. Della Decapoli. 17. Della Fenicia. 18. Della Siria Antiochena. 19. D el rimanente della Siria. ao. Dell' Eufrate. ai. Della Siria su lt Eufrate. aa. Della Cilida, e de1popoli che vi sono ap presso. a3. Dell1Isauria e degli Omonadi. a4· Della Pisidia. a5. Della Licaonia. 36. Della Panfilia. 37. Del monte Tauro. a8. Della Licia. ag. Della Caria. 30. Della Lidia. 3 1. Della Ionia. з а. Dell’ Eolide. 33. Della Troade e de1popoli annessi. 34. Delle novantadue isole innanzi all’Asia : fra le quali, 35. Di Cipro. зб. Di Rodi. 37. Di Samo. 38. Di Chio.
3.
C. PLINII SECUNDI
XXXIX. Lesbi. XL. Hellespontus, el Mysia. XL 1. Phrygia. XL1I. Galatia, et adjanetae gentes. XLUI. Bithynia. XL 1V. Insulae in Propontide *).
39. Di Lesbo.
40. Dell' Ellesponto e della Misia. 4 1. Dell· Frigia. 4 a. Della Galazia, e de' popoli annessi. 43. Della Bitinta. 44· Delle isole della Propontide.
: Oppida et gentes... Flamina clara... Montium clari... Insulae, cxvit. Qoae intercidere oppida aut gentes...
S om m a
Res, historiae, et observationes...
S omma : Città e popoli....
Fiumi illustri .... Monti famosi.... Isole 117. Città o popoli che son mancali.... Fatti, storie ed osservazioni....
EX AUCTORIBUS
AUTORI
Agrippi. — Suetonio Paulino. — M. Varro ne. — Varrone Atacino. — Corn. Nepote. — Hy gino. — L. Vetere. — Mela. — Domitio Corbu lone. — Licinio Mociano, — CI. Caesare, Arrun tio. — Livio filio. — Seboso. — Actis trium phorum.
Agrippa. — Svetonio Paulino. — Marco Var rone. — Varrone Atacino. — Cornelio Nipote. — Igino. — Lucio Vetere. — Mela. — Domizio Corbulone. — Licinio Muziano. — Gaudio Ce sare. — Arronzio. — Livio figliuolo. — Seboso. — Gli atti de’ Trionfi.
EXTERNIS
STRANIERI
Juba rege. — Hecataeo. — Hellanico. — Da maste. — Dicaearcho. — Baetone. — Timosthene. — Philonide. — Xenagora. — Astynomo. — Staphylo. — Aristotele. — Eratoslhene. — Hip parcho. — Panaetio. — Serapione. — Antioche no. — Callimacho. — Agathocle. — Polybio. — Timaeo mathematico. — Herodoto. — Myrsito. — Alexandro Polyhistore.— Metrodoro.— Po sidonio qui TltfÌTXow aot Πίςιήγκνιν. — Sotade. — Periandro. — Aristarcho Sicyonio. — Eudoxo. — Antigene. — Callicrale. — Xenophonte Lam psaceno. — Diodoro Syracusano. — Hannone. — Himilcone. — Nymphodoro. — Calliphane. — Artemidoro. — Meg*sthene.— Dionysio. — Aristocrito. — Ephoro. — Isidoro. — Cleobulo. — Aristocreonte.
l ib r o
11 re Giuba. — Ecateo. — Ellenico. — Da maste. — Dicearco. — Belone. — Timostene. — Filonide. — Senagora. — Astinomo. — Sta tilo. — Aristotele. — Eratostene. — Ipparco. — Paneiio. — Serapione Antiocheno. — Cal limaco. — Agalocle. — Polibio. — Timeo mate matico. — Erodoto. — Mirsilo. — Alessandro Poliistore. — Metrodoro. — Posidonio, il quale scrisse il Periplo o il Periegesi. — Sotade. — Pe riandro. — Aristarco di Sicione. — Endosao. — Antigene. — Callicrale. — Senofonte di Lam psaco. — Diodoro Siracusano. — Annone. — Imilcone. — Ninfodoro. — Callifane. — Artemi doro. — Megastene. — Dionisio. — Aristocrito. — Eforo. — Isidoro. — Cleobulo. — Ariatocreonte.
LIBRO VI
vi
C o rtm u tu i s i t u i , g b r t b s , ΜΑΒΙΑ,
O PPID A , p o b t v s ,
T b a tta
d b ' SITI ,
GBRTI ,
ΜΑΒΙ ,
C IT T À ,
r o tti,
MOBTBS, F LO M ISA , MEVSUftAB, POPOLI QUI SUBT
M ORTI, FIUM I, MISUBB B POPOLI C B B SOMO, O
A C T FOXBOBT.
•ORO G IÀ STA TI.
I . Ponti et Maryandinorum. II. Paphlagonum : III. Cappadocum. IV. Themiscyrena regio, et in ea genles.
1. Del Ponto e de' Mariaodini. a. De' popoli Paflagoni. 3. De'Cappadoci. 4 · De' popoli della region Temiscira.
33
HISTORIARUM MUNDI L 1B. I.
V. Regio Colchica, «t gqptes Achaeorum, et cete rae eodem tractu gente*. VI. Bosporus Cimmerius. VII. Maeotis, et gentes circa Maeotim. V ili. (* Cappadociae sitos *). IX. Artnenia major, et minor. X. Cyrus fluvius, et Araxes. XI. Albania, lberia, et junctae gentes. XII. Portae Caucasiae : XUI. Insulae in Ponto. XIV. Gentes a Scythico Ooeano.. XV. Caspium et Hyrcanium mare. XVI. Adiabene. XVII. Media, et Portae Caspiae. XVIII. Gentes circa Hyrcaniam mare. XIX. Scytharum gentes et situi «b Oceano Eoo. XX. Seres. XXI. Indi. XXII. Ganges. XXIU. Indas. XXIV. Taprobane. XXV. Ariani et janctae gentes. XXVI. Navigationes in Indiam. XXVII. Carmania. XXVIII. Sinos Persicas, et Arabicas. XXIX. Parthorum regna. XXX. Mesopotamia. XXXI. Tigris. XXXU. Arabia. XXXIII. Siaus maris Rabri. XXXIV. Troglodytice. XXXV. Aethiopia. XXXVI. Insulae Aethiopici maris. XX£V1I. De insulis Fortunatis. XXXVIII . Terrae per mensuras comparatae. XXXIX. Digestio terrarum io parallelos et umbras pares. Somma : Oppida, mcxcv. Gentes, dlxxvi. Flamina dara, cxv. Montes clari, xxxvni. Insulae, cvni. Quae intercidere oppida aut gentes, xcv. Res, historiae et observationes, mmccxiv. EX AUCTORIBUS M. Agrippa. — M. Varrone. — Varrone Ata cino. — Corn. Nepote. — Hygino. — L. Vetere. — Mela Pomponio. — Domitio Corbulone. — Licinio Modano. — Clandio Caesare. — Arrun tio. — Seboso. — Fabricio Tosco. — T. Livio. — Seneca. — Nigidio.
34
5. Della region Colchica, degli Achei e d'altri nel medesimo paese. 6. Del Bosforo Cimmerio. 7. Della Meotide, e de1 popoli circostanti. 8. Postura della Cappadocia· 9. Delle due Armenie. 10. Dei fiumi Ciro ed Arasse. 11. Dell' Albania , dell’ lberia e de1 popoli lor vicini. ta. Delle porte Caucasie. i 3. Ddle isole che sono in Ponto. i 4 · De' popoli di qua dal mare di Scizia. »5 . Del mar Caspio ed Ircaao. 16. Dell' Adiabene. 17. Della Media e delle porte Caspie. 18. De'popoli che sono intorno il mar· Ircaao. 19. Postura e popoli della Scizia dall' Oceano orientale, ao. De' Seri, ai. Degl' Indiani. аа. Del Gange. a3 . Dell' Indo. a4 · Dell' isola Taprobana. a5. Degli Arii, e popoli lor vicini. аб. Viaggi per mare all' India. 37. Della Carmania. a8. Del golfo Persico ed Arabico. 39. Regni de' Parti. 30. Della Mesopotamia. 3 1. Del fiume Tigre. 3s. Dell'Arabia. 33. Del golfo del mar Rosso. 34. Della terra de' Trogloditi. 35. Dell' Etiopia. 36. Delle isole del mare Etiopico. 37. Ddle isole Fortunate. 38. Ragguaglio della misura dell· vari· terre. 39. Divisione ddla terra in paralldi « ombre pari. Somma : Città 195.
Popoli 576. Fiumi illustri 180. Monti famosi 38. Isole 108. Città e popoli che sono mancati 95. Cose, storie ed osservazioni a s i 4 · AUTORI Marco Agrippa. — Marco Varrone. — Var rone Atacino. — Cornelio Nipote. — Igino. — Lucio Vetere. — Mela Pomponio. — Domizio Corbulone. — Lidnio Muziano. — Claudio Cesare. — Arrunzio. — Seboso. — Fabri«io Tosco. — Tito Livio. — Seneca. — Nigidio.
G. PLINII SECUNDI
35
36 STRANIERI
EXTERNIS Juba rege. — Heeataeo. — Hellanico. — Da maste. — Eudoxo. — Dicaearcho. — Baetone. — Timosthene. — Patrocle. — Demodamante. — Clitarcho. — Eratosthene. — Alexandro Magno. Ephoro. — Hipparcho. — Panaetio. — Callima cho. — Artemidoro. — Apollodoro. — Agatho cle. — Polybio. — Eutnacho. — Timaeo Sicnlo. — Alexandro Polyhistore. — Isidoro. — Amoneto. — Metrodoro. — Posidonio. — Onesicrito. — Nearco. — Megaslhene. — Diogneto. — Aristocreonte. — Bione. — Dalione. —- Simonide minore. — Basile. — Xenophonte Lampsaceno.
Il re Giuba. — Ecateo. — Ellamco. — Da maste . — Eodosso. — Dicearco. — Belone. — Timostene. — Patrocle. — Demodamante. — Clitarco. — Eratostene. — Alessandro Ma gno. — Eforo. — Ipparco. — Paoezio. — Calli maco. — Artemidoro. — Apollodoro. — Aga~ tocle. — Polibio. — Ennaco. — Timeo Siciliano. — Alessandro Poliislore. — Isidoro. — Amometo. — Metrodoro. — Posidonio. — Onesicrito. — Nearco. — Megastene. — Diogneto. — Aristocreonle. — Bione. — Dalione. — Simonide minore. — Basile. — Senofonte Lampsaceno.
-- --l ib r o
LIBRO Vn
v ii
CoNTIBBHTDB HOM1RUH GERERATIO BT IHSTITOTIO, ATQGB IHVBHTIO ABTICM. I. De homine. II. Gentinm mirabiles figurae. III. Prodigiosi partas. IV. De homine generando : pariendi tempora perillnstria : exempla a mensibus vii ad xm. V. Signa sexus in gravidis pertioentia ante par· tam. VI. Monstruosi partas. VII. Excisi alerò. VIII. Qai sint vopisci. IX. De concepta hominum et generatione. X. Similitudinum exempla. XI. Ad quos hominam generatio. Numerosissimae •obolis exempla. XII. Ad quos annos generatio. XIII. Mensium in feminis miracula. XIV. Quae ratio generandi. XV. Historica circa dentes. Historica circa in fantes. XVI. Magnitudinum exempla. XVII. Praeproperi infantes. XV II I . Insignia corporum. XIX. Vires eximiae. XX. Velocitas praecipua. XXI. Visus eximii. XXII. Auditus miraculum. XXIII. Patientia corporis. XXIV. Memoria. XXV. Vigor animi. XXVI. Clementia et animi magnitudo. XXVII. Reram gestarum claritas summa. XXVUI. Tres summae virtutes in eodem, et inno centia summa.
Si T R A T T A
DELLA GBRBRAZIOHB B DBLLB ISTITUZIONI
DEGLI D O N ISI, BOB C U DBLLB A B TI TB O VA TB .
i. Dell'uomo. а. Delie mirabili figure di aleone genti. 3. De' parti prodigiosi. 4· DelPuomo da generarsi : notabili tempi di partorire : esempli da sette mesi agli nudici. 5 . De’ segni di maschio o femmina, che prece dono il parto. б. De* parti mostruosi. 7. De' tagliati fuor del corpo alla madre. 8. Quali sieno i vopisci. 9. Della concezione e generazione dell'uomo. 10. Esempii di somiglianze. 11. Quali sieno atti alla generazione. Esempli di prole assai numerosa, ia. Fino a quanti anni duri la virtù generativa. 13. De'mirabili menstrui delle femmine. 14. Della ragione del generare. 1 5. Esempii storici rapporto a denti, non che rapporto a infanti. 16. Esempii di stature. 17. Infanti morti per tempo. 18. Certe proprietà dei corpi. 19. Forze stragrandi, ao. Mirabile velocità, ai. Viste acutissime, aa. Miracolo dell'udito. a3 . Pazienza del corpo. 34. Memoria. a5. Franchezza d'animo. 36. Clemenza e grandezza d'animo. 3 7 . Somma celebrità di condotte imprese. a8. Tre virtù somme congiunte a somma inno cenza in uno stesso uomo.
HISTORIARUM MONDI L 1B. 1. XXIX. For Iit ado sommi. XXX. Ingenia praecipo*. XXXI. Qui sapientissimi. XXXII. Praecepta vitae utilissima. XXXIII. De divinatione. XXXIV. Vir optimas jadicatus. XXXV. Matronae pudidssimae. XXXVI. Sommae pietatis exempla. XXXV II . Artibus excdlentes: astrologia, gram matica, medicina. XXXVIII. Geometria, et architectura. XXXIX. Pictura, scalpi ara aeraria, marraoraria, eboraria, caelatara. XL. Prelia hominam insigoia. XLI. De felicitate summa. XL11. Raritas continuatioois in familiis. XL1I1. Varietatis exempla mirabilia. XUV. Honoram exempla mirabilia. XLV. Decem res in uno felicissimae. XLV1. Divi Augusti adversa. XLVU. Qaos dii felicissimos judicaveriut. XLVI11. Qaem viventem at deam coli jasseriat. Falgar mirabile. XL1X. De spatiis vitae longissimis. L De varietate nascendi. LI. In morbis exempla varia. L1I. De morie. LUI. Qai elati revixerint. L 1V. Sabitae mortis exempla. LV. De sepultura. LVI. De Manibus : de anima. LVII. Qaae qais in vita invenerit. LV1U. In qaibus rebas primi gentium consensus. De antiqais literis. LIX. Qaando primum tonsores. LX. Qaando primum horologia. S m u : Res, historiae et observationes, d c c x l v i i . EX AUCTORIBUS Verrio Flaceo. — Cn. Gellio. — Lidnio Mueiaoo. — Masurio Sabino. — Agrippina Claudii. — M. Cicerone. — Asinio Pollione. — Messala. — Rofo. — Cora. Nepote. — Virgilio. — Livio. — Cordo Melisao. — Seboso. — Corn. Celso. — Maximo Valerio. — Trogo. — Nigidio Figulo. — Pomponio Attico. — Pediano Asconio. — Fabia no. — Catone censorio. — Actis. — Fabio Ve stale.
38
39. Somma forlezta. 30. Ingegni predpui. 3 1. Uomini sapientissimi. з а. Precetti ntilissimi alla vita. 33. Dellà divinazione. 34* Chi fu giudicalo ottimo uomo. 35. Matrone di somma pudicizia. зб. Esempii di bellissima pietà. 37. Uomini eccellenti in arti, in astrologia, in grammatica, in medicina. 38. Di altri in geometria e architettura. 39. Di altri in piltnra, in scollare di bronzo, di marmo, di ebano e in intaglio. 40. DfeU’eccellenza di alcuni uomini. 41. Della felicità suprema. 4a. Di poche famiglie eh* ebbero uomini onorali di seguito. 43. Mirabili esempii di varia fortuna. 44· Mirabili esempii di onori. 45. Dieci felicissime cose in un solo uomo. 46. Travagli del divo Augusto. 47. Quali furono giudicali i più fdici dagli dei. 48. Q*uale vivendo comandarono che fosse ado rato per dio. Folgore prodigiosa. 49. De* lunghissimi «pazii della vita. 50. Della varietà del nascere. 5 1. Varii esempii nelle infermità. 5a. Della morte. 53. Di alcuni, che portati alla sepoltura ritorna rono vivi. 54. Esempii di morie subitane. 55. Della sepoltura. 56. De1Mani ; dell’anima. 57. Degl' inventori delle cose. 58. Sopra di che consentirono la prima volta le genti. Delle lettere antiche. 5g. Quando cominciarono i barbieri. 60. Quando cominciaronsi usare gli oriuoli. S omma : fra cose, storie ed osservazioni 747·
AUTORI Valerio Flacco. — Gneo Gellio. — Lidnio Mudano. — Masurio Sabino. — Agrippina di Claudio. — Marco Cicerone. — Asinio Pollione. — Messala. — Rufo. — Cornelio Nipote. — Vir gilio. — Livio. — Cordo Melisso. — Seboso. — Cornelio Celso. — Valerio Massimo. — Tro go. — Nigidio Figulo. — Pomponio Attico. — Asconio Pediano. — Fabiano. — Catone Censorino. — Gli Atti de*trionfi. — Fabio Vestale.
C. PLINII SECUNDI
59
4*
EXTERNIS
STRANIERI
Herodoto. — Aristea. — Baetone. — lsigono. — Cratete. — Agatharchide. — Calliphane. — Aristotele. — Nymphodoro. ·— Apollonide. — Phylarcho. — Damone. — Megasthene. — Ctesia. — Taurone. — Eudoxo. — Onesicrito. — Clitar cho. — Doride. — Artemidoro. — Hippocrate medico. — Asclepiade medico. — Esiodo. — Anacreonte. — Theopompo. — Hellanico. — Da maste. — Ephoro. — Epigene. — Beroso. — Pe tosiri. — Necepso. — Philostephano. — Egesia — Archimacho. — Thocydide. — Mnesigitone. — Xenagora. — Metrodoro Scepsio. — ■ Antidide. — Critodemo. — Alexandro Polyhistore. — Xeno phonte. — Callimacho. — Democrito. — Diyllo historico.— Stratone qoi contra Ephori Edfiijuara scripsit. — Heraclide Pontico. — Asdepiade qoi TfayfM ppa.
Erodoto. — Aristea. — Belone. — lsigono — Cratete. — Agatarchide. — Callifane. — Ari stotele. — Ninfodoro. — Apollonide. — Filarco — Damone. — Megastene. — Ctesia. — Tau rone. — Eodosso. — Onesicrito. — Clitaroo — Doride. — Artemidoro. Ippocrate medico. — Esiodo. — Anacreoate. — Teopompo. — El lenico. — Damaste. — Eforo. — Epigene. — Beroso. — Petosiri. — Neeepso. — Filostefano. — Egesia. — Archimaco. — Tuddide. — Mnesigitoae. — Senagora. — Metrodoro Sepsio . — Antidide. — Critodemo. — Alessandro Poliistore. — Senofonte. — Callimaeo. — Demo, crito. — Diillo storico. — Stratone che scrisse contro gli evremi di Eforo. — Eradide Pontico. — Asdepiade che fece i tragodumeni.
— ψ ---
LIBRO VIU Cortirertdr tbbbbstbicm arimalicm raturar. 1. De elephantis : de sensu eorum. U. Quando primom juncti. III . De docilitate eorom. IV. Mirabilia in faetis eorum. V.De natura ferarum ad pericola «oa intelligenda. VI. Quando primum in Italia visi elephanti. VII. Pugnae eorum. VIII. Qoibu· modis capiantur. IX. Qaibos domentar. X. De partu eorum et reliqua natora. XI. Ubi nascantur : discordia eorum et draconum. XII. De solerlia animalium. XIU' De draconibus. XIV. Mirae magnitudinis serpentes. XV. De Scythicis animalibus : de bisontibus. XVI. De septentrionalibus : alee, achli, bonaso. XVII. De leonibos : quomodo gignantor. XV 11L Qoae genera eornm. XIX. Qoae propriae natorae. XX. Quis primas leontomachiam Romae, quis plurimos in ea leones donaverit. XXL Mirabilia in leonam factis. XXII. A dracone agnitas et servatas. XXIII. De pantheris.
lib r o St T R A T T A
vm
DELLA RAT ORA DEGLI ARI MALI T B R R B STB I.
ì. Degli elefanti : del sentimento loro. а. Qaando la prima volta furono giunti insieme. 3 . Della loro dodlità. 4· Meravigliosi tratti che osano. 5. Della natara delle fiere che intendono ì loro pericoli. б. Qaando la prima volta si videro elefanti in Italia. 7. Loro combattimenti. 8. Come si piglino. 9. Come si domino. 10. Del parlo e natura loro. 11. Dove nascano: della discordia tra essi e i dragoni, ìa. Dell* indostria degli animali. 13. De’ dragoni. 14. Serpenti di singoiar grandezza. 1 5. Degli animali di Scizia : de* bisonti. 16. Di quelli del settentrione : deli* alce, adi, bonaso. 17. De* leoni : come s1 ingeoerano. 18. Quali le specie loro. 19· Quale la propria loro natara. ao. Chi fu il primo ehe desse a Roma combatti mento di lioui, e chi ne pose più in com battimento, a i. Fatti loro maravigliosi. aa. D’ ano conosciuto e salvato da an dragone. a3. Delle pantere.
HISTORIARUM MUNDI LIB. I. XXIV. Senatusconsultum et leget de Africani*. Qais pria·tu Romae Africane» : qoi· plurimas. XXV. De tigribns. Quando primum Romae visa tigris. De natura earum. XXVI. De camelis. Geoera eorum. XXVII. De camelopardali. Quando primam Ro mae visa. XXVIII. De chao : de cephis. XXIX. De rhinocerote. XXX. Delynee, et sphingibus. De crocotis. De cercopithecis. XXXI. Indiae terrestria animalia. XXXII. Item Aethiopiae. Bestia viso interficiens. XXXIII. De basiliscis serpentibus. XXXIV. Da lupis. Unde fabula versipellis. XXXV. Serpentium genera. XXXVL De ichneumone. XXXVU. De crocodilo. XXXVIII. De scinco. XXIX De hippopotamo. XL. Quis primus ostenderit eum Romae, et crocodilom. XLI. Medicinae ab animalibus repertae. XLU. Prognostica periculorum ex animalibus. XL111. Gente· ab animalibus sublatae. XUV. De hyaenis. XLV. De coroeottu. De mantichoris. XLVL De onagris. XLV1I. De castoreo. De aquaticis, et iisdem terre stribus : de lutris. XLVIII. De ranis rubetis. XLIX. De vitulo marioo: de fibris. De stellionibus. L. De cervis. U . De chamaeleonte. UL De reliquis colorem mutantibus : tarando, lyeaone, thoe. LU. De hystrice. LIV. De ursis : de feta eorum. LV. De muribus Ponticis, et Alpinis. LVI. De herinaceis. LVII. De ieontophono : de lynee. LVUI. Mdes: sciuri. LIX. De viperis et cochleis. I X Ile lacerti·. * LXL Canum natur··. Exempla coram cire· domi nos: qui proeliorum cauta canes habuerint. LXIL De feneratione eorum. L U I . Contra rabiem remedia. LXIV. Equorum natura. (•XV. Da ingeniis equorum. Mirabilia quadri garum.
s f. Seoatoconsulto e leggi sopra le penl«re Afri cane. Chi fu il primo a tradurne a Roma : chi ne tradusse piò. -Delle Aegri. Quando Ia prima volia se ne videro a Roma. Delia natura loro. 25. De* cammelli. Raxie loro. 27. De* cammellopardali. Quando Ia prima volta se ne videro · Roma. 28. Del cao, e de' cefi. 29. Del rinoceronte. 3α. De' lupicervieri, e delle sfinge. De* croeuti. De* cercopiteci. 3 i. Degli animali terrestri dell'india. з а. Di quelli dell* E tiopi·. Fiera che uocide guardando. 33. De* basilischi, specie di serpi. 34· De* lupi. Onde venne 1· favola d«l versi pelle. 35. Varia sorte di serpenti. зб. Dell* icneumone. 37. Del erooodilo. 38. Dello scinco. 39. Dell* ippopotamo. 40. Chi primo a Roma mostrò ippopotami e crocodili. 4 1. Medicine scoperte da animali. 4a. Pronostici tratti degli animali sopra a* pe ricoli. 43. Popoli disfatti da animali. 44· Delle iene. 45. Delle crooute. Delle menticore. 46. Degli onagri. 47. Del castoreo animale si d*acqna, come di terra. Delle lontre. 48. Delle rane rubete. 49. Del vitello marino : de* libri. De* ramarri. 50. De* cervi. 5 1. Del camaleonte. 5*. Degli altri che mutano colore : del tarando, del licaone, del toe. 53. Dell' istrice. 54· Degli orsi : del parto loro. 55. De' topi Pontici, e Alpini. 56. De' ricci. 57. Del leontofooo : del lapoeerviero. 58. De* meli : degli sàuri. 59. Delle vipere e delle chiocciole. 60. Delle lucertole. 61. Natura dei cani. Esempii di fedeltà loro verso i padroni. Chi usò schiere di eani nelle battaglie. 6 a. Della loro generazione. 63 . Rimedii contro la rabbia di essi. 64. Natura de* cavalli. 65. Dell1ingegno de'oavalli. Maraviglie operate da certe quadrighe.
C. PLINII SECONDI LXVI. Generatio equorum. LXVII. Vento concipientes. LXVIII. De asinis : generatio in his. LXIX. Mularum natura, et reliquorum jumen torum. LXX. De bubus, et generatio eorum. LXXI. Apis in Aegypto. LXXII. Pecorum natura, et generatio «orum. LXX1II. Genera lanae et colorum. LXXIV. Genera vestium. LXXV. (*De pecorum forma, et de musmonc*). LXXV1. Caprarum natura et generatio. LXXVII. Suum item. LXXV1U. De feris subus. Quis primos vivaria bestiarum instituit. LXX 1X. De semiferis animalibus. LXXX. De simiis. LXXXI. De leporum generibus. LXXX 1I. De nec placidis nec feris animalibus. LXXXUI. Quae quibus in locis aoimalia non sint. LXXXI V. Ubi et quae advenis, tantum noceant : ubi et quae indigenis tantum. S umma
: Res, et historiae, et observationes, DCCLXXXVIl.
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66. Generazione de' cavalli. 67. Come s'impregnano le cavalle Tolte al vento. 68. Degli asini, e loro generazione. 69. Natura delle mule, e degli altri giumenti. 70. De' buoi, e loro generazione. 71. Del bue Api in Egitto. 72. Della natura delle pecore, e loro generazione. 73. Specie di lane e di oolori. 74. Specie di vestimenti. 75. Della form a delle pecore^ e del musatone. 76. Natura e generazione delle capre. 77. Similmente de' porci. 78. De' porci cinghiali. Chi fece il primo serba toio di bestie. 79. Degli animali mezzo fiere. 80. Delle scimmie. 81. Delle specie di lepri. 8a. Degli aoiraali nè salvatioi nè domestici. 83. Quali animali in quai luoghi non sieno. 84. Dove e quali facclan danno a' soli forestieri : dove e quali ai soli paesani. S omma
: fra cose, storie e osservazioni 787.
EX AUCTORIBUS
AUTOR]
Muciano.— Procilio.— Verrio Flaoco.— L. Pi sone. — Corn. Valeriano. — Catone censorio. — Fenestella. — Trogo. — Actis. — Columella. — Virgilio. — Varrone. — Lucilio. — Metello Sci pione. — Corn. Celso. — Nigidio. — Trebio Ni* grò. — Pomponio Mela. — Mamilio Sura.
Muciano. — Procilio. — Verrio Flacco. — Lucio Pisone. — Cornelio Valeriano. — Catone Censorino. — Fenestella. — Trogo. — Gli Atti de' trionfi. — Columella. — Virgilio. — Varro ne. — Lucilio. — Metello Scipione. — Cornelio Celso. — Nigidio. — Trebio Nigro. — Pomponio Mela. — Mamilio Sura.
EXTERNIS
STRANIÈRI
Juba rege.— Polybio.— Herodoto.— Antipatro. Aristotele. — Demetrio pbysico. — Democrito. Theophrasto. — Evanthe. — Agrippa qui Όλνμnrtovixafy — Hierone rege. — Attalo Philometore rege. — Ctesia. — Duride. — Philisto. — Archy ta. — Phylarcho. — Amphilocho Athenaeo. — Anaxipoli Thasio. — Apollodoro Lemnio. — Ari stophane Milesio. — Antigono Cymaeo. — Aga thocle Cbio.— Apollonio P e r g a in e n o . — Aristandro Athenaeo. — Bacchio Milesio. — Bione So lerne. — Chaerea Athenaeo. — Diodoro Prienaeo. — Dione Colophonio. — Epigene Rhedio. — Evagone Thasio. — Euphronio Athenaeo. — Hegesia Maroneo. — Menandris Prienaeo et Hera cleote. — Menecrate poèta. — Androtione qui de agricultura scripsit — Aescrione qui de agricul tura scripsit. — Lysimacho qui item. — Dionysio qui Magonem]transtolit.— Diophanequi ex Dio nysio epitomen fecit.— Archelao rege.— Nicandro.
11 re Giuba. — Polibio. — Erodoto. — An tipatro. — Aristotele. — Demetrio fisico. — De mocrito. — Teofrasto. — Evante. — Agrippa che scrisse le Olimpioniche. — 11 re lerone. — II re Attalo Filometore. — Ctesia. — Doride. Filisto. — Archita. — Filarco. — Anfiloco A te neo. — Anasipoli Tasio. — Apollodoro Lennio. — Aristofane Milesio. — Antigono Cimeo. — Agatode Chio. — Apollonio Pergameno. — A ristandro Ateneo. — Bacchio Milesio. — Bione Solense. — Cherea Ateneo/— Diodoro Prieneo, — Dione Colofonie. — Epigene Rodio. — Eva gone Tasio. — Eufronio Ateneo. — Egesia Ma roneo. — Due Menandri, il Prieneo e l ' Eradeote. — Menecrate poeta. — Androtione,che scrisse di agricoltura. — Escrione, che scrisse anoh'egli di agricoltura. — Lisimaco, ohe anoh'egli. — Dionisio che tradusse Magone. — Diofrne, che epitomò Dionisio. — 11 re Àrchdao. — Nicandro.
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HISTORIARUM MUNDI L1B. I.
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LIBRO IX
LIBRO IX
CotnmiBVTVB a q u a t il iu m b a t u b a b .
S i DISCOBBE LA ff ATUBA DEGLI ABUSALI D 1ACQUA.
I. Quare maxima in mari animalia. II. Indici maris belluae. III. Qnae in qaoqoe Oceano maximae. IV. De Trilonum el Nereidum figaris. De ele phantoram marinoram figaris. V. De balaenis : de orcis. VI. An spirent pisces : an dormiant. VII. De delphinis. Vili. Qaos amaverint. IX. Quibus in locis societate cum hominibas piscentar. X. Alia circa eos mira. XI. De torsioni bns. XII. De testadinibns. Qaae genera aquatilium testudinum, et quomodo capiantur. XIII. Qais prima· testudinem secare institaeril. XIV. Digestio aqaatiliam per species. XV. Qaae pilo vestiantur, aot careant : et quomodo pariant. De vitalis marinis, sive phocis. XVI. Quot genera pisciam. XVII. Qui maximi pisces. XVU 1. Thynni, cordylae, pelamides. Membralim ex his salsura : melandrya, epolecti, cybia. XIX. Amiae : scombri. XX. Qai nou sint pisces in Ponlo : qai intrent, et qai ali·· redeant. XXI. Quare pisces extra aquam exsiliant. XXU. Esse angaria ex piscibus. XXIII. In quo genere pisciam mares non sint. XXIV. Qai calcolata in capite habeant : qai la teant hieme: et qai hieme non capiantur, nui statis diebus. XXV. Qui aestate lateant : qui siderentur pisces. XXVI. De mugile. XXVII. De acipensere. XXVII I. De lupo : de asello. XXIX. De scaro : de mustela. XXX. Mullorum genera : et de sargo comite. * XXXI. Mirabilia piscium pretia. XXXII. Nou ubique eadem genera placere. XXXIII. De branchiis : de squamis. XXXIV. Vocales, et sine branchiis pisces. XXXV. Qui in terram exeant. Tempora capturae. XXXVI. Digestio pisciam in figaras corporis.
i. Perchè in mare sono grandissimi animali. а. Animali del mare ri* India. 3 . Quali e in qual mare sieno grandissimi. 4 · Della figura de1 Tritoni e delle Hereidi. Della figura degli elefanti marini. 5. Delle balene: delle orche. б. Se i pesci alitano : se dormono. 7. Dei delfini. 8. A chi abbiano portato amore. g. In quali sili peschino essi in compagnia degli uomini. 10. Altre loro maravigliose cose. 11. De' lursioni. 1 3 Delle testuggini. Quali specie di testuggini d'acqua, e come si piglino. i 3 . Chi fa il primo che segò il goscio della te stuggine. i 4>Degli acquatici distinti per ispecie. 1 5. Quali si vestono di pelo, quali no ; e come partoriscono. De'vitelli marini, ovvero delle foche. 16. Quanti generi di pesci ci ha. 17. Quali sieno i più grandi. 18. De' tonni, cordilli, pelamidi. Tagliati a pexzi, s 'insalano : melandrie, apbletti, cibii. 19. Amie : sgombri. ao. Quali pesci non sieno nel Ponto : quali v'en trino, e quali altre volte ritornino. 3i. Perchè i pesci saltino fuori dell'acqua. 3 3 Che si pigliano augurii dai pesci. 33. In che genere di pesci non si dieno maschi. 34. Quali abbiano una pietra nel capo : quali stieno nascosti il verno, e quali di qaesto tempo non si piglino che a certi giorni. 35. Quali sieno nascosti la siate : quali restino assiderati. 36. Del muggine. 37. Dell'accipensere. a8. Del lupo : del tnullo. 39. Dello scaro : della mustella. 30. Specie di mulli : del sargo che s'accompagoa al mollo. 3 1. Enormi prezxi di pesci. 3s. Non da per tutto piacciono le stesse ragioni di pesci. 33. Delle branche : delle squame. 34· Pesci che hanno voce, e sono senza branche. 35. Qnali escano io terra. Tempi da pigliarli. 36. Distinxione dei pesci secondo le lor figure.
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G. PUNII SECONDI
Rhomborum et passerum differentia. De lon gis piscibus. XXXVII. De piseium piani·» et flatandi ratione. XXXVIII. Anguilla* XXXIX. Muraenae. XL. Planorum piseium geoera. X L 1. Echeneis, et veneficia ejus. XLII. Qoi pisces colorem mutent. XL 1I1. Qai volitent extra aquam : de hirundine : de pisce qui noctibos lucet : de cornuto : de draoone marino. XLIV. De piscibus sanguine carentibus : qui pi scium molles appellentur. XLV. De sepia, de loligine, de pectunculis. XLVI. De polypis. XLVII. De navigatore polypo. XLV 11I. (*Polyporum genera : solerti»*). XL 1X. De navigatore nauplio. L. Crosta intecti : de locustis. LI. Cancrorum genera : de pinnotbere, echinis, cochleis, pectinibus. LII. Concharum genera. L I 1I. Quanta luxuriae materia sit in mari. LIV. De margaritis : quomodo nascantur, et ubis LV. Quomodo inveniantur. LVI. Quae genera unionnm. LV 1I. Quae observanda in his. Qaae natura eorum. LVIII. Exempla circa eos. L 1X. Quando primum in usura venerint Romae. LX. Muricum naturae, et purpurarum. LXI. Quae nationes purpurae. LXII. Quomodo ex his lanae tingantur. LX 11I. Qaando porpurae usus Romae: quando laticlavi, et praetextae. LX 1V. De conchyliatis vestibus. LXV. De amethysto lingendo : de tyrio, de hysgino, de cocco. LXVI. De pinna et pinnothere. LX VII. De sensu aquatilium : torpedo, pastinaca, scolopendrae, glanis : de ariete pisce. LXVI1I. De his quae lertiam naturam habent animalium et fruticum. De urticis. LX 1X. De spongiis : quae genera earum, et nbi nascantur : animal esse eas. LXX. De caniculis. LXXI. De his quae silicea testa clauduntur. Qnae sine sensu ullo in mari. De reliquis sordium animalibus. LXXII. De venenatis marinis. LXXI II. De morbis piscium. LXX 1V. De generatione eorum. LXXV. Qui intra se ova pariant, et animal
4»
Differenza tra i rombi « le passere. De1pe sci lunghi. 37. Delle penne de* pesci, e del modo di nuotare. 38. Anguille. 39. Murene. 40. Pesci schiacciati. 4 >. Dell'echeneide e suo veaeficio. 4a. Quali pesci mutino colore. 43. Quali volino fuor d'aoqua : della rondine : di un pesoe che nella notte riluoe : d i n o che ha corna : del dragone marino. 44· De' pesci che nen hanno sangue : quali ai chiamino pesci morbidi. 45. Della seppia, della loligine, de* pettuoculi. 46. De* polpi. 47. Del polpo navigatore. 48. Specie di polpi : loro solerzia. 49. Del nauplio navigatore. 50. De' pesci coperti di crosta : ddle locuste. 5 1. Delle specie de' granchi : de' pinnoteri, echini, chiocciole, pettini. 5a. Varie sorte di conche. 53. Quanta materia di lusso sia nel mare. 54· Delle perle : come nascano, e dove. 55. Come si trovino. 56. Specie degli unioni. 57. Quali cose sono da osservarsi in essi. Quale la natura loro. 58. Esempii rapporto ad essi. 59. Quando la prima volta vennero in oso a Roma. 60. Natura delle muriei e delle porpore. 61. Di quante razze sieno le porpore. ба. Come se ne tingano le lane. 63. Quando si cominciò Mare 1· porpora a R o ma : quando il latodevo e la pretesta. 64. Delle vesti couchiliate. 65. Del modo di tingere l'ametisto : del tirio, dell' isgino, dell· grana. бб. Della pinna e del pinnotere. 67. Del sentimento degli acquatici : torpedine, pastinaca, scolopendre, glano: del pesce montone. 68. Di quelli che hanno una U na natura, fra d'animali e d'alberi. Delle ortiehe. 69. Delle spugne : loro specie, e deve nascano : si mostra che sono animali. 70. Ddle canicole. 71. Di quelli ebe si chiudono in gusdo di pietra. Quali sieno in mare allatto privi di senso. Degli altri vili animaloszi. 73. Degli animali velenosi di mare. 73. Delle malattie de' pesd. 74. D d generar de' pesd. 75. Quali partoriscono entro di se l'oova e l'a n i male.
HISTORIARUM MONDI L1B. I.
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L&XVi. Quorum io partu rumpatur venter, dela coeat. LXXVI1. Qui vulvas habeant : qai te ipsi ineant. LXXV1II. Quae longissima vita pisciam. LXXlX.Quis primus vivaria ostrearum invenerit. LXXX. Quis primus reliquorum piscium vivaria instituerit. LXXXL Quis muraenarum vivaria iustituerit. LXXXU. Quia primus cochlearum vivaria insti tuerit. LXXX111. Pisces terreni. LXXX1V. De muribus in Nilo. LXXXV. Quomodo capiantur anthiae pisces. LXXXV1. De stellis marinis. LXXXV11. De dactylorum miraculis. LXXXV1U. De inimicitiis inter se aquatilium, et amicitiis. Sc m m a
: Res, et historiae, et observationes
dcl.
So
76. A1 quali nel partorire si spezzi il ventre, e poi se ne risaldi la piaga. 77. Quali abbiano matrici : quali usino il coito fra sè stessi. 78. Quale sia la più lunga vita dei pesci. 79. Chi usò primo i vivai delle ostriche. 80. Chi primo ordinò vivai pegli altri pesci. 81. Chi fece i vivai delle murene. 8a. Chi fu il primo che ordinasse i vivai delle chiocciole. 83. Pesci terreni. 84. De' topi del Nilo. 85. Come si pigli il pesce antia. 86. Delle stelle marine. 87. De1 dattili e loro maraviglie. 88. Delle inimicizie · amicizie che hanno i pesci fra loro. S om m a
: fra cose, storie e osservazioni 65o.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
Turranio Gracile.— Trogo. — Maecenate. — Alfio Flavio. — Corn. Nepote. — Laberio mimo· grapho. — Fabiano. — Fenestella. — Muciano. — Aelio Stilooe. — Statio Seboso. — Melisso. — Scseca. — Cicerone.— Maero Aemilio. — Messala Corvino. — Trebio Nigro. — Nigidio.
Turranio Gracile. — Trogo. — Mecenate. — Alfio Flavio. — Cornelio Nipote. — Laberio mimografo. — Fabiano. — Fenestella. — Mu ciano. — Elio Stilooe. — Stazio Seboso· — Me lisso. — Seneca. — Gcerone. — Marco Emilio. — Messala Corvino.— Trebio Nigro. — Nigidio.
EXTERNIS
STRANIERI
Aristotele. — Archelao rege. — Callimacho. — Democrito. — Theophrasto. — Thrasyllo. — Hegesidemo Cythnio. — Alexandro Polyhistore.
Aristotele. — Il re Archelao. — Callimaco. — Democrito. — Teofrasto. — Trasillo. — Egesidemo Citnio. — Alessandro Poliistore.
libr o ComamHToa
x
v o lc c b c m i a t o u .
I. De strathiocamelo. II. De phoenice. III. Aquilarom geoera. IV. Natura earum. V. Quando legionam signa esse coeperint. YL De aquila, qoae io rogum virginis se misil. V|l. De vulture. >111. Sanqualis avis, et immussulus. IX. Accipitres : buteo. X. In quibus locis societate accipitres et homines aucupentur.
LIBRO X S i T R A T T A DELLA KATUftA D a ' VO LATILI.
1. Dello struzzo. а. Della fenice. 3 . Specie di aquile. 4 · Natura loro. 5. Quando cominciarono usarsi come insegne delle legioni. б. Di un'aquila che gittossi nel rogo dove ardeva una fanciulla. 7. Dell'avoltoio. 8. Del sanguale, e dell'immussulo. 9. Sparvieri : buteone. 10. In che luoghi gli sparvieri uccellano con una certa compagnia.
5ι
C. PLINII SECUNDI
XI. Quae avis tola a soo genere interimatur : quae avis singula ova pariat. XII. Milvi. XIII. Digestio avium per genera. XIV. Cornices : inauspicatae aves. Quibus men sibus non sint inauspicatae. XV. De corvis. XVI. De bubone. XVII. Aves, quarum vita aut notitia intercidit. XVlil. Quae a cauda nascantor. XIX. De noctuis. XX. De pico Martio. XXI. De bis qui uncos ungues habent. XXII. De pavonibus. XXIII. Quis primum pavonem cibi causa occide rit. Quis farcire instituerit. XXIV. De gallinaceis. XXV. Quomodo castrentur. De gallinaceo locuto. XXVI. De ansere. XXVII. Quis primum jecur anserinum instituit. XXVIII. De commageno. XXIX. Chenalopeces, chenerotes, tetraones, oti des. XXX. Grues. XXXI. De ciconiis. XXXII. De oloribus. XXXIII. De avibus peregrinis quae veniunt : co turnices, glotlides, cychramus, otus. XXXIV. Hirundines. XXXV. De avibus nostris quae discedunt, et quo abeant : turdi, merulae, sturni. De avibus quae plumas amittunt in occultatione : tur tur, palumbes. Sturnorum et hirundinum vo latus. XXXVI. Quae avium perennes, quae semestres, quae trimestres : galguli, upupae. XXXVII. Memnonides. XXXV III . Meleagrides. XXXIX. Seleucides. XL. Ibis. XL1. Quae quibus locis aves non sint. X L 11. De oscinum generibus, et quae mutant co lorem et vocem. XL 1II. De lusciniis. XL 1V. De melancoryphis, critachis, phoenicuris. XLV. Oenanthe : chlorio : merulae : ibis. XLVI. Tempus avium geniturae. XLV1I. Halcyones : dies earum navigabiles. XLV 111. De reliquo aquaticarum genere. XLIX. De solertia avium in nidis. Hirundinum opera mira. Ripariae. L. Acanthillis, etc. LI. Merops. De perdicibus. LII. De columbis.
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i i . Del solo uccello che è morto da quelli della sua specie : quale fa un uovo solo. ia. Nibbii. i 3. Distinzione di uccelli secondo specie. i 4· Cornacchie: uccelli di malo augurio. In quali mesi non sieuo di malo augurio. 15 . De'corvi. 16. Del barbagianni. 17. Uccelli, la cui vita e notizia non si sa più. 18. Di quali esce prima nel nascere la parte del la coda. 19. Delle civette. ao. Del picchio Marzio. ai. Di quelli che hanno le unghie uncinate. аа. De' pavoni. a3. Chi fu il primo che uccidesse i pavoni per mangiarli. Chi ordinò a ingrassarli. a 4- De' galli. a 5. Come si castrino. Di un gallo che favellò. аб. Dell'oca. 27. Chi fu il primo che mangiò fegato d’oca. 28. Dell'oca Comagena. 39. Chenalopeci, chenero li, tetraoni, otide.
30. Delle gru. 3 1. Delle cicogne. з а. De' ceceri. 33. Degli uccelli che vengono di lontano: cotur nici, gioii, cicramo, oto. 34. Delle rondini. 35. Degli uccelli nostrali che te ne vanno via, e dove : tordi, merli, stornelli. Di quelli che perdono le piume in siti errai : tortora, co lombi salvatichi. Volare degli stornelli · delle rondini. зб. Quali uccelli stieno sempre in una regione, quali sei mesi, quali tre : gogoli, bubole. 37. Mennouidi. 38. Meleagride. 39. Seleucidi. 40. Ibi. 4 1. Quali uccelli in quali luoghi non sieno. 4a. Delle specie degli oscini, e quali mulino colore e voce. 43. De' luscignuoli. 44· De' melancorifi, eritachi, fenicuri. 45. Enante, clorioni, merli, ibi. 46. Tempo del figliare gli uccelli. 47. Alcioni, e giorni loro navigabili. 48. Delle altre torte di uccelli d'acqua. 49. Dell'astuzia degli uccelli nel fare i nidi. Mira bili cose che fanno le rondini. Delle rondini di ripa. 50. Acanlille, ecc. 5 1. Merope. Delle pernici. 5a. De' colombi.
HISTORIARUM MUNDI L1B. 1. Opera earum mirabilia, et pretia. [sIV. Differentiae volatos, et incessas. L.V. Apodes, sire cypseli : LV1. De pastu avium : caprimulgi : platea. LY11. De ingeniis aviam. Carduelis, laurui, anthns. LV1U. De avibas qaae loquantur : psittaci. LIX. Picae glandares. LX. Propter corvum loquenlem seditio populi Romani. LXI. Diomedeae. LX1I. Qnae animalia nihil discant. LXIII. De potu aviam : de porphyrione. LX1V. Haemalopodes. LXV. De pasla avium. LXVI. Onocrotali. LXV11. De peregrinis avibas : phalerides, phatianae, Numidicae. LXV111. Phaenicopleri, attagenae, phalacrocora ce*, pyrrhocoraces, lagopodes. LX1X. De novis avibus : bibiones. LIX. De fabulosis avibus. LXXI. Quis gallinas farcire instituerit : quique hoc primi censores vetaerint. LXX1I. Quis primus aviaria instituerit. De Aesopi patina. LXXIlf. Generatio aviam : qaae praeter aves ova gignant. LXXI V. Ovorum genera, et natarae. LXXV. Vitia, et remedia incubantium. LXXVJ. Augustae ex ovis angarium. LXXYII. Quales gallinae optimae. LXXV1II. Morbi earnm, et remedia. LXX1X. (* Quando aves, et quot ova pariant. Ar deolarum genera *). LXXX. Quae ova hypenemia : qaae cynosara : quomodo optime servealar ova. LXXXI. Quae volucram sola animal pariat, et lacie nutriat. LXXXII. Quae terrestrium ova pariant. Serpen tino! genera. LXXX111. Terrestrium omnium generatio. [IX IIY . Qaae sit animalium in uteris positio. LXXXV. Quorum animalium origo adhac in certa sit. LXXXVI. De salamandris. LXXXV1I. Quae nascantur ex non genitis. Quae nata nihil gignant : in quibas neuter sexas sit.
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53. Mirabili cose che faono, e prezzo loro. 54. Differenze nel volo e nell'andare. 55. Apodi, ovvero cipseli. 56. Del pasto degli uccelli : caprimulgi: platea. 57. Degl' ingegni degli uccelli. Calderagio, toro, anto. 58. Degli uccelli che favellano : pappagalli. 5q. Ghiandaie. 60. Sedizione del popolo Romano per cagione d’ un corbo che favellava. 61. Diomedei. ба. Quali animali noo imparino cosa veruna. 63. Del bere degli uccelli : del portinone. 64. Ematopodi. · 65 . Del pasto degli uccelli. бб. Onocrotali. 67. Degli uccelli forestieri : faleridi, fagiani, Numidici. 68. Fenicotteri, attagene, falacrocoraci, pirrocoraci, lagopi. 69. Degli uccelli nuovi : bibioni. 70. Degli uccelli favolosi. 71. Chi fu il primo a ingrassare le galline : quali censori da prima ciò vietarono. 73. Chi ordinò primo, le uccelliere. Del piallo di Esopo. 73. Generazione degli uccelli : quali altri animali, oltre gli uccelli, facciano uova. 74· Specie degli uovi, e natara loro. 75. De' mali e de' rimedii di quelli che covano. 76. Augurio di Giulia Augusta preso da aovi. 77. Quali sieno le galline migliori. 78. Morbi loro, e rimedii. 79. Quando e quante uovafacciano gli uccelli. Specie delle ardeole. 80. Quali uova sieno vane : quali le cinosure : come si conservino il meglio le uova. 81. Quale sia quell'uccello che solo partorisce animale, e lo allieva di latte. 83. Quali animali terrestri facciano nova. Specie de' serpenli. 83. Generazione di tutti i terrestri. 84. Quale sia la positura degli animali nelTotero. 85. Di quali animali sia ancora incerta l'origine.
86. Delle salamandre. 87. Quali animali nascono de' non nati. Quali, essendo nati, nulla generano : in quali non ci ha nè l'uno, nè l'altro sesso. 88. De' sensi degli animali. Che tutti hanno il LXXXV11I. De sensibus animalium. Tactam latto e il gusto. Quali abbiano più acuta omnibos esse : item gustatum. Qaibus visus vista : quali l'odorato : quali l'udito. Delle praecipuas : qaibas odoratas : qaibus audi talpe: se le ostriche abbiano udito. tas : de talpis. An ostreis auditas. 89. Quali tra i pesci odano assai distintamente. LXXX1X. Qui ex piscibus clarissime audiant. I 90. Quali specialmente abbiano odoralo. XC. Qai ex piscibos maxime odoreotar. I 91. Diversità degli animali quanto a pasto. XC1. Diversitas animalium in pastu.
C. PLI1NI SECUNDI
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XCII. Quae venenis vivant. XCI1J. Quae terra : quae fame aul sili nou inte reant. XCIV. De diversitate polus. XCV. Quae inter se dissideant. Amicitiam ani malium esse : et affectus auimalium. XCVI. Exempla affectus serpentium. XCVII. De somno animalium. XCVUI. Qaae somnient. S umma : Res, e l h is to r ia e ,e t o b se rv atio n es,
dccxciv
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92. Quali vivauo di veleni. g 3. Quali vivano di terra : quali non muoiano di fame nè di sete. 94. Della diversità del bere. 95. Quali animali usino fra loro avversione. Cht si dà Amicizia fra gli animali : affetti di etti. 96. Esempii di affetto ne1serpenti. 97. Del sonno degli animali. 98. Quali sognino. Somma : fra cose, storie e osservazioni 794.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
Manilio. — Corn. Valeriano. — Actis. — Urabricio Meliore. — Masurio Sabino. — Antistio Labeone. — Trogo. — Cremutio. — M. Varrone. — Macro Aemilio. — Melisso. — Muciano. — Ne pote.— Fabio Pictore. — T. Lucretio. — Corn. Celso. — Horatio. — D. Eculeoae. — Hygino. — Sasernis. — Nigidio. — Mamilio Sura.
Manilio. — Cornelio Valeriano. — Gli Atti de’ trionfi. — Urabricio Meliore. — Masurio Sa bino. — Antistio Labeone. — Trogo. — Cremazio. — Marco Varrone. — Marco Emilio. — Mei i m o . — Muciano. — Nipote. — Fabio Pitto re. — Tito Lucrezio. — Cornelio Celso. — Orazio. — D. Eculeone. — Igino. — I Saserni. — Nigidio. — Mamilio Sura.
EXTERNIS.
STRANIERI
Homero.— Phemonoe. — Philemone. — Boee qui 'OfrtSoyotiant. — Hyla de auguriis. — Aristo tele. — Theophrasto.— Callimacho. — Aeschylo. Hierone rege. — Philometore rege. — Archyta Tarentino. — Amphilocho Atheniense. — Ana* xipoli Thasio. — Apollodoro Lemnio. — Aristo phane Milesio. — Antigono Cymaeo. — Agatho cle Chio.— Apollonio Pergameno. — Aristandro Atheniense. — Bacchio Milesio. — Bione Solense. — Chaerea Atheniense. — Diodoro Prienaeo. — Dione Colophonio. — Democrito. — Diophane Nicaeense. — Epigene Rhodio. — Evagone Tha sio. — Euphronio Athenaeo. — Juba. — Andro tione qui de agricultura. — Aeschrione qui de agricultura. — Lysimacho item. — Dionysio qui Magonem transtulit. — Diophane qui ex Diony sio epitomen fecit. — Nicandro. — Onesicrito. — Phylarcho. — Hesiodo.
Omero. — Femonoe. — Filemone. — Bee che scrisse 1’ Ornìtogonia. — Ila che scrisse degli augurii. — Aristotele. — Teofrasto. — Callimaco. — Eschilo. — 11 re lerone. — Il re Filometore. — Archita Tarentino. — Anfiloco Ateniese. — Anassipoli Tasio. — Apollodoro Lennio. — Aristofane Milesio. — Antigono Ci· meo. — Agatoele Chio. — Apollonio Pergameno. — Aristandro Ateniese. — Bacchio Milesio. — Bione Solense. — Cherea Ateniese. — Diodoro Prieneo. — Dione Colofonio. — Democrito. — Diofane Niceense. — Epigene Rodio. — Evagoue Tasio. — Eufronio Ateneo. — Giuba. — Androzione, che scrisse di agricoltura. — Escriooe che lo stesso. — Lisimaco che lo stesso. — Dionisio che tradusse Magone. — Diofane che epitomò Dionisio. — Nicandro. — Onesicrito. — Filarco. — Esiodo.
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LIBRO XI
LIBRO XI
C otm itB N TU X IKSBCTOBUM A RIMALI UM OBNEXA.
Si TBATTA DEGLI AH1MAL1 IHSBTTI.
I. Subtilitas in his rebus naturae. II. An spirent, an habeant sanguinem. III. De corpore eorum. IV. De apibus. V. Qui ordo in opere earnra.
I. Sottilità della natura in qoesli insetti, a. Se alitino e abbiaa sangue. 3. Del loro corpo. 4 . Delle pecchie. 5. Quale sia l'ordine del lavoro che fanno.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. I.
VI. Quid sit ia eo commoti·, pissoceros, propolis. VII. Quid erithace, sive sandaraee, sive cérinthos. Vili. Ex qaibus floribus opera fiant. IX. Apium stadio capti. X. Ratio operis. XI. De focis. XII. Qaae natara mellis. XIII. Quae optima mella. XIV. Qaae genera mellis in singulis locis. XV. Qaomodo probentur. De erice, sive tetradice, sive sisyro. XVI. Quomodo apes generent. XVII. Quae regiminis ratio. XVIII. Aliquando et laetam omen esse examinam. XIX. Genera apiom. XX. De morbis apium. XXL Qaae inimica apibas. XXII. De continendis apibus. XXIU. De reparandis. XXIV. De vespis et crabronibus. Qua· animalia ex alieno soum faciant. XXV. De bombyce Assyria. XXVI. De bombyliis necydalis. Quae prima inve nerit bombycinam vestem. XXVII. De bombyce Coa. Quomodo conficiatur Coa vestis. XXVIII. De araneis : qui ex bis texant : quae materiae natora ad texendam. XXIX. Generatio aranearum. XXX. De scorpionibus. XXXI. De stellionibus. XXXII. De cicadis : sine ore esse, sine exitu cibi. XXXIII. De pinnis insectorum. XXXIV. De scarabaeis. Lampyrides. Reliqaa sca rabaeorum genera. XXXV. De locastis. XXXVI. De formicis. XXXVII. Chrysalides. XXXVIII. De his animalibus, quae ex ligno, àut in Ugno nascuntur. XXXIX. Sordium hominis animalia. Quod ani mal minimam : etiam in cera animalia. XL. Animal cui cibi exitos non est. XL1. Tineae, cantharides, calices. Nivis animal. XLI1. Igniam animal: pyralis, sive pyranstes. XL11L Hemerohion. XL1V. Animalium omnium per singula membra, naturae, et historiae. Quae apices habent, qaae cristas. 1 LV. Cornuom genera. Quibus mobilia. XLVI. De capitibus, et qnibns nnlla.
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6. Che sia comosi, pissocero, propoli. 7. Che sia eritace, ovvero sandraca, o cerinto. 8. Di qnali si facciano i lavor» loro, g. Degli amatori delle pecchie. 10. Del modo di lavorare. 11. De' fuchi. 12. Qual sia la natura del mele. ■ 3. Quale sia il mele migliore. il). Quali specie di mele iu ciascun luogo. 1 5. Come si provi. DeU’erice, ovvero tetradiee, o sisiro. 16. Come le pecchie generino. 17. Del modo del loro governo. 18. Talvolta i loro sciami sono di lieto aagario. 19. Specie delle pecchie. 20. Delle infermiti delle pecchie. 21. Quali sieno i loro nemici. 22. Come si ritengano. a3. Come si rifacciano. a 4 - Delle vespe e calabroni. Quali animali si appropriino il non suo. a5. Del bombice Assirio. 26. De' bombili necidali. D’ una donna, che inventò la veste bombicina. 27. Del bombice di Coo. Come ai formi la vette Coa. 28. De* ragni : quali fra questi lessano : di che materia si valgano a tessere. 29. Generazione de' ragni. 30. Degli scorpioni. 3 1. Delle tarantole. з а. Delle cicale : che sono senza bocca, senza orificio da rimandare lo escremento. 33. Delle penne degli insetti. 34· Degli scarafaggi. Lampiride. Le altre specie degli scarafaggi. 35. Delle locuate. зб. Delle formiche. 37. Crisalide. 38. Degli animali che nascono dal legno, o nel legno. 3g. Animali negli escrementi delPnomo. Quale sia il piò piccolo animale : ve n' ha pur nella cera. 40. Animale, che non ha ascita al cibo. 41. Tignuole, cantarelle, zanzare. Animale che nasce nella neve. 42. Animale che vive nel fuoco : pirale, ovvero pirausta. 43. Emerobione. 44· Nature e storie degli animali per ciascun membro. Quali hanno apice, quali cresta.
45. Specie delle corna. Quali le abbiano mobili. 46. Del capo, e quali animali non ne abbiano.
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C. PLINII SECUNDI
XLVII. De capiUo. X LVI 1I. De ossibus capitis. XL 1X. De oerebro. L. De auribus : qoae «ine auribus, el tine foraminibas audiant. LI. De facie, de fronte, et superciliis. LII. De ocalis : quae tioe oculit animalia t qaae singulos oculos tantam habeant. LIII. De diversitate oculorum. L 1V. Quae ratio ritus. Noeta videntes. LV. De natura papillae. Qoae non conniveant. LVI. De palpebris, et quibas non sint : quibas ab altera tantum parte. LV 1I. Quibut genae non tint. LVlII. De malit. LIX. De naribot. LX. De buccit, labris, mentis, maxillis. LXI. De dentibus : quae genera eorum : quibas non atraqae parte sint : quibas cavi. LXII. De terpentiom dentibus: de veneno eorum. Cui volucri dentes. LX 11I. Mirabilia dentiam. LXIV. Aetas animantium ab his. LXV. De lingua, el quae tine ea : de ranarum tono. De palato. LXV1. De tonsillis. Uva, epiglossis, arteriae, gula. LXVII. Cervix, collum, spina. LXVIII. Guttur, fauces, stomachus. LX 1X. De corde, sangoine, animo. LXX. Qaibos maxima corda : quibat minima : quibut bina. LXXI. Quando in extis aspici coepta. LXX 1I. De pulmone : et quibas maximus, qui bus minimas : quibas nihil aliud qaam pul mo intus : qoae causa velocitatis aaimaliam. LXXI 1I. De jocinere, et quibus animalibus, et in quibus locis bina jocinera. LXXIV. De felle : nbi, et in quibus geminam. Qaibas aoimaliam non sit: et'quibut alibi quam in jocinere. LXXV. Qaae vis ejas. LXXVI. Qoibas cresca t cum lana et decrescat jecur. Aruspicum circa ea observationet, et prodigia mira. LXXV 1I. Praecordia. Risus natara. LXXV 1II. De ventre, el quibat nallas. Qaae sola vomant LXX1X. Lactes, billae, alvos, colon. Qoare quae dam insatiabilia animalia. LXXX. De omento, et de splene, et quibus ani malium non sit.
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47. Del capello.
48. Delle otsa del capo. 49. Del cervello. 50. Delle orecchie : quali animali odano senza orecchie e senza altro forame. 5 t. Della faccia, della fronte e de*sopraccigli. 5a. Degli occhi : quali animali sieno tenza occhi : quali abbiano un tolo oeehio. 53. Della divertiti degli occhi. 54. Del modo di vedere. Di quelli che veggono di notte. 55. Della natara delle papille. Quali non chio dano gli occhi. 56. Delle palpebre, e quali animali ne facciano tenza : quali le abbiano da una parte tola. 57. Quali non abbiano gole. 58. Delle guance. 5g. Delle narici. 60. Della bocca, labbri, mento( mascelle. 61. Dei denti, delle tpecie loro: che animali gli abbiano da una aola parte : che altri gli abbiano concavi. ба. De1 denti de1 terpeni! : del veleno loro . Quale eccello abbia deoli. 63. Mirabili cose rapporto a’ denti. 64· L'età degli animali si rileva da essi. 65. Della lingua, e che animali ne faccian tenza : della voce delle rane. Del palato. бб. Delle tonsille. Ugola, epiglossi, arterie, gola. 67. Collottola, collo, spina. 68. Gola, fauci, stomaco. 69. Del cuore, sangue, animo. 70. Che animali hanno grandissimo il cuore, che picciolissimo : che altri ne hanno due. 71. Qaando si cominciò ostervare il cuore nel le interiora. 73. Del polmone, e che animali l'abbiano molto grande, che altri molto piccolo, che altri non abbiano denlro se nou polmone : qual aia la causa della velocità negli animali. 73. Del fegato, e quali lo abbiano, e di eh · luogo e quali animali abbiano due fegati. 74. Del Bela dove e quai animali lo abbiano doppio. Qoali non ne abbiano, e quali al trove che nel fegato. 75. Quale la virlà di esso. 76. A che animali cresca il fegato con la lana, o decresca. Osservazioni degli aruspici topra ciò,* e mirabili prodigii. 77. Precordii. Natura del riso. 78. Del venire, e quai animali ne sian tenza. Quali soli reciano. 79. Animelle, ile, ventre, colo. Perchè alcuni ani mali sieno insaziabili. 80. Dell'omento, e della milza, e che animali non la abbiano.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. I.
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LXXXI. De renibus, el obi quaterni animalibus : quibus Dalli. LXXXI 1. Pectas : ooslae. LXXX1II. Vesica : et qaibas animalibus non sii. LXXX1V. De vulvis : de suum valva : de sa mine. LXXXV. Qaae sevom habeant, qaae noa pin guescant. LXXX VI. De medullis, et qaibus non sint.
81. Degli araioni, e dove sienei animali che ne abbiano quattro. Quali non ne abbiano. 82. Petto : coste. 83. Vescica : quai animali ne sien privi. 84. Delle vulve : della vulva delle troie : della sugna. 85. Che animali abbiano sevo, e che altri non ingrassino mai. 86. Delle midolle, e quai animali non n’ ab·
LXXX VII. De ossibas et spini·. Qaibas nec ossa, nec spina. Cartilagines. LXXXVUI. De nervis. Qaae sine nervis. LXXX1X. Arteriae, venae : quae nec venas, nec arterias habent. De sauguine et sudore. XC. Quorum celerrime sangnis spissetur ; quo rum non coeat : quibus crassissimus, quibus tenuissimas, qaibas nallus.
87. Delle ossa e delle spine. Quali non abbiano nè oesa, nè spine. Cartilagini. 88. De’ nervi. Quali sien privi di nervi. 89. Arterie, vene : quali non abbiano nè arterie, nè vene. Del sangue e del sudore. 90. Di quai animali il sangue sì rappigli pre stissimo : di quali no. Qaali lo abbiano grossissimo, quali sottilissimo : qaali non ne abbiano. 91. Quai non ne abbiano solo in certi tempi delPanno. 92. Se il principato è nel sangue. g 3. Del tergo. 94. De' peli e copritura del tergo. 95. Delle poppe, e quali uccelli ne abbiano. Notabili cose rapporto alle poppe. 96. Del latte, delle coloatre, del cacio : quai animali non facciano cacio: del presame. Specie degli alimenti che si (anno col latte. 97. Specie dei formaggi. 98. Differenza dei membri dell'uomo dagli altri
b ia n o .
XC1. Quibas certis temporibus anni nullus. XCU. An in sanguine principatus. XC1II. De tergore. XC1V. De pilis et vestita tergoris. XCV. De mammis, et qaae volacram mammas habeant. Notabilia animalium io nberibus. XCVI. De lacte, de colostris, de caseis ; ex qai bas non fiat : de coagulo. Genera alimenti ex lacte. XCV11. Genera caseorom. XCV 11I. Differentiae membrorum hominum a reliquis animalibus. XCIX. De digitis : de brachiis. C. De simiarum similitudine. Cl. De anguibus. Cll. De genibus, et poplitibus. CUI. In qaibas membris corporis humani sacra religio. CIV. Varices. CV. De gressa, et pedibas, et cruribus. CVI. De angulis. CV11. Volacram pedes. CVUI. Pedes animalium, a binis ad centenos. De pomilionibus. CIX. De genitalibus : de hermaphroditis. CX. De testibus. Trium generum semiviri. CXI. De caudis. CX1I. De vocibus animalium. CX11I. De agnascentibus membris. CX1V. Vitalitatis et morum notae, ex membris hominum. CXV. De anima et victu. CXVI. Qaae veneno pasta ipsa non pereunt, et gustata necant. CXV1I. Quibus de caasis homo non concoquat. De remediis cruditalom.
an im ali.
99. Delle dita : delle braccia. 100. Della somiglianza delle scimmie. 101. Delle unghie. 102. Delle ginocchia e de'garetti. 103. In quali membra del corpo umano sia on che di religione. 104. Varici. 105. Dell'andare, de' piedi, delle gambe. 106. Delle ugne. 107. Piedi degli uccelli. 108. Piedi degli animali, da dne fino · cento. De* nani. 109. Delle membra genitali : degli ermafroditi, n o . De' testicoli. Mezziuomini di tre specie, i n . Delle code. 112. Delle voci degli animali. 11 3 . De' membri superflui. n 4 · Segnali di lunga vita e de'costumi, che ap pariscono nelle membra dell'oomo. 11 5 . Deiranima e del vitto. 116. Di quegli animali ebe cibando veleni non periscono, ma ammazzano chi ciba di essi. 117. Per quali cause l'aomo non ismallisca il cibo. De' rimedii all' indigestione.
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G. PLINII SECUNDI
CX.VIII. Quemadmodum corpulentia conligat : quo modo minuatur. CX 1X. Quae gustu famera «itimque sedent.
S umma: Re*, et historiae, et observationes, ■MDCCLZX.
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i »8. Come «i formi la corpulenza : come si «cerni, 119. Di quelle cose che gustaudole cacciano la fame e la sete. S omma
: fra cose, storie e osservazioni 2770.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
M. Varrone.— Ily gno.— Scropha.— Saserna.— Celso Cornelio. — /Emilio Macro. — Virgilio. — Columella. — Julio Aquila qui de Etrusca disci plina scripsit. — Tarquitio qui item. — Urobricio qai itera. — Catone censorio. — Domitio Calvioo. — Trogo. — Melisso. — Fabiano. — Modano. — Nigidio. — Mamilio. — Oppio.
Marco Varrone. — Igino. — Scrofa. — Sa· serna. — Cebo Cornelio. — Emilio Macro. — Virgilio. Columella. — Giulio Aquila, che scrisse della disciplina Etrusca. — Tarquizio, che del pari. — Umbricio, che del pari. — Ca tone Censorino. — Domizio Calvino. — Trogo. — Melisso. — Fabiano. — Muciano. — Nigidio. Mamilio. — Oppio.
EXTERNIS
STRANIERI
Aristotele. — Democrito. — Neoptolemo qui M«Xjro0f?*x0t. — Aristoraacho qui item. — Phi listo qui ilem. — Nicandro. — Menecrate. — Dionysio qui Magonem transtulit. — Empedo cle. — Callimacho. — Attalo rege. — Apollo doro qui de bestiis venenatis. — Hippocrate. — Herophilo. — Erasislralo. — Asclepiade. — Themisone. — Posidonio Stoico. — Menandri*» Prienense et Heracleote. — Euphronio Athe naeo. — Theophrasto. — Esiodo. — Philome tore rege.
Aristotele. — Democrito. — Neottolemo, che scrisse di meliturgia.— Aristomaco,che del pari. — Filislo, che del pari. — Nicandro. — Mene crate. — Dionisio, che tradusse Magone. — Em pedocle. — Callimaco. — Il re Attalo. — Apol lodoro, che scrisse delle bestie avvelenate. — Ippocrate. — Erofilo. — Erasistrato. — Ascle piade. — Temisone. — Posidonio Stoico. — 1 due Menandri, il Prieoense e l'Eracleote. — Eufronio Ateneo. — Teofrailo. — Esiodo. — Il re Filometore.
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LIBRO XII
LIBRO XII CoBTiHEirrca arborum hatdrae.
Si
TRATTA d e l l a m a t u r a d e g l i a l b e r i.
1 e t II. H o b o r e a ru m .
1. e a. Dell'onore degli alberi.
III . De peregrinis arboribus. Platanus quando
3. Degli alberi forestieri. Quando la prima volta
primum in Italia, et unde. IV. Natura earnm. V. Miracula ex his. VI. Chamaeplatani. Quis primum viridaria ton dere instituerit. VII. Malum Assyrium quomodo seratur. VIII. Indiae arbores. IX. Quando primum Romae visa ebenus. Quae genera ejus. X. Spina Indica. XI. Ficus Indica. XII. Arbor pala : pomum ariena. XUI. Indicarum arborum formae sine nominibus. Liniferae Indiae arbores.
fu recato il platano in Italia, e d'onde.
4 . Natura degli alberi.
5. Miracoli degli alberi. 6. Cameplatani. Chi tosò primo i giardini. 7. Come si pianti il melo d'Assiria. 8. Alberi dell' India. 9. Quando si vide la prima volta l ' ebano a Roma. Delle razze di ebano. 10. Spina d 'India. 11. Fico d 'India. ia. Dell'albero pala : del pomo ariena. i 3. Forme d'altri alberi dell* India senza nome. Alberi d* India che portano lino.
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HISTORIARUM MUNDI L 1B. I.
I l V. Piperi* arbores. Genera piperis : brecma. Zingiberi, sive zimpiberi. XV. Caryophyllon. Lycium, sive pyxacanlbum chironium. XVI. Macir. XVII. Saccharon. XVIII. Arbores Ariana e geniis, liem Gedrosiae : item Hyrcaniae. XIX. Item Bactriae. Bdellium, sire brochon, sire malacham, sive malodacum. Scordacti. In omnibus odoribus aut condimentis dicuntur adulterationes, experimenta, prelia. XX. Persidis arbores. XXI. Persici maris insularum arbores. GossypiD u m arbor. XXII. Chynas arbor- Ex quibus arboribus lina in Oriente fiant. XXJ1I. Quo in loco arborum nulla folia decidant. XXIV. Quibus modis constent arborum fructus. XXV. De costo. XXVI. De nardo. Differentiae ejus xu. XXVII. Asaron. XXVIII. Amomum : amomis. XXIX. Cardamomum. XXX. De thurifera regione. XXXI. Quae arbores thus ferant. XXX1L Quae natura thuris,, et quae genera. XXXIII. De myrrha. XXXIV. De arboribus quae feruut eam. XXXV. Natura et genera myrrhae. XXXVI. De mastiche. XXXVII. De ladano et stobolo. XXXVIII. Enhaemon. XXXIX. Bratus arbor. XL. Slobrum arbor. XL1. De felicitate Arabiae. XLU. De cinnamo. De xylocinnamo. XLU1. Casia. XL1V. Cancamum. Tarum. XLV. Serichalum. Gabalium. XLV1. Myrobalanus. XLVII. Phoenicobalanos. XLVUL De calamo odorato : de junco odorato. XL1X. Hammoniacum. L Sphagnos. Ll. Cypros. L1I. Aipalatbos, sive erysisceplrum. L1II. Maron. L1V. De balsamo, opobalsamo, xylobalsamo. LV. Styrax. LVI. Galbanum. LVU. De panace. LV1U, Spondylion. LIX. De malobathro.
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14. Dell’albero del pepe. Specie del pepe : breemo : zingiberi, ovvero zimpiberi. 15. Del gherofano. Licio, o sia pissacanto Chi· ronio. 16. Del macir. 17. Dello zucchero. 18. Alberi del paese Ariano. Altri del paese dei Gedrosii. Altri dell' Ircania. 19. Alberi del paese de' Ballriani. Bdellio, o sia broco, o sia malaca, ovvero malodaco. Scorda Iti. Falsificazioni, esperimenti, prezzi di tutti gli odori e conditure, ao. Degli alberi della Persia, ai. Degli alberi cbe nascono nelle isole del mar Persico. Gossipino. aa. Dell'albero china. Di quali alberi in Oriente s tragga lioo. a 3. In quel sito non cadano mai le foglie agli alberi. a4· In quali modi stieno i frutti degli alberi. a 5. Del costo. 26. Del nardo. Dodici differenze di esso. 37. Dell'asaro. 28. DeH’amomo : del l'amo mi de. 29. Del cardamomo. 30. Del paese che produce incenso. 3 1. Quali alberi lo producano. з а. Della natura dell’ incenso, e quali ne sieno le specie. 33. Della mirra. 34. Degli alberi che la producano. 35. Natura e specie della mirra. зб. Del mastice. 37. Del laudano e dello strobo. 38. Enemo. S9. Dell'albero brato. 40. Dell'albero strobo. 41. Della felicità dell'Arabia. 42. Del cinnamomo. Del silocinnamomo. 43. Della cassia. 44· Del cancamo. Del taro. 45. Del sericato. Del gabalio. 4 6. Del mirobalano. 47. Del fenicobalano. 48. Del calamo odorato : del giunco odorato. 49. Dell’ammoniaco. 50. Dello sfango. 5 1. Del cipero. 5a. Dell'aspalato, ovvero erisiscellro. 53. Del maro. 54. Del balsamo, opobalsamo, silobalsamo. 55. Dello stirace. 56. Del galbano. * 57. Del panace. 58. Dello spondilio. 59. Del malobatro.
LX. De omphacio. LXI. Bryon, oenanthe, massaris. LXII. Elate, vel spalhe. LXIII. Cinnanum, comacum. S omma
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C. PLINII SECONDI
«7
60. Dell’onfacio. 61. Del brio, enante, massari. 62. Dell’elate, ovvero «pate. 63. Del cinnamo, comaco. S omma : fra cose, storie e osservazioni 468.
: Res, et historiae , et observationes, CCCCLXVIII.
EX AUCTORIBUS.
AUTORI
M. Varrone. — Muciano. — Virgilio. — Fabia no. — Seboso. — Pomponio Mela. — Flavio. — Procilio. — Trogo. — Hygino. — Claudio Cae sare. — Corn. Nepote. — Sextio Nigro qui grae ce de medicina scripsit. — Cassio. — Hemina. — L. Pisone. — Tuditano. — Anliale.
Marco Varrone. — Muciano. — Virgilio. Fabiano. — Seboso. — Pomponio Mela. — Fla vio. — Procilio. — Trogo. — Igino. — Claudio Cesare. — Cornelio Nipote. — Sestio Nigro, che scrisse in greco di medicina. — Cassio Emina. — Lucio Pisone. — Tuditano. — Ansiate. STRANIERI
EXTERNIS Theophrasto. — Herodoto. — Callisthene. — lsigono. — Clitarcho. — Anaximene. — Duri· de. — Nearcho. — Onesicrito. — Polycrito. — Olympiodoro. — Diogneto. — Nicobulo. — Anliclide. — Charete Mitylenaeo. — Menaechmo. — Dorotheo Athenaeo. — Lyco. — Antaeo. — Ephippo. — Chaerea. — Democle. — Ptole maeo Lago. — Marsya Macedone. — Zoilo item. — Deiribcrito. — Amphilocho. — Aristomacho. — Alexandro Polyhistore. — Juba. — Apollodoro qui de odoribus scripsit.— Heraclide medico. — Archidemo item. — Dionysio item. — Democede item. — Euphronio itero. — Mneside item. — Diagora item. — lolia item. — Heraclide Taren· tino. — Xenocrate Ephesio.
Teofrasto. — Erodoto. — CalHstene. — Isà gono. — Clitarco. — Anassimene. — Duride. Nearco. — Onesicrito. — Polierilo. — Olimpiodoro. — Diogneto. — Nicobulo. — Antidide. — Carete Mitileneo. — Menecmo. — Doroteo Ateneo. — Lieo. — Anteo. — Efippo. — Cherea. — Démodé. — Tolomeo Lago. — Marsia Mace done. — Zoilo Macedone. — Democrito. — Anfiloco. —- Aristomaco. — Alessandro Poliistore. Giuba. — Apollodoro,che scrisse sopra gli odori. — Eraclide medico. — Archidemo medico. — Dionisio medico.— Democede medico. — Eufronio medico. — Mneside medico. — Diagora me dico. — lolla medico. — Eraclide Tarentino. — Senocrate Efesio.
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LIBRO ΧΙΠ
LIBRO ΧΙΠ
CoHTM EHTITR HISTORIAE DB PBRBGR 1N1S ARBORIBUS, ET UHOOEWTIS.
I . De unguentis : quando coeperint. II. Genera eorum, et compositiones xit. III . Diapasmata, magmata : et probatio un guenti. IV. Quanta in unguentis luxuria. V. Quando primum Komaois in usu. VI. De palmis. VII. De natara earum. VUl. Quomodo serantur. IX. Genera earum, et insignia. X. Syriae arbores : pistacia, cottana, Damascena, myxa.
Si
Ί ΊΑ Τ Τ Α Ν LB STORIE D E G Ù ALBERI FO RESTIERI, E DBGLI U BGUEBTI.
i. Degli unguenti : quando si conobbero. а. Spede degli unguenti, e dodid composizioni. 3 . Diapasmati, magmi : come se ne pigli esperi mento. 4 . Come fossero gli unguenti oggetti di gran lusso. 5. Quando la prima volta vennero in uso presso i Romani. б. Delle palme. 7. Ddla natura loro. 8. Come si piantino. g. Specie delle palme, e lor segnali. 10. Degli alberi di Siria : pistacchi, cottani, Da masceni, misa.
HISTORIARUM MUNDI L1B. I.
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XI. Cedros. Qoae arbores triom annorum fmctum pariter habeant. XII. Terebinthus. XIII. Rhus. XIV. JSgypti arbores : ficus Alexandriua. XV. Ficus Cypria. XVI. Siliqua ceraunia. X VII. Persica arbor : «t qaibus arboribas subna scantur fractas. XVIU. Caci. XIX. Spina iEgyptia. XX. Gummium genera ix. Sarcocolla. XXI. De papyro : de chartae osa : quando coeperit. XXII. Quomodo fiat. XX III. Genera ejus ix. XXJV. Probatio chartarom. XXV. Vilia chartarum. XXVI. De glutino chartarum. XXVU. De libris Numae. XXVIII. £tUopiae arbores. XXIX. Atlantica arbor. De citri arbore, et de citreis mensis. XXX. Qoae probentur, aut vituperentur in his. XXXI. Bfalum citreum. XXXII. Lotos. XXXII I. Cyrenaicae arbores : paliurus. XXXIV. Punici mali genera ix. Balaustium. XXXV. Asiae et Graeciae arbores : epicaclis, erice; granum Cnidium, sive thymelaea, sive pyrosachne, sive cneslrum, sive coeo rum. XXXVI. Tragion : tragacantha. XXXVII. Tragos sive scorpio : myrice, sive brya; ostrys. XXXV1U. Evonymus. XXXIX. Eon arbor. XL. Andrachle. XL1. Coccygia : apharce. XL1I. Ferola. XL111. Thapsia. XL1V. Capparis, sive cynosbaton, sive ophiostaphylon. XLV. Saripha. XLV1. Spina regia. XLV1I. Cytisos. XLV111. Arbores et frutices in mari nostro. Phy cos, uve prasoo, sive zoster. XUX. Bryon marinam. L. la mari Rabro. U. Item in Iodico. Ul. Item Troglodytico : Isidis plocamos : charitoblepharon. : R«s, et historiae, et observationes, CCCCLXVIII.
7°
u . Del cedro. Qaali alberi tengano il fratto di tre anoi contemporaneamente, ia. Del terebinto. i 3. Del ras. 1 4· Degli alberi deil'Egitto: del fico d 'Ales sandria. 15. Del fico di Cipri. 16. Della siliqua Ceraunia. 17. Dell'albero persico ; e a qaali alberi nascano i frutti nella scorza. 18. De' cuci. 19. Della spina Egiziana. ao. Nove specie di gomma. Sarcocolla. a i. Del papiro: dell'uso della carta: qaando cominciò osarsi. аа. Come si faccia. a3 . Nove specie di essa. 24. Della prova delle carte. a5. De* difetti delle carte. аб. Della colla delle carte. 37. De’ libri di Naina. 28. Degli alberi dell' Etiopia. 39. Degli alberi del monte Atlante. Dell’albero cedro, e delle tavole di esso. 30. Di ciò che in esso è lodato o biasimato. 3 1. Del fruito cedro. з а. Dell'albero loto. 33. Degli alberi Cirenaici : del paliuro. 34· Nove specie di melagrani. Balaustio. 35. Alberi dell'Asia e della Grecia : epicatti, en ee : granello Gnidio, ovvero timelea, o pirosacne, o cnestro, o cneoro. зб . Tragioo : tragacante. 37. Del trago, ovvero scorpione : della mirice, ovvero bria : dell'oslri. 38. Dell'evonimo. 39. Dell'albero eone. 40. Dell’andracle. 4 1. Della cocci già : dell' afarce. 42. Della ferula. 43. Della tapsia. 44 · Del cappero, o cinosbato, ovvero opiostafilo.
45. Del sari. 46. Della spina regia.
47. Del citiso. 48. Alberi e sterpi del nostro mare. Del fico, o prason, ovvero zostera. 49. Del brione marino. 50. Alberi e sterpi del mar Rosso. 5 |. Quelli del mar Indiano. 5a. Quelli del mar Trogloditico : capello d* Iside : caritoblefaron. S o n u : fra cose, storie e osservazioni 468.
C. PLINII SECUNDI
7* EX AUCTORIBUS
AUTORI
M. Varrone. — Muciano. — Virgilio. — Fabia no. — Seboso. — Pomponio Mela. — Fabio.— Hygno. — Trogo. — Procilio. — Claudio Cae sare. — Coro. Nepole. — Sextio Nigro qai graece de medicina scripsil. — Cassio Hemina. — L. Pisone. — Tuditaoo. — Aoliale.
Marco Varrone. — Muciano. — Virgilio. — Fabiano. — Seboso. — Pomponio Mela. — Fa bio. — Igino. — Trogo. —- Procilio. — Claudio Cesare. — Cornelio Nipote. — Sestio Nigro, che scrisse in greco della medicina. — Cassio Emina. — Lucio Pisone. — Tudtlano. — Anziate.
EXTERNIS
STRANIERI
Theophrasto. — Herodoto. — Callisthene. — lsigono. — Clitarcho. — Anaximene. — Doride. — Nearcho. — Onesicrito. — Polycrito.— Olympiodoro. — Diogneto. — Cleobulo. — Auticlide. — Charete Mitylenaeo. — Menaechroo. — Doro· theo Atheniense. — Lyco. — Antaeo. — Ephippo. — Dione. — Adimanto. — Ptolemaeo Lago. — Marsya Macedone. — Zoilo item. —- Demo· crito. — Amphilocho. — Alexandro Polyhisto re. — Aristomacbo. — Juba rege. — Apollodoro qai de odoribus scripsit. — Heraclide medico. — Botrye item. — Archidemo item. — Dionysio item. — Democede item. — Euphronio item.— Mneside item. — Diagora item. — lolla item. — Heraclide Tarentino. — Xenocrate Ephesio.
Teofraslo. — Erodoto. — Catlistene. —- lsi gono. — Clilarco. — Anassimene. — Dnride. — Nearco. — Onesicrito. — Policrito. — Olim* piodoro. — Diogneto. — Cleobulo. — Antidide. — Carete Mitileneo. — Menecmo. — Doroteo Ateniese. — Lieo. — Efippo. — Dione. — A dimanto. — Tolomeo Lago. — Marsia Macedone. — Zoilo Macedone. — Democrito. — Anfiloco. — Alessandro Poliistore. — Arisloroaco. — 11 re Giuba. — Apollodoro, che scrisse sugli odori. — Eradide medico. — Botrie medico. — Archidemo medico. — Dionisio medico. — Democede medico. — Eufronio medico. — Mueside medico. — Diagora medico. — lolla medico. — Eradide Tarentino. — Senocrate Efesio.
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LIBRO XIV
L IB R O X IV Si tratta degli albbri fbuttifbm.
COBTIRBRTCE FACCT1FB&AB AEBOBBS
I e t II. V itiu m n a ta r a : q u ib u s m odis ferant. III. De uvarum natura, «t cura vitium. IV. Earom genera xci. V. Insignia culturae vinearum. VI. ( * Quae vina antiquissima* ). VII. De natura vini. VIU. Vina generosa l . IX. Vina transmarina xxxvm. X. Vini salsi genera vn. XI. Dulcium genera xvm. De passo, el hep· semate. XII. Secundarii vini genera 111. XIII. Quam noper coeperint vina generosa in Italia. XIV. De vini observatione a Romulo rege posita. XV. Qaibus vinis usi anliqui. XVI. Notabilia circa apothecas. De vino Opi miano.
i.
e a. Della natura delle vili : e come elle faccian frutto. 3. Della natura delle uve, e della cura delle viti. 4· Novantuna specie di vili. 5 . De’ modi di governare le vigne. 6. Quali sieno i vini più antichi. 7. Della natura del vino. 8. Cinquanta specie di vini generosi. 9. Trentotto di vini oltremare. 10. Sette di vini salsi. 11. Diciotto di vini dolci. Del vin passo, e del la sapa. 12. Tre specie di vin secondario. >3 . Che tardi ebbero i vini riputazione in Italia. 14. Dell’ osservazione de’ vini intimata dal re Romolo. 15. Quali vini usassero gli autichi. 16. Notevoli cose circa le canove. Del vino Opi miano.
HISTORIARUM MUNDI LIB. I. XVII. Qaando primam vini qaatuor genera po sito. XVni. Ex labnuca aras : et quis frigidissimas natara saccas. XIX. Vini fictili* genera u n . XX. Hydnuneli, sive saelicraton. XXI. OxymeK. ΧΧΠ. Vini prodigio·· genera xn. XXIII. Qaibas vinis ad sacra ali non sit fas. XXIV. Qaibas generibus inasta condiant XXV. De pice, resinis. Ώ Τ 1. De aceto : de faece. XXVlI. D e n m vinariis : de «allia. XXVUl. De ebrietate. XXIX. Ex aqoa et frngibas vini viin fieri.
Sanu : Res, et historiae, el observationes,
px
.
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17. Qaando st diedero Ia prima volta quattro sorti di vino a convito. 18. Vino fatto di labrasca : qaal sia il sacco pià frigido per natara. 19. Sesaantaqoattro spede di vini contraffatti, ao. Dell’ idromele, ovvero metterato. ai. DdPosimele. аа. Dodici spede di vini prodigiosi. a 3. Di qaali vini non si possa far oso ne’saerifizit. a4· Di qnali sorti si aoeoncino i vini. a5. Della pece, della ragia. аб. Dell’aceto : della feeda. 37. De’ vasi da vino : delle cantine. 28. Della ubbriachessa. 29. Che con acqua e biada ai fanno bevande che paion vino. S om ma:
fra cose, storie e osservazioni 5 io. .
£X AUCTORIBUS
AUTORI
Corn. Valeriano. — Virgilio. — Celeo. — Catone censorio. — Sasernis patre et filio. — Scropha. — Varrone. — D. Silano. — Fabio Pictore. — Tra go. — Hygino. — Flacco Verrio. — Graeeino. — lolio Attico.— ColnmeUa. — Masorio Sabino.— Fenestella. — TergMa. — M. Aodo Planto. — Flavio. — Dosseno. — Scaevola. — Aelio. — Attejo Capitone. — Cotta Messaline. — L. Pi sone. — Pompejo Lenaeo. — Fabiano. — Sextio Nigro. — Vibio Rnfo.
Corndio Valeriano. — Virgilio. — Celso. — Catone Censorino. — 1 Saserni, padre e figlio. — Scrofa. — Varrone. — D. Sillano. — Fabio Pittore. — Trogo. — Igino. — Flacco Verrio. — Gredno. — Giulio Attico. — Columella. — Masario Sabino. — Fenestella. — Tergilla. — Marco Aedo Plauto. — Flavio. — Dosseno. — Scevola. — Elio. — Atteio Capitone. — Cotta Messalino. — Lodo Pisone. — Pompeo Leneo. — Fabiano. — Sestio Nigro. — Vibio Rafo.
EXTERNIS
STRANIERI
Henodo. — Theophrasto. — Aristotele. — Deatoailo. — Attalo Philometore rege. — Hierone rege. — Archyta. — Xenophonte. — Amphilo cho Athenaeo. — Anaxipoli Thasio. — Apollo doro Lemnio. — Aristophane Milesio. — Anti gono Cymaeo. — Agathode Chio. — Apollonio PergBBMno. — Aristandro Athenaeo. — Botrye item. — Bacchio Milesio. — Bione Solerne. — Chaerea Atheniense. — C haeristo item. — Dio doro Prienaeo. — Dione Colophonio. — Epige ne Rhodio. — Evagone Thasio. — Eupbronio Athenaeo. — Androtione. qai de agricoltura scripsit. — Aeschrione qoi de agricedtata scrip* sit. — Lysimacho qni item. — Dionysio qui Magonem franatoli t. — Diophane qni ex Diony sio epiiomed fecit· — Asclepiade medico. — Onesicrito. — Jnba rege.
Esiodo. — 'l'eofrasto. — Aristotele. — De mocrito. — 11 re Attalo Filometore. — Il re Ierone. — Archila. — Senofonte. — Anfiloco Ateneo. — Anassipoli Tasio. — Apollodoro Lennio. — Aristofane Milesio. — Antigono Cimeo. — Agatode Chio. — Apollonio Pergameno. — Aristandro Ateneo. — Botrie Ateneo. — Bac chio Milesio. — Bione Solense. — Cherea Ate niese. — Cheristo Ateniese. — Diodoro Prieneo. — Dione Colofonio. — Epigene Rodio. — Evagone Tasio. — Eufrouio Ateneo. — Androzione, che scrisse di agricoltura. — Escrione, che por di agricoltura scrisse. — Lisimaco, che del pari. — Dionisio che tradusse Magone. — Diofane che epitomò Dionisio. — Asdepiade medico. — One sicrito. — 11 re Giuba.
G. PUNII SKCUNDI
LIBRO XV CoHTiHKirrra h a t u e a e
f b u g if b r a b d m a e b o b o m .
olea : q u a n d i o a p a d Graecos tantum fuerit. Quando prinaura in Italia, Hispania, Africa, esse coeperit. II. Quae naturae oliva*, ei olei incipientia. I. D b
III. De oleo : nationes, el bonitates old. IV. Olivarum genera xv. V. De natura olei. VI. Cultura olearnm : de aervandia olivis. Quo modo faciendum sit oleum. VII. Olei fictitii genera x l v iii . Cici arbor, site croton, aive Irixis, sive sesamum. V ili. De amurca. IX. Genera pomorum, et naturae. Nucum pinea rum genera ιν. X. Coloneorum genera, ιν. Strutheorum ge nera IV. XI. Persicorum genera ìv. ΧΠ. PruDoinm genera xn. X m . De Persea. XIV. Malorum genera xxx. Quo quaeque tem pore externa poma venerint in Italiam, et nude. XV. Qnae novisalme. XVI. Pirornm genera xli. XV I I . De insitorum varietate, et fulgurum ex piatione. XV III. De pomia servandis, et ovis. XIX. Ficorum genera xxix. XX. De ficis historica. XXI. De èaprificatione. XXII. Mespilorum genera 111. XX II I. Sorbo rum genera ìv. XXIV. Nuenm genera xi. XXV. Castaneartim genera xvm. XXVI. Siliquae. XXVII. De carnosis ponis. De morie. X X V ili. Da unedone. XXIX. Achrtrum naturae. XXX. Cerasosum genera ix. XXXI. Corna : lentisd. XXX II . Soccorum diflerentiae xm. XXXIII. ( * De colore succi, et odore. XXXIV. Pomorum naturae diversae *). XXXV. Myrtos. XXXVI. Historica de myrto. XXXVU. Genera ejus xi. XXXVIII. (* Usus Romae in ovatione *). XXXIX. Laurus : genera ejus xm. XL. (* Historica de lauro *). S umma :
Res, et historiae, et observationes, oxx.
76
libro Si
xv
T U T T A LA NATOBA DEGLI A LB E M F B U T T IF B E I.
i. Dell* nlivo : fino a qaando si conservò fra i soli Greci. Qaando oominoiò spargersi per Γ Italia, la Spagna, l’ Africa. а. Della natura dell*oliva, e dell'olio da prin cipio. 3. Dell* olio : del nascere e della bontà dell* olio. 4 · Quindici specie di ulive. 5. Della natura dell* olio. б. Della cultore delle «Uve : del modo di ser barle. Come s* abbia a far l’ olio. 7. Quarantotto specie di olio fittìzio. Dell* al bero dei, o crotone, o trissi, o sesamo. 8. Della morchia. 9. Specie e nature de* pomi. Quattro sorti di noci pine. 10. Quattro sorti di mele cotogne: quattro di strutee. 11. Sd specie di pesche. 1 a. Dodici spede di susine. 13. Della pesca di.Persia. 14. Trenta specie di mele. In tjual tempo ciascu na di queste spede s'introdusse in Italia, e d* onde. 15 . QaaK piò di fresco. 16. Quarantena apede di pere. 17. Della diversità de* nesti, e dell* espiazione de* folgori. 18. Del conservar le mele e le uve. 19. Ventinove sorti di fichi, ao. Cenui storici sopra i fichi, a i. Ddla caprificazione. аа. Tre spede di nespole. a 3. Qoattro di sorbe. aj. Undici di nod. a5. Didotto di castagne. аб. Delle silique. 27. De* pomi carnosi. Delle more. a8. Ddle corbezzole. 39. Della natura degU acini. 3o. Nove spede di ciriegie 3>. Del corniolo : del lentisco. 3a« Tredtd sorti di spghi. 33. D el colore e odore del sugà. 34· D berte nature di pomi. 35. Del mirto. 36. Centri storici sopra il mirto. 37. Undici specie di mirti. 38. Roma ne usava nelT ovazione. 39. Dell* alloro : tredid specie di esso. 40. Cenni storici sopra Γ aUoro. S omma
: tra cose, storie e osservazioni 5 ao.
HISTORIARUM MUNDI LIB. I.
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EX AUCTORIBUS. * *
AUTORI
Fenestella. — Fabiano. — Virgilio. — Corn. Valeriano. — Celso. — Catone censorio. — Sasernis patre et filio. — Scropha. — M. Varrone. — D. Silano. — Fabio Pictore. — Trogo. — Hygino. — Flacco Verrio. — Graecino. — At tico Jnlio. — Masurio Sabino. — Tergilla. — Colla Messalino. — Columella. — L. Pisone. — Pompeio Lenaeo. — M. Accio Planto. — Fla· »io. — Dosseno. — Scaevola. — Aelio. — Attejo Capitone. — Sextio Nigro. — Vibio Rufo.
Fenestella.— Fabiano.— Virgilio. — Corne lio Valeriano. — Celso. — Catone Censorino. — I due Saserni, padre e figlio. — Scrofa. — Marco Varrone. — D. Silano. — Fabio Pittore. — Tro go. — Igino. — Flacco Verrio. — Grecino. — At tico Giulio. — Masurio Sabino. — Tergilla. — Cotta Messalino. — Columella. — Pompeo Leneo, — Marco Accio Plauto. — Flavio. — Dosseno. — Scevola. — Elio.— Atteio Capitone. — Sestio Ni gro. — Vibip Rufo.
EXTERNIS
STRANIERI
Hesiodo. — Aristotele. — Democrito. — Hie rone rege. — Archyta. — Attalo Philometore rege. — Xenophonte. -— Amphilocho Athenaeo. — Anaxipoli Thasio. — Apollodoro Lemnio. — Aristophane Milesio. — Antigono Cymaeo. — Agathocle Chio. — Apollonio Pergamo. — Aristandro Athenaeo. — Bacchio Milesio. — Bio ne Solense. — Chaerea Athenaeo. — Chaeristo ilem. — Diodoro Prienaeo. — Dione Colopho nio. — Epigene Rhodio. — Evagone Thssio. — Eophronio Athenaeo. — Androtione qui de agricultor a scripsit. — Aeschrione qui de agri cultura scripsit. — Dionysio qai Magonem trans tulit. — Diophane qui ex Dionysio epitomen fecit, — Asclepiade medico. — Erasistrato item. — Cominiade qui de conditura vini. — Aristomacho qni item. — Hicesio qui item. — Themisone medico. — Onesicrito. — Juba rege.
Epiodo. — Aristotele. — Democrito. — II re Iero ne. — Archita. — Il re Attalo Filouietore. — Senofonte. — An filoco Ateneo. — Anassipoli Ta sio. — Apollodoro Lenoio. — Ariatofane Milesio. — Antigono Ciraeo. — Agatocle Chio.— Apollo nio Pergamo. — Aristandro Ateneo. — Bacchio MHesio. — Bione Soleose. — Cberea Ateneo. — Cheristo Ateneo. — Diodoro Prieneo. — Dione Colofonio. — Epigene Rodio. — Evagone Tasio. — Eufronio Ateneo. — Androzione, che scrisse di agricultura. — Escrione, che scrisse pure di agricultura. — Dionisio che tradusse Magone. — Diofane, che epitomò Dionisio.— Asclepiade me dico. — Erasistrato medico. — Coramiade, che scrisse della conditura del vino. — Aristomaco, ehe del pari. — lcesio, che del pari. — Temisene medico. — Onesicrito. — Il re Giuba.
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LIBRO XVI
LIBRO XVI C o i m i m silvestrium a m oio x m t o u e . I. Garris sine arbore. U. Miracula in septemtrionali regione arborum. HI. De glandiferis : de civica corona. IV. De coronarum origine. V. Qui trondea corona donati. VI. Glaodium genera xm. VII. De fago. Vili. De reliqais glandibus : de carbone. IX. De galla. X· Quam multa praeter glandem ferant eaedem arbores. XI. Cachrys.
Si
DISCORRE LA R À T D l i DBOLl ALBERI SILVESTRI.
i. Popoli senza alberi. а. Maraviglie negli alberi de* paesi settentrio nali. 3. Di quelli che portan ghiande : della corona civile. 4 · DeU’origine delle corone. 5. Di que'che furono donati di corona di frondi. б. Tredici specie di ghiande. 7. Del faggio. 8. Delle altre ghiande : del carbone. 9. Della galla. 10. Quante altre cose, oltre le ghiande fanno questi stessi alberi. 11. Delle cacrie.
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C PLINII SECONDI
XII. Coccum. XIII. Agaricum. XIV. Quarum arborum cortices in uso. XV. De scandulis. XVI. De pino. XVII. De pinastro. X V ill. Picea : abiete. XIX. Larice : taeda. XX. De taxo. XXI. Quibus modis fiat pix liquida. Quomodo cedrium fiat. XXII. Quibus modis spissa pix fiat. XX III . Quibus resioa zopissa. XXIV. Quarum arborum materue^in pretio. Fraxini genera iv. XXV. Tiliae genera 11. XXVI. Aceris genera x. XXVII. Bruscum : molluscum : staphylodendron. XXV II I. Buxi genera m. XXIX. Ulmorum genera i t . XXX. Arborum natura per situs : quae monta nae : quae campestres. XXXI. Quae siccaneae : qoae aquaticae : quae communes. XXXII. Divisio generum. XXX II I. Quibus folia non decidant. De rhodo dendro. Quibus non omnia folia cadant. Quibus in locis nulli arborum. XXXIV. De natura faliorum cadentium. XXXV. Quibas foliorum varii colores : quorum foliorum figurae mutentur. Populorum ge nera m. XXXVI. Quae folia versentur omnibus annis. XXXVII. Foliorum e palmis cura, et usus. XXXVIII. Foliorum mirabilia. XXXIX. Ordo naturae in satis. XL. Qoae arbores namquam floreant. De ju niperis. XL 1. De concepta arborum. De germinatione : de partu. XLII. Quo ordine floreant. XL 11I. Quo quaeque tempore ferant. De corou. XL 1V. Anniferae. In triennium ferentes. XLV. Qaae fructum nou ferant: quae infelices ' existimentur. XLVI. Qaae facillime perdant fractam, aut florem. XLV 1I. Quae ubi non ferant. X LV 1II. Quomodo ferant. XL1X. Quibus fructus, antequam fqiia nascantur.
lo
ia. Del cocce. 13 . Dell’agarico. 14. Di quali alberi si usi la scorza. 15. Delle scandole* 16. Del pioo. 17. Del pino silvatico. 18. Delia picea : dell’abete. 19. Del larice : della teda, ao. Del tasso. a i.ln c h e modi si fa la pece liqoida: inebe il cedrio. аа. In che modi la pice spessa. a3. In che la ragia zopissa. a 4· Degli alberi, il cui legno è in prezzo. Quattro specie di frassini. a 5. Due sorti di tiglio. аб. Dieci sorti d’acero. 37. Del brusco, mollusco, stafilodendro. 38. Tre specie di bosso. 39. Quattro specie di olmo. 30. Natura degli alberi secondo i luoghi : quali montani, quali campestri, 3 1. Di quelli che non amano acque, di quelli che sì, di quelli che son comuni all’amido e all’asciutto. з а. Divisioue delle sorti degli alberi. 33. Di quelli, a cui non cadono le foglie. Del rododendro. Di quelli, a coi non latte cadono le toglie. In quali sili non staci albero venuto. 34· Della natura delle foglie che cadono. 35. Di quelle che hanno più colori : di quelle che mutano figura. Tre specie di oppio.
зб. Quali foglie si rivoltano ogni anno. 37. Cura delle foglie della palma, e a che si adoperino. 38. Maravigliose cose delle foglie. 39; Dell’ordine di natura nelle (M ante. 40. Di quegli alberi che mai non fiori «cono. De’ ginepri. 41. Della concezione degli alberi. Delia germi nazione : del parto. 43. Con che ordine fioriscano. 43. In che tempo dascan albero produce. Del corniolo. 44· Di quelli che fruttano ogni anno : di quelli che ogni tre. 45. Di quelli che mai non frattano : quali ai stimino infelici. 46. Di qadli che assai fadimente perdono il fratto, o il fiore. 47. Quali alberi in qoai luoghi non producano. 48. Come producano. 49. Di quelli, a cui nasce il frutto primo delle foglie.
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HISTORIARUM MONDI UB. I.
L Biferae: triferae. LI. Qaae celerrime senescant, qaae tardissime. L1I. In qaibas plora reram genera gignantur. Crataegum. LUI. Differentiae arborum per corpora et ramos. L1V. De ramis. LV. De cortice. LFI. De radicibus. LV1I. Arbores quae sponte resurrexerint. LV11I. Quibus modis sponte nascuntur arbores. Naturae differentiae, non omnia ubique ge nerantis. LIX. Ubi qaae non nascantur. LX. De cupressis. LXI. Nasci saepe ex terre, qaae antea nata non siot. LX11. De edera ; genera ejus xx. LX111. Smilax. LX1V. De aqaaticis : de calamis : arundinum ge nera XXYIll. LXV. De sagittariis, et scriptoriis calamis. LXVI. De fistulatoriis. De Orchomenia arundine, et aucupatoria, et piscatoria. LXVU. De Tioitoria arundine. LXVU1. De salice : genera ejus tiii. LX1X. Qoae praeter salicem alligando utilia. LXX. De seirpis, candelis, cannis, tegulis. LXXI. De sambucis : de rubis. LXXII. De arborum succis. LXXI1I. ( * De arborum venis et pulpis * ). LXXJV. De arboribus caedendis. LXXV. ( * Catonis ea de re placita * ). LXXVI. De magnitudine arborum. De natara materiarum : de sapino. LXXV1I. Igniaria e ligno. LXXVIII. Quae cariem non sentiat : quae rimam. LXX1X. Historica de perpetuitate materiarum. LXXX. Teredinum genera. LXXXI. De materiis architectonica. LXXX1I. De materiis fabrilia. LXXX11I. De glutinanda materia. LXXX1V. De laminis sectilibus. LXXXV. Arborum durantium vetustas. Ab Afri cano priore sata. In urbe Roma D. annorum arbor. LXXXVI. Ab Urbe condita arbores. LXXXVII. Vetustiores Urbe io suburbanis.
50. Di quelli òhe fruttano dae τοΗβ 1'atrtio, o tre. 5 1. Degli alberi che assai tosto invecchiano; di qoelli che assai tardi. 5a. Di quelli che generano pià cose. Cratego.
53. Differente degli alberi quanto a corpo e a rami. 54. De' rami. 55. Della scorza. 56. Delle radici. 57. Di alberi che da sè riztaronsi su. 58. Come nascano spontaneamente gli alberi. Differenze della natura, che non genera da per tutto ogni cosa. 59. Quali cose in qu»i luoghi non nascano. 60. De' cipressi. 6 1 . Come dalla terra nascono spesso cose ουοτβ, che prima non v'erano state. ба. DeU'ellera : venti specie di essa. 63. Smilace. 64. Degli sterpi acquatici : de’calami : rentotto specie di canne. 65 . De'calami da far frecce, e di quelli da scri vere. бб. Di quelli da lar sufbli. Della canna Orcottoenia, di quella da uccellare, di quella da pescare. 67. Della canna che s'usa nelle vigne. 68. Del salcio ; otto specie di esso. 69. Delle altre piante, oltre il salcio, che son buone a far legature. 70. De' giunchi, candele, canoe, coperchi che se l e iio M . 71. De' sambuchi : de' rovi. 73. De'sughi degli alberi. 73. Delie polpe e vene degli alberi. 74· Degli alberi da tagliare. 75. Precetti di Catone sopra il taglio degli alberi. 76. Della grandezza degli alberi. Della natura de’ legnami : del sapiao. 77. Del legno, onde si desta fnoco. 78. Quali alberi non intarlino ; quali non si feadaqoi 79. Cenni storici sulla perpetuità étf legnami. 80. Delle specie dei tarli. 81. De' legnami d'architetto. Sa. Di quelli da falegname. 83. Come s 'incolli il legname. 84. De' legnami da segare in asse. 85. Deiretà degli alberi. Di alberi piantati dal maggiore Africano. Albero in Roma che aTea cinquecento anni. 86. Alberi, la cui vita risale fino alla fondazione di Roma. 87. Alberi ne'sobborghi ancora piò antichi.
G. PUNII SECONDI
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LXXXVIII. Ab Agamemnone Mt»e: arbore· a primo anno belli Trojani : ab Ilii appellatio ne: arbores apud Trojam antiquiores bello Trojano. XXXIX. Item Argis ab Hercule satae. Ab Apol line satae. Arbor antiquior qnam Athenae. XC. Quae genera arborum minime darent. XCI. Arbores ex eventa nobiles. XCII. Qnae sedem nascendi suam non habeant : quae in arboribus vivant, et in terra nasci non possinf. Genera earum ix. Cadytas : polypodion : phaanos : hippopha^ston. XC 1II. Visci tria geqera. De visci et similium na tura. XC 1V. De visco faciendo. XCV. ( * De visco historica ). S um m a:
Res, et historiae, et observatione, m c x x x v . EX AUCTORIBUS
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88. Di alberi piantati da Agamennone : d'altri il primo anno della guerra Troiana : d'al tri che hanno nome da Ilio. Alberi presso Troia più antichi della guerra Troiana. 89. D’alberi in Argo piantati da Ercole: di pian tati da Apollo. D'uno più antico che Atene. 90. Di quegli alberi che duran poco. 91. Di quelli che acquistarono onore per qualche fatto. 92. Di alcune cose che non hanno sito proprio a nascere : alcune vivono negli alberi, e non possono nascere io terra. Nove specie di queste. Erba cadila : polipodio, fanno, ippofesto. 93. Tre specie di visco. Della natura del vtsca e simili. 94· Del fare il visco. 95. Cenni storici sopra il visco. S omma
: fra cose, storie e osservationi i 535. AUTORI
Marco Varrone. — Feriale. — Nigidio. —
M.Varrone.— Fetiale. — Nigidio. — Cornelio Nepote. — Hygino. — Masario. — Catone. Muciano. — L. Pisone. — Trogo. — Calpurnio Basso. — Crematio. — Sextio Nigro. — Corn. Boccho. — Vitruvio. — Graecino.
— Muciano. — Lacio Pisone. — Trogo. — Cal purnio Basso . — Cremuzio. — Sestio Nigro. — Cornelio Bocco. — Vitruvio. — Grecìno.
EXTERNIS
STRANIERI
Alexandro Polyhistore. — Hesiodo. — Theo phrasto. —- Democrito. — Homero. — Timaeo mathematico.
Alessandro Poliistore. — Esiodo. — Teofre sto. — Democrito. — Omero. — Timeo mate matico.
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C o rn elio Nipote. — Igino. — Masnrio. — Catone.
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LIBRO XVII
L IB R O X V II
CoRTISEirrUR SATIVARUM ABBOB UH ΒΑΤΟΒΑΒ.
S i T R A T T A D E L LA NATURA D EG LI ALBERI S A T I V I.
I . A rborum p r e t i a m ir a b ilia .
II . Coeli natara ad arbores : quam partem coeli apectare vineae debeant.
III . Qoalis terra optima. IV. De terris quas Graeciae et Galliae jaciant ge nera VIII. V. De cineris usu. VI. D»fimo. VII. Quae sata aberiorem terram fisciant : qaae arant. VUI. Quibas modis fimo utèadam. IX. Quibus modis arbores feraat. X. Semine nascentia.
i. Mirabili pregi degli alberi. а. Della natura del cielo quanto agli alberi : a qual parte del cielo debbano esser volte le vigne. 3 . Quale sia ottima terra. 4. Quattro specie di terra, di che la Grecia e la Gallia si vanta. 5 . Dell'uso della cenere. б. Del li lame. 7. Quali piante rendano più grassa : quali la brucino. 8. In che modi vogliasi osare il litanie. 9. In che modi gli alberi producano. 10. Di quelli che nascono di seme.
HISTORIARUM MUNDI LIB. I.
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XI. Quae namqaam degenerent. XU. PliDtis nascenti·. XIII. Avulsione nascentia : a surculo. ‘ XIV. De seminariis. XV. De almis serendis. XFJ. De scrobibas. XVII. De intervallis arboram. XVIII. De ambra. XIX De stillicidiis. XX. Qaae tarde crescant ; qaae celeriter. XXI. Propagine nascentia. XXU. De insitione ; quomodo inventa »it. XXII I. Inoculatio. XXIV. Genera insitionum. XXV. De vite inserenda. XXVI. Emplastratio. XXVII. Ramo nascentia. XXYU1. Quae taleis : et quomodo serantur. XXIX. Olearum cultura. XXX. Operum surcularium per tempora anni di gestio. XXXI. De ablaqueandis, et accumulandis. XXXII. De salicto. XXXIII. Arundineta. XXXIV. Dc ceteris ad perticas et palos caeduis.
16
ii.
Di quelli che mai non degenerano, is. Di quelli che nascono dalle piante. i 3. Di quelli che si spiccano dalla madre. Di quelli che mellon da sorcolo. >4· De’ seminarii. 1 5. Del piantare gli olmi. 16. Delle fosse.
17. Delle distanze degli alberi. 18. Dell'ombra. 19. Delle grondaie. ao. Di quetle piante che lardi crescono; di quelle che tosto, ai. Delle propagini. 33. Dell1 innestare : come sia trovata questa ma niera. s 3. Dell' innestare ad occhio. s 4· Delle specie di nesti. 35. Dell' innestare le viti. 36. DelP impiastrare i nesti. 27. Delle piante che vengono di rami. 38. Di quelle che de' piantoni, e come si piantiuo. 39. Cultura degli ulivi.
30. Del por giù i sorcoli in varii (empi dell'aono. 3 1. Dello scalzare e accumulare intorno gli alberi. з а. Del salceto. 33. Del canneto. 34· Degli altri che si tagliano per fiir pertiche
o pali. XXXV. Vinearum ratio et arbastoram.
35. Della disciplina nel governare le vigne e gli
XXXVI. Ne arae ab animalibus infestentur.
зб . Del guardar le uve che non sieno molestale
XXXVII. Morbi arborum. XXXVIII. Prodigia ex arboribus. XXXIX. Medicinae arborum. XL. Quomodo rigandum. ILI. Mirabilia de riguis. XLII. Castratio arboram. XLI1I. ("Alia arborum remedia*). XLIV. Caprificatio, (*et de firis*). XLV. Quae putationis vilia. XLVI. De stercoratione. XLV 1L Arboribus medicamenta.
dagli animali. 37. Delle infermità degli alberi. 38. Di alberi prodigiosi. 39. Rimedii per le infermità degli alberi. 40. Come debbasi adacquare. 4 1. Maraviglie rapporto allo adacquare. 42. Castratura degli alberi. 43. A ltr i rimedii pegli alberi. 44· Caprificazione : de' fichi. 4 5 . De1 difetti del potare. 4 6 . Della stercorazione. 47. De1 rimedii pegli alberi contro gli animali.
arbusti.
S m A : Res, et historiae, et observationes,
Som * : fra cose, storie e osservazioni i 38i .
MCCCLXXXI.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
Corn. Nepote. — Catone censorio. — M. Var rone. — Celso. — Virgilio. — Hygino. —- Sasernis patre et filio. — Scropba. — Calpurnio Basso. — Trogo. — Aemilio Macro. — Graecino. — Colamella. — Attico Julio. — Fabiano. — Sura Ma milio. — Dosseno Mundo. — C. Epidio. — L. Pisone.
Cornelio Nipote. — Catone Censorino. — Marco Varrone. — Celso. — Virgilio. — Igino. — I due Saserni, padre e figlio. — Scrofa. — Cal purnio Basso. — Trogo. — Emilio Macro. — Greci no. — Columella. — Attico Giulio. — Fa biano. — Sura Mamilio. — Dosseno Mando. Caio Epidio. — Lacio Pisone.
C. PUNII SECUNDI
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EXTERNIS
STRANIERI
Hesiodo. — Theophrasto. — Aristotele. — Democrito. — Theopompo. — Hierone rege. — Philometore Attalo rege. — Archelao rege. — Archyta. — Xenophonte. — Amphilocho Athe niense. — Anaxipoli Thasio. — Apollodoro Le mnio.— Aristophane Milesio. — Antigono Cy maeo. — Agathocle Chio. — Apollonio Perga meno. — Bacchio Milesio. — Bione Solense. — Chaerea Atheniense. — Chaeristo item. — Dio doro Prienaeo. — Dione Colophonio. — Epigene Rhodio. — Evagone Thasio. — Euphronio Athe naeo.— Androtione qui de agricultura scripsit. — Aeschrione qui item.— Lysimacho qui item. — Dionysio qui Magonem transtulit. — Diopha ne qui ex Dionysio epitomen fecit. — Aristandro qui de portentis.
Esiodo. — Teofrasto. — Aristotele. — De mocrito. — Teopompo. — U re Ierone. — 11 re Attalo Filometore. — U re Archelao. — Archita. — Senofonte. — Anfiloco Ateniese. — Anassipoli Tasio. — Apollodoro Lennio. — Aristofane Milesio. — Antigono Cimeo. — Agatocie Chio. — Apollonio Pergameno. — Bacchio Milesio. — Bione Solense. — Cherea Ateniese. — Cheristo Ateniese. — Diodoro Prieneo. — Dione Colofonio. — Epigene Rodio. — Evagone Tasio. — Eufronio Ateneo. — Audrozione, che scrisse di agricultura. — Escrione, che del pari. — L i simaco, che del pari. — Dionisio, che tradusse Magone. — Diofane, che epitomò Dionisio. — Aristandro, che ragionò de'portenti.
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LIBRO x vin
l ib r o
ComniSTCX hatubab feugom. 1. Astiquo&um studium in agricultura.
U. Quae prima Romae corona spicea. III. De jugero. IV. Quoties el quibus temporibus fuerit summa vilitas annonae. V. Qui illustres de agricultura praeceperint. VI. Quae observanda in agro parando. VII. De villarum positione. VIII. Praecepta antiquorum de agro colendo. IX. Genera frugum. X. Natura, per genera, frumenti. XI. De farre. XII. De tritico. XIII. Hordeo : oryza. XIV. Polenta. XV. Ptisana. XVI. Trago. XVII. Amylo. XVIII. (* Hordei natura *). XIX. De arinca, et reliquis in Oriente generibus. XX. De siligine ; de similagine. XXI. (* De fertilitate tritici in Africa *). XXII. De sesama : de erysimo, sive irione : de hormino. XXIII. De pisturis.
Si
tbatta la
xvm
n a t u r a d i l l i b ia d e .
Dello studio che posero gli antichi neU’agricultura. а. Della prima corona di spighe a Roma. 3. Dell' iugero. 4- Quante volte e in che tempi le vettovaglie valsero poco. 5. Di quelli che piò si distinsero in dar precetti di agricultura. б. Che debbasi osservare nel preparar il campo. 7. Come si debba edificare la villa. 8. Precetti degli antichi intorno a lavorare i poderi. 9. Delle specie delle biade. 10. Natura del frumeuto secondo specie. 11. Del farro. , ia. Del grano. 1 3. Dell’orzo : del riso. 14. Della polenta. 15. Della orzata. 16. Del trago. 17. Dell'amido. 18. Natura dell'orto. 19. Dell'arinca e d'altre sorti di grano, che sono in* Levante, ao. Della segala : della similagine, ai. Della jertilità del grano in Africa. aa. Della sesama : deir erisimo, ovvero irione : dell'ormiuo. »3. Delle macine. i
.
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HISTORIARUM MUNDI L1B. I.
XXIV. De milio. XXV. De panico. XXVI. De fermenti!. XXVII. Pani· faciendi ratio, el origo. XXVIII. Qaando pistorum initiam Romae. XXJX. (*De alica *). XXX. De leguminibus : faba*: XXXI. Lente : piso. XXXII. Ciceris genera. XXXII I. Faseoli. XXXIV. De rapis. XXXV. De napis. XXXVI. De lupino. XXXVII. Vicia. XXXVIII. Erraro. XXXIX. Silicia. XL. Secale, sire asia. XL 1. Farrago : cracca. XLU. De ocjmo : ervilia. XL111. Medica. XL1V. Morbi fragum : de avena. XLV. Remedia. XLV1. Quod in quoque terrae genere debeat seri. XLVII. Diversitas gentiam in sationibus. XLV111. Vomerum genera. XLIX. Ratio araodi. L. De occando, runcando, sarriendo, per genera hugnio. De cratitione. LI. De samma fertilitate soli. L1I. Balio saepias anno sereodi. Llli. Stercoratio. L1V. Seminam probatio. LV. Quantum ex quoque genere framenti in ju gero serendum. LV1. De temporibus serendi. LV1I. Digestio siderum in dies et noctes ter restres. LV11I. Exortus, occasusqae siderum. LIX. Cardines temporum. LX. Qaae sementis hibernae tempora. LXI. Qaae leguminum et papaveris serendi *). LX11. Rerum in agro agendarum, et quid quo que mense fieri in agro oporteat. LXI1I. (* Quid bruma. LX1V. Quid a bruma in Favonium. LXV. Quid a Favonio in aequinoctium vernum. LXV1. Quid ab aequinoctio. LXVU. Quid a Vergiliarum exorta *). De feno. LXVUI. (* Solstiliam *). LXIX. Caasae sterilitatum. LXX. Remedia. LXXI. (· Quid a solstitio fieri oporteat *).
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24. Del miglio. a5. Del panico. 96. Del lievito. 37. Del modo di fare il pane, e origine di esso. 38. Quando prima furono i fornai in Roma. 39. Deiralica. 30. D e'legumi: della fava. 3 1. Della lente : del pisello. з а. Delle specie del cece. 33. De' faglinoli. 34· Delle rape. 35. De* navoni. зб . Del lupino. 37. Della veccia. 38. Della robiglia. 39. Della silicia. 40. Della segala, ovvero asia. 4 *· Della farragine : della cracca. 4a. Dell'ocimo : della cicerchia. 43. Della medica. 44· De' malori delle biade : deH'avena. 45. De' rimedii loro. 46. Di ciò che dee seminarsi in ogni genere di terreno. 47. Diversità di seminare fra le nasioni. 48. Delle maniere de'vomeri. 49. Del modo di arare. 50. Dellerpicare, arroocare, sarchiare, secondo le specie delle biade. Dell'erpice con astili di ferro. 5 1. Della somma fertilità del suolo. 5a. Del come seminare più volte l'anno. 53. Del letamare. 54. Della bontà de' semi. 55. Quanto grano d'ogni specie sia da seminare in un iugero. 56. De' tempi di semioare. 57. Compartimento delle stelle in dì e notti. 58. Nascimento ed occaso delle stelle. 59. De'cardini de' tempi. 60. Quali sieno i tempi per le semente d'inverno. 61. Quali per seminare i legumi e i papaveri. ба. Replica di tutta la coltura* e che debba farsi in ciascun mese nel campo. 63. Che debba farsi nella bruma. 64· Che dalla brama insino al vento Favonio. 65. Che dal Favonio insino all' equinozio di primavera. бб. Che dopo l'equinozio. 67. Che dopo il nascimento delle Vergilie. Del ' fieno. 68. Solstizio. 69. Cagioni della sterilità. 70. Rimedii. 71. Che debba farsi dopo il solstitio.
C PLINII SECUNDI
9»
LXXII. De messibos. LXX 1II. De frumeuto servando. LXXIV. De vindemia, et «alumni operibus. LXXV. Lanaris ratio. LXXVI. Ventorum ralio. LXXVII. Limitatio agrorum. LXXVIII. Prognostica: a sole. LXXIX. A luna. LXXX. Slellis. LXXXI. T'onitribus. LXXX 11. Nubibus. LXXX11I. Nebulis. LXXXIV. Ignibus terrestribus. LXXXV. Aquis. LXXXV 1. Ab ipsis tempestatibus. LXXX VII. Ab animalibus : ab aquatilibus : a vo lucribus. LXXXV III. A quadrupedibus. LXXX 1X. Ab herbis. XC. A cibis. S omma : Res, et historiae, et observationes, mmlx.
9*
72. Delle messi. 73. Del conservare il frumento. 74· Della vendemmia, e delle opere di autunno. 75. Della ragione della lana. 76. Della ragiooe de' venti. 77. Del termiuare de'campi. 78. Pronoslici dal sole. 79. Dalla luna. 80. Dalle stelle. 81. Dai tuoni. 82. Dalle nubi. 83. Dalle nebbie. 84. Dai fuochi terrestri. 85. Dalle acque. 86. Dalle slesse tempeste. 87. Dagli animali : dai pesci : dagli uccelli. 88. Dai quadrupedi. 89. Dalle erbe. 90. Dai cibi. Somma*, fra cose, storie e d o sserv a zio n i
2060.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
Masurio Sabino.-Cassio Hemina. — Verrio Flacco. — L. Pisone. — Coro. Celso. — Turranio Gracile. — D. Silano. — M. Varrone. — Catone censorio. — Scropba. — Sasernis patre et filio.— Domitio Calvino. — Hygino. — Virgilio. — Tro go . — Ovidio. — Graeciuo. — Columella. — Tu berone. — L. Tarutio, qui graece de astris scri psit. — Caesare dictatore qui item. — Sergio Paulo. — Sabino. — Fabiano. — M. Cicerone. — Calpurnio Basso. — Allejo Capitone. — Mamilio Sura. — Accio qui Praxidica.
Masurio Sabino. — Cassio Emina. — Verrio Flacco. — Lucio Pisone. — Cornelio Celso. — Turranio Gracile. — D. Silano. — Marco Var rone. — Catone Censorino. — Scrofa. — I due Saserni, padre e fìllio. — Domizio Calvino. — Igino. — Virgilio. — Trogo. — Ovidio. — Grecino. — Columella. — Tuberone. — Lucio Taruzio, che scrisse in greco degli astri. — Ce sare dii latore, che del pari. — Sergio Paolo. — Sabino. — Fabiano. — Marco Cicerone. — Calpurnio Basso. — Atteio Capitone. — Mamilio Sura. — Accio, che scrisse le prassidiche.
EXTERNIS
STRANIERI
Hesiodo.— Theophrasto.— Aristotele. — De mocrito. — Hierone rege. — Attalo Philometore rege. — Archelao rege.— Archyta. — Xenephonte. — Amphilocho Athenaeo. — Anaxipoli Tha sio,— Aristophane Milesio. — Apollodoro Lem nio. — Antigono Cymaeo. — Agathocle Chio. — Apollonio Pergameno. — Aristandro Athenaeo. — Bacchio Milesio. — Bione Solense. — Chaerea Atheniense. — Chaeristo item. — Diodoro Prienaeo. — Dione Colophonio. — Epigene Rhodio. — Evagone Thasio.— Enphronio Athenaeo.— Androtione qui de agricultura scripsit. — Aeschrione, qui item. — Lysimacho, qui item. — Dionysio, qui Magonem transtulit. — Diophane, qoi ex Dionysio epitomen fecit. — Thalete. — Eadoxo.— Philippo. — Gallippo. — Dositheo.—
Esiodo. — Teofraslo. — Aristotele. — De mocrito. — 11 re Ierone. — 11 re Attalo Filome* lore. — Il re Archelao. — Archita. — Senofonte. Anfiloco Ateneo. — Anassipoli Tasio. — Aristo fane Milesio. — Apollodoro Lennio. — Antigono Cimeo. — Agalocle Chio. — Apollonio Perga meno.— Aristandro Ateneo. — Bacchio Milesio. — Bioue Solense. — Cberea Ateniese. — Cheristo Ateniese. — Diodoro Prieneo. — Dione Colofonie. — Epigene Rodio. — Evagone Tasio. — Aufronio Ateneo. — Androzione, che scrisse di agricoltura. — Essrione, che del pari. — Lisi maco, che del pari. — Dionisio, che tradosae Magone. — Diofane, che epitomò Dionisio. — Talete. — Eudosso. — Filippo. — Callippo. — Dositeo. — Parmenisco. — Melone. — Ori-
HlSTOKlAMHf MUNDI L1B. I.
s»
Parmenisco. —'Melone. — Critooe. — OCMpidt — Zenone. — Eoe temone. — Harpalo. — Hecataeo. — Anaximandro. — Sosigene. — Hippar cho. — Aralo. —- Zoroastre. — Archibio.
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tone. — Enopide. — Zenone. — Eaetemone. Arpalo. — Ecateo. — Anassimandro. — Sosige ne. — Ipparco. — Arato. — Zoroastre. — Ar chibio.
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LIBRO XIX 1
C o * T l H* »TDR LIBI BATCBA, * T CULTOS BOR-
LIBRO XIX Si
TRATTA D ILL A BATCH A DEL U B O , E DELLA CURA
TBBSIOBO*.
DEGLI ORTI.
I. Libi natura, et miracola. II. Qaoraodo seratar, et genera ejus excellen tia XXVII. I I I . Quomodo perficiatur. IV. (* De lino asbestino. V. Qaando linam lingi coeptaro *). VI. Qaando primnm in the»tris vela.
i. Natara e maraviglie del lino. а. Come si semini, e venselte migliori specie di esso. 3. Come si c o n d u c e. 4· D el lino asbestino. 5. Quando si principiò tingere il lino. б. Quando si cominciò usare vele di lino nei
VII. De sparti natara. Vili. Quomodo perficiatur. IX. Qaando primos usos ejus. X. De eriophoro bulbo. XI. Quae sine radice nascantor et vivaot : qnae nascantur et seri non possint* XII. Misy, iton, geranion. XIU. De taberibus. XIV. pezicae. XV. De laserpitio, et lasere : maspetum. XVI. Majtydaria. XVII. De rubia. XYHI. De radicala. XIX. Hortorum gratia. XX. Digestio lerrae. XXI. Nascentiam, praeter fruges, et frutices.
7. Della natura dello sparlo. D. Come si conduca, g. Quando si cominciò usare. 10. Del bulbo erioforo. 11. Delle piante che nascono e vivono sente radice: di quelle che nascono e non si possono seminare, ia. Misi, itone, geranio. 1 3. De' tartufi. 14. Delle vescie. 1 5. Del laserpitio e del lasere : del maspeto. 16. Magidari. 17. Della robbia. 18. Della radicala. 19. Della cura degli orti. 20. Distinzione delle cose che nascono in terra, a i. Di quelle che nascono, oltre le biade · i
XXII. Nalura, et genera, et historiae nascentiam in bortit reram xx. In omnibus dicilur quo modo qaaeque seranlur. XXIII. (*Quae cartilaginei generis : cucumeres : pepones. XXIV. Cucurbita. XXV. De rapis : napis. XXVI. De raphanis. XXVII. Pastinaca. XXVIII. Sisere. XXIX. Ioala. XXX. Balbis, scilla, aro *). . XXXI. De omnium earnm radicibus, floribas, follis. Qaibus hortensiorum folia cadant.
22. Nalura e specie e storie di venti cose che nascono negli orti. D'ognuna si dice come si semini. a 3. Di quelle che sono cartilaginose : cotonieri, poponi. 24. Della tacca. a5. Delle rape : de*navoni. 26. De' raiaoi. 27. Della pastinaca. 28. Del sisero. 29. Dell’ enala. 30. Della cipolla, della scilla, dell'aro. 3 1. Delle radici, fiori, foglie di tutte queste piante. A quali piante da erto cadane le foglie. 3a. Specie di cipolle. 33. Del porro.
(« a t r i .
f r u ll i .
XXXII. (* Caeparum genera. XXXIII. De porro.
C. PLINII SECUNDI
95
XXXIV. De allio *). XXXV. Quoto quaeque die nascantur. XXXVI. Seminum natara. XXXVII. Quorum singula genera, quorum plu ra sint. XXXVUl. Natara et genera, et historiae ia horto sataram rerara x x i i i . (* De lactuca ; genera ejus. XXXIX. De intabis. XL. De beta ; genera iv. XL1. De brassica ; genera ejas. XL1I. De asparagis : de corruda. X L 1II. De cardais. XLIV. De reliqais in horto satis. Ocimum. Eru ca. Nastartiam. XLV. De rata. XLVI. De apio. XLV 1I. Menta. XLV 1II. Olusatrum. X L 1X. Careniti. L. Ligusticum. LI. Lepidiora. L 1I. Gith. LUI. Papaver. L1V. Reliqua saliva aequinoctio autumni. LV. Serpyllum, et sisymbrium *). LVI. Ferulacea genera quatuor. Cana abis. LV 1I. Morbi hortensiorum. L V 111. Remedia. Quibas modis formicae necen tur. Contra erucas remedia : contra calices. LIX. Qaibas salsae aquae prosiot. LX. Ratio rigandi hortos. L X 1. De succis et saporibus hortensiorum. LXII. De piperitide, et libanotide, et srayrnio.
Som m a
: Res, et historiae, et observationes,
m c x l iv ,
34. Dell’ aglio. 35. In quanti giorni ne nasca ciascuna. 36. Nalura de' semi. 3;. Quali piante hanno una sola specie, qaali piò. 38. Natara, specie e storie di ventitré piante
da orto. Della lattaca : specie di essa. 3g. Della cicoria. 40. Della bietola : quattro spede di essa.
41. Del cavolo : specie di esso. 4a. Degli sparagi : ddla corruda. 43. Dei cardi. 44· Delle altre piante da orto. Basilico : ruchet ta: nasturzio. 45. Della ruta. 46. Dell'appio. 47. Della menta. 48. Dell'olusalro. 49. Del careo. 50. Del careo ligustico. 5 1. Del lepidio. 5a. Del gii. 53. Del papavero. 54· Delle altre piante da seminarsi neU'equinozio d'autunno. 55. Del sermollino e del sisimbrio. 56. Quattro specie di ferule. Canape. 57. Delle io fermila degli orli. 58. De' rimedii. Come si ammazzino le formiche. Rimedii contro i bruchi, contro le zaozare. 59. A quali piante giovino le acque salse. 60. Modo di adacquare gli orti. 61. De'sughi e sapori dell’erbe d'orto. 6a. Della peperuola, del libaooto, del cavolo smirnio. S omma
: fra cose, storie e osservazioni 1 >44-
EX AUCTORIBUS
AUTORI
M. Accio Planto. — M. Varrone. -— D. Silano. — Catone censorio.— Hygino. — Virgilio. — Mu ciano,— Celso. — Columella. — Calpurnio Basso. — Mamilio Sora. — Sabino Tirone. — Licinio Macro. — Q. Hirtio. — Vibio Rufo. — Caesennio qui KtiTovfjxd scripsit. — Castritio item. — Fir mo item. — Petricho.
Marco Accio Pianto. — Marco Varrone. — D.Silano. — Catone Censorino. — Igino. — Vir gilio. — Modano. — Celso. — Columella. — Calpurnio Basso. — Mamilio Sura. — Sabino Tirone. — Licinio Macro. — Quinto Irzio. — Vibio Rufo. — Ceseanio, che scrisse le cepuriche. — Castrizio, che del pari. — Firmo, che del pari. — Petrico.
EXTERNIS
STRANIERI
Herodoto. — Theophrasto. — Democrito. — Aristomacho. — Menandro qui Β ιό χ ^ α scripsit. — Anaxilao.
Erodoto. — Teofrasto. — Democrito. — Aristomaco. — Menandro, che scrisse le biocreste. — Anassilao.
97
HISTORIARUM MUNDI LIB. I.
9»
LIBRO XX
LIBRO XX
CoVTIMITUa MEDICINAE EX HIS QOAE SEEUBTDE » BOETIS.
Si TIATTA DELLE IIEDICIHE CHE SI PAREO DI CIÒ CHE NASCE NEGLI OET1.
I el II. Cocumere silvestri, xxvi. III. Elaterio, xxvu. IT. Anguino cucumere, uve erratico, v. V. Cucumere salivo, ix. TL Pepone, xi. VII. Cucurbita, xvn. TUI. Colocynthide, x. IX. Rapis, ix. X.Rapo silvestri, i. IL Napis, sire bunio, sive buniade, t . XIL Raphano silvestri el armoracia, i. XIII. Raphano sativo, xlui. X1T. Pastinaca, v. Hibisco, sive moloche agria, ave pislolOchia, xi. XT. Staphylino, sive pastinaca erratica, xxii. XTI. Gingidio. XVII. Sisere, xi. XVlILSile, xii. XIX. Inula, xi. XX. Caepis, xxvii.. XXI. Porro sectivo, xxxn. XXII. Porro capitato, xxxix. XXIII. Allio, l x i . XXIV. Lacloea, Xl i i . Caprina, iv. XXV. Caesapo, i. Isati, i. Laetuca silvatica, vii.
i c a. Del cocomero salvalico, 36. 3. DelPelaterio, 37. 4. Del cocomero serpentino, o erratico, 5. 5. Del cocomero seraioato. 9. 6. De! popone, 11. 7. Della zucca, 17. 8. Della coloquinlida, 10. 9. Delle rape, 9. 10. Della rapa selvatica, 1. 11. Del navone,ovvero bunio,ovvero buniada, 5. ìa . Del ravano salvalico e armoracia, 1. 13. Del ravano seminato, 43. 14. Della pastinaca, 5. Dell'ibisco, ovvero mo loche agria, o pistolochia, 11. 15. Dello slafilino, o pastinaca erratica, sa. 16. Del gingidio. 17. Del sisere, i t . 18. Del sesele, 1 3 . 19. D e ll'inula, 11. 3 0 . Della cipolla, 37. 31. Del porro setlivo, 3s. 33. Del porro capitato, 39. 33. Dell'aglio, 61. 34. Della lattuga, fa . Della lattuga caprina, 4· 35. Del cesapo, 1. Dell'isali, 1. Delia lattuga sai valica, 7. 36. Della ieracia, 17. 37. Della bietola, 34. 38. Del limouio, o neoroide, 3. 39. Dell' endivia, 4· 30. Della cicoria, o eresio, o pancratio, che pur si dice ambnbagia, 1a. 31. Dell’ edipnoida, 4. 3s. Specie del seri 3. Medicine 7. 33. Del cavolo, 87. Opinioni di Catone. 34. Opinioni de' Greci. 35. Del broccolo. 36. Del cavolo salvalico, 27. 37. Della lapsana, t. 38. Del cavolo marino, 1. 39. Della scilla, a3. 40. De' bulbi, 3o. 4ι· Del bulbine, 1. Del bulbo vomitorio. 4a. Degli asparagi. 43. Della corruda, o libico, ovvero orminio, 24.
XXVI. Hieraeia, xvu. XXVU. Beta, xxi». XXVIII. Limonio, sive neuroide, lu. XXIX. Iolubo, iv. XXX. Cichorio, sive chresto, sive pancratio,quae ambubaja, xu. XXXI. Hedypnoide, iv. XXXII. Seris genera m. Medicinae vn. XXXIII. Brassica, lxxxvii. (* Catonis placita. fcXXIV. Graecorum placita *). XXXV. Cyma. XXXVI. Brassica silvestris, xxvu. XXXVII. Lapsana, t. XXXVIII. Marina brassica, i. XXXIX. Scilla, xxi u. XL. Bulbis, xxx. XLI. De bulbine, i. De bulbo vomitorio. XUl. De asparagis. XUI1. De corruda, sive libyco, uve hormioo, XXIV. XLIV. De apio, xvu. ^LV. De apiastro, aivc mdittopbyllo.
44· Dell'appio, 17. 45. Dell'appiastro, o melissofìllo.
OD
C. PLINII SECUNDI
XI.VI. De olusafro, si ve hipposelino, xt. Oreoselino, ii. Heleotelino, i. XLVII. Petroselino, i. Basetino, i. XI.Vili. De ocirao, xxxv. XI.IX. Eruca, xi. Nasturtio, x l i i . 1. Rota, l x x x i v .
L. 1
MI. Mentastro, xx. Μ II. Menta, χ&ι· 1.1 V. Pulegio, xxv. LV. Falegio silvestri, xvm. LVI. Nepela, t x . I.VII. Cumino, xtvm. Camino silvestri* xxvi. J-VIII. De animi, x. l.IX. De cappari, xviu. l.X. Ligustico, sive panace, ìv. JjXI. Cunila bubnla, v.
] fXlI. Cunila gallinacea, sive origano, v. 1.ΧΪΙ1. Cunilagine, vm. I.X 1V. Conila molli, in. Conila libanotide, m. LXV. Conila saliva, w . Conila montana,
v ii.
LXVI. Piperitide, sive siliquastro, ▼. LXYI 1. De origano onili, sive prasio, vi. LXVII1. Tragorieano, ix. LX 1X. Origano heraclio : genera m. Medicinae xxx. LXX. Lepidio, m. LXXI. Gilb, sive melanlhio, xxm. LXX 1I. Aneso, sive aniceto, l x i . LXXI 1I. (* Ubi optimum, et reliquae medicinae ex eo *). LXX 1V. Anetho, ix. LXXV. Scopenio, sive sagapeno, xui. LXXVI. Papavere albo, in. Papavere nigro, viti. De sopore : da opio, i. Contra potiones, quas et λ»ξ/τι/γ^riffy et τπττ/χβί, et xotXiaxàf vocant. De meconio, i. Qaomodo succus herbaram colligendas. I.XXYIL Papavere rhoea, n. LXXV 1I 1. Papavere silvestri ceratili, si ve giaccio, sive palatio, vi. LXXIX. Papavere silvestri heraclio, sive aphro, ìv. Diacodiou. LXXX. Papaver lithymalom sive paraliom, m. LXXXI. De porcilaca, quae et peplis, x l v . LXX X 1I. Pe coriandro, \χτ. LXXXI 1I. De allriplice, xni. LXXXIV. Malva malope, xin. Malva malache, i. Malva alinea, sive plistolocia, u x. LXXXV. Lapalho silvestri, sive oxalide, sive 1*Iho cantherino, sive rumice, i. De hydrolapatho, ii. Ilippolapatho, vi. Oxylapatho, ìv. L X X X VI. De lapalhn yalivo, x x i . B u i* pallio, i.
ιββ
46. Dell'olusatro, o ippotelino, n . Dell'oreo-
selino, a. Qell'elioseljno, i. 47. Del petroselino, 1. Del baselino, t. 48. Del basilico, 35. 49. Della rucchelta, 11. 50. Del nasturzio, 42. 51. Della raia, 84. 52. Del meotastro, 20. 53. Della menta, 4 »· 54· Del paleggio, 25. 55. Del paleggio salvalico, 18. 56. Della nepitella, 9. 57. Del cornino, 48. Del cornino salvalico, 16. 58. Dell'ammi, 10. 59. Del cappero, 18. 60. Del ligustico, o panace, 4· 61. Della cunila bobula, 5. 62. Della cunila gallinacea, ovvero origano, 5. 63. Della caailagioe, 8. 6^· Della cunila molle, 3. Della conila libano· tide, 3. 65. Della conila saliva, 3. Della caaila monlana, 7. 66. Del piperile, o siliqoatlro, 5,
<•7. Dell'origano onili, o prasio, 6. 68. Del tragorigano, 9. 69. Dell'origano eraclio : specie 3· Medicine 3α. 70. 71. η-i. 73.
Del lepidio, 3. Del gii, o melantio, a3. DeH'aniso, o aniceto, 61. Dove si trovi il migliore, e delle altre medicine che si fanno di esso. 74. Dell’aneto, g. 75. Dello scopenio o sagapeno, i 3. 76. Del papavero bianco, 3. Del nera, 8. Del sapore; dell’oppio, 1. Contro le bevande che appellano anodini, e lessipireti, e peptiche, e cìliache. Del meconio, x. Co me s'abbia a raccorre il sago dell'erbe. 77. Del papavero rea, a. 78. Del papavero selvatico, ceratiti, o glaucio, p paralio, 6. 79. Del selvatico eraclio,o afro, 6. Del diacodio, 80. Del papavero lilimalo, o paralio, 3. 81. Della porcellana, ovver peplio, 49· 82. Del coriandolo, 21. 83. DelPattriplice, i 3. 84· Della malva malope, i 3. Della malva mala che, 1. Malva altea, o plistotocia, 59. 85. Del lapato salvalico, ovvero ossa li de, o la pato canterino, o rumice, t. Dell’ idrola palo, a. Dell' ippolapalo, 6. Dell' ossila palo, 4. 80 . D«*l lupaio salivo, 21. Del bulapalo, 1 .
HISTORIARUM MUNDI LlB. I.
Jot
I>XXXVII. Sinapi, genera iti. Medicinae i l i v . LXXXVIU. De adarca, x l v i i i . LX X X 1X. De tharrubio sire plruio, sive linostropbo, sive philopaede, sive philochare, xxix. XC. Serpyllo, xvnl. XC 1. Sisymbrio, sive thymbraeo, xiiu . K I I . Lini semine, xxx. XC11I. Blito, TI. XQ?. De meo; de athamantico, vii. XCV. Feniculo, xxii. XCVI. Hippomarathro, sive myrsineo, f . XCVII. De Cannabi, ix. XCVIII. De ferula, vm. XCIX. De cardao, sive scolymo, vi. C Theriacae compositio. Sv i s a
: Rea, e t
h is to r ia é , e t o b s e rV a lio n e s *
m c y ii .
BX AUCTORIBUS Calotte censorio. — M. Varrone. — Pompe ja Lenaeo. — C. Valgio. —i Hygino. — Sextio Nigro, qoi graeee scripsit. — Julio Baftso, qui graeee scripsit. — Celso. — Antonio Castore.
87. Di tre sorte di senape. Medicine 44· 88. Dell’adarca, 48. 89. Del inarrobio, o prasio, o ìinoslrofo, o filo· pede, o filocarc, 29. 90. Del sermollino, 18. 91. Del sisimbrio, o timbreo, a3. 93. Del seme del lino, 3o. 93. Del blito, 6. 94. Del raeu : deil'atamantico, j. 95. Del finocchio, aa. 96. Dell’ ippomaratro, o mirsineo, 5» 97. Della canape, 9. 98. Della ferula, 8. 99. Del cardo, o scolimo, 6. 100. Composizione della triaca. S omma
: fra cose, storie e osservazioni 110 j. AUTORI
Catone Censoriuo. -*■ Marco Varrone. — ■ Pompeo Leneo. — Caio Valgio. — Igino. — Se stio Nigro, che tcHsse in greco. — Giulio Basso, che pure scrisse in greco. — Celso. — Antonio Castore.
EXTERNIS
STRANIERI
DeidOcrito. — Theophrasto. — Orpheo. — Menandro, qui Btoxgnςα icripsit. — Pytha gora.
Democrito. — Teofrasto. — Orfeo — Me* naudro, che scrisse i biocresti. — Pitagora.
MEDICIS
MEDICI
Hippocrate. — Nicandro. — Chrysippo. — Diode. — Ophelione. — Heraclide. ■ — Hicesio. — Dionysio. — Apollodoro Tarentino. — Apol lodoro Citiense. — Pragaxora. ■»- Plistonico. ·>— Bcdio.— Dieuche.— Cleophanto. — Philistione. — Asdepiade. — Crateva. — Petronio Diodoto. — lolia. — Erasistrato. — Diagora. — Andrea. -Maeside. Epicharmo. — Damione. — Dalione. — Sosimene. — Tlepolemo. — Metrodoro. — Solone. — Lyco. — Olympiade Thebana. — PhiCso. — Petricho. — Mictone. — Glaucia. — Xe■terate.
Ippocrale. — Nicandro. Crisippu. — Dio. eie. — Ofelione. — Eraclide. — lce*io. — Dioni sio. — Apollodoro Tarentino. — Apolloduro Citiense. — Prassagora. — Plistonico. — Medio. — Dieuche. — Cleofanto. — Filistioue. Ascle piade. — Crateva. —· Petronio Diodoto. — lolla. — Erasistrato. — Diagora. — Andrea. — Mneside. — Epicarmo. — Damione. — Dalione. — Sosimene. — Tlepolemo. — Metrodoro. — — Solone. — Lieo. — Olimpiade Tebana. — Filino. — Petrico. — Milione. —*Glaucia. — Senocrate.
C. PLINII SECUNDI
LIBRO XXI CoHTINBRTUR RATDKÀE FLORUMRT COROVAMRHTOfcVM. 1 et II. De strophiolis : serta. III. Qoi invenerint miscere flores, et qaando primam corollae appellatae, et quare.
IV. Quis primus coronas foliis argenteis et aureis dederit. Quare corollaria dicta. De lemniscis. Quis primam caelaverit eos. V. Quantus honor coronaram apud antiquos fuerit. VI. Severitas antiquorum in coronis. VII. Quem floribas coronaverit populus Rom. VIII. Pactiles coronae. De sutilibus coronis : de nardinis : de sericis. IX. (* De floribus qai scripserint *). Cleopatrae reginae factum in coronis. X. De rosa ; genera ejos xii. XI. Lilii genera iv. XII. Narcissi genera m. XIII. Quantam semen tinguatur, un infecta nas cantur. XIV. Quemadmodum quaeque nascantur» seran tur, colantur, sub singulis generibus. Violae colores in. Luteae genera v. XV. De caltha : regius flos. XVI. De bacchare. De combreto. De asaro. XVII. De croco: ubi optime florei : qui flores Trojanis temporibus. XVIU. De natura odorum. XIX. Iris. XX. De saliunca. XXL Polium, sive teuthrion. XXII. Vestium aemulatio cum floribus. ΧΧΠΙ. Amarantus. XXIV. Cyanos : holochrysos. XXV. Petilium : bellio. XXVI. Chrysocome, sive chrysitis. XXVII. Qui frutices flore coronent. XXVIII. Qui folio. "XXIX. Melothron, spiraea, origanum : cneoron sive casia, genera dao : melissophyllam sive raelittaena. Melilotos, quae sertula Campana. XXX. Trifolii, genera m. Myophonom. XXXI. Thymi genera m. Flore nascentia, non semine.
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R DRLLR GBIRLAHDR.
i e a. Delie slrofiole : de' serti. 3. Da chi vuoisi ripetere Γ aso per U prima volta di mescere fiori, e quando ebber nome le corooe, e perchè. 4· Chi fu il primo che dispensasse ghirlande con foglie di argento e d'oro. Perchè co rollarii furon dette. De’ lemnisci. Chi fu il primo a farli scolpire. 5. In qaan to onore fossero le corone presso gli antichi. 6. Severità degli antichi rapporto a queste. 7. Chi fa coronato di fiori dal popolo Romano. 8. Ghirlande di più fiori. Delle ghirlande cu cite ; di quelle di foglie di nardo : delle fornite di seta. 9. Quali autori scrivessero sopra i fio r i. Fallo della regina Cleopatra rispetto ai fiori. 10. Della rosa : dodici specie di essa. 11. Quattro specie di gìgli, ia. Tre specie del narciso. 13. Come si tinga il seme, perchè il giglio nasca di quel colore. 14. Come ogni fiore, secondo la sua specie, si semini, nasca e si coltivi. Tre colori del le viole. Cinque specie delle gialle. 15. Della calta : fior regio. 16. Del baccare : del combreto : dell’asaro. 17. Del zafferano : dove meglio fiorisca : quali fiori erano in pregio ai tempi di Troia. 18. Della natura degli odori. 19. Dell1 iride, ao. Della saliunca. a i. Del polio, o leutrio. аа. Delle vesti che hanno imitalo il colore de’ fiori. a3. Dell’amaranto. a4- Del ciano e d^ll’olocriso. a5. Del pelilio : del bellione. аб. Del crisocome, o crisiti. 37. Di quelle piante che dan fiorì per le corone. a8. Di quelle che sole foglie. 39. Del melotro, spireo, origano, cneoro o casi j di due specie: del melissofillo o mettitene. Del meliloto, che anche dicesi sertul* Campana. 30. Di tre ragioni di trifoglio. Del miofono. 3 1. Di tre ragioni di timo. Nasce dal fiore se minato, non dal seme.
ιο5
HISTORIARUM MUNDI LIB. I.
XXXII. Conyza. XXXHI. Jovis flos: hemerocalles. Helenium. Phlox. Quae ramis el folio odorata. XXXIV. Abrotonum. Adonium, genera n. Ipsa se propagantia. Leueanthemum. XXXV. Amaraci genera duo. XXXVI. Nyctegretum, sive chenomycbos, «ite nyctalops. XXXVII. Melilotos. XXXV I I I. Quo ordine temporum flores nascan tur. ( * Verni flores : viola * : ) anemone coro naria : oenanibe herba : melantbium : beliochrysos : gladiolus : hyacinthos. XXXIX. ( * Aestivi flores * : ) lychnis : tiphyon : amaracus Phrygias. Pothi geoera duo. Orsi· nae genera duo. Vincapervinca, sive chrfmaedaphne.Quae semper vireat herba. XL. Quam longa cuique florum vita. XLI. Qoae propter apes serenda inter flores. Cerinthe. XLII. De morbis earum, et remediis. XLIU. De pabulo apium. XLIV. De venenato meile, el remediis ejus. XLV. De meile insano. XLVI. De meile qaod muscae non attingunt. XLVI 1. De alveariis, de alvis, et cura eorum. XLY11I. Si (amem apes sentiant. XL 1X. De cera facienda. Quae optima ejus ge nera. De cera Punica. L. Sponte nascentium herbarum in quibusque gentibus usus, naturae, miracula. Fraga, tbamnum ruscum. Batis : genera duo. Pasti· naca pratensis : lupus salictarius. LI. Colocasia. LII. Cichorium. Anthalium, oeturo, arachidna, aracos, candryala, liipocboeris, caucalis, anthriscum, scandix, parthenium, strychnum, cor chorus: aphace, acynopos, epipetrou. Qnae numquam floreant, quae semper. LUI. Cneci genera iv. LIV. Aculeati generis herbae : eringiou, glycyrrhiza, tribulus, ononis, pheos sive sloebe, hippophaes. LV. Urticae genera iv. Lamium» scorpio. LVI. Carduus, acorna, sive phonos, leucacanlhcs. Chaloeos, cnecos, polyacanthos, onopyxos, helxioe, scolymnos. Chamaeleon, tetralix, acanthice mastiche. LYII. Ectacus, sive cactus.» pternix, pappus, ascalia. LV 11I. Tribulus : ononis.
106
за. Delia conisa. 33. Del fior di Giove ; delPeroeroealle. DelPelenio. Del flox. Piante odorose nelle rame e nelle foglie. 34. Dell'abrotono. DelPedonio di
107
C. PLINII SECONDI
LIX. Herbarum genera per caoles. Coronopus : aochusa, anlhemij, phyllanlhes, crepis, lotos. LX. Differentiae herbarum per folia. Qaae par· ticulatim floreant: quibds folia non decidant: heliotropium, adianlum. LXI. Spicatarum genera: stanyopos, alopecuros, stelephuros, sive ortyx, sive plantabo. ThryaHis. LXII. Perdicium. Ornithogale. LX 1II. Poat annum nascentes : a summo floreAtes : item ab im'o« LX1V. Lappa herba* qaae intra se parit. Opatrtia, e folio radicem faciens; LXV. Iasione, condrilla, picris, quae toto antio floret. LXVL Quibus flos, aatequam caules exeant : qui· bus caulis, antequam flos.exeat: quae ter floreant. LXV1I. Cypiros* medicinae t u i . Thesion. LXVIII. Asphodelus, sive hastilia règia. Anthericiu* LXIX. Junci genera vi. Medicinae iv* LXX. Cyperus, medicinae xiv. Cyperis, cypira. LXXI. Holoschoenos. LXXII. Medicinae ex junco odorato, sive leu· chite, x.. LXXI11. Medicinae ex supradiclis floribus: ex rosa med. xxxu. LXX 1V. Lilio, xxi. LXXV. Narcisso, xvi* LXXVI. Violis, xxviii. LXXVII. Bacchare, xvu. Combreto, i. LXXVUI. Asaro, vui. LXX1X. Nardo Gallico* vm. LXXX. Uerba ,quam phu vocant, iv. LXXXI. Croco, xx. JLXXXII. Syrium orocomagma : medie, ii. LXXXUI. Medicinae ex iride; xu . Saliunca, m. LXXXIV. Polio, xix. LXXXV. Holochryso, ni; Chrysocome, vi. LXXXVI. Melissophyllo, xm. LXXXV1I. Meliloto, xm. LXXX VIII. Trifolio, iv. LXXX1X. Thymo, xxix. XC. Hemerocalles, medie, iv. XCI. Helenium, medie, v. XCII. Abrotonum, medie, xxn. XC1II. Leueanthemum, i. Amaracum, ix. XCIV. Anemone, sive phrenion, medie, x. XCV. Oenanthe, medie, vi. XCVI. Heliochrysum, medie, xi. XCV1I. Hyacinthus, medie, vm. XCV 1II, Lychnis, medie, vn.
fu8
5q. Differenza dell'erba rispetto ai gambi. Il
córouopò, Pancusa, Γ antemi, il fillatfte^ il cre^i, il loto. Co. Differenze delPerbe rispetto alle foglie. Quali fioriscano * parte a parte : qfiali nou per dano le foglie : girasole, adianto. 61. DelPerbe spiegale : lo staniopo, Palopecuro, lo slelefuro, ovvero ortiga, o piantaggine. Della trialli. Ca. Del perdicio: dell'or miogale. 63. Erbe che nascono dopo un anno : di quelle che fioriscono in sommo: d! quelle ehi abbasso. 64· L'erba lappa germoglia entro di sè. DelPopanzia, che si fa radici delle sae foglie. 65. DelP iasione, della condrilla, della picri, che fiorisce tutto Panno. 66. Di qaali erbe esce il fiore prima che il gam bo : di quali il gambo prima che il fiore : di quelle che fioriscono tre volte. 67; Del cipiro, medicine 8. Del terio. 68. Asfodelo, ovvero astula regìa. Anlerico. 69. Di sei specie di giunco. Medicine 4· 70. Del cipero, medicine i 4· Cìperi, cipirt. 71. DelPoloscheno. 73. Medicine che si fanno del giiinco odorifero, - o teuchite, 10. 73. Medicine che si fanno dei suddetti fiori : della rosa, 33. 74. Del giglio, 3 1 . 75. Del narciso, 16. 76. Delle viole, 38. 77. Della baccara, 17. Del combreto, 1. 78. Dell'asaro, 8. 79. Del nardo Gallico, 8. 80. Dell'erba che s'appella fu, 4· 81. Del croco, 3 0 . 83. Del crocomagma Sirio, 3 . 83. Medicine che si fanno dell' Iride, 4 (> Della salianca, 3. 84
HISTORIARUM MUNDI LIB. I.
,J10
XCIX. Vino pervinca, medie. ìv. C. Ruscum, medie, in. CI· Batis, medie, n. CII. Colocasia, medie, n. CIII. Aalhylliiim , sive anlhyl)um , medici nae, vi. CIV. Parthenium, sjreleucanthes, siye amnacum, medie, vm. CV. Trychnon, sive strychnoo, sive halicacabara, sive calliada, sive derycoion, sive manicon, sive periiton, sijre neuras, sive moriop, sive moly, medie, vm. CV1. Corcborus, medie. CVII. Coeco», medie, m. CVIII. Peraolota, medie, i. ClX.Graecoram nominum in pouderibusel men suris interpretatio. Sumu : Medicinae, et historiae, et observationes,
ito
99. Della vincapervinca, 4· 100. Del rusco* 3. 101. Del bali, 2. ioa. Della colocasia, a. 103. Dell’antillio o anlillo, 6.
104. Del parlenio o leticante o amnaeo, 8. 105. Del tricno, o stricno, o alieacabo, o cali io, o doricnio, o manico, o perilto, o neurida, o morio, o moli, 8. 106. 107. 108. ìog.
Del corcoro, 6. Del cnico, 3. Della persolata, 1. Dichiarazione de' nomi greci quanto a’ pesi e misure.
S om m a :
fra
m e d ic in e , s to r ie e o s s e r v a z io n i 73 0 .
DCCXXX.
E X AUCTORIBUS Catone censorio. — M. Varrone. —- Masnrio. — Antiate. — Caepione. — Vestino. — Vibio Ru fino.— Hygino. — Pomponio Mela. — Pompejo l«oaeo. — Corn. Celso. — Calpurnio Basso. —■ C. Valgio. — Licinio Macro. — Sextio,Nigro qui graece scripsit. — Julio Basso
AUTORI Calone Censorino. — Marco Varrone. — Ma stino. — Anziate. — Cepione. — Vestino. — Vibio Ru6no. — Igino. — Pomponio Mela. — Pompeo Leneo. — Cornelio Celso. — Cal purnio Basso. — Caio Valgio. 1— Licinio Maero. — Sestio Nigro, che scrisse in greco, ■ *— Giulio Basso, che pure scrisse in greco.
EXTERNIS
STRANIERI
Antonio Castore. — Theophrasto. Demo crito. — Orpheo. — Pythagora. — Magone.
Antonio Castore. ->- Teo(Vasto. — Democrito. — Orfeo. — Pitagora. — Magone.
MEDICIS
MEDICI
Menandro, qui ’Βιόχςηςα scripsit.—»Nicandro. — Homero. —- Hesiodo. — Musaeo. — Sophocle. — Anaxilao. - p Mnesilbeo, qui de coronis. — Cal limacho, qui item. — Phania physico. — Simo. — Timaristo. — Hippocrate. — Chrysippo, Diocle. — Ophelione. — Heraclide. — Hicesio. — Dionysio. — Apollodoro Citiense.— Apollo doro Tarentino. — Praxagora.,— P listoni co. — Medio. — Dieuche. — Cleophanto.— Philistione. — Asclepiade. — Cratere. — Petronio, Diodoto. ΤΓ lolla, t- Erasistrato. — Diagoft. r Andrea. Mneside. — Epicharmo. — Damione. — Dalio«f. — Sosimene.—t Tlepolemo. — Metrodoro. — Solone. — Lyco.*— Olympiade Thebana. — Phili no. Petricho. — Mietope. — Glaacia. ·— Xenocrate.
Menandro, che scrisse i biocresti. — Nican dro. —- Omero. —*■Esiodo. — Museo. — Sofo cle. — Anassilao. Mnesileo, che scrisse delle corone. — Callimaco, che del pari. — Fania fisico. — Simo. — Timaristo. — Ippocrate. Crisippo. — Diocle. — Ofelione. — Eraclide. -r- Icesio. 1— Dionisio. — Apollodoro Citiense. — Apollodoro Tarentino. — Prassagor*. — Plistonico. — Medio. — Dienche. — Cleofanto. t - Filistione. — Asclepiade. — Crateva. — Petrqnio Piodoto. — lolia. — Erasistrato. — Dia gora. — Andrea. — Mneside. — Epicarmo. .— Damione. —r Dalione. — Sosimene. — Tle polemo. — Metrodoro. — Solone. — Lieo. — Olimpiade Tebana. — Filino. — Petrico. — Mil ione. — Glaucia. — Senocrate.
C. PUNII SECONDI
Ili
LIBRO ΧΧΠ CoBTIBETVB AUCT0B1TAS U I I 41DMET FBCGD1I. 1 el li. G b rtu herbi· formae gratia nti. III. Herbis infici vestes. ltem de sagminibus, de verbenis, de clarigatione. IV. De corona graminea : de raritate ejas. V. Qai «oli corona dooati. VI. Qai «olas centurio. VII. Medidnae ex reliquia coronamentis. V ili. Erynge, «ve crjngion. IX. Cen tuancapila, xxx. X. De acano, i. XI. Glycyrrhiza, sive adipso, x v . XII. Tribali genera ii, medicinae xii. XIII. Stoebe. XIV. Hjppophyes genera ii, medie, n. XV. Urtica, medie, un . XVI. Lamium, tu . XVII. Scorpionis genera ii, medie, i. XVIII. Leucacaatba, aive phyllos, sive ischias, sive polygouatos, ìv. XIX. Helxine, xii. XX. Perdiduro, sive partheniam, qnae urceola ris, sive astericom, xi. XXI. Chamaeleon, sive ixias, sive ulophylon, aive cynozolon : genera ejns n, medie, su. XXII. Coronopns. XXIII. Anchasa, xiv. XXIV. Pseudoanchasa, sive echis, sive doris, in. XXV. Onochilon, sive archebion, sive onocheli, sive rhexia, sive enchrysa, xxx. XXVI. De antbemide, sive leucanthemide, sive chamaemelo, aive melaothio : genera in ; medidnae xi. XXVII. Loto· herba, ir. XX V ili. Lotometra, u. XXIX. Helotropion, genera n. Hdioscopiam, sive verrucaria, xm. Triooccon, sive scorpiurum, XIV.
XXX. De caNitridio, sive adianto, sive trìchomane, sive polytricho, sive saxifraga : genera n, medidnae xxvm. XXXI. De picride, f. Thesium, i. XXXII. Asphodelum, l i . XXXIII. Alimon, xiv. XXXIV. Acanthos, «ve paederos, aive melamphyllos, v. XXXV. Bupleuron, v.
112
l ib r o
xxn
Si u o iM i n ^ M T o m l p n i ' i n i a D8LLB BIADI. i e a. Di popoli che si valgono dell* erbe a crescer bellezza. 3. Come con l’erbe si tingono le vesti. De* sag mini, delle verbene in occasione di rap presaglia. 4· Della corona di gramigna : deHa sua rari là. 5. A quali soli fu donala questa corona. 6. Qual solo centurione ne fa <*>ronato. 7. Medidne che si (anno delle altre erbe, onda si faceao le corone. 8. Dell’eringe, ovvero eringio. 9. DelPerbe centocapi, So. 10. Delincano, 1. 11. Della glidrriza, ovvero adipso, i 5. 12. Due specie di tribolo, mediane ia. 13. Ddla stebe. 14. DelT ippofie, specie dee, medicine a. 15. DdPortica, 61. 16. Del lamio, 7. 17. Due spede di scorpione, medie. 1. 18. Della leooacanta,o filio, o ischiada, o poligo
nale, 4.
19. DeU’elsine, ia. ao. Del perdicio, o partenio, detta anche erba urceolare o aaterioo, 11. ai. Del cameleone, o i«sia, o olofilo, o cuozolo : ve a ’ ha due spede, medie, ia. аа. Del coronopo. a3. DelPancusa, 14. a4· Della pseudancasa, ovvero echi, o dori, 3 . a5. DelPonochilo, o archebio, o onocheli, o rea· sia, o encrisa, 3o. аб. DelTantemide, o leacantemide, o paescmela, o melantio : spede tre, medie. 1 ·. «7. DdPerba loto, 4· *6. Della lotometra, a. 99. Dell' eliotropi») specie a. Dell1 dioecopio, · verracaria, i 3. Del triooeeo, o aoorpin* *0, 14. 50. Del caUitrioo, o adianto, o. tricomane, o pobtrico, o sassifrago; specie
medie. sS.
51. Ddla picride, 1. Del tesio, 1. Sa. DeU’asfodelo, 5 i. 3$. DelPalimo, 14. 34. Dell'acanto, o pederole, o mdanfiUo, 5. 35. Del bupleuro, 5.
UISTOMABUM IKJNDI UB. I. XXX VI. BnpaaaAia; r.
36. Del trapretti, r,
XXXVII. Elapfcobowon, ix. XXXΥ1Π. Seandix, x. Anthriacns, n. XXXIX. I u ì o m , ir. XL. Cancalis, x ii X U . Sm · , λ XLI1. Silybam. XL11I. S ttljaon , à n Um o d ìm , ▼. XLIV. Soncho·, fenera u, medie. « . XLV. Chondrillon, aive ebocdrille, ui. XLV1. De boletis : proprietà lea «tra n ία na> accodo. XliVO. De Ια ορ κ ntftae venenatoram. Medicinae
37. Ddl'elafobosco, 9. 38. Della scandica, 10. DeH'anlrisco, a. 39. Dell* iasione, 4· 40. Del caacale, la. 41. Del sio, 6. ’ 4a. Del silibo. 43. Dello scolimo, o limonio, 5. 44· Del sooco, specie a, medie. i 5. 45. Del condrillo o condrille, 3. 46. Boleti : loro proprietà nascendo.
ex bis, ix. XLVfll. SBpbinm, τη. XL1X. Laser, xxxix. L. De adle. Propoli·, v. Meliis, xvi. U . Qoo genere ciborace more» qaoqne mu lcator. IH . De eqne m al··, χτηι. LUI. Malmm, vi. LIV. Mehtites m. LV. Cera, viti. LVL Conira oompoaiUooe» medicorum. LV1L Mediatine ex frngibnec ailigioe, t. Tritioo, l Palea, n. Farro, i. FoH eribei, i. O lyr» arÌDca, n. LV11L Farina por geoera : medie. n i u i . UX. Polenta, m LX. Polline, v. Palle, i. Farina chartaria, i. LXi. Ahea, n. U H . Mitìo, vs. ί Ι ΙΠ h n o o , ir. LXT?. Sesama, τη. Seaamoide, tu. Antieyrico, iv. LXV. Hordeo, n . Bordo* merino, ut. LXVL Ptisana, ìv. LXVI1. Aaylo, vui. Avena, i. I*XVHL Pane, xxf; LXJX. Febo, xn. U t t Lmtc,xvn. LXXJ. EkIkphaco, sive aphaco, quae salvia, xw . LXXI I De cicere, et ctcenoola, xxnv. LX X lll. E rro, s s . LXX1V. Lupino, xxxr. LXXV. 1rione, sive eryitoo, quod 4felli ve*· bm ,xv. LXXVI. Hormino, τι. LXXV1I. Loiio, v. LXXY1IL Miliaria herba, l U H I . Bromo, i. LX IX . Orobanche, «He qfno m io, i. LX1X1. D e legnm inus bmtioKe. LXXXI1. De tytho et cervina.
«4
47· Fanghi ; segni degli avvelenati. Mediein. che
se ne fanno, 9. 48. Del silfio, 7.
49. Del lasero, 39. 50. Mele. Del propoli, 5. Del mele, 16. 5 1.Coo qaal genere di cibi nratfoo anche i
costami. 5a. Dell'acqua melata, 18. 53. Del vino melato, 6. 54. Della melitite, 3. 55. Della cera, 8. 56. Con irò le compositioni «M medici.
57. Medicine che si Canno M ie biade :
ii5 S umma
C. PLINII SECUNDI : Medicinae, et historiae, et observatione*,
S om m a
ii6
: fra medicine, storie e osservaxioni 906.
DCCCCVI.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
Iisdem, quibas priore libro ; et praeter eos : Chrysermo. — Eratostbene. — Alcaeo.
Queglino stessi che son citati nel libro dì so pra, ma oltre a questi : Crisermo. — Eralostene. — Alceo. —
LIBRO XTCta C ortireutur mediciwae ex abbobibus cdltis. I et II. De vitibus, xx. III. De foliis vitium, et pampino, v». IV. De ompbaoio vitium, xrv. V. De oenantbe, xxi. VI. De uvis mataris, recentibus. VII. De uvis conditis, medie, xi. VIII. De sarmentis uvarum, i. IX. De nucleis acinorum, vi. X. De vinaceis, vm. XI. Uva theriace, iv. XII. Uva passa, sive astaphis, xiv. XIII. Astaphis agria, sive staphis, sive pituita ria, xn. XIV. Labrusca, xii. XV. De scalicastro, xn. XVI. De vite alba, sive ampelolence, sive staphy le, sive melothron, sive archezostis, sive cedron, sive madon, xxxv. XVII. De vite nigra, sive bryonia, sivechironia, sive gynaecanthe, sive apronia, xxxv. XVIII. De musto, xv. XIX. De vino. XX. De Surrentino, m. Albano, ii . Falerno, vi. XXI. Setino, i. Statano, i. Signino, i. XXII. De reliquis vinis, lxiv. XXIII. Observationes circa vina, l x i . XXIV. Quibus aegris danda, et quando danda. XXV. Quomodo danda. Observationes circa ea, xci. XXVI. De vinis fictitiis. XXVU. De aceto, xxviii. XXVIII. Aceto scillino, xvu. XXIX. Oxymelite, vn. XXX. De sapa, vu. XXXI. De faece vini, xn. XXXII. De faece aceti, xvu. XXXIII. De faece sapae, iv. XXXIV. De foliis oleae, xxiu.
«9-------
LIBRO ΧΧΠΙ Si
x a o io it a d e l l b m e d ic in e t b a t t e d a a l b e r i
DOMESTICI.
i e a. Delle vili, medie, ao. 3. Delle foglie delle viti, e del pampino, 7. 4. Dell'agresto delle vili, «45. Dell'enanle, ai.
6. Uve mature e fresche. 7. DeU'ove conservate, medie. 11. 8. De* sarmenti dell’uve, 1. 9. De' gusci degli acini, 6. 10. De* vinacciuoli, 8. 11. Dell’uva teriaca, 4· ia. Dell'uva passa, o astafida, 14. 13. Dell'aslafisagria, o stafi, o pituitaria, ia. 14. Della labrusca, ia. 15. Del salicaslro, ia. 16. Della vite alba, ovvero ampeloleuee, o slafile, o melotro, o archesosti, o cedrone, o mado, 35. 17. Della vite negra, o brionia, o cbironia, © ginecante, o apronia, 35. 18. Del mosto, i 5. 19. Del vino. ao. Del Surrenlino, medie. 3. Dell'Albano, a. Del Falerno, 6. ai. DelSelìno, 1. Dello Statano, 1. Del Signino, 1. aa. Degli altri vini, 64. a3. Osservazioni circa i vini, 61. 24. A quali malati vogliansi dare, e quando. 25. Come s'abbiano a dare. Osservazioni circa ' ciò, 91. 26. De* vini fitlizii. 27. Dell'aceto, medie. 28. 28. Dell'aceto scillino, 17. 29. Dell'osimele, 7. 30. Della sapa, 7. 3 1. Della feccia del vino, ia. 3a. Della feccia dell'aceto, 17. 33. Della feccia della sapa, 4· 34. Delle foglie dell'oliva, a3.
Π7
HISTORIARUM MONDI L1B. I.
IXXV. De flore, ιτ. De olea ipsa, τι. XXXVI. De divis albis, ιν ; nigris, m. XXXVa Amarca, m . XXXVIII . De foliis oleastri, xvi. XXXIX. De omphaao, ui. XL. De oenanthino, et de omni oleo, xxvm. XL1. De eirino deo, m XLII. Amygdalino, xvi. XL11I. Laurino, u . XLIV. Myrteo, u . XLV. Chamaemyrsinae, sive oxymyrsinae : cu pressino, citreo, caryino, cnidio, lentiscino, Ulamno. XLV1. De cypro, et cyprino, xvi. Gleucino, i. XLV11. De balsamino, xni.
XLVni. Malobathro, vm. XLIX. Byoscyamino, u. Tbermino, i. Narcissino, j. Rapbasino, v. Sesamino, ui. Lirino, m. Sdgitico, i. Igoviuo, i. L. De daeomdi, u. De pissino, n. LL De palmis, ix. LU. De palma myrobalano, 111. LI1I. Palma elate, xvi. UV. Medicinae ex singulorum generum flore, foliis, fracto, ramis, cortice, succo, ligno, radice, cinere. Malorum observationes, vi. Coloneorum, xxn. Struthioraro, i.
LV. Duldom malorum, vi. Austerorum, iv. LVI. Citreorum, v. LY1L Panicorum, xxvi. LVDl. Stomatice, xxiv. LIX. Cytiso, vm. LX. Balaustio, xn. LX1. Panico silvestri.
LXI 1. Pirorum observationes, xn. LXlIi. Fkornm, exi. LXiV. Caprificorum, u u . LXV. Eliaco bcrba, m. LXV/. Prunis, iv. LX VII. De persici», n. LXVIII. De prunis silvestribus, ii . LXIX. De limo, sive Kchene arborum, n. LXX. De moris, xxxix. LXXI. Stomatice, sive arteriace, sive panchres tos, iv. LXXIL De cerasis, v. LXXI1I. Mespilis, 11. Sorbis, n. LXXIV. D e nucibus pineis, xm, LXXV. Amygdalis, xxtx. LXXVI. Nodbus Graecis, ». LXXVH. Juglandibus, xxiv.
118
35. Del fiore deil'olira, 4. Dell'oliva stessa, 6. 36. Delle olive bianche, 4· Ddle negra, 3.
37. Delle morchia, ai. 38. Delle foglie dell’nlivo salvalico, 16. 3g. Della oliva agreste, 3.
40. Dell'olio d'enante, e d'ogni altro olio, 28. 41. Ddl'olio deino, 16. 4a. Dell'olio ddle mandorle, 16. 43. Dell'olio dell’alloro, 9. 44· Dell'olio della moriina, ao. 45. Olio ddla camemirsina ovvero osimirsina : olio di cipresso, di d iro : olio cariino, di grano gnidio, di lentisco : olio ba lanino. 46. Del cipro, é ddl’olio di esso, med. 16. Del l'olio gleucino, 1. 47. Del balsamino, i 3. 48. Del malobatro, 8. 49. Dell'olio dell' iosciamo, a. Ddl'olio termino, 1. Del narcisino, 1. Del rafanino, 5. Del sesamino, 3. D d lirino, 3. Del sdgitico, 1. Dell'iguvino, 1. 50. Dell'elotnelo, a. Del pissino, a. 5 1. Delle palme, medie. 9. 5a. Del mirobalano palma, 3. 53. Della palma elate, 14. 54· Medicine di ciascuna sorte di fiori, tratte dalle foglie, dd fruiti, dai rami, ddla cor teccia, dal sugo, dal legno, ddla radice, dalla cenere. Osservazioni rapporto alle mele, 6. Rapporto a'eotogni, aa. Rapporto alle mele strutie, 1. 55. Medicine delle mele dolci, 6. Ddle acerbe, 4» 56. Delle citree, 5. 57. De’ melagrani, a6. 58. Della stomatica, a4· 59. Del citino, 8. 60. Del balaustio, ia. 6». Melagrano salvalico. ба. Osservazioni sopra i pari, ia. 63. Sopra i fichi, 111. 64· Sopra i caprifichi, 4&. 65. Sopra l'erba erineo, 3. бб. Sopra le prugnole, 4· 67. Ddle pesche, a. 68. Delle prugnole selvatiche, a. 69. Della belletta o lichene degli alberi, a. 70. Delle more, 39. 71. Ddla stomatica, o arteriace o panereste, 4· 73. Ddle ciriegie, 5. 73. Delle nespole, a. Delle sorbe, a. 74· Ddle noci pine, i 3. 75. Delle mandorle, 39. 76. Ddle noci Greche, 1. 77. Delle noci, a4-
C. PUM I SECUNBl
• 19
LXXV 1II. Avellanis, ui. Pistaciis, vm. Casta nei·, y. LXXIX. De siliquis, v. De corno, i De unedone. LXXX. De la u r is , l x i x . LXXXI. De myrlo, ix . LXXXII. Myrtidano, xm. LXXX 11I. Myrto silvestri, sive oxymyrsine, sive chamaemyrsine, sive rusco, vi. S ciima : Medicinae, el historiae, el observationes,
«ao
78. Delle noocinole, 3. De’[pistacchi, 8. Delle ca stagne, 5. 79. Delle carobe, 5. Del qorniola, 1. Del cor bezzolo. 80. Degli allori, 69. 81. Della .mortine, 60. 8a. Del mirlidano, i 3. 83. Della mortine selvatica, ovvero osiminine, o camemirsine. o rusco, 6. S omma
: fra medicine, storie e oaaerfazioni 1418.
MCGCCXVIU.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
C. Valgio. — Pompejo Lenaeo. — Sextio Nigro, qni graece scripsit. — Corn. Celso. — Fabiano.—· Jnlio Basso, qui graece scripsit. — Antonio Ca store. — M. Varrone.
Caio Valgio. — Pompeo Leneo. — Sestio Nigro, che serisse in greco. — Cornelio Celso. Fabiano. — Giulio Basso, che serisa· in f r e e o . — Ao ionio Castore. — Marco Varrone.
EXTERNIS, ET MEDICIS.
STRANIERI E MEDICI
Iisdem, quibus libro xxi.
Qneglino stessi che son citati nel libro y if·* simoprimo.
--4»--
LIBRO XXIV
LIBRO XXIV
CoHTIBBVTtJB MBDIC1BAE EX ABBOBIBOS S1LVESTB1BUS.
S i ΤΒΑΤΤΑ DBLLB MEDICI BS CHI SI WAM90
1. (* Discordiae in arboribus et herbis, alque
concordiae *). U. Medicinae ex loto Italica, vi. III. Glandibus, xm. IV. Cocco ilicis, m. V. Galla, xxni. VI. Visco, xi. VII. Pilulis roboris : carro, vm. V ili. Subere, 11. IX. Fago, iv. X. Copresso, xxm. XI. Cedro, xm. XII. Cedride, x. XIII. Galbano, xxm. XIV. Hammoniaco, xxiv. XV. Styrace, x. XVI. Spondylio, xvu. XVII. Sphagno, sive sphaco, sive XVIII. Terebintho, vi. XIX. De picea, et larice, vm. XX. Chemaepily, x. XXI. De pityusa, τι. XXII. Resinis, xxn.
b ryo ,
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D A «ll ALBEBI SALTATI CBt.
i. Discordie e concordie tra alberi e tra erbe. а. Del loto d* Italia si fanno medicine, 6 . 3. Delle ghiande, i 3. 4. Del granello del leccio, 3. 5. Della galla, a3. б. Del tìs c o , 11 . y. Delle pillole del rovere : del oerro, 8. 8. Del sughero, a. 9. Del faggio, 4. 10. Del cipresso, a3. 11. Del cedro, i 3. ia. Del cedride, 10. 13. Del galbano, a3. 14. DeU'ammoniaco, a4· 15. Dello slirace, 10. iG. Dello spondilio, 17. 17. Dello sfagno, o sfaco, o brio, 5. 18. Del terebinto, 6. 19. Della picea, e del larice, 8. ao. Del camepiti, 10. a i. Della pilinsa, 6. aa. Delle ragie, aa.
HISTORIARUM MUNDI UB. I. XXIII. Pice, xxxiv. XXIV. Pisselaeo, sive palimpiasa, xvi. XXV. Pissasphalto, u. XXVI. Zopissa, i. XXVII Tacda,i. XXVIII. Lentia co, χχιι. XXIX. Platano, xxv. XXX. Fraxioo, v. XXXI. Acere, i. XXXI I . Popolo, vm. XXXUI. Ulmo, xvi. XXXIV. Tilia, i. Oleastro, i. XXXV. Sambuco, χτ. XXXVI. Junipero, xxi. XXXVII. Salice, xiv. Amerina, i. XXXVIII. Vitice, xxxm. XXXIX. Erice, i. XL. Genista, v. XLI. Myrice, sive tamarice, m. XLII. Brya, xxix. XLIH. Virga saagoinea, i. XLIV. Silere, iii . XLV. Ligustro, vm. XLVI. Aioo, i. XLV1I. Ederis, xxxvm. XLV1II. Cisto, v. XLIX. Cisso erythrano, u. Cbamaecisso, n. S eilace, nt. Clematide, xvin. L. Arandine, xix. U . Papyro, charta, m. LU. Ebeoo, v. LIII. Rhododendro, i. UV. Rho, genera n : medicinae ναι. Stoma tice,!. LV. Rhue erylhro, ix. LVI. Erythrodano, xt. LVII. Alytso, u. LV11I. Stralhio, sive radicula, xm. Apoeyno, n. LIX. Rore marino, xviu. I X Cachry. LX1. Sabina herba, vu. LX1L Selagine, n. LXUI. Samolo, n. LXIV. Gummi, xi. LXV. Spina Aegyptia, sive Arabica, iv. LXV1. Spina alba, n. Acanthio, i. LXVI1. Acacia, vm. LX?1II. Aspalalho, i. LXIX. Erysisceptro, sive adipsatheo, sive diati· ron, vm. LXX. Appendice spioa, n. Pyracantha, i. LXXI. Palinro, x. U X II. (*Agrifolio*)· Aquifolia, x. Taxo, >. LXXOI. Rabis, n. IXX1V. Cyno»bato, m.
III
a?. Della pece, 3$. a4- Del pisseleo, o palimpissa, 16. 25. Del pissasfalto, a. 26. Delia zopissa, 1. 27. Della teda, 1. 28. Del lentisco, 22. 29. Del platano, 25. 30. Del frassino, 5. 3 1. Dell’acero, 1. 32. Dell'oppio, 8. $3. Dell’olmo, 16. 34· Del tiglio, 5. Dell'olivo salvalico, 1. 35. Del sambuco, ι 5. 36. Del ginepro, a t . 37. Del salcio, ι 4· Del salcio amerino, 1. 38. Delia vitrice, 33. 3g. DeIFerice, 1. 40. Della ginestra, 5 . 4 1. Della mirice, o tamarice» 3. 4·. Delia bria, 29. 43. Della verga del sanguine, 1. 44· Del silero, 3. 45. Del ligostro, 8. 46. Dell'ontano, 1. 47. Dell’ellera, 38. 48. Del cisto, 5. 49. Del cisso eri trano, 2. Del camecisso, 2. Del io smilace, 3. Del clematide, 18. 50. Della canna, 19. 5 1. Del papiro, carta, 3 . 52. Dell'ebeoo, 5. 53. Del rododendro, 1. 54. Del roe, specie 2 : medicine 8. Dello sto· matiee, 1. 55. Del me eritro, 9. 56. DelFe ri trodano, 11. 57. DelTalisso,,2. 58. Delio strnlio o radicula, »3. Dell’apocino, a. 59. Del ramerino, 18. 60. Del cacri. 61. Dell'erba savina, 7. 62. Delia selagine, 2. 63. Del samolo, 2. 64. Della gomma, 11. 65. Della spina Egiiia o Arabica, 4· 66. Della spina bianca, a. Dell'acaatio, 1. 67. Dell'acacia, 8. 68. Dell'aspalato, 1. 69. DeU'eristseellro, o adipsateo, o diatiro, 8. 70. Della spioa appendice, 2. Della piraeanta, 1, 71. Del paliuro, 10. 72. D eir agrifoglio. Dell’ acquifoglia, 1 ·. Del tasso, 1. 73. De' rovi, 2. 74. Del cinosbato, 3.
ia3
C. PLINII SECUNDI
LXXV. Rabo Idaeo. LXXVI. Rhamni genera ti. Medie, r. LXXV1I. De lycio, xvm. LXXVIII. Sarcocolla, u. LXXIX. Oporice, u. LXXX. Trixagine, aire chamaedrye, sive chamaerope, sive teucri·, xvi. LXXXI. Chamaedaphne, v. LXXX1I. Chamaelea, vi. LXXXI1I. Chamaesyce, vm. LXXXIV. Cbamaecisso herba, i. LXXXV. Chamaeleuce, sive farfaro, sive farfu g l i *· LXXXVI. Chamaepeuce, v. Chamaecypa risso, u. Ampelopraso, vi. Slachye, i. LXXXV1I. Clinopodio, iii. LXXXV1II. Centunculo, i. LXXX1X. Clematide, sive echite, sive scam monia. XC. Clematide Aegyptia, sive daphnoide, sive Polygonoide. XCI. De dracon lio lis. XCU. De aro, xm. XC1II. De dracunculo, u. XCIV. De ari, m. XCV. Millefolio, sive myriophyllo, v i i . XCV1. Pseudobunio, iv. XCV1I. Myrrhide, sive myrrha, sive myrixa, vii. XCVI1I. Onobrychi, m. XCIX. De magicis herbis. Coracesia, et callicia. C. Minyade, sive corysidia, i. CI. Aproxi, vi. CU. (* A Democrito fabulose scripta *). De aglaophotide, sive marmaritide : acbaemenide, aive bippopbobade : theorabrotio, sive semnio : adamantide, arianide, tberionarca, Aethiopide, aive Meroide : ophiusa, thalassegle, sive potamucyde : theangelide, gelotophyllide : heatiatoride, sive protomedia : cassignete, sive Dionysonympbade : heliantbide, sive beliocallide : bermesiade, aeschynomene, eroeide, oenotheride, anacampserote. C11I. Eriphia. C1V. Herba lanaria, i. lactoris, i. militaris, i. CV. Slratiotis, t . CV1. Herba de capite statuae, i. CV1I. Herba de fluminibus, i. CVIII. Herba lingua, i. CIX. Herba de cribro, i. CX. Herba de fimetis. CX1. Herba a canum urina, i. CX11. Rhodora, ut. CXUI. Impia, u.
75. Del rovo Ideo. 76. Del ranno, specie a. Medicine 6. 77. Del licio, 18. 78. Delia sarcocolla, a. 79. Dell’oporice, a. 80. Della trissagine, o camedrie, o camerope, o teucria, 16. 81. Del camedafne, 5. 8a. Della camelea, 6. 83. Del camesice, 8. 84. Dell’erba camecisso, 1. 85. Del cameleuce, o farfaro, o farfugio, 1. 86. Delia camepeuce, 5. Del caraeciparisso, a. DelPampelopraso, 6. Delio stachie, 1. 87. Del clinopodio, 3. 88. Del centonchio, 1. 89. Della clematide, o echite, o scamonea. 90. Della clematide Egizia, o dafnoide, o poli· gonoide. 91. Circa il dragonzio. 93. Dell'aro, i 3. 93. Del dragoncolo, a. 94. DeH'ari, 3. 95. Del millefoglio, o miriofillo, 7. 96. Del pseudobunio, 4· 97. Della mirride, o mirra, o miriza, 7. 98. Dell'onobrichi, 3. 99. Circa l’ erbe magiche. Della coracesia , e della callicia. 100. Della miniade, o corisidia, 1. 101. DelPaprossi, 6. ioa. Circa le medicine magiche scritte da Democrito. DelPaglaofoti, o marmante : delPacbemenido o ippofovada : del teombrozio, o semnio : delPadamantida, aria nide, terionarca, Etiopide, o Meroide : della ofiusa, talassegle, o potamucide : del la teangelida, della gelotofillida : dell’estiatoride, o protomedia : della cassigoeta, o Dionisoninfada : delPeliante o eliocallide : delPermesia, eschinomene, crocide, enoteride, anacampserote. 103. Erifia. 104. Dell'erba lanaria. 1. Dell'erba lettore, 1. Dell'erba militare, 1. 105. Delle atratiote, 5. 106. Dell'erba nata in capo a qualche statua, 1. 107. DelPerba de' fiumi, 1. 108. DelPerba lingua, 1. 109. DelPerba colta nel vaglio, 1. 110. DelPerba nata nei letami. u t . DelPerba, presso cai i cani urinano, 1. 11 a. Della rodora, 3. 11 3. Dell'impia, a.
HISTORIARUM MUNDI L1B. I.
ia5
CX1V. Veneris pecten, ι. CXV. Exedam, sive nodia, u. CXVI. Philanthropos, i. lappa canaria, u. CXV1I. Tordylon, sive syreon, m. CXV11I. Gramen, x t i i . CXIX. Dactylos, t . CXX. Fenum Graecam, qaae silicia, xxxi. Somma
: Medicinae, et historiae, et observationes,
.a6
114. Del pettine di Venere, 1. 1 15. Dell'essedo, o nodia, a. 116. Del filantropo, 1. Della lappola canaria, 1. 117. Del lordino, o sireo, 3. 118. Della gramigna, 17. 119. Del dattilo, 5. lao. Del fieno Greco, che par si dice silicia, 3i. S omma
: fra medicine, storie e osservazioni 1176.
MCLXXVI.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
C. Valgio. — Pompejo Lenaeo, r— Sextio Niffo, qai graece scripsit. — Julio Basso, qai item. — Antonio Castore. — Cornelio Celso.
Caio Valgio. — Pompeo Leneo. — Sestio Nigro, che scrisse in greco. — Giulio Basso, che del pari. — Antonio Castore. — Cornelio Celso.
EXTERNIS
STRANIERI
Iisdem, qaibas libro xxi, et praeler eos Jaba, et Xantho.
Sono i citati al libro vigesìmoprimo, ag giunti 11 re Giuba e Santo.
MEDICIS
MEDICI
lisdem9 qaibus libro xxi.
Sono i citati al libro vigesìmoprimo. ---- ♦----
LIBRO XXV
LIBRO XXV
CoBTIBBBTOB BATUBAB HBBBABOM SPOBTB BA-
Si tbatta della batoea bd aotobità dbll' bbbb CIB 11ASCORO da «è.
SCEOTTOM, BT ACCT0 B1TAS.
m I. De origine nsus earum. IL Qoi latine usus earum scripserint. HI. Qaando ad Romaoos ea notitia pervenerit. IV. De Graecis ancioribus, qui herbas pinxerant. V. Qai primi Graecorum de his composuerint. VI. Quare minus exerceantur ea remedia. Her bae mirabiliter inventae. Cynorrhodon, me dicinae it. Dracunculus caulis, i. britannica, v. VII. Nobilium herbarum inventores. VIII.Moly, m. IX. Dodecatheon, t. X. Paeonia, sive pentorobus, sive glycysides, i. XI. Panace, sive Asclepion, u. XII. Paoace Heraclion, 111. XHL Panace Chironion, it . XIV. Panace centaureon, sive pharnaceon, m. XV. Beracleon, sive siderion, iv. XVI. Ampelos Chironia, i.
1. Origine dell’oso di esse. а. Di coloro che hanno scritto in latino sopra Fuso loro. 3. Quando i Romani n'ebbero cognizione. 4. Degli autori Greci che dipinsero le erbe. 5. De' primi fra i Greci che scrissero sopra le erbe. б. Perchè non si faccia aso di cotali rimedii; Dell'erbe per modo maraviglioso ritrovate. Del cinorodo, medicin. a. Del dragoncolo detto canle, 1. Dell'erba britannica, 5. 7. Inventori di erbe molto ripatate. 8. Del moli, 3. 9. Del dodecateo, 1. 10. Della peonia o pentorobo, o gliciside, 1. 11. Della panace, o asclepio, a. ta. Della panace Eradia, 3. 13. Della panace Chironia, 4> 14. Della panace cenlaurea, o farnacea, 3. 15. Dell'eradeo, o sidereo, 4· 16. Dell'ampelo Chironio, 1.
C.PL11NI «BCONDI XVII. HjfOKjuno», sive Apottiasrii, sire allercum, genera u. iu. XVIII. Linozostis, sive partheoion, sive ber* mupoea, qoae mercuriali* : genera n. Me
17. DelPiosciamo, o ApoUfcna·*, o ritorco, spe de a. Medidn. 3. 18. Del liaoxoste, o partenio, · erarapea, ohe pur dicesi mercuriale, spede 9. Medie, aa.
die. XXII.
XIX. Achillea sideritis, sive millefolium, sive pa nace heradeum, sive scopa regia, τι. XX. Teucria, sive hemioae, sive splenios, 11. XXL Melampodium, sive elleborum, quod vera trum, genera m. Quomodo colligatur, quo modo probetur. XXII. Medicinae ex nigro, xxiv. Quomodo su mendum. XXIII. Item in albo : medicinae ex eo xxm. XXIV. Observationes circa utrumque genus,
19. Dell’achilleo siderite,o millefoglio, o panace eraeleo, o soopa regie, 6. ao. Del teucrio, o emione, o splenio, a. ai. Melampodio, o elleboro, detto anche vera tro, spede 3. Come ai raccolga, come ci sperimenti. aa. Mediane del melampodio nero, a4· Come debba pigliarsi. a8. Melampodio biauce : medicine, che w ne fanno, a3. 34. Osservazioni sopra ciascuna specie, 88.
LXXXVIII.
XXV. Quibus non dandum. . XXVI. Mithridatia, u. XXVII. Scordoli*, sive scordion, iv. XXVIII. Poiemonia, sive Philelaeria, sive ebilio· dynama, vi. XXIX. Eopatoria, i. XXX. Centaurion, sive cbirooion, xx. XXXI. Centaurion lepton, sive libadion, quod fel terrae, xxn. XXXII. Centauris triorchis, 11. XXXIII. Clymenos, n. XXXIV. Gentiana, xm. XXXV. LysinuncbMt tui . XXXVI. Artemisia, sive partbenis, sive botris, sive ambrosia, v. XXXVII. Nymphaea, sive heradion, sive rfcopalon, sive madon, genera duo, medie, xiv. XXXVIII. Euphorbiae genera u. Medie, iv. XXXIX. Plantaginis geoera n. Medie, xxn. XL. 60 glossas, 11, XLI. Cyooglossos, 111. XL 1I. Bophlhilmos, sire ceehtam. XLIII. Herbae, quas gentes invenerant : seylhice, m. XL 1V. Hippace, 111. XLV. Ischaemon, n. XLV1. Cestros, sive psycbotropfcon, qnae vellonica, sive serratula, xlvui. XLVII. Cantabrica, u. XLV 1II. Consiligo, 1. XL 1X. Iberis, vn. L. Herbae ab animalibus repertae: chelidonia, vi. LI. Canaria, 1. LU. (* Elaphoboscos : seseli *). L11I. Dictamnum, viu. Pseudodictaromim. Quibus fod* poterilifsimae herbae : propter her bas in Areadia lae poturi.
s5. A chi non s'abbia dare. 36. Del mitridatio,
3.
37 . Dello scordoli, ovvero scordio, 4·
a8. Della poiemonia, ovvero fileteria, · chili*» dinama, 6. 39. DelPeupatoria, 1. 3o. Della centaurea, ovvero chironia, ao. Si. Del centaureo lepto, o libadio, che pur dicesi fide ddla terra, aa. з а. Del centauri triorche. 33. Del climeuo, a. 34. Della genziana, i 3. 35. Della lisimad»*·, 8. зб . DelPartemisia, o partenide, o botri, o am brosia, 5. 37. Ddla ninfea, o eraeleo, e ropsdo, o madoo, specie due, medidn. 14. 38. Specie dne dclPenforbio. Medie. 4· 39. Della piantagine, specie a. Medie. s6. 40. Della buglossa, a. 41. Della cinoglossa, 3. 4a. Del buftalmo o cada. 43. Erbe che furono ritrovate dagli uomini. Della sdtica, 3. 44· Della ippice, 3. 45. Della ischemone, a. 46. Del cestro, o psicoirofb, detto anche Tetto nica, o serratola, 4&· 47. Della cantabrica, a. 48. Della consiligine, r. 49. DelP iberida, 7. 50. Erbe che furono ritrovate dagli animali : ddl* chelidonia, 6. 51. Della canaria, 1. 5a. Elafobotco : seseli. 53. Del dittamo, 8.· Pseudodittamo. In «(bali looghi $ieno erbe di grandissima vhrtà. I o Arcadia si bee il latte per Perbe mangiai* dagli animali.
*P9
HISTORIARUM MUNDI LIB. I.
LIV. Aristolochia, «ite iìm Creiica, site pii jiplpchia, sire lpchjjpolyrrhieo*, q«ee malum terne, »11. LV. Usai herbarpm conica serpentina* iplm. LVI. Argemonis, ιτ. LVII. Agarfanro, xgauu. LVIU. Echio*, genera ui. Medie, u. L 1X. Bierahotan», «ire peristereon, qua* verbe naca, genera u. Medie. i. LX. Blattaria, i. LXL U nM Ìum , (· LX1I. Pentapete», sive peolaph yUon, sire chamaexelon, qoae quinquefoliam, medie, xxxui. LXiU. Sperganjon, i. LX1V. Dauci genera ir. Medie, xrui. LXV. Therionarca, ». LXV 1. Persolata, aire arcion, u n . LXV 11. CjpeUminps, qu*e lober (erra·, u i. LXV 1II. Cyclaminos cimnlbemM, ijr. LX1X. Cyclamino* d u m M c i n o i , m i . LXX. Peacedamu», L U I . Ebolum, ri. LXXI1. Polemooia, i. LXXlII.Phlomos, qaae rerbaacam «ite lyehnitis, sire thryallis, xr. LXXIV. Pblomides, i. LXXV. Thelyphonon, sire scorpion, i. LXXVI. Pbrynion, sire neara·, sire poterion, i. LXXVII. Aliama, «Uè damasoniam , tire )y> ron, xix. LXXVJil, Pcriatereoe, vi. LXXIX. (* Rimedia adraraos r«niQ«*). LXXX. Aotirrhinam, «ire anarrhinam, sire lychnis agria, in. LXXXI. Eoplea, i. LXXXII. Ptricarpum, fcnana u. Madie, u. LXXX 11I. Remedia ad ri tia capili», i. Nymphaea heraclia, u. LXXXIV. Lingulaca, «. LXXXV. CacaUa, sire ltontice, m. LXXX VI. CjdJUbeix. **. LXXXV1I. Hyssopum, x. LXXXVIII. Lonchitis, ir. LXXXIX. Xiphion, sire phasganion, ir. XC. Psyllion, sire cyooides, sire chrysallion, sive oeelioon, «ire «yaomyia, j . XCI. Remedia ocaloram. XCU- AnsgaUis, «ire ap«q|to«>tt, #t qnae ferus oenius, genera μ. Medie, hi. XC11I. Aegilops, u. XC1V. Mandragoras, sire circaeop, sive otriop, e r e hippophlomon : genera n. Mediana*, xxir. XCV. Cicala, xiu. XCVI. Crethmos agrios, i.
it»
54. Dell'arislolochia, o eternatile, · Creile», e
pUsteJoehia, · Uchta polirete·, della por mela della terra, aa. 55. Uso delPerbe contro il monw dalla serpi. 56. Dell'argemonia, 4. 57. DelPagarieo, 83. 58. Dell’eobio, specie 3. Medie. 10. 5g. Dell' ieraboten*, o peristereo, o rerfceaaca, apecie a. Medie, lo. 60. Della blaLUria, <. 61. Del temoni·, 1. ба. Del pentapete, ο pestatilo, o eemexelo, che Tolgarmente einquefoglio, medie. 3S. 63. Dello spargerò, 1. 64. Quattro sorti di dauco. Medie. 18. 65. Della teriooarea, 1. бб. Della persolata, a areio, 8. 67. Del ciclamino, dello dei Lalini tuk*r ter rae, o panporcino, ia. 68. Del ciclamino cissantemo, 4· 69. Del ciclamino camoeisso, 3. 70. Del peecednno, «8. 71. Dell'ebbio, 6. 73. Della peUmooia* 1. 73. Del fiomo, detto rerbasco o lienite, o triti le, i 5. 74. Delle flonide, 1· 75. Del telifono, o scorpione, 1. 76. Del frinion, o nearada, o peterio, t . 77. Dell'alisnuu · daaaasoaio, o liro, 19. 78. Del periatereo, 6. 79. Rimedii copti*· i «eleni. 80. DeU’antirrino, o anarrino o lienis agria, 3. 81. Dell'euplea, 1. 89. Djftl perioerpo, apecie e. Medicin. a. 83. Rimedii a' mali del capo, 1. Della ninfea eraclia, 3.
84. Della lingalaca, 1. 85. Della cacalia, o leontica, 3. 86. Della callitrica, a ·. 87. Dell' issopo, 10. 88. Della lonchile, 4· 89. Del sifio, o fasganio, 490. Del psillto, o cnoide, o crisallio, o cicelico, o cinomia, *. 91. Rimedii a' mali degli occhi. 93. Deil'enegallide, o ceroore, detto enobe fièro occhio, speeàe a. Medie. 8. 93. Dell'egilope, 3 . 94. Della mandragora, o droeio, o meno, o ippoflomo, specie 3. Medie. a 4· 95. Della cicuta, i 3. 96. Del cretmo agrio, 1.
C. PLINII SECONDI XCVII. Molybdaena, i. XCV 1II. Capnos prima, qaa· pede* gallinacei, i. XC1X. Capnos fruticosa, ui. C. Acoron, sive agrion, xtv. CI. Cotyledon, genera u. Medie, u i . CII. Aizoom majus, sive buphthalmon, «ive zoophthalroon, sive stergethron, sive ambro sion, sive amerimnon, qoae sednm magnam, aat oculus, aat digitella* : medie, xxxi. Aizoam minas, sive eritbales, sive trithales, sive chryso thales, qoae isoetes, aat sedam,
99. Delia molibdena, 96. Delia capnos prima, detta anche pii di gal lina, 1. 99. Della capnos cespugliosa, 3. 100. Dell’acoro, o agrio, 14. 101. Del cotiledo, specie a. Medie. 6f. ìoa.Dell’ aizao maggiore, o buftalmo, o zooftahno, o stergetro, o ambrosia, o amerinno, detto anche sedo magno, o occhio, o digitello; medie. 31. Dell’ aizoo minore, o erilale, o tritale, o crisotale, detto anche isoete, o sedo, 3a.
XXXII.
C1II. Andrachle agria, qnae illecebra, xxxu. C1V. (* Remedia ad narium vitia. CV. Remedia ad dentiam dolorea *). CVI. Erigeron, siv« pappos, sive aeanthis, qaae senecio, vm. CV 11. Ephemeron, □. CVUI. Labrum veneream, i. C 1X. Batrachion, qaae ranunculus, «ive strumos, genera iv. Medie, xiv. CX. Stomatice, ad foetorem, genera ii.
S omma
: Medicinae, et historiae, et observationes,
103. Dell* andrache agria, detta anche illece bra, 3». 104. Rimedii a’ mali del naso. 105. Rimedii a' dolori dei denti. 106. Dell'erigerò, o pappo, o acantide, detto anche senecio, 8. 107. Dell'efemoro, a. 108. Del labro di Venere, ■ . 109. Del balrachio, eh* è il ranuncolo, o strano·, specie 4· Medie. 14. 110. Due specie di medicine contro il paca* dell’alito. S o m m a : fra m e d ic in e , s t o r ie e o s s e r v a z io n i 1 3 9 3 .
MCCXCII.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
Iisdem, qaibus libro xxtv, et praeter eos Pe tronio, Diodoto, qai graece scripsit.
Sono i citati al libro precedente, aggiuoiì Petronio, e Diodoto, che scrisse in greco.
EXTERNIS
STRANIERI
Iisdem, quibas sapra, et praeter eos Apol lodoro.
Sotao i citati *1 predetto libro, aggiunto Apollodoro.
MEDICIS
MEDICI
Iisdem, qaibas libro xxtv.
Sono i citati al predetto libro a4·
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LIBRO XXVI C o ron am
r e l i q u a e b x h b b b is pbk g s h e e a
MOBBOBDM MEDICIHàB.
I. Da novi* morhis. II. Qaid sint lichenes. III. Qaando primum in Italia coeperint. IV. Ilem carbanculas. V. Item elephantiasi·.
LIBRO Si
xxvi
TRATTA DELLE ALTEE M E D IC I» CHE SI TRAGGONO DALLE EBBE >fe& OGNI SPBCTB DI MALE.
i. De* mali nuovi, a. Che sia la liohene. 3. Quando si sparse per Γ Italia. 4. Del carboncello. 5. Dell'elefantiasi.
.33
HISTORIARUM MUNDI L1B. 1.
VI. liem colam. VII. De b o t i medicina. De Asclepiade medico. V ili. Qua ratione medicinam veterem mutaverit. IX. Contra magos. X. Lichenis remedia : liehen herba, medie, v. XI. I* Anginae; XII. Strnmis *). XIII. Bellis, u. XIV. Condurdum, u. XV. (· Tnssi *). XVI. Bechion, sive chamaeleuce, quae tostilago, m. XVII. Bechion, qaae salvia, iv. X V II I. (* Lateris et pectoris ac stomachi dolori bus *). XIX. Molon, sive sjron : amoraon, ut. XX. Ephedra, sive anabasis, m. XXI. Geum, m. XXU. <* Hepa li, renibus, vomitioni, i *). Tri po lium, III. XXII I . Gromphaena. XXIV. Malundrum, ii. XXV. Cbalcetum, t. — Molemonium. i. XXVI. Halas, sive cotonea, v. XXVI I . Chamaerops, i. — Stoechas, i. XXVIII. (* Alvi remedia*). XXIX. Astragalos, m. XXX. Ladanum, xvm. XXXI. Chondris, sive psendodictamnum. Hypocislhis. XXXil. Laver, sive sion, n. XXXIII. Potamogeton, viti. — Slatice, ui. XXXIV. Ceralia, n. — Leontopodion, sive leu· ceoron, sive doribetbron, sive thoribethron. — Lagopus, in. XXXV. Epithymon, sive hippopheos, vm. XXXVI. Pycnocqmon, iv. . XXXVII. Polypodion, m. XXXVIII. Scammonia, viu. XXXIX. (* Tithymalos characias, xxi *). XL. Tithymalos. myrtites, sive caryiles, xxi. XLI. I* Tithymalos paralius, iv. XL1I. Tilbymalos helioscopios, xvm *). XLIli. Tithymalos cyparissias, xvm. XL1V. Tithymalos plalyphyllos, sive corymbite*, sive amygdaliles, m. XLV. Tilhymalos dendroide», sife cobios, sive leptopbyllos, xvm. XLV 1. Apios ischas, sive raphanos«gna, n. XLV1I. (’ Torminibus medendis. XLV 11I. Lieni sanando. XLIX. Calculis et vesicae *). k Crethmon, xi. Cachrys. U. Anthyllion, u· Anthyllis, n.
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6. Del colo. 7. Delia medicina nuova . Del tnedico Ascle piade. 8. Come mutò l'antica medicina. 9. Contro l'arte magica. 10. Rimedii alla lichene : dell'erba lichene, me die. 5. 11. Alla squinanzia. 1a. Alle scrofe. 1 3. Dell'erba belli, 2. 14. Del condurdo, a. 15. Rimedii alla tosse. 16. Del bechio, o cameleuce, detto anche tussi lagine, 3. 17. Del bechio, eh'è la salvia, 4. 18. Rimedii a'dolori de'fianchi, del petto, dello stomaco. 19. Del molo, o siro : dell'amomo, 3. . 20. Dell'efedra, o anabase, 3. ai. Dell'erba geo, 3. aa. A l fegato, alle reni, al vomito, 1. Del tripolio, 3. a3. Gronfena. 24. Del malundro, 2. i 5. Del calcelo, 1. — Del molemonio, 1. 26. Dell'aio, o cotonea, 5. 27. Della camerope, 1. — Della stecade 1. 28. Rimedii a' mali del ventre. 29. Dell'astragalo, 3. 30. Del ladano, 18. 3 1. Condri, o pseudittamo. — Ipocisti. 32. Dell'erba laver, o sio a. 33. Del potamogeto, 8. — Della statice, 3.
34. Della ceralia, a. — Leonlopodio, o leuceoro, o doribetro, o toribetro. — Del lagopo, 3. 35. Dell'epilimo, o ippofeo, 8. 36. Del picnocomo, 4· 37. Del polipodio, 3. 38. Della scamonea, 8.
39. Del titimalo caracia, 21. 40. Del titimalo mirtite, o cariite, ai. 4 1. Del titimalo paralio, 4· 42. D el titimalo elioscopio, .18. 43. Del litimalo ciparissia, 18. 44· Del titimalo platifillo, o corimbi te, oamigdalite, 3. 45. Del titimalo dendroide, o oobio, o leptofillo, 18. 46. Dell'appio ischias, o ravanos agria, 2. 47. Rimedìi ai dolori colici. 48. Rimedii al mal di milza. 49. Ai calcoli e alla vescica. 50. Del cretmo, 11. Del cacri. 51. Dell'antillio, a. DeH' aotille, a.
C. PUNII SECONDI L 1I. Cepae·, ι. LUI. HypeiHoon, SiVe chamaepit ys, sire coriioti, ix. L 1V. Caros, sive hypericon, x. LV. Calli ih rix, i. — Perpes», i. — Chrysaotbtimum, i. — Anthemis, i. LV 1. Sitai·. LV 11. Herba Folviana. LVIII. (* Testium ac sedis vitiis *). LIX. Inguinatis, sive argemo. LX. (’ Ad panos *). Chrysippeos, *. LX1. (* Ad venertm *). LXII. Orchis, sive serapia, v. LXIII. Satyrion, sive erythraicon, iv. LX 1V. (* Ad podagram, et morbos pedina *). LXV. Lappago, sive mollugo, «. — Asperugo, i. LXVI. Phycos, quod fucos marinas, genera, ut. Lappa boaria. LXVII. (* Ad m li, quae totis corportbas gras santur *). LXVI1I. Geranion, sive myrrhis, sive myrti* : genera m . Medie, vi. LX 1X. Onolhera, aive onuris, ut. LXX. (* Ad comitiales. LXXI. Ad fefarto. LXXII. Ad phreneriife, lethargum, carbuncolo·. LXXUI. Ad hydropicos *). —- Aci·, sive ebulum. — Chamaeacte. LXXIV. (* Ad ignem sacrum medendum. LXXV. Ad luxata sananda. LXXVI. Ad morbum regium. LXXVIf. Ad foruncolo·-. LXXXI1I. Ad fistulae sanandas. LXX 1X. Ad collectiones, et doritias. LXXX. Ad ambusta. LXXXI. Ad nervos et articolo·. LXXXII. Ad sanguinis profluvium *). LiXXXIIl. Hippuris,sive ephedron, sive anabasi^ quae equisetum, genera u. Medie, xviii. LXXXIV. Stephanomelis. LXXXV. (* Ad repta etconvolsa*). Er ysit hales. t. LXXXVI. (* Ad phlktrmsia. LXXX VII. Ad uleera et volnera ’ ). LXXXVIII. Polycnemoo, i. LX&X1X. (’ Ad verruca· tollendas, et cicatrici! sanandas. XO» Ad mulierum morbos *). XCI. Arsenogonon, i. Thelygonon, i. XC 1I. Mastos. XC 111. (*Àd capili oi*).— Lysim achi*- Ophrys,u
Somma : Medicinae, et historia*, et ofetetVitiAne»* « d in it;
5a. Delia cepea, i. 53. Dell* iperie», o eanMpfei, o evrisvn, 9.
54. Del caros, o iperico, 10. 55. Delcailitrito, t. — De))·perpressa, t.-*- M
crisantemo, 1. — DcH'antemo, 1. 56. Silao.
57. Erba Fulviana. 58. Rimedii al male de' testicoli e à&tfondu* mento. 5g. Erba inguinaria, o argemo. 60. A gli enfiati deir anguénagtin. lM Cridp*· peo, 1. 6t. A lla lussuria. ба. Dell’orchi, o serapia, 5. 63. Del satirico, o eritnrico, 4* 64» Contro le gotte e i mali de' piedi. 65. Della lappagine, o roollugine, t . ·*— Dello aspervgo, «. бб. Del ficos, o fuco marino, specie S. U p p lk boaria. 67. Cèntro i mali che discorrono per tkHé il corpo. 68. Del geranio, o mirri, o mirti·: specie a. Uff·* die. 6. €9. Della onotera, o «rari, 3. 70. Contro il mal caduco. 71. Contro le febbri. 78. Contro la frenesia, il letargo, i earboooeltf. 73. Contro Γ idropisia. — DHTirtla, o abbiA — Della cameatta. 74· Contro il faoco saero. 75. Contro le sconciature de' membri. 76. Contro l'itterizia. 77. Control farunculi. 78. Contro le‘fistole. 79* Contro 1« raccolte e le dunetié. 80. Contro le cotture. 81. Contro il male decervi e i delofi aftiootari. 8a. Contro il Busso del saligne. 83. Dell'erha ippuri, o efedre, ti aiutasi, e h i 4 l'equiseto, specie a. Medie, l i 84· Slefaaomele» 85. A'm ati d iro tti e sconvolti. D**T«rbital«y r. 86. Alla ftiria si. 87. A lle ulcere e all* piaghe. 88. Della polieMtno, 1. 89. A leoar via le verruche, e risaàfire lo cr eatrici. 9·. A i muli delie dbnné. 91. Dell’arseuogono, 1. Del t«Mg«*ré, 1. 93. Del malte·. 93. A tingere i tapitti. — Lisiittkcbia. — Del» l'ofri, 1. Somma: fra medicine, itorieeOsJferftlibtii 1 t*6;
HISTORIARUM MUNDI LIB. I. EX AUCTORIBUS
AUTORI
M. Varrone. — G. Valgio.— Ροη ΐρ φ Maae». — Sextìo Nigro, qoi graece itripiit.^ Jalid Baβ ίο, qui Hera. — Antonio Castore. — Corndio Cebo.
Marco Vairóne. — Caio Valgio. — Pompe» Leneo. — Sestio Nigro, che scrisse in greco. — Gialio Basso, che del pari. — Antonio Castore. — Cornelio Celso.*
EXTERNIS
STRANIERI
Theophrasto. — Apollodoro.— Democrito.— Democrate. Juba. — Orpheo. — Pythagora. ■*· Magone. — Menandro, qoi B/οχ^ης-α scripait. — Nicandro. — Bomero. — Hesiodo. — Mnsaeo. — Sophod e. — Xantho. — Anasilao.
Teofrasto. — Apollodoro. — Democrito. — Democrate. — Giuba. — Orfeo. — Pitagora. Magone. — Menandro, che scrisse le biocristt. — Nicandro. — Omero. — Esiodo. — U n ta . — Sofocle. — Santo. — Anasilao.
MEDICIS
MEDICI
lisdeA, qoibos libro χΧι.
Sono i citati al libro vigesìmoprimo.
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LIBRO XXVH
LIBRO XXVH CoansBBTDft bbliqca o i h i a i i i m i o h , *T i l · DICIIIAB. I. 1' Antiquorum circa haec cara *). II. Aconitum, sive thelyphonón, sive cammoron,
sire scorpion. Medie, iv. 01. Aethiopi·, ìv. IT. Ageraton, ir. T. Aloe, xxix. Π. lic e ., i. Tll. Alypoa, i. Vili. Abine, ad eadem quae belline, ». II Androsaces, ti, X. Androsaemon, sive ascyron, vi. XI. Ambrosia, aive botry·, live artemisia, tu. XU. Anooia, sive ononis, v. XIII. Anagyros, sive acopon, rii. XIV. Anonymos, ▼. XV. Aparine, aive omphacocarpos, sive philan> ihropo·, ìv. XVI. Arction, sive arctorum, v. XVU. Asplenon, sive hemionios, it. IVI 1I. Asclepia·, 11. XIX. Aster, sive bnbonion, m. XX. Ascyron, sive ascyrdtdtfe, ìv. XXI. Aphaca, ni. ΧΧΠ. Aldbiom, i. XXUI. Alectorolophas, qaae crista, ιτ. XXIV. Alon, quod symphytoh petfaihm, xiv. XXV. Alga rata, i.
S i o is c o n s B
obx. l ' a l t x b
som
d' bb b b
■i m a m .
t. Della cura degli antichi circa esse. а. Dell'aconito, o telifono, o cammoro, o pardalianche, o scorpione. Medid·. 4* 3. DelTetiopide, 4· 4- DelTagerato, 4. 5. DelPaloe, 39. б. Dell'alcea, 1. 7. DeH’alipo, 1. 8. Dell’alsine, quelle stesse medidne che dell'elsine, 5. 9. DelPaodrosace, 6. 10. DelPaodrosemò, o asciro, 6. 11. Dell'ambrosia, o botriaa, o artemisia, 3. 13. Dell’anonide, o anonide, 5. 1 3. Dell’anagiro, o acopo, 3. 14. Dell'anonimo, 5. 15. Dell'aparine,o onfacocarpo, o filantropo, 4· 16. Dell'artio, o arturo, 5. 17. Dell'aspleno, o emionio, 3. 1 8 . D e l l 'a s c l e p i a d e , 3 .
19. Ddl'aster, o babonio, 3. 30. D e ll 'a i c i r o , o a s c ir o id e ,
4·
31. Dell'afaca, 3. 32 . D e l l 'a l c i b i o , 1.
a 3. Dell'aleltorolopo, eh'è la ertila, 3. a4· Dell'aio, eh' è il sinflto petreo, 4· 35. Dell'alga rossa, 1.
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C. PLINII SECONDI
XXVI. Aclaea, i. XXVII. Ampelos agria, i t . XXVIII. Absinthium, genera m. Medie, x l v i u . XXIX. Absinthium marinum, sive seriphium. XXX. Ballotes, sive porrum nigrum, tu. XXXI. Botrys, sire ambrosia, sive artemisia, i. XXXII. Brabyla, i. XXXIII. Bryon marinum, v. XXXIV. Bupleuron, i. XXXV. Catanance, i. — Cemos, i. XXXVI. Calsa, m. XXXVII. Calsa allera, sive anchusa, sive rhiuochisia, n. XXXVIU. Circaea, m. XXXIX. Cirsion, i. XL. Crataeogonon, genera m. Medie, vm. XLI. Crocodilion, n. XLU. Cynosorchis, sive orchis, iv. XLI II. Chrysolachanum, genera ii. Medie, m. — Coagulum terrae, n. XL 1V. Culicus, sive strumus, sive strychnos, vi. XLV. Conferva, n. XLVI. Coccum Gnidium, u. XLVII. Dipsacos, m. XLVI 1I. Dryopteris, u. XLIX. Dryophooon, i. L. Elaitae, ir. Ll. Empetros, quae calcifraga, iv. LII. Epipactis, sive elleborine, u. L1II. Epimedion, m. LIV. Enneaphyllon, m. LV. Filicis genera duo, quam Graeci pteriu, alii blachnon, item thelypterin, nymphaeam pterin vocant, xi. LVI. Fermur bubulum. LV1I. Galeopsis, sive galeobdolon, sive gallio, vi. L Y 1II. Glauz, i. LIX· Glaucion, m. Collyrium, u. LX. Glycyside, sive paeonia, sive pentorobon, xx. LXI. Gnaphalium, sive chamaexelon, vi. LXU. Gallidraga, i. LXUI. Holcus, i. LXIV. Hyosiris, i. LXV. Holesleon, m. LXVI. Hippophaeston, vi. LXV 11. Hypoglossa, i. LXV 1II. Hypecoon. LX 1X. Idaea, iv. LXX. Isopyron, ii. LXXI. Lathyris, u. LXXU. Leontopetalon, u. LXX 11I. Lycapsos, 11. LXXIV. Lilhospermon, sive aegonychon, sive diospyron, sive heracleos, n. LXXV. Lapidis museut. LXXVI. Limeum, i.
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a6. Dell’altea, i. 27. Dell’ampelos agria, 4· 28. Dell’assenzio, specie v . Medie. 48. 29. Assenzio marino, o serifio. 30. Del ballote, o porro nero, 3. 3 1. Del botris, o ambroria, o artemisia, 1. 32. Dalla brabila, 1. 33. Del briou marino, 5. 34. Del bupleuro, 1. 35. Delia catanance, 1. — Del cemo, 1. 36. Della calsa, 3. 37. Di altra calia, o aneusa, o rinchisia, 2. 38. Della circea, 3. 39. Del cirsion, 1. 40. Del crategono, specie 3. Medie. 8. 4 1. Del crocodilio 2. 42. Del cinosorchi, o orchi, 4· 43. Del crisolacano, specie 2. Medie. 3. — Del presame della terra, 2. 44* Del culico, o strumo, o stricno, 6. 45. Della conferva, 2. 46. Della grana di Gnido, 2. 47. Del dipsaco, 3. 48. Della drioptere, 2.
49. Del d riofono, 1. 50. Della elatine, 2. 5 1. Dell’empetro, detto calcifraga, 452. DeU’epipatte, o elleborine, 2. 53. Dell’epimedio, 3. 54. Dell’enneafillo, 3. 55. Di due specie della felce, ebe i Greci appel lano l'una pteri, altri blaqno » l'altra telipteri, o ninfea pteri, 11. 56. Del petignone di bue. 57. Della galeopse, o galeobdolo, o gallio, 6. 58. Della glauce. 59. Del glaucio, 3. Del collirio, 2. 60. Della gliciside, o peonia, o pentorobo, ao. 61. Del gnafalio, o camezelo, 6. 62. Della gallidraga, 1. 63. Dell’olco, t. 64. Della iosiri, i. 65. Dell’olosteo, 3. 66. Dell’ ippofeslon, 6. 67. Della ipoglossa, 1. 68. Dell’ ipecoo. 69. DelP idea, 4. 70. Dell* isopiro, 2. 71. Del laliri, 2. 72. Del leontopelalo, 2. 73. Della licapside, 2. 74. Del litospermo, o egonico, o diospiro, 9 eraeleo, 2. 75. Del mujBchio di pietra. 76. Del limeo, 1.
HISTORIARUM MONDI L1B. I. L1 XV 1I· Leuce, sive mesoleuce, et leucas, m. U X V 11I. Leucographis, t. LXX 1X. Medion, m. LXXX. Myiosota, «ire Myosotis, m. LXXXI. Myagros, >. LXX X I 1. Nyma, i. LXXXI1I. Natrix, i. LXXXIV. Odontitis, i. LXXXV. Othouna, m. LXXXVI. Onosma, i. LXXXVU. Onopordon, v. LXXXVIII. Osyris, i t . LXXX 1X . Oxys, u. XC. Polyanthemum, sive batrachios, m. XC1. Polygonum, sive thalassias, sive carcinetbron, sive dema, sive myrtopetalos, quae sanguinaria, sive oreos : genera iv. Medici nae XL1II. XCI1. Pancratium, xu. XCUl. Peplis, sive syce, sive meconion aphrodes, ui. XC1V. Periclymenon, v. XCV. Pelecinum, 11. XCVI. Polygala, 1. XCVII. Poterion, sive phryuion, sive nearas, iv. XCTUI. Phalangites, sive pbalangion, sive leucacanlhon, iv. XC1X. Phytenma, 1. -C. Phyllon, >. CI. Phellandrion, 11. CII. Phalaris, u. C1II. Polyrrhizon, 1. CIV. Proserpinaca, v. CT. Rhacoma, xxxvi. CTI. Reseda, 11. CYII. Sioechas, 111. CVI1I. Solanum, quam Graeci strychnon, 11. CIX. Smyrnium, x x x i i . Sinon, u. CX. Telephium, iv. CX1. Trichomanes, v. CX1I. Thalilruum, 1. CX11I. Thlaspi, iv. CXIV. Trachinia, 1. CXV. Tragonis, 1. CXTI. Tragos, sive scorpio, iv. CXTII. Tragopogon, 1. CXVI1I. De aetatibus herbarom. CXIX. Quomodo cojusque vires efficaciores. CXX. Gentium vitia diversa.
Scnu : Medicinae, et historiae, et observatio nes, nccii.
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4»
77. Della leuce, o mesolenco, e leuca, 3. 78. Delia leucografe, 5. 79. Del medio, 3. 80. Della miosota, o raiosoti, 3. 81. Del miagro, 1. 8a. Delia nima, 1. 83. Della natrice, 1. 84· DelFodontile, t. 85. DeU'otouna, 3. 86. DelPonosma, 1. 87. DelPonopordo,. 5. 88. Deir-osiri, 4. 89. Dell’oti, a. 90. Del polianlemo, o batrachio, 3. 91. Del poligono, o talassia, o carcinelro, o ete rna, o mirtopetalo, ch’ è la sanguinaria, ovvero oreo : specie 4· Medie. 43. 93. Del pancrazio, 12. 93. Del peplo, o sice, o meconio afrode, 3. 94. Del periclimeno, 5. 95. Del pelecino, 2. 96. Della poligaia, 1. 97. Del poterio, o frinio, o neurada, 4· 98. Del'falangite, o falangio, o laeucanto, 4· 99. Delia fiteuma, 1. 100. Del fillon, 1. :o i. Del felandrio, 2. loa. Del falari, 2. io 3. Del polirriio, 1. 10Ì. Delia proserpina, 5. 105. Delia racoma, 36. 106. Delia reseda, 2. 107. Delia steca, 3. 108. Del solano, che ì Greci chiamano selan» strieno, 2. 109. Dello smirnio, 32. Del sino, 1. 110. Del telcfio, 4· 111. Del tricomaue, 5. 112. Del talitruo, 1. n 3. Del tlaspo, 4· 114. Delia trachinia, 1. 11 5. Del tragoni, 1. 116. Del trago, o scorpio, 4> 117. Del tragopogo, 1. 118. Sopra l'età delle erbe. 1 19. Come sia ciascuna di maggiora virtà. 120. Vizii diversi tra le genti.
S om m a :
tra medieine, storie e osservasioai 70».
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c. PUNII SECONDI
φ EX AUCTORIBUS
AUTORI
Pompejo Lenaeo. — Sexlio Nigro, qoi graece scripsit. — Julio Basso, qui item. — Antonio Ca store. — Corn. Celso.
Pompeo Leneo. — Sestio Nigro, «he sor Use in greco. — Giulio Basso, che del pari. — Anto nio Castore. — Cornelio Celso.
EXTERNIS
STRANIERI
Theophrasto. — Apollodoro Citiense. — De mocrito. — Aristogitone. —* Orpheo. — Pytha gora.— Magone.— Menandro,qui B/o*fWT« seri* psit. — Nicandro.
Teofrasto. — Apollodoro Citiense. Demo crito. — Aristogitone. — Orfeo. — Pitagora. — Magone.— Menandro, che scrisse 1« Biocriste . — Nicandro.
MEDICIS
MEDICI
Mnesitheo, et celeris iisdem, qaibus ra priore libro.
Meesiteo, e gli altri citati nel libro prece dente.
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— Ψ ----
LIBRO XXVIII CotmRBBTPE medici bab bx asinalibus. 1 et II. Ex homine remedia.
IIL An sit in medendo verborum vis aliqua. IV. Ostenta et sanciri, et depelli. V. (*Varii mores*). VI. Ex viro medicinae, et observationes, ccx*ei : pnero, vm. VII. (* Ex saliva. VIII. Ex sordibus anriam. IX. Ex capillo, dente, ete X. Ex sanguine, Venere, etc. XI. Ex mortuis. XII. Magorum commenta vari*. XIII. Ex sordibas hominis. XIV. Ab animo hominis pendentes aaedicinae. XV. Ex sternutamento. XVI. Ex Venere. XVII. Promiscua remedia. XV II I. De urina. XIX. Auguria valetudinis ex urina*). XX. Ex muliere, medictae xli. XXI. (*Ex lacte mnlieris. XXII. Ex saliva mulieris. XX II I. Ex mensibns *). XX? V. Ex peregrinis animalibus: elephante, vui. XXV. Leone, x. XXVI. Camelo, x. XXVII. Hyaena, lixjx .
LIBRO xxvm CoevaeooMi u « w q u i ena ss tiagooio DAGLI A BUCALI.
i e 2. Medicine che traggonsi dall'uomo. 3. Se nel medicare abbiano alena petere le parole. 4- Dei prodigii da osservare, o negligere. 5. Fa r ii costumi. 6 Medicine che si traggono dalTneno, « osser vazioni a26 : da' fanciulli, 8. 7. Dalla sciliva. 8. Dalle brutture delle orecchie. 9. Dai capelli, dai denti, eoe. 10. Dal sangue, dal coito, ecc. 11. Dai morti. ia. Varie inventioni de’ magi. 13. Dal loto dell*uomo. 14. Medicine che procedono dell* animo delΓ uomo. 15. Dallo starnuto. 16. Dal coito. 17. Rimedii promiscui. 18. DelPorina. 19. Augurii di sanivi traili dell'orina. ao. Medicine 4 1 tratte dalle donne, ai. D al latte della donna. аа. Dalla sciliva della donna. a3. Da' menstrui. Dagli animali forestieri : deU’clefote· 8. a5. Dal leone, 10. аб. Dal cammello, 10. 37. Della iena, 79.
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HISTORIARUM MUNDI L1B. I.
XXVIII. Crocodilo, xxi. Crocodilea, xi. XXIX. Chamaeleone, xt. XXX. Scinco, iv. . XXXI. Hippopotamo, vn. XXXII. Lynce, v. XXXIII. Medicinae communes ex animalibus fe ris, aut ejusdem generis placidis. Laciis usus, et observationes, l i v . XXXIV. De caseis, x i i . XXXV. Butyro, xxv. XXXVI. Oxygala, i. XXXVII. Adipis usus, et observationes, mi. XXXVIII. De sevo. XXXIX. De medulla. XL. Felle. XLI. Sanguine. XL1I. Privatae ex animalibus mediciuae digestae in morbos. (* Contra serpentes *). — Ex cer vis. — Hinnuleo. — Ophione. — Apro. — Ca pris, et hoedis. — Asino. XL11I. (* Contra canis rabidi morsus * ). — Ex vi tulo. — Hirco. — Diversis animalibus. XLIV. (* Contra veneficia. XLV. Contra venena. XLVI. Ad caput, et alopecias. XLV1I. Ad o c u lo r u m Titia. XLV11I. Ad aurium dolores, et vitia. XL1X. Ad dentium dolores. L . Ad faciei vilia. LI. Ad tonsillas, et strumas. L ll. Ad cervicum dolores. LUI. Ad tussim, et sanguinis cxcrealiones. L1V. Ad stomachi dolores. LV. Ad jocineris dolores, et suspiria. LVI. Ad lumborum dolores. LVU. Ad lienem sanandum. LV1I1. Ad alvum. LIX. Ad tenesmum, lineas, colum. LX. Ad vesicam, et calculos. LXI. Ad genitalium el sedis vitia. LX11. Ad podagram et pedum dolores. LXUl. Ad comitialem morbum. LX1V. Ad morbum regiam. LXV. Ad ossa fracta. LXV1. Ad febres. LXVU. Ad melancholicos, lethargicos, phthi sicos. LXVUI. Ad hydropicos. LX1X. Ad ignem sacrum, et eruptiones pituitae. LXX. Ad luxata, ad duritias, et furunculos. LXXI. Ad ambusta*). De glutino taurino pro bando, et medicinae ex eo, vn. LXXII. I* Ad nervorum dolores, et contusa.
,46
a8. Dal crocodilo, ai. Delia crocodilea, u . ag. Dal caroeleone, i 5. 30. Dallo scinco, 4· 3 1. Dall’ ippopotamo, 7. з а. Del lupo cerviero, 5. 33. Medicine comuni tratte dagli animali salvalichi, o da* domestici della stessa· spede. Usi del latte osservazioni, 54. 34· D e'caci, ia. 35. Del burro, a5. зб . Del latte acido, 1. 37. Usi della sugna a osservazioni 5a. 38. Del sevo. 39. Della midolla. 40. Del fiele. 4 1. Del sangue. 4a. Medicine speciali tratte da aoimali per tulle le malattie. Contro i serpenti. — Dai cer vi. — Dal cerviatlo. — Dall'ofio. — Dal cinghiale. — Dalle capre e dai capretti. — Dall'asino. 43. Contro il morso del cane arrabbiato. — Dal vitello. — Dal becco. — Da varii altri animali. 44· Contro le malie. 45. Contro i veleni. 46. Ai mali del capo, e alla tigna. 47. Ai mali d'occhi. 48. Ai dolori e mali d'orecchie. 49. Ai dolori dei denti. 50. Ai difetti del viso. 5 1. Alle tonsille e alle scrofe. 5a. Ai dolori ddla collottola. 53. Alla tosse e al recere sangue. 54. Ai dolori dello stomaco. 55. Ai dolori del fegato, e ai sospiri56. Ai dolori de' lombi. 57. A risanare la milza. 58. A ristagnare il corpo. 59. Al mal de' pondi, ai vermini, ai dolori colici. 60. Alle doglie d'orina e al mal di pietra. 61. Alle malattie de'membri genitali e del fonda mento. 62. Alla gotta e a' dolori de' piedi. 63. Al mal caduco. 64. Al morbo regio. 65. Alla frattura delle ossa. 66. Alla febre. 67. A' maninconici, letargici, tisici. 68. 69. 70. 71.
A' rilruopici. Al fuoco sacro, c agli umori della flemma. A' membri sconci, alle durezze, ai Agnoli. Alle incollure. Della colla bovina da sceglie re, e medicine, che se ne fanno, 7. 72. Ai dolori de' nervi, e alle contusioni.
C. PLINII SECUNDI
147
LXX 11I. Ad sanguinem sistendum. LXXIV. Ad ulcera, et carcinomata. LXXV. Ad scabiem. LXXVI. Ad extrahenda qnae sunt infixa corpori, et ad cicatrices sanandae. LXXVU. Ad muliebria mala*). LXXV 1II. Ad iufantium morbos. LXX 1X. (* Ad somnum et sudorem. LXXX. Ad Venerem, et ebrietatem. LXXXI. Mira de animalibus*).— Snnt medici nae ex apro, xii. — Sue, l x ; — Cervo, m ; — Lupo, xxvu ; — Urso, xxiv ; — Onagro, xii ; — Asino, l k x v i ; — Polea, ui ; — Equifero, xi; — Equulei coagulo, i ; — Equo, x l i i ; — Hip pace, i ; — Bobus feris, u ; — Bove, l x x x i . — Tauro, l u i ; — Vitato, l i x ; — Lepore, l x i ? ; — Volpe, xx ; — Mele, n ; — Fele, ▼; — Ca pra, cxvi ; — Hirco, xxxi ; — Hoedo, xxi.
S omma : Medicinae, et historiae, el observationes,
73. A ristagnare il sangue. 74· Alle ulcere, e piaghe infistolite.
75. Alla rogna. 76. A estrarre ciò che s’ è infisso nelle membra, e a levare le margini delle piaghe. 77. Ai mali delle donne. 78. Ai mali de* bambini. 79. Al sonno e al sudore. 80. Alla lussuria e all'ubbriachezza. 81. Maravigliose cose d’ animali. — Traggonsi medicine dal cinghiale, 12. — Dal porco, 60 ; — Dal cervo, 3 ; — Dal lupo, 37 ; — Dall'orso, 2$; — Dall'onagro, 1 2 ;— Dal l'asino, 76 ; — Dallo sterco del feto asine sco, 3 ; — Dal cavallo salvalico, 11; — Dal coagulo del puledro, 1 ; — Dal cacio caval lo, 42 ‘* — Da'buoi salvatichi, 2; — Dal bue, 81 ; — Dal toro, 53 ; — Dal vitello, 59; — Dalla lepre, 64; — Dalla volpe, 20; — Dal martorn, 2; — Dal gatto, 5 ; — Dalla capra, 116; — Dal becco, 3 »; — Dal ca pretto, 11. Somma : fra mediciue, storie e os«ervazioni 1682.
MDCLXXXII.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
M. Varrone. — L. Pisone. — Fabiano. — Va lerio Antiate. — Verrio Flacco. — Catone censo rio. — Servio Sulpicio. — Licinio Macro. — Celso. — Masurio. — Sextio Nigro, qai graece scripsit. — Bytho Dyrracheno. — Opilio medico. — Granio medico.
Marco Varrone. — Lacio Pisone. — Fabiano. — Valerio Amiate. — Verrio Flacco. — Catone Censorino. — Servio Sulpicio. — Licinio Macro. — Celso. — Masurio. — Sestio Nigro, che scrisse in greco. — Bito Dirracheno. — Opilio medico. — Granio medico.
EXTERNIS
STRANIERI
Democrito.— Apollonio, qai Mc?fatvtv. — Mi leto. — Artemone. — Sextilio. — Antaeo. — Ho mero.— Theophrasto.— Lisimacho. — Attalo. — Xenocrate. — Orpheo, qui ΔιφΜΐΎ. — Archelao, qui i lem. — Demetrio. — Sotira.— Laide,— Ele phantine. — Salpe. — Olympiade Thebana. — D io lim o Thebano. — lolia. — Mictone Smyroaeo. — Aeschioe medico.— Hippocrate. — Ari stotele. — Metrodoro. — Icetida medico. — He siodo. — Dalion?. — Caecilio. — Bione, qui
Democrito. — Apollonio, che scrisse degli unguenti. — Milelo. — Artemone. — Sestilio. — Anteo. — Omero. — Teofrasto. — Lisimaco. — Attalo. — Seuocrate. — Orfeo, che scrisse le Difie. — Archelao, che del pari. — De metrio. — Sotira. — Laide. — Elefantine. — Salpe. — Olimpiade Tebana. — Diotimo l'ebano. — lolla. — Milione Smirneo. — Eschine me dico. — Ippocrate. — Aristotele. — Metrodoro. — Icetida medico. — Esiodo. — Dalione. — Cecilio. — Bione, che scrisse della virtù delTerbe. — Anassilao. — Il re Giuba.
HISTORIARUM MUNDI L1B. 1.
LIBRO XXIX
libro xxix
CORIRMTOI KDKIHiB BX EBLIQOIS ASIMAL1BOS, Q0AB AUT PLACIDA SOS SOST, AOT F&BA.
Si mscoa&E delle medicisb a u si farso oboli ALTRI ASHMLI, 1 QUALI H0 DOMESTICI SOSO, uè SALVATICI.
I. De origine medicinae. II. De Hippocrale: qaando primum clinice, quan do primum iatraliptice. I I I . De Chrysippo, et Erasistrato.
IV. De empirice. V. De Herophilo, et reliqais illustribus medicis : quoties ratio medicinae mutata sit. VI. Quis primas Romae medicas, et qaando. VII. Qaid de medicis anliqais Romani judica verint. V ili. Vilia medicinae. IX. Remedia ex lanis, xxxv. X. De oesypo, xxxii. XI. Ovis, xxi. XII. De serpentium ovis. XIII. De commageno conficiendo. Medicinae ex eo, iv. XIV. (* Remedia ex cane *). XV. (* Remedia per morbos corporis digesta. Ad versas serpentium ictus. — Ex mure. XVJ. Ez mustela. XVII. Ex cimicibus. XV I I I . De aspidibus. XIX. Ex basilisco. XX. Ex dracone. XXI. Ex vipera. XXII. Ex reliquis serpentibas. XXIII. De salamandra. XXIV. Ex volucribus, adversus serpentes. — Ex vallare. XXV. Ex gallinaceis. XXVI. Ex reliqais avibus. XXVII. Ex phalangiis. Eorum genera, et ara neorum. X X V ili. Ex stellione. XXIX. Ex diversis insectis. XXX. Ex cantharidibus. XXXI. Contra venena aliqua. XXX I I . Contra canis rabidi morsus. XXX I I I . Contra reliqua venena. XXXIV. Ad alopecias. XXXV. Ad lendes et porrigines. XXXVI. Ad dolores et vulnera capitis. XXXY1I. Ad palpebras. XXXV 1U. Ad ocaloram vilia.
i. Dell'origine della medicina. а. Di lppocrale : quando fu istituita la medi cina pratica, quando quella che cura con unzioni e frega menti. 3. Di Crisippo e di Erasistrato. 4. Della medicina che basa sull'esperienza. 5. Di Erofilo, e degli altri illustri medici : quan te volte siasi mutala la ragione della me dicina. б. Chi fu il primo medico in Roma, e qaando. 7. Che giudicio facessero i Romani de'medici antichi. 8. Difetli della medicina. 9. Rimedii traili dalla lana, 35. 10. Dalla lana sucMa, 3a. 11. Dalle uova, a i. ia. Delle uova de' serpenti. ■ 3. Come si faccia il comageno. Medicine di esso, 4.
14. Rimedii tratti dal cane. 15. Rimedii appositi ad ogni malattia del corpo. — Contro il morso de'serpenti. — Rimedii tratti dal Isjpo. 16. Dalla donnola. 17. Dalle cimici. 18. Degli aspidi. 19. D d basilisco, ao. Dal dragone, a i. Dalla vipera. aa. Dagli altri serpenti. a3. Della salamandra. a4· Dagli uccelli, contro i serpi. — Dall’avoltoio. a5. Dai polli. a6. Dagli altri uccelli. V). Dai falangi. Specie loro, e de' ragni· ab. Dal ramarro. 39. Da diversi inselli. 30. Dalle cantarelle. 31. Contro alcuni veleni. за. Contro il morso del cane arrabbiato. 33. Contro gli altri veleni. 34. Rimedii alla tigna. 35. Alle lendini e agli escrementi de' capelli. зб. Ai dolori e ferite del capo. 37. Ai mali delle palpebre. 38. Ai mali degli occhi.
C. PLINII SECUNDI XXXIX. Ad aurium dolores, el vilia. XL. Ad parotidas *). S omma
: Medicinae, el historiae, el observationes,
39. Ai dolori e malattie delle orecchie.
40. Alle posteme dietro gli orecchi. Somma: fra-medicine, storie e osservazioni 621.
DCXXl.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
M. Varrone. — L. Pisone. — Verrio Flacco. — Antiate. — Nigidio. — Cassio Hemina. Ci cerone. — Pianto. — Celso. — Sextio Nigro, qoi graece scripsit. — Caecilio medico.— Metello Sci pione. — Ovidio poeta. — Licinio Macro.
Marco Varrone. — Lucio Pisone. — Verrio Flacco. — Anziate. — Nigidio. — Cassio Emina. — Cicerone. — Plauto. — Celso. — Seslio Ni gro, che/scrisse in greco. — Cecilio medico. — Metello Scipione. — Ovidio poeta. — Licinio Macro.
EXTERNIS
STRANIERI
Philopatore. — Homero. — Aristotele. — Or pheo. — Democrito. — Anaxilao.
Filopatro. — Omero. — Aristotele. — Orfeo. — Democrito. — Anassilao.
MEDICIS
MEDICI
Botrye. — Apollodoro. — Archidemo. — Aristogene.— Xenocrate.— Democrate. — Diodoro. — Chrysippo philosopho. — Horo. — Nicandro. — Apollonio Pilaoaeo.
Botrie. — Apollodoro. — Archidemo. — Aristogene. — Senocrate. — Democrate. — Diodo ro. — Crìsippo filosofo. — Oro. — Nicandro. — Apollonio Pilaneo.
---- ψ ----
— «fi*----
LIBRO X X X
LIBRO XXX
CorriN BHTum m e d i c i n a e e x a n i m a l i b u s b e l i q o a e .
Si
VBBSA SULLE MEDICINE TRATTE DAGLI ALTEI ANIMALI.
I. De origine magices. II. Quando et a quo coeperit : a quibas celebrata sit. III . An exercuerit eam Italia : quando primum senatns vetuerit hominem immolari. IV. De Galliarum druidi·. V. De generibus magices. VI. Magorum perfugia. VII. De talpis opinio magorum, medie, v. V ili. Reliquae medicinae per morbos digestae ex animalibus. — (* Ad dentium dolores. IX. Ad oris saporem et ulcera. X. Ad faciei maculas. XI. Ad vitia faucium. XII. Ad anginas èt strumas. Χ 11Ι. Ad humerorum dolores. XIV. Ad praecordiorum dolores. XV. Ad stomachi dolores. XVI. Ad jocinoris dolores, et rejectiones san guinis. XVU. Ad lienem.
i. DeU'origine dell'arte magica. а. Quando e da chi ebbe principio ; da chi fu celebrala. 3. Se P Italia la esercitò : quando vietò la prima volta il senato che si sacrificassero uomini. 4 . Dei druidi della Gallia. 5. Delle specie della magia. б. Falsità dei magi. 7. Opinioni de1 magi sopra le talpe, medie. 5. 8. Altre medicine, tratte dagli animali, secondo le specie delle malattie. Ai dolori dei denti. 9. Al cattivo alito e alle ulceie della bocca.
10. Alle macchie del viso. 11. Ai mali della gola.
12. Alle gavine e alle scrofe. 1 3. Ai dolori delle spalle. 14. Ai dolori de' polmoni. 1 5. Ai dolori dello stomaco. 16. Ai dolori del fegato, e allo spular sangue. 17. Alla milza.
HISTORIARUM MUNDI L1B. I. XYI1I. Ad lateris, el lumborum dolores. XIX. Ad dy sente ricos. XX. A d Ileon, et reliqaa ventris vitia. XXI. Ad calcatos, et vesicam. XXII. Ad sedis, el verendorum vitia. XXIII. A d podragas, et morbos pedam. XXIV. A d mala, qaae tolis corporibas metuenda sunt. XXV. A d perfrictiones. XXVI. A d paralysin. XXVU. A d morbam comitialem. XXVII I . A d morbam regiam. XXIX. Ad pbrenesin. XXX. Ad febres. XXXI. Ad hydropisin. XXXII. A d ignem sacram. XXXI I I. Ad carbunculos. XXXIV. Ad farancalos. XXXV. A d ambasta. XXXVI. A d nervorum dolore·. &XXVI 1. Ad anguium et digitorum vitia. IX X V 111. Ad sanguinem sistendum. XXXIX. Ad ulcera et vulnera. I L Ad ossa fracla. XLI. Ad cicatrices, et vitiligines *). XLII. Ad ea, qaae extraheoda sant corpori. XLIII. Ad muliebria mala. XL1V . Ad parium juvandam. XLV. Ad mammas servandas. X L V l. Ad pilos tollendos. , XLVII. Ad morbos infantium. XLVIII. Ad somnos. XL1X. Ad Venerem. 1*. Ad phthiriasin, et alia nonnulla promiscua. U. Ad ebrietatem. UI. Notabilia animalium. LIU. Reliqaa mirabilia *). ^t aiu: Medicioae, et historiae, et observationes,
,54
18. Ai dolori de' fianchi e de' lombi. 19. Al male de' pondi. ao. Ai mali dell' intestino ileo e dei ventre· ai. Al mal della pietra, e della vescica, aa. Ai mali del fondamento e del sesso. a3. Alle gotte e a' mali de’ piedi. a4· Ai mali di tutto il corpo. a 5. Alle grattatare. 36. Al morbo regio. 37. Al mal caduco. 38. Al morbo regio. 39. Alla freoesia. 30. Alla febre. 3 1. Alla idropisia. з а. Al fuoco sacro. 33. Ai carboncelli. 34· Ai fignoli. 35. Alle incotture. зб . Al dolore de’ nervi. 37. Ai malori dell’ unghie e delle dita. 38. A ristagnare il sangue. 39. Alle ulcere e alle ferite. 40. Alle tratture delle ossa. 41. Alle margini delle ferite, e alla morfea. 4a. A cavare dal corpo ciò che vi si è infisso. 43. Ai mali delle donne. 44· Ad agevolare il parto. 45. A conservare le poppe. 46. A svellere i peli. 47. Ai mali de’ bambini. 48. Al sonno. 49. Alla lussuria. 50. Al male de' pidocchi, e altri rimedii pro miscui. 5 1. Alla ubbriache»·. 5a. Delle maraviglie di alcune bestie. 53. Altre maraviglie. Somma:
fra medicioe, storie e osservazioni 854·
o o c c l iv .
EX AUCTORIBUS
AUTORI
M. Yarrroue. — Nigidio. — M. Cicerone.— Vilio Nigro, qui grace scripsit.— Licinio Macro.
Marco Varrone. — Nigidio. — Marco Cice rone. — Sestio Nigro, che scrisse in greco. — Licinio Macro.
EXTERNIS
STRANIERI
t-udoio. — Aristolele. — Hermippo. — How o . — Apione. — Orpheo. — Democrito. — Aoaiilao.
Eudosso.— Aristotele. — Erroippo. — Omero. — Apione. — Orfeo. — Democrito. — Anassilao.
C. PLINII SECONDI
155
MEDICIS
MEDICI
Botrye. — Apollodoro. *— Menandro — Archidemo. — A ristogene. — Xenocrate. — Diodoro. — Chrysippo. — Horo.— Nicandro. — ApolIonio Pitanaeo.
Botrie. — Apollodoro.;— Menandro. — Ar* chidemo. — Aristogene. ♦ —* Seaocnile. — Diodoro. — Crisipp». — Oro. — Nicandro. Apolioato Pitaneo.
---- «β*----
---- Ψ----
LIBRO XXXI
LIBRO XXXI
CoBTIHEWTOm MBD1CIBAB BX AQUATILIBUS.
CoNTBBGOaSI LB MBDICIKB CHB SI Τ&ΑββΟΒΟ
I . Aquarum mirabilia. I I . Aquarum differentiae.
IU. Aqnarnm medicinae : observationes, cclxvi. IV. Quales fecandidatem faciant, qaales insaniae medeantur. V. Qaales calculosis. VI. Qaales vulneribus. VII. Quales partum custodiant. VIII. Quales vitiliginem tollant. IX. Quae colorem lanis faciant. X. Qaae hominibus. XI. Qaae memoriam : qoae oblivionem. XII. Qaae sensas subtilitatem : quae tarditatem : quae canoram vocem. XIII. Quae vini taedium : qnae inebrient. XIV. Quae olei vicem praestent. XV. Quae salsae, et amarae. XVI. Quae saxa egerant : quae risum, et plora tam adaat : qaae amorem sanare dicantor. XVII. Per triduum calentes haustu. XV II I. Aquarum miracula. Iu quibus omnia mergantur : in quibus nihil. XIX. Aqnae necantes : pisces venenati. XX. Quae lapideae fiant, aat lapidem laciant. XXI. De salubritate aquarum. XXU. De vitiis aquarum. XX 1U. Probatio aquarum. XXIV. De equa Marcia. XXV. De aqua Virgine. XXVI. Aquas inveniendi ralio. XXVU. Signa aquarum. XXV 11I. Differentiae aquarum per genera terrae. XXIK. Ratio «quarum per tempora anni. XXX. Aquarnm subito nascentium aut desinen tium observatio historica. XXXI. Ralio aquae ducendae.
DAGLI ABUSALI ΟΙ ACQUA.
i . Maraviglie delle acque. а. Della differenza delle «eque. 3. Medicine di acque e osservazioni *66. 4· Qaali acque producano fecondità, quali sito buone alla pazzia. 5. Quali al mal della pietra. б. Quali alle ferite. 7. Quali conserviuo il parto. 8. Quali levino la morfea. 9. Quali diano colore alle lane. 10. Quali agli uomini. 11. Quali facciano memoria, qaali oblivione. 1 a. Quali rendono i sensi più sottili, quali pii grossi : quali canora la voce. 13. Quali facciano venire a noia il vino : qua ubbriachino. 14. Qoali abbiano la virlù dell'oiio. 15. Quali sieno salse, quali amare. 16. Quali mandino fuori i sassi: qoali inducali 'al riso e al pianto: quali facciano depi l’amore. 17. Dell’acqua, che attinia dura calda per ti giorni. 18. Maraviglie delle acque. In quali ogni co vada al fondo, in quali ninna cosa. 19. Acque micidiali : pesci avvelenati. ao. Quali s1 impietrino, quali impietrino altro, ai. Della salubrità delle acque. аа. Dei difetti delle acque. a3. Del conoscere le acque. a4· Dell'acqua Marcia. a5. Dell’acqua Vergine. аб. Del modo di ritrovar acqua. 37. Degl’ indizii per ritrovar delle acque. 38. Della differenza delle acque secondo li qt liti della lerra. 39. Proprietà delle acque secondo le stagioni. 30. Osservacene storica sopra le acque che bito nascono, o spariscono. 3 1. Del come coudurre le acque.
HISTORIARUM MUNDI LIB. 1.
.57
XXXII. Quomodo medicali· utendum. XXXUI. Item marinis. Quis prosit navigatio. XXXIV. Quomodo marina aqua in mediterraneo fieri possit. XXXV. Quomodo lh«fessomeli. XXXVI. Quomodo hydromeli. XXXVII. Remediam contra peregrinas aquas. X X X V ili. Ex mosco, medioinae τι. Medidnae ex arenis. XXXIX. De salis geneneribas, et confecturis, et mediciois, observationes, cctv. XL. De maria. XLI. De salis auctoritate, historica cxx. XLII. Floa salis, xx ; salsugo, n. XLU1. De garo, xv. XLIV. De morìa, xv ; de alece, vm. XLV. De natara salis : de spoma salis. XLVI. De nitri generibus, et confecturis, el me dicinis, observationes ccxxi. XLVIl. De spongiis, medidnae et observatio* ■e s ,
i58
з а. Come s’abbiano a usare le medicinali. 33. Come quelle di mare. A che giovi il navigare.
34. Come fra terra si possa lare l’acqua salsa. 35. Come il talassomele. зб . Come l’ idromele.
37. Rimedio coolro le acque forestiere. 38. Dal muschio, medicine 6. Mediane Catte del
l'arena. 39. Delle specie del sale, e come si fa, e sue mediane : osservazioni 204. 40. Della muria. 41. Dell’autorità dd sale: ceani storia 120. 42. Del fior del sale.raedic. 20 : della salsugine, 2. 43. Del garo, i 5. 44· Della muria, i 5 : dell’alece, 8. 45. Della natura dd sale : della schiuma di esso. 46. Delle specie del nitro, e come si fa, e sue medicine : osservazioni aai. 47. Delle spugne, mediane e osservazioni 92.
x c ii.
Svmwa : Medicinae, et historiae el observationes,
Somma : fra mediane, storie e osservazioni 924*
DCCCCXXIV.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
M. Varrone. — Cassio Parmense.— Cicerone. — Muciano. — Caelio. — Celso. — Trogo. — Ovi dio. — Polybo. — Sornatio.
Marco Varrone. — Casato Parmense. — Ci cerone. — Muciano. — Celio. — Celso. — Trogo. — Ovidio. — Polibo. — Sorna zio.
EXTERNIS
STRANIERI
Callimacho. — Caecilio. — Ctesia. — Eudico. — Theophrasto. — Eudoxo. — Theopompo. — M ydyto. — Juba. — Lyeo. — Apione. — Epi geo*.— Pelope.— Apelle. — Democrito.— Thra*yllo. — Nieaadro.— Menandro comoedo. — At talo. — Sallustio Dionysio. — Andrea. — Niceralo. — Hippocrate. — Anaxilao.
Gilliraaco. — Cecilio. — Ctesia. — Eudico. Teofraslo. — Endosso. — Teo pompo. — Polidito. — Giuba. — Lieo. — Apione. — Epigene. Pelope. — Apelle. — Democrito. — Trasillo. — Nicandro. — Menandro comico. — Attalo. — Sallustio Dionisio. — Andrea. — Nicerato. — Ippocrate. — Anassilao.
LIBRO XXXII
LIBRO XXXII Si
C o a T ia B B T o a m e d ic h i a b e x a q d a t i l i b o s .
I. De echeneide, 11. IL De torpedine, v i i . III. De lepore marino, v. IV. Mirabilia Robri maris. V. De ingeniis piseium. VI. Proprietates pisdam mirabiles. VII. Ubi edant e manu.
VBBSA SULLB MEDICINE TBATTE DAGLI ANIMALI d’ acqua.
1. Dal pesce echeneide, 2. а. Dalla torpedine, 7. 3. Dalla lepre marina, 5. 4. Maraviglie del mar Rosso. 5. Dell’ industria de’ pesci. б. Mirabili proprietà dd pesci. 7. Dove piglino il mangiare dalle mani-
i59
C. PLINII SECUNDI
VIII. Ubi vocem agnoscant, et ubi responsa den tur ex piscibus. IX. Ubi amari sint pisces, ubi salsi, ubi dulces. X. Quando marini pisces in usu primum esse coeperint. Nomae regis constitutio de pi scibus. XI. De curalio, medicinae et observationes, xi.iv. XII. Esseet locorum sympathiam, et antipathiam, et de discordia inter se marinorum. De galeo, mullo, xv ; et pastinaca, ix. XIU. De his, quibus in terra et in aqua victus esi. De castoreis, medicinae et observationes,Lxvi. XIV. De testudine, medicinae et observationes,
160
8. Dove conoscano la vooe,e dove diano augurii I
9. Dove i pesci sieno amari, dove .salsi, dove dolci. 10. Quando i pesci marini abbiano cominciato 1 venire in uso. Ordinarono di Numa rap porto ai pesci. 1 1. Del corallo, medicine e osservazioni, 44la. Che i pesci hanno simpatia e antipatia per certi luoghi ; e della discordia fra loro. Del galeo e del muggine, medicine e osser· vazioni, i 5 j e della pastinaca, 9. 13. Di quelli che vivono in terra, come in acqua. — De’castorei,medicine e osservazioni, 66. 14. Della testuggine, medicine e osservazioni, 6&
LXVI. XV. (*Remedia ex aquatilibus in morbos digesta. XVI. Contra venena, et veneficia *). — Ex aura· ta, m. — Ex stella marina, vn. XVU. (* Contra serpentium ictus, et canum mor sus, et venenata *). — Ex dracone marino, et salsamentis, xxv. — Ex sardis, 1. — Ex cy bio, XI. XVIII. Rana marina, vi.— Fluviatilis, l i . — Ra na rubeta, 1. Observationes circa eas, xxxv. XIX. Enhydris, vi. — Cancri fluviatiles, vn. — Cochleae fluviatiles, vu. — Porcelli, sive porci, 11. XX. Vitulus marinus, x. — Muraena, 1. — Echi ni, XI. XXI. Ostreorum genera, et observationes, ac medicinae, ix. XXII. Alga marina, n. XXIII. (* Ad alopecias, et capillos et capitis ul cera *). — Hippocampus, xi. — Mus marinus, 11. — Scorpio marinus, xu.— Sanguisugae, vn. — Murices, xm. — Conchylia, v, etc. XXIV. (* Ad oculos, et palpebras *). — Piscium adeps, 1. — Callionymus, iv. — Coracini fel, 1. — Sepiae, xxm. — Icbthyocolla, v, etc.
XXV. (* Ad aurium vilia *). — Balia, 1. — Bac chus, sive myxon, u.— Marini pediculi, 11, etc. XXVI. (*Ad dentium dolores*). — Canicula, iv, etc. XXVU. (*Ad lichenas, et faciei maculas*). — Del phinus, vm. — Colylia, sive corytia, iv. — Halcyoneum, vn. — Thynnus, v, elc. XXV 1U. (*Ad strumas, parotidas, anginas, et faucium vilia*). — Maenae, xu. — Scolopen-
15. Rimedii tratti dai pesci, proprii di dascuas malattia. 16. Contro i veleni e i veneficii. — Ddla orala, medie. 3. — Della stella marina, 7. 17. Contro i morsi de’serpenti, e de’cani, e ara tro le cose velenose. — Del dragone mari no, e de’ pesci serbati in sale, a5. — Ddle sardelle, 1. — Del dbio, 11. 18. Della ranocchia marina, 6. — Della ranoochia di fiume, 5 i. — Della ranocchia ru beta, 1. Osservazioni drca esse, 35. 19. Dei chdidri, 6. — D d granchi di fiume, 7. — Ddle chiocciole di fiume, 7. — Deppor celi·, o pord, a. ao. Del vitello marino, 10. — Ddla murena, 1. — Degli echini, 11. a i. Specie delle ostriche, osservazioni e medi ane, 9. аа. Deiralg* marina, a. a 3. Contro la tigna, i difetti de'capellie le ul cere del capo. — Dell’ ippocampo, 1 1 . — Dd topo di mare, a. — Dello scorpione ma rino, ìa. — Delle sanguisughe, 7. — Ddla murice, i 3. — Della conchiglia, 5, ecc. a4' Rimedii al male degli occhi e delle pal pebre. — Del grasso de’ pesci, 1. — Del callionimo, 4* — Del fiele del coraci no, 1. — Della seppia, a3. — Dell’ ittio colla, 5, ecc. a5. Contro i mali delle orecchie.— Della balìa, 1.— Del bacco, o missona, a. — De’pedan elili marini, a, ecc. аб. Contro i dolori dei denti. — Della cani cula, 4, ecc. 27. Contro le volatiche, e le macchie d e l ei*o. — Del delfino, 8. — Ddla colitia, o eoritia, 4· — Dell* alciooeo, 7. — Del ton no, 5, ecc. a8. Contro le scrofe, le parotide, le angine, « i mali della gola. — Della menola, 12. —
ιβ ι
HISTORIARUM MUNDI LIB. I.
dra, u. — Sinroi, i. — Conchae, i. — Silu ro», xt, eie. XXIX. (* Ad tussim, et pector» vitia. XXX. Ad jocfaeru, et lateri* dolores *).— Strorabos, sive concha longa, t i . — Tethea, r, èie. XXXI. (* Ad alvi viti· *). — Olus marinum, ι. — Myaces, xxv. — MyIuli, m. — Pelorides, i. — Seriphiam, u. — Maenae, xu. — Erythinus, u, etc. XXXII. (*Ad lienem, calculos,ac vesicae vitia*). Solea piscis.— Rhombus, i. — Blendea, i .— Urtica marina, it. — Pnlmo marinus, vi. — Ooyches, etc. XXXIII. (* Ad euterocelas; el sedis vilia *). — Ex colubro aquatico, i. — Ex hydro, i. — Mugi le, i. — Pelamide, m, etc. XXXIV. (* Ad panos, el verendorum vilia*).— Sciaena, i. — Percae, iv. — Squatinae, 11. — Smarides, ifi, etc. XXXV. (* Ad urinae incontinentiam *). — Ophidion, i, etc. XXXY 1. (* Ad podagras, el pedum dolores *). — Ex fibro, iv. — Bryon, i, elc. X X X V ll.f Ad comitiales. XXXVUI. Ad febres *). — Ex asello pisce, i. — Ex pagro, i. — Ex baiaeoa, i, elc. XXXIX. (*Ad lethargicos, cachecticos, hydro picos. XL. Ad ambusta, el ignes sacros. XLI. Ad aervoruro vitia. XL1I. Ad sistendum sanguinem, et ad extrahen dam *). — Ex polypo, i. — Ex sanguisu gi», etc. XLIII. (* Ad extrahenda corpori inhaerenlia. XLIV. Ad ulcera, carcinomata, et carbunculos. XLV. Ad verrucas, et ungium scabritiem*).— Ex glano i. etc. XLV 1. (*.Ad mulierum morbos *). 7- Ex glaucisco, 1. etc. XLVII. (* Ad pilos tollendos, psilothra. X L V llI. Ad infantium morbos. XL 1X. Ad ebrietatem arcendam *). — Rubellio, 1. — Anguilla, 1. — Uva marina, 1. L. (* Ad Venerem iuhibendam, vel concitandam*). — Hippopotamia, 1. — Dens crocodili, 1, elc. Ll. (* Ad animalium morbos. LII. De reliqais aquatilibus*). — Adarca, sive calamochnus, 111. — Calamus, vm. — (* Sepiae atramentum *), etc.
i6a
Della scolopendra, a. — Del Muro, 1. — Della conca, 1. — Del siluro, i 5, ecc. ag. Contro la tasse, e i mali del petto. 3o. Contro i dolori del fegato, e de'fianchi. — Dello strombo, o conca lunga, 6. — Della letea, 5, ecc. 3i .C ontro i mali del ventre. — Dell' erbag gio marino, 1. — Del miaco, a5. — Dei mitili, 3. — Della peloride, 1. — Del serifio, a. — Della roenola, 11. — DelPeritiuo, a, ecc. з а. Contro i mali della milza, della pietra e della vescica. — Del pesce soglia. — Del rombo, 1 .— Della blendea, 1 .— DeU'orlìca marina, a. — Del polmone marino, 6. — Deironiche, ecc. 33. Contro le crepature e altri mali delfonda mento. — Del colubro acquatico, 1. — DelΓ idro, 1. — Del muggine, 1. — Della pe lamide, 3, ecc. 34· Contro i carboncelli e altri mali delle parti vergognose. — Della sciena, 1. — Della perca, 4· — Della squatina, a. — Della smaride, 3, ecc. 35. Rimedii per ritenere Γorina. ·— Dell' ofidio, 1, ecc. зб . Contro le gotte e i dolori dei piedi. — Del fibro, 4 · — Del brione, 1. 37. Contro il mal caduco. 38. Contro le feb rì. — Del pesce asino, 1. — Del pagro, 1. — Delia balena, f, ecc. 3g. Contro i letargici, ì cachettici e i rilruopichi 4o. Contro le incolture e il fuoco sacro. 4 ·. Contro i mali dei nervi.
4a. A ristagnare e cavare il sangue. — Del poli po, 1. — Delle sanguisughe, ecc. 43. Ad estrarre del corpo che vi si è infisso. 44· Contro le ulcere, i cancri e i carboncelli. 45. Contro le verruche, e la scabia delle unghie.
— Del glano, 1, ecc. 46. Contro i mali delle donne. — Del glauci-
sco, 1, ecc. 47. A levare i peli, depilatorii. 48. Contro i mali de' bambini. 4g. Per allontanare l'ubbriachetta. — Del fragolino, 1. — Dell'anguilla, 1. — Dell'uva marina, 1. 5o. P er sedare e destare la lussuria. — Dell'ippopotamia, 1. — Del dente dèi crocodi lo, 1, ecc. 5 t. Contro le malattie degli animali. 5a. Degli altri animali d'acqua. — Dell'adarca, o calaraocno, 3. — Del calamo, 8. — DelΓ inchiostro della seppia, ecc.
C. PUNII SECUNDI
ι63
ι64
LUI. Animalium omnium in muri viventium no mina, c l x x v i . L 1V. (* Apud Ovidium posita nomina *). LV. Pisce· a nullo auctore nomioati.
53. Nomi di tatti gli animali che vivono in na re 176. 54· Nomi citati da Ovidio. 55. Pesci non nominati da veruno autore.
: Medicinae, et historiae, et observationes,
S omma : fra medicine, storie e osservazioni 990.
S um m a
DCCCCXC.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
Licinio Macro. — T rebio Nigro. — Sextio Ni gro, qoi graece-scripsit. — Ovidio poeta. — Cas sio Hemina. — Maecenate.— L. Attejo. «— Sornatio.
Lieinio Macro. — Trebio Nigro. — Seslio Nigro, che aerisse in greco. — Ovidio poeta. — Cassio Emina. — Mecenate. — Lucio Atteio. — Soruazio.
EXTERNIS
STRANIERI
Juba. — Andrea. — Salpe. — Apione. — Pe lope. — Apelle Thasio. — Thrasyllo. — Nicandro.
Giuba. — Andrea. — Salpe. — Apione. — Pelope. — Apelle Tasio.— Trasillo. — Nicandro.
—
I. (* De metallis. *) II. De auro. III. Quae prima commendatio ejus. IV. De annulorum aureorum origine. V. De modo auri apud antiquos. VI. De jure annulorum aureorum. VII. De decuriis judicum. V ili. De equestri ordine.
IX. Quoties nomen equeslris ordinis immutatum. X . De donis militaribus, aureis, et argenteis. XI.' Quando primum corona aurea data. XII. De reliquo usa auri femioarum. X 11L De nummo aureo. Quando primum ligna tum est aurum et argentum. Antequam ea signarentur, quis mos in aere : et quae maxi ma pecunia primo censu. Quoties et quibus temporibus auctori las aereis nummis signatis.
XIV. Aestimatio de cupiditate auri. X V. Qui plurimum auri et argenti possederint. XVI. Quando primum argenti apparatus in are na. Quando in scena. XVII. Quibus temporibus plurimum in aerario populi Rom. auri et argenti fuerit. XVIU. Quando, primum lacunaria inaurata. XIX; Quibus de causis praecipua auctoritas auro. XX. Ralio inaurandi. XXI. De inveniendo aaro.
—
LIBRO ΧΧΧΠΙ
LIBRO ΧΧΧΙΠ CoUTIHRHTUR METALLORUM NATURAR.
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Si
TRATTA LA NATURA DB! MBTALL1.
1. De* metalli. а. Dell'oro. 3. Quando cominciò l'oro avere autorità. 4. Dell'origine delle anella d'oro. 5. Del modo dell'oro presso gli antichi. б. Del privilegio delle anella d'oro. 7. Delle decurie dei giudici. 8. Dell'ordine equestre. 9. Quante volle il nome dell’ ordine equestre mutò. 10. De’ doni militari d'oro e d'argento. 11. Quando fu data la prima volta corona d’oro, ia. Dell’uso dell’oro fra le donne. 13. Della moneta d’ oro. Quando si cominciò coniare l’oro e l’argento. Come s’ usasse il rame, innanzi che si coniassero monete, e quale fu la maggior somma di danari nel primo ceuso. Quante volte e in q u lii tempi il rame coniato fu in riputazione. 14. Della cupidità dell’oro. 1 5. Dei più gran possessori d'oro e d’argento. 16. Qusndo si cominciò nsare d’apparati argeatei nell'arena. Quando nelle scene. 17. In quali tempi fu nell'erario del popolo R o mano maggior somma d’oro e d’argento. 18. Quando si cominciò inorare i soffitti. 19. Delle cause, onde l’oro ha tanta riputazione, ao. Moào d’ inorare. a i. Del modo di ritrovare Toro.
.65
HISTORIARUM MUNDI L1B. I.
XXII. De auripigmento. XX I I I . De electro. XXIV. Primae aureae statuae. XXV. Medicinae ex aaro, vm. XXVI. De chrysocolla. XXVU. Ralio ejus in pictoris. XXVUI. Ex chrysocolla medicinae, τι. XXIX. De aurificum chrysocolla, sive satem a. XXX. Mirabilia nalorae, glutinandis inter se, et perficiendis metallicis rebos. XXXI. De argento. XXXII. De argento vivo. XXXII I. De stimi, sive slibi, stive alabastro, sive larbaso, sive platyophthalmo. XXXIV. E x eo medicinae vu. XXXV. De scoria argenti. Medicinae ex ea.
166
LV1. De sile, et qoi primi sile pinxerint, et qaa ratione. LVU. De caeruleo. LV1U. Medicinae ex coeruleo.
а а . Dell'orpimento. a 3. Dell'elettro. a 4 · Prima statue d'oro. a5. Dell'oro si fanno medicine 8. аб. Delia crisocolla. 37. Come se ne usi nella pittura. a8. Della crisocolla si fanno medicine 6. 39. Delia crisocolla degli orefici, o santerna. 30. Maraviglie della natura nel commettere fra loro, e formare i diversi metalli. 3 1. Dell'argento. з а. Dell'argento vivo. 33. Dello stimi, o stibio, o alabastro, o larbaso, o platioflalmo. 34. Se ne fanno medicine 7. 35. Della scoria dell'argento. Medicine che se ne fanno. зб. Del m ioio. Quanto ei fosse religiosa cosa presso gli antichi. 37. Dell' invensione e origine di esso. 38. Del cinabro. 39. Come s'osi il cinabro e il minio nella pittura. 40. Specie del minio. Medicine che se ne /anno. 41. Del lilargiro. 4a. Del modo d ' inorare l'argento. 43. Delle pietroline che trovansi fra l'oro. 44· Specie dell'argento, e come si esperimenti. 45. Degli specchi. 46. Dell'argento Egiziano. 47. Della stragrande pecunia : chi ebbe le mag giori ricchezze. 48. Qaando la prima volta il popolo Romano gettò danari. 49· Del lusso in vasi d'argento. 5o. Esempli della frugalità antica rispetto all'ar gento. 5 {.Q uando si cominciò fornire le Ietta con argento. 5a. Quando furon fatti sontuosissimi bacini. Qaando timpani d’argento. 53. Stragrande somma d'argento. 54· Delle statue d'argento. 55. Della eccellenza di molte opere e di artefici in argento. 56. Del sile, e de' primi che giunsero con esso, e in che modo. 57. Del ceruleo. 58. Medicine che si fanno del ceruleo.
S o n i : Medidnae, et historiae, et observationes,
• Somm a : fra medicine, storie e osservazioni 11 a5 .
XXXVI. De minio. Quam religiosam apad antiqoos fuerit. XXXVII. De inventione ejus, et origine. XXXVUl. De cinnabari. XXXIX. Ralio cinnabaris et minii io picturis. XL. Genera minii. Medicinae ex minio. XLI. D e bydrargyro. XLII. De argento inaurando. XL1I1. De coticulis aurarii·. XL 1V. Argenti genera, et experimenta. XLV. De speculis. XLVI. De Aegyptio argento. X L Y ll. De immodica pecnoia : quorum maximae opes foerint. XLVJ1I. Quando primum populus Romanus stipem sparserit. XLIX. De luxaria in vasis argenteis. L. Frugalitatis antiquae in argento exempla. LI. Qaando primum lectis argentum additum. UI. Qaando lances immodicae factae. Quando primum tympana facta. L lll. Immodica argenti pecunia. L 1V. De statuis argenti. LV. Nobilitates operum, et artificum in argento.
MCXXV.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
L. P is o n e .A n tia t e .— Verrio. — M. Var rone. — Corn. Nepote.— Menala. — Rufo.— Ju-
Lucio Pisone. — Anziale. — Verrio. — Marco Varrone. — Cornelio Nipote. — Messala. — Rufo.
G. PLINII SECUNDI
167
>68
nio Gracchano. — Attico Pomponio. — Muciano. — Calvo Licinio. — Boccho. — Fetiale. — Fene stella. — Valerio Maximo. — Julio Basso, qui de Medicina graece scripsit. — Sextio Nigro, qui item. — Marso poeta. — Fabio Vestale.
— Giunio Graccano. — Attico Pomponio. — Muciano. — Carlo Lioinio. — Bocco. — Feriale. — Fenestella. — Valerio Massimo. — Giulio Basso, che scrisse in greco sulla medicina. — Sesiio Nigro, che del pari. — Marso poeta. — Fabio Vestale.
EXTERNIS.
STRANIERI
Democrito. — Theophrasto. — Juba. — Ti maeo historico, qui de Medicina metallica scri psit. — Heraclide. — Andrea. — Diagora. — Botrye. — Arcbidemo. — Dionysio. — Aristogene. — Deraocle. — Mneside.— Attalo medico. — Xe nocrate Zenonis. — Theoronesto. — Nymphodoro. — lolla. — Apollodoro. — Pasitele, qui Mira bilia opera scripsit.— Antigono qui de Toreutice. — Menaechmo item.— Xenocrate, qui item.— Duride, qui item. — Menandro, qui de Toreutis. — Heliodoro, qui de Atheniensium Anathematis. — Metrodoro Scepsio.
Democrito. — Teofrasto. — Giuba. — T i meo storico, che scrisse della medicina metallica. — Eraclide. — Andrea. — Diagora. — Boi rie. — Archidemo. — Dionisio. — Aristogene. — Dé modé. — Mneside. — Alialo medico. — Senocrate di Zenone. — Teonnesto. — Niufodoro. — lolla. — Apollodoro. — Pasitelle, che scrisse mirabili opere. — Antigono, che scrisse dell'arte di scolpire. — Menecmo, che del pari. — Senoera te, che del pari. — Duride, che del pari. — Meuandro, che scrisse dei rilievi. — Eliodoro, che scrisse sugli anatemi degli Ateniesi. — M·trodoro Scepsio.
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LIBRO XXXIV
LIBRO XXXIV
CORTIREKTOR A«BIS MBTALLA.
S l ΤΗΑΤΤΛ DBLLB MIN1EKB DEL RAME.
I . Aeris metalla. II. Genera aeris. III. Quae Corinthia. IV. Quae Delìaca. V. Quae Aegineliea. VI. De candelabris. VII. De Ifemplorura ornamentis ex aere. VIII. De tricliniis aereis. * IX. Quod primum dei simulacrum Romae ex aere factam. De origine statuarum, et honore. X. Statuarum genera et figurae. XI. Quibus primum publice positae: quibus pri mum in eolumna : quando rostra.
XII. Quibus externis Romae publice positae. XIII . Quae prima Romae statua equestris publice posita, et qnibus Romae mulieribus in publi co positae. XIV. Quando omnes privatim et publice statuae ex publico sublatae. XV. Quae primae ab externis publice positae. XVI. Fuisse antiquitus in Italia statuarios. XVII. De pretiis signorum immodicis. XVIII. De colonis in urbe celeberrimis.
1.
Delle cave de! rame.
а. Specie dei rarae. 3 . Del Corintio. 4. Del Deliaco.
5. Dell' Eginelico.
б. 7. 8. 9.
De’ candelieri.
Degli ornamenti di rame pei templi. Dei triclinii di rame. Quale fu la prima statua di rame a Roma. Dell'origine e onore delle statue. 10. Specie e figure delle statue. 11. A chi furono poste la prima volta in pub blico : a chi la prima volta sopra colonne : quando furono posti i rostri, ìa. A quali stranieri furono pubblicamente poste in Roma. 13. Quale fu la prima statua equestre posta pub blicamente in Roma, e di quali donne ne furono poste in pubblico. 14. Quando tulle le statue sì pubblicamente che privatamente furono lolle vie del pubblico. 15. Quali furono le prime poste in pubblico fra gli stranieri. 16. Che ci furono in Italia anticamente statuarii. 17. Dei precetti esorbitanti delle statue. 18. Dei colossi ctlebratissimi di Roma.
HISTORIARUM MUNDI LIB. 1.
«*>
XIX. Nobilitates ex aere operam, et artificum,
170
19. Eccellenti opere e artefici in rame, 366.
CCCLXVI.
XX. Differentiae aeris, et mixturae. De pyropo. De Campano aere. XXI. De servando aere. XX1J. De cadmia. XXIII. Medicinae ex ea xv. Aeri· usti effectas in medicina. XXIV. De scoria aeris : XXV. De stomomate aeris : medicinae ex his itv n . XXVI. Aerugo. Medicinae ex ea xtii. XXVH. Hieracinm. XXVIII. Scolex aeris : medicinae ex eo, xv». XXIX. De chalciti : medicinae ex ea, t u . XXX. Sory : medicinae ex eo, vm. XXXI. Hisy : medicinae ex eo, xiv. XXX I I . Chalcanthum, sire atramentum auto· ritun : medicinae ex eo, xvi. XXXUI. Pompholyx t XXXIV. Spodium : medicinae ex bis, vi. XXXV. Antispodii genera, xv. XXXVI. Spegma. XXXVII. De diphryge. XXXVII I . De triente Servilio. XXXIX. De ferri metallis. XL. Simalacra ex ferro. Caelaturae ex ferro. X U . Differentiae ferri, et temperatura. XL 1I. De ferro quod vivum appellant. X L lll. Rubiginis remedia. X U V . Medicinae ex ferro, v i i . XLV. Medicinae ex rubigine, xiv. XL Vi. Medicinae ex squama ferri, xvn. Hygremplastrum. XLV1I. De plumbi metallis : de plumbo albo : de nigri origine duplici. XLV1II. De stanno : de argentario. XLIX. De plumbo nigro. L. Ex plumbo, medicinae xv. LI. Ex scoria piambi, medicinae xvi. LII. Spodium ex plumbo. L 1U. De molybdaena : medicinae ex ea, xv. LIV. De psimmylhio, sive cerussa, medie, vi. LV. Sandaracba : medicinae ex ea, xi. Arsenicum.
ao. Differenze e misture del rame. Del piropo. Del rame Campano, a i. Del modo di conservare il rame. аа. Della cadmia. a3. Medicine, che se ne fanno, i 5. Effetti in medicina del rame brucialo. a4· Della scoria del rame. a5. Dello stomomate del rame : medicine, che se ne fanno, 47. аб. Della ragine. Medicine, 17. V). Del ieracio. a8. Della scolecia del rame: medicine 17. 39. Del calcile : medicine 7. 30. Del sori : medicine 8. 31. Del misi : medicine 14. з а. Del calcanto, o inchiostro da calzolai : me dicine 16. 33. Della ponfolige : 34· Dello spodio : medicine tratte da essi, 6. 35. Specie delPantispodio, i 5. зб . Dello spegma. 37. Del difrige. 38. Del triente Servilio. 39. Del ferro e sne miniere. 40. Delle statae di ferro. Scollar· nel ferro. 41. Differente e tempera del ferro. 4a. Di quello che appellano ferro vivo. 43. Rimedii alla rogine. 44· Medicine che si traggono dal ferro, 7. 45. Mediciue che dalla rugine, i 4· 46. Medicine che dalla squama dd ferro, 17. Dell' igremplasto. 47· Del piombo e sue miniere : del piombo bian co di doppia origine del nero. 48. Dello stagno : del piombo argentario. 49. Del piombo nero. 50. Medicine, che si fanno del piombo, i 5. 5 1. Medicine, che della scoria del piombo, 16. 5a. Dello spodio del piombo. 53. Della molibdena : medicine i 5. 54. Del pimmiiio, o biacca, medie. 6. 55. Della sandraca : medie. 11. Dello arsenico.
S c n u : Medicinae, et historiae, et observationes,
S o m a : fra medicine, storie e osservazioni, 915.
DCCCCXV.
EX AUCTORIBUS Iisdem, qaibas anteriore libro.
AUTORI Sono i citati nel libro precedente.
ι 7ι
i7a
G. PUNII SECONDI
LIBRO XXXV COKTIVBTVE DE FICTCBA BT COLOJUBCJ. I. Honos picturae. II. Hooot imaginum. IH. Quando primum clypei imaginum instituti : et quando primum in publico positi. IV. Quando in domibus. V. De piclurae initiis : de monochromatis pictu ris : de primis pictoribos. VI. Antiquitas picturarum in Italia. VII. De pictoribus Romanis. V ili. Quando primum externis picturis dignitas Romae. IX. Quando primum dignitas picturae, et quibus publice Romae. X. Qui victorias suas pictas proposuerunt. XI. Ratio pingendi. XII. De coloribus nativis, et de coloribus factitiis, et de pigmentis, praeter metallica. XIII.De sinopide : medicinae ex ea, xi. XIV. De rubrica : de terra Lemnia : med. ex ea, ix. XV. De Aegyptia terra. XVI. De ochra. XVII. Leucophorum. XVIII. Paraetonium. XIX. Melinum : medie, ex eo, τι. XX. Cerussa usta. XXI. Eretria terra : medie, ex ea, τι. XXII. Sandaracha. XXIII. Sandyx. XXIV. Syricum. XXV. Atramentum. XXVI. Purpurissum. XXVII. Indicum : medicinae ex eo, it. XXVIII. Armenium : medicina «x eo, i. XXIX. Viride Appianum. XXX. Annulare. XXXI. Qai colores udo non inducantur. XXXII. Qaibus coloribus antiqui pinxerint. XXXIII. Quando primum gladiatorum pugnae et picturae propositae sint. XXXIV. De aetate picturae : nobilitates operum, et artificum in pictara, ccct. XXXV. Picturae primam certamen. XXXVI. Qui penicillo pinxerint, et quae quis primus invenerit in pictura, et quid difficil limum in ea.
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xxxv
d il l a f it t u » a b d b ’ c o l o b i .
i . Della nobiltà della pittura. а. Della nobiltà delle imagini. 3. Quando si cominciò usare di scudi con so prani imagini : e qaando si posero la prima volta in pubblico. 4. Quando nelle case. 5. Del principio della pittura : della pittura d'un color solo : dei primi pittori. б . Antichità delle pitture in Italia. 7. De* pittori Romani. 8. Qaando s'ebbero in riputaxione le pitture estere in Roma. 9. Qaando la pittura cominciò salire in dignità, e quali pubblicamente furono in credit· a Roma. 10. Di quelli che fecero dipingere le proprie vittorie. 11. Del modo di pingere. ìa. Dei colori naturali, e de* fittixii, e della bel letta, oltre i colori che si Canno dai metalli. 13. Della sinopia : medicine, che se ne fanno, 11. 14. Della terra rossa : della terra Lennia : medi cine 9. 1 5. Della terra Egizia. 16. Della ocra. 17. Del leocoforo. 18. Del paretonio. 19. Del melino : medie. 6. ao. Della biacca bruciata. a i. Della terra Eretria : medie. 6. аа. Della sandaraca. a 3. Del sandice. a4· Del sirico. a5. Del trementaio. аб. Della porporioa. 37. Dell' Indico : medicine 4· a8. Dell* Armenio : medicin. 1. 39. Del T e rd e Appiano. 30. Dell*anulare. 3 1. Quali colori non si mettano in fresco. з а. Con quali colori pingessero gli antichi. 33. Qaando furono la prima Tolta dipinte le pugne dei gladiatori, ed esposte in pub blico. 34. Dell* età della pittura : eccellenti opere, · artefici in pittura, 3o5. 35. Prima gara in pittura. зб . Di quelli che pinsero col pennello, e di chi fece qualche invenzione in queU'art·, « in che si· la somma difficoltà di essa.
HISTORIARUM MUNDI L1B. I.
«7*
XXXVII. De generibus picturae. XXXVIII. De aviam canta compescendo. XXXIX. Qai encausto et penicillo pinxerint. Quii primas lacunaria pinxerit: quando primum camerae pictae. Prelia mirabilia pi ctura rum. XLI. De encausto. XLII. (* De vestiam pictara *). X L I 1I. Plastices primi inventores. XL 1V. Quis p
37. Delia specie della pittar·. 38. Del modo di fermare il canto degli uccelli. 3g. Chi dipinse con tinta adusta e pennello. 40. Chi fu il primo che dipinse i soffitti, e quan do si cominciarono a pinger le camere. Prezzi maravigliosi di pitture. 41. Della tinta adusta. 42. Delle vesti dipinte. 43. Dei primi inventori della plastica. 44· Chi fu il primo che da figura dipinta a linee ne rilevò Γ imagine. 45. Artefici eccellenti in plastica. 46. Delle opere di terra. 47. Varietà della terra. Della polvere Pezxolana. Come si mola in pietra. 48. Dei muri formacei. 49. Dei muri mattonati. De* mattoni. 50. Del zolfo, e delle sue specie : medicine 17.
.
LI. De bitumine, et generibus ejus : medicinae xxvu. LII. De alumine, et generibus ejus : medicinae
5 1. Del bitume, e delle sue specie: medicine 37. 5a. DelPalume, e delle sue specie : medicine 3g.
XXXIX.
LUI. De terra Samia : med. ex ea, m. LIV. Eretriae terrae genera. LV. De terra ad medicinas lavanda. LVI. De Chia terra: medie, ex ea, m. — De Selinusia: medie, ex ea, m. — De pnigilide: medie, ex ea, ix .— De ampelitide : medie, ex ea, iv. LV 11. Cretae ad T e s t i u m usas. Cimolia : medici nae ex ea, ix. Sarda : nmbrica : saxum.
53. Della terra Samia : medicine 3. 54. Specie della terra Eretria. 55. Della terra che si lava per far medicine. 56. Della terra Chia : medie. 3. — Della terra Selinusia: medie. 3. — Della pignite: me. die. 9. — DelTampelile : medie. 4·
LV1II. Argentaria. Qaa liberti praepotentes no tati. LIX. Terra Galata, Clupea, Balearica, Ebositana : medicinae ex his, i t .
57. Della creta per aso delle vesti. Della cimolia : medie. 9. Della Sarda: della Umbrica: del sasso. 58. Della creta argentaria. Con quale si segnas sero i liberti potentissimi. 59. Della terra Galata, Clupea, Balearica, Ebusitana : medicine, che se ne fanno, 4·
$ a u : Medicinae, et historiae, et observationes,
So m a : fra medicine, storie e osservazioni 956.
DCCCCLVI.
EX AUCTORIBUS
AUTORI
Messala oratore. — Messala sene. — Fenestel la.— Attico. — Verrio. — M. Varrone. — Corn. Repole. — Decio Eculeone.— Muciano. — Melis so. — Vitruvio. — Cassio Severo Longalano. — Fabio Vestale, qui de Pictura scripsit.
BTessala oratore. — Messala il vecchio. — Fe nestella. — Attico. — Verrio. — Marco Varrone. — Cornelio Nipote. — Decio Eculeone. — Mu dano. — Melisso. — Vitruvio. — Cassio Severo Longulano. — Fabio Vestale, che scrisse sopra la pittura.
EXTERNIS
STRANIERI
Pasitele. — Apelle.— Melanthio. — Asclepio doto. — Eapbranore.— Parrhasio. — Heliodoro, qai 'ΑταΦήματα scripsit Athenis. — Metrodoro, qui de Architectonice scripsit. — Democrito. —
Prasitele. — Apelle. — Melantio. — Asclepiodoro. — Eufranore. — Parraaio. — Eliodoro, che scrisse %\iA natemi degli Ateniesi. — Metro doro, che scrisse di architettura. — Democrito.
C. PLINII SECUNDI Theophrasto. — Apione grammatico, qui de me tallica Medicina scripsit. — Nymphodoro. — An drea.— Heraclide, — lolla.— Apollodoro.— Dia gora. — Bolrye. — (Archidemo. — Dionysio. — Arislogene. — Democle.— Mneside. — Xenocra te Zenonis. — Theoroneslo.
— Teo ir·» lo. — A piene grammatico, che scrisse della medicina metallica. — Ninfodero. — An drea. — Eraclide. —»' lolla. — Apollodoro. — Diagora. — Botrie. — Archidemo. — Dionisio. — Arislogene. — Democle. — Mneside. — Se· nocrate di Zennone. — Teonneslo.
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LIBRO XXXVI
LIBRO XXXVI
C o n t in e t o r
l a p id c m
natura.
I. Luxuria in marboribas. II. Quis prirauin in pablicis operibus raarraor ostenderit. III . Quis primas peregrino marmore columnas Romae habaerit. IV. Qai primam laudali in marmore scalpendo, el qaibus temporibus. Nobilitates operum et artificum in marmoribus, ccxxv. V. Quando primum marmorum in aedificiis usus. VI. Qui primi marmora secuerint, et qaando. VII. Qui primus Romae crustaverit parieles. VIII. Qaibus aetalibus quaeque marmora in usu Romae venerint. IX. Ratio secandi marmorat De arenis, quibus secantur. X. De Naxio : de Armenio. XI. De Alexandrinis marmoribus. XII. De onyche, de alabaslrite : medie, ex his, vi. XIII. De Lygdino : Corallico : Alabandico : Thebaico : Syenite. XIV. De obeliscis. XV. De eo, qoi pro guomone in campo Marlio. XVI. Opera mirabilia io iis terris. Pyramides. XVII. Sphinx Aegyptia. XVIII. Pharos. XIX. Labyrinthi. XX. Pensiles horti : pensile oppidum. XXI. De templo Ephesiae Dianae. XXII. Aliorum templorum admirabilia. XX II I. De lapide fugitivo. Ecbo septies resonans Cyzici. Sive clavo aedificia : et Romae. XXIV. Romae operam miracula, xvm. XXV. De magnete lapide, medie, ex eo, x. XXVI. Scyrius lapis. XXVII. De sarcophago, medie, x. XXV II I. De chernile, de poro. XXIX. De lapidibus osseis : de palmatis : de taenariis : de nigris marmoribus.
Si
TRATTA DELLA BATORA DBLLB PIETRE.
1. Lusso nei marmi. 2. Chi fu il primo che ne nsò negli edificii pubblici. 3. Cbi ebbe il primo colonne di marmo stra niero a Roma. 4· Di quelli ch'ebbe lode i primi come scnltori in marmo, e in quali tempi. Eccellenti opere e artefici in marmo, aa5. 5. Quando si cominciò usare il màrmo negli edificii. 6. De' primi che segarono i marmi, e qaando. 7. Del primo che a Roma intonacò le pareti. 8. In quali tempi i diversi marmi vennero in uso a Roma. 9. Del modo di segare i marmi. Delle rene, con che si segano. 10. Del marmo Nassio : deir Armeno. 11. Dei marmi Alessandrini. 12. Dell’oniche : dell’alabastro : medieine 6. 13. Del Ligdino: del Corallico: dell'Alabandico : del Tebaico: del Sienile. 14. Degli obelischi. 15. Di quello eh' è nel campo Marzio per isquadrame. 16. Delle opere maravigliose in quelle terre. Delle piramidi. 17. Della sfinge d 'Egitto. 18. Faro. 19. Dei labirinti. 20. Degli orti pensili : d'un castello pensile, a i. Del tempio di Diana in Efeso. aa. Delle maraviglie di altri templi. a3. Della pietra fuggitiva. Della eco di C ixio, che risuona selle volte. Di edificii acoza chiodi, che sono anche a Roma. 34. Maravigliosi edificii in Roma. a5. Della calamita : medicine 10. 36. Della pietra di Sciro. 37. Della pietra sarcofago : medie, io. 28. Della pietra chernite : della pietra poro. 39. Delle pietre d'osso : delle palmate : de* tenarii: de* marmi negri.
HISTORIARUM MUNDI LIB. I.
177
XXX. De molaribus lapidibus. Pjrites : med. ex eo, vii. XXXI. Ostracites : medie, ex eo, iv. Amiantus : medie, ex eo, 11. XXX I I . Gaeodes : medie, ex eo, m. XXXIII. Mililites : medie, ex eo, vi. XXXIV. Gagales : medie, ex eo, vi. XXXV. Spoogites : medie, ex eo, vi. XXXVI. Phrygius. XXXVII. Haematites : medie, ex eo, v. Schistos : medie, ex eo, vn. XXXVIII. ("Aethiopicus*). Androdamas : medie, ex eo, n. Arabicas. Milites, sive elatiles. Anthraciles. XXXIX. Aetites. Taphiasius. Callimus. XL. Samius : medie, ex eo, vm. XLI. Arabus : medie, ex eo, 11. XL1I. De pomice : medie, ex eo, ix. XL 11I. De mortariis medicinalibus, et aliis. Ete sias lapis, thebaicus, cbalazius. XLIV. Siphnins. Lapides molles. XLV. Lapis specularis. XLVI. Phengites. XLVII. De cotibus. XLV III. De tophis. XLIX. De silicam nataris. L. De reliqais ad structuras lapidibus. LI. Genera structurae. L1I. De asternis. LI1I- De calce. L 1V. Arenae genera. Arenae et calcis mixturae. LV. Vitia structurae. De tectoriis. LVI. De columnis. Genera columoaram. LV1I. Medicinae ex calce, v. LV]II. De maltha. LIX. De gypso. LX. De pavimentis : de asaroto oeco. LX1. Qaando primum pavimentum Romae. LXII. De subdialibus pavimentis. LX 11I. Graecanica pavimenta. LX 1V. Qaando primum lithostrota. Quando primum camerae vitreae. LXV. Origo vitri. LXVI. Genera ejus, et ratio faciendi. LXV 1I. De obsidianii. LXVII1. Miracula ignium. LXIX. Ex igni et cinere : medie, m. LXX. Prodigia foci.
S cmma : Medicinae,
et historiae, et observationes, DXXUI.
176
30. Delle pietre molari. Della pirite : medie. 7. 3 1. DeU’os traci te: medie. 4· Dell'amianto: me
die. a. за. Della geode : medie. 3. 33. Delia melitite : medie. 6. 34. Della gagate: medie. 6. 35. Delia spongite : medie. 6. зб. Della pietra frigia. Zj. Della ematite : medie. 5. Dello schisto : me die. 7. 38. D eir Etiopico. Dell’ androdama : medie, a. Dell’Arabico. Della miltite, o elatite. Del l’antracite. 39. Dell’etite. Del tafiusio. Del callimo. 40. Del samio : medie. 8. 41. Dell’arabo : medie, a. 4a. Della pomice : medie. 9. 43. Delle pietre de’mortai medicinali, e di altre. Della pietra Etesia, della Tebaica, del ca lazio. 44· Della pietra di Sifnio. Delle pietre tenere. 45. Della pietra speculare. 46. Della fengite. 47· Della cote. 48. Del tufo. 49. Della natura delle selci. 50. Delle altre pietre che servono a costruire. 51. Delle varie specie di costruire. 5a. Delle cisterne. 53. Della calcina. 54. Delle specie dell’arena. Misture di calcina e arena. 55. Difetti nel costruire. Degl’ intonacati. 56. Delle colonne. Specie delle colonne. 57. Medicine, che si fanno delia calcina, 5. 58. Della malta, 59. Del gesso. 60. De1 pavimenti : delPaiaroto eco. 61. Quando si fece a Roma il primo pavimento. 62. De’ pavimenti all’aria aperta. 63. De1 pavimenti alla greca. 64. Quando s’ introdussero i litostroti. Qaando le volle di vetro. 65. Origine del vetro. 66. Specie del vetro, e modo di farlo. 67. Del vetro ossidiano. 68. Maraviglie del fuoco. 69. Del fuoco e della cenere : medie. 5. 70. Auspicii tratti del fuoco.
S omma
: fra medicine, storie e osservazioni 5a3*
C. PLINII SECONDI
179
ΕΚ AUCTORIBUS
AUTORI
M. Varrone. — Caelio. — Galba. — C. Ictio. — Muciano. — Nepote Cornelio. — L. Pisone. — Tuberone. — Seneca. — Fabio Vestale.— An nio Fetiale. — Fabiano. — Catone censorio. — Vitruvio.
Marco Varrone. — Celio. — Galba. — Caio Izio. — Muciano. — Cornelio Nipote. — Lucio Pisone. — Tuberone. — Seneca. — Fabio VestaleN— Annio Feziale. — Fabiano. — Calone Censorino. — Vitruiio.
EXTERNIS
STRANIERI
Theophrasto. — Pasitele. — Juba rege.— Ni candro. — Solaco. — Sudioe. — Alexandro Po lyhistore. — Apione. — Pii* tonico. — Duride.— Herodoto.— Eviietnero.— Aristagora. — Diony sio.— Artemidoro. — Butorida.— Antisthene.— Demetrio. — Demotele. — Lycea.
Teofrasto. — Presitele. — 11 re Giuba. — Ni candro. — Sotaco. — Sudine. — Alessandro Poliistore. — Apione. — Plistonico. — Deride. — Erodoto. — Eternerò. — Dionisio. — Arte midoro. — Butorida. — Antisten·. — Demetrio. — Demotele. — Lice».
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—
LIBRO XXXVII G em m ai c o n t ir iit o i.
I. Origo gemmarum. II. De Polycratis tyranni gemma. III. De gemma Pyrrhi regis. IV. Qui scalptores optimi. Nobilitates scalpturae. V. Quae prima Romae dactyliotheca. VI. Gemmae in Pompeji Magni triumpho trans latae. VII. Quando primum inveuta murrhina. Luxu ria circa ea. V ili. Natura murrhinorum. IX. Natura crystalli i mediciuae ex ea. X. Luxuria in crystallo. XI. De succino : qui inventi suut auctores de eo. X1L Genera succinorum, vi ; medie, ex his. XIU. Lyngurium : medie, it. XIV. De gemmis per genera colorum principa lium. XV. Genera adamantis, vi : medie, il XVI. De smaragdis. XVII. Genera eorum xu. XV I I I . Vilia eorum. XIX. Tanos. Chalcosmaragdos. XX. De beryllis : genera eorum vm. Vitia eorum. XXL De opalis : geuera eorum v i i . XXII. Vitia et experimenta eorum. XXIII. De sardonyche.
l ib r o Si
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T I ATTA D I L L I GIMME.
i . Origine delle gemme. а. Della gemma del tiranno Policrate. 3. Della gemma del re Pirro. 4· Quali furono ottimi intagliatori. Nobiltà dell* incisori. 5. Quali fu la prima dattilioleca in Roma. б. Gemme porlate nel trionfo di Pompeo il Grande. 7. Quando fu trovala la murrina. Lusso di essa. 8. Nalura della murrina. g. Nalura del cristallo : medicine, che se ne fanuo. 10. Lusso del cristallo. 11. Dell’ambra. 1 a. Specie dell'ambra, 6 : medicine, che se ne fanno. 13. Del lincurio : medie, a. 14. Delle gemme secondo i principali colori. 15. Specie del diamante 6 : medie, a. 16. Degli smeraldi. 17. Specie di essi, ìa. 18. Difetti loro. ig. Del tano. Del calcosmeraldo. ao. Dei berilli : 8 specie di essi. Loro difetti. ai. Degli opali : 7 specie loro. aa. Difetti ed esperimenti di essi. a 3. Del sardonico.
HISTORIARUM MONDI MB. I. XXIV. De onyche : geoera ejos. XXV. De carboocolis : genere eoriua xu. XXVL Vitie eorum, ei experimenta. XXVII. Anthracitis. X X V ili. Sandrastos, sive Sandaresus. XXIX. Lychoites : genera ejos it. XXX. Carchedonios. XXXI. Sarda : genera ejns ?. XXXII. De topazio : genera ejos u. XXXIII. De callaina. XXXIV. De prasio : genera éjus m. XXXV. NiUon. XXXVJ. Molochitea. XXXV 11. De jaspide : genera ejos xiv. Vilia eorom. XXXV 1U. De cyano : genera ejos. XXXIX. Sapphiros. XL. Amethystus : genera ejns t . XLI. Hyacintho·. X L ii. Chrysolithos : gener· ejos tu . X L lli. D e chryselectro. XL 1V. Leocochrysos : genera ejos ιτ. XLV. Melicbrysi : Xanthi. XLVL Paederos, sive Sagene», live Tenites. XLV 1I. Asteria. XLV 11I. Astrios. XL1X. Aatroitcs. L. Aslrobolon. LI. Ccraania : genera ejos ιτ. Belali. LI 1. Iris : genere ejas 11. LUI. Lepor. L 1V. (*De geaemis, lite raram ordine *) : k k a r tee. Acopos : medicinae ex ea. Alabastrites : medie. ex ea. Alecloriae, Androdamas, Argyrodamas, Antipathes, Arabica, Aromatites, Asbestos, Aspicatis, Alitene, Aogitia, Aphidane, βίτβ Chrysocolla, Apbrodieieca Apsyctos, Aegyptilla. LV. Balanilac, Batrachiles, Baples, Beli ocalus, Belas, Baroptenas, siTe Barìpe, Botryites, Bostrychites, Bacardia, Bros le, Boloe. LVI. Cadmilis, Callaie, Capnitis, Cappadoci·, Callaie·, Catochitis, Catopyritis, Cepilis, βίτβ Cepolatilis, Ceramiti·, Cinaediae, Ceriti·, Cir co·, Corsoidea, Coralloarhates, Corallis, Cra teri tia, Crocallis, Cylis, Chaloophonos, Chelidoaiae, Cbdonia, Cbelonitia, Chloritis, Choaspitis, Chrysolampis, Chrysopis, Cepionides. LV1L Daphnia, Diadocho·, Diphyea, Dionysiae, Dra contile». LV1II. Eocardia, «ve Ariste, Enorchis, Exebenas, E ristali·; Emtillos, sire Aaaphkeme, n ts Hieromnemon, Eumerts, Enmifhres, E«petek>s; Eaneas, Earotia·, Basebes, Epimelas. UX. Gataùaa, Galaetta·, sire Iieaoogse— , sive
a4· D dl’oniehe : specie di e»io. a5. De* carbonchi : ìa specie loro. 26. Difetti ed esperimenti di essi. a7. DelTantracite. a8. Del sandrasto, o sandareso. •9. Della licnile : 4 specie di esia. 3o. Del carchedonio. 3«. Della sarda : 5 specie di essa. за. Del topazio : a spede di esso. 33. Della callaiaa. 34. Dd prasio : 3 spede di esso. 35. D d nilio. зб . Della molochite. 37. Del iaspide: 14 speeie di esso. Difetti suoi. 38. Del ciano : specie di esso. 3g. Dei zafiri. 4 0. DelTametisto : 5 specie di esso.
41. Del giadnto. 4a. Del crisolito, 7 specie di esso. 43. Del crisdeltro. 44· Del leococriso : 4 specie di est». 45. Del mdieris. Del santi. 46. Del pedero, o sageno, o teoite. 47. DelPasteria. 48. DelPastrico». 49. DelTastroite. 50. Dell'astrobolo. 51. Della ceraania : 14 specie di essa. Delle belali. 5a. Dell* iris : %specie di essa. 53. Del lepor. 54· Delie gemme per ordine alfabetico: Acate : acope t medicine che se ne fanno. Alebaslrite, e soe medicine. AleUorie, and roda rne, argirodama, «ntipale, «rabica, arama tile, asbesto, espiseli, atizone, «agite, afi dane, o crisocolla, afrodisiaca, «psitto, egittilla. 55. Balanite, dalla batrachsta, balta·, e echi· di Belo, Belo, baropteuo o barìpe, botrite, bostriebite, bacardia, brontea, bolo·, 56. Cadmite, caHais, capoite, Cappadocia, Callaica, ea lochile, catopiiite,eepite o cepolatite, ceremite, cinedie, cerile, circe·, conoide, coralloaeate, coralli, craUrite, erocaHi, citi, calcofano, chelidonia, cbdonia, chetante, dorile, coaspi te, eriaekmpe, eri*· pi, cepionide. 57. Defni·, diadoeo, difie, dieassàa, dracoalUe.
58. Encsrdia, o «ròte, enorebi, eaebeno, eristale,
erottilo, o anfieoae, · ieronnemo, eameee, eamkre, capotale, canea, eqrotie, eveebe* epimd·. 5$. G sIum , ga lattile, o Uacogeo, o lenoofeafia.
»83
C. PLINII SECUNDI
Leucographias, aive Synophilis ; Gallaica, Gassidiana, Glossopetra, Gorgonia, Goniaea. LX. Heliotropion, Hephaestitis, Hermuredian, Hexecontalithos, Hieracitis, Hammonis cornu, Hormision, Hyacniae. LXJ. Idaei dactyli, Iclerias, Jovis gemma, Indi ca, lon. LXII. Lepidotis, Lesbias, Leucophlhalmos, Leucopoecilos, Libanochrus, Limoniatis, Lipare, Lysimachos, Leucochrysos. LXIII. Memnonia, Medea, Meconitis, Mithrax, Morochites ; Morion, sive Pramnium, sive Alexandrinum ; Myrrhitis, Myrmeeias, Myrsinilis, Mesoleucos, Mesomelas. LX 1V. Nasamonitis, Nebrilis, Nympharena. LXV. Olea, Ombria, sive Notia, Oritis, sive Si deritis, Ostracias, sive Ostracitis, Ophicardelos, Obsidiana. JL.XV1. Panchrus, Pangonius, Paoeros, sive Paederastos. Ponticarum genera iv. Phloginos, sive Chrysitis, Phoenicitis, Ph} citis, Perileucos, Paeantides, sive Gaeanides. LXVII. Solis gemma, Sagda, Samothracia, Sauritis, Sarcitis, Seleni tis, Sideritis, Sideropoecilos, Spongitis, Synodontitis, Syrtitis, Sy ringi tis. LXVI11. (* Trichrus, Telirrbizos *), Telicardios, sive Mncbul, Thracia, genera 111. (*Tephritis *), Tecoliriios. LX 1X. Veneris crines, (* Vejentana *). LXX. (*Zantbene, Zmilampi» *), Zoramea. LXXI. (* De gemmis, quae a membris corporis habent nomina*): Hepatitis, (*Steatiti»*), Adadunepbros, Adaduophthalmos, Adadudactylos, Triopbthalmos. LXXII. (*De gemmis, quae ab animalibus habent nomina *) : Carcinias, Echitis, Scorpitis, Sca riti*, Triglitis, Aegopblhalmos, Geranilis, Ac ti tis, Myrmecitis, Cantbarias, Lyoophthalmos, Taos. LXXIIL (*Quae a ceteris rebus *) : Ammochrysos, Cenchritis, Dryitis, Cissi lis, Narcissitis, Cyamea, Pyren, Chalazias, Pyritis, Polyzonos, Astrapias, Polytrichos, Leontios, Pardalios, Melichras, Melichloros, Polias, Spartopolia, Rboditis, Melitis, Chalcitis, Sycilis, Borsycitis, Gemitis, Ananchitis, Synochitis, Dendri ti», etc. LXXIV. De gemmis repente novis, ac sine nomi nibus : Cochlides. LXXV. De figaris gemmarum. LXXV 1. Ratio probandarum. LXXV 11. Comparatio naturae per terras. Laus Italiae et Hispaniae. Sm o u : Res, et historiae, et observationes, acce.
184
o sinofite; gallaica, gassidiana, glossopetra, gorgonia, goniea. 60. Elitropio, efestite, ermuredia, essecontalito, ieracite, corno di Ammone, ormisio, ienie. 61. Idei dattili, itteria, gemma di Giove, indi ca, ion. 62. Lepido te, lesbia, leucoftalmo, leucopecilo, libanocro, limoniate, lipare, lisiraaco, leucocriso. 63. Mnemonia, medea, mecon i te, tnitrace, morochite, morione, o prannione : mirrile, mirmecia, mirsinite, mesolenco, mesoraela. 64. Nasamonite, nebrile, ninfarena.
65. Olea, ombria o notia, ori te o siderite, ostra-
cia o astraci te, oficardelo, obsidiaua. 66. Panerò, pangonio, panerò o pederasto. Quat tro specie delle ponliche. Flogino o crisi te, fenici te, ficite, perii eneo, peantide o geanide. 67. Gemma del sole, sagda, samotracia, saurite, sarcite, selenite, siderite, sideropecilo , spongite, sinodontite, sirtite, siringite. 68. Triero, telirrizo, telicardio o roucul. Tracia di tre specie. Tefrite, tecolito. 69. Capelli di Venere, veientana. 70. Z ante ne, zmilace, zoramea. 71. Delle gemme) che hanno preso il nome dal le membra deir uomo. Epatite, steatite, adadunefro, adaduoftalmo, adadudattilo, trioftalmo. 72. Delle gemme, che hanno preso ii nome da g li animali. Carcinia, echite, «corpite, scarite, triglite, egoftalmo, geranite, etite, mirmecite, cantarla, licoftalmo, taos. 73. Delle gemme, che hanno preso il nome da altre cose. Ammocriso, ceucrite, driite, cissite, narcissi te, ciamea, piren, calazia, pirite, polizono, astrapia, politrice, leonsio, pardalio, melicro, melicloro, polia, sparto polia, rodite, melite,calcite, sicite, borsicite, gemite, ananchite, sinochite, dendrite, ecc. 74. Delle gemme che ad un tratto si rinovano, e son senza nome. Delle coeltde. 75. Delle figure delle gemme. 76. Del modo di conoscerle. 77. Paragone 'della natura secondo le diverse terre. Lode dell* Italia e della Spagna. Somma ; fra cose, storie e osservisioni i 3oo.
HISTORIARUM MUNDI LIB. I.
<85
EX AUCTORIBUS.
AUTORI
M. Varrone.— Actis triumphorum. — Mae cenate. — Jaccho. — Coro. Boccho.
Marco Varrone. — Gli atti dei trionfi. — Mecenate. — lacco. — Cornelio Bocco.
EXTERNIS
STRANIERI
Juba rege. — Xenocrate Zenonis. — Sodine. — Aeschylo.— Philoxeno.— Euripide. — Nican dro. — Satyro. — Theophrasto. — Charete. — Philemone. — Demostrato. — Zenothemi. — Me trodoro.' — Sotaco. — Pythea. — Timaeo Siculo, — Nicia. — Theochreslo. — Asaruba. — Mnasea. — Tbeomene.— Ctesia. — Mithridate.— Sopho cle.— Archelao rege. — Callistrato. — Democri to. — Ismenia. — Olympico. — Alexandro Po lyhistore. — Apione. — Horo. — Zoroastre. — Ztchalia.
11 re Giuba. —· Senocrate di Zenone. — So dine. — Escbilo. — Filosseno. — Euripide. — Nicandro. — Satiro. — Teofrasto. — Carete. Filemone. — Demostrato. — Zenotami. — Me trodoro. — Sotaco. — Pitea. — Timeo Sicolo. — Nicia. — Teocresto. — Asaruba. — Mnasea. Teomene. — Ctesia. — Mitridate. — Sofocle. — 11 re Archelao. — Callistrato. — Democrito. — Ismenia. — Olimpio. — Alessandro Poliistor·. — Apione. — Oro. — Zoroastre. — Zacalia.
C. PLINII SECUNDI H I S T O R I A R U M MUNDI LIBER II DE
MUNDO
ET
ELEMENTIS
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i s r i B i T o s n o n n u s , b t ah u ru s.
I. i. iUandam, e l hoc quod nomine alio Coelom appellare libnit, cujus circumflexu leguntur concia, ooinen esse credi par est, aeternum, irameaium, neqae genitum,neque interiturum u a · qaam. Hujus extera indagare, nec interest homiaa®, nec capit humanae conjectura mentis. Sacer et, aeternus, immensus, totos in toto, immo T ero ipie totam; finitus, et infinito similis; omniam rema certus, et similis incerto ; extra, intra, cun cta complexus in se; idemque rerum naturae opos, et rerum ipsa natura. Furor est, mensuram ejoi animo qnosdam agitasse, atque prodere ao* » ·; alios rursoa, occasione hinc sumpta, aut his tola, innomerabiles tradidisse mondos, ot totidem rerea natoras credi oporteret, aot, si ana omnes incubaret, totidem tamen soles, totidemqoe lanas, et cetera, ut jam in uno,‘et immensa et innumera· Wia sidera : quasi non eadem quaestione semper ia termino cogitationis occursora, desiderio finis •beajos; aut, si haec infinitas natorae omniam •rtifici possit adsigneri, nou illud idem in ooo W i n sit intelligi, tanto praesertim, opere. Fo rar est, profecto foror, egredi ex eo, et, tamquam interna ejos concia plane jam sint nota, ita scrulari extera : quasi vero mensnram ullios rei possit
S·
i l m o rd o k f i n i t o b d r o .
1. i. v T li è da credere, che il mondo, e tolto questo, che per altro nome ci è piacioto chiamar cielo, dal coi giro tutte le cose son coperte, sia una divinità eterna, immensa, non generata, nè per dover mai mancare. Non appartiene già agli uomini, nè cape ancora nella congettura del l'umana mente, il voler investigare le cose estrin seche d'esso. Egli è sacro, eterno, immenso, tutto nel tutto, anzi egli è proprio il tolto ; finito, · simile all' infinito ; certo di tolte le cose, e simile all' incerto; di foori e di dentro in si stesso ogni cosa abbracciando, ed egli è opera della natura delle cose, e l ' istessa natura delle cose. E fu ve ramente pazzia espressa d'alcuni, l’aver voluto tentare di misurarlo, e dipoi l'aver avolo ardir· di esprimere la misura di esso ; e che alcuni altri di qui pigliando occasione, o dandola a questi, dicessero, che i mondi fossero infiniti, perchè sìa necessario credere, che altrettante ancora siano le nature delle cose ; o se pure una sola le ricuopre tntte, eh· però vi siano altrettanti soli e altrettante lune, e per ciascun modo ancora altre grandi e innumerabili stelle: qoasi ch'essi non siano per dover sempre avere la me desima qoistione del termine del pensiero, e il
C. PLINII SECUNDI
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agere qai sai nesciat, aat mens hoentnis yidere qaae mundas ispe non capiat.
desiderio loro nota sia per aver mai fine. E quan do pur volessero attribuire questa infinità alla natora artefice di tutte le cose, non sia piò facile intendere questo medesimo in un mondo solo, massimamente essendo egli opera sì grande. Ed è veramente pazzia, uscir d'esso ; e come se noi avessimo piena cognizione delle sue cose inte riori, metterci poi a investigar quelle di faori, qaasi che possa trovare la misera d’alcuna cosa colui, che non sa quella di sè stesso, o la mente delPuomo possa vedere, quel che il mondo pro prio non cape.
D b v o b m a bjds.
D e l l a fobm a sua.
II. 2. Che la forma sua sia ri tonda in forma 11. 2. Formam ejus in speciem orbis absolati globatam esse, nomen in primis et consensas in eo d'un cerchio perfetto, il nome prima, e dipoi la opinione di tutti gli uomini, che lo chiamano mortalium, orbem appellantium, sed et argumen orbe, e gli argomenti delle cose ancora ce Io ta rerum, docent: non solum quia tali 6gara om nibus sai partibus vergit in sese, ac sibi ipsa fanno credere ; non solamente perchè tal figura toleranda est, seque includitel continet,nullarum con tutte le sue parti si rivolge in sè stessa, ed egens compaginano, nec finem aut initium ullis essa a sè medesima è sostegno, e se rinchiude e sui partibus sentiens ; nec quia ad motum quo contiene, non avendo bisogno di commessura subinde verti debeat, ut mox apparebit, talis alcuna, e non avendo anche fine, o principio in «Icona sna parte ; nè perchè tal figura, come si aptissima est ; sed oculorum quoque probatione, quod convexus mediusque quacumque cernatur, vedrà poi, sia attissima al moto, ond'elta ai dee volgere, ma ancora con la pruova degl'occhi, quum id accidere in alia non possit figura. perciocché da ciascuna sua parte si vede convesso, e mezzo, non potendo avvenir ciò in altra figura. Db
b jd s m oto. — C o r m o rd o s d i c a t o r .
IU. 3. Hanc ergo formam ejus aeterno et ir requieto ambito, inenarrabili celeritate, viginti quatoor horarum spatio circumagi, solis exortos •t occasas haud dubiom reliquere. An sil immen sas et ideo sensam aariam excedens tantae molis •rotatae vertigine assidua sonitus, non equidem fa· «ile di-xerim, non hercle magis quam circumaclorom simal tinnitas sideram saosque volventium orbes, an dulcis quidam et incredibili suavitate concentus. Nobis qoi intus agimus, juxta diebus «oetibosque tacitas labilur mandus. Esse innu meras ei effigies animalium rerumqoe conctaram impressas, nec, ut in volucrum notamus ovis, lie vitate continua lubricum corpus, qood clarissimi ♦actores dixere, reram argumentis indicatur: •qooniam inde deciduis rerum omnium semini bus innumerae, in mari praecipue, ac plerumque confusis monstrificae, gignantor effigies; praete rea visus probatione, alibi plaustri, alibi ursi, taori alibi, alibi lilerae figura, candidiore medio per verticem cìrcolo-
D e l m o t o d i esso, e p b r c h ì c h ia m a s i i o h d o .
I II . 3. Il nascimento dunqoe, e il tramontar del sole ci fanno conoscere, come questa sua forma in ispazio di ventiquatlr'ore gira intorno con eterna e continua rivoluzione, e con incredibil prestezza. Ora se il suono di così gran macchina, che di continuo gira sia grandissima, e perciò trapassi il sentimento delle orecchie, difficilmente lo saprei dire ; come ne anco direi, quale sia il suono acuto delle stelle, le quali gi rano e volgono le loro sfere, o se pur se ne sente una dolce e incredibil soavità di concento. A noi, che ci siam dentro, gira dì e notte il inondo senza alcun romore. Ora che in esso siano im presse infinite figure d'animali, e di tutte le oose, e che il suo corpo non sia liscio, come si vede nell'oova degli uccelli secondo che famosissimi autori hanno detto, si conosce per questo a rg o mento ; perciocché da'semi di tutte le cose, e le più volte confusi che di là cascano, vengono a nascere poi infinite mostruose figure, e massima mente in mare. Questo ci mostra ancora l'occh io nostro, perchè vegghiamo in esso dove la figu ra d’un carro, dove quella d'un orso, dove d 'ttn toro e dove d'una lettera, essendo il circolo d ì mesco «opra Settentrione molto bianco.
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HISTORIARUM HUNDI MB. II.
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4· Eqaiéem at coaaeneo fw tiom moveor. H u i f o e n wivpm Graeci, nomine x>rnamenti, appellavere, eum nos, a perfecta ahsolotaqne eie· ( t a t ù , mundum, Coelum qaidem· haud dubie c e d a li argomento didmoa, ot interpretator M. Varro. Adjuvat rerum ordo, descripto circulo, q a i signifer vocator, in doodecim animalium effi gies, et per illa· solia cursus eonfroena tot acco lis ratio.
4· qoesto sono io coi parere di tutto Ia persone. Perciocché quello che i Greci chiama rono cosmo, con nome d'ornamento, noi ancora per la sua perfetta eleganxa Tabbiam chiamato mondo. Chiamiamolo ancor cielo, come lo ioterpreta M. Varrone, per essere egli celato, cioè scolpito. Ciò ne conferma P ordine delle cose, essendo disegnato il circolo, che si chiama Zo diaco, in dodici figure d’animali, per le qaali si gira il «ole, già tanti anni sono senta mai fer marsi.
D b aunuim s st i u i i t u .
D igli tLxmtrri ■db* piaubti
IV. 5. Non veggo ancora, cha niono dubiti, IV. 5. Nec deelamentia video dobilari qnatuor che gli elementi non sien qaattro. Quel del fuoco eaeaae. leniam sammum ; inde tot ateUaram colil primo, il più alto, onde veggiamo gli occhi loceaiiom illoi oculos. Proximam spirita»» qoem di tante (acidissime stelle. Vicino a questo è Io Graeci nostriqae eodefa vocabolo «era appellant; spirito, il quale i Greci e i nostri con an mede vitalem boae, et per enneta rerom meabilem, simo vocabolo chiamano aere. Questo è quello totoqne oonaertom. Hojos vi suspensam, com elemento, che ci dà la vita, e passa per tutta quarto aqoarom elemento, librari medio spatio la cose, ed è inserto oel tatto, e la terra sospesa telis rem. Ita matoo complexo diversitatis effici dalla forza d’esso, si sta bilaaeiata nello spatio nexam, et levia ponderibos inhiberi qoo minos di metto, col quarto elemento dell’acqua. E eoal evolent, controque gravia, ne ruant, snependi leabbracciandosi insieme gli elementi, si viene a vibos in «obiime tendentibus. Sic, pari in diverso fare un nodo di diversità ; onde le cose leggieri niso, in sno qoaeqoe eoosistere, irrequieto mondi sono ritennte dalle gravi, perché elle non volino; ipsios constricta dreoito : qoo semper in se cor* e all'incontro acciocché le gravi non rovinino rente, imam atqoe mediam in toto esse terram, in giù, sono sospese dalle leggieri, che vanno eamdemqne aniversi cardine stare pendentem, librantem per qnae pendeat; ita solam immobilem all' insù. Così con pari sforzo, tirando ciascuna •irea eam volabtli universitate, eamdemex omaiin diversa parte, per la lor forza vengono a fer baa necti, eidemqoe omnia inniti. marsi , essendo ristrette insieme dal continuo circuito d’esso mondo : il quale correndo sempre in aè medesimo, la terra viene ad essere la piè bassa in metzo, e stasai sospesa sul perno del l'universo, e tiene sospesi quegli elementi, par li quali essa pende. E così ella sola sta immobile, girandosi gli altri intorno a lei ; e la medesima è collegata da tutti gli altri, e tatti gli altri si appoggiano a lei. Fra la terra e il eielo, per Io medesimo 6. later hanc coelomqoe eodem spirita pen 6. spirilo, pendono selle stelle separate ira laro dent, cerlie discreta spatiis, septem sidera, qaae con certi spatii, le quali per il moto loro chia ab inaerai voeamna errantia, qoom errent nolla miamo stelle erranti, dove non ce n' è ninna, m nae illis. Eorum medias sol Certor, amplissima magaitediae ac potestate ; neo temporom modo ch'erri meno d'esse. Per mezzo di queste va il icm rnm qoe, sed sideram etiam ipsorum coeliqae sole d'infinita grandezza e possanza, il quale non solo è rettore de'tempi e della terra, ma rector. Hone mondi esse totius animam aeplaoias ancora delle stelle istesse e del cielet E chi co n ■ calat, bone principale natone regimen ac na s c a credere decet, opera ejos aestimantes. Hic sidera bene l’opere di esso, dovrà crederà, che locem rebus ministrat, aufertqoe tenebras; bic egli sia l'anima di tutto il mondo, anzi pio ttosto r d i q u sidera occultat, illustrat; hic vices tempo- la mente, e il principal reggimeoto e divinità della natura. Questo è quel che ministra la laoe, rom amaomque semper renascentem ex asu natu rae temperat; biceoelrtristitiam discutit, atqoe e leva le tenebre dalle cose ; questo nasoonde le altre stelle, e questo secondo l'uso della natura etiam humani nubila animi serenat; hic soum tempera le scambievoli mutazioni de’ tempi, e lam a ceteria qooqoe sideribus fenerat: praecla Tanno, che sempre rinasce : questo discaccia la ras, eximia·, omnia inluens, omnia etiam exau-
C. PLINII SECUNDI
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4ieoi, ul principi li teraram Homero placuisse
in uno eo video.
D b D bo.
mestizia del cielo, e rasserena aneora i angoli dell'animo umano ; questo presta il soo lame ancora alle altre stelle, e come chiarissimo « grandissimo ch'egli è latte le cose risgaardt, e latte le ode, siccome io veggo esser pisciato ad Omero principe delle lettere. Di Dio.
7. E però io giudico debolezza umana il V. 7. Quapropter effigiem Dei formamque V. quaerere imbecillitatis humanae reor. Quisquis voler cercare la figura e forma di Dio. Qualun est Deas, si modo est alias, et quacumque in parte, que è Dio (se pur v 'è altro), e in qualunque parte si sia, è tatto del senso, tatto della vista, totas est sensus, totas visus, totus auditas, totus tutto del l'udito, tutto dell'animo, tutto delfini· animae, totus animi, totuj sui. Innumeros quidem credere, atque etiam ex virtutibas vitiisqae homi ma, e finalmente tutto di sè stesso. E veramente num, ut pudicitiam, concordiam, mentem, spem, è pazzia grandissima credere, che vi siano infi honorem, clementiam, fidem, aut ( ut Democrito niti dei secondo le virtù a i viziì degli nomini, placnit) duos omnino, poenam et beneficium, siccome la castità, la coneordia, la mente, h speranza, l'onore, la clemenza, la fede, 0 come majorem ad socordiam accedit. Fragilis et labo volle Democrito, due in tatto, la pena e il bene riosa mortalitas in partes ista digessit, infirmita tis suae memor, ut portionibus coleret quisque, fizio. Ma la debole e faticosa natura degli nomini quo maxime indigeret. Itaque numina alta aliis divise queste cose in parti, ricordandosi della gentibus, et nomina in iisdem innumerabilia re- infermità sua, acciocché ciascuno adorane in perimus; inferis quoque in genera descriptis, parti, quelle di che più avea bisogno. Noi ritro morbisque, et multis etiam pestibus, dum esse viamo dunque varii nomi in diverse Dazioni, e placatas trepido metu cupimus. Ideoque etiam in esse ancora innumerabili deità, essendo de scritti fino agli dei dell’ inferno in generi, e publice Febris fanum in Palatio dicatum est, Orbonae ad aedem Larium, et ara Malae For infermità, e molte pesti ancora, mentre che tunae Exquiliis. Quamobrem major coeli tum sovrappresi da spaventosa paura desideriamo pi*· populas etiam qaam hominam intelligi potest, carie. E perciò fu dedicato un tempio allaFebre in Palazzo, nel tempio dOrbona l’altare degli quum singuli quoque ex semetipsis totidem deos dei Familiari, e nel monte Esquilino alla ΜΛ faciant, Junones Geniosque odoptando sibi ; gen Fortuna. Onde si può stimare, che molto mag tes vero quaedam animalia et aliqua etiam obscoena pro diis habeant, ac mnlta dictu magis giore sia il popolo degli dei, che degli nomini, poi che tutti da sè medesimi si fanno altrettanti pudenda, per foetidos cibos et alia similia juran dei adottandosi le Giunoni e i Genii· Ed aiwhe tes. Matrimonia quidem inter deos credi,tantoque aevo ex his neminem nasci, et alios esse grandae alcuni popoli hanno per dei certi anim ali, e pnr vos semperque canos, alios juvenes atque pueros, degli sporchi, e molle cose ancora più disoneste a dirsi, giurando per cibi stom acosi, e simili altre atri coloris, aligeros, claudos, ovo editos, et al cose. Il creder ancora, che fra gli dei ci •*in0 ternis diebus viventes morientesque, puerilium mariti e mogli, e che per tanto tempo di loro prope deliramentorum est. Sed super omnem non nasca veruno, ch’alcuni d’essi siano veccki, impadentiam, adulteria inter ipsos fingi, mox e sempre canuti, altri giovani e fanciulli, di colot jurgia et odia, atque etiam fuGlorumesse et sce nero, alati, zoppi, nati d'un uovo, e di lerum numina. Deus est mortali juvare morta che partendo le volte fra loro, m entre che In· lem, et haec ad aeternam gloriato via. Hac proce res iere Romani ; hac nunc coelesti passu cum vive, l’altro si muoia, è scioccheria q0·*· ' fanciullesca. Ma vince ogni afacciatezM, «he ,r*. liberis suis vadit maximus omnis aevi rector Ve loro si fingano adulterii, villanie e odii, e che spasianus Augustus, fessis rebus subveniens. Hic est vetustissimus referendi bene merentibus gra siano ancora gli dei de' furti e delle #ce*kr*,e**^ Dìo è, che l'uomo aiuti l'altro uom o, e i oe* tiam mos, ut tales naminibas adscribant. Qaippe la via all'eterna gloria. Per questa via canna* ^ et omnium aliorum nomina deorum, et quae su pra retuli siderum, ex hominum nata sunt me rono i principi Romani, per questa ort ^ ritis. Jovem quidem aut Mercurium, aliterve alios con celeste passo, insieme co'suoi figH“ spassano Augusto il maggior principe, * inter se vocari, et esse coelestem nomenclaturam, viva, soccorrendo a» travagli del mondo. «■ quis oon interpretatione naturae fateatur? è 1' antichissimo costume, che per Γ,Ι0βΓ
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HISTORIARUM MUNDI LIB. II.
Irridendam vero, agere curam rerum hama· naram illad quidquid est summum. Anne tam tri tìi alqoe multiplici ministerio non pollui creda mus dubitemosve? Vix prope est judicare utrum magis conducat generi humano quando aliis nui· Ius est deorum respectus, aliis pudendus. Exter nis famulantur sacris, ac digitis deos gestant monstraqae quae colunt ; damnant et excogitant cibos; imperia dira in ispos, ne somno quidem quieto, irrogant ; non matrimonia, non liberos, aoa denique quidquaro aliud, nisi juvantibus sa cris, deligunt. Alii in ipso Capitolio fallunt, ac fulminantem pejerant Jovem. Et hos juvant «ce lerà, illos sacra sua poenis agunt.
Invenit tamen inter bas utrasque sententias medium sibi ipsa mortalitas numen, quo minus etiam plana de Deo conjectatio esset. Toto quip pe mundo, et locis omnibus, omnibusque horis, omnium vocibus Fortuna sola invocatur: una nominatur, una accusatur, una agitur rea, una cogitatur, sola laudator, sola arguitur, et cum eonviciis colitur: volubilis, a plerisque vero et caeca etiam existimata, vaga, inconstans, incerta, varia, indignorumque fautrix. Huic omnia expen sa, haic omnia feruntur accepla ; et in tota ratione mortalium,sola utramque paginam facit. Adeoque obnoxiae sumus sortis, nt Sors ipsa pro Deo sit, qua Deus probator incertos.
Pars alia et banc pellit, astroque soo eventus adsignat, et nascendi legibus; semelqoe in omnes fataros nmquam Deo decretam, io reliquam vero otiam datum. Sedere coepit sententia haec, pariterque et eruditum vulgus et rude in eam cursu vadit. Ecce fulgurum monitus, oraculorum prae fata, aruspicum praedicta, atque etiam parva di eta, in angariis sternumenta, et offensiones pe dam. Divus Angustus laevum prodiditsibi calceum praepostere indootum qao die seditione militari
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coloro che hanno fatto beneficio, essi sieoo posti nel numero degli dei. E certo che i nomi di tutti gli altri dei e delle stelle, che io ho raccontato di sopra, sono nati da'meriti degli uomini. E chi è, che non confessi Giove, e Mercurio, e altri altrimenti esser chiamati fra loro, ed essere la denominazione celeste per la interpretazione della natara. Ma egli è bene anche da ridere, che quel grande e supremo qualunque ei si sia, abbia la cura delle cose di questo mondo. Or non crederemo noi senza dubbio alcuno, che per cosi tristo e diverso maneggio egli venga a macchiarsi ? E certo che con difficoltà si può giudicare, qual de'due metta più conto alla generazione umana, poi che alcuni sono, che non hanno rispetto alcuno agli dei, e' altri Tanno tale, che i da vergognarsene. Perciocché servono ai sacri ficii stranieri, portano gli dei con le mani, e an che adorano i mostri, dannano alcuni cibi, e se ne vanno fantasticando de'naovi, impongono crudeli imperii a sè stessi, nè posson pure aver sonno quieto. Non fanno maritaggi, non haono cura de' figliuoli, e finalmente alcuna altra cosa non trattano, se non in quanto ne sono consi gliati da'sacrificii. Alcuni nel Campidoglio istesso ingannano altri, e giurano il falso per Giove folgorante : e questi nelle ribalderie sono favo riti, quegli altri cou tulli i lor sacrificii son puniti. Ha però la generazione umana trovatasi una deità di mezzo fra l'una e l’altra di queste due opinioni, per la quale verrebbe anche men chiara la congiettura di Dio. Perciocché in tutto il mondo, in tutti i luoghi, da tutte l'ore, con le voci di tutti è invocata la Fortuna sola: ella è nominala, ella è accusata, ella è incolpata, ella è pensata, ella lodata, ella ripresa, e con villanie adorata, ma da molli ancora è stimata e volu bile e cieca e incostante e incerta e varia, e fau trice degli uomini indegni. Costei governa ogni cosa, e da lei si riconosce il tolto ; e in tutto quanto il maneggio di questo mondo essa empie l'una e l'altra carta. E siamo tanto soggetti alla sorte, che la Sorte istessa si tien per Dio, per la quale si proova Dio essere incerto. Sonci alcnoi altri, che la rifiatano, attri buendo i successi delle cose agli influssi delle stelle, e alle condizioni del nascere : e questi tali vogliono, che Dio abbia deliberato una volta quel che ha ad essere di tutti, e che del rima nente poi non tenga conto aleono. E questa opinione è già cominciata a piacere, e non pare al volgo ignoranle, ma ancora agli uomini dotti. E di qui viene, che noi ci siamo dati a credere, che i folgori ci facciano avvertiti delle cose av-
C. PUNII SECUNDI
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prope afflictus est.Quae singula improvidam mor talitatem involvant, solam at inter isla certam sil nihil esse certi, nec miserias qaidqaam homi ne aat superbius. Ceteris quippe animantium so la victo· cara e«t, in qoo sponte naturae benigni tas «afficit; ano qaidem vel praeferendo cunctis bonis, qaod de gloria, de pecania, ambitione, superque de morie non cogitant.
Verum in his deos agere curam rerum huma narum credi, ex usu vitae est; poenasqae male ficiis aliquando seras, occupato Deo in tanta mole, numquam autem irritas esie; nec ideo proximam illi genitam hominem, at vilitate jaxta belluas esset. Imperfectae vero in homine naturae prae cipua solatia, ne Deum quidem posse omnia. Namqae nec sibi potest mortem consciscere, si velit, quod homioi dedit optimum in tantis vitae poenis; nec mortales aeternitate donare, aat re vocare defunctos ; nec facere ut qui vixit non vi xerit, qui honeresgessit non gesserit; nulluraqae habere ia praeterita jus, praeterquam oblivionis ; atque (at facetis quoque argumentis societas haec eum Deo copuletur) ut bis dena viginti non sint, ac multa similiter, efficere non posse : per quae declarator haud dubie natarae potentia, idqae esse qaod Deam vocamus. In haec divertisse non fuerit alienam, vulgata propter assiduam quaestionem de Deo.
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sidbeum natcaa .
— Db r u R m im
* ottj.
venire, che gli oracoli sappiano le cose innanti, e gl’ indovini le predicano, tanto che fino a piecoli starnati, e i percotimenti di piedi si mettono fra gli angarii. L'imperadore Angusto ebbe t dire, com'egli s'avea messa la calza manca in cambio della ritta, qael giorno che fu qatsi morto da*soldati ammutinati. E tutte queste cose aggirano gli uomini poco accorti, tanto che la più certa cosa, che sia fra esse, è il non esservi nulla di cerio, e che non vi sia cosa alcuna pià infelice, nè pià superba delPuomo. Perciocché gli altri animali non hanno cura d'altro se non del vitto, nel qaale la benignità della natura supplisce loro abbastanza. Oltra di ciò hanno ancora una cosa, la qual merita d* esser post* innanzi a tutti i beni, ch'essi non pensano punto nè alla gloria, nè a* denari, nè all'ambizioue, nè alla morte. Ma però in queste opinic*· torna bene a eredere, che gli dei abbiano cura delle eoee del mondo ; e che se ben lalora i maleficii tardi son puniti, ciò avvenga per esser· Dio occupato in tanta macchina, non già che mai ne vadano esenti. Nè perciò l'uomo fu generalo prossimo a Dio, acciocché per vililà fosse presso alle be stie. Bene è vero, che principal conforto ddls imperfetta natura dell' u o m o è questo, che nè anche Dio può ogui cosa. Perciocché egli non si può uccider da sè stesso, quando anche et volesse : la qual cosa fu dala per ottimo conforto all'uomo in tanti travagli di questa vita : aè può ancora fare gli uomini immortali, o ritornare i morti in vita, nè fare che chi è vissuto, noo sia visso, chi ha avolo degli onori, non gli abbia avuti, e in somma egli non ha ragione a la rn e nelle cose passate, fuor che l'oblivione ; e ( p e r unire ancora con faceti argomenti- questa com pagnia con Dio) e'non può fare, che due vo lta dieci non sian venti, e molte altre simili eoee : per le quali ragioni si viene a conoscere la poesanza della natura, esser quello, che noi chia miamo Dio. Nè però sarà stato fuor di prope silo, aver fatto questa digressione, per la contiatta investigazione, che si fa di Dio. D e l l a v a tu b a d b lle st bllb b e b a n ti.
r VI. 8. Hinc redeamus ad reliqua naturae sidera, VI. 8. Ora torniamo alPaltre cose della a e quae affixa diximus mando. Non illa, at existi tura. Le stelle, che noi diciamo essere appiccate mat vulgus, singulis attributa nobis, et clara di al cielo, non sono, come sì crede il volgo, a U rivitibus, minora pauperibus, obscara defectis, ac bui te a ciascun di noi, le chiare a' ricchi, l e mi pro sorte cajusqae lucentia, adnumerata mortalinori a’ poveri « le scure agli storpiati, e eoeà bos; nec eum suo qaaeqae homine orta moriunsecondo la sorte di ciascuno a chi piè, e a ehm. meno rilucenti : nè alcuna d'esse nata co l « a » tnr, nec aliquem exstingui decidua significant Non tanta coelo societas nobiscam est, at nostro uomo muore insieme con esso ; nè anche q u a n d o foto mortalis sit ibi quoque sideram fulgor. Illa elle cascano, significano che alcun mnoia. N o ia
aoi
HISTORIARUM MUNDI LIB. U.
nimio alimeli io tracti humoris ignea vi abun dantiam reddant, qaam decidere creduntor : at •pad nos qaoqae id, luminibus accensis, liquo re olei notamus accidere. Ceteram aeterna eat coelestibus natura, intexentibus mandam, iatextaqoe concretis; potentia autem ad terram ma gno pere eorum pertinens, quae, propter effectu» daritateroqae et magnitudinem, in tanta subtili tate nosci potuerant, sicut auo demonstrabimus loco. Circulorum quoque coeli ratio in terrae mentione aptias dicetur, qaando ad eam lota pertinet, signiferi modo inventionibus nou dila tu. Obliquitatem ejus intellexisse, hoc est rerum fores aperuisse, Anaximander Milesius traditur, primos, olimpiade quinquagesima oclava. Signa deinde in eo Cleostratus, et prima Arietis ac Sa gittarii. Sphaeram ipsam ante multo Atlas. Nuuc, relicto mondi ipsius corpore, reliqua inter coe lum terràsque tractentur.
Summum esse quod vocant Salami sidas, ideoqoe minimam videri, et maximo ambire cirtalo, ac tricesimo anno ad brevissima sedis saae principia regredi, certam est. Omnium autem er rantiam siderum meatus, interque ea Solis et La nae, contrariam mundo agere cursum, id est lae vum, illo semper in dexteram praecipi ti. Et quamvis assidua conversione immensae celeritati· attollantur ab eo, rapianturque in occasum, ad verso tamen ire motu per suos quaeque passui, lia fieri, ne convolatas aer eamdem in partem, aeterna mundi vertigine, ignavo globo torpeat, sed findatur, adverso siderum verbere discretus et digestus. Saturni autem sidus gelidae ac ri gentis esse naturae ; mulloque ex eo inferiorem Jovis circulum, et ideo mota celeriori duodenis drcnmagi annis. Tertium Martis, quod qaidam Herculis vocant, ignei, ardentis a Solis vicinitate, binis fere annis converti. Ideoque hujus ardore nimio el rigore Salumi, interjectum ambobus, ex alroque temperari Jovem, satotaremque fieri. Deinde Solis meatum esse partium quidem trecen tarum sexaginta: sed ut observatio umbrarum ejus redeat ad nota·» quinos annis dies adjici, wperque quartam partem diei. Quam ob causam quinto anno unus intercalaris dies additur, ut temporum ratio Solis itineri coqgruat.
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ha il cielo tanta compagnia con essonoi, che per nostro (alo quivi sia mortale ancora lo splen dore delle stelle. Elle abbondanti per lo troppo alimento dell'umor tratto a sè, rigettano quel vapor di fuoco, quando pare altrui che caschino, come si vede ancora appresso di noi avvenire a* lumi accesi ηβΙΓοϋο. Ma la natura de* corpi celesti è eterna, perciocch’essi intessono il mon do, e sono in esso tessuti, e la possanza loro è mollo grande sopra la terra, perchè per la chia* rilà e grandezza dcU'effetlo si sono potuti cono scere in tanta sottigliezza, come mostreremo al suo luogo. Parleremo anche pià a proposito dei circoli del cielo nella menzione, che si farà delia terra, poi che tutta la compositura del Zo diaco appartiene ad esso. Trovasi, come A na si mandrò Milesio neirolimpia cinquanfotlesimp fu il primo, che io lese la obbliquità di questo Zodiaco, e ciò fu uno aprir le porte delle cose. Cleostrato poi conobbe i segni in esso, e prima l’Ariele e il Sagittario. Ma molto tempo innanzi Atlante ebbe cognizione della sfera. Ora lascian do il corpo d’esso mondo, trattiamo delle altre cose, che sono fra il cielo e la terra. Chiara cosa è che il più allo di tutti è il pia neta di Saturno, e perciò poco si vede, e fa un grandissimo cerchio, tanto che in spazio di trenta anni ritorna a’ brevissimi principii della sua stanza. E che il viaggio di tutte le stelle erranti, e fra l'al tre del Sole e della Luna, fanno il corso contrario al mondo, cioè vanno a man manca, dove il mondo precipitosamente va sempre a man ritta. E benché per la continua rivoluzione d'una gran prestezza sieno innalzali da esso, e tirati a poneute, nondimeno essi con moto op posito, vanno co* passi loro verso levante. E ciò si fa, perchè l’aere rivolto nella medesima parte, per la eterna rivoluzione del mondo non rimanga immobile e pigro, ma si venga a fendere dall’opposito ripercotimento delle stelle, divenendo separabile e digesto. Ora la stella di Saturno è di natura gelata e fredda : e il circolo di Giove è mollo inferiore ad esso, e perciò con più veloce moto finisce il suo corso in dodici anni. 11 terzo è il pianeta di Marte, chiamato d’alcuni d’ Erco le, igneo e ardente per la vicinità del Sole, il quale quasi in due anni compie il suo corso. E perciò Giove essendo posto in mezzo fra il troppo ardor di questo, e il freddo di Saturno si viene a temperare per l’uno e l’altro, e farsi benigno. S’ ha dipoi da sapere, come il corso del Sole è di trecento sessanta gradi ; ma accioc ché l’o»serva*iooe dell’ombre sue ritorni a’segni notali, a ciascuno anno s’ aggiungono cinque giorni, e di più la quarta parte d’un giorno. Per questa cagion Panno quinto vi s'aggiufoe
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C. PLINII SECONDI
an dì di bisesto, accioochè la ragion del tempo si confaccia col viaggio del Sole. Infra Solem ambii ingens sidas, appellatum Sotto il Sole gira la grande stella chiamata Veneris, alterco meata vagum, ipsisqae cognomi Venere, con iscambievole corso vagabonda, e nibus aemulum Solis ac Lunae. Praeveniens quip per li saoi cognomi concorrente del Sole e del pe et aate matutinum exoriens, Luciferi nomen la Luna. Perciocché prevenendo il Sole, e aa accipit, nt Sol aller diem maturans : contra, ab scendo innanzi il mattino, si chiama Lucifero, occasa refulgens, nuncupatur Vesper, at proro come snella fosse an altro Sole, che affrettasse gans lucem, vicemque Lunae reddens. Qaam na· il giorno ; e all* incontro rilucendo dopo il tra taram ejus Pythagoras Samius primus deprehen montar del Sole, si chiama Vespero, quasi che dit, olympiade circiter l x i i , qui fuit urbis Romae prolunghi la luce, e faccia l’ufficio della Luna. annas ccxxn. Jam magnitudine extra cuncta 11 primo, che conoscesse la natura d'essa, (u alia sidera est; claritatis qaidem tantae, at unius Pittagora Sa mio intorno alla quarantesima se hujus stellae radiis umbrae reddantur. Itaque et conda olimpia, che fu l'anno cento quaranta d ae in magno nominum ambitu est. Alii enim Juno dell' edificazione di Roma. Ora di graodezza nis, alii Matris deùm appellavere. Hujus natara avanza ella tutte l'altre stelle; ed è di tanto splen cuncta generantor in terris. Namqoe in alteratro dore, che i raggi di qnesta stella fanno ombra, exortu genitali rore conspergens, non terrae mo e perciò è onorata di molti nomi. Perciocché do conceptus implel, verum animantium qaoque chi Γ ha chiamata Giunone, chi Iside, chi madre omnium stimulat. Signiferi autem ambitum pe degli dei. Dalla natura di questa stella tutte le ragit trecenis et duodequinquagenis diebus, ab cose si generano in terra. Perciocché nell'ano Sole numquam absistens partibus sex atque qua· e l’altro suo nascimento spargendo umor geni draginta longius, ut Timaeo placet. tale, nou solamente empie i concetti della terra, ma incita ancora quei di lutti gli animali. £ fa il suo corso per lo Zodiaco in trecento quaranta otto giorni, non s'allontanando mai dal Sole piè. che quarantasei gradi, come vuol Timeo. Di simil maniera, ma non già di grandezza, Simili ratione, sed nequaquam magnitudine aut vi proximum illi Mercurii sidus, a quibusdam o forza è la stella di Mercurio a lei vicina, chia appellatum Apollinis,inferiore circulo fertur, no mata da alcuni Apolline, la quale per avere il circolo inferiore, fa il suo cono nove giorni vem diebus ociore ambitu: modo ante Solis exor tam, modo post occasum splendens, numquam ab prima, rilucendo ora innanzi il nascimento del eo viginti tribus partibus remotior, ut hio idem Sole, e ora innanzi ch'ei tramonti : né mai si discosta da esso più che ventitré gradi, sicoome et Sosigenes docent. Ideo et peculiaris horum Ctesia e Sosi gene dimostrarono, fi perù la stanza sfderum ratio est, neque communis cum supra dictis. Namqae ea et quarta parte coeli a Sole di queste stelle è peculiare, e non ha ponto ch e fare con le sopnddette. Perciocch'elleno si veg abesse, et tertia; et adversa Soli saepe cernuntur. gono esser lontane dal Sole per la quarta e tersa Majoresqae alios habent cuncta plenae conversio nis ambitas, in magni anni ratione dicendos. parte del cielo, e talon anche opposte. E latte hanno maggiori gli altri circuiti della piena conversione, de'quali si ragionerà nel tntlato dell'anno grande. Vince poi le maraviglie di tatti la Luna, 9. Sed omnium admirationem vincit novissi 9. ultima stella, e faraigliarissima alla terra, trovata mam sidas, terrisque familiarissimum, et tene dalla natura per rimedio delle tenebre. Questo brarum remedium ab natura repertum, Lanae. pianeta ha travagliato molto gl* ingegni de'conMultiformi haec ambage torsit ingenia contem plantium, et proximam ignorari maxime sidas ' templativi, i qoali si sdegnavano grandemente indignantium. Crescens semper, aat senescens : di non conoscere questa stella tanto vicina, la et modo curvata in cornua facie, modo aequa quale sempre cresce, o scema : e o n si spiega portione divisa, modo sinuata in orbem ; macu in due corna, ora si divide in egual porzione, quando si fa di tutto tondo, quando è piena losa, eademqae subito praenitens; immensa orbe di macchie, quando tutta rilucente, e grandissi pleno, ac repente nulla ; alias pernox, alias sera, ma col cerchio pieno, e in un subito divien nulla. et parte diei Solis lucem adjuvans; deficiens, Alcuna volta riluce tatta la notte, e talora si «tin defectu tamen conspicua; quae mensis exita latet, qaam laborare non creditur; jam vero ha· leva tanto tardi, che ana parte del giorno aiata mitis, et exoeisa, et ne id qaidem una modo, sed la luce del Sole. Manca talora di lame, e aon-
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HISTORIARUM MUNDI LIB. II.
«lias admota coelo, alias contigua montibus; nane in aqailonem elata, nunc in austro· dejecta : quae •singola in ea deprehendit hominum primus En· djmion, et ob id amore ejas captas fama tradi tor. Non somos profecto grati erga eos, qui labore c u raq u e locem nobis aperuere ia hac loce ; raira· qoe humani iogenii peste, sanguinem et caedes condere annalibus juvat, at scelera hominam noscantnr mundi ipsias ignaris.
dimeno nel mancar ai vede ; e nel fine del mese si nasconde, nè però si crede ch'ella patisca. Ora appar bassa e ora alta, nè perciò fa questo a un modo solo, perchè alcuna volta s* innalza fino al cielo, e talora pare che tocchi i monti ; ora la veggiamo volta a tramontana, ora chi nata verso mezzogiorno : e il primo che conobbe queste particolarità di lei^ fu Endimione, il qaal perciò si fìnge che fosse innamoralo d' esu. E veramente che noi siamo poco grati verso di coloro, i quali con fatica e cura ci hanno aperta la luce in questa luce ; là dove con rairabil danno degli umani ingegni ci dilettiamo di mettere il sangue e l’uccisioni sulle istorie, acciocché le scelleraggiui degli nomini sieno note a chi non ha cognizione d'esso mondo. Essendo adunque la Luna vicina al cardine Proxima ergo cardini, ideoque miifimo ambi to, vicenis diebus septenisque et tertia diei parte, del cielo, e perciò di minimo giro, in ventisette giorni e la terza parte d'un dì fornisce quel peragit spatia eadem, qaae Saturni sidas ellissimedesimo corso, che rallissima stella di Saturno, anom triginta,at dictam est, annis. Deinde,morata come a* è detto, fa in trenta anni. Stata dipoi in coito Solis bidao, quum tardissime tricesima loce rursus ad easdem vices exit, haud scio an due giorni nella congiunzione del Sole, al pià omnium, quae in coelo pernosci potuerunt ma tardi il trentesimo giorno torna di nuovo alle gistra : ia duodecim mensium spatia oportere sue medesime volte : e non so s'ella sia mastra dividi annum, quando ipsa tolies Solem redeun di tntte le cose, che si sono potote conoscere in tem ad principia consequitur ; Solis fulgore eam cielo : che sia necessario divider l'anno in dodici ot reliqua siderum regi, siquidem in totum mu mesi, dove essa altrettante volte rsggiugne il tuala ab eo loce fulgere, qualem in repercussa Sole che ritorna a'suoi principii: ch'ella come aquae volitare conspicimus; ideo molliore et im l'altre stelle sia retta dallo splendore del Sole. perfecta vi solvere tantum humorem, atque etiam Perciocché ella risplende con quella luce, che in aogere, quem Solis radii absumant ; ideo et inae tutto ha ricevuta da lu i, siccome la veggiamo quali lumine adspici, quia, ex adverso demum volare nel ribattere dell'acque. E perciò eoa •plena, reliquis diebus tantam ex se terris osten molto molle e imperfetta forza risolve, e accresce dat quantam ex Sole ipsa concipiat; in coilu qui· ancora tanto umore, quanto i raggi del Sole dem oon cerni, quoniam haustam o unem lucis possono consumare. Per questa cagione non ap pare sempre con lume eguale, perchi nella oppo adversa illo regerat onde acceperit ; sidera vero sizione si vede tutla, dove gli altri giorni mostra haud dubie humore terreno pasci, quia orbe ditanto di sè alla terra, quanto ella riceve dal Sole. oidio nonnumquam maculosa cernatur, scilicet Nella congiunzione non si vede, perciocché tutta nondum suppetente ad hauriendum ultra justa vi; maculas enim non aliud esse qaam lerrae ra quella luce, che piglia, la rigetta, donde l ' ha avuta. Le stelle poi senza alcun dubhio si pa ptas cum humore sordes ; scono d 'umor terreno, perchè talora essendo mezzo tonda, si vede tutta piena di imicchie; atteso che la forza non basta a tirare a sè com petente materia. Perciocché le macchie non sono altro, che lordure della terra tirate in alto con l'umore. io. Gli eclissi suoi e del Sole, cosa in tutta la 10. defectos autem suos et Solis, rem iu lota contemplazione della natura molto maravigliosa, contemplatione naturae maxime miram el osten to similem, eorum magnitudinum umbraeque in e simile a un prodigio, sono segni della gran dezza e dell'omhre loro. dices exsistere. D a L o n a b b t S o l i s d e fe c t ib u s .
D e l l ' e c l is s e d b l S o l b
b della
L otta.
VII. Perciocché chiaro è, come il Sole ci si VII. Quippe maoifestum est Solem interventu L*aae occultari, Lunamque Terrae objectu; ac viene a nascondere, quando la Luna si mette
C. pumi SECUNDI vice· reddi, eosdem Soli· radios Luna interpositu «ao «afferente Terrae, Terraque Lunae. Hac subeunte repentinas obduci tenebras,rarsomqae il lius umbra sidus hebetari. Neque aliud esse no ctem, qaam Terrae umbram. Figuram autem umbrae similem metae, ac turbini inverso: quan do mucrone tantum ingruat, neque Lunae exce dat altitudinem; quoniam nullum aliud eodem modo obscuretur, et talis figura semper mucrone deficiat. Spatio quidem consumi umbras, indicio sunt volucruro praealti volatui. Ergo confinium illis est aeris terminns, initiumque aetheris. Supra Lanam pura omnia ac diuturnae luris plena. A nobis autem pernoctem cernuntur sidera,nt reli qua lumina a tenebria» Et propter has causas no cturno tempore deficit Luna. Stati autem atque menstrui non sunt ntrique defectus, propter obli quitatem signiferi, Lunaeque multivagos, ut di* ctom est, flexus, non semper in scrupulis partium congruente siderum motu.
D k MAGNITUDINE SIDEEOM.
VIII i i . Haec ratio mortales animos subducit in coelum, ac, velut inde contemplantibus, trium maximarum rerum naturae partium magnitudi nem delegit. Non posset quippe lotus Sol adimi terris in tercedente Luna, si Terra major esset quam Luna. Tertia ex atroque vastita· Solis aperitur, ut non sit necesse amplitudinem ejusocalorum argumen tis atque conjectnra animi scrutari : immensum «•se, quia arboram in limitibus porrectarum in quotlibet passuum millia umbras paribus jaciat intervalli·, tamquam tolu spatio medius ; et quia per aequinoctium, omnibus in meridiana plaga habitantibus, simul fiat a vertice; ilem quia ci tra solstitialem circulum habitantium meridie ad septemtrionera umbrae cadant, orlu vero ad oc casum : qaae fieri nullo modo possent nisi multo quam Terra major esset; nec quod montem Idam exoriens latitudine exsuperet, dextra laevaque large amplectens, praesertim tanto discretus in tervallo.
in ntezto, e la Lana per laoppositione dalla Terra ; e rendonsi lo acambio l'un l'altro, parchi la Luna eoi frammettersi kya i raggi del SoleaUt Terra, e 1« Terra aUa Lvaa. Perché sottentraedo qaeato «abito si viene a far baio, e per l'ombra d'essa il pianeta perde fi suo lame. Nè altro è notte, che l'ombra della terra. E la figura del l'ombra è simile a una meta, o palèo volto sotto sopra, perchè se gli volta solamente con la pasta, e non trapassa la larghezza della Luna, percioc ché ninna altra stella s'oscura in quel modo, e tal figura sempre viene scemando nella panta. E che per lungo tratto vengano manco l'ombre, si può vedere per gli altissimi voli, che gli accedi fanno. Il confine lor dunque è il termine del* l'aria, e il principio del fuoco. Sopra la Lana poi tutte te cose son pure e piene di diurna tace. E noi di notte tempo veggiamo le stelle, o o b k si veggono gli altri lumi al baio. E per quest· cagione la Lana s'oacura di notte. E gli editai dell'uno e dell'altro non sono i tempi fermi e determinati d'ogni mese, per rispetto dell'obbiiquità del Zodiaco, e per li molto varii rivolgi menti, come s'è detto della Luna; perqhè il mota delle stelle non conviene sempre nelle divisioni delle parli. D e l l a g r a n d e zza d e ll e St e l l e .
Vili. i i . Questa considerazione tira gli — imi nostri in cielo, e quasi che di là contemplassimo, ci scuopre la grandezza di tre grandiasi me oaw, che sono parli della natura. E certamente, che non si potrebbe levare lotto il Sole alla Terra, interponendosi la Lana, •e la Terra fosse maggiore, che la Lana. Dall'ana e l'altra poi si vede più certa la grandezza del Sole in modo che non fa bisogno speculare l'am plitudine sua con la pruova degli occhi, e con la congettura delTanimo. E così non è dubbio, che questo Sole è smisurato, perciocché noi reg giamo, ch'essendo molti alberi posti alla fila per ispazio di quante miglia si voglia, esso getta l'ombre loro con eguale intervallo, oome se foaae in mezzo di lutto lo spazio; e perchè nello equi nozio, tulli coloro, che abitano nella parte meri dionale, hanno l'ombra del mezzogiorno per pendicolare sopra la lesta ; e perchè l ' ombre degli abitatori del circolo aolstiziale nel mezzo giorno caggiono a tramontana, e al nascer del Sole caggiono a ponente : le qnali cose per alena modo non sì potrebbon fare, s'ei non fosse molto maggior che la Terra ; e perchè quando nasce, con la sua latitudine trapassa il monte Ida, lar gamente abbracciandolo da man ritta e man manca, massimamente essendo separato per tanto intervallo.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. II.
Defectas Lanae magnitudinem ejus haud dubi· ratione declarat, sica t Terrae parvitatem ipse deficiens. Namque, quum sint tres umbrarum figorae,constetque, ai par Jumini sit materia quae jactat umbram, columnae effigie jaci, nec habere finem; si vero major materia quam lumen, turbi nis recti, ut sit imum ejus angustissimum, et si mili modo infinita longitudo ; si minor materia qaam lux, metae exsistere effigiem in cacuminis fioera desinentem ; talemque cerni umbram de ficiente Luna, palam fit, ut nulla amplius relin quatur dubitatio superari magnitudine Terram : id quidem et tacitils ipsius naturae indiciis. Cur eoira partilis vicibus anui brumalis abscedit? nt noctium opacitate terf-as reficiat, exusturus baud dubie, et sic quoque exurens quadam in parte; tanta magnitudo est.
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L'eclisse poi della Luna mostra con manifesta ragione la grandezza del Sole, siccome oscuran dosi esso, si viene a conoscere quanto aia picciola la Terra. Perciocché essendo tre le figure dell’ombre, ed essendo cosa chiara, che se la mate ria, che gella l'ombra, é pari al lume, si viene a fare una figura di colonna, e se la materia è maggior che il lume, l’ombra é simile a un paleo diritto, in modo che la parte sua bassa é sotti» lissima, e similmeute la lunghezza infinita ; se la materia è minore che la luce, l’ombra somiglia una meta, il cui fine sia appuntalo, e tal si vede l ' ombra oscurando la Luna : chiaramente si truova, senza averci dubbio alcuuo, che la Terra è vinta di grandezza. E questo ancora si conosce per tacili segni d’ essa natura. Perchè qual’ è la cagione, che il Sole si discosta il verno? se non acciocché la freschezza della notte ristori la Terra : perciocché senza dubbio egli l’abbracierebbe, e così ancora l’ abbrucia in alcuna parte; tanta è la sua grandezza. D i QUELLE COSE CBB ALCUBI BAH TEOVATE,
QoAB QUIS IR V B 9BR IT M OBSERVATIO 1ΓΒ COBLBSTI.
IX. ia. Et rationem quidem defectus utriusque primus Romani generis in vulgus extulit Sulpicius Gallus, qui consul cum Marcello fuit, sed tum tribunus militum, sollicitudine exercitu libera to, pridie quam Perseos rex superatus a Paulo est, in concionem ab imperatore productus ad praedicendam eclipsiro, mox et composito volu mine. Apud Graecos aulem investigavit primos omnium Thales Milesius, olympiadis x l v u i anno quarto praedicto Solis defectu, qui Alyatte rege factos est, Urbis conditae anno c l x x . Post eos atriosque sideris cursum in sexcentos annos praecinait Hipparchus, menses gentium, diesque et horas, ac situs locorum, et visus populorum coro· plexos, aevo teste, haud alio modo quam consi liorum naturae particeps. Viri ingentes, supraque mortalia, laniorum numiuum lege deprehensa, et misera hominum mente absoluta, in defectibus scelera aut mortem aliquam siderum pavento (quo in melu fuisse Stesichori el Pindari vatum sublimia ora palam est deliquio Solis), et in Lu na veneficia arguente mortalitate, et ob id crepi tu dissono auxilianie. Quo pavore, ignarus cau sae, Nicias Atheniensium imperator, veritus clas· sera porlo educere, opes eorum afflixit. Macti ingenio este, coeli interpretes, rerumque naturae c4paces,argumenli repertores quo deos hominesqoe vinxistis ! Quis enim haec cernens, et statos siderum (quoniam ita placuil appellare) labores, non suae necessitati morlalis genilus ignoscat?
h e l l ’ o s s e a v a z io b e d e l c ie l o .
IX. ìa. Il primo, che in Roma trovò la ra gione dell’eclisse dell’uno e Pai Irò, fu Sulpizio Gallo, il quale fu consolo insieme con M. Mar cello ; ma allora era tribuno de' soldati, libe rando l’esercito da una gran paura, il giorno avanti che il re Perseo fu vinto da Paolo, che dal generale fu presentato in pubblico parla mento, a fare intendere loro l’eclisse; e dipoi anche sopra ciò compose un libro. Ma appresso i Greci, il primo che la investigò fu Talete Milesio, Panno quarto della quarantesima ottava olimpia, predicando Peclisse del Sole, che si fece sotto il re Asliage, cento e sellante anni dopo 1’ edificazione di Roma. Dopo questi Ipparco predisse i corsi del Sole e delia Luna per seicento anni, comprendendo i mesi delle genti, e i di, e Pure, e i sili de’ luoghi e i borghi de’ popoli, essendone testimone il tempo, non per altro modo, che se fosse stalo partecipe de’ consigli della nalura. Sono stali quegli uomini eccellenti, i quali avendo sopra Puso della natura umana compresa la legge di sì gran deità, liberarono la misera mente degli uomini, la quale nelPoscurar delle stelle, temeva d’ alcuna scelleraggine, omorte d’esse (nella qual paura si legge che furono ancora Stesicoro e Piudaro,eccellentissimi poeti,pei- l’eclissi del Sole descritto ne’foro versi) e gli uomini, che giudicavano la Luna esser tra vagliala dagl’ incanti, e perciò l’aiutavano con lo strepito di varii tuoni. Per lo quale spavento Nicia capitan generale degli Ateniesi, non sapendone
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C. PUNII SECUNDI
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Nunc confessa de iisdem breviter atque capi tulatim attingam, raiione admodum necessariis locis strictimque reddita; nam neque instituti operis lalis argumentatio est, neque omniam rerum afferri posse causas minus mirum est quam constare in aliqaibns.
Q uando e b c d r e a n t S o l is ac L u n a s d e fe c t o s .
la cagione, temendo di menare Parmala fuor del porto, mise io travaglio grande lo stato loro. Voi siete veramente uomini di grande ingegno, interpreti del eielo, e capaci della natara delle cose, avendo il modo da viocere gli uomini e gli dei. Perciocché quale è colui, che vegga queste cose, e l'ordinate fatiche delle stelle, poiehè così ci piace chiamarle, che non abbia per iscusata la saa necessità, essendo nato mortale? lo toccherò ora brevemente, e per capitoli le cose, che de' già delti si confessano, rendendo strettamente la ragione, o in luoghi molto neces sarii . Perciocché tal discorso non è secondo il proposito nostro, ed è meno da maravigliarsi, ehe non si possa allegare la cagione di tulle le cose, ehe non è di poterla dire in alcune. D e l FE110D0
o b o li sc u ssi so lasi
e lo h a e i .
X. i 3. Defestus ducentis viginti tribus mensi· X. i 3. Chiara cosa è, che gli eclissi ritornano bai redire in saos orbes certum est;Solisque defe ne' loro cerchi in dugento ventidue mesi ; e die ctum non nisi novissima primave fieri Luna,qnod l 'eclisse del Sole non si fa, se non nell' ultima, vocant coitum ; Lunae autem non nisi plena, sem- o prima Luna, che si chiama congiunzione. Ma perque cifra quam proxime fuerit. Omnibus Γ eclisse della Luna non si fa se non qaando dia autem annis fieri ntriusque sideris defectus, statis è piena, e sempre prossimamente di qua dall'opdiebus horisque, sub terra. Nec tamen, qaam su posisione. Bene è vero, che ogni anno a certi perne fiant, ubiqae cerni, aliqaando propter nu giorni e ore determinale si viene a (are P edisse bila, saepius globo terrae obstante convexitatibus dell1uno e l ' altro pianeta sotto terra. Nè però mundi. Intra ducentos annos Hipparchi sagacitate quando e' si (anno sopra la terra, si veggono per compertum est, et Lanae defectum aliquando tutto, e ciò talora avviene per cagione dei m * quinto mense a priore fieri, Solis vero septimo ; goti, e spesse volte ancora perchè il globo della eamdem bis in triginta diebus supra terras occul terra s 'oppone alle convessità del mondo. Sap tari, sed ab aliis atqne aliis hoc cerni ; quaeque piamo ancora da dugento anni in qna per la in saot in hoc miraculo maxime mira, quum con dustria d 'lpparco, come l 'eelisse della Leoa al veniat umbra terrae Lunam hebetari, nunc ab cuna volta si fa cinque mesi dopo il primo, e occasus parte boc ei accidere, nane ab exortos ; qnel del Sole sette mesi ; e che la medesima Lana et quanam raiione, quam Solis exorta ambra s'asconde due volte in trenta giorni sopra la illa hebetatrix sub terra esse debeat, semel jam terra, e che ciò non si può vedere da tatti, e acciderit at in occasu Luna deficeret, utroque qaello che è maggior maraviglia in qaesto mira super terram conspicuo sidere. Nam ut quinde colo , essendo necessario che la Luna s' oscuri cim diebus utrumque sidus quaereretur, et nostro per l ' ombra della Terra, che qaesto ora le av aevo accidit, imperatoribus Vespasianis, patre m, viene dalla parte di ponente, e ora di levante ; e per qual ragione, dovendo al nascere dd Sole, filio iterum coniulibas. quella ombra, che la fa osearare, esser sotterra, fa che uaa volta egli avveone, che la Lana oscnrò nel tramontare ; veggendosi l ' ano e l ' altro pianeta sopra la terra. A' tempi nostri avvenne ancora, che l ' nna e 1*altra stella non si vide per quindici giorni, e ciò fu l ' anno, che gli imperadori Vespasiani furono consoli, il padre la tersa volta, e il figliuolo la seconda. D e L unae m otu.
D bl m oto d e l l a L o r i .
XI. 14. Lunam semper averris a Sole cornibus, XI. 14. Ei non è dubbio alcuno, che la Luna si crescat, ortus spectare, si minuatar, occasus, sempre con le corna volle al contrario del Sole,
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HISTORIARUM MUNDI L1B. II.
haud dubiam est. Lacere dodrantes semuncias boraram ik secanda adjieientem usque ad ple nam orbem, detrahea lemque in diminalioneni. InIra quataordecim autem partes Solis, semper occultam esse. Quo argomento amplior erran tium stellarum quam Lonae magnitudo colligi· tor, quando illae et a septenis interdum partibus emergant. Sed allilado cogit minores videri, sical affixas coelo Solis fulgor iolerdiu non carni, qaam aeque ac noeta luceant, idqae manifestam fiat defecta Solis et praealtis puteis.
E llfkM A l MOTUS,HT LUMIHUM CANONICA.
s’ ella cresce, guarda levante, se ella scema, po nente. E riluce, aggiugnendo ogni dì, comin ciando dal secondo, iusino al pieno tondo circa quattro quinti d’ ora, e così ne leva in diminu zione. E non appare, se non s* allontana dal Sole quattordici gradi. Per lo quale argomento si comprende, che la grandezza delle stelle erranti è maggiore, che quella della Luna, perciocché quelle appaiono alcuna volta, se sono sette gradi lontane dal Sole. Ma P altezza loro le fa paref minori, come le stelle fisse per lo splendor del Sole non si veggono di giorno, benché elle rilu cano non meno ebe la notte : il che manifeslamente si vede negli eclissi del Sole, e negli alti*, simi pozzi. Dbl m oto db’ p ia n e ti,
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b d e c a n o r i d b ' lu m i.
XII. i5. Errantium autem Ires, quas supra XII. 15 . 1 tre pianeti, che noi abbiamo detto Solem diximus silas, occultantor, meantes eam esser posti sopra il Sole, si nascondono quando eo. Exoriuntur Tero maialino, discedentes parti- camminano con esso lui, ma essendosi dilungati bas numquam amplias undenis. Postea radiorom da lui non più che undici gradi, si cominciano ejas contacta reguntur, et in triquetro, a parti a vedere, e nascono da mattina. Dipoi si reggono bus cenlam viginti, stationes matalinas faciunt, tocchi da’ raggi d'esso: e in trino da’ gradi cento qoae et primae vocantor ; mox in adverso, a venti fanno le stazioni mattatine, le quali si chia partibus centum octoginta, exortas vespertinos ; mano eneo le prime : dipoi alP incontro da' gradi iteramqae, io eentam viginti ab alio latere ap cento ottanta, fanno i nascimenti di sera. E pa propinquantes, stationes vespertinas, quas et rimente ne'cento venti gradi dalP altro lato, che secandas vocant; donec assecutae in partibas a’ appressa, le stazioni della sera, le quali si chia duodenis occultet illas, qoi vespertini occasns mano seconde, infinchè il Sole appressandosi ai appellantur. Martis stella, ut propior, eliam ex dodici gradi a quelle stelle, le nasconde : e que qaaJrmto sentit radios, ab oonaginta parlibus : sti si chiamano oocasi vespertini. La stella di unde et nomen accepit is raolus, primus et secun Marte, come più vicina, sente ancora i suoi raggi das nonagenarios dictus ab utroque exorlu. Ea dal quadrato, che sono novanta gradi : onde an dem stationalia senis mensibus commoratur in che questo moto prese il nome, e fu chiamato aigms, alioqui bimestris, quum ceterae utraque primo e secondo nonagenario dall’ uno e P altro slattone qoa ternos menses non irople«nt. nascimento. Questa medesima stella stazionale dimora sei mesi ne* segni, altrimenti due, benché l’ altre nelP una e P altra stazione non fornisca no quattro mesi. Inferiores autem duae occultantur in coito I due pianeti, che sono sotto il Sole, si na vespertino,simili modo; relicloque Sole, totidem scondono nella congiunzione di sera per simil in partibas faciant exortus matutinos ; atque a modo, e abbandonati dal Sole, in altrettanti longissimis distantiae suae melis Solem insequun gradi fanno i nascimenti mattutini ; e seguono tor, adeptacque occasu matutino condantur ac il Sole, da remotissimi termini della sua distanza, praetereant; mox eodem intervallo vespere ex e avendolo ragginolo col mattutino occaso si ornator, uaqoe ad quos diximus terminos ; ab cuoprono, e passano oltre. Poco dipoi col mede his retrogradiantur ad Solem, et occasu9vesper simo intervallo da- sera nascono fino a quei ter tino deli meant. Veneris stella et stationes duas, mini, che abbiamo detto. E da quegli retrogra mata linam veapertinamque, ab utroque exorlu dando tornano al Sole, e si nascondono col tra facit, a loagissimis distantiae suae finibus. Mer montar la sera. La stella di Venere fa due sta tem stationes breviore momento quam nt depre zioni, Puna la mattina, P altra la sera dalP uno e : P altro nascimento da lunghissimi confini della c a t i poasiot. sua distanza. Le stazioni di Mercurio sono di sì breve momento, che non si può comprendere.
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G. PLINII SECUNDI QuABE EADEM ILIAS ALTIOBA, ALIAS FBOPIOBA VIDBAKTUa.
Pisaeae
lb m edesim e s t e l l e p a ia n o
orna n è
alte ,
ΟΚΑ PIÒ BASSE.
E questa è la ragione de' lumi, e delle XIII. Haec esi luminum occultationumque Xlll. ratio, perplexior motu, mullisqae involata mira loro occultazioni, inviluppata da troppo intrica culis. Siquidem magnitudines suas el colores to molo, e da molti miracoli. Perciocché molano mutant; et eaedam ad septemtrionem accedunt, le grandezze, e i colori loro, e le medesime s' ac abeuntque ad austrum; terrisque propiores aut costano a tramontana, e partono a mezzogiorno, coelo repente cernuntur. In quibus aliter malta e veggonsi a on tratto ora vicine alla terra, e ora quam priores tradituri, fatemur ea quoque illo ritirate al cielo. Circa le quali stelle essendo io rum esse muneris, qui primi quaerendi vias de per mostrare molte cose altrimenti che non fe monstraverunt : modo ne quis desperet secula cero gli antichi, confesso che ciò era ufficio di proficere semper. Pluribus de causis haec omnia coloro, i quali furono i primi a mostrar le vie di cercarle, pur che altri non perda la speranza, accidunt. che il mondo non vada sempre migliorando. Per più cagioni avvengono tutte queste cose. La prima è de' circoli, quali i Greci chiamano Prima circulorum, quos Graeci io nelle stelle abside ; perciocché s* hanno da osare stellis vocant: etenim Graecis utendum erit vocabulis. Suut autem h^ui cuique earum, alii- i vocàboli Greci. E ciascuo pianeta ha le »oe qne quam mando : quoniam terra, a verticibus abside, le qoali sono differenti da quelle del mon duobus, quos appellaverunt polos, centrum coeli do ; perciocché la terra è il centro del cielo fra i est, nec non signiferi, oblique ioter eos sili. due poli, e del Zodiaco ancora, obbliquaraente Omnia autem haec coostant ratione circini sem posti fra loro. E tutte queste cose con la ragione per indubitata. Ergo ab alio cuique centro absi delle feste vengono chiare, e senza dubbio alcuno. des suae exsurgunt; ideoque diversos habent Nascono dunque le absidi da diversi centri a orbes, motusque dissimiles, qnoniam interiores ciascun pianeta. E perciò hanno diversi circoli, e differenti moli, perchè è necessario che le ab absidas necesse est breviores esse. side di dentro sieno più brevi. 16. Dal centro della terra dunque «000 di 16. Igitur a terrae centro absides altissimae sunt, Saturnò in Scorpione, Jovi inVirgine, Marti scoste, e altissime le abside, a Saturno nello Scor in Leone, Soli in Geminis, Veneri in Sagittario, pione, a Giove nella Vergine, a Marte nel Leone, Mercurio in Capricorno,mediis omnium partibus. al Sole ne' Gemini, a Venere nel Sagittario, a Et e contrario, ad terrae centrum haroillimae Mercurio nel Capricorno, nel mezzo de* gradi atque proximae. Sic fit at tardius moveri videan tutti. E per lo contrario al centro della terra tur, quum altissimo ambita feruntur : non quia bassissime e vicine. E perciò pare che ai mova accelerent tardentve naturales molus, qui certi no più tardi, quando sono portate nel pià allo ac singuli sunt illis ; sed quia deductas ab sum circuito, non ch'elle affrettino, o tardino i moli ma abside lineas coarclari ad centrum necesse naturali, i quali ciascun pianeta ha proprii e est, sicut io rotis radios ; idemque motus alias determinati ; ma perchè lirate le linee dalla som major, alias minor, centri propinquitate sentitor. ma abside, è necessario che si ristringano al centro, siccome fanno i raggi nelle ruote, e il medesimo molo quando si sente maggiore, e quando minore per la vicinila del centro. Ecci un* altra ragione delle loro altitudini, ▲Itera sublimitatum causa, quoniam a sno centro absidas altissimas habent in aliis signis : perchè bauno le absidi altissime dal loro centro Saturnus in Librae parte vicesima, Jupiter Cancri in altri segni. Salarno nel ventesimo grodo di quintadecima, Mars Capricorni vicesima octava, Libra, Giove ne'quindici di Cancro, Marte nei Sol Arietis decima nona, Venus Pisciam vicesima veni' olio di Capricorno, il Sole ne' venti nove septima, Mercorios Virginis decima quinta, La d’ Ariete, Venere ne'sedici di Pesce,. Mercurio ne’ quindici di Vergine, e la. Luna ne'quattro na Tauri tertia. di Tauro. La terza ragione delle alliludini *’ intende Tertia altitudinum ralio, coeli mensura, 009 circuli, iptelligitur ; subire eas aut descendere per la misura del cielo, e non del circolo, perchè gli occhi giudicano quegli o salire, o discendere per profundam aéris, oculis existimantibus. per la profondità dell' aere.
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HISTORIARUM MUNDI L1B. II.
Huic connexa latitudinum signiferi, obliquità· lisqne, causa est. Per hunc stellae, quas dixiraos, feruntur; nec aliad habitatur in terris quam quod illi subjacet, reliqua a polis squalent. Vene· ria tantum stella excedit eum binis partibus ; quae causa intelligilur efficere ut quaedam ani· malia et io desertis mundi nascantur. Luna quo que per totam latitudinem ejns ugalnr, sed orouino non excedens eum. Ah his Mercurii stella laxissime, ut tamen e duodenis partibus (tot enim sunt latitudinis) non amplius octonas pererret, neque has aequaliter, sed duas medio ejus, et supra quatuor, infra duas. Sol deiude medio fertur inter duas partes flexuoso draco num meatu inaequalis. Martis stella quatuor medias, Jovis mediam et super eam duas ; Satur ni duas, ut Sol. Haec erit latitudinum ratio ad austrum descendeutium, aut ad aquilonem sube untium. Hac constare et tertiam illam a terra subeuntium in coelum, et pariter scandi eam qaoqoe, existimavere plerique falso ; qai ut coarguantur, aperienda est subtilitas immensa, et omnes eas complexa cautas.
Convenit stellas in occasu vespertino proxi mas esse terrae et latitudine et altitudine ; exortusqoe matutinos in initio cojusque fieri ; statio nes in mediis latitudinum articulis, quae vocant Ecliptica. Perinde confessum est motum augeri qoamdiu in vicino sint terrae; quum abscedant m altitudinem, minui. Quae ratio Lunae maxime sublimitatibus adprobator. Aeque non est dubiam io exortibus matutinis etiam numerum augeri ; atque a stationibos primis tres superiores diminai ■sqae ad stationes secundas. Quae quum ita sint, manifestam erit ab exor ta matutino latitudines scandi, quoniam in eo primum babitu incipiant parcius adjici motus; ia stationibus vero primis altitudinem subire, qaoniam tum primum incipiat detrahi numerus, stellaeque retroire. Cujus rei ratioprivatim red denda est. Percussae in qua diximus parte, et triangulo Solis radi^ inhibentnr rectum agere cursam, et ignea τί levantur in sublime. Hoc non protinus intelligi potest visu nostro; ideoqae existimantur stare, onde et nomen accepit statio. Progreditor deinde ejosdem radii violentia, et retroire cogit vapor repercussus. Molto id magis io vespertino earum exortu, toto Sole averso, qaamio summas absida· expelluntor, minimeque
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A questa è congiunta la causa delle latitudini, e della obbliquità del Zodiaco. Per questo cam minano le stelle, che noi chiamammo erranti ; nè altra parte della terra è abitata fuor di quella, che è sottoposta ad esso. Il resto sotto i poli è in culto e disabitato. Solamente la stella di Venere lo trapassa di due gradi; la qual cosa è cagione, che alcuni animali nascono nelle parti deserte del mondo. La Luna ancora cammina per tutta la latitudine del Zodiaco, ma però non la passa punto. E dopo questi la stella di Mercurio più che P altre prende della latitudine del Zodiaco, in modo però, che de' dodici gradi ( perchè tanti son quegli della sua latitudine ), non nè trapassa più che otto, nè anco questi egualmente ; perchè al mezzo di quello due, e di sopra quattro, e di sotto due. Il Sol dipoi ne va per lo mezzo, ine guale fra i due gradi, a guisa di serpente torto. La stella di Marte tieoe i quattro del mezzo: Giove quel di mezzo, e due sopra quello, Salurno due, come il Sole. E questa è la ragione delle latitudini de’ pianeti, o quando discendono a mezzogiorno, o quando salgono a tramontana. Molti sono stati, i quali hanno falsamente credu to, per questa stare quella terza di quegli, che dalla terra vanno al cielo, e parimente ancora salir quella ; i quali acciocché sien riprovati, ei bisogna aprire una gran sottilità, la quale abbrac cia tutte le già dette cause. Bisogna che le stelle nel tramontar della sera sieno vicine alla terra e di latitudine, e d’ altitu dine, e che i nascimenti mattutini si facciano nel priucipio da ciascuna, e le stazioni in mezzo gli articoli delle latitudini, che si chiamano Ecliptici. Perciò chiara cosa è che il moto ·' accresce, men tre che elle son vicine alla terra, e ch'egli scema, quando ne vanno in alto. La qual ragione per le sublimità dulia Luna molto s 'approva. Ei non è dubbio ancora, che ne5nascimenti mattutini il numero s 'accresce, e ehe dalle prime stazioni le tre superiori scemano fino alle seconde stazioni. Le qoali cose essendo in questo modo,sarà ma nifesto dal nascimento mattutino salir le latitudi ni, perchè in quel primo andamento cominciano adagio ad aggiugnersi i moti ; e nelle stazioni prime e altitudini tendere in sù ; perchè allora i numeri cominciano a scemarsi e le atelle a re trogradare. Della qual cosa privatamente s’ ha da rendere la ragione. Le stelle percosse nella parte, che abbiamo delta, e dal raggio triangolare del Sole, non possono fare il corso retto, e dalla fo cosa forza, del Sole sono levate in alto. E questo non si può subito comprendere dalla vista no stra ; e per ciò crediamo eh' elle stieno ferme, e dì qui viene questo nome stazione. La violenza poi di qoesto raggio passa innanzi^ e il vapore
C. PLINII SECUNDI
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cernantur, quoniam atlissime absunt, et minimo ferantur motu, Unto minore quum hoc in altis· simis absidam evenit signis. Ab exortu vesper tino latitudo descenditur, parcius jam se miiiueole motu; non tameo anlc stationes secundas angeote, quum et altilado descenditor, superve· niente ab dio latere radio, eademqae vi rursus terras deprimente, qoae sustulerit io coelum ex priore triquetro. Tantum interest, subeant radii, an superveniant. Malloqae eadem magis in ve spertino occasa accidunt. Haec est superioram stellarum ratio ; difficilior reliqaarum, et a nullo ante nos reddita.
Coa
MOTOS DISSIMILIS EADEM HABEANT.
aao
percotendole le costrigne a ire addietro. E ciò molto più avviene nel loro nascimento vesperti no, avendo tatto il Sole opposto, quando «Uè sono spinte nelle sommità delle absidi, e non ai veggono punto, perchè altissimamente sono di scoste, e vanoo con pochissimo moto, e tanto mi nore, qaando ciò avviene negli altissimi segai delle absidi. Nel nascimento vespertino si discesa de la latitudine, scemandosi già il moto più ada gio; ma nondimeno crescendo innanti le seconde stazioni, qaaodo anche si scende Γ altitudine, sopraggiognendo dall’ altro lato il raggio ; e per la medesima forza sono di nuovo spinti a terra, la quale gli alzò al cielo dal primo trino. Tanta differenza c' è, che i raggi vengano di sotto, o di sopra. E molto più questo avviene nel tramonta re della sera. E questa è la ragione delle stelle superiori : molto più difficile è quella dell1 altre, e da ninno innanzi a me stata assegnala.
Paacaè l b
medesime a b b ia ro m ovim enti D ivaast.
17. Prima daoqae è da dire qaale è la XIV. 17. Primum igitur dicatur car Veneris XIV. stella numquam longius x l v i partibas, Mercarias cagione, eh1 essendo diverse stelle, la stella di viginti tribas a Sole abscedant, saepe citra eas ad Venere non si discosta mai dal Sole più di qua Solem reciprocent. Conversas habent ulraeqoe rantasei gradi, Mercurio ventitré, e spesse volle absidas, at intra Solem sitae ; tantumque circulis di qua da questi gradi ritornano al Sole. L* uoo earum sobter est, quantum superne praedicta e Γ altro pianeta ha le sue absidi rivolle siccome rum ; et ideo non possunt abesse amplius, quo·' quegli che sono posti sotto il sole ; e tanto de' lor niam curvatura absidam ibi non habet longitu circoli è di solto, quanto de' già detti è di aopra ; dinem majorem. Ergo atriqae simili ratione, e perciò non possono esser più discosti, perchè modum statuant absidum soarom margines, ac per rispetto della piegatura delle absidi, quivi spatia longitudinis latitudinum evagatione pen non hanno maggior longitudine. Ambidoe dun sant. At enim cur non semper ad qaadraginta que per simil ragione slatuisoono il modo, e i sex, et ad paries viginti tres perveniunt ? lmmo margini delle absidi, e compensano gli spasii del vero. Sed ratio Canonica fallit. Namqoe apparet la longitudine con le latitudini. Ma perohè non absidas quoque earum moveri, quod oumqoam giungono essi sempre l ' uno ai gradi quarantasei, transeant Solem. Itaqae quum in partem ipsam Γ al irò a' ventitré ? Anzi vi giungono-essi. Ma la ejus incidere margines alterutro latere, tum et ragione inganna coloro che faono le regole di stellae ad longissima soa intervalla pervenire astronomia. Perciocché si vede che anche le ab intelliguntor ; quam citra fuere margioes toti sidi loro si muovono, perchè non passano mai il dem partibas, et ipsae ocias redire creduntor, Sole. Quando danque in essa parte caggiono le qaam sit illa semper atriqae extremitas summa. sae estremità dall1 uno, o dall' altro lato, allora Hinc et ralio molaom conversa intelligitur. Su si conosce che le stelle giungono ai lunghissimi periores enim celerrime ferantur ia occasa ve loro intervalli, benché sieno di qua dalle estre spertino, hae tardissime ; illae a terra altissime mità altrettanti gradi, allora si crede, che ritor absunt qoam tardissime moventor, hae quum nino più ratto addietro ; perciocché quella è sem osissime. Qoia, sicut ia illis propinquitas centri pre la maggiore estremità dell' uno, e dell1 «Atro. accelerat, ita in his exlremitas circuli. Illae ab Di qui s'intende ancora la ragione dei moti esser exorta matetino minuere oeleritatem incipiunt, rivolta ; perchè i superiori sono più velocemente hae vero angere. Illae retro cursum agant a sta portati nel tramontar della aera, dove questi van tione matutioa asqne ad vespertinam ;· Veneri», no molto più tardi ; quegli sono altissunamente a vespertina asqne ad matutinam. Incipit autem discosti dalla terra, qaando lardissiaiamente si ab exortu matutino latitadinem scandere, allitu- muovono,questi qaando velociaaiinamenteJ*ercfcè dinem vero ac Solem insequi a statione matutina, siccome in quegli la vicinità del centro affretta, ociseima in occasu maialino, et altissima ; degre- e così in questi la estremità del circolo. Quegli
UI
HISTORIARUM MUNDI LIB. II.
di autem latitudine, motumqae minuere ab exor· Iu vespertino ; retro quidem ire, aimulque alti tudine degredi a statione vespertina. Mercorii rursus stella utroque modo scandere ab exortu matutino, degredi vero latitudine i vesper tino ; consecatoque Sole ad quindecim psrtium inter vallum, consistit quatriduo prope immobilis. Mox ad altiladine descendit, retroque graditor ab occam vespertino usque ad exortam matuti num. Tantnmque baec, et Luna, totidem diebus quot subiere, descendunt. Veneris quindecies plu ribus subit Rursus Saturni et Jovis duplicalo de grediantur; Martis etiam quadruplicato. Tanta ertnaturae varietas. Sed ratio evidens: nam qnae n vaperem Solis nituntur, etiam descendunt «*re.
C in o L K i n o n n i txa a r t iu m .
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dal nascimento mattutino incominciano a sce mare la presterà, e questi a crescerla. Quegli sono retrogradi dalla stazione della mattina fino a quella della sera, e Venere dalla sera sino alla mattina. Comincia poi dal nascimento mattutino a salire la latitudine, e a salire P altitudine, e a seguitare il Sole dalla stazion mattutina, essendo velocissima e altissima nel tramontare della mat tina. Comincia partirsi dalla latitudine, e a sce mare il moto del nascimento mattutino, e a re trogradare, e a partire dalP altitudine da quel della sera. Mercurio nell' uno e P altro modo co mincia a salire dal nascimento mattutino, e a par tirsi dalla latitudine da quel della sera ; e avendo raggiunto il Sole appresso a' quindici gradi, si ferma quasi immobile per quattro giorni. Scende poi dalP altitudine, e retrograda dat tramontar della sera fino al nascimento della mattina. E questa, e la Luna scendono altrettanti giorni, quanto son salite. Venere saglie quindici giorni, e più. Saturno e Giove scendono il doppio più. Marte quattro volte più. Tanta è le varietà della natura, ma la ragione è chiara ; perchè quegli che vanno contra il vapor del Sole, con difficoltà scendono. Di
ALCUNE LEGGI COSTASTI DE* PIANÉTI.
Molte cose ancora si posson dire ia ma XV. Multa promi araplins circa baec possunt XV. secreta naturae, legesque, quibus ipsa serviat. teria di questi secreti e leggi della nalura, alle Exempti gratia : m Martis sidere, cujus est ma quali essa serve. Come per cagion d 'esempio : la xime inobservabilis cursus, numqoam id statio stella di Marte, il cui corso poco si può osservare, nem facere Jovis sidere triquetro; raro admodum non farà mai stazione quando Giove è d'aspetto sexaginta partibus diAreto, qui numerus sexan trino, e molto di rado, essendo quello distante gulas mundi efficit formas ; nec exortus, nisi in da lui sessanta gradi ; il qual numero fa le forme dnofau» signis tantum, Cancri et Leonis, simul del mondo sessangolari. Nè insieme nascono, se edere. Mercurii vero sidus in Piscibu· exortus non solamente in due segni, cioè Cancro e Leone. vespertinos raros facere, creberrimos in Virgine, Mercurio fa di rado i nascimenti vespertini nella in Ubra matutinos. Item matutinos in Aquario, sera, e spessissime volte in Vergine ; in Libra i rarissimos m Leone. Retrogradum in Tauro et mattutini. 1 mattutini in Aquario, e rarissimi in Geminis non fieri ; in Cancro vero non citra vi Leone. Non si fa mai retrogrado nè in Tauro, cesimam quintam partem. Lunam bis coitum cum nè in Gemini ; ma in Cancro se non di là dai Sole et in nullo alie signo facere quam Geminis, venticinque gradi. La Luna non fa due volte mai n e · coire aliquando m Sagittario tantum. Novis la congiunzione col Sole in nessuno altro segno, simum vero primamque eadem die vel nocte, fuor che in Gemini : e non avvien mai che in nullo alio m signo quam Ariete, conspici: id ogni segno non si cooginnga, te non in Sagitta quoque pancia mortalium contingit; et Inde fama rio. Non si vede mai in un medesimo dì, o in cernendi Lyneao.Non comparere in coelo Saturni nna medesima notte in alcun altro segno, che màm et Martis, quum plurimum, diebus centum io Ariete, e questo ancora è stato veduto da po rcylnagmta ; Jovis triginta sex, aut quam mini chi : e di qui nacque il motto del veder di Lin mam denis detractis diebus ; Veneris sexaginta ceo. Stanno ascosi Saturno e Marte al più cento u n ta i, uni qunm minimum quinquaginta duo· settanta giorni : Giove trentasei, o almeno ventibua;.Mercurii tredecim, aut quum· plurimum sei. Venere sessantanove, e quando meno, cinoetodeeun. quantadue. Mercurio tredici, e quando più, diciotto.
C. PLINII SECONDI Q
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colobbs b o b u m m o t e t .
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C lB COSA MUTI I COLOBI DB* FIA3BTI.
XVI. (8. Colores ralio altitudinum temperat: XVI. 18. La varietà delle altitudini cambia siquidem earum similitudinem trahunt,* inqua- il color de’ pianeti, perciocché essi pigliano la rara aera venere subeundo, tingitque adpropin- sembianza di quelle, nelParia delle quali aono quantes utralibet alieni meatus circulus: frigidior venuti salendo, e il circolo del corso d’un altro in pallorem, ardentior in ruborem, ventosus in pianeta tigne qoegli da qualunque parte a'aocohorrorem; Sol, atque commissurae absidum, stino ad esso. Il freddo gli mostra pallidi, Pardente rossi, il ventoso scuri e spaventosi. Il Sole, exlremaeque orbitae, atram in obscuritatem. Snus quidem cuique color est: Saturno candi e le commessure delle absidi, e gli estremi bassi dus, Jovi clarus, Marti ingneus, Lucifero can circuiti gli mostrano oscuri. Ciascun pianeta ha dens, Vesperi refulgens, Mercurio radians, Lu il suo colore. Saturno è bianco, Giove chiaro, nae blandus, Soli quum oritur ardens, postea Marte focoso, Venere, quando è delta Lucifero, radians. His causis connexo viso et earuro, quae come ferro rovente ; quando Vespero, r iv e n coelo continentur. Namque modo multitudo con dente : Mercurio radiante, la Luna bianchiccia ; ferta inest circa dimidios orbes Lunae, placida il Sole, quando si leva, è ardente, dappoi radian nocte leniter illustrante eas; modo raritas, ut fu te. Per questa medesima cagione congionta la gisse miremur, plenilunio abscondente, aut quum vista è il color di quelle, che sono fisse al cielo. Solis soprave dictarum radii visus perstrinxere Perciocchi ora se ne vede una mollitudine più nostros. Et ipsa autem Luna ingruentium Solis spessa, quando la Luna ha il mezzo tondo, in radiorum haud dubie differentias sentit, hebe tan una notte placida, che dolcemente le illustra; te cetero inflexos mondi convexitate eos, praeter ora si veggon rade, in modo che ci maraviglia quam ubi secti angulorum competunt ictus. Ita mo, come s’elle si fossero fuggite ascondendole que in quadrato Solis dividua est, in trique il plenilunnio, o quando i raggi del Sole, o dei tro seminani ambitur orbe, impletur autem in pianeti sopraddetti abbagliano la nostra vista. La adverso ; rursusque minuens easdem effigies pa Luna ancora senza dubbio sente le differenze ribus edit intervallis, simili ratione qna supra de1 raggi del Sole, i quali per la convessità del Solem tria sidera. mondo, che gl’ ingrossa, si fanno piegati, e non diritti, infuor che dove gli angoli sono retti. E però quando la Luna è in quadrato del Sole, si vedo mezza ; quando è in trino, è circondata del suo tondo ; quando è in opposizione, diventa piena ; e similmente nella diminuzione pipita le medesime forme, con'pari intervallo per simil ragione, la quale dimostrammo ne* tre pianeti posti sopra il Sole. D bl m oto d e l S olb, b pebch à i G io b b i S o lis
m otos , s t s id e r u m in a e q u a l it a t is b a t io .
XVII. 19. Sol autem ipse quatuor differentias habet, bis aeqnata nocte diei, vere et autumno, et in centrum incidens terrae, octavis in partibus Arietis ac Librae ; bis permutatis spatiis, in auc tum diei, bruma, octava in parte Capricorni ; ooctis vero, solstitio, totidem io partibus Can cri. Inaequalitatis causa obliquitas est signiferi, quum para aequa mundi super suhlerque terras omnibus fiat momentis. Sed quae recta in exortu suo consurgant sigoa, longiore tractu lucem; qoae vero obliqua, ociore transeant spatio.
BON SOHO EGUALI.
XVII. 19.11 Sole ha quattro differenze, per chè due volte pareggia la notte al giorno, la primavera e Pau tuono, e cade nel ceutro della terra negli otto gradi d’Ariete e di Libra ; e due volte muta gli spazii nell'accrescimenlo del gior no, il verno, negli otto gradi di Capricorno; e della notte, nel solstizio, in altrettanti gradi di Cancro. La cagione di questa inegualità, è la ob liquità del Zodiaco ; perciocché sempre a tutta i momenti si fa la metà del mondo, e di sopra e sotto la terra. Ma i segni, che nel lor nasci mento salgono su relti, con più tango spazio tengono la luce ; quei che nascono obbliqui , passano piuttosto.
HISTORIARUM MUNDI LIB. II. Q iw n n u n u I oti asmeaxrrua. 1VU1. ao. La lei pleroaque, magna coeli «ssectatione compertum a prindpibus doctrinae viris, taperioroni trio·» sideram ignes esse qoi decida» ad terras fulminum nonen habeant; sed a u i a e t t iis taedio looo siti, fortassis qoo. msb contagium nimii homorii ex superiore circale, atque ardoris ex subjecto, per hunc modum «gerat ; ideoqoe dietum Jovem fulmina jaculari. Ergo at e flagraste ligno carbo cum crepitu, sic a sidere coelestis igni· exspuitor, praescita secum effertos, ne abdicata quidem sni parte in divinis •assaate operibus. Idqoe maxime turbato fit aCce; quia collectu· humor abundantiam stinolal, aat quia turbatur quodam ceu gravidi rideris farta.
l im v iL U in> nn.
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a
Giova.
XVIII. ao. Molti non sanno, come con lunga osservazione del cielo nomici dottissimi autori di questa dottrina, hanno trovato, che i fuochi die cadendo in terra pigliano il nome di saette vengono da' primi tre pianeti, e massimamente da Giove, posto nei mezzo d'essi ; e ciò forse, perchè per qaesto modo parga la contagione dd troppo amore, il quale tira da Saturno, che gli è di sopra, e dell'ardore di Marte, che gli è dì sotto ; e perciò »’ è detto che Giove lancia le saette. Siccome dunque da legno ardente viene con istrepito il carbone, così dalla stdla il faooo celeste è mandalo fuori, R qcale apporta seco presagio di cose avvenire, e non cessa di far divine operazioni in cielo, con quella parte anoora, che da esso è scacciata. E ciò massimamente si fa essendo Paria turbata, perchè l'amor rac colto stimola l'abbondanza, o perohè Paria si turbe, come se 11 pianeta gravido avesse a par torire. D w u imrtavALLi
d il l i s u l l ·.
XIX. ai. Intervalla quoque sideram a terra XIX. ai. Molti ancora hanno tentato
D ella
musica delle stelle .
,
XX. n . Sed Pythagoras interdum ex musi XX. aa. E Pitagora dalla ragion musicale ca ratione appellai tonam quantum absit e terra chiama tuono lo spazio, eh' è dalla terra insino f j i m . Ah ea ad Mercurium «patii ejus dimidiam ; alla Luna. Da quella a Mercurio pone la metà, e t s b e o s J Venerem fere tsnlamdem. A qaa ad di qaeilo ; e da esso a Venere quasi altrettanto; Solent sesquiplum ; a Sole ad Martem tonum, id E da essa al Sole la metà meno. Dal Sole a Marte est quantum ad Lunam a terra. Ah eo ad Satar un tuono, cioè quanto è dalla terra alla Luna. Da a m dimidium, et inde sesquiplam ad signiferam. Marte a Giove la metà ; e da Giove a Saturno Ila septena tonos effici, qaam diapafon harmo- la meli ; e da Saturno al Zodiaco la metà meno. E così si vengono a far sette tuoni ; la quale mimm vocant, hoc est universitatem concento·. In aa Saturnum Dorio moveri phthongo, Jovem armonia d chiama diapason, cioè università di et in reliquis similia, jocanda magis concento. In questa armonia dice che Saturno d muove con concento Dorio ; Giove con Frigio, « p n necessaria subtilitate. e così negli altri va immaginando cose simili* con varietà piuttosto dilettevole, che necessaria.
C. PLINII SECUNDI
337
D b m o n d o , g b o m b to c a .
D e lla g z o m b tx ia o b i. b o i d o .
a3. Lo stadio fa cento venticinque d«i XXI. a3. Stadium centum viginti quinque XXI. nostros efficit passus, hoc est pedes sexcentos vi nostri passi, cioè seicento venticinque piedi. Possidonio scrive, che dalla terra a dove si fanno giliti quinque. Posidonius non minns quadraginta stadiorum a terra altitudinem esse, in qua nubila, le nebbie, i venti e le nugole, non V è meno di ac venti, nubesque proveniant. Inde purum, li- quaranta stadii ; e sopra questo spazio esservi quidumque, et imperturbatae lucis aerem. Sed a l'aere puro chiaro, e di serena luce. Ma dal tor turbido ad Lunam vicies centum millia stadiorum. bido alla Luna due mila stadii. Dalla Luna al Inde ad Solem quinquies millies. Eo spatio fieri Sole cinque mila stadii. E per questo spazio av ut tam immensa ejus roaguitudo non exurat ter viene, che la così smisurata grandezza di lui non ras. Plures autem nubes nongentis stadiis in alti arde la terra. E molti ancora dissero, che le nu tudinem subire prodiderunt. Incomperta haee gole salgono in alto novecento stadii. Questa et inextricabilia ; sed tam prodenda quam sunt sono cose incognite e inestricabili, ma però da prodita. In queis tamen una ratio geometricae dirsi, perchè già sono state dette; nelle quali collectionis numquam fallacis possit non repu- non è da rifiutare una ragione di geometria non diari, si cui libeat altius ista persequi; nec ut mai fallace, se alcuno volesse investigare queste mensura ( id enim velle pene dementis otii est), cose. Non per mostrar la misura (che ciò sarebbe sed ut tantum aestimatio conjectanti constet ani cosa quasi da un ozio stolto), ma solamente per mo. Nam quum trecentis sezaginta et fere sex istabilir nell'animo la estimazione del congettu partibus orbis Solis,ex circuitu ejus, patere appa rare. Perciocché veggendosi che il circolo, per reat circulum per quem meat ; semperque dime 10 quale va il Sole, è di trecento sessanta e quasi tiens tertiam partem ambitus, et tertiae paullo sei parti dal circuito d'esso, e che sempre mi minus septimam colligat, apparet, dempta ejus sura la terza parte del circuito, e raccoglie poco dimidia (quoniam terra centralis interveniat), meno che la settima della terza; appare, le textam fere partem hujus immensi.spatii, quod vando la sua metà (perchè la terra come cen circa terram circuli solaris animo comprehendi tro è in quel mezzo), che quasi la sesta parte tur, inesse altitudinis spatio; Lunae vero duode di questo grande spazio sia nello spazio delPal· cimam, quoniam tanto breviore quam Sol ambitu litudine del circolo solare intorno alla terra, che currit ; ita ferri eam in medio Solis ac Terrae. con l'animo si comprende. Ma dalla Luna, la Mirum quo procedat improbitas cordis humani ! duodecima, perchè ella corre con piò breve cir Parvulo aliquo invitata successu, sicut in supra- colo, che il Sole ; e. così ella passa in mezzo del dictis, occasionem impudentiae ratio largitur; Sole e della terra. Ed è.cosa maravigliosa, quanto ausique divinare Solis ad terram spatia, eadem proceda avanti la maligna natura del cuore uma ad coelum agunt, quoniam sit medius Sol: ut no, invitata da un piccolo successo, che la ragione protinus mundi quoque ipsius mensura veniat ad le dia, come nelle sopraddette cose, occasione di digitos. Quantas enim dimetiens habet septimas, impudenza. Talché avendo avuto gli uomini tantas habere circulum duo et vicesimas ; tam ardire d’ indovinare lo spazio del Sole alla terra, quam plane a perpendiculo mensura coeli constet ! fanno che il medesimo sia insino al deio, perchè 11 Sole v’ è in mezzo, di maniera che subito han no anco la misura del mondo alle dita. Perchè quante settime ha il misurante, tanti ventiduesimi dicono avere il circolo, come se del tutto ci fosse nota la misura del cielo a perpendicolo. Aegyptia ratio, quam Petosiris et Necepsos La ragione Egiziaca, la quale fu trovata da ostendere, singulas partes in lunari circulo ( ut Petosiri e da Necepso, raccoglie che ciascun dictum est) minimo, tribus stadiis paullo amplius grado nel circolo lunare minimo, come a'è detto, patere colligit; in Saturni, amplissimo, duplum; s'allarga poco più di trentatrè stadii, nel maggior in Solis, quem medium esse diximus, ulriusque circolo di Saturno il doppio, in quel del Sole, mensurae dimidium. Quae computatio plurimum che dicemmo essere in mezzo, la metà dell'una habet pudoris, quoniam, ad Saturni circulum e l'altra misura. 11 quale conto ha in sè molto addito signiferi ipsius internilo, innnmerabilis di sfacciatezza, perchè aggiunto al circolo di multiplicatio efficitur. Saturno lo spazio di esso Zodiaco, si viene a fare innumerabile moltiplicazione.
HISTORIARUM MUNDI L1B. II.
a*)
Db u n s n n i
sid e b ib u s ,
in
c o m e tis .
D e lle s t e l l e b e p e b t i r b ,
o c o m e te .
XXII. »4- Restant pauca de mundo ; oamque XXII. 24. Restano alcune poche cose del et in ipso coelo stellae repente nascuntur. Plura mondo, perciocché in esso cielo nascono a un earum genera. tratto stelle, le quali sono di più sorti. a5. Cometas Graeci vocant, nostri Crinitas, a5 .1 Greci chiamano Comete, e i nostri Cri horrentes crine sanguineo, et comarum modo in nite, quelle stelle, che appaiono spaventevoli per vertice hispidas. Iidem Pogonias, qaibus, inferiore il loro sanguinoso crine, e come se avessero la ex parte, in speciem barbae longae, promittitur chioma, pilose in cima. I medesimi Greci chia juba. Acontiae jaculi modo vibrantur, ocissimo mano Pogonie quelle, che hanno i crini di sotto significatu. Haec fuit, de qua quinto consulatu a guisa di barba. Alcune d’esse sono chiamate suo Titus imperator Caesar praeclaro carmine Aconzie, le quali si lanciano a modo di dardo, perscripsit, ad hunc diem novissime visa. Easdem e tosto adempiono il siguificato loro. Questa fu breviores et in mucronem fastigiatas, Xiphias quella, della quale Tito imperadore nel suo quin vocavere, qnae sunt omniam pallidissimae, et to consolato scrisse così bei versi, ultimamente quodam gladii nitore, ac sine ullis radiis ; quos apparsa a questi giorni. Le medesime più brevi, Discens, suo nomini similis, colore autem electro, e con la cima appuntata, furono chiamate Xifie, raros e margine emittit. Pilheteus doliorum cerni e sono le più pallide dell’altre, con quello splen tur fignra, in concavo fumidae lucis. Ceratias dore, che si vede nel coltello, e senza alcuni cornus speciem habet, qualis fuit quum Graecia raggi : i quali Disceo, simile al suo nome, ma apud Salamina depugnavit Lampadias ardentes del colore dell'ambra, manda fuori rari dalla sua imitatur faces ; Hippeus equinas jubas, celerrimi estrema parte. Pilhete si vede in figura di doglo, motas, atque in orbem circa se euntes. Fit et nel concavo suo di luce affumicata. Cerazia è candidae cometes, argenteo crine, ita refulgens un'altra sorte di cometa fatta in foggia di corno, ■t vix contueri liceat, specieque humana dei siccome fu quella, quando i popoli della Grecia effigiem in se ostendens. Fiunt et hirti, villorum combatterono a Salamina. Altre si chiamano specie, et nnbe aliqua circumdati. Semel adhuc Lampade ardenti, le quali somigliano le fiaccole. jubae effigies mutata in hastam est, olympiade Ippeo ha forma di crini di cavallo, di velocissi ceutesima nona, Urbis anno trecentesimo nona mo moto, che girano intorno a sè stesso. Ecci gesimo octavo. Brevissimum, quo cernerentur, anco la cometa candida, col crin d'argento, tanto spatium septem dierum annotatum est ; longissi- rilucente, che a fatica si può guardare; la quale ■ u u d , ccntom octoginta. sotto specie umana dimostra in sé figura divina. Nascono ancora altre comete irsute con certi velli, e circondate d'alcnna chioma. Una sola volta insino a'nostri tempi la forma della chioma s’ è mutata in asta, l'olimpia centesima ottava, e trecento nenanla otto anni dopo l'edificazione di Roma. 11 più breve spazio, che le comete si son vedute, s'è osservato esser stato sette giorni, il più lungo ottanta. NaTUXA, ET SITUS, ET GIUBBA BOBOM.
XXIII. Moventur autem alii errantium modo, dii immobiles haerent. Omnes ferme sub ipso septemtiione, aliqua ejus parte non certa, sed maxime in candida, qnae lactei circuli nomen accepit. Aristoteles tradit et simul plures cerni ; nemini compertum alteri, quod equidem sciam. Ventos antem ab iis graves aestusque significari. Fiunt et hibernis mensibus, et in austrino polo, sed ibi citra ullum jubar. Diraque comperta Aethiopum et Aegypti populis,cui nomen aevi ejus rex dedit Typhon, ignea specie, ac spirae modo intorta, visa quoque torvo, nec sldla verius quam
Della
r a t u b a , s it o b s pe c ie l o b o .
XXIII. Muovonsi alcune d'esse come fanno i pianeti, e alcune altre stanno immobili. E quasi tutte appariscono sotto tramontana, ma non però in alcuna certa parte, benché per lo più si veg gano nella candida, che si chiama il circolo latteo. Aristotele scrive, che se ne veggono più ad un tratto, il che niuno altro, eh' io sappia, ha più detto. E dice, che significano venti, e grandissimi caldi. Vengono ancora di verno, e nel polo di mezzogiorno, ma quivi senza alcuno splendore. Apparve crudel cometa a'popoli dell'Etiopia e d'Egitto, a cui diede
G. PLINII SECONDI ii suo nome Tifone, che regnava in quel tempo, di specie affocata, e rivolta ia pià giri, l i vieta molto spaventosa ; e ciò fa piuttosto un nodo affocato, che stella. Spargoosi alcuna volta ancora i crini a1 pianeti, e all’altre stelle. Ma la cometa non è mai nella parta occidentale del cietoj stella in gran parte terribile, e diffteilmente pla cata , siccome fa nel tumulto civile, essendo Ottavio consolo, e un'altra volta nella guerra di Pompeo e di Cesare. E nella nostra e ti, qaan do fa avvelenato Claudio imperadore, che lasciò F imperio a Domitio Nerone, e dipoi nel princi pato suo apparve continua e crudele. bicone esservi gran differenza in qual parte si gotti la cometa, o di quale stella ella pìgli le fon ·, « quai somigliante renda, · in che luogo risplenda. S'ella è in forma di pifferi, significa travaglio all'arte della musiua. S'ella è nelle parti vergo gnose de'segni, minaccia a'costami lascivi. Ai begli ingegni, e alle lettere, s'ella fis figura trian golare, o quadrata oon angoli pari ad alcani siti di stelle perpetae. Dimostra veleno, in capo dd Serpente settentrionale, ovvero dell* aoatrale. È adorata la cometa in un sol luogo di tatto il mondo, in un tempio di Roma, giudicata dal* P imperadore Augusto, molto felice a sè stesso. Apparve questa cometa al principio del ano im perio ne' giuochi, che faeeva in onore di Venere Genitrice, poco dopo la morte di Cesare sao padre, nel collegio ordinato da lai. Perciocché egli con queste parole manifestò la ana allegrez za : « Ne' giorni proprii de'miei giaoehi apparve la cometa per sette giorni, nella regione del esalo, eh'è sotto tramontana. Nasceva questa cometa d’ intorno alle undici ore del giorno, e fu vedata per tutto il mondo. E per questa stdla credette il volgo, che significasse l'anima di Cesare essere stata rioevuta fra gli dei: per la qual cosa fa aggiunto al simulacro del capo suo, che poco dipoi gli consacrammo in piazza, qaesto notahil segno. » E queste parole diss'egli in pubblico ; ma nella sua allegrezza di dentro interpretò, die qndla cometa fosse nata per lai, e ch'egli fòsse nato in essa ; e, se vogliamo confessare il vero, ella fu molto utile al mondo. Sono di quegli ancora, che credono queste • Sunt qui et haec sidera perpetua essccredaat, saoque ambitu ire, sed non nisi relicta ab Sole stdle esser perpetue, e che vadano co' loro pro etrni. Alii vero qai nasci humore fortuita «t prii moti ; ma eh' elle non si veggano, se non qaando sono abbandonate dal sole. Alcani altri ignea vi, ideoqoe solvi. tengono, ch'elle nascano di fortuito uoaovo, e di forsa di fuoco, e che perciò si risolvano.
quidam igneus nodas. Sparguntur aliquando et errantibus stellis, ceterisque, crines. Sed cometes numquam in occasura parte coeli est : terrificum magna ex parte sidus, ac non leviter piatum, ut civili molu Octavio consule, iterumque Pompeji et Caesaris bello) in nostro vero aevo circa venelicium, quo Claudius Caesar imperium reliquit Domitio Neroni ; ac deinde principato ejus, as siduum prope ac saevum. Referre arbitrantur in quas partes sese jaculetur, aut cujus stellae vires accipiat, quasque similitudines reddat, et quibus in locis emicet; tibiarum specie, musicae arti portendere; obscoenis autem moribus, in veren dis partibus signorum ; ingeniis et eruditioni, si triquetram figuram quadratamve paribus angu lis ad aliquos perennium stellarum silus edat; venena fundere, in capite septemtrionalis austriaaeve Serpentis. Cometes in nno totius orbis looo colitur in templo Romae, admodum faustus divo Augusto judicatus ab ipso ; qui, incipiente «o, apparuit ludis, quos faciebat Veneri Gene trici, non multo post obitum patris Caesaris, in collegio ab eo instituto. Namque his verbis id gaudium prodidit : u lis ipsis ludorum meorum diebus, sidus crinitum per septem dies, in re gione coeli, quae sub seplemtrionibus est, con spectum. Id oriebatur circa undecimam horam diei, claramque et omnibus e terris conspicuum fuit. Eo sidere significari vulgus credidit, Caesa ris animam inter deorum immortalium numina receptam 4 quo nomine id insigne simulacro ca pitis ejas, qaod mox in foro consecravimus, adje ctam est. » Baec ille in publioum; interior· gaadio sibi illum natum, seque in eo nasci inter pretatus est ; et, «i veram fatemur, salutare id terris fuit
H ir f A t a u A db sid b b ib v s .
XXVI. » 6 . Idea Hipparchus numquam satis kmdatas, «t quo nemo magis adprobaverit co
D sulb o rim o B i o ' I p ? a b o o ik t o b v o a * u b m t u . XXIV. a6. 11 medesimo Ipperco, non « s i abbaileoca lodato, perché ninno pià di lai ap-
334
HISTORIARUM MUNDI LIB. II.
a33
gnalionem eum homine sideram, animasque nostras pariem esse coeli, noram ateilam el aliam ia aevo ano genitam deprehendit; ej usque molo, qua die fulsit, ad dubitationem eat adductus, anne hoc saepius fieret, moverentorque et eae, qsas putamas affixu. Idemque ausus, rem etiam deo improbam, adnumerare posteris stellas, ac aidera ad nomen expungere, organis excogitatis per quae singularum loca atque magnitudines signaret; ut facile discerni posset ex eo, non modo an obirent nascerenturve, sed an omnino {diqaa transirent moverenturve, item an cresce· reni miaaerenlurque; coelo in hereditate cunctis relicto, si qoisquam qui cretionem eam caperet inventus esset.
O i f i o t t U T i i n ra o D iG n s , r n u i u u F
w s t o b ic a .
ac as, l a m p a d is , b o u d b s .
provò la oonvenienza della stella con l'uomo, e che l'anime nostre sono parte del cielo ; ritrovò un'altra nuova stella esser nata nel tuo tempo ; e per lo moto d'essa, dal dà, eh'ella cominciò a risplendere, stette in dubbio, se ciò spesso acca deva, e se si movevano ancora quelle stelle, che noi pensiamo esser fisse. 11 medesimo ebbe ar dire di tentar cosa, la quale sarebbe ancora difficile a dio, cioè, d'annoverar le stelle a coloro, che avevano a venir dopo lui, e le compose per regola con islromenti trovati da esso, i quali segnavano i luoghi, e le maguitudini di ciascuna: talché agevolmente da ciò si poteva conoscere, non pure s'elle tramontavano o nascevano, ma ancora s'elle passavano in alcun luogo, o s’elle si movevano, o se crescevano e scemavano ; la sciando a questo modo a tutti il cielo in eredi tà, se si fosse trovalo alcuno capace di questa ragione. Db* f b o d ig ii
c b l b s t i , p b b bsb m pu s t o b io
;
PACBLLIHB, LAMPADE, BOLIDI.
XXV. Emicant et faces, non nisi quum deci XXV. Risplendono ancora quelle comete,che dant visae; qualis Germanico Caesare gladiato si chiaman fiaccole, le quali non si veggono se rum spectacula m eden te, praeter ora popu non quando elle caggiono, siccom· fii quella, li meridiano transcucurrit. Duo genera earum : che trascorse di mezzogiorno al cospetto di tutto lampade· vocant plane faces; alteram bolidas, il popolo, quando Germanico imperatore fece quale Mutinensibus malis visum est. Distant lo spettacolo de' gladiatori. Queste sono di due quod faces vestigia longa faciant, priore ardente sorti, perchè chiamano le fiaccole lampade; Pat ire bolide, simile a quella, che fu veduta nelle parte; bolis vero perpetua ardens, longiorem sciagure di Modena. Hanno questa differenza trabit tiaitetp. tra loro, che le fiaccole si lasciano addietro le vestigie lunghe, ardendo la parte loro dinanzi : ma la bolide ardendo tutta, tira più lungo tratto di fiamma. T
b a b b s co b lb s tb s , ch asm a
COBLI.
XXVI. Emicant et trabes simili modo, quas Docos vocant ; qnalis quum Lacedaemonii classe vieti imperium Graeciae amisere. Fit el coeli ipaaas hiatos, qaod vocant Chasma.
Db eoa l i
c o lo b ib o s ,
rr
f l a m m a c o b lb s ti .
XXVH. a?. Fit et sanguinea specie ( quo aihilterribilius mortalium timori est) ineendinm, ad terras cadens inde, sicut olympiadis centesi* • u stpìimnr anno tertio, quum rex Philippus Graeciam qaateret. Atque haec ego statis tem poribus natura·, ot cetera, arbitror exsistere ; aoa,at pleriqae, variis de causis, quas ingeniorum aoomen excogitat. Quippe ingentiam nialo-
T b a VI CBLBSTI : CASMA, O APBIBSI DBL CIBLO.
XXVI. Risplendono anco le travi in questo medesimo modo, le quali si chiaman doci ; sic come furono qoelle, che apparvero, quando i Lacedemoni rotti in mare perderòao l ' imperio della Grecia. Fassi aneora l'apritura del cielo, che si chiama casma. D b'
c o l o b i b f ia m m k d b l
α ιιο .
XXVII. vj. Fassi ancora il cielo alcuna volta di color sanguigno, della qual cosa non è nulla, che metta più spavento alle persone, e l'incendio, che di là casca in terra, siccome avvenne il terzo anno della olimpia centesima settime, quando il re Filippo travagliava la Grecia. Ma 10 aon di parere, che queste cose avvengono in certi tempi ordinati dalla natura, siccome l'altre cose,
a35
C. PLINII SECONDI
rum fuere praenuntia : sed ea accidisse, non qai· haec (acta suoi, arbitror ; veram haec ideo fecla, quia incasura eraot illa. Raritate autem occul tam eorum ewe rationem, ideoque non, sicut exortus supra dictos, defectusque, et malta alia, nosci.
Db
D elle
c o b o r u c o b lk stib c s .
XXVIII. 28. Cernuntur et stellae cum Sole totis diebus, plerumque et circa Solis orbem, ceu spiceae coronae, et versicolores circuli : qualiter Augusto Caesare in prima juventa Urbem in frante, post obitum patris, ad nomen ingens capessendum. 39. Exsistunt eaedem coronae circa Lonam, et circa nobilia astra, coelo quoque inhaerentia.
3o. Circulus rubri coloris, L. Julio, P. Ruti lio coss. S o l is
d e f ic t u s l o h g io b b s .
cobohb c b l e s t i .
XXVIII. a8. Veggonsi ancora certe stelle col Sole per lutto il giorno, e spesso intorno al tondo del Sole, come corone di spiche, e cerchi di più colori, siccome avvenne, quando Augusto imperadore nella sua prima giovanezza entrò inRoma dopo la morte del padre, a prendere il gran nome. 39. Le medesime corone si veggono intorno la Luna, e intorno a certe stelle fisse più nobili. D b * c ib c o l i
D b CI&CDLIS BBPEHTIRIS.
XXIX. Circa Solem arcus apparuit, L. Opi mio, Q. Fabio consulibns ; orbis, C. Porcio, ΒΓ. Acilio ;
»36
e non, come certi si pensano, per diverse cagioni imaginate dalla sottigliezza degl'ingegni, le quali significarono grandissimi mali. Ma credo che quelle calamità accadessero, non perchè queste cose erano fette in cielo, ma che queste fossero fette, perchè quelle erano per avvenire ; e che per avvenire elle di rado sia nascosa la ragion d’esse, e per questo non si conoscano, come i sopraddetti nascimenti, e la eclissi, e molte altre cose.
β ε ρ μ γ π η ι.
XXIX. Intorno al Sole apparve un arco, es sendo consoli Lucio Opimio e Quinto Fabio; e un cerchio essendo consoli L. Porzio e M\ Acilio. 3o. Un circolo di color rosso apparse essendo consoli L. Giulio e Publio Rntitio. Di
ALCOHI OSCCBAMBHTl DEL SOLE PIÙ L O G H I.
XXX. Fiunt prodigiosi et longiores Solis defectus, qualis occiso dictatore Caesare, et An toniano bello, totius pene anni pallore continuo.
XXX. Fannosi alcuna volta reclusi del Sole prodigiose, e molto lunghe, siccome fo quella, quando fu morto Cesare dittatore, e nella guerra di E Antonio, che il Sole quasi tutto an anno fu pallido e scoro.
P l u b b s S o lb s .
Più S o l i .
XXXI. 3i. Et rursus plures Soles simul cer XXXI. Si. Appariscono ancora più Soli in nantur : nec supra ipsum, nec infra, sed ex obii· sieme, nè sopra esso, nè sotto, ma a traverso ; quo ; numquam juxta, nec contra terram ; nec non mai appresso, nè contra la terra, nè di not noctu, sed aut oriente aut occidente. Semel et te, ma qaando il Sole è in levante, o in ponente. meridie conspecti in Borsphoro produntur, qui Dicesi pure, che una volta furono vedati di mez a matutino tempore duraverunt in occasum. zogiorno in Bosforo, i quali durarono dalla mat Trinos Soles antiqui saepius videre: sicut Sp. tina fino a sera. Gli antichi videro spesse Tolte Postumio, Q. Mucio ; et Q. Marcio, M. Porcio ; tre soli, siccome fo essendo Sp. Postomio, Q. etM. Antonio, P. Dolabella; etM. Lepido, L. Modo ; e Q. Marcio, M. Porzio ; e M. Antonio, Planco coss. Et nostra aetas vidit divo Claudio Pub. Dolabella ; e M. Lepido, L. Planco consoli. principe, consolata ejus, Cornelio Orfito collega. E l'età nostra ancora ha veduto il medesiaoo Plores, simul quam tres visi ad hoc aevi num al tempo di Clandio imperadore, essendo egli quam produntur. consolo, · Cornelio Orfito suo collega. Ma inaino a questo giorno non si trova che ne sieno mm •tati vedati più che tre a an tratto.
HISTORIARUM MUNDI L1B. II.
a3S Più Lem.
P lcbes L U lik,
XXXII. 3a. Lanae quoque trinae, ut Ca. Domitia, G. Fannio consulibus, apparuere: quos pleriqoe appellaverant soles noctarnos.
D i u r n i LUX IfOCTIBDS.
XXXIII. 33. Lumen de coelo nocto visam est, C. Caecilio, Cn. Papirio consnlibas, et saepe alias, ot diei species noeta laceret.
XXXII. 3a. Sonosi viste ancora tre Lune, come fu al tempo, che Gn. Domizio e G. Fannio furono consoli, i quali furono chiamali da molti soli notturni. Luca
DI DÌ NELLA BOTTE.
XXXIII. 33. Èssi yeduto lume dal cielo di notte tempo, essendo consoli G. Cecilio e Gn. Papirio, e di molte altre volte, di maniera che egli era chiaro di notte, come se fosse stato di giorno.
C t n u ABDBBTES.
S c o d i a b d b b t i.
XXXIV. 34· Clypeas ardens ab occasa ad ortum scintillans transcucurrit, solis occasa, L. Valerio, C. Mario consulibus. '
XXXIV. 34· Essendo L. Valerio e G. Mario consoli, nel tramontar del Sole, scorse uno scodo ardente sfavillando da ponente a levante.
OsTEBTUM COELI SEMEL BOTATO·.
POETENTO DEL CIELO BOTATO OBA SOLA VOLTA.
XXXV. 35. Scintillam e stella cadere, et augeri terrae adpropinqnantem, ac postquam lunae magnitudine facta sit, illuxisse ceu nubilo die : deia qaam in coelum se reciperet, lampadem fa ctam, semel umquam proditur, Cn. Octavio, C. Scribonio ooss. Vidit hoc Silanus proconsul cum comitata sao.
XXXV. 35. Una favilla cadde giù da ano stella, e crebbe nell'appressarsi alla terra ; e poi ch’ella fa fatta della grandezza della Luna, fece tanto lume, qnanto è di giorno, quando è nu golo : dipoi quando ritornò in cielo, diventò una lampada. Ciò fu essendo consoli Gn. Ottavio e G. Scribonio. Questo fu veduto da. Licinio Silano proconsolo con la saa compagnia.
Db
discob so s t e l l a b o · .
D
isco rsi d i s t e l l b .
XXXVI. 36. Veggonsi fare i discorrimenti XXXVI. 36. Fieri videntur, et discursu stel larum, numquam temere, at non ex ea parte delle stelle, nè mai senza cagione; perchè da qoella parte nascono sempre Tenti terribili. truces venti cooriantur. D e LLB STELLB DETTE I C a STOKI.
Ds STBLLIS
QDAB CaSTOBBS VOCABTOB.
XXXVII. Sono le stelle anebra e in mare XXXVII. Ζη. Exsistunt stellae et in mari e in terra. lo ho già vednto, quando i sol terrisqae. Vidi nocturnis militum vigiliis, inhae dati fanno le guardie in campo di notte, in sulle rere pilis pro vallo fulgorem effigie ea. Et anten punte delle lande come splendore di baleno, e nis navigantium, aliisque naviam partibus, cea in quella guisa ancora sulle antenne de'navi vocali quodam sono insistunt, at volucres sedem ganti, e in altre parti de' navili ; e quivi starsi, ex sede mutantes : graves,quum solitariae venere, facendo un certo saon di voce, siccome fanno mergentesque navigia : et si in carinae ima deci gli uccelli, quando si mutano da luogo a luogo. derint, exurentes : geminae autem salutares, et Se vengono sole, sono pericolose, e fanno affo prosperi cursus praenuntiae: quarum adventa gare i navili : e se cascano nel fondo della carena, fugari diram illam ac minacem, appdlatamqae ardono la nave. Se sono due, sono salutifere, e Helenam, ferunt. Et ob id Polluci et Castori id promettono buon viaggio ; e per la lor venuta nomen adsignant : eosque in mari deos invocant. dicesi, che si mette in foga quella crudele e mi Hoainam qaoqae capita vespertinis horis, magno nacciosa stella, che si chiama Elena. E perciò
€ . PLINII SECUNDI praesagio drcnmfolgent. Omnia inceri· ratione, el in natnrae majestate abdita.
Db a b b b
;
e t q u a b b l a p id ib u s p l u a t .
attribuiscono questa deità a Polluce e Castore, e gli invocano in mare come dei. I capi degli uomini ancora, nell’ora della aera, risplendooo con grande e buon prodigio. E di tatto qaeste eose non si pud rendere cagione alcuna, perchè elle sono poste nella maestà della natura. D ell ’ a b i a , x r n a d
p io va h o s a s s i.
XXXVIII. 38. Hactenas de mando ipso, si- XXXVIII. Insino a qui abbiamo ragionato deribasqae. Nane reliqaa coeli memorabilia. dd aaoodo e ddle stelle. Restano ora da dire Namqae et hoc ooelam appellavere majores, l*al tre cose notabili dd deio. Perciocché i nostri qaod alio nomine aera, omne qaod inani simile, antichi chiamarono qaesto cielo, ehe per altro vitalem hanc spiritum fandit. Infra lanam haec nome si dom«nda aria, tutto quello, che simile sedes, maltoqae inferior ( ut animadverto pro- al vano, manda fuori qaesto spirito vitale. E pemodnm constare ), infinitam ex superiore na questa sede è dalla lana in giù e molto più tura airii, infinitam et terreni halitas miscens, bassa (siccome io considero·esser quasi manife atraque sorte confunditor. Hinc nubila, tonitrua, sto), mescolando lo infinito della natara supe •t alia foltaina. Hinc grandines, proinae, imbres, riore dell'aria, e l ' infinito deU'aKto terreno, si procellae, tarbines. Hinc plarima mortalium ma confonde con l'una e l'altra sorte. Di qai Ten la, et rernm naturae pugna secum. Terrena in co» gono le nngole, i taoai e gli diri folgori. Di qai lom tendentia deprimit siderum vis: eademque, le gragnaole, le brine, le piogge, le procelle e qoae sponte non subeant, ad se trahit. Decidant tempeste. Di qai procedono le infinite sciagure imbres, nebalae subeunt, siccantur amnes, rount delle persone, e contrasto ddle cose dell· natara. grandines, torrent radii, et terram in medium La forza ddle stelle reprime le cose terrene, che andiqae impellant. Iidem infracti relilionl : et, tendono al odo; e le medesime tirano a aè quella qaae potuere, auferant secum. Vapor ex alto cose, che non salgono da loro. Cascan le piogge, cadit, rorsamque in altam redit. Venti ingrunnt le nebbie salgono, i fiumi d seccano, rumam inanes, iidemque cum rapina remeant. Tot ani- le gragooole, i raggi abronsano, e d’ogoi parte maliom haustus spiritum e sublimi trahit. At ille spingono la terra in meno. Quei reedesimi per contra nititur, tellosque, ut inani coelo spiritam riverberatione tornano in so, e portano seco infundit. Sic altro citroque eommeante natura, quelle cose, che possooo. Il vapore cade da alto, at tormento diqao, mundi celeritate discordia e di nuovo torna in su. 1 veoti soprastanno alla accenditor. Nec stare pugnae licet, sed assidoe terra vani, e i medesimi ritornano con ruina. rapta convolvitur, et circa terram immenso rerom E tanti animdi, che aooo aopra la terra, tirano causas globo ostendit : subinde per nubes coelum lo spirito da alto. Ma esso repagna, e la terra aliod obtexens. Ventorum hoc regnum. Itaque come a vano in delo infonde lo spirito. E così praecipua eorum natara ibi, et ferme reliquas andando qua e là la natara, come da qoalche complexa causas : qooniam et tonitroom et ful stromento da lanciare, con la prestessa del a o * · minum jactus, horum violentiae plerique adsi- do la discordia s’accende. Nè pad star addo al gnant. Qain et ideo lapidibus ploere interim, contrasto, ma continoamente rapita s'aggira, e qaod vento sint rapti, et multa similiter. Quam con no qaasi iofinito globo di cose tendo intorno la terra, dipoi per le nngole d cuopre Pdtro •b rem plora simul dicenda sant. deio. Qaesto è il regno de* venti : perà lo lor priudpal natura è quivi, la quale ha qoasi ab bracciate l’altre eause j perciooebè molti attri buiscono i tuoni e i folgori dia videns· di que sti. Dicono aneora che se piovra pietre, d ò av viene, perchè son tirate dal vento ; e molte altre cose simili. Però d restano aneora da dir più cose. Db
s t a t u t bmpbst a t t p s .
XXXIX. 39. Tempestatum, rerumqae quas dam statas essè caos·· : quasdam vero fertaiUs,
Db* t o m p o b a l i
o b u b a b ii.
XXXIX. 3g. K non è dubbio afono, che de* temporali, e dalle cose. seno, alone cagioni
HISTORIARUM MUNDI MB. II. aut adhuc rationis incompertae, manifestum est. certe e determinate, e alcune altre fortuite, ο Quis taim aestates, et hiemes, quaeque in tempo aneora non intese. Perciocché chi è colui, che ribus annua vice intelligoutor, sideram motu dubiti che le stati e i verni, e tutte 1' altre mu fieri dubitet ? Ut soli· ergo natura temperando tazioni dell* anno non si facciano dal moto delle iulelligitor anno,sic reliquorum qnoqne sideram stelle? Siccome dunque la natara del Sole si propria est quibusque vis, et ad suam cuique conosce nel temprar dell’ anno, così aucora cia nataram fertilis. Alia snnt in liquorem soluti scuna altra stella ha la sua propria fona, e humoris fiacunda, alia concreti in pruinas, aut fertile a produr quello, eh’ è secondo la natura eoecti in nives, aut glaciati in grandines : alia di ciascuna. Alcune son feconde nella risoluzione Battis, alia teporis, aha vaporis, alia roris, alia dell* umore, alcune nel rassodarlo in brine, o rigoris. Nee vero baec tanta debent existimari, ristrignerloin nevi, od agghiacciarlo in gragnaoquanta cernuntor: quam esse eorum nallam le : alcune fanno veoto, alcune temperamento, minus luna tam immensae altitudinis ratio de aleooe vapore, alcune rugiada, e alcune freddo. d eret Igitur in soo quaeque motu naturam suam Nè però dobbiamo stimare queste stelle di tanta exercent: quod manifestum, Saturni maxime quantità, quanto si vede, come che la ragione di trausitua imbribus faciunt. Nee meantium modo così grande altezza mostra che ninna d’esse non siderem haee vis est, sed multorum etiam adhae i minor della luna. Ciascuna dunque, nel suo rentium coelo, quoties errantium accessu impnlsa, moto esercita la sua natura, il che principalmen aat conjectu radiorum exstimulate soni : qaali- te dimostra il moto di Saturno, che tuttavia les in Suculis sentimus accidere, quas Graeci ob produce piogge. Nè solameute questa è la forza id pluvio nomine Hyadas appellante Quin et sua delle stelle erraoti, ma delle fisse ancora, quante •poote quaedam, statisque temporibus, ut Hoe- volte neU'accoslar»i che fanno loro i pianeti sono dorum exortus. Arcturi vero sidus non ferme »spinte, o sono stimulate dal gettar de* raggi: corae veggiamo avvenire nelle Sucnle, le quali »ioe procellosa grandine emergit. stelle furono da' Greci chiamate lade per rispetto delle piogge, che menano. Ma alcune ancora da sè stesse a certi tempi ordinati inducono piog gia, come veggiamo farsi nel nascimento de' Ca pretti. Ed anco la stella d 'Arturo non nasce quasi mai senza ruinosa tempesta. De CASICCLAB
ORTU.
XL. 4o Nam caniculae exortu accendi solis vapores quia ignorat? cujus sideris effectas am plissimi in terra sentiuntur. Fervent maria exo riente eo, fluctuant iu cellis vina, moventor uagna. Orygam appellat Aegyptus feram, quam ia exortu ejus contra stare, et contueri tradit, ac velut adorare, quum sternuerit. Canes quidem loto eo spatio maxime in rabiem agi non est dubiam.
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XLI. 41. Quin partibus quoque signorum inorumdem sua vis inest, ut autumnali aequino ctio, brumaque, cum tempestatibus confici sidus intaUigimus. Nec imbribus tantum tempestatibusqae, sed multis et corporum, «t ruris experimen ti·. Afflantur alii sidere, alii commoventur, sUtis temporibus, alvo, nervis, capite, mente. Olea, et pepalus alba, et satiees,solstitio folia circumagant. Floret ipso bramali dic suspensa io tectis arentis
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XL. 40. Chi è colui che non sappia, che nel nascere della canicola s 'accendono i vapori del sole? gli effetti della quale stella si sentono grandissimi in terra. Ribollono i mari, quando ella nasce, vanno sottosopra i vini nelle cantine, e si inuovooo gli stagni. L* Egitto chiama Orige una fera, la quale dicesi che quando la canicola nasce, vi si mette all'incontro, e la guarda, e quasi che I' adora, quando starnuta. E non è dubbio alcuno che i cani, per tutto quello spazio eh’ ella »i vede, vanno grandemente in rabbia. iMrLDBHZB OBDIBAB1B Db'vAEII TEMPI DELL'aHBO.
XLI. 41. Hanno le parti ancora d 'alcani segni la forza loro, siccome nell' equinozio dell'autunno, e nel solstizio del verno, qnando veggiamo la stella essere oppressa dalle tem peste , nè solamente dalle piogge, e tempeste, ma ancora per molti esperimenti de'corpi e delle terre. Alconi sono come percossi dalla stella, alcuni altri in certi tempi determinali sentono mutazioni nel ventre, ne' nervi, nel capo e nella
G. PLINII SECONDI
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herba pulegii, rumpantur intentae spiritu mem branae. Miretur hoc, qui non observet quotidiano experimento, herbam unam, quae vocatur heliotropium, abeuntem solem intueri semper, ornnibusque horis cum eo verti, vel nubilo oburabrante. Jam quidem lunari potestate ostrearum, conchyliorumque, et concharum omniam corpo ra augeri, ac rursus minui. Quin et soricum fibras respondere numero lunae, exquisivere diligenliores : minimumque animal formicam, sentire vires sideris,interlunio semper cessanlem. Quo turpior homini inscitia est, fatenli praecipue jumentorum quorumdam in oculis morbos cum luna increscere, ac minui. Patrocinatur vastitas coeli immensa, discreta altitudine in duo atque septuaginta signa. Hae sunt rerum, aut animan tium effigies, in quas digessere coelum periti. Ia his quidem mille sexcentas adnotavere stellas, insignes videlicet effectu, visuve. Exempli gratia, in cauda Tauri septem, quas appellavere Vergilias, in fronte Suculas, Booten, qui sequitur Seplemtriones.
D e inCE&TIS TEMPESTATIBUS.
XL1I. 4a. Extra has causas non negaverim exsistere imbres venlosque : quoniam humidam a terra, alias vero propier vapores furaidam ex halari caliginem certum est. Nubesque liquore egresso in sublime,aut ex aere coacto in liquorem, gigni. Densitas earum, corpusque, haud dubio conjectatur argumento, quum solem obumbrent, perspicuum alias etiam urinantibus iu quamlibet profundam aquarum altitudinem.
De
t o n it b ib u s e t p u l g e t b is
XL11I. 43. Igitur non eam inficias, posse in has et ignes superne stellarum decidere, quales sereno saepe cernimus, quorum ictu concuti aera verum est, quando et tela vibrata stridunt. Quum vero in nubem pervenerint, vaporem dissonura gigni,ut candente ferro in aquam demerso, el fumidum vorticem volvi. Hinc nasci procellas. Et si in nube luctetur flatus aut vapor, tonitrna edi : si erumpat ardens', fulmina : si longiore tractu nitatur, fulgetra. His findi nnbem, illis perompi. Et esse tonitrua impactorum ignium
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mente. L’ olivo, l ' oppio bianco e i sala nel sol stitio ginno le lor foglie. L'erba secca del pa leggio appiccata sotto i tetti fiorisce il di proprio della brama, e romponsi le carte pergamene gon fiate. Maraviglisi di questo chi non l’ha esperimentato ogni giorno, che una erba che si chiama eliotro pio, guarda sempre il sole, quando ei si parte, e di continuo si volge insieme con caso, benché sia coperto da nugoli. La luna ancora ha possanza di fare crescere e scemare i corpi dell1 ostriche e de'granchi. E quei, che sono stali più diligenti, dicono, che le venoline del fegato de* topi rispondono al numero della luna : e la formica, animai così piccolo, sente le forze della luna, perciocché quando la luna non si vede nè vecchia, oè nuova, si rimane dal suo lavoro. Ed è tanto più bratta la ignoranza dell' uomo, il quale coofessa, che negli occhi d1alcune bestie crescono e scemano i mali insieme con la luna. Aiutaci la smisurata graodezza del cielo con la sua altitudine partita in quaraota due segni. E questi tutti sono figure di cose, o d'animali, nelle quali gli uomini scien ziati anno compartito il cielo. In questi segni alcuni hanno notate mille seicento stelle, cioè le più eccellenti e per effetto, e per apparenza. Come per esempio, nella coda del Tauro sette, le quali chiamarono Vergilie ; nella fronte sono le Sucule, e Boote che seguita i Settentrioni. Da' t e m p o e e l i
s t e a o r d i n a b ii .
XL1I. 4a· 1° negherò gii, che fuor di queste cagioni non possano essere le piogge e i venti : perciocché egli è cosa chiara, che dalla terra esala certa caligine umida, e alcuna volta ancora per li vapori fumicosa. Onde o per la umidità, che monta in alto, o per l ' aria conden sata in liquore, si generano le nugole. E la den sità, e il corpo di quelle si vede certo, perciocché elle cuoprono il sole : e ciò veggono ancora coloro, che si tuffano in qual si voglia profonda altezza d 'acqua. Db' t u o n i
e d e ' l a m p i.
XL111.43. Non negherò adunque poter cadere in queste nugole di sopra fuochi dalle stelle, quali spesso veggiamo nel sereno, dal percoti mento de' qaali è commossa l'aria, come qaando le saette lanciate si sentono stridere. Quando dunque que' fuochi giungono alla nugola, gene rano vapore dissonante, siccome ferro rovente tuffato nell'acqaa, e gira intorno ana certa rivo luzione di famo. Di qai nascono le tempeste. E se nella nugola.combatte il vento, o il vapore, si fanno i tuoni ; ma s'egli esce ardente, nascono le
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HISTORIARUM MUNDI UB. II.
plagas: idcoqne protinus coruscare igneas Dubium rimas. Pone et reputai siderum depressum, qui a terra meaverit, spiritum nube cohibitum to nare, ualora strangulanto sonitum dum rixetur, edito fragore quam erumpat, ut in membrana spirito intenta. Poase et attritu, dom in praeceps feratur, illam, quisqois est, spiritum accendi. Posse et conflicto nubium elidi ot doorom lapi data, scintillantibus fulgetri·. Sed haec omnia esse for Init·. Hinc bruta fulmina et vana, ot quae aulla veniant ratiooe naturae. His percoli montes, his maria, omnesqae alios irritos jactas. Illa vero fatidica ex alto, statisque de causis, et ex sois ve nire sideribus.
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saette : e se per longo spazio fa tal forza, vengo no i baleni. Perciocché qoesti tendono le nugole, e quei le rompono. £ i tnoni sodo le percosse, che fanno i fuochi, che battono nelle nugole, c perciò subito le focose fessure loro vengono a lampeggiare. Può bene anco tal volta lo spirito, ehe si levò da terra, rispinto in già dalla forza delle stelle, e ristretto nella nugola, tonare, strangolando la uatura il suono, mentre che si combatte, ma finalmente mandando fuori il suo no, rompe come in carta pergamena gonfiata. Può qoello spirito ancora, qoalunque e* si sia, raccendersi, per lo stroppiccamento, mentre che furiosamente è portato. Può ancora per il riper cotiménto delle nngole spezzarsi, come veggiamo le scintille sfavillare da due pietre percosse insie> me. Ma tolte queste cose vengono a caso. E di qoi nasce, che tai folgori son vani, siccome quei, che vengono senza alcuna ragione di natura. Qoesti percootono i monti e i mari, e tutti gli altri luoghi battuti in vano. Ha i folgori, che predicano le cose avvenire, vengono da allo, e da cause determinate, e dalle loro stelle.
V aaroam s o aieo.
O aiGina Da’ va* t i .
XL1V. Simili modo ventos, vel polius flatus, pone et ex arido siccoque anhelitu terrae gign» oon negaverim : posse et aqois a€ra expirantibos, qai aeqne in nebolam densetur, uec crassescat in nube* : posse et solis impulso agi : qooniam vesto* non aliod intelligatur, quam fluxus sèri* : ptaribosque eliam modis. Namque et e fluroinibos, ac sino bus, et e mari videmus, et qaidem tranquUWi, et alios quos vocant Altanos, e terra consorgere. Qai qaidem quum e mari redeunt, Tropaei vocantur : si pergunt, Apogei.
XM V. Per questo modo non negherò ancora, che non possano nascer venti, o più tosto fiati da arido e secco vapor della terra : possono nascere ancora dalle acque, ch'esalano aria, la quale non si condensi in nebbie, nè ingrossi in nugole : possono eziandio essere spinti dal sole; percioc ché il vento non si tiene che sia altro, che onde di aria : possono ancora nascere in molti altri modi. Perciocché veggiamo procedere e da'fìumi, e dalle nevi, e dal mare, quando egli è più tran quillo, e altri venti, che si chiamano Altani, levarsi da terra. I quai venti, quando ritornano dal mare, si chiamano Tropei; e, se seguitano, Apogei. 44· 1 ripicchi de'monti, e le spesse sommità, e i gioghi svolti, con aperture, e le concavità delle valli rompendo l'aria,che di lì inegualmente risulta ( la qual cagione fa in molti luoghi ancora le voci reciproche senza fine) generano venti.
Montium vero flexus crebriqoe vertices, et conflexa cubito, aut confracta in homeros jaga, concavi valliom sinos, scindentes inaequa litate ideo resultantem aera ( quae causa etiam voces multis in locis reciprocas facit sine fine ), ventos generant. Alcune spelonche ancora generano venti, 45. Jam quidam et specus,qualis in Dalmatiae 45. ora, vasto in praeceps hiatu, in quem dejecto siccome una eh'è in Dalmazia, la quale ha una levi pondere, quamvis tranquillo die, turbini grande e precipitosa apri tura, nella quale getta maifia emicat procella. Nomen loco est Senta. tovi cosa di poco peso, benché di giorno tran Quin «t in Cyrenaica provincia rupes qoaedam quillo, ne nasce nobiloso vento di pioggia, che terribilmente s* aggira. Questa spelonca si chia Anatro traditor sacra, qaam profanam sil attre ctari hominis maoo, confestim Aostro volvente ma Santa. Dicesi ancora ehe nella provincia Cire arenas. In domibus etiam molti·, manu facta naica v’ è ooa oerta ripa consacrata al vento
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C. PLINII SECONDI
inclusa opacitate conceptacula aursi sani habent, adeo causa non decst.
Austro, la quale non si può toccare da mas d* uomo, che subito si · leva questo vento, e rivolge l'arena. In molte case ancora sono ricetti fatti a mano, dove è rinchiuso il fresco, i quali hanno i lor venti, in modo ehe non manca mai la cagione di fargli naaoere.
VCBTOBOM ÙBSBBTATIONB9 DIVEBSAE.
OsSBftVAZIONI DIVBSIB FATTE SDÌ VESTI.
XLV. Ma c'è gran differenta, s 'egli è fiato, o vento. Perchè qnegli «on venti ordinarii, che spirano, i quali non son particolari in alcun luo go, ma universali per molte terre, i quali non per óra, nè per burrasca, ma di nome aneora *00 maschi : e nascono o per lo continuo incitamento del moudo e contrario occorso delle stelle, o questo è quello spirilo generabile della natara delle cose che scorre qua e lì, come in qualche ventre: o noi diremo il vento essere aere percosso da ioegual colpo di stelle erranti, e da dissimili raggi di pianeti : o pure questi venti escono dalle proprie stelle loro, o da quelle, che son fisse al cielo. Ma comunque si sia, chiaro è, ch'esai hanno una legge certa di natura non incognita, benché nè anco per ancora del tutto conosciuta. Più di venti antichi autori Greci hanno 46. Vigiuti amplius auctores Graeci veteres 4 6 . prodidere de his observationes. Quo magis miror, scritto osservazioni di questi venti. Onde mag orbe discordi, et in regna, hoc est, in membra, giormente mi maraviglio, eh' essendo il mondo diviso, tot viris carae fuisse, tam ardua inventu : in tanta discordia, e diviso in regni, cioè membri, inter bella praesertim et infida hospitia, piratis tanti uomini si sieno curati di ccroar cose cosà etiam omnium mortalium hostibus transitus fer difficili a trovarsi, massimamente fra le guerre, me tenentibus : nt hodie quaedam in suo quisqae e gl' infedeli alberghi, e per li eorsali nimici di tracta ex eoram commentariis, qui numqnam eo tutte le persone, i quali tengono quasi lutti i accessere, verins noscat, qaam indigenarum scien passi : in modo che oggi ciascuno in oasa sua, tia : nane vero pace tam festa, tam gaudente da' libri di coloro, che non vi sono mai iti, ha p i* proventu rerom artiumque principe, omnino vera cognizione di questa cosa, ohe gli uomini nihil addisci nova inquisitione, immo ne veterum proprii del paese. Ed ora in cosi lieta pace, dove quidem inventa perdisci. Nou erant majora prae il principe s'allegra del miglioramento delTarli, mia, in mnltos dispersa fortunae magnitudine : e di latte le cose, non s 'impara più sulla per et ista piares sine praemio alio, quam posleros nuova investigazione, anzi nè anco pure s 'impa juvandi, eruerant. Mores hominum senuere, non rano le cose trovate e scritte dagli antichi. Non fractus : et immensa mollitudo aperto, quodeura- erano proposti maggiori premi i, perchè la gran que est, mari, hospitalique lilornm omnium ap- dezza della fortnna fosse sparsa in molli : e non palsu, navigat: sed lucri, non scientiae gratia. dimeno ci furon molli, che investigarono queste Nec reputat caeca mens, el tantum avaritiae cose senza speranza d 'altro premio, che di gio intenta, id ipsum scientia posse tutius fieri. Qua vare a' posteri. 1 costumi degli uomini sono propter scrupulosius, quam instituto fortassis invecchiati, e non i frutti : e gran numero di conveniat operi, tractabo ventos, tot millia navi persone, essendo aperti e sicuri tutti i mari, e con festa di tuiti i liti, i quali amorevolmente gli gantium cernens. ricevono, vanno navigando, ma per cagion di guadagno, e non di scienza. E la mente cieca, e solamente intenta all'avartua, non crede che ciò più sicuramente si possa fare con la scienza. Per la qual cosa forse più che non si converrebbe all'opera cominciata, tratterò de’venli, leggendo esserci tante mi gliaia di naviganti. XLV. Sed plariroum iulerest, fUtu· sii, an Tentai, Illos sUitos atque perspirantes : qnos non tractas aliquis, veram terrae sentiant : qai non aura, non procella, sed mares appellatione quo que ipM venti sunt : sive assiduo mundi tacitala, et contrario sideram occursa nascuntur ; sive hic est ille generabilis rerum aa lurae spiritus, huc illuc tamquam in alerò aliquo vagus : sive dispa rili errantiam siderum ictu, radiorumque multi formi jactu flagellatus aer, sive a suis sideribus exeunt his propioribus, sive ab illis coelo affixis cadunt, palam est illos quoqne legem naturae habere non ignotam, etiamsi nondum perco gnitam.
HISTORIARUM MONDI L1B. II.
VtKOiai e u iu .
Dilli u n n i d·' vttrri.
XLV1. 4?. Veteres quatnor omnino servaTe re, per totidemmoodi partes (ideo n e e Homerus piare» nominat ), hebeti, ut max judicato·» Ml, ratione. Secata aetas octo addidit, nimis subtili, et concisa : proximis inter utramque media pia· eaitf ad brerem ex nnmerosa additis quatuor. Sant ergo bini in quatuor coali partibus: ab oriente aequinoctiali Subsolanos, ab oriente bra mali Valtunms : illum Apelioten, hunc Eurum Graeci appellant. A meridie Auster, et ab occasu brumali Africas : Noton, et Liba nominant. Ab occasu aequinoctiali Favonius, ab occasu solsti tiali Cocus : Zephyrum, et Argesten vocant. A septemtrionibus, Sfeplemirio: inlerque eum et exorluaa solstitialem, Aquilo : Aparctias et Bo reas dietL Kemerosior ratio qoatuor bis interje cerat, Thraseam, media regione inter septemtrio■aena, el occasum solstitialem : itemque Caeeiam, media inter Aquilonem et exortum aequinoctialem, ab ortu solstitiali : Phoenicem, media re gione inter ortum brumalem et meridiem. Item inter Liba et Noton, compositum ex utroque medium, inter meridiem et hibernum occiden tem, Libonotos. Nec finis. Alii quippe Mesen nomine »*»«"""" addidere inter Borean et Caecian: el inter Eurum et Noto·, Euronotum. Soni etiam quidam peculiares quibusque genti bus venti, nou ultra certum procedentes tractum, nt Atheniensibus Sciron, paallum ab Argeste de flexus» reliquae Graeciae ignotus. Aliubi elatior, idem Olympiae vocator. Consuetudo omnibus hia noaainabna Argesten iatelligit: et Caecian abqpà vocant Hellespontiam, et eoedem alibi aliter. Item in Narbonensi provincia clarissimus ventorum est Circias : nec alio violentia inferior, Oaliam plerumque recta Ligustico mari perfe rens : idem non modo io reliquis partibus eoelr ignotas est, sed ne Viennam qaidem, ejusdem provinciae orbem, attingens, paucis ante limiti bus, jugi modici occorso tantus ille ventorum coercetur. Et Austros in Aegyptum penetrare negat Fabianus. Quo fit manifesta lex naturae, ventae etiam et tempore, et fina dido.
XLV1. 47· Gli antichi tennero, che non ci fossero più che quattro veoti, secondo le quattro parli del mondo (e perciò Omero non ne nomina anch'egli più) oou grossa e debil ragioae, siccome poi s'è conosciuto. L 'eli, ehe renne appresso, ve n' aggiunse altri otto, con troppo sottile e stretta ragione : quei che vennero poi, tolsero la via del meazo, dalla breve alla nuaaerosa aggiogando ne quattro. Sono due veoti adunque per cia scuna delie quattro parti del cielo : dall' orienta equinoziale, è Subsolano ; dall' oriente brumale ci è Vulturuo : questo da' Greci fu chiamato Ape liote, e quell* altro Euro. Da mezzogiorno i Au stri, e da ponente brumale Africo, il quale assi chiamano Noto e Liba. Da ponente equinozia le Favonio, da ponente solstiziale Coro, chiamati da' Greci Zefiro e Argeste. Da tramontana Set tentrione, e fra questo e levante solstisiale, Aqui lone, chiamati 1' uno Apartia e Γ altro Borea. Un' altra più numerosa ragiona n' aggiunse a questi quattro : cioè Traseia nella regione di mezzo fra tramontana, e ponente solstiziale : Cecia in quella di mezzo fra Aquilone, e levante equinoziale dal lavante solstiziale: Fenice,, nel la regione di mezzo fra levante bramale, e mez zogiorno, e fra Liba e Noto, composto di ambe due, fra mezzogiorno e ponente di verno, Libo noto. Nè perciò questo fu il fine percioochè al cuni altri ancora v' aggio asero un Tento, ebe si chiama Mese fra Borea e Cecia, e fra Euro e No to, un che chiamarono Euronoto. Hanno ancora certe nazioni alooni T e n ti lor proprii, i quali n o n escono più che un certo spazio, siccome sona gli Ateniesi, ehe hanno U vento Scirone, poco dif ferente da Argeste, il qual Tento non è conosciu to dal rimanente della Grecia. Altrove il medenmo vento alquanto più elevato si domaoda Olim pia. Ma la usanza per tutti questi nomi intende Argeste : e alcuni chiamano Cecia Eltospontia : e questi medesimi venti hanno altrove altri nomi. 10 Proveoza Circio è famosissimo reato, uè ceda a Terono altro di violenza, e a dirittura per 11 mar di Geoora condace ad Ostia. E il me desimo non solamente non è conosciuto nell* altre parti del cielo, ma non aggiugne pure insino a Vienna cittì della medesima Provenza ; perchè poco innanzi a quella dalla opposizione di picciol giogo è ritenuto quel così gran vento. Fa biano anch' egli 'dice, che il vento d' Austro non passa in Egitto. Onde si vede manifesta la legge, che la natura ha in sè stessa, essendosi assegnato ancora a* venti il tempo e il fine.
C. PUNII SECUNDI (* V kHTOBU· « H f ΟΚΑ *).
Da’ v b i t i naioDici.
XLVII. Ver ergo «perit navigantibus maria : cujas in priocipio, Favonii hibernam molliunt coelum, sole Aquarii xxv obtinente partem. 1$ dies sextus est ante Februarias idos. Competit ferme et hoc omnibus, quos deinde pooam, per singulas intercalationes ano die aalicipanlibns : rursumqae lustro sequeoti ordinem servantibus. Favonium quidam ante diem vm kalendas Mar tii, Chelidonian vocant, ab hirundinis visu : non nulli vero Ornithian, uno et l x x in die post brumam ab adventu avium, flantem per dies novem. Favonio contrarius est, quem Subsolanum appel lavimus. Datus est autem huic exortns Vergilia rum in totidem partibas Tauri, sex diebus ante Majas idus, qaod tempus aastrinum est, haic vento Septemtrione contrario. Ardentissimo aa· tem aestatis tempore exoritar Caniculae sidus, sole primam pariem Leonis ingrediente : qai dies xv ante Augustas kalendas est. Hujus exor tam diebus octo ferme Aquilones antecedant, quos Prodromos appellant Post biduum autem exortos, iidem Aquilones constantius perflant his diebus, qaos Etesias appellant. Mollire eos cre ditor solis vapor gemioatus ardore sideris : nec olli ventorum magis stati sant. Post eos rursus Austri frequentes, usque ad sidus Arctari, quod exoritar andecim diebus ante aequinoctium Au tumni. Cum hoc Corus incipit. Corus aulamoat: buie est contrarius Volturnus. Post id aequino ctium diebus fere qaatoor et qaadragiota, Vergiliarom occasas hiemem iachoat : quod tempas ia m idas Novembris incidere consuevit : hoc est Aquilonis hiberni, roaltamque aestivo illi dissimilis, cujos ex adverso est Africus. Ante bru mam autem septem diebus totidemqne postea, sternitor mare halcyonum feturae, onde nomen hi dies traxere : reliqoum tempus hiemat. Nec tamen saevitia tempestatum eludit mare. Piratae primam coegere mortis pericolo io mortem rue re, et hiberna experiri maria : none idem hoc avaritia cogit.
XLVII. La primavera danqae apre il mare ai navigaoli ; nel principio della quale i venti Fa vonii addolciscono Γ aere del verno, essendo il sole ne' venticinque gradi d’ Aquario. £ qaesto è agli otto dì di Febbraro. E conviene qaesto a tutti quegli, eh' io porrò dipoi per da sena a in tercalazione anticipando αα giorno, e di noovo servando l ' ordine nel seguente lustro. Percioc ché alenai a1 ventitré di Febbraro chiamano Fa vonio Chelidonia, perchè si comincia a veder le rondini. Altri lo domandano Oroilia, se ila n· t' nno dì dopo la brama, dalla veouta degli uc celli, soffiaodo egli per oove giorni. A Favonio è contrario il vento, che noi chiamammo Sab b iano. A qaesto vento è assegnato il nascimento delle Vergilie in altrettanti gradi di Tauro, ai nove giorni di Maggio, il qual tempo è Austrino, essendo il Settentrione contrario a questo vento. I*a stella della Canioola.nasce nell' ardentissimo tempo della stale, entrando il Sole nel primo gra do di Lione, il qual giorno è a'sedici di Loglio. Nascono i venti Aquiloni otto dì inoanzi la Cani cola, e chiamansi Prodromi. Due giorni dopo il nascimento di tali stelle, i medesimi venti aqui lonari soffiano più assiduamente per quaranta di, e son chiamati Etesie. Da questi si tiene che sia mollificato il vapore del sole raddoppiato già dalΓ ardore della stella : nè alcuno altro vento è più fermo, e più ordinato di qoesti. Dopo loro si le vano di nuovo i venti di mezzogiorno frequenti fino alla stella d' Artaro, la quale nasce undici giorni avanti 1’ equinozio dell'autunno. Con questo comincia Coro, e regna nell' autunno ; a coi è contrario Volturno. Uopo qaesto equino zio d'intorno a ventiquattro giorui, tramontando e Vergilie, incomincia il verno, il qoal tempo uole venire agli undici di Novembre, cioè nei tempo dello Aqailooe del verno, ed è molto dif ferente da quello della state ; e all' incontro di questo è il vento Africo. Ora innanxi il verno sette giorni, e altrettanti dopo, viene bonaccia io mare, avendo a covare gli uccelli alcioni ; e
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HISTORIARUM MUNDI LIB. II.
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XLV111. Ventorum frigidissimi suot, quos a septemtrioae diximus spirare, et vicinus his Co· ros. Hi et reliquos compescunt, et nubes abigunt. Humidi, Africus, et praecipue Auster Italiae. Narrant et io Ponto Caecian in se trahere nu bes. Sicci Corus, et Vulturnus, praeterquam de· sinentes. Nivales, Aquilo et Septeratrio. Grandi nes Septem trio impoclat, et Corus : aestuosus Auster : tepidi Vulturnus, et Favonius, lidera Subsolano sicciores, et in tolura omnes a septem trione et occidente sicciores, quam a meridie et oriente. Saluberrimus autem omnium Aquilo: noxius Auster, et magis siccus; fortassis quia bomidus, frigidior est. Minus esurire eo spirante creduntur animantes. £tesiae noctu desinunt fere, cta tertia diei hora oriuntur. In Hispania et Asia ab oriente flatus est eorum : in Ponto ab Aqui lone, reliqais in partibus a meridie. Spirant au tem et a bruma, cum vocantur Ornithiae, sed kaiores paucis diebus. Permutant et duo natuitm cqio situ. Auster Africae serenus, Aquilo aabilus. Omnes venti vicibus suis spirant majore ex parte, aat ut contrarius desinenti incipiat. Qaam proximi cadentibus surgunt, a laevo Ia· tere in dextrum, ut sol, ambiunt. De ratione eorum menstrua, quarta maxime luna decernit. Iisdem autem ventis in contrarium navigatur prolatu pedibus, ut noctu plerumque adversa vela concurrant. Austro majores fluctus eduntur qaam Aquilone : quoniam ille infernus ex imo maris spirat, hic summo. Ideoque post Austros noxii praecipue terrae motus. Noctu Auster, interdiu Aquilo vehementior. Et ab ortu flantes diuturniores sunt ab occasu flantibus. Septemtriones impari fere desinunt numero: quae ob servatio et in aliis multis rerum naturae parti bus valet. Mares itaque existimantur impari numero.
Sol et auget, et comprimit flatui. Aaget exo riens occidensque ; comprimit meridianus aesti vis temporibus. Itaque medio diei aut noctis plerumque sopiuntur : qui aut nimio frigore, aut aestu solvuntur. Et imbribus venti sopiantur. Exspectantur autem maxime, unde nubes discus sae adaperuere coelum. Omnium qaidem (si li beat observare minimos ambitui) redire easdem vices quadriennio exacto Eudoxus putat : non
V a b ia h a tc b a na*
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XLVIII. 1 piò freddi venti son quegli, che noi abbiano detto, che soffiano da tramontana; e vicino a questi è il vento Coro. Questi fermano gli altri, e scacciano le nugole. Umidi sono Afri co e Austro, e massimamente in Italia. Dicesi ancora, che in Ponto Cecia tira a sè le nugole. Secchi sono Coro e Vulturo, eccetto che nella fiue. Aquilone e Settentrione menan neve. Set tentrione e Coro portaoo gragnuola. Austro è vento caldo. Vulturno e Favonio sono tiepidi. I medesimi più secchi che Sussolano, e univer salmente lutti i venti, che vengono da tramonta na e da ponente sono più secchi, che di mezzodì e d* Levante. Ma il pià salutifero di tutti è Aqui lone, perch' egli è secco, e molto freddo. Austro è nocivo, forse perch'egli è più freddo. E quan do tira questo vento, tiensi che gli animali ab biano manco fame. L' Etesie si fermano di notte, e si levano a tre ore di giorno. In Ispagna e in Asia il soffiar loro è da levante : in Ponto da tra montana : nell' altre parti da mezzogiorno. Sof fiano di verno quei venti, che si chiamano Omi lle, ma molto piacevoli, e per pochi giorni. Due venti ancora cambiauo natura insieme col sito, Austro sereno in Africa, a Aquilone nubiloso. Tutti i venti soffiano scambievolmente per la maggior parte, ovvero quando un fluisce, comin cia il suo contrario. Quando i prossimi si levano in luogo di quei che caggiono, girano, siccome il sole, dal lato manco al ritto. E la quarta luna farè giudizio di quel che sieno per fare il mese. E co' medesimi venti si naviga in contrario, di stendendo i piedi, in modo che il più delle volle di notte s 'incontrano le vele contrarie. Austro fa molto maggiori onde che Aquilone : percioc ché quello vien dalla bassa parte del mare, e que sto dall'alta. E per questo i terremoti, che vengon dopo Austro son mollo dannosi. Austro di notte, e Aquilone di di è più veemente. E i venti orientali durano più che gli oecidenlali. 1 setten trionali restano per lo più in numero caffo, la quale osservazione vale ancora in molte altre parti delle cose della natura. I maschi danque si stimano di numero caffo. 11 sole accresce e reprime i venti. Accresce quando nasce, e quando tramonta ; e scema di mezzogiorno la state. Il più delle volte dunque si fermano da mezzodì, o da mezzanotte, per chè si risolvono per troppo freddo, o per troppo caldo. Le piogge ancora fanno cessare i venti. E principalmente sogliono nascere da quella parte, onde le nugole risospinte cominciano aprire il cielo. È d 'opinione Eudosso ( se par vogliamo
C. PLINII SECONDI1
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Tentorum modo, verum et reliquarum terapestatara magna ex parie. Et est principiora lustri ejus, semper intercalari anno, Caniculae ortu. De generalibus ventis haec.
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XL1X. 4®· Nunc de repentini· flalihus, qui exhalaote terra (ut dictum est) ooorti, rursusqoe dejecti, inierim obducta nubium cule, multifor mes exsistunt. Vagi quippe et ruentes torrentium· modo ( at aliquibus placere ostendimus) tonitrua et fulgura ednnt. Majore vero illati pondere incuraoque, si late siccam rapere nubem, procellam gignunt, quae vocatur a Graecis Eenephias. Sin T e r o depresso sinu arctius rotati effregerint, sine igne, hoc est, sine fulmine, vortieem faciunt, qni Typhon vocatur, id est, vibratas Eenephias. De fert bic secum aliquid abruptam e nube gelida, eoo voi vena, versansque, et ruinam suam illo pon dere aggravans, et locum ex loco mutans rspida vertigine: praecipua narigantiam pestis, non antennas modo, verum ipsa navigia contorta fran gens ; tenui remedio aceti in advenientem effusi, cui frigidissima est natura. Idem illisu ipse re percussus, correpta secum in coelum refert, aorbetque in excelsum.
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p b b s t e u c s , v o b t ic b s , e t g io sa
ancora osservare i minimi circuiti ), che in capo di quattro anni tutti i vanti ritornino die lor medesime volle, e non solamente i venti, ma in gran parte aneora I* altre conditioni de' tempi. E il principio di questi quattro anni è sempre l’ anno del bisesto nel nascere della Canicola. E questo basti avere detto de' venti generali.
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L. Quod si majore depressae nubis eruperit specu, sed minus iato quam procella, neo sine fragore, turbinem vocant, proxima quaeque pro sternentem. Idem ardentior, accensusqae dum furit, Prester vocatur, amburens contacta pari ter, et proterenr. 49. Non fit autem aquilonius Typhon, nec nWilis aut nrve jaeente Eenephias. Qnod si si mul rupit nubem, exarsitque, et ignem habuit, non postea concepit, fulmen est. Distat a Preste re, quo flamma ab igni. Hic late fandi tur flatu, illad conglobatur impetu. Vorter autem remean do distat a turbine, quomodo stridor a fragore. Proeetta latitudine ab ntroque; disjecta nube
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XLIX. 49. Ora 11 ha da trattare de* fiati re pentini, i quali nati, come s 'è detto, quando la terra esala, e di nuovo gettati a terra, facendosi come una pelle di nugole, sono di molte e varie forme. Peróiooeh* essendo eglino vagabondi e rumori a modo di torrenti, sicoome ho gii mo strato essere opioione d* alcani, mandano fuori tuoni e folgori. Ma quando sono traportati con maggior peso ed empito* se largamente rompono la secca nugola, generano procella, la quale dai Greci èchiamata Ecnefia. Ma se abbassali,pii strettamente aggirandosi rompono senta fuoco, cioè senta saette, fanno un gruppo di Tento, X qua! si chiama Tifone,cioè lanciato Ecnefia. Porta sempre seco qoesto tal groppo alcuna cosa tolta dalla gelata nugola, rivolgendo e aggirando ; e aggravando la sua ruina con quel peso, e con pre cipitosa vertigine e aggiramento, mutando da luogo a luogo, fa grandissimo danno a'naviganti: perchè non solamente spetta lor Γ antenne, ma ancora essi navili : e a ciò si ripara picciolo ri medio d* un poco d* aceto sparsogli alT incontro, quando e' viene ; il quale aceto è di natura frigi dissima. E questo medesimo, non si facendo tal rimedio, ripercosso da esse percosse, porta seco in cieli» le cose, eh* ei piglia, e le inghiottisce in alto. Tonami, p b e s t b b i ,
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MAR1BBB DI TBMPBSTB.
L. Ma s 'egli avvien eh1ei rompa con mag giore apritura della nugola bassa, non manco aperta, che la procella, nè senta rumore, ai chia ma turbine, e gelta a terra tutte le cose, eh' ei trova. E questo medesimo, più ardente e acceso, mentre che infuria, è chiamato Preste, e abbru cia, e trita tutto quel eh* ei tocca. 49. Non si genera il Tifone aquilonare, nè il nevoso Ecnefia. E se quando ruppe la nugola, e arse, e prese fuoco, non dipoi coneepe, è saetta. Fra il Tifone e H Prestere, c’ è quella differenta, che tra la fiamma e il fuoco. Qoesto largamente si sparge e diffonde col suo vento, a quello si congloba con lo impeto. La bufera col ritornare addietro è di ftreirte dal turbine, quanto lo atri-
HISTORIARUM MUNDI LIB. 11.
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Ttriu, <(md >rapta. Fil et caligo belluae similis, nabe dira navigantibus. Voeatar et columna, qaum spisulus humor rigensqae ipse «e sustinet. E x eodem genere, et ia longam velali fistula adbei aquam trahit.
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dorè dal fragore. La procella con tanta larghexu esce dall' an lato e dall* altro, che la nngola pare piò veramente divisa, che rolla. Fassi anco ana caligine simile a nna bestia, cosa molto crudele a’ naviganti. Chiamasi anCbra colonna, qaando l'amor si condensa, e divenendo rigido, sè stesso sostiene. Del medesimo genere è la nugola, che in forma di cannon lungo tira a sè Γ acqua. D sllb
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LJ. So. Hieme et aestate rara fai mina, con trariis de camis : quoniam hieme densatas aer nubiani crassiore corio spissatar : omoisqae tern ra n exhalalio rigens, ac gelida, qaidquid acci pit ignei vaporis, exstinguit. Qnae ralio imma nem Scythiam et circa rigentia a fulmina m casa praestat : et e diverso nimius ardor Aegyptam. Siquidem calidi sicciqae halitas terrae, raro admodtt», tenuesque densanlar in nabes. Vere aalem et aotnmno crebriora falmina, corruptis ία atroqae tempore aestatis hiemisqne causis. Qua ratione crebra in Italia : quia mobilior aSr nitiore hieme, et aestate nimbosa, semper quo dammodo vernat, vel anlamnat. Italiae qnoqne partibas iis, qaae a septem trione discedunt ad teporem, qualis et Urbis et Campaniae tractus, juxta hieme et aestate (ulgarat, quod non in alio sita.
LI. 5o. Di verno e di state caggiono rare saette, e ciò per contrarie cagioni : perciocché di verno I' aria si condensa con più grosso cuoio di nngole; e ogni esalazione della terra rigida e gelata spegne tulio quello vapor focoso che pi glia. £ questa è la ragione, che la Scizia e tutti i paesi freddi all' intorno sono sicari dalle saette : e per contrario il troppo ardore ne assicura anco l ' Egitto. Perciocché i vapori caldi e secchi della terrà si condensano in rare e mollo debòli e inferme nngole. Ma di primavera e d’ autunno vengono molto spesse le saette, essendo corrotte le cagioni nell' uno e l ' altro tempo della state e del verno. Per questa ragione caggion sì spesso le saette in Italia, perchè 1' aria è più mobile, essendo il verno piacevole, e la state nubilosa, sempre in cerio modo vi fa la primavera, o l ' au tunno. In quelle parti ancora d 'Italia, le quali partono da tramontana a regione tiepida e tem perata, siccome è il paese di Roma, e Terra di Lavoro, vi folgora il verno e la state ; il che non avviene altrove.
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UI. 5 ·. Falminnm ipsorum plora genera Iradantar. Qaae sicca veniant, non adarant, sed dimpant. Qaae hamida, non arant, sed infuscant. Tertiam est, qnod claram vocant, mirificae ma xime naturae, quo dolia exhauriuntur intactis operimentis, nulloqae alio vestigio relicto. Au rem, et aes, et argentum liquatur mias, saccalis ipósaallo modo ambustis, ac ne confuso quidem signo cerae. Marcia, princeps Romanorum icta gravida, parto exanimato, ipsa citra nUam aliad incommodam vixit. Ia Calilinanis prodigiis Pom peiano ex manicipio M. Herennius decario sere ne die fulmine ictas est.
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LII. 5i. Sonci diverse sorli di folgori. Quel le che vengon secche, non abbruciano, ma fra cassano. Quelle che sono umide, non ardono, ma infocano. Eocene una terza sorte che si chia ma chiaro, di molto maravigliosa natara, il quale vota le botti, senza toccar i coperchi, e senza la sciarvi di sè alcuno altro segno. L 'oro, il rame e Γ argento ai strugge nelle borse, non si abbru ciando per alcun modo le borse ; e se son suggel late, non guasta pnre il segno della cera. Marzia nobilissima donna Romaoa, essendo gravida, fu percossa da tal saetta, di che la creatura si mori, ed essa rimase viva, senza aver male alcuno. Tro vasi scritto ne' prodigii di Catilina, corae nel ca stello Pompeiano M. Erennio decurione fu per cosso della saetta, essendo il tempo sereno.
C. PLINII SECUNDI
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E t b d s c a o b s b b v a tio 1« b is , i t R om aica.
OSSB*VAUOM1 SVI FOLGOBI, BTBUSCBB » ΒΟΜΑΒΒ.
LUI. 5a. Tuscorum lilerae novem deos emit* tere fulmina existimant, eaque esse undecim ge nerum : Jovem enim trina jaculari. Romani duo tantum ex iis servavere : diurna adtribuentes Jό τι, nocturna Summano, rariora sane eadem de causa frigidioris coeli. Etruria erumpere terra quoque arbitratur, quae infera appellat, brumali tempore facta, saeva maxime et exsecrabilia : quum sint omnia, quae terrena existimant, non illa generalia, nec a sideribus venientia, sed ex proxima atque turbidiore nalura. Argumentum evidens, quod omnia a superiore coelo decidentia obliquos habenl ictus : baec aulem, quae vocant terrena, reclos. Sed quia ex propiore materia cadunt, ideo creduntur e terra exire, quoniam ex repulsu nulla vestigia eduat, quum sit illa ratio non infieri iclus, sed adversi. A Saturni ea sidere proficisci subtilius ista consectati putant : sicut cremantia, a Martis. Qualiter, quum Vol sinii oppidum Tuscorum opulentissimum totum concrematum est fulmine. Vocant et familiaria in tolam vilip fatidica, quae prima fiunt fami· liam suam cuique indepto. Ceterum existimant non ultra decem annos portendere privata, prae terquam aut matrimonio primo facta, aut natali die : publica non ultra tricesimum aenum, prae* terquam in deductione oppidorum.
LUI. 5a. 1 libri de' Tom ai dicono che a w sono gli dei, che mandano.le saette, c che etts sono d 'undici sorti, e che Giove ne lancia di tre sorti. 1 Romani n’ hanno osservate solamente dee sorti, attribuendo quelle del giorno > Giove, e quelle della notte a Sommano. Le notturne sono più rare per la medesima cagione della frigidità dell'aria. 1 Toscani tengono che di sotto terra ancora vengano le saette, le quali da loro sono chiamate infernali, ed essendo falle di verno,sono molto crudeli e pestifere, perciocché tutte le cose, che stimano terrene, non sono generali, ne ven gono dalle stelle, ma da prossima, e più torbida nalura. Di questo è manifesto segno, che tulle le cose, che caggiono dal cielo superiore, fanuo sempre i lor colpi a traverso ; e queste, che si chiamano terrene, gli fanno diritti. Ma perchè cascano da materia più vicina, perciò ai crede eh* elle escano della terra, perciocché dalla riperoossa non fanno alcun segno, essendo la ra gion questa non d 'un colpo di sotto, ma all* in contro. Coloro che sottilm ente hanno investigate queste cose, tengono ch'elle vengano da Saturno, siccome quelle che ardono, vengon de Marte, quale fu quella, che abbruciò già tutta Bolaena, città potentissima di Toscana. Chiamano lacon famigliar! le pronosticati ve in tutta la vite, le quali vengono prima a ciascuno, che ha consti· tuito la sua famiglia, dandogli principio. Ma però tengono che le saette de'privali non facciano pronostico, che passi dieci anni, fuor che quell· che vengono nel giorno del matrimouio, o nel dì della nascita. Ledette pubbliche non si di stendono più che treni' anni, eccello quelle, che vengono.nella edificazione delle città.
D e FOLMIKIBUS EVOCANDIS.
LIV. 53. Exstat Annalium memoria, sacris quibusdam, et precationibus, vel cogi fulmina, vel impetrari. Vetus fama Eiruriae est, impetra tum, Volsinios urbem agris depopulatis subeunte monstro, quod vocavere Voltam. Evocatum et a Porsenna suo rege. El ante eum a Numa saepius boc faclilalura, in primo Annalium suorum tra dii L. Piso, gravis auctor : quod imitatum parum rile Tullum Hostilium iclum fulmine. Lucosquc et aras el sacra habemus : interque Statores, ac Tonantes, el Feretrios, Elicium quoque accepi mus Jovem. Varia in hoc vitae sententia, et pro cujosque animo. Imperari naturae audacis est credere ; nec minus hebetis, beneficiis abrogare vires ; quando in fulgurum quoque ioterprela-
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L 1V. 53. Trovasi scritto nelle istorie, che era certi sacrificii, o preghi, si costringono a venire, o s'impetrano le saette. Ragionasi per cosa antica in Tpscana, che la città di Bolsena la impetrò, essendo guasti i lor campi da un m o stro , che v'era entrato sotto, il quale essi chiamarono Vol ta ; e fu scacciato dal loro re Porsena. E L. Pi sone, scriltor di grande autorità, scrive nel prisno libro delle sue istorie, che innanxi a lui ciò più volte fu fatto da Numa : il che avendo volato imitare Tulio Ostilio, e non osservando quello che bisognava, fu percosso dalla saetta. Abbiamo anoora e boschi, e altari, e sacrificii, e fra gli S u tori, i Tonanti e i Feretrii, v' è anche Giove Elicio. Diverse sono in questo le opinioni degli
HISTORIARUM MUNDI LIB. II. tiooe «o profecit scientia, ot ventare alia finito die praecinat; et aa peremptura sint fatum, aat apertura potias alia fata quae lateant, innumera bilibus m utroque publicis privatisque experi mentis. Quamobrem sint ista, ut rerum naturae liboit, aliis certa, aliis dubia, aliis probata, aliis damnanda: nos cetera, quae sunt in his memo rabilia, non omittemus.
C
a t h o l ic a
r o to c ira .
LV. 54· Fulgetram prias cerni, quam toni trum andiri, qunra simul fiant, certum est. Nec ■iram ; quoniam lux sonitu velocior. Ictura au temel sonitam congruere, ita modulante natu ra ; sed sonitum profecti esse fulminis, non illati. Etiamnam spiritum ociorem tolmine : ideo quali prius omne et afflari, quam perenti : nee quemquam tangi, qui prior viderit fulmen, aut toni tru audierit. Laeva prospera existimantur, quo niam laeva parte mundi ortus est Nee tam adven ias spectatur, quam reditus : sive ab ictu resilit ignis, sive opere confecto, aut igne consumpto spiritus remeat. In sedecim partes coelum in eo aspecta divisere Tusci. Prima est a septemtrionibus ad aequinoctialem exortum : secunda ad aaeridiem , tertia ad aequinoctialem occasum : quarta obtinet quod reliquum est ab occasu ad septemtriones. Has iterum in quaternas divisere partes, ex quibas octo ab exortu sinistras, toti dem e contrario appellavere dextras. Ex his maxime dira, quae septemtrionem ab occasu at tingant Itaque plurimum refert, unde veneriut falauna, et quo concesserint. Optimum est, in exortivae redire partes. Ideo cum a prima coeli parte venerint, et in eamdem concesserint, sum ma felicitas portenditur, quale Syllae dictatori •stentum datum accepimus. Cetera ipsius mundi portione minus prospera, aut dira. Quaedam folgnra eountiare «ion putant fas, nec audire, praeterquam si bospiti indicentur, aut parenti. Magna hujus observationis vanitas, tacta Junonis «ede, Romae deprehensa est Scaaro consule, qui • o i princeps fuit.
afa
uomini, e secondo U parer di ciascuno. Ma gran de ardire è il credere che si comandi alia natu ra ; e non è minor pazzia persuadersi di levarle le forze co'sacrificii; poiché ancora tanto avanti è passata 1^ scienza della interpretazione de* fol gori, ch'ella predice con definito giorno quel che ha a venire; e s'elle sono per levar via il fatto, o piuttosto per iscoprire altri fatti, che stanno ascosi, con infiniti esperimenti pubblici e privati neU'una e nell’altra cosa. Però sirn pure queste cose (siccome piace alla natura) ad altri certe, ad altri dubbiose, da alcuni approvale e da alcuni biasimate: noi non lasceremo di dire le altre cose, che in questa materia sono degne di memoria. C o s e OHIVEtSALl !>*’ FOLGORI.
LV. 54· Egli è cosa certa, che prima si vede il baleno, ancoraché si facciano insieme, che non s'ode il tuono. E ciò non è maraviglia , perché la luce è più veloce che il suono. Ma 1* percossa e il suono s'accordano, perciocché cosi è l'ordine della natura. 11 suono è della saetta venuta, non mandata : e similmente il vento è più veloce che la saetta : e perciò avviene che la cosa trema, e sente il vento, prima che sia percossa dalla saetta. Né alcun sari mai tocco, che prima abbia veduto il folgore, o udito il tuono. 1 folgori, che vengono dalla man manca del cielo, sono tenuti prosperi, perché il levante è dalla man manca del mondo. Né si considera tanto la venuta della saetta, quanto la pattila, o che il fuoco dalla percossa risalii indietro, o che finita l'opera,e consumato il fuoco,il vento ritorni addietro. In questo aspetto i Toscani divisero il cielo in sedici parli. La prima é da tramontana a levante equiuoziale, la seconda a mezzogiorno, la terza a ponente equinoziale, la quarta tiene quel che rimane da ponente a tramontana. E cia scuna di queste divisero di nuovo in quattro par ti, delle quali olio da levante chiamarono sinistre, e altrettante all'incontro destre. Di queste le più pestifere e dannose son quelle, che da pooente vengono a tramontana. Importa dunque mollo sapere, onde le saette sien venute, e dove hanno dato. Ottima cosa è, ch'elle ritornino nelle parti orientali. E per questo quando elle vengono dal la prima parte del cielo, e tornano nella medesi ma, significano somma felicità, il qual pronostico leggesi che fu dato a Siila dittatore. Nelle altre parti d'esso mondo per proporziono son manco prospere. Certe saette nou pensano che sia lecito narrarle, ne udirle, fuor che se son denunziate al padre, o al forestiero, che ha a l b e r g a l o in casa. Grande è la vanità di qneita osservazione.
C; 'PL1MI SECONDI
Noeta magi·» quam ialerdia, line tonitribus fulguret Unum animai bominem non «emper exstinguit, cetera illico : hunc videlicet D atu ra tribuente honorem, quum tot belluae viribus praestent. Omnia contrarias inenbant in partes : homo, nisi convertatur in percussas, non exspi rat. Saperne icti considunt. Vigilans ictus conniventibus ocalis, dormiens patentibus reperitur. Hominem ita exanimatum cremari fas non est : condi terra religio tradidit. Nullum animal, nisi exanimatum, fnlmine accenditur. Vulnera fulmi natorum frigidiora sant reliquo corpore.
Fa percossa la chiesa di Giunone in Rohm , es tendo Scauro consolo, il quale fa poi principe. La notte pià eh· il giorno folgora senxa tuo ni. L'uomo solo fra tutti gli altri animali ra t i sempre morto dalla saetta : gli altri subito moo· iono ; perciocché la natura a lui dì questo ooore, laddove tante bestie lo vantaggiano di farse. Tutti gli altri animali percossi giacciono rovesci: l’uomo, se non è rivolto nelle parti peroosK, non muore. Quegli, che sono percossi di sopra, stanno a sedere. Quel che veggbiando è percosso, si trova con gli occhi chiusi; e colui che dorme» con gli occhi aperti. L'uomo, eh'è morto di que sta maniera, non è lecito che s'arda ; ma la reli gione vuole che sia sotterrato. Nessuno animale, se prima non è morto, arde per saetta, e le ferite di quegli che sono stali fulminati, son piò fred de, che il resto del corpo.
Q vAH mU Q VAM IBM A VTO B.
Q uali c o n · ο · m i o t o c c u d alla sabtta .
LVI. 55. Ex iis, quae terra gignantur, lauri fruticem non icit ; nec umquam quinque aliius pedibus descendit in terram. Ideo pavidi altiores specas tutissimos putant : aut tabernacula e pel libus bellaarum, quas vltalos appellant : quoniam hoc solum animal ex marinis non percutiat : si cut nec e volucribus aquilam, quae ob hoc armi gera hujus teli fingitur. In Italiainler Terracinain et aedem Feroniae, tarres bellicis temporibus desiere fieri, nulla non earum fulmine diruta.
LVI. 55. Di quelle cose, che nascono in terra, l'alloro aoo è tocco dalla saetta ; « la snello non Iscendemai in terra più che cinque piedi. E per· ciò i paurosi tengono per sicurissime le spelonche profonde; ovvero i padiglioni fotti di pelli 4»be stie, che si chiamano vitelli marini, perciocché qoesto animai solo fra tutti quelli, ohe nascano in mare, non è tooco dalla saetta, come anche fra gli uccelli l'aquila, la quale per qnesto ai finge eh· porti queste arme a Giove, lo Itali* fra Terra· cina e il tempio di Feronia restarono di farti torri ne* tempi della guerra, essendo roviaaU tutte dalla saetta.
L a c te
f l u i s s i , sa h g u ih e , c a s h e ,
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PlOGOft PRODIGIOSI DI LATTE, SA «ODE, C i M I ,
LATMUBUS COCTIS.
rumo, LARA, MATTOH1 cossi.
LV1I. 56. Paeter haec inferiore coelo relatam in monumenta est, lacte et sanguine pluisse M. ▲cilio, C. Porcio coss. et saepe alias : sicut carne, P. Volumnio, Servio Sulpicio coss., exque ea non putruisse, quod non diripuissent aves. Item ferro in Lucanis, anno antequam M. Crassus a Parthis interemptas est,oranesque cum eo Lucani milites, quoram magnus numerus in exercitu erat. Effi gies, quae pluit, spongiarum fere similis fuit : aruspices praemonuerunt superna Vulnera. L. autem Paulo, C. Marcello coss. lana pluit circa castellum Carissanura, juxta quod postaunam T. ▲nnius Milo occisus est. Eodem causam dicente lateribus coctis pluisse, in ejus anni acta rela tam est.
LVII. 56. Olirà queste oose, per l'aero infe» riore si trova scritto esser piovuto latte « eaftgue, essendo consoli M. Acilio e G. Portio, e di molte altre volte ; siccome anche piovè cani·, essendo consoli L. Volunnto e Servio Solpisio, della qaal carne non si guastò quel ch'era avanzato agli uccelli. Piovè ferro ancora in Lucania, l'anno innanzi che M. Crasso fu morto da' Parti, e tatti i soldati Lucavi con lai, ch'erano nell'esercito in numero grande. Fu la forma di questo ferro, ebe piovè, simile alle spugne; onde gl'indovini predissero, che sarebbon venute ferita dal deio. Un'altra volta essendo consoli L. Paolo a G. Mar* cello, piovè lana appresso il castello Carissano, dove l'anuo seguente poi fu morto T. Ann io Milone. Trovasi negli atti di quell'anno, che difendendo egli la saa causa, piovi mattoni cotti.
HISTOMJJtUM MONDI LIB. Π. iia o in
c a u i n » , * x t c m i « o n x iw
d r c o r lo
a v u t o ·.
LV111. S7. Armorum crepitile» et tubae soni· tns andito· e coclo Cimbrieia belli· aecepimus : crcbroqoe el pritu, et poUca, Tertio vero conio· iato Marti ab Amerinis el Tuderlibu· spectata ama codesti*, ab orla occasnqae inter se con correnti*, polsi· qaae ab occasa erant. Ipsum ardeae coelam t minime miram est, et saepies lito ·, majore igne nobibos correptis.
D b u n n i o i c o b l o c a d b h t iiu s . A rax a g o rr a db b is .
U 1 SS. Celebrant Graed Anaxagonm Qaw w h i · , «lympiadis septuagesimae octavae se condo au to , praedixisse coelestium li terarum aprali·, qaibas diebus saxom casuram esset e •ole. Idque factam interdia in Tbraeiae paria si£ g o s flamen. Qai lapis etiaaa non· ostenditor, ■ spiladiae vehis, colore adusto, ooaaete quoque illi» aoctiboa flagrante. Qaod si quis praedictam credei, «aonl Calcator necesse est, majoris miraooK dnisutatem Anaxagorae fuisse, solviqa· «acaa naturae intellectum, et confondi omnia ; si aut ipso sol lapi· esse, aat nmquam lapidem in eo Ansae credatur: decidere tamen crebro, non eril dabiom. In Abydi gymnasio ex ea caos· eolitor bodieque, modica· qaidem, sed quem in medio larrantm casurum idem Anaxagora· praedixi··· namlar. Colitor el Cassandriae, Potidaea vocitata eat, ob id dedneta. Ego ipse vidi in Vocontiorum agro panilo ante dela tam.
Amcm coxuras. LX. 59. Areo· vocamus, extra miraculum frcqoenle·, et extra ostentam. Nrm ne plnvios qnidem, aat sereno· dies, corn fide portendant. Manifestam est, radiam solis immissam cavae subi, repalaa sd e in solem refringi, colorumque 'varietatem mixtura nobium, airi·, igninmque fieri. Certe nisi solo adverso non fiant, nee «■quam, nisi dimidia circoli forma 1 nec noeta, qmamvia Aristotele· prodat aliquando visam,
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LV1IL 57. Leggesi, coma nella guerra dei Cimbri, e spesse volte ancora e prima e poi. Co rono oditi strepiti d 'arme, · soon di trombe dal cielo. E nel terso consolato di Mario, in Amelia, e in Todi furono vedale armi celesti da levant· a ponente correre ad incontrarsi fra loro, dove quelle di ponente furon messe in fo ga. E non è anche maraviglia che il cìd · arda, perchè ciò s 'è visto piò volte, essendo entrata nelle nngole grande abbondansa di fuoco. PlBTBB CADUTB DI CULO. di
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BARRASI
A m assaooba ib t o r r o a c iò .
LIX. 58. Celebra·· i Greei Anassafors CU- ' tomento, il qual· l’anno secondo dell* olimpia settantesima ottava per la sdenta delle lettere celesti predisse in che giorno sarebbe caduto nn sasso dal sole. E ciò avvenne di giorno in Tracia appresso il fiume Ego. Le qual pietra oggi si moatra ancora, della grandetta d’on carro, di colore arsiccio : · in quelle medesime netti rilu ceva la cometa. La qual cosa, se alcuno erede eh· fosse predetta, bisogna ancora ebe confessi la divinili d’ Anassagora esser· «tata di maggior maravigli·, « eh· lo intettetto ddla natara dd le cose si dissolve, e ogni cesa si confonda, se si eroda eh’esso sol· *ia pietra, o ehe in lei fesso mai pietra; e nondimeno chiara cosa è , che •pcsso caggiono dell· pietre dal deio. Nel ginna sio d* Abido per questa cagione oggidì ancora è onorata una pietra non molto grande, la qoale dicesi che il medesimo Anassagora avea predet to, che doveva cadere nel metto della terra· È adorata anche in Cassandria, la qnale si chia ma Potidea, e per qoesto condotta da luogo a luogo. Ed io medesimo Γ ho veduta nd territo ri· d·* Vocoozii, dove poco avanti era «tata oondotla. D b ix * a r c o c a n a r i.
I X . 5φ. Quei, che noi chiamiamo archi, av vengono molto spesso, e ciò non è maraviglia, nè prodigio; perciocché essi non predicono al sicuro nè pioggia, nè sereno. Certa cosa è, che il raggio del spie percolendo in una nugola concava, rispinta la punta nd sole viene a spez iarsi, e fa qadJa varieté de'colori con la misura delle nugole, ddl'aria e de’ fuochi. Bene è vero che non si fanno mai, se non all1incontro dd
G. PLINII SECUNDI qaod tamen fatetor idem non nisi quartadecima lana posse. Fiunt antem hieme maxime ab aequi noctio aatamnali die decrescente. Quo rarsas crescente ab aequinoctio verno non exsistant : nee circa solstitium longissimis diebas : brama Tero, hoc est, brevissimis diebas, frequenter, lidem sublimes humili sole, hamilesqoe sublimi, el minores oriente, aut occidente, sed in latitudi nem diffusi : meridie exiles, veram ambitas ma joris. Aestate vero per meridiem non cernantur: post aatumui aequinoctium quacumque hora: nec umquam piares simul quam doo.
N ato ba
o b ak d ib js ,
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ρ β ιπ η α β , e x b o l a e , b o e is :
MUBIDM 1MAGIBBS.
sole, nè mai se non con la mena forma del cir colo, nè di notte tempo; benché Aristotele scri ve, che pure alcuna volta s’ è visto : e nondimeno confessa, che ciò non può essere se non nella quartadecima luna. Vengono questi archi di verno, e massimamente dopo l'equinozio del l'autunno, quando i giorni scemano. E quando i giorni crescono dopo l'e q u in o z io della prima vera, non si veggono ; nè anco d 'intorno il sol stizio, quando i giorni son lunghissimi : di verno poi, qaando i dì son brevissimi, si veggono mol to spesso. Sono questi archi alti, qaando il sole è basso ; e bassi, qaando egli è alto ; e minori, qaando il sole va sotto, o qaando e' si leva, ma diffusi in lunghezza ; di mezzogiorno sottili, ma di maggior circuito. Ma la state non si veggono di mezzogiorno : dopo l'equinozio deli'aatunno, da ciascuna ora : nè mai più che doe insieme. D
ella
g b a m v o l a , s b v b , b b ih a t a , v b b b i a ,
BDG1ADA : DBLLB ΙΜΑΟΙΙΠ DBLLB M O G O L *.
LXI. Cetera ejusdem natorae non multis do* LXI. L'altra coso della medesima natara bia esse video. veggo che son chiare a molti. 60. Grandinem conglaciato imbre gigni, el 60. Nasce la gragnuola di pioggia agghiac nivem eodem humore mollias coacto : pruinam ciata, e la neve del medesimo umore, ma piè aulem ex rore gelido. Per hiemem nives cadere, dolcemente congelato; ma la brina ai genera non grandines : ipsasque grandines interdio sae di rugiada agghiacciata. Di verno veogono la pius, quam noctu, et mallo celerius resolvi, quam nevi e non le gragnuole ; le qnali gragnnole ven nives. Nebulas nee aestate, nee maximo frigore gono più spesso di giorno, che di notte, e si exsistere. Rores neque gelu, neque ardoribus, risolvono molto più presto, che le nevi. Le neb neque veniis, nee nisi serena nocle. Gelando li bie vengono di state, nè per grandissimo freddo. quorem minui, solotaque glacie non eumdem Le rugiade non si fanno quando è freddo, nò inveniri modum. caldo, nè vento, nè mai se non di notte serena. L'umore quando s'agghiaccia, e disfatto il ghiac cio, non si trova essere quanto prima. 61. Veggonsi le di versili de’ colori, e delle 61. Varietates colorum figurarumque in nu bibus cerni, prout admixtus ignis superet, aut figure nelle nugole, secondo che il fuoco mesco latoti vince, o è vinto. vincator. P io n n u n s
cobli
m l o c is .
LX1I.6a. Praeterea quasdam prorietates qui busdam locis esse. Roscidas aestate Africae noctes. In Italia Locris, et in Iaco Velino, nullo non die apparere arcus. Rhodi et Syracusis numquam tanta nubila obduci, ot non aliqua hora sol cer natur : qoalia aptios soia referentur locis. Haec sint «lieta de aere.
N atvba
t b ib a s .
LXI1I. 63. Sequitur terra, cui nni rerum naturae jfartium, eximia propter merita, cogno men indidimus maternae venerationis. Sie homi-
D b l l b rx o ra iE T À
d b l l ' a b i a sb c o k d o i l v o o t i .
LXII. 6a. Sono oltre a ciò certe proprieti d'aria in alcuni luoghi. In Africa la state vi sono le notti rugiadose. In Italia a Locri, e nel Iago Velino ogni dì si vede 1*arco celeste^ Io Rodi e in Siracusa non è mai tanto nugolo, che da qualche ora non si vegga il sole. E queste cose più comodamente si diranno a* «noi luoghi. E questo basti aver detto dell'aria. D
ella b atce a della tb b b a.
LX1II. 63. Segoe ora la terra, alla qoale ano parte della natura delle cose, per li suoi grandiasimi meriti, abbiamo dato nome di madre. E cesi
»69
HISTORIARUM MONDI L1B. II.
anni in· t ul coelam Dei : qaae no· nascente· excipit, nato· alit, •emelque editos sustinet semper : novìssime complexa gremio jim a reliqua natura abdicatos, tam maxiine ut mater, ope riens : nollo magie sacra merito, qaam qoo nos quoque sacros facit, etiam monumenta ac titulos gerens, nomenque prorogans nostrum, et memo riam extendens contra brevitatem aevi. Cujus numen nllimum jam nullis precamur irati grave: tamquam nesciamus hanc esse solam, quae namqaam iriscatur homini. Aquae subeunt in imhres, rigescunt in grandines, tumescant in doctas, praecipitantor in torrentes: aer densatur nubibos, furit procellis. At haec benigna, mitis, indulgens, usnsque mortaliam semper ancilla, quae coacta generat ! quae sponte fundit ! quos odores saporesque ! quos succos ! quos tactus ! quos colores ! quam bona fide creditum fenus reddit ! quae no stri causa alit
Pestifera enim animantia, vitali spiritu habente culpam, necesse est illi seminata excipere, et genita sustinere. Sed in malis generantium noxa est. Illa serpentem homine percusso non amplias recipit, poenasqae etiam ioertium nomine exigit: ilia medicas fundit herbas, et semper homini pariant. Qain et venena nostri misertam insti tuisse credi potest: ne in taedio vitae fames, mors terrae meritis alienissima, lenta nos conia laerei tabe : ne lacerum corpas abrupta disper gerent : ne laquei torqueret poena praepostera, incluso spiritu, cui quaereretur exitus: ue in profundo quaesita morte, sepultura pabulo fieret: ne ferri cruciatas scinderet corpus.
Ita est, miserta genuit id, cujus facillimo haustu, illibato corpore, el cum tolo sanguine exstingueremur, nullo labore sitientibus similes : qualiter defunctos, non volucris, non fera attin gerei, lerraeque servaretur, qui sibi ipsi perisset. Veram Caleamur, terra nobis malorum remedium genuit, nos illud vitae fecimus venenum. Non euim et ferro, quo carere non possumus, simili mo do ulimur? Nec tamen quereremur merito, etiamsi auleficii causa tulissel : adversus unam quippe ualurae pariem ingrati sumus. Quas non ad deli·
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questa è degli uomini, come il cielo di Dio : ella nascendo noi d riceve, nati d alleva ; e poi che una volta siam nati, sempre d sostiene : final mente d riceve nel suo grembo, quando gii siamo scacciati dalla natara, e pare allora d aspetta come madre ; con nessun maggior sacra mento che quello, per lo qual fa noi ancora sacri, e ritiene i ricordi e i titoli di noi, e pro lunga il nome nostro, ampliando la memoria contra la brevità del tempo. La coi ultima divi nità noi. non preghiamo mai adirati che faccia male a veruno, quasi che non sappiamo, che questa «ola è quella, che mai non s'adira con l'uomo. Le acque s'innalzano in piogge, si rasso dano in gragnuole, si gonfiano con Tonde, rovi nano in fiumi di rapina : l'aria si condensa in nugoli, e infuria per le tempeste. Ma questa beoigna, mansueta, amorevole e sempre serva al bisogno delle persone, che cosa fa ella costret ta e coltivata ! quante ne produce ella da si stessa J quanti odori e sapori ! quanti saghi ! quante cose che dilettano il tatto ! quanti colori! con quanta buona fede, e con che usura ci rende il seme,che le abbiamo fidato ! e in somma quante cose nodrisce ella per nostra cagione 1 Che ci sieno degli animali pestiferi e vele nosi, la colpa non è di lei, ma dello spirilo vi tale ; perch'ella è sforzata pigliare il seme ddle cose, e generale sostenerle. Ma ne' mali, la colpa è di chi ingenera. Ella non riceve più il serpente, poiché ba percosso l'uomo, e fa la vendetta anche de'pigri, che non sanno vendicarsi da loro: ella fa l'erbe medicinali, e sempre partorisce alcuna cosa a beneficio dell'uomo. Ami si può credere ancora, che per aver compassione di noi ella abbia fallo i veleni, acciocché nel tedio della vita, la fame della crudel morte, troppo contraria a'meriti della terra, non ci consumasse con un Iango penare; acciocché i precipiti! non disper gessero il corpo sbranato ; acciocchi il capestro non chiudesse la via dell'uscire allo spirito; ac ciocché ricercando la morte io qualche profon dità, non si facesse la sepoltura di chi lo pasce; acciocché il lormenlo del ferro non dndschiasse il corpo. E così è senza dubbio, che per compassione di noi ella ha generato cosa, la quale agevolissimamenle beendosi, e con tutto il sangue noi venissimo a mancare, senza fatica veruna, a guisa di coloro, che hanno seie : acciocché es sendo l'uomo morto di questa maniera, nè uccel· lo, nè fera lo toccasse ; ma si serbasse alla terra, la quale a sè medesima l'area partorito. E per confessare il vero, la terra ci ha generalo il ri medio de'mali, e noi l’ abbiamo fatto veleno dell* vita. Perciocché noi anche nel medoiino
c. p u n ii secundi
*7*
viat, quasque non ad oonltundia* servit homini ! In muria jaatar, «at, nt freta admittamus, ero· di lar aqaia : ferro, lig no, igne, lapide, froge, omnibus eradatur horia, maltoqae pia· at deli ciis, qaam nt alimentis famuklnr nostri·. Nisi tamen, qaae summa patiatur, atque extrema cate, tolerabilia rideantur. Penetramus in viscera, auri argentique venas, et aeris àc plumbi metalla fodktotes : gemma· etiam et quosdam parvaloi quaerimus lapide», scrobibus in profundum actis. Vijcera ejus extrahimus, ut digito gestetur gem ma, quam petimus. Quot manas alterantur, ot nnus niteat articulus ! Si ulli essent infert, jam profecto illos avaritiae atque laxartae cuniculi -refodissent. Et miramur ti eadem ad noxam ge nuit aliqua ! Ferae enim, credo, custodiunt illam, arceat que sacrilegas manus. Non inter serpentes fodimus, et venas auri tractamos cum veneni -radicibus t Placatiore tamen dea ob hoc, quod omnes hi opulentiae exitus ad scelera, caedesqae, et bella tendant : quamque sanguine nostro irri gamus, insepultis ossibus tegimus. Quibas tamen, vehit exprobrato furore, tandem ipsa se obducit et seelera quoque morlaKum occultat.
Inter crimioa ingrati animi et hoc duxerim, quod naluram ejus ignoramus.
De
*
oxma . e j u s .
LXIV. 64· Bit aulem figura prima, de qua consensus judicat. Orbem certe dicimu* terraé, globo mqu« verticibus includi falemur. Neque enim absoluti orbis esi forma, in tanta monlinm excelsitate, tanta camporum planitie : sed cujus amplexus, si capita linearum comprehendantur ambitu, figuram absoluti orbis efficiat : id quod ipsa rerum naturae cogit ratio, non eisdem causis, quas attulimus in coelo. Namque in illo cava in se convexitas vergit, et cardini suo, hoc est, terrae, nndique incumbit. Haec, ut solida atque conferta •dsnrgit, intumescenti similis, extraque proten ditur. Mundas in centram vergit: at terra exii 'a centro, immensnm ejus globum in formam orbis assidua circa eam mundi volubilitate cogente.
*7» i modo usiamo il fèrro, senza il qaale non possiai d o fare. Nè però anche a ragione ci dorremmo,
fo b ka d e lla τβ β χ α .
LXIV. 64. La figura della terra è sferica e tonda, secondo l'opinione universale delle perso ne ; perchè diciamo il circuito della terra, e con fessiamo il globo suo esser rinchiuso da* monti. Ne però la sua forma è di perfetta rotondità, in tanta altezza di monti, e tanta pianura di cao»· pagne: ma l'abbracciamento d'essa, se i capi delle linee saranno compresi da giro, viene a far la figura d'un tondo perfetto : il che ci mostra la ragione della natura delle cose, non però per le medesime cagioni, che abbiamo dette nel cielo. Perchè in esso la cava convessità rivolta in'sè, e al cardine suo, cioè alla terra, per tutto soprasta. Questa dunque siccome soda e raccolta s 'innalza, come fa chi gonfia, e si prolunga in fuori. Il cielo si volge al centro; ma la terra esce dal centro,
HISTORIARUM MUNDI L1B. II.
«74
costrignendo in forma sferica i tonda Io im menso globo di essa P assidua volubilità del mondo intorno a quella. A h *1HT ABTIFODE 5 .
LXV. 65. Ingens hic pugna literarum, contraque volgi: circumfundi teme undiqae homi nes, conversisque inter se pedibas stare, el cuncti· similem esse coeli verticem, «c simili modo ex quacumque parte mediam calcari : illo qoaereo te, car non decidant contra siti : tamquam non ratio praesto sit, at nos non decidere mirentur illi. Intervenit sententia, quamvis indocili probabilis turbae, inaequali globo, ut si sit figura pineae a acis, nibilomiou» terram undique incoli. Sed qai hoc refert alio miraculo exoriente ? pendere ipsam, ac non cadere nobiscum, ceu spiritus vis mundo praesertim inclusi, dubia sit: aut possit cadere, natura repugnante, et quo cadat, negante. Nam, dcot ignium sedes non est nisi in ignibus, •quarum nisi in aquis, spiritus nisi in spiritu : ita terrae, arcentibus cunctis, nisi in se, locus non est. Globum tamen effici mirum est, in tanta planitie maris, campornmque. Cui sententiae adest Dicaearchus, vir in primi· eruditus, regum cara permensa· montes, ex quibus allissimum prodidit Pelion, > c a passuum, ratione perpen diculi , nullam esse eam portionem universae rotunditatis colligens. Mihi incerta haec videtur conjectatio, haud ignaro quosdam Alpium vertices, longo tractu, nec breviore quinquaginta millibus passuum adsurgere. Sed vulgo maxima haec pugna est, si coactam in verticem aquarum qaoque fignram credere cogatur. Atqui non aliud ia rerum natura aspectu manifestius. Namque et dependentes ubique guttae parvis globantor orbibas: et polveri illatae, frondiumque lanugini impositae, absoluta rotonditele cernuntur : et in poculis repletis media maxime tument: quae propter subtilitatem humoris, mollitiamque in ae residentem, ratione facilius, quam visu, de prehenduntur. ldqne etiam magis mirum, m poculi· repletis, addito humore minimo circum fluere quod supersit : contra evenire ponderibus additis ad vicenos saepe denarios : scilicet quia intus recepta liquorem in verticem attollant, ac «a· i l io eminente infusa dilabantur. Eadem est caesa, propter quam e navibus terra non cernatar, e navium malis conspicoa : ao procul rece dente navigio, si quid, quod fulgeat, religetur ia mali cacumine, paullatim descendere videatur, et postremo occultetur. Denique Oceanus, quem litemur ultimum, quanam alia figura cohaereret, atque non decideret, nullo ultra margine inclu dente? Ipsum id ad miraculum redit, quonara
Sa v i
s u b o a n t ip o d i .
LXV. 65. Nasce qui un gran disparere fra gli nomini letterati e gP idioti, se la terra è abitata per tutto, e se gli uomini stanno con le piante de'piedi rivolte Pun contra l'altro, e se tutti hanno la medesima sommità del cielo, e la terra per simil modo da ogni parte è calcata nel mezso; cercando sapere il vulgo perchè non caggiauo quegli, che ci sono opposti ; come subito non ci sia la ragione in pronto, ch'essi non si maraviglino ancora, come noi non caschiamo, Intravienci una ragiou probabile, benché a turba ignorante, per lo globo ineguale, sebbene sia di figura di pina, nondimeno la terra essere per tutto abitala. Ma che importa questo, nascendo un'altra maraviglia? che la terra penda e non caschi con esso noi, come la forza d^llo spirito massimamente rinchiuso nel mondo, sia dubbio sa ; o possa cadere, repugnando la natura, e non lasciando luogo, dove possa cadere. Perciocché siccome la sedia de' fuochi non é se non ne1fuo chi, dell'acque se non nelPacque, e delParia se non nell'aria ; così la terra, spingendola tutti gli altri elementi, non ha luogo se non in sè stes sa. Ma però è da maravigliarsi com'ella si faccia tonda, in tanta pianura di mare e di campagne. E di questo parere è Dicearco, uomo molto scieniiato, il qoale per ordine d'alcuni principi misurò i monti ; fra i quali disse che Pelio è altissimo, mille dugento cinquanta passi, con la ragione del perpendicolo; e nondimeno con chiuse questa non essere alcuna proporzione di tutta la rotondità. Questa congettura a me pare che sia incerta, sapendo io, come alcuni gioghi delPAIpi s 'innalzano per lungo tratto, e non meno che cinquanta mila passi. Grandissima disputa è ancora fra le persone, se Pacqua pari mente è di figura sferica. Ma non è cosa al mon do, che sia pià chiara a vedersi di questa. Per chè dovunque pendono le gocciole, per tutto si riducono in picciole rotondità; e cadute nella polvere, e poste sopra la lanugine delle foglie, si veggono essere perfettamente rotonde : e nei bicchieri pieni, i mezzi son piò rilevati : i qual» per rispetto della sottigliezza dell'umore e mol lezza, eh' è in essi, più facilmente s 'intendono per ragione, che per vista. E questo ancora è maggior maraviglia, che ne'bicchieri pieni, se vi s'aggiunge un poco d'acqua, subito si versa quello che vi si mise : ma mettendovi qualche peso avviene il contrario spesse volte insino a
C. PLINII SECUNDI
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modo, etiamsi globetur, extremam* non decidat mare. Contra qnod, at sint plana maria, et qua ▼identar figura, non posse id accidere, magno sao gaudio, magnaqne gloria inventores Graeci subtilitate geometrica doceat. Namque qaam e sublimi in inferiora aquae ferantur, et sit haec natura earum confessa ; nec quisquam dubitet in litore ullo accessisse eas, quo longissime de vexitas passa sit : procul dubio apparere, quo quid humilius sit, propius centro esse terrae; omnesque lineas, qaae eraittaatur ex eo ad proximas aquas, breviores fieri, quam quae ad extremam mare a primis aqnis. Ergo lotas omniqae ex parte aquas vergere in centrum; ideoque non decidere, quoniam in interiora nilanlur.
Q com odo a q o a t e i& a b ihhbxa. D b h a v ig a tio h b ■ABIS BT FLVV1HCV.
L X V 1. Quod ita formasse artifex natura credi debet, ut quum terra arida et sicca constare per se ac sine humore non posset, nec rursus stare aqua, nisi sustinente terra, mutuo implexu jun gerentur : hac sinus pendente, illa T e r o per meante totam, intra, extra, supra, venis, ut vin culis , discurrentibus, alque eliam in summis jugis erompente, quo spiritu acta et terrae pondere expressa, siphonum modo emicat : lantumque a periculo decidendi abest, nt in summa quaeque et altissima exsiliat. Qua ratione mani festum est, quare tot fluminum quotidiano ac cessu maria non crescant.
66. Est igitur in tolo sno globo tellus medio ambitu praecincta circumfluo mari. Nec argu mentis hoc investigandum, sed jam experimentis cogoilom.
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venti denari. E avvien d ò , perchè quel che vi si mette dentro fa rigonfiar Tacqna in alleila, e così infusi scorrono per quel mucchio emi nente. Per questa medesima cagione, coloro che sono nelle navi, non posson vedere la terra, che dagli alberi delle navi si vede benissimo. E te alcuna cosa, che riluca, fia legata in cima dell’al bero, quando si parte il naviglio, a poco a poco pare che s'abbassi, e finalmente s'asconde. E in somma 1* Oceano, il quale è l'ultimo, che dopo sè non ha chi lo tenga, e che cinga la terra, con quale altra figura se gli accosterebbe, e non cederebbe, non lo richiudendo più olire alcoo margine? Questo medesimo ancora ha in sè ma raviglia, in che modo, benché si riduca in tondo lo estremo più alto, si sostenga*che non ricaggia in mare. Contra il qual dubbio, cioè che i mari sien piani, e di quella figura ch'essi paiono, eoa grande allegrezza e gloria loro gli autori Greci mostrano per ragion geometrica. Perchè essendo portale Tacque da allo io basso, siccome ri ri chiede alla lor natura ; e niuno ne dubita in alcoo lito quelle essere ite tanto oltre, quanto la de· vessità ha patito; senza dubbio si T e d e , d e quanto una cosa è più bassa, è più presso al centro della terra ; e tulle le linee, che Tengono da esso centro alle prossime acque, dWengono più corte, che quelle che dalle prime acque al l'estremo mare. Tutte l ' acque dunque e da ogoi parte si volgono al centro ; e perciò non cascano, perchè elle vanno alle parli di dentro. CoMB L'ACQCA à COHGIOKTA ALLA TBBBA.. D ella
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LXVI. 11 che si debbe credere, che cosà fo r maste l'artefice natura ; acciocché la terra, non potendo stare per sè senza umore, per essere arida e secca, e l'acqua ancora, se la terra non la sostiene, con iscambievole abbracciamento si venissero a congiugnere insieme ; sicché la terra aprisse i suoi seni, e l'acqua scorresse per la terra di dentro e di fuori e di sopra, con vene, come legami, discorrenti. E spunta fuori ancora n eg li alti gioghi, dove spinta dal vento, e premuta dal peso della terra, salta fuori, ad aso di zam p illi ; ed è tanto lontana dal pericolo di cadere, che sale in dma a tutte le altissime parti. E per q a esto si viene a conoscere la ragione, perchè il m a r non cresca, entrandovi di continuo dentro tali fiumi. 66. La terra dunque in tutto il suo to n d o 4 tutta nel mezzo del arenilo anta dal m are, c h e la circonda. E ciò non s’ ha investigare con a r g o menti, essendo già conosciuto per esperienza.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. II.
i · CIRCUMDATOS ΤΕΒΒΑΕ OcBtSIJS.
LXVU. 67. A Gadibus,columnisque Herculis, Hispaniae el Galliarnm circuilu, totus hodie na vigator occidens. SeptemIrionalis iero Oceanus, maj ore ex parie navigatus est, auspiciis divi Augusti, Germaniam classe circumvecta ad Cim brorum promontorium : et inde immenso mari prospecto, aut fama coguito, ad Scythicam pia* gam, e l humore nimio rigentia. Propter quod minime verisimile est illic maria deficere, ubi humoris via superet. Juxta vero ab ortu ex Indico mari, sub eodem sidere pars tota vergens iu Caspium mare, pernavigata est Macedonum armis, Seleuco atque Antiocho regnantibus, qui et Seleuada atque Antiochida ab ipsis appellari voluere. Circa Caspium quoque multa Oceani litora explorata, parvoque brevius, quam totus, hinc a a t illinc septemtrio eremigatus. Ut tamen conjecturae locum sic quoque non relinquat, ingens argnmentum paludis Maeoticae, sive ea illins Oceani sinus est, ut multos adverto credi disse, sive angusto discreti situ restagnatio. Alio Utere Gadium, ab eodem occidente, magna pars meridiani sinus ambita Mauritaniae navigatur hodie. Majorem quidem ejus partem, et orientis, victoriae Magni Alexandri lustravere, usque in Arabicum sinam. In quo res gerente C. Caesare Aogusti filio, signa naviam ex Hispaniensibus naufragiis feruntur agnita. E t Hanno, Cartha gin is potentia fiorente, circumvectus a Gadibus ad finem Arabiae, navigationem eam prodidit scripto : sicut ad extera Europae noscenda mis sas eodem tempore Himilco. Praeterea Nepos Cornelius auctor est, Eudoxum quemdam sua aetate, quam Latharum regem fogeret, Arabico sina egressum, Gades usque pervectum : multoque ante eum Caelius Antipater, vidisse se, qui navigauet ex Hispania in Aethiopiam commercii gralia. Idem Nepos de septemtrionali circuitu tradit, Quinto Metello Celeri, L. Afranii in con· solatu collegae, sed tum Galliae proconsuli, Indos a rege Suevorum dono datos, qui, ex India commercii causa navigantes, tempestatibus essent in Germaniam abrepti. Sic maria circum fusa undique dividuo globo partem orbis auferunt nobis : nee inde hoc, nec hinc illo pervio tracto. Qaae eontemplatio apta detegendae mortalium vanitati, poscere videtar, a l totam hoc, quidquid est, in q u o singulis nihil satis est, ceu subjectum oculis, quantam sil ostendam.
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l ’ O c e a s o a bb r a c c i la t e b b a .
LXVH .67. Da Gadi e dalle coloane d’ Erco le, per lo a rcuilo della Spagna e della Francia oggidì si naviga tutto il ponente. Ma il mar di tramontana per la maggior parte s’ è navigato per opera dello imperadore Augusto, avendo la sua armala girata Lamagna sino al promon torio de1Cimbri, e quindi scoperto un grandis simo mare, o conosciuto per fama, sino al paese della Scizia, ed i mari agghiacdati per troppo umore. E per questo non è punto verisimile, che i mari quivi manchino, dove supera l'abbon danza dell* umore. E appresso, da levante per lo mar d'India, sotto la medesima tramontana, tutta la parte, cb'è volta al mar Caspio, è stata navigata con l'arm i de'Macedoni, regnando Se leuco € Antioco, i quali fecero due città chia mate da'nomi loro l’una Seleacia e l'altra Antio chia. Intorno ancora al mar Caspio sono stati co nosciuti di molti liti, di maniera che poco manca che di qua e di là tutto settentrione non sia stato navigato. Nondimeno, acciocché non rimanga luogo alla congettura, grande argomento n 'è la palude Meotide, o ch'ella sia un golfo di quel m are, o por che quivi sia un ristagnamento, con piccol sito di separazione, siccome io veggo essere stato creduto da m olti. Dall' altro lato di Gadi, dal medesimo ponente, gran parte del golfo meridiano col circuito della Barberia oggi si naviga. E certo che le vittorie d'Alessandro Magno hanno scoperto la maggior parte d'essa e di levante, fino al golfo d'Arabia. Nel qual golfo al tempo di Caio Cesare, figliuol d'Augusto, dicooo che farono conosciute l ' insegue de’ navili d a 'naufragii di Spagua. Ed Annone,·essendo al lora in fiore la grandezza di Cartagine, avendo navigato da Gadi sino al fine dell'Arabia, mise quel viaggio in iscritto : come fece anco Imilcone, essendo stato mandato nel medesimo tempo a sco prire i mari di fuori dell' Europa. Scrive ancora Cornelio Nipote,che un certo Eudosso al suo tem po, fuggendo dal re Laturo,uscito del golfo d'A ra· bia, giunse fino a Gadi. E Celio Antipatro, mollo innanzi a lui, dice d’aver veduto persona, .che di Spagna navigò in Etiopia per far mercanzia. 11 medesimo Cornelio Nipote scrive, trattando del circuito settentrionale, come a Q. Metello Celere, consolo insieme con Lucio Afranio, ma allora proconsolo della Francia, furono mandati a donare dal re di Svevia certi Indiani, i quali navigando d 'India per mercatantare, erano stati trasportati dalle fortune del mare fino in Lama gna. E cosi il mare sparso per tatto intorno alla terra ci leva una parte d'essa, perchè nè di
C. PLINII SECUNDI là qua, nè di qua là si può ire. La qual contem plazione, atta a scoprire la vanità delle perso·· del mondo, pare che ricerchi eh’ io scriva, · ponga quasi innanzi agli occhi tatto questo eh'è abitato, qualunque sia, e di che grandexaa sia, nella quale aiooo è contento di quel che pes* siede. Q ui
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b a b it e t c s .
LXVIII. 68. Jvn primum ia dimidio compu tari videtor, tamquam nulla portio ipsi decidatur Oceano : qoi toto circumdatu· medio, et omne* ceteras fandens recipiensque aquas, et quidquid exit in nubes, ac sidera ipsa tot et tantae magni tudinis pascens, quo tandem amplitudinis spatio credetar habitare? Improba et infinita debet esse tam vastae molis possessio. Adde quod ex relicto plus abstulit coelum. Nam quum sint ejus qninque partes, quas vocant zonas, infesto rigore et aeterno gelu premitur omne, quidquid est subjectnm duabus extremis, utrimque circa ver tices : hunc qui septemtrio vocator, eumque qui adversus ilii, austrinus appellatur. Perpetua ca ligo utrobique, et alieno molliorum siderum adspectu, maligna, ac pruina tantum albicans lux. Media vero terrarum, qua soli· orbita est, exosta flammis et cremata, cominus vapore tor refar. Circa dnae tantum, inter exustam et rigentes, temperantur :*aeque ipsae ioter se non perviae, propter incendium siderum. Ita terrae tres partes abstulit coelum : Oceani rapina in incerto est.
Sed et relicta nobis una portio, haud scio an etiam in majore damno sit. Idem siquidem Oceann· infusus in mullos (ut dicemus) sinus, adeo vicino accessu interna maria adlatrat, ut centum quindecim millibus passuum Arabicos sinus distet ab Aegyptio mari : Caspius vero c c c l x x v millibus a Pontico. Idem interfusos in trat per tot maria, quibus Africam, Europam, Asiamque dispescit;quantum terrarum occupai! Computetur etiam nunc mensura tot fluminum, tantarum paludum : addantur et lacus, et stagna. Jam elata in coelum, et ardua adspectu quoque juga : jam silvae, vallesque praeruptae, et soli tudines, et mille causis deserta detrahantur. Hae tot portiones terrae, immo vero, ut plures tra didere, mundi punctus (neqne enim est alivd terra in universo), haec est materia gloriae no strae, haec sedes ; hic honores gerimps, hie exer cemus imperia, bic opes cupimus, hie tumaMua-
Q o A L PASTE PBLLA TBBBA à ABITATA.
LXV1I1. 68. E prima it> voglio discorrere di quella parte, che rimane al mare, il quale avendo circondata tutta la terra, e spandendo, e riceven do in sè tutte Paltre acque, e ciò ch'esce nelle nuga le, e tante stelle a di tanta grandetta paeoende, quanto spazio sia quello, che si crederà abitare? Certo che insatiabile e infinita debbe eeaere la possessione di tanta macchina. Aggio gni, che da quello che lascia, la maggior parte ne porta via il cielo. Perciò che essendo diviso il mondo hi cinque parti, le qoali ·ί chiamano zone, tatto quello della terra, eh* è sotto le due estreme zone, è travaglialo da grandissimo freddo e per petuo ghiaccio, di qua e di là intorno a1 poli ; cioè intorno a questo, che si chiama Settentrione, e quello che gli è ali’ incontro, detto Austrino. E cosi nell* uno e nel!1 altre luogo è una perpetua calìgine, e per Io alieno aspetto delle pià modi stelle, una maligna luce, e bianca eolamente per la brinata. Ma la parte di metto della terra, dove è il carro del sole, è arsa e abbronaata daHe fiamme e dal vapore, che ha di o· alieno appres so. Due dunque, fra la torrida a le dee gelate, sono le temperate, ma non si pnò ire dall* noe all1 altra, per Io incendio del sole. E così il c id e n’ ha tolte le tre parti della terra t e la rapina che a’ ha fatta 1*Ooeano, è incerta. Ma quella parte ancora, che n' è rÌBsaaa, bob so se riceva maggior danno, perchè il modoróso Oceano, in molti golfi, come noi dicemmo, en trando fra terra, $’ avvicina talmente a* mari mediterranei, che il golfo di Arabia non è lontano dal mare Egizio piè che canto quindici miglia ; e il Caspio trecento eeltantadnqoe màglia dal Pontico. Il medesimo Ooeano entra per tatti i mari, pei quali esso divide l’Africa,l’ E uropa e Γ Asia : quanta terra egli occupa ! Contisi « a e o n la misura di tanti fiami, e di tante paludi : ag giungaci i laghi, gU stagni, elevati al ciclo, « i gioghi aspri a guardare. Cavinsi pei da goasts porzione le selve, e le valli dirupate, e i la o g U deserti per mille cagioni. Qoeste sono le ta n ta parti della terra, anti piuttosto, come m o lti hanno detto, un punto del mondo ( pereioocfcè altro non è la terra in universo), questa i le m a teria della gloria nostra, questa è la sedia : q u i
HISTORIARUM. MUNDI LIB. II. n o r humanam genus, hic insta aramus bella etiam civilia, xnuluisque caedibus laxiorem facim as terram. E t a t poblicos gentium furores transeam, haec ia qua conterminos pellimas, fartoqae vicini cespitem nostro solo adfodimai, a t qai latissime rara metatas faerit, altraqae fines exegerit accolas, quota terraram parie gau deat? vel quam ad mensuram avaritiae aaae p rop agaverit, qaam tandem portionem ejas defanctas obtineat T
M e d ia m
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L X 1X . 69. Mediam esse mandi totias h«ud dubiis constat argtupentis : sed clarissime aequi noctii paribus horis. Nam nisi in medio esset, aeqpalea dies noctesqae haberi non posse de prehenderunt et dioptrae, quae vel maxime id confirm ent: quam aequinoctiali tempore ex eadem linea ortos occasusqae cernatur, et solsti tialis exortos per suam lineam , brnmalisque occasos. Q oae accidere nollo modo possent, nisi in centro sita esset.
D b o b l i q c i t a t b zo ra b cm .
L X X . 70. Tres autem circuli supra dictis Mnis im plexi, inaequalitates temporum distin guant : solstitialis a parte signiferi excelsissima nobis, ad septemtrionalem plagam versos: contraqoe ad aliam polam brumalis : item medio ambita signiferi orbis iocedens aequinoctialis.
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1BABQUALITATB CUMATUM.
L X X I. Reliquorum, qnae miramur, causa in ipsios terrae figura est, qaam globo similem, et eom ea aqoas, iisdem intelligilur argumentis. Sic enim fit haod dubie, ut nobis septemtrionalis plagae sidera nnmqoam occidant : contra meri dianae nnmquam oriantur: rursusque haec illis • e n cernantur, attollenle se contra medios visus terrarum globo. Septemtriones non cernit Trogbd ylice, et confinis Aegyptus: nec Canopum Italia, et qoem vocant Berenices crinem : item quem sub divo Augusto cognominavere Caesaris Throoon, insignes ibi stellas. Adeoqne manifesto adsurgens fastifiom curvatur, ot Canopus quar-
cerchiamo gli onori, qai esercitiamo gl' imperii, qai desideriamo le ricchezze, qui romoreggia la generazione umana, qai facciamo ancora le guer re civili, e amazzaudoci Tua 1' altro allarghiamo la terra. E acciocché io passi i pubblici furori delle genti, questa è quella, onde noi cacciamo coloro», che ci sono a' confini, e rubaodo a' vicini qual che pianta la piantiamo nel nostro campo. O r quando pure alcuno s’avrà acquistato larghissimi campi, e avrà cacciati gli antichi abitatori de’ loro confini, quanta parte di terra goderà egli? e quando anco si sarà disteso, quanto è la misura della saa avarizia, quando sarà morto, che parte di quella finalmente possederà egli ?
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i l m bzz o d e l m o r d o .
LX1X. 69. Che la terra sia il mezzo di tatto il mondo, per chiari argomenti è manifesto; ma chiarissimamente per l’ ore pari dello equioozio. Perciocché s'ella non fosse in mezzo, non potrebbono esser pari i giorni e le notti, come dimo strano gli squadranti, i quali massimamente confermano questo: perchè nel tempo dell*equi nozio da una medesima linea si vede 1’ oriente, e l’ occidente, e Ponente solstiziale per la sua liuea, e l'occidente brumale. Le quali cose per alcon modo non potrebbono accadere, se la terra non fosse posta nel centro. D ell'
o b b l iq c it À d b l l b z o r b .
LXX . 70. Tre circoli implicatinelle zone dette di sopra distinguono la inequalilà dei tempi: l’ uno è il solstiziale della parte del zodiaco altissima a noi verso tramontana: il secondo è il brumale, posto all1 incontro di questo : il terzo è l’ equinoziale, il qual passa per mezzo del circuito del zodiaco. D
e l l a ib e q o a l it à d b ' c l i m i .
LX X I. La cagione poi dell'altre cose, delle quali ci maravigliamo, è nella figura di essa terra, la quale che sia tonda, si come ancora l ' acqua, si conosce per li medesimi argomenti. E cosi avviene senza dubbio, che le stelle della region settentrionale mai non ci tramontano ; e per contrario, le meridionali mai non ci nascono : e di piò, queste non son vedute da loro, perciò*· chè il globo della terra viene a innalzarsi, e interporsi alla vista loro. La Trogloditica, e l ' Egitto, che le è a' confini, non vede la tramon tana : e l ' Italia non vede Canopo, e quella stella, che si chiama la chioma di Berenice, nè quella
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Um fere pariem ligni unias sapra terram emi nere Alexandriae in tuentibus videatur: eadem a Rhodo terram quodammodo ipsam stringere : in Ponto omnino non cernatur, ubi maxime su blimis septemtrio. Idem a Rhodo absconditur, magisque Alexandriae. In Arabia Novembri mense, prima vigilia occultos, secunda se osten dit : in Merog solstitio vesperi paullisper apparet, paacisqae ante exortam Arcturi diebus pariter cum die cernitur. Navigantium haec maxime cursus deprehendant, in alia adverso, in alia prono m ari, subitoque conspicuis, atque ut e freto emergentibus, quae in anfractu pilae la tuere, sideribus. Neque enim (ut dixere aliqui ) mundus hoc polo excelsiore se attollit; aut undique cernerentur haec sidera: verum haec eadem quibusque proximis sublimiora credun* tur, eadem que demersa longinquis ; utque nunc sublimis in dejectu positis videtur hic vertex, sic illam terrae devexitatem transgressis, illa se at tollunt, residentibus quae hic excelsa fuerant: quod, nisi in figura pilae, accidere non posset.
Ubi
b c l ip sb s ro r a p p a b b a r t , b t q u a bb.
LXX II. Ideoque defectus solis ac lunae ves pertino· Orientis incolae non sentiunt: nec mata tinos ad Occasum habitantes: meridianos vero saepius. Nobili apud Arabiam magni Ale xandri victoria, luna defecisse noctis secanda hora prodita est : eademque in Sicilia exoriens. Solis defectum, Vipsanio et Fontejo coss. qui faere ante paacos annos, factam pridie kalendas Majas, Campania, hora diei inter-septimam et octavam, sensit : Corbulo dux in Armenia inter horam diei decimam et andecimam prodidit Tisum, circuitu globi alia et aliis detegente et occultante. Qaod si plana esset terra, simul omnia apparerent cunctis, noctesque non fierent inaequales: nam aeque aliis, quam in medio sitis, paria duodecim horarum intervalla cerne rentur, qnae nunc non in omni parte simili modo congruunt.
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ancora, che sollo Γ imperadore Angusto fu chia mata il trono di Cesare, stelle qaivi notabili. E alzandosi eoa tanto manifesta altezza T ie n e » piegarsi la stella di Canopo, che a chi la guarda in Alessandria pare ch'ella avanzi quasi la quarta parte d1 un segno sopra la terra : a chi è in Rodi pare che in un certo modo ella tocchi la terra : e in Ponto ella non si vede pure un poco, laddove è altissima la tramontana. La medesima stella s’ asconde da Rodi, e mollo piò in Alessandria. Nell'Arabia, del mese di Novem bre, nella prima vigilia della notte sta ascosa, nella seconda si mostra : in Meroe nel solstizio sulla sera si vede un poco, e pochi giorni innanxi al nascimento d’ Arturo si vede insieme col gior no. 1 naviganti hanuo cognizione di queste cose, perchè nel mare ora elevalo, ora depresso in un subito appariscono, e come s'elle uscissero del mare, quelle stelle, che s'ascondevano dietro al globo della terra. Perciocché non, come dissero alcuni, questo mondo s'innalza piè al nostro polo, in modo, che per tutto non appaiono queste stelle: ma le medesime a coloro, che son più vicini, si veggono piò alte, e a chi è più discosto, piò basse. E siccome ora questo polo par più alto a coloro, che son posti in luogo basso, cosi a quei che soo passali in qaella de vessi là deHa terra, quelle stelle s ' innalzano, e par loro, che questo polo sia basso, che qui era allo : la qual cosa non potrebbe accadere, se la terra non fosse in forma di palla. D ovb
rob paiam o o l i b c c l i s s i , b p e b c h ì .
LXXII. E perciò coloro che sono in levante non conoscono gli ecdissi del sole e della Luna in sulla sera, e quei che stanno in ponente non veggono quei della maltina; ma bene spesso quei di mezzogiorno. In quella nobil vittoria che Alessandro Magno ebbe appresso Arbela trovasi che la luna ecclissò alle due ore di notte ; e la medesima apparve in Sicilia, quando si levava l'ecdisse del sole, che fu nel consolalo di Vipsa nio e di Fonteio, i quali furono pochi anni sono, fallo a' trenta d'Aprile, fu veduto in Campagna fra le sette e otto ore di giorno : e Corbulone capitano in Armenia lo vide fra le dieci e ondici ore di dì : e ciò avviene, perchè il circuito del globo altrove copre, e altrove scopre. Ma se la terra fosse piana, tutte le cose apparirebbono insieme a tutti, e le notti non sarebbono dise guali ; nè altri che coloro che son posti in mezzo, vedrebbono gli spazii eguali dell* ore, le quali cose ora in ogni parte non convengono per simi! modo.
HISTORIARUM MUNDI L1B. II.
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Qua u n o
d ic b h a e l o c is i s t u s i s
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LXX11I. 74. Ideo nee nox diesque quaevis eadem toto orbe rimai est, opposita globi noctem, •al ambila diem afferente. Mallis hoc cognitam experimentis. In Africa Hispaniaque, turrium Hannibalis: in Asia vero propter piraticos terrores, simi/i specularum praesidio excitato: ia queis praenuntiativos ignes sexta hora diei accensos, saepe compertam est, tertia noctis a tergo allimis visos. Ejusdem Alexandri cnrsor Philonides, ex Sicyone Elin mille et daceata stadia novem diei confecit horis : indeque, qaamvis declivi itinere, tertia noctis bora remensas est saepias. Causa, qood eunti eam sole iter erat : eamdem remeaas obviam contrario praetervertebat occorsa. Qaa de caosa ad occasam navigantes, qaamvis brevis· simo die, vineuot spatia nocturnae navigationis, ut solem Ipsum comitantes.
GaOM OHCA DB RADE* IB-
LXX1V. 72. Vasaque horospica non ubique eadem soni usui, in treceotis stadiis, aat, at longissime, in quingentis, mutautibas semel umbris solis. Itaque umbilici ( quem gnomonem appellant ) umbra, in Aegypto meridiano tempo· re. aequinoctii die, panilo plus qaam dimidiam gnomonis mensuram efficit. In urbe Roma nona pars gnomonis deest umbrae. In oppido Ancona saperest quinta tricesima. In parte Italiae, quae Venetia appellatur, eisdem horis umbra gnomoni par fit
C n , KT QIJABDO BULLAE DMBBAE.
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D e l l a DISPARITÀ DEL GIOBBO V · 1 VABII LUOGHI.
LXXI1I. 71. Perciò nè la notte, nè il giorno, sia qaal si voglia, non è una medesima in tatto il mondo, per l'opposizione del globo, che addace la notte, o del circuito, il quale apporta il giorno. Qaesto s* è veduto chiaro per molti esperimenti, la Africa e in Spagna per le torri d’ Annibaie; e in Asia per paura de1corsali, si eressero delle vedette, nelle quali i fuochi, che v’ erano accesi a sei ore di giorno spessore trovato, che sono stati vedati addietro a tre ore di notte nell*alti· mo. E Filonide corriere del medesimo Alessan dro andò da Sicione in Elide, che vi sono cento venti miglia, in nove ore del dì : e nel tornare non gingnea prima che a tre ore di notte, benché la via fosse alquanto più china. La cagion di ciò era, che andando egli col sole camminava, e quando ei tornava, gli andava incontro. Però coloro, che navigano in ponente, benché il dì sia brevissimo, fanno più viaggio, che nella notte lunga, perchè accompagnano il sole. D boli
s q u a m a r t i a l l o s t e s s o p b o p o s it o .
LXX1V. 72. Gli slnunenti da conosoere P ore non sono per tutto i medesimi baoni io ogni paese, perchè in ispazio di trecento, o al più di cinque· cento stadii, l'ombre si molano. L’ombra dunque dello squadrante a mezzo dì in Egitto nel giorno deir equinozio fa Pombra più che la meli della lunghezza dello squadrante. Nella città di Roma la nona parte dello squadrante manca alP ombra. In Ancona v’ avanzano delle trenta parli le cinqae. In quella parte dell* Italia, che si chiama Venezia, nelle medesime ore Γ ombra si fa pari allo squadrante. D ovb,
b q o a bd o b o b b o m b b a .
LXXV. 73. Dicono similmente, che nella città LXXV. 73. Simili modo tradant in Syene oppido, quod est supra Alexandriam quinque , di Siene, la qual è seicento miglia o più sopra Alessandria, nel mezzogiorno del dì del solstizio m iilib o j stadiorum, solstitii die medio nullam umbram jaci : poteumqae ejas experimenti gratia non si vede ombra alcuna, e che un pozzo, il factum, totum illuminari. Ex quo apparere, tum quale è fatto quivi per questa prova, è tolto solem illi loco sopra verlicem esse : quod et in alluminalo. E perciò si vede che il sole allora è India sopra Bumen Hypasin fieri tempore eodem a dirittura sopra quel luogo : e ciò scrive ancora Oaesacritus scripsit. Constatque in Berenice, Onesicrito, nel medesimo tempo avvenire in India orbe Troglodytarum, et inda stadiis qaataor sopra il fiume lpasi. Trovasi parimente che in millibus ncccxx in eadem gente, Ptolemaide Berenice, città de’ Trogloditi, e più là seicento «ppido, qaod in margine Rubri maris ad primos miglia, nell1istesso paese, e nella città di Toledeplumiorum venatus conditum est, hoc idem maide, la quale è nelP estremità del mar Rosso, aate solstitium quadragenis quinis diebus, toli- dove incomincia la prima caccia degli elefanti, demque postea fieri, et per eos xc dies in meri questo medesimo avviene quarantacinque giorni d iem umbras jaci. Rursus in Meroe ( insula haec innanzi il solstizio, ed altrettanti dopo, e che per
C. PUNII SECONDI
a8?
capatque genti» Aethiopum, qainqae millibus stadiorum ■Syene in arane Nilo habitatur ) bis anno absumi umbras, sole duodevicesimam Tauri partem, et quartamdecimam Leonis obtinente. In Iftdiae genti Oretum, mons est Maleus nomi ne, juxta quem umbrae aestate in austrum, hieme in septemtrionem jaciuntur. Quindecim tantum noetibosibi apparet septemtrio. Iu eadem India Palali· celeberrimo porto, sol dexter oritur, umbrae in meridiem cadunt. Septemtrionem, ibi Alexandro morante, adnotatum prima tantum noctis parte adspici. Onesicritus dux ejus scripsit, quibus in locis Indiae umbrae non sint, septem· trionem non conspici, et ea loca appellari «sei·, nec boras dinumerari ibi.
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quei novanta dì 1' ombra si getta verso mezzodì. Di più nell' isola di Meros, la quale è capo dell’ Etiopia, ed è discosto seicento miglia da Siene osi Nilo, due volte l'amo non vi è ombra, l'ana, qnando il sole è ne'diciotto gradi del Tauro, l’ altra ne' quattordici del Leone. Nell' India è un monte ebiamato Maleo, dove l’ombre la state vanno verso mezzodì, e «I verno » tramontana. E quivi per quindici notti solo si vede le tnn oatens. Nella medesima India nel famosisaiaao porto di Patate, il sole nasce dalla parte diritta, e l’oaabre vanno a mezzogiorno. Ed essendo quivi Alessandro, fu considerato che la tramontana ai vedeva solamente la prima parte della notte. E Onesicrito capitan di lai scrisse, in quei luoghi dell' India, dove non sono l'ombre, non si vedere la tramontana, e che quei laoghi si chiamano Aseii, e che quivi non si osotau 1*ore. D ova DOS v o l t b l '
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n iu m .
VOLOKSI ALLA. PABTB OPPOSTA.
LXXVI. 74· At i · tota Troglodytice, umbras bis quadraginta quinque diebus in anno Erato stbenes in contrariam cadere prodidit.
LXXV1. 74. Scrive Eratostene che in tutto il paese chiamato Trogloditico, l'ombre due volte l ' anno in quarantacinque dì vanno al contrario.
U bi l o n u n i i d i s ·, o b i b u tis s i m i.
LXXVI1. 75. Sio fit, ut vario locis incremen to, in MeroS longissimus dies xn horas aequino ctiales, et octo paries unias horae colligat : Ale xandriae vero xiv bora· : in Italia quindecim : in Britannia xvn ubi aestate lucidae noctes, haud dubie repromittant id, quod eogit ratio credi, solstitii diebus accedente sole propius verticem arandi, augusto lucis ambitu, subjeeta terrae continuos dies habere senis mensibus, noctesque e diverso ad brumam remoto. Quod fieri in insula Thule, Pytheas Massiliensis scripsit, sex dierum navigatione in septemtrionem a Britannia distante : quidam vero et in Mona, quae distat a Camaloduno Britanniae oppido circiter docentis millibus adfirmaut.
De ramo
h o b o l o o io .
LXXVIII. 76. Umbrarum hanc rationem, et quam vocant gnomonicen, invenit Anaximenes Milesius, Anaximandri ( de quo diximus ) et Thaletis discipulas: prknutque horologium, qaod appellant sciothericon, Lacedaemone ostendit.
Dova i l Mono i
c o im is n o , t
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n ifu s s o .
LXXV1I. 75. E oosì avviene, che per lo vario accrescimento della luce, in Meroe il dì tanghi·•imo è di dodici ore equinoziali, e due terzi : in Alessandria di quattordici ore : in Italia di quin dici : in Inghilterra di diciassette, dove la state le notti chiare ci mostrano quel che la ragione sforza a credere : cioè, che i giorni del solstizio, quando il sole più s'appressa verso il polo dd mondo, per lo stretto circuito della luce, le ta r e sottoposte per sei mesi hanno di continuo giorno, e le notti per opposito di verno. E il medesimo scrisse Pittea da Marsitia avvenire nelP boia di Tuie, la quale è discosta sei giorni di naviga zione dell' Inghilterra verso tramontana : e certi altri affermano che questo ancora e in Mona, lontano da Camaloduno eittà d'Inghilterra «urea ducento miglia.
Dal ramo
o b io o l o .
LXXVI1I. 76. Anasimene Milesio, discepolo d 'Aoasimandro, del quale già pariamolo, fu quel che trovò già questa rapone dell' ombre, la quale •t chiama gnomonica} s fa il primo ancora, che asostrò in Lacedemone P orinolo dello scioterioo.
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LXXX. 78. Contexenda suat bis coaleslibas nexa camis. Namque Aelbiopas vicini sideris vapore torreri, adustisque similes gigni, barba el eapiUo fibrato, non esi dubium. Et adversa plaga mandi, atqoe glaciali, candida cate esse genica, flavis pooroiseas erinibus ; Iruees vero ex coeli rigora ha·, illas mobilitate hebetes ; ipsoque erarum argumento, illis- in supera succum revo cari, natara vaporis: his in inferas partes depelli, humore deciduo* Hie gtanes fefts* illic varias effigies animalium provenire, el maxime alitam, ia innha* figuras gigni volucres., Corporata natem proceritatem utrobiquo, illi· ignium nisa* hin bataori» alimento. Medio voro leuree salubris utrimque mixlnra, fertilis ad omnis {radua* .mo dico* corporum habitos, magna et in eoiore tem peries, ritas molies, sensus liqaidus, ingenia fecunda, totiusque naturae capaeia. Iisdem im peria, qaae numquam extimis gentibus fuerint : sicut ne illae quidem his paruerint, avulsae, ac ft o immanitate naturae urgentis illas* solitariae.
De
t e s e as
11.
C ome s ' ossb evw o 1 eto m m .
LXX1X. 73 . Ipsum φ < » alii alitor obeervareie. Babylonii inter duo# «oli» exorta* : Athe niense* inter dopa «ocuiui Unibei a meridie io merklica> valgy* omne * lue# ad tenebra* : sacerdote* Romapi, ei qui dieta diftniere cin t a i, item Aegyptii, et tfippacqhus, a media nocte in mediam . Minora autem intervalla ose loda in ter ortussolis jnxta solstitia, qaam aequinoctia, apparet : qoia positio signiferi drea niniia ani obliquior est; juxta solstitium rero rectior.
O im a u T u o u t m ·
m o r d i l ib .
uoTiBOs.
'LX X X I. 99. Babyloniorum placita, motus Icrrue, hiatnsque, ei cetera oannia, vi siderum «ùalisiaatfieri,sed illotum trium, quibus iulmina adsipanl : fieri autem, meantium eum sole, aut ronfiari>tjnp. et maxime circa quadrata mundi, PruecUt* «pandem esaa el immortalis in eo, si
LXX1X. 77. II giorno è stato distinto da molti, da ehi in un modo, e da ehi ia an altro. 1 Babilouii lo fanno da un levante all* altro : gli Ate niesi dall* uno occaso all* altro : gli Umbri da menogierno in mezxogiorno ; e tutto il volgo lo fa daHa mattina alla sera : i sacerdoti Romani, e quei che diffinirono il giorno civile, e gli Egitti ancora e Ipparco, dalla metzanotte ftao elT «rttra mescanone. E si vede ohe minori sono gl* inter valli della luce fra H nascimento del sole appres to i solstisii, che gli equinosii, perchè la positura del sodiaeo circa il suo meteo è più obbliqna, ma appresso il solstizio più retta. DirraaEEXB d i
g e s t i secon do 1 clim i.
LXXX. 76. Ora s* hanno d* aggiagnere a qual ehe s* è detto, le cose ebe dipepdooo dalle canee celesti. Perciocché ei non è dubbio, che feti Btiopi per lo vapore del sole, eh* è lor vicino, sono riarsi, e nascono simili agli abronzati, con la barba e i capei riccioli. E quegli che tono a tra· montana* hanno la pelle bianca, co* capei biondi, e luoghi ; ma di terribile aspetto per lo rigor del cielo. E queste e quelle genti sono assai poco stabili. E con esao argomento de’ ctpegli, si vede, che gli Etiopi hanno il sago ritirato insù, per rispetto della natura del caldo ; devi questi altri lo maadan già naUe parli inferiori, per «ugiou dall* umor, che rioade. Qui nascono terribili fiere!» e quivi varie specie d* animali, e massimamente d* uccelli, e in diverse fonde. Nondimeno nel* 1* uno e altro luogo nascono corpi grandi, quivi per la forua de* fuochi, e qui per lo alimeolo del· l ' umore. Ma il paese posto in questo messo è sano, e fertile a tutte le cose, per la mistura di qua e di là ; e i coppi sono di mediocre statore. Sono anco di eeior molto temperato, I notturni loro sono molto umani, i sentimenti pori, gl* in» gegni fecondi, e capaci d'tateoidére tutta 4« na lura. I medesimi hanno gl* imperii* i
C. PLINII SECUNDI credimus, divinitas perhibetur Anaximandro Milesio physico, quem ferant Lacedaemonii* praedixisse, ot urbem ac tecta custodirent : insta re enim motum terrae, quum et urbs lota eorum corruit, et Taygeti montis magna pars ad formam pappis eminens abrupta, cladem insaper eam ruina pressit. Perhibetur et Pherecydi Pythago rae doclori alia conjectatio, sed et illa divina : hausta aquae e puteo praesensisse, ac praedixisse ibi terrae motum. Quae si .vera sunt, quantam a deo tandem videri possent tales distare, dum vivant? Et haec quidem arbitrio cujusque existi manda relinquantur : ventos in causa esse non dubiam reor. Neque enim omquam intremiscant terrae, nisi sopito mari,coeloqoe adeo tranquillo, ut volatus avium non pendeant, subtracto omni spiritu qui vehit : nec umquam, nisi post ventos, condito scilicet in venas et cava ejus occulta flata. Neque aliud est in terra tremor, qaam in nube tonitruum : nec hiatas aliad, quam quum fulmen erumpit, incluso spiritu luctanle, et ad libertatem exire nitenle.
Db m i i i h u iiid i. LXXXU. 80. Varie itaque quatitur, et mira edantar opera ; alibi prostratis moenibus, alibi hiatu profundo haustis, alibi egestis molibos, ali bi emissis amnibus : nonnumquam etiam ignibas, calidisve fontibus, alibi averso flumiqum cnrsu. Praecedit vero comitatorqae terribilis sonus, alias murmur similius mugitibus, aut clamori humano, armorumve pulsantium fragori : pro qualitate materiae excipientis, formaque vel ca vernarum, vel cuniculi, per quem meat, exilius grassanle ia angusto, eodem rauco in recurvis, resultante in duris, fervente in humidis, fluctuante in stagnantibus: item fremente contra solida. Itaque et sine motu saepe editur sonus. Nec sim plici modo quatitur, sed.tremit vibratque. Hiatus vero alias remanet, ostendens quae sorbuit, alias oocultatore compresso, rursusque ita inducto solo, ul nulla vestigia exstent, urbibus plerumque devoratis, agrorumque tractu hausto. Maritima autem maxime quatiantur. Neo montuosa tali malo carent. Exploratum est mihi, Alpes, Apenninnmque saepius tremuisse. Et autumno ac vere terrae crebrius movenlur,sicut fiunt fulmina. Ideo Galliae et Aegyptus minime quatiuntur: quoniam hie aestatis causa obstat, illic hiemis. Item noctu saepius, quam interdiu. Maximi autem motus
del cielo. Dicesi avere avuta in ciò ana molio onorata e immortai diviniti ( se pure lo vogliamo credere) Anasimandro Milesio fisico, il quale dicono aver predetto a' Lacedemoni, che guar dassero bene la città e le case, perciocché egli aveva da venire un terremoto ; dove allora minò tutta la città loro, e una gran parte del monte Taigete, rilevata a guisa d* una poppa di nave, oppresse la città con la sua ruina, oltre a quella disfasione. Truovasi ancora on* altra congettura di Ferecide maestro di Pitagora,.che fu veramen te divina ; il quale con un sorso d’ acqua di pos to, previde che quivi aveva a essere terremoto. Le quai cose se sono vere, quanto pare che que sti uomini s*accostino a dio, meotre che vivono? Ma creda pure ognuno ciocché gli pare di queste cose, io per me tengo che il vento ne sia cagione. Perciocché la terra non treAia mai, se nou quan do è bonaccia in mare, e Γ aria tanto tranquilla, ohe il volar degli uccelli non penda punto, levato ogni spirilo che gli porta ; e ciò non avvien mai se non dopo che i venti son rinchiusi nelle caver ne sotterra. E non è altro il tremore nella terra, che il tuono nelle nugole. E Γ apritura delle nu gole altro non è, che quando la saetta vien fuora, avendo rinchiuso lo spirito, il qual combatte, e si sforza d 'uscir fuora in luogo libero. D e l l * a t r it o r a
d il l a t e r r a .
LXXXII. 80. In più modi dunque è scossa la terra, e maravigliose opere ne vengon fuori ; per ciocché in alcun luogo getta le mura per terra, altrove con grande apritura le inghiotisce, al trove manda fuora alcune moli, in qualche luogo i fiumi, e talora anco fuochi, o fonti caldi, e al trove rivolta il corso de' fiumi. Ala però va in nanzi al terremoto e l ' accompagoa un terribil suono, altrimenti mormorio, simile al mugliare, o al grido umano, o allo strepilo dell* armi, che percuotono insieme, secondo la qualità della ma leria che riceve, o la forma delle caverne, o stret te vie sotterranee, per le quali e* passa. Perciocché più sottilmente passa per luogo stretto; nello storto risalta con suon roco ; nel duro strìde ; net luoghi umidi e stagnanti risuona a guisa d* on da , e romoreggia contra le cose sode. Spesse volte dunque senza il moto si sente il suono. Nè per un modo solo si scuote la terra, ma trema e si batte. Ma Γ apritura alcuna volta rimane, « mostra qael che ha inghiottito, alcuna Tolta In asconde riserrando la bocca : e talora anche in modo si riempie, che non rimane segno alcuno delle città divorate, e lungo tratto di paese in ghiottito. Ma sopra tutto i luoghi marittimi sono battati : e i montuosi ancora non son sicari d a
*93
HISTORIARUM MUNDI LIB. II.
exsistant matutini, vespertinique : sed propinqua luce crebri: interdiu autem circa meridiem. Fiaut et solis lunaeque defectu, quoniam tempestates tone sopiuntur. Praecipue vero, quum sequitur imbrem aestus, imbresve aestum.
294 tale oltraggio. E lo so chiaro, che Γ Alpi, e Γ Apennino spesse volte hanno tremato. E nell1 au tunno e nella primavera sono più spessi i terre moti, che di verno e di state, come avviene anco delle saette. E per questo la trancia e Γ Egitto non senton terremoto, perciocché nell’ Egitto s'oppone la causa della siate, e in Francia del Terno. Vien similmente il terremoto più spesso di notte che di giorno. E grandissimi son quei, che vengono la mattina e la sera ; e quei, che son presso al dì, son più spessi. E di giorno si fanno intorno al mezzodì, e nell* ecclisse del sole e della luna, perchè allora cessano le tempeste. Ma soprattutto, quando dopo la pioggia viene il caldo, o dopo il caldo le piogge.
SlGNA MOTUS FUTUmi.
PXESAGI DB1 TBBEBMOTI.
LXXX1I1. 81. Navigantes quoque sentiunt non dubia conjectura, sine flatu intumescente flucta sabilo aat qnatiente icti. Intremunt vero et in navibus posila, aeque quam in aedificiis, erepituqae praenuntiant : ' quin et volucres non iapavidae sedentes. Est et in coelo signum, praeceditqae mota futuro, aut interdiu, aut paullo post occasum sereno, ceu tenuis linea nubis in longum porrectae spatium. Est et in puteis tur bidior aqua, nec sine pdoris taedio.
LXXX1II. 81. 1 naviganti aucora con manife sta congettura s'accorgono quando il terremoto ha da venire, quando in un subito son percossi dall’ onde, che senza Tento rigonfiano, o percuo tono. Tremano ancora le cose, che son ne* navili, siccome quelle, che son nelle case, e con lo stre pilo lo predicono : e più gli uccelli sparentali si riposano. Ma in cielo ancora viene un segno in nanzi al terremolo, o di giorno, o poco dopo il tramontar del sole al sereno, una linea sottile di nugola tirala in lungo spazio. E anco 1*acqua de* pozzi è più torbida, nè senza cattivo odore.
A u x iu a c o n t e a m o tu s f o t o b o s .
A iuti c o n t e a a * t b e e e m o t i .
LXXXIV. 8a. Sicut in iisdem est femedinm, quale et crebri specus praebent : conceptam enim spirilam exhalsnt, quod in cerlis notatur oppi dis, qoae miaus quatiuntur, crebris ad eluviem cuniculis cavata. Maltoqae sunt luliora in iisdem iUis qaae pendent : sicut Neapoli in Italia intelligitur, parte ejus, quae solida est, ad tales casus obnoxia. Tutissimi sunt aedificiorum fornices, angoli quoque parietum, postesque alterno pul sa renitente. Et latere terreno facti parietes mi nore noxa qaatiunlur. Magna differentia est et in ipso genere motus : pluribus siquidem modis qoalilar- Tulissimum est, quum vibrat crispanle aedificiorum crepita : et quum intumescit adsurgens, alternoqae mota residet: innoxium et qaam concurrentia lecta contrario icta arietant, quoniam alter : motus alteri renititur. Undantis inclinatio, et fluctus more quaedam volutatio infesta est : aut quom in unam partem tolus se motos impellit. Desinunt autem tremores, quum ventus emersit: sio vero duravere, non ante quadraginta dies sistunlur : plerumque et tar-
LXXX1V. 82. A questi terremoti è utile e buon rimedio il far sotterra di molle fogne, e sfogatoi : perchè essi mandano fuori il vento con cetto, e ciò s* è conosciuto in alcune città sicure, le quali manco che 1* altre tremano, per rispetto delle spesse fogne, che hanno da purgar le brut ture. E molto più son sicure in questi terremoti quelle che pendono, come in Italia si vede a Napoli, essendo una parte di quella città, eh* è soda, e non cavata, soggetta molto a tai casi. Si curissimi sono gli archi negli edifici, i canti delle mura, e le porte, che resistono con iscambievole percossa. E le muraglie ancora fatte di mattoni di terra sono con minor danno percosse. Oltra di ciò è anco gran differenza nella qualità del moto, perciocché in più modi viene il terre moto. Sicurissimo è quello, che fa il suo moto ne gli edificii simile a quel d* una spada, quando è brandita, e quando gonfiando s* innalza, e dipoi sgonfiando risiede. Poco fa danno ancora, quan do gl* edificii s* urtano infra di loro a guisa di montoni, perchè l* un moto fa forza all* altro.
C. PUNII SECUNDI dias, utpotf qaam quidam «miao et bieanii ap»> (io durtveriat.
lluito dannoso è il moto simile a qàeMdT onda del mare, che s 'aggira, o quando Hmoto si epi gee tutto in una parte. Restano i lettemeli, quan d i il vento è uscito ; ma se por contrariane», non restano innanzi »*quaranta giorni, «molte volte anco più tardi, perciò che alcuni ne son durati e un anno e due.
POBTBHTA T B lB i lD I S K V It TBA0ITA.
PoiTBim DBLLA TBBBA VEDUTI UBA VOLTA.
LXXXV. 83. Faotum eat et Koc semel, quod •quidem Io Etruscae disciplinae voluminibus inveni, ingens terrarum portentum, L» Marcio, Sex. Julio coss· in agro Mutinensi. Namque mootes duo inter se ooncuirerunt, crepitu maximo adsullantes, recedentesque, inter eos flamma fu· moque in coelum exeunto ioteidid, spedante e via Aemilia magna equitum Romanorum, familiaramque el viatorum multitudine. Bo concnrsu villae omnes «lidie : animalia permulta, quae in tra fuerant, exanimata sunt, anno ante sociale bellam, quod bfcad scio an funestius terrae ipsi Italia· fuerit, quam d vilia. Non minus miram ostentam ei nostra cognovit aetas, anno Neronis principi* supremo, sicnt in rebus ejus exposuimns, pratis oleisque, intercedente via publiea, in contrarias sedas tuansgrestis, in agro Marrucino, praediis Vestii Marcelli, equilis Romani, res Ne ronis procurandis-
LXXXV. 83. Avvenne una volta, siccome io ho trovato ne* libri della disciplina Toscana, an gran portento della terra, essendo consoli L. Marcio e Sesto Giulio nel contado di Modena. Perchè due monti corsero l’ un contra I*altro, con grande strepito costando, e tornando addie tro, e dello spati·, eh* era fra loro, usciva di gior no fiamma e fumo al deio, stando ciò a vedere dalla via EmiKf gran moltitudine di cavalieri Romani, di famiglie e di viandanti. Le ville, ehe erano in quel metto, furon lotte fraeoassele, e assaissimi animali, che v* eran dentro, rimaaero morti ; e eiòfa un anno innanti alla guerra chia mata Sociale, la quale non saprei dire, se fa di maggior danno alP Italia, che le guerre ri vili. Non fu punto minor portento a* tempi nostri, Γ ultimo apno dell'imperio di Nerone, siccome io ho scritto nelle eie istorie, pereioaohè i prati e gli ulivi, eh* erano nel contado Marrucino, nelle possessioni di Vezio Marcello cavalier Romano, il quale faceva i fatti di Nerone, passarono da un luogo all'altro, essendovi la via di metto. MlBACOLI OBI ΤΒΒΒΒΜΟΠ.
MlBACOLA TBftaAB MOTOS.
LXXXV!. 84· Fiunt simul cum terrae motu et inundationes maris, eodem videlicet spiritu infusi, ac tèrree residentis sinu recepti. Maximus terrae memoria mortalium exstitit molus, Tiberii Caesaris prineipafu, xn urbibus Asiae una nocte prostratis. Creberrimus Punico bello, intra eumdem annum septies atque quinquagies nuntiatus Romam. Quo quidem anno ad Trasymenum la cum dimicantes, maximam motum neque Poeni sensere, nec Romani. Nec vero simplex malum, aut in ipso tantam motu perioulum est : sed par aut majus ostento. Numquam urbs Roma tremuit, ut non futuri eventus alicujos id praenuntium esset.
Qoraus lo c is
h a b ia i i c u s i u i t
.
LXXXVIL 85. Eadem nascentiam causa terquum idem ille spiritus attollendo po
r a r o a “U ,
LXXX VI. 84· Vengono insieme col terremoto, inondazioni di mare, o infuso per 1*istesso vento, o ricevuto in qualche seno. Il maggior terremoto, che sia alato a ricordo delle persone, fa nelPimperio di Tiberio, ehe dodici dttì dell' Asia furo no minate in una notte. Per la guerra Cartagi nese ne furon molti, perciocché venne nuova a Roma, che in un anno v* eran venuti ringnaula selle. E di questo anno mentre che si faceva la giornata al lago Trasimeno, venne un grandissi mo terremòto, il-quale non fo sentito da* Car taginesi, nè da' Romani. Nè è semplice m ie il terremoto, e non è solamente pericolo in esee moto | ma è pari, o maggior presagio di melet Non tremò mai Roma, che ciò non gli foeae aa annuntio di qualche danno avvenire. Da c n
Lu o g h i
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siano ms c o s t a i * .
LXXX VII. 85. La medesim cagione fa aaace· re le terre in nuire, quando il medesimo, spirito
HISTOUAftDM MCMCUfclB. II. MMsolo, « ο· fa lslt m n p e n . Naseu— » t t i è nec flamiaam tantam invecta, sicolEèhfaàde» insula· ai» Achdoo imoe congestae, majorqne pars Aegypti a Mila, i»q«en«ike»oÌM Q kno· eli* «l diet canoni faine Homero credimtu : sed etm iw n wrib, sioat «idem de Ckodii. ^uod leodiae è( ia Ambraciae porti deetea· atHftun p u m a ia te m llo , el A lhttieirfM quinqoe a W ea ad Pì m a w ammontar t el BphaA, airi quondam aedeà Diana· adlufbat. Herodotaqaid«n si credimus, mare fuit sopra Mempbim osqne ad Aethsopuna aaonlest itarntyae- a plaid» Ara biae. Mare el'circa Biam,-et loia Teulhrania, qoaqoe campo* intulerit Maeaoder.
f a s c in a til i XHAscsirni/M BATio.
R a g io n i d e l l e i s o l e b a s c i s t i .
LXXXVJ11. 66. Naacnnlor et die modo lercae, ssr y èaieiia aliqa» mari emerguat, veM paria secam faciente natura : quaeque bn ierK Status, alio loco reddeale.
Q tia n «o m » n u d in o » a m i
»9*
è possente ad alzar la Urrà, e non può uscirne fuori. Perciocché Γ isole nascono non solamente per il portare, che fanno i fiumi al mare, siccome Γ isole IM himI·, le qaali fa rea fatte dal fiume Acheloo, e la maggior parte dell* Egitto dal Nilo, mi f a t e secondo Omero, età dall1 isola del Caro il viaggio d 'un dì e d’ una notte} 'ma aMora dalla partita del mare, come si ha dal medesimo de1Greci. Il che si dice essere avvenuto nel por lo d’ Ambracia per «spazio di dieci miglia, e de» gli Ateniesi per cinque miglia sino al Pireo : e in Efeso, dove egli bagoava già il tempio di Pia· na. E se vogliamo creder a Erodoto, il mare fu sopra Menfi fino a' monti dell’ Etiopia ; e me· desimaroeeta delle pÌMHire dell’ Arabia. Fo il mare anearv, intorno a Ilio, e lotta la Teatro· nia, e per qoe1campi, dove va il fame Meandro.
n*r.
LXXX1X. 8 7 . Clarae jam pridem iasalae, Do lo· el I hodos, mcmovlae prodantur enalae. Po* sAea Manans, altra Melo·, Abaphe : ioler Lem· eoa» « I Hellespootom, Nea : inter Lebedum el Tsea, Halona : inler Cydadas, olympiadis a l x t u no quarto, Thera et Tkerasia. In ter easdem post annos cxxx, Hiera, eademqne Automate. Et ab ca daofcas ria tti post aaaaa caia noUaotaevo, M. Junio Silano, L. Balbo coss. a. d. vm idus
WÙu.Thifc. 88. Aate nos «I joita UaUam inler Aeolias insalai, ilcas jaxla Crelam emereit e «aari aa» f a m w una co n calàdi· (eatibas : altara olya*·» f indir ex m i aaaa leali· in Tóeoo aina, flagra·! faina t U m Io cam flato. Prodiiarqae memoriae magna órca illam nudtituclìae piscia» fluitant·, coafestim exspirasse, quibus ex his cibus fuisset. Sic et PiÙMaasas sa Campano sian tenuti ortas. Mox in bis montai· Epopon, qaum repente Assumi ex eo emicaisset, campestri aeqoatum fiaailée. la cadane el oppidom haustpm profundatalioqae mola terrae atagnam eaaersisee :
LXXX.Vili. 86. Nascono anco»· io ahvo modo le isole, e in nn tratto vengono fuora in qualche mare ; come se la natura volesse ricompensare la terra, e quelle cose, che l’ apertura ha inghiot tite,Oaderla ia altra laogo. Q d h i is o le , ib
dm* v a a v o a ·· i a t i .
LXXXIX. 87. Trovasi par memoria, ooane I gii buon UmpOjcfce nacquero le isole di Clarat di Deb e di Rodi : e dipoi altra minori, soooolitaMelone, Aoafc; fra LeUnoed Ellasprta* to, Nea; fra>Lebfdo « Teùee^Alone; faa U Ciala. di il quarto aono dell’olimpia centesima trentesi ma quinta, Tera e Terasia; e fra queste mede sime dopo aanlo teeala anni, lem, -che e£ri menti si chiama Antomate. E lontano da quella il quarI» d’ tn mi^io dopo conto dieci ptnni aVetà nostra, essendo coasoli Marco Giono Sfilane · Lucio Balbo, a’dì tei di Loglio, naoque Tia. 88. Dinansi a noi, e appresso l’ Italia fra lè isole Eolie* · similmente appresso Creta dueaaille daqoeeento passi, ne venne fuori nn’ altra con •feali «aldi * nn'altra il terzo anno dell’ ofim^lìi centesima quarti) tmlme tersa nel mar Tirana la quale ardeva con vento molto violente. Tro vasi scritto ancora, che intorno a questa isola era una gran moltitudine di poaao, e tutti coloro, che ne mangiarono, subito morirono. Così si dice ancora che nacque l’ isola di Pilecusa nel golfo di-Cémpegoa. E subito in Questi iaaU il dftmte Epopoi avendo ia aa tratto ibandato.fnori una g«an fiamma* si pareggiò alla pianura. Nella madssiaaa teofa fa inghiottita ana lcM | 4 par an ai Ira terremoto uso) foori una stega·; eper »e
G. PLINII SECUNDI
299
altro essendosi svelti i monti, si fece Γ isola di Prochita. . ’ Q dAS TKBEAS
INTBXBUPEEiaT ΜΑΒΙΑ.
XC. Namqoe et hoc modo insolas rerum na tura fecit. Avellit Siciliam Italiae, Cyprom Syriae, Euboeam Boeotiae, Euboeae Atalanten» et Macrin, Be&bicum Bithyniae, Leucosiam Sirenum promontorio. Q
u a e ih s u l a e c o h t iv e n t i a d ju h c t a e s ih t .
XGI. 89. Rursus abstulit insulas mari, junxi tqae terris : Antissam Lesbo, Zephyrium Halicar nasso, Aethnsam Myodo, Dromiscon et Perneo Mileto, Narthecusam Parthenio promontorio. Hybanda quondam insula Joniae, cc nuoc a mari abest stadiis. Syrien Ephesus in mediterranea habet : Derasidas et Sophoniam vicina ei Magne sia. Epidaurus et Oricam insulae esse disieruot.
Q
ua ·
t e e b a b ih t o t u m m a h p e r m u t a t a * .
XCII. 90. In totnm abstulit terras, primum omnium ubi Atlanticum mare est, si Platoni ere· dimus, immenso spatio. Mox interno, quae vide mus hodie, mersam Acarnaniam Ambracio sino, Achajam Gorinthio, Europam Asiamqoe Propon tide et Ponto. Ad hoc perrnpit mare Leocada, Antirrhium, Hellespoutuna, Bosporos duos.
Q
u a e t e b e Ae ip s a e s e s o b b o b b ih t .
XCI1I. 91. Atque ot sinus et stagna praete ream, ipsa se comest terra : devoravit Gybotum altissimnm montem, cum oppido Curile : Sipy lum in Magnesia : et prius in eodem loco claris simam urbem, quae Tantalis vocabatur. Galenes et Gamales orbium in Phoenice agros cum ipsis : Phegiam Aethiopiae jogam excelsissimam : tanquam non infida grassarentur et litora.
• U ebes
h a u s t a e m a x i.
Q
u a l i t e u e i b u i h ahvo t e a p a s s a t o .
XC. Perciocché a questo modo la natara ha fatto le isole. Ella staccò la Sicilia dall’ Italia, Cipri dalla Soria, Negroponte dalla Beozia, Atlante e Macrino dall' Eubea, Besbico dalla Bi tinta, Leucosia dal promontorio ddle Sirene. D i QUBLLE ISOLE, CHE SI SO * COBGIUETB COM TEEEA FEBMA.
XC1.89. E di nuovo la natura ha levate Γ isole al mare e congiunte alla terra, siccome fu An tissa a Lesbo, Zefirio ad Alicarnasso, Elusa a Mindo, Dromisco e Perne a Mileto, Nartecosa al promontorio Partenio. E Ibanda, che g ii fo isola del mare Ionio, ora è lontana dal mata venticinque miglia. Efeso ha Sirie fra terra, e Magnesia a lei vieina . ha Derasida e Sofooia. Epidauro e Orico, che già furono isole, ora noo son più. D i QUELLE ΤΕΕΧΒ, CHE IH TUTTO SOHO IT E IR MAE E.
XCII. 90. Ha levato anco iu.tutto. la terra, e prima dove ora è il mare Atlantico, se crediamo a Platone, con grande spazio. Dipoi più dentro quelle che oggi si veggono sommerse nel mare, 1' Acarnania nel golfo di Larta, l’ Acaia nel Co rinzio, 1' Europa e Γ Asia ndla Propontide e in Ponto. Ruppe il mare ancora Leneade, Antirrio, Ellesponto a i due Bosfori. D bllb
t e e b b ch e s i
sono ι κ ο β ι ο τ ώ τ β .
XC1II. 91. E per non dir de1 golfi, e degli stagni, essa terra si medesima inghiottendo, divorò gii Cìboto altissimo monte, con la città di Curile; Sipile in Magnesia; e prima nd medesimo luogo una chiarissima dttà, che si chiamava Tantali. Profondò ancora >1 paese di Galene e di Gamale, città in Fenicia, insieme 000 esse ; e Fegio altissimo giogo dell* Etiopia; come se non assaltassero i liti infedeli. Delle
c it t à c h b soho s t a t b i u g h i o t t i t e dal m abb.
XCIV. 93. Pyrrham et Antissam·circa Maeotim poutus abstulit: Helicen et Baram in sinu Corinthio, quarum ia alto .vestigia appareot. Ex insola Cea amplios triginta millia passuum abru pta subito cura plurimis mortalibus rapai t. Et in
XC1V. 93. Il mare appresso alla palude Meotide inghiottì già Pirra e Antissa* Elice e Bara nel golfo Corinzio, i cui vestigii si veggono an cora oggi in alto mare. Dell1isola di Cea fa in un subito sommerso per più di trenta miglia,
HISTORIARUM MONDI L1B. II.
3οι
Sicilia dimidiam "Tyndarida urbem, ac quidquid ab llalia deest. Similiter in Boeotia Eleusina.
Oa
D bllb
s n b a c o l is t e b b a b u m .
X CV, 93. Motus enim terrae sileantur, et quidquid est, obi saltem busta urbium exstant : amai ot terrae miracola potius dicamus, quam scelera natorae. Et bercole non coelestia enarratu difficiliora foerint. Metallorum opulentia tam varia, tam dives, tam fecunda, tot seculis subo· riens, qoom tantam quotidie orbe toto popalenIsi ignes, ruinae, naufragia, bella, fraodes : tan tam vero luxuria, et tot mortales conterant: gemmarum pictnra tam multiplex, lapidum tam discolora maculae, interqoe eos, candor alicujus, praeler locem omoia excludens : medicatorum fontium vis : ignium tot locis emicantium perpeiaa tot secalis ioceadia : spiritus letales ali bi, aat scrobibus emissi, aat ipso loci sita mor tiferi, «libi volucribus tantam, at Soracte vicino Crbi tracto : alibi praeter hominem, ceteris animanlibas: aonoamquam et homini, ot in Sinuessaao agro, et Puteolano : spiracula vocant, alii Charooeas scrobes, mortiferum spiritum exha lantes. Item io Hirpinis Amsaocti, ad Mephitis aedem, locum, quem qui iotravere, moriuolar. Simili modo Hierapoli io Asia, Matris taotom Magnae sacerdoti innoxium. Alibi fatidici spe cus, quorum exhalatione temulenti fatura prae cinant, at Delphis, nobilissimo oraculo. Quibas ia rebus quid possit aliud causae afferre morta lium quispiam, quam diffusae per omne natorae Su biade aliter mimen erumpens ?
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X CVI. 94* Quaedam vero terrae ad ingres sas tremaot* sicut in Gabieasi agro, non procal albe ftoaw, jugera ferme duoenta, equitantium cursa 1 similiter io-Reatino.
Soa
insieme con ausissime persone. E in Sicilia la metà della città di Tindarida, e ciò che manca dalla parte d*Italia. E similmente in Beozia Eleusina. e sa l a z io n i d e l l a t b b b a i r a lc u n i l u o g s i .
XCV. 93. Ma lasciamo oggimai il parlar dei terremoti, e di tutto qoello, ove restano almeoo i sepolcri delle città, e ragioniamo piuttosto dei miracoli della terra, che delle scelleraggini della natura. E certo che le cose del cielo non saranno più difficili da narrarsi. La dovizia ,dei metalli così riccs, così varia, cosi abbondante, e che per tanto tempo non è ancora mai man cata ; benché di continuo per tutto il mondo tanto ne consumino i fuochi, le ruine, i naufragii, le guerre, gl' inganni, e tanto ne porti via la lus suria, e tanti uomini. E la terra produce così varia pittura di gioie e pietre pretiose, di tanto diversi colori, e fra quelle la bianchezza d'alcuna, che ogoi altra cosa vince in fuor che la loce. Prodace diversi fonti medicinali, e perpetui incendii de* fuochi, i quali per tanti secoli rilu cono in tanti luoghi. In alcun luogo vento, o aria pestifera, la quale o esce per le caverne, o in esso luogo del silo mortifero. Altrove è mortifero solo agli uccelli, come nel monte Sorelle vicino a Roma ; altrove fuor che all’uomo nuoce a.tutti gli animali ; e talora anco all* oomo, come nel contado di Sessa a di Pozzuolo: qoesti si chia mano spiragli, ovvero fogne Caronee, le quali mandano fuori fiato mortale. Similmente nel paese degli lrpini in Anunto, al tempio di Mefi te, dove tutti colorp eh1entrano, muoiono. A Gierapoli ancora in Asia è luogo mortifero, eccetto che al ucerdote di Cibele. Altrove sono spelonche, che predicono le cose avvenire, per la esalazione delle quali gli uomini fatti come ebbri, indovinano quel che dee essere, siccome è nel uobiliuimo oracolo di Delfo. Nelle quai. cose che altra cagiooe potrebbe assegaare alcuno, se non la deità della natura, la quale di continuo penetra per tutto, ed esce diversamente di varii luoghi. T
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ED 1SOLB ONDEGGIARTI.
XCVI. 94. Sono alcune terre, che quando vi si va, tremano, come nel contado di Gabio, poco lootano da Roma, intorno a dugento iageri, che trema al corso dei cavalli : similmente nel terriI torio di Rieti.
3*3
fC' P ittili SECUNDI
g5. Quaedam insula· semper flucluaal, sicat io afro Caecabo, et eodem Reatino, Mutinensi, Stalonioosi. In Vadimonia lacu, el ad Culiliia aquaa opaca silva, quae nuraquam die ac notte eodem loco visitur. Ια Lydia quae vocantur Calaminae, non ventia aolura, aed etiam contis quo libeat impulsae, mallorum civium Milhridalico bello salus. Sunt et in Nympheo parvae, Saltuaroa dictae: quoniamin symphoniae cantu ««Uclus modulantium pedum moventur. In Tarquiniensi lacu augno Italiae, duae nemora circumferunt, ounc triquetram figuram edentes, nane rotort«damcomplexa, ventis impellentibus : quadratam namqaam.
Q o ia o s
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95. Aloune iabk obde|g«an sonare, come ad contado di Ceeubo, i · qafet di Rieti, di Masia e di Statonia. Nel lago di Vadimone, e ai bagai di Culilia i una selva ombrosa, la quale di e notte non ai vede mai in un medesimo luogo. In Lidia sono quelle, che si chiamano Calamine, le qaali non aolamente sono spinte da* venti, ma dalle pertiche ancora dovunque l'uomo vuole, il che Cu la salale di molli «studini nella gaetra di Mitri date. Sono antera in Ninfeo aleute isole, pioeoi·, chiamale Salinari, perciocché nel canta della sinfonia si muovono al percotimento de* piedi, che dansabo. Nel grata lago/L'arqainiese d 'it a li sono due boschi, i quali ora ai moetrèno in fanne di triangolo, e ora di tondo, seconda che i vaiti gli spingono ; ma non mai di quadro. L u o g h i,
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p io v b .
XCV11. 96. Celebre Canum habet Veneria Paphos, ia caja· quamdam aream non impluit. J4e a ia Nea, oppido Troadia, circa .simulacrum Miafertae. Ia eodem et relicta sacrificia non paUescant.
XCVU. 96. In Paio è an famoso tempio di Venere, e in esso certo chiostro, dove non piove mai. E in Nea città di Troade ancora non piove ialar noalleatatua di Minerva. E i sacrificii lasciati sa quel medesimo luogo non mareiscon aui.
ACBBVATA T U l i U É WtACULA.
MlBAOOLI VAEII DI ALCUHH T B B B B .
■ · XCVIII. Juxta HarpaSa oppic^pm Asiae cau tes stat horrenda, ααο digito mobilia: eadem, si toto corpore impellatur, resistens. In Taurorum |>eninsula ia eivitate Parasino terra eat, qua sa nantor omnia vulnera. At ai rea Assoo Troadis lapis nascita^ quo oonsumuotur omnia corpora : Sarcophagus vocabar. Dao suat monles juxta flo* mea Indam : alteri natura eat at ferram omne teneat, alteri at respuat. Itaque si aint elati ia cahmnevto, vestigia avelli ia allero non posse, in ‘altero arati. Locria et Crotone pestilentiam mmqaim fuisse, nec tillo terrae mota laboratua^, a d tr ttr tu n à est» In Lycia vero semper a latra* mota x l dies serenos e s s e , la agro Arpano fra· mentam saluto neu nascitur. Ad aras Muoias ia Yejente, et apad Tusculanum, et ia siivi Cimi* aia loca sUnt, in qaihas in terraà de^aclA noa «xtrahfentar. Ία Crustumino natam fenum ibi noxium : extra, salubre est.
XCVlil. Appresso Arpeao città dell* Asia, i una frribil pietra, la quale si muove con an sol diio,1e se altri la ναοί muovere con tutto il corpo» sta ferroa. Nel Poterne dei Tauri,· nella città detta Coracéna; é d*ana terra, cbv guarisce tutte le ferite. E intorno Assooe di Traoda nasce ual |klrat to' quale consuma tolti i corpi ; e chiamasi sarcofago^ Sono due monti approsso il fiume Inno, 1* ano dei quali tir* a sé ogni ferro, e l* altro lo ribalta. .Ond· ehi h· scarpe o stivali ferrati, nell* ano d* essi non può apiccare i piedi da terra, nell* altro non può fermargli. Trovasi, che in Locri e in Crotone non fu mai peste, nè terremoto alcuno. E in Licia sempre dopo il ter remoto sono quaranta dì di sereno. Nel territorio Ardano non nasce il grano, che vi si semina. Agli altari Munii in Veienle, in Tusculano e nd bosco Cimiuio sono luoghi, onde non sì possoa cavare le cose, che vi son piantale. 11 fieno, che nasce nel territorio Crustumino, quivi è nocivo, e fuor di là aalulifero.
Q
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BATIORB AKSTCS HABIS ACCBDAIT BT HBCBDAHT.
XC1X. 97. Et de aquarum nalura complura 'dicta auot : sed Matas maria accedere, et nei· procas·, onusae mirum, pluribus quidam mo dii , veram causa in sole, Iuuaqite. Bis inter
Con QUAL BSGOLA AOCCBDABO I
FLUSSI B BIFLC SSI
DCL MABB.
XClXi 97. -Assai s* è detto della notai» dal· 1* acqua, fsa bene ègre* aiasaviglia, -ehe il aaur
cresca e scemi, e ciò..in>piè «iodi; aia le cagione di ciò è il sole e la luna. Fra i due nascimenti
So5
HISTORIARUM MUNDI LIB. II.
imo* exorta* lunae tdflaml, bisque remeant,
vicenis quaternisque semper borii. Et primato •ttolleate se eoa es nando intumescentes, mox • meridiano coeli fastigip Tergente, in occasum residentes : rursusqe sb occasa subter coeli ima, et meridiano contraria accedente, inundantes. Nec omquam eodem tempore, qoo pridie, re· flui, ut ancilia nte sidere, trahenteque secum arido haustu maria, et assidue aliunde, qaam pridie, exoriente : paribus tamen intervallis reci proci, senisque sempre horis, non cujusque diei aut noctis, aut loci, sed aequinoctialibus: ideoque ioaequales vulgarium horarum spatio, utcumque plures ia eas aut diei aut noctis illarum mensurae cadant, et aequinoctio tantam pares ubique, lageae argumentum, plenumque lucis ac vocis etiam diurnae, hebetes esse, qui negent subter meare sidera.acrursus eadem resurgere: similem· que terris, immo vero universae naturae exinde iaciem, in iisdem ortus occasusque operibus : non aliter sub terra manifesto sideris cursu, aliove affeelu, quam quum praeler oculos nostos fera tur. Multiplex etiaronum lunaris differentia, primumque septenis diebus. Quippe modici a nova ad dividuam aestus, pleniores ab ea exundant, plenaque maxime fervent. Inde mitescunt. Pares ad septimam primis : iterumque alio latere divi dua augentur. In coitu solis pares plenae. Eadem Aquilonia, et a terris longius recedente mitiores, quam quam, in austros digressa, propiore nisu vim suam exercet. Per octonos qaoqoe annos ad principia motus et paria incrementa centesimo lunae revocantur ambita, aagente ea cuncta, so lis annuis causis, duobus aequinoctiis msxime tumentes, et autumnali amplius, qaam verno: inanes vero bruma, et mfigis solstitio. Nec tamen in ipsis, quos dixi, temporum articulis, sed pau cis post diebus : siculi neque in plena aut novis sima, sed postea : nee stalim ut lunam mundus ostendat occo Itet ve, aut media plaga declinet, verum duabus fere horis aequinoctialibus serius : tardiore semper ad terras omnium, quae gerun tur in coelo, effectu cadente, quam visu, siculi Jbifuris, et tonitrus, el fulminum.
3o6
della luna due volte cresce il mare, e due volte riloroa, e ciò sempre ventiquattro ore. E prima, quando la luna monta per lo cielo, il mar rresce, e dipoi quando dalla meridiana cima del cielo incomincia a calare verso ponente, il mare sce ma. E dipoi insino a che sale al mezzo del cielo, in quell'altro emisfero rresce, e cosi scema, quando di li scende verso il nostro levante, ini sino a che di nuovo nasce. Nè mai nel medesimo tempo, che il giorno avanti, scema in modo, che servendo il piaoeta, e tirando seco con ingordo sorso il mare, continuamente nasce d'altronde che il giorno avanti : nondimeno con eguali spatii il mare è scambievole a crescere e scemare di sei ore iu sei ore sempre, non di qualunque dì, o notie, o luogo, ma ore equinoziali. E per questo i (lussi e i riflussi sono ineguali, secondo lo spazio dell1 ore volgari in modo, che più misure di quello caggiono in esse o del di, o della notte, e solamente nell* equinozio son pari. E questo è grande, e pieno argomento, che sono di gros so intelletto coloro, che negano le stelle girarsi di' sotto, e di nuovo le medesime venir su ; e di qui osservare la medesima norma alla terra, anzi alla uni versai nalura, nelle medesime ope re del nascere e del tramontare : e non altri menti sotterra, per lo manifesto corso della lu na, o altro effetto, che quando scorre innanzi agli occhi nostri. Varia e diversa ancora è la differenza della luna, e prima dei giorni a selle a selle. Perchè i primi sette dì, Tonde e i cre scimene son minori, infino a che ella è mezza; e come comincia a esser piena, sono più abbon danti, e quando è del tulio piena, maggiormente rigonfiano ; dipoi ritornano minori, e pari ai primi fino alla seltima ; e dipoi quando dall'allro lato è mesta, crescono. Nella oongiunzione del sole sono pari. Sono ancora minori ioondasiooi quando la luna è setteolrionale, e più lungi dalla terra, che quando abbassata verso mezzogiorno più il' appresso esercita la sua forza. E ogni otto anni ancora, nel qual tempo la luna fa cento volte il suo corso, il mare ritorna ai principii del moto, e ai pari accrescimenti, accrescendo tutti quegli per le cause annuali del sole, massima mente rigonfiando ne1 due equinozii, e più nel· l'autunnale, che in quel della primavera. Ma nondimeno son vani di verno, e molto più nel solstizio. Però queste cose, che si dicooo, non appaiono punto in essi tempi, eh' io ho delti, nta pochi giorni dopo ; come nè nella pieoa, o nella nuova, ma dipoi. Nè subito che il cielo ci mostra la luna, o l ' asconde, o che la declina a mezzo il cielo, ma più tardi, quasi due ore equinoziali, perchè l ' effetto di tutte le cose, che si fanno in cielo, cade più tardi sempre alla terra, che nou
309
g.
PLINII SECONDI
Omnes autem sesta· io Oceano m ijon inte gant spatia inundantque, qaam in reliquo mari : aive quia totam in universitate animoaius est qaam in parte, sive qaia magnitudo aperta side ris vim laxe grassantis efficacia* sentit, eara desti agnstiis srcentibus. Qos de causa nec lacus, nec amnes similiter moventur. Octogenis cubi tis supra Britanniam intumescere aestus Pythess Massiliensis auctor est. Interiora autem maris terris claudunlur, at porta. Quibusdam tamen in locis spatiosior laxitas ditioni paret: utpote quum plura exempla »int, in tranquillo mari, nulloque velorum impulsu, tertio die ex Italia provectorum Uticam, aestu fervente. Circa litora aatem magis quam in alto deprehenduntur hi motus : quoniam et in corpore extrema pulsam veaaram, id est, spiritas magis sentiant. In plerisque tamen aestuariis propter dispares sideram in quoque tracta exortus, diversi exsistunt ae stus, tempore, non ratione, discordes, sicut in Syrtibus.
U b i ABSTO» BXTBA BATIOHtM 1DB· FACIAHT.
3o6
fa la vista ; come si può intendere par lo baleno, per lo taono, e per le saette. E tutti gli accrescimenti nell* Oceano son maggiori, e occupano piò spazio, che nelP altro mare ; o che ciò sia perchè il tutto è piò potente nell1 università che nella parte ; o perchè ls grsndezzs sus sperts sente piè efficacemente ls forzs del pianeta, ls qusle ampiamente si disten de, rispignendo la medesima in luoghi stretti. E per qaesta cagione nè i laghi, nè i fiami si muovo no in an medesimo modo. Pitea da Marsilia scri ve, che sopra la Britannia il mar gon6a ottanta gomiti. Ma i mari mediterranei sono rinchiusi dalle terre, come da un porto. Nondimeno ia alcuni luoghi la larghezza pià spszioss ubbidisce meglio; di che si veggono pià esempi: perciocché qaando il mare è tranquillo, il nsvilio, che parte d’ Italia, senza alcuno aiuto di vele, per il ribol lire del mare, giunge in tre dì a Utica. Ma soprat tutto questi moti si conoscono meglio sppresso si liti, che in allo mare, perchè nel corpo ancora le parti estreme sentono meglio il polso delle vene, cioè gli spiriti.Nondimeno in molte lagone, dove il mare cresce e scema, perché i pianeti non ci nascono in un medesimo tempo, in ciascun paese diversi sono i crescimenti del mare, discor di per tempo, non per ragione, siccome avviene nelle secche di Barberia. I r q u a li lu o g h i i l
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FUOH DI UGOLA.
C. Et quorumdam tamen privala natura est, velut Tauromenitani Earipi saepius,et in Euboea septies die ae nocte reciprocantis. Aestns idem triduo in mense consistit, septima, octava, nonaq*e luna. Gadibos, qui est delubro Herculis pro ximus, fons inclusas ad putei modum, alias simul cum Oceano augetur minui turqne, alias vero ntramque contrariis temporibus. Eodem in loco alter, Oceani motibus consentit. In ripa Baetis oppidum est, cujas potei crescente aesta minuun tur, augesount decedente, mediis temporara im mobiles. Eadem natara in Hispali oppido uni pateo, ceteris volgari·. Et Pontos semper extra meat in Propontidem, introrsus in Pontum numqaam refluo mari.
C. E noodimeno certi luoghi hanno Ia lor particolar natura, siccome spesso avviene nel canale di Tauro Minio, e in Negroponte, dove sette volte fra il dì e la notte cresce e scema. E il medesimo flusso tre dì del mese sta fermo, cioè nel settimo, ottavo e nono dì della lana. In Gadi, vicino al tempio d’Èrcole, è una fonte rinchiusa in modo di pozzo, la quale talora in sieme col mare cresce e scema, e talora fa Tono e l’altro effetto per contrsrii tempi. Nel medesi mo luogo è un’altra fonte, la quale s’accomoda co’ movimenti del mare. Nella ripa del finme Beti è una città, i pozzi della qaale crescendo il flusso del mare scemano, e quando egli scema, essi crescono ; e ne’ mezzi tempi non si muovo no. Di questa medesima natara è un fiume solo in Siviglia, e tutti gli altri sono ad an modo. Ed il mar Pootico va sempre nella Propontide dalla parte di fuori, nè mai ritorna addietro il mare nel Ponto.
HISTORIARUM MUNDI LIB. II.
3o9 M MACOLA MAEIS.
CI. 98. Omnia plenilunio maria purgantur : quaedam et stalo tempore. Circa Messanam et Mylas fimo similia exspuuntur in litus purga menta: unde fabula, solis boves ibi stabulari. His addit ( ut nihil, quod equidem noverim, praeteream ) Aristoteles, nullum animal nisi ae stu recedente exspirare. Observatum id multum in Gallico Oeeano, et dumtaxat iu homine com pertam.
Q
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FOTSBTIA LO * AS AD T U U I A , ET ΜΑΒΙΑ.
CII. 99. Quo vera conjectatio exsistit, haud frustra spiritus sidus lunam existimari. Hoc esse quod terras ssturet, sccedensque corpora im pleat, abscedens inanis t. Ideo cum incremento ejus augeri conchylia, et maxime spiritum senti re, quibus ssnguis non sit. Sed .et sanguinem hominum etiam cum lumine ejus augeri ac mi nui : frondes quoque ac psbuls ( ut suo loco dicetur ) sentire, in omnia eadem penetrante vi.
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CUI. 100. Itaque solis ardore siccatur liquor : et hoc esse masculum sidus accepimus, torrens caucta sorbensque.
Q
o a b b sa lsu m m a e b .
CIV. Sic mari late patenti saporem incoqui salis, aut quia exhausto inde dulci tenuique, quod bcillimeirahat vis ignea, omne asperius crassiusque linquatur : ideo summa aequorum aqua dul ciorem profundam : hanc esse vesiorem causam asperi saporis, qjam quod nare terrae sudor sit aeternus: aut quia plurimum ex arido misceatur illi vapore : aut quia terrae natura sicut medicatas aquas inficiat. Est in exemplis, Dionysio Siciliae tyranno, quum pulsus est ea potentia, accidisse prodigium, ut uno die in porto dulcesceret mare.
101. E contrario ferunt lunse femineum sc molle sidus, atque nocturnum, solvere humorem, et trahere, non auferre. Id manifestum esse, quod ferarum occisa corpora ia tabem visu suo resol vat, somnoqu· sopitis torporem contractum in
3io
M ib a c o l i
d bl m abb.
Cl. 98. Tatti i mari si purgano a piena luna, ed alcuni in certo tempo ordinato e fermo. D 'in torno a Messina e Mila escono fuora sul lito purgamenti ad uso di letame; onde ha avuto luogo la favola, che i buoi del sole stallano quivi. Aggiugne a questo Aristotele (acciocché io non lasci addietro nulls di quel eh* io ho inteso), che ninno animale si muore, se non quando il mare scema. E questo s'è molto osservato nel mar di Francia, e solamente s'è trovato nell'uomo. D blla
fo ssa b z a d e l l a l o h a i > t b b b a , b d ih
MAE*.
CII. 99. Onde rimane vera congettura, che non in vano stimiamo la luna essere spirito; e eh' esso sia quello, che sazii la terra, e che appressandosi loro empia i corpi, ed allontanan dosi gli vuoti. E perciò, quando la luna cresce, crescono l'ostriche, e maggiormente sentono lo spirito quegli animali, ehe non hanno sangue. Ma il sangue degli uomini ancora cresce e scema, secondo il lume d'essa; e le frondi e l'erbe, come si dirà al suo luogo, sentono la forza di quella, la qoale penetra in tutte le cose. D blla
po ssa n za d b l s o l b .
CUI. 100. E così per l'ardor del sole si secca 1* umido ; e di qui intendiamo questo pianeta essere mascolino, il quale abbronza e succa ogni cosa. P bech ì
i l m a e b s ia s a l s o .
C1V. Per ciò il mare, che molto s'allarga, ha sapor di sale, perciocché trattone il dolce e sottile, il quale agevolissimamente é tirato dal la forza del fuoco, vi lascia tutto il più aspro e più grosso. E però l'acqua, eh'è nella superfi cie é più dolce. E queste è la più vera cagione del sapor più aspro, che non è il dire, che il mare sia sudore eterno della terra, o perchè assai dell'arido si mescoli con quel vapore, o perchè la nalura della lerra infetti l'acque con taminate. Ecci un esempio, che qusndo Dionigio tiranno di Sicilia fu cacciato di signoria, avvenne un prodigio, che per un giorno il mare fu dolce in porto. 101. Per Io contrario dicono che il pianeta della luna è femminino e molle, e che risolve l'umor della notte, e che lo tira, ma non lo leva via. E ciò è manifesto, perchè i corpi morti dalI le fiere si Tengono a corrompere, essendo posti
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C. PUNII SECUNDI
3*1
caput revocet, glaciem refundat, cunctaque humi fico spiritu laxet. Ila pensari natnrae vices, semperquesufficere,aliissiderom elementa cogentibus, aliis vero fundentibos. Sed in dulcibus aquis lu nae alimentum esse, sicul in marini· solis.
U bi
D ovb i l m a h i a l t i s s i m o .
a l t im im u m m a b s .
GV. io*. Altissimum mare xv stadiorum Fabia nos tradit. Alii in Ponto ex a d T e rs o Goraxorum genti· (Tocanl Botfet Pooti) trecenti· fere a continenti stadiis immensam altitudinem maris tradunt, vadi* numquam repertis.
M ib a b i l i a
al lume della lana, e a chi dorme al suo lame revoca ogni sonnolenza contraria nel capo, · distrugge il ghiaccio, e con lo spirito ·αο, il quale inumidisce, fa vincide e molli tutte le cose. E così la natara ricompensa bene, e sempre •oppKace, perciocché aleoni pianeti restringono gli elementi, alcnni gli risolvono. Ma nelPaeqoe dolci la luna di quel nutrimento, che fa il aele nell'acque marine.
p o u t io m b t p l u m ib c m .
GVI. io3. Mirabilius id faeiont aquae dolce·, joxta mare ot fistolls emicantes. Nam nec aquarom natura a miraculis cessat. Dolces mari inve huntor, leviores haud dubie. Ideo et marinae, quarum natora gravior, magis invecta sustinent. Qoaedam vero et dolce· inter se sopermeant alia·. Ut in Fucino laeta invectos amnis, in Lario Addua, in Verbano Ticinus, in Benaco Mincius, in Sevino Ollius, in Lemano Rhodanus, hic trans Alpe·, «uperiore· in Italia, multorum millium transito hospitales sua· tanto m, nec largiore· qoam intulere, aquas evehentes. Proditam hoc et in Oronte amne Syriae, moltisque aliis.
Quidam vero odio maris «obeunt vada, sicot Arelhnm fooe Syracusanus, in quo reddantur jacta in Alpheam, qui per Olympiam flnens, Pe loponnesiaco lilori infunditor. Sabeunt terras, rarsasqne redduntur, Lycus in Asia, Erasinus Argolica, Tigris in Mesopotamia. Et quae in Aescnlapii fonie Athenis immersa sunt, in Pha lerico reddontur. Et in Atinate campo flovios menas, post xx m. pass, exit, et in Aquilejenn Timavo·.
Nihil m AspbaHite Jndaeae lacu, qoi bitumen gignit, mergi potest ; nee in Armentae majoris Arethusa : ia qaidem nitrosus pisces alit. In Salentino juxta oppidum Manduriam lacus ad mar-
CV. ioa. Scrive Fabiano, che il maggior fondo del mare è intorno a due miglia. Altri dieono, che in Ponto all' incontro del paese dei Corassi (chiamasi qoel luogo Bata del Ponto) circa a treotasei miglia discosto da terraferma è ona smisurata altezza di mare, dove mai non s'è trovalo fondo. D b'
b ib a c o l i
ne' roirn
b db* p id m i.
CTI. io3. Maggior maraviglia fanno l'acqae dolci appresso il mare, le qaali zampillano a goisa di cannoni. Perciocché la natura delfacqoe fa de'miracoli anch'ella. L'acque dolci stanno di sopra in mare, siccome quelle, che senza deb bio son più leggiere. E perciò l'acqua marina, che per nalura è più grave, sostiene più le cosa, che vi son messe dentro. Alcaoe acqae dola ancora fra sè scorrono sopra l 'altre. Siccome il fiume, ch'entra nel lago Facino ; l ' Adda nel lago di Como ; il Tesino nel lago Maggiore ; il Mincio nel lago di Garda ; l'Oglio nel lago d’Iaeo; il Rodano nel lago Lemauo. Qoesto fiume è di li dall'Alpi, gli altri sono io Italia} e nuotando sopra l’ altre acque, per molte miglia, non ne portan più aeqoa di qoella che vi eondasser den tro. Qoesto medesimo accora e'è visto oellOroote fiome della Soria, e in molti altri. E certi fiumi ancora, che hanno in odi· il mare, entrano sotto i lor fondi, come Arefusa, fonte di Siracusa, nella quale rieaoono le co** gettate nel fiume Alfeo ; il quale correndo per Olimpia, entra nel mare della Morea. Entrano sotterra, e di nuovo escon fuori il fiame Lieo in Asia, 1' Erasino in ArgoHca, il Tigre in Meso potamia. E in Atene quelle cose, che son mese· nel fonte d'Esculapio, riescono nel Falerieo. E nel territorio d'Atina nn fiome entra sotterra, e scorre venti miglia, e dipoi sbocca. Il medesi mo fa il Timavo in qoel d'AqaUeia. Io Asfaltile lago della Giudea, che prodnoo il bilame, tolte le cose che vi ·οη messe stanno a galla ; e il medenaao nelTAretaaa delTAnmaoia maggiore : questo abbonda di nitro, e prodnca
3ι3
HISTORIA RUM MUNDI L1B. II.
(iaci piena·, neqoe exhausti* «qui· miouitur, acque ioftm aofclnr. la Ciconum flamine, et in Piceno lacu Velino lignum dejectum, lapidea cortice obducitur, et in Surio Colchidis fin aline, adeo ai lapidem plerumque duram adhuc iutegat cortex. Similiter in Silaro, ultra Surrentum, non TirfalU modo immersa, retem et folia lapi descunt, alias aalobri poto ejus «qaae. In exitn palad» Reatina· a s m crescit. Et in Rubro aaari oleae, virentesque frutices enascuntur.
Sed et fontium plurimorum natura mira est ìr ik c . Idque etiam in jugia Alpium, ipaoqoe in maxi inter Italiam et Aeuariam, at in Bajana aaaa, et m Liri fluvio, multiaque alii*. Nam dui· eia franato* in aaari plurimis locis, ut ad Chelidooias insolas, et A raduna, et in Gaditano Oceano. Patavinorum aquis calidi· berbae virentes innaseontur : Pisanorum, ranae : ad Velulooios in Etraria non procul a mari, pisces. In Casinate florius appellatur Scatebra, frigidus, abundanlior aestate. In eo, at in Arcadiae Stymphali, enascuntur aquatiles museali. In Dodo·· Jovis foas quum ait gelidas, et immersas face* extingaat, si extinctae admoveantur, aeeendil. Idem meridie semper deficit : qua de causa ’ANnracw· ftf*m vocant. Mox increscens ad medium noctis •xuberat : ab eo rursus sensim defidl. Ia Illyriis sepra foeUm frigidum expansae vestes accendon ter. Jovis Ammoni* stagnum interdiu frigi dum, noctibus fervet. Io Troglodytis fons Solis appellator dulci·, circa meridiem maxime frigi das : mox pauUatim tepescens, ad noctis media fervore et amaritudiae infestatur.
Padi foo» mediis diebus aestivis velut inter quiescens semper aret. In Tenedo insula fona, aaanpcr a tertia aoctis hora iu sextam ab aestivo •ol»litio exundat. Et in Delo insula Inopus fons aodema, quo Nilus, modo, ac pariter cum eo de crescit angeturqne. Contra Timavum amnem ia m l* parva in mari est cum fontibus calidis, qoi pariter con aestu maris crescunt, mieuunturque. In a£ro Pilinale trans Apanninum fluvius Novaan s Manibus solstitiis torrens, bruma siccatur.
I d Falisco omnis aqua pota candidos boves fia d t : ia Boeotia amni* Mela* oves nigras : Ce
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pesei. In terra d'Otranto, appresso a Manduria è un lago pieno sino alle prode, il quale cavan done acqua, non isceroa, e aaetteadovene non cresce. Nel fiume de’ Ciconi e nel Ugo Velino nella Marca, se vi si getta nn legno, fa di fuora una crosta di pietra; e il medesimo ancora nel Surio fiome di Colchide, in modo che spesse volte ancora la corteccia indurando cuopre la pietra. Similmente nel fiume Silari di lì da Sorrento, non solamente i legni massivi dentro, ma le fo glie ancora diventan pietre ; · nondimeno la sna acqua per altro è buona e sana da bere. AITasrila della palude di Rieti crescono i sassi. E nel mar Rosso nascono olivi e molli altri arboscelli. Maravigliosa ancora è la natura di molti fonti per lo bollir che faaeo. E ciò si vede ne* gioghi dell* Alpi e nel mare fra Γ Italia e Ischia, come nel golfo di Posinoli, e nel fiume Gsrigliano a in molti altri. Perciocché in mare in piò laogbi si trovano acque dolci, come nell* isola Chelido nie e Arado, e nel mar di Calia. A’ bagni che sono in quel di Padova, nascono erbe verdi ; a que'di Pisa, ranocchi ; a' Velokmii in Toscana poco discosto dal mare, di pesci. Nel territorio di Catino è un fiume che si chiama Scatebra, freddo, e mollo pieno d'acqaa la stale ; nd qua le, come nello Stiafali d’ Areadia, nascono topo lini d'acqua. Nella selva Dodona di Giove è una fonte gelala, la qaale spegoe lo faceIKoe accese messevi dentro, e s'elle sono spente, ebe vi s'accostino, le raccende. La medesima fonte manca sempre sul mezzogiorno, e perciò si chiama Anapavomenon, cioè riposantesi. Dipoi crescendo sulla mezzanotte trabocca, e di nuovo vien man cando a poco a poco. In Ischiavonia le vesti di stese sopra una fonte fredda s'accendono. La fonie di Giove Ammone di giorno è fredda, e di notte bolle. Nel paese de'Trogloditi è una fonte, che si chiama del Sole, dolce, intorno il mezzogiorno mollo fredda : dipoi a poco a poco intiepidisce, e sulla mezzanotte bolle, e si fa amara. L& fonte del Po di state sol mezzodì, come se si riposasse, è sempre secca. Nell'isola di Te nedo è ona fonte, la qual sempre dalle tre alle sei ore di notte nel solstizio della state trabocca. E nell' isola di Deio è una fonte, che si chiama lnopo, la quale, in quel medesimo cho il fium· Nilo cresce, scema. All' incontro del fiume Ti mavo è ona isolella in mare con fonti caldi, i quali crescono e scemano insieme col mare. Nel territorio Pilinate di là dalTApennino è il fiume Novano, che ne’ sol*li zìi della stata corra grosso, e di verno si secca. Nel paese de'Falisci l’acqua del fiume d i latino bevuta fa i buoi bianchi; in Beozia il
3.5
C. PLINII SECONDI
phissoe ex eodem Ucu profluens, alba· : rorsos nigni Peneus, rufasque juxla lliam Xanthus, aade et nomen amni. In Ponlo fluvios Astaces rigat campos, in quibus pastae nigro lacte equae gentem aloni. In Reatino fona Neminie appella tu·, alio atque alio loco exoritur, annouae muta tionem significans. Brundisii in porta font incor rupta· praestat aquas navigantibus. Lyncestis aqua, quae vocatur acidula, vini modo temulen tos facit. Item in Paphlagonia, et in agro Galeno. In Andro insula templo Liberi patris fontem nonis Januariis semper vini sapore fluere Mu cianus ter cons. credit : Δ/β* Oloioola vocatur. Juxta Nonacrin in Arcadia Slyx, nec odore dif ferens, nec colore, epota iliaco necat. Item in Libroso Taurorum colle tres fontes, sine remedio, sine dolore mortiferi. In Carrineosi Hispaniae •gro doo fontes juxta fluunt, alter omnia re spuens, alter absorbens. In eadem gente alius, aurei coloris omnes ostendit pisces, nihil extra illam aquam ceteris differentes. In Comensi juxta Larium lacum, fons largus, horis singulis semper intumescit ac residet. In Gydonea insula ante Leabon fons calidus, vere tantum fluit. Lacus Sinnaus iu Asia circumnascente absinthio infici tur. Golophone in Apollinis Clarii specu lacuna est, cujus potu mira redduntur oracula, biben tium breviore vita. Amnes retro fluere et nostra vidit aetas, Neronis principis annis supremis, sicnt in rebus ejus retulimus.
Jam omnes fontes aestate quam hieme geli diores esse, quem fallit T Sicut illa permira na turae opera, aes et plumbum in massa mergi, di latata fluitare : ejusdemque ponderis alia sidere, alia invehi. Onera in aqua facilius moveri. Scy rium lapidem quamvis grandem innatare, eumdemque comminutum mergi. Recentia cadavera ad vadum labi, intumescentia attolli. Inania vasa haud facilius, quam plena, extrahi. Pluvias salinis aquas utiliores esse, quam reliquas : nec fieri salem, nisi admixtis dulcibus. Marinas tardius gelare, celerius accendi. Hieme mare calidius esse,
3.6
fiume Mela ià le pecore nere : il Cefiso, ch’esce del medesimo lago, le fa bianche; il Peneo aere; il fiume Xanto, che passa appresso Ilio, rosse, il quale n’ ha perciò preso questo nome. 11 fiume Astace, eh’ è nel paese di Ponto, innaffia le cam pagne, dove le cavalle pasciute, nodrite di latte nero, danno il vitto alle persone. Nd territorio di Rieti ì una fonte, che si chiama Neminia, la quale nasce, quando in nn luogo, e quando in un altro, e con tal mutazione significa ora dorizia, ed or carestia. Nd porto di Brandizzo è oat fonte, onde i naviganti tolgono l’acqua, che non si guasta mai. A Lìncesti è un’ acqua, la qual si chiama addala, che ad uso di vino imbriaca le persooe. Il medesimo è in Paflagonia, e nel paese Caleno. Scrive Moziano, il quale fu tre volte consolo, che nell’ isola d* Andro, nel tem pio di Bacco è una fonte, la quale sempre a* cin que di Gennaio ha sapor di vino : e chiamasi qaesto fonte Dio Teodosia. In Arcadia, appresso a Nonacria è una fonte chiamata Stige, la cui acqua non è punto differente dall’altre, nè di odore, nè di colore ; e nondimeno subito ch’è bevuta uccide altrui. In un poggetto ancora dd paese de’ Tauri, chiamato Libroso, soa tre fonti, senza rimedio, e senza dolore alcuno mor tiferi. In lspagna nd territorio Carrineae cor rono due fonti l’una appresso l’altra ; l'una ri fiuta, ,l’altra inghiottisce ogni cosa. Nel medesi mo paese ve n’ è un’altra, la quale mostra tutti i pesci di color d’oro, i quali fuor di quell'acqua non sono ponto differenti dagli altri. Nd contado di Como sul lago è una fonte larga, che ogni ora cresce e scema. Nell' isola Cidonia dinansi a Lesbo è una fonte calda, la quale corre solamente la primavera. Il Ugo Sinnao in Asia ha l'aeque sue per lo assenzio, che gli nasce attorno, amare. A Colofone nella spelonca d’Apolline CUrio è upa laguna, la cui acqua chi ne bee, maraviglio samente predice le cose avvenire, ma ha corta vita. All’età nostra ancora si son veduti i fiumi correre all’ insà, e dò fu gli ultimi anni d d l' im perio di Nerone, siccome io ho scritto Delie sue istorie. E chi è colui, che non sappia che tutti i fonti son piò freddi la state che il verno ? Siccome è ancora opera mollo meravigliosa della natara, che il rame ed il piombo, quando in massa^ van no a fondo, e fatti in piastra stanno a galla. Ed altre cose del medesimo peso vanoo a fondo, altre stanno di sopra. 1 pesi più facilmente si muovono nell'acqua. Una pietra, che ai chiama Sciria, benché grande sta a nuoto, e quando è falla in pezzi, va sotto. 1 corpi morti di fresco vanno al fondo, e quegli che gonfiano poi, ven gono a gdla. I rasi vuoti pià d iftà la e n te ai
HISTORIARUM MUNDI L1B. 11. 3i8 3*7 •■tamno «alsias. Omne oleo tranquillari. E t ob traggon fuor dell'acqua, che i pieni. L’acque id urinantes ore spargere : quoniam mitiget na che piovono, son pià utili alle saline che Taltre ; taram asperam, lucemque deportet. Nives in alto e non si può fare il sale, se non vi si mescola mari non cadere. Qaam omnis aqua deorsam delPacqaa dolce. L’acqaa del mare più tardi si feratur, exsilire fonte· : atque etiam ia Aetnae raffredda, e piuttosto si scalda. Di verno il mare radiet bos flagrantis in tantam, at qainquageoa et è più caldo, l'autunno è più salso. Ogni mare si ceoleoa millia passaam areoas flammaram globo fa tranquillo per Polio. E perciò coloro che eructet. si tuffano, lo spargono con la bocca, perchè mitiga la natara aspra, e rischiara. La oeve non cade in alto mare. E benché latte Tacque vadano all’ ingiù, nondimeno veggiamo i fiumi salir· iosa : e ancora nelle radici del moote Etna iotaato ardente, che il globo delle fiamme getta Parane cinquanta e cento miglia. tamm
s t a q c a b o m j u h c t a m ib a c o l a .
CV11. lamqne et ignium, qaod est naturae quartam dementnm, reddamaa aliqua miracola. Sed primam ex aquis. D b m a lts a .
CVIII. 104. In Commagenes urbe Samosatis stagnum esi, emittens limam (maltham vocant ) flagrantem. Quum qaid attigit solidi, adbaeret: praeterea tacta aeqaitar fugientes. Sic defendere moros oppugnante Lucullo : flagnbatque miles armis mia. Aquis etiam accenditur. Terra tantum restingui docuere experimenta.
Da i a v b t i a . CIX. io 5. Similis est natura naphthae: ita appellator circa Babylonem, et in Astacenis Par thiae, profluens, bituminis liquidi modo. Huic magna cognatio igniam, transilinntqae protiaas in eam undecumque visam. Ita ferant a Medea pellicem crematam, postqoam sacrificatura ad ara· accesserat, corona igne rapta.
Q
u a s loca
su ra s
asd bah t.
CX. 106. Veram in montiam miracoli·, ardet Aetna noctibus semper, tantoque aevo ignium materia «afficit, nivalis hibernis temporibus, egeatnmqne cinerem pruini· operiens. Nec in illo tantam natura sa erit, exustionem terri· denun tians. Flagrat in Phaselide mons Chimaera, et quidem immortali diebns ac noctibus flamma. Ignem ejus accendi aqua, exstingui vero terra, aat feno, .Cnidina Ctesias tradit. Eadem in Lycia
M ix a c o l i
d b l fuo co b m l l
* a c q u a c o a o im m .
CV1I. Racconteremo anoora alcuni miracoli del fuoco, il quale è il quarto elemento della na tura. E prima dell* acque. D blla
ia
^t a .
CV1I1. 104. In Samosata d iti ddla Sonai ano slagno, che manda fuori una belletta arden te, la qual si chiama malta, che quando toooa alcuna cosa soda, · ’ attacca ; e il tatto seguita quei che fuggono. Con questa difesero le lor mura contra l* esercito di Lucullo, dove i soldati arde vano nelle proprie armi. S’ accende ancora con Ρ acqua, e per la prova s* è visto, che solo si spegne con la terra. D blla
n afta.
CIX. io5. Della medesima natura è la nafta : così si chiama intorno a Babilonia, e nel paese degli Astaceni popoli della Partia uno umore, che scorre a modo di liquido bitume. Qaesto amore si confa talmente col faoco, che subito vi s1 appicca, comunque lo vede. Così si dice che Medea abbrunò Creusa poich'ella andò a far •acrifido all' altare, essendosi appiccato il fuoco nella corona, che aveva in capo. D b* LUOGHI, CHS sbm pbs a e d o h o .
CX. 106. Ma ne* miracoli de* monti, Etna arde sempre la notte ; e per tanto tempo non è mancata ancora la materia al fuoco, benché a ll verno si ricuopra di neve, e la cenere mandata fuora sia coperta dalle brinate. Nè solo in questo monte infuria la nalura, minaedando arsura alla terra. Arde in Fasda il monte Chimera, e vera mente d* un fuoco, che dura lutto il giorno, e la nette. Scrive Ctesia da Guido, che il fuoco d* esae
C. PL1NU SECONDI
3*9
Hephaettii monte·, tieda fiammante lacti, flagrant adeo, ut lapidat quoque ri torum, et arenae in iptit aqui* ardeant : alilorque igni· iUe pluviis. Bacalo si qai· ex iis accento traxerit sulcos, rivo· igniam aequi narrant. Flagrat in Bactria Cophauli noctibus vertex. Flagrat in Medis, et Stilacene, confinio Persidi·: Sosi· quidem ad Torrim albam, e xv camini·, maximo eorum et interdiu. Campus Babyloniae flagrat, quadam velali piscina jugeri magnitudine. Item Aelhiopum juxta Heaperium montem, stellarum modo campi noeta nitent. Similiter in Megdopolitanorum agro: tametsi internus sit ille, jucundas, frondemque deosi supra se nemoris non adureos. Et juxta gelidum fontem semper arden· Nym phe* crater dira ApotlonialU suis portendit, ut Theopompu· tradidit. Augetur imbribus, egeritque bitumen, temperandum fonte illo ingustabili : alias omni bilomine dilutius. Sed qui» baec mi retur ? in medio mari Hiera inaula Aeolia juxta Italiam cum ipso mari arsit per aliquot dies sociali bello, donec legatio senatus piavit. Maximo tamen ardet incendio Theon Oshema dictum, Aethiopum jugum, torrentesque solis ardoribus flammas egerit. Tot loci·, tot incendiis rerum natura terra· cremat.
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CX1. 107. Praeterea quum ait boja· unius dementi ralio fecuuda, aeque ipsa pariat, et mi nimi· oreteat scintillis, quid fore potandone eat io tot rogU terrae f Quae est illa natora, quae voracitatem in toto mundo avidissimam sine damno sui pascit f Addantur iis sidera innumera, ingensquesol. Addantur humani ignea, el lapidum quoque insiti natorae, attrita inter se ligna, jam nubium et origines fulminum. Excedit profecto omnia miracula ullum diem fuisse, quo non cuncta conflagrarent : qaam specula qaoqae con cava adversa solis radiis facilius etiam accendant, quam «Ilus alius ignis. Quid quod ionumerabiles parvi, sed naturales scatent f In Nymphe· exit e petra flamma, qoae pluviis accenditur. Exit et ad aquas Scantias. Haec qaidem invalida, qoom transit, oec longe in alia materia duraus. Viret «eterno bone fontem ifoèam contegens fraxino·.
Sto
s’ accende con l ' acqua, e si spegno con I· terra, o ool fieno. Nella medesima Licia sono i monti Efeslii, i quali quando son tocchi con fiaccole ar denti, s'accendono in modo, che inmio alle pietre e l'arene de’ ri vi ardono nell’acque; e qnd fuoco si mantien con le piogge. Se alcuno con una massa di qael fuoco facesse solchi, dicono che rimango no rivi di fuoco. Nd paese dei Battriani arde di notte la dota del monte Cofanto. Il medesimo avviefie in Media e nella Stilacene a’ confini di Persia : e in Susia alla Torre bianca, de* quindid camini, dal maggior d’ essi, e di giorno. Un cam po di Babilonia arde per ispazio d* un iugero, di maniera che pare un vivaio di fuoco. Le campa gne anco degli Etiopi appresso il monte Esperio ardono la notte a uso di tulle. E sirailnaeale nel paese di Megalopoli, benché sia giocondo di den tro, e non arda le frondi dd boaeo folto sopra di sé, sempre arde pretao a on fonte d1 acqua fred dissima. Scrive Teopompo, che in Apollonàa i un* acqua chiamata la tasta di Ninfeo, che pro dice le loro sciagure agli Apolloniati. Questa acqua cresce per te piogge, e manda fuori bitu me, e temperasi con l'acqua dd medesimo fonte, che non si può gustare ; altrimenti più liquido d* ogni bitume. Ma chi si farà maraviglia di gas ale cose ? lera una dell’ isole Eolie appresso P Ita lia insieme col mare arse per alcani giorni nella guerra sodale, infin che'gli ambasdadori Romani ebbero placati gli dd co' sacrifidi. Arde nondi meno con grandissimo iocendio on monte in Etiopia detto Theon Ochema, e per gli ardori del sole manda fuori cocentissime fiamme. E cosi in tanti luoghi, e con tanti incendii la natara arde la terra. Miracoli dbl rooco 01 m
si.
CX1. 107. d ira di ciò eaaando la oondizieoe di qoesto elemento feconda, in maniera eh· par torisce sé stesso, e cresce per piccolissime scin tille, che cosa è de pensare, che abbia a estere in tanti luoghi ardenti ddla terra ? Quale è quella natura, che senza suo danno pasca una voracità ingordissima in tutto il mondo ? Aggiungane a questi fuochi innumerabili stelle, e qoegli ancora che per natura sono rinchiusi nelle pietre, quegli che ai fanno oon lo stropicciare due legni insie me ; e quei de' nugoli, e ddle saette. Certo che questo è il maggior miracolo del mondo, cobo» non tia stato qualche dì, nel quale sieno arac lat te le cose ; poiché fino agli tpecchi concavi posti contra a' raggi del tole, più facilmente s* aooomdono, eh'alcuno altro fuoco. Che direaao a o i aneora degli infiniti pioooli, ma naturali fuochi, die sorgono f In Ninfeo esce de una pietre ea a
HISTORIARUM MUNDI L1B. II. Exit io Mutinensi agro statis Vulcano diebus. Reperita* «pad auctores, subjectis Ariciae arvis, ή carbo deciderit, ardere terram. Ia agro Sabino et Sidicino unctum flagrare lapidem. In Salentino oppido Egnatia, imposito ligno in saxum quoddam ibi sacrum, protinus flammam exsistere. In Laciniae Junonis ara sub dio sita, cinerem immo bilem esae, perflantibus undique procellis.
Quia el Kpenlinos exsistere ignes, et iu aquis, et in corporibus etiam humanis. Trasymenum lacum ararne lotum : Servio Tullio dormienti in pueritia, ex capile flammam emicuisse : L. Marcio in flispaaia interemptis Scipionibus condonanti, et milites ad ultionem exbortanli, arsisse simili modo, Valerio* An lias narrat. Plura mox et distinctius, nunc eoim quadam mixtura rerum oaaaium exhibeatur miracula. Verato egressa mens interpretationem natnrae, festinat legen tium animos per totom orbem velut manu ducere.
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CXII. 108. Pars nostra terrarum, de qua memoro, ambienti (ut dictum est) Oceano velut innatans, longissime ab ortu ad occasura patet, hoc est, ab India ad Herculis columnas Gadibus meratas, ocluagies quinquies cenlena septuaginta odo mill. past. ut Artemidoro auctori placet. Ut vero lsidoro, nonagies octies centena et xvm m ill. Artemidorus adjicit amplius, a Gadibus circuita sacri promontorii ad promontorium Arlabrom, quo longissime frons procurat Hispa niae, ncccxa. Id mensurae duplici currit via. A Gange amne oatioque ejus, quo se in Eoum Oceanum effundit, per Indiam Parlhienenque ad Myriandrura ur bem Syriae in Issico sinu positam, quinquagies bis centena xv mill. pass. Inde proxima naviga· tione Cyprum insulam, Patara Lyciae, Rhodum, Astypalaeam in Carpathio mari insolas, Laconicae Taenarum, Lilybaeum Siciliae,CalarimSardiniae, tricie» quater centena el quinquaginta mill. pass. D eioJe Gades qualuordecics cenlena cl quinqua-
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fiamma, che s* accende con l’ acqua. Escene an cora a uo luogo, che si chiama Γ acque Scauci·. Ben' è vero, che quando questa fiamma passa, i debole, e poco dura in altra materia. Sopra di questo foote di fuoco è un frassino, il quale sla sempre verde. Nel contado di Modena sorge fuoco in certi giorni ordinati a Vulcano. Trovasi ap presso gli autori, come nelle campagne dell1 Aric cia se un carbone cadde in terra, l'abbrucia. Nel territorio della Sabina, e nel Sidicino le pie tre unte s'avvampano. In Egoazia città della Ca labria se si pone legbo sopra un sasso consacrato in quel luogo, subito n’ esce la fiamma. Nell'altare di Giunone Lacinia, la quale è allo scoperto, la cenere non si muove, ancorché sia gran furia di vento. E di pià nell'acque nascono fuochi repentini, e ne'corpi umani ancora. Scrive Valerio Anziale, che il Iago di Perugia arse già tulio, e sopra il capo di Servio Tullio, dormendo in fanciullezza, si vide una fiamma : e che similmente parlamen tando Lucio Ùarcio a' soldati in Ispagna dopo che furono morti i due Scipioni, e confortando gli alla vendetta, se gli vide fuoco intorno al capo. Ma poco pià di sotto diremo altre cose, e più distintamente ; perciocché ora ragioniamo così alla rinfusa di molli miracoli della natura. Ora poi che la mente è di già oscita della inter pretazione della natura, dia s* affretta a condur re gli animi de' lettori per tutto il mondo, come per mano. M is u r a
d i t u t t a la t e r r a .
CX1I. 108. La nostra parte della terra, di cui io tratto, la qual, come s 'é detto, è circondala da mare, e quasi vi nuota per entro, è molto lunga da levante a ponente, cioè, dall* India alle colonne d'Èrcole consacrate in Caliz, ottantacinque centinaia e seltanlaotto mila passi, come scrive Artemidoro. Ma secondo Isidoro, novantaollo centinaia, e diciotto mila. Artemidoro v'aggiuoge di pià, da Caliz col circuito dd sacro promontorio al promontorio Artabro, dove la fronte della Spagna più ή distende, ottocento novantaono mila passi. Questa misura corre per doppia via. Dal fiu me Gange, e dalla foce d 'esso, dove egli mette nel mare Orientale, per l ' India e per la Parliene a Miriandro città della Soria, posta nel golfo di Laiazzo, cinquantadue centinaia, e quindici mila passi. Di quivi per la prossima naviga· zione nell'isola di Cipri, Patara di Licia, Rodi, e Aslipalea isole del mar Carpazio, Tenaro di Lacedemonia, Lilibeo di Sicilia, Cagliari di Sardigua, trentaqualtro centinda, e cinquanta
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G. PLINII SECUNDI
(iota mill. pus. Quae mensura universa ab eo mari efficit octuagies quinquies centena, l i x v i i i mill. pass. Alia via, quae certior, ilinere terreno ma xime palei, a Gange ad Euphratem amnem quin quagies centena mill. pass. et xxi. Inde Cappado ciae Mazaca, cc m x u t . Inde per Phrygiam, Cariam t Ephesum, cccc ■ xcvm ; ab Epheso per Aegaeum pelagus Delum, cc. Isthmum, ccxn. Inde terra, et Lechaico mari, et Corinthiaco sinu Patras Peloponnesi, c c ii m quingenti . Leuca dem l x x x vi millia quingenti: Corcyram totidem : Acroceraunia cxxxu millia quingenti :Brundisium l x x x t i millia quingenti : Romam ccc i lx. Alpes usque ad Cingomagum vicum d x v i i i . Per Galliam ad Pyrenaeos montes 1Iliberi m quiogenla quinquaginta sex mill. Ad Oceanum el Hispaniae oram cccxxxu. Trajectu Gadis vu millia quiagenti, Quae mensura Artemidori ratione efficit octuagies sexies centena l x x x v .
Latitudo anlem terrae a meridiano situ ad se ptemtrionem, dimidio fere minor colligitur, qua dragies quater centena xc millia. Quo palam fit, quantum et hinc vapor abstulerit, et illinc rigor. Neque enim deesse arbitror terris, aut non esse globi formam: sed inhabitabilia utrimque incom perta esse. Haec mensura currit a litore Aethio pici Oceani, qua modo habitatur, ad Meroen d l mill. Inde Alexandriam, duodecies centena millia qninqoaginta.Rhodum, o l x x x u i . Cnidum, l x x x i v millia quingenti. Con,xxv millia. Samum, c mill. Chium, l x x x i v millia. Mitylenen, l x v millia. Tenedon, xxvm millia. Sigeum promonto rium, xn millia quingenti. Os Ponti, cccxn millia quingenti. Carambin promontorium, c c c l . Os Maeotidis, cccxu mill. quingenti. Ostium Tanais, c c l x v mill. qui cursus compendiis maris brevior fieri potest, l x x x i x mill. Ab ostio Tanais nihil modicum diligentissimi auctores fecere : Artemi dorus ulteriora incomperta existimavit, quum circa Tanaim Sarmatarum gentes degere faleratar ad septemtriones versas. Isidorus adjecit duodecies centena millia quinquaginta, usque ad Thulen, quae conjectura divinationis est. Ego non mino· re, quam proxime dicto spatio Sarmatarum fines nosci iutelligo. At alioquin quantum esse debet, quod innumerabiles gentes subinde sedem mutan tes capiat ? Unde ulteriorem mensuram inhabita bilis plagae, mullo esse majorem arbitror. Nam
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mila passi. E di quivi a Caliz quattordici centi naia, e cinquanta mila passi. La qual misura dal mare Orientale fa la somma d’ollantacinque cen tinaia, e sellantaotlo mila passi. L 'altra via, la quale è pià certa, va per terra con più certo viaggio, dal Gange al fiume Eufrate cinquanta centinaia, e venliuno mila passi. Di quivi a Mazaca di Cappadocia dugento mila quaranta quattro. Di quivi per la Frigia, Caria, Efeso quattrocento mila passi, uovantaotto. Da Efeso per Γ Arcipelago a Deio dugento mila. Al· P Istmo dugento dodici mila. Dipoi per terra, e per lo mar Laconico, e per lo golfo di Corinto a Patrasso della Morea, dugento due milacinquecenlo : a Leucade, altrimenti Santa Maura, ottantaselte mila cinquecento : a Corfù altrettanto : alle montagne della Cimerà centotrentadue mila cinquecento : insino a Brìndisi ottantaselte mila cinquecento: insino a Roma tre cento mila sessanta. Alle Alpi insino al villaggio di Cingomago cinquecento diciottomila. Per la Francia ai monti Pirenei e Illiberi cinquecento cinquantasei mila. Insino alP Oceano e fine della Spagna trecento irentadue mila. E nel tragetto di Caliz sette mila cinquecento. La qual misura, secondo che scrive Artemidoro, fa ottanlasei centinaia, e ottanlacinque mila passi. Ma la latitudine della terra dal sito di mezzo giorno a tramontana è quasi la metà meno, cioè cinquantaquallro centinaia, e sessaoladue mila passi. E quinci si conosce quaata da questa parte abbia tollo il caldo, e da quella il freddo. Perchè 10 non penso, che alla terra manchi, o non abbia forma rotonda, ma i luoghi inabitabili dell’ una e dell'altra parte ci sono incogniti. Questa misura corre dalla riviera del mar d'Etiopia, dove è ora abitala, fino a Meroe cinquecento cinquanta mila passi. Di là fino in Alessandriai dodici centinaia di migliaia, e mille cinquecento. A Rodi cinquecento ottantatrì migliaia. Insino alP isola di Gnido otlantaquattro mila cinque cento. Insino a Coo venticinque mila. A Samo centomila. A Scio otlantaquattro mila. A Melelino sessantacinque mila. A Tenedo ventiotlo mila. Al promontorio Sigeo dodici mila cinquecento. Alla bocca del Ponto trecento dodici mila cinquecen to. Al promontorio di Carambi trecento cin quanta mila. Alla foce della palude Meotide trecento dodici mila cinquecento. Alla foce del Taoai dugento sessantacinque mila. 11 quel viag gio per tragalti di mare si può far pià breve otlantanove mila. Dalla foce del Tanai in là ì diligentissimi autori non vi fecer nulla. E Arte midoro fu d 'opinione,' che pià là non si avesse cognizione, ancora che ei confessasse, cbe circa 11 fiume Tanai abitassero i popoli Sarmati verso
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HISTORIARUM MUNDI LIB. II.
et a Germania immensas insulas non pridem compertas, cognitum habeo.
De longitudine ac latitudine haec suoi, qaae digna memorata patem. Universum autem hunc circuitum Eratosthenes io omnium quidem literarum subtilitate, et in hac uliqae praeler ceteros solerà, quem cunctis probari video, ducentorum quinquaginta duorum millium stadium prodidit. Qaae mensura Romana computatione efficit tre centies quindecies centena millia pass. Improbam ausum : feram ita subtili argumentatione com prehensum, ut pudeat non credere. Hipparchus et in coarguendo eo, et in reliqua omoi diligentia ruirus, adjicit stadiorum paullo minus ix t millia.
109. Alia Dionysodoro fides : neque enim subtraham exemplam vanitatisGraecae maximum. Melius hic fuit, geometrica scientia nobilis. Sene cta diem obiit in patria. Funus duxere ei propin quae, ad quas pertinebat hereditas. Eae, quum secutis diebus justa peragerent, invenisse dican tur in sepulcro epistolam Dionysodori nomine ad superos scriptam : u Pervenisse eum a sepulcro ad infimam terram, esseque eo stadiorum qua draginta duo millia, » Nec defuere geometrae, qui interpretarentur, significare epistolam, a medio terrarum orbe missam, quo deorsam ab sommo longissimum esset spatium, et idem pilae medium. Ex quo consecuta computatio est, ut circuita esse duoenta quinquaginta quinque mil lia stadiorum pronunciareut.
H
arm onica m ondi r a t io .
CXIII. Harmonica ratio, quae cogit rerum naturam sibi ipsam congruere, addit huic mensu rae stadia vn millia : terramque nonagesimam sextam millesimam totius mundi partem facit.
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settentrione. Isidoro v'aggiunse dodici ceatinaia di migliaia, e cinquanta mila passi insino a Tuie, la qual cosa è piuttosto congettura d 'indovinarione. Io non con miaore spazio di quel poco fa si è detto penso che sieno i confini dei Sarraati. E veramente che debbe esser grandissimo, poi che è capace d’ innumerabili genti, le quali di continoo mulaoo abitazione. Onde io mi do a credere, che la misura, la quale si distende più oltre della parte, che non si abita, sia mollo maggiore. Perciò che io odo dire che dalla parte di Lamagna sono grandissime isole per addietro non conosciute. Quanto dunque alla longitudine, e alla latitu dine questo è quello, che mi par degno di con siderazione. Ed Eratoslene in ogni sottilità di lettere, e in questa certamente oltre agli altri acutissimo, il quale io veggo essere da tutti approvato, scrisse, che tutto questo circuito è di dugento cinquantadue mila stadii. La qual misura secondo il conto Romano fa trecentoquindici centinaia di miglia. Troppo ardita presunzione in vero ; nondimeno con si sottil conto compresa, che vergogna sarebbe non crederlo. Ma Ipparoo, il quale e in correggere quello, e in ogni altra diligenza fu uomo meraviglioso, v'aggiunse poco meno di venticinque mila stadii. 109. Altra fede è quella che si dà a Dionisodoro : e certo eh' io non voglio passare uu grandissimo esempio della vanità Greca. Costui fu Candiotto, e molto famoso geometra, e mori vecchio nella sua patria. Gli fu fatto il mortorio da alcaoe donne sae parenti, alle quali apparte neva l ' eredità di lui. Queste donne dopo alcani gioroi essendo ite a fargli certi rinovali, dicesi, che trovarono nella sepoltura una lettera scritta in nome di Dionisodoro agli uomini di questo mondo, u Come egli era giuntp dal sepolcro al centro della terra, e che v' era di spazio quaran tadue mila stadii, n E n furono certi geometri, i quali interpretano che la lettera era stata man data dal mezzo tondo della terra, per lo quale dalla sommità in giù il lunghissimo spazio è il medesimo mezzo della palla. Oade ne segue il conto, e dissero, eh* ella è per circuito dugento cinquantacinque mila stadii. R a g io n e
arm onica d e l mondo .
CX11I. L'armonica ragione, la qual costrigne essa natura delle cose avere vera proporzione con sè stessa, aggiogne a questa misura sette mila stadii, e fa la terra essere la novantesima sesta millesima parte di tatto il mondo.
C. 1’LIINU SECUNDI H IS T O R IA R U M MUNDI LIBER III SITUS, GENTES, MARIA, OPPIDA, PORTUS, MONTES, FLUMINA, MENSURAE, POPULI QUI SUNT AUT FUERUNT.
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* E c b o f a b m UfflVBBSUM F i n i a c sib u s p b a b m it t u b t u b . *
I. Prooemium. Bactenut de sita et miraculis terrae aquarumque et siderum, ac ratione uni versitatis, atqoe mensura. None de partibas: quamquam infinitum id quoque existimator, nee temeresine aliqua reprehensioue tractatam; haod ullo in genere venia justiore, si modo minime miram esi hominem genitam non omnia hamana novisse. Quapropter auctorem neminem unum sequar ; sed nt quemque verissimam in qaaque parte arbitrabor: quoniam commane ferme omni bus fuit, at eos qaisqae diligentissime sitas dice ret, in qaibas ipse prodebai : ideo nec culpabo, aat coargaam qaemqaam. Locornm noda nomi na, et quanta dabitur brevitate ponentur, clari tate causisqne dilatit in suat partet : nunc enim sermo de toto est. Quare sic accipi velim, ut si vidaa fama eoa nomina, qualia fuere primordio ante res ollas gestas, nnneapentar; et sit quae dam in bit nomenclatura quidem, sed mundi rerumque natarae.
Terrarum orbis universas in tres dividitur
P bbm btto h si
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I CONFINI
b i sbm
F .u b o p a .
1. Jntino a qui noi abbiamo ragionato del tito e de'miracoli della terra, dell'acqua, e delle stelle, e della ragione e misura di tatto il mondo. Ora ragioneremo delle parti, benché qaesto aocora sia giudicato cosa infinita, né senza qualche ri prensione presonluosamente trattata. Né però in alcuna qualità di cose è più giusta la scusa, se pare non è maraviglia che l ' uomo non sappia tutte le cose del mondo. Però non seguirò io alcun autor solo, ma secondo eh* io giudicherò ciatcuno in ogni parte esser veritiero. Percioc ché è stato quasi cornane a tatti, che ciascuno diligentissimamente conosca quei siti dove è na to, e per qaesto io non tasserò, né riprenderò persona. Metterannosi i nomi ignudi, e con quella maggior brevità, che sarà possibile, riser bando la chiarezza, e le cause a* suoi luoghi ; perché ora s 'ha a parlar del tatto. E però vor rei che così t ' intendesse, che i nomi de’ luoghi t ' hanno a por vedovi d'ogni fama, quali farono da prima, avanti che ti facette cosa alcuna. Ab biano dunque essi certo nome, ma come del mondo, e della nalura delle cote. Tutto il mondo é divito in tre parti, Europa,
C. PLINII SECONDI
33*
partes, Europam, Asiam, Africa·. Origo, ab occasu solis ei Gaditano freto, qoa irrumpens Oceanus Atlanticus in maria interiora diffunditur. Hinc intranti dextra Africa est, laeva Europa : inter has Asia. Termini, amnes Tanais et Nilus. Quindecim ■pass, in longitudinem, quas dixi mus, fauces Oceani patenl, quinque n in latitudinem, a vico Mellaria Hispaniae ad promonto rium Africae Album, auctore Turrajiio Gracili juxta genito. 1'. Livius, ac Nepos Cornelius lati tudinis tradiderunt, ubi minus; vu m. pass., ubi vero plurimum, x m . Tam modico ore tam im mensa aequorum vastitas panditur. Nec profunda altitudo miraculum minuit. Frequentes quippe taeniae candicantis vadi carinas territant. Qua de causa Limen interni maris multi eum locum ap pellavere. Proximis autem faucibus utrimque im positi montes coercent claustra. Abyla Africae, Europae Calpe, laborum Herculis metae. Quam ob causam indigenae columnas ejus dei vacant, creduntque perfossas exclusa antea admisisse ma ria, et rerum naturae mutasse faciem.
Asia edj Africa, L'origUje da ponente, e dallo stretto di Gibilterra, per jlove entrando il mare Atlantico, si diffonde ne’mari mediterranei. Chi entra dunque di qui ha Γ Africa da man ritta, e da man manca P Europa : fra queste due è l'Asia. I termini sono due dami, cioè la Tan^ed il Nilo. Lo stretto dell*Oceano, che poco avanti dicem mo, è luogo quindici migtia, e largo cinque, da Mellara, castello di Spagna, instno ad Albo, pro montorio d’ Africa, secondo che scrive Turranio Gracile, il quale nacque quivi appresso. T. Li vio e Cornelio Nipote scrissero, che la larghezza sua dove è manco, è sette miglia, e dove è più, dieci. E per così piccola bocca, entra sì smisu rata grandezza di mari. Nè la profonda altezza scema punto la maraviglia. ^Perchè le molle pie tre acute dal fondo, che biancheggia, spaventano i navili. E per questa cagione molti chiamarono quel luogo la soglia del mar Mediterraneo. Que sto stretto è fra due monti, Abila in Africa, e Calpe in Europa, ultimi termini delle fatiche d'Èrcole. Per la qual cosa gli uomini del paese le chiamano le colonne di quel dio, e tengono ch'essendo rotto, egli vi facesse entrare il mare, che prima non v'entrava, e così si mutasse aspetto alla natura delle cose. 1. Primum ergo de Europa altrice victoris Parleremo dunque prima dell* Europa, noomnium gentinm populi, longeqne terrarum pul drice del popolo vittorioso di tutte le nazioni, e cherrima, quam plerique merito non tertiam bellissima sopra tutte le terre del mondo ; U portionem fecere, verum aequam ; in duas partes, quale da molli, e certo « gran ragione, è stata ab amne Tanai ad Gaditanum fretum, universo fatta la terza parte, n a pari a tutto il resto, orbe diviso. Oceanus hoc, quod dictum est, spatio divìdendo tutto il mondo in due parti dal fiume Atlanticum mare infundens, et avido meatu, della Tana allo stretto di Gibilterra. L'Oceano tertas, quaecumque venientem expavere, demer entrando per questo spazio, eh1 è detto mure gens ; resistentes quoque flexuoso litorum anfra Atlantico, e con ingordo discorso le terre, che cta lambit : Eoropam vel maxime recessibus ebber paura d’ esso, sommergendo ; e quelle che erebris excavans : aed in quatoor praecipuos fecero resistenza ancora con tortuosi liti va tinus. Quorum primus a Calpe Hispaniae extimo leccando. Ma soprattutto co' suoi spessi ricetti, (nt dictum est) monte, Locros et Brutium usque ▼a come incavando l ' Europa ; e quattro sono i golfi principali, il primo de’ qoali da Calpe, promontorium immenso ambitu flectitur. ultimo monte della Spagna, come s’ è detto, con un grandissimo giro si distende fino a Locri, e in Cnlabria. Τ
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H is f m u i
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Poi
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Spagiu.
II. In eo prima Hispania terrarum est ulterior II. In esso è la Spagna ulteriore, come la appellata, eadem Baetica. Mox a fine tingitano prima parte del mondo, e per altro nome Betka. citerior, eademque Tarraconensis ad Pyrenea Dipoi dopo il confine Urgitano, è la Spagna juga. Ulterior in duas, per longitudinem, pro citeriore, la quale si chiama anco Tarragonese, vincias dividitur. Si quidem Baeticae latere se- instno a' monti Pirenei. La ulteriore si divide ptemtrionali praetenditur Lusitania, amne Ana in due province per la lunghezza. P erciocché discreta. Ortus hic Laminitano agro citerioris •dal lato settentrionale della Betica si distende Hispaniae, et modo se in stagna fundens, modo la Lusitania, separata dal fiume Ana. Questo in angustias resorbens, aut ia totum caniculis fiume nascendo nel territorio Laminitano della eondens, ct saepius nasci gaudens, in Atlanticum Spagna citeriore, ora spargendosi in istagni, ora
HISTORIARUM MUNDI LIB. 111.
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Oceanum effunditur. Tarraconensis autem affixa Pyrenaeo, totoque ejus latere decurrens, et simul ad Gallicum Oceanum Iberico a mari transversa se pandens, Solorio monte, et Oretanis jugis, Carpetanisque, et Asturum, a Baetica atque Lusitania distinguitur.
ritirandosi in stretture, o nascondendosi in tolto sotterra, e spesse volte allegrandosi di nascere, entra nel mare Atlantico. Ma la Tarraconese, la quale è da un lato congiunta col Pireneo, e tra scorre per tutta la sua costiera, e infine »1 mar di Francia dal mar di Spagna si mostra per traverso, il monte Solorio, e i gioghi Oretani, e quelli d 'Austria la dividono dalla Betica e dal la Lusilania.
B a b t ic a b .
D e l l a B b t ic a .
HI. Belica, a flumine eam mediam secante cognominala, cunotas provinciarum di vite cnltu, et quodam fertili ac peculiari nitore praecedit. Juridici conventas ei quatuor, Gaditanus, Cordu· bea», Astigitanus, Hispalensis. Oppida omnia numero c l x x v . In iis coloniae v n , municipia v m . Lalioantiquitus donata xxtx, liberiate vi, foede re j i , stipendiaria cxx. Ex his digna memoratu, aut Latiali sermone dictu facilia, a flamine Ana, li* lore Oceani, oppidum Ossonoba, Lustoria eogno* minatam: Interfluentes,Luxie, et Urium. Ariani montes: Baetis fluvios: Litus Corense inflexo sinu; cujus exadverso Gades, inter insulas di cendae. Promontorium Junonis, Portus Baesippo. Oppida : Belon, Mellaria : fretum ex Atlantico mari. Carteja, Tartesso* a Graecis dicta. Mons Calpe. Dòn litore interno oppidum Barbesula cum fluvio. Item Salduba oppidum, Suel MalacKa cum flavio foedaralorum.DeinMenobacum fluvio. Sexifirraum cognomine Julium, Selambins, Ab dera. Margis Baeticae finis Oram eam universam origiais Poenorum existimavit M. Agrippa. Ab Ana autem Atlantico Oceano obversa Bastulorum Tardulorumque est. In universam Hispaniam M. Varro pervenisse lberos, el Persas, et Phoe nica*, Cellasque, et Poenos tradit. Lusum enim Liberi patris, aut Lyssam cum eo bacchaolium nomen dedisse Lusitaniae, et Pana praefectum ejus universae. Atque de Hercule ac Pyrene, vel Saturno traduntur, fabulosa in primis arbitror.
Baetis in Tarraconensis provinciae, non ut aliqui dixere, Mentesa oppido, sed Tygiensi exo riens saltu, juxta quem Tader fluvius, qui Car thaginiensem agrum rigat, llorci refugit Scipio nis rogaro : versasque in occasum, Oceanum At lanticam provinciam adoptans petit, modicus pri mo, sed mullorum fluminum capax, qaibus ipse famam aquasque aufert. Baeticae primum ab Os·
111. La Betica, la quale è così chiamala dal fiume Beli, che va per mezzo, avanza tutte le altre provioce di ricchezze, e di pompa, e d’ aa certo e peculiare splendore. Ella ha quattro raunauze, dove si rende ragione, ciò sono Caliz, Cordova, Astigilta, e Siviglia. Le città sono in lutto cento seltantacinque. Fra le quali sono otto colonie, otto municipii, e venti nove che hanno i privilegii del Lazio anticamente donatigli; e sei, le quali soa libere, due confederate, e cento venti tributarie. Fra queste, quelle che sono de· gne di memoria, o più facili a dirsi in lingua Latina, comincierò dal fiume Ana : lungo il lilo del mare è la città delta Ossonoba, cognominala Losturia. I fiumi vicini Lussia, e Urio. 1 monti Ariani. 11 fiume Beti U lito Corense in golfo ri piegalo, a dirimpetto del quale è Caliz, la quale si può contare fra 1* isole. Il promontorio di Giu none, il porlo Besippo. Le città Belone e Mellara. Lo stretto dal mare Atlantico. Carteia, detta dai Greci Tartesso. Il monte Calpe. Dipoi bel lito piò addentro la città di Barbasela insieme col fiome. E ancora la città di Salduba, Suel Malaca, col fiume de’confederali. Dipoi Menoba col fiume Sessifirmo, cognominato Giulio, Selambina e Abdera. Murgi confine della Betica. Fu di parere M. Agrippa, che tulta quella contra avesse avuto origine da' Cartaginesi. Ma da Ana verso il mar delle cannarie, tutto è de Basluli, e de* Tur doli. Scrive M. Varrone, che gl’ lberi, i Persiani, i Fenici, i Celti e i Cartagine*! vennero in tulta la Spagna. E che il Luso di Bacco, e Lissa, che con lui beccava, diedero il nome alla Lusilania, e Pa na suo governatore a tutto il paese. Ma io credo bene che quanto si ragiona di Ercole, c di Pire ne, e di Saturno, sia tutto favola. Il fiume Beli, il qual nasce nella provincia Tarraconese, non come dissero alcuni appresso alla città di Mentesa, ma nel monte Tigiense, ap presso il quale il fiume Tader, che bagna il ter ritorio di Cartagine, e fugge ratio la sepoltura di Scipione, e voltando verso ponente, ne va nel mare Atlantico adottandola provincia; piccolo I da principio, ma poi riceve in sè molli fiumi, ai
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G PUNII SECONDI
sigitauia Infusus, amoeno blandus alveo crebris dextrae laevaque accolitur oppidis.
Celeberrima inter hunc et Oceani oram in mediterraneo Segeda, quae Augurine cognomi natur : Julia, quae Fidentia : Virgao, quae Alba : Ebnra, quae Cerealis : Iliberi, quod Liberini : llipula, quae Laus: Artigi, quod Julienses: Ve sci, quod Faventia: Singilia, Hegua, Arialdunum, Agla minor, Baebro, Castravinaria, Episibrium, Hippo nova, Ilurco, Osca, Escua, Succubo, Nuditanum, Tacci vetus, omnia Bastetaniae vergen tis ad mare. Conventus vero Cordubensis circa flumen ipsum Ossigi, quod cognominatur Laco nicum : Iliturgi, quod Forum Julium : Ipasturgi, quod Triumphale : Satia, et xiv ■passuum re motum in mediterraneo Obulco, qood Pontificense appellatur. Mox Ripepora foederatorum, Sacili, Martialium Onoba. Et dextra Corduba, colonia Patricia cognomine: inde primum na vigabili Baeti. Oppida : Carbulo, Decuma : fluvius singulis eodem Baetis latere incidens. Oppida Hispalensis conventus : Celliaca, Vacamana, Evia, Uipa cognomine Italica. Et a lae va, Hispalis colonia, cognomine Romulensis. Ex adverso oppidum Osset, quod cognominatur Jolia Constantia : Vergentum, quod Julii genitor, Hip po, Caurasiarum, fluvius Menoba, Baeti et ipse a dextro latere infusus. At inter aestuaria Baetis oppidum Nebrissa, cognomine Veneria, et Colo bona. Coloniae : Asta, quae regia dicitur : et in mediterraneo Asido, quae Caesariana. Singulis fluvius in Baetin, quo dictum est ordine, irrumpens, Astigitanam coloniam adluit, cognomine Augustam Firmam, ab ea navigabilis. Hujus conventus sunt reliquae coloniae immuaes : Tucci, quae cognominatur Augusta Gemella: Ilucci, quae Virlus Julia : Attubi, quae Claritas Julia : Urso, quae Genua Urbanorum : ίηΐβς quae fuit Munda cum Pompeji filio capta. Oppida libera : Astigi vetus, Ostippo. Stipendiaria : Cal let, Calucula, Castra Gemina, llipula minor, Merucra, Sacrana, Obulcula, Oningis. Ab ora venienti prope Menobam amnem et ipsum navi gabilem, haud procul accolunt Alontigiceli, Alostigi. Quae autem regio a Baeti ad fluvium Anam tendit extra praedicta, Baeturia appellatur, in duas divisa partes, totidemque gentes : Celticos, qui Lusitaniam attingunt, Hispalensis conventus : Turdulos « qui Lusitaniam et Tarraconensem accolunt, jura Cordubam petunt. Celticos a Cel tiberis ex Lusitania advenisse manifestum est,
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quali egli leva il nome e 1* acque. Dipoi da Ossigetania entrato nella Betica, piacevole,con ameno fondo, da man manca e man ritta è abitato da molte città. La più celebrala di queste fra esso e il mare in fra terra è Segeda, la quale si chiama per so prannome Augurine ; Giulia detta Fidentia, Vir gao, detta Alba ; Ebura, detta Cereale ; lliberi detti Liberini: Ilipula, la quale è detta Laos; Artigi detti Giulieasi ; Vesci chiamati Faenza. Singilia, Egua, Arialduno, Agla minore, Bebro, Castravinaria, Episibrio, Ipponova, llurco, Osca, Esoua, Snocubo, Nudilano,Tucciveechia, tutti lu o ghi della Bastetania, che confina col mare. E la raunanza di Cordova intorno al fiume Ossigio, che si chiama Laconico. Iliturgi detta Foro lalio, Ipasturgi detta Trionfale: Sicia, e quattordici mi glia più addentro fra terra, Obulco, che si chia ma Pontificense. Dipoi Ripepora de* confederati, Sacili, Marcialio Onoba. E da man ritta Cordova, cognominata colonia Patricia, dove prima si co mincia a navigare il fiume Beli. Quivi sono due ci Iti, 1* una Carbulo, l ' altra Decuma, e ciascuna ha il Beli, che le corre da un medesimo Iato. Le città della raunanza di Siviglia sono Celliaca, Vacamana, Evia e llipa, cognominala Ita lica. E da man manca la colouia di Siviglia, co gnominata Romulense. Dirimpetto v’ è la città Osset, detta Giulia Costanza, o Vergente, che fa fatto dal padre di Giulio, Ippone de* Cariasi, il fiume Menoba, il quale corre anch* egli da man ritta. E fra le lagune del fiume Beli, v* è la città di Nebrissa, delta Veneria, e Colobona. Colonie : Asta, che si chiama, regia. E fra terra Asido, chiamata Cesariana. Tutte queste città hanno un fiume, che eoa quell* ordine, che s* è detto, entra nel Beti, e ba gna la colonia Astigi lana, detta Augusta Firma, e quivi è navigabile. L* altre colonie di questo convento sono eseoti, Tucci, che si chiama Augu sta Gemella, ltucci della Virtù Giulia, Attubi detta Chiarità Giulia, Urso detta Genova degli Urbani, fra le quali fu Munda presa insieme col figliuolo di Pompeo. Città libere sono, Astigi vecchio e Ostippo. Tributarie, Callet, Calucula, Castrage mina, llipula minore, Merucra, Sacrona, Obul cula e Onioge. E a chi viene di verso la riva, presso Menoba, fiume anch*esso navigabile, poco discosto abitano gli Alontigiceli e gli Alostigi. Ma quella regione, che va dal Beti al fiume Beta, fuor delle predette, si chiama Beluria, d i visa in due parti, e altrettante nazioni ; i Celtici, che confinano con la Lusitania, del convento di Siviglia ; e i Turduli, che abitano la Lusitania e la Tarraconese, vanno per ragione a Cordova. Chiara cosa è, che i Celti vennero da* Celtiberi di
HISTORIARUM MUNDI MB. 111.
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sacris, linga·, oppidorum vocabulis, qoae cogpomioibus in Baetica distinguuutur : Seria, quae dicitur Fena Julia, Vertobrige, Concordia Ju lia , Segede, Restituta Julia, Contribula Julia, Ucul Ioniacum, quae et Curiga uunc est : Lacon iraurgi, Constantia Julia : Teresibus Fortunales, el Callensibus Emanici. Praeter haec in Celtica Aciuipo, Aruuda, Arunci, Turobriga, Lastigi, Alpesa, Saepona, Serippo. Altera Baeturia, quam diximus Turdulorum, el conventus Cordubensis, babel oppida non ignobilia, Arsam, Mellariam, Mirobricara ; regiones Osinligi, Sisaponem.
Gaditani conventus civium Romanorum, Re· giua, Latinorum, Regia, Carissa, cognomine Au* relia, Urgia cognominata Castrum Julium : itera Caesaris Salulariensis. Stipendiaria, Besaro, Belippo, Barbesula, Lacippo, Baesippo, Callet, Cappagutn, Oleatro, llucci, Braua, Lacibi, Saguntia, An
a. Baeticae longitudo nunc a Castulonis op pidi fine Gades, c c c c l x x v m ; et a Murgi maritima ora xxii m pass. amplior. Latitudo a Carlejana ora ccxxiv m pass. Agrippam quidem in tanta viri diligentia, praeterquc in hoc opere cura, orbem quum terrarum orbi spectandum propositurus esset, errasse quis credat, et com eo divum Augustam f Is namqae complexam eum porticum ex destinatione et commentariis M. Agrippae a sorore sua inchoatam peregit.
H is p a n ia e
C it e b io b is .
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Lusitania per gli sacrificii, per Ia lingua, per gli vocaboli delle città, le quali cose sono distinte nella Belica per li cognomi : Seria, la qual si chia ma Fama Giulia, Vurlobrige, Concordia Giulia, Segede, Giulia Restituta, Contributa Giulia, Ucultuniaco, ia quale oggi anco è Curiga, Laconimurgi, Giulia Costatila: ne' Teresi i Fortunali, e nei Callensi gli Emanici. Oltre a queste sono anche nella Celtica Acinipo, Arunda, Arunci, Turobrica, Lasligi, Alpesa, Sepona e Serippo. Un’ al tra Beturia, che noi dicemmo de' Turduli, e del convento di Cordova, ha alcune città nobili, cioè Arsa, Mellara, Mirobriga : le regioni d 'Osinligo e Sisapone. Del convento di Caliz de' cittadini Romani Regina, de' Latini Regia, Carisa detta Aurelia, Uria cognominala castello Giulio, e di Cesare Salutariense. Stipendiaria, Besaro, Belippo, Bar besula, Lacippo, Besippo, Callet, Cappago, Olea tro, llucci, Brana, Lacibi, Sagnnzia, Andorisippo. Scrive M. Agrippa, che tutta la sua lunghez za è quattrocento sessantacinqae miglia, la lar ghezza dugento cìnqoantasette miglia ; ma an dando i termini d 'essa fino a Cartagine : la qual cagione partorisce spesso grandi errori per conto della misura, mutando in un luogo il modo delle province, altrove accresciuti e scemati i passi de' viaggi. Il mare in così loogo tempo è veouto più fra terra, o s’ ò più discostato, e i liti soao ili più là, e lorsonsi, e corressoosi le rivolte dei fiomi. Olirà di ciò chi comincia la misura da un luogo, echi da un'altro, onde avviene che non si trovano pur due soli che sien d 'accordo. a. La longitudine della Belica al presente dal confiue di Castulone infino a Gade è quattro cento settanlacinque miglia, e dalla spiaggia di Murgi venlidue miglia più larga. La latitudine dalla estremità di Carteia dugento ventiquattro miglia. Ora chi crederebbe, che Agrippa,il quale fu uomo di tanta diligenza, fuor che nella cura di quest' opera, quando volle mettere in disegno a’ Romani la figura del mondo, pigliasse errore, e con esso lui l ' imperadore Augusto f Perciocché questi recò a fine il portico, dov' era tal cosmo grafia, comincialo dalla sorella d'Agrippa secondo il suo ordine, come lasciò per ricordo. D e l l a S p a g n a C it e b io e e .
IV. 3. L 'antica forma della Spagna citeriore, IV. 3 . Citerioris Hispaniae, sicut complurium provinciarum, aliquantum vetus forma mutala è mutala alquauto, come anco qoella di molle est: ut pote quum Pompejus Magnus tropaeis altre province ; perchè Pompeo Magno ne' suoi suis, qoae statuebat in Pyrenaeo, d c c c x l v i op trofei, i quali egli faceva ne' monti Pirenei, pida ab Alpibus ad fines Hispaniae ulterioris in affermò ch'egli avea soggiogate al popolo Roma no ottocento quarantasei città dalle Alpi sino ai ditionem a se redacta testatus sit. Nunc universa aa P l i n i o 1. N.
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C. PLINII SECONDI
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confini della Spagna ulteriore. Ora tutta la provincia è divisa in sette conventi, nel Cartagi nese, Tarraconese, Cesaraugusto, Cluniense, Asturo, Lucense e Bracaro. Oltre di dò vi son V isole, di cui lasciando il ragionare, Ia provincia istessa, oltra le dugento novantatrè città contri buite all’ altre, contiene cento settantanove ter re. Fra queste vi sono dodici colonie, terre di cittadini Romani tredici, di Latini antichi dicias sette, di confederali uns, tributarie cento tren tasette. I primi nella riviera sono i Bastoli : dopo loro Primi in ora Bastuli : post eos, quo dicetar ordine, intus recedentes Mentesani, Oretani, et con quello ordine, che si dirà, passando addentro i Mentesani, gli Oretani, e sul fiume Tago i ad Tagum Carpetani : juxta eos Vaccaei, Vecto nes, et Celtiberi Arrebaci. Oppida orae proxima : Carpetani : appresso a loro i Vaccei, i Veltooi, i Celtiberi e gli Arrebaci. Le città vicine alla Urei, adteripiamque Baeticae Barea : regio Maviriviera sono, gli Urei, e Barea attribuita alla tania, mox Deitania, dein Conlestania, Carthago Belica, la region Mavitania, dipoi la Deitania, nova, colonia; cujus a promontorio, quod Saturni dipoi la Contestarne, Cartagine nuova, colonia : vocatur, Caesaream Mauritaniae urbem c l x x x v i i dal cui promontorio, che si chiama di Saturno, m pass. trajectus. Reliqua in ora : flumen Tader : colonia immunis Illici, unde Ulicitauus sinus. In insino a Cesarea città di Mauritania, vi è un cammino di cento ottantasette miglia. Vi è poi il eam contribuuntur Icositani. Mox* Latinorum Lucentam, Dianiam stipendiarium: Sucro flu fiume Tader, e gli Illici, colonia esente, onde vi è il golfo Illicitano. In quella si contribuiscono vius, et quondam oppidum, Contestaniae finis. gl’ Icositani. Poi v’ è Lucento città dei Latini, Regio Edetania amoeno praetendente se stagno, ad Celtiberos recedens. Valentia colonia 111 ■ Dianio tributario, il fiume Sucrone, e già citta, pass, a mari remota : flumen Durias, et tantom- confine della Contestante. La regione Edetana, la dem a mari Saguntum, civium Romanorum op quale con uno ameno stagno si distende fino ai pidum, fide nobile : flumen Idubeda : regio lier· Celtiberi. Valenza colonia lontana tre miglia dal gaonnm.lberus amnis navigabili commercio dives, mare : il fiume Duria : altrettanti è discosto dal ortus in Cantabris, haud procul oppido Juliobrimare Sagnnto città de’ cittadini Romani, nobile ga, per c c c c l m pass. fluens : navium per c c l x h a per la sua fede: il fiume Idubeda, la regione degli Varia oppido capax, quem propter universam llergaoni. Il fiume Ibero, ricco per Io suo naviHispaniam Graeci appellavere Iberiam. Regio gabil commercio, il qoale nasce in Cantabria, Cossetania, flumen Subi, colonia Tarraco Scipio poco discosto dalla città di Giuliobriga, e corre num opus, sicut Carthago Poenoram. Regio Iler quattrocento cinquanta miglia, e dalla città dì getum, oppidum Subur : flumen Rubricatum, a Varia per dagento sessanta miglia è capace di quo Laletani et Indigetes. Post eos, quo dicetur or navili, per cagion del quale i Greci chiamarono dine, intus recedentes radice Pyrenaei, Ausetani, tutta la Spagna Iberia. La region di Cosaetania, Itani, Lacetani; perque Pyrenaeum Cerretani, il fiume Subi, la colonia di Tarracone impresa dein Vascones. In ora autem colonia Barcino, co* degli Scipioni, siccome Cartagine fòt dei Cartagi gnomine Faventia. Oppida civium Romanorum : nesi. Nella regione d'ilergelo è la città di Snbar : Baetulo, llluro, flumen Lamum, Blandae : flumen il fiume Rubricato, onde sono i Laletani e gli Alba : Emporiae : geminam hoc, veterum inco Indigeti. Dopo questi, per seguire con ordine, larum, et Graecorum, qui Phocaeensium fuere ritirandosi verso le radici del Pireneo, sono gli soboles. Flumen Tichis. Ab eo Pyrenaea Venus Auselani, gl’ Itani, i Lacetani, e per lo Pireneo i in latere promontorii altero, x l m. Cerretani, dipoi i Guasconi. E lungo la riviera ci è la colonia di Barcellona, cognominata Faveozia. Città di cittadini Romani, Belalo, IUuro, il fiume Larno, Blande, il fiume Alba, Eroporie ; e questo è parte dei vecchi abitatori, parte dei Greci, i quali vennero da Focide. Il fiume Tiéhi. Vi è poi Venere Pirenea nell’ altro lato del Pi reneo, quaranta miglia lontano. Nunc per singulos conventos reddentur insi Ora si diranno per ciascun convento le cose gnia praeter sopradicla. Tarracone disceptant più notabili oltra le sopraddette- In Tarracooe
provincia dividitor in conventas septem : Car thaginiensem, Tarraconensem, Caesarangustanom, Claniensem, As tarum, Lucensem, Braca rum. Accedant insulae, qoaram mentione seposi ta, praeter civitates contributas aliis ccxcm, provincia ipsa continet oppida c l x x i x . In iis colonias x i i , oppida civium Romanorum xm. Latinorum veterum x v n , foederatorum unum, stipendiaria cxxxvn.
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HISTORIARUM MUNDI L1B. III.
populi x u v , quorum celeberrimi, civium Roma norum Derlusani, Bisgargitani : Latinorum, Au· selani, Cerreiani : qui Juliani cognominantur, et qui Augustani: Sedetani, Gerun denses, Gessorienses : Teari, qui Julienses. Stipendiariorum : Aquicaldenses, Oneuses, fiaetulonenses.
Caesaraagusta colonia immunis, amne Ibero adfusa, ubi oppidum antea vocabatur Salduba, regionis Sedetaniae, recipit populos c l i i . E x his civium Romanorum Bellitauos, Celsenses. Ex co lonia, Calagurritanos, qui Nassici cognominan tor : Jlerdenses, Surdaonum geniis, juxla quos Sicoris fluvias : Oscenses, regionis Vescitauiae : Turiasooeoses.Latinorum veterum: Cascantenses Ergavicenses : Graccuritanos, Leonicenses, Ossigerdenses. Foederatos, Tarragenses. Stipendia rios: Arcobricenses, Andologenses, Arocelilanos, Bursaonenses, Calagurritanos qui Fibulareuses cognominantur, Complutenses, Carenses, Cincenses, Cortonenses, Daiumanitanos, Larnenses, Lureenses, Spalenses, Illnmberitanos, Lacetanos, Vibienses, Pompelonenses, Segienses. Carthaginem conveniunt populi l x i i , exceptis insularum incolis. Ex colonia Accilana Gemellenses, et Libisosona cognomine Foroaugustana, quibus dnabas jus llaliae datum : ex colonia Salariense oppidani Latii veteris Castulonenses, qui Caesari venales appellantur. Selabilani, qui Augustani : Valerieuses. Stipendiariorum aulem celeberrimi : Babanenses, Battilani, Consaborenses, Dianeoses, Egeleslani, llorcitani, La mini (ani, Mentesani qui et Orilani, Menlesani qui et Bastuli, Oretani qui et Germani cognominaotur : caputque Celtiberiae Segobrigenses : Carpe taniae, Toletani Tago flumini impositi : dein Viacienses, el Virgilienses. Iu Cluniensem conventum Varduli ducunt populos xiv,ex quibus Albanenses tantum nomi nare libeat : Turmogidi quatuor, in quibus Segisamonenses, et Segisamajulienses. Iu eumdem conveutum Carieles et Venneuses quinque civi tatibus vadunt, quarum sunl Velienses. Eodem Pelendones Celtiberorum qaatuor pupulis: quo rum Numantini fuere clari : sicut iu Vaccaeorum xvta civitatibus, lnlercalienses, Pallanlini, Lacobrigenses, Caucenses. Naiu in Cantabricis iv populis, Juliobriga sola memoratur. In Aulrigod d o decem civitatibus, Tritium, el Virovesca. Arevacis nomeo dedit fluvius Areva. Horum sex oppida : Saguutia,et Uxama, quae numiua crebro aliis in locis usurpautur : praeterea Segovia, et Nora Augusta, Termes, ipsaque Clunia Celtibc-
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vanno a ragione quarantaquattro popoli, t più celebrati dei quali, e cittadini Romani sono i Derlusani, i Bisgargitani. Dei Latini gli Ausetani, i Cerretani : queli che sono cognominati Giuliani, quelli che Augustani : i Sedetani, i Gerundensi, i Gessorieusi, e i Teari delti Guliensi. Città tri· butarie sono gli Acquicaldensi, gli Onensi e i Betulonesi. Saragozza colonia esente bagnata dal fiume Ibero, dove prima la città si chiamava Salduba, della regione Sedelana, riceve cinquantadue po poli. Fra questi dei cittadini Romaoi sono i Bel li tao i, i Celcensi. Della colonia, i Calagurritani, i quali si chiamavano Nassici. Gli Ilerdesi della nazione dei Surdaoni, appresso i quali passa il fiume Sicori : gli Oscensi della regione Vescitaua, e i Turiasonesi. Degli antichi Laliui i Cascante»!, gli Ergavicesi : i Graccuritani, i Leonicesi, gli Ossigerdesi. 1 Terragesi confederali. Tributarii gli Arcobricesi, gli Andologesi, gli Arocelitani, i Bursaonesi, i Calagurritani, che son cognominati Fi bularesi, i Compiutesi, i Caresi, i Cincesi, i Corlonesi, i Dammanitani, i Larnesi, gli llurcesi, gli Spalesi, gli lllumberitani, i Lacetani, i Vibiesi, i Pompolonesi e i Segiesi. A Cartagine si radutiano sessantadue popoli, eccelli gli abitatori dell’ isole. Della colonia Accitana i Gemellesi, e Libisosona chiamata Foraognstana, alle quali due fu conceduta la regiooe d’ Ilalia. Della colonia Salariese i Castulonesi ciltadiui deU’antico Lazio, i quali sono chiamali da Cesare venali. 1 Setabitani, che si chiamano Augustani, e i Valerieii. Dei tributarii i più celebrati sono, i Babanesi, i Baslitaui, i Consaburesi, i Dianesi, gli Egelestani, gli llorcitani, i Lara ini (ani, i Men tesani,che si chiamano ancheOritani. I Mentesani, che son delti Bastuli, gli Oretani, che son cogno minati Germani, e capo della Celtiberia i Segobrigesi : i Carpetani, e i Toletani posti sul fiume Tago. Dipoi i Viaciesi e i Virgiliesi. Nel convento Cluniese i Varduli conducono quattordici popoli, dei quali solamente ci piacerà nominare gli Albanesi : Turmogidi quattro, fra i quali souo i Segisamonesi e i Segisamaiuliesi. Nel medesimo convento vanno t Carieli, e i Vennesi, con cinque città, delle quali sono i Veliesi. Quivi vanno anco i Pelendoni, con quat tro popoli dei Celtiberi, dei quali i Numantini furon già i più illustri ; siccome nelle diciolto città dei Vaccei gl’ lntercaziesi, i Pallanlini, i Lacobrigesi e i Caucesi. Perciocché nei quattro popoli di Cantabria, è nominala sola Giuliobriga : nelle dieci ciltà degli Aulrigoni v'éTricio e Virovesca. Agli Arevaci diede il nome il fiume Areva. Co storo hanno sei città, cioè Sagunlia e Uxama, i quali nomi spesso si sono presi in altri luoghij
C. PLINII SECUNDI
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riae finis. Ad Oceanum reliqua vergunt, Varduliqoe es praedictis, et Cantabri. Jangnntnr his Asturam xu populi, divisi in Augustanos, et Transmontanos, Aslurica urbe magnifica. In his snnt Giguri, Paesici, Lancienses, Zoelae. Numerus omnis multitudinis ad ccxl m liberorum capitum. Lucensis conventas populorum est xvi praeter Celticos, et Lebunos, ignobilium, ac barbarae appellationis : sed liberorum capitum ferme CLXVI
M.
Simili modo Bracarum xxiv civitates c c l x x v m capitum, ex quibus praeter ipsos Bracaros, Vibali, Celerini, Gallaeci, Aeqnesilici, Limici, Quer quero·, citra fastidium uominentur. Longitudo Citerioris Hispaniae est, ad finem Castalonisa Pyrenaeo, sexcenta seplem m pass. et ora paullo amplius. Latitudo a Tarracone ad litus Olarsonis, cccva. E radicibus Pyrenaei, ubi cu neatur angustiis inter dao maria, paullatim deinde se pandens, qaa contingit Ulteriorem Hispaniam, tantnmdem et amplius latitudini adjicit. Metallis plumbi, ferri, aeris, argenti, auri tota ferme Hispania scatet: Cilerior et speculari bus lapidibus: Baetica et minio. Sunt et marmo rum lapicidinae. Universae Hispaniae Vespasianus imperator Augustus jactatas procellis reipublicae Latii jus tribuit. Pyrenaei montes Hispanias Galliasque disterminant,promontoriis in duo diversa maria projectis.
Nabbohbnsis vrovmcuk.
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e Sagovia, e Augusta nuora, e Termes, e Clunia, confine della Celtiberia. L'altre guardano verso il mare, e fra i predetti i Varduli e i Cantabri. Con questi si congiungono dodici popoli degli Asturi divisi in Augustani e Tramontani, in Astnrica citta magnifica. Fra questi son i Giguri, i Pe sici, i Lanciesi e i Zoeli. Il numero di tutta la mol titudine è da dugentoquaranta mila capi liberi. Il convento Lucense è di sedici popoli, oltre i Celtici e i Γ,ebani, popoli ignobili e di barbari nomi ; ma d'intorno a centosessantasei mila capi liberi. Per simil modo ventiquattro città de’ Bracari con dogento settanlacinque mila capi, fra i qaali oltre ad essi Bracari, sono i Vibali, i Celerini, i Galleci, gli Equesilici, i Querquerni, seni* fasti dio nominati. La lunghezza della Spagna Citeriore dal Pireneo sino al confine di Castulone, è seicentosette miglia, e la riviera poco piò. La larghezza da Tarracone al lito d'Olarsone trecentosette. Ed alle radici del Pireneo, dov'ella s'a»sottiglia a guisa di conio, ristrignendosi fra due mari, e poi a poco a poco s'allarga, per dove tocca la Spagna Ulteriore, allrettauto, e piò, è larga. Quasi tutta la Spagna produce metalli, piom bo, ferro, rame, argento ed oro : la Citeriore fa delle pietre lucide : la Betica del minio. VI sono anco le cave de'marrai. L’ imperador Vespasiano, travagliato dalle procelle della repubblica, con cesse già a tutta la Spagna que'medesimi privi legii, che ha il Lazio. 1 monti Pirenei partono la Spagna e la Francia, gettando i promontorii in due mari diversi. D e l la P bovbrza.
4. Una parte della Francia si chiama Gal V. 4· Narbonensis provincia appellatur pars V. Galliarnm, quae interno mari adluilur, Braccata lia Narbonense, la quale è bagnata dal mar Medi terraneo, detta prima Braccata, divisa dall'Italia ante dicta, amne Varo ab Italia discreta, Alpiumdal fiume Varo, e da' gioghi delle Alpi, salutiferi que vel saluberrimis Romano imperio jugis. A mollo al popolo Romano. Dal resto della Frauda reliqua vero Gallia latere sepleratrionali, monti la dividono verso tramontana i monti Gebeona bus Gebenna el Jura : agrorum cuba, virorum, moramque dignatione, amplitudine opura, nulli e lura, e non cede qaesto paese a ninna altra provinciarum postferenda, breviterque Italia ve provincia di fertilità di terreno, di dignità di rius quam provincia. In ora r?gio Sardoo una, uomini e di costumi, nè di grandezza di facoltà, intusque Consuaranorum. Flumina : Tecnm, ed in somma è piuttosto Italia, che Provenza. Vernodubrum. Oppida : Illiberis, magnae quon Nella riviera v' è la regione de' Sardoni, e fra dam orbis tenue vestigium : Ruscino, Latinorum. terra i Consuarani. 1 fiumi Teco e Veroodubro. Flamen Atax e Pyrenaeo Rabrensem permeans Le città sono, Illiberi, oggi piceiol vestigio d'vna lacant: Narbo Martius, Decumanorum colonia, città già graude, Rossiglione de'Latini. Il fiame xn ■. pass. a mari distant. Flumina : Araris, Atace, il quale dal Pireneo entra nel lago RuLiria. Oppida de celero rara, praejaceo libas brense. Narbone Marzio, colonia de'Decumani, stagnis : Agatha quondam Massiliensium, et regio dodici miglia lontano dal mare. 1 fiumi, la SonVolcarum Tectosagum : atque ubi Rboda Rho na e il Liri. Del resto le città vi son rare, per diorum fait, unde dictas malto Galliarnm fertiessere tramezzate da'stagni : Agata già de'Marsi-
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HISTORIARUM MUNDI L1B. UI.
listimus Rhodanus amnis, ex Alpibus se rapiens per Lemanum lacum, segnemque deferens Ara rim, nec minus seipso lorrentes Isaram, et Druentiam. Libica appellantur duo ejus ora modica : ex his alterum Hispaniense, alterum Metapinum : tertium, idemque amplissimum , Maasaliolicum. Sunt auctores, et Heracleam oppidum in ostio Rhodani fuisse.
Ultra fossam ex Rhodano c pass. Marii ope re et nomine insigne slagnum : Astroraela oppi dum, maritima Avaticorum : superque Campi lapidei, Herculis proeliorum memoria : Regio Anatiliorum,et intus Desuviaiium, Cavarumque. Rursus a mari Tricoriura : et intus Tricollorum, Vocontiorum, et Segovellaunorum, mox Allobro gum. At in ora Massilia Graecorum Phocaeensium foederata. Promontorium Zao : Citharista portus. Regio Camatuliicorum. Dein Suelteri, supraque Verrucinl. In ora autem Athenopolis Massilien sium, Forum Julii Octavariorum colonia, quae Pacensis appellatur, et Classica : amnis in ea Argenteus. Regio, Oxubiornm Ligaunorumque, super quos Suetri, Quariates, Adnnicates. At in ora oppidum latinum Antipolis. B?gio Deciatium: amnis Varus, ex Alpium monte Cerna profusus.
In mediterraneo coloniae : Arelate Sextano rum, Bliterae Septumanorum, Arausio Secunda norum. In agro Cavarum Valentia, Vienna Allo brogum. Oppida latina : Aquae Sextiae Salluvio rum, A venio Cavarum, Apta Julia Vulgientium, Alebece Reiorum Apollinarium, Alba Helvorum, Augusta Tricastinorum: Anatilia, Aeria, Bormannico, Macina, Cabellio, Carcasum Volcarum Tectosagum : Cessero, Carpentoracte Meminorum : Ceoicenses, Cambolectri, qui Atlantici co gnominantur: Forum Voconii, Glamim Livii, Luterani, qui et Foroneronienses : Nemausum Arecomicorum, Piscenae, Ruteni, Senagenses, Tosolani Teetosagum, Aquitaniae contermini : Tascodunitari, Cononienses, Umbranici : Vocon tiorum civitatis foederatae duo capita, Vasco, et Lucus Augusti. Oppida vero ignobilia xix sicut xxiv Nemausiensibus attributa. Adjecit formulae Galba imperator ex Inalpinis Avanticos, atque Ebroduntios, quorum oppidum Dinia. Longitu dinem provinciae Narbonensis ccr.xx m pass. Agrippa tradit, latitudinem ccxivm.
gliesi, e Tettosago regione de' Volci : e dove già fu Roda de'Rodiani, il Rodano, onde prese il nome, fertilissimo fiume della Francia, il quale scende dalle Alpi per il lago Lemano, e mena seco oltre la Sonna, 1* Isara e la Drnenza, t quali non sono meno furiosi di lui. Chiamanti Libici i suoi due piccoli rami. Di questi l'uno è l'ispaniese, l ' altro il Metapino ; il terso, che è molto maggiore, Massaliotico. Scrivono molli autori, che sulla foce del Rodano fu gii una città detta Eraclea. Cento passi oltra la fossa del Rodano ecci uno stagno, il qual fu fatto, e prese il nome da Mario : Astromela città, e i luoghi marit timi degli Avatici, e pianure sassose, memoria delle battaglie d 'Ercole : il paese degli Anatalii, e fra terra de* Desuviati e dei Cavari. Di nuovo alla marina è Tricorio, e fra terra sono i Tricollori, i Vocoozii e i Segovellanni, poi Allobrogi; e alla riviera Marsiglia confederata dei Focesi Greci. Il promontorio Zao, il porto Citari sta, e la regione dei Camalullici. Dipoi gli Svelteri, e di sopra i Verrucini. Ma in questa riviera v'è Atenopoli, colonia de'Marsigliesi, e Forogiulio, colonia degli Ottavani, che si chiama Pacete, e Classica : in essa il fiume Argeuteo. La regione degli Oxnbii e dei Ligauni, sopra i quali sono i Suetri, i Quariati e gli Adunicati. Alla riviera poi v 'è Antipoli, città latina. La regione de'De ciati, il fiume Varo, che nasce da Cerna, monte delle Alpi. Infra terra v 'è Arelate, colonia de'Sestani, Blilera de'Set tu mani, Arausio de'Secondani. Nel paese de'Cavari è Valenzia, e Vienna di Savoia, città latine: Asaix de'Salluvii, Avignone dei Cavari, Apta Giulia d e 'Vulgienzi, Alebece degli Apollinari, Alba degli Elvi, Augusta dei Tricastini : Anatilia, Aeria, Bormannico, Maci na, Cavaglione, Carcassone dei Volci Tettosagi : Cessero, Carpentras, Meminoro : i Cenicesi, i Camboletri, i quali si chiamano Atlantici : il Fo ro di Voconio, Giano di Livio, i Luterani, che si chiamano ancora Foroneroniesi : Nimes degli Arecomici, Piscene, i Ruteni, i Sanagesi, i Tolo sani dei Tettosagi, confini della Guascogna : i Tascodunitari, i Cononiesi, gli Umbranici: due capi della città confederata de'Voconzii, Vasco e Luco d 'Augusto. Le città ignobili sono diecinove, siccome sono ventiquattro le a tiribuite a Nimes. L'imperador Galba aggiunse alla formula degli Alpigiani gli Avantici, e gli Ebrodunzii, la cui città è Dinia. Agrippa scrive, che la Provenza è lunga dugentose!tanta miglia, e larga dugentoquarant'olto.
C. PLINII SECUNDI
34? I t a l ia b .
34«
D&ll* I t a l i a .
VI. 5. Itali* dehinc, primiqoe ejui Ligures : VI. 5. Segue dipoi 1' Italia, e i primi popoli d'essa sono i Liguri, dipoi la Toscana, l ' Umbria, mox Etruria, Umbria, Latium, obi Tiberina osti*, et Roma terrarum caput, xvi m pass. inter il Lazio, dove sono le foci del Tevere, e Roma capo del mondo, sedici miglia discosto d«l mare. vallo a mari. Volscorum postea litos, et Campa Dipoi la riviera de' Volsci, e di Campagna : ap niae: Picentinum inde, ac Lucanum, Brutiureque, presso il Picentino, il Lucano, il Bruzio, dove quo longissime in meridiem, ab Alpium fine lunatis jugis in maria excurrit Italia. Ab eo piò a lungi verso mezzodì, da' gioghi quasi lunati dell'Alpi, scorre l'Italia al mare. Poi la riviera Graeciae ora, mox Salentini, Pediculi, Apuli, della Grecia, i Salentini, i Pediculi, i Pugliesi, Peligni, Frentani, Marrucini, Vesliui, Sabini, i Peligni, i FereuUni, i Marrociui, i Vesliui, i Picentes, Galli, Umbri, Etrusci, Veneti, Carni, lapides, Istri, Liburni. Nec ignoro, ingrati ac Sabini, i Piceuti, i Galli, gli Umbri, i Toschi, segni* animi existimari posse merito, si breviter i Veneti, i Carni, i Giapidi, gl' Istri e i Liburni. E ben so io, che sarebbe stimala cosa d'animo in atque in transcursu, ad hunc modum dicatur terra, omnium lerrarnm alumna, eadem et pa grato e da poco,se brevemente,e quasi in un certo rens, numine deùm electa, quae coelum ipsum modo per transito io venissi a parlare della terra, darius faceret, sparsa congregaret imperia, rilus- nutrice e madre di tutte le terre, stata elella da dio, per fare più chiaro il cielo, per iadunare que molliret, et tot populorum discordes ferasque linguas, sermonis commercio contraheret, collo gl* imperii sparsi, e per addolcire i costumi, e quia et humanitatem homini daret, breviterque, oltre a ciò per riducere le discordi ed efferate lingue di tanti popoli col commercio del periate una cunctarum gentium in toto orbe patria fieret. a un sol idioma, e per dare I* umanità all* uomo, Sed quid agam ? Tanta nobilitas omnium loco e, brevemente, acciocché iu tutto il mondo si rum, (quosquis attigerit?) tanta rerum singula facesse uni sola patria di tutte le nazioni. Ma che rum populorumque claritas tenet. Urbs Roma, vel posso fare io ? essendo tanta la nobiltà di lutti i sola in ea, etdigoa tam festa cervice facies, quo luoghi, che si potrebbon toccare, e tanta la gnutandem narrari debet opere? Qualiter Campaniae ora per se, felixque illa ao beata amoenitas ? ut d eus delle cose particolari, e dei popoli ? Sola palam sit, uno in loco gaudentis opus esse natu la città di Roma, che è in essa, e il viso suo degno di così allegro capo, con quale ornamento si rae. Jam vero tanta ea vitalis ac perennis salubri tatis coeli temperies, tam fertiles campi, tam apri potrà lodare ? In che modo parlerò io del paese di Terra di Lavoro, e di quella felice e beata ci colles, tam innoxii saltus, tam opaca nemora, tara munifica silvarum genera, tot montium affla amenità ? in modo che si conosca, come la natura ha voluto mostrare in un luogo 1*allegrezza e la tus, tanta frugum et vilium, olearumque fertilitas, forza sua ? Ha questo paese tutta l’aria temperala tam nobilia pecori vellera, lot opima tauris colla, tot lacus, tot amnium fontiumque ubertas, e sana, U n t o fertili i campi, tanto piacevoli i colli, totam eam perfundens, tot maria, portus, gre tanto san e le pasture, tanto ombrosi i boschi, mium terrarum commercio paiens undique : et tanto abbondanti maniere di selve, tante respira tamquam ad juvandos mortales, ipsa avide in zioni di monti, tanta fertilità di biade, di viti e maria procurrens. Neque ingenia, rilusqoe, ac d'ulivi, laute lane fine, tanti grassi armenti, viros, el lingua manuque superatas commemoro tanti laghi, tanti fiumi, tanti fonti, lauti mari e gentes. Ipsi de ea judicavere Graeci, genus iu tanti porti: onde ella è un grembo aperto al gloriam suam effusissimum : quotam pariem ex commercio di lutto il mondo, e come per aiutare eo appellando Graeciam magnam ? Nimirum id, tutte le persone, ella ingordamente scorre in tutte quod in mentione coeli fecimus, hac quoque in le marine. E uon ragiono delle genti viole da essa parte faciendum est, ut quasdam nolas ac pauca con la lingua e con la mano, non degl* ingegni sidera attingamus. Legentes tantum quaeso memi e costumi. 1 Greci stessi, uomini mollo liberi in nerint, ad singula toto orbe edisserenda festinari. lodarsi da loro medesimi, fecero già il giudizio di lei : perciocché una picciola parte d'essa chiamarono la magna Grecia. E verameule quel eh' io feci già ragionando del cielo, debbo fare auco in questa parte, come se io toccassi certe uole e poche stelle. Solamente prego coloro che leggono, a voler ricordarsi, come io m'affretto a ragionar di tutte le cose di tutto il mondo.
Ho
HISTORIARUM MUNDI LIB. HI.
Est ergo folio maxime qoerno adsimolata, multo proceritate amplior, qaam latitudine : in laeva se flectens cacumine, et Amazonicae figura desinens parmae, ubi a medio excursu Cocinthos vocatur, per sinos lunalos duo cornua emittens, Leucopetram dextra, Lacinium sinistra. Patet longitudine ab Alpino fine Praetoriae Augustae, per Urbem Capiiam<|ue cursu meante, Rhegium oppidum in humero ejus situm, a quo velali cervicis incipit flexus, decies centena et viginti millia passuum : maltoque amplior mensura fie ret Lacinium usque, ni talis obliquitas in latus digredi videretur. Latitudo ejus varia est : cc^cx millium inter duo maria, iofernm et superum, amnesqoe Varum alque Arsiam : mediae, atqoe ferme circa urbem Romam, ‘ab ostio Alerni amnis 111 Adrialicum mare infloenlis, ad Tiberina ostia, cxxxvi, et paullo minus a Gastro novo Adriatici maris Alsium ad Tuscum aequor : haud ullo inde loco cc in latitudinem excedens. LTniversae autem arobilus aVaro ad Arsiam vicies centena xux mefficit. Abest a circumdatis terris, Islria ac Luburnia quibusdam locis centena κ pass. Ab Epiro et Illyrico quinquaginta. Ab Africa minus cc, ut auctor est M. Varro. Ab Sardinia, cxx v. Ab Sicilia v ccccc. A Corsica minus l x x . Ab Issa quioqua gioia. Incedit per maria coeli regione ad meridiem quidem : sed si quis id diligenti subti litate exigat, inter sextam horam primamque brumalem. None ambitam ejas, arbesque enumerabimus. Qna in re praefari necessarium est, auctorem nos Divum Augostom secuturos, descriptionemque ab eo factam Italiae lotius in regiones xi, sed ordine eo , qui litorum tractu fiet, urbium quidem vicinitates oralioue utique praepropera servari non posse : itaque interiori in parte dige stionem in literas ejusdem nos secuturos, colo niarum mentione signata, quas ille in eo prodidit numero. Nec silus origiuesque persequi facile est, Ingaonis Liguribus ( ut ceteri omittantur ) agro tricies dato.
* N o h a I t a l i a · a « o io .
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VII. Igitur ab amne Varo Nicaea oppidum a Massiliensibus conditnm : flo vias Padus : Alpes, populique Inalpini multis nomiuibus, sed maxime Capillati: oppidum Vediantiornm civitatis Cemelion : portus Hercolis Monoeci, Ligustica ora. Ligorum celeberrimi altra Alpes Sallyi, Deceales, Oxubii : citra, Veoeni, et Caturigibus orti Vagienoi, Statielli, Vibelli, Magelli, Eaburiales,
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L' Italia dunque s'assomiglia molto alla foglia d’ una quercia, ed è più lunga assai che larga. Piegasi da man manca nella cima, e finisce in forma d' ona targa d’ Amazone, dove dal mezzo del suo corso è delta Cocinto facendo due corna per i golfi lunati, Leucopetra a uian ritta, e Lacinio a man manca. E di lunghezza dall* Alpi, dove è Pretoria Augusta, per Roma e Capova scorrendo fino a Reggio città posta nell'omero suo, dal quale comincia la piegatura del collo, mille venti miglia, e mollo più sarebbe insino a Laci nio, se tale obbliquità non paresse piegandosi fat Iato. La larghezza sua i varia,di qttallrocentodieci miglia fra i due mari, l'Adriatico e il Tirreno, e i fiumi Varo e Arsia : nel mezzo, e quasi circa la città di Roma, dalla foce del fiume A terno, che entra nel mare Adriatico, alla foce del Tevere cento trentasei miglia, e poco meno da Castelnuovo del mare Adriatico fino ad Alsio presso al mare Tirreno : in nesson luogo passa dugento miglia di larghezza. Ma il giro di tutta Italia dal Varo all'Arsia è di due mille quaraolanove miglia. È lontana dalle terre intorno, dall'Islria e dal la Liburnia in certi luoghi cento miglia: dall' Al bania e Schiavonia cinquanta. Dall'Africa manco di dugento, come afferma M. Varrone. Dalla Sardigna centoventi miglia. Dalla Sicilia cinquecento miglia. Da Corfù manco di settanta. Da Issa cinquanta. Va per li mari con la regione del cielo a mezzodì ; ma se alcutio con diligenza lo vorrà vedere, fra la sesta ora e la prima brumale. Racconterò ora il circuito e le città d'essa. Nella qual cosa m 'è necessario avvertire, come io son per seguire l ' imperatore Augusto, e la descrizione fatta da lui di lutla l'Italia in ondici regioni ; ma con quello ordine, il quale è per Io tratto dei liti, non si potrà già osservare, così in fretta ragionando, le vicinanze delle città. Però nella parte mediterranea io ho seguito la disposizione e ordì η suo disegnato con la men zione delle colonie, le quali esso in quel numero pose. Sarà difficile ancora descrivere l'origine, e i siti, essendo stato trenta volte dato luogo per abitare solo agl' Inganni popoli della Ligaria, per non dir nulla degli altri. N or a bb g io r r d ' I t a l i a .
VII. locominciando dunque dal fiome Varo, v' è la citlà di Nizza edificata dai Marsiliesi. Il fiu me del Po: le Alpi, e i popoli dell'Alpi hanno mol ti nomi, e massimamente i Capillati : Ceraetione terra della città de'Vedianzii. Monaco, e la riviera di Genova. I più celebrati popoli della Liguria oltra Γ Alpi sono i Sallii, i Deceali e gli Oxobii : di qua dall'Alpi i Veneni, e i Vagienni nati dai
C. PL1N1J SECUNDI Casmonates, Veliales, el quorum oppida in ora proxime dicemus. Flumen Butuba, oppidum Albium lutemelium, flumen Merula, oppidum Albium lngaunum : portus Vadorum Sabatium : flumen Porcifera, oppidum Genua : fluvius Feri tor, portus Delphiui : Tigullia : in Ius et Segesta Tigulliorum : flumen Macra, Liguriae finis. A tergo autem supra dictorum omnium Apenninus mons Italiae amplissimus, perpetuis jugis ab Al pibus tendens ad Siculum fretum. Ab altero ejus latere ad Padum amnem Italiae ditissimum,omnia nobilibus oppidis nitent : Libarna, Dertona co lonia, Iria, Barderate, Industria, Pollentia, Car· rea, quod Potentia cognominatur : Forofulvi, quod Valentinum : Augusta Vagiennorum, Alba Pompeja, Asta, Aquae Statiellorum. Haec regio ex descriptione Augusti nona est. Patet ora Ligu riae inter amnes Varum et Macram, ccxi m passuum.
S e pt im a I t a l i a e be g io
V ili. Adnectilur seplimae, in qua Elruria est, ab amneMacra, ipsa mutatis saepe nominibus. Umbros inde exegere antiquitus Pelasgi : hos Lydi, a quorum rege Tyrrheni, mox a sacrifico ritu, lingua Graecorum Tusci sunt cognominati. Primum Etruriae oppidum Luna portu nobile. Colonia Luca a mari recedens, propiorque Pisae inter amnes Auserem et Arnum, ortae a Pelope Pisisque, sive ab Alinlanis, Graeca gente. Vada Volaterrana: fluvius Caecinna,Populonium Etru scorum quodam, hoc tantum in litore. Hinc amnes Prilie, mox Umbro navigiorum capax, et ab eo tractus Umbriae, portusque Telamon : Cosa Volcientium a populo Romano deducta : Graviscae, Castrum novum, Pyrgi. Caeretanus amnis, et ipsum Caere intus m pass. quatuor, Agylla a Pelasgis conditoribus dictum: Alsiuui, Fregenae, liberis amnis a Macra c c l x x x iv m pass. Intus coloniae : Falisca Argis orla ( ut auctor est Cato), quae cognominatur Etruscorum, Lucus Feroniae,Rusellana, Seniensis,Sutrina. De cetero Arelini veteres, Aretini Fidentes, Aretini Julienses, Amitiuenses, Aquenses cognomine Taurini, Blerani, Cortonenses, Capenates, Clusini novi, Clusini veteres, Florentini praefluenti Arno adposili, Fesulae, Ferentinum,Fescennia, Hortanum, Herbanum, Nepet, Novem Pagi, Praefectura Clandia, Foroclodii, Pistorium, Perusia, Suanenses, Saturnini qoi antea Aurinini vocabantur, Subertani, S tatones, Tarquinienses, Tuscanienses, Vetolonienses, Vejentani, Vesentini, Volaterrani, Volcentini cognomine Etrusci, Volsinienses. In
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Caturigi, gli Statielli, i ^ b d li, i Magelli, gli Euburiali, e i Casmonati, i Vel iati, e quegli, le cui città porremo nella prossima riviera. 11 fiume Rutuba, la città di Venliraiglia, il fiume Merula, la città d' Albenga, il porto di Ve, il fiume di Pozze vera, la città di Genova, il fiume di Besagno, porlo Delfino, Tigullia, e più addentro Sastri de» Tigullii, il fiume della Magra, fine della Liguria. Dietro a tutti questi eh' io ho detto, è l'Apennino grandissimo molile d'Italia, il quale con perpetui gioghi arriva dall' Alpi fino al golfo di Sicilia. Dall'altro Uto suo fino al Po ricchissimo fiume dell' Italia, ogui cosa riluce per le nobili città, Libarna, Dertona colonia, Iria, Barderale, Indu stria, Pollencia, Carrea cognominata Potenzia, Forofulvio, che si chiama anco Valentino, Augu sta dei Vagienni, Alba Pompea, Asti e Acqui. Questa regione,secondo la descrizione d'Aogusto, è la nona. V' è poi la riviera di Genova tra il Varo e la Magra, dugento undici miglia. S e t t im a k e g io h e d ' I t a l ia
Vili. La quale s'attacca con la settima regione, dove è la Toscana, dalla Magra, mutando spesso nomi. 1 Pelasgi anticamente cacciarono di qai gli Umbri, e questi i Lidii, dal re dei quali furooo chiamati Tirreni, dipoi dal sacrifizio secondo la lingua Greca furono detti Toschi. La prima città di Toscana è Luni nobile per il porto. Lucca colonia, la quale si discosta dal mare : Pisa, che v' è più presso fra due fiumi, l’ Auseri e l'Arno ; la quale ha avuto origine da Polope e da' Pisi, ovvero dagli Atiulani, popoli della Grecia. Vada di Volterra, il fiume Cecinna, Populonia già dei Toscani, questa è solo alla marina. Di qui sono i fiumi, cioè il Prille, poi 1' Oinbroue capace di navili, e da esso il tratto d 'Umbria, porto Tela mone, Cossa Volcienzia colonia del popolo Ro mano, Moni*allo, Cornetto, Civitavecchia, il fiume Ceretano, e esso Cere, addentro quattro miglia, Agilla detta da' Pelasgi edificatori suoi. Alsio e Fregena. 11 fiume Tevere discosto dalla Magra dugento otlantaquattro miglia. Colonie fra terra: Falisca la quale ebbe origine dagli Argi, come scrive Catone, che si chiama dei Toscani, il Luco di Feronia, Rusella, Siena, Sulri. Dipoi gli Aretini vecchi, gli Aretini Fidenziori, gli Are tini Giuliesi, gli Amitinesi, gli Acqaesi chiamati Taurini, i Blerani, i Cortonesi, i Capenati, i Chiusini nuovi, i Chiusini vecchi, i Fiorentini posti sulla riva d' Arno, Fiesole, Ferentino, Fescennia, O rli, Erbano, Nepi, i nove Pagi, prefettura di Claudia, Foroclodio, Pistoia, Peru gia, Soana, Saturnia, che prima si chiamò Aurì·
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HISTORIARUM MUNDI U R. III.
eadem parte oppidorum veterani nomina retinent agri Crustuminus, Caletranas.
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nino, i Subertani, gli Slatoni, i Tarqninieai, i Toscaniesi, i Vetuloniesi, i Veienlani, i Vesentini, i Volterrani, i Volcenlini, cognominati Toscani, e i Volsioiesi. Nella medesima parte le città riten gono i nomi antichi dal paese Crastumino, Caletrano.
P bim a I n u i B &BOIO, T ibba is , R oma . P rim a b e o io n b d ’ I t a l i a , il T bvbbe , R oma .
IX. Tiberis antea Tibris appellata·, et pria* IX. Il Tevere dinanzi chiamalo Tibri, e Albata , e media fere longitudine Apennini, prima Albula, quasi dal mezzo della lunghetta finibus Arelinoram profluit ; tenuis primo, nec deir Apennino, corre per quel d 'Arezzo. Nel aisi piscinis corrivatas emissusqae, naviga b'lis, principio è piccolo, nè si può navigare, se non si sica ti Tinia et Glanis influentes in eam, nove· riduce in canale con certe ratlenute, come la norum ita concepta dierum, si non adjuvent Tinia e la Chiana, che entrano in esso, così con imbres. Sed Tiberi* propter aspera et confragosa, la retlenula di nove giorni, se non aiuti la ne sic quidem, praeterquam trabibus verins quam pioggia. Ma il Tevere correndo per luoghi rapidi ratibns, longe meabilis fertur, per centum quin e aspri, non si può passare se non con le travi, quaginta millia passuum non procul Tiferno, più loslo che le navi : corre ceolo cinquanta Perusiaque, et Ocriculo, Etruriam ab Umbris ac miglia poco discosto da Tiferno, Perugia e OcriSabinis : mox citra trededm millia passuum Urbis coli ; e così parie la Toscana dall1 Umbria e dai Vejentem agrum a Crustumino, dein Fidenatem Sabini : dipoi tredici miglia di qua da Roma divide i Veienti dai Crustumini, poi i Fidenati Lalinamque a Vaticano dirimens : sed infra A re e i Latini dal Vaticano. Ma di sotto la Chiana tia um Glanim duobus et quadraginta fluviis d* Arezzo accresciuto da quarantadue fiomi, e auctas, praecipuis autem Nare el Aniene, qui el ipse navigabilis Lalium includit a tergo : nec massimamente dalla Nera e dal Teverone, il quale minas tamen aqais ac lol fontibus in Urbem anco esso navigabile rinchiude il Lazio dalle perductis : et ideo quamlibet magnarum navium spalle, e per tanti fonti e acque ridotte nella ex Italo mari capax, rerum in toto orbe nascen città è capace di qualsivoglia gran navilio del tium mercator placidissimus, pluribas prope so mar d 'Italia ; e così diviene placidissimo merca lus, quam celeri io omnibus terris amnes, accoli tante delle cose che nascono in tatto il mondo. tu r, adspiciturque villis. Nullique fluviorum miEsso solo è abitato, e veduto quasi da più ville, ans licet, inclusis atriraque lateribus: n
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C. PLINII SECUNDI
scripsit (nam Theopompus, anle quem nemo mentionem habuit, Urbem domtaxat a Gallis captam dixit, Clitarchus ab eo proximus, lega tionem tantam ad Alexandrum missam), hic jam plus quam et fama; Circeiorum insulae mensuram posoit stadia octoginta, in eo volumine, quod scripsit Nicodoro Atheniensium magistratui, qui fuit Urbis nostrae cccclx anno. Quidquid est ergo terrarum, praeter decem millia passuum prope ambilus, adnexum insulae.
Post eum annum aocessit Italiae aliud mi raculum : A Circeiis palus Pomptina est, quem locum xxxm urbium fuisse Mucianus ter con sul prodidit. Dein flumen Ufeus, quod Terracina oppidum, lingua Volscorum Anxur dictum, et ubi fuere Amyclae serpentibus deletae. Dein locus speluncae, lacus Fundauus, Cajeta portus. Oppidum Formiae, Hormiae prius olim dictom : ut existimavere, antiqua Laestrygonam sedes. Ultra fuit oppidum Pyrae : colonia Minturnae, Liri amne divisa, Giani appellato. Oppidum Si nuessa extremum in adjecto Latio, quam quidam Sinopem dixere vocitatam.
Hinc felix illa Campania est. Ab hoc sinu inci piunt vitiferi colles, et temulentia nobilis succo per omnes terras inclyto, atque (ut veteres dixe re) summum Liberi patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protendentur agri. His junguntor Falerni, Caleni. Dein consurgunt Mas sici, Gaurani, Surreutinique montes. Ibi Laborini campi sternuntur, et in delicias alicae populatur messis. Haec litora fontibus calidis rigantur : praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnolantur. Nusquam generosior oleae li quor : et hoc quoque certamen humanae volu ptatis tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Cam pani.
In ora Savo fluvius : Vulturnum oppidum cum amne, Liternnm, Cumae Chalcidensium, Misenum, portus Bajarum, Bauli, lacus Luorinus, et Avernus, juxta quem Cimmerium oppidum quondam. Dein Puteoli,colonia Dicaearchia dicti: postque Phlegraei campi, Acherusia palus Cumis vicina. Litore autem Neapolis Chalcidensium èt ipsa, Parthenope a tumulo Sirenis appellata: Herculanium Pompeji, haud procul adspectante monte Vesuvio, adluente vero Sarno amne : ager Nucerinus : et novem millia pascuam a mari ipsa
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possiamo dar notizia alle persone. Teofrasto, il quale fu il primo degli stranieri, che mollo dili gentemente scrisse alcune cose dei Romani ( per ciocché Teopompo, dinanzi al quale niuno fece menzione di Roma, solamente disse, che la d u i era stala presa da'Galli, e Clilarco dopo lui scrisse solo dell'ambascerìa mandata ad Alessandro), e qui con mollo più fondamento che non chi sta alla fama, pose la misura dell' isola de'Circei died miglia, in quel volume, ch'egli scrisse a Nicodoro magistrato degli Ateniesi, il qual fu nell'anno qualtrocentosessanta dall* edificazion di Roma. Tutto il terreno adunque, che v'è di arenilo oltre alle dieci miglia, è stato aggiunto all' isola. Dopo quell' anno successe un altro miracolo io Italia. Dopo Circeo è la palode Pontina, il qual luogo scrive Muziano,’ tre volte console, essere slato di ventitré città. Dipoi è il fiume Ufente, sopra il quale é la dttà di Terracina, della in lingua de' Volsci Ansure, e quivi fa già Annida ruinata dalle serpi. Dipoi v 'é il luogo della spelunca, il lago Fondano, Gaeta porto. La città di Formia, detta Ormia, siccome già fu creduto, antica abitazione dei Lestrigoni. Più oltra vi fu la città di Pira. La colonia di Minturna divisa dal fiume Garigliano chiamato Glanico. La città di Sinuessa ultima nel Lazio aggiunto, la quale secondo alcuni fu già detta Sinope. Qui é quella felice Campagna. Di qui comin ciano quei colli pieni di viti, e la nobile ebrietà per lo sugo notabile per tutte le terre, e, come dissero gli antichi, gran combattimento del padre Bacco con Cerere. Qni sono i campi Setini e i Cecubi. Con quesli si congiungooo i Falerni e i Caleni. S'innalzano poi i monti Massici, i Gaura ni e i Sorrentini. Quivi si distendono i piani di Terra di Lavoro, e la raccolta che si fa della spel· da torna in oggelto di delizia. Queste riviere sono bagnate da' fonti caldi, e oltre all' altre cose sono notate d' avere le migliori ostriche, e i più nobili pesci, che sieno in tutto il mare. Nessuno altro paese ha miglior olio di questo; E questo combattimento ancora deU'omano diletto hanno tenuto gli Osci, i Greci, gli Umbri, i Toscani e i Campani. Nella riviera v'é il fiume Savo: la dttà di Vulturno col fiume del medesimo nome, Literno, Cama de'Calddesi, Miseno, il porto di Baia, Bauli, il lago Lucrino e Averno, presso il qoale è Cimmerio già città. Dipoi Pozzuolo colonia, delta Dicearchia ; poi le campagne Flegree, e la palude Acherusia vidna a Cuma. In questa rivie ra è Napoli, edificata anche ella da' Calcidesi, chiamata Partenope dalla sepoltura d'una Sirena : Erculanio di Pompeo, poco discosto dal monta Vesuvio, e bagnato dal fiume Sarno : i canapi
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HISTORIARUM MUNDI L1B. III.
Nuceria. Surrentum cam promontorio Minervae, Sirenam quondam sede. Navigatio a Circeiis duo deoctoginta millia passuum patet. Regio ea a Ti · beri prima Italiae servator, ex descriptione An gusti. latos ooloniae: Capua ab campo dicta, Aquinum, Suessa, Venafram, Sora, Ttanum Si dicinum cognomine, Nola. Oppida: Abellinum, Arida, Alba longa, Acerraui, Allifani, Atinates, Aletrinate», Anagnini, Atellani, Asolaci, Arpinates, Auximates, Avellani, Allaterni; etqni ex agro La tino, item Hernico, item Labicano cognominati: Bovillae, Calatiae, Casinum, Calenam, Capitatum Hernicum,Cerae tani,qui Mariani cognominantur: Corani · Dardano Trojano orti : Cubulterini, Castrimonieoses, Cingulani» Fabienses, in monte Albano Foropopulieuses. Ex Falerno : Frusina tes, Ferentinates, Fregsnates, Fabraterni veteres, Fabraterni novi, Fieolenses, Foroappii, Forentaoi, Gabini, Interamnates, Suceasini, qui et Lirinates vocantur: Diopenses Lavinii, Norbani, Nomen tani, Praenestini, urbe quondam Stepbane dicta, Privernates, Setini, Signini, Suessulani, Telini, Trebulani cognomine Balinienses, Trebani, Tu sculani, Verulani, Veliterni, Ulubrenses, Ulvernates: soperqne Boma ipsa: cujus nomen alterum dicere, arcanis caerimoniarum nefas habetor : optimaque et salutari fide abolitum enuntiavit Valerius Soranus, Iuitque mox poenas. Non alie num videtur inserere hoc loco exemplum religio nis antiquae, oh hoc maxime silentium institutae. Namque An gerona, cui sacrificatur ante diem xii kalend. Januarii, ore obligato obsignatoqae si mulacrum lubet.
Urbem tres portas habentem Romulus reli quit, aut (« I plurimas tradentibus credamus) qoatnor. Moenia ejos collegere ambitu imperato ri bos cenmribnsque Vespasianis anno conditae Doocxxvm, pass. xm mcc . Complexa montes se ptem, ipsa dividitur in regiones quatuordecim, compita Lariam c c l x v . Ejusdem spatium, menaora c o m a t e a milliario in capite Romani fori statolo, ad singulas portas, qoae sunt hodie num ero triginta septem, ita ut duodecim semel n a a e re a ln r, praetereanlorqoe ex veteribus se ptem , quae esse desierunt, efficit passuum per directam xxx m d c c lx v . Ad extrema Tero tectorata ca m castris praetoriis ab eodem milliario per v ic o · omnium viarum mensura colligit panilo amplius septuaginta millia passuum. Qoo si quis altitadiaem tectorqm addat, dignam profecto aestimationem concipiat, fatealorqee oatti«s nr-
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Nocerini, e essa Nooera, lontana nove miglia dal mare. Sorrento col promontorio di Minerva, che g ii fu stanza delle Sirene. Lontano da' Circei per navigazione settautaotto miglia. Qoesta regione, incominciando dal Tevere, ì la prima d* Italia, se condo la descrizione deU’ imperador Angusto. Fra terra sono colonie, Capova così detta da campo, Aquino, Suessa, Venafro, Sora, Teano, cognomi nato Sidicino, Nola. Le città, Avellino, Aricia, Alba lunga, Acerrs, Alise,Atioa, Aletrina, Anagni, Atella, Asola, Arpina, Osimo, Avellano, Alfaterno; e quegli ancora che sono stati cognominati dal paese Latino, dall* Eroico e Labicano, sieoome sono Bovilla, Calazia, Casino, Caleno, Capitolo degli Ernici, e i Cernetani chiamati Mariani : i Co rani discesi da Dardano Troiano: i Cubulterini, i Castri moniesi, i Cingolani : i Fabiesi, e i Foropopuliesi nel monte Albano. Di Falerno, i Frusinati, i Ferentinati, i Freginati, i Fa braterni vecchi, i Fabraterni nuovi, i Ficolesi, i Foroappii, i Forentani, i Gabini, gli Inte ramnati, i Succasanf, che si chiamano ancora Lirinati. Gli llionesi, i Lavinii, i Norbani, i No mentani, Prenestini, città già detta Stefane, i Privernati, i Setini, i Signini, ì Soessulani, i Te lini, i Trebulani, cognominati Bagnesi, i Trebani, i Tusculani, i Verulani, i Veliterni, gli Ulubresi, gli Ulvernati : e inoltre essa Roma, la quale,come che avesse un altro nome, non era però lecito mentovarlo per rispetto della religione. Onde perché Valerio Sorano a buona fede ebbe a ri cordarlo, essendosi già dimenticato, ne fu punito. Non mi pare fuor di proposito mettere in questo luogo uno esempio dell’ antica religione, massi mamente per questo silenzio ordinata. Perciocché la dea Angerona, a coi si fa sacrifizio a1veni’ uno di Decembre, ha la sua statua con la bocca legata e suggellata. Romolo lasciò Roma, che aveva tre porte, o quattro, se vogliamo credere a chi dice di più. Le sue mura nel tempo de'due Vespasiani imperadori e censori, cioè dopo la edificazio ne d’ essa ottocento veni* otto anni, abbracciava no di circuito tredici mila dugento passi. Conte nendo entro a sè i monti,ella si divide in quattor dici regioni, e i capi delle vie sacri ai Lari, sono dngento sessantacinque. Lo spazio di essa, cor rendo la misura del miglio ordinato in capo del foro Romano a ciascuna porta, le quali sono oggi a novero Irentaselte, in modo che dodici porte a no tratto si contano, e lasciansi fuora selle delle antiche, che son mancate, fa a dirittura trenta mila settecento sessantacioque passi. Ma instno agli ultimi tetti, coi campi pretori!, dal medesimo miglio per li borghi la misura di tolte le vie raccoglie poco pià di settanta mila passi. Dove se
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bit magnitudinem iti télo orbe potuisse ei com parari. Clauditur ab oriente aggere Tarqoioii Su perbi, inter prima opere mirabili. Namque eum maris aequavit, qaa maxime patebat adita plaoo. Cetero munita erat praecelsis moris, aat abru ptis montibus, nisi qaod exspatiantia tecta maltas addidere arbes.
In prima regione praeterea fuere: in Latio clara oppida, Satricani, Pometia, Scaptia, Pitulum, Politorium, Tellene, Tifata, Caenina, Fica· na, Crustumeriam, Ameriola, Medullia, Comica· lam, Saturnia, abi nane Roma est: Antipolis, quod nane Janicalam in parte Romae: Antemnae, Cameriam, Collatia, Amiternum, Norbe, Salmo : et cum his carnem in monte Albano soliti acci pere popoli Albenses, Albani, Aesolani, Acienses, Abolani, Babetani, Bolani, Casvetani, Coriolani, Fidenates, Foretii, Hortenses, Latinienses, Longalani,Manales,Macrales, Matucamenses, Munienses, Naminienses, Olliculani, Octulani, Pedani, Pollnstini, Querquetulani, Sicani, Siiolenses, Tolerienses, Tatieoses, Virai tellarii, Velienses, Venetulani, Vitellenses. Ita ex antiquo Latio liii populi interiere sine vestigiis. In Campano antem agro Stabiae oppidam fuere nsqae ad Cn. Pompejam et L. Catonem consules, pridie kalend. Maji, qao -die L. Silia bello sociali id delevit, quod nnne in villam abiit. Intercidit ibi' et Taarania. Sunt et morientis Casilini reliquiae. Praeterea aactor est Antias, oppidam Lalinoram Apiolas captam a L. Tarqaino rege, ex cajas praeda Capitolium ia inchoaverit. A Surrento ad Silaram amnem triginta millia passaom ager Picentinas fait Tu scorum, templo Janonis Argivae ab Jasone con dito insignis. Intas oppidum Salerni, Picentia.
* T ta tiA I t a l i a e
r e g io .
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alenilo vi vorrà aggi ugnerei* altezza de' tetti, la giudicherà degna di grande stima, e confesserà che non i città in tatto il.mondo, che se le possa agguagliar di grandezza. È serrata verso levante dall’ argine di Tarquinio Superbo, opera mare· vigliosa fra le prime. Perciocch’ egli lo pareggiò con le mora, dove l'entrata era piò piana. Al trove era fortificata da altissime mora, o dai monti discoscesi, senonchè i tetti, i qoali esco no fnora del loro spazio, vi aggiunsero di molte città. Oltra di ciò nella prima regione forano : nel I
X. Dal Silaro comincia la tersa regione e il X. A Silaro regio tertia, et ager Lucanus Braterritorio Locano e il Bratto, e qaivi « c o ra è tiasqae incipit : nec ibi rara incolarum mota tione. Tenuerunt eam Pelasgi, Oenotrii, Itali, stata gran mutaziooe di abitatori. Abitaronl· già Morgetes, Sleali, Graeciae maxime popoli : novis i Pelasgi, gli finotrii, gl' itali, iMorgeti, i Sleali, sime Lacani a Samnitibus orti dace Lacio. e massimamente i popoli della Greci·, e nltinaa Oppidam Paestam, Graecis Posidonia appella· mente i Lucani discesi d·* Sanniti, essenti· Lucio tam, sinas Paestanas; oppidam Elea, qoae nane lor capo. Le città sono Pesto chiamato d·* Greci Velia. Promontorium Pàlinaram : a qao sina re Posidonia, il golfo di Pesto ; li città Elia, ehe ora cedente trajectas ad eolamnam Rhegiara centam ti chiama Velia, il promontorio Paliaon», donde m pass. Proximam aatem haic flamen Melpes : I fino a Reggio sono cento migli·. Vicino a qaeslo oppidam Baxentam, graeoe Pyxus : Laus amnis : I è il fiame Melfè. La città di Bassento, detta ia
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HISTORIARUM MDNW LIB. 111.
foit «I oppidum eodem nomine. Ab eo Brulium lilua : oppidum Blanda, flumen Batnm : portus Parthenius Phocensium : sinus Vibonensis, locus Clampeliae: oppidum Tamsa, a Graecis Temese dictum, et Crotonieosiura Terioa, sinusque in gens Terinaeas. Oppidum Consentia. Intus in peninsula fluvius Acheron, a quo oppidani Ache ron tini. Hippo, quod nnnc Vibonem Valentiam appellamus, Portus Herculis, Metauras amnis, Taaroentnra oppidum, Portas Orestis, et Medua. Oppidum Scyllaeam, Cratais fluvius, mater ( ut dixere ) Scyllae. Dein columna Rhegia : Siculum fretum, ae duo adversa promontoria : ex Italia Cacnys, ex Sieilia Peiorum duodecim stadiorara intervallo. Unde Rhegium duodecim m d pass. Inde Apeonini silva Sila, promontorium Leuco petra. xn i pass. ab ea Locri cognominati a promontorio Zephyrio, absunt a Silaro cgciii * passonm. Et includitur Europae sinus primus, in eoque maria naocapantur : unde irrumpit Atlanticum, ah aliis magnum : qua intrat, Porthmos a Graecis, a nobis Gaditanum fretum : qunm intravit, Hispa num, quatenus Hispanias abluit: ab aliis Ibericnm, aut Balearicum : mox Gallicum ante Narbonensem provinciam : hinc Ligusticum. Ab eo ad Siciliam insulam Tuscum : quod ex Graecis alii Notium, alii Tyrrhenam, e nostris plurimi Inferum vocant. Ultra Siciliam ad Salentinos, Ausoninm Polybius appellat. Eratostbenes aulem inter ostinm Oceani et Sardiniam quidquid est, Sardoum. Inde ad Siciliam Tyrrhenam. Ab hac Cretam asque SicuInm. Ab ea Creticum.
l a r a u i r a l x iv .
In ais,
B a l b a b iu k .
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Greco Pixo : il fiume Lao : fuvvi anco una città del medesimo nome. Óipoì il lito Brusio : Blanda città, il fiume Bato : Partenio porlo de1 Focesi : il golfo di Vibona, il luogo di Clampezia : la città di Temsa da'Greci delta Temese, e Terina dei Croloniesi, e il gran golfo di Terineo. La città di Coseoza. Fra terra nella penisola v’ è il fiume Acheronte, dal quale i cittadini sono chiamati Acheronlini. Ippone, che oggi si chiama Vibone Valenza, porto Ercole, il fiume Metauro, Tauroento città, porto d’Oreste e Medua. La città di Scilleo, il fiume Crate, madre, come dissero, di Scilla. Dipoi colonia Reggia : il golfo di Sicilia, e i due promontorii l’un di rimpetto all'altro : cioè, Ceni d’ Italia e Peloro di Sicilia con intervallo di nn miglio e mezzo. Donde è a Reggio dodici mi glia e mezzo. Quiodi la selva Sila d’ Apennino, il promontorio di Leucopetra, e dodici miglia dipoi sono i Locri, cognominali dal promontorio Zefirio: sono discosti da Silaro trecentolrè miglia. E ribchiudesi il primo golfo d’ biuropa, e in esso si chiamano i mari: onde sbocca Γ Atlantico, da altri detto Magno: dove egli entra, è chiamato da’ Greci Porthmos, e da noi stretto di Calis : quando egli è entrato, Spagnuolo, per quanto egli bagna la Spagna: da alcuni Iberico, ovver Balearico : dipoi Gallico innanzi la Provenza : poi Ligustico. Da questo in Sicilia, Toscano; dove de* Greci alcuni lo cbiaman Nolio, altri Tirreno, e là maggior parte de’ nostri lufero. Di là dalla Sicilia fino in terra d’ Olranto, Polibio lo domanda Ausonio. Ma Eralostene tutto quel eh’ è fra la foce dell’ Oceano e la Sardegna, Sardoo. Di qui fino in Sicilia Tirreno. Dalla Sicilia fino a Creta Siciliano. Da quello Cretico. D bLLS SBSIAHTAQUATTBO 1SOU, B FBA QDBSTB DBLLB B a LBABI.
Le prime isole in questo mare sono chia XI. Insulae per haec maria primae omnium XI. Pityosae a Graecis dictae, a frutice pineo : nunc mate da’Greci Piliuse, perchè abbondan di pini : ora si chiamano entrambe Ebuso, essendo l’ una Ebusus vocator utraque, civitate foederata, an e l’altra città confederata, e divise da ano stretto gusto freto interfluente, patent x l i i x pass. di mare : sono di larghezza quarantadue miglia. Absunt a Dianio septingentis stadiis : totidem Sono discosto da Dianio ollantasette miglia a Dianium per continentem a Carthagine nova. Tantaradem a Pityusis in altam, Baleares duae, mezzo, e altrettanto è Dianio per terra ferma da Cartagine nuova. Altrettanto dalle Pitiose in allo et Sucronem versos Colubraria. Baleares fuada mare sono le due Baleari, e la Colubraria verso bellicosas, Graeci Gymnasias dixere. Ma)or c u Sucrone. Le Baleari bellicose per la fromba, o pass. est longitudine, circuitu vero c c c lxx x m . Oppida habet civium Romanornm Palmam et scaglia, furono chiamale da’ Greci Ginnaste. La PoUeuliam : Latinorum civium et Tnsdam, quod maggiore è lnnga cento miglia, e circonda tre foederatam Bocchorum fuit. Ab ea xxx » pass. cento ottanta. Ha due città di cittadini Romani, 4 Utal minor : longitudine, l x m, circuitu c l ■ cioè, Palma e Pollentia; di Latini ha anche Tuscio, pass. Civitates habet lamnonem, Saniferam, Ma . che fu confederato dei Bocchi. Trenta miglia di gonem. A majore xu u pass. in altum abest scosto da lei è la minore, lunga sessanta miglia, e dì circuito cento cinquanta. Ha tre città, Iannone, Capraria : insidiosa naufragiis, et e regione Pal-
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mae orbis Menariae, ac Tiqaadra, et parra Hanni balis. Ebasi terra serpentes fogat, Colabrariae parit. Ideo infesta omnibus, nisi Ebositanam terram inferentibas. Graeci Ophiusiam dixere. Nec cuniculos Ebusus gignit, populantes Balea rium messes. Sunt aliae xx ferme parvae mari vadoso.
Galliae autem ora, in Rhodani ostio, Melina, mox quae Blascon vocatur : tres Stoechades a vicinis Massiliensibus dictae propter ordinem, quas item nominant singulis vocabulis, Proten, et Mesen, quae et Pomponiana vocatur: tertia Hy paea. Ab his Sturium, Phoenice, Phila: Lero, et Lerina adversum Anlipolim, in qua Vergoani oppidi memoria.
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Sanifera e Magone. Lontano dalla maggiore io alto mare è Capraria, insidiosa per naufragii, e dirimpetto alla città di Palma è Menaria, e Tiquadra,ela piccola città d*Annibale. La terra d’Ebuso caccia le serpi, e quella di Colubraria le produce. Per questo nuoce a tultr, se non a coloro, che vi portano la terra d’ Ebuso : i Greci la chiamarono Ofiusa. Ebuso non genera conigli, i quali gua stano le biade delle Baleari. Sono circa a venti altre isolette in qoesto mar guadoso. E la riviera della Francia, nella foce del Ra dano, ha Melina, che poi si chiama Blascon, e le tre Stecade oosì chiamate da* vicini Marsiliesi per l'ordine che son poste, Γ una Prole, Γaltra Mese, detta anco Pomponiana, e la lena Ipea. Dopo queste v’ è Sturio Fenice, Fila: Lero e Lerina dirimpetto Antipoli, nella quale sono le vestigia della città di Vergoano.
C oxsicae.
D b l l a C o r s ic a . •
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XII. 6. In Ligustico mari est Corsica, quam XII. 6. Nel mar Ligustico è la Corsica chia Graeci Cyrnon appellavere, sed Tusco propior: a mala da’ Greci Cimo, ma presso al Toscano: septemtrione in meridiem projecta, longa passuum distendesi da tramontana a mezzo giorno, luoga c l millia : lata majore ex parte quinquaginta : cir cento cinqaanla miglia, larga per la maggior parte cinquanta, di circuito trecento venti due. cuitu qgcxxii m . Abest a vadis Volaterranis l x i i m pass. Civitates habet x x x iii , et colonias Maria È discosto da Vada di Volterra sessantadue nam, a C. Mario deductam, Aleriam, a dictatore miglia. Ha trentalrècittà,e due colonie,. Mariana Silia. Citra est Oglasa : intra vero sexaginta condotta da G. Mario, e Aleria da Siila dittatore. millia passuum a Corsica, Planaria a specie dicta, Di qua è Oglasa, e addentro sessanta miglia dalla aequalis freto, ideoque navigiis fallax. Amplior Corsica, è la Pianosa, così detta per la sua forma, Urgo, et Capraria, quam Graeci Aegilon dixere : per essere eguale al mare, e. per questo fallace item Aegilium : et Dianium, quam Artemisiam : a* navili. Più grande è Urgo e la Capraia, la ambae contra Cosanam litus : et parvae Mena quale da* Greci fu detta Egilo. Ecci Egilio, e ria, Columbaria, Venaria. Ilva cum ferri metal Dianio chiamata Artemisia : ambedue poste allis, circuitu centum millia, a Populonio decem, Γ incontro della riviera di Cosa ; e Ire piccole, Menaria, Colombaria, Venaria. L'Elba doviziosa a Graecis Aethalia dicta. Ab ea Planasia, xxxix v. Ab his ultra Tiberina ostia in Antiano Astura, di ferro, di giro cento miglia, discosta da Popu lonia dieci, da* Greci chiamata Etalia. Lontano mox Palmaria, Sinonia, et adversum Formias da questa treotanove miglia è la Pianosa. Dopo Pontiae. In Puteolano autem sinu Pandataria, Prochyta, non ab Aeueae nutrice, sed quia pro queste oltre la foce del Tevere alla spiaggia di fusa ab Aenaria erat. Aenaria ipsa a statione Nettuno è Astura, poi Palmaria, Sinonia e all* in navium Aeneae, Homero Inarime dicta, Graecis contro di Formia Ponzo. Nel golfo di Pozzuolo Pithecusa, non a simiarum multitudine ( ut ali v’ è la Pandataria e Procida, così chiamata, non qui existimavere), sed a figlinis doliorum. Inter già dalla balia d’ Enea, ma perch* era presso a JPausilypum et Neapolim Megaris : mox a Sur Enaria. Ed essa fu detta Enaria, perchè le navi rento octo millibus passuum distantes, Tiberii d* Enea si fermaron quivi, e da Omero è chiama· principis aro· nobiles Capreae, circuitu xi m la Inarime, da* Greci Pitecusa, non già dalla pass. moltitudine delle «cimie, come alcuni credettero, ma perchè era abitata da stoviglia*! maestri di vasi di terra.Tra Pausilippo e Napoli v* è Megari: poi discosto da Sorrento otto miglia, Capri no bile per la rocca che vi fece Tiberio imperadore, di giro undici miglia.
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D blla Sabdboba.
X lll. Mox Leucothea : exlraqoe conspectura, XIII. Poi Leucoteca : fuor della vista di questa pelagos Africam itUngeni, Sardinia, minos no- è la Sardegna, che tocca il mar d* Africa, manco ▼em millibos passnam a Corsicae extremis, etiam* di nove miglia lontana dalla Corsica, oltre che nam angustias eas arctantibus insulis partis, quae alcune isolette, le quali si chiamano le Conigliaie, Cnniculariae appellantur : itemque Phintonis, et ristringono ancora più quello stretto. Sonvi anco Fossae, a quibas fretum ipsum Taphros nomi le fosse di Piatone, per le quali questo stretto si natur. chiama Tafro. 7. Sardinia ab oriente patens, c l x x x y i i i 7. La Sardegna da levante si distende cento millia passuum : ab occidente, c l x x millia : a ottanlaolto miglia, da ponente centosettanta, da meridie, l x x i v millia : a septemtrione, cxx». mezzo dì settantaquattro, da tramontana cento Circuita d l x millia : abest ab Africa Caralitano ventidue, di circuito cinquecento sessanta. È promontorio ducenta millia, a Gadibus quatuor· lontana dall* Africa dal promontorio di Cagliari decies centena. Habet et a Gorditano promonto dugento miglia, da Caliz mille quattrocento rio duas insulas, quae vocantur Herculis: a miglia. Ha ancora dal promontorio Gorditano Salcensi, Euosin: a Caralitano, Ficariam. Qui due isole, le quali si chiamano d’ Ercole : da Suldam haud procul ab ea etiam Berelidas ponunt, censi, Enosin : da Cagliari, Ficaria. Alcuni altri et Collodem, et quam vocant Heras lutra. Cele pongono appresso a quella ancora le Berelide, e berrimi in ea populorum, Ilienses, Balari, Corsi. Collode, e quella che si chiama Eraslutra. I più Oppidorum xir, Sulcitani, Valentini, Neapolita celebrati popoli in essa sono gli lliesi, i Balari e ni, Bosenses, Caralitani civium Romanorum, et i Corsi. Le citta son quattordici, i Sulcitani, i Norenses. Colonia autem ona, quae vocatur Valentini, i Napoletani, i Bosesi, i Caralitani dei ad turrim Libysonis. Sardiniam ipsam Timaeus cittadini Romani, e i Noresi. Evvi una colonia,che Sandaliotin appellavit ab effigie soleae, Myrsilus si chiama alla torre di Libiione. Fu chiamata la Ichnusam a similitudine vestigii. Contra Paesta· Sardegna stessa Sandalioti da Timeo, perchè ella nam sinum Leucasia est, a Sirene ibi sepulla ha forma d’una pianella ; e Mirsilo la chiamò lcappellata. Cootra Veliam, Pontia, et Iscia, utrae- nusa dalla somiglianza del suolo del piè. ΑΙΓ in· qne ano nomine Oenotrides argumentum pos contro del golfo di Pesto è Leucaiia, così chia sessae ab Oenotriis Italiae. Contra Vibonem mata da una Sirena quivi sepolta. Contra Velia parvae, quae vocantur Ithacesiae, ab Ulyssis sono Polizia e lscia, ambedue per un nome dette Enotride, e ciò è segno che l ' Italia sia stata pos specula. seduta dagli Enotrii : e dirimpetto a Vibone sono alcune isolette chiamate Itacesie, dagli spettacoli d’ Ulisse. SlClLIAB.
D b l l a S ic il ia .
XIV. 8. Verum ante omnes claritate Sicilia, XIV. 8. Vince di eccellenza tutte le altre isole la Sicilia, chiamata da Tucidide Sicania, da Sicania a Thucydide dicta, Trinacria a pluribus, aot Triquetra, a triangula specie : circuitu pa molti Trinacria, ovvero Triquetra, per avere la forma dì triangolo : ella circonda, come scrive tens, ut auctor est Agrippa, d c x v i ii m pass. qooudam Brutio agro cohaerens, mox interfuso Agrippa, seicento diciotto miglia: era gii unita mari avolsa xn 11 in longitodinem freto, in lati con la Calavria, dipoi fu dispiccata dal mare, che tudinem aotem 11 d pais. juxta columnam Rhe- vi si mise in mezzo con ispazio di dodici miglia giam. Ab hoc dehiscendi argomento, Rhegium in lunghezza, e in larghezza un miglio e mezzo Graeci nomen dedere oppido, in margine Italiae appresso a Reggio. Da qaesto rompimento i Greci sito. In eo freto est scopulus Scylla, item Charyb diedero il nome di Reggio alla città posta nello dis, mare vorticosum : ambo clara saevitia. Ipsius estremo d’ Italia. In questo stretto sono due Triquetrae, ut diximus, promontorium Pelorus scogli, 1’ uno Scilla e Γ altro Cariddi, il mare vocator, adversus Scyllam vergens in Italiam : pieno di ritrosie, ed ambedue famosi per la ruina Pachynum in Graeciam, c x l i v ii ab eo distante e morte di molti. II promontorio di essa Sicilia, Peloponneso: Lilybaeum in Africam c l x x x x come abbiamo detto, si chiama Peloro, verso Scilla guardando in Italia : Pachino in Grecia, intervallo Mercorii promontorio : et a Caralita no Sardiniae cxx ii. Inter se autem haec proipon- cento quarantaquattro miglia lontano dalla Mo«oria ac latera distant his spatiis. Terreno itinere rea ; Lilibeo in Africa cento ottanta miglia di
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C. PL1NU SECONDI
a Peloro Pachynum c l x v i mpai*. Inde Lilybaeum, cc m. Inde Peiorum, c l x x m. Coloniae immune» quinque : nrbes ac civitates l x x i i i . A Peloro mare Jonium ora spedante, oppidum Messana civium Romanorum, qui Mamertini vocantur. Promon torium Drepanum, colonia Taurominium, qnae anlea Naxo*, flumen Asines: mons Aetna noctur nis mirus incendiis. Crater ejus palet ambitu stad. xx. Favilla Tauromioium el Calauam usque pervenit fervens, fragor vero ad Maronem et Gemellos colles. Scopuli tres Cyclopuro, portus Ulyssis, colonia Catana. Flumina : Symaethum, Terias. Intus Laestrygonii campi. Oppida : Leon tini, Megaris : amnis Pantagies. Colonia Syracu sae, cum fonte Arethusa ; quamquam et Temeni tis, et Archidemia, et Magaea, et Cyane, et Milichie fontes in Syracusano potantur agro. Portu· Naustalhmus, flumen Elorum, promontorium Pachynum : a qua fronte Siciliae flumen Hirminium, oppidum Camarina, fluvius Gelas, oppi· dum Acragas, quod Agrigentum nostri dixere. Thermae colonia : amnes, Aly* el Hypsa. Selinus oppidum. Lilybaeum ab eo promontorium, Dre pana, mons Eryx. Oppida, Panormum, Solus, Hymera cum fluvio, Cephaloedii, Aluntium, Aga thyrnum, Tyudaris colonia, oppidum Mylae, et unde coepimus, Pelorus.
Intus, Latinae conditionis, Centuripini, Neti· ai, Segestani. Stipendiarii, Assorini, Aelnenses, Agyrini, Aceslaei, Acrenses, Bidini, Citarli, Cacyrini, Drepanitani, Ergetini, Eceslienses, Erycini, Entellini, Etini, Enguini, Gelani, Galatani, Halesini, Hennenses, Hyblenses, Herbitenses, Herbessenses, Herbulenses, Halicyenses, Hadranitani, Imacarenses, Ichanenses, lelenses, Mutustratini, Magellini, Mnrgentiui, Mulyenses, Menanini, Naxii,Noaeni, Petrini, Paropini, Pbinthienses, Semellilani, Scherini, Selinuntii, Symethii, Talarenses, Tissinenses, Triocalini, Tyracienses, Zanclaei Messeniorum in Siculo frelo. Insulae sunt in Africam versae : Gaulos, Me lita a Camerina l x x x i v m pass., a Lilybaeo cxm. Cosyra, Hieronesos, Caene, Galata, Lopadusa, Aethusa, quam alii Aegusam scripserunt : Buci na : et a Solunte l x x v i i Osteodes: conlraqne Paropinos Ustica. Citra ver«j Siciliam ex adverso Metauri amnis, xn millibus ferme pass. ab Italia, v i i Aeoliae appellatae. Eaedem Liparaeorum, et Hepbaesliades a Graecis,a nostris Vulcaniae: Aeo liae, quod Aeolus iliacis temporibus ibi regnavit.
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intervallo dal promontorio di Mercurio : e da Cagliari di Sardegna cento venti. E questi pro montorii o fianchi sono distanti fra loro con qoesli spazii. Pachino da Peloro per terra cenlo sessantasei miglia. Di là a Lilibeo duecento miglia. Quindi a Peloro cento settauta miglia. Colonie esenti cinque, e città setlantatrè. Dalla parte nel silo che guarda il mar Ionio, ew i Messina, città di cittadini Romani, che si chiamano Mamertini. Il promontorio di Trapani,Tauromioio colonia, che prima si chiamò Naxo, il fiume Asine, il monte Etna roaraviglioso per li fuochi notturni. L 'ap ri' tura sua circonda ben due miglia e mezzo. Le sue faville affocate giungono fioo a Tauromioio e Ca tania ; e il romore fino a Marone, e i colli chiama ti Gemelli. Vi sono poi i tre scogli di Ciclopi, il porlo di Ulisse e la colonia di Catania. Due fiumi il Simeto e la Teria. Fra terra le campagne dei Lestrigoni. Le città, i Leontini, Megari, e il fiume Pantagie. Siracusa colonia, col fonte d’Aretusa ; benché nel territorio di Siracusa si bea dì molli altri fonti, siccome sono Temenite, Arcbidemia, Magea, Ciane e Milichie. Il porlo Naustalmo, il fiume Eloro, il promontorio Pachino : dalla qoal fronte di Sicilia v* è il fiume Irminio, la città di Camarina, il fiume Gela, la ciltà d' Acraga, che da’ nostri fu chiamata Agrigento. Terme colonia: Ati e Ipsa fiumi, la città di Seiino. Dipoi Lilibeo promontorio, Trapani, il monte Erice. Le città, Palermo, Solo, Intera col fiume, Cefalà, Alunno, Agaiirno, Tindaride colonia, la ciltà di Mile, e Peloro, onde noi cominciammo. Fra terra di condizion Latina sono i Centu ripini, i Netini, i Segestani. Tributarii, gli Asso rini, gli Etnesi, gli Agirini, gli Aceslei, gli Acresi, i Bidini, i Citarli, i Cacirini, i Drepanitani, gli Ergetini, gli Ecestiesi, gli Ericini, gli Entellini, gli Elini, gli Enguini, i Gelani, i Gala tani, gli Alesini, gli Eunesi, gli lblest, gli Erbilesi, gli Erbessesi,gli Erbulesi, gli Aliciesi,gli Adranitani, gli lmacaresi, gli Icanesi, i letesi, i Mutustralini, i Magellini, i Murgenlini, i Mutiesi, i Menanini, i Naxii, i Noeni, i Petrini, i Paropini, i Finliesi, i Semellilani, gli Scherini, i Selinunzii, i Simezii, i Talaresi, i Tissinesi, i Triooalini, i Tiraciesi, i Zanclei de’ Messenii nello stretto di Sicilia. Le isole volte verso Africa sono : Gaulo, Malta ottantaquallro miglia discosta da Camerina, da Lilibeo cento tredici. Cosira, leroneso, Cene, Galala, Lopadusa, Elusa, la quale alcuni scris sero Egusa : Bucina, ed Osteode settanta cinque miglia lontano da Solonte, e Ustica dirimpetto ai Paropini. Ma di qua dalla Sicilia all* incontro del fiume Metauro, lontano da dodici miglia dell’ Italia, son te selle isole chiamate Eolie. E le medesime sono dette de* Lipariotti, ed Efcstiade
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H1ST0IUARDM MUNDI LIB. 111.
9. Lipara com eiriam Romanorum oppido dieta a Liparo rege, qui soecessit Aeolo : antea Mekgonis, vel Me&gunis, vocitata : abtit xxu ■ pesi· ab Italia, ipM circuito peuKo minor, Inter hanc el Siciliam altera, antea Therasia appellata, nooc Hiera, quia sacra Valcano est, colle in ea noctaroas eromenle flammat. Tertia Strongyle, a Lipara 11 pass, ad exortam solis rergens, in in qaa regnarti Aeolos; qaae a Lipara liquidiore flamma tantum differt: e cajas famo, qainam flalorì sint venti, in triduam praedicere incolae tradaainr : onde renlos Aeoto psraisse existima tam. Qoarta Didyroe, minor qaam Lipara. Quin ta Ericasa. Sexta Phoenicusa, pabulo proxima· mn rdiela : novissima eademqaa mioima, Evo· aymos. Haclenas de primo Europee sina.
G kucm *
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Locais.
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da’Greci, da' nostri Vulcanie : Eolie, peroioodtè quivi regnava Eolo al tempo de* Troiani. 9. Lipari con la città de* cittadini Romani, fa così detta da Liparo re, il quale successe ad Eolo, chiamata prima Melogoni, ovvero Meti* goni, è discosto dodici miglia da Italia, ed essa gira poco meno. Fra questa e la Sicilia re u’ è un1 altra, prima detta Terasia, ed ora lera, perchè eUa è sacrata a Vulcano, dorè è an colle, che di notte getta faoco. La tersa è Slrongile, lontana un miglio da Lipari, volta verso Levante, neHa quale regnò Eolo ; la quale è solo differente da Lipari, perchè getta piò chiara fiamma : dal coi fumo dicesi che gli uomini del paese sanno predire per tre dì che vento ha a soffiare ; onde fu tenu to che i venti ubbidissero ad Eolo. La qoarta è Didime minor di Lipari. La quinta Ericasa. La sesta Fenicuss, lasciata per pascione delle isole vicine. L’ultima, ch’ èia minor di latte, Evomioo. E qaesto basii qaanlo al primo golfo di Europa. L a M a o b a G r e c ia , d a
Locai.
XV. 10. A Locris ltatiae firons incipit, Magna XV. 10. Da Loori comincia la fronte d'Italia Graecia appellata, ia tres sinas recedens Aasonii chiamata la Gran Grecia, la quale ή riduce in tre maris ; qaoniam Aasones lenoere primi : palei golfi del mare Ausonio, percioochè gli Ausata ««elogiata duo millia pass, at aactor est Varrò. furono i primi che abitarono quivi: è lunga Pleriqae u x i i m fecere. ;la ea ora flamioa im a · ottantadue miglia, come scrive Varrone. Molti nera, «ed memoralo digaa a Locris Sagra, et dissero seltantadue miglia. In quella riviera sona vesti già oppidi Caolonis, Mystia, Contili num ca· infiniti fiumi, ma le oose notabili cominciando da stram, Coónlhum, qaod esse longissimum Ita Loeri sono, Sagra e i vestigii dèlia città di Cau liae promontorium aliqui existimant. Dein sinas lone, Mistia, il castello di Consilino, Cocinto, il Scyllaceas: et Scylacium, Scylletiam Athenien- quale alcani tengono che ria nn lunghissimo ibas, qaam conderent, dictam : quem locum promontorio d’ Italia. Dipoi v1 è il golfo Scillaceo, occurrens Terinaeas sinas peainsulam efficit: e Seilacio, dagli Ateniesi detto Scillezio quando «I in ea portas, qai rocalar Castra Hannibalis, Γ edificavano ; al qaal luogo occorrendo il golfo Terineo lo fa penisola : in essa vi è un porlo che nosquam angustiore Italia : xx m pass. latitudo est. Itaqne Dionysias major intercisam eo loco si chiama gli AUoggiamenti di Annibale, e quivi è il più stretto luogo d*Italia, che non è più adjieere Siciliae roloit. Amnes ibi navigabiles: largo di venti miglia. Però Dionisio il maggio»; Caeónos, Crolalus, Serairus, Arocba, Targines. volle tagliarla quivi, e aggiugrterla alla Sicilia. Oppidum intus Petilia : mons Clibanos, promon torium Laciniam : cujas ante oram insola x m Sono quivi fiumi navigabili, il Cecino, Crotalo, Semiro, Aroca e Targine. Città fra terra Petitìa : pass. a terra Dioscoron : altera Calypsus, quam il monte Clibano, il promontorio Lacinio : a Ogygiam appellasse Homeras existimator : prae dirimpetto del quale è Dioscoro, isola lontana terea Tiris, Eranusa, Meloessa. Ipsum a Caalone dieci miglili da terra : l’ altra Calipso, la quale si abesse l x x ■pass. prodidit Agrippa. tiene che sia quella, ehe Omero chiamò Ogigia : e oltre a ciò Tiri, Eranusa e Meloessa. Scrive Agrippa, che è lontano da Caulone settanta miglia. 11. Dal promontorio di Lacinio comincia il »1. A Lacinio promontorio secuoda· Europae secondo golfo d’ Europa, il qoal rivolge oott un ·*■» incipit, magno ambita flexas, et Acroceraugran giro, e finisce alla Cimerà, promontori? Epiri finitas promontorio, a qoo abest l x x v d’ Albania, da cui è discosto settantacinque mi m pass. Oppidam Croto, amnis Neaethos. Oppiglia. La città di Crotone, il fiume Neeto. La città <® · · Thurii, inter daos amnes Cratbita et Sybarin, di Turio fra i due fiumi il Crete e il Sibari, dove mbl fò t urbs eodem nomine. Similiter est inter
3?i
G. PLINII SECUNDI
Sirio et Acirin Heraclia, «liquando Siris vocitata. Flumina : AcaUadrain, Casventum : oppidum Metapontum, quo tertia Italiae regio finitur. Mediterranei Brutiorem, Aprastaai tanlarn : Lu canorum autem, Atinates, Bantini, Eburini, Grumentioi, Potentini, Sontini, Sirini, Tergilani, Ursenlini, Volcentani, quibus Numeslraai juuguntur. Praeterea inleriisse Thebas Lucanas Ca to auctor est. Et Pandosiam Lucanorum urbem fuisse Theopompus, in qua Alexander Epirotes occubuerit.
*SSCCVDA l T
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fu una città del medesimo nome. Similmente fra il Siri e l’Aciri v* è la città d'Eraclea già chiamata Siris. 1 fiumi, ΓAcalandro e il Casvento : la città di Metaponto, dove finisce la terza regiooe d’ Ita lia. I popoli mediterranei della Calabria sono solamente gli Apruslani : e di Lucania gli Atinati, i Bajitini, gli Ebaripi, i Grumentini, i Potentini, i Son Uni, i Sirini, i Tergilani, gli Ursenlini, i Voloentani, coi quali si congiangono i Numestra ni. Olire a ciò scrive Calone, che in Lucania è perita una ciltà, che si chiamava Tebe. E Teopompo dice, che Pandosia fn già città di Lucania, dove fu morto Alessandro re degli Epiroli. S ecoitda ΚΒβΙΟΒΒ n* I t a l m u
Congiugnesi la seconda regione con XVI. Connectitur secunda regio,amplexa Hir XVI. pinos, Calabriam, Apuliam, Salentinos c c l v sinu, questa, la quale abbracci* gli Irpini, la Calabria, qui Tarentinus appellatur,ab oppido Laconum, in la Puglia, e lerra d’ O Iran lo col golfo di dugento recessu hoc intimo silo, contribui^ eo maritima, cinquanta miglia, il qual si chiama Tarenlino da colonia quae ibi fuerat. Abest cxxxvi m pass. a una città di Lacedemoni posta in questa ultima Lacinio promontorio, adversam ei Calabriam in parte, contribulavi una colonia marittima, che fa peninsulam emittens. Graeci Messapiam a duce quivi. E lootano cento trenlasei miglia dal pro appellavere ; et ante Peucetiam, a Peucetio Oe montorio Lacinio, mettendo nella Calabria, peni notri fratre. In Salentino agro inter promonto sola che gli ò opposta. 1 Greci la chiamarono ria c at pass. intersunt: latitudo peninsulae a Messapia da Messapo lor capitano, e prima PeuTarento Brundisium lerreno itinere xxxv m pass. oecia, da Peucezio fratello d’ Enotro. Nel paese Satentino fra i promontorii è cento miglia di patet, multoque breviasa porta Sasina. Oppida spazio : la larghezza della penisola da Taranto · per continentem a Tarento, Varia, cui cognomen Apulae, Messapia, Aletium. In ora vero Senonum, Brindisi per lerra è Irenlacinque miglia, e moli· Callipolis, quae nune est Anxa, l x i i m pass. a meno dal porLo di Sasina. Le cillà per terra fer Tarento. In x x x i i x promontorium, quod Acran ma da Taranto, Varia, cognominata la Pugliese, Iapygian vocant, quo longissime in maria excur Messapia, Lezze. E alla riviera, Gallipoli dei rit Italia. Ab eo Basta oppidum et Hydruntum Seuoni,che ora è Anza, sessaniadue miglia da T a decem ac novem ■pass. ad discrimen Jonii et ranto. Indi Irentadue miglia il promontorio, e h * Adriatici maris, qua in Graeciam brevissimus si chiama Acragiapigia, per dove l ' Italia lunghis transitus : ex adverso Apolloniatum oppidum, la sima mente si distende in mare. Dipoi v1 è Basla titudine intercurrentis freti, quinquaginta m non città, e Otranto diciannove miglia di spazio fra il amplius. Hoc intervallum pedestri continuare mare Ionio e Γ Adriatico, dove è un bravissimo passaggio in Grecia. ΑΙΓ incontro v’ è la città di transitu pontibus jactis primum Pyrrhus Epiri rex cogitavit : post eum M. Varro, quum classibus Apollonia, con larghezza del mare, ch'entra fra Pompeji piratico bello praeesset. Utrumque aliae lerra, cinquanta miglia, e non più. Questo inter vallo pensò già Pirro re degli Epiroli di volerlo impedivere curae. Ab Hydrunte, Soletum deser tum, dein Fratruerlium : portus Tarentinus, statio congiugnere in modo, che si camminasse a piedi militum Lupia, Balesium, Caelium, Brundisium per ponti falli : dopo lui M. Varrone eb be il medesimo disegno, quando egli governava Γ ar x. mpassuum ab Hydrunte, ia primis Italiae por ta nobile, ac velut certiore transitu, sic utique mata di Pompeo nella guerra de* Corsali. E Γαηο e l'altro fu impedito da altri pensieri. Dopo Ioogiore, excipiente Illyrica urbe Dyrrhachio ccxx ii trajeetn. Brundisio conterminus Pedi Otranto v 'è Soleto abbandonato, dipoi Fratuerculorum ager. Novem adolescentes totidemque zio : il porto di Taranlo, Lupia stanza di soldati, virgines ah Illyriis tredecim populos genuere. Balesio, Celio, Brindisi cinquanta miglia da Pediculorum oppida, Rudiae, Egnatia, Barion, Otranto, nobilissimo porto d 'Italia, e benché di ante Iapyx a Daedali filio, a quo et Iapygia* piò. lungo, di più certo e sicuro passaggio, dal Amnes, Paetius, Aufidas ex Hirpinis montibus quale a Durazzo ciltà di Scbiavonia sono dugen Canusiam praefluens. to venti miglia. Con Brindisi confina il paese dei Pediculi. Nove giovanetti, e altrettante fanciulle
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HISTORIARUM MUNDI LIB. 11!.
Hinc Apulia Dauniorum cognomine, a dnce Diomedis socero. In qua oppidum Salapia, Han nibalis meretricio amore inclytum: Sipontum, Uria : amnis Cerbalns, Dauniorum finis : portus Agasus, promontorium montis Gargani, a Salenlino sive Iapygio ccxxxiv x pass. ambilo Gargani : portas Garnae, lacus Pantanns. Flumen portuo sum Frento, Teannm Apulorum: itemque Lari natum Gliternia: Tifernus amnis. Inde regio Frentana. Ita Apulorom genera tria : Teani, dnce e Grajis : Lucani, sobacti a Calchante, quae loca nnnc tenent Atinates. Daunioram praeter sopra dicta coloniae, Lnceria, Venusia. Oppida : Canusium, Arpi, aliquando Argos Hippium Dio mede condente, mox Argy ri ppa dictam. Diomedes' ibi delevit gentes Monadornm, Dardorumqne, et orbes duas, quae in proverbii ludicram vertere, A pinam et Tricam.
Cetero intos in secanda regione, Hirpinorum colonia ana Beneventum, auspicalius mutato no mine, ,qoae quondam appellata Maleventum: Aasecolani, Aquiloni, A bellina tes cognomine Protropi, Compsani, Caudini : Ligures, qui cognominantur Corneliani, et qui Bebiani: Vescellani, Deculani, Alelrini, Abelliuates cognominati Marsi, Atrani, Aecani, Alfellani, Altinates, Arpaui, Borcani, Collalini, Corinenses, et nobiles, clade Romana Cannenses, Dirini, Forenlani, Genasini, Hordonienses, Hyrini, Larinates, cogno mine Frentani, Metinales, ex Gargano Mateolani, Neritini, Malini, Rubustini, Syluini : Strabellini, Turmentini, Vi bina tes, Venusini, Ulurtini. Cala brorum mediterranei : Aegetini, Apamestini, Ar gentini, Buluntinenses, Deciani, Brumbestini, Norbanenses, Palionenses,Slurnini,Tutini. Salentinorum: Aletini, Basterbini,Nerelini, Valentini, Vere tini.
Q u a &t a I t a l i a · a k o io .
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venendo quivi di Schiavonia generarono tredici popoli. Le città de* Pediculi sono, Rudia, Egnazia, Barione, prima chiamata lapide dal figliuolo di Dedalo, da cui anco ebbe il nome la Iapigia. I fiumi, il Paltio, e P Aufido, il quale scendendo dai monti Irpini va a Canusio. Dipoi v’ è la Puglia de* Dauni, così chiamata dal duce loro suocero di Diomede. Nella quale è la ciltà di Salapia, famosa per l’ amor meretricio d 'Annibaie : Siponto e Uria : il fiume Cerbalo, confine de'Dauni: il porto Agaso, il promontorio del monte Gargano, lontano da Salenlino, ovvero lapigio dugento trentaqualtro miglia col circuito di Gargano : il porto di Garna, il lago Pantano. II fiume portuoso di Frento, Teano di Puglia: Larino, Cliternia, il fiume Tiferno. Dipoi la re gione Frentana. E così ti sono tre sorti di Puglie si : iTeani, così delti dal dace loro, uno de'Greci : i Lucani, soggiogati da Calcante, i quali luoghi sono ora posseduti dagli Alinali. Oltra le soprad dette, v’ è la colonia de' Dauni, Luceria, Venosa : la città Canosa, Arpi già detto Argo lppio, edifi candolo Diomede, dipoi chiamato Argirippa. Qoivi Diomede disfece i popoli Monadi, e i Dardi, e due città, le quali si voltarono in ischerno di proverbio, Apina e Trica. L’ altre fra terra nella seconda regione, Benevento una colonia degli Irpini,avendo con miglior augurio cambiato nome ; perchè già fu chiamata Malevento. Gli Ausccalani, gli Aquiloni, gli A bel linati cognominati Protropi,i Coro pisani, i Caudini: i Liguri, che son chiamali Corneliani, e i Bebiani ancora: i Vescellani, i Deculani, gli Aletrini, gli Abellinati cognominali Marsi, gli Atrani, gli Ecani, gli Afellani, gli Attinati, gliArpani, i Borcani, i Collatini, i Corinesi e i Cannesi, nobili per la rolla dei Romani, i Dirini, i Forenlani, i Genusi· ni, gli Ordoniesi, gli Irini, i Larinali, cognominati Frenlani, i Meliual), i Mateolani da Gargano, i Njerilini, i Malini, i Robuslini, i Siluini, gli Stra bellini, i Turmentini, i Vibinaii, i Venusini, gli Ulurtini. 1 mediterranei di Calabria, gli Egetini, gli Apamestini, gli Argentini, i Butuoiinesi, ì Deciani, i Brumbestini, i Norbaniesi, i Palionesi, gli Sturnini, i Tulini. Di terra d 'Otranto, gli Aletini, i Baslerbini, i Neretini, i Valentini, e i Vereliui. Q d a it a i u i o u
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I t a l ia .
ia. Segue la quarta regione delie pid XVII. ia. Sequitur regio quarta gentium vel XVII. fortissimarum Italiae. In ora Frentanorum a valorose genti d’ Italia. Nella riviera de'Frentani Tiferno : flamen Triniam portuosum. Oppida : da Tiferno, il portuoso fiume Trinio. Le città, Hbtonium, Baca, Ortona : Alernus amnis. Intus Istonio, Buca, Ortona, il fiume di Pescara. Era Anxani cognomine Frentani. Carenlini superna terra sono gli Ansani, detti Frentani, i Carenlini disopra e quei disotto, i Lanuesi : i Tealini dei tes, et infernates, Lanuenses : Marrucinorum
C. PLINII SECONDI Teakini : Pelignorura Corfiniense·, Sopereqoani, Solmopen*es : Marsorara Amantini, Atinates, Facente·, Locenses, Maruvii : Albentium Alba ad Focinom lacum : Aeqaiculanorum Cliternini, Carseolani : Vestinorum Angolani, Pinnenset, Peltuinetes, quibus junguntur Aufinates Cismon tani : .Samnitium, quos Sabellos, et Graeci Seunitas dixere* colonia Bovjenum vetus, el alterum cognomine Undecumanorum. Aufidenates, Esernini, Fagifulani, Ficolenses, Saepinates, Treventinates: Sabinorum Amiternini, Curenses, Forum Decii, Forum Novum, Fidenates, Interamnates, Nnrsini, Nomentani, Reatini, Trebulani, qoi co gnominantor Mutusceei, et qui Suffenates,Tiburtes, Tarinates. In hoc situ ex Aequicolis interiere Comini, Tediate·, Acedici, Aliatemi. Gellianus auctor est, lacu Fucino haustura Manorum oppi dum Archippe,conditum a Marsya duce Lydorum: iiem Vidicinorum in Piceno deletum a Romanis, Valerianas. Sabini (ut quidam existimavere, a religione et deorum culto Sevini appellati ) Veli no· accolant lacu·, roscidis collibus. Nar amnis exhaurit illos sulphurei· aquis. Tiberim ex his petent replet, e monte Fiscello labens, joxta Va cunae nemora et Reate in eoedera conditus. At ex alia parte Anio, io monte Trebanorum ortos, lacus tre· amoeoi tate nobiles, qui nomen dedere Sublaqueo, defert in Tiberim. In agro Reatino Cutiliae lacuna, in quo fluctuet insula, Italiae umbilicum esae M. Varro tredit. Infra Sabinos Letìum est, a latere Picenam, a tergo Umbria, Apenaioi jugi· Sabino· utrimque vallantibus.
Qoiwta
I t a l ia e
ascio.
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Marrucini : i Corfinteu de’Peligni, i Soperequani e i Sulmooesi : gli Aosantini de* Marsi, gli Atinati, i Fucent i, i Lucesi, i Maruvii : AJba degli Albesi appresso il lago Fucino : i Cliternini degli Equiculani, i Carseolani : gli Angulani de* Vetiini, i Pi noesi, i Peltoinati, con i quali si congiuugono gli Aufinati di qna da1 monti : de’ Sanniti, i quali furono chiamati Sabelli, e dai Greci Sanniti, colo nia Bovian vecchio, e l'altro detto degli Undecu mani. Gli Aufidenati, gli Esernioi, i Fagifulaoi, i Ficolesi, i Sepinati e i Tre ventinati : de* Sabini, gli Amitermini, i Curesi, foro di Deeio, Foroooovo, i Fidenati, luteranno, Norcia, Nomento,Rie le, Trebola cognominata Mutusca, e i Suflenati, Tivoli, Tarma. In questo aito degli Equieolt sono periti i Comini, i Tediali, gli Acedioi, gli Alfaterni. Scrive Gelliano, che nel lago Fucino profondò Archippe, edificato da Marsia capitano de’ Lidi : · Velerieno afferma, che i Romeni disfeoer Vidicv noro nel paese di Piceno. I Sabini ( secondo che alcuni stimarone, dalla religione e dal colto degli dei,chiamati Sevini),abitano eoi Ughi Vettni,dove hanno i freschi e raggiadosi poggi. E quivi il fiume delle Nere gli vuota con le sue acque ingol fate e riempie d'esse il Tevere, uscendo del monte Fiscello, presso a’ bosohi di Vacane e Riete ne*medesimi nascosto. Ma d’ altra parte 1' Aniene, nato nel monte de’ Trebani, porla seco nel Tevere tre bellissimi laghi, i quali diedero il nome a Subiaco. Scrive M. Varrone, che nel territorio di Riete è il lego di Cutilìa dove ano isola ondeggia, e ch’egli è il messo dell’ Italia. D i sollo a’ Sabini è il Lesio, da lato il Piceno, da dietro l ' Umbrie ; e i gioghi dell' Apennino dalTona § filtr a parte chiudono i Sabini. Q ortrrA u e t o r a
d * I ta l ia .
i 3. La quinta regione è del Pfeeoo, XVIII. i>8. Quinta regio Piceni est, quondam XVIII. dove già fu grandissimo numero di gente, per· uberrimae multitudinis. Trecenta l x millia Picen tiam in fidem populi Romeoi venere. Orti sunt a ciocché treoentoseuanta mila Pieenti vennero già alla divosione del popolo Romano. Esei eb Sabinis voto vere sacro. Tenuere ab Aterno am ne, ubi mme ager Adrianas, et Adria colonia a bero origine da’ Sabini, per voto di primavera •aera. Tennero dal fiume di Peteere, dov’ è ora mari vn ■pass. flumen Vomennm, ager Praetu il territorio d’Adrie, e la colonia d’Adrie, te li· tianus, Palmensiaqoe. Item Castroni Novum, flu miglia discosto dal mere, il fiume Vomano, i l men Batinum, Truentum cum amae : quod solum Liburnorum in Italia reliquum est. Flumina, Al- territorio Pretusiano ed il Palmese. Similmente Ceslelouovo, il fiume Belino e la citlé di Tron pulates, Sninura, Hei vinum, quo finitur Praetu to col fiume del medesimo nome ; le qual città tiana regio,et Picentium incipit. Cupra oppidum, castellum Firmanorum : et super id colonia Ascu sola rimene oggi de’ Liburni in Italie. I fiumi, lum, Piceni nobilissima. Intus, Novana : io ora, rAlpulate, il Suino e l’ Elvino, dove finisce la region Pretusiane, e incomincia il Piceno. Copro Cloana, Potentia, Numana, a Siculis coodite. Ab iiadem colooia Ancona, adpoeita promontorio città, castello de’ Fermani, e sopra eseo la colo Camero in ipso flectenti· *e orae cubito: a Gar nia d’ Assoli, nobilissima del Piceno. Fra terra, gano c l x x x u i v pes·. Intuc Amimele·, Beregra- Novena. Alla riviera, Claana, Poleosia, N u n aaa oi, Cingulani, Caprenses cognomine Montani? edificala da’ Siciliani. Dai medesimi fo fatta lo
HISTORIARUM MUNDI LIB. III.
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Falarienses, Paosolani, Pleoinenses, Ricinenses, Septcmpedani, Tol leo lio ates, Triacenses, urbs Salvia Polka lini.
S im
It a lia ·
Emoto.
XIX. 14. Jungitor his sexta regio, Umbriam complexa, agromqoe Gallicam circa Ariminum. Ab Ancona Gallica ora incipit, Togatae Galliae cognomine. Siculi et Liburni plurima ejos Iractus tenoere, in primis Palmensem, Praetutianam, Adrianumque agrum. Umbri eos expulere, hos Etraria, haoc Galli. Umbrorom gens aoliqoissima Italiae existimator, ut qoos Ombrios a Grae cis pateo! dictos,quod inundatione terrarum im bribus superfuissent. Treceni a eorum oppida Ταsci debellasse reperiunlur. None in ora flumen Aesis, Seoogallia, Metauros flavius : coloniae, Fa num Fortunae, Pisaorum coni amoe. E l iotos Hispellom, Tuder. De cetero Amerini, Attidiates, Asirinates, Arna tes, Aesioales, Camertes, Casuentillani, Carsolaoi, Dolates cognomine Salentini, Folginales, Foroflaminienses, Forojolieoses, co gnomine Concopieoses: Forobrenlani, Forosempronienses, Igaini, Interamnates, cognomine Nar tes: Mevanates, Mevanionenses, Matilicates: Nar nienses, qnod oppidum Neqoioom aotea vocatam est : Nacerini, cognomine Favonieases, et Camellaai: Ocricolaoi, Ostrani, Pitolani, cogoomioe Pisuertes, ct alii Mergentini: Pelestini, Seminales, Sarsinales, Spoletini, Suarani, Sestioates, Suillates, Tadinates, Trebia tes, Toficani, Tifernales, cognomine Tiberini, et alii Metaoreoses: Verfooicates, Urbinates, cognomine Melaorenses, et alii Hortenses: Vellinenses, Vindinates, Viventani. Io hoc sita interiere Feliginates, et qoi Clnsiolam tenoere supra Ioteramnam: el Sarranates, cum oppidis, Acerris, qoae Vafriae cognominabantor, Taracelo, qaod Vetriolum. Idem SolinaWs, Soriales, Fallieoates, Apienoales. Interiere et Arienates cam Crinovolo, et Usidicani, et Piangense·, Pisinates, Coeleslini. Ameriam suprascriptam Cato ante Persei bellam conditam annis DOGCCLXiv prodidit. * O c t a v a I t a l i a * b b g io * : 0 1 P a d o .
XX. i 5 . Oolava regio determinator Arimino, Pado, Apennino. In ora fluvias Crastamiam, Arin im a colonia cam amnibas Arimino et A prosa. FJavios hinc Rubico, quondam finis Italiae. Ab eo
37S
colonia d'Ancooa appresso il promontorio Ca mero nel gomito stesso della riviera, che si piega lontano dal monte Gargano cent'ottantatrè mi* glia. Fra terra è Osirao, Veregra, Cingoli, i Capresi cognominati Montani, Falariesi, i Pau sala oi, i Pleoinesi, i Ricinesi, i ‘ Settempedani, i Tollenti nati, i Triacesi, la città Salvia e i Pol lentini. L a sbsta b b g io r b 0 ' I t a l i a .
XIX. 14. Congiugnesi a queste la sesta re* gione, la qoale abbraccia Γ Umbria, il territorio Gallico intorno A rimino. Da Ancona comincia la riviera Gallica, detta Gallia togata. 1 Siciliani e i Libami possederono già molti laoghi di questo paese, e massimamente il territorio Palmense, il Pretoriano e Γ Adriano. Gli Umbri gli cacciaron poi; questi furon cacciati da'Toscani, « i Toscani da' Galli. Sono stimati gli Umbri popoli antichissimi d1 Italia, tenendosi ebe sien chia mati Ombri da* Greci, perciocché rimasero dopo Γ innondazioni del mondo per le piogge. Tro vasi, che i Toscani s*insignorirono già di tre cento loro città. Ora alla riviera v 'è il fiome Esi, Sinigaglia, il fiome Metauro, la colonia di Fano, Pesaro col fiome del medesimo nome. E fra terra Ispello e Todi. Segoe dipoi Amelia, Atlidia, Asirina, Amate, lesi, Camerino, Caraco llila, Carsola, i Dolati delti Salentini, Fuligno, Foroflaioinio, Foroiolio, detto Coneobino, Forobremizio, Fossombrono, Ingoino, Terni, Mevana, Mevagnia, Matelica, e Narni,che già si chiamò Nequino : Nocera detta Favonio, Camelia, Ocricoli, Oslra, Pilulo delta Pisuerte,ed altri Mergentini : Pelestino,Sentino, Sarsina,Spoleto, Soara,Sestina, Suillali, Tadinati, Trebiati, Tuficani, Tifernati, delti alcuni Tiberini ed alcuni Melauresi : Vesionicati, Urbioali, cognominati alconi Melauresi ed altri Orlesi : Vezzionesi, Vindioali, Viventan. In questo silo sono mancali i Feliginati, e quei che abitarono Clusiolo sopra Terni : e i Sarre nati, con la città d’ Acerra, che si chiamava Vafria, e Turocelo, detto Velriuolo. E similmeote i Solinati, i Suriati, i Fallienati, gli Apiennali: e gli Arienari con Crinovolo, gli Usidicani, i Plagesi, i Pisinati ed i Celestini. Scrive Catone, che la soprascritta Amelia fu edificata novecentose*· santaquatiro acni ionaozi la guerra di Perseo. O t t a v a b b o ió b b d ’ I t a l i a . D b l
ruma Po.
XX. i 5 . L’ ottava regione è terminata d’Ari mino, dal Po e dall'Apennino. Alla riviera v’è il fiume Croslumio, Arimino colonia eoa due fiumi, l'uno Ia Marecchia e l’ altro l'Apruaa. Dipoi il
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C. PLINII SECUNDI
Sapi·, et Vili·, et Anemo: Raveoua Sabiaorom oppidam, cum amne Bedese, ab Ancona cu m paas. Nec procul a mari Umbrorum Batrium. lu tus coloniae: Bononia, Felsina tocitala, quam princeps Etruriae esset: Brrxillum,Mutina, Par ma, Placentia. Oppida: Caesena, Claterna, Forum Clodii, Livii, Popilii, Truentinorum, Cornelii, Licini, Faventini, Fidenlini, Otesini, Padinales, Regienses a Lepido, Solonate·, salt usque Galliani qui cognominantur Aqainates:l'anetani, Veliates, cognomine Vederi Regiates: Ombrali· les. In ho'c tractu interierunt Boji, quorum tribus cxn fuis se auctor est Cato : itero Senones, qui ceperant Romam.
16. Padus e gremio Vesuli montis celsissimum io'cacumen Alpium elati, finibus Ligurum Vagieunorum, tisendo fonte profluens, condensque sese cuniculo, et in Forotibiensium agro iterum exoriens, nulli amnium claritate inferior: Graecis dictus Eridanus, ac poena Phaethontis illustratus. Augetur ad Canis ortus liquatis nitibus: agris quam navigiis torrenlior, nil tamen ex rapto sibi vindicans,atque ubi liquit agros, ubertate largior: trecentis n pass. a fonte addens meatu duodeno naginta,nec amnes tantum Apenninos Alpinosque navigabiles capiens, sed lacus quoque immensos in eum sese exonerantes, omni numero xxx flurniua in mare Adriaticum defert. Celeberrima ex iis, Apennini latere jactum Tanarum : Trebiam, Placentinum, Tarum, Inciam, Gabellum, Scullennam, Rhenum: Alpium tero Siuram, Morgum, Durias duas, Sessiten, Ticinum, Lamhrum, Adduam, Olium, Mincium. Nec alius amnium tam brevi spatio majoris incrementi est. Urgetur quippe aquarum mole, et in profundum agitur, gravis terrae, quamquam deductns in flumina, et fessas inter Ravennam Altinumque per cxx ■ pass. tamen qua largius vomit, septem maria di tius facere.
Augusta fossa Ravennam trahitur, ubi Padusa vocatar, quondam Messanicus appellatus. Proxi mum inde ostinm magnitudinem portus habet, qui Vatreni dicitor, quo Claudius Caesar e Bri tannia triumphans, p r a e g r a n d i illa domo verius quam nave intravit Adriam. Hoc ante Eridanum ostium dictam est, aliis Spinelicum, ab urbe Spi na, qaae fuit jaxta, praevalens, nt Delphicis cre ditam est thesauris, condita a Diomede. Auget ibi P dom Vatrenus amnis, ex Forocorneliensi agro.
38o
fiume Rubicone già confine d* Italia. Appresso il Satio, il Vili e ΓAnemone: Ravenna città de’Sabini col fiume Bedese, discosto d'Ancona cento due miglia , e poco lontano del mare Butrio degli Umbri. Fra terra, Bologna colonia, detta Felsioa, quando ella era capo della Toscana; Brescello, Modena, Parma, Piacenza. Le città, Cesena, Claterna, Foroclodio, Forlì, Forlimpopoli, Brettinoro, Imola, Forolicini, Faenza, Fidenzia, Otesini, Pedinati, Reggio di Lepido, Solonati e i boschi Galliani, che sono detti Aqui nati: Tanetani, Veliati, cognominati Velieri, Reggiati, ed Umbranati. In qoesti luoghi sono mancati i Boii, le tribù de* quali, come scrive Catone, furono cento dodici : e i Senoni ancora, che avevan presa Roma. 16. Esce il Po del grembo al monte Vesulo altissimo, e da fonte eccellente, scorrendo per il paese de’ Ligari Vsgienni : dipoi *’ asconde sotterra, e di nuovo esce fuora nel territorio de’ Forovibiesi, e non cede a verun altro fiume: da’ Greci è detto Eridano, ed i illustrato per 10 gastigo di Fetonte. Ingrossa nel nascimento della Canicola, quando si slruggon le nevi ; ed è più rapido per li campi, che per li navili, ma non però s'appropria nulla di quel che to glie : e dove lascia i campi, quivi rimane più grasso e più civizioso. Trecento miglia va lon tano dal fonte, e ne aggiugne ottant’otto per le giravolte. Nè solamente riceve in si i fiumi navigabili dell'Apennino e dell’ Alpi, ma ancora grandissimi laghi, che si scaricano in esso; e finalmente porta trenta fiumi a novero nel ma re Adriatico. 1 più celebrati di qoesli fiumi dal lato dell' Apennino sono il Tanaro, la Trebbia, 11 Piacentino, il Taro, 1' Enza, la Secchia, Pana re ed il Reno. Quei dell' Alpi sono, la Stura, il Morgo, due Dorè, la Sesia, il Tesino, il l*arubro, l’Adda, l’Olio ed il Mincio. Nè v’alcuno altro fiume, che in così poco spazio sia di maggior crescimento. Egli viene spinto dalla gran furia dell'acqua, e profondasi ; grate alla terra, ben ché sia diviso in fiumi, ed in fosse fra Ravenna ed Aitino centoventi miglia : ma nondimeno, perchè mollo largamente manda fuori, ai dice che fa sette mari. Per nna stretta fossa è tirato a Ravenne, dove si chiama Padusa, chiamato già Messanico. Dipoi la prossima foce ha grandezza d i porto, il qual si chiama Vatreno, per dove Claudio im peratore trionfiindo dell’ Inghilterra, con quella piuttosto grandissima casa, che navilio, entrò nel mare Adriatico. Questa foce già fu chiamata Eridano, e da tienili Spinetico, per 1« città di Spina, che v’era presso, possente per li tesori di Delfo, come già fa creduto, che fo edificata
Ut
HISTORIARUM MUNDI L1B. 111.
Proximum inde osliam Caprasiae, dein Sagis, inde Volane, quod aule Oboe vocabatur. Omnia ea flamina, fossasque, primi A sagi fecere Tosci: egesto amnis impetu per transversum in Atrianoram paludes» quae septem maria appellantur, nobili portu oppidi Tuscorum Atriae, a quo Atriaticam mare ante appellabatur, quod nunc Adria(icam. lude ostia pleoa,Carbonaria, ac fossiones Philislinae, quod alii Tartarum vocant : omnia ex Philislinae fossae abundatione nascentia: acce dentibus Atesi ex Tridentinis Alpibus, et Togiso* no ex Patavinorum agris. Pars eorum et proxi mam portum fecit Brundulum, sicut Edrooem Medaaci duo, ac fossa Clodia. His se Padus miscet, se per haec effunditur, plerisque, ut in Aegypto Silus, quod vocant Delta, triquetram figuram in ter Alpes alque oram maris facere proditus» stad. duum m circuitu. Pudet a Graecis Italiae ratio nem mutuari. Metrodorus tamen Scepsius dicit, qoouiam circa fontem arbor multa sit picea, qua les gallice vocentur Padi%hoc nomen accepisse. Ligurum quidem lingua amnem ipsum Bodin· cum vocari, quod significet fundo carentem. Cui argomento adest oppidum Industria, vetusto no mine Bodincomagum, ubi praecipua altitudo incipit:
* U m icix A I t a l u s m ioio* : I ta lia
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P ado · .
38·
da Diomede. Quiri cretee il Po per il fiume Va treno, che viene dal territorio d’ Imola. Dipoi la prossima foce è Caprasia, poi Sago, poi Volana, che prima si chiamava Olane. Tutti qoe’ fiumi e fosse furono fatti da' Toscani Asagi, i quali derivarono la furia del fiume per traverso nelle paludi degli Atriani, le quali si chiamano i sette mari, col nobil porto d'Atria citlà de'Toscani, dalla quale per avanti si chia mava mare Atriatico, quel ch'ora è delio Adria tico. V'è poi la foce piena, Carbonara, e le fossone Filisline, che alcuni chiaman Tartaro; le quali nascon lutle dall'abbondanza della fossa Filisi ina, entrandovi dentro due fiumi, l'Adige, che viene dall'Alpi di Trento, e il Togisono del contado di Padova. Una parte di loro fece il prossimò porto di Brondolo, siccome i due Meduaci, e fossa Clodia fecero l ' Edron. Con questi si me scola il Po, e per essi il più delle volle si spande, come in Egitto il Nilo, dove si chiama Della ; e dicesi che fa tra l'Alpi ed il mare una figura triangolare di dugenlocinquanta miglia per cir cuito. Io mi vergogno pigliar da'Greci la ragione d 'ilalia. Nondimeno Metrodoro Scepsio dice, perchè d'intorno alla fonte di questo fiume sono di molli alberi, che fanno la ragia, la quale in lingua Gallica si chiama Padesy il Po aver prese questo nome di P aio: e che nella lingua de' Li guri questo fiume si chiama Bodinco, che vuol dire senza fondo. Della qual cosa ne fa testimo nio la citlà d 'Industria, che gli è appresso, la quale anticamente si chiamò Bodincomago, dove comincia la sua gran profondità. D ell ' I ta lia o l t x b
il
Po,
i e g i o b · vhdbcm a .
17. Da questo fiume tutta la regione si XXI. 17. Transpadana appellatur ab eo regio XXI. chiama Transpadana, tutta mediterranea, alla undecima, tota in mediterraneo, cui maria cuuquale ciò che ha il mare porta il Po col frut e U fructuoso alveo importat. Oppida : Vibiforum, tuoso suo letlo. Le citlà d'essa sono: Vibiforo e Segusto. Coloniae ab Alpium radicibus, Augusta Susa. Le colonie dalle radici delle Alpi, Augusta Taurinorum, anliqoa Ligurum stirpe, inde navi de'Taurini, antica stirpe de'Liguri ; e quivi co gabili Pado. Dein Salassorum Augusta Praetoria, juxta geminas Alpium fores Grajas atque Peninas. mincia il Po a navigarsi. Dipoi Augusta pretoria de' Salasi, posta presso alle due foci delle Alpi, His Poenos, Grajis Herculem transisse memoraot. Oppidom Eporedia, Sibyllinis a populo Romano cioè le Graie e le Penine. Da queste dicono che coodiium jussis.Eporedicas Galli bonos equorum passarono gli Africani, e dalle Graie Ercole. Evvi la città d' Eporedia, la quale fu edificata dal po domitores vocant. Veroellae Libycorum exSallupolo Romano per comandamento de' libri Sibil viis ortae, Novaria ex Vertacomacoris, Vocontio lini. 1 Galli chiamano Eporediche i buoni doma rum bodieqne pago, non ( ut Cato existimat) Litori de’ cavalli. Vercelli edificata da'Salii, popoli forum: ex quibus Laevi et Marici condidere Tici num, non procul a Pado : sicut Boji transalpibus della Libia, Novara da' Vertacomacori, ed oggi è villaggio de'Voconzii, non (come vuole Catone) profecti Laudem Pompejam, Insubres Mediola num. Orobiorura stirpis esse, Comum, atqne Ber de' Liguri, de' quali i Levi ed i Marici edifica gomum, e t Liciniforum, e t aliquot circa populos rono Ticino, poco discosto dal Po, siccome i Boii, awclor est Cato : sed originem gentis ignorare se i quali vennero di qua dalle Alpi, fecero Lodi, e
C PLINII SECUNDI
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fatetur, quum docet Cornelius Alexander ortam • Graeci», interpretatione etiam nominis, vitam ia montibus degentibus. In hoc situ interiit oppi dam Orobioram Barra, unde Befgomates Cato dixit ortos, etiamnum prodente se altius qaam fortunatius situra. Interiere et Caturiges Insu brum exsules, et Spina supra dicta. Item Melpum opulentia praecipuum, quod ab Insubribus, et Bojis, et Senonibos deletam esse eo die quo Ca millus Vejos ceperit, Nepos Cornelius tradidit.
gl*Insubri Milano. Scrive Catone, che Como e Bergamo e Licinoforo, ed alcuni altri popoli all1 intorno sono della stirpe degli Orobi» : ma confessa bene di non sapere la origino di quella nazione, la quale, secondo Cornelio Alessandro, venne di Grecia per la interpretazione ancora del nome, perchè vivon ne* monti. In questo sito è mancala Barra, città degli Orobi), onde Catone disse esser nato Bergamo, il quale oggi dimostra ancora essere pià alto di silo, che fortunato. Mancarono ancora i Catarigi fuoruscili degl' In subri, e Spina sopraddetta. E similmeole Melpo, città ricca, la quale scrive Cornelio Nipote, che fu rovinata dagl* Ìnsubri e Boii e Senoni, quel giorno che Camillo prese Veio.
'D ecim a. I t a l i a e r e g i o *.
R s o io h b d e c is a d ’ I t a l i a .
18. Segue la decima regione d'Italia^ XXII. 18. Seqnitur decima regio Italiae, A- XXII. driatico mari adposita: cujus Venetia: florias posta sul mare Adriatico, chiamata Venezia, il Silis ex montibas Tarvisanis. Oppidam Altinum, cui fiume è il Sile nato dalle montagne di Tre» vigi. Evvi la città d'Altino, il fiume della Liflamen Liquentia ex montibus Opiterginis, et portus eodem nomine : colonia Concordia : fla T e n ia da’ monti d* Uderzo, ed il porto del me desimo nome: Cooeordia colonia, il fiume e porto mina et portas, Romalinura, Tiliaventum majus, minusque, Anassum quo Varranus defluit: Alsa, di Romazio, il Tagliamento maggiore e minore, Natiso, cura Turro, praefluentes Aquilejam colo e PAnasso, dove scorre Varrano: l’Alsa, il Nati niam, xn 11 pass. a mari sitam. Carnorum haec re sene insieme col Tarro, ì quali corrono presso gio, junctaque Iapydum: aranis Timavus,castellum alla colonia d’Aquileia, posta dodici miglia lungi nobile vino Pucinum : Tergestinas sinas, colonia dal mare. Questa regione è de’ Carni e dilapidi Tergeste, xxm m pass. ab Aquileja. Ultra quam, insieme : evvi il fiume Timavo : Pucino castello nobile per il vino, che ti nasce : il golfo di Trie v i 11 pass. Formio amnis, ab Ravenna c l x x x i x ■ pass. antiqaus auctae Italiae terminus, nane vero ste, e la colonia di Trieste ventitré miglia di Jstriae: quam cognominatam a flamine Istro in scosto d'Aquilea. Di là da questa città sei miglia Adriam effluente e Danubio amne, eodemque vi è il fiume Formione, lontano da Ravenna Istro, adversum Padi fauces, contrario eoram cent'ottantanove miglia, antico termine dell* Ita percussa mari interjecto dulcescente, plerique lia accresciuta, ma ora deiristria, la quale dico dixere falso, et Nepos etiam Padi accola. Nullus no che à chiamata così dall’ Istro, fiume che enim ex Danubio amnis in mare Adriaticam ef dal fiume Danubio scorre in Adria all* incontro fondi lar. Deceptos credo, quoniam Argo navis delle bocche del Po ; onde il mare, eh* è in quel flumine in mare Adriaticum descendit, non pro mezzo, percosso di qua e di là, addolcisce ; e cul Tergeste, nee jam constat quo flumine. B ame molli hanno falsamente ciò detto, e fra gli altri ris travectam Alpes, diligenliores tradunt. Subiis- ancora Cornelio Nipote, il quale abitava sul Po. se autem Istro, deio Savo, dein Naaporto, cui Perciocché nessun fiume dal Danubio entra nel nomen ex ea cansa est, inter Aemonam Alpesque mare Adriatico. Io credo che costoro si sieno exorienti. ingannati, perchè la nave d* Argo entrò per on fiume nel mare Adriatico, poco lontano da T r ie ste, nè si sa per qual fiume. Ma i più diligenti scrittori dicono, ch'ella fu portata sulle «palle di qua dalle Alpi, e messa nell* Istro, dipoi nel Sao, e finalmente nel Nauporto, il quale per tale cagiope fo cosi chiamato, il quale naso· fra Emona e le Alpi.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. III.
IsTftlAB
SITU· KT POPOLI.
38C
POSTURA B POPOLI DELL’ lsTZIA.
XXIII. 19. Istria, ut peninsula, excurrit. Lati XXIII. 19. L' Istria corae penisola scorre ; la tudinem ejus x l n pass., circuitum vero cixu 11 cui latitudine, secondo alcuni, è quaranta miglia, prodidere quidam. Itera adhaerentis Liburniae e il circuito centoventidue. E così della Libur et FJanatici sinu». Alii Liburniae c l x x x x . Non nia, che con lei confina, e del golfo Flanatico. nulli in Flanaticum sinum Iapydiam promovere, Alcuni, della Liburnia cent’ ottanta miglia. Al a tergo Istriae, cxxx u pass. Dein Liburniam cuni pongono U lapidia nel golfo Flanatico, alle c l u fecere. Tuditauus, qui domuit Istros, in slaspalle dell' Istria centotrenta miglia. Dipoi fe tua sua ibi inscripsit, ab Aquileja ad Titium flu cero la Liburnia di centocinquanta : Toditano, men slad. m. Oppida Istriae civium Romanorum che domò gl’ Istriani, scrisse nella sua statua Aegida, Parentium : colonia, Pola, quae nunc quivi, da Aquilea al fiume Tizio venticinque mi Pietas Julia, quondam a Colchis condita. Abest glia. Le città dell’ lslria di cittadini Romani sono. a Tergeste c 11 pass. Mox oppidum Nesactium : Egida e Parenzo : colonia Pola, la quale si chia et nunc finis Italiae fluvius Arsia. Polam ab An ma ora Pietà Giulia, edificata già da' Colchi. E cona trajectus cxx 11 pass. est. lontana cento miglia da Trieste. Evvi poi la città di Nesaltio, e il fiume Arai· ora fine d’ Italia. D’ Ancona a Pola c’ è un passaggio di centoventi miglia. In mediterraneo ragionis decimae, coloniae : Nel mediterraneo della decima regione sono Cremoua, Brixia,Cenomanorum agro; Venetorum colonie, Cremona, Brescia, nel territorio de’ Ce autem, Ateste, et oppida Acelum, Patavium, Opinomani ; ma in qoel de’ Veneti Este, e le città tergium, Belunnm, Vicetia : Mantua l uscorum Acelo, Padova, Uderzo, Beluno, Vicenza : Manto trans Padom sola reliqua. Venetos trojana stirpe va la quale sola de* Toscani resta di là dal Po. ortos, auctor est Cato: Cenomanos juxta Massi Scrive Catone, che i Veneti hanno avoto origine liam habitasse in Volcis. Fertini, et Tridentini, dai Troiani, e che i Cenomani abitarono appres et Beroenses, Raetica oppida: Raetorom et Eu so a Marsilia nel paese dei Volci. Feltrini, Tren ganeorum Verona, Julienses Carnorum. Dein tini e Bernesi, città Retice ; e Verona de’ Reti quos scrupulose dicere non attineat, Alutrenses, e degli Euganei, i Giuliesi de’ Carni. Dipoi al Asseriates, Flamonienses, Vannienses, el alii co cuni, che scrupolosamente non monterebbe gran gnomine Culici: Forojulienses,cognomine Trans fatto a nominargli, gli Alulresi, gli Asseriati, i padani, Foret ani, Venidates, Quarqueni, TauriFlarooniesi, i Vauniesi, e altri detti Culici : i Fosaoi, Togienses, Varuani. In hoc situ interiere roiuliesi cognominati Transpadani, i Foretani, i per oram tramine, Pellaon, Pallicium : ex Vene Venidati, i Quarqueni, i Taurisani, i Togiesi e i tis Atina et Caelina : Carnis, Segeste et Ocra : Varuani. In questo sito sono mancati per lo paese Tauriscis Noreia. Etab Aquileja ad duodecimum tramine, Pellaone, Palsicio: de’ Veneti A lina e lapidem, deletum oppidum etiam invito senatu, Celina : de’ Carni, Segesle e Ocra : de’ Tanrtsci, a Claodio Marcello, L. Piso auctor est. In hac Norea. E lontano dodici miglia da Aquilea fu regione et undecima lacus inclyti sunt, arqnesque disfatta una città da M. Claodio Marcello, contra eorum partus aut alumni : si modo acceptos red la volontà del senato, come scrive Lucio Pisone. In questa regione sono ancora dieci bellissimi dunt, ut Addoam Larius, Ticinum Verbanus, Mincium Benacus, Ollium Sebinus, Lambrnm laghi, e i fiumi lor figliuoli, o allievi ; se pur si Kupilis, omnes incolas Padi. riconoscon venire da essi ; siccome il lago di Co mo, che fa l’ Adda; il lago Maggiore, il Tesino ; il lago di Garda, il Menzo; il lago Sebino, l’OIIio ; e il lago d’ Isè, il Lamhro, e tutti questi entrano nel Po. Scrive Celio, che la longitudine dell’ Alpi Alpes in longitudinem x pass. patere a supe ro mari ad inferum, Caelius tradit : Timagenes dal mare Adriatico al Tirreno, è dieci miglia, T i magene dice ventidue, e la latitudine, secondo xxn m pass. deductis : in latitudinem autem Cor nelius Nepos centum m. T. Livius tria m stadio Cornelio Nipote, cento miglia. Tito Livio tre mila stadii : l’ uno e l’altro in diversi luoghi. Percioc rum : uterque diversis in locis. Nam et centoni millia excedunt aliquando, ubi Germaniam ab ché passano talora cento miglia, là dove partono Italia submovent: nec l x x n explent reliqua la Germania dall’ Italia, nè arrivano a settanta su i partejraciles, veluti naturae providentia. La- miglia nell’altra parte loro,assottigliandosi mollo,
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G. PLINI! SECUNDI
titudo Italiae, subter radices earam a Varo, per vada Sabatia, Taurinos, Comum, Brixiam, Vero nam, Vicetiam, Opitergium, Aquilejam,Tergeste, Polam, Arsiam, d c c x m i millia passuum colligit.
A l p ic m , e t g e n t iu m A l p i iu h c m .
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quasi che ciò sia provvidenza di natura. La latitudine d* Italia sotto le radici loro dal Varo per Vada, Torino, Como, Brescia, V erona, Vi cenza, Oderzo, Aquilea, Trieste, Pola e Arsia, è seltecentoquarantadue miglia. D e l l 'A l p i, e db1popoli A l p ib i.
XXIV. ao. Incolae Alpium multi populi, sed XXIV· ao. Molti sono i popoli, che abitano nell’ Alpi, ma gl* illustri da Pola alla regione di illustres a Pola ad Tergestis regionem Secasse*, Subocrini, Catali, Meuocaleni : juxtaque Carnos Trieste sono i Secassi, i Subocrini, i Calali, i quondam Taurusci appellati, nunc Norid. His Menocaleni, e appresso alla Carnia quei cbe già contermini Raeti et Vindelici, omnes in mullas si chiamarono Taurisci, e ora Norici. Confina no con questi i Reti, i Vindelici, tutti divisi in civitates divisi. Raetos Tuscorum prolem arbi molte città. Tiensi che i Reti abbiano avuto ori trantur, a Gallis pulsus duce Raeto. Verso deinde gine da* Toscani, scacciati da* Galli, essendo Reto Italiam pectore Alpium, latini juris Eoganeae lor capitano. Volto dipoi il petto dalPAIpi all* Ita gentes, quarum oppida xxxiv enumerat Cato. Ex iis Trinmpilini, venalis cam agris suis populus : lia, vi sono i popoli Eugaoei della medesima au dein Camuni, compluresque similes finitimis torità e privilegio che i Latini, le cui città, secon do il conto di Catone, son trentaqualtro. Fra adtribnti mnnicipiia. («pontios et Salassos, Tauriscae gentis idem Calo arbitratur. Ceteri fere questi sono i Triumpilini, popolo venduto Insie me col suo paese : dipoi i Camuni, e molti altri Lepontios relictos ex comitato Herculis, interpre tatione graeci nominis credant, praeustis in simili, attribuiti a'vicini castelli. Il medesimo Catone tiene che i Leponzii, e i Salassi abbiano transitu Alpium nive membris : ejusdem exerci tus et Grajos fuisse, Grajarum Alpium incolas, origine da* Taurisci. Altri scrittori dicono, che i praestantesque genere Euganeos, inde tracto Leponzii siano stati lasciati dalla compagnia d'Èr nomine. Capat eorum Stoenos : Raetorum Venno- cole, e ciò per la interpretazione del nome gre netes, Sarunetesque ortus Rheni amnis accolunt : co, avendo quasi perduto le membra per lo fred Lepontiorum, qui Viberi vocantur, fontem Rho do nelTAlpi. Tengono ancora, che di questo me dani, eodem Alpium tracta. Sunt praeterea Latio desimo fossero morti i Graii posti nel passaggio, donati incolae, at Octodarenses, et finitimi Cen abitatori dell* Alpi Graie, e gli Euganei persone trones, Cotliaaae civitates: Caturiges, et ex molto nobili, che di qui presero il nome. Capo Caturigibus orti Vagienni Ligures, et qui Alonta di questi sono gli Steni. De* Reti i Vennoni e i ni vocantur: Capillatorumque plura genera ad Saruneli, i quali abitano dove nasce il Reno : dei Leponzii quei che si chiamano i Viberi, abitano confinium Ligustici maris. alla fonte de Rodano nel medesimo tratto dello Alpi. Son vi ancora altri abitatori, i quali hanno i medesimi privilegii e immunità dei Latini, sic come sono gli Ottodnresi, e i lor vicini Centroni, città Cottiane : i Caturigi e i Vagienni Liguri discesi da* Caturigi, e quegli che si chiamano Montani; e molti geoeri de*Capillati a*confini del mar Ligustico.
HISTORIARUM MUNDI L1B. III.
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Non alienum videtur hoc loco sobjioere in scriptionem a tropaeo Alpium, quae talis est:
Non mi pare fuor di proposito mettere in questo luogo una inscrizione del trofeo dell* Al pi, la quale è questa :
m P M U T O ftt O B S i U
Α 1Γ iraperador Cesare, figliuolo di Giulio Cesare, Augusto, Pontefice massimo, Imperadore, stato quattordici volte tribuno, il senato e po polo Romano ha fatto questo onore, perchè sotto la condotta e autorità di lui tutti i popoli delle Alpi dal mare Adriatico al mar Tirreno vennero alla ubbidienza del popol Romano. I popoli delle Alpi soggiogati sono, i Triurapilini, i Camuui, i Venesti, i Vennoneti, gli lsarci, i Breuni, i Nanni, i Focanati : quattro popoli di Vindelicia; i Consuaneti, i Virucinaii, i Licati, i Catenati : gli Abisonti, i Rugusci, i Suaneti, i Caluconi, i Brizenti, i Lepontii, i Vi beri, i Nantuati, i Seduni, i Ve ragri, i Salassi, gli Acitavoni, i Medulli, gli Uceni, i Caturigi, i Brigiani, i Sogionzii, gli Ebroduntii, i Nemaloni, gli Edenati, gli Esubiani, i Veamini, i Galliti, i Triulatti, gli Ettini, i Vergunni, gli Eguiluri, i Nementuri, gli Oratelli, i Nerusi, i Velauni, i Suetri.
d i v i w. AVO. PO STIPICI K A I I I O , tMP. X U II.
TBIBVRITIAB POTMTATI* XVII.
s. v . q . a . QVOD BJVS DVCTV AVSPIC1ISQVB G BITTE* ALPIRAB OMRBS, Q f AB A «A B I I T P U O AD IHFERVM PBRTIHEBAST. SVB IM PBU V X POP. BOB. SVRT REDACTAB. GBRTBS ALPIRAB DBVICTAB : T B IV lIP lL IIfl, CAKVR1, VB5ESTBS, VBRHORBTBS, ISARC1, BBBVRI, SAVNE3, FOCVRATBS : VIRDBLICOBVM GBRTBS QVATDOR, CAHSVARBTBS, VIRTC1HATES, LICATBS, CATBRATBS : ABISORTBS, BVGVSC1, STARBTBS, CALVCORBS, BBIXBRTBS, L tPO R T II, TIBBBI> RAJITVATBS, SSD V M , VERAGRI, SALAMI, AC1TA VORES, MBDVLLI, VCBHI, CATT R IG E ·, •B IG IA R I, SOGIORTIl, EBBODIORT1I, RKJSALORI, BDBR4TBS, BSVBIARI, VSAMI NI, GALLITAE, TB IT LA TTI, BCTIR1, VBBGVRRI, BGVITTBI, RBMBHTVB1, OBATBLLI, RB RV 5I, VBLAVBI, SVETRI.
Noai sunt adjectae Cottiaoae civitates xn, qoae n on fuerant hostiles : item adtribatae municipiis leg e Pompeja. Baec est Italia diis «aera, hae gentes ejus, haec oppida popalorom. Saper haec Italia, L. Aemilio Paulo, C. Atilio Regalo consalibas, nuo tis to Gal lica tumulto, sola sine externis ollis auxiliis,atque etiam tunc sine Transpadanis, eqaitom l x x x m , peditam d c c 11 armavit. Metallorum omniam fertilitate nallis cedit terris. Sed interdictam id r e t e r e consulto patrum, Italiae parci jubentium.
L ib u b b ia b , b t I l l t b i c i .
Non vi sono aggiunte le dodici citti Cottiane, le quali non furon nemiche, ma attribuite a' ma nicipii, per la legge Pompea. Questa e Γ Italia consacrata agli dei, questi i popoli suoi, e queste le città de' popoli. Olirà di ciò questa è quella Italia, la quale essendo con soli Lucio Emilio Paolo, e Caio Atilio Regolo, avuta la nuova del tumulto de’ Galli, sola senza alcuno aiuto straniero , e anco allora seoza i Transpadani, armò ottanta mila cavalli, e sette cento mila fanti. Ella non cede a verno paese di dovizia di tutti metalli. Ma ciò fu interdetto per antica ordinazione de' padri, i qoali volevano che la Italia si risparmiasse. D b l l a L ib o b r i a b d e l l ' I l l i b i c o .
a i . Con l’ Arsia si congiugne la Libor XXV. ai. Arsiae gens Liburnorum jungitur, XXV. usque ad 0 amen Titiam. Pars ejas fuere Mentore», nia, sino al fiume Tizio. Una parte d 'essa furono Hjmani, Encheleae, Dudini, et quos Callimachus i Mentori, gli Imani, gli Enchelee, i Dudini, e quegli che Callimaco chiama Peocezii: ora si chia Peacetias appellat : nane totum aoo nomine Il ma tutto con un nome solo generalmente lo Illi lyricam vocator geueratim, populomm paoca cHalu digna, aut facilia nomina. Conventum rico. Di questi popoli vi sono pochi nomi degni Scardonitauum petunt Iapydes, et Liburnorum e agevoli da parlarsi. Vanno a Scardona per ra gione i lapidi, e quattordici citti de' Liburni, civitates xiv, e qaibus Lacinienses, Stulpinos^arnistas, Albonenses nominare non pigeat. Jas dei quali non mi increseerà ricordar i Laciniesi,
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italicum habent eo conventu Alulae, Flanates, a quibas sinat nominatur : Lopsi,Varubarini,iramunesque A ssesia les, et ex insulis Fertinale», Curi ctae. Ceterum per oram oppida a Nesactio, Alvona, Flanona, l'arsatica, Senia, Lopsica, Ortopula, Vegiurn, Argyruntum, Corinium, Aenooa civitas, Pausinos flumen, Tedanium, quo finitur Iapydia. Insulae ejus sinus cum oppidis, praeter supra significatas, Absyrtium, Arba, Tragurium, Issa : Pharos, Paros ante: Crexa, Gissa, Portunala. Rursus in continente colonia Jadera, quae a Pola c l x m pass. abest : inde triginta m Colentum insula : xvm ostium Titii fluminis.
D a u u t ia b .
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gli Stalpini, i Burnisti, e gli Albanesi. Hanno i privilegii d1Italia in quel conveuto gli Alati, i Flanati, da*quali il golfo ha preso il nome: i Lopsi, i Varubarini, e gli Asserfati esenti, e delΓ isole i Fulsinati e i Cariti. Nella riviera sono le città dopo Nesattio, Alvona, Flavona, Tarsatica, Senia, Lopsica, Ortopala, Vegia, Argironto, Corinio, Enona, Pausino fiume, Tedanio dove finisce la la pidia. Le isole di quel golfo con le città loro, oltra le dette di sopra, sono, Absirto, Arbet, Trau, Issa, Faro prima detta Paro : Cres sa, Gissa e Portunata. In lerra ferma poi v’ è la colonia di Zara, la qaale è lontana da Pola cento sessanta miglia : di là a trenta miglia P isola di Colento, e a diciotto miglia la foce del fiume Tizio. Da u u z u .
XXVI. aa. Liburniae finis, et initium Dalma XXVI. aa. 11 fin della Libarnia e il principio tiae Scardona, in amne eo, xn m pass. a mari. della Dalmazia è Scardona, in quel fiume dodici Dein Tariotaram antiqua regio, et castellum miglia diseosto dal mare. Dipoi la antica regione 'J'ariona : promontorium Diomedis, vel ut alii de1Tarioti, e il castello Tariona : il promontorio di Diomede, o come vogliono alcuni, Illi penin peninsula Hyllis, circuitu c m pass. Tragarium civium Romanorum, marmore notum: Sicam, sula, che gira cento miglia. Trau di cittadini Ro in quem locum divus Claudias veteranos misit. mani, famoso per il marmo : Sieo dove Γ impera· Salona colonia, ib Jadera cxxn m pass. Petant dor Claudio mandò i soldati veterani. La colonia ia eam jura descripti in decurias ccclxxu Dal di Salona, lontana da Zara dagentoventidae mi glia : vanno in essa a farsi far ragione descritti matae ; xxii Decuni ; ccxxxix Ditiones ; lx ix Mazaei; lii Sardiates. In hoc tractu sunt,Burnum, in decurie trecentoseltantadue Dalmati, ventidue Mandetrium,'Tribulium, nobilitata populi Romani Decuni, dugento trentanove Dizioni, sessantanove Mezei, e cinquanladue Sardisti. In questo proeliis castella : petunt et ex insulis, Issaei, Cotratto sono, Burno, Mandetro e Tri balio, castelli lentini. Separi, Epetini. Ab his castella, Peguntium, Rataneum: Narona colonia tertii conventus, nobilitati per le battaglie del popol Romano. a Salona lxxii m pass. adposita cognominis sai Vannovi ancora dall* isole, gli Issei, i Colentini, fluvio, a mari xx m pass. M. Varro lxxxix civita i Separi, e gli Epetini. Dopo questi sono i castelli, tes eo ventitasse auctor est. Nunc soli prope Pigunzie, Rataneo : Narona colonia del terzo noscuntur Cerauni decuriis xxiv, Daorizi xvii, convento, da Salona settantadoe miglia, posta sol Daesitiales ciii, Docleatae xxxui, Deretini xiv, fiume del suo nome, venti miglia dal mare. Scrive Deremi stae xxx,Dindari xxxiii, Glmditionesxi.iv, Marco Varrone, che ottantanove città venivano Meloomani xxiv, Naresii cit, Scirtari lxxu , Sicu quivi a ragione. Ora quasi soli si conoscono i lo lae xxiv, populatoresque quondam Italiae Var Cerauni in ventiquattro decurie, i Daorizi con daei, non amplius quam xx decuriis. Praeter hos dicesette, i Desiziati con cento tré, i Dodeati con tenuere tractum eum Oenei, Partheni, Hemasini, irentatri, i Deretini con quattordici, i Deremisli Arthitae, Armistae. A Narone amne c m pass. con trenta, i Dindari con trenlatrè, i Glmdizioni abest Epidaurum colonia. Oppida civium Ro con quarantaquattro, i Melcomani con ventiquat manorum , Rhizinium, Ascrivium, Butua, 01tro, i Naresii con centodue, gli Scirtari con set chinium, quod antea Colchiniam dictum est, tantadue, i Siculo ti con ventiquattro, e i Vardei a Colchis conditum : amnis D rilo, superque già guastatori dell’ Italia, con non più che venti eum oppidum civium Romanorum Scodra, a decurie. Olirà questi abitarono già in quel luogo mari xvm m pass. Praeterea multoram Grae gli Enei, i Parteni, gli Emasimi, gli Arii ti, » gli ciae oppidorum deficiens memoria, nec non et Armisti. Lontano dal fiume Narone cento miglia civitatum validarum. Eo namque tractu fuere v’ è la colonia d* Epidauro. Le città de' cittadini Labea tae,Enderoduni, Sassaei, Grabaei, proprie Romani sono, Rizlnio, Ascrivio, Bahia, Olchique dicti Illyrii, et Taulantii, et Pyraei. Retinet nio, che già fu detto Colchinio, edificato da’Coluomen in ora Nymphaeum promontorium: Lischi : il fiume Drilo, e sopra esso Scodra città di
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HISTORIARUM MUNDI L16. III.
sum oppidum civium Romanorum ab Epidauro c m pass.
a3 . A Lisso Macedoniae provincia : gentes Partheni, el a tergo eorum Dassarelae. Montes Candaviae a Dyrrachio u x ix m pass. In ora civium Romanorum Epidamnum colonia, pro pter inauspicatum nomen a Romanis Dyrrachium appellata : flumen Aous, a quibusdam Aeas nomi natum : Apollonia, quondam Corinthiorum colo nia, vii n pass. a mari recedens: cujus in finibus celebre Nymphaeum accolunt barbari, Amantes et Buliones. At in ora oppidum Oricum e Colchis conditum. Inde initium Epiri, montes Acrocerau nia, quibus hunc Europae determinavimus sinum. Oricum a Salenlioo Italiae promontorio distat l x x x v m passuum.
Noxicoxu*.
W
cittadini Romani, lontana dal mare diciotto mi glia. Oltra di questo è perduta la memoria di molte cittì della Grecia, e di cittì possenti. Per ciocché in quel paese furono già i Labeati, gli Enderoduni, i Sassei, i Grabei, e quei chepropri·· mente son detti Illirii, e i Taulanzii, e i Pirei. Ritiene ancora il nome in quella contrada il pro montorio Ninfeo, e Lisso città di cittadini Roma ni, lontana cento miglia da Epidauro. a3. Da Lisso comincia la provincia della Ma cedonia, i popoli Parteni, e alle spalle di loro i Dassareti. I monti di Candavia lontani da Durazzo settantanove miglia. Alla riviera è Epidanno colonia di cittadini Romani, chiamata da' Ro mani Dirrachio, per rispetto del nome di cattivo augurio ch'ella avea : il fiume Aoo, chiamalo da alcuni Aea : Apollonia colonia già de' Corintii lontana selle miglia dal mare : ne' confini della quale abitano i barbari il nobil Ninfeo, gli Aman ti e i Buiioni. Ma nella riviera v'è la citlà di Orico edificata da'Colchi. Quindi comincia l’Al bania, e le moolagne della Cimerà, con le quali ho finilo questo seno d’ Europa. È lontana Orico da Salentino, promontorio d 'Italia,ottantacinque miglia. N om ic i .
24. Alle spalle de’ Carni e de' lapidi, XXVII. »4 · A tergo Carnorum et Iapydum, XXV 11. dove ti presenta il grande Istro, i Norici confi qua se fert magnus Ister,Raelis junguntur Norici. nano co' Reti. Le città loro sono, Virano, Celeia, Oppida eorum : Virunum, Celeia, Teumia, Aguntum, Viana, Aemonia, Claudia, Flavium, Soluense. Teurnia, Agunto, Viana, Emonia, Claudia, Fla Norici* junguntur lacus Peiso, deserta Bojorum: vio e Soluense. Co' Norici si congiugne il lago jam tamen colonia divi Claudii Sabaria, et oppiPeiso, e i deserti de' Boii : nondimeno oggi tono du Sca rabant ia Julia habitantur. abitate Sabaria colonia di Claudio imperadore, e la città di Scarabanzia Giulia. P a h r o h ia b .
Ρ ανκοιπα .
XXVIII. a5 . Inde glandifera Pannoniae, qua XXVIU. a5. Sono dipoi i selvosi paesi della Pannonia, per dove i gioghi dell' Alpi manco mitescentia Alpium juga, per medium Illyricum aspri per mezzo della Schiavoni· voltati da tra a septem trione ad meridiem versa,molli in dextra montana a mezzo giorno, con piacevole china da ac laeva devexitate considunt. Quae pars ad mare man ritta e man manca si vengono a posare. Quel Adriaticum spectat, appellatur Dalmatia, et Illy la parte, che guarda verso il mare Adriatico, si ricum supra dictam. Ad septem triones Pannonia chiama Dalmazia, « Illirico la delta di sopra. La vergit : finitur inde Danubio. In ea coloniae, AePannonia è volta a tramontana, e finisce al Da mona, Siscia- Amnes clari et navigabiles in Danu bium defluunt, Dravus e Noricis violentior, Sa- nubio. In essa sono le colonie, Emona, e Siscia. Due fiumi nobili e navigabili vanno nel Danu vo» ex Alpibus Carnicis placidior : cxv κ. pass. bio, la Drava dal paese de' Norici più violento, e intervallo. Dravus per Serretes. Serrapillos, lala Sava dell* Alpi della Carnia più placido, di sos, Sandrizetes : Savus per G o la p ia n o » , Breucosque. Populorum haec capita. Praeterea Arivales, centoquindici miglia d 'intervallo. La Drava pat ta per lo paese de' Serreti, Serrapilli, lasi e SànAzali, Amantes, Belgi tes, Calari, Coreates, Aradrizeli: la Sava per quel de' Colapiani e de'Breuvisci, Hercuniates, Latovici, Oseriates, Varciani. chi. 1capi de'popoli son qnesli. Inoltre gli Arivati, Mons Claudius, cujus in fronte Scordisci, in ter gli Azali, gli Amanti, iBelgiti, i Catari, i Corneali, go Taurisci. Insula iu Savo Metubarris, aranica-
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rum maxima. Praeterea amnes memorandi, Calapìs io Savnm influens jaxta Siseiam, gemino alveo insulam ibi efficit, quae Segestica appella· tnr. Alter amnii Bacnntins ip Savoni Sirmio oppi· do influit : ubi civitas Sirmientium, et Amantinorupi. Inde x l v m passuum Taorunnm, ubi Da nubio miscetur Savus. Supra influunt Valdanus, Urpanus et ipsi non ignobiles.
gli Aravisoi, gli Ercaniati, i Latovici, gli O se riali, e i Vardani. Monte Claudio, nella cai fronte sono gli Scordisci, e alle spalle i Taorisci. Nella Sava è l'isola Metobarri, uoa delle maggiori isole, che sieno ne' fiumi. Oltra di ciò vi sono due fiomi notabili, il Calapi, eh1 entra nella Sava appresso Siscia, che con due rami fa quivi una isola, la quale si chiama Segestica. L 'altro fiome è il Bacuotio, eh' entra nella Sava alla citti di Sirmio, dove è qnesta città e Amantia. Di qaa a quarantacinque miglia v* è Tauruno dove la Sava entra nel Danubio. Più sopra v'entrano il Valdano, Γ Urpano, fiumi anch' essi illustri.
M O U I AB.
Mesia.
XXIX. 26. Pannoniae jungitur provincia,quae XXIX. a6. Con Ia Pannonia si congiugne la provincia, che si chiama Mesia, la quale insieme Moesia appellator, ad Pontum usque coro Danu con il Danubio si distende insino al mare. Co bio decurrens. Incipit aoonfluentesupra dicto. In mincia dal detto fiume. In essa sono i popoli ea Dardani, Celegeri, Tribali!, Trimachi, Moesi, Thraces, Pontoqoe contermini Scythae. Flomina Dardani, i Celegeri, i Triballi, i Trimachi, i Mesi, i Traci, e gli Sciti, che confinano colmare. I fioclara, e Dardania Margis, Pingus, Timachus : ex mi, che vengon dai Dardani, sono il Magi, il Pin Rhodope Oescus: ex Haemo, Utus, Escamus, go, il Trimaco : viene dal monte Rodope, l’Esco: leter os. dal monte Emo, l'Uto, l’ Escamo, e l’ Ietero. La maggior latitodioe dell' Illirico è trecento Illyrici latitudo, qua maxima esl, cccxxv m pass, colligit. Longitodo a flumine Arsia ad flu venticinqoe miglia. La longitodioe dal fiome men Drinium d ccc m. A Drinio ad promonto Arsia al fiome Drinio ottocento miglia. Dal rio Acrocerannium, c l x x i i . M. A grippa prodidit Drinio al promontorio della Cimerà centosettantadue miglia. Scrive M. Agrippa, che tutto questo oniversum hunc sinam Italiae et Illyrici ambita xm. In eo duo maria, quo distinximus fine : In seno dell' Italia e della Schiavonia è per circuito tredici miglia. In esso aono dne mari, per lo fernum, sive Jonium, in prima parte, inlerins qual fine facemmo la distinzione, cioè Γ Inferno, Adriaticum, qaod Superum vocant. ovvero Ionio nella prima parte, addentro l’Adria tico, che si chiama Supero. InstJLA&UM J o n i i BT A d r i a t i c i MAaiS.
I sole d e l l ’ I o n io x d e l l ’ A d r ia t ic o .
XXX. Insulae io Ausonio mari, praeter jam dictas, memoratu digoae nullae: in Jonio pau cae: Calabro litore ante Brandusium. quarum objectu portus efficitur : contra Apulum litus Dio medea, conspioua monumento Diomedis: et al tera eodem nomine, a quibusdam Tentria appel lata.
XXX. Dell’ Isole nel mare Ausonio, oltra le gii dette, oionà v’ è degna di memoria ; nell’ Io nio poche. Nella riviera di Calabria, dinanzi a Brindisi, per l’ opposizione delle quali ai la il porto, all’ incontro del lito di Puglia v’ è Γ isola Diomedea, notabile per la sepoltura di Diomede ; e un’ altra del medesimo nome, chiamata da alcuni Teutria. La Schiavonia ha piò di mille isole, perchè il mare v’è pieno di seochi, ed ha piccol fondo. Di nanzi alla foce del Timavo con fonti caldi, i quali crescono secondo il crescere del mare, v’ è l’ isola di Clare : appresso il territorio degl’ latri v' è Cissa, le Pullarie, e le Absirtide cosi dette dai Greci, da Absirto fratello di Medea che quivi fa morto da lei. Appresso a quelle sono l’Elettride perchè quivi nasce l’ ambra, da lor chiamalo elettro, certissimo segno della vaniti de’ Greci :
Illyrici ora mille amplias insnlis frequentator, natura vadoso mari, aestuariisqne tenoi alveo intercorsantibus. Clare ante ostia Timavi calido rum fontium cum aestu maris crescentium : ju xta Istrorum agrum, Cissa, Pullariae, et Absyrtides Grajis dictae, · fratre Medeae ibi interfecto Absyrto. Juxta eas Electridas vocavere, in qnibos proveoiret saccinum, qaod illi electrum appel lant, vanitatis graecae certissimum documentum : adeo ut quas earum designent, haud umquam
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HISTORIARUM MUNDI U B . IU.
constiterit. Contra Jader «st Litu ; et quae appdU tie contra Libnrnos Creteae aliquot; nec pauciores Liburnicae, Celadussae. Contra Snrinm bobus et capris laudata Brattia : Ista civium Ro manorum reliqua, et cum oppido Pharia. His Corcyra, Melaena cognominata, cum Gnidiorara oppido, distat xx» m passuum ; inter quam et Illyricum Melita, unde catulos Meiitaeos appellari Cailima chos auctor est: xu millia passunm ab ea tres Elaphites. In Ionio autem mari ab Orico n millia passnom, Sasoni· piratica statione nota.
perciocché non si può intendere, di quali isola essi voglian dire. All' incontro di Zara è Lissa ; e all* incontro alla Liburnia alcune chiamate le Cretee ; e le Liburniche, che non sono punto meno, le Celadusse. Di fronte a Surio i Brattia, lodata molto per bori e per capre : Issa rimasavi de' cittadini Romani, e Faria insieme con la città. Dopo queste è Corcira, cognominata Melena, con la città de'Gnidii, lontana ventidue miglia; fra la quale e la Schiavonia è Melita (onde vengono ì cani chiamati Melitei, secondo Callimaco). Dodi ci miglia lontana da essa, sono le tre Elafite ; e nel mare Ionio lontano dne miglia da Orico, è Sasoni, famosa per lo ricetto che oi hanno i corsali.
C. PLINII SECUNDI
H IS T O R IA R U M MUNDI LIBER IV SITOS, GENTES, MARIA, OPPIDA, PORTUS, MONTES, FLUMINA, MENSURAE, POPULI QUI SUNT AUT FUERUNT.
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E v ir i.
ι.Τηηοι
I. Europae sina* Acrocerauniis inci pit montibus, finitor Hellesponto : amplectitor, praeter minores sinos xix, h t centena millia passaam. In eo Epiros, Acarnania, Aetolia, Pho cis, Locris, Achaja, Messenia, Laconia, Argolis, Attica, Boeotia: iteromqoe alio mari, eadem Pho cis et Locris, Doris, Phthiolis,Thessalia,Magnesia, Macedonia, Thracia. Omnis Graeciae fabulosi tas nent et literarum claritas, ex hoc primum si n a effulsit. Quapropter in eo paullolum com m o rabimur. Epiros in nniversnm appellata, Acrocerauniis incipit montibus. In ea primi Chaones, a quibus Chaonia : dein Thesproti, Antigonenses : locus Aornos, et pestifera avitas exhalatio: Cestrini, Perrhaebi, quorum mons Pindus, Cassiopaei, Dryopes, Selli, Hellopes, Molossi, apnd quos Do· àonaei Jovis templum, oraculo illustre : Tomarus mons, centum fontibus circa radices, Theopompo •debratus.
a. Epiros ipsa, ad Magnesiam Macedoniamq · · tendes, a tergo suo Dassaretas sopra dictos,
D aL L 'E viao.
I. i. I l terxo golfo di Eoropa comincia dai monti Acrocerauni, e finisce nello Ellesponto : contiene oltra i minori golfi diciannove e venticinque mila passi. In esso sono l1 Epiro, l'Arcanania,l*Etolia, la Focide, Locri, TAcaia, la Messenia, la Laconia, Argoli, l’Attica e la Beozia. E di nuovo dall'altro mare la medesima Focide, Locri, la Dorica, la Ftiotide, la Tessaglia, la Magnesia, la Macedonia, e la Tracia. Tulle le favole della Grecia, come anco lo splendor delle lettere, vennero prima di questo seno, e perciò ci fermeremo on poco in esso. Qaella provincia, che universalmente si chia* ma Epiro incomincia da* monti Acrocerauni. In essa i primi sono i Caoni, dai quali è detta la Caonia : dipoi i Tesproti, gli Anligonesi : il luogo Aorno, detto con, perchè volandovi sopfo gli uccelli muoiono : i Cestrini, i Perrebi, il monte de* quali i Pindo, i Cassiopei, i Driopi, i Selli, gli Ellopi, i Molossi, appresso de* quali è il tem pio di Giove di Dodona, illustre per l’ oracolo : il monte Tomaro, con cento fonti intorno alle sue radici, celebrato da Teopompo. a. L ’ Epiro, il quale aggiugne sino alla Ma gnesia e alla Macedonia, ha dietro a si i Dassa-
C. PLINII SECUNDI
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liberam gentem, mox (eram, Dardane» habet. Dardanis laevo Triballi praetepduntur latere, et Moesicae gentes: a fronte jungantur Medi ac Denseletae, quibas Thrace», ad Pontum nsqoe pertinentes. Ita saccincta Rhodopea, mox et Hae mi vallator excelsitas. In Epiri ora castellum in Acrocerauniis Chimera, sub eo aqnae regiae fons. Oppida : Mae andria, Cestria: flumen Thesprotiae Thyamis: colonia Buthrotum : maximeque nobilitatus Am bracias sinus, d pass. faucibus spatiosum aequor accipiens, longitudinis xxxix n pass., latitudinis xv x. In eum defertnr amnis Acheron, e lacu Thesprotiae Acherusia profluens xxxvi u pass. inde, et mille pedum ponte mirabilis omnia sua mirantibus. In sinu oppidum Ambracia. Molos sorum flumina, Aphas et Arachthus. Civitas Ana ctoria : lacus Pandosia.
reti detti di sopra, gente libera, poi i Dardani popoli fieri. Co’ Darihtoi confinano da man man ca i Triballi, e altri popoli della Mesia: da fronte i Medi e i Densdati, coi quali confinano i Traci sino al Ponto. Cosi è cinto Rodope, e dipoi è avallata Γ altezza 4*1 monte Emo. Nella riviera delf Epiro è fi castello della Chimera ne1 monti Acrocerauni, e sotto esso è la la fonte, che si chiama regia. Le città sono Mean dri», Cestria : il fiume Tesprozia Tiami : la colo nia di Butroto, e il golfo Ambrado molto nobi litato, il quale è largo ndla foce mezzo miglio, e riceve in sè un mare spazioso lungo trentanove miglia, largo quindici. In esso entra il fiume Aceronte, il quale esce di Acherusia lago di Te sprotia trentaseì miglia di là, e con un ponte di mille piedi dà maraviglia a quei che ammirano tutte le cose di esso.Nel golfo è la dttà d’ Ambraeia. I fiumi de* Molossi sono I1Afa e Γ Aratto : la città Anattoria, il lago Pandosia.
* A c a b b a b ia s .
D e l l ’ A c a b b a b ia .
11. Acarnaniae, quae antea Curetis vocabatur, II. Le dttà dell* Acarnania, che prima si oppida : Heradia, Echinus, et in ore ipso colonia chiamò Careti, sono : Eradia, Echino, e nella Augusti Actiam, cum templo Apollinis nobili, ac bocca istessa Azzio colonia d 'Angusto, eoi nobil dvitate libera Nicopoli tana. Egressos sinu Ambra tempio d’Apolline e la città libera di Nicopoli. cio in Joninm excipit Leucadium litus: promon Uscendo del golfo Ambrado nello Ionio, si trova torium Leucates. Dein sinus, ac Leucadia ipsa il lito Leucadio ed il promontorio Leucate. Di peninsula, quondam Neritis appellata, opere ac poi il golfo e la penisola di Leucadia, detta già colarum abscisn a continenti, ac reddita vento- Neriti, per opera degli uomini dd paese spiccata da terraferma, aaa rieoogiantavi dai venti, i quali rnm flata congeriem arenae aocumalantinm, qai locus vocatu* Dioryctos, stadiornm longitudine radunan quivi gran massa d'arena ; il f a al laogo trium. Oppidum ia ea Leucas, quondam Neri- si chiama Dioritto, lungo meno di mezzo miglio. tum dictum. Deinde Acarnanam turbes, Alyzea, In essa è la dttà di Leucade, detta già Nerito. Dipoi le dttà degli Acaruas» sono : AUrea, Strato, Stratos, Argos Amphilochicam cognominatam. Amnis Achdous e Piudo fluens, atque Acarna Argo, cognominato Aafilochieo. 11 fiume Adae* niam ab Aetolia dirimens, et Ar terni tam insulam loo, che viene dal monte Pindo, e parta 1* Acar nania dall* Etolia ; e di contìnuo portando terra assiduo terrae inveotu continenti adnectens. congiugne I* isola Artemita a terraferma. A b t o l ia b .
D b l l ' E t o l ia .
III. Aetolorum popoli Athamanes, Tympbaei, III. 1 popoli dell* Etolia sono gli Atamani, Ephyri, Aenienses, Perrhaebi, Dolopes, Maraces, i Tintisi, gli Efiri, gli Eaiesi, I Perrebi e i Dolo^ Atraees,aquibas Atrax amnis Jonio mari iofnndi- pi, i Maraoi, gli Atrad, da'quali venendo il fiu té tar. Aetoliae oppidum Calydon est septem millibus A trace mette noi mare Ionio. Città deM'EtoUa 4 quiogratis pese, a mari, juxta Evennm amnem. Calidoae lontaM sette miglia e messo dalla ma Dein Macyma, Molyeria : cujus a tergo Chalda, ria a, appresso il fiome Eveno. Dipoi Maemia e et mons Taphiassus. At inora promoatoriom An- MoUeria; dietro alla quale è Caldde ed 11 monte tirrhiom, ubi ostium Corinthiad sinus, mfaxne Tafiasso. Alla riviera è B promontorio Aalirrio, mille passuum latitudine influentis, Aetolosqae dove è la foce del golfo di Corinto, si qoale è dicimeatis a Peloponneso. Promontorium, quod lungo manco d 'un miglio, e parte gli Etoli dal contra procedit, appellator Rhion. Sed in Corin Peloponneso. 11 promontorio, che gli à a dirim thiaco sina oppida Aetoliae, Naopaetn·, Pylene: petto, si chiama Rion. Ma nel golfo di Corinto el in mediterraneo Plearon, Halicyraa. Montes le dttà dell* Etolia sono : Naupatie e Pilean ;
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HISTORIARUM MUNDI L1B. IV:
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diri: io Dodonfc, Tornirai : io Ambracia, Crania : io Acarnania, AraCynthos: io Aetolia, Acanlhon, Panaetoliiun, Macyninm.
e fra terra Pleurone e Alidrna. I monti femori aono: in Dodona, Tornar» : in Ambrada, Crania : in Acarnania, Aracinto : in Etolia, Acantone, Paoetolio e Macinio.
L o c r id is , « t P b o c id i s .
D e l l a L o c r id e e d e l l a F o c id e .
IV. 3. Presimi Aetolis Locri, qui cognomi IV. S. Vicini agli Etoli sono i Locri, cognomi nantor Ozolae, immune*. Oppidom Oeanthe. nati Ozoli, esenti. La città loro è Eante. Il porto Porto· Apolliois Phaestii, ainoa Crissaeu*. loto* d’ Apolline Festio, ed il golfo Crisseo. Le città oppida : Argjna, Eupalia, Phaettum, Calamissos. fra terra sono : Argina, Eupalia, Festo e Cala misto. Più oltre sono i campi Cirrei di Focide, Ultra Cirrhaei Phocidis campi, oppidom Cirrha, porto· Chataeon, · quo τ π ι pass, introrsus libe la città di Cirra, porto Caleone, dal quale sette ram oppidom Delphi, sub monte Parnasso, claris miglia lontano fra terra è Delfo, città libera, simam io terris oracolo Apollinis. Fons Castalius, •otto il monta Parnaso, famosissima al mondo suoni* Cephissos praefluens Delphos, ortos in per l’oraeolo d'Apolline. Il fonte Castalio, il fiome Cefiso, che corre appresso a Delfo, nato in Lilea lila ea quondam orbe. Praeterea oppidom Criisa, già ciltà. Oltre di questo la città di Crissa, i popoli e t cum Bulensibus Anticyra, Naulochum, Pyr Bulesi, Anticira, Hauloco, Pirra, Anfitsa esente, rha, Amphissa immanis, Tithrone, Tritea, Am· iirysus, Drymaea regio, Daolis appellata. Dein in Titrona, Tri tea, Ambriso, la regione Drimea, chiamata Daoli. Dipoi nel golfo piò addentro intimo sino angelos Boeotiae adlaitar caro oppi dis, Sipbis, Thebis, qoae Corsicae cognominatae è bagnato 1' angolo di Beozia con le dttà Sifi e suat, juxta Heliconem. Tertiam ab hoc mari Tebe, le quali son cognominate Corsiche, presso Γ Elicona. Dipoi è Page, da questo mare terza Boeotiae oppidom Pagae, uode Peloponnesi pro ciltà della Beozia, donde sorge il capo del Pelo silit cervix. ponneso. P e l o p o r r e s i *.
D e l P elovouh rso .
V - 4 - Peloponneso*, Apia ante appellata, et Pelasgia, peninsula haad alii terrae nobilitate posteferenda, inter duo maria Aegaeum et Joniom, platani folio similis, propter angulosos re cesso·, circuitu d l x i i i k pass. colligit, auctore Isi doro. Eadem per aioos paene tantumdem adjicit. Angustiae, onde prooedit, Isthmos appellantor. In eo loeo erumpentia e diverso, quae dicta sunt, maria, a septemtrione et exorto, ejos omoem ibi latitudinem vorant, donec contrario incursu ae quorum tantorum, in qainque ■ pass. inter vallo, exesis utrinque lateribus, angusta cervice Peloponneso m contineat Hellas. Corinthiacas hinc, illinc Saronicus appellator sioos : Lecheae hioc, Cenchreae illinc, angustiarum termini, loogo et ancipiti navium ambitu, quas magnitu d o pleostris transvehi prohibet: qoam ob causam perfodere navigabili alveo aogostias eas tentato re, Demetrias rex, dictator Caesar, Cajos prineeps, Domitio· Nero, infaasto ( ut omoiom pa teat exito ) incepto. Medio hoe intervallo, qood Isthmoo appellavimus, applicata colli habitator ooloaia Corinthus, antea Ephyra dieta, sexageuls ab utroque litore stadiis, e somma sua area, quae ▼ocater Acrocorintho·, in qua fons Pira ne, di versa duo u r i t prospettane, l x x x v h mill. pass. ad Corinthiacam watim trajectos est Patra* a
V. 4 · 11 Peloponneso, detto prima Apia e Pelasgia, è ana penisola, la quale non cede a paese alcuno di nobiltà, fra due mari l’ Egeo e Γ Ionio, simile alla foglia del platano per le angolose sue rivolte : gira, secondo Isidoro, cin quecento sessantatrè miglia. E la medesima per li golfi aggiagne quasi altrettanto. Lo stretto, donde procede, si chiama Istmo. In questo luogo vengono a percuoter da diverse parti i due mari già detti, da tramontana e levante, e divoran quivi tnlta la latitudine, insino a che per Topposito corso di tante acqoe lo ridooono di cinque miglia d’ intervallo, avendo roso di qaa e di là i lati, in modo che la EUade col soo collo stretto tocca il Peloponneso. Da una parte si chiama golfo di Corinto, dall'altra golfo Saronico: di qua è Lecbea, e di là Cenere·, termini dello stretto, con lungo e dubbioso circuito de* navili, i quali per la grandezza loro non si possono traghettar sai carri. Per la qoal cosa tentarono già di ta gliar questo stretto con navigabil canale, il re Demetrio, Giulio Cesare dittatore, Caligola imperadore e Domizio Nerone, niun de' quali (co me è manifesto ) condusse altrimenti a fine il •qo prindpio. Nel mezzo di questo Intervallo, che noi chiamammo Istmo, applicata al eolie s'abita Corinto colonia, prima detta Efira, loo-
C. PLINII SECUNDI
4°7
*0 »
Leacade. Patrae, colonia in longissimo promon torio Peloponnesi condita, ex adverso Aetoliae et flaminis Eveni, minas mill. pass. (ot dictam est) intervallo in ipsis faucibus, sinam Corinthiacam l x x x v millia pass. in longitudinem asque ad 1sthmon transmittunt.
tana dall'una e l'altra riviera da otto miglia; e dall’alta sua rocca, la qaale si chiama Acroco rin lo, nella quale è il fonte Pirene, scuopre i due mari diversi. Ottantasette miglia è da Leu cade a Patrasso per lo golfo di Corinto. La colo nia di Patrasso edificata nel lunghissimo promon torio del Peloponneso, all' incontro dell' Etolia e del fiume Eveno, con manco d'un miglio d 'in tervallo, come s 'è detto, in essa bocca, il golfo di Corinto ottantacinque miglia ia longitudine insino all' Istmo trapassa.
A ch a ja b.
D e l l ' A g a ia .
VI. 5. Achajae nomen provinciae ab Isthmo incipit; antea Aegialos vocabatur, propter orbes in litore per ordinem dispositas. Primae ibi, quas diximus, Lecheae, Corinthiorum portus. Mox Oluros, Pellenaeorum castellum. Oppida: Helice, Bura: in quae refugere, haustis prioribus, Si cyon, Aegira, Aegion, Erineos. lutus Cleonae, Hysise. Panhormus porlus, demonstratumqne jam Rhium : a quo promontorio quinque mpass. Absunt Patrae, quas supra memoravimus: locus Pherae. In Achaja, ix montium Scioessa notissi mus, fons Cymothoe. Ultra Patras oppidum Ole num, colonia Dyme: loca, Buprasium, Hyrmine: promontorium Araxum, Cyllenes sinus, promon torium Chelonates : unde Cyllenen quiuque u pass. castellum Phlius : quae regio ab Homero Araethyrea dicta, postea Asopis.
VI. 5.11 nome della provineia d 'Acaia inco mincia dall' Istmo : prima si chiamava Egialo, per rispetto delle città poste per ordine nella riviera. La prima quivi, che abbiamo detto, è Lecche porto de' Corintii. Poi Olaro castello de'Pellenei. Le città sono: Elice, Bura j dove rifuggirono, essendo inghiottite le prime, Sici». ne, Egira, Egione, Erineo. Fra terra v'è Cleone ed Isia. Panormo porto, e Rio già nominato, dal qual promontorio, lontano cinque miglia è Patrasso, da me di sopra ricordato. Il luogo di Fera. In Acaia, di nove monti Scioessa notissi mo, ed il fonte Cimotoe. Di là da Patrasso à la città d'Oleno, la colonia di Dime, i luoghi, Buprasio, lrmiuo, ed il promontorio d'Arasso : il golfo di Cilene, il promontorio di Cbelonate, ed il castello di Flio, lontano due miglia da Cillene : la qual regione da Omero fa chiamata Arelirea, poi Asopi. V' è poi il paese degli Elii, i qaali prima si chiamavano Epei. Evvi Elide fra terra, e lontana da Pilo dodici miglia. Più addentro vi è il tem pio di Giove Olimpio, il quale per la darità dei giuochi abbraccia i giorni sacri della Grecia. Pisa già citlà, dove passa il fiome Alfeo, e nella riviera il promontorio Itti. Il fiume Alfeo è navi gabile sei miglia appresso le città d'Aulone e Leprioue. 11 promontorio Platanode: tatti questi souo volli a ponente.
Inde Eliornm ager, qui antea Epei vocaban tur: ipsa Elis in mediterraneo, et a Pylo xn m passuum. Intus delubrum Olympii Jovis, ludo rum claritate fastos Graeciae complexum. Pi saeorum quondam oppidum praefluente Alpheo amne. At in ora promontorium lchlhys. Amnis Alpheus navigatur vi mill. pass. prope oppida, Aulone, et Leprion. Promontorium Platanodes; omnia haec ad occasum versa. * M e s s b h ia b .
D b l l a M bssb h ia .
VII. Ad meridiem autem Cyparissius sinus cum urbe Cyparissa l x x i i millium passunm cir cuitu. Oppida: Pylos, Metbone: locus Helos, promontorium Acritas : sinus Asinaeus, ab oppido Asine, Coronaeus a Corone. Finiuntur Taenaro promontorio. Ibi regio Messeuia duodeviginti -montium. Amnis Pamisus. lutus autem ipsa Mes sene, libarne, Oechalia, Arene, Pteleon, Thryon, .Dorion, Zancle, variis clara temporibus. Hujas sinas circuitus l x x x m pass., trajectus vero xxx v.
VII. Ma verso mezzodì è il golfo Ciporicao con la città Ciparissa di settantadue m igli· di circuito. Le citlà, Pilo e Modone: il laogo di Eia, il promontorio Aerila, il golfo Asineo,cosl dello dalla citlà d'Asine, ed il Coroneo da Corone : finiscono nel promontorio Tenaro. Quivi è la region Messenia che ha dieciotto monti. Il fiume Pamiso. Fra terra poi v' è Messene, Itome, Ecalia, Arene, Pteleone, Trione, Dorione, Zande, famosa in diversi tempi. 11 golfo d'essa ha ottanta migli· di circuito, ed il traghetto trenta miglia.
HISTORIARUM MUNDI LIB. IV.
*•9 L a c o k ia b .
D n u L a « omia .
VIII. Dehioc a Taenaro ager Laconica*, libe V ili. Dopo Tenaro v 'è il paese Laconico, rae gentis: el «inos cireaita cn ini 11., trajecta di popoli liberi ; ed il golfo di circuito dugento sei miglia, e di traghetto trentaoove. Le città xxxix mill. Oppida : Taenarum, Amyclae, Phe rae, Leuctra : et intaa Sparta, Theramne : atque sono: Tenaro, Araicla, Fera, Leutra: e più ad dentro, Sparla, Teranne; e dove già fu Cardaraile, abi faere Cardamele, Pilane, Antbane: Locus Pitane, Antane, il luogo di Tirea, Gerania. 11 Thyrea, Gerania. Mons Taygetus, amnis Euro monte Taigeto, il fiume Eurota, il golfo Egilodo, tas, sieus Aegilodes, oppidum Psammathus. Sinus Gytheates ab oppido: ex quo Cretam insulam la città di Psammato. Il golfo Giteate, donde è certissimo corso all' isola di Creta. E tutti questi certissimus cursus. Omnes autem Maleae pro montorio ioeluduntor. luoghi sono rinchiusi dal promontorio dalla Malea. A i &o l l d is .
D b l l ' A b g o l id b .
IX. Qoi sequitor sinus ad Scyllaeum, Argo IX. 11 golfo, che segue fino a Scilleo, si chia ma Argolico, di traghetto di cinquanta miglia, licos appellatur, trajectu quinquaginta i* pass. e di circuito di ceoto settantadue. Le città, Boea, ideai ambita c l x i i millium. Oppida: Boia, Epi d a u r u s limerà cognomine, Zarax, Cyphanla por Epidauro detto Limera, Zarax ed il porto Citas. Amnes : Inachus, Erasinus inter quos Argos fanta. I fiumi, 1* Inaco, lo Erasino, fra i quali i Hippium cognominatum, supra locum Lernen, Argo cognominato Ippio, sopra il lago di Lerna, a mariduobns m pass. novemqoe additis millibus, lontano due miglia dal mare, e più oltre nove Mycenae : et ubi fuisse Tiryntha tradunt : et lo miglia è Micene ; e dove si dice, che già fu Ticus Mantinea. Montes : Artemius,Apesantus,Aste rinta ; ed il luogo di Mautinea. I monti : Artemio, rion, Parparus, aliique undecim numero. Fonte* : Apesanto, Asterione, Parparo ed atiri, a numero Niobe, Amymone, Psamathe. A Scyllaeo ad Isth venti. I fonli : Niobe, Amimone, Psammale. Da mum cxxxfu m pass. Oppida : Hermione, TroeScilleo all* Istmo sono centosettantasette miglia. zen,Corypba*tum: appellatumque alias Inachium, Le città : Hermione, Treiene, Corifasio, ed Argo, alias Diasium Argos. Portus Schoeoitas, sinus chiamato quando Inachio, e quando Diasio. Il Saronkns olim qaerno nemore redimitus, unde porto Scenite, il golfo Saronico, ornato già d'un nomen, ila Graecia antiqua appellante quercum. bosco di quercia, ond'egli prese il nome, perchè In eo Epidaurum oppidum, Aesculapii delubro l'antica Grecia così chiamava la quercia. In esso celebre, Spiraetrm promontorium, portus Anthe è la città d* Epidauro, celebralo per lo tempio don, et Bucephalus: el quas supra dixeramus, d’ Esculapio, il promontorio Spireo, porto AnCenchreae, Isthmi pars altera cum delubro Neptu tedone, e Bucefalo ; e Cencrea, che dicemmo di ni quinquennalibus inclyto ludis. Tot sinus Pelo sopra, l'altra parte dell’ Istmo col tempio di Net ponnesi oram lancinant, tot maria adJatrant. Si tuno, illastre per i giuochi, che vi si fanno ogni quidem a septentrione Ionium irrumpit : ab occi cinque anni. Tanti golfi lacerano il Peloponneso, dente, Siculo palsatur : a meridie, Cretico urge e tanti mari lo intronano. Perciocché da tra tor : ab oriente brumali, Aegaeo : ab oriente sol montana v'entra il mare Ionio, da ponente è stitiali, Myrtoo, qnod a Megarico incipiens sino, bussato dal Siciliano, da mezzogiorno è stretto io tam Atticam adlait. dal Cretico, da levante di verno dalTOgeo, da levante di state dal Mirtoo, il quale incomin ciando dal golfo di Megara, bagna tutto il paese d 'Atene. A i o d u i *.
D bll ' Abcadia.
L 6. Mediterranea ejus Arcadia maxime tenet ,undiqoe a mari remota : initio Drymodes, mos Pelasgis appellata. Oppida ejas : Psophis, Mantinea, Stymphalum, Tegea, Antigonea, Or chomenum, Pheneum, Palantium, unde Palatiom Romae : Megalopolis, Gortyna, Bucolium, Car-
X. 6. Il suo paese fra terra è per la maggior parte 1*Arcadia, d'ogni parte discosto dal mare ; prima chiamata Drimode, e poi Pelasgi. Le città sue sono : Psofi, Mantinea, Stinfalo, Tegea, An tigonea, Orcomeno, Feneo, Palanzio, onde è detto Palazio in Roma : Megalopoli, Gortina, Bu-
C. PUNII SECUNDI
4“
nion, Parrhasie, Thdpusa, Melaenae, Herae·, Py lae, Pallene, Agrae, Epiam, Cynaetha, Lepreon Arcadiae, Partheniam, Alea, Methydriom, Enispe, Maciitum, Lampe, Clitoriam, Cleonae, io ter qnae dao oppida, regio Nemea, Bembinadia vo citata. Monica in Arcadia, Pholoé com oppido : item Cyllene, Lycaea a, ία quo Lycaei Jovis de· labrum : Maenalus, Artemisias, Parthenias, Lam pe at, Nonacris : praeterqoe, ignobiles octo. Am ne· : Ladon, e palodibas Phenei : Erymanthus e monte ejusdem nominis, ia Alpheam defluentes. Heliqaae civitates in Achaja dicendae, Afiphi· raei, A beatae, Pyrgenses,Paroreatae, Paragenitae, Tortoci, Typaaei, Thriasii, Tritienses. Coiveraae Achajae libertatem Domitias Nero dedit. Pelo ponnesus in latitudiae a promontorio Maleae, ad oppidam Aegiam Corinthiaci sinutexc m pass. pa tet At ia transversum ab Elide Epidaurum, cxxv M ab Olympia Argos per Arcadiam l u x mill. Ab eodem loco ad Phliunta dicta meoaura eat. Uoiirersa autem, velut pensante aequorum incursus natura, in montes vi atqoe l x x adtoUitar.
A t t ic a s .
4«#
colio, Caroione, Parrasia, Tdpusa, Melena, Erea, P ile, Pallena, Agrf, Epio, Cineta, Lepreone d'Arcadia, Partenio, Alea, Metidrio, Enispe, Madsto, Lampe, Clitorio, Cleooa, fra le quali due (òtti è. la regione Nemea, chiamata Bembi nadia. I monti d'Arcadia son queati : Foloe oso 1· citti del medesimo nome, Ottiene, Liceo, dov'è il tempio di Giove Lieeo: Menalo, Artemisio, Partenio, Lampeo, Nonacri ; oltre gli otto igno bili. 1 fiumi, il Ladone che viene dalle palndi di Feueo : l ' EHmanto dd monte del medesimo nome, ed amendue vanno nell' Alfeo. Le altre citti, che si posson dir· in Acaia, sono Alifi rea, Abeata, Pirgo, Parorea, Paragenita, Tortono, Ti pania, Triasio, Trita. Domixio Ne rone mise in liberti tutta l'Acaia. 11 Peloponneso i in latitudine da capo di Malea alla d iti di Leche del golfo di Corinto centonovanta miglia. Bla per traverso da Elide ad Epidauro oentoventicinque miglia. Da Olimpia ad Argo per l ' Ar cadia aeasaotanove miglia. Dal medesimo luogo a Flinnta v' è la detta misura ; e cosi tutto il Peloponneso, oome se la natura lo ri compensasse di qud trasoorrimenti di mari, eh· gli entrano oome in grembo, s 'innalza io settantasei monti.
Dux' A t t i c a .
7. Dallo stretto ddl' Istmo incomincia XI. 7. Ab Isthmi angustiis Hellas incipit, no XI. stris Graecia appellata. In ea prima Attica, anti l ’EUade, da' nostri chiamata la Grecia. In essa è quitus Acte vocat·. Adttogit Iathmum parte sui, prima l’ Attica, anticamente detta Atte. Ella quae appellatu» Megaris, a colonia Megara, e re tocca l ' Istmo eoo una sua parte, che si chiama gione Pagarum. Duo haec oppida excurente Pelo Megare, dalla colonia di Megara, dirimpetto a ponneso sita sunt, utraque ex parte velut in hu Pagaro. Queste due citti, scorrendo il Pelopon neso, sono poste dall'nna e l'altra parte, come meris Helladif. Pagaei, et amplias Aegosthenenses contributi Megarensibus. In ora autem, portas nelle spalle dell' Elade. 1 Pagei, e gli Egaatenmi, i quali sono contribuiti eo* Megaresi. In questa Schoenos. Oppida: Sidus, Cremmyon; Scironia riviera vi è porto Scheno. Le a tti, Sido e Gesaxa vi mill. longitudine, Geranea, Megara, Eleu sin. Fnere et Oenoa, Probalinthos : nunc sunt mioue : i sassi Sdronii di lungheua sd migli·, ab Isthmo l v millia pass. Piraeeus, et Phale Geranea, Megara, Eleusina. Vi furono anco gii, ra portus, quinque millia pass. maro -recedeoti· che oggi più non sono, Enoa e Probalinto: lon bas Athenis fanati. Libera haec civitas, nec indi tano dall' Istmo einquantadue miglia sono il Pireo e porto Falera, congiunti oen on muro ga ulli os praeconii amplius: tanta duritas super di cinque miglia con Atene, ehe si disoosta. fluit. Iu Attio· fontes, Cephissi·, Larine, Calli rhoe, Enneacrunot. Montes: Brilemas,Aegialeo*, Questa dttà è libera, e non ha più bisogno di Icaiiua,Hymettos, Lycabettus : locus Ilissos. A Pi lode alcuna, tanto è per sè stessa illustre. In At raeeo x l v mill. pass. Sunium promontorium, tica sono questi fonti, Cefis^, Larine, Calliroe, Thoricos promontorium. Potamos, Steria, Brau Enneacruni. Monti: Brilesso, Egialeo, Icario, ron, quondam oppida. Rhamnus pagus, locus MaImetto, Licabetto, la terra d* llisso. Lontano dal mthon, campos Thriasios, oppidam Melita, et Pireo qoarantadnque miglia è il promontorio Oropos, in confinio Boeotiae. Sunio ed il promontorio Torioo. Potamo, Steri·, prauron· gii dttà. Ramno villaggio, Maratona, la campagli· Triassa, la dttà di Mdita, ed Oropo a' confini di Beozia.
HISTORIARUM MONDI LIB IV.
4*5
* Bo io t u i ,
D e l l a B b o z ia ,
XII. Cujas Anthedon, Onchesto», Thespiae li beram oppidom, Lebadea : oec cedentes Athe nis claritate, quae cognominantur Boeotiae The bae, duorum numinum Liberi atque Herculis (ut volunt ) patria, bt Musis natale in nemore Heliconis adsignant. Datur et his Thebis saltus Cithaeron, amnis Ismenus. Praeterea fontes in Boeotia : Oedipodi», Psamathe, Dirce, Epierane, Arethusa, Hippocrene, Aganippe, Gargaphie. Montes extra -praedictos* Mycalessus, Hadylius, Aeontins. Reliqua oppida, inter Magaram «t The bas: Eleutherae, Haliartus, Plataeae, Pherae, Aspkdon, Hyle, Thisbe, Erylhrae,Gli*sas,Copae : juxta Cephissum amnem Larymna, et Anchoa : Medeon, Phlygone, Aeraephia, Coronea, Chaero nea. In ora autem infra Thebas: Ocalee, Heleon, Scolo*, Schoenos, Peteon, Hyrie, Mycalessus, Hileaioo, Pteleon, Olyros, Tanagra liber populus : et in ipsis faucibus Euripi, quem facit objectu insulae Euboeae, Aulis capaci nobilis portu. Boeo tos Hyantas antiquitus dixere. Locri deinde Epicnemidii cognominantur,olim Leleges appellati, per quos amnis Cephissus de fertur in mare. Oppida : Opus, unde et sinua Opuntius, Cynos. Phocidis in litore unum Da~ phrna. Introrsus in Locris, Elatea, et in ripa Cephissi ( ut diximes ) Lilaea, Delphosque ver sus , Coemis, et Hyampolis. Rursus Locrorum ora, in qua Larymna, Thronium, juxta quod Boa· frias amnis defertur ia mare. Oppida: Narycion, Alope, Scarphia. Postea Maliacus sinus ab incolis dictas : in qno oppida, Halcyona, Econie, Pha lara.
XII. Nella quale è Antedene, Onehealo, Tespia cittì libera, e Lebadea: e Tebe di Beozia, la quale non cede di splendore ad Ateoe, patria, come si dice, di due dei, Bacco ed Ercole. Asse gnano ancora il nascimento delle Muse nel bosco di Eliconia. Dassi patini ente a qoeata Tebe il bosco Citerone ed il fiume lsmeno. Oltre di d ò sono qaesti fonti in Beozia: Edipodia, Psamate, Dirce, Epierane, A retusa, Ippocrene, Aganippe e Gargafie. 1 monti olire ai già delti, Micalesao, Adilio, Aconzio. L 'altre citlà fra Megara e Tebe sono : Elenlera, Aliarlo, Platee, Fere, Aspledone, Ile, Tisbe, Eritra, Glissas, Copa : appresso il fiu me Cefiso, Larinna e Ancoa : Medeone, Fligone, Acrefia, Coronea, Cheronea. E odia riviera sot to Tebe: Ocale, Eleone, Scolo, Scheno, Peteone, Irie, Micalesso, Mestone, Pteleone, Olirò, Tana gra popolo franco ; e nelle foci del canale, il quale fa con l'opposizione dell’ isola Eobea, Au lide nobile per il porto, che ha capace. Furono t Beozii anticamente chiamati lauti. Dipoi i Locri cognominati Epicnemidii, già chiamati Lelegi, per H quali passa il fiume Cefi so, e va in mare. Le città loro sono : Opo, onde è dello il golfo Opnnlino, Cino. Nel lito di Foci de, Dafuo una. Fra terra in Locri, Eiatea, e nelle rive del Cefieo, come dicemmo, Lilea, e verso Delfo, Cnemi, e lampoli. Di nuovo la riviera dei Locri, nella quale è Larinna, Troeio, appresso il quale il fiume Boargio entra In mare. Le città, Naricione, Alope, Searfia. Dipoi il golfo di Malea così chiamato dagli uomini del paese, nel quale sono queste dttà : Aldone, Eeonia, Falara.
Doaiots.
D e l l a D o e id e .
XIII. Doris deinde, in qua Sperchios, Erineon, Boion, Pindo», Cytinum. Doridis a tergo mons est Oeta.
XIII. Ecci poi la Dorica, nella quale sono Sperchio Erineone, Boione, Pindo e Citino. Die tro alla Dorica i il monte Oeta.
P h t h i o t i d i s *.
D e l l a F t io t id b .
XIV. Sequitur mutali* saepe nominibus Aemo nia: eadem Pelasgicum Argos, Hellas, eadem Thessalia, el Dryopis seroper a regibus cognomi nata. Ibi genitus rex nomine Graecus, a quo Graeciaa : ibi Hellen, a qno HeUenes. Hos eosdem Homerus tribus nominibus appellavit, Myrmido nes, et HeUena*) et Achaeos.
XIV. Segue l ' Emonia che spesso ha mutato nomi, siccome quella eh* ora è stata detta Argo Pelasgico, Eliade, Tessaglia, e Driopi, sempre da1suoi re. Quivi nacque il re ch'ebbe nome Greco, da cui fa detta la Grecia : quivi EUen, da cui i Greci furon detti Elleni. Questi popoli furono chiamati da Omero con tre nomi, doé Mirmidoni, Elleni, e Achei. Fra questi, quei die abitano la Dorica si chiamano Ftioti. Le dttà loro sono, Echino
Ex his Phthiotae nominantur Dorida adcolentes. Eorum oppida, Echino» in faucibus Sperchii
C. PLINII SECONDI
4.5
flaminis, Thermopylarum angustiae : quo argu mento iv millia pass. inde Heraclea, Trachin dicta eat. Mona ibi Callidromus: oppida celebria, Ballai, Halos, Lamia, Phthia, Arne.
T h bssa lia b .
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nella foce del fiame Sperchio, lo stretto delle Ter mopile : per lo quale argomento Eraclea quattro miglia discosto di 1& è detta Tranne. Quivi è il monte Callidromo : cittì illustri : Alla, Alo, Lamia, Ftia e Arne. -
D e l l a T e ssa g l ia .
XV. 8. In Thessalia autem Orchomenos, Mi· XV. 8. In Tessaglia è Orcomeno, detto prima nyeus antea dictas : et oppidum Alroon, ab aliis Minieo ; e la città d' Almone, da alcuni chiamata Salmon, Alrax, Pelinna : fons Hyperia. Oppida, Salmone, Atrace, Pelinna: la fonte Iperia. Le città Pherae, quarum a tergo Pieris ad Macedoniam sono : Fere, dietro la quale il Piero si distenda portenditur, Larissa, Gomphi, Thebae Thessaliae, verso la Macedonia, Larissa, Gonfi, Tebe, Tessa nemus Pteleon, sinus Pagasicas. Oppidum Pa glia, il bosco di Pteleone il golfo Pagasico. La gasae, idem postea Demetrias dictum, Tricca, città di Pagasa, detta poi Demetriade, Tricca, le Pharsalici campi cum civitate libera, Cranon, campagne di Farsaglia con la città libera, Cra llelia. Montes Phthiotidis, Nyrapheus, quodam none, Uezia. I monti di Ftiotide, il Ninfeo, già nobile per un certo topiario opera di maraviglioaa topiario naturae opere spectabilis : Buzigaeus, Donacesa, Bermius, Daphissa, Chimerion, Atha natura: Buzigeo, Donacesa, Bermio, Defissa, Chlmas, Stephane. In Thessalia sunt quatuor atque merione, Atamante, Slefane. Nella Tessaglia ne triginta, quorum nobilissimi, Cerceti, Olympus, sono trentaqualtro, fra i quali i nobilissimi sono: Cerceti, Olimpo, Piero e Ossa, a cui dirimpetto Pierus, Ossa : cujus ex adverso Pindus etOlhrys, Lapit harum sedes : hi ad occasum vergentes : ad sono Pindo e Otri, abitazione de’ Lapiti: questi ortus, Pelios : omnes theatrali modo inflexi, ca sono volti verso ponente: a levante, il Pelìo: tatti piegati a modo di teatro, e hanno avanti a veatis ante eos septuaginta qainque urbibus. Flu mina Thessaliae : Apidanus, Phoenix, ' Epineus, loro settantacinque città. 1 fiumi della Tessaglia Onochonus, Pamisus. Fons Messeis. Lacus Boe- sono: Apidano, Fenice, Enipeo, Onocono, Pamiso. beis. Et ante cunctos claritate Peneus, ortusjuxta 11 fonte Messei. Il lago Bebei. E il più illustre di Gomphos : interque Ossam et Olympum nemo tutti il Peneo, il qual nasce appresso a Gonfi, a rosa convalle defluens quingentis stadiis, dimidio dipoi passa fra Olimpo e Ossa per una valle piena ejus spatii navigabilis. In eo cursu Tempe vocan di boschi da sessanta miglia, ed è navigabile per tur quinque mill. pass. longitudine, et ferine la metà di quello spazio. In quel corso è Tempe sesquijugeri latitudine, ultra visum hominis ad- lungo cinque miglia, e largo quasi mezzo iugero; tollentibus se dextera laevaque leniter convexis tanto alto, che la vista dell’ uomo non t 1 aggiugne jugis. Intus sua luce viridanle adlabilur Peneus, da man ritta, e man manca. Per lo mezzo vi corre viridis calculo, amoenas circa ripas gramine, il fiume Peneo con la sua chiara luce, per la canorus avium concentu. Accipit amnem Orcon, gioia verde, e ameno intorno alle rive per l'erba nec recipit, sed olei modo supernatantem (ut fresca, e canoro per lo canto degli uccelli. dictum est Homero) brevi spatio portatum ab Questo fiume piglia il fiume Orco ; non però lo dicat : poenales aquas dirisque genitas, argenteis riceve, ma correndo sopra di lui a guisa 8' olio ( come dice Omero) portalo per breve spazio da snis misceri recusans. sè lo scaccia ; siccome quello, che rifiata di mescolar le torbide acque di quello con le sue, le quali paion proprio d’ argento.
M aom esiak .
D e l l a M a g n e sia .
XVI. 9. Thessaliae adnexa Magnesia est, cujas XVI. 9. Con la Tessaglia è attaccata la Ma fons Libethra. Oppida : Jolcus, Hormenium, gnesia, il cui fonte è Libetra. Le dttà sono : Iolco, Pyrrha, Melhone, Olizon. Promotorium Sepias. Ormenio, Pirra, Metone, Olizone. Il promontorio Oppida : Casthanaea, Spalathra. Promontorium Sepia. Le ci U à , Castanea, Spalatra. 11 promontorio Eanzio. Le città, Melibea, Rizo, Erinne. La foca Aeantium. Oppida: Moeliboea,Rhizus, Erymnae. Ostium Penei. Oppida : Homolium, Orthe, Thes del Peneo. Le città, Omolio, Orte, Tespie, Falanpiae, Phalanna, Thaumade, Gyrton, Cranon, na, Taumade, Girtone, Cranone, Acarae, Do ttane, Melitea, Filace. D dl’ Epiro, dell’ Acaia, Acharne, Dotion, Melitaea, Phylace. Porro Epiri,
HISTORIARUM MUNDI L 1B. IV.
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Achajae, Atticae, Thessaliae in porrectum longitudo quadringentorum octoginta mill. pass, traditur, latitudo centum nonaginta septem millium,
dell'Attica, «Iella Tessaglia a dirittura è Ia longi ladine quattrocento ottanta miglia : cento no· vanta selle miglia la latitudine.
M a c e o o h ia e .
D e l l a M a c e d o n ia .
XVII. io. Meoedonia postea centnm quin XVII. io. Segue poi la Macedonia, di cento quaginta populorum, duobus inclyta regibus, cinquanta popoli, famosa gii per due re, e per qnondamque terrarum imperio, Emathìa antea Γ imperio ch'ebbe del mondo, prima detta Ema dicta. Haec ad Epiroticas gentes in solis occasum zia. Questa provincia da ponente volta verso recedens posi terga Magnesiae atque Thessaliae, I' Epiro dietro alle spalle della Magnesia e della infestatur a Dardanis. Partem ejus septemtriona- Tessaglia è travagliata da' Dardani. La parte sua settentrionale la guardano da’ Triballi la Peo leaa Paeouia ac Pelagonia protegunt a Triballis. Oppida: Aege, in quo mos sepeliri reges : Beroea; nie e la Pelagonia. Le sue città sono: Ege, dove et in regione quae Pieria appellatur a nemore, usano i re seppellirsi : Berea, e nella regioue, Aeginium. In ora Heraclea, flumen A pilas. Op che dal bosco che v’ è si chiama Pieria, Eginio. Alla riviera è Eraclea, il fiume Apila. Le città: pida: Pydna, Aloros. Amnis Aliacmon. Intus: Aloritae, Vallaci, Phylacaei, Cyrrbestae, 1’yrissei. Pidna, Aloro. Il fiume Aliacmone. Più addentro, Pella colonia. Oppidum Stobi civium Rom. Mox gli Aloriti, i Vaitei, i Filacei, i Cirresti, i Tiri ssei. Pella colonia. Stobi citlà di cittadini Romani. Antigonea, Europus ad Axium amnem,eodemque Dipoi Antigonea, Europo sul fiume Assio, e nomine, per quod Rhoedias fluit. Eordeae, Scyaltro del medesimo nome, per lo quale scorre dra, Mieza, Gordyniae. Mox in ora Ichnae: fluvius Axius. Ad hunc finem Dardani, Treres, la Redia. Eordea, Scidra, Mieza, Gordinia. Dipoi Pieres, Macedoniam adcolunt. Ab hoc amne Paeo nella rivièra lene: il fiume Assio. A questo confine i Dardani, i T reri, i Pieri abitano la niae gentes : Paroraei, Eordenses, Almopii, PelaMacedonia. E da questo fiume in là i Peonii, i gooes, Mygdones. Montes: Rhodope, Scopius, Parorei, gli Eordesi, gli Alinopii, i Pebgoni, e i Orbelus. Dein praejacente gremio terrarum, Migdoni. I monti sono: Rodope, Scopio e Orbelo. Arethusii, Antiochenses, ldomenenses, Doberi, Aestraeenses, AUautenses, Audarislenses, Morylli, Dipoi come nel grembo della terra, gli Aretùsii,gli Antiochesi, gli Idomenesi, i Doberi, gli Estreesi, G aresci, Lyncestae, Olhryonei, et liberi Amantini atqoe Orestae: coloniae, Bollidensis, et Diensis : gli Allantesi, gli Aadaristesi, i Morilli, i Garesci, i Lincesli, gli Otrionei, e gli Amantini e gli Xylopolitae, Scotussaei liberi, Heraclea Sintica, Oresti liberi: due colonie, la Bullidese, e la Diese: Tympheci, Toronaei. i Xilopoliti, gli Scutussei franchi, Eraclea Sinti ca, i Tinfei, e i Toranei. Nella riviera del golfo Macedonico è la città In ora sinus Macedonici, oppida Chalastra, et intus Phileros, Lete : medioqne flexu litoris Thes di Calastra, e fra terra Filerò, e Lete : e in mezzo salonica, liberae conditionis. Ad hanca Dyrrachio della piegatura del lito, Tessalonica, città franca. c c l x v u millia passaam. Terree. Iu Thermaico Da questa a Dnrazzo sono dugento sessantasette sinu oppida, Dicaea, Pydoa, Derrha, Scione. miglia. Terme. Nel golfo di Terme son queste Promontorium Canastraeum. Oppida : Pallene, città : Dicea, Pidna, Derra, Scione: il promonto Phlegra. Qua in regione montes, Hypsizorus, rio Canaslreo. Le città, Pallene e Fiegra. Nella E pi tus, Halcyone, Levomne. Oppida: Nyssos, qual regione son questi monti : Ipsizoro, Epito, Phinelon, Mandae : et in Pallenensi Isthmo quon Alcione, Levomne. Le città, Nisso, Finelodam Potidaea, nunc Cassandria colonia : Anthe- ne, Mende: e nell'Istmo di Pallene già Folidea, mus, Olophyxos : sinos Mecybernaeus. Oppida : ora colonia Cassandra: Antemo,01ofisso: il golfo Physcella, Ampelos, Torone, Singos: fretum, Meciberneo. Le città, Fiscella, Ampelo, Toro qoo montem Atbon Xerxes i*ex Persarum conti ne, Singo : lo stretto, dove Xerse re de* Persi nenti abscidit, in longitudine passuum mn. Mons spiccò il monte Ato da terraferraa in lunghezza ipse a planitie excurrit in mare l x x v mill. pass. d 'un miglio e mezzo. Esso monte dalla pianura Ambitus radicis centum quinquaginta mill. col ai distende in mare seltantacinque miglia. Il giro ligit. Oppidam in cacumine fuit Acrolhon, uunc dalla radice έ centocinquanta miglia. In sulla sunt Uranopolis, Palaeoriurn, Thysaus, Cleonae, cima vi fu già la citlà Acrolon : ora vi sono UraApollonia, cujus incolae Macrobii cognominan nopoli, Paleorio, Tisso, Cleone, Apollonia, i cui abitatori si chiamano Macrobii. La citlà di Cesse tur. Oppidum Casaera, feucesque alterae Isthmi, rà, e Γ Altra foce dell' Istmo, Acanto, Stagira, Acanthus, Stagira, Sithone, Heraclaea, el regio
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G. PUNII SECUNDI
Mygdoniae subjacens, in qua recedente* a mari Apollouia, Arelhasa. In ora rarsus Poaidiam, et sinus cam oppido Cermoro, Amphipoli· liberam, gea* Bisaltae. Dein Macedoniae terminas amnis Strymon, ortns io Haemo : memorandam, in se ptem lacu* eam fandi, priusquam dirigat curtum.
Haec est Macedonia, lerraram imperio potita quondam: haec Asiam, Armeniam, lberiaro,Albauiam, Cappadociam, Syriam, Aegyptum, Taurum, Caucasum transgressa: haec ia Bactris, Medis, Persis dominata, toto Oriente possesso : haec etiam Indiae victrix, per vestigia Liberi patris atque Herculis vagata : haec eadem est Macedo nia, cujus uno die Paulus Aemilius imperator noster septuaginta duas urbes direptas vendi dit. Tantam differentiam sortis praestitere dao homines. T h b a c i a b : (* A b g a b i m a b i s *).
Sitone, Eraclea; ed evvi sotto il paese della Migdonia, dove lontano dal mare sono Apollonia, e Aretosa. Di naovo alla riviera sono, Posidio, il golfo con la città di Cermoro, Anfipoli città fran ca, e i Bisalti. Dipoi il Rame Strimene termine della Macedonia, che nasce nel monte Emo. Cosa meravigliosa di qaesto fiume : egli si sparge in sette laghi, prima che drizzi il suo corso. Questa è quella Macedonia ch'ebbe già l’impe rio del mondo, questa passò l'Asia, l'Armenia, Plberia, PAlbania, IaCappadocia, la Siria,l’Egitto, il monte Tauro e il Caocaso : questa signoreggiò i Battri, i Medi, i Persi, -e possedi tatto {Orien te: questa fa anco vincitrice dell’ India, vagando per li vestigii del padre Bacco e d'Èrcole : questa è quella Macedonia ancora, di coi Paolo Emilio nostro capitano vendè settanladae città saccheg giate. Tanta differenza di fortuna fecero dae uomini. D e l l a T i a c i a , b d b l m a b b E « co.
XV 11I. it. Thracia seqailur, inter validissiXVIII. i l . Viene appresso la Tracia, fra le mas Europae gentes, ia strategias quinquaginta fortissime nazioni dell* Europa, divisa in cin divisa. Populorum ejus, quos nominare non quanta strategie. De1 popoli suoi, quegli che pigeat, amnem Strymonem adcolunt dextro latere meritano di esser nominati, abitano sol fiume Denseletae et Medi, ad Bisaltas usque supra di Strimone dal lato destro i Denseleti e i Medi, cto* : laevo, Digeri Bessorumque multa nomina ad fino a’ Bisalti sopraddetti : dal manco i Digerì e Nestum amnem Pangaei montis ima ambientem, molti nomi de'Bessi insino al fiume Nesto, il inter Elethos, Diobessos, Carbilesos : inde Bry- qaal gira le radici del monte Pangeo, fra gH Eiesas, Sapaeos, Odomantes. Odrysarum gens fundit ti, i Diobessi, i Carbiiesi : e poi i Brisi, i Sapei e Hebrum, adcoleotibus Cabylelis, Pyrogeris, Drugli Odomanti. La nazione degli Odrisi infonde geris, Caenicis, Hypsaltis, Benis, Cor pili is, Bot- l'Ebro fiume a* Cabileti, a'Pirogeri, a’ Drugeri, tiaeis, Edonis. Eodem sunt in tractu Selletae, a’ Cenici, agli Iptalli, a'Beni, a’ Corpilli, a’ Bollici Priantae, Doloncae, Thyni, Coeletae majores e agli Edoni. Nel medesimo contorno sono i SelleHaemo, minore* Rhodopae subditi. Inter qaos ti, i Prianti, i Dolonci, i Tini, i Celeti maggiori Hebrus amnis : Oppidum sub Rhodope Ponero- posti sotto Γ Emo, i minori sotto Rodope. Fra polis antea, mox a conditore Philippopolis, none questi è il finme Ebro, e una città sotto il monte a sita Trimontium dicta. Haemi excelsitas sex Rodope, prima chiamata Poneropoli, poi FilippomilL pass. subitnr. Aversa ejus et in Istrum de poli da chi la edificò ; e ora dal sito è detta Trivexa Moesi, Getae, Aorsi, Gaudae, Clariaeqae, monzio. 11 monte Emo i alto sei miglia. Nella par et sub iis Arraei Sarmatae, quos Areatas vocant, te di quello, che volta verso V Istro, sono i Mesi, t Scy thaeque : et circa Ponti litora Moriseni, SilhoGeli, gli Aorsi, i Gaudi, e i Ciani, e sotto questi niique Orphaei vatis genitores oblinent, gli Arrei Sarmati, che sì chiamano Areati, e gli Sciti : e circa le riviere di Ponto i Moriseni, e i Sitonii, i quali furono padri del poeta Orfeo. Ita finit liter a septemtrione. Ab orlu Ponlas Cosi fioisce 1*lstro da tramontana. Da levan ac Propontis. A meridie Aegaeam mare, cajus in te è il Ponto, eia Propontide. Da mezzodì PEgeo, ora a Strymone, Apollonia, Oesyma, Neapolis, nella cui riviera da Strimone à Apollonia, Esima, Datos. Intus Philippi colonia, absunt a Dyrra Napoli e Dato. Fra terra, Filippi colonia, eh* è chio cccxxv mill. pass. Scotusa, Topiris, Nesti lontana da Durazzo trecento venticinque miglia. amni* ostium. Mons Pangaeus, Heraclea, Olyn Scotusa, Topiri, la foce del fiume Nesto. Il monte tho*. Abdera libera civitas, stagnum Bistonum Pangeo, Eraolea, Olinto. Abdera città libera, lo et gens. Oppidum fuit Tirida,. Diomedis equo stagno e popolo de1 Bistoni. Fuvvi già la città di rum stabulis dirum. Nunc suntDicaeae, lsmaron : Tirida,crudele per le stalle de’cavalli di Diomede. locus Parthenion, Phalesina, Maronea prius Or· Ora vi sono, Dioea, Ismaro, il luogo di Partenio,
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HISTORIARUM MUNDI LIB. IV.
legare· dieta: mons, Serrium et Zone: tum locas Doriscus decem mill. hominum capax. Ita Xer xes ibi dinumeravil exercilam. Os Hebri. Porlus Stentoris. Oppidam Aenos liberum cum Polydo· ri tomaio, Ciconum quondam regio. A Dorisco incurvatur ora ad Macroo Tichos centum viginti duorum mill. pass.. Circa quem locum fluvius Melas, a quo einns appellatur. Oppida : Cypsella, Bisanthe, Macron Tichos dictaro, qua a Propon tide ad Mdanem sinum inter duo maria porrectus murus procurrentem excludit Cherroneeum.
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Falesina, Maronea, prima detta Orlagurea. II monte Serrio, e Zone : e Dorisco luogo capace di centoventi mila uomini. Così Serse rassegnò quivi il suo esercito. La bocca dell* Ebro. Il porto di Stentore. La citlà d' Eno libera col sepolcro di Polidoro, già paese de' Ciconi. Da Dorisco si comincia a piegare il lito fino a Macron lico cento ventidue miglia. Circa il qual luogo è il fiume Mela, da cui si chiama il golfo. Le citi» sono: Cipsella, Bisanle, detta Macronlico, la quale divide il Cherroneso, che scorre dalla Propontide al golfo di Malea fra due mari con due alle mura. Perciocché la Tracia dall’altro lato, incomin Jaroque Thracia altero latere a Pontico li lore incipiens» ubi Ister amnis immergitur, vel pul ciando dalla riviera di Ponto, dove il fiume Istro cherrimas in ea parte urbes habet, Islropolin enlr.a in mare, ha iu quella parte bellissime città, Milesiorum, Tomos, Calatinque, quae antea Istro poli de' Milesii, Tomo, e Calati, che dianzi Acervetis vocabatur. Heracleam habuit, et Bizo> si chiamava Acerveti. Ebbe ancora Eraclea, e nem terrae hiatu raptam : nunc habet Dionyso- Bizone,che fu inghiottita dalla terra : ora ha Diopolin, Crunos antea dictam. Adluit Ziras amnis. nisopoli, già della Cruno. Bagnata il Huiue Zira. Totum eum tractum Scythae Aroleres cognomi Tutto quel tratto fu abitato dagli Sciti cognomi nati lenuere. Eorum oppida : Aphrodisias, Libi- nati Aroteri. Le città loro sono: Afrodisia,Libisto, slot, Zigere, Boreobe, Etimenia, Parthenopolis, Zigere, Borcobe, Eumenia, Pari eno poli, Gerania, Gerania, uhi Pygmaeorum gens fuisse proditur, dove si dice che già furono i popoli Pigmei, i Callusos Barbari vocant, creduntque a gruibus quali sono chiamali dai barbari Cattuzi, e creJesi fugatos. In ora a Dionysopoli est Odessus Mile che fossero cacciati dalle gru. Alla riviera dopo siorum. Flumen Panysus. Oppidum TelranauDionisopoli è Odesso de'Milesii. II fiume Palochus. Mons Haemus vasto jugo procumbens in niso. La citlà Telranauloco. 11 monte Emo, Pontum, oppidam habuit in vertice Aristaeum. che con uno altissimo giogo spinge nel Ponto, Nunc in ora Mesembria, Anchialum, ubi Messa ebbe nella sua cima una città chiamata Aristea. fuerat. Astice regio habuit oppidum Anlhium : Ora alla riviera Mesembria è Anchialo, dove nunc est Apollonia. Flumina: Panisa, Rira, era stata Messa. La regione d 'Astica ebbe una Tearas,Orosines. Oppida: Thynias, Halmydessos, città, che fu Anzio : ora v' è Apollonia. I fiumi : Develton cum slagno, quod nunc Deultum voca Pauissa, Rira, Te*ro, Orosine. Le citlà, Tinia, tur. Veteranorum Phinopolis, juxla quam Bos Almidesso, Develtone con uno stagno, eh' ora si porus. Ab Istri ostio ad os Ponti pass. d l v mill. chiama Deulto. Finopoli de' Veterani, presso la alii fecere. Agrippa adjecit l x . Inde ad .raurum quale è il Bosforo. Dalla foce dell' Istro alla bocca supra dictum centum quinquaginta : ab eo Cher- del Ponto alcuni fanno cinquecento cinquautaronesus cxxv mill. cinque passi, alcuni altri un miglio. Agrippa ve u'aggiunse sessanta. E di là al sopraddetto muro cento cinquanta : e da quello il Cherroneso cento venticinque miglia. Dopo il Bosforo è il golfo Caslene. Il porto Sed a Bosporo, sinus Caslhenes.· Portus Se nam : et alter, qui Mulierum cognominatur. de' Vecchi, e l'altro, che si chiama delle Donne, Promontorium Chrysoceras, in quo oppidom il promontorio Crisocera, dov' c la città di Bifiyzanlium liberae conditionis, antea Lygos di zanzio, città franca, delta prima Ligo. Egli é ctam. Abest a Dyrrachio septingentis undecim lontano da Durazzo settecento undici miglia. E millibus past. Tantum palet longitudo terrarum tanta è la longitudine della terra fra il mare inter Adriaticum mare et Propontidem. Amnes : Adriatico e la Propontide. 1 fiumi : Batinia, PiBathynias, Pydaras, tive Atyras. Oppida, Selym- dara, ovvero Atira. Le citlà, Selitnbria, e Perinlo bffia, Perinthus latitudine cc pedum continenti aggiunta a terraferma con una latitudine di ■daexa. Intus Bixya, arx regum Thraciae, a dugento passi. Fra terra è Bizia rocca dei re di le r c i nefasto crimine invisa hirundinibus. Regio Tracia, odiata dalle rondini per lo scellerato delitto di Tereo. La region Cenica, la colonia Caenica, colonia Flaviopolis, ubi antea Zela op Flaviopoli, dove prima si chiamava Zela città. E pidum vocabatur. Et a Byzia quinquaginta millia passuum Apros colonia, quae a Philippis abest lontana da Bizia cinquanta miglia Apro colonia, cenlnm octoginta octo mill. pass. At in ora amuis la quale è discosta da Filippo cento ottantaotlo
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C. PLINII SECUNDI
Erginus : oppidom fuit Ganos : deserilur et Lysimachia jam in Cherroneso. Alius namque ibi Isthmos angustia simili est, eodem nomine, et pari latitudine : illustrant duae urbes ntrinque li tora, quae haud dissimili modo tenuere, Pactye a Propontide, Cardia a Melane sinu, haec ex facie loci uomioe accepto : utraeque comprehen sae postea Lysimachia quinque mill. pass. a Longis muris. Cherronesos a Propontide habuit Tirislaain, Crilholem : Cissam flumini Aego ad· positam, nuoc habet a colonia Apro x x i i mill. passuum Resislon ex adverso coloniae Parianae. Et Hellespontus, septem (ut diximus) stadiis Europam ab Asia dividens, qualuor inter se contrarias urbes habet, io Europa Callipolin et Seston, et in Asia Lampsacum et Abydon. Dein promontorium Cherrouesi Mastusia adversum Sigeo, cujus in fronte obliqua Cynossema ; ita appellatur Hecubae tumulus, statio Achaeorum. Turris et delubrum Protesilai. Et in extrema Cherronesi fronte, quae vocatur Aeolium, oppi dum Elaeus. Dein petenti Melanem sinum, pbrtus Coelos, et Panhormns, et supra dicta Cardia.
Tertius Europae sinus ad hunc modum clau ditur. Montes extra praedictos Thraciae Edonus, Gigemoros, Meritus, Melamphyllos. Flumina in Hebrum cadentia, Bargus, Suemus. Macedoniae, Thraciae, Hellesponti longitudo est supra dicta. Quidam septingentorum viginti millium faciunt. Latitudo c c l x x x i v millium est. Aegaeo mari r.oraen dedit scopulus inter Tenum et Chium verius, quam insula, Aex no mine a specie caprae, quae ita Graecis appella tur, repente e medio mari exsiliens. Cernunt eum a dextra parte Andrura navigantes ab Achaja, dirum ac pestiferum. Aegaei pars Myrtoo datur : appellatur ab insula parva, quae cer nitur Macedoniam a Geraesto petentibus, haud procul Euboeae Carysto. Romani omnia haec maria duobus nominibus appellant: Macedoni cam, quacumque Macedoniam aut Thraciam adtingit: Graeciense, qua Graeciam adinit. Nam Graeci et Jonium dividunt in Sicntam, ac Creti cum, ah insulis. Item Icarium, quod est inter Samum et Myconum. Cetera nomina sinus de dare, quos diximus. Et maria quidem genlesque in tertio Europae sin· ad hanc modam se habent.
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miglia. Alla riviera è il fiome Ergino, e già vi fti anco là citlà di Gaq? ; abbandonasi anco oggi mai Lisimachia nel Cherroneao. Perciocché quivi è un altro Istmo e di simile strettura, del mede simo nome, e di pari latitudine. Due città illu strano di qua e di là i liti,coi tennero già per simi! modo, Paltie dalla Propontide, e Cardia dal golfo di Melana, la quale ha preso il nome dalla forma del luogo : e l’una e l’altra fa poi compresa nel nome di Lisimachia, cinque miglia lontana dai Lunghi muri. 11 Cherroneso ebbe dalla Propon tide Tiristasi, Cri tot e , Cissa posta sul fiume Ego : ora ha Resisto, lontaoa dalla colonia Apro trentadue miglia, dirimpetto alla colonia Pariana. L’ Ellesponto, il qoale, siccome io dissi, parte 1*Europa dall' Asia con selle «Itavi di miglio, ha quivi quattro città contraria fra loro. In Europa Gallipoli e Sesto: in Asia Lampeaco e Abido. Dipoi v* è Mastusi* promontorio del Cbarroneso dirimpetto a SigeO, nella cui torta fronte è Ciao·· sema ; cosi si chiama la sepoltura d* Ecoha, stanza degli Achei. La torre e il tempio di Protesilao. Nell'estrema fronte del Cherroneso, che si chia ma Eolio, ò la città d’ Eleo. Andando poi verso il golfo di Melane »’ è porto Celo, e Panormo, e la sopraddetta Cardia. Il terzo golfo d 'Europa si chiude in questo modo. 1 monti oltre i già detti della Tracia tatto Edono, Gigemoro, Merito, Melanfillooe. 1 fiumi, che mettono nell’ Ebro, Bargo e Sverno. La sopraddetta è la longitudine della Macedo nia della Tracia, e dell* Ellesponto. Alcuni la fanno di settecento venti miglia. La latitudine è dugento ottantaqualtro miglia. Il mare Egeo prese il nome da uno scoglio piuttosto che isola, il quale è fra Teno e Chio, chiamato Ex, dalla figura di capra, che cosi la dicono i Greci, la quale subito salta in messo il mare. Coloro che navicano in Andro, trovanlo a man ri Ila di verso Γ Achaia, crudele e pestifero. Parte del mare Egeo si dà al mar Mirloo ; che così si chiama una isoletta, la quale si vede da quegli, che da Geresto vanno in Maoedooia presso a Carisio d’ Eubea. 1 Romani chiamano tatti questi mari c to due nomi : Macedonico latto qaello che tocca la Macedonia, o la Tracia, e Greco, dove egit bagna la Grecia. Perciocché i Greci dividono anch’ essi Γ Ionio in Sieolo e C re tico dall’ isole. E così icario, quel eh’ è tra Santo e Micoao. Tatti gli altri nomi gli danno i golfi, i quali abbiamo delti : e in questo modo, ataona i mari e i popoli nel temo seno d’ Europa.
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I k D U K D N ASTB l i ) TERRAS.
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D b L L * 1SOLB DI FACCIA A QCBLLB TBRRB.
XIX. ia. Insulae autem ex adverso Thespro XIX. ia. L 'isole, che sono alPinconlro dì Tetiae, Corcyra a Bulhrolo duodecim millia pas sprozia, sono: Corciralontana daButrintododici suum : eadem ab Acrocerauniis quinquaginta miglia, da' monti Acrocerauni cinquanta, con la mill. cam urbe ejusdem nominisCorcyra, liberae ■città del medesimo nome Corcira, cittì libera ; e civitatis, el oppido Cassiope, temploque Cassii Cassiope, e il tempio di Giove Cassio, la quale Jovis, passuum nonaginta septem millia in longi isola è lunga novantasette miglia,detta da Omero tudinem patens: Homero dicta Scheria et Phaea Scheria e Feacia, e da Callimaco ancora Dre cia, Callimacho etiam Drepane. Circa eam aliquol, pane. D’ intorno a essa sono alcune isole,ma volta sed ad Italiam vergens Thoronos: ad Leucadiam verso Italia è Torono,verso Leucadia le due Paxe, Paxae duae quinque m discretae a Corcyra. Nec discoste cinque miglia da Corcira : e poco lonta procol ab iis ante Corcyram E ricusa, Marathe, no da esse dinanzi a Corcira sono Ericusa, Ma Elaphusa, Mallhace, Trachie, Pylhionia, Plychia, rate, Elafnsa, Mallace, Trachie, Pitionia, Plichia, Tarachie. Et a Phaiaero Corcyrae promontorio Tarachie. E da Falacro, promontorio di Corcira, scopulus, in qoem rootaiam Ulyssis navem a è uno scoglio, nel quale, secondo le favole, per simili specie fabula est Ante Leucimnam, Sybota. chè n’ ha forma, dicono cjie fu mutata la nave Inter Leucadiam aolem et Achajam permultae, d 'Ulisse. Dinanzi a Lencinna è Sibota. Fra Leu quarum Teleboides eaedemque Taphiae, ab in- cadia e l’ Acaia ve ne sono molte, fra le quali colis ante Leucadiam appellantor, Taphias, Osono le Teleboide, dette ancora Tafie da quegli xiae, Prinoéssa; et ante Aetoliam Echinades, che abitano avanti a Leucadia, Tafia, Ossia, Pri Aegialia, Co tonis, Thyatira, Geoaris, Dionysia, noessa ; e innanzi all* Etolia, l ' Echiuade, EgiaCyrnus, Chalcis, Pi naca, Mysios. lia, Cotoni, Tialira, Geoari, Dionisia, Ci i no, Calcide, Pinaca e Misto. Ante eas in alto Cephalenia, Zacynthus, Dinanzi a esse in alto mare è Cefalonia, Zautraque libera : Ithaca, Dulichiam, Same, Crocinto, amendue libere, Itaca, Dulichio, Same, cylea. A Paio Cephalenia, quondam Melaena Crocilea. Da Paxo Cefalonia, gii detta Melena, è dicta, nodecim millibus pass. abest, circuitu patet discosto undici miglia, e gira novantatrè mi xciii. Same diruta a Romanis, adhuc tamen op glia. Seme fu minata da’ Romani; ma nondi pida tria habet. Inter hanc et Achajam, cam meno ha ancora tre citlà. Fra questa e 1* Ach'aia, oppido magnifica et fertilitate praecipua, Zacyn con cittì magnifica, e di gran fertilitì, èZacinlo, thus, aliquando appellata Hyrie, Cephaleniae a chiamata alcuna volta Irie, lontana dalla parte meridiana parte xxv millia abest. Mons Elatus ibi meridiana di Cefalonia venticinque miglia. Quivi nobilis. Ipsa circuitu colligit xxxv millia. Ab ea è il nobil monte Elato. Essa ha di circuito trentacinque miglia. Loutano da essa quindici miglia è Ithaca xv millia distat, in qua mons Neritus. Tota Itaca,nella quale è il monte Nerito. Gira tutta ven vero circuitu patet xxv mill. pass. Ab ea Araxam ticinque miglia. Discosto dodici miglia da questa Peloponnesi promontorium xn mill. pass. Ante è Araxo promontorio del Peloponneso. Dinanzi hanc in alto Asteris, Prote : ante Zacynthum x x x t mill. pass. in Eurum ventum Strophades a essa in alto mare è Asteri e Prote: diuanzi a Zacinto trentacinque miglia, verso il vento Euro, duae, ab aliis Plotae dictae. Ante Cephaleniam Letoia. Ante Pylum tres Sphagiae : et totidem sono le due Strofade, da altri dette Piote. Dinan ante Messenen Oenussae. zi a Cefalonia è Letoia. Dinanzi a Pilo le tre Sfagie, e dinanzi a Messene altrettante Enusse. In Asinaeo sinu, tres Thyrides : in Laconico, Nel golfo Asineo sono le tre Tiride : nel La Teganosa, Cothon, Cythera cum oppido, antea conico Teganusa, Cotone, Citerà con la cittì pri Porphyris appellata. Haec sita est a Maleae ma chiamata Porfiride. Questa è posta lontano promontorio v millia pass. ancipiti propter an dal Capo di Malea cinque miglia, pericoloso ai gustia· ibi navium ambitu. In Argolico, Pityusa, navili per le stretture. Nel golfo Argolico è Pi liusa, Irine, Efire : contra il paese Ermionio, Titrine, Ephyre : contra Hermioninm agrum Tipapareno, Eperopia, Coloni, Aristera : contra il renus, Aperopia, Coloni·, Aristera : contra Troe· xenium Calantia, quingentos passus distans Trezenio, Calauria, lontana mezzo miglio da Pla Plateis: Belbina, Lasia, Baucidias. Contra Epi tea : Belbiua, Lasia e Baucidia. Contra Epidauro, daurum, Cccryphalos, Pityonesos vi millibus Cecrifalo, Pilioneso sei miglia discosto da terra passaam · continente. Ab hac Aegina liberae ferma. Da questa Egina di condizion libera ha
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conditionis x n millia pass. praeternavigatio est. Eadem aulem a Piraeeo Atheniensium porta xxx mill. pass. abest, ante Oenone voci Lata. Spiraeo promontorio objacent Eleusa, Adendros, Craugiae duae, Caeciae duae, Selachusa, Cenchreis, Aspis. Sunt et in Megarico sinu Methurides qua· tuor. Aegila autem xv mill. pass. a Cythera, eademque a Cretae Phalasarna oppido xxv mill.
sedici miglia di navigazione : ed essa anopra è lontana dal Pireo, porto degli Ateniesi, dodici miglia, prima chian|ata Enone. All'incontro del promontorio Spireo sono Eieusa, Adendro, due Craugie, due Cecie , Selacusa, Ceneri, Aspi. E nel golfo di Megara le quattro Meturide. Egila è lontana quindici miglia da Citerà, e da Falasarna citti di Creta, venticinque miglia. .
C lB T A B .
Di C ebta..
Creta volta da un lato verso mezzodì, XX. Ipsa Creta allero lalere ad austrum, XX. e da un’ altro a tramontana, si distende fra le altero ad septemtrionem versa, inter ortum oc· vante e ponente, chiara per la fama di cento casumque porrigitor, centum urbium clara fama. Dtfsiades eam a Crete nympha : Hesperidis filia, citti. Dosiade volle che ella fosse così chiamata Anaximander : a rege Curetum, Philislides da Creta ninfa : dalla figliuola d'Esperide, Anasimandro: da un rede'Cureti, Filistide Mallote; e Mallotes : Crates primum Aeriam dictam : dein Crate ritiene, che prima si chiamasse Aeria, di de postea Curetin, et Macaron nonnulli tempe rie coeli appellatam existimaverant. Latitudine poi Cureti, e alcuni che Macaron dalla temperie dell' aria. Ella non è larga in alcun luogo più nusquam quinquaginta millia pass. excedens, et circa mediam sui partem maxime patens, lon che cinquanta miglia, e circa il suo mezzo è molto larga, e lunga.dugenlosettanta miglia, e gira cingitudinem implet c c l x x millium passuum, cir quecent'ottantauove, e piegasi nel mare Cretico cuitum d l x x x i x , fleclensque se in Creticum pelagus ab ea dictum, qua longissima est ad così detto da lei : dove è più lunga a levante ha il promontorio Sammonio dirimpetto a Rodi,e ver orientem Sammonium promontorium adversum so ponente, Criumetopon incontro a Cirene. Le Rhodo : ad occidentem Criumetopon Cyrenas citli sue notabili sono, Falasarne, Etea, Cisamo, versus expellit. Oppida ejus insignia, Phalasarne, Etea, Cysamum, Pergamum, Cydon, Minoum, Pergamo,Cidone,Minoo^ Apterone, Pantomalrio, Aafimalla, Riliona, Panormo, Citeo, Apollonia, Apteron, Pan tornatrium, Amphimalla, Rhilhymna, Panborraum, Cytaeum, Apollonia, Matium, Malio, Eraclea, Mileto, Ampelo, lerapitna, Lebe Heradaea, Miletos, Ampelos, Hierapytna, Lebena, na, Ierapoli ; e fra terra, Gorlina, Feslo, Gnosso, Hierapolis : et in mediterraneo, Gortyna, Phae Polirrenio, Mirina, Licasto, Ranno, Lillo, Dio, stum, Gnossus, PoJyrrhenium, Myryna,Lycastus, Aso, Piloro, Rilion, Elatos, Fara, Olopisso, Laso, Rhamnus, Lyctus, Dium, Asum, Pyloros, Rhy- Eleuterna, Terapne, Maralusa, Cilisso : edei me moria ancora di intorno a sessanta altre citlà. I tion, Elatos, Pharae, Holopyxos, Lasos, Eleuthernae, Therapne, Marathusa, Cylissos : et alio monti sono, Cadislo, Ideo, Ditlinneo e Corico. rum circiter l x oppidorum memoria exstat. Essa è lontana col suo promontorio, che si chiama Criumetopon, siccome scrive Agrippa, da Ficunte Montes: Cadistus, Idaeos, Dictymnaeus, Corycus. Ipsa abest promontorio suo, quod vocatur Criu- promontorio di Cirene, dugento venticinque mi melopon, ut prodit Agrippa, a Cyrenarum pro glia : medesimamente da Malea del Peloponneso montorio Phycunte, ccxxv milia passuum. Item a Cadislo, settantacinque miglia. Dall'isola di Cadisto a Malea Peloponnesi l x x v . A Carpatho Carpalo al promontorio Sammonio, sessanta mi glia, verso il vento Favonio. Questa isola è ia insula, promontorio Saroraonio l x mill. in Fa vonium ventum. Haec inter eam et Rhodum mezzo fra essa e Rodi. interjacet. Le altre intorno ad essa, avanti alla More·, Reliquae circa eam ante Peloponnesum duae due Corice e due Mile : e dal lato di tramontana, Coricae, totidem Mylae : et latere septemtrionali, dextra Cretam habenti contra Cydoniam Leuce, a chi ha Creta a man rilta contra Cidonia è Leoce et duae Budroae. Contra Matium, Dia. Contra e due Budroe. All' incontro di Matio, Dia. AU'iaItanum promontorium, Onisia, Leuce : contra contro del promontorio ltano è Onisia e Leuce : Hierapytnam, Chrysa, Gaudos. Eodem tractu, contra lerapitna è Crisa e Gando. Nel medesimo tratto è Ofiutsa, Butoa e Arado: e girando at Ophiussa, Butoa, Aradus : circumvectisque Criu metopon, tres Musagores appellatae. Ante Sam torno Criumetoppn, si trovano le tre isole chiama nioD ium promontorium, Phoce, Plaliae, Sirnides, te Musagore. Dinanzi al promontorio Sammonio •sono : Foce, Pialle, Sirnide, Nauloco, Armedone Naulochos, Armedon, Zephyre. e Zefire..
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At in Hellade, eliamnura in Aegaeo, Licbades, Scarphia, Caresa, Phocaria, comphiresque aliae ex adverso Atticae «ine oppidis, et ideo ignobi les. Sed contra Eleusina, clara Salamis: ante eam Psytalia : aSnnio vero Helene quinque mill. pass. distans. Dein Ceos ab ea totidem, quam nostri quidam dixere Ceam, Graeci et Hydrussam. Avulsa Euboeae, quingentis longa stadiis fnit quondam : mox quatuor fere partibus, quae ad Boeotiam vergebsnt, eodem mari devoratis, oppida habet reliqua, Iulida, Carthaeam : inter cidere Coressus, Poeeessa. Ex hac profectam delicatiorem feminis vestem, anclor est Varro.
E obobab.
Ma in Eliade, ed ancora neU'Egeo sono, Licade, Scarfia, Caresa, Focaria, e molte altre all*incontro dell*Attica, senza città, e perciò igoobili. Ma all* incontro d* Eleusina è la nobil Salamina : innanzi essa Psilalia : e discosto da Sunio cinque miglia è Elene. Dipoi Cea, lontana da quella altrettanto, la quale alcuni de*nostri chiamarono Cea, ed i Greci Idrussa. Spiccata dall* Eubea, fu già lunga d’ intorno a sessanta miglia : dipoi essendone stale inghiottite dal medesimo mare quasi le quattro parti che guar davano verso Beozia, quelle che vi restano son due città, lulida e Carteia. Sono perite Coresso e Peeessa. Scrive Varrone, che da questa isola eb bero le donne una sorte di veste molto dilicata. D b l l * E cbba.
XXI. Euboea* et ipsa avulsa Boeotiae, tam XXI. L*Eubea anch'essa fu spiccata dalla Beo modico interflnente Euripo, ut ponte jungatur : zia, essendovi in mezzo un così piccol canale, che a meridie promontoriis duobus, Geraesto ad At congiungesi con essa per un ponte. Ha due pro ticam vergente, ad Hellespontum Caphareo in montorii da mezzodì, Geresto, che guarda verso signis : a septemtrione, Cenaeo : nusquam latitu l*Altica,e Cafareo verso l*Ellesponto : da tramon dinem ultra i l millia passuum extendit, nusquam tana Ceneo ; e non ì in alcun luogo pià larga di intra duo millia contrahit : sed in longitudinem quaranta miglia, nè manco di due. La lunghezza universae Boeotiae, ab Attica Thessaliam usque, di tutta la Beozia, distesa dall*Attica fino in Tes praetenta in c l mill. pass., circuitu vero trecenta saglia, è centocinquanta miglia, ma di circuito sexaginta quinque. Abest ab Hellesponto parte trecento sessantacinque. È lontana dall* Elle sponto dalla parte di Cafareo dugento venticin· Capharei, ccxxv mill. passuum, nrbibus clara que miglia, illustre già per queste città, Pirra, quondam, Pyrrha, Porthmo, Neso, Cerintho, Portino, Neso, Cerinto, Orio, Dio, Edepso, Oreo, Dio, Aedepso, Ocha, Oechalia, nunc Chal cide, cujus ex adverso in continenti Aulis est ; Oca, Ecalia, ora Calcide, all'incontro della quale Geraesto, Eretria, Carysto, Oritano, Artemisio, in terraferma è Aulide; Geresto, Eretria, Cari fonte Arethusa, flumine Lelanto, aquisque cali ato, Oritano, Artemisio, il fonte Aretusa, il fiume dis, quae Ellopiae vocaotur, nobilis: notior Lelanto, e nobile ancora per li bagni di Etiopia, tamen marmore Carystio. Antea vocitata est ma molto più illustre per il marmo Caristio. Già Chalcodotis, aut Macris, ut Dionysius et Epho fu chiamata Calcodote, ovvero Macri, siccome rus tradunt: ut Aristides, Macra : ut Callidemus, scrivono Dionisio ed Eforo: secondo Aristide Chalcis, aere ibi primum reperto: ut Menaechmus, chiamasi Magra, e secondo Callidemo Calcide, essendo trovato quivi la prima volta il rame : Abantias : ut poetae vulgo, Asopis. come vuol Menecmo, è detta Abanzia, e volgar mente, secondo i poeti, Asopi. CYCLADUM.
XXII. Extra eam in Myrtoo multae, sed ma xime illustres Glauconoesos et Aegilia. Et a promontorio Geraesto, circa Delum in orbem sitae ( unde et nomen traxere) Cyclades. Prima earum Andrus cum oppido, abest a Geraesto x mill. pass., a Ceo xxxix mill. Ipsam Myrsilus Cauron, deinde Antandron cognominatam tra dit : Callimachus Lasiam,alii Nonagriam,Hydrussam, Epagrin. Patet circuitu xcvi mill. pass. Ab eadem Andro passus mille, et a Delo quindecim mill. Tenos, cum oppido in xv mill. pass. por·
D b l l b C ic l a d i.
XXII. Oltre a questa molte altre ne sono nel mar Mirtoo, ma le più illustri sono Glaoconneso ed Egilia. E dal promontorio Geresto, quelle che sono poste in cerchio intorno a Deio, ond*elle presero anco il nome, le Ciclade. La prima d*esse chiamata Andro con la città è lon tana da Geresto dieci miglia, da Ceo trentanove. Scrive Mirsilo, ch*ella si chiamò Cauro, dipoi fu detta Antandro : Callimaco vuole ch'ella si chia masse Lasia, altri Nonagria, Idrussa, Epagri. Ha di circuito novantasei miglia. È lontano da questa
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recta, qaam propter aquaram abundantiam, Aristotele* Hydrussam appellatam ait, aliqui Ophiussam. Ceterae : Myconos cum monte Dimaslo, « Delo quindecim mill. passoum. Siphnus, ante Meropi*, et Acis appellata, circuitu viginti octo mill. pass. Seriphus xt. Prepesinthus, Cylhnos. Ipsaque longe clarissima, et Cydadum media, ac templo Apollinis et mercatu celebrata, Delo* : qnae diu fla c U ia la , ut proditur, sola mo tum terrae nou sensit ad M. Varronis aetatem. Mucianus prodidit bis concussam. Hanc Aristo teles ita appellatam prodidit, quoniam repente apparoerit enata. Aegioslhenes Cynthiam, alii Ortygiam, Asteriam, Lagiaro, Chlamydiam, Pyrpilem igne ibi primum reperto.Cingitur quinque mill. passuum : adsurgit Cynthio monte. Proxima ei Rhene,quam Anticlides Celadussam vocal: item Artemin Hellanicus. Syros, qnam circuitu patere viginli millia pass. prodidere veteres, Mucianus oentum sexaginta. Oliaros, Paros cura oppido, ab Delo xxxrni mill. marmore nobilis, quam primo Platean, postea Minoida vocaruót. Ab ea septem mill. quingentis Naxus ; a Delo xvm cum oppido, quam Strongylen,dein Dian, mox Dionysiada a vinearum fertilitate, alii Siciliam mino rem, aat CalHpolin appellarunt. Patet circuitu septuaginta quinque mill. pass., dimidioque ma jor est qoam Paros.
S po ra d u m .
XXJll. Et hactenus quidem Cycladas servant : teleras, quae sequuntur, Sporadas. Suat .autem Helene, Phacussa, Nicasia, Schinussa, Pholegandros: et a Naxo xxxvm mill. passuum, Icàros; quae nomen mari dedit, tantumdem ipsa in longitudinem patens, cum oppidis duobus, tertio amisso: ante vocata Doliche, et Macris, et lchlhyoessa. Sita est ab exortu solstitiali Deli, lii mill. pass. Eadem a Samo triginta quinque mill. Inter Euboeam et Andrum decem mill. freto, ab ea Geraestum centum duodecim nuli, quingenti pass. Nec deinde servari potest ordo. Acervatim ergo ponentur reliquae. Scyros : los a Naxo viginti quatuor mill. pass. Homeri sepulcro veneranda, longitudinis viginti quinque mill. ante Phoenice appellata. Odia, Letandros, Gyaro* cum oppido, circuitu duode cim mill. passuum^ Abest ab Andro sexaginta duobus mill. pass. Ab ea Syrnos octoginta mill. pass. Cynaethus : Teios unguento nobilis, a Cai* limacbo Agathussa appellata. Donusa, Patmo*
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Andro un miglio, e 4 « Delo quindici è Teno con la d iti, la quale è per longitudine quindici miglia, la quale per l ' abbondanza deir acqua dice Aristotile, ehe fu chiamata ld russa, ed al cuni Ofiussa. Le altre sono : M icooo, col monte Dimas to, da Deio qnindid miglia. Sifno, prima detta Meropia ed Ad, di circuito vent'otto mi glia. Serifb di quindici, Prepesinlo, Ci ino. La piò illustre di tutti, che 4 nel mezzo delle altre Cidadi, celebrata per lo tempio d 'Apolline, e.per lo mercato, è Deio, la quale aveudo lungo tempo ondeggialo, come si dice, sola non sentì mai terremoto fino all'età di M. Varrone. Mudano scrive, ch'ella tremò due volte. Dice Aristotele, ch'ella fu chiamata così, perchè in un tratto ap parve nata. Eglostene la nomò Cinzia, alcuni-altri Ortigia, Asteria, Lagia, Clamidia, Pirpile, es sendoti trovato qoivi la prima volta il fuoco. Ha cinque miglia di circuito^ ed ha il monte Cinto. Vicina ad essa è Rene, la quale Antidide chiama Celadussa, ed Ellenico Artemi. Siro, la quale secondo gli antichi ha venti miglia di d r enilo, secondo Muziaoo centosessanta. Olearo, Paro con la citti lontana da Delo trent'ollo miglia, nobile per la cava del marmo, la quale prima fu detta Platea, dipoi Minoida. Lontano da quella sette miglia e mezzo è Naxo, da Deio dieiotto, con la dttà, che alcuni chiamarono Strongile, poi Dia, finalmente Dionìsiada dalla fertili là del le vigne, altri Sidlia minore, ovver Callipoli. Ha di circuito seltanlacinque miglia, ed è la metà maggior di Paro. D ell · S p o b a d i.
XXIII. E queste sono le Cidadi : l'altre, che seguono, son le Sporadi. E sono : Elene, Facussa, Nicasia, Schinussa, Folegandro, e trentotto mi glia discosto da Naxo, Icaro, la qual diede il nome al mare, essendo anch'essa tanto di longi tudine, con due città, essendosi perduta la terza: prima si chiamava Dolica, e Macri, ed Iclioessa. È situala da levante solstiziale cinquanladue mi glia lontano da Deio, e da Samo trentacinque. Fra Eubea ed Andro v 'è dieci miglia di stretto. Lontana da essa è Geresto cento dodici miglia. Nè dipoi si può servare ordine. L'altre dunque si porranno alla rinfusa. Sciro: Io da Naxo ventiquattro migli·, vene rabile per la sepoltura d’ Omero, lunga venti cinque miglia, prima chiamata Fenice. Odia, Lelandro, Giaro con la città, di circuito dodid miglia. È lontana da Andro sessanladue miglia. Da essa è lungi Sirno ottanta miglia. Cineto: Tdo nobile per l'unguento, chiamata da Callimaco Agalusaa. Donusa, Palmos, di circuito trenta
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circuitu triginta mill. pass. Corasiae, Lebinlhus, Leros, Cinara : Sicinus, quae antea Oenoe : Hieracia, quae Onus ; Casus, quae Astrabe : Cimolus, quae Echinussa : Melos cum oppido, quam Ari stides Byblida appellat, Aristotoles Zephyriam, Callimachos Mimallida, Heraclides Siphnuro, el Acytou. Haec insularum rotundissima esi. Post Machia : Hypere, quondam Patage, ut alii Platage, none Amorgos : Polyaegos, Phyle, Thera, quum primum emersit, Calliste dicla. Ex ea avulsa po stea Th orasia : atque inter duas enata mox Auto mate, eadem Hiera : et in nostro aevo Thia juxta eamdem Hieram nata. Distat los a Thera viginti quinque mill. pass. Sequantur Lea, Ascania, Anaphe, Hippuris. Astypalaea liberae civitatis, circuitu lxxxix mill. passuum : abest a Cadisto Cretae cxxv mill. Ab ea Platea sexaginta mill. Unde Camina triginta octo mill. Azibinlha, Lanise, Tragi·, Pharmacu sa, Techedia, Chalcia : Calydna, in qua oppidum Coos : Calymna, a qua Carpathum, quae nomen Carpathio mari dedit, xxv mill. passuum. Inde Rhodum Africo vento quinquaginta ai pass. A Carpatho Cason vii m . A Caso Sammonium Cre tae promontorium xxx mill. In Euripo autem Euboico, primo fere introitu, Petatiae quatuor insulae, et in exitu Atalante. Cyclades, et Spo rades, ab oriente litoribus Icariis Asiae, ab occi dente Myrtois Atticae, a septemtrione Aegaeo mari, a meridie Cretico et Carpathio inclusae, per d c c ■in longitudinem, et per cc in latitudi nem jacent Pagasicus sinus ante se habet Elitychiam, Cicynethum, et Scyrum supradictam, sed Cycla dum et Sporadum extima : Gerontiam, Scandilam : Thermaeus, Irrhesiam, Solimniam Eudemiam, Neam, quae Minervae sacra est Athos ante se quatuor : Peparethum cnm oppido, quondam Evoenum dictam, novem mill. pass. Sciathum xv mill. Imbrum cum oppido lxxxviii mill. pass. Ea dem abest a Mastusia Cherronesi, xxv mill. pass. Ipsa circuì Iu lxxii mill. pass. perfunditur amne Uisso. Ab ea Lemnos viginti duo mill. quae ab Atho lxxxvii mill. pass. Circuitu patet cxn ■d pass. Oppida habet, Hephaestiam, el Myrinam, in cujus forum solstitio Athos ejaculatur umbram. A b ea Thassos libera quinque mill. pass., olim Aeria, vel Aethria dicta. Inde Abdera continen tis, xx» mill. passuum. Athos sexaginta duo mill. o. Tanlumdem ad insulam Samothraccn, quae libera, ante Hebrum, ab Imbro xu mill., a Lem no viginti duo m d , a Thraciae ora Iriginta octo mill., circuitu Iriginta du· mill. adtollitur mon te Saoce decem mill. passuum altitudinis, vel importuosissima omnium. Callimachus eam anti-
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miglia. Corasia, Lebinlo, Lero, Cinara, Sicino, che prima si chiamava Euoe, Erasia, chVra detta Onus ; Casus, che fu delta Astrabe, e Cimolo delta Echinussa. Melos con h città, che Aristi de chiama Biblide, Aristotile Zefiria, Callimaco Mimallida, Eraclide Sifoo ed Acilo. Questa è la più tonda isola che si truovi. Evvi poi Macchia: lpere, già delta Patage, secondo alcuni Platage, ora Araorgos: Poliego, File, Tera, quando prima apparve, delta Calliste. Da quesla si spiccò poi Torasla, e fra le due nacque Automate, che è anco della Iera, e a' tempi nostri l'ia nata appres so la medesima Iera. E lontano da Tera venti cinque miglia. Seguono Lea, Ascania, Anafe, Ippuri. Astipalea città libera, di circuito ottantanove miglia, è discosto da Cadisto di Creta centoventicinque miglia. Da essa Platea sessanta miglia. Onde Ca mina treni’ olto miglia. Azibinta, Lanise, Tragia, Farmacusa, Techedia, Calcia, Calidna, nel la quale è la città di Coo : Calinna, dalla quale è discosto Carpato, che diede nome al mar Carpazio, venticinque miglia. Quindi fino a Rodi per vento Africo cinquanta miglia. Da Carpato a Caso sette miglia. Da Caso a Sammonio pro montorio di Creta trenta miglia. Poi nel ca nale d’ Eubea quasi nella prima entrata sono le quattro isole Petalie, e nell'uscita Atlante. Sono le Cicladi e le Sporadi rinchiuse verso levante da' liti Icarii d'Asia, da ponente da'Mir tei dell'Altica, da tramontana dal mare Egeo, da mezzogiorno dal Cretico e Carpazio, per dugento miglia in lunghezza. Il golfo Pagasico ha dinanzi a sè Eutichia, Cicineto e Sciro sopraddetta, ma l'ultima delle Ci cladi e delle Sporadi: Geronzia, Scendila, Termeo, Irresia, Solimnia, Eudemia, Nea, la quale i con secrata a Minerva. Alo n'ha dinanzi a sè quattro : Pepareto con la citlà già detta Eveno, nove mi glia. Sciato quindici miglia, imbro con la città ottant'otto miglia. La medesima è lontana da Mastusia del Cherroneso venticinque miglia. Essa ha di circuito settantadue miglia : ed è bagnata dal fiume llisso. Lontano da essa ventidue miglia èLemno, dalla quale ad Ato sono ottantasette miglia. Ha di circuito centododici miglia e mezzo. Ha due ciltà, Efeslia e Mirina, nella cui piazza per lo solstizio il monte Ato fa ombra. Da essa a Tasso città libera sono cinque miglia, già detta Aeria, ovvero Etria. Dipoi Abdera di terraferma ventiduo miglia. Alo sessantadue miglia e mezzo. Altrettanto fino all'isola Samotrace libera, prima detta Ebro, da Imbro dodici miglia, da Lemno ventidue miglia e mezzo, dal lito della Tracia trentotto miglia, con circuito di trentadue mi glia : innalzasi per il monte Saoce dieci miglia,
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G. PLINII SECONDI
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qao nomine Dardaniam vocat. lnler Cherrone•nm el Samothracen, ulrinqae fere qaindecim mill. Halonesos : altea Getbone, Lamponia, Alopeconuesus, haud procul a Coelo, Cherronesi porta, et quaedam ignobile·. Deteri is qooqne reddantur in hoc sinu, quarum modo inveniri potuere nomina : Destico·, Lar nos, Cyssiros, CarbruM, Cala Ihosa, Syha, Draconon, Arconesus, Dietbuaa, Scapos, Capheris, Mesate, Aeanlion, Pateria, Calathe, Neriphus, Polendo·.
H iu u ro s T i,
M a b o t io is .
ed è al tutto sensa porto. Callimaco col nome antico la chiama Dardania. Fra il Cherroneso e Samotraee, dall'uno e l'altro lato quasi quindici miglia è discosto Aloaeio. Dipoi Gelone, Lampo nia, Alopeconneso poco lontano da Celo, porto del Cherroneso, ed alcune altre ignobili. Di quelle, che sono abbandonale in questo golfo, delle quali solamen le si son potuti trovare i nomi, ì Dcstioo, Larno, Cissiro, Carbrusa, Calata··, Siila, Draconone, Arconeso, Die tosa, Scapo, Caferi, Mesate, Eanzione, Pateria, Calate, Nerifo, Polendo. D b l l ' E llbspohto, e d il l a
Mi o t i d b .
II quarto golfo de'grandi di Europa, XXIV. Quartus e magni* Europae sinus ab XXIV. incominciando dall'Ellesponto, finisce nella foce . Hellesponto incipiens, Maeotidis ostio finitur. della Meotide. Ma io abbraccerò brevemente Sed totius Ponti forma breviter amplectenda est, nt facilius partes noscantur. Vastum mare prae la forma di tutto il Ponto, acciò le parti più facilmente sieno conosciute. Il gran mare, che jacens Asiae, et ab Europa porrecto Cherronesi litore expulsam, angusto meato irrumpit in bagna l'A sia, spinto dall'Europa per il lito terras, septem stadiorum, ut dictum est, inter del Cherroneso, che in là si distende per pieeoi vallo Eurcfpam auferens Aaiae. P ri osa* angustias corso, entra nella terra con intervallo di sette Hellespontum vocant. Hao Xerxes rex, constrato ottavi di un miglio, come s'è detto, levando in navibu* ponte, duxit exercitum. Porrigitur l ' Europa dall' Asia. Il primo stretto » chiama Ellesponto. Per di qui Serse re de' Persi avendo inde tenuis Euripus l x x x v i mill. pasa. spatio ad Priapum urbem Asiae, quam magnus Alexander fatto un ponte di navi, menò il suo esercito. Distende·! poi uno stretto canale di sessanta«ei transcendit Inde exspatiatur aequor, rursusque in arctum coit : laxitas Propontis appellatur : miglia fino a Priapo città dell'Asia, dove passò Alessandro Magno. Quindi s'allarga il mare, e angustiae, Thracius Bosporus, latitudine d pas suum, qua Darius pater Xerxis copias ponte di nuovo la larghezza d'esso si viene a restrin gere. Questa si chiama la Propontide. Lo stretto transvexit. Tota ab Hellesponto longitudo ccxxxix è detto Bosforo Tracio largo mezzo miglio, dove m pass. Dein vastum mare, Pontus Euxinus, qui Dario padre di Serse passò l’esercito sopra il quondam Axenus, longe refugientes occupat ter ponte. Tutta la lunghezza dell' Ellesponto è du ras, magnoque litorum flexu, retro curvatas ia corona, ab hi* utrinque porrigitur, ut sit plane gento trentanove miglia. V' è poi il gran mare, arcus scytbici forma. Medio flexa jungitur ostio il Ponto Easino, che già fu detto Asseno, il quale Moeotici laeus.Cimmeriu* Bosporus id os vocatur, occupa la terra, che rifugge, e con gran ripie-1 ii mill. n pass. latitudine. At inter duos Bosporos gatura de' liti, ripiegato addietro in corni, da qoesti di qua e di là si distende, di maniera Thracium et Cimmeriam directo cursu, ut auctor che somiglia un arco scitico. Nel mezzo detta sua est Polybius, n u pass. intersunt. piegatura si congionge con la foce del lago Meo lico. Chiamasi quella bocca il Bosforo Cimmerio, largo due miglia e mezzo. Ma fra questi due Bosfori il Tracio e Cimmerio, per diritto corso, come scrive Polibio, d sona cinquecento miglia. Circuitu vero totius Ponti vicies semel cen Ed il circoito di tntto il Ponto due mila cento tena quinquaginta m, ut auctor est Varro, el fere cinquanta miglia, secondo Varrone, e quasi tutti veteres. Nepos Cornelius trecenta quinquaginta gli antichi, Cornelio Nipote v'aggiugn· trecenlo millia adjicit. Artemidorus vicies novie* centena cinquanta miglia. Artemidoro lo fa due mila no xix a facit : Agrippa xxm siexaginta mill. Mucia vecento diciannove. Agrippa dae mila trecentonus xxiv xxv mill. Simili modo de Europae latere, sessanta miglia. Muziano due mila quattrocentomensuram alii qualuordecies centena l x x v i i i μ o venticinque miglia. Per simil modo, dal lato determinavere: alii undecies centena sepluagiuta dell'Europa, allri Canno la misura mille qnaltroduo millia. M. Varro ad hunc modum metitur. centose ttanl'otto miglia, altri mille cenlosettnoAb ostio Ponti Apolloniam c l x x x v i i u o pass. tadue. M. Varrone misura per questo Modo. Calatin tantumdem. Ad ostium Istri cxxv. Ad Dalla foce del Ponto in Apollonia cent'ottanU-
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Borysthenem exi. Cherronesum Heraeleotarum oppidom c c c l x x v m pass. Ad Panlicapaeurn, quod aliqui Bosporum vocant, extremam in Europae o r a , ccxu m o , quae l a m m i efficit χ π ι x x x v i i m d . Agrippa a Byuotio ad flamen Istrum, d l x . Inde Panticapaeam ocxxxv. Lacus ipse Maeotis, Ta nain amnem ex Riphaeis montibos defluentem accipiens, novissimam inter Earopam Asiamque finem, χιν τι a circuitu patere traditur. Ab aliis xi xxv m. Ab ostio ejus ab Tanais ostium dire cto cursu c c c l x x x v ■pass. esse lstropolim usque constat. Accolae sinus, in meotione Thraciae dicti sunt. Inde ostia Istri.
Ortas hic in Germaniae jugis montis Abno bae, ex adverso Raurici Galliae oppidi, multis ultra Alpes millibus, ac per innumeras lapsas gentes Danubii nomine, immenso aquaram au cta, et ande primam Illyricam adlait, Ister ap pellatus, sexaginta amnibus receptis, medio ferme numero eorum navigabili, in Pontum va stis sex flaminibus evolvitar. Primum ostium Peuces : mox ipsa Peuce insala, a qua proximas alveus appellatas, xix millia pass. magna palade sorbetor. Ex eodem alveo et saper lstropolim lacus gignitur l x i i i m pass. ambita : Halmyrin vocant. Secuadum ostium Naracastoma appella tur. Tertiam Calonstoma, juxta insulam Sarma ticam. Qaarlum PseaJostomoo, et in insula Gooopoo diabasis : postea Boreostoma et Spireostoma. Singula aatem ora tanta sunt, ut prodatur io quadraginta millia passuum, longitudinis viod mare, dulcemque intelligi haastum.
D a c u b , S a r m a t ia e .
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sette miglia e mezzo. A Calasi altrettanto. Alla foce dell’ Islro centoventicinque. Al Boristene centoquaranta. A Cherroneso città degli Eracleoti trecentosettantacinque miglia. A Panlicapeo, che alcuni chiamano Bosforo, ultimo nella riviera d 'Europa, dugentododici miglia e mezzo, la qaal somma fa mille trecentotrentasetle miglia e mezzo. Agrippa da Bisanzio al fiume Istrp cinquecentosessanta, lodi a Panlicapeo seicentotrenlaànque. Quindi il lago Meolico, il qual riceve il fiume Tanai, che viene de' monti Rifei, si dice che mette l'ultimo fine tra l ' Europa e l'Asia, quattordici e sei miglia. Secondo altri è ondici e venticinque miglia. Dalla foce di quello alla foce della Taua per diritlo corso sono treceniosetlantacinque mi* glia. Gli abitatori di quel golfo sono stati ricordati facendosi menzione della Tracia sino ad Istropoli. Dipoi la foce dell' Islro. Questo fiume nasceudo ne' gioghi dell' Abnobe monte di Lamagna, dirimpetto a Raurico città della Gallia, e scorrendo di molte miglia dalle Alpi e per infinite nazioni con nome di Danubio, mollo grosso d'acqua, e donde prima bagna la Schiavonia,chiamato Islro, ricevuti in sè sessanta fiami, quasi per mezzo del numero loro è navigabile, e cosi se ne va nel mar maggiore con sei fiami grandi. La prima foce d’esso è Peace, dipoi Γ isola Peace ; dalla qaale il pros simo golfo ha preso il nome, che è inghiottito da una gran palade di diciannove miglia. Dal medesi mo lei lo, e sopra btropoli nasce un lago di circuilo sessantatrè miglia, che si chiama Almiri. La seconda bocca è delta Naracastoma. La terza Calostoma appresso Γ isola Sarmatica. La quarta Pseudostoma e Conopon isola diabasi, dipoi Bo reostoma e Spireosloma. E ciascuna di queste foci è sì grande, che si dice, come ben quaranta miglia fra mare vincono l'acqua salsa, e tengono Pacqaa dolce. D a c ia e S a i m a z i a .
Da questo fiume in là del tatto certo XXV. Ab eo in plenam qaidem omnes Scy> XXV. son popoli Sciti, ma sono diversi che abitano tharum sunt gentes : variae tamen litori adposita tepuere : alias Getae, Daci Romanis dicti : alias le parli vicine al mare. Alcnna volta son chiamati Geli, da'Romani Daci, e quando Sarmali, dai Sarmatae, Graecis Sauromatae, eoramqae Hamaxobii, aut Aorsi : alias Scythae degeneres et a Greci Sauromali : e di loro gli Amaxobii, o gli Aorsi, altrimenti Sciti tralignati, e nati da' servi •ervis orti, aut Troglodytae : mox Alani, et Rho0 Trogloditi, dipoi Alani e Roxalani. Ma le parti xalani. Bupenoca autem inter Danubium et di aopra fra il Danubio ed il monte Ercinio, per Hercynium saltum, usque ad Pannonica hiberna fino a’ Pannoni, sono abitate da Carnunti, e Carnunti, Germanoramque ibi confinium, cam pos et plana Jaiyges Sarmatae ; montes vero et quivi sono i confini di Lamagna : gli Iaxigi ed 1 Sarmati abitano le campagne e le pianure, ma saltus polsi ah his Daci ad Palhyssum amoem. A Maro, sive Duria est, a Suevis regnoque Vanta i Daei cacciati da questi abitante i monti e i bo schi, dal Maro o Daria che si chiami, parten no dirimens eos, adversa Basternae tenent, aliidoli dagli Svevi e dal regno Vaniano. La parte que inde Germani. Agrippa totum eum tractum
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ab Istro ad Oceanum bis ad decies centena mill. pass, in longitudinem, qnatnor millibus et quadriogentis in latitudinem ad flumen Vistulam a desertis Sarmatiae, prodidit. Scytharum nomen usquequaque transit in Sarmatas atqne Germa nos. Nec aliis prisca illa duravit appellatio, quam qui extremi gentium harum ignoti prope celeris mortalibus degunt.
opposila è posseduta da'Basterai e da altri popoli Germani. Scrive Agrippa, che tatto qoel tratto dal Danubio all'Oceano è lungo da doe mille miglia, e dove meno largo, quattromila e quat trocento passi, da'deserti della Sarmaiia al fiume Vistola. Il nome degli Sciti passa fino a’ Sarma ti, ed a' Germani. Nè in altri è duralo quel nome antico, che in quegli, ϊ qaali aitimi di queste genti vivono quasi incogniti agli altri uomini.
S cythub .
S a z i a.
XXVI. Dopo P Istro sono queste città: CremXXVI. Verum ab Istro oppida, Creraniscos, Aepolium : montes Macrocremnii, clarus amnis nisco, Epolio : i monti Macrocremnii, la Tira Tyra, oppido nomen imponens, ubi antea Ophiu fiume illustre, il quale mette il nome alla città, sa dicebatur. In eodem iusulam spatiosam inco dove ella si chiamava prima Oiiusa. Nel medesi lunt Tyragetae. Abest a Pseudostomo Islri ostio mo luogo abitano i Tirageti una isola molto centum triginta millibus passuum. Mox Axiacae grande, la quale è lontana da Pseudosiomo, foce cognomines flumini, ultra quos Grobyzi : flumen delP Istro, centotrenta miglia. Sono dipoi gli Rhode, sinus Sagaricus, portus Ordesus. Et a Axiaci, cognominati dal fiume, oltre i quali sono Tyra centum viginti millibus passuum flumen i Crobisi, il fiume Rode, il golfo Sagarico ed il Borysthenes, lacuique et gens eodem nomine, et porto Ordeso. E da l'ira centoventi miglia è oppidum a mari recedens xv millibus passuum : il fiume Boristene, e un lago, ed an popolo del medesimo nome, ed ana cilli discosta quindici OlbiQpolis, et Miletopolis, antiquis nominibus. Rursus in litore portus Achaeorum. Insula Achil miglia dal mare: Olbiopoli e MUetopoli oo’nomi lis, tnmuloejus viri clara. Et ab ea cxxv millibus antichi. E nella riviera ancora è il porto degli passuum peniusula, ad formam gladii in trans Achei. L ’ isola d'Achille, illastre per la sua se versum porrecta, exercitatione ejusdem cogno poltura : e da quella lontano centoventidnque minata Dromos Achilleos, cujus longitudinem miglia una penisola distesa per traverso in guisa di coltello, chiamata il Dromo d'Achille, percioc octoginta millium passuum Iradit Agrippa. To tum eum tractum 'lauri Scythae, el Siraei te ché egli vi si soleva esercitare, la quale seoondo nent. Inde silvestris regio Hylaeum mare, quo Agrippa è lunga ottanta miglia. Tatto quel con adluilur, cognominavit: Enaecadloae vocantur torno è abitalo da' Tauri, Scili e Sarmati. Dipoi incolae. Ultra Panticapes amnis, qui Noma das quella region piena di selve diede il nome al et Georgos disterminat : mox Acesinus. Quidam mare Ileo, che la bagna : Enecadloi si chiamano Panlicapen confluere infra Olbiam cum Bory gli uomini del paese. Pià là è il fiome Panlicape, sthene tradunt : diligenliores Hypanin ; tanto il qual divide i Nomadi e i Georgi; dipoi l'Aceerrore eorum, qui ilium in Asiae parte pro sino. Alcuni tengono che il Panlicape corra sotto Olbia col Boristene : i pià diligenti dicono, che didere. egli è Ipani ; con tanto errore di coloro, i qaali 1’ hanpo messo in una parte dell' Asia. 11 mare dipoi torna addietro, intanto che Mare subit vasto recessa, donec quinque millium passaum intervallo absit a Maeotide, per ispazio di cinque miglia egli è discosto dalla vasta ambiens spatia, maliasque gentes. Sinus Meotide, grandi spazii, e molti popoli abbrac Garciniles appellatur, flumen Pacyris. Oppida : ciando. Chiamasi golfo Carcinite, il fiume Pa Naubarum, Carcine : a tergo lacus Buges fossa dri. Città : Naubaro e Carcine. Dietro è il lago emissas in mare. Ipse Buges a Coreto, Maeotis Buge, che per ana fossa entra in mare. Esso lacus sina, petroso discluditur dorso. Recipit Buge da Coreto, golfo della palude Meotide, è amnes Bugem, Gerrhum, Hypanin, ex diverso separato con una costa pietrosa. Esso riceve que venienles tractu. Nam Gerrhus Basilidas, et No sti fiumi, cioè Buge, Gerro ed Ipani, i qaali made» separat. Hypaois per Nomadas et Hylaeos vengono da diversi luoghi. Perciocché il Gerro flluit mana facjto alveo in Bugen, naturali in separa i Basilidi ed i Nomadi. L* Ipani passa per Coretam. Regio Scylhia Sendica nominatur. lo paese de' Nomadi e degl' Ilei, con un canale Callo a roano nel Bage, e col naturale nel Coreto. La region di Scizia si chiama Sendica.
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Sed a Carcinite Taurica incipit, quondam mari circumfusa et ipsa, quaqua nunc jacent campi. Deinde vastis adlollitur jugis. Triginta sunt eorum populi. Ex iis mediterranei, xxiv. Sex oppida : Orgocyni, Chara ceni, Lagyrani, Tra ctari, Archilachitae, Caliordi. Jugum ipsum Scythotauri tenent. Clauduntur ab o<;cidente Cher roneso, ab orto Scythis Satarchis. In ora a Carcine oppida: Taphrae, in ipsis angustiis penin sulae : mox Heraclea Cherronesos, libertate a Romanis donatum. Megarice vocabatur antea, praecipui nitoris in loto eo tractu, custoditis Graeciae moribus, quinque millia pass. ambiente mnro. Inde Parthenium prompntorium, Tauro rum civitas, Placia. Symbolon portus. Promon torium Criumetopon, adversum Carambi Asiae promontorio, per medium Euxinum procurrens c l x x x ii pass. intervallo, quae maxime ratio scyihici arcus formam efficit. Ah eo Taurorum por tus muki et lacus. Oppidnm Theodosia a Criumetopo cxxv m pass. A Cherroneso c x l v m pass. Ultra fuere oppida: Cytae, Zephyrium, Aerae, Nympheum, Dia. Restat longe validissimum in ipso Bospori introitu, Panlicapaeurn Milesiorom, a Theodosia l x x x v i i m pass. ; a Cimmerio vero oppido trans fretum sito m o (ut diximus) pass. Haec ibi latitudo Asiam ab Europa separat, eaque ipsa pedibus plerumque pervia glaciato freto. Bospori Cimmerii latitudo xn ■d pass. Oppida habet, Hermisium, Myrmecium: inlus insulam Alopecen.Per Maeotin autem ab extremo Isthmo, qui locus Taphrae vocatur, ad os Bospori c c u m passuum longitudo colligitur.
A Taphris per continentem introrsus tenent Auchelae,apud quos Hypaois oritur ; Neuri, apud quos Borysthenes ; Geloni, Thussagetae, et cae ruleo capillo Agathyrsi. Super eos Nomades: dein Anthropophagi. A Buge super Maeotio Sauromatae, et Essedones. At per oraro Tanaim usque Maeotae, a quibus lacus nomen accepit: ultimique a tergo eornm Arimaspi. Mox Riphaei montes, et assidoo nivis casu pinnarum similitudine Pterophoros appellata regio: pars mundi damnata a rerum natura, et densa mersa caligine : neque in alio qnara rigoris opere, gelidisque Aquilonis cooceptaculis.
Pone eos montes, ultraque Aquilonem, gens felix (si credimus) quos Hyperboreos appellavere,
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Ma da Carcioite comincia la Taurica, già ba gnata anch’ella dal mare, per lutto dove sono ora campagne. Ha dipoi monti molto alti. Trenta sono i popoli loro. Fra i quali ventiquallro ne sono fra terra. Sei città : gli Orgocini, i Caraceni, i Lagirani, i Trattari, gli [Arcilachiti ed i Ca liordi. Gli Scilotauri abitano appunto sul giogo. Da ponente sono serrati dal Cherroneso, da le vante dagli Scili Satarchi. Alla riviera dopo Carcinite sono queste città : Tafre, nello stretto della peuisola, dipoi Eraclea Cherroneso fatta libera dai Romani. Chiamossi prima Megarice, il piò civil luogo che sia in quelle parti, per mantenervisi tuttavia i costumi della Grecia, con una muraglia di cinque miglia, che la circonda. Dipoi Partenio promontorio, e la citlà de’ Tau ri, Placia. Porto Simbolo. 11 promontorio Criu metopon, dirimpetto a Carambi promontorio dell* Asia, che scorre per messo lo Eusino per ispasio di cenlottanta miglia, la qual computa sen e fa la figura di un arco scitico. Dopo quello sono molti porti e laghi de*Taori. La città diTeodosia, lontana da Criumetopo cento venticinque miglia. Dal Cherroneso cenloquarantacinque. Più oltre furono già alcuoe città, Cile, Zefirio, Acre, Ninfeo e Dia. Resta vene ora una fortissima pro prio nell*entrata del Bosforo, che si chiama Panlicapeo de’ Milesii, lontano da Teodosia ottantaselte miglia; e dalla città di Cimmero posta, come dicemmo, oltre allo stretto, due miglia e mezzo. QuestH larghesza quivi separa l’ Asia dall* Europa, e le pià volte si può fare a piedi, quando lo stretto s’agghiaccia. Il Bosforo Cim merio è largo dodici miglia e mezzo. Ha due città, Ermisio e Mirmecio, e pià addentro Γ isola Alopece. E per la Meotide dall’estremo Istmo, il qual luogo si chiama Tafre, alla bocca del Bos foro , v’ è una lunghezza di dugentosessanta miglia. Dopo Tafre per lerra addentro abitano gli Aucheli, dove nasce il fiume Ipani : i Neuri, ap presso dei quali il Roristene ; i Geloni, i Tussageli e gli Agatirsi, che hanno i capagli verdi. Sopra questi sono i Nomadi, dipoi gli Antropo fago· Dopo Buge sopra la Meotide i Sauromali e gli Essedoni. Ma per la riviera insino al Tanai i Meo ti, dai quali il lago ha preso il nome ; e gli ultimi alle loro spalle sono gli Arimaspi. Dipoi i monti Rifei, e la regione, che è chiamata Ptero foro, per le continue nevi, che vi cascano, a guisa di penne : questa parte del mondo è dannata dalla natura, e sommersa in una folta caligine; nè in altra opera, che di freddo ghiaccio, e gelidi ricetti di Aquilone. Dopo questi monti, e di là da Aquilone, po poli molti felici, se pur ciò si dee credere, i quali
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annoto degit aevo, fabulosis celebrata miraculis. Ibi creduntur esse cardines mundi, exlremique siderum ambitus, semestri luce, et una die solis aversi: non, ut imperiti dixere, »b aequinoctio verno in autumnum. Semel in anno solstitio oriuntur iis soles, brnmaque semel occidunt. Re gio aprica, felici temperie, omni afflatu noxio carens. Domus iis nemora, lucique, et deorum cultus viritim gregat imqne, discordia ignota et aegritudo omnis. Mors non nisi satietate vitae, epulatis delibutoque senio luxu, ex quadam rupe in mare salientibus. Hoc genus sepulturae beatis simum. Quidam eos in prima parte Asiae litorum posuere, non in Europa, quia sunt ibi simili consuetudine et situ, Altacorum nomine. Alii medios fecere eos inter utrumque solem, antipo dum occasum exorientemqne nostrum: quod fieri nnlla modo potest, tam vasto mari interveniente. Qui non alibi quam in semestri luce constituere eoa, serere matutinis, meridie metere, occidente sole foetus arborum decerpere, noctibus in spe cas condi tradiderant. Nee libet dubitare de gente ea, quum tot auctores prodant frugum primitias solitos Delon mittere Apollini, qaem praecipue colunt. Virgines ferebant eas, hospitiis gentium per anno· aliquot venerabiles: donec ▼iolata fide, in proximis accolarum finibus depo nere sacra ea instituere, hique ad conterminos deferre, atque ita Delon usqao. Mox et hoc ipsum exsolevit. Sarmatiae, Scythiae,Tauricae, omnisque a Borysthene aia ne tractus longi tudonccccLxxx u, latitudo d c c x y ii m a M. Agrippa tradita est. Ego incertam in hac terrarum parte mensuram arbitror.
I hsulaxtjm P o n t i : ( * I h s u l a i o m O c x a x i
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sono stali chiamati Iperborei, vivono lunghissi mo tempo, e sono celebrati per miracoli favo losi. Quivi si credono essere I cardini del mondo, e gli ultimi circaiti delle stelle* con lace di sei mesi ed an giorno di sole da lor rimosso ; non, come dissero gl'ignoranti, dall'eqainozio della primavera all'antuoao. Una volta l'anno per lo solstitio della state si leva loro il sote,ed:una volta di verno tramonta. Paese solatio, con felice tem peramento, e setiz'alcun vento nocivo. Le case loro sono selve e boschi, e ciascun per sì adora gli dei ; e quivi non è discordia, nè malattia ve runa. Essi non muoiono mai, se non quando vien loro a noia la vita ; perciocché quando son ben vecchi, dopo che hanno ben mangiato, e meglio bevuto, si gettano da una ripa in mare. Questa è una felicissima sorte di sepoltura. Al cani gli hanno posti nella prima parte delle ri viere dell'Asia, non in Europa, perchè ci sono qaivi gli Aitaci, che hanno con essi somigtiansa, rispetto alle costumanze e alla postura. Altri gli hanno posti in mezzo fra Pano e l’altro sole, cioè fra il ponente degli Antipodi, ed il nostro levante, il che per alcun modo non pud essere, interponendo visi così gran mare. Coloro, chenon gli hanno messi Altrove, se non dove è sei mesi giorno, dicono che la mattina seminano, di mezzogiorno mietono; quando il sol tramonta, raccolgono i frutti degli alberi, e la notte si ri traggono nelle spelonche. Nè si pnò dubitare di questa gente, scrivendo tanti autori, ch'essi soglion mandare le primizie delle biade ad Apol line in Deio, il qnale è da loro principalmente adorato. Usavano di portare queste primizie le fanciulle vergini, le quali per alcuni anni farono molto rispettate dov'elle alloggiavano, ma dipoi mancando la fede e la bonlì nelle persone, si risolsero di mettere quelle cose sacre ai confini del paese, e di mano in mano di vicini in vicini passavano fino a Deio : hanno dipoi ancora dis messa questa usanza. La longitudine della Sarmazia, Scizia e Tanrica, e di tatto quel tratto dal fiame Boristene, è novecento ottante miglia. La latitudine è settecentodiciassette, secondo che scrisse M. Agrippa, lo tengo, che non si possa dare certa misura in questa parte del mondo. I s o l e d e l P o r t o , e d e l l ’ O c* a e o s e t t e b t u o v a l e .
S e p t e m t e i o h a l i s *. )
X XVil. Veram instituto ordine, reliqua hu jus sinus dicantur; et maria qaidem ejas nuncu pavimus. iS. Hellespontus insolas non habet in Europa dicendas. In Ponto duae, ■d pass. ab Europa, xi? « ab ostio, Cyaneae, ab diis Symplegades appellatae, tfaditaeque fabulis inter se concurris·
XXVII. Ora secondo l'ordin preso ragione remo delle altre parti di qaesto seno : de' suoi mari se n' è discorso. i 3. L 'Ellesponto non ha iaole in Europa da nominarsi. In Ponto ne son due, lontane un mi glio e mezzo dell’ Europa, e quattordici miglia dall· foce, da alcuni Cianee, e d'alcuni alivi chia-
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ce: quoniam parvo discretae intervallo, ex ad ver* ao intrantibus geminae cernebantur, paullumquc deflexa aoie^coeantiuin speciem praebebant. Citra Istrum, Apolloniatarum una, l x x x ■ a Bosporo Tbrado, ex qua M. Lacullas Capitolinum Apol linem advexit. Inter ostia Istri quae essent, diximas. Ante Borysthenem Achillea esi sapra dicta: eadem Leuce, et Macaroa appellata. Hanc tempo rum horam demonstratio a Borysthene c x l ■po n it, a Tyra cxx a, a Peace insula qainqaaginta u. Cingitor circiter decem m passaam. Reliqaae in Carcinite sina, Cephalonesos, Rhosphodosa, Ma cra. Non est omittenda multorum opinio, prius quam digrediamur a Ponto, qui maria omnia interiora illo capite nasci, non Gaditano Creto, existimavere, haud improbabili argomento : quo niam aestas semper e Ponto profluens, nomquam reciprocetor.
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mate Simplegade, le qoali secondo le favole cor sero I’ ana contra Γ altra ; perchè essendo elle divise eoo poco intervallo, a coloro che v’entra vano parevano dae, e piegando un poco la vista mostrava che si congiu gnessero.Di qua dall’Istro, degli Apolloniati n’ è una, lontana ottanta miglia dal Bosforo Tracio, della qaale M. Lucollo portò l’Apolline Capitoliao. Fra le foci dell'Istro dissi già quali elle erano. Dinansi al-Boriatene è l’Achil le· sopraddetta, la quale è chiamata Leuce e Ma» cerone. La dimostrazione di questi tempi mette questa isola lontana dal Boristene, centoquaranta miglia, dalla Tira centoventi, dalTisola di Peace cinquanta. Ha dintorno da dieci miglia di circui to. L’altre nel golfo Carcinite, sono : Cefaloneso, Rosfodusa e Macra. Non è da passar l’opinione di molti, prima che ci partiamo dal Ponto, i quali hanno tenuto, che tutti i mari mediterranei na scono da quel capo, non dallo stretto di Gade, e ciò con verisimile argomento; perciocché il flusso, ch’ esce del Ponto, non torna mai ad dietro. Ma egli è da uscir di qoesto, per ragioua» Exeoadom deinde est, at extera Europae di delle parti di foora dell’ Europa. Qoegli che cantor, traosgressisque Riphaeos montes, Ktas hanno passato i monti Rifei, debbono pigliar a Oceani septentionalis in laeva, donee pervenia tur Gades, legendam. Insulae oumplures sine m n manca il li lo del mar settentrionale, fiso oomiaiboe eo sita tradantar. Ex quibas ante che s’arriva a Gade. Sono in quel sito molte Scythiam, quae appellator Raononia, onam isole senza nome. Fra le quaK dinansi alla Sei· abesse diei corsa, in quam veris tempore flucti- sia quella, che si chiama Raunonia, è lontana bos electrum ejiciatur, Timaeot prodidit. Reliuna giornata dalla Sdsia, nella quale, secondo qoa litora incerta ugnata fama. Septemtrionalis ehe scrive Timeo, per la temperie della prima Oceanus : Amalcbiam eum Hecataeos appellat, a vera Tonde del mare vi gettano ambra. Delle Paropamiso amne, qua Scythiam adloit, quod altre riviere non s’ ha alcuna certa cognizione. nomen ejus gentis lingua significat congelatam. Il mar settentrionale, Ecateo lo chiama Amalcbio, Philemon Morinwrasam a Cimbris vocari, hoc dal fiame Paropamiso, dove egli bagna la Scisia, est, Mortaom mare, usqoe ad promontorium il qdal nome in lingaa di quella nazione significa Robeas : altra deinde Croniam. Xenophon Lam agghiaeeiato. Filemone vuole che da’ Cimbri si psacenus, a litore Scytharnra tridui navigatione, chiami Morimarusa, cioè, mar Morto, fino al insulam esse immensae magnitudinis, Baltiam promontorio di Robe, e dall’ in là poi Cronio. tradit. Eandem Pylbeas BasUiam nominat. Fe Senofonte da Lampsaco scrive, che dalle riviere rantur et Oonae in quibus ovis aviam et arenii della Scizia tre giornate di viaggio, è una gran incolae vivaot. Aliae, in qaibos eqainis pedibas dissima isola, che si chiama 'Baltia. E questa homines nascantur, Hippopodes appellati : Fanemedesima Pitea la chiama Basilià. Dicesi ancora sioram aliae, in qnibos noda alioquin corpora esservi le isole Oonc, dove gli abitatori vivono praegrandes ipsorum aeres tota contegant. d’uova d’uccelli e di forestieri, ch’essi mangia no. Altre isole vi sono, dove gli uomini ci na scono co’ piedi di cavallo, e perciò son chiamati Ippopodi : altre sono de’ Fannesi, nelle quali gli uomini vanno ignudi, ed hanno così grandi le orecchie, che con essi si vengon tutti a coprire. Incipit deinde clarior aperiri fama ab gente Dipoi comincia paese che se n’ ha maggior Ingaevonum, qnae est prima. Inde Germania. cognizione, ^incominciando da’ popoli Ingavoni, Sevo mons ibi immensus, nec Riphaeis jugis i quali quivi sono i primi di Lamagna. Quivi è minor, iasmanem ad Cimbrorum usqoe promonil gran monte Sevo, non punto minore de’gioghi torian dficit sinum, qui Codanus vocatur, refer Rifei, il quale fino al promontorio de’ Cimbri fa tos insalis : qaarum daristima Scandinavia est, un gran golfo, che si diiama Codano, pieno
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incomperta: magnitudinis, portionem tantam ejus, qaod sit notum, Hillevionam gente quin gentis incoiente pagis, quae alterum orbem ter rarum eam appellat. Nec est minor opinione Eningia. Qaidam haec habitariad Vistulam usque fluvium, a Sarmatis, Venedis, Sciris, Hirris tra dant. Sinum Cylipenum vocari: et in ostio ejus iosulam Latrin. Mox alteram sinum Lagnam, con terminam Cimbris. Promontorium Cimbroram excurrens in maria longe peninsulam efficit, quae Cartris appellatur. Tres et viginti inde insulae Romanorum armis cognitae. Earum nobilissi mae, Burchana, Fabaria a nostris dicta, a frugis similitudine spoute provenientis, liem Glessaria, a succino militiae appellata, barbaris Aastrania, praeterque Actania.
d’ isole, fra le quali la più famosa è Scandinavia, d'incognita grandezza. La porzione solamente di quel tanto, eh1è nolo, è abitata da' popoli Ulevioni, i quali hanno cinquecento villaggi, ed è chiamata un altro mondo. Nè è minore d’opi nione Eningia. Dicono alcuni, che questa fino al fiume Vistola è abitata di’ Sarmati, Venedi, Sciri e Irri ; ch’ella si chiama golfo Cilipeno, e che nella bocca d'esso è Γ isola Latri. Dipoi è nn altro golfo detto Lagno, confine co1 Cimbri. 11 promontorio de1Cimbri, il quale si distende molto in mare, fa uaa penisola,la quale si chiama Cartri. Di là poi ci sono ventitré isole conosciute alParmi de’ Romani. Le più nobili d'esse sono Barcana, detta da’nostri Fabaria, dalla similitu dine di tal legame, il quale nasce da sè in quel luogo. E Glessaria, chiamata cosi dall'ambra, da1Barbari Anstrania, e di là è Allania.
G b im a iia b .
G b k m a r ia .
XXVIII. Toto autem hoc mari ad Scaldim XXVIII. E per tallo qaeslo mare, fino al usque flaviam, Germanicae accolunt gentes haud fiome Scalde abitano popoli di Germania con explicabili mensara, tam immodica prodentium incerta misora ; tanto è grande la discordia di discordia est, Graeci el quidam nostri xxv m pas coloro, che ne parlano. 1 Greci, ed alcuni nostri suum oram Germaniae tradiderunt. Agrippa cum dicono, che la riviera della Germania è venticin Raetia et Norico longitudinem d c x c v i millia pas que miglia. Agrippa scrisse, che insieme con suum, latitudinem c x l v u i millium. la Rezia ed il Norico ella è lunga seicentonovantasei miglia, e larga centoquarant’olto. 14. Raetiae prope unius majore latitudine, 14. La Rezia quasi sola è di maggior latitu sane circa excessum ejus subactae. Nam Germa dine, certo circa lo eccesso di quella, eh' è sog nia mnltis postea aonis, nec tota, percognita est. giogata. Perchè molli anni dopo non s’ è anco Si conjectare permittitur, haad multum orae avola cognizione di tulta la Germania. Ma se si deerit Graecorum opinione, et longitudini ab può far congettara, non sarà mollo lontana la Agrippa proditae. Germanorum genera quinque: riviera all'opinion de'Greci, ed alla lunghezza Vindeli, quorum pars Burgundiones, Varini, Ca posta da Agrippa. Di cinque sorti sono i Ger rini, Guttones. Alteram genus, Ingaevones, quo mani: i Vindeli, parte de'quaii sono i Borgogno rum pars Cimbri, Teutoni, ac Chaucorum gentes. ni, i Varini, i Carini, i Gattoni. La quinta specie Proximi autem Rheno, Istaevooes, quorum pars sono gl* lngevoni, parte de1 quali sono i Cimbri, Cimbri. Mediterranei, Hermiones, quorum Suevi, i Tentoni ed i Cauchi. Vicini al Reno sono gli Hermunduri, Catti, Cherusci. Quinta pars Peu- Istevoni, parte de' qaali sono i Cimbri. Mediter cini, Basternae, supra dictis contermini Dacis. ranei sono gli Ermioni, fra i qaali gli Svevi, gli Amnes clari in Oceanum deflaunt,Gattaiux,Vietil· Ermonduri, i Catti, i Cherusci. La quinta parte, los sive Vistula, Albis, Visurgis, Amisias, Rhenas, sono i Peucini ed i Basterai, confini a' soprad Mosa. Introrsas vero, nullo inferius nobilitate, detti Daci. I fiumi suoi illustri, che mettono in Hercyniam jugum praetenditur. mare, sono : il Gultaio, il Vistillo, ovver Vistola, l ' Albi, il Visurge, l ' Amisio, il Reno e la Mosa. Addentro poi è il giogo Ercinio, il qaal di no biltà non cede a veruno. I h s v la x o m ib G a l l ic o ocbah o x c v i.
D e l l · I s o l b , c h b soh o h b l m ax d i G a l l i a , m tu ttb 9 6 .
XXIX. i 5. In Rheno ipso, prope centam m XXIX. i 5. Nel Reno istesio, quasi cento mi passuam in longitudinem, nobilissima Batavorum glia in lunghezza, è la nobilissima isola de' Batavi insala et Cannenafalum : et aliae Frisiorum, e de' Cannenufati, ed altre de' Frisii, de' Cauchi,
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Chaucorum, Frisiavonom, Tusiorum, Marw clo ruro, quae sternanlar ialer Helium ac Flevum. I u appellantur ostia, in qaae effusas Rhenas, ab aeptemtrione in lacus, ab occideote in amnem Motam se spargit: medio inter haec ore, modicani nomini sao custodiens alveum.
de* Frisiavoni, de'Tusii, de' Marsaci, le quali si distendono fra Elio e Flevo. Così si chiamano le foci, nelle qaali mette il Reno, da tramontana ne' laghi, da ponente nel fiume della Mosa: e fra questi con la meli dell'acqua mantiene al sno nome piccol ietto.
Bu t a v n ia b .
D blla Brettagna.
XXX. 16. Ex adverso hujus silu s Britannia XXX. 16. All* incontro di queslosito è l'isola di Brettagna, illustre per gli scrittori Greci, e per insala, clara graecis nostrisque monumentis inter «eplemlrionem et occidentem jacet: Germaniae, i nostri, e giace fra tramontana e ponente, e in Galliae, Hispaniae, malto maximis Europae partigrande distanza è dirimpetto alla Germania, alla bas magno intervallo adversa. Albion ipsi nomen Gallia ed alla Spagna, grandissime parti dell' Eu fait, qaam Britanniae vocarentur omnes : de quiropa. Ella già si chiamò Albione, quando Bretta bua mox paullo dicemus. Haec abest a Gessoriaeo gne si chiamavano tutte le isole, delle quali ragio Morinorum geniis litore, proximo Irajecla quin nerò poi. È discosto da Gessoriaeo, lito del paese q u a g i n t a m. Circuita vero patere tricies octies de' Morini, nel prossimo traghetto cinqaanta mi centena viginti qninqne m Pytheas et Isidorus glia. Pitea ed Isidoro scrivono, che il circuito suo tradant, Ir ig in ta prope jam annis notitiam è tre mila ottocento venticinque miglia, aven e}aa Romanis non ultra vicinitatem silvae Ca done avuta già notizia i Romani trenta anni sono, non essendo eglino iti con Tarmi loro oltre la ledoniae propagantibus. Agrippa longiladinem selva Calidonia. Agrippa tiene, ch'ella sia lunga d c c c m pass. esse: latitudinem ccc m credit. ottocento miglia, e larga trecento; e che la IberEam dem Hiberniae latitudinem, sed longi tatndinem cc mill. passaam minorem. Super eam nia sia della medesima latitudine, ma di longita· dine dngenlo miglia meno. Questa è siloata sopra haec sila abest brevissimo transita a Silurum essa, lonlaaa con brevissimo traghetto verso i genie xxx ■ pass. Reliquarum nulla cxxv mill. circuitu amplior proditur. Sunt autem u Or popoli Siluri trenta miglia. Nessuna dalle altre si dice esser di circuito piò di cento venticinque cades, modicis inter se discretae spatiis: se miglia. Sonovi le quaranta Orcade, poco lontane ptem Acmodae, et xxx Hebndes: el inter Hiber· l'nna dall' altra : sette Acmode, e trenta Ebueiaro ac Britanniam, Monapia, Ricina, Vectis, de; e fra la Ibernia e la Rretlagna, Monapia, Limnos, Andros. Infra vero Siambis, et Axanlos. Rìcina, Vetti, Limno ed Andro. Più sotto sono E t ab adverso in Germanicum mare sparsae Gles Siambi ed Assanto. Ed all'incontro sparse nel sa ria e, quas Electridas Graeci recentiores appel mar Germanico, sono le isole Glessarie, chiamale lavere, quod ibi electrum nasceretur. Ultima oinninm, quae memorantur, Thule: in qua sol da'Greci più moderni Elellride, perchè quivi stitio nullas esse noctes indicavimus, Cancri si nasce lo elettro, cioè l'ambra. L'ultima di tulle qnelle che si contano, è Tuie, nella quale da gnum sole transeunte, nullosque contra per bru mam dies. Hoc quidam senis mensibus continais mezza stale dicemmo che non è mai notte, quando il sole passa il segno del Granchio; e per fieri arbitrantor. Timaeus historicas a Britannia introrsus sex dierum navigatione abesse dicit contrario di verno non v'è mai giórno. E questo dicono alcuni farsi sei mesi continui. Timeo iste insulam Mictim, in qua candidum plumbum pro rico dice, cbe sei giornate di là dalla Brettagna veniat. Ad eam Britannos vitilibus navigiis corio è l'isola Milti, dove nasce il piombo bianco; drcamsulis navigare. Sunt qui el alias prodant, Scandiam, Dumuam, Bergos: maximamqne om e che i Britanni navigano qnivi con navili fatti nium Nerigon, ex qua in Thnlen navigetur. A di vermene congiunte, e coperte di cuoio. Sono anco alcnni, che mettono delle altre, come Scan T ale unius diei navigatione mare concretum, a dia, Dumna e Bergo; e la maggior di tutte Ne* nonnullis Cronium appellatur. rigo, dalla quale si naviga a Tuie. Di là da Tuie per nna giornata è il mare agghiacciato, che da alcuni si chiama Cronio. B b l g ic a b G a l l ia · .
D e l l a G a l l ia B e l g ic a .
XXXI. 17. Gallia omnis Comata ano nomine XXXI. 17. Tutta Ia Gallia, detta per un nome appellata, ia tria populorum genera dividitor, Comata, si divide io tre sorti di popoli, ed è
C. PL1N11 SECUNÌM
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amnibus maxime Alstincla. A Scaldi ad Seqaanam Belgica. Ab eo ad Garumnam, Celtica, eademque Lagdonensis. lode ad Pyrenaei montis excursum Aquitanica, Armorica antea dicta. Universam oram xvm κ pass. Agrippa : Galliarnm Inter Rhenom et Pyrenaeum, atqae Oceanum, ac mon te· Gebeonam et Jaram, qaibus Narboneosera Galliam exdudit, longitadinem nccxx i pastuum, lalitadinem c c c x t i i i computavit. A Scaldi inco lunt externi Toxandri ploribus nominibns.Deinde Menapii, Morini, Oromaosaci juncti pago, qoi Gessoriacns vocator: Britanni, Ambiani, Bello vaci. Introrsus Catustugi, Atrebates, Nervii libe ri, Veromandui, Sacconi, Suessiones liberi,Dima ne Jies liberi, Tnngri, Sanaci, Frisiavones, Belasi, Leuci liberi, Treveri liberi antea, et Lingones foederati, Bemi foederati, Mediomatrici, Sequani, Raurici, Helvetii. Coloniae : Equestris,et Rauriaca. Rhenam aatem accolentes, Germaniae gentium in eadem provincia, Nemetes,Triboci, Vangiones: hinc Ubii, Colonia Agrippinensis, Gugerni, Ba tavi, et quos in insulis diximas Rheni.
L u g d u n e n s is
G alliae.
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distinta molto da'Aumi. DaHo SciMé alla Se quana s'appella Belgica. Da eno aIlaGaronna,CeTtica, ed anco Lionese. E di li fino a’monti Pirenei Aquitania, detta prima Aremorica. Agrippa metta la longitudine di tulta la Gallia fra il Reno, il Pireaeo, e l'Oceaao, ed i monti Gebenna e Iura, per li quali separa la Gallia Narbonese, settecento venti miglia, e la latitudine trecento diciotto. Lungo lo Scalde abitano popoli forestieri, detti Tossandri, con pià nomi. Dipoi I Menapii, i Mo rini, e gli Oromansaci congiunti ad una terra, che si chiama Gessoriaco : i Britanni, gli Ambia ni, i Bellovaci. Pià addentro i Catustugi, gli Atrebati, i Nervii liberi, i Veromandui, gli Sveeoni, i Saessioni liberi, gli Ulmaneti par liberi, I Tun gri, i Sonuci, i Frisiaroni, i Betasi, i Leuci Hbert, i Treveri prima liberi, i Lingoni confederati, i Bemi confederati, i Mediomatrici, I Sequani, i Ranrid, gli Elvezii. Due colonie : la Equestre t la Rauriaca. E qoegli che abitano tal Reno nella medesima provincia de' popoli di Germania, sono i Nemeti, i Triboci, i Vangioni : dipoi gli Ubi», Colonia Agrippina, i Gugerni, i Baiavi, e quegli che abbiamo nominati nelle isole dd Reno. D b l l a G a l l i a L io n b s b .
18. Nella Gallia Lionese sono qoesti XXXII. 18. Lugdunensis Gallia habet Lexo XXXII. popoli, cioè i Lessovii, i Velocassi, i Galleti, i Ve vios, Veliocasses, Galletos, Venetos, Abrincatuos, Osismios : flumen clarum Ligerim. Sed peniusu- neti, gli Abrincatai, gli Osismii, ed il Ligeri fiam lam speciatiorem excurrentem in Oceanum a fine notabile. Ed anco una penisola molto illustre, Osismiorum circuitu d c x x v m pass. cervice in lati la quale si distende nelPOceano da* con fini degli tudinem cxxv m. Ultra eam Nannetes. Intus aulem Osimii, la quale ha di circuito seicento venticin Aedui foederati, Carnuli foederati, Boji, Senones, que miglia, e di latitndine in fronte, cento tentiAulerci, qui cognominantur Eburovices, et qui cinque. Di là da essa sono i Nauneti. E pià ad Cenomani, Mddi liberi, Parisii, Trecasses, Ande dentro gli Edui confederati, i Carnuti confederati, cavi, Vidocasses, Bodiocasses, Unelli, Cariosveli- i Boii, i Senoni, gli Aulerci, I qaali sono cogno minati Eburovici, e quelli che Cenomani, i Meldi tes, Diablindi, Rhedones, Turones, Atesui, Secu* siani liberi, in quorum agro colonia Lugdunam. liberi, i Parisii, i Trecassi, gli Andecavi, i Viducassi, i Bodiocassi, gli Unelli, i Cariosvditi, i Diablindi, i Redoni, i Turoni, gli AtesvJ, i Secasiani liberi, nel cui territorio è la colonia di Lione. A q o it a b ic a s G a l l ia e .
D b l l a A r s it a ai a .
X XX lll. 19. Aquitaaicae sunt Ambilatri,Ana- XXXUl. 19. Popoli delPAquitania sono gli gootes, Pictones, Santones liberi: Bituriges liberi Ambilatri, gli Anaguuli, i Pittoni, i Santoni liberi, cognomine Ubisci : Aquitani, unde nomen pro i Biturigi liberi, cognominati Ubisci, gli Aquilani, che haàno dato il nome alla provincia, i Sedibovinciae, Sediboniates. Mox in oppidum contriniati. Vennero poi ad abitare in una stessa terra, boli Convenae, Begerri, Tarbelli quatuorsignani, Cocosates sexsignani Venami, Onobrisates, Be- i Convèni, i Begerri, i Tarbelli quattrosignani, lendi, saltas Pyrenaeus. Infraque Monesi, Oscida- i Cocosati sesignani, i Venami, gli Onobrisali, tes montani, Sibyllates, Camponi, Bercorcates, i Belendi, la selva Pirenea. Pià sotto tono i Bipedimui, Sassumini, Veliate», Tornate·, Conso- Monesi, gli Osddati montani, i Sibilla ti, i Cam ranni,Ausci, Elusates, Sotliatès, Oscidate· campe poni, i Bercorcati, i Bipedimui, i Sassumioi, i Vellati, i Tornati, i Consoranoi, gli Aosd, (K stres, Saccasses, Tarusates, Basabocates, Vassei,
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Stanale», Cambolcctri, Ageainatcs Pictonibus j an eti. Dine Bitariges liberi, qui Cabi appellantor. O do Lemovices, Arverni liberi, Gabales. Rursus Narbonensi provinciae <00termini Ruteni,Cadur ci, Antobroges,Tarneque amni discreti aTolosanis Petrocori. Maria circa oram : ad Rhenom septemIrionali* oceaaus, inter Rhenom et Sequanam .Britannicas, inler cam at Pyrenaeam Gallicus, iosaJae campi ores Veneto rara, qose et Veneticae appellantor, et in Aquitanico «ina Uliaras.
Crrsaioais H u ta iiu ,
ab
ocaavo G allico .
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Elusati, i Sozziati, gli Oscidati campestri, i Su· cassi, i Tarusati, i Basabocali, i Vassei, i Sennali, i Cambolettri, gli Agesioali congiunti co'Piltoni. Dipoi i Biturigi liberi, che si chiaman Cubi. Poi i Lemovici, gli Arverni liberi, i Gabali. Confi nano la provincia Narbooese i Ruteni, i Cadurci, gli Anlobrogi, ed i Petrocori partiti da'Tosolani dal fiume Tarne. 1 mari intorno alla riviera sono, il mar settentrionale al Reno, fra il Reno e la Senna il Britannico, fra esso ed il Pireneo il Gallico. Vi sono poi molte isole de* Veneti, che si chiamano par Venetiche, ed Oliaro nel golfo Aquitanico. D b lla S m g ra
Crraxioae,
dal i u
ni G a l l i a .
XXXIV. ao. A Pyrenaei promontorio Hispa XXXIV. 30. Incomincia la Spagna dal pro nia incipit, angustior non .Gallia medo, veram montorio del Pireneo.più ristretta non solamente etiam se«aetipsa, at diximos, immensum quan della Gallia, ma di si stesse ancora, come dicem t i » hinc Oceano, illinc Iberico mari comprimen mo, rislrignendo quel tanto spazio di qoa l’Oceatibus. Ipaa Pyrenaei juga ab exorto aeqoinoctiali no, e di là il mare Iberico. Gli stessi gioghi del foia in «r« brumalem, breviores latere sePireneo distesi dal levante equinoziale fino al po ptemtrionali quam meridiano Hispanias facinnt. nente brumale, fanno la Spagna assai più breve Proxima o n citerioris est, ejosdemque Tarracodal lato di tramontana, che di mezzogiorno. La nensis situs: a Pyrenaeo per Oceanum, Vasconum vicina riviera della citeriore offre la poslora della sallas: Olarso: Vardo loram oppida: Morosgi, Spagna Tarragonese : dal Pireneo lungo l'Oceano .Menosca, Vesperie», Amanum portus, abi nane si va alle selve de' Guasconi, Olarso, le ciltà dei Vardali, i Morosgi, Menosca, Vesperie, il porto Flaviobriga colonia. Civiialam ix regio Canta* hroruu, flumen Sanda, portus Victoriae Juliodegli Amani, dove è ora Flaviobriga colonia. La jbrigmiBD. Ab eo loco fontes Iberi quadraginta ragione de’ Cantabri con nove ciltà, il fiume San da, il porto di Vittoria de* Giuliobrigesi. Lontano millia passuam. Porlas Blendiam. Orgenomesci e di là quaranta miglia sono le fonti del fiame Cantabris. Portas eorum Ve reasaeca. Regio As la ibero. Porto Blendio, gli Orgenomesci mescolali rum, Noéga oppidom. In peninsula, Paesici. Et coi Canlnbri. 11 porto loro è Vereasoeca. La re deinde conventos Lucensis, a flomine Navilobiogione degli Astori, Noega città, Pesici in penisola. ne, Cibarci, Egorarri cognomine Namarini, JaE dipoi il convento Lucense, dal fiome Navilobiodoni, Arrotaebae, promontorium Celticum. Am ne, i Cibarci, gli Egorarri,cognominali Namarini, aca: Florius, JSelo. Celtici cognomine Neriae, gli Iadoni, gli Arrotrebi, promontorio Celtico. seperqne Tamarici, quorum in peninsala Iras I fiami : il Florio, il Nelo. 1 Celtici cogaominati arae Sestianae Augusto dicatae : Caperi, oppidom Koala. Celtici cognomine Praesamarci, Cileni. Nerie, e più sopra i Tamarici, nella cui penisola sono tee are Sestiane dedicate ad Angusto : i CaE x insolis nominandae, Corticata, et Auaios. A Cilenis, eonventos Bracarum, Heleni, Gravii, ca pori, la città di Noela. 1 Celtici cognominati Presamarci, i Cileni. Delle isole voglionsi no stellum Tyde, Graecorum sobolis omnia. Insulae minare Corticata ed Aanio. Dopo i Cileni il Cicae. Insigne oppidom Abobrica. Minius amnis, iv m pass. ore spatiosos. Le uni, Senrbi. Bracaram convento di Bracato, gli Eleni, i Gravii, il castello oppidum Augusta, qoos sopra Gallaecia. Flamen, di Tide, tutti discesi da' Greci. Le isole Cice. La nobil città d’Abobrica. 11 fiume Minio, largo Limia: Dudnsamnisex maximis Hispaniae ortas quattro miglia nella foce. 1 Leoni, i Scorbi. in Pelendonibus, et justa Nomantiam lapsas, dein Augusta città de' Bracari, sopra i quali è Galleper Arevacos Vacoaeosque, disterminatis ab Astu eia. 11 fiome Limia, il fiome Dario de' gracilis ria Vettonibus, a Lusitania Gallaecis, ibi quoque Tardalo* a JBraearis arcens. Omnisque dicta simi di Spagna, che nasce nel paese de' Pelendoni, e scorre appresso a Numanzia : e dipoi passa regio a Pyrenaeo metallis referta, aori, argenti, feni, plumbi nigri albiqae. per gli Arevaci ed i Vaccei, partendo i Vettoni dall'Astaria, ed i Galleci dalla Lusitania, quivi ancora separando i Turduli da'Bracari. E tatto questo paese, incominciando dal Pireneo, è pieno
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C. PLINII SECUNDI
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di metalli, d'oro, d'argento, di ferro, e di piombo nero e bianco. L ositariab.
D e ll a L u s it a m a .
XXXV. a i . Dal fiume Durio incomincia la Lasitania, i Turduli vecchi, i Pesori, il fiume Vacca. La città di Talabriga. La città ed il fiome Eminio. Le città, Cornobriga, Collippo, Euborobrizio. Scorre poi in alto mare con un gran corno uu promontorio, il quale alcani hanno chiamato Artabro, altri grande, molti Olisiponese dalla città, il quale divide terre, mari e cielo. In qoel luogo finisce il lato della Spagne, e dal circuito d1 esso incomincia la fronte. a a . Di qua i il settentrione e l'oceano della a a . Septemtrio bine, oceanusque Gallicns, Gallia, e di là il ponente e l'oceano Atlantico. occasas illinc, et oceanus Atlanticus. Promonto rii excursum l x M prodidere, alii xc m pass. Ad La longitudine del promontorio in mare è, se Pyrenaeum inde non pauci xn quinquaginta mil condo alcuni, sessanta miglia, secondo alcuni altri lia, et ibi gentem Artabrum, quae numquam fuit, novanta. E di qui al Pireneo molti dicono esservi manifesto errore. Arrotrebas enim, quos ante seicento miglia, e con error manifesto, esser quivi popoli ArUbri, che mai non furono. Perciocché Celticum diximus promontorium, hoc in loco po posero in questo luogo gli Arrotrebi, i qaali noi suere literis permutatis. dicemmo dinanzi promontorio Celtico, scam biando le lettere. Hanno anco preso errore ne'fiumi illustri. Erratum et in amoibus inclytis. Ab Minio, quem supra diximus, cc m pass. ( ut auctor est Dal Minio, ch'io dissi di sopra, come scrive Varrone, è lontano l'Emioio dugenlo miglia, Varro) abest Aeminius, quem alibi quidam intelil quale da alcuni è posto altrove, e chiamato ligunt, et Limaeam vocant, Oblivionis antiquis Limea, detto dagli antichi il fiume dellObliviodictus multumque fabulosus. Ab Durio Tagus cc m passuum {intervenienteMunda. Tarus auriferis ne, e molto favoloso. Dal Dario è lontano il Tago arenis celebratur. Ab eo c l x m passuum Sacrum dugento miglia, intravenendo Munda. 11 Tago è e media prope Hispaniae fronte prosilit : xiv ■ celebrato per l'arena d'oro. Da esso è lontano pass. inde ad Pyrenaeam medium collìgi Varro cento sessanta miglia il promontorio Sacro, il tradit. Ad Anam vero, qao Lasitaniam a Baetica quale esce di mezzo la fronte deUa Spagna. Var discrevimus, cxxvi m passuum : a Gadibus cii h rone scrive, che di quivi a mezzo il Pireneo «ooo quattordici miglia : di quivi all*Ana, per la quale pass. additis. dividemmo la Lasitania dalla Betica, cento ventisei miglia : da Gade cento dae. 1 popoli sono : i Celtici, i Tardali, e óre* H Gentes: Celtici, Tardali, et circa Tagum Vettones. Ab Ana ad Sacrum, Lusitani. Oppida Tago i Vettoni. Dall'Ana al Sacro, i Lusitani. memorabilia a Tago in ora, Olisipo equarum e Le città notabili dopo il Tago io riviera sono, Favonio veulo conceptu nobile : Salacia cogno Olisipo nobile, perchè quivi ingravidano le ca minata urbs Imperatoria: Merobrica. Promon valle da loro stesse, qaando tira il veuto Favo torium Sacrum : et alterum Cuneus. Oppida : nio : Salacia cognominata città Imperatoria, MeOssonoba, Balsa, Myrtilis. robriga. Il promontorio Sacro, ed no altro detto Cuneo. Città : Ossonoba, Balsa, Mirtili. Universa provincia dividitur in conventus Tulta la proviocia è divisa in tre conventi : tres. Emeritensem, Pacensem, Scalabilanum. To l'Etperitese, il Pacese e lo Scalabitano. Ha in ta populorum x l v i , in quibus coloniae sunt quin· tutto quarantasei popoli, fra i qaali sono cin que, municipium civium Rom. unum: Latii que colonie, an manicipio di cittadini Roma antiqui tria : stipendiaria, xxxvi. Coloniae : An ni : tre de) Lazio antico, e trentasei tribolarli. gusta Emerita, Anae fluvio adposita : Metallinen- Le colonie sono, Augusta Emerita posta sul fi a me sis, Pacensis, Norbensis, Caesariana cognomine. Ana, la Metallinese, la Pacese, la Norbese, co Contributa sunt in eam Castra Julia, Castra Cae gnominata Cesariana. A questa sono attribaite cilia. Qaiou est Scalabis, qoae Praesidium Ju- Castra Giulia e Castra Cecilia. La quinta è SetXXXV. a i. A Durio Lusitania incipit,Tarda li veteres, Paesuri: flumen Vacca. Oppidum Talabrica. Oppidam et flumea Aeminiam. Oppida: Conimbrica, Collippo, Eaborobritium. Excurrit deinde ia altam ratto cornu promontorium, quod alii Artabrum appellavere, alii magnum, multi Olisiponense, ab oppido, terras, maria, coelum disterminans.Illo finitur Hispaniae latas, et a cir cuita ejus incipit frons.
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HISTORIAE DM MONDI LIB. IV.
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lium vocatur. Municipium civiam Rom. Olisipo, FelicilM lolii cognominatolo. Oppida veteris Latii: Ebora, quod item Liberalità· Julia: et Myrtilis, ac Salacia quae diximus. Stipendiario rum, quos nominare non pigeat, praeter jam di· ctos in Baelicae cognominibus, Augustobrigenses, Ammienses, Aranditani, Arabricenses, Bai•enses, Caesarobricenses, Caperenses, Caurenses, Colami, CibiliUni,Concordienses, Elbocorii, In· terannienses, Lancieses, Mirobrigeoies, qui Cei· lici cognominantur: Medubrieenses, qui Plum barii: Ocelenses, qui et Laneienses: Turduli, qui Bardali, et Tapori. Lusitaniam cum Asturia •et Gallaecia patere longitudine » x l m passuum : Jatitudine oxxxvi * Agrippa prodidit. Omnes au· lem Hispaniae, a duobus Pyrenaei promontoriis per maria, totius orae circuitu passuum xxxix xxu ■ colligere existimantur , ab aliis xxv MÌ1I.
labi, la quale si chiama Presidio Giulio. Munici pio di cittadini. Romani è Olisipo, cognominalo Feliciti Giulia. Città del Lazio antico : Ebora, chiamala Liberalità Giulia, e Minili, e Salacia, eh* io dissi. De' tributarii, i qoali non ci parrà fatica a nominare oltre a'già detti ne’cognomi della Betica, sono gli Aogustobrigesi, gli Am· miesi, gli Arandi lani, gli Arabricesi, i Balsesi, i Cesarobricesi, i Caperesi, i Cauresì, i Colami, i Ci bili tsui, i Concordiesi, gli Elbocorii, gl* Inlèrauniesi, i Lanciesi, i Mirobrigesi, che son cognominali Celtici : i Medubricesi detti Plum barii: gli Ocelesi chiamati Lanciesi: i Turduli detti Barduri e Tapori. Scrive M. Agrippa, che la LusiUnia con l'Astnria, e colla Gallecia ha di lunghetta cinquecento quaranU miglia, e di larghetta cinquecento trentasei. K tutu la Spagna dai due promontorii del Pireneo, an dando per mare, col circuito di tntU la riviera, si tien che sia trentanove mila ventidue, da al cuni si tien che venticinque mila.
IascLABtv ra u t i A t l a n t ic o .
D b llb iso l e h b l l ’ A t l a n t ic o .
Dirimpetto alla Celtiberia sono di XXXVI. Ex adverso Celtiberiae complores XXXVI. Mot insulae, Cassiterides dictae Graecis, a ferti- molte isole, dette da' Greci le Cassileride, dal la fertilità del piombo, e sei rimpetto al pro liute plumbi : et e regione Arrotrebarom pro montorio degli dei nel paese degli Arrolrebari, montorii deorum, sex, quàs aliqui FortunaUs ap pellavere. In ipso vero capite Baelicae, ab ostio le quali da alcuni sono state chiamate le Fortu freti pass. xxv mill. Gadis, longa ( ut Polybius nate. E nel capo della Betica venticinque mi acrihit ) xu mill., lata ut mill. passuum. Abest a glia discosto dalla foce dello stretto, à Gade, continente proxima parte minus pedes d c c reli lunga, come acri ve Polibio., dodici miglia, e larga qua plus septem m passuum. Ipsius spatium xv m tre. È lontana da terraferma, dove pià presso, passuum est. Habet oppidum civium Romanorum, poco pià di metto miglio, altrove più di sette miglia. Lo spatio d'essa è ben quindici miglia. quod appellatur Augusta urbs Julia GadiUna. Ab eo latere, qno Hispaniam specUt,passibos fere Ha una ciltà di cittadini Romani, che si chiama Augusta ciltà Giulia Gaditana. Da quel lato, che centum, altera insula est longa m, passus ■laU, in qua prius oppidum Gadium fuit. Vocatur ab guarda la Spagna, quasi cento passi, è un'altra isoletU lunga tre miglia, e larga uno, nella quale Ephoro et Philistide, Erythea : a Timaeo et Si prima fu la città Gadio. È chiamaU da Eforo e leno, Aphrodisias : ab indigenis, Junonis. MajoFilistide, Eri tea : da Timeo e Sileno, Afrodisia ; rem Timaeus Cotinosam apud eos vociutam ait: dagli uomini del paese Giunonia. Dice Timeo, nostri Tartesson appellant. Poeni Gadir, iU pu nica lingua sepem significante. Erythea dicta est, che la maggior fu chiamaU da loro Cotinusa : i nostri la domandano Tartesso : i Cartaginesi Ga quoniam Tyri Aborigines eorum orti ab Ery dir, perchè in lingua loro coti si chiama la siepe. thraeo mari ferebantur. In hac Geryones habitas· Fu chiamaU Elitea, perciocché i Tirii, nati dal se a quibusdam existimantur, quorum armenta l'origine di quegli, eran venuti dal mare Eritreo. Hercules abduxerit. Sunt qui aliam esse eam, et Tengono alcuni, che in questa isola abiUsaero i contra Lositaniam arbitrentur, eodemque nomi Gerioni, i cui armenti Ercole menò via. Souoci ne quondam ibi appellatam. di quegli che pensano, che quesU sia nn'altra, all1 incontro della LusiUnia, e per lo medesimo nome quivi già chiamaU.
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G. PLINII SECONDI HISTORIARUM MUNXH U B . Γ?.
U i t f u m E vkopab ttiw n u .
D u u a i s n u d i t p t t a t ’ E d m »a .
a3. Poich’ è fornito il circuito delXXXVII. a3. Peracto ambitu Europee, red XXXV 11. 1* Europa, bisogna darle Γ ultima perfezione, denda conium aut io est, ne quid non ia expedite aocioochi non rimanga cosa veruna da sapersi sii, noscere volentibus. Longitudinem ejus Arie· jnidorus alque Isidoro· a Tanai osqoe Gades a coloro, che vogliono intendere. La longitudine sua dal Tanai insino a Gade, secondo Artemido m i n xiv n prodiderant. P1jbiosjlatitudioem Eoropae ad Oceaoom sccipsit xi l mill. esse, ro ed Isidoro, è otlantaquattro mila quattordici etiam tam incomperta magnitudine ejus. Est miglia. Polibio scrisse, ebe la latitudine del· autem ipsius Italiae (at diximus) xi xx n ad AI* Γ Europa dall'Italia all'Oceano è undici mila cinquanta, non si essendo per aneora trovata pes. Unde per Lugdnnam ad portam Morino rum Britannicam, qua ridebar mensuram agere allora la grandeua d'essa. Ed è di essa Italia, Poljbias,xin m xvm. Sed certior mensara ac loa> come noi abbiam detto, undiei mila venti e fino gior ad ooeasum solis aestivi ostiumqne Rheni alle Alpi. Onde per Lione al porto Britannico per castra legionum Germaniae ab iisdem diri· de' Morini, la qual misura pare ohe faeeia Polibio fila r Alpibus, x t x liu u passuam. Hinc deia de tredici mila e diciotto. Ila la pià certa misu Africa atqoe Asia dieentnr. ra, e la più lunga s 'indritta da esse Alpi insino airOccidente estivo, ed alla foce del Reno per li campi delle legioni di Germania, dodici mila quarantatrè miglia. Ragioneremo ora dell'Asia e dell' Africa.
C. PLim SECUNDI HISTORIARUM MUNDI LIBER V SITOS, GENTES, MARIA, OPPIDA, PORTUS, MONTES, FLUMINA, MENSURAE, POPUU QUI SUNT AUT FUERUNT.
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ΜαΟΧΙΤΑΙΙΑΒΒΜ.
1. A f r i e u i Gneei Libyam appellavere, qua mare ante eae Libycum incipiens Aegyptio fini tor. Nec alia pars terraram paaciores recipi l sinos, longe ab occidente litorom obliquo spatio. Po pulorum ejos, oppidorum nomina, vel maxime soni ineffabilia praeterquam ipsorum linguis, et alias castella ferme inhabitant. ». Principio terrarum Mauritaniae appel lantur, osque ad C. Caesarem Germanici filiam regna, saevitia ejus in duas divisae provincias. Promontorium Oceani extimam Ampelusia noarfnatur a Graecis. Oppida fuere, Mssa, et Cot ta nitra columnas Herculis: nane est Tingi, quon dam ab Antaeo conditum : postea a Claudio Cae sare, quum coloniam faceret, appellatum Tratta c i· lolia. Abest a Belone oppido Baeticae, pro ximo trajecto xxx ■pass. Ab eo xxv n pass. in ora Oceani, colonia Angusti Julia Constantia, Olis, regum ditioni exempta, et jnra Baeticam petere jossa : et ab ea xxxu n passoam colonia a Qaodio Caesare facta Lilos, vel fabulosissime antiquis narrata. Ibi regia Antaei, eertamenque cum Hercule : et Hesperidum horti. Adfanditur sestuariam e mari fiexooso meatu, in quo dra-
D b l l a M a v k it a b ia ,
I. J j Africa fu chiamata da* Greci Libia, do ve il mar Libico, incominciando avanti ad essa, finisce in Egitto. Nè altra parte del mondo è, che abbia manco golfi, perchè fin da ponente comiociauo i liti esser obbliqui. I nomi de’ po poli e delle citti d'essa sono in modo, che quasi non si possono ridire se non in lingua loro, ed altrimenti abitano qoasi tatti villaggi. i. Dal priocipio del mondo farono chiamati questi paesi Mauritanie, fino all* imperio di Caio Cesare figliuolo di Germanico e per la crudeltà di lai divise in dae province. Il promontorio delPOceano, eh* è di fuori, si chiama da*Greci Arapolasia. Le citlà farono, Lisss, e Cotta oltra le colon ne d* Ercole : ora è Tingi gii edificato da Anteo, dipoi da Claudio Cesare, quaodo lo faceva coloionia, chiamato Giulia tradotta. È lontana da Belone citti della Betica, nel pià vicino traghetto, trenta miglia. Discosto da esso venticinque miglia nella riviera è la colonia d* Augnilo Giulia Co stanza Ziti,esente dalla signoria dei re del paese, e obbligata per ragione alla Belica: è da essa lontana trenladae miglia Lisso fatta colonia da Claudio imperadore, favoleggiata anoora dagli antichi. Quivi fa la reggia d* Anteo, il combattimento
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conis custodiae instar finisse none interpretantor. Amplectitor intra se insalane, quam solam e Ti cino tracta aliquanto excelsiore, non tamen ae stas maris inondat. Exstat in ea et ara Herculis, nec praeter oleastros aliad ex narrato illo auri fero nemore. Minus profecto mirentur porten tosa Graeciae mendacia, de iis et amne Lixo prodita, qui cogitent nostros nuper paullo mi nus monstrifica quaedam de iisdem tradidisse. Praevalidam hanc urbem raajoremque Carthagi ne magna ; praeterea ex adverso ejus silam, et prope immenso tracta ab Tingi : quaeque alia Cornelius Nepos avidisiime credidit. Ab Lixo x l ■ in mediterraneo altera Augusti colonia est Babba, Julia Campestris appellala : et tertia Banasa, l x x v m Valentia cognominata. Ab ea xxxv κ pass. Volubile oppidum, tantamdem a mari utroque distans. At in ora a Lixo quinqoaginta m amnis Subur, praeter Banasam coloniam de fluens, magnificas et navigabilis. Ab eo totidem m pass. oppidum Sala, ejusdem nominis fluvio impositum, jam solitudinibus vicinum, elephantorumque gregibus infestum, multo tamen magis Aotololum gente, per quam iter est ad montem Africae vel fabulosissimam Atlantem.
E mediis hanc arenis in coelam adlolli prodi derunt, asperam, squalentem, qaa vergat ad litora Oceani, cui cognomen imposoit ; eumdem opacam, nemorosamque, et scatebris fontium riguum, qna spectat Africam, fructibus omnium generum sponte ita suboasceatibus, ut numquam satietas voluptatibus desit. Incolarum neminem Interdiu cerni : silere omnia, haud alio, quam solitudinum horrore : subire tacitam religionem animos propius accedentium, praeterque horro rem elati super nubila, atque in viciniam lunaris circuli. Eumdem noctibus micare crebris ignibus, aegipanom satyroruraque lascivia impleri, tibia rum ac fistulae cantu, tympanorumque et cym balorum sonito strepere. Haec celebrati auctores prodidere, praeter Herculi et Perseo laborata ibi. Spatium ad eum immensum incertumque.
Foere et Hannonis Carthaginiensiom ducis
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d'esia con Erede, e git orti delP Esperidi. In torno · questa si sparge una laguna di mare eoa tortuoso giro, nel quale, perchì somiglia un dra gone, s'interpreta al presente che vi sia stato come un dragone di guardia. Abbraccia dentro di sè un'isola, che sola è alquanto più bassa del vicin tratto : nondimeno il flusso del mare non la soverchia. In essa ancora è l'altare d 'Ercole, oè altro più che ulivi salvalichi sono in quel celebra giardino, che avea già gli alberi carchi d'oro. E veramente manco si maraviglieranno delle mira colose bugie della Grecia fiate sopra di queste cose e del fiome Lisso, coloro che penseranno, come i nostri ancora nuovamente hanno trovato certe ciance poco meno miracolose sopra simili oggetti : che questa città sia fortissima, e maggio re di Cartagine la grande ; oltre a ciò, ch'ella sia posta dirimpetto ad essa, e quasi per gran tratto lontana da Tingi ; ed altre cose, le quali Cornelio Nipote ingordissimamente ha credale. Lontano da Lisso qnaranta miglia fra lerra è un'altra co lonia d'Augasto, Babba, chiamata Gialia campe stre ; e la terza Banàsa, lontana settantacinqoe miglia, cognominata Valenzia. Discosto da essa trentacinque miglia è la città di Volubile, distante altrettanto dall'ano e l'altro mare: e nella riviera da Lisso cinquanta miglia è il fiume Sabur, il qual passa appresso alla colonia di Banasa, fiome magnifico e navigabile. Da esso altrettante miglia è la città di Sala, posta sul fiome del medesimo nome, già vicina alle solitudini, e molestata dai branchi degli elefanti, ma molto più da'popoli Autololi, per li quali si passa andando al favolo sissimo monte Aliante d'Africa. Dicono che questo monte dal mezzo dell'arene s* ionalza fino al cielo, aspro e squallido là dove egli- guarda verso le riviere dell'Oeeano, al quale egli diede il nome: e ch'egli è lutto om broso, pieno di boschi e di fontane vive, dove è volto verso l ' Africa, con frutti di tolte le sorti, i quali nascono da loro stessi, in modo che non manca mai la dovizia alla voglia : che di giorno non vi si vede persona, ed ogni cosa è hi gran silenzio, e non con altro orrore, che dì solitu dine. Onde negli animi di coloro, che vi s'acco stano, entra una certa tacita religione, oltre alla maraviglia, ch'è a vederlo innalzato sopra le nu gole, e vicino al cerchio della Iona. Di notte poi riluce con grandissimi fuochi, e per la lascivi· degli egipani e de' satiri è sempre pieno di canti e suoni di pifferi e di zampogne, e di strepito · soono di cembali e di tamburi. Queste cose ai trovano scritte da famosi autori, oltre alle cose fatte quivi da .Ercole e da Perseo. Lo spazio insino a questo monte è grande ed incerto. Annone capitano de* Cartaginesi, nel teaopa
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commentarii, punicis rebus Uorealiuirais explo rare ambitum Africae jussi : quem secali plerique e Graecis noslrisque, el alia quidem fabulosa, et urbes mullas ab eo couditas ibi prodidere, quarum acc memoria ulla, oec vestigium exslal.
Scipiooe Aemiliano rea in Africa gerente, Polybius Annalium eoo di lor, abeo accepia classe,
scrutandi illius orbis gratia circum vectos, prodidit a moule eo ad occasum versus, saltus plenos feris, quas generat Africa, ad flamen Analin ccc clx v x v m pass. Ab eo Lixura ccv m passuum : a Gaditano frelo exii ■ passaum abesse. Inde sinum qui vocetur Saguli. Oppidam in promontorio Mulelacha. Flumina, Suburet Salarn. Portuni Rutu bis a Lixo eexui mpassuum. Inde promontorium Solis : portum Risardir : Gaeluloa Autololes : flumen Cosenum : gentes, Scelaticcs el Masalos. Flumen Masalat, flumen Darai, in quo crocodi los gigni. Deinde sinum ocxvi m pass. includi rooniis Barce promontorio excurrente in occa sam, qaod appellat Surrentini». Poslea flumen Salsum, ultra quod Aethiopas Perorsos, quorum a tergo Pharusios. lis jangi mediterraneos Gae tulos Daras. A l in ora Aethiopas Daralilas, flumen fiambo tum, crocodilis et hippopotamis refertum. Ab eo mantes perpetuos usque ad eum, quem Theon Odierna dicemus, lude ad promontorium Hesperium navigatione dierum ac noctium de cera , in medio eo spalio Atlantem locavit, a celeris omnibus in extremis Mauritaniae pro· ditum.
Romana arma primum, Claudio priucipe, in Mauritania bella vere, Ptolemaeum regem a C. Caesare interemptura uleiscente liberto Aede· «nooe, refugienlibasque barbaris, ventum con stat ad montem Atlantem. Nec solum consulatu perfunctis, alque e senalu ducibus, qui tum res gessere, sed equitibas quoqoe Romanis, qui ex eo praefuere abi, Atlantem penetrasse iu gloria fuit. Quinque sunt (ut diximus ) Romanae colo niae in ea provincia, perviomque fama videri potest. Sed id plerumque fallacissimum experi mento deprehenditur, quia digaitales, quam in dagate vera pigeat, ignorantiae pudore mentir i aoa piget : haud alio tulei proniore lapsu, quam abi falsae rei gravis auctor exsistit, Et qaidem ■uau» miror ineoraperU quaedam esse equestris ordinis viris, jam vero el senatum inde intrantibus, quam luxuriae, cujus efficacissima vis sentitur al que ma&ima^quumebori cilroqae silvae exquiran tur, omnes scopuli Gaetuli muricibus ac parpuris.
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che le lor cose erano in fiore, fu mandalo ad intendere il circuito dell'Africa; e sopra ciò scrisse alcuui commentarii, i quali sono seguili assai da' Greci e da’nostri. Costoro, olire alle al tre cose favolose scrissero, ch'egli edificò quivi di molte città, delle quali oggi non è memoria, nè segno alcuno. Qaando Scipiooe Emiliaao era con l'esercito in Africa, Polibio scrittor d'istorie, ricevuta da lui una flotta, e passalo qua e là per informarsi diligentemente di quel sito, scrisse, che da quel monte verso ponente sono boschi pieci di fere, le quali l'Africa produce, di spatio di quattrocento otlantaciaque miglia Gno al fiome Acati. Di quivi a Lisso dugeulo cinque miglia : dallo stret to di Gade cento dodici miglia. Dipoi il golfo, che si chiama Saguli. Malelaca citlà nel promon torio. 1 fiumi Subur e Sala. Il porto di Rulubi è discosto da Lisso dugento tredici miglia. Dipoi il promootorio del Sole, il porlo Risardir, i Ge lali Aulololi : il fiume Coseno : i popoli Scelalici ed i Masali. 11 Itane Masalat, il fiume Darai, dove nascono i cocodrilii. Dipoi an golfo dì sei cento sedici miglia è serrato dal promontorio del monte Barce, eh' entra iu mare, e si chiama Surrenzio. V’ è il fiume Salso, oltra il quale sono gli Etiopi Perorsi, dietro a' quali sono i Far usi. Con questi si congiuugono i mediterranei Getuli Da ri. Ma nella riviera sono gli Etiopi Datatili, ed il fiume Bambolo pieno di cocodrilii ed ippopo tami. Sono dipoi monli continui insino a quello, che diremo Teon Ochema. Da quivi al promon torio Esperio è il viaggio di died di e di dieci notti, e in quello spazio di raeizo pose il monte Atlante, posto da tutti gli altri ndl'estreme parli della Mauritania. Le armi Romane comballerono la prima volta nella Mauritania essendo Claudio imperadore, perchè volendo Edemone liberto veudicare la morte dd re Tolomeo fallo morire da Caio Ce sare, e fuggendo i barbari, i Romani andarono fiuo al monte Aliante. Nè solameli le agli uomini stali consoli, ed «'senatori, che allora trattarono la guerra, ina ancora a’eavalieri Romani, i quali guerreggiarou quivi, fu gloria aver passalo il monte Aliatile. Cinque colonie de* Romani, co me dicemmo, sono iu quella provincia, onde pare che ci sìa modo e via da poterne intendere. Ma ciò le più volle con la esperienza fallacissimo si Iruova, perchè parendo agli uomini fatica ricercar la verità, seoondo che richiede la cosa, nou si vergognano mentire, per non parere ignorauli : e uon si scorre più prontamente iu troppa fede, che quando del falso è autore uomo di gravità. E veramente io nou mi maraviglio gran fallo, che cavalieri e senatori ancora non
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abbiano avolo cognizione di molte cote, poiché essi non attendono altro che alla lussuria, le eoi forze sono grandissime e di molla gagliardia, quando ci ricercano le selve per l'avorio e per il cedro, e tulli gli scogli di Getulia per le murici e per le porpore. loti i genae tamen I r a d u D l in ora ab Sal» cen Dicono nondimeno gli oomini del paese, che tuno quinquaginta mill. passuum, flumen Asa- 10 riviera lontano da Sala cento cinquanta miglia nara marino haustu, sed portu spectabile : mox è il fiume Asana di aequa marina, ma di ootabil amnem quem vocant Fui: ab eo ad Dyrin ( hoc porto : dipoi on altro fiome, ch’essi chiamano enim Atlanti nomen esse eorum lingua convenit) Fut: da esso al Diri (perciocché in lingua loro pare che così si chiami PAtlante) dugento miglia, ducenta mill. passuum interveniente flumine, cui nomen est Vior. Ibi fama, exslare circa vestigia essendovi in mezzo un fiome, che si chiama Vior. habitati quondam soli, vinearum palmelorum- Quivi dicono esser reliquie di vili e di palme, 11 che è segno, che quel paese foste gii abitato. que reliquias. Svetonio Paolino, che noi vedemmo consolo, Suetonius Paulinus ( quem consulem vidi mus) primus Romanorum ducum transgressus primo de'capitani Romani, che passasse l'All ante quoque Atlantem aliquot millium spatio, prodi per ispazio d'alquante miglia, quanto all’altezza dit de excelsitate quidem ejus, quae ceteri: imas d'esso scrisse quel ehe gli altri : le radici sue esser ripiene di folti ed altissimi boschi d 'alberi inco radices densis altisque repletas silvis incognito genere arborum, proceritatem spectabilem esse gniti, i quali sono però più mirabili, che cosi alti enodi nitore, frondes cupressis similes, praelerson senza nodi, ed hanno le frondi simile al ci que gravitatem odoris, tenui eas obduci lanugi presso, ed olire alla gravità dell'odore, sono co ne: quibus addita arte, posse, quales e bombyce, perti d'una lanugine sottile; della quale,usandovi vestes confici. Verticem altis, etiam aestate, ope arte, si possono far vestimenti, come quella dei riri nivibus. Decumis se eo pervenisse castris, et bachi, de' quali si fa la seta; e che la cima sua di ultra ad fluvium, qui Ger vocaretur, per solitudi state ancora è coperta di neve.Che egli era giunto nes nigri pulveris eminentibus interdum velul quivi iu dieci alloggiamenti, ed olirà, presso al exuslis cautibus, loca inhabitabilia fervore, quanfiume, che si chiama Ger, per deserti di polvere quam hiberno tempore, expertum. Qui proximos nera, dalla quale uscivan fuor talora massi come inhabitent saltus, refertos elephantorum, fera- arsi, avea trovato luoghi inabitabili per l'ardore, rumque, el aerpentium omni genere, Canarios benché vi s*andasse di verno. Quegli che abitano appellari. Quippe victura ejus animalis promi le prossime selve, o gioghi, pieni d'elefanti, di fie scuum his esse, el dividua ferarum viscera. Jun re e d'ogni sorte di serpenti, si chiamano Cana ctam Aethiopum gentem, quos Perorsos^ocanl, rii. Perciocché vivono alla mescolata con i cani, salis constat. Juba, Ptolemaei paler, qui primus dividendo con quegli le carni delle fiere. Chiara utriqoe Mauritaniae imperavit, studiorum cla cosa è, che quivi appresso sono gli Etiopi, che si ritate memorabilior etiam, quam regno, similia chiaman Perorsi. Giuba, padre di Tolomeo, il prodidii de Atlante: praelerque gigni ibi her quale fa il primo, che signoreggiò l'una e l'altra bam euphorbiam nomine ab inventore medico Mauritania, assai più illustre ancora per lo splen suo appellatam. Cujus lacteum succum miris lau dore de'suoi studii, che per il regno, scrisse il medesimo dell'Atlanle; e di più quivi nascere dibus celebrat in claritate visns, contraque ser un'erba detta euforbia, così chiamala dall' in pentes, et venena omnia, privatila dicato volumi ne. Et salis superqtie de Atlaote. ventore suo medico, il coi sogo di lalle egli con meravigliose lodi celebra per buono a rischiarare la vista, e contra i serpeali e tulli i veleni ; della quale ha fallo un parlicolar volarne. E qaesto basti aver dello del monte Atlante. La provincia Tingitania è lunga cento set a. Tingitaniae provinciae longitudo clxx mill. a. passuum est. Genles in ea, quondam praecipua tanta miglia. 1 popoli già principali d'essa faro no Maurorum,unde nomen,quos plerique Maurusios i Mauri, onde la provincia prese il nome, i quali dixerunt. Attenuata bellis ad paucas recidit fami da molti sono siati chiamati Maurosii. Q uesto lias. Proxima illi Massaesylorum fuerat, sed simili paese essendosi indebolito per le guerre, s’ é modo exstincta est. Gaetulae nunc tenent gentes, ridotto in poche famiglie. Vicini a questi furoeo Baniurae, mulloque validissimi Autololes: et ho già i Maisesili, i qoali nel medesimo modo sono rum pars quondam Vesani, qui avolsi his pro- spenti. Abitano ora qoivi i Gelali, i Baniari, e
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priam fecere geu lem, versi ad Aethiopa*. Ipta provincia ab oriente montuosa, fert elephantos. Ia Abyla quoque moute, et quos Septem fratres a simili altitudine appellant: ii frelo imminent juncti Abylae. Abhis ora interni maris. Flumen Tamuda navigabile, quondam et oppidum. Fla men Laud, el ipsum navigiorum capax. Rusadir oppidum et portus, Mal vana fluvius navigabilis.
Siga oppidani ex adverso Malachae in Hispa nia silae, Syphaci· regia, alterius jam Mauritaniae. Namque dio regam nomina obtinuere, ut Bogudiana appellaretur extima : itemque Bocchi, quae nane Caesariensis. Ab ea portus Magnus a spatio appellatas, civium Romanorum oppidum. Amnis Malacha, Bocchi Massaesylorumque finis. Quiza Xenilana peregrinorum oppidum, Arsennaria Latinorum, tribas millibus passaum a mari. Cartenna colonia Aognsti, legio secanda. Itera colo nia ejusdem, dedacta cohorte praetoria, Gunugi. Promontorium Apollinis: oppidumque ibi cele· berrimum Caesarea, antea vocitatam lol, Jubae regia, a divo Clandio coloniae jure donata: ejus dem jussa deductis veteranis. Oppidam novum, et Latio dato,Tipasa. Itemque a Vespasiano impe ra to re eodem manere donatum Icosion. Colonia Augusti Rnsconiae. Rusocnrinm civitate hono· rafani a Claodio. Rouzus colonia Angusti. Salde colonia ejusdem. Item Jgilgili. Oppidura 1 'ucca impositum mari, et flumini Aropsagae. Intus colonia Augusta, quae item Succabar: item Tu· bosoptus. Civitates : Timici, Tigavae. Flumina : Sardabai, Aves, Nabar : gens Macnrebi : flumen Usar: gens Nabades. Flumen Aropsaga, abest a Caesarea ccxxn millibus passuum. Ulriusque Mauritaniae longitudo decies tringinta novem mill. Latitudo quadringentorum sexaginta septem mill. pass.
N
o m id u b .
II. 3 . Ab Ampsaga Numidia est, Masinissae clara nomine, Melagonitis terra a Graecis appel lata: Numidae vero Nomades a permutandis pa bulis, mapalia ana, hoc est, domus plaustri· circamfcrente·. Oppida : Colla, Rusicade, et ab eo ad qoadraginta octo 11 passaum in mediterraneo colonia Cirla, Sittianornm cognomine : et alia intas Sicca :liberam qae oppidam Balla Regia.
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gli Aatololi molto più forti di loro. Di questi furono già parte i Vesuni, i quali spiccatisi da loro fecero una propria nazione, volgendosi agli Etiopi. Questa provincia verso levante montuo sa, produce gli elefauti. Nascono ancora nel monte Abila, e in quegli che per esser tutti d'una medesima altezza si chiamano i Sette fra telli : questi congiuuti ad Abila soprastauno al lo stretto. Da questi comincia la riviera del mar mediterraneo. Il Tamuda fiume navigabile, e già una ciltà del medesimo nome. 11 fiume Laud, capace anch' esso di natili. La città ed il porlo di Rusadir, la Malvana fiume navigabile. Siga ciltà dirimpetto a Malaca, la quale è in Ispagna, sedia reale di Siface, già dell’ altra Maaritaaia. Perciocché i nomi dei re hanno lun gamente ottenuto, ch'ella fosse chiamata la Bogudiana esteriore ; e la di Bocco anco, quella che ora si chiama Cesariese. Dopo questa è porto Magno, così chiamato dalla sua graudezza, ciltà di cittadini Romani. Il fiume Muluca, con fi υe di Bocco e de' Massesili. Quiza Senitana citlà di fo restieri. Arsennaria di Lalini, lootana Ire miglia dalla marioa. Cartenna colonia d'Augusto, legion seconda. Similmente un'altra colonia del mede simo, falla dagli uomini deHa guardia della sua persona,dettaGonogi.ll promontorio d'Apolline: 4 quivi Cesarea città celeberrima, già chiamata lol, sedia reale di Giuba, falla colonia da Clau dio iraperadore, sendovisi per suo-Tmnandaroenlo condotti i soldati veterani. Tipasa, città nuova e privilegiala, come i Latini. Ed Icosio do nala del medesimo privilegio da Vespasiano imperadore. Rusconia colonia d'Augusto. Rusucurio onoralo da Claodio dei privilegi della ciltà. Rusazo colonia d'Augusto. Salde colonia del mede simo. Igilgili. Tueca posta sai mare, e sul fiume Aropsaga. Più addentro Augusta colonia, la quale si chiama ancora Succabar: Tubusupto. Citlà: Timido e Tigava. 1 fiumi, Sardabaia, Aves, Na bar : i popoli Macurebi, il fiume Usar, i popoli Nabadi. 11 fiume Aropsaga è lontano da Cesarea dugento ventidue miglia. L' una e L’ altra Mau ritania è lunga ottocento trenlanove miglia, e larga qoaltrocenlo sessantaselte. D e l l a N c m id ia .
II. 3. Dopo Ampsaga è la Numidia famosa per il nome di Masinissa, da' Greci chiamala lerra d e'Metagoniti : i Numidi pure soa da lor delti Nomadi dal matare alloggiamenti, siccome quegli che porlaoo attorno le lor case sui carri. Le città loro sono: CaUa, Rusicade, e lontano da esso quaranl'otto miglia Ira (erra la colonia di Cirta, cognominata de' Sizziani, ed on'altra
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Al in ora Tacalca, Hippo Regius, flumen Armua. Oppidum Tabraca civium Romanorum. Tusca fluvius, Numidiae finis: nee praeter marmoris Numidici, ferarumque provenlum aliud insigne.
addentro della Sicca, e Bulla Regia citlà libera. Nella riviera è Tacalua, Ippo Regio, il fiome Arniua. Tabraca città di cittadini Romani, il fiume Tusca, confine della Namidia : nè altro v ’ è di notabile, fuor che >1 marmo Namidico, e«l abbondanza di fiere.
A f r ic a e .
D e i .l ' A f i i i c a .
UI. 4· A Tusca, Zeugilana regio, el quae pro· prie vocetur Africa, esi. Tria promontoria: Can didum : mox Apollinis, adversum Sardiniae: Mercurii, adversum Siciliae, in altum procurren tia, duos efficiuntsinus: Hipponensem,proximum ab oppido, quod Hipponem dictum vocant, l)iarrhylum a Graecis dicioni, propter aquarum irri gua. Cui finitimum Theudalis immune oppidum, longius a litore. Dein promontorium Apollinis, el in altero sinu Utica civium Romanorum, Ca tonis morte nobilis: flumen Bagrada. Locus, Ca stra Cornelia: colonia Carthago magnae in vesti giis Carthaginis : colonia Maxulla. Oppida: Carpi, Misua,et liberum Clupea in promontorio Mercu rii. Item libera Curabis, Neapolis. Mox Africae ipius alia distinctio. Libyphoenices vocantur, qui Byzacium incolunl. Ita appellatur regioccl m pass. per circuitum, fertilitatis eximiae, cum centesima fruge agricolis fenus reddente terra. Hic oppida libera, Leptis, Adrumetum, Ruspina, Thapsus. Inde Thenae, Macomades, Tacape. Sabrata con tingens Syrlim minorem, ad quam Numidiae et Africae ab Ampsaga longitudo d l x x x mill. pas suum : latitudo, qua coguitum est, cc mill. Ea pars, quam Africam appellavimus, dividitur in deas provincias, velerem et novam, discretas fos sa, inter Africanum sequentem et reges, Theuas usque perducta, quod oppiduro a Carthagine abest ccxvi mill. passaum.
III. 4 · D» Tusra comincia la regione Zeugi lana, ed è quella, la quale propriamente si chia ma Africa. Ha Ire promontorii: il Candido, quel d’ Apolline verso la Sardegna, il terzo di Mer curio all' incontro della Sicilia, i quali entrano in allo mare, e fanno due golfi : il primo lpponese così dello da quella vicina città, che ai chiama Ippone, detto Diarrilo da' Greci, per la dovizia dell’ acqua; a coi vicino è Teudali città libera, loulana dal lito. Dipoi il promontorio d 'Apolline, e nell’altro golfo Ulica di cittadini Romani, nobile per la morie di Catone. 11 fiume Bagrada. Il luogo, detto Castra Cornelia: Carla" gine colonia, posta dove fii già la gran Carta gine, e Massulla colonia. Città : Carpi, Misua, e Clupea libera nel promontorio di Mercurio : e Cnrubi libera, e Napoli. Fassi poi un'altra di stinzione dell'Africa. Quegli che abitano Bizacio, si chiamano Libifenici. Così si chiama il paese, che ha di circuito dugento cinquanta miglia, di grandissima fertilità, rendendo la terra cen to per uno a’ suoi coltivatori. Quivi son queste città libere: Lepti, Adrumeto, Ruspina e Tapso. Dipoi Tene, Macomade, e Tacape. Sabrata, la quale tocca la Sirte minore : alla quale da Ampsaga la longitudine della Nurrtidia e dell ' Africa è cinquecent1 otUnta miglia, e la latitudiue , per quanto s1 ha cognizione, dugento. Quella parte, che noi chiamiamo Africa, si divide in due province, la vecchia e la nuova, parlile per una fossa, fra l'Africano seguente, ed i re, tirala fino a Tene, la qual città è discosta da Cartagine dugento sedici miglia.
Syrti om.
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S ir t i .
1 V. Tertius sinus dividitur iu geminos,duarum IV. Il terzo golfo si divide in due, crudeli per Syrtinm vadoso ac reciproco mari diros. Ad pro lo guadoso e reciproco mare delle due Sirti. Da ximam, quae minor est, a Carthagine ccc n pass. Cartagine alla vicina, che è la minore, scrive Poli Polybius tradit, ipsam centum mill. passuum adi bio che sono trecento miglia ; ed essa i cent· mi tu, ccc mill. ambitu. Et terra autem, siderum glia di lunghezza, e trecento di circuito. Qai vi observatione, ad eam per deserta arenis, perqae si va per terra con l'osservazione delle stelle per serpentes iter est. Excipiunt saltus repleti fera luoghi deserti, arenosi e pieni di serpi. Soavi rum multitudine: el introrsus elephantorum so luoghi montuosi e pieni di fiere, e pia addentra litudines, mox deserta vasta, ultraque Garaman sono solitudini d'elefanti, dipoi gran deserti, c tes, ab Augyli· dierum xu itinere distantes. Saper di là i Garamanti dodici giornate dagli AngUi. illos fnere gens Piylli, super qaos lacus Lycorae* Sopra di loro già farono ì Psilli, sopra de' quali
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«lis, desertis circumdatas. Augylae ipsi medio fere spatio locantur ab Aetiopi·, quae ad occidcn· tero vergit, et a regione quae duas Syrtes interja* cet, pari ulrinque intervallo. Sed litore inter duas Syrtes, c c l mpassuum. Ibi civitas Oeensis, Cinypt fluvias ac regio. Oppida: Neapolis, 'l'aphra, AbrotoD um , Leptis altera, quae cognominatur ma gna. Inde Syrtis major, circuitu d c x x x v , aditu autem cccxa mill. pass. Inde adcolit gens Cisipadum. Iu intimo sinu fuit ora Lolophagon, quos quidam Alachroas ‘lixere, ad Philaenorum aras: ex arena sunt eae. Ab his non procul a continente palas vasta amnem Tritonem ab eo accipit, Pal lantias appellata Callimacho, et citra minorem Syrtim esse dicta: a multis vero inter duasSyrtes. Promontorium, quod tuajorem includit, Borion appellatur. Ultra Cyrenaica provincia.
Ad bnnc finem Africa a fluvio Aropsaga po pulos d x v i habet, qui Romano parent imperio. In his colonias vi praeter jam supradictas, Uthinam, Tuborbin. Oppida civium Romanorum xv, ex qoibos in mediterraneo dicenda Azuritanum, Abu Incense, Aboriense, Canopicum, Chilmanense, Simitluense, Thanosidense, Tubarnicense, Tynidrnmense, Tibigense, Ucilana duo, majus et sninus : Vagense. Oppidum latinum unum Usalitauum. Oppidom stipendiarium anum, Castris Corneliis. Oppida libera tringinta, ex quibus dicenda intos Acolitanum, Acharilanura, Avinense, Abziritanom, Canopilannm, Melxitanom, Materense, Salaphitanum, Tusdritanom, Tiphicense,Tuniceose,Theudense,Tagestense,Tigense, Ulusubritanum, Vagense aliud,Visense, Zamense. £x reliquo numero non civitates tantum, sed pleraeqoe etiam nationes jure dici possunt, at Natabudes, Capsitani, Misulani, Sabarbares, Masiyli, Nisives, Vamacures, Elhini, Mussini, Marchubii, ct tota Gaetulia ad flumen Nigriu, qni Africam ab Aethiopia dirimit.
C ymhaicab .
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è il lago di Licomede, circondato da deserti. Gli Augili stessi sono posti quasi nel mezzo di esso spazio dall* Etiopia, che guarda verso ponente, e dalla regione, che è fra le doe Sirti, con eguale intervallo di qua e di l i ; ma per riviera fra le doe Sirli ci sono dugento cinquanta miglia. Quivi è la ciltà Oeese, il fiume Cinìps e la regione. Citlà, Napoli, Tafra e Abrolono: l'altra Lepti, la quale è cognominata la grande. Dipoi la Sirie maggiore, la quale ha di circuito seicento trenlacinque miglia, e di lunghezza trecento dodici. Abitano poi quivi intorno i popoli Cisipadi. Nel golfo addentro fu già il paese de1Lotofagi, i quali furono da alcuni chiamati Alacroi, agli altari de1 Fileni, i quali sono fatti di arena. Dopo que sti, poco lontano da lerraferma, è una gran palude infino al fiume Tritone, la quale prese il nome da esso, e da Callimaco è chiamala Pallanzia ; e dicesi che è di qua dalla Sirti minore ; ma da molli è posta fra le doe Sirti. Il promontorio, che rinchiude la maggiore, si chiama Borione : piò oltra è la provincia di Cirene. Ha Γ Africa dal fiume Ampsaga fino a questo conGne cinquecento sedici popoli, i quali ubbidi scono all’ imperio Romano : e fra questi sei colo nie,oltre le già dette,Utina cTuburbi. Ciltà di cit tadini Romani quindici, delle qoali fra terra sono da poter ricordarsi, PAzurilana, Γ AbuIncese, TAboriese, la Canopica, la Chilmanese, la Sirnittuese, la Tonusidese, la Tuburnicese, la Tinidrumese e la Tibigese. Due Ucitane, cioè, la mag giore e la minore, e la Vagese. Una ciltà dei (
5. La region Cirenaica, la qoale sì chiama V. 5 . Cyrenaica, eadem Pentapolitana regio, V. ancora Pentapolitana, è illastrata per l'oracolo illustratur Hammoni» oraculo, quod a Cyrenis di Giove Aminone, il quale i lontano da Cirene abeat cccc ■passuum : fonte Solis : urbibus maxi quattrocento miglia ; per la fonte del Sole ; ma me qotnqne, Berenice, Arsinoe, Ptolemaide, Apollonia, ipsa Cyrene. Berenice in Syrtis exti mollo più per le cinque città, cioè, Berenice, mo cornu est,quondam vocata Hesperidum sopraArsinoe, Tolemaide, Apollonia e Cirene istessa. dictarum, vagant ibus Graeciae fabulis. Nec procul Berenice è posta nelPestremo corno della Sirie,
C. PUNII SECUNDI ante oppidum fluvius Lethon, lutus sacer, ubi Hesperidum horti memorantur. Abest a Lepli c c c l x x v mpass. Ab ea Arsiuoe, Teuchira vocitata, x l i i i m passuum. Et deinde Ptolemais, antiquo nomine Parce, xxu m passuum. Mox x l m pass. promontorium Phycus per Creticum mare excur rit, distans c c c l m passuum a Taenaro Laconicae promontorio. A Creta vero ipsa ccxxv m. Post id Cyrene,a mari undecim x passuum. A Phycunte Apolloniam xxiv mill. pass. Ad Cherronesum Lxxxvui mill. passuum. Unde Catabathmum ccxvi mill. passuum. Adcolunt Marmaridae, a Paraeto nii ferme regione ad Syrtin usque majorem por recti. Post eos Ararauceles, et jam in ora Syrtis Nasamones, quos antea Mesatnmones Graeci ap pellavere, ab argumento loci, medios inter arenas sitos. Cyrenaicus ager xv m passuum latitudine a litore, arboribus fertilis habetur. Intus eodem spatio frugibus tantum: mox triginta mill. pas suum latitudine, el c c l mill. passuum longitudi ne, lasere modo.
Post NasHmones, Asbystae, ut Macae vivunt. Ultra eos Haromanientes xi dierum itinere a Syrtibus majoribus ad occidentem, et ipsi quaqua versus arenis circumdati: puteos tamen baud difficiles binum ferme cubitorum inveniunt alti tudine, ibi restagnantibus Mauritaniae aquis. Domos sale montibus suis exciso, ceu lapide, construant. Ab his ad Troglodytas hiberni occasus plaga dierum septem iter, cum quibus com mercium gemmae tantum, quam carbunculum vocamus, ex Aethiopia iovectae. lotervenil ad solitudines Africae, supra minorem Syrtin dictas, versa Phazania,ubi gentem Pbazaniorum, urbesque Aleleu et Cillabam subegimus. Item Cydamum « regione Sabratae. Ab his mons longo «patio in occasum ab ortu tendit, Ater nostris dictus a natura adusto similis, aut solis repercus su accenso. Ultra eam deserta: Matelgae oppidum Garamantum : itemque Debris, adfuso fonte, a medio die ad mediam noctem aquis ferventibus, totidemque horis ad medium diem rigentibus: darissimumque oppidum Garama caput Gara mantum : omnia armis Romanis superata, et a Cornelio Balbo triumphata: uni baie omnium externo curru et Quiritium jure donato : quippe Gadibas genito civitas Romana cum Balbo majore patruo data est. Et boc miram, sapradicta oppida ab eo capta, auctores nostro· prodidisse : ipsum
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già detta essere una delle sopraddette Esperidi, secondo le favole della Grecia. E poco lontano innanxi la città è il fiume Letone, ed il bosco Sacro, dove si dice che è il giardino dell' Espe ridi. È discosto da Lepli trecento-aettantacinqoe miglia. Da essa Arsinoe, chiamata Teuchira, qaarantatrè miglia. E dipoi Tolemaide, anticamente detta Barce, ventidue miglia. Dopo quaranta miglia è il promontorio Fico, il quale scorre per lo mar di Creta, lontauo trecento cinquanta miglia da Tenario, promontorio di Laconica : e da essa Creta dugento venticinque. Dopo qoesto è Cirene discosta dal mare uodici miglia. Da Ficunte ad Apollonia ventiquattro miglia : e insino al Cherroneso ottani1otto miglia. Donde insi no a Catabatmo, dugento sedici miglia. 1 Marmaridi abitano quasi dalla regione di Parelonio distesi fino alla Sirie maggiore. Dopo loro gli Ararauceli, e nejla riviera della Sirie i Nasamoni, i quali da' Greci prima furono chiamali Mesamraoni dalPargomento del luogo, essendo eglino posti nel mezzo delle arene. Il paese di Cirene quindici miglia per la li Indine dal lito, è molto fertile d'alberi. In fra terra per lo medesimo spazio è solamente dovizioso di biade : dipoi trenta miglia per larghezza, e dugento cinquanta per lunghezza, non produce altro che un albero detto larice. Dopo i Nasamoni abitano gli Asbisti e i Mac* ; ed oltra essi gli Ammanienti, undici giornale lontani dalle Sirti maggiori verso ponente, in torniali anch'eglino da ogni parte dell'arene : trovano nondimeno agevolmente acqua per lì pozzi, cavando sotterra appena due braccia, per ciocché quivi ristagnano le acque della Maurita nia. Fanno le case loro di sale, cavalo da'monti, come si cavan le pietre. Da questi si va al paese de'Trogloditi per la regione dell'occaso del ver no, per cammino di sette giornate; coi quali hanno commercio solo d' una gioia, che noi chiamiamo carbonchio, portata d'Etiòpia. Presso alle dette solitudini d 'Africa, sopra la Sirie mi nore è Fasania, dove noi soggiogammo i popoli Fasanii, e le cittì, Alele e Cillaba ; c Cidamo ancora all' incontro di Sabrata. Dipoi s* innalza on monte da levante verso ponente con lungo spazio, detto da'nostri Ater, il quale da natura pare arso o acceso della ripercussione del sole. E dopo esso sono deserti : Malelge città de' G a ramanti, e Debri, con un fonte d'acque bollenti dal mezzogiorno insino alla mezzanotte, e per altrettante ore insino al mezzogiorno con acque freddissime: e la chiarissima città di Garama, capo de’ Garamanti, tutte superate dall'arm e de' Romani, e delle quali trionfò Cornelio Balbo ; a cui solo Ora tatti i forestieri fu conceduto il
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in triaropho, praeter CyJarnum et Gararaam, omnium aliarum gentium arbiumque nomina ac simulacra duxisse, quae iere hoc ordine. TaBi«lium oppidum. Niteris natio, Negligemela oppi* duro, Bobeium natio, vel oppidum, Enipi natio, Thuben oppidum: mons nomine Niger: Nitibrom, Rapsa, oppida : Discera natio, Debris op pidum, flumen Nathabur, Tapsagnm oppidum, Nannagi natio, Boin oppidum, Pege oppidam, fiuinen Dasipari. Mox oppida conlinua, Raràcura, Baluba, Alasi, Balsa, Galla, Maxala, Zizama. Mons Gyri, in quo gemmas nasci titalus praecessit. Ad Garamantas iter inexplicabile adhac fuit, latro nibus gentis ejus pateos (qui sunt non alte fo diendi, si locorum notitia adsit) arenis operien tibus. Proximo bello,quod cora Oeensibus gessere initiis Vespasiani imperatoris, compendium viae quatridui deprehensum est. Hoc iter vocatur Praeter caput, saxi. Finis Cyrenaicus Catabathmos appellatur oppidum et vallis repente con vexa. Ad eum terminum Cyrenaica. Africa a Syrti minore decies centena l x ■passuum in longitu dine palet: in latitudine, qua ccgnitum est, occc.
* L ib y a s M a b b o t is . *
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carro e la ragione de' cittadini Romani ; peroc ché egli nato a Gade, fu fatto cittadin Romano insieme con Balbo suo zio maggiore. E questo pure è maraviglia,che nostri autori abbiano scrit to, le dette città essere state prese da lui, ed aver egli portato nel trionfo i nomi e le figure di tulle le altre genti e citlà, fuor che di Cidamo e di Garama, le quali andarono con questo ordine. Tabidio ciltà, Niter nazione, Negligemela citlà, Bnbeio nazione, ovvero ciltà, Enipi nazio ne, Tuben città, Nero monte, Nilibro e Rspsa ciltà, Discera nazione, Debris ciltà, Niiabar fiume, Tapsago città, Nannagi nazione, Boia cillè, Pege ciltà, Dasipari fiume. Dipoi città con tinue, Baraco, Buluba, Alasi, Balsa, Galla, Massaia e Zizama. Giri monte, col titolo che mostrava, come in essa nascon le gioie. Il viaggio da ire ai Garamanli insino a qui non è stato compiuto per rispetto degli assassini del paese, i quali cuoprono con l'arena i pozzi, che non mollo addentro s' hanno a cavare per chi ha cognizione de’ luo ghi. Nella prossima guerra, che i Romani fecero con gli Eesi, sollo l’ imperio di Vespasiano, si trovò da raccorciare la via quattro giorni. Que sto cammino si chiama allato a capo del sasso. Il confine di Cirene si domanda Calabalmo, città e valle tutta posta alla china. Dalla Sirie minore insino a quel termine è la Cirenaica. I/ Africa dalla detta Sirte è in lunghezza mille sessanta miglia, ed in larghezza, per quanto se ne ha potuto aver cognizione, ottocento. D b l la L ibia M a b b o t id b .
VI. G. La regione, che segue, si chiama Libia VI. 6. Qnae sequitur regio, Mareotis Libya appella tur, Aegypto contermina.Tenent Marmari Mareotide, la quale confina con Γ Egitto. Quivi dae, Adyrraachidae : dein Mareotae. Mensura a abitano i Marmaridi, gli Adirmachidi ed i Marcoti. La misura da Calabalmo a Parelonio è ollanlaCatabathmo ad Paraetonium l x x x v i mpassuum. sei miglia. In questo mezzo è Api villaggio, luog
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479 I nsularum circa A f r ic a » .
D e l l e is o le
1u t o r n o
a l l ’ A frica .
VII, 7. Insolas non ila mullas complectuntur VII. 7. Questi mari non hanuo troppe isole. haec rosria. Clarissima esi Meninx, longitudine Chiarissima è Meninx, lunga venticinque mi* xxv mill. pass. latitudine xxu ab Eratoslheoe glia, e larga venlklue, chiamata da Eratoslene Lotofagite. Ha due citlà, dal lato d'Africa Me Lotophagilis appellala. Oppida habet duo, Me ningem ab Africae latere^ et «Itero, Tboar: ipsa ninge, e daU'allro Toar; ed essa è lontana dal a dextro Syrtis minoris promontorio passibus promontorio destro della Sirte minore un miglio mille quingentis sila. Ab et^centum mill. passuum e metto. Da essa è discosto Cercina cento mi contra laevum, Cercina, cura urbe ejusdem nomi glia all1incontro del sinistro, con una città libera nis libera, longa xxv mill. pass. lata dimidium del medesimo noibe lunga venticinque miglia, e ejns, ubi plurimum : at in extremo non plus larga per metà, dove più ; ma neU'allimo non quinque mill. passuum. Huic perparva, Cartha più che cioque miglia. A questa verso Cartagine ginem versus, Cercinilis ponte juugilur. Ab his si congiugne con un ponte la piccola Cereinite.' quinquaginta mill. fere passuum Lopadusa, longa Lontana questa circa cinquanta miglia è Lopa vi mill. passuum. Mox Gaulos et Galala, cujus dusa lunga sei miglia. Dipoi Gaalo e Galata, la terra scorpionem, dirum animal Africae, necat. cui terra ammazza lo scorpione, animai molto Dicuntur et in Clupea emori, cujus ex adverso crudele d1Africa. Dicesi ancor», che muoiono Cosyra cum opdido. At contra Carthaginis sinum in Clupea, a cut dirimpetto è Cosira con la citlà. duae Aegimori arae, scopuli verius, quam insulae, Ed all’ incontro del golfo di Cartagine sono le inter Siciliam maxime et Sardiniam. Auctores due are dette Egimori, le quali si posson piuttosto chiamare scogli, che isole fra la Sicilia e la Sar sunt, el has quondam habitatas subsedisse. degna. Scrivono alcuni autori, che queste ancora furono già abitale. A versorum A f r ic a e .
D e l l 1 A f r ic a O l t b r io r e .
Vili. 8. E nel circuito più addentro delVIII. 8. Interiori autem ambitu Africae ad meridiem versus, superque Gaetulos, intervenien l1Africa, verso mezzogiorno, e sopra i Getuli, tibus desertis, primi omnium Libyaegyplii, de· dopo i deserti, abitano prima i Libiegiiii, e inde Laucaethiopes habitant. Super eos Aethio- dipoi i Lauceliopi. Sopra questi sono i Nigrili, pnra gentes Nigritae, a quo dictum est flumine: popoli d'Etiopia, i quali hanno preso il nome dal fiume : i Gimneli, i Puarisi,che confinano cou Gyroneles, Pnbarisi jam Oceanum adlingentes, el quos iu Mauritaniae fine diximus, Perorsi. Ab la marina, e i Perorsi, che da me sono stati no his omnibus vastae solitudines orientem versus minati uel fine della Mauritania. Dopo tulli usque ad Garamaulas, Augylasque et Troglody quesli sono grandissime solitudini verso levante tas: verissima opinione eorum, qui desertis Afri fino a1 Garamanti, Augili e Trogloditi ; estendo cae duas Aelhiopias superponunt, et ante omnes verissima la opinione di coloro, i quali aopra m Homeri,quibipertitos tradit Aethiopas, ad orien deserti dell'Africa pongono due Etiopie, e fra tem occasumque versos. Nigri fluvio eadem nalu gli altri d' Omero, il quale mette gli Etiopi ra ra, quae Nilo: calamum, et papyrum, et easdem due parti, verso levante e verso ponente. Il fiuma gignit animantes, iisdemque temporibus auge Nigro ha la medesima nalura, che il Nilo : pro scit. Oritur inter Tareleos Aethiopas,el Oecalicas. duce il calamo, il papiro, ed i medesimi animali, Horum oppidum Mavin quidam solitudinibus im- e cresce ne1 medesimi tempi. Nasce fra t Tardei posueruut, Allanlas juxta eos, Aegipanas semife Etiopi e gli Ecalici. Alcani hanno posto Mavin ros, et Blemmyas, et Gamphasantas, et Salyros, città di qaesli popoli fra le solitudini, e prese· et Himantopodas. Allantes degeneres sunt huma loro gli Atlanti, gli Egipani mezzifiere, i B ie n ni ritus, ci credimus. Nam neque nominum ullo nali , i Ganfasanti, i Saliri e gli Imaatopodi. rum inter eos appellatio est, et solem orientem Gli Atlanti, s'egli i pur da credere, tralignai occidentemque dira imprecatione conlueulur, ut molto da'coslurai umani. Perciocché essi n o · exitialem ipsis agrisque: neque insomnia visunt danno nome a cosa alcuna, e quando il sole si leva qualia reliqui mortales. Troglodytae specus exca e tramonta, essi se gli volgono con orribili be vant. Hae illis domus, victus serpentium caroes, stemmie, come danuoso ad essi e a' lor terreni ; »tridorque, non vox : adeo sermonis commercio nè veggono sogui, come fanno gli altri uomioi. carent : Garamantes, matrimoniorum exsortes, 1 Trogloditi fanno careruc. Queste sono le case
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HISTORIARUM MUNDI MB. V.
passim cam feminis degant. Aogylae inferos tantam coloni. G a n p b u n lei aoéi,proelioromqne ex per Ics, nolli exlerno congregantur. Blenamyis traduntur capila abesse, ore et oculis pecto ri adfixis. Satyris, praeter figuram, nihil moris homani. Aegipaoom, qualis vulgo pingitor, for ma. Himantopodes loripedes quidam, qoibos serpendo ingredi natura est. Pharosii quondam Persae, comites foisse dicantur Herculis «d He· spenda· tendentis.
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Nec de Africo plora, qoae memorentur, oc* corruor.
loro, e vivono di carne dì serpenti, e stridono in cambio di favellare, in modo mancano del commercio della favella. I Garamanti non osano matrimonio, ma vivono per tolto con le femmine alla mescolata. Gli Aagili adorano solo gH dei infernali. I Ganfasaoti vanno ignudi, non fanno gaerra, nè hanno commercio alcuno con fore stieri.. Dicesi die i Blemmii non hanno capo, aveodo la bocca e gli occhi fitti nel petto. 1 Sa tiri, iu fuor che la figora, non hanno alcun costume umano. .La forma degli Egipani è come si dipinge dal volgo. Gli Iraantopodi, co'piedi storli, non fanno passi, ma vanno carpone. I Farusii, gii Persiani, secondo che si dice, furono già compagoi d’ Ercole, quando egli andava al· Γ Esperide. Ni occorre più dire altro dell’ Africa, che meriti «l'essere scritto.
A e g y p t i b t T b e b a id u .
D b l l ' E g it t o b d e l l a T k b a id b .
9. Con Γ Africa è congiunta l'Asia, la IX. 9. Adhaeret Asia, qnam patere a Canopico IX. quale scrive Timostene, che dalla foce di Canopo ostio ad Ponti ostium Timostheoes xxvi x x x ix ■ iosino alla bocca del Ponto, è larga dueraille possoam tradidit. Ab ore aotem Ponti ad os seicento trentanove miglia. E dalla bocca del Maeotis Eratosthenes xvi s iv n passuum. Uni· Ponto fino a quella della Meotide Eralostene vi fa Tersam T e ro cam Aegypto ad Taoain, Artemido milleseicento quarantacinque miglia. Artemidoro rus et Isidorns lx i i i l u t m pass. Maria ejos complora ab accolis traxere nomina : quare simul ed Isidoro dicono, che tutta insieme conl'Kgillo insino al Taoai è seimille trecento settantacinque indicabantur. miglia. 1 più de' suoi mari hanoo preso H nome dagli abitatori, e però si mostreranno insieme. Vicino all' Africa è l’ Egitto, il quale si ritira Proxima Africae iooolitnr Aegypto·,introrsos indentro verso mezzogiorno, iufin che dietro ad meridiem receodens, donec a tergo praeten dantur Aethiopes. Inferiorem ejus partem Nilus, ad esso si trovano gli Etiopi. La parte inferiore dextra laevaqoe divisos, amplexa suo determi d'esso è terminata dal Nilo, il quale dividendosi nat, Canopico ostio ab Africa, ab Asia Pelosiaeo, da man ritta « man manca, l'abbraccia, con la foco c u i ■ pass. in terTalio. Quam ob causam inter di Canopo dall’ Africa, e con qoella di Pehisio iosnlas quidam Aegyptum retulere, ita se fiodeote dall'Asia, con intervallo di cento setlauta miglia. Per la qual cosa alcuni hanno posto l'Egitto nel Nilo, ut triquetram terrae figuram efficiat. Ideo molli graecae lilerae vocabulo, Delta appeUave- numero delle isole, fendendosi il Nilo in modo, re Aegyptom. Mensura ab unitate alvei, oode se ch'egli viene a far la terra, che abbraccia, trian primum fiodit in latera, ad Canopicam ostium, golare. E perciò molli chiamarono I' Egitto in cxi»Ti k , ad Pelusiacum c c l v i m est. Summa pars, liogaa greca Delta. La misura dall’unità del letto, ond'egli prima si divide io rami, insino alla foco eoe termi na Aethiopiae, Thebais vocatur. Dividi tur in praefecturas oppidorum, qoas Nomos vo di Canopo, sono cento quarantasei miglia, e in cant, Ombilen, Apollopolilen, Hermonthiten, sino a Pelusio dugento cinqaantasei. La sua parto Tbiniten, Pbaturite·, Coptitea, Teotyriten, Dio- di sopra vicina all' Etiopia, si chiama Tebaide. Dividesi in prefetlore di città, le quali si chia· spolilen, Antaeopoliteo, Aphroditopoliten, Lycopoliteo. Quae juxta Pelosiom est regio, nomos mano Nomos, la Ombite, la Fanile, Γ ApoHohabet, Parbeetiten, Bobastiten, Sthroiteo, Tani- polite, la Ermontile, la Tioite, la Fatorite, la ten. Reliqoa autem Arabicum, Hammoniacum Coptite, la Tentirile, la Diospolile, 1* Anteopo· tendentem ad Hammonis Jovis oraculom, Oxy- lite, l ' Afrodito polite e la Licopolite. La regione, la qnale è presso a Pelusio, ha queste prefetture, rynchiteu, Leontopoliten, Athribiten, Cyoopoliten, Hermopoliten, Xoiten, Mendesium, Se· la Parbetite, la Bobastite, la Stroite, la Taoite. benoylea, Cabositen, Latopoliten, Heliopoliteo, L'altra regione, che si distende ali'Arabico, ha Prosopolilen, Panojwlilen, Bosirilen,Ooophitea, Ammoniaco, che va all'oracolo di Giove Animo·
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C. PLINII SECUNDI
Saiten, Ptenethu, Phthemphu, Naucrati len, Meteliten, Gynaecopoliten, Menelaiten, Alexandriae regione. Item Libyae Mareotis: Heracleopolites est in insula Nili, longa passuum quinquaginta m , in qua et oppidum Herculis appellatum. Arsinoitae duo sunt: hi et Memphites, usque ad summum Delta perveniant. Cui sunt contermini ex Africa dao Oesitae. Quidam ex his aliqua nomina per molant, et substituant alios nomos, ut Heroopoliten, Crocodilopoliten. Inter Arsinoiten autem ac Memphiten lacus fuit, circuitu c c l u passuum: aut, ut Mucianus tradit, c c c c l ■, et altitudinis quinquaginta passuum, manu factus : a rege, qui . fecerat,Moeridis appellatas. Inde l x i i u passuum, abest Memphis, quondam arx Aegypti regum: unde ad Hammonis oraculam xu dieram est. Ad scissuram autem Nili, qaod appellavimus Delta, xv ■passuum.
Nil i.
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ne, la Oxirinchite, Ia Leontopolile, ΓΑ tribite, la Cinopolile, la Ermopolite, la Xoiten, il Mendesio, la Sebennite, la Cabasile, la Latopolite, la Eliopolite, la Prosopolile, la Panopolite, la Busirite, la Onufile, la Saite, la Ptenela, la Ptenfu, la Nancratite, la Melelite, la Ginecopolite, la Me nelai le, nella regione d* Alessandria. E della Libia Mareotide, Eracleopolite è nell* isola del Nilo, Innga cinquanta miglia, dove anco è la cit tà detta d’ Ercole. Gli Arsinoiti son doe : questi ed i Mentiti vengono finto alla più alla parte del Delta; coi quali confinano di verso Africa i due Oasili. Certi sono, che cambiano i nomi di questi, e sostituiscono altre prefetture, come la Eroopolite e la Crocodilopolile. Fra Arsine e Menfi fa uh lago di circuito di dugento cinquan ta miglia, ovvero, come vuole Muziano, quattrocento cinquanta miglia, e profondo cinquanta passi, fatto a mano ; del re, che lo fece, chia mato Meride. Di là da questo lago sessantadue miglia è Menfi, già rocca de’ re d'E gitto; donde infino all'oracolo d’Ammone son dodici giornate, ed insino a dove il Nilo si divide, che noi chiamimmo Della, sono quindici miglia. . D bl N il o .
Il Nilo, il qual nasce da incerte fonli, va X. Nilos incertis ortus fontibus, it per deserta X. per luoghi deserti ed ardenti, camminando un el ardentia: et im m en so longitudinis spatio am grandissimo spazio di lunghezza, e solamente bulans, famaque tantam inermi quaesitu cogni tus, sine bellis, quae ceteras omnes terras invene per fama è conosciuto, senza guerre, le quali tro re. Originem (ut Juba rex potait exquirere) in varono tutte le altre parti del mondo. Ma per monte inferioris Mauritaniae, non procal Oceano quanto potè investigare il re Giuba, il Nilo ha habet, lacu protinus stagnante, quem vocant l ' origin sua in un monte della Mauritania infe Nilidem. Ibi piscesreperiunturalabetae, coracini, riore, poco discosto dal mare, stagnando sabito siluri. Crocodilus quoque inde ob argumentum in lago, che si chiama Nilide. Quivi si trovano .hoc Caesareae in Iseo dicatus ab eo spectatur pesci alabeti, concini, silari. Ed eziandio il cro hodie. Praeterea observatum est, proot in Maucodilo che per qnesta ragione a Cesarea nel tem r i lania nives imbresve satiaverint, ita Nilum in pio d 'Iside dedicalo si vede anche oggidì. Olirà crescere. Ex hoc lacu profusus indignatur fluere di ciò s 'è osservato, che come le nevi e le per arenosa el squalentia, conditque se aliquot piogge son grandi nella Maoritania, così cresce dierum itinere. Mox alio lacu majore, in Caesa il Nilo. Uscendo egli danqae di qaesto lago, si riensis Mauritaniae gente Massaesylum erumpit, sdegna passare per luoghi arenosi e deserti, et hominum coelus veluti circumspicit, iisdem e così entra sotterra per alcnue giornate di animalium argumentis: iterum arenis receptus cammino. Esce dipoi formando un altro lago conditur rursus xx dierum desertis ad proximos maggiore nel paese de* Massesili della Mauri Aethiopas : atque ubi iterum senserit hominem, tania Cesariese, quasi spia ove sieno raananze prosilit, fonte (ut verisimile est) illo, quem Nidi uomini' per manifestarsi co1 medesimi argo grin vocavere. Inde Africam ab Aethiopia dispementi degli animali. Di nuovo ricevuto dal. scens, etiamsi non protinus populis, feris tamen l’arene, s’asconde un'altra volta per venti gior el belluis frequens, silvarumque opifex, medios nate ne' deserti infino a' prossimi Etiopi : e co Aethiopas secat, cognominatus Astapus, quod me da capo sente uomini essere sopra la terra, illarom gentium lingua significat aquam e tene salta fuora per quel fonte, com'è verisimile, bris profluentem. Insulas ila innumeras spargit, che si chiama Nigro. Partendo poi l'Africa dalquasdamque tam vastae magnitudinis, ut quam l ' Etiopia, sebben non così subito scorre per quam rapida celeritate, tameu dierum quinque popoli, nondimeno frequentato da fiere e bestie,
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HISTORIARUM MONDI L 1B. V.
cursu nou breviore transvolet : circa clarissimam earum Meroéu, Aslabores laevo alveo dictus, hoc esi, ramus aquae venientis e tenebris: destro vero Aslnsapes, quod latentis significationem adjicit: nec aote Mus, quam se totum aquis concordibus rusus junxit: sic quoque etiaranum Siris, ut ante, nominatus per aliquot millia,et in totum Homero Aegyptus, aliisque Triton : subinde insulis im pactus, totidem incitatus irritamentis: postremo inclusus montibus, nec aliunde torrentior, veclus aquis properantibus ad locum Aelhiopum, qui Catadupi vocantur, novissimo calarracle inter oc cursantes scopulos non fluere immenso fragore creditur,sed ruere. Postea lenis et confractis aquis, domitaque violentia, aliquid et spatio fessus, multis quamvis faucibus in Aegyptium mare se evomit. Cerlis tamen diebos auctu magno per totam spatiatus Aegyptum, fecundus innatat terrae.
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e generando delle selve, corre per mezzo 1' Etiopia, cognominato Astapo, che in quella lin gua significa acqua, che vien dalle tenebre. Fa di molle isole, e certe sì grandi, che benché velocissimaraente corra, nondimeno non le passa in manco tempo, che di cinque giornate. E circa Meroe, la più nobile di tutte, dal manco lato é chiamato Astabore, cioè, ramo d'acqua, che vien dalle tenebre ; e dal destro Astusape, il che si gnifica cosa, che s'asconde ; nè prima si chiama Nilo, se non quando egli di nuovo s'è tulio unito insieme con acque concordi: così ancora oggi è dello Siri, come avaoti, per alcune miglia, e da Omero è chiamalo io tutta la sua estensione Egitto, e da altri Tritone. Dipoi, dando qua e là in isole, concitato da lauli incentivi, e finalmente rinchiuso ne’ monli, più veloce, che altrove è traportato da rapidissime acque ad un luogo di Etiopia, chiamato Catadupi ; e all'ultimo cateratte fra scogli che Pai traversa no, col grandissimo stre pilo, che fa, par piuttosto che ruini, che corra. Dipoi piacevole, e con l'acque spezzale, e domala assai la sua furia, e stanco ancora dal lungo viaggio, mette, benché con molle foci, nel mare Egizio. Nondimeno per certi giorni con grande accrescimento ricuopre tutto l'Egitto, e nuotan do sopra la terra, viene a farla feconda. Cansas hujus incrementi varias prodidere:sed Diverse cagioni sono siale scritte di questa maxime probabiles, Etesiarum eo tempore ex ad· pien^ male più probabili sono, che i venti chiaverso flantium repercussum, ultra in ora acto ma 'raali Etesie soffiano in que' giorni, e rispingono ri : aut imbres Aethiopiae aestivos, iisdem Etesiis il mare alla foce del Nilo, il quale non potendo nobila illo ferentibus e reliquo orbe.Timaeus ma entrare, rigonfia. Altri dicono esser di ciò cagione thematicos occultam protulit rationem : Phialam le piogge dell'Etiopia nella state, perchè i mede appellari fontem ejus, mergique in cuniculos simi venii Etesie portano quivi le nugole di tutto ipsnm amnem, vapore anhelantem fumidis cauli il resto delle parli del mondo. Timeo matema bus ubi conditur. Verum sole per eas dies comi tico produsse una ragione occulta: e dice, che nus facto, extrahi ardoris vi, et suspensum abun il fonte suo si chiama Fiala, ed esso fiume si dare, ac ne devoretur, abscondi. Id evenire a nasconde in canali sotterra, e che manda fuori Canis ortu, per introitum solis in Leonem, contra molli vapori dalle fumicose pietre dove s'ascon perpendiculum fontis sidere stante, quum in eo de. Ma in que' giorni accostandosi più il sole, è ritiralo fuora dalla forza dell'ardore, e sospeso tractu absumantur umbrae. Plerisque e diverso opinatis largiorem fluere, ad septemtrionem sole abbonda, e per non essere divorato, s'appiatta. discedente, quod in Cancro et Leooe evenit, ideoE questo avviene, quando nasce la Canicula, che que tunc minus siccari. Hursus in Capricornum il sole entra in Lione, stando la stella a dirittura austrioum polum reverso sorberi ; et ob id par sopra la fonte, perciocché in quel paese non sono dus fluere. Sed Timaeo si quis extrahi posse cre ombre di mezzogiorno. Altri diversi da questi dat, ombrarum defectus iis diebus et locis sine assegnano la ragione, eh' ei corra più grosso, calando il sole a settentrione, il che avviene in fine adest. Granchio ed in Lione ; e perciò allora si secca manco. Di nuovo sendo tornato il sole nel Capri corno, e nel polo australe, è inghiottito, e perciò allora corre più basso. Ma se alcuno vorrà cre dere a Timeo, potersi ritirar fuori, il mancamento dell' ombra in que' giorni e quei luoghi è senza fine. Egli incomincia a crescere per la luna nuova, Incipit crescere luna nova, quaecumque post
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C. PLINII SECUNDI
solstitium est, sensira modiceque Cancrum sole transeunte, abundantissime autem Leonem. Et residit in Virgine, iisdem, quibus adcrevit, mo dis. In totum autem revocatur intra ripas in Li bra, ut tradit Herodotus, centesimo die. Quum crescit, reges aut praefectos nati gare eo, nefas judicatum est. Auctus per puteos meosurae notis deprehenduntur. Justum incrementum est cubi torum x t i . Minores aquae non omnia rigant: am pliores detinent, tardius recedendo. Hae serendi tempora absumunt solo madente : illae non dant sitieote. .Ulruraque reputat provincia. In duode cim cubitis famem sentit, in tredecim etiamnum esurit: qualuordecira cabila hilaritatem adie runt: quindecim securitatem: sedecim delicias. Maximum incrementum ad hoc aevi fuit cubitornm decem el octo, Claudio principe : minimam quinque, Pharsalico bello, veluti necem Magni prodigio quodam flumine aversante. Quam stete re aquae, apertis molibus admittuntur. Ut quae que liberata est terra, seritur. Idem amnis unus omniaiu uullas exspirat anras.
Ditionis Aegypti esse incipit a fine Aethiopiae Syene: ita vocatur peninsula centum mill. passuum ambitu, in qua Cerastae sunt, latere Arabiae: et ex adverso insula iv Philae, dc m passuum a Nili fis sura, unde appellari diximus Delta. Hoc spatium edidit Artemidorus, et in eo c c l oppida fuisse. Juba cccc mpassuum. Aristocreon ab Elephanti de ad mare d c c l m pass. Elephantis insula intra novissimum catarracten iv n passuum, el supra Syenen xvi m habitatur, navigationis Aegyptiae finis, ab Alexandria d l x x x m pass. In tantum erravere suprascripti. Ibi Aethiopicae conveniant naves. Namque eas plicatiles humeris transferunt, quoties ad catarractas ventum est.
* U b b i o m itr A e g y p t o * .
XI. Aegyptus super ceteram antiquitatis glo riam xx m urbium sibi, Amase regnante, habita te praefert: nuuc quoque multis, etiamsi ignobi libus, frequens. Celebratur tamen Apollinis: mox Leacotheae : Diospolis magna,eadem Thebe por tarum centum nobilis fama : Coptos Indicaram Arabicarumque mercium Nilo proximum erapo-
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che viene dopo il solstitio, ma adagio e poco, mentre che il sole passa il Granchio, ed abboadanlissimamenle, quando egli è nel Lione. E sco rna nella Vergine, per quei medesimi nodi che crebbe. E del tutto è ritiralo entro le ripe nella Libra, come dice Erodoto, nel centesimo gior no. Quando egli cresce, è tenuto cosa contra ragione, che i r e , o i prefetti navighino per quello. Le misure del suo accrescimento si cono scono per li pozzi a certi segni. 11 giusto crescer suo è di sedici braccia. Se le acque son più basse, non bagnano per tutto : se son più alle, si par tono più tardi. E così queste levaao i tempi del seminare, essendo la terra bagnata; e quelle non 10 danno, essendo assetata. L'uno e l'altro modo avvertisce la provincia. In dodici braccia significa fame, in tredici ancora aflàma. In quattordici braccia dimostra allegrezza, in quindici sicurez za, in sedici delizie. Il maggior accrescimento insino a questa età è stato dieciotto braccia, al tempo di Claudio imperadore : e il minore fa di cinque nella guerra di Farsalia, come se 11 fiume per un certo suo prodigio fuggisse di vedere la morte di Pompeo Magno. Qoando le acque son ferme, é'apron gli argini, e dassi loro la via. E come alcuna parte della terra è libera dall' acqua, si semina. Questo Some solo fra tutti gli altri non mena alena vento. Siene, la quale è a'eonfini dell' Etiopia, co mincia ad essere della giurisdizione d'Egilto : così si chiama una penisola, che gira cento mi glia, nella quale di verso Γ Arabia sono le Cera ste : ed al dirimpetto dell' isola le quattro File, lontane seicento miglia da donde il Nilo ai di vide, ove dicemmo che si chiama Della* Questo spazio pose Artemidoro, e disse, che in esso furono dugento cinquanta città. Giuba disse quattrocento miglia. Aristocreone da Ele&ntide al mare settecento cinquanta miglia. La isola Elefantide sotto alPultima cateratta si abita quattro miglia, e sopra Siere sedici, fine della naviga zione d 'Egitto, da Alessandria cinquecento ot tanta miglia : tanto hanno errato i soprascritti. Quivi vengono i navili di Etiopia : perciocché gli scommettono, e gli trasportano sulle spalle, quando son venuti alle cateratte. D e l l b c it t à c h b sor b e l l ' E g i t t o .
XI. Lo Egitto, sopra l’altra gloria ddl'anlichilà sua, ha questa, che regnandovi Amasi ebbe venti mila città, ed oggi ancora n' ha molte, ben ché ignobili. Nondimeno è celebrata assai qaella di Apolline, dipoi Leacotea, Diospoli la grande, e Tebe ancora con le sue cento porte, nobile per fama: e Copto, copiosa di mercanzie d 'India
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HISTORIARUM MUNDI LIB. V.
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riam. Mox Veneri· oppidam, d iterum Jovis, ac Tentyris : infra qaod Abydus, Memnonis regia,et Osiris tempio ioclytum, tu ι n passuum in Li byam remotam a flamine. Deiu Ptolomais, et Pauopolis, ac Veneris iterum. Et iu Libyco Lyooo, ubi montes finiant Thebaidem. Ab iis oppi da Mercurii, Ala basi ron, Canam, et supra dictum Herculis. Deinde Arsinoe, et jam dicta Memphis : inler qaam et Arsinoiten nomon, in Libyco, tur res, qaae pyramides vocantur. Labyrinthus in Moeridis lacu nullo addito ligno exaedificatus : et oppidum Crialon. Unum praeterea intus et Arabiae conterminum claritatis magnae, Solis oppidam.
e di Arabia, fiera e mercato prossimo al Nilo. V* è poi la città di Venere, quella di Giove, e Tentiri, sotto la quale è Abido, città reale di Memnone, illustre per lo tempio di Osiri, sette miglia e mezzo discosto dal fiume in Libia. Dipoi l'olemaide, e Panopoli, ed una altra cillà pur di Ve nere. E nel Libico Licone, dove i monti finiscono la Tebaide. Dopo questi, le città di Mercurio, Alabastro, Cano e la sopraddetta d'Èrcole. Poi Arsinoe, e la già detta Menfi ; fra la quale e la prefettura di Arsinoe, nel Libico, sono torri, che si chiamano le piramidi. Il labirinto nel lago di Meride, fatto sena’ alcun legname : e la citlà di Crialone. Oltra di questa, più addentro ve n 'è una, confine dell' Arabia, di gran fama, che è la città del Sole. 10. Sed jure laudetur in litore Aegyptii maris io. Ma più ragionevolmente è lodata Ales Alexandria, a Magno Alexandro condita, in Afri sandria, nel lito del mare Egizio, edificata da cae parte, ab ostio Canopico xn mill. passunm Alessandro Magno, in parte di Africa, lontana dalla foce di Canopo dodici miglia, appresso il juxta Mareolim lacum, qui locus antea Bhacoles nominabatur. Metatus est «eam Dinochares ar lago Mareotide, il qual lago prima si chiamava chitectus pluribus modis memorabili ingenio, x t Racole. Dinocare architetto la misurò in più m passuum laxitate insessa, ad effigiem Mace modi con mirabile ingegno, posta con la latitu donicae chlamydis orbe gyrato laciniosam, dex dine di quindici miglia, a simiglianza d'una tra laevaque anguloso procursu : jam tum tamen clamide Macedonica, con ripiegatura d'aggirato quinta silus parte regiae dicata. tondo da man ritta e man manca, con distendi mento di angolo ; e per la quinta parie del sito fu dedicala alla casa regia. Il lago Mareotide dalla parte di mezzodì del Mareotis laeus a meridiana urbis parte, euri la citlà, per canale dalla foce di Canopo è am po e Canopico ostio mittitur mediterraneo c o m messo al commercio mediterraneo, abbracciando m e r c i o , insalas quoque plores amplexus, trigin anco molle isole : il suo traghetto è trenta miglia, ta mill. passuum trajectu, c l ambitu, ut tradit il circuito cento cinquanta, come scrive Claudio Claudius Caesar. Alii schoenos in longitudinem patere x l faciunt, schoenumque stadia triginta : imperadore. Alcuni altri dicono, ch'è lunga qua ita fieri longitudinis cl mill. pass. tantumdem et ranta scheni, ed ogni scheuo fa trenta stadii: tanto che viene ad essere cento cinquanta miglia latitudinis. di lunghezza, ed altrettanto di larghezza. Sono in pregio ancora dentro il ricorso del Sunt in honore et intra decursus Nili multa Nilo molte città, e masiiraamente quelle, che oppida, praecipue quae nomina dedere ostiis, diedero il nome alle foci ; non a tulle, perchè non omnibus ( xu enim reperiuntur, superque sono dodici, e quattro son quelle, che si chia quatuor, quae ipsi falsa ora appellant),sed cele berrimis septem,proximo Alexandriae Canopico, mano foci salse; ma sette sono le celebrale, la più deinde Bolbitino, Sebennytico, Phatnitico, Men vicina ad Alessandria è Canopo, dipoi Bolbitiua, desico, Tanilico, ultimoque Pelusiaco. Praeterea Sebennitica, Falnitica, Mendesica, Tanitica, e Butos, Pharbaelhos, Leontopolis, Athribis, Isidis l'ultima Pelusiaca. Vi sono aoco altre città, come oppidum, Busiris, Cynopolis, Aphrodites, Sais, Buio, Farbelo, Leontopoli, Atribi, la cillà d’ Isi Naucratis : unde osiium quidam Naucrati cum no de, Busiride, Ctnopoii, Afrodito, Sai, Naucrati ; minant, quod alii Heracleoticum, Canopico, cui onde alcuni chiamano la foce Naucratica, che di alcuni altri è detta Eradeotica, mettendola proximam est, praeferentes. innanzi a quella di Canopo, a cui è vicina.
Ausui, Q D il BST AD MAXB AbGTPTIOM. XU. 11. Ultra Pelusiacum Arabia est, ad Ru brum mare pertinens, et odoriferam illam, ac divitem et Beatae cognomine inclytam. Haec Ca-
D b L c ' AiIABIA SUL MAX D' EGITTO.
X ll. 11. Di là da Pelusio è l'Arabia che con fina col mar Rosso, e con quella odorifera, e ricca, ed illustre per esser chiamala Felice. Que-
C. PLINII SECUNDI
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tabanum et Esbonitarum, et Scenilaram Arabum. vocatur, sterilis, praeterquam ubi Syriae confinia ad tingit, nec nisi Casio raoole nobilis. His Ara bes junguntur, ab oriente Cancblei, e meridie Cedrei, qui deinde ambo Nabataeis. Heroopoli· ticus vocatur, alterque Aelanilicus sinus Rubri maris in Aegyptum vergentis, c l mill. pass. in tervallo inter duo oppida, Aelana, et in nostro mari Gazam. Agrippa a Pelusio Arsinoen Rubri maris oppidum, per deserta cxxv ■ passuum tradit : tam parvo distat ibi tanta rerum naturae diversitas.
sta è detta de' Celabani, degli. Esbonili e degli Arabi Sceniti, sterile, fuorché dov'ella tocca i con fini della Siria, e non è nobile se non per il mon te Casio. Con questi si coogiungono gli Arabi, da levante i Canclei, da mezzogiorno i Cedrei, e questi due co' Nabatei. Due golfi sono del mar Rosso, che volta in Egitto: l ' uno si chiama Eroopolitico e l’altro Elanilico, di cento a l quanta miglia d'intervallo fra doe città Elana, e nel nostro mare. Gaza. Agrippa scrive, che.da Pelusio ad Arsinoe, citlà del mar Rosso, per li deserti sono cento venticinque miglia; olire a sì poco spazio di distanza è tanta diversità di natura.
S y b ia e .
D b lla S ib ia .
XIII. ia. Juxta Syria litus occupat,quondam XIII. ia. La Siria dipoi occupa il lito, una terrarum maxima, el pluribus distincta nomini già delle grandissime province del mondo, e bus. Namque Palaestina vocabatur, qua contingit distinta di più nomi. Perch’ ella si chiamava Arabas, et Judaea, et Coele, dein Phoenice:et Palestina, dove confina con gli Arabi, e Giudea, qua recedit intus, Damascena: ac magis etiamnum e Cele, dipoi Fenicia : e dov'ella si ritira indentro, meridiana, Babylonia. Et eadem Mesopotamia Damascena : ed anco oggidì la parte più meridia inter Euphratem etTigrin : quaque transit Tau· na, Babilonia. La medesima anoora s'è-chiamala rum, Sophene : citra vero etiam Commagene. Mesopotamia fra l'Eafrate ed il Tigri: e dove passa Et ultra Armeniam, Adiabene, Assyria ante dicta : il monte Tauro, Sofene: e di qaa ancora Comageet ubi Cilicia adtingit, Antiochia. Longitudo ejus ne. Di là dall'Armenia, Adiabene, prima delta As inter Ciliciam et Arabiam, c c c c l x x m passuum siria : e dov'ella confina con la Cilicia, Antiochia. est. Latitudo a Seleucia Pieria, ad oppidum in La lunghezza d'essa fra la Cilicia e l'Arabia, è Euphrate Zeugma, c l x x v m passuum. Qui subti quattroceulo settanta miglia, e la larghezza da lius dividunt, circumfundi Syria Phoenicen vo Seleucia Pieria fino a Zeugma, città nell' Eufrate, lunt : et esse oram maritimam Syriae : cujus pars cento settantacinque miglia. Quegli, che più sot sit Idumaea et Judaea, deinde Phoenice, deinde tilmente dividono, vogliono che la Feoicia sia Syria.Id quod praejacet mare totam,Phoenicium circondata della Siria, e ch'ella sia region marit appellatur. Ipsa gens Phoenicium in magna gloria tima della Siria, parte della quale sia la ldumea literarum inventionis, et siderum, navaliumqae e la Giudea, dipoi la Feaicia, dipoi la Siria. ac bellicarum artiam. E tolto quel mare, che gli sta davanti, si chiama Fenicio. Questi popoli Fenici hanno avuto gran fama d'aver trovato le lettere, e la scienza del le stelle, e dell'arti navali, e del guerreggiare. I domabab , P a l a e s t is a b , S a v a b ia b .
D b l l ' I d um ea , P a l e s t in a e S a m a sia .
XIV. A Pelusio Chabriae castra, Casias mons, XIV. Dopo Pdosio è il Campo di Cabria, ■ delabram Jovis Casii, tumulas Magni Pompeju il monte Casio, il tempio di Giove Casio, la se Oslracine Arabia finitur, a Pelusio l x v mill. poltura di Pompeo Magno. Ostracìne finisce l'Arabia, da Perusio sessanlacinque miglia. passuam. ìS. Comincia poi U ldumea, e la Palestina, i 3. Mox Idumaea iacipit, et Palaestiaa, ab emersa Sirbonis lacus, qaem quidam c l v pas donde sorge il lago Sirbone, il qoale secondo alcuui ha di circuito cento dnqoanta miglia : suam circuita tradidere : Herodotus Casio mouti Erodoto lo congiunse al monte Casio : ora è ana adplicuit : nunc est palus modica. Oppida : Rhi picciola palude. Le città sono : Rinocolura, e più nocolura, et intus Raphea : Gaza, et intus Anthe don: mons Argaris. Regio per oram Samaria. addentro Rafea : Gaza, e fra terra Antedone : Oppidam Ascalo liberum, Azotus : Jamneae duae, il monte Angari. Il paese lango la riviera si chia ma Samaria. Ascalone città libera, ed Asolo : altera iotas. Joppe Phoenicam, antiquior terra due Giamne, Tana.fra terra. Gioppe de' Fenici, rum inundatione, at ferant. Insidet collem prae
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jacente saio, io qao vinculorum Andromedae vestigia ostendunt. Colitor illic fabulosa Ceto, lode Apollonia : Stratonis turris, eadem Caesarea, ab Herode rege coadita : nane colonia prima Flavia, a Vespasiano imperatore deducta. Finis Palaestines centum octoginta novem millibus pas suum, a confinio Arabiae : deinde Phoenice, lolus autem Samariae oppida : Neapolis, qaod antea Afaraorlha dicebatur : Sebaste ia monte; et altiore Gemala.
JoDABAE.
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più antica, come si dice, che la innondatone della terra. Ella è posta sopra un colle, dinanzi al quale è un sasso, nel quale si mostrano i ve stigii d e 'legami d'Andromeda. Quivi s'adora la favolosa Ceto. Dipoi c' è Apollonia, e la torre di Stratone, detta anco Cesarea, edificata dal re Erode : ora è chiamata Flavia prima colonia, condotta da Vespasiano imperadore. Il fine del la Palestina è cent'otlantanove miglia dal confine dell' Arabia : dipoi la Fenicia. Le città di Sama ria fra terra sono: Napoli, la quale prima si chiamava Mamorta : Sebaste e Gamala sopra nn monte molto alto. D e l l a G iu d e a .
XV. 14. Sopra Idumaeam et Samariam Judaea XV. 14. Sopra la Idumea e la Samaria »i longe laleque fundilnr. Pars ejus Syriae juncta, distende la Giudea per longitudine e per latitu Galilaea vocatur : Arabiae vero el Aegypto pro dine. Una parte d’essa giunta con la Siria si chia xima Peraea, asperis dispersa montibus, et a ma Galilea : e quella, eh' è vicina all'Arabia ed ceteris Judaeis Jordane amue discreta. Reliqua all'Egitto, Perea, sparsa di monti molto aspri, Judaea dividitur in toparchias decem, quo diceseparata dagli altri Giudei dal fiume Giordano. iDOs ordine : Hiericontem palmetis consitam , Il resto della Giudea è diviso in dieci torpachie, fontibus irriguam Em ma11ra : Lyddam, Joppi- con quel ordine, che diremo : Iericunle, dovi cam, Acrabalenam, Gophnilicaro, Thamnilicam, ziosa di palme, Emrnaus copiosa di fonti : Lidda, Bethleptephenen, Orinen, in qaa fuere Hieroso Gioppica, Acrabatena, Gofnitica, Tamnitica, lyma, longe clarissime orbium Orientis, oon Betleptef, ed Orine, dove fu Gerusalemme, una Judaeae modo : Herodium cum oppido illustri delle più illustri citlà di levante, non por della ejusdem nominis. Giudea : Erodio con una cillà illustre del mede simo nome. 1 5. Jordanis amnis oritur e fonte Paneade, 15. Il fiume Giordano nasce dal fonte Pa qni cognomen dedit Caesareae, de qua dicemus : neade, il quale diede il cognome a Cesarea, amnis amoenus, et quatenus locorum situs pati della quale parleremo: fiume ameno, e per quan tor, ambitiosos, accolisque se praebens, velut to comporta il sito del paese, comodo agli abi invitos Asphaltiten lacum dirum natura petit, a tanti con le gran giravolte, che fa, come se mal quo postremo ebibitur, aquasque laudatas perdit volentieri egli entrasse nel lago Asfaltile, dal qua pestilentibus mixtas. Ergo ubi prima convalliom le finalmente è inghiottito, e perde le sue lodevoli luit occasio, in lacum se fundit, quem plures acque mescolate con .le triste. Sì tosto dunque, Genesaram rocant,xvimill.passoam longitudinis, ch'egli ha la prima occasione delle valli, entra vi mill. latitudinis, amoenis circumseptum oppi in un lago, che da molti è chiamato Genesara, dis : ab oriente, Juliade, et Hippo : a meridie, lungo sedici miglia, e largo sei, circondato da Tarichea, quo nomine aliqui et lacum appellant : piacevoli città : da levante da Giuliade ed Ippo, ab occidente Tiberiade, aquis calidis salubri. verso mezzodì da Tarichea, col qual nome alcuni chiamano ancora il lago, verso ponente da Tibe riade, dove sono salubri acque calde. 16. Asphaltites nihil praeter bitumen gignit : 16. Il lago Asfai ite non produce altro che bitu me, e di qoi anco ha preso il nome. Egli non rice unde et nomen. Nullum corpus animalium reci pit : tauri camelique fluitant. Inde fama, oihil in ve corpo alcono d'animali : i tori ed i cammelli vi eo mergi. Longitudine excedit centum mpassuum, stanno a galla. E perciò si dice, che in esso cosa latitudine maxima sxv implet, minima sex. Pro veruna non va a fondo. E luogo più di cento spicit eum ab oriente Arabia Nomadum, a meri miglia, e largo dove più venticinque, e dove meno sei miglia. Guarda verso levante l’Arabia die Macbaerus, secunda quondam arx Judaeae, ab Hierosolymis. Eodem latere est calidus'fons de'Nomadi, da mezzodì Machero, già seconda rocca della Giudea dopo Gerusalemme. Dal mede medicae salubritatis Callirrhoe, aquarum gloriam ■ simo lato è un fonte caldo di salutifera medicina . ipso nomine praeferens.
C. PUNII SECUNDI
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ij. Ab occidente litora Esseni f a g i a n i , usque qua nocent : geas sole, et in tolo orbe praeter celeras mira, sine ulta femiua, ornai Venere ab· dicala, sine pecuuia, socia palmarum. In diem ex •equo convenarum turba renascitor, large fre quentantibus, quos Tita fessos ad mores eorum fortunae flaclas agitat. Ita per secoloraiu millia (incredibile dicto) gens aeterna est, in qua nemo nascitur. Tam fecunda illis aliorum tilae poeni tentia est. Infra hos Engadda oppidum fuit, secundum ab Hierosolymis fertilitate, palmetorumque nemoribus : nunc alterum bustum. Inde Masada castellum in rupe, et ipsnm haud procol Asphaltite. El hactenas Judaea est.
* D e c a p o l r o s *.
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detto Calliroe, il qoale'coi nome istesso mostra aver gloria delle sae seque. 17. Gli Esseni da ponente fuggono i liti in aino a dove naocono : gente sola, ed in tatto il mondo maravigliosa sopra le altre, come quegli che vivono senza donne, nè però hanno lussuria alcuna, senza danari, in compagnia delle palme. Essi non vengon mai manco, perchè tutto il giorno si riducono a viver con essoloro quelli, che stracchi dalla vita, dalla contraria fortuna son tirali a' costumi loro. E così per migliaia d'anni (cosa incredibile a dirsi) questa nazione è eterna, dove non ci nasce persona. Tanto fe conda è loro la noia, che altri ha della vita. Sotto essi fu la città d*Eogadda, seconda dopo Geru salemme di fertilità, e di boschi di palme ; al presente ruinata come quella. Dipoi Masada, ca stello sopra una balza, poco lontano aneh'esso da Asfalile. Insino a qui basti della Giudea. D i l l a D e c a p a l i.
XVI. 18. Jungitur ei latere Syriae Decapoli- XVI. 18. Congiugnesi con essa dal lato del tana regio, a numero oppidorum, in quo non la Siria il paese di Decapoli, con detto dal oa» omnes eadem observant. Plurimi tamen Dama mero delle città, nel quale tutti, non concordano. scum ex epoto riguis amne Chrysorrhoa fertilem: Nondimeno assai pongono Damasco, bagnata e Philadelphiam, Rhaphanam, omnia in Arabiam renduta fertile dal fiame Chisorroa : Filadelfia, recedentia. Scylhopolin (antea Nysam, a Libero e Rafaoa ; e tutte queste sono verso l'Arabia. patre, sepolta nutrice ibi ), Scythis deductis. Scitopoli, prima chiamata Nisa, dal padre Bacco, Gadara, Hieromiace praefluente, et jam dictum il quale sepellì quivi la sua balia, e condusse*» Hippon : Dion, Pellam aquis divitem, Galasam, Sciti. Gadara, dove corre il fiume leroraiaco, Cana (hara. Intercursant cinganlque bas urbes ed il già dello Ippon : Dion, Pella ricca d'acque, tetrarchiae, regionum instar singulae, et in regna Galasa e Canata. Cingono queste città alcune tetrarchie, le quali sono come regni, e s o m conlribuantar, Trachonitis, Paneas, in qua Cae sarea cum supradiclo fonte : Abila, Arca, Ampe- contribuite in regni, Traconitide, Panea, nella qoale è Cesarea col sopraddetto fonte: Abila, loessa, Gabe. Arca, Ampeloessa e Gabe. P h o e n ic iis .
D e lli Furici a .
XVII. 19. Hinc redeundum est ad oram,atque XVII. 19. Di qui s* ha da ritornare alla ri Phoenicen. Fuit oppidam Crocodilon,esl flamen: viera ed alla Fenicia. Qui fa la città di Crocodito, or evvi fiume: memoria delle città, Doro, memoria urbiam, Doron, Sycaminon. Prom onto rium Carmelum, et in monte oppidam, eodem Sicamino. 11 promontorio Carmelo, e nel monte nomine, quondam Ecbatana dictam. Juxta Getia, una ci Uà del medesimo nome,detta già Ecabalana. Jebba : rivos Pagida, sive Belus, vitri fertiles Dipoi Getta e G>ebba: il rio Pagida, ovver Belo, arenas parvo litori miscens. Ipse e palude Ceude- il quale mescola le fertili arene Col vetro per il pieeiol lito. Ed esso vieoe dalla palude Cendevia via a radicibus Carmeli profluit. Juxta colonia dalle radici del Carmelo. Qoivi appresso è Tole Claodii Caesaris Ptolemais, qoae quondam Ace. Oppidum Ecdippa. Promontorium Albam. Tyrus noaide, colonia di Claodio imperadore, la quale quondam insala, praealto mari septingentis pas g»* si chiamò Ace. La città Ecdippa, ed il pro sibus divisa, nane vero Alexandri oppugnantis montorio Albo. Tiro già isola, divisa dal mare operibas continens, olim partu clara, urbibas ge settecento passi,ma ora è lerra (erma, per opera di nitis, Lepli, Utica, et illa Romani imperii aeraola, Alessandro Magno, quando la espugnò, già famosa per le citlà che uscirono d'essa, le quali sono terrarum orbis avida, Carthagine : etiam Gadi Lepti, Utica, e quella concorrente dell’ imperio bus extra orbem conditis. Nunc omnis ejus nobi-
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HISTORIARUM MUNDI LIB. V.
IiU« conchylio atque purpura constat. Circuitus xix mill. passuum est, intra Palaetyro inclusa. Oppidum ipsum xxu stadia obtinet. Inde Sarepta, et Ornithon oppida ; el Sidon artifex vitri, TheLarumque Boeotiarum parens.
ao. A tergo ejus mons Libanus orsus, mille quingentis stadiis Simyram usque porrigitur, qua Coele Syria coguomiualur. Huic par, interjacente ▼alie, mons adversus Antilibanus obtenditor, quondam muro conjunctos. Post eum introrsus, Decapolilana regio est, praedictaeque cura ea te trarchiae, et Palaestinae tota laxitas. At in ora eliamnom subjecta Libano, fluvius Magoras : Be rytus colonia, quae Felix Julia appellatur. Leontos oppidum : fluraeu Lycos : Palaebyblos : flu men Adonis. Oppida : Byblos, Botrys, Gigarta, Trieris, Calamos: Tripolis, quam Tym et Sidonii e l Aradii oblinent. Orthosia, Eleulheros flumen. Oppida: Simyra, Marathos, contraqne Arados septem stadiorum oppidum et insula, ducentos passas a continente distans. Regio, in qua supradicti desinunt montes, et interjacentibus campis, Bargylus mons incipit.
S t r ia e A b t i o c h i a b .
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Romano, e bramosa di pigliar tulio il mondo, Cartagine : e Gade ancora edificato fuor del mondo. Ora lulta la sua nobiltà cousisle nel conchilio e nella pnrpora. 11 circuito suo è diecinove miglia, afeudo rinchiusa in sè Paletiro : e la città islessa abbraccia d'intorno a tre mi glia. Dipoi Sarepta, ed Ornilo città: e Sidone, nella quale si fa il vetro, e madre di Tebe di Beozia. ao. Dietro a questa è il monte Libano, il quale si distende mille cinquecento sladii fino a Siraira, per dove si chiama Celesìria. Un altro monte si distende eguale a questo con una valle in mezzo, il quale si chiama Antilibano, con giunto già con una muraglia. Dopo esso ad dentro è la regione Decapolitana, e con essa le dette tetrarchie, e tutta la larghezza della Pa lestina. E nella riviera sotto il monte Libano, è il fiome Magora : Berilo colonia, la quale si chia ma Giulia Felice, la città di Leonte: il fiume Lieo: Palebiblo: il fiume Adoni. Le citlà : Biblo, Botri, Gigarta, Trieri, Calamo: Tripoli, la quale è abitala da Tirii, da Sidonii e da Aradii. Ortosia, il fiume Eleolero. Le città : Simira, Marato, ed all' incontro Arado citlà ed isola di ottocento sellanlacinque passi, e lontana dugento da terra ferma. La regione, dove finiscono i sopraddetti monti, e il monte Bargilo, che comincia al di là delle pianure, che vi sono fra mezzo. D ella
Si ai a
A b t io c b e b a .
XVIII. E qui di nuovo è la Siria, finendo la XVIII. Hinc rursns Syria, desinente Phoenice. Fenicia. Le città sono : Carne, Balanea, Palio Oppida : Carne, Balanea, Paltos, Gabale : prornootorium, in quo Laodicea libera, Diospolis, e Gabale : il promontorio, dov' è Laodicea libera, Diospoli, Eraclea, Caradro e Posidio. Heraclea, Charadrus, Posidium. ai. Dipoi v'è il promontorio della Siria d'Anai. Deinde promontorium Syriae Antiochiae. tiochia. Ed addentro Antiochia libera, cognomi Intus ipsa Antiochia libera, Epidaphnes cogno minata, Oronte amne dividitor. In promontorio nata Epidafne, divisa dal fiume Oronte. Nel prò· mootorio poi è Seleucia libera, chiamata Pierta. aolem Selencia libera, Pieria appellata. aa. Super eam mons eodem, quo alios, nomi 22. Sopra essa è il monte Casio del medesimo nome, che l'altro, la cui suprema altezza nella ne, Casias. Cujus excelsa allilado quarta vigilia orientem per tenebras solem aspicit : brevi cir quarta vigilia della noi le vede nascere il sole al buio ; e con breve giro della persona dimostra cumactu corporis, diem uoclemque pariter osten parimente il di e la notte. Il circuito suo nella dens. Ambitus ad cacumen xix u pass. esi : alti cima è diciannove miglia, e l'altezza per di ilio è tudo per directam, iv. At in ora amnis Oroules, natus inter Libanum el Antilibanum juxta Helio- quatlro. Alla riviera poi è il fiume Oronle, nato polin. Oppidum Rhosos : et a tergo Portae, quae fra il Libano e ΓAntilibano, appresso Eliopoli. La Syriae appellantur, intervallo Rhosiorum mon città di Roso, c più addentro le Porte, che si chia mano Sirie, con Γ intervallo de' monti Rosii, e del tium et Tauri. I11 ora oppidum Myriandros: moos Amanus, in quo oppidum Bomitae. Ipse ab monte Tauro. Alla riviera è la città di Miriandro, il monte Amano, nel quale è la città di Bomila. Syris Ciliciam separat. Esso parte la Cilicia dalla Siria.
C. PLINirSECONDI
499 * R emqoab S y b ia b . *
XlX.a3.Nonc inleriora dicantur. Coele habet Aptmiam, Marsya amne divisam a Nazerinorom tetrarchia: Bambycen, quae alio nomine Hierapolis vocatur, Syris vero Magog (ibi prodigiosi Atargalis, Graecis autem Derceto dieta, colitur) : Chalcidem cognominatam ad Belum, unde regio Chalcidene fertilissima Syriae. Et inde Cyrrheslice Cyrrhum : GazJtas, Gindarenos, Gabenos : tetrarchias duas, quae Granucomatae vocantur, Emesenos, Hylatas, Ituraeorum gentem, et qui ex iisBaetarreni vocantur: Mariaraitanos: tetrar chiam, quae Mammisea appellatur: Paradisum, Pagras, Pinaritas, Seleucias praeter jam dictam duas, quae ad Euphraten, et quae ad Belum vo cantur, Cardytenses. Reliqua autem Syria habei (exceptis quae cum Euphrate dicentur), Arethu sios, Beroeenses, Epiphaneenses. Ad orientem Laodicenos, qui ad Libanum cognominantor, Leucadios, Larissaeos, praeter tetrarchias in re gii* descriptas barbaris nominibus xvu.
E u p h r a t is .
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D e l b im a r b b t b d b l l a S ib ia .
XIX. a3. Ragioneremo ora de1 luoghi fra (erra. Cele ha Aparaia, divisa dal fiume Harsia dalla tetrarchia de'Nazerini : ha Bambice, la quale per altro nome si chiama Jerapoli, e dai Siri Magog. Quivi è adorata la prodigiosa A tar ga le, la quale da’ Greci è detta Derceto: ha Cal cide, cognominata a Belo, ond’ è delta la regione Calcidene fertilissima di tutta la Siria. E Cirro, onde il paese Cirrestico ha preso il nome: i Ga zati, i Gindareni, i Gabeni : due tetrarchie, le quali si domandan Gr«nucomati, gli Emeseni, g li I la li, popoli della Ilurea, e quegli di loro, che son chiamati Betarreni, i Mariamitani : ha. la tetrarchia, che si chiama Mammisea: Paradiso, Pagra, i Pinariti, due Seleucie oltra la già della, le quali si chiamano all’ Eufrate, e a Belo, ed i Cardilesi. 11 resto della Siria ha, eccello quegli che diremmo con l ' Eufrate, gli Aretnsii, i Bereesi e gli Epifanesi. Verso levante i Laodicei, i qoali souo cognominali al Libano, i Leucadii, ì Laris aei, e diciassette tetrarchie descrìtte in regni con nomi barbari.
D e l l ’ E o f b a t e .’
XX. a4· Et de Eupbrale hoc iu loco dixisse XX. a4· Tornerà molto a proposito ancor ra aptissimum fnerit. Oritur in praefectura Arme gionare in questo luogo dell'Eofrate.Naaee que niae majoris Caranitide, ut prodidere ex iis, qui sto fiume in Caranilide, prefettura deH'Armenia proxime viderant, Domitius Corbulo, in monte maggiore, siccome hanno scritto coloro che l'han no visto da presso, Domizio Corbulone nel Aba : Licinius Mucianus sub radicibus montis, monte Aba, Licinio Moziano sotto le radici del quem Capoten appellant, supra Zimaram, xn κ monte Capote, sopra Zimara dodici miglia, da pass. initio Pyxnrates nomioatus. Fluit Derxepriucipio chiamato Pitturale. Scorre prima a nem primum, mox Anailicara, Armeniae regio nes a Cappadocia excludens. Dascusa abest a Zi- Darsene, dipoi Anatlica, partendole regioai delP Armenia dalla Cappadocia. Dascusa è lontano mara l x x v h pass. Inde navigatur Pastonam, quinquaginta m passuum. Melitenem Cappado da Zimara settanlacinque miglia. Di là si naviga ciae, xxiv mill. passuum. Elegiam Armeniae de a Pastona cinquanta miglia : a Mitilene di Cappa docia ventiquattro : ad Elegia d’ Armeoia dieci cem mill. passuum, acceptis fluminibus Lyco, Arsania, Arsano. Apud Elegiam occurrit ei Taurus miglia, ricevendo in sè questi fiumi, cioè, il Li eo, l 'Arsania e l’ Arsano. Appresso ad Elegia se mons : nec resistit, quamquam xu mill. pass. la titudine praevalens. Omiram vocant irrumpen gli fa iocontra il monte Tauro , nè gli fa resi tem : mox obi perfregit, Euphraten: tum quoque stenza, benché sia largo dodici miglia. Chiamasi saxosum ac violentum. Arabiam inde laeva, Omira quivi dove e’rompe,e poiché egli ha rollo, Oreon dictam regionem, trischoena mensura, Eufrate, più oltra ancora sassoso e violento. Da dextraque Commagcnem disterminat, pontis ta man manca divide l’Arabia, detta la regione Oreo, men, etiam ubi Taurum expugnat, patiens. Apud con misura di cento ottanta stadii, e da man ritta Claudiòpolim Cappadociae, cursum ad occasura Coraagene: nondimeno sopporta ancora il ponte solis agit. Primum bunc illi in pogna Taurus au dov’ e' rompe il Tauro. Appresso a ClaudiopoU fert : viclusque et abscissus sibimet, alio modo di Cappadocia si dirizza verso poneote. Prima vincit, ac fractum expellit in meridiem. Ita natu il Tauro in battaglia gli toglie questo corso, e rae dimicatio illa aequatur, hoc eunte quo vult, vinto e rotto a sè stesso, in altro modo vince, e illo prohibente ire qua velit. A catarractis iterum poiché 1* ha rotto lo scaccia verso mezzogiorno.
5οι
navigatur; Samosala.
HISTORIARUM MUNOl LIB. V. xl
i passuura inde Commagene» caput
* S t r ia · ad E u p h r a t e m . *
XXI. Arabia supra dicta, habet oppida Edessam, quae quondam Autiochia dicebatur, Callirhoen a (oule nominatati] : Carrhas clade Crassi nobiles. Jungitur praefectura Mesopota miae, originem ab Assyriis trahens, in qua An themusia et Necepborium oppida. Mox Arabes, qoi Praetavi vocantur : horum caput Sin gara. A Samosatis aulera, latere Syriae, Marsyas amuis influit. Cingilla Commagenen finit, Immc civitas incipit. Oppida adluunlur Epiphania el Antio chia, quae ad Euphraten vocantur. Item Zeugma, l x x i i millibus passuum a Samosatis, transitu Euphratis nobile. Ex adverso Apamiam Seleucus, idem utriusque conditor, ponte junxerat. Qui cohaerent Mesopotamiae, Rhoali vocantur. At in Syria oppida, Europum,Thapsacum quondam, nunc Amphipolis. Arabes Scenitae. Ita fertur usque Uram locum, in quo conversus ad orien tem relinquit Syriae Palmyrenas solitudines, qoae usque ad Petram urbem, et regionem Ara biae Felicis appellatae, perlinent.
5oa
Così quella battaglia di nalura si viene a pa reggiare, andando questo dov' e’ vuole, e vietan dogli quello ir dove vuole. Dopo le cateratte di nuovo è navigabile : quaranta miglia dipoi è Sa mosata capo della Comagena. D e l l a S ir ia s u l l ' E u f r a t e .
: XXI. La sopraddetta Arabia ha queste cillà : Edessa che già si chiamava Antiochia, Calliroe così detta dal fonie, e Carra nobile per la rolla di Crasso. Congiugnesi la prefettura alla Meso potamia,la qual prefettura ha origine daU’Assiria, dove sono due città, Antemusia e Niceforo. Dipoi gli Arabi, che si chiamano Prelavi: capo di questi è Singara. E dalla parie de’ Samosali della Siria corre il fiume Marsia. Cingila finisce la Comagene ; e quivi comincia la cillà d'Inorae. Quivi sono due citlà, Epifania e Antiochia, le quali si chiamano allM&ufrate. E Zegma ancora lontana sellantadue miglia da’ Saraosati ,· nobile per il passo dell’ Eufrate. All' incontro è Apamia, e avendo Seleuco edificate amendue, le aveva con giunte con un ponte. Quegli che confinano con la Mesopotamia, si chiamano Roali. Ma in Siria son queste città: Europo, detto giàTapsaco,ora Anfipoli ; e gli Arabi Sceoiti. Così va egli fino al luogo di Ura, dove volgendosi verso levante, la scia le Palmirene solitudini' della Siria, le quali vanno fino alla città di Petra, e alla regione del l’ Arabia chiamala Felice. a5. Paimira città nobil del sito, di terreo a5 . Palmyra urbs nobilis silo, divitiis soli, et grasso, e di buonissime acque, con un gran cir aqais amoeuis, vasto uudique ambitu arenis in cludit agros ; ac velul terris exempla a rerum cuito rinchiude campi arenosi ; e come privile giata dalla nalura, con sorte privata fra due nalura, privala sorte inter duo imperia summa, grandi imperi, cioè dei Romani e dei Parti, Romanorum Parthorumque, et prima in discor nella discordia è siala sempre all' una e all' altra dia semper utrimque cura. Abest a Seleucia Par parte assai cara. E lontana da Seleucia dei Parli, thorum, quae vocalur ad Tigrin, cccxxxvn mill. la qual si chiama al Tigri, trecento trenlasette passuum : a proximo vero Syriae lilore, ccm miglia ; e dalla vicina riviera della Siria duemillibus, et a Damasco viginti septem propius. ceulo tre miglia, e da Damasco più presso ven tisette. a6. Infra Palmyrae soliludines, Stelendena 26. Disotto alle solitudini di Paimira è la re gione Slelendea, e le già delle Gerapoli, e Berea regio est, dictaeque jam Hierapolis, ac Beroea, et e Calcide. Di là da Paimira ancora di quelle so Chalcis. Ultra Palmyram quoque ex solitudinilitudini ne lieue alcuna parte Emesa ed Elalio, la bos iis aliquid oblinet Emesa : item Elalium, di midio propior Petrae, quam Damascus. A Sura metà più presso a Petra che non è Damasco. Dopo Sura, è vicina Filisco, città de' Parli sull' Eufrate, autem proxime est Philiscum, oppidum Partho· rum ad Euphratem. Ab eo Seleuciam dierum dalla quale a Seleucia è navigazione di dieci gior decem navigatio, totidemque fere Babylonem. nate, e quasi altrettanto fino a Babilonia. Dividesi Scinditur Euphrates a Zeugmate d l x x x i v mil l ' Eufrate di là da Zeugma cinquecento ottantalibus passuum circa vicum Massicen : et parte quattro miglia, intorno al villaggio di Massico: e da man manca va nella Mesopotamia per essa Se laeva ia Mesopotamiam vadit per ipsam Seleu leucia, entrando nel Tigri, che le scorre appresso. ci ara, circa eam praefluenti infusus Tigri. Dexteriore autem alveo Babylonem, quondam Chal Ma col destro ramo va a Babilonia, che già fu capo daeae caput petit, mediamque permeans, i lem della Caldea, e passandovi per mezzo, e per quella
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C. PLINII SECUNDI
quam Otrin vocant, distrahitur in paludes. In crescit antera et ipse Nili modo statis diebus, paullum differens, ac Mesopotamiam inundat, sole oblinente vicesimam partem Cancri : minui in cipit in Virgine, et Leone transgresso. In totum Tero remeat in vicesima nona parte Virginis.
C i u c i a i : e t a d jd sc t a c g ir t e s .
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che si chiama Otri, si spande in paludi. Cresce ancora egli come il Nilo a certi tempi ordinati,con poca differenza, e allaga la Mesopotamia, essendo il sole nel vigesimo grado del Granchio. Inco mincia a scemare uscendo del Leone ed entrando nella Vergine : e quando egli è nel vigesimonono grado della Vergine, ritorna in tutto a suoi lermiui. D e l l a C il ic ia , r d b* p o p o l i c h e VI SOHO APPRESSO.
XXII. aj. Sed redeamus ad oram Syriae, cui XXII. 27. Ma ritorniamo alla riviera di Siri·, proxima est Cilicia. Flumen Diaphanes, mons a coi la Cilicia è vicina. Il fiume Diafane, il monte Crocodilo, le porte del monte Amano. 1 Crocodilus, portae Amani montis. Flumina : Aufiumi : Andrico, Pinaro e Lieo : il golfo Issico. La dricus, Pinarus, Lycus : sinus Issicus. Oppidum Issos, inde Alexandria : flumen Chlorus, oppi città Isso, dipoi Alessandria : il fiume Cloro, Ega ciltà libera, il fiume Piramo, le porle della dum Aegae libeium, amnis Pyramus, portae Ci Cilida : le città, Mallo, Magarso, e più addentro liciae : oppida, Mallos, Magarsos, el intus Tarsos. Campi Aleii : oppida, Cassipolis, Mopsos liberum, Tarso. 1 campi Alci : le città, Cassi poli, Mopso Pyramo impositum : Thynos, Zephyrium, An libero posto sul fiume Piramo, Tino, Zefirio, An chiale. Amnes : Sa ros, Cydnus Tarsum liberam chiale. I fiumi, il Saro, e il Cidno, il qual passa per urbem procul a mari secans : regio Celenderitis Tarso citlà libera lontano dal mare. La region Celenderite con la città. Il luogo di Ninfeo, Sole cum oppido. Locus Nympheam, Soloe Cilicii, di Cilicia, ora Pompeiopoli: Adana, Cibìra, Pina nunc Pompejopolis: Adaoa, Cibyra, Pinara, Pedalie, Ale, Selinus, Arsinoe, lotape, Doron. Jux- ra, Pedalie, Ale, Arsinoe, lotape, Dorone. E ap presso il mare Corico, con una città dello stesao taque mare Corcycos, eodem nomine oppidum, et portus, et specus. Mox flumen Calycadnus. nome, un porto e una spelonca. Dipoi , il filine Promontorium Sarpedon. Oppida: Holmo€,Myle. Calicaduo. 11 promontorio Sarpedone : le a tti, Promontorium et oppidum Veneris, a quo pro Olinoe, Mile, il promontorio e la città di Vene xime Cyprus insula. Sed in continenti oppida, re, e da vicino Pisola di Cipri. Ma in terra ferma Myanda, Anemurium, Coracesium, finisqoe anti sono queste città: Mianda, Anemurio, Coracesio, quus Ciliciae Melas amnis. Intus autem dicendi e il fiume Mela antico confino della Cilicia. Piò Anazarbeni, qui nunc Caesarea Augusta, Casta- addentro poi sono i popoli Anazarbeni, i quali bala, Epiphania, quae antea Oeniandos, Eleusa, ora si chiamano Cesarea Augusta, Castabaia, Epi Iconium : Seleucia supra amnem Calycadnum, fania, la quale prima si chiamò Eniaodo, Eieusa, Iconio. Seluda sul fiume Calicadno cognominata Tracheotis cognomine, a mari relata, ubi vocaTracheoti, e trasferita quivi dal mare, dove ella batnr Holraia. Praeterea intus flamioa, Liparis, si chiamava Olmia. Più addentro sooo questi Bombos, Paradisus. Mons Imbarus. fiumi : il Lipari, il Bombo, e il Paradiso. 11 mon te Imbaro. I sauricae b t H omobadom .
D e l l * I s a u r ia e d e g l i O m o s a n .
XXII. La Panfilia è stata da tutti congiunta XXIII. Ciliciae Pamphyliam omnes junxere, neglecta gente Isaurica. Oppida ejus intus, Isaura, alla Cilicia, lasciando fuori i popoli Isanrici. Le Clibanus, Lalasis : decurrit autem ad mare Ane citlà d’ essa frar terra sono : Isaura, Ciibano, e murii regione supra dicti. Simili modo omnibus, Lalassi : se ne va al mare dirimpetto ad Anemu qui eadem composuere, ignorata est contermina rio sopraddetto. Similmente tutti coloro che illi gens Homonadum, quorum Intus oppidum hanno trattato di questi luoghi non hanno avu Homona. Cetera castella x l i v inter asperas con to cognizione degli Omonadi, i quali oonfìoaoo valles latent. con fiso, la cui città posta addentro si nKiym» Omona. Gli altri quarantaquattro castelli aono riposti fra Talli mollo aspre.
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HISTORIARUM MUNOl LIB. V. PlSIDIAB.
D b l l a P is id ia .
XXIV. Insident vertieem Pisidae, quondam Solyrai appellali, quorum colonia Caesarea, ea dem Antiochia. Oppida : Oroanda, Sagalessos.
XXIV. In sulla cima sono i Pisidi, gii detti Solimi, la cui colonia è Cesarea, che si chiama anco Antiochia. Le città, Oranda e Segalesso.
L y c a o im a b .
D ella
L ic a o h ia .
XXV. Hos includit Lycaonia in Asiaticam jurisdictionem versa, cum qua conveniunt Phi lomelienses, Tymbriani, Leucolithi, Pellent, Tyrienses. Datur et tetrarchia ex Lycaonia, qua parte Galatiae contermina est, civitatum xiv urbe celeberrima Iconio. Ipsius Lycaoniae cele· braatur Tbebasa in Tauro: Hyde in confinio Galatiae atque Cappadociae. A lalere autem ejus super Pamphyliam veniunt Thracum soboles, Milyae, quorum Arycanda oppidnm.
XXV. Questi sono rinchiusi dalla Licaonia, volta nella giurisdizione Asiatica, con la quale convengouo i Filomeliesi, i Timbriani, i Leucoliti, i Pel leni e Tiriesi. Ecci anco la tetrarchia di Licaonia, in quella parte dov'ella confina con la Galazia, di quattordici città, dov'è Iconio citlà celebratissima. Di Licaonia sono celebrate, Tembasa nel Tauro, e Ide a' confini della Galazia e della Cappadocia. Ma dal lato suo sopra la Pan filia vengono i Milii, discesi di Tracia, la cui città è Aricanda.
P a m p b t l ia b .
D b l l a P a r t il ia .
XXVI. Pamphylia, ante Mopsopia appellata. Mare Pamphylium Cilicio jungitur. Oppida ejus: Side, et in monte Aspendum, Pletenissum, Perga. Promontorium Leucoii*. Mons Sarderoisus. Amnes: Eurymedon juxla Aspendum floens : Catarractes, juxta quem Lyrnessns et Olbia, altimaque ejns orae Phaselis.
XXVI. La Panfilia fn chiamata prima Mopso pia. Il mar Panfilio si congiugne col Cilicio. Le città sue sono : Side, e sul monte Aspendo. Pletenisso, Perga : il promontorio Leucolla. Il mon te Sardemiso. 1 finmi : Eurimedone, che corre appresso Aspendo: Cateratte, presso a cui è Li messo, Olbia, e Faseli ultima di quella riviera.
T aubi
mohtij.
XXVII. Junclum ei mare Lycium est, gensque Lycia, uode vastum sinum Tauras mons, ab Eois venieos litori bas, Chelidonio promontorio dister minat. Immensus ipse, et innumerarum gentium arbiter, dextro latere seplemtrionalis, ubi pri mam ab Indico mari exsurgit, laevo meridianus, et ad occasum tendens; raediamque distrahens Asiam, nisi opprimenti terras occurrerent maria. Resilit ergo a septemtrione: flexusque immensum iter quaerit, velut de industria rerum nalura su binde aequora opponente, hinc Phoenicium, hinc Ponticum, illinc Caspium et Hyrcanium, contraque Maeoticum lacum. Torquetur itaque collisas inter haec claustra, et tamen victor, fle xuosus evadit usque ad cognata Riphaeorum montium juga, numerosis nominibus et novis, quacumque incedit, insignis : Imaus prima par te dictus, mox Emodus, Paropamisus, Circius, Cbambades, Paryadres, Choatras, Oreges, Oroaodes, Niphates, Taurus : atque ubi se quoque exsuperat, Caucasue : obi brachia emittit, subinde tentanti maria similis, Sarpedon, Coracesius, Cragus, iteruioque Taurus : etiam ubi dehiseit,
dbl
m ow tb
T auro.
XXVII. Congiunto a qoella ì il mar Lieto, e il popolo di Licia, dal quale il monte Tauro, che viene da' liti Orientali, divide un gran golfo col promontorio Chelidonio. Esso è grandissimo, e arbitro d 'innumerabili paesi : dal lato destro i settentrionale, così tosto eh' egli s 'innalza dal mare Indiano ; dai lalo manco è meridiano, e si distende verso ponente, divìdendo l'Asia per mezzo, se i mari non se gli facessero incontra, mentre ch'egli opprime la terra. Risalta dunque a setlentriooe, e rivolto ricerca gran cammino, come se la nalura a studio gli opponesse i mari, di qua il Fenicio, di là il Pontico, di colà il Ca spio e l'Ircano, e all'incontro la palude Meotide. Così dunque è ristretto fra questi serrami, e nondimeno vittorioso, torcendosi ne va infino ai gioghi de* monti Rifei suoi parenti, illustre per infiniti e nuovi nomi dovunque egli va : nella prima parte detto lmao, dipoi Emodo, Paropa miso, Circio, Cambade, Pariadre, Coatra, Orege, Oroande, Nifate e Tauro. E dove se medesi mo vince, Caucaso: dove · ' mette fuor le braccia, come se volesse tentare i mari, si chiama Sarpe-
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G. PLINII SECUNDI
seque populis aperit, portaram tamen nomine unitatem sibi vindicans, quae alibi Armeniae, alibi Caspiae, alibi Ciliciae vocantur. Quin etiam confractus, effugiens quoque maria, plurimis se gentium nominibus bine el illinc implet : a dex tra Hyrcanius, Caspius : a laeva Paryades, M oschicus, Amazonicus, Coraxicus, Scythicus appel latu·. In universum vero graece Ceraunius.
L yciae .
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done, Coracesio, Crago, e un'altra volta Tauro : e per fino dove si apre, e si dimostra a’ popoli, col nome di porle s’ appropria la unità, le quali porte in alcun luogo si chiamano Armenie, al trove Caspie, altrove Cilicie. E di più ancora, che rotto fuggendo i mari, s* empie di più nomi di genti di qua e di là. Da man ritta si chiama 1reano e Caspio ; da man manca, Pariade, Moschio, Amazonico, Corassico e Scitico. I Greci noivejisalmente lo chiamano Ceraunio. D n u
L ic ia .
XXV 11I. Iu Lycia igitur, a promontorio ejus XXVIII. In Licia adunque dopo il suo pro oppidum Simena, mons Chimaera noctibus fla montorio è la ciltà di Simeua, il monte Chimera, il quale arde di notte, e la città d 'Efeslio, la grans, Hephaeslium civitas, el ipsa saepe flagran tibus jugis. Oppidum Olympus ibi fuit: nuuc sunt quale è posta anch* essa ne’ gioghi spesso ardenti. montana, Gagae, Corydalla, Rhodiopolis. Juxta Quivi fu la citlà d 'Olimpo, ora son montagne, Gage, Coridalla e Rodiopoli. Appresso il mare è mare, Limyra cum amne, in qnem Arycandus in· Limira col fiume, nel quale mette PAricando ; il fluit : et mons Massyciles : Andriaca civitas, Myra, Oppida : Apyre, et Anliphellos, quae quondam monte Massicite, la città Andriaca e Mira. Le ciltà, Apire e Antifello, la quale si chiamò già Habessus : atque in recessu Phellus. Deinde Pyr Abesso, e più addentro Fello. Pirra e Xanlo lon rhia, itemque Xanthus a mari xv m passuum, flutano quindici miglia dal mare, e il fiume del menqneeodem nomine. Deinde Patara, quae prius Sataros: et in monte, Sidyma. Promontorium medesimo nome. Dipoi Patara, che prima fa Cragus. Ultra, par sinus priori : ibi Pinara, et Sataro, e Sidara sul monte. 11 promontorio Cra go. Più olire un golfo eguale al primo. Quivi è qnae Lyciam finit Telmessus. Lyciajquondara l x x Pinara e Telmesso, la qual finisce la Licia. Questa oppida habuit, nnne xxxvi habet. Ex his celeber rima, praeter supra dicta, Canas, Candyba, ubi ebbe già settanta citlà, ora n'ha trentasei. Di que laudatur Oenium nemus, Podalia, Choma prae- ste le più celebrate, oltre alle sopraddette, sono : fluente Adesa : Cyaneae, Aseandalis, Amelas, No- Cana e Candiba, dov’è lodato il bosco Enio. Po dalia, Cboma, dove passa il fiume Adesa : Ciane, acopium, TIos, Telaodrns. Comprehendit in me diterraneis Cabaliam, cujus tres urbes Oenoan- Ascandali, Amela, Noscopio, Tlos e Telaudro. Comprende in fra terra Cebalia, la quale ha tre da, Balbura, Bubou. A Telmesso Asiaticum mare, sive Carpathium, et quae proprie vocatur Asia. citlà, Enoanda, Balbura e Bubone. Da Telmesso comincia il mare Asiatico, ovverCarpazio, e quella In duas eam partes Agrippa divisit. Unam iuclusit ab oriente Phrygia et Lycaonia, ab occidente che propriamente si chiama Asia. Agrippa la divi Aegaeo mari, a meridie Aegyptio, a septemtrione se in due parti. Una è rinchiusa verso levante Paphlagonia. Hujus longitudinem c c c c l x x mill. dalla Frigia e dalla Licaonia, da ponente dal mare latitndinem cccmill. fecit. Alteram determinavit Egeo, da mezzodì dall’ Egizio, da tramontana ab oriente, Armenia minore : ab occidente, Phry dalla Paflagooia. La sua lunghezza fece quat gia, Lycaonia, Pamphylia : a septemtrione, pro trocento settanta miglia, e la larghezza trecento. vincia Pontica: a meridie, mari Pamphylio: L ’ altra parte determinò da levante con Γ Arme longam d l x x v mill. passuum, latam cccxxv mill. nia minore; da ponente con la Frigia, Licaonia e Panfilia; da tramontana con la provincia Pon tica; da mezzodì col mar Panfilio: lunga cinque cento settan tacinque miglia, e larga trecento ven ticinque. C a k ia b .
D e l l a C a b ia .
XXIX. In proxima ora Caria est, mox Jonia: XXIX. Nella vicina riviera è la Caria, poi la nitra eam Aeolis. Caria media Doriae circumfun Ionia, più oltre la Eolia. La Caria entra per m en o ditur, ac mare utroque latere ambiens* In ea pro la Doride, scorrendo dalP un e l'altro lato fino montorium Pedalium. Amnis Glancus. deferens al mare.In essa è il promontorio Pedali·. 11 fi enne
HISTORIARUM MUNDI LIB. V.
5io
Telmessum. Oppida : Daedala, Crya fugitivorum. 1 Glauco, che va a Telmesso. Le citili : Dedala, e Cira de1 fuggitivi. II fiume Asson e la città Flamen Axoa, oppidam Calynda. Calinda. 28. Il fiome Indo, nato ne* gioghi de’ Cibia8. Amnis Indas in Gibyrataram jogis orias, | recipit u perennes fluvios, torrentes vero ara- I rati, riceve in sè sessanta fiumi, che mai non sec* caco, e più di cento torrenti. Caauo città libera, pliuscenlum. Oppidam Gaunos liberam, deinde dipoi Pirno. 11 porto Cressa, dal quale è lontano Fyrnos. Portas Cressa, a quo Rhodus insala xx v. Locas Loryma. Oppida : Tisanuss, Paridion, LaFisola di Rodi venti miglia. Il luogo di Lorims. rymua. Sinus Thymntas. Promontorium ApbroLe citlà: Tisanusa, Paridione e Larirana. Il golfo disias. Oppidum Hyda. Sinus Schoenus. Regio Tironia. 11 promontorio Afrodisia. La città d’Ida. Bubassas. Oppidum fait Acanthus, alio nomine Il golfo Scheno. La regione di Bubasso. Aeanto Dulopolis. Est in promontorio Goidos libera, citlà, per altro nome Dulopoli. Nel promontorio Triopia, dein Pegusa et Stadia appellata. Ab ea è Gnido città libera, Triopia, dipoi Pegusa e Stadia. Di qui comincia la Doride. Doris incipit. Sed prius terga, et mediterraneas jurisdictio Ma prima convien mostrare le parti più ad nes indicasse conveniat. Una appellator Cibyra- dietro, e le giurisdizioni fra terra. L'una si chia lica. Ipsum oppidum Phrygiae est. Couveniunt ma Cibiratica. Questa è una città di Frigia, dove eo xxv civitates. venticinque altre città vanno a ragione. 39. Celeberrima urbs Laodicea imposita est 29. La celeberrima cillà di Laodicea è posta Lyco flumini, latera adluenlibus Asopo et Capro, sol fiume Lieo, e le passano appresso l'Asopo e il appellata primo Diospolis, dein Rhoas. Reliqdi Capro, prima chiamata Diospoli, dipoi Roa. Gli io eo conventu, quos nominare non pigeat, H y altri in quel convento, che si posson nominare, drelitae, Themisones, Hierapolilae. Alter conven- sono : gl’ Idreliti, i Temisoni e gli lerapolili. L'al tus a Synnada accipit nomen. Conveniunt Lycao tro convento piglia il nome da Sinnada. Quivi si nes,Appiani, Eacarpeni, Dorylaei, Midaei, Julienraunano i Licaoni, gli Appiani, gli Eucarpeni, i ses.«l reliqui igobiles populi xv. Tertius Apamiam Dorilei, i Midei, i Giuliesi, e altri quindici popoli vadit, ante appellatam Celaenas, dein Ciboton. ignobili. Il terzo va ad Apamia, prima chiamala Sita est in radice montis Signiae, circumfusa Ma Celena, e poi Cibolo. Qaesta città è posta alle ra rsya, Obrima, Orga, fluminibus in Maeandrum dici del monte Signia attorciate da Marsia, Obri cadentibus. Marsyas ibi redditur, ortus, ac pauHo ma, e Orga fiumi, i quali mettono nel Meandro. mox conditus, obi certavit tibiarum cantu cum Quivi si tiene che nascesse, e poi fosse sepolto Apolline, Aulocrenis : ita vocatur convallis decem Marsia, dove egli si mise a sonar flauti a pruova mill. passuum ab Apamia, Phrygiam petentibus. con A polline in Aulocrene ; così si chiama ana Ex hoc conventu deceat nominare Metropolitas, valle lontana dieci miglia da Apamia, andando Dionysopolitas, Euphorbenos, Acmonenses, Pelio Frigia. Di questo convento nominerò i Me tropoliti, i Dionisopoliti, gli Enforbeni, gliActenos, Silbianos. Reliqui ignobiles ix. monesi, i Pelteni e i Silbiani. Gli altri nove sono ignobili. Nel golfo di Doride, Leucopoli, Amassito, Doridis in sinu, Leucopolis, Hamaxilos, Elaeus, Euthene. Dein Cariae oppida, Pitaium, Eleo, Eulhene. Dipoi le citlà della Caria, Pitaio, Eutane, Alicarnasso; alla quale furono Eutane, Halicarnassus. Sex oppida contributa ei sunt a Magno Alexandro, Theangela, Sibde, contribuite sei città da Alessandro Magno, TeanMedmassa, Enranium, Pedasum, Telmessum. gela, Sibde, Medmassa, Euranio, Pedaso e Telmesso. E abitata fra due golfi, il Ceramico e Habitatur inter duos sinus, Ceramicum el Iasium. Inde Myndos, el ubi fuit Palaemyndus, Narian- Γ lasio. Dipoi Mindo, e dove fu Palemindo, Nadas, Neapolis, Carynda, Termera libera, Bargyla, riando, Napoli, Carianda, Termera libera, Baret a qao sinus Iasius, oppidam Iasus. gila, e Iaso città, onde prese il nome il golfo lasio. Caria è illustre per la fama de1 nomi delle Caria interiorum nominum fama praenitet: quippe ibi sunt oppida, Mylasa libera, Antiochia, città nella parte interiore; perchè quivi sono que ubi fuere Seminelhos et Cranaos oppida : nuoc ste : Milasa libera, Antiochia, dove furono Semieam circumfluunt Maeander, et Orsinus. Fuit in neto e Cranao citlà: ora è circondala da due fiumi, Meaodro e Orsino. Fu già in quel contorno an eo Iraclu et Maeandropolis. Est Eumenia Cludro flamini adposita, Glaucus amnis, Lysias oppidam, cora la città detta Meandropoli. Ora c*è Eumenia et Orlhosia: Berccynihius tractus, Nysa: Trallis, posta sul fiume Cludro ; il fiome Glauco, Lisia eadem Euaolhia, et Seleucia, et Autiocbia dicta. cillà, e Ortosia: il tratto Berecintio, Nisa, Traili,
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C. PLINII SECUNDI
Sii
Adluitur Eudone «nane, perfunditur Thebaide. Quidam ibi Pygmaeos habitasse tradunt. Prae terea sani Thydonos, Pyrrha, Eurome, Heraclea, Amycoa. Alabanda libera, quae conventum eum cognominavit : Stratonicea libera, Hynidos, Ce ramus, Troezene, Phoronlis. Longinquiores eo dem disceptant foro, Orthronieses, Halydienses, seu Hippini, Xystiani, Hydissenses, Apolloniatae, Trapezopolitae, Aphrodisienses liberi. Praeter haec sunt Coscious, Harpasa adposila fluvio Har paso, quo etTrallicon, quum fuit, adluebatur.
detta pure Euantia e Seleuda e Antiochia. È bagnata dal fiume Eudone,.i! qual passa anco per la Thebaide. Alcuni scrivono che quivi abitarono i Pigmei. Oltra di ciò vi souo Tidono, Pirra, Eurorae, Eraclea, Amicone. Alabanda li bera, la quale diede il nome a quel convento : Stratonicea libera, Inido, Ceramo, Trezene, Fo rante. 1 pià lontani piatiscono nella medesima giurisdizione, gli Otroniesi, gli Aliades i, ovvero Ippiui, i Xistiani, gli ldissesi, gli Apolloniati, i Trapezopoliti. gli Afrodisiesi liberi. Oltre a que ste sono Coacino, Arpasa posta sul fiume Arpaso, dal quale era bagnala anco Trallicone, quando essa era in essere.
•Ltoiah.*
D e l l a L id ia .
La Lidia, la quale è bagnata dai torli XXX. Lydia autem perfusa flexuosi amnis XXX. Maeandri recursibus, super Joniam procedit, rami del fiume Meandro, si distende sopra la Ionie. Phrygiae ab exortu solis vicina, ad septemtrio- Da levante è vicina alla Frigia, da tramontaua alla nem Mysiae, meridiana parte Cariam amplectens, Misia, verso mezzogiorno abbraccia la Caria, Maeonia ante appellata. Celebratur maxime Sar. prima chiamala Meonia. È mollo celebrata per dibus in latere Tmoli montis, qui antea Timolus la città di Sardi oel lato del monte Tmolo, il appellabatur, vitibus consiius, et ex eo profluen quale si chiamava prima Timolo, pisolato di viti, te Pactolo, eodemque Chrysorrhoa, ac fonte ond'esce il fiume Pattolo, die anco è detto ChriTarne : a Maeoniis civitas ipsa Hyde vocitata est, sorroa, e il fonte Tarne : la cittì istessa è stala clara stagno Gygaeo. Sardiana nunc appellatur chiamala da' Meonii lde, illustre per lo stagno Gigeo. Ora quella giurisdiziooe si domanda Sar ea jurisdictio. Cooveniunlque in eam extra prae dictos, Macedones Cadueni, Philadelpheni, et ipsi diana, e quivi vanno a ragione, oltre a'già detti, in radice Tmoli Cogamo flumini adposili Maeonii, i Macedoni Cadueni, i Filaddfeoi, i Meonii posli Tripolitani : i idem et Antoniopolitae Maeandro alla radice del Tmolo sul fiume Cogamo, i Tri politani : i medesimi, e gli Auloniopolili sono adlnuntur: Apollouoshieritae, Mesotimolilae, et bagnali dal fiume Meandro, gli Apollonosieriti, alii ignobiles. i Mesolimolili e altri ignobili. Jo r ia e .
D e l l a Io e iA .
XXXI. Jonia ab Jasio sinu incipiens, numero XXXI. La Ionia cominciando dal golfo Iasio, siore ambitu litorum flectitur. In ea primus sinus si va piegando con molto circuito di liti. In essa Basilicus, Posideum promontorium et oppidum, è primo il golfo Basilico, Posideo promonto oraculum Branchidarum appellalum, nunc Dirio e d i là, l ' oracolo dello de* Branchìdi, ora dymaei Apollinis, a li tore stadiis viginti. Et inde d* Apolline Didimeo, lontano due miglia e mez centum octoginta, Miletus Joniae caput, Lelegeis zo dalla riviera. E quindi cento oliatila, Mi ante, et Pilyusa, et Anactoria nominata, super leto capo della Ionia, prima detta Leiegei, e P i nonaginta urbium per cuncla maria genitrix : nec liusa, e Analtoria, madre di più che novanta dttà fraudanda cive Cadmo, qui primus prosam ora per tutti i mari ; eh’ ebbe per cittadino Cadmo, tionem condere instituit. Amnis Maeander ortus il quale fu il primo, che cominciò a scrivere ora e lacu in monte Aulocrene, plurimisque adfusus zione in prosa. 11 fiume Meandro, nato del lago oppidis, el repletus fluminibus crebris, ita sinuo nel monte Aulocrene,e circondato da molte città, sus flexibus, ut saepe credatur reverli, Apame- e ripieno di spessi fiumi, tanto va tortooso, e nam primum pervagatur regionem, mox Eurae- con tante svolte, che bene spesso pare che ritorni nelicam, ac dein Bargyleticos campos : postremo addietro. Passa prima per la regione Apamena, Cariam placidus, omnesque eos agros fertilissimo poi per la Eumenetica, e finalmente per 1· cam rigans limo, ad decimum a Milelo stadium lenis pagne Bargiletiche : ultimamente scorrendo mol to piacevole per la Caria, e lutti quei cam pi con illabitur mari. Inde mons Latmus. Oppida : He fertilissima belletta bagnando, un miglio appresso raclea montis ejus c9guominis : Carica, Myus,
HISTORIARUM MUNDL L 1B. V.
qaod primo ooadiduM Jones narrantur, Atheni· profecti : Naalocbom, Prime. In o n , qaae Trogilia appellator, G em iam n ii. Regio omnibus lombo* n e n , et ideo Panjonia appellata. Jaxta a fugitivisconditam ( ali nomen indicio e>l) Phygela fuit, et Maratbesium oppidam. Sapra haec Magnesia Maeandri cognomine insignis, a Thes salica Magnesia orta. Abest ab Epheso xv mill. passnum : Trallibus eo amplias tu mill. Antea Theasaloce et Androlitia nominala : et litori ad· posita Derasi das insolas secum abstulit mari. Intnset Thyatira adlnitor Lyco, Pelopia aliquando, et Eohippa cognominata.
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a Mileto tutto quieto mette in mare. C ’ è poi il monte Latmo. Le città : Eraclea da quel mon te cognominata : Carica, Mius, il quale si dice, che la prima volta fa edificalo dagli Ioni, venuti d*Atene: Nauloco, e Priene. Nella riviera, che si chiama Trogilia, il fiume Gesso. La regione è sacra a tutti gli lonii, e perciò è detta Panionia. Appresso è Figela, edificata, come pare che si gnifichi il nome, da fuggitivi. Fuvvi anco la cit tà Maratesia. Sopra questi luoghi i Magnesia, nobile per lo cognome di Meandro, e nata da Magnesia di Tessaglia. È lontaoo da Efeso quin dici miglia, da* Traili più di tre : prima chia mata Tessaloce e Androlizia ; e posta sulla rivie ra, tolse Γ isole Deraside al mare. Fra terra è Tiatira bagnata dal fiome Lieo, cognominata al cuna volta Pelopia e Eoippa. Io ora aetem Mantejum, Ephesos Amazonum Nella riviera i Manteio, Efeso opera delle Amazoni, anticamente chiamato per molti nomi : opus, multis antea expetita nominibus : Alopes, qnom pugnatum apud Trojam est, mox Ortygia, Alope così detto nella guerra di Troia, dipoi et Morges vocata est, et Smyrna cognomine Tra Ortigia, e Morge, e Smirna cognominata Tra chea, et Samornion, et Ptelea. Ad tollitur monte chea, e Samornio, e Ptelea. Evvi il monte Pione, Pione, adlaitur Caystro in Cilbianis jugis orto, ed il fiume Caistro, nato ne* gioghi Cilbiani, il ■raltosqne amnes deferente, et stagnum Pega quale porta seco molti fiumi, e lo stagno Pegaseo, spinto fuori dal fiume Firite. Da questi vien seum, quod Phyrites amnis expellit. Ab bis mul molta belletta, la quale ingrassa le terre, e già titudo limi est, qua terras propagat, mediisqoe jam campis Syrien insalano adjecit. Fons in urbe aggiunse in mezzo le campagne Γ isola di Strie. Callipia, et templum Dianae oomplexi e diversis Un fonte nella città di Callipia, e i due Selinnnti, regionibus duo Selenuntes. Ab Epheso Manteau m i quali da diverse parti abbracciano il tempio di Diana. Da Efeso un altro Manteio de* Colofo aliod Colophoniorum, et i alus ipsa Colophon, Haleso adfluente. Inde Apolliois Clarii fanum, ni!, e pià addentro essa Colofone, dove passa Lebedos : fuit et Notium oppidum. Promonto· il fiume Aleso. Dipoi il tempio d’Apotline Clario, Lebedo : fuvvi anco una città detta Nozio. 11 pro rioni Coryceon, mons Mimas cl mill. pass. excur montorio Coriceo, il monte Mima, il quale si rens, atque in continentibus campis residens. distende cento cinquanta miglia, e risiede in lun Quo in loco Magnus Alexander intercidi plani tiem eam jasserat vii mill. n pass. longitudine, ghe pianure. Alessandro Magno fece tagliare quel ot deos sinos jungeret, Erylhrasqoe cum Mi piano a sette miglia di lunghezza, per congiongere mante circumfunderet. Jaxta eas fuere oppida due golfi, e per mescolare Elitra con Mimante. Pteleon, Heloa, Dorion : none est Aleon fluvius, Appresso a queste furono già Ire città, Pteleone, Corynaeam Mimantis promontorium, Clazome Elo e Dorione : ora n* i il fiume Aleone, Cori neo nae, Parthenie, et Hippi, Chytropboria appella promontorio di Mimanle,Clazotnene, Partente ed tae quum insulae essent. Alexaoder idem per Ippi, già chiamate Chitoforie, quando elle erano duo stadia continenti adnexait. Interiere intns isole. 11 medesimo Alessandro per nn quarto di miglio Γ attaccò alla terraferma. Sono mancate Osphsus et Hermesia, et Sipylnm, quod ante Tantalis vocabatur, caput Maeooiae, ubi nunc fra terra Dafno ed Ermesia, e Sipilo, che prima est stagnem Sale : obiit et Archaeopolis substi si chiamava Tantali, capo della Meonia, dove ora è lo stagno Sale : mancò pore Archeopoli, che fu tuta Sipylo, et inde illi Colpe, et huic Lebade. fatta in loogo di Sipilo, e a qnella successe Colpe, a questa Lebade. Di qui dodici miglia lontano alla riviera è Regredientibus inde abest xn mill. passuum Smirna,edificata da un’Aroazone,e rifatta da Ales ab Amazone condita, restituta ab Alexandro, in sandro, dove poco discosto nasce il fiome Melele. ova Smyrna, amne Melete gaudens, non procul orto. Montes Asiae nobilissimi in hoc tractu fere In questo contorno s’ allargano i nobilissimi monti deU'Asia, Mastusia dietro a Smirna, e Terexpbcant se, Mastusia a tergo Smyrnae, et Terroelis, Olympi radicibus junclus. ls in Dracone mete congiunto con le radici dell’Olimpo. Qnrslo finisce nel Dracone, il Preconi nel Tm^lo. il desinit, Draco in Tmolo, Tmolus in Cadmo, ille
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G. PLINII SECONDI
io Taoro. A Smyrna Hermus campo· facit, et no mini tuo adoptat. Oritar }axU Doryleum Phry giae civitatem, multosque colligit fluvio·, ioler quos Phrygem, qui nomine genti dato, a Caria eam disterminat: Hyllam, et Cryon, et ipso· Phrygiae, Mysiae, Lydiae amnibas repletos. Fuit in ore ejus oppidum Temnos : nunc in extremo sinu Myrmeces «copuli, oppidum Leuce in pro montorio, quod incula fuit, fìnisque Joniae Phocaea. Smyrnaeum conventum magna pars Aeoliae, quae mox dicetur, frequentat : praeterque, Ma cedone· Hyrcani cognominati, et Magnete· a Si pylo. Ephesum vero alterum lumen Aaiaef re motiore· conveniunt Caesarienses, Metropolitae, Cilbiani inferiore· et superiores, Mysomaeedonea, Mastaurenses, Brinili tae, Hy paepeni, Dioehieritae. A e o l id is .
Tmolo nel Cadmo, e quegli nel Tauro. Dopo Smirna il fiume Ermo fa delle pianare, e dà loro il suo nome. Nasce appresso a Dorileo città del la Frigia, e raccoglie mólti fiami, fra i quali è il fiume Frige, il qoale arendo dato il nome al paese, lo divide dalla Caria: Pillo, ed il Crio, ripieni anch’essi dei fiami della Frigia, della Misia e della Lidia. Fu già nella foce di esso la città di Temoo : ora nell'estrema parte del golfo sono. gli scogli Mirateci, la città di Leuca nel promon torio, che già fu isola, e Focea fine della Ionia. La maggior parte dell' Eolia, di cui parlere mo poi, va al convento di Smiroa, e oltra i Ma cedoni cogoominati Ircaoi, e anche i Magneti d a Sipilo. A Efeso poi, altro lume dell1 Asia, T an n o i più lontani, cioè, i Cesarie»·, i Metropo liti, i Cilbiani inferiori ed i superiori, i Miso macedoni, i Mastauresi, i Briulliti, gli Ipepeni, e i Dioshieriti. D k ll* E o l ia .
3o. Vicina è la Eolia,chiamata già Mi XXXII. 3o. Aeolis proxima est, quondam XXXII. Mysia appellata, et quae Hellesponto adjacet tia, e Troade quella parte ch’è sopra l’EUespooto. Troa·. Ibi a Phocaea, Ascanius portu·. Dein fue Dopo Focea è il porto Ascanio, dipoi v' era stata Larissa. Ora vi sono Cime e Mirrine, la qoale ai rat Larissa : sunt Cyme, Myrina, quae Sebastochiama Sebastopoli; e fra terra Ege, Attalia, polim se vocat : intus Aegae, Attalia, Posidea, Neontichos, Temnos.Ia ora autem Titanus amni·, Posidea, Neontico e Temno. Alla riviere è il et civitas ab eo cognominata. Fuit et Grynia, fiume Titano, è ana ciltà cognominata da lui. Fuvvi anco Grinia, ora solamente porto di ler nunc tantum portus soli, insula apprehensa. Op ra, compresane l’ isola. La città Elea, ed il fiume pidum Elaea, et ex Mysia veniens Caicus amuis. Caico, il qual vien di Misia. La città di Pitene, il Oppidum Pi tane, Canajn· aranis. Intercidere Ca fiume Canaio. Sono mancate Cane, Lisimachia, nae, Lysimachia, Atarneal Carene, Cisthene, CylAtarnea, Carene, Cistene, Cilla, Cocilio, Tebe, la , Cocylium, Thebe, Aslyre, Chrysa, Palaescepsis, Gergithos, Neandros : nunc est Perperene Astire, Crisa, Palescepsi, Gergito e Neandro : ora civitas, Heracleotes tractu·, Coryphas oppidum : v* è Perperene città, il tratto 4' Eraclea, Corifa amne·, Grylios, Ollius. Regio Aphrodisia·, quae città : i fiumi Grilio ed Ollio. La regione Afrodi antea Politice Orgas. Regio Seepsis. Flumen Eve sia, la qual prima si chiamava Politice Orga : la num, cujus in ripi· intercidere Lyrneisos, et Mi- regione di Scepsi. 11 fiume Eveno, nelle cui ripe letos. In hoc tracta Ida mons. Et in ora qnae •on mancate Lirnesso e Mileto. In questo tratto è il monte Ida, e nella riviera, la qual diede il no sinum cognominavit et conventum, Adramytteos olim Pedasus dicta. Flumina : Astron, Cormalos, me al golfo e al convento, Adramitteo, detta già Eryannos, Alabastro·, Hiero· ex Ida. Intus mons Pedaso. 1 fiumi, Astrone, Cormalo, Erianoo, Ala bastro, Hiero, che viene dal monte Ida. Fra Gargara, eodemque nomine oppidum. Rursus in litore Antandros, Edonis prius vocata, deinde terra il monte Gargara, e una città del mede Cimmeri· : et Assos, eadem Apollonia. Fuit et simo nome. Di nuovo nel lito è Antandro, chia mata prima Edooi, dipoi Cimmeri : e Asso detto Palamedium oppidum. Promontoriom Lecton pure Apollonia. Evvi anco Palemedio città. Il pro disterminans Aeolida et Troada. Fuit et Polymedia civitas, et Chrysa, et Larissa alia. Smintheum montorio Lelton, che parte la Eolia e la Troa de. Fuvvi anco Polimedia città, e Crisa e un' al templum durat. Inlus Colone intercidit Depor tra Larissa. Il tempio Sminteo è ancora In piedi. tant Adramytteum negotia, Apollouiatae a RhynFra terra è mancata Colone. Trasferiscono i lor daco amne, Erezii, Miletopoli tae, Poemaneni, Macedones Asculacae, Polichnaei, Pienitae, Cili negozii in Adramitteo gli Apolloniati dal Asme ces Mandacadeni : in Mysia Abrettini, et Helle Rindaco, gli Erezii, i Miletopoliti, i Pemaneni, i Macedoni Aseulaci, i Polienei, i Pioni ti, e i Cilici spontii appellati, et alii ignobile·. Mandacadeni : io Misia gli Abrettini, chiamati anco Ellespontii, e altri ignobili.
HISTORIARUM MUNDI LIB. V.
T a O A D l», I T AO ID HCUR OBHTB).
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D b l l a T io a d b , b c e ’ p o p o l i annessi
XXX 111. Troadi· primos locus Hamaxi lat : XXX 111.11 primo loogo di Troade è Amassidein Cebrenia : ipsaqne Troas, Antigonia dicta, to, dipoi Cebrenia; ed essa Troade gii detta Αο· nunc Alexandria, colonia Romana. Oppidam Nee. tigonia, ora Alessandria colonia de1 Romani. La Scamander amnis navigabilis, et in promontorio città Nee. Lo Scamandro fiame navigabile, e Si quondam Sigeum oppidam. Dein portas Achaeo geo già città nel promontorio. Dipoi il porto rum, in qaem influit Xaathus Simoenti junctas : degli Achei, dove corre il fiame Xanto congiun stagnumque prius faciens Palaescamander. Ceteri to col Simoenta, e il Palescamadro, il quale fa Homero celebrati, Rhesus, Heplaporus, Caresus, prima uno stagno. Gli altri celebrati da Omero, Rhodius vestigia non habent. Granicus diverso cioè il Rheso, l ' Eptaporo, il Careso, e il Rodio tractu in Proponlida fluit. Est tamen et nunc non hanno lasciato alcun segno di loro. Il Gra Scamandria civitas parva, ac m D passibus remo nico per diversa regione corre nella Propontide. tum a portu Ilium immune, unde omnis rerum V’ è nondimeno ancora oggi Scamandria città claritas. Extra sinum sunt Rhoetea litora, Rhoe piccola,e lontano dal porto un miglio e mezzo, Ilio teo, et Dardanio, et Arisbe, oppidis habitata. Fuit libero, onde è la fama di tante cose fatte. Fuor et Achilleon, oppidum juxta tumulum Achillis del golfo sono le riviere Retee, abitale da tre cit eonditum a Mitylenaeis, et mox Atheniensibus, tà, Releo, Dardanio e Arisbe. Fuvvi aoco Achil ubi classis ejus steterat in Sigeo. Fuit et Aean- leo città edificata da Mililenei appresso il sepol tìum, a Rhodiis conditum in altero corno, Ajace cro d 'Achille, e dipoi dagli Ateniesi, dove fu ibi sepolto, xxx stad. intervallo a Sigeo, et ipsa la sua armata nel Sigeo. Fuvvi anco Eanlio edifi statione classis suae. Sapra Aeolida, et partem cato da1 Rodiotti nell’altro corno, dove fu se Troadis, in mediterraneo est, qaae vocatar Teu- polto Aiace, quattro miglia lontauo da Sigeo, thrania, qaam Mysi antiquitas tenaere. Ibi Caicus nel luogo stesso dov'era il suo alloggiamen amnis jam dictus oritur. Gens ampla per se, etiam to. Sopra l’Eolia, e parte della Troade, fra terra qnum totam Mysia appellaretur. In ea Pioniae, è Teutrania, che anticamente fu abitata da Misi. Andera, Cale, Stabulum, Conisium, Tegium, Bal- Quivi nasce il già detto fiume Caico. Nazione cea, Tiare, Teothranie, Sa rnaca, Haliserne, Lymolto grande da sè stessa, quando anco il tutto si chiamasse Misia. Sono in essa queste città, Pio· cide, Parthenium, Thymbre, Oxyopum, Lygdamom, Apollonia, longeqoe clarissimam Asiae nia, Andera, Cale, Stabulo, Conisio, Tegio, BalPergamum, qood intermeat Selinus, praeflait cea, Tiane, Teutranie, Sarnaca, Aliserne, LiciCeti as profusas Pindaso monte. Abest haud pro de, Partenio, Timhre, Ossiopo, Ligdano, Apol cul Elaea, quam in litore diximus. Pergamena lonia, e Pergamo famosissima città dell’ Asia, vocatur ejus tractos jurisdictio. Ad eam conve dove passa per mezzo il fiume Seiino, e il Celio niunt, Thyatireni, Mygdones, Mossyni, Bregmegli corre appresso, il qual nasce dal monte Pin ni, Hieracometae, Perpereni, Tyareni, Hierolo- daso. Poco discosto è Elea, la qual dicemmo phienses, Hermocapelitae, Altalenses, Pantaenses, nella riviera. Pergamena si chiama la giurisdi Apolkmidienses, aliaeque inhonorae civitates. A zione di quel contorno. Quivi vanno a ragione Rhoeteo Dardaniam oppidum parvum abest sta i Tiatireni, i Migdoni, i Mossini, i Bregmeni, dia l x x . Iqde xvm n promontorium Trapeza, gli leracomiti, i Perpereni,’.i Tiareni, gli Ierounde primum concitat se Hellespontus. Ex Asia lofiesi, gli Ermocapeliti, gli Attalesi, i Pautesi, interiisse gentes tradit Eratosthenes, Solymorum, gli Apollonidiesi, e altre città ignobili. Da Re· teo è lontano Dardanio piccola città nove miglia. Bebrycum, Colycantioram, TrepsedoDi là diciolto miglia è il promontorio di Tra rum. Isidoras Arimos : et Capretas, obi sit Apa mia condita a Seleuco rege, inter Ciliciam, Cap peza, onde da principio si comincia a muovere padociam, Cataoniam, Armeniam. Et qaoniara l· Ellesponto. Scrive Eratostene che in Asia ferocissimas gentes domuisset, initio Da meam sono mancati questi popoli, cioè i Solimi, i Lelegi, i Bebrici, i Colicanti, e i Trepsedi. E Isidoro vocatam. dice il medesimo degli Arimi e dei Capreti, dove è Apamia edificata dal re Seleaco fra la Cilicia, la Cappadocia, la Cataonia e l’Armenia: e perchè domò ferocissime nazioni, da principio fa chia mata Damea.
C. PLINII SECONDI
5*9 lasoLA&DM a s t e A s ia m CCXII.
XXXIV. 3 i. Insularum ante Atiam prima est in Canopico ostio Nili, a Canopo Menelai guber natore (ut ferunt) dicta. Altera juncta ponte Ale* xandriae, colonia Caesaris dictatoris, Pharus: quondam diei navigatione distans ab Aegypto : nunc e turri nocturnis iguibus cursum navium regens. Namque fallacibus vadis Alexandria, tri· bus omnino adilur alveis maris, S legano, Posideo, Tauro. In Phoenicio deinde mari est ante Joppen Paria, lota oppidum, in qua objectam belluae Andromedam ferunt : et jam dicta Arados, inter quam et continentem, quinquaginta cabila alto mari (ut auctor est Mucianus), e fonte dulcis aqna tubo coriis facto, usque a vado trahitur.
5ao
D b l l b d u g b b t o d o d ic i iso l b u n u m all 'A s ia .
XXXIV. Si. La prima isola avanti all'Asia è nella foce di Canopo del Nilo, così detta, secondo che si dice, da Canopo governatore di Menelao. La seconda è Faro, la quale è congiunta con oq ponte ad Alessandria, colonia di Cesare, già discosto dall'Egitto una giornata : ora eo' fuochi, che si fanno la notte in sulla torre, regge il corso delle navi; perchè Alessandria ha fallaci secche, e vi si va solamente per tre looghi, Slegano, Posideo e Tauro. Nel mar Fenicio poi dinasti a Gioppe è Pa ria, tutta citlà, dove, come si dice, Andromeda fa data a mangiare alla bestia marina : e la già detta Arado, fra la quale e terraferma è il mare alto cinquanta braccia, secondo che scrive Modano, e quivi si tira l’acqua dolce per nn cannone fatto di cuoio fino alla riva.
Ct p ii .
Di Cipao.
XXXV. Pamphylium mare ignobiles insulas habet. Cilicium ex quinque maximis Cyprum, ad orlum occasumque Ciliciae, ac Syriae obje ctam, quondam ix regnorum sedero. Hujus cir cuitum Timosthenes ccccxxvm μ o prodidit. Isidorus c c c l x x v m . Longitudinem inter duo pro» montoria, Dinaretum et Acamanta, quod est ad occasum, Artemidorus c l x i i d . Timosthenes cc. Vocatam ante Acamantida, Philonides : Cerastin Xenagorat, et Ajpeliam, et Amathusiam, et Macariara : Astynomus Crypton, et Coliniam. Oppi, da in ea xv. Nea Paphos, Palaepaphos, Curias, Citium, Coriueum, Salamis, Amathus, Lapethos, Solae : Tamaseus, Epidarum, Chylri, Arsinoe, Carpasium,' Golgi. Fuere et ibi Cinyria, Marium, Idalium. Abest ab Anemurio Ciliciae quinqua ginta n passuam. Mare, quod praetenditur, vo cant Aulona Cilicium. In eodem situ Eleusa in sula est : et quatuor, anie promontorium ex ad verso Syriae, Clides: rursusque ab altero capile Stiria. Conlra Neam Paphum Hierocepia. Contra Salamina, Salaminiae.
XXXV. 11 mar Panfilio ha isole ignobili. 11 Cilicio delle cinque grandissime ha Cipro, di verso levante e ponente della Cilicia, e posta all ' incontro della Siria, un tempo sede di nove regni. Scrive Timostene, che questa isola jgira quattrocento ventotto miglia e mezzo. Isidoro trecento setlantacinqne. Artemidoro dice, che fra i due promontorii Dioareto ed Acamanta, cbe guarda verso ponente, sono cento sessantadue miglia e mezzo ; e Timostene dogento. Se condo Filooid* fu già chiamala Acamantida ; secondo Senagora, Cerasti, Aspelia, Ama Inaia e Macaria : secondo Astinomo, Cripto · Colinia. Sono in essa quindici citlà. Nea Pafb, Palepafo, Curia, Cilio, Corineo, Salamina, Amato, Lapeto, Sole : Tamaseo, Epidaro, Chi tri, Arsinoe, Carpasio e Golge. Quivi furono anco Ciniria, Mario ed Idalio. E Uulana da Anemurio di Cilicia cin quanta miglia. 11 mare, che si distende, chiamasi Aulona de' Cilicii. Nel medesimo sito è l ' isola Eleuaa : e le quattro Clide avanti al promonto rio, dirimpetto alla Siria: e dall'altro capo Stiria. Α1Γ incontro di Nea Pafo è leropecia. Rimpetto Salamina è Salaminie. Nel mar di Licia sono Uliri, Telendo, Altelehussa, le tre Ciprie sterili, e Dionisià, detta prima Carela. Dipoi contra il promontorio di Tauro sono le tre Chelidonie molto pericolose ai naviganti. Dopo queste con la citlà Leooolla è Pallia : Lasia, Ninfaide, Macri, Megista, la cui citlà è mancata. Ve ne son poi molte igno bili. All'incontro di Chimera sono Dolichiate, Chirogilio, Crambussa, Roge, Enagora di otto miglia. Due Dedalone, tre Crienone, Stronfile,
In Lycio autem mari Illyris, Telendos, Atlelebussa, Cypriae tres steriles, et Dionysia, prius Caretha dicta. Deinde conlra Tauri promonto rium pestiferae navigantibus Chelidoniae tolidem. Ab iis cum oppido Leucolla, Paclyae: Lasia, Nymphais, Macris, Megi&ta, cujus civitas interiit. Mollae deinde ignobiles. Sed contra Chimaeram Dolichiste , Chirogylium, CrambusM, Rhoge, Enagora vm mill. passuum. Daedaleon duae, Cryeon tres, Strongyle, et contra Sidyma Antio-
HISTORIARUM MUNDI LIB. V.
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chi, Glaucumque Tersus amnem Lagusa, Macris, Didymae, Helbo, Scope, Aspis : et in qua oppi dum interiit, Telandria: proximaque Cauno Rhodussa. R h o d i.
5aa
ed all1 incontro Sidiraa d’ Antioco, e verso il fiu me Glauco Lagusa, Macri, Didime, Elbo, Scope, Aspi: e Telandria, dov’ è mancata la città: e Rodussa vicina a Cauno. Di
R o d i.
XXXVI. Sed pulcherrima et libera Rhodos, XXXVI. Ma la bellissima e libera Rodi gira cento venticinque miglia ; e se piuttosto voglia circuitu cxxv mill. passuum : aut si potius Isidoro credimus, Cin. Habitata urbibus, Lindo, Camiro, mo credere ad Isidoro, cenlotrè. Quivi sono Ialyso, uunc Rhodo. Distat ab Alexandria Aegyti queste ciltà, Lindo, Camiro e Ialiso, ora Rodi. d l x x v i i i millibus, ut Isidorus tradit, ut Erato È lontana da Alessandria di Egitto, secondo stbenes, c c c c l x ix millibus, ut Mucianus d , a Cy Isidoro, cinquecento settantotto miglia ; come pro c l x t i . Vocitata est antea Ophiosa, Asteria, scrive Eralostene, quattrocento sessantanove; secondo Muziano cinquecento, da Cipro cento Aelhraea, Trinacria, Corymbia, Poeessa, Alabysessantasei. Fu prima chiamata Ofiusa, Asteria, ria ab rege : deinde Macaria, et Oloessa. Rhodio rum imulae, Carpathus, quae mari nomen dedit: Elrea, Trinacria, Corimbia, Peessa, Alabiria da Casos, Achne olim : Nisyros distans ab Gnido xu un suo re. Dipoi Macaria, ed Oloessa. Le isole di mill. d . Por phy ri» antea dicta. Et eodem tractu Rodi sono Carpato, che diede il nome al mare : media inter Rhodum GnidumqueSyme. Cingitur Caso, già detta Acne: Nisiro lontana da Gnido do dici miglia e mezzo, detta prima Poffiride. E nel xxxvu mill. d . Portus benigne praebet octo. medesimo tratto Sime posta in mezzo fra Rodi · Praeter has circa Rhodum, Cyclopis, Stegaoos, Cordylosa, Diabetae i t . Hymos, Chalce cum op Gnido. Gira trentasette miglia e mezzo. E bene pido, Seullusa, Narlhecus·, Dimastos, Progne: fica di otto porti. Oltre a queste, circa Rodi tono, Ciclopi, Slegano, Cordilusa, quattro Diabete. et a Gnido, Cisserussa, Therionarce: Calydne cum tribus oppidis, Notio, Nisyro, Mendelero : Imo, Calce con la città, Seullusa, Nartecusa, Diet in Arconneso oppidum Ceramus. In Cariae masto, Progne : e dopo Gnido, Cisserossa, Teora, quae vocantur Argiae, numero viginti, et rionarce: Calidne con tre ciltà, Nozio, Nisiro e Hyetussa, Lepsia, Leros. Mendetero : e in Arconneso la città di Ceramo. Nella riviera di Caria le venti, che si chiamano Argie, e letussa, Lepsia e Lero. Nobilissima aulem in eo sinu Cos, ab Halicar Ma la più nobile di quel golfo è Co*, lontana nasso quindecim mill. passuum distans, circuitu quindici miglia da Alicarnasso, di giro cento centum: ut plures existimant, Merope vocata: miglia, prima chiamata Merope, come vogliono Cea, ut Staphylus: Meropis, ut Dionysiu·: dein alcuni: Cos, secondo Stafilo: Meropi, secondo Nymphea. Mons ibi Prion : et Nisyron abruptam Dionisio : dipoi Ninfea. Quivi è il monte Prione : illi putant, quae Porphyris antea dicta est. Hinc e dicono questi autori, che da lei fu già spiccata Caryandacum oppido. Nec procul ab Halicarnasso Nisiro, la quale prima si chiamava Porfiride. Di Pidosus. In Ceramico autem sinu Priaponesos, poi Cariaoda con la città. E poco lontano da AliHipponnesos, Psyra, Mya, Lampsa, Aemyndus, carnasso è Pidoso. Nel golfo Ceramico sono que ste, Priaponeso, Ipponneso, Psira, Mia, Larapsa, Passala, Crusa, Pyrrhe, Sepiussa, Melano: paullumque a continente distans, quae vocata est Emindo, Passala, Crusa, Pirre, Sepiussa, Melano : e poco lontano da terraferma, quella che si chia Cinaedopolis, probrosis ibi relictis a rege Alexaodro. mò Cinedopoli, dove il re Alessandro lasciò i vituperosi. S am i .
XXXVU. Joniae ora Tragias,et Corseas habet, et learoo, de qua dictum est : Laden, quae prius Late vocabatur: atque inter ignobiles aliquot, duas Camelidas Mileto vicinas: Mycalae, Trogilias tre·: Psilon, Argennon, Sandalion: Samon liberam, circuitu l x x x v i i mill. d pass., aut, ut Isidorus, centum mill. pass. Parteniam primum appellatam Aristoteles tradit: postea Dryusam,
Di
Sam o.
XXXVII. Nella riviera della Ionia sono le Tragee e le Corsee, e Icaro, di coi si è parlato : Laden, che prima si chiamava Late : ed alcune ignobili, due Camelide vicine a Mileto : Micale, le tre Trogilie : Psilo, Argennone, Scandalio : Samo libera, di giro ottantasette miglia c mezzo, o, se condo Isidoro, di cento. Dice Aristotele ch'ella fu prima chiamata Partenia, poi Driosa, e finalmente
G. PLINII SECUNDI
5a3
deinde Antheraasam. Ariitocritus adjicit Melamphyllam,dein Cyparissiam : alii Partheooarotam, Stephanen. Amnes in ea, Imbrasus, Cheiiu», Ibettes. Fontes: Gigartho, Leucothea. Mona Ceroetius. Adjacent insulae, Rhypara, Nymphea, Achillea. C h ii.
Antemasa. Aristocrito v’aggiogne Melanfillo, poi Ciparisia : aleoni altri Partenoarasa e Stefane. Essa ha questi fiami : 1’ Imbraso, il Cbesio e Io Ibette. 1 fonti sono Gigarto, Leocotea. 11 monte Cercezio. Sonovi appresso qneste isole, Ripara, Ninfea, Achillea. Di
C h io .
XXXV ili. Par claritate ab ea distat x c i t m passaom com oppido Chios libera, quam Aethaliam Ephoros prisco nomine appellat : Metrodoros et Cleobolos Chiam, a Chione nympha : aliqoi a nive: et Macrin, et Pityusam. Montem habet Pel lenaeam, marmor Chiam. Cirooitu cxxv mill. passaam colligit, nt veteres tradidere : Isidoros ix millia adjicit. Posita est inter Samom et Lesbam, ex adverso maxime Erythrarum. Fioitimae sont Talla ea, quam alii Daphnusam scribant : Oenassa, Elaphilis, Earyanassa, Argi, nasa com oppido. Jam hae circa Ephesum, et qaae Pisistrati vocantor: Anthinae, Myonesos, Diarrheoaa. In atraqoe oppida intercidere. Poroselene cnm oppido : Cerciae, Halone, Commone, Uletia, Lepria, et Rhesperia: Prooasae, Bolbalae, Phannae, Priapos, Syce, Melane, Aenare, Sidusa, Pela, Drymasa, An hydros, Soopelos, Sycossa, Marathossa, Psile, Perirrheasa, maltaeqne igno biles. Clara vero in alto Teos com oppido, e Chio l x x i mill. s pass. tantomdem ab Erythris. Jaxta Smyrnam sant Peristerides, Carteria, Alopece, Elaeassa, Bachina, Pystira, Crommyonesos, Megale. Ante Troada, Ascaniae, Plateae tres. Dein Lamiae, Plitaniae doae. Pia te,Soopelos, Gelone, Arthcdon, Coelae, Lagussae, Didymae.
XXXVIII. Di pari fama è lontana da questa novanta quattro miglia Chio con la città libera, la quale Eforo col oome antico chiama Etalia : Me trodoro e Cleobolo Chia, da Chione ninfa : alcani dalla neve: e Macri, e Piatisa. Ha il monte Pelleneo, e il marmo Chio. Gira, secondo gli antichi, cento venticinqoe miglia : Isidoro v' aggingne nove miglia. È posta fra Samo e Lesbo, e massi mamente è rimpetto ad Eritra. Vicine ad essa sono Tallosa, la qaale alcani scrivono Dafnasa: Enossa, Elafite, Eurianassa, Arginosa con la città. Queste sooo circa Efeso, e quelle che si appellano da Pisistrato : Antina, Mioneso e Diarreosa. Nell’ ana e l'altra sono mancate le città. Poroselene con la città : Cercia, Alone, Commone, Illesia, Lepria e Resperia: Procnse, Boi buie, Fanne, Priapo, Sice, Melane, Enare, Sidusa, Pela, D rimosa, Anidro, Seopelo, Sicussa, Maratassa, Psile, Perirreasa, e molte ignobili. In alto mare ì la famosa Teo con 1« città, lontano da Chio settant’un miglio, e altret tanto da Eritra. Appresso Smirna sono le Peristeride, Carte ria, Alopece, Eleassa, Bachine, Pistira, Crommioneso e Megale. Dinansi a Troade sono le Aseanie e le tre Platee. Dipoi le Lamie, le doe Pillarne. Piate, Scopeto, Gelone, Artedone, Cele, Lagasse e Didime.
L ksbi.
Di Lasso.
XXXIX. Clarissima aatem Lesbos, a Chio mill. passaam. Himerte et Lasia, Pelasgia, Aegira, Aethiope, Macaria appellata fuit, novem oppidis inelyta. Ex iis Pyrrha haosta est mari, Arisbe terraram mota subversa. Antissam Me thymna traxit in seipsam : novem nrbibas Asiae in xxxvn mill. passaam vicina. Et Agamede obiit, et Hiera. Restant Eresos, Pyrrha, et libera Mity lene, annis ai o potens. Tota insula circaitar, at Indorai, c u v u i mill. passaam : at veteres, cxcv mill. Montes habet Lepethymam, Ordymnom, Maeistnm, Creonem, Olympam. A proxima con tinente abest vn n d passaam. Insalae adposilae, Sandaleon: Leocae qoinqoe. Ex iis Cydonea cam ion te calido. Argenassae ab Aege rv mill. passaam distent. Dein Phellon, Pedea. Extra Hellespontum advena Sigeo litori adjacet Tenedos, Letco·
XXXIX. La famosissima Lesbo è lontana da Chio sessantacinque miglia. Imerte e Lasia, Pe lasgia, Egira, Etiope. Fa chiamata Macaria, illa stre per nove città. Di queste Pirra fa inghiottita dal mare, e Arisbe ruinata dal terremoto. Mettinna tirò Antissa in si stessa, vicina trentasette miglia : alle nove città dell1 Asia. Agamede-e lem son mancate. Restano Ereso, Pirra, e Mitilene li bera, possente mille cinquecento anni sono. Tutta l’ isola, secondo Isidoro, gira cento sessantotto miglia, ma secondo gli antichi, cento novantacinque. Ha qoesti monti, il Lepetimo, POrdiano, il Macisto, il Creone e l’Olimpo. È lontana da terraferma sette miglia e messo. Le noie viciae sono Sandaleo, e cinque Leoebe. Fra qaeate è Cidonea con an fonte caldo. L ’Argeonsse sono lontane da Ega quattro miglia. Dipoi PeUnaa
ut
HISTORIARUM MUNDI LIB. V.
phrys dici·, et Phoenice, et Lyrnessos. Abest a Lesbo i n mill. passuum, a Sigeo xn ■d.
Hil u iw h t im ,
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X L 3a. Impetam deinde sumit Hellespontos, cim are incnmbit, vortici bos limitem fodiens, donec Asiam abrumpat Eoropae. Promontorium id appellavimus Trapezam : ab eo decem mill. pas suum, Abydum oppidum, ubi angustiae septem stadiorum. Deinde Percote oppidum : et Lam psacum, antea Pilyosa dictum. Parium colonia, quam Homerus Adrastiam appellavit. Oppidam Priapo s, amnis Aesepus : Zelia. Propontis : ita ap pellatur, ubi se dilatat mare. Flumen Granicum, Artace portus, obi oppidum fuit. Ultra insula, quam continenti junxit Alexander, in qna oppi dum Milesiorum Cyzicum, ante vocitatum Arctonnesos, et Dolionis, et Dindymis, cujus a ver tice mons Dindymus. Mox oppida: Placia,Ariace, Scyface, quorum a tergo mons Olympus, My sius dictus : civitas Olympena. Amnes : Horisius, et Rhyndacus, ante Lycus vocatos. Oritur in sta gno Artynia juxta Miletopolim : recipit Maceston, et plerosque alios, Asiam Bitbyniamque di sterminans. Ea appellat* est Cronia, dein Thessa lis, dein Matiande, et Strymonis. Hos Homerus Halizonas dixit, quando praecingitur gens mari. Urbs fuit immensa Attusa nomine : nunc suat xn civitates, inter quas Gordiucome, quae Juliopo lis vocatur, et in ora Dascylos. Deinde flumen Gelbes : et intus Helgas oppidum, quae Germa nice polis, alio nomine Booscoete : sicut Apamea, quae nunc Myrlea Colophoniorum : flumen Etheleum, antiquus Troadis finis, et Mysiae initium. Postea sinua, in quo flumen Ascanium : oppidam BryIlion: amnes, Hylas, e( Cios, cum oppido ejus dem nominis, quod fuit emporium non procul aeeolenti» Phrygiae, a Milesiis quidem conditum, in loco tamen qui Ascania Phrygiae vocabatur. Quapropter non alibi aptius de ea dicator.
P b b t g ia .
XLI. Phrygia Troadi superjecta, populisque a promontorio Lecto ad flamen Etheleum prae dictis, aeptemtrionali sui parte Galatiae conter mina : meridiana Lycaoniae, Pisidiae, Mygdoniaeque : ab oriente Cappadoeiam attingit. Oppida ibi celeberrima praeter jam dicta, Ancyra, An dria, Celaenae, Colossae, Carina, Cotyaion, Ce rasa·, Coniam, Midaion. Sunt auctores, transis-
5*6
e Pedna. Fuor dell* Ellesponto all* incontro del lito Sigeo è Tenedo, detta Leueofiri, Fenice e Lirnesso. È lontana da Lesbo cinquantasei mi glia, da Sigeo dodici miglia e mezzo. D e l l 1 E l l b s p o b t o b d e l l a M is ia .
XL. 3a. Piglia dipoi la saa forza lo Ellespon to, e vien sopra il mare» e co’suoi ritrosi fora il termine, finché spicca l'Asia dall'Enropa. Questo promontorio si chiama Trapeza: dal quale ad Abido città sono dieci miglia, dove i lo stretto di sette ottavi di miglio. Dipoi Percote cittì : e Lampsaco, dello prima Piliusa. Pario colo nia, la quale Omero chiamò Adraslia. La cit là di Priapo, il fiume Esepo : Zelia. La Pro pontide : cosi si chiama, dove il mar s'allarga. 11 fiome Granico, il porto Artace, dove fu ona città. Pià oltra è un' isola, la qoale Alessandro congiunse con terraferma, dov’ è Cizico città de* Milesii, prima chiamato Artonnéso, e Dolioni, e Dindimi, sopra la qoale è il monte Dindimo. Poi le citlà di Placia, Ariace e Scilace, dietroalle quali è il monte Olimpo, detto Misio : la città Olimpena. I fiumi: Orisio, e Rindaco, dianzi chiamato Lieo. Egli nasce nello stagno Artinia presso a Miletopoli, e riceve in si il Macestone, e molli altri, dividendo l'Asia e la Bitinia. Essa è chiamata Cronia, dipoi Tessaglia, poi Maliande, • Strimone. Questi popoli furono chiamati da Omero Alizoni, perché sono cinti dal mare. Vi fu già una gran città chiamata Attusa : ora ve ne sono dodici, fra le quali è Gordiucome, la qua le si domanda Gioliopoli, e nella riviera Dascilo. Dipoi il fiume Gelbe : e fra terra Elga città, detta Germanicopoli, per altro nomo Booscete : coma Apamia, la quale si chiama ora Mirlea de’ Colo· fonii : il fiume Eteleo, antico fine di Troad·, · principio della Mista. Poi il golfo, nel quale è il fiume Ascanìo : Brillìo città : i fiumi sono, lo Ila, e il Ciò,con una città del medesimo nome, il qual· fu mercato, o fiera della Frigia che gli è vicina, edificato da' Milesii, in un luogo però che si domandava Ascania di Frigia. Perciò altrove non si può accomodatamente parlar di quella. D blla F aiotA .
XLI. La Frigia posta sopra la Troade,e sopra i popoli già detti dal promontorio Letto al fiume Eteleo, dalla sua parte settentrionale confina con la Galazia : da mezzogiorno con la Licaonia, Pisidia e Migdonia ; e da levante con la Cappa docia. Quivi oltre le già dette sono qoeste città famosissime, Ancira, Andria, Celene, Colosse, Carina, Cosiaione, Cerane, Conio e Midaione.
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C* PLINI] SECONDI
5«ft
se ex Europa Mysos, «t Brygas, et Thynos, a quibos appellantur Mysi, Phryges, Bithyni.
Scrivano aleuti, che d’ Europa passarono i Misi, i Brighi e i Tini, dai qaali sono chiamati i Misi, i Frigi e i Bitini.
G a l a t ia , b t ad jo h c tab gbhtbs.
D b l l a G a l a z i a b d b 1 p o p o l i a h h b s s i.
XLII. Simul dicendum videtur et de Galatia, quae superposita, agros majori ex parte Phrygiae tenet, capntqne quondam ejus Gordium. Qui partem eam insedere Gallorum, Tolistobogi, et Voturi,el; Ambitui vocantur: qui Maeoniae et Pa phlagoniae regionem, Trocmi. Praetenditur Cap padocia, a seplemtrione et solis ortu, cujus uber rimam partem occupavere Tectosages, ac Teutobodiaci. Et gentes quidem hae. Populi vero ac tetrarchiae omnes, numero cxcv. Oppida : Tecto sagum, Ancyra : Trocmorum, Tavium : Tolistobogorum, Pesinus. Praeter hos celebres, Attalenses, Arasenses, Comenses, Dioshieronitae, Lystreni, Neapolitani, Oeandenses, Seleucenses, Sebasteni, Timooiacenses,Teba seni. Attingit Galatia et Pam phyliae Cabaliam: et Milyas, qui circa Barin sunt, et CyJlanticum, et Oroandicum Pisidiae tractum. Item Lycaoniae partem Obigenen. Flumina sunt in ea praeter jam dicta, Sangarium et Gallus, a quo nomen traxere Matris deum sacerdotes.
XLII. Pare che si possa dire insieme della Galazia, la quale posta di sopra, tiene la maggior parte del paese della Frigia, e Gordio gii fu capo d'essa. I Galli, che si posero in quella parte, si chiamano i Tolistobogi, i Voturi, e gli Ambitui : quegli, che abitarono la Meonia e la Paflagonia, i Trocmi. Distendesi la Cappadocia da setten trione e da levante, la pià fertile parte della quale occuparono i Tettosagi, e i Teulobodiaci. E queste sono le genti. Ma i popoli e le tetrar chie sono tutte, a novero, cento novantadnque. Le citti : Ancira, de' Tettosagi : Tavio, de’Trocmi, e Pesino, de'Tolistobogi. Oltra a questi sono famosi gli Atlalesi, gli Arasesi, i Comesi, i Diosieroniti, i Listreni, i Napoletani, gli Eandesi, iSeteucesi, i Sabasteni, i Timoniacesi, iTebaseni. Confina la Galazia anche con Caballa di Panfilia : e coi Milii, i quali sono circa Bari, e col Cillanlico, e Oroandico paese della Pisidia : e anco con Obigene parte della Licaonia. Oltre a' già detti sono in essa questi fiumi, il Sangario, e il Gallo, dal quale presero il nome i sacerdoti di Cibele.
Bithyota. XLUI. Nunc reliqua in ora, a Cio intos in Bithynia Prusa, ab Hannibale sub Olympo condi ta : inde Nicaeam xxv millia passuum interve niente Ascanio lacu. Deinde Nicaea in ultimo Ascanio sinu, quae prius Olbia, et Prusa item al tera sub Hypio monte. Fuere Pythopolis, Parthe nopolis. Coryphanta. Sunt in ora amnes, Aesius, Bryazon, Plataneus, Areus, Aesyros, Gendos, qui et Chrysorrhoas. Promontorium, in quo Me garice oppidum foit. Unde Craspedites sinus vo cabatur, quoniam id oppidum velut in lacinia erat. Fuit et Astacum, unde et ex eo Astacenus idem sinus. Fuit et Libyssa oppidum, ubi nunc Hannibalis tantum tumulas. Est in intimo sinn Nicomedia Bithyniae praeclara. Leucatas promon torium, quo includitur Astacenus sinus, a Nico media xxxvii ■n. Rursusque coeuntibus terris angustiae pertinentes usque ad Bosporum Thra cium. In iis Calchedon libera, a Nicomedia l x i i ». Procerastis antea dicta, dein Colposa : postea Coccorum oppidam, quod locum eligere nescissent, septem stadiis distante Byzantio, tanto feli ciore omnibus modis sede. Ceterum intus in Bi thynia colonia Apamena, Agrippenses, Juliopolitae, Bithynion. Flumina : Syrium, Lapsias, Phar-
D b l l a B it ih ia .
XL 11I. Ora nel resto della riviera, dopo Ciò fra terra in Bitinia è Prusa, edificata da Annibaie sotto il monte Olimpo : di li insino a Nicea sono venticinque miglia, e in questo mezzo è il lago Ascanio. Dipoi Nicea ndl'estremo del golfo Asca nio, la qual prima fu chiamata Olbia, e un'altra Prusa ancora sotto il monte Ipio. Furonvi Pitopoli, Partenopoli e Confante. Nella riviera sonoqaesti fiumi, l'Esio, il Briazone, il Plataneo, l'Areo, 1' Esiro, e il Gendo, che si chiama anco Crisorroa. Il promontorio, dove fu la città Megarice. Quivi il golfo si chiamava Craspedite, perchè questa citti era neH’estremo. Fuvvi pure Astaco, onde questo golfo si chiamava Astaceno. Fuvvi anco la città di Libissa, dove è oggi solamente il sepolcro d'Annibaie. E nell'intimo golfo è la famosa Nicomedia dì Bitinia. Il promontorio Leucata, dove si rinchiude il golfo Astaceno, da Nicomedia trentasette miglia e mezzo. E di nuo vo raccozzandosi la terra, lo stretto insino al Bosforo di Tracia. In questo stretto è Calcedone libera, da Nicomedia sessantadue miglia e mezio, detta prima Proceraste, dipoi Colpusa : ultima mente la città de'Ciechi, perchè essi non avevano saputo eleggersi il luogo, lontano da Bisansio sette
HISTORIARUM MUNDI LIB. V.
53o
macia*, Alces, Crynis, Lilaeus, Scopius, Hieras, qui Bithyniam et Galatiam disterminat. Ultra Chalcedona Chrysopolis fuit. Deinde Nicopolis, a qua nomen eliamnum sinus retinet : in quo portus Amyci : deinde Naulochum promonto rium : Estiae templum Neptuni. Bosporus d pas suum intervallo Asiam Europae i teram anferens, abest a Chalcedone xn mill. d passuum. Inde fauces primae τπι mill. d c c l pass. ubi Phinopolis oppidum fuit. Tenent oram omnem Thyni, inte riora Bithyni. Is finis Asiae est, populorumque c c l x x x i i qui ad eum locum a sinu Lyciae nume rantur. Spatium Hellesponti et Propontidis ad Bo sporum Thracium esseccxxxix milL passuum di ximus. A Chalcedone Sigeum Isidorus c c c x x ii i d passuum tradit.
ottavi di miglio, il qoale è il più bel sito del mondo. Ma addentro in Bitinia è la colonia Apamena, gli Agrippesi, i Giuliopoliti e Bitinione. 1 fiumi : il Sirio, il Lapsia, il Farmacia, l’Alce, il Crini, il Lileo, lo Scopio e lo Iera, il quale divide la Bitinia dalla Galazia. Di li da Calcedone fu già Crisopoli, dipoi Nicopoli, dalla qoale il golfo ritiene ancora il nome. Quivi è porto d1Amico: dipoi Nauluco promontorio : Estie tem pio di Nettuno. Il Bosforo, che con intervallo di cinquecento passi parte di nuovo l'Asia dalΓ Europa, ì lontano da Calcedone dodici mila e cinquecento passi. Dipoi le prime foci otto mila e settecento cinquanta passi, dove fu già la città di Finopoli. Tutta la riviera la posseggono i Tini, e i Bitini fra terra. Questo è il fine dell'Asia, e di dugentottantadue popoli, i quali sono dal confine della Licia fino a quel luogo. Noi dicemmo, eha lo spazio dell'Ellesponto e della Propontide fino al Bosforo Tracio i dugento trentanove mila passi. Isidoro dice, che da Calcedone a Sigeo sono trecento ventidue miglia e cinquecento passi.
* 1 PSD L A I IH PaOPOHTIDB.
DaLLC ISOLI DILLA PlO PO flTID I.
XLIV. Insulae in Propontide ante Cyzicum Elaphonesus, unde Cyzicenum marmor : eadem Neuris et Proconesus dicta. Sequuntur Ophiusa, Acanthus, Phoebe, Scopelos, Porphyrione, Halo» ne eum oppido, Delphacia, Polydora. Artacaeon cum oppido. Est et cootra Nicomediam Demonesos. liem altra Heracleam adrersa Bithyniae Thy nias, quam barbari Bithyniam vocant. Est et An tiochia : et contra fauces Rhyndaci Besbicos de cem et octo mill. circuitu. Est et Elaea, et duae Rhodussae, Erebinthodes, Megale, Chalcitis, Pityodes.
XLIV. Le isole della Propontide innanzi a Ci zico sono, Elafoneso, onde viene il marmo Ciziceno : questa fu già detta Neuri e Proconeso. Seguono Ofiosa, Acanto, Febe, Scopeto, Porti none, Alone con la ciltà, Delfacia, Polldora. Artaccone con la ciltà. È anco contra Nicome dia Demoneso. E oltra Eraclea dirimpetto alla Bitiuia è Tinia, la qoale i barbari chiamano Biti nta. Evvi anco Antiochia : e conlra le foci del Rindaco è Besbico, che ha di circuito diciolto miglia. Ed evvi Elea, ς le due Rodasse, Erebinlode, Megale, Calciti e Piziode.
C. PLINII SECUNDI
HISTORIARUM MUNDI LIBER VI SITUS, GENTES, MARIA, OPPIDA, PORTUS, MONTES, FLUMINA, MENSURAE, POPULI QUI SUNT AUT FUERUNT.
Pom n
M a rta r d ih o a v ii.
I. κ. ΜΓoatoa B u in a·,antea«b inhospitali feri* tale Axeno· appellai··, peculiari invidia nator·· à i e «lio Ane iadolgent» aviditati mari·, et ipse uter Eoropem Aeiamque fanditar. Noe fuerat satia oeeano ambisse terra·, et partem earum — *- maaitate abitatine : non irrupisse fracti· aaonttbos, Calpeqoe ACrieae avoUà, tanto majora abeorlmiMe, quam reliquerit, apatia : non per H ifc ifiw t i· Propontìda infodisse, iteruaa terrò d m ra U · : a Bospore qaoqae in aliam vastitatem panditar aaila satietate, donee exspatiaati lacas Maeotia rapinam «nam jungat. Inviti· hoc acci* è n e terrà, iadkioeuot tot angostiae, atqne tam parva nataree repognanti· intervalla ; ad HailaapaeUnm octingentoram aeptnaginta quiaque pm aaw : ad Boeporos duo·, Tel boba· meabiK transila : and·noaaenamboboa, et)am qoaedam in dissociatione germanitas ooncors. Alitom qnippa cantas, cannmqoe latrato· invicem aodiontor: ••eis etiaan humanae commercia, inter doo· or be» manente colloquio, niei quom idipsom aufe rant venti. Mensorem Ponti a Bosporo ad MaeotinalM an quidam feeeresiv triginta odo niU. • paasanm. Erataetbenes oenftumminerem. Agripp · a Chdkedeee ad Pbeain κ mill. Inda Bospo-
D e l P o r t o b d · 1M a r ia r d ir .
I. i. J .1 Ponto Eosino prima della sua inospitai feriti chiamato Asaeno, con particolare in T id la della natura, la quale senz’aicun termine com piace alla ingordigia del mare, scorre anch’esso fra 1* Europa e l*Asia. Non era abbastanza, che l’oeeano avesse circondate la terra, e crescendo la rabbia sua n'avesse levata una parte : non gli era assai, ehVi fosse entrato per forza fra terra, spezzando i monti, e levando Calpe ad Africa, e molto maggiori spazii avesse inghiottiti, che lasciati : non gli bastava avere infusa la Propon tide per Γ Ellesponto, di nuovo divoratele terre; che dal Bosforo in un’altra larghezza ai distende •enz'aleana sazietà, insino a ehe rolendo esso pià spaziare, il lago Meotico conginnge con esso la ina rapina. E die ciò «ia accaduto contra il voler della terra, segno ne fanno tanti stretti e tanti pieeoli interrali! della natura, ehe contrasta; all’Ellesponto ottocento aettentacinqne passi ; e ai due Borfori, dove posson passare fino a' buoi : onde ambidoe hanno preso il nome, · nell· scompagnarsi hanno come una concorde fratel lanza. Perchi dall’uno all'altro lato s’ode il canto degli uccelli, e l’abbaiar de1 cani: passa anco il commercio delle voci umane fra i due mondi,
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C. PLINII SECUNDI
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rum Cimmeriam trecenta sexaginta mill. No« invaila generatim ponemus comperta in nostro aevo, quando etiam in ipso ore Cimmerio pu gnatam est.
Ergo a faucibus Bospori est amnis Rhebas, quem aliqui Rhesum dixerunt. Deinde Psillis, portus Calpas. Sangaris fluvius ex inclytis : oritur in Phrygia, accipit vastos amnes, inter quos Tem» brogium et Gallum ; idem Sangarius a plerisque dictas Cora lias, a quo incipiunt Maryandini sinus, oppidumque Heraclea Lyco flumini adposilum. Abest a Ponti ore millibus ducentis: portus Acone, veneno aconito dirus, specus Acherusia. Flumina: Paedopides, Callichorum, Sonantes. Oppidum Tium, ab Heraclea triginta octo mil libus pass. Fluvius Billis. ( P aph lagobcm .
sicché egli è bene inteso, se non quando è por tato via da' venti. Alouni hanno latta la misura del Ponto dal Bosforo alla palude Meotide mille quattrocento e trentotto miglia e mezzo. Eratostene la fa di cento manco. Agrippa da Calcedone al Fasi fa dieci miglia. E di là al Bosforo Cim merio trecento sessanta. Io generalmente porrò gl'intervalli trovati a* nostri tempi, poiché ancora s’ è combattuto fin nella foce Cimmeria. Dopo la foce del Bosforo dunque è il fiume Reba, il quale da alcuni è stalo chiamalo Reso. Dipoi Psilli, e il porto Calpa. Il fiume Sangiario, un de1 famosi, il qual nasce in Frigia, e riceve in sè fiumi grandi, fra i quali è il Tembrogio, e il Gallo ; il medesimo Sangario è chiamato da molli Coralio, da cni cominciano i golfi Mariandini, ed Eraclea cittì posta sul fiume Lioo. È lontana dalla bocca del Ponto dugento miglia : Acone porto pestifero per lo veneno aconito, la spelonca Acherusia. I fiumi: Pedopide, Callicoro e Sonan te. La citlà Tio, lontana da Eraclea trentotto miglia. 11 fiume Billi. D b 1p o p o l i P a f l a g o u i .
». Di l ì da qaesto fiume è b Paflagonia, II. a. Ultra quem gens Paphlagonia, quam II. la quale da alcuni è stata chiamata Pilemenia, Pylaemeniam aUqai dixerunt, inclusam a tergo Galatia. Oppidum Mastya Milesiorum, deinde rinchiusa di dietro della Galazia. Mastia cittì de1 Milesii, dipoi Cromna. Nel qual luogo Cor Cromna. Quo loco Henetos adjicit Nepos Corne lius, a quibus in Italia ortos cognomines eorum nelio Nipote aggiugne gli Eneti, dai quali vuole che si creda che sien nati quegli, che in Italia si Venetos credi postulat. Sesamum oppidam, quod nunc Amastris. Mons Cytorus a Tio l x i i i mill. chiamano Veneti, con somigliane· di nome. Se samo cittì, che ora si chiama Amastri. Il monte passuum. Oppida : Cimoli*, &tephane : amnis Citoro, lontano da Tio sessantatrè miglia. Le cit Parthenius. Promontorium Carambis vasto ex cursu, abest a Ponti ostio cccxxv mill. passuum: tà : Cimoli, e Stefane : il fiume Partenio. 11 pro vel, ut aliis placuit, c c c l mill. Tantumdem a Cim montorio Carambi, il quale entra molto in mare, merio, aut ut aliqui maluere, cccxu x s. Fuit et lontano dalla foce del Ponto trecento venticin oppidum eodem nomine, et aliud inde Armene : que miglia : o come vogliono alcuni; trecento nuno est colonia Sinope, a Cytoro c l x i v millibos. cinquanta. Altrettanto è lontano dal Cimmerio, o Flumen Evarchum : gens Cappadocum, oppidum secondo alcuni, trecento dodici miglia e mezzo. Gaziura, et Gazelum : amnis Halys, a radicibus Fuvvi auco una cittì del medesimo nome,e un'alTauri per Cataoniam Cappadociamque decurrens. tra detta Armene : ora è la colonia Sinope, lon Oppida : Gangre, Carusa, Amisum liberum, a tana da Citoro cento sessantaqualtro miglia. 11 Sinope cxxx mill. passuum. Ejusdeinque nomi fiume E varco : i popoli Cappadoci, le città Ga nis sinus tanti recessas, ut Asiam paene insulam ziura, e Gazelo : il fiume Ali, il quale dalle radici del Tauro corre per la Cataonia e per la Cappa faciat, cc mill. passuum aut amplius per conti nentem ad Issicum Ciliciae sinum. Qao in omni docia. Le cittì : Gangre, Carusa, Amiso libero, tracta proditor, tres tantum gentes Graecas jure lontano da Sinope cento trenta miglia. E an gol dici, Doricam, Jonicam, Aeolicam, celeras bar fo del medesimo nome, di tante rivolle, che & barorum esse. Amiso junctum fuit oppidum Eu quasi P Asia isola, dugenlo miglia e pià per patoria, a Mithridate conditum. Victo eo, Pom lerraferma insino airissico golfo della Cilida. pejopolis utrumque appellatum est. Nel qual tratto, per quanto egli ai distende, tro vasi che tre nazioni sole meritamente si poaaon chiamar Greche, la Dorica, la Ionica, la Eolica, e le altre esser de'barbari. Con Amiso fo con giunti la città Eupatoria, edificata da Mitridate.
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HISTORIARUM MONDI LIB. Vi.
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E dipoi ch'ei fu vinto, l'una e l'altra si chiamò Pompeiopolt. C appadocdm .
Db' C a p p a d o c i .
IU. 3. Cappadocia intus habet coloniam Clau dii Caesaris Archelaidem, qnam praefluit Halys. Oppida : Comana, quod Sarus : Neocaesaream, quod Lycos : Amasiam, quod Iris in regione Ga zacene. In Colopena vero Sebastiani et Sebasto poli n. Haec parra, sed paria supra dictis. Reli qua sui parie Melitam, a Semiramide conditam, haud procul Euphrate: Diocaesaream, Tyana, Castabaia, Magoopolim, Zelam : et sub monte Argaeo Mazacam, quae nunc Caesarea nomina tur. Cappadociae pars praetenta Armeniae majori, Melitene vocatur: Commagenae,Cataonia: Phry giae, Garsauritis, Sargarausene, Cammanene : Galatiae, Morimene : ubi disterminat eos Cappa dox amnis, a quo nomen traxere, antea Leucosyri dicti. A Neocaesarea supra dicta minorem Ar meniam Lycus amnis disterminat. Est et Cerau nus intus clarus. In ora autem ab Amiso oppi dum el flumen Chadisia, Lycastum, a quo Themiscyrena regio.
III. 3. Cappadocia ha fra lerra Archelaide colonia di Claudio imperadore, presso alla quale corre il fiume Ali. Le ciltà sono, Comana bagnata dal fiume Sauro, Neocesarea dal fiume Lieo, Ama sia dal fiume Iri, nell? regione Gazacene. Nella Colopeua ha Sebaslia e Sebastopoli. Queste città son piccole, ma però eguali alle sopraddette. Nel l’altra sua parte ha Melita edificata da Semiramide, poco lontano dall'Eufrate: Diocesarea, Tiaua, Caslabala, Magnopoli e Zela : e sotto il monte Argeo Mazaca, la quale si chiama ora Cesarea. La parte della Cappadocia, confinante con 1* Arme nia maggióre si chiama Melitene : con la Comma* gene, si chiama Cataonia: con la Frigia, Garsaurite : con la Sargarausene, Cammanene : con la Galatia, Morimene : dove gli divide il fiume Cap padoce, dal quale essi pigliarono il nome, prima detti Leucosiri. Il fiume Lieo parte l ' Armenia minore dalla sopraddetta Neocesarea. È anco fra terra il famoso Cerauno : e alla riviera Amiso ciltà, e il fiume Cadisia, Licasto, dopo il quale è la regione Temiscira.
THBMSCYBBHA REGIO, ET 18 BA GEHTBS.
D e l l a r e g io n T e m i s c u a , e d b ' s u o i p o p o l i .
IV. Iris flumen deferens Lycum. Civitas Ziela IV. 11 fiume Iri che riceve in sè il Lieo. Ziela intus, nobilis clade Triarii, et victoria C. Caesa ciltà fra terra, nobile per la rotta di Triario, e per la vittoria di Gaio Cesare : nella riviera il ris : in ora amnis Thermodon, ortus ad castellum, quod vocant Phanaroeam, praelerque radices fiume Termodonte, il qual nasce al castello, che Amazonii montis lapsas. Fuit oppidum eodem si chiama Fanarea, e passa luugo le radici del nomine, et alia quinque, Amazonium, Themi monte Ajnazonio. Fiivvi già una città del mede scyra, Sotira, Amasia, Comana : nunc Manteium. simo nome, e altre cinque, cioè Amazonio, Te miscira, Sotira, Amasia, e Comana : ora Manteio. I popoli sono i Geneti e i Calibi. La citlà 4 · Gentes Genetarum, Chalybum. Oppidum Colyornm. Gentes : Tibareni, Mossyni nolis si Cotioro. 1 popoli Tibareni, e i Mossini, i quali fanno segni ne'corpi loro. 1 popoli Macrocefali, gnantes corpora. Gens, Macrocephali: oppidum Cerasus, portus Chordule. Genles : Bechi res, Bu- la città di Ceraso, e porto Cordula. 1 popoli Be chi ri, e i Buzeri. 11 fiume Mela. I popoli Macroni : zeri. Flumen, Melas. Geus, Macrones : Sidene, flumenque Sidenura, quo adluilur oppidum Po- Sidene, e il fiume Sideno, il qual passa presso lemonium ab Amiso czx mill. pass. lude flumina, alla città di Poiemonio, lontano da Amiso cento venti miglia. Dipoi i fiumi, l'Iasonio,e il Melando: Jasopium, Melanthium : et ab Amiso l z x x mill. pass. Pharuacea oppidom, Tripolis castellum et e lontano da Amiso ottanta miglia Farnacea città, fluvius. Item Philocalea, et sine fluvio Liviopolis : Tripoli castello e fiume. E Filocalea, e Liviopoli et · Pbarnacea centum mill. passuum, Trapezus senza fiume : e lontano cento miglia da Farna liberam, vasto monte clausum. Oltra quod gens cea, Trapezonle città libera rinchiusa da un gran Armenochalybes, a majore Armenia zxx mill. monte. Di là da questa città sono i popoli Arpassuum distans. In ora ante Trapezunta flumen menocalibi, e Γ Armenia maggiore lontana tren Pyxiles : ultra vero gens Sannorum Heniocho ta miglia. Nella riviera dinanzi a Trapezonte rum. Flumen Absarum, cum castello cognomine è il fiume Pissite; e più oltra i popoli Sanni in faucibus, a Trapezunte c x l mill. passaum. Ejus Eniochi. Il fiume Absaro, con un castello del suo nome nella foce, lontano centoquaranta miloci a tergo montium Iberia est : in ora vero He·
G. PLINII SECONDI
niochi, Ampreatae, Lati. Flumina: Acampsis, Isi·, Mogrus, Bathys. Gentes Colchorum. Oppi dum Matium, flumen Heracleum, et promonto rium eodem nomine, darissimnsque Ponti Pha sis. Oritur in Moschis : navigator quamlibet ma gnis navigiis xxxviu mill. d passuum. Inde mi noribus longo spalio, pontibus cxx pervius. Op pida in ripis habu il complura : celeberrima, Tyn daride, Circaeum, Cygnum, et in faucibus Pha sin. Maxime autem inclaruit Aea, xv mill. pas suum a mari, ubi Hippos et Cyaneos vasti amnes e diverso in eum confluunt. Nunc habet Surium tantum, et ipsum ab amne influente ibi cogno minatum, usquequo magnarum navium capacem esse diximus. Et alios accipit fluvios, magnitudi ne numeroque mirabiles, inter quos Glaucum. In ore ejus, insulae sine nomine, ab Absaro l x x i . Inde aliud flumen Charien. Gens Salae, antiquis Phihirophagi dicti, el Suani. Flumen Cobum e Caucaso per Suanos fluens. Dein Rhoas. Regio Ecreetice. Amnes : Singames, Tarsuras, Astelephas, Chrysorrhoas. Gens Absilae, castellum Se bastopoli), a Phaside centum mill. pass. Gene Sannigarnm, oppidum Cygnus, flumen et oppi dum Penius. Deinde multis nominibus Henio chorum gentes.
R boio C o l i c a ,
b t g e n te s Achabobum , e t c b te b a k
RODBM TEACTU GENTES.
54ο
glia da Trapezonte. Dietro a'monti di quel paese è la lberia, e alla riviera gli Eniochi, gli Ampreuli, e i Lazi. I fiumi, l'Acampsi, Γ Isi, il Mogro, il Rati. 1 popoli Colchi. Matio dttà, il fiume Eraeleo, e il promontorio del medesimo nome, e il Fasi fiome chiarissimo di Ponto. Nasee «el paese dei Moschi, · navicasi con navili quanto si voglia grandi per trentotto miglia e mezzo ; dipoi coi minori lungo spazio : passasi con cento venti pon ti. Sulle rive di questo fiume furono già di molte citlà, e le più illustri erano, Tindarida, Circeo, Cigno, e nelle fod Fasi. Ma la pià illustre di tutte fu Ea, quindici miglia lontano dal mare, dove Γ Ippo, e il Cianeo, fiumi grandissimi, mettono in esso da diversa parie. Ora v* è solo la città di Snrio, la quale ha preso il nome dal fiome, che vi corre appresso, infino a dove noi dicemmo che egli è capace di navili grandi. Riceve anco di molti altri fiomi di grandezza e numero mera viglioso, fra i quali è il Glauco. In bocca d 'esso sono alcune' isole senza nome, lungi da Absaro settanta miglia. Ecci poi un’ altro fiume, chia mato Cariene. 1 popoli Sali, dagli antichi detti Ftirofagi, e Suani. 11 fiume Cobo, che viene dal monte Caucaso, e passa per il paese de’ Suani. Dipoi Roas. La regione Ecrettica. Fiumi : il Singame, il Tarsura, l’Atdfo, e il Crisorroa. I popoli Absili, il castello Sebastopoli, lontano cento mi glia da Faside. I popoli Sannigari, Cigno dttà, Penio fiume e dttà. Dipoi i popoli Eniochi con molli nomi. D e l l a b b g i o n C o l c h i c a , o b o l i A c h b i b d ’a l t e i NBL MEDESIMO PAESE.
5 . Siegue la region Colchica di Ponto, V. 5. Subjicitur Ponti regio Colica, in qua V. juga Caneasi ad Riphaeos montes torquentur, ut dove i gioghi del monte Caucaso ai torcono verso dielum esi, altero latere in Euxinum et Maeotin i monti Rifei, come s’ è detto, piegando da un devexa, altero in Caspium et Hyrcanium mare. Iato nell’ Eusino e nella Meotide, dall’ altro nel Reliqua litora ferae nationes tenent, Melanchlae- mar Caspio, e nell’ Ircano. Gli altri liti sono abi tati da popoli fieri, siooome sono i Melandoli, e i ni, Coraxi urbe Colchorum Dioscuriade, juxta fluvium Anthemunta, nuno deserta: quondam Corassi, con la dttà de’ Colchi Dioscuriade, ap •deo clara, nt Timoslhenet in eam ccc nationes, presso il fiume Antemunte, ora deserta ; e già tanto famosa, che Timostene scrisse, come in essa dissimilibus linguis, descendere prodiderit. Et poitea a nostris cxxx interpretibus negotia ibi si trovavano trecento nazioni, le quali osavano gesta. Sunt qui conditam eam ab Amphito el differenti linguaggi. E dipoi da’ nostri si traffica Telchio, Castoris ac Pollucis aurigis putent, a va quivi con cento trenta interpreti. Alcani di quibus ortam Heniochorum gentem feram con- cono, che ella fu edificata da Anfilo e Telchio atat. A Dioscuriade oppidum Heracleum : distat carettieri di Castore e Polluce, dai quali si truova a Sebastopoli l x x mill. pass. Aehaei, Mardi, Cer- avere avuta origine la fiera nazione degli Enio cetae : post eos Serri, Cephalotomi. In intimo eo chi. Dopo Dioscuriade è la dttà Eraeleo, 1· quale tractu Pityus oppidum opulentissimum, ab He i lontana da Sebastopoli settanta miglie.Gli Achei, niochis direptum est. A tergo ejus Epageritae, i Mardi, i Cerceti : dopo loro i Serri e i CefaloSarmatarum populas m Caucasi jugis: post quem tomi. In quella ioti aia parte è Pàtio città ricchis sima, che fu disfatta dagli Eniochi. E dietro a Sauromatae. Ad hos profugerat Mithridates Cito· essa gli Epageriti, popolo Semata ne’ gioghi dal dio principe, narravitque Thalos iis esse confine·, monte Caucaso, · dopo questi i Sauroaati. Qai vi qui ab oriente Caspii naris feuoes attingereut:
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HISTORIA RDM MONDI LIB. VI.
siccari eas aestu recedente. In ora astem juxta Cercetas, fiamen lea rusa, cam oppido Hiero et flamine, ab Heracleo cxxxvi mill. Inde promon torium Cranae, a qao superriliam ardaam tenent Toretae. Civitas Sindica, ab Hiero l x v i i ■ d passaam. Flamen Setheries.
6. lode ad Bospori Cimmerii introitam u n r m mill. d passaam. Bosvomus C im m bbid s . VI. Sed ipsius peninsolae inter Pontum et Maeotios lacum exeorrentis, aon amplior i i t i i a ilL » passaum loagitado est : latitudo nuaquam iafira duo jugera. Eionem voeant. Ora ipsa Bo spori, atrimque ex Asie atque Europa, curyatur in Maeotin. Oppida, in adita Bospori primo Hermooasea, dein Cepi Milesiorum. Mox Stratodia, et Phanagoria, et paene desertum Apataro·, alti· moqae in ostio Cimmerium, quod aatea Cerberion vocabatur. 7. lode Maeotia lacus, in Earopa dictos.
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era rifuggito Mitridate al tempo di Claudio imperadore, ed esso contò, come con costoro confi nano i Tali, i quali da levatile giungono allo stretto del mar Caspio, il qual rimane in secco, quando la corsia si parte. Alla riviera appresso > Cerciti è il fiume Icarusa, con Iero cittì e fiume, lootano centotrentasei miglia da Eraclea. Dipoi il promontorio Cruna, sulla coi aspra cima abi tano i Toreti. La città Siodica lontana sessantaselle miglia e mezzo da Iero. 11 fiume Seterie. 6. Di quivi fino all' entrata del Bosforo Cim merio sono ottantotto miglia e mezzo. D bl
B o s fo b o C ih m bbio.
VI. Ma la luoghezza della penisola, che scor re fra il Ponto e il lago Mootico, non è piò che seasantasette miglia e mezzo, e la larghezza non è in alcun luogo meno di due ingerì. Chiamasi Eione. La riviera stessa del Bosforo di qua e di li, dall'Asia e dall'Europa, si piega nella Meoti de. Nella prima entrala del Boeforo sono questa cittì : Ermooassa, e Cepe de' Milesii. Dipoi Stra todia, e Fanagoria, e Apaturo poco meno che deaerta, e ueH'ulliraa entrata Cimmerio, ehe già si chiamava Cerberio. 7. Ci è poi la palude Meotide, detta in Europa.
M a b o t u , b t β α η ι c ib c a M a e o t i · .
D b LLA M e OTIDB, B d b ' POPOLI CtBCOSTAim.
VII. A Cimmerio accolant Maeotici, Vali, Serbi, Arrechi, Zingi, Ptesii. Dein Tanain amnem, geaaino ora influentem, calant Sarmatae, Medo· nam (at ferunt) soboles, et ipsi in multa genera divisi. Primo Sauromatae Gynaecocratumeni, ▲mazonum connubi·. Dein Evasae, Cottae, Ciciaaeoi, Measeniani, Costobocd, Cboatrae, Zigae, Dandari, Tassagetae, Tureae, usque ad solitudi nes saltuosis convallibus asperas : ultra quas Arimpbaei, qui ad Riphaeo· pertinent montes. Tanain ipsum Scythae Silin vocant, Maeotin Te meranda quo significant matrem maris. Oppidum io Tanais quoque ostio fuit. Tenuere finitima priori Cares, dein Clazomenii et Maeones, postea Pan ticapenses.
VII. Dalla parte di Cimmerio abitano i Meotici, i Vali, i Serbi, gK Arrechi, i Zingi e i Psesii. Abitano poi sul fiume Tanai, che ha due feci, i Sarmati, i quali, secondo che si dice, sono discesi da' Medi, divisi anch' essi in molti geoeri. Prima Sauromati Ginecocratnmeni, coi quali le Ama zone usavan maritarsi. Dipoi gli Evazi, i Cotti, i Cicimeni, i Messeniani, i Costobocci, i Coatri, i Zigi, i Dandari, i Tussageti, i Turchi, infino alle solitudini aspre per le valli piene di boschi} oltra i quali abitano gli Arinfei, li quali confinano coi monti Rifei. Gli Sciti chiamano il Tanai Sili, e la Meotide Temerinda, che significa madre del mare. Fu anco già una città nella foce del Tanai. I primi die abitarono i paesi vicini, furono i Cari, dipoi i Clazomeui e i Meoni poi i Panticapesi. Sono alcuni, i quali pongono intorno alla Meotide fino a' monti Ceraunii queste nazioni. Dalla riviera i Napet, e di sopra gli Essedoni con giunti co' Colchi, e con le cime de'monti. Dipoi i Carmad, gli Orani, gli Autaci, i Mazaci, i Cantocapti, gli Agamati, i Pid, i RimozoH, gli Asoomarci : e a’ gioghi del Caucaso, gli Icatali, gli Imaduchi, i Rami, gli Andari, i Tidii, iCarastasei, gli Auziandi. Il fiume Lagoo, che viene da' monti Catei, nel quale entra il fiame Ofaro : ivi sono
Sunt qui circa Maeotin ad Ceraanios montes bas tradant gentes. A litore Napitas : sapraque Essedeoes Colchi· juncto·, montium cacumini· bua. Dem Carmacas, Orano·, Autacas, Mazacas, Canto captas, Agamathas, Picos, Rhymozolos, Aaoomareos : et ad juga Caucasi Icatalas, lmadueboa, Ramos, Andacas, Tydios, Carastaseos, Authkadas. Lagoum amnem ex montibus Catbeis, ia quem defluit Opbarus: ibi gentes Caocadas, Opbaritai: amnes, Menolharum, Imityem ex
G. PLINII SECUNDI
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montibus Cissiis, inter Acdeos, Cernas, Uscardeos, Acciso·, Gabros, Gogaros. Circaqae fontem Itnityis, Imityos, el Aparlheuos. Alii influxisse eo Scythas Auchetas, Atarneos, Anmpatat. Ab his Tanaitas et ]napaeos viritim deletos. Aliqui flamen Opbariam labi per Gantecos el Sapeos : Tanain vero transisse Phatareos, Rerticeos,Spondolicos, Synhietas, A massos, Isso*, Celazelos, Tegoros, Catoαos, Neripos, Agaudeos, Mandareos, Salarcheos, Spaleos.
i popoli Gaueadi, e gli Ofariti. Il fiume Menotaro, e rimitie che viene da'monti Cissii, fra gli Acdei, i Carni, gli Uscardei, gli Accisi, i Gabri e i Gogari. E intorno al fonte d1 Imitue, gl* Imitni, e gli Aparteni. Altri tengono, che quivi sien venuti gli Sciti Aucbeti, gli Atarnei e gli A sara pati, e che da questi sieno stati interamente dis fatti i Tanai ti e gl' loapei. Altri dicono, che il fiume Ofario passa per il paese de’ Canteci e de1 Sapei, e che passassero il Tanai i Fatarei, gli Erticei, gli Spondolici, i Sinieti, gli Amassi, gl'lssi, i Catazeti, i Tegori, i Catoni, i Neripi, gli Agandei, i Mandarci, i Satarchei, e gli Spalei.
C a p p a d o c i a e s it d s .
PoSTVBA DBLLA CAPPADOCIA.
V ili. 8. Peracta est inlerior ora, omnesqoe accolae : none reddatur ingens in mediterraneo sinas ; in qao multa aliter, ac veteres, proditu· rum me non eo infidas, anxia perquisita cura, rebus noper in eo situ gestis a Domitio Corbulo ne, regibusque inde missis supplicibus, aut re gum liberis obsidibus. Ordiemur autem a Cappadocum gente. Longissime haec Ponticarum omnium introrsus recedens, minorem Armeniam, majoremque, et Gommagenem laevo suo latere transit : dextra vero omnes in Asia dictas gentes, plurimis superfusa populis: magnoque impetu scandens ad ortum eolia et Tauri juga, transit Lycaoniam, Pisidifm, Ciliciam : vadit super An tiochiae tractum, et usque ad Cyrrhesticam ejus regionem, parte sua, quae vocatur Cataonia, contendit. Ilaque ibi longitudo Asiae xn quin· quaginta mill. passuum efficit: latitudo, d c x l mill.
A lM SU
MAJOB ET HIROB.
V ili. 8. Noi abbiamo trattato della riviera interiore, e di tulli gli abitatori : ora ragioneremo d* un gran golfo del mediterraneo ; dove io con fesso eh* io dirò molle cose, e molto diverse da quelle, che hanno dette gli antichi, perciocché io v* ho usata diligentissima cura circa le cose nuo vamente filile in quel paese da Domizio Corbu lone, e circa i re da lui mandati a Roma a suppli care, o i figliuoli de* re mandali per istalichi. Comincieremo dunque da’ popoli di Cappadocia. Questa nazione va pià addentro di tutte Γ altre nel Ponto, e dal suo lato manco passa l'Armenia maggiore e la minore, e la Commagene; e da man riita tutte le nazioni dette nelPAsia, distendendo si sopra molti popoli ; e con grande empito ascen dendo verso levante e il monte Tauro, passa la Licaonia, la Pisidia e la Cilicia : va sopra il paese d1 Antiochia, ed entra fino a Cirrestica regione d’ essa, da quella sua parte, che Cataonia si chia ma. Quivi dunque la lunghezza dell’ Asia è mille dugento cinquanta miglia, e la larghezza seicento quaranta. D b l l b d u b A b m b b ib .
9. L’ Armenia maggiore cominciando dat IX. 9. Armenia autem major incipiens a Pa- IX. ryadris montibus, Euphrate amne (ut dictum est) monti Pariadri è levata dal fiume Eufrate alla aufertur Cappadociae: et qua discedit Euphrates, Cappadocia, come s’ i detto ; e dove non corre Mesopotamiae, haud minus claro amne Tigri. l’ Eufrate, è levata alla Mesopotamia dal Tigri, che Utrumque fundit ipsa, et initium Mesopotamiae non è punto meno famoso fiume. Essa genera facit, ioter duos amnes iturae. Quod inter est ibi, l’uno e l’altro, e fa il principio della Mesopotamia, tenent Arabes Orei. Sic finem usque in Adiabe che ricorre fra i due detti fiumi. Il paese eh ' è nen perfert. Ab ea transversis jugis inclusa, lati* quivi in mezzo, è abitate dagli Arabi O rei. E tudineem in laeva pandit ad Cyrum amnem trans così prolunga il suo confine fino in Adiabene. versa Araxem : longitudinem vero ad minorem Rinchiusa da essa con gioghi che si vanno a ttra usque Armeniam, Absaro amne in Pontum de versando, distende la sua larghezza da man m anca fluente, et Paryadris montibus, qui fundunt insino al fiume Ciro, e da traverso insino all*A ras se: e la lunghezza fino all’Armenia minore,separa Absarum, discreta ab illa. la da quella dal fiume Absaro,che mette in P o n to , e da’monti Pariadri, dai quali nasce l’Absaro.
5^5
HISTORIARUM MUNDI LIB. VI.
Cvmus f l u v i u s ,
« t A r a x is .
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D bi fiu m i C ibo bd A b a s u .
X. Cyrae oritar in in Heniochiis monlibas, X. Il fiume Ciro nasce ne'monti Eniochii, qaos alii Coraxicos vocavere : Araxes eodem i quali sono stati chiamati da alcuni Corassid ; monle, qao baphrates vi mill. passaam interval e 1’Arasse dal medesimo monte che l’Eufrate con lo : anctusqe amne Masi, et ipse ( nt piares exi· sei miglia d’ intervallo: dipoi accresciuto dal fiu stimavere ) a Cyro defertar in Caspium mare. me Musi, anch’ esso, secondo il parer di molli, insieme col Ciro entra nel mar Caspio. Oppida celebrantur in minore, Caesarea, Aza, Le città illustri dell’ Armenia minore sono, IVicopolis : in mejore, Annotata Euphrati pro Cesarea, Aza e Nicopoli : nella maggiore, Ar ximum, Tigri Carcathiocerta : in excelso autem inosela vicina al’ Eufrate, Carcetiocerta vicina Tigranocerta, at in campis juxta Araxem Artaxa al Tigri,Tigranocerta sovra i poggi, e Artassata al ta. Universae magnitudinem Aufidius quinquagies piano sopra l’ Arasse. Scrive Aufidio, che tutta centena mill. prodidit. Claudius Caeser longitu l’Armenia è cinquemille miglia. Claudio Imperedinem a Dascusa ad confinium Caspii maris, xm dore dice, eh’ dia è lunga da Dascusa al confino mill. passuum : latitudinem dimidium ejus, a del mar Caspio mille trecento miglia, e larga la Tigranocerta ad lberiam. Dividitor (quod cer metà da Triganocerta all’ lberia. Dividesi, che si tum est) in praefecturas, qnas Srfctniy/a; vocant, sa certo, in centoventi prefetture, le quali essi quasdam ex iis vel singula regna quondam,barba chiemano strategie, e certe di esse, o ciascuna furono già regni con barbari nomi. Di verso le ris nominibus cxx. Claudunt eam ab oriente mon tes, sed non statim, Ceraunii, nec Adiabene regio. vante, ma non così subito, è chiusa da’ monti Quod interest spatii, Sopheni tenent : ab his ju Cerannii, e dalla regione Adiabena. Lo spazio, g a: ultra Adiabeni tenet. Per convalles autem che v’ è in mezzo, è abitato da’ Sofeni ; dopo proximi Armeniae sunt Menobardi, et Moscheni. essi sono montagne, e più oltra i popoli Adiabeni. Adiabenen Tigris, et montes invii cingunt. Ab E per le valli i più vicini all’ Armenia sono i laeva ejus regio Medorum est, et prospectus Menobardi, e i Moscheni. Il Tigri, e i seni dei Caspii maris. Ex Oceano hoc (nt suo loco dice monti cingono 1’ Adiabena. Da man manca d’ essa mus ) infunditnr, totumque Caucasiis montibus è la Media, e la veduta del mar Caspio. Questo cingitur. Incoine per confininm Armeniae nnnc esce dall’ Oceano, come diremo al suo luogo, ed è tutto cinto da’ monti Caucasii. Ragioneremo dicentur. ora degli abitanti ne’ confini dell’ Armenia. D b l l ’ A l b a n ia , d b l l ’ I b b b ia b d b ’ p o p o l i l o b A l b a n ia , I b b b ia b , b t iu n c t a e g e n t b s .
v i c in i.
XI. 10. Planitiem omnem a Cyro asqne, Al XI. 10. Tutta la pianura, cominciando fin banorum gens tenet : mox Iberum, discreta ab dal fiome Ciro, è abitata dagli Albani ; poi dagli iis amne Alazone, in Cyrum e Caucasiis montibus Iberi, divisa da qoesti dal fiume Alazone, il quale defluente. Praevelent oppida,Albeniee,Cabelaca : venendo da’ monti Cancasii mette nel Ciro. Le Iberiae, Harmastis juxla flumen, Neoris : regio più illustri città dell’Albania sono Cabelaca; dclThasie, et Triere nsque ad Paryadras. Ultra sunt l’ lberia Armasti posta appresso il fiume, e Neori: Colchicae solitudines, quarum a lateré ad Cerau il paese di Tasia, e Triare fino ai monti Paria nios verso, Armenochalybes habitant et Moecho dri. Di là sono le solitudini de’ Colchi, dal lato rum tractus ad Iberum amnem in Cyrum de delle quali volto a’ monti Ceraunii abitano gli fluentem : et infra eos Sacassani, et deinde Ma- Armenocalibi, e i Moschi fino al fiume lbero, che crones ad flumen Absarum. Sic plana ac devexa mette nel Ciro ; e sotto essi i Sacassani, e dipoi obtinentur. Rursus ab Albaniae confinio, tota i Macroni sul fiume Absaro. E così i paesi piani montium fronte gentes Silvorum ferae, et infra e quei di costiera sono abitati. Di nuovo dal con fino d’ Albania per tutla la fronte de’ monti abi Lubienorum : mox Diduri et Sodii. tano i Silvi, gente fiere, c di sotto i Labieni : dipoi i Diduri e i Sodii.
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G' PL1NJ1 SECUNDI P o r t a s C a u c a s ia · .
548 D u u N a t i C aucam .
XII. 11. Ah ii» sani portae Caucasiae, magno XII. 11. Dopo questi sono le porte Caneasie, errore maltis Caspiae dictae, ingens natane opus eon grande errore dette da molti Caspie, opera montibus interruptis repente, abi fores obditae grande della natura, dove essendo rotti i monti, sonsi fatte le porte eon travi ferrate, sotto il mexferratis trabibus, subter medias amne diri odo ris fluente, citraque in rupe castello ( quod voca zo delle quali corre un fiume di malo odore; · tor Cumani») commonito ad arcendas transita ^i qua sulla ripa è un castello (che si chiama Cugentes innumeras; ibi loci, terrarum orbe portis mania), fortificato per levare il passo a genti, che fossero in gran numero : quivi è il mondo sic discluso, ex adverso maxime Harmastis oppidi come chioso fuori da quelle porte, e all’ incootro 1ber oro. deHa cittì d’ Armasti è Ibero. Dopo le porte Caucasie per li monti Gordiei A portis Caucasiis per montes Gordyaeos, Valli, Suarni indomitae gentes, auri tamen me sono i Valli e i Suarai, popoli indomiti, i quali però cavano oro delle loro cave. Dopo que talla fodiunt Ab iis ad Pontum usque Heniocho rum plura genera, mox Achaeorum. Ita se habet sti insino al Ponto sono più generi di Eaiochi, poi degli Achei. Così sta una delle pià illustri terrarum sinus e clarissimis. / parti del mondo. Aliqui inter Pontum et Caspium mare cccuxv Alcuni hanno detto, che fra il Ponto e il mar mill. passuum, non amplius interesse tradiderunt : Caspio non sono pià che trecento settanlacinque Cornelius Nepos c c l mill. Tantis iterum angustiis miglia : Cornelio Nipote vaole che sieno dugento infestator Asia. Claudius Caesar a Cimmerio Bo cinquanta. Da tanta strettura è di nuovo l ' Asia sporo ad Caspium mare c l mill. prodidit: eaque infestata. Claudio imperadore scrisse, che dal perfodere cogitasse Nicatorem Seleucum, quo Bosforo Cimmerio ai mare Caspio sono cento tempore a Ptolemaeo Cerauno sit interfectas. A cinquanta miglia, e che Seleueo Nicatore aveva portis Caucasiis ad Pontum oc mill. passuum es avuto in animo di far tagliar qeello spazio, in se constat fere. quel tempo, ch’egli fu morto da Tolomeo Co reano. Dalle porte Caucasie al Ponto è quasi manifesto esser dugento miglia. I rso la b m P ow to .
D e l l e i s o l e c h e son o i r P o r t o .
X lll. ia. Insulae in Ponto Planctae, sive XIII. ia. In Ponto sono le isole Piante, ov Cyaneae, sive Symplegades. Deinde Apollonia, vero Cianee, ovvero Simplegadi. Dipoi Apollo Thynias dicta, ut distingueretur ab ea, quae est nia, detta Tinia, per distinguerla da quella eh1 è in Europa. Distat a continente passibus mille : in Europa. È lontana da terraferma un miglio, cingitur tribas mill. Et contra Pharnaceam Chale gira tre miglia. Dirimpetto a Farnace è Oliceriti·, quam Graeci Ariam dixerunt, sacramque ceri ti , la quale fu chiamata da'Greci A ria, Marti, et in ea voiacres cum advenis pugnasse, consacrata a Marte, e dissero che in essa com pennarum icta. batterono gli uccelli contra i forestieri, eon lo sbattere delle penne. G brtbs
a S c y t h ic o o c b a k o .
Da’ POPOLI
DI QUA DAL M A » DI S ciZIA .
XIV. i 3. Nunc omnibus, quae sunt interio XIV. i 3. Avendo noi ragionato di tatte le parti interiori dell* Asia, passeremo ora a’ monti ra Asiae, dictis, Riphaeos montes transcendat ani mus, dextraque litori Oceani incedat. Tribus hic Rifei, e andretno per i liti destri delPOcvano. partibus coeli adluens Asiam : Scythicos a* se Questo da tre parti del cielo bagna l'Asia : da ptemtrione, ab oriente Eoos, a meridie Indicas settentrione è chiamato Scitico, da levante Eoo, vocatur, varieque per sinus et accolae in complura da mezzodì Indico, e variamente è diviso per nomina dividitor. golfi e abitatori in pià nomi. Verum Asiae quoque magna portio adposita Ma ancora gran parte dell’ Asia poeta a septemtrioni, injuria sideris rigentis vastas soli settentrione, per rispetto del freddo eccessivo, tudines habet. Ab extremo Aquilone ad initium ha di molte solitudini. Dall’ estremo Aquilone orientis aestivi, Scythae sunt. Extra eos ultraque fino al principio dell’oriente estivo abitano gli
HISTORIARUM MONDI L 1B. IV.
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Aquilonis ioitia Hyperboreo· alicui posuere, plu ribus iu Europa dictos. Primum inde noscitur promontorium Celticae Lytarmis, flavias Caram· bucis, ubi lassata oum sideram vi Riphaeorum montium deficiunt juga. Ibique Arimphaeos quo»· dam accepimus, haud dissimilem Hyperboreis genteaa. Sedes ilhs nemora, alimenta baccae, ca pillus juxta feminis virisqae in probro existima tur: ritus demeate·. Itaque sacros haberi nar rant, inriolatoaque esse etiam fecis aecolaram populis : nee ipsos modo, sed illos quoqae, qui ad eos profugerint. Ultra eos plane jam Scythae, Cimmerii, Cisaianthi, Georgi, et Aanazonum gens. Haec usque ad Caspium et Hyrcanium mare.
C a s p io s i t
H n c u ir a
m a &b .
55υ
Sciti. Fuora d’eiei, e di là da’ principii d’Aqui» lone, secondo alcuni, sono gl’ Iperborei, e molti dicono che sono in Europa. Quindi prima si cono sce Li tarmi promontorio della Celtica,il fiume Carambaci, dove finiscono i gioghi de’monti Rifei, affaticati dalla forza delle stelle. Quivi abbiamo inteso esser certi popoli chiamati Arinfei, poco differenti dagli Iperborei. Le abitazioni loro sono boschi, e vivono de’ frutti degli alberi. Recansi a vergogna con le donne, come gli uomini, portar capegli: hanno mansueti costami. E però son tenuti sacri, e inviolati ancora dai popoli fieri, che abitano loro vicino ; nè sola mente essi, ma quegli ancora che rifuggano a loro. Di là da essi sono gli Sciti, i Cimmerii, i Cissianti, i Georgi e le Amazoni. E questo fino al mar Caspio e all’ Ircano. D a l m a x C a s p io b d 1a c a r o .
XV. Namque id irrumpit e Scythice oceano in XV. Perciocché questo esce dall’oceano Sci aversa Asiae, pluribus uominibus accolarum ap tico, e viene incontro all’Asia, chiamato per più pellatum, celeberrimi· duobus, Caspio et Hyrca nomi dagli abitatori, fra i quali i due celebratissi· nio. Nou minos hoc esse quam Ponto m Euxinum, mi, Caspio e Ircano. Tiene Clitareo, ohe questo non sia punto minor del Ponto Eusino Eratostene Clitarchus putat. Eratostbene· ponit et mensu· ram : ab exortu et meridie, per Cadusiae et Alba- mette anco la misara, da levante a mezzogiorno ■iae oram quinquies roiMe cccc stadia. Inde per per le riviere di Cadosia e d’Albania, e fa che sieno cinque mila quattrocento stadii. E di là Anartaoas, Amardos, Hyrcanos, ad ostium Oxi flumini», qoater mille d c c c stad. Ab eo ad ostium andaudo per gli Anarici, Amardi e Ircani, fino Jaxartis, un cccc. Quae summa efficit quindecies alla foce del fiume Ossi, quattro mila ottocento stadii. Quindi alla fooe del lassarle, duemila cenlena septuaginta quinque mill. passuum. Ar quattrocento. La qual somma fa mille cinque temidorus hinc detrahit viginti quiuque mill. cento settantacinque miglia. Artemidoro ne leva passuum. Agrippa Caspium mare, gentesquequae venticinque. Agrippa determinando il mar Ca circa sunt, et eum his Armeniam determinans, ab oriente oceano Serico, ab occidente Caucasi spio e i popoli che sono intorno, e con questi jugis, a meridie Tauri, a septemtrione oceano l’ Armenia, dice che chiusi a levante dall’oceano Serico, a ponente dai gioghi del Caucaso, a mez Scythico, patere qua cognitum est, ccocxc i pa—nam in longitudinem: ocxc ■in latitudinem zodì da quelli del Tauro, e a settentrione dal l’oceano Scitico, hanno, per quanto si può sapere, prodidit. Non desunt vero qui ejus maris univerin lunghezza quattrocento novanta miglia, in n u s circuito m a freto xxv mill. pass. tradant. Isrghezza dugento novanta. Sono anco di quei che dicono tutto il circuito di quel mare, comin ciando dallo stretto essere duemila cinquecento miglia. E quivi rompe con bocche strette, ma lun Irrumpit autem aretis iaocibus, et in longitu ghe. Ma poiché egli ha cominciato allargarsi, si dinem spatiosis. At ubi coepit in latitudinem torce in forma di corna,oome fa alla palude Meoti pundi,Uiaatisobliquatur cornibus: velut ad Maeo de, partendosi dalla foce a guisa d’un areo Scitico, tium lacum ab ore descendens, Scythici arcus (ut come scrive M. Varrone, Il primo golfo si chiama aaetor est M. Varro) similitudine. Primus sinus Scitico, perchè di qua e di là abitano Sciti, e per appellatur Scythicas: utrimque enim accolant Scythae, et per angustias inter se commeant: hinc 10 stretto navigano Γ uno all’altro : di qua sono i Nomadi, e i Sanromati con molti nomi, di là Nomades, et Saurematae multis nominibus, illinc gli Abzoi con non punto manco. Nell’ entrata Abxoae non paucioribus. Ab introitu dextra, dalla parte destra gli Udini abitano la pnnta del macronem ipsum faucium tenent Udini Scythalo stretto, popolo anch’esso di Scizia. Dipoi per ram populus. Dein per oram Albani (ut ferunt), ab Jasone orli: ante quos mare quod est, Albanum' 11 lito sono gli Albani, i quali, secondo che si nomioatar. Haec gens superfusa montibus Cauca- | dice, sono discesi da Giasone : dinanzi i quali è
C. PLINII SECONDI
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siis, ad Cyram amnem, Armeniae confinium atque Iberiae descendit, ut dictum est. Supra maritima ejus Odinoramque gentem, Sarmatae, Olidorsi, Aroteres praetendantur : quorum a tergo indica tae jam Amazones Sauroroalides. Flumina per Albaniam decurrunt in mare, Canus el Albanus : deinde Cambyses in Caucasiis ortus montibus: mox Cyros in Coraxicis, at diximus. Oram om nem a Casio praealtis rupibos inaccessam, patere ccccxxv mill. passuum auctor est Agrippa. A Cyro Caspiam mare vocari incipit: accolunt Caspii.
Corrigendus est error in hoc loco multorum, eorum etiam, qui in Armenia res proxime cum Corbulone gessere. Namque hi Caspias appella vere Portas Iberiae, quas Caucasias diximas vo cari : situsque depicti et inde missi, hoc nomen Inscriptum habent. Et Neronis principis commi natio, ad Caspias portas tendere dicebatur: quam peteret illas, quae per lberiam in Sarmatas ten dunt, vix alio propter adpositos moutes adita ad Caspiam mare. Sunt aatem aliae, Caspiis genlibus junctae: qaod dignosci non potest, nisi i m i tatu rerum Alexandri Magni.
Ad ubebe .
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il mare, che si chiama Albano. Questa nazione abila ne’ monti Caacasei, e scende fino al fiome Ciro, confine dell’ Armenia e dell* Iberia, come s’ è detto. Sopra i suoi luoghi marittimi, e sopra gli Odini sono i Sarmati, gli Otidorsi, gli Aroteri : dietro a’quali sono le Amazoni Sauromatidi già mostrate. Per l’Albania corrono questi fiami in mare, il Casio e ΓAlbano : dipoi il Cambise nato ne’montiCaucasei; poi il Ciro ne* Corassid, eome dicemmo. Tolta questa riviera oltre al Caucaso, la quale è impraticabile per cagione d’alte rupi, secondo Agrippa è quattrocento venticinque mi glia. Dopo il Ciro comiacia a chiamarsi il mar Caspio, e quivi abitano i Caspii. In questo luogo s’ha da correggere l’error di molti, e di coloro ancora, i quali poco fa si tro varono in Armenia a guerreggiare insieme con Corbulone. Perciocché costoro chiamarono Ca spie le porte dell’ lberia, le quali noi dicemmo cbe si chiamano Caucasie : e i paesi dipinti, e di li mandati hanno inscritto questo nome. Le stesse minacce di Nerone dioevansi tendere alle porte Caspie, ancora ch’egli andasse a quelle, die van no per lberia in Sarmazia, dove appena si trova l ’entrata, tanto sono congiunti insieme i monti. Al mar Caspio sono altre porte congiunte eoi popoli Caspii : il che non si poò conosoere, se non nelle cose fatte da Alessandro Magno. D e l l * A d ia b b v b .
Perciocché i regni d d Persi, per li qoali XVI. Namqae Persarum regna, quae nunc XVI. Parthorum intelligimus, inter duo maria, Persi intendiamo ora i Parti, fra due mari, il Persioo cum et Hyrcaniam Caucasiis jugis adtollunlur. e l’ Ircano, s’ innalzano per li monti Caacasei, e Otrimque per devexa laterum Armeniae majori, di qua e di là per le chine de’ lati, dalla parte a frontis parte, quae vergit in Commagenen, So- della fronte, che volta in Commagene, si con phene (at diximns) copulatur, eique Adiabene giunge, come abbiamo detto, all’Armenia mag Assyriorum initium : cujus pars est Arbelitis, ubi giore , Sofene, e a qudla Adiabene principio dell’Assiria, ddla quale è parte Arbetite, dove Darium Alexander debellavit, proxima Syriae. Alessandro Magno vinse Dario, vidna alla Siria. Totam eam Macedones Mygdoniam cognomina verunt, a similitudine. Oppida: Alexandria, item I Macedoni la chiamarono tutta Migdonia dalla Antiochia, quam Nisibin vocant. Abest ab Arta simiglianza. Quivi sono le città : Alessandria e xatis d c c l m passuum. Fuit et Ninus imposita Antiochia, la quale si chiama Nisibi. È lontana da Tigri, ad solis occasum spectans, qnondam claris Artassatasettecentodnquanta miglia. F a r r i anco sima. Reliqna vero fronte, qua tendit ad Caspium Nino dttà posta sul fiume Tigri, volta verso po mare, A tropatene, ab Armeniae Olene regione nente, già chiarissima. E nd resto ddla fronte, discreta Araxe. Oppidum ejas Gaia, ab Artaxatis dove guarda verso il mar Caspio, è itro p a te a e , divisa dal fiome Arasse da Otene regione d el c c o c l ■passaum: totidem ab Ecbatanis Medorum, l'Armenia. La soa citlà è Gaza, lontana da A rtasquoram pars snnt Atropateni. sata quattrocento cinquanta miglia: altrettanto da Ecbatana de’ Medi, parte de’ quali so n o i popoli Atropaleni. M edia , b t t o r n i C aspiae .
XVII. 14. Ecbalana caput Mediae Sdeucus
D e l ia M x d ia , b d e l le f o e t e C a s p ie .
XVII. 14. Re Sdauco edificò Ecbatana, cap o
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VI.
rex. condidit : a Sdeucia magna d c c l « passuum : a portis vero Caspiis x m . Reliqaa Medotam oppida, Phazaca, Aganzaga, Apamia Rhaphane cognominata. Causa portarum nominis eadem, quae supra, interruptis angusto transitu jugis, ita ut vix singula meent plaustra, longitudine vin mill. p a s s u u m , toto opere manu facto. Dextera laevaque ambustis similes impendent scopuli, siliente tractu per xxvmmill. passunm. Angustias impedit corrivatus salis e caulibus liquor, atque eadem emmissus. Praeterea serpentium multitu do, nisi hieme, transitum non sinit.
i 5 . Adiabenis connecluntur Carduchi quon dam dicti, nunc Cordueni, praefluente Tigri : his Pratitae, Paredoni appellati, qui tenent Caspias portas, lis a latere altero occurrunt deserta Par thiae, et Cilheni juga. Mox ejusdem Parthiae amoenissimus sinus, qui vocatur Choara. Duae urbes ibi Parthorum, appositae quondam Medis, Calliope, et alia in rupe Issatis quondam. Ipsius vero Parliae caput Hecatompylos abest a portis cxxxiii mill. passum. Ita Parthorum quoque re· gna foribus discluduntur. Egressos portis excipit protinus gens Caspia, ad li lora usque, quae no· men portis et mari dedit. Laeva, montuosa. Ab ea gente retrorsus ad Cjrum amnem produntur cxxv mill. pass. Ab eodem amne si subealur ad portas, d c c millia passuum. Hunc enim cardinem Alexandri Magni itinera fecere, ab iis portis ad Indiae principium, stadia xv msexcenta octoginta prodendo: ad Bactra oppidum, quod appellant Zariaspa, an» septingenta. Inde ad Jaxartem am nem, v millia.
G s n t r s c ir c a H y h c a h i u m m a r i .
XVUl. 16. A Caspiis ad orientem versus regio est, Apavorlene dicta, et in ea fertilitatis inclytae locus Dareium. Mox gentes Tapyri, Anariacae, Stauri, Hyrcaoi, a quorum litoribns idem mare Hyrcanium vocari incipit, a flumine Sideri. Citra id amnes Maxeras, Stratos, omnia ex Caucaso. Sequitur regio Margiane, apricitatis inclytae, sola in eo tractu vitifera, undique indosa mon tibus amoenis, ambitu stadiorum mille quingen torum, difficilis aditu propter arenosas solitu dines per cxx mill. passuum, et ipsa contra Parthiae tractam sita : in qua Alexander Alexandriam condiderat. Qua diruta a barbaris, Antiochas Seleuci filius eodem loco restituit •Syriaoam. Ham interflaente Margo,.qui corriva-
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della Media, lontana da Seleucia grande sette cento cinquanta miglia, e dalle porte Caspie venti. Le altre città de' Medi sono, Fasaca, Agan* saga, Apamia, cognominata Rafane. La causa del nome delle porte è la medesima che di sopra, perchè sono rotti i monti con istretto passo, in modo che a fatica vi va un carro per volta, per lunghezza d’otto miglia, la quale opera è tutta fatta a mano. Da man ritta e man manca pen dono alcuni scogli, che paiono riarsi, perchè tutto qud contorno è senz’ acqua per ventotto miglia. Questo stretto è molto impedito a pas sarsi da certo rumore di sale, che cola da’ massi. Oltra di questo la gran quantità delle serpi, che è quivi, non lascia passarvi se non di verno. i 5. Con gli Adiabeni sono vicini i Cordueni, già detti Cardnchi, dove passa il Tigri : dipoi sono t Pratiti, chiamali Paredoni, i quali tengono le porte Caspie. A questi dall’an de’ lati confi nano i deserti della Partia, e i gioghi di Cileno. Dipoi l’amenissimo golfo della medesima Partia, il qual si chiama Coara. Quivi sono due città dei Parti, computate già fra i Medi, l’ una Calliope, e l’altra già nella rope Issata. Capo di essa Partia è Ecantopilo, lontano dalle porte cento trenta· tré miglia. E così ancora i regni de’ Parti son chiusi finora di queste porte. Quegli, ch’escono delle porte, subito trovano i popoli Caspii insino ai liti, i quali hanno dato il nome alle porte e al mare. Da man manca son tutti monti. Da questi all’ indietro insino al fiume Ciro sono cento ven ticinque miglia. Dal medesimo fiume, se si viene alle porte, settecento miglia. Perchè questo car dine fecero i viaggi di Alessandro Magno, da queste porte al principio dell’ india, quindici mila seicento ottanta stadii : procedendo alla città di Battra, la quale si chiama Zariaspa, tremila set tecento. E di là al fiume lassarte, cinque mila. D b’ p o p o li,
ch b
sono nrroaao
i l m akb I& c a so .
XVIII. 16. Da’ Caspii verso levante è la re gione detta Apavortena, e in essa Dareio, luogo di notabil fertilità. Vi sono poi i popoli Tapiri, gli Anariaci, gli Slauri e gli lrcani, dai liti dei quali il medesimo mare comincia chiamarsi Ircano dal fiume Sideri. Intorno a questo mare sono fiumi, Mazera, e Strato, che vengono dal monte Caucaso. Segue la regione Margiana molto solazia, e perdò sola in quel paese, che produca viti, rinchiusa da ogni parte da’ monti ameni di circuito di mille cinquecento stadii, difficile da irvi per rispetto degli arenosi diserti per cento venti miglia, posta anch’essa all’ incontro ddla Partia : quivi Alessandro aveva edificato Alessan dria. Distrutta questa dai barbari, Antioco figlio
C. PLINII SECUNDI
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tur io Zotale, is maluerat illam Antiochiam appellari. Urbis amplitudo circuita u s stad. In hanc Orodes Romanos, Crassiana clade captos deduxit. Ab hujus excelsis per juga Caucasi pro tenditur ad BicliSi usque gens Mardorum, fera, sui juris. Ab eo tractu gentes Ochani, Chomari, Berdrigei,Harmalotrophi,Bomarei, Comani, Ma nicaci, Mandrueni, latii. Flumina : Mandrum, Gridinum : ultraque Chorasmii, Candari, Attasini, Paricani, Saraogae, Parrhasiai, Maratiani, Nasotiani, Aorsi, Gelae, quos Graeci Cadusios appellavere, Matiani. Oppidum Heraclea, ab Ale xandro conditum: quod deinde subversum ac restitutum, Antiochus Acbaida appellavit : Der · bices, quorum medios fines secat Oxus amnis, ortus in lacu Oxo : Syrmatae, Oxydracae, Henio chi, Bateni, Saraparae, Bactri, quorum oppidum Zariaspe (quod postea Bactrum) a flamine appel latam est. Gens baec obtinet aversa montis Pa ropamisi, ex adversos fontes Indi : includitur flu mine Ocho. Ultra Sogdiani, oppidam Panda, et in ultimis eorum finibus Alexandria ab Alexan dro Magno conditum. Arae ibi sunt ab Hercule ae Libero patre constitutae, item Cyro, et Semi ramide, atqoe Alexandro : finis omnium eorum duetui ab ilia parte terrarum, includente flumine Jaxarte, quod Scythae Silin vocant : Alexander militesque ejus, Tanain putavere esse. Transoindit eum amnem Demodamas, Seleuci et An· tiochi regam dux, quem maxime sequimur in iis : arasqoe Apollini Didymaeo statuit.
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SCTTHAEUM GESTES ET SIT05 AB OcBARO E o o .
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di Sdeooo rifabbrioò quivi stesso Siriana. Poiché scorrendovi per quella il fiome Margo, il quale mette nelZotale, egli la voleva chiamar piuttosto Antiochia. La a tti ha di circuito settanta stadii. In questa Orode menò i Romani, presi nella rotta di Crasso. Dai monti di questa per gli gioghi del Caucaso, si distendono fino ai Batiri i Mardi, popoli fieri e franchi. Dopo questi sono gli Oca· ni, i Comari, i Berdrigei, gli Armatotrofi, i Bo* marei, i Comani, i Marueei, i Mandrueni e gli Iasii. I fiumi sono : il Mandro e il Gridino : e pià oltra sono i Corasmii, i Candari, gli Aitamii, i Paricani, i Sarangi, i Parrasini, i Maraziani, i Nasoziani, gli Aorsi, i Geli, chiamati da' Greci Cadusii, e i Maziaoi. Eraclea città, edificata da Alessandro, la quale essendo poi minata e rifetta, fu da Antiooo chiamata Acaida : Derbtce, dove per mezzo passa il fiume Osso, il quale nasce nel lago Osso : i Sinnati, gli Ossidraei, gli Euiochi, i Bateni, i Sarapari, i Battri, la cui città è Zariaspe, la quale poi è stata chiamata Baltro dal fiume. Questi popoli abitano le parti opposte del monte Paropamiso, all1incontro le fonti dell’ Indo ; e son rinchiasi dal fiume Oco. Dipoi sono i Sogdiani, Panda città, e negli ultimi lor confini Alessandria edificata da Alessandro Magno. Quivi sono gli altari fatti da Ercole, e da Bacco, e similmente da Ciro, Semiramide e Alessandro : il fine di tutti loro tirato da quella parte detto terra, rinchiudendo il fiume lassarle, il quale gli Sciti chiamano Sili : Alessandro e i soldati suoi pensarono che ei fosse il Tanai. Passò questo fiume Demodamante, capitano di Seleuco e di Antioco re, il quale principalmente io seguo in questa impresa : e fece altari in onore d'ApolKne Didimeo. P o s T U lA E POPOLI DBLLA. SCIZIA OLTZK l O c BABO
OBIBBTALB.
XIX. 17. Ultra sunt Scytharum populi. Per XIX. 17. PIÙ oltra sono i popoli Sciti, i quali sae illos Sacas in universum appellavere a proxi da' Persi son chiamati Saci da' popoli vicini : gli ma £eute, antiqui Aramaeos. Scythae ipsi Persas, antichi gli chiamarono Aramei. Gli Sciti chia Chorsaros : et Caucasum montem, Groucasum, mano i Persi, Corsari: e il monte Caucaso, Grouhoc est, nive candidum. Multitudo populorum easo, cioè bianco di neve. La moltitudine dei innumera : et quae cum Parthis ex aequo degat. popoli è infinita, e vivono del pari insieme coi Celeberrimi eorum Sacae, Massagetae, Dahae, Parti. 1 pià illustri lor popoli sono i Saci, i MasEssedones, Ariacae, Rhymmici, Paesicae, Amardi, sageti, i Dai, gli Essedoni, gli Ariaci, i Risanici, Histi, Edones, Camae, Camaoae, Euchatae, Cotieri, i Pesici, gli Amardi, gli Isti, *gli Edoni, a Carni, Aniariani, Pialae, Arimaspi, antea Cacidari, Asaei, i Camaei, gli Eucati, i Cotieri, gli Anta r iu s i, i Oetei. Ibi Napaei interiisse dicuntur, et Apellaei. Piali, gli Arimaspi, prima Cacidari, gU A ssi, f l i Nobilia apud eos flumina, Mandrageom et Caspa- Elei. Quivi si dioono esser mancati i Nnpeì, e sium. Nec in alia parte majòr auctorum inconstan gli Apellei. 1 fiumi nobili appresso di loro sono, tia : credo propter innumeras vagasque gentes. 11 Mandrageo e il Caspasie. Nè in aleofto a lt n Haostum ipsius maris dulcem esse et Alexander porte sono gli autori di maggiore incociam o:
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VI.
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M ^ u prodidii-: el M. Varro, talem perlatam Pompejo, fu t a κ ι gerenti Mithridatioo bello, magniladine haad dnbie influentium amninm vieto sale. Adjicit idem, Pompeji docta explora tam, ia Bactros septem diebos ex India perve niri ad 1cantra flamen, qaod ia Oxam influat, et em eo per Csspiam ia Cyram subvectas, qaioque non amplias dieram terreno itinere, ad Phasin ia Pontam Indica· posse devehi merces. Insalae tolo eo mari maltae, Volgata ana maxime Taxata.
e credo, che ciò ·ί· per le innumerabili e vagagabonde nazioni che vi sono. Disso Alessandro Magno, che l'scqoa di qnel mare era dolce : e M. Varrone scrive, che della stessa ne fn presen tata a Pompeo, qaando presso a quel luogo guer reggiava eonlra Mitridate, essendo senza dubbio per la grandezza de' fiumi, che vi mettono, vinta la salsedine del mare. Aggiogne il medesimo Varrone, che per lo viaggio, che fece l'esercito di Pompeo, si vide, ohe ne' Battri in selle gior nate si veniva d'india al fiome Icaro, il qaal mette nell'Osso, e che per terra in einqoe giorni e non pià le merci Indiane portate da esso nel fiome Ciro per lo Caspio, possono condursi al fiome Fasi in Ponto. In lotto qoel mare sono molte isole, ma la pià fsmoea ddPaltre è Tazata.
Suas.
D a'S u r.
XX. Dal mar Caspio e dallo Soitieo si spiega il XX. A Caspio mari Scythicoqne oceano, in Eoam carms iofleetitar, ad orieotem conversa corso verso l'Eoo, rivolta la fronte de* liti verso litorum fronte. Iohabitabilis ejus prima pars, a levante. La prima parte d'esso è rendala inabita bile dal promontorio Scitico, per rispello delle ne Scythico promontorio, ob nives : proxima incol vi : la prossima è disabitata per la crudeltà delle ta, saevitia gentium. Aotbropopbagi Scythae, homani· corporiba· vescentes. Ideo jaxta vaslae nazioni. Perciocché qnivi stanno gli Antropofagi Sciti, i quali maogiano i corpi umani. E perciò solitudine· ferarnmque mnltitudo, haud dissimi vi sono presso grandissimi deserti, e moltitudine lem hominum immanitatem obsidens. Iterom deinde Scythae. Iteramqoe deserta cum belluis, di fiere, le qoali non sono ponto meno crudeli, che gli nomini. Dipoi sono di naovo gli Sciti, e oaque ad jugum incubans mari, qaod vocant Tabio. Nec ante dimidiam ferme longitudinem ejas di naovo i deserti con le fiere, infino a on gio go, che va sopra il mare che ή chiama Tabi. Nò orne, quae spectat aestivam orientem, inhabitator quel paese s'abita, fin che non si viene alla meti illa regio. ddla sua lunghezza, eh*è volta verso levante di state. 1 primi nomini che si conoscono sono i Seri, Prim i sant homi aura, qai noscantar, Seres, nobili per la lana, che si fa ndle selve, i qoali lanicio silvarom nobiles, perfasam aqua depecten pettinano la canizie delle frondi bagnata con tes froedknm canitiem: onde geminas feminis no stris labor redordiendi fila, rnrmmqoe texendi. l'acqaa; onde poi le nostre donne hanno doppia fatica, cioè di riordir le fila, e di tesser di nuovo : Tam m altiptici opere, tam longinquo orbe petit« r,o t in poblico matrona transluceat. Seres mites e cosi con tanto artifido, e per sì tango viaggio si va a cercar di cosa, per farne comparir le don qaidexn, sed et ipsis feris persimiles coelum reliq o o r m · mortaliora fagiani, commercia exspe· ne ornate e vestite. I Seri certamente sono per sone mansuete, ma ancora essi son molto simili ctant. Primam eoram noscitor flamen Psitaras, prmùoMH· Cambari : tertiam Lanos, a quo pro- alle fiere; perriocchè fuggono la compagnia degli altri uomini, e tuttavia vorrebbono traffi moatoriam Chryse: sinos Cyrnaba t flamen Atia nos : sinos, et gens bominam Attacorum, apricis care con esso loro. Prima si trova il fiume loro ab om ni noxio adflata seclasa cotlibos, eadem, Psitara, poi Cambari : il terso è Lano, dal quale qoa Hyperborei degant, temperie. De iis privatim è detto il promontorio Crise : il golfo Cirnaba : il condidit voi omen Amometos, sicot Heeataeos de fiome Aziano : il golfo e i popoli Attacori ancora, Hyperboreis. Ab Attacoris gentes Phrari, et To- i qoali hanno colli solazii, e sicuri da ogni vento chari: et jam IndorvmCasiri, introrsus ad Scythas nocivo, con quella temperanza d'aria, che hanno Immanis corporibns vescuntor. Nomades anco gl’ Iperborei. Di questi scrisse Amometo un qeoqa· Indiae vagantor. Sant qai ab Aqoilone libro particolare, siccome Ecateo degl'iperborei. Dopo gli Attacori sono i Fruri e i Tocari ; e i Ca oontiogi ab ipsi· et Cicona· dixere, et Brysanos. stri già popoli dell* India, i quali volti addentro verso la Scizia mangiano carne umana. I Nomadi
56ο
C. PUN II SECUNDI
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anconi m India sono vagabondi. Sono aleoni, che dissero, che dalla parte settentrionale essi confinano co1 Cìconi e co’ Brisani. I kdi.
D * g l ’ I bdiahi .
Ma quindi, siccome ognan dice, s* in XXI. Sed inde, nt plane consentiunt omnes, XXI. Emodi montes adtnrgonL, Indoramqne gens in nalzano i monti Emodi, e cominciano gl’ Iodi, cipit, non Eoo tantnm mari adjacens, veruna et non solamente verso il mare Eoo, ma ancora verso meridiano, qnod Indicum appellavimus; quaeque il meridiano, ehe chiamammo Indiano ; e quella pars orienti adversa recto praeteoditor spalio, ad parte che volta a levante si distende con diritto spazio al piego e principio del mare Indiano è flexura et initium Indici maris xvni l x x v mill. pass, colligit. Deinde qua flectitnr io meridiem mille ottocento e settantacinqae miglia. Poi, dove xxiv l x x v mill. pass, ut Eratostbenes tradit, si piega verso mezzogiorno, duemila quattrocento osqne ad Indum amnem, qni est ab occidente e settantacinque, come scrive Eratostene, fino alfinis Indiae. Complores aatem totam ipsias lon- l ' Indo, il quale è da ponente il fine dell’ India. Molti dissero la saa lunghezza finirsi in nn con gitndinem x l dieram noctiumque veli fico naviam tinuo viaggio di quaranta giorni e altrettante notti carso determinavere : et a septemtrione ad meri diem xxviii quinquaginta mill. passuam. Agrippa per mare col vento in puppa : e da settentrione a mezzodì duemila ottocento e cinquanta miglia. longitodinis xxin, latitudinis xnt prodidit. Po sidonius ab aestivo solis orta ad hibernum exor Agrippa disse la saa lunghezza essere doemila trecento miglia, la larghezza mila trecento. Postam metatas est eam, adversam Galliae statuens, qaam ab occidente aestivo ad occidentem hiber sidonio da levante di state fino a levante di verno, nam metabalar totam a Favonio. Itaque adver l’ ha misurata, e ponla all’ incontro della Gallia, sam ejus venti adflato juvari Indiam,salubremque cni da ponente di state* ponente di verno misu fieri, haud dubia ratione docuit. Alia illius coeli rava tutta dalla parte di Favonio. E così mostra facies, alii siderum ortus : binae aestates in anno, con certa ragione, l’ India essere giovata da quel binae messes, media inter illas hieme Etesiarum vento, perchè gli è opposta, e farsi salutìfera. Altro flatu : nostra vero brama lenes ibi aurae, mare i l’aspetto di quel cielo, altri nascimenti delle navigabile. Gentes ibi et urbes inuamerabiles, si stelle : due volle l’ anno hanno la state, fanno doe qnis omnes perseqni velit. Etenim patefacta est ricolte, e fra quelle è il verno col soffiar de’ venti non modo Alexandri Magni armis, regumque, Etesii : quando noi abbiamo il verno, qaivi son o i venti soavi, il mar navigabile. Sonvi nazioni e qui ei successere, circamvectis etiam in Hyrca città infinite, chi le volesse raccontar tatte. Per nium mare, et Caspium, Seleuco et Antiocho, praefectoque classis eorum Patrocle: verum et ciocché questa regione non solo ci è stata scoper ta dalle armi d’ Alessandro Magno, e de’ re, che aliis aoetoribos Graecis, qui cum regibos Indicis gli succederooo, trasportati aocora nel mare Ir morati ( sicut Megasthenet, et Dionysius a Phila caao, e Caspio, Seleaco e Antioco, e Patrocle delpho missas ex ea causa ) vires quoque gentium prodidere. Non tamen est diligentiae locus, adeo capitano della loro armata; ma ancora dagli diversa et incredibilia traduntur. Alexandri Ma- autori Greci, i quali dimorati co’ re Indiani, sic gui comites in eo tractu Indiae, quem armis sube come fu Megastene, e Dionisio, mandato da Figerant, scripserunt qninqne millia oppidorum ladelfo per tal cagione, scrissero ancora le forze fuisse, nullum Co minus, gentes ix ; Indiamque di quelle nazioni. Nondimeno non c’ è laogo a diligenza in cose tanto diverse e incredibili che se tertiam partem esse terrarum omnium, multitu dinem populorum innumeram, probabili sane ne raccontano. 1 compagni d’ Alessandro Magno ratione. Indi enim prope gentium soli numquam scrivono, che solamente in qnel paese dell’ Iodia, ch'essi avevano soggiogato, erano cinque mila migravere finibus sais. Colliguntur a Libero pa città, ninna minor di Co, e nove nazioni ; e che tre ad Alexandrum Magnam reges eorum c l i v , l’ India era la terza parte di tutto il mondo, e iaannis vi m c c c c l i adjiciant et menses tres. Am finita la moltitudine di popoli ; e ciò veramente nium mira vastitas. Proditur Alexandrum nullo die minas stadia sexcenta navigasse in Indo, nec con probabil ragione. Perciocché gl’ Indiani quasi potuisse ante menses quinque enavigare, adjectis soli fra tutte le altre nazioni, non si partirono paucis diebus : et tamen minorem Gange esse mai da’ lor confini. E contansi da Bacoo a d Ales constat. Seneca etiam apud nos tentata Indiae sandro Magno esser stali re loro cento c à n q m ·commentatione, sexaginta amnes ejus prodidit, quattro, in anni seimila quattrocento ciocpuntan gentes duodeviginti centumque. Par labor sit e tre mesi. Quivi son grandissimi fiomi. Dicesi,
HISTORIARUM MUNDI U B . VI.
monte· enumerare. Junguntur inter «e Inani, E m o d os, Paropamtau, Caocani, a quibo· tota decurrit u planitcm im m ejam , «I Aegypto similem.
Verna at terrena demonstrati· intelligatar, Alexandri Magni vestigiis insistamus. Diogoetus et Beeton itinerum ejus mensore·, scripsere, a porli· Gaspii· Heoatompyloa Parthorum, qaol diurnae millia esse: inde Alexandriam Arion, qnam orbem i· rex condidit, d l x x v mill. lode •d Prophtbasiam Draofarnm exax mill. lode ad Arachosiorum oppidam nixv mill. lode O r· tospannm e u x r mill. Alexaodri oppidam quin quaginta mill. In qoibo»dam exemplaribus diitn i a omeri reperianlnr : bene orbem sub ipso Gsaeaso esse positam. Ab ea ad flamen Copbeta, et oppidam ladoram PenooUiiin, ccxxm mill. Inde ad lumen lodam et oppidam Taxi la, sexa· finta mill. Ad Hjdaspen fluyium claram, cxx mill. Ad Hypasin non ignobiliorem, xxix mill. occxa; qni fai» Alexandri itineram terminus, e x s a perato tamen amne, arisque in adversa ripa dicatu. Epistolae qooqae regis ipsias oonsentiunt bis. Reliqna inde Seleuco Nicatori peragrata sant; ad Hesidrum, c l x i x mill. Jomanem amnem tanlaaadem. Exemplaria aliqaa adjiciant qainqae millia pass. Inde ad Gangem cxu mill. Ad Bho· dapham cxn mill. Alia occxxv mill. in boc spatio prodant. Ad Celinipaxa oppidom, c u t u », alii ccixr mill. Inde ad eooflaentem Jomanis amnis, et Gnmgis, ncxxv mill., pleriqae adjidant x i h natili, o ; ad oppidomqne Palibotbra occcxxv. Ad oatioon Gangjs nocxxxvu mill. > passaggi.
Gente·, q qu memorare m o pigeat, a montiboa E o ed ii, qnorom promontorio» Imaue ?«· c a l a r , incolarum lingua n iv o s a m significante* Isar ri, Coajri, Isgi, et por juge Gbirotosagi, molla«usaqpegcatium oognomcnBrachmanac, quorum Maccocaliogae. Flamina : P r ia a s , et Cainas (qaod in Gaofeoa influii ), ambo navigabilia. Geotes : C a tio g a e p r o x im i mari, el sopra Mandai, Malli, quorum oMNi· Mallus, fiaisqae e ju s tractos est
tanges.
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che Alessandro non navigò mai per Γ Indo manco di seicento stadii per giorno, ecb ’ ei non potè fornir· il sno viaggio in meno di cinque mesi, eon alcuni pochi giorni ; ed è però minor del Gange. Seneea ancora appresso di noi scrìve, avendo tentato di trattare delle cose dell' India, abe in India sono sessanta fiami, eeento diciotto popoli. La medesima Artica sarebbe a voler nu merare i m«nti. Coagiuagonsi fra loro 1* Ima·, l'Emodo, il Paropamiso, e il Cattcasov dai quali ella scorre tutto in grandissime pianura, a sioull all* Egitto. Ma per conoscere le qualità del paese, segai· tiamo i vestigii d’ Alessandro Magno. Diogneto e Betono, 1 queli misurarono i tuoi viaggi, scrissero che dalle porta Caspie infino ad Ecatompilo dei Parti ·οηο tante miglia quante i · dissi j e di là da Alessandria cinquecento settantecinqne miglia, Arione, la qual città fa edificata da questo re. Quindi a Proftasia dc'Dranghi centonovantanovo miglia : alla dttà degli Aracosi cinquecento sessantaoinque: ad Ortospano cento seUantadnqne : alla città d’Alessandro einqaanta miglia. la alcuni esemplari si trovano diversi numeri, e ebo questa citlà è sotto il nonta Caueaso. Da essa al fiume Colata, e a Penealaiti città degl* ludi du gento ventisette miglia. Di là al fiume Indo, o alla città Tassila scemala migtia. All* Idaspe fiu me illastre centoventi miglia. AU*Ipasi, fiume ebo non è ponto pià ignobile, circa ventinove miglia e messo, ehe fu il termine da* viaggi di Alessan dro, il quale nondimeno passò il fiame,c eonseerè altari sull* altra riva. K anco le lettere di quel re s'accordano eon queste cose. L’altre parti furono dipoi ricercai· da Seleuco Nicatore : all* Esidro cento sessantanove miglia, al fiome lontane altret tanto. Alcuoi esemplari v'aggiungono cinque mi glia. Di là al Gange centododioi miglia. A Rodala ceotodiecinove miglia : alenai in questo spazio ira mettono trecento venticinque. Alla città Calinipassa eentosessantasette e m esto,· secondo alcuni dugeoto scitatilaciaqoc. Di là al fiume lomene · al Gange seicento venticinque miglia t aleoni va n* aggiungono tredici e messo : « alla «itti di Palibotra quattrocento venticinque. AUa foce del Gange settecento trentasette miglia. 1 popoli che meritano d* esser nominali dai manti Emodi, il ani promontorio si chiamo Iroso, che in lingua di quel paese vuol dire nevoso, sono gl* kart, i Coairi, gl* ligi, e per li gioghi, i Cbirotosagi, e i Braemani, cognome di molte naciooi, fra le quali sono i Maoeocalinghi. 1 fiami sono, il Prina, e il Caio··, ehe mette a d Gange, eoaendue navigabili. I popoli sono: i Calingi vicini al mare, e di sopra i Mandes, i Malli, de* quali è Mmonte Mail· | e il Gange è fine di quella contrada.
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C. PLINII SECONDI
G anges.
D el G abgs .
XXII. 18. Bnnc alii incerti· fontibus, nt Ni· XXII. 18. Dicono alcani che questo fiume* Ium, rigantemqae Ticina eodem modo, alii in viene da incerti fonti come il Nilo, e che in quel Scythicis montibus nasci dixerant Inflaere in medesimo modo egli allaga i paesi vicini : altri eam xix amnes. Ex iis navigabiles, praeter jam dissero, eh* ei nasce n^ monti di Scizia, e che in dictos, Condochatem, Eranooboam, Cosoagura, esso mettono diecinove fiumi. Fra questi sono Sonam. Alii eam magno fragore ipsius stalim navigabili, oltre ai già detti, il Condocate, Γ Erfontis erumpere, dejectamqae per scopaiosa et ranoboa, il Cosoago, e il Sono. Altri dicono, che abrupta, obi primam molles planities contingat, esce con gran romore fino dalla fonte, e dipoi in qaodam lacu hospitari : inde lenem fluere, ubi eh* egli è sceso per iscogli e luoghi ruinosi,-cu minimum, vm millia paseoum latitudine: ubi bi lo che tocca il delicato piano,-alloggia in certo modicum, stadiorum centum: altitudine nusquam lago: di quivi piacevolmente scorre, e dove « più stretto, ha otto miglia di larghezza, dove 4 minore passuum' xx : novissima gente Gangartmediocre, n' ha dodici ; e in ninn luogo non è «Ho dnm Calingarum : regio Parthalis vocator. manco di venti passi. Gli aitimi popoli sono i Gan> garidi Calingari : il paese si chiama Partali. ig. 11 re, qaando vuol far guerra, ha sessanta 19. Regi tx mill. peditam, equites mille, eie· mila fanti, mille cavalli, e settecento elefanti. phanti d c c in procincta bellorum excubant. Perciocché i più quieti popoli dell’ India vi Namque vita mitioribus populis Indorum multipartita degitur. Alii tellurem exercent, mi vono in diversi modi. Alcuni lavorano la terra, litiam alii capessunt, merces alii suas evehunt : altri vanno alla gaerra, altri fanno lor traffi chi e mercanzie: i migliori e i piè ricchi go res publicas optimi ditissimique temperant, judi vernano lo stato, rendon ragione, e sono il con cia reddant, regibas adsident. Quintam genus celebratae illic, et prope in religionem versae sa silio del re. La quinta spezie è d* nomini dati pientiae deditam, voluntaria semper morte vi alla scienza celebrata quivi, e quasi passata in tam accenso prius rogo ftnit. Unum super haec religione ; e questi sempre finiscono la vita loro est semiferum ac plenam laboris immensi, et quo con volontaria morte, accendendo prima un gran fuoco, dove s'abbruciano vivi. Una cosa sopra supra dicta continentur, venandi elephantes doraandiqae. Iis arant, iis vehuntur, haec maxime queste è mezza da fiere, e piena di grandissiaaa novere pecuaria : iis militant, dimicantque pro fatica, la quale comprende le già dette, ed è ciò finibus. Delectam in bella, vires, et aetas, atque il cacciare e domar gli elefanti. Perchè oon que magnitudo laciunt. sti essi arano, da questi son portati, questi tomo i lor bestiami : con questi fanno le guerre, e com battono de* confini. Essi eleggono per la gaerra i giovani, i più gagliardi, e i maggiori. Una isola è nel Gange molto grande, che ha Insula in Gange est magnae amplitudinis gen tem continens unam, Modogalingam nomine. Ul un popol solo, che si chiamano i Modogalingi. Più tra siti snnt Modubae, Molindae, Uberae cum oltra sono i Modubi, i Holindi, e gli Uberi con oppido ejusdem nominis magnifico, Galmodroe- magnifica città del medesimo nome, i Galmosi, Preti, Calissae, Sasuri, Passalae, Colubae, Ordroesi, i Preti, i Calissi, i Sasuri, i Colubi, gli Orsuli, gli Abali e i Talutti. 11 re di questi a xulae, Aitali, Taluctae. Rex horam peditam l ■ , tempo di guerra ha cinquanta mila fanti, quattro equitum iv mill., elephantos cccc ia armis habet. mila cavalli, e quattrocento elefanti. Più valorosa Validior deinde gens Andarae, plurimis vicis, xxx oppidis, quae muris turribusque muniuntur, gente poi sono gli Andari, i quali hanno molti regi praebet peditum c n, equitum i v , elephan villaggi, e trenta città fortificate di mura e di tos m. Fertilissimi sunt auri Dardae, Setae vero torri : danno al re loro cento mila fanti, dne mila argenti. cavalli, e mille elefanti. I popoli Dardi hanno gran divisa d 'oro, e i Seti d’ argento. Sed omniam in India prope, non modo in hoc Ma i più possenti e illustri di tntta 1* India, tracta, potentiam claritatvraque antecedunt Pra· non pure di questo contorno, sono i Prasii, con sii, amplissima urbe diiissimaque Palibothra : la loro grandissima e ricchissima città Palibotra : unde quidam ipsam gentem Palibotbros vocant, onde alcuni chiamano Palibolri quella gente stessa.
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HISTORIARUM MUNDI Lift. VI.
immo vero traclom universum * Gange. Regi «oram peditam sexcenta w, equittam xxx m, ele phantorum ix i per omnes dies stipendiantor: unde conjectatio ingens opam est. Ab iis in in teriore sita Monedes el Sauri, quorum mons Ma· le a s , in qao ambrae ad septemtrionem cadant luem e, aestate in austrum, per senos menses. Septeratrione· eo tracta semel in anno apparere, nec nisi xt diebaa, Baeton anetor est : hoc idem plnribus locis Indiae fieri, Mègasthenes. Austrinom polam Indi Dramata vocant. Amnis Jomaaes in Gangem per Palibothros decurrit inter oppida Metbora et Glisobora. A Gange versa ad meridiem plaga, tinguntor sole populi, jam qui dem infecti, nondum tamen Aethiopam modo exasti: quantam ad Indam accedant, tantam eoiore praeferant sidas. Indas statini a Prasio rum gente, qoorum in montanis Pygmaei tra montar. Artemidonu inter daos amnes xxi mill. pass. interesse tradit.
lance.
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e di più tntto qnel paese infino al Gange. Tengon costoro di continuo pagati al re loro seicento mila fanti, trenta mila cavalli, e nove mila elefanti: onde si può creder che sien molto ricchi. Dopo questi nel silo più addentro sono i Monedi e i Sauri, di cui è il monte Maleo, nel quale di verno l ' ora- ' bre csggiono verso settentrione, e di state verso mezzodì per sei mesi. I Settentrioni in quel pae se si veggono una volta Γ anno, e non più che per quindici giorni, come scrive Betone : e Megastene dice che il medesimo avviene in molti' altri luoghi dell'ìndia. GH Indiani chiamano il polo australe Dramasa. Il fiume Iomane passa per questo paese fra le città Metora e Clisobora, eva a mettere nel Gange. Nella regione, che dal Gange à volta a mezzodì, sono i popoli tinti dal sole, già certo infetti, ma non però abbronzati, come gli Etiopi ; e quanto più s'accostano all'In do, tanto più colore pigliano dal Sole. Il fiame Indo si truova subito dopo i Prasii, nelle cui montagne si dice che sono i Pigmei. Scrive Ar temidoro, che fra i dee fiumi son venti un miglio. D i u ’ Iroo.
XXIII. ao. L 'In d o, chiamato Sindo dagli* X X lll. 20. Indas ineolis Sindas appellatas, in nomini del paese, nasoe in nn giogo del monte jogo Cancan montis, qaod vocatar Paropamisus, adversas solis ortam eflbsas, et ipse nndeviginti Caucaso, che si chiama Propamiso, e corre a recipit amnes. Sed clarissimos, Hydaspen, qoalevante, e riceve in sè diecinove fiumi. Ma ì più too r alios adTerentem : Cantabram, tres. Per se notabili sono l ' Idaspe, che ne porta seco altri* quattro, e il Cantabra, che tre. Lo Acesino e Γ Ivero navigabiles Acesinem, et Hypasin : qaadam tamen aquarum modestia nusquam latior quin pasi sono per sè stessi navigabili ; ma perù eoe quaginta stadiis, ant altior xv passas : empiissi-, una certa modestia d'acque, non è in alcun luogo nam insulam efidens, qnae Prasiane nominatur; più largo di cinque miglia, ne più alto ebe quin dici passi ; e fa una isola grandissima, che si chia et aliam minorem, qnae Palale. Ipse per x n u s pasraum ( parcissimis auctoribos ) navigatus, et ma Prasiana, e un'altra minore detta Patale. Esso per mille dugento e quaranta miglia è navigato, quodam solis comitata in occasam versus, Ocea secondo modestissimi autori, e con certa compa no infunditur. Mensuram in ora ad eam ponam, ut inrenìo, generatim, quamquam inter se nollae gnia del sole verso ponente mette nell' Oceano. Porrò le distanze da quello nella riviera, come io congnrant. Ab ostio Gangis ad promontorium trovo generalmente, benché fra sè non conven Calingon, etoppidnm Dandagala s c x x t m pas gano. Dalla foce del Gange al promontorio Casuum. Ad Tropina xu xxv mill. passuum. Ad PerirooJae promontorium, ubi est celeberrimum lingo e alla città Dandagul» sono seicento venti cinque miglia, lnfino a Tropina mille dugento e Indiae emporium, noct. Ad oppidum in insula, venticinque miglia. Inaino al promontorio di Pequam supra diximus, Patalam, p c x x . rimula, dove è un famosissimo mercato dell’ India, settecento cinquanta miglia : e in fino alla dttà di Palala* eh' è nell’ isola, seicento venti miglia. Fra esso e il fino» Iomane abitano montana Gentes montanae inter - eam et lomanem, C ti, Cetriboni silvestres : deinde Megaliae, quo ri, siccome sono i Cesi, e i Cetriboni salvatichi : rum regi quingenti elephanti, peditum èqailum- dipoi i Megalli, i quali danno al re loro cinque qae numeras incertas: Chrysei, Parasangae, cento elefanti, e uq numero incerto di fanti a di Asangae, tigri fera scatentes. Armant peditum cavalli : i Crisei, i Parasangi, e gli Asangi, dove xxx milL, elephantos c c c, equites d c c c . Ho» in- son moli» tigri. Armano trenta mila fanti, tre elailit Indas, montium corona circumdatos et so· cento elefanti, e ottocento cavalli. Questi popoli
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€. PtilNIl SECUKDI
litodioibni per « x x ? * . Infra solitudine!, D u i, Surae, iteramqae sotitadiaes per c l x x x v i i mill. p iù . plerumqae areni· «abicntibu baud alio nodo, quam insula· mari. Infra deaeri» haec Mal· teoorae, Singae, Marohae, Barungae, Moruni. Hi montiuib, qui perpetuo tractu Oceani orae prae tenti, incolae, liberi et regum expertes, multi* urbibus qoiilinoi obtiaeat colle·. Nareae deinde, quo» claadit mone altiasimus Indicorum Capita lia. Hqjus inoolie, alio latere late auri et argeoti ■•alalia fodiant, Ab iis Oratane* quorum regi elephanti quidem decem, «ed amplae vire· pedi-. Ium ; Varctatae» qui sub rege elephantos non alant, fiducia equitum peditumque. Odomboerte, SMabaatraa. Horatae urbe pulchra, fossi· palualrlbat munita ; par quas crocodili, humani cor· pecit avidi··! mi, aditum aisi paate aon dant. £ t aliud ipad iUoa laudatae oppidum Aatamel^, imperitum Uteri quiaque amnium in anum con fluente oenearsu, emporio nobili. Begi eorum •lephaali m na, peditum et m , equitum quinque m . Pauperior C hana aram rex elephiatos l x parvasqae reliqua· vire· habet. Ab iis gens Pandae, aola Indorum regnata feminis. Unam Herculi aexus eju· genitam feruiil, oh idque gratiorem praecipuo regno donatam. Ab ea deducentes origiaeto imperitant eoo oppidia, peditum α mill., alepbanlM qaiagenlia. Post haae trecentarum ur bium Syrica», Deraagae, Poiiagae, Buzae, Gogieaei, Umbrae, Nereae, Baaacaii, Nobundae, Ceoendae, Kesai, Pedatrirae» Sobbriasae, Ok>atree Pataiea incolam attingentes ; a cujus extre mo litaae ad· Caspias portai xix xxv mill. pro dantur.
Hic daiada aeoalunt Indum advenam evidenti demoaiiratioaa Amatae, Bolingae, Gallitalutae, Dimari, Magari Ordabae, Mesae. Ab his Uri, Sileni: mox deserta in ccfc mill. passuum. Quibus exsaperatia Orgaaagae, Aabortae, Sibasae, Saerlae : et ab iis lolitudinee prioribaa paras. Dein Sarophagei, Sorgae, Baraomalae, Uaibritleeqae, quorum au natione·, singalisqte biaaa arbes. Amai trium urbium incolae. Caput eorum Baeephala, Alexandri regis equo (cui fuerat hoc no men) ibi sepolto conditam. Montani «uper boa Canea so subjecti, Soleadae* Soadrae >traasgres■isque lndoui, et cum eo decurrentibus Saroara-
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son rinchiusi .dall1 Indo, a eirooadati da aua co rona di amati, a da solitudini per aaiaanto vanti cinque miglia. Dopo la solitadjai sooo i Dari, e i Suri; a di naovo si trovano altra solitudini par ceatottaotaselte miglia, dove spesse volte le arena fanno quel medesimo, che il mare alle isola. Dopo qaesti deserti sono i MaUecori, i Siagi, i Maroi, i Rarangi, a i Moraai. Tutti qaesti abi tano par li monti* i quali eon continuo trailo ai stendono per la rivera deir Oceano : sono li beri, e non hanno re, e abitano molte dttà nei poggi. Dipoi sono i Marei, i qaali aoao chiusi dal Capitalia, che è il piè alto meato di tnlta Γ la dia. Gli abitatori di qaeala a»qt« cavano dal l'altro lato di molto oro a a rg e n to * Uopo quatti sono gli Oralari, i quali non daaao al lor j a che died elefanti, ma gran a omero di fanti: iteratati, i qaali non nodrisooao elefanti, confidandosi nei cavalli e nei fanti : gli Odomboeri e i Sei «basi ri. Gli Orati hanno bella città,, con fosse piene di acqua ; per le quali i crocodili ingordissimi del la carne umana, non lasdano passar persona, se non per un ponte. Anche un'altra dttà è molto lodata appresso di loro, che st chiama Aotomela, posta sopra il li lo, dove dnque fiumi li coagiuogono in uno, e dove i un nobil mercato. Danno al re loro mille seicento elefanti, eeutodnquanta mila fu ti, a cinque mila cavalli. Assai piè povero, è il re de' Cannavi, il qual non ha più e b a M arnata elefanti, a eerte altre poche fona. Dopo questi soaoi Pandi, solo paese dell' India sigaoreggiato dalle doaae. Dicono che Ercole iogeoerò quivi um figliuola, la quale perciò Cu tanto grata, ebo la fu dato il regno. Onde le doaae, le qaali sono discese da lei, signoreggiano trecento d t t à , oeotociaquaala mila Ciati, e doquecento elefaati.Dopo i Paadi sono i Sirieni, i qoali hanno trecento citlà, i Derangi, Posiogi, i Baxi, i Gogiarei, gli Umbri, i Nerei, i B ra a o e si, i Nobaadi, i Cocoadi, i Nesei, i Peditriri, i Salobriasi, a gli Olostr», i qaali confinano ooa l ' isola Palala, dal l'estremo lito ddla qoale fiao alle porle Caspie dioono essere mille novecento e venticinque miglia. Quindi poi abitaao all' iacontro dell' ludo, con dimoatraaiona evidente, gli Amali, i Boliogi, i Ga11italuti,.i Dimuri, i Magari, gli Ordabi, a i Mesi. Dopo questi gli Uri e i Sileni : poi sono di serti per dugento daqaaata miglia. Passati qae sti diserti si trovaao gli Orgoaagi, gli Aaborti, i Sibari, a i Suerti ; adopo questi, Mlitadiai pari alla prima. Dipoi i Saro&gi, i Sorgi, i Baroa mati, e gli Umbritti, i quali haaao dodici nazioni, e dasoaaa d 'esM ha due dttà. Gli Aieai abitatori di tra città. 11 capo loro è Bocciala, edificata da Aleasaadro Magao, a ood chiamata dal saa ca vallo, ehe cosà aveva nome, quivi sepolto. Sapra
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HISIOBIARUM MUNDI MB. VI.
briae, S m bm cw i, Bisarobritae, Olii, Antixeni, Taxillaa, cara urbe celebri, j m in pian· demisso tm h i, eoi universo nomen Amiodae. Popoli qaatoor, Peucolaitae, Arsagatitae, Gerelae, Asoi.
Etesii* pleriqae ab occident· noe Indo amne determinant, «ed-acetoni qaataor Miri pias, Gedrosos, Aracbolas/Ajpos, Paropamisadas, vitin o fina Cophete flovio : qoae omni· Ariorum esse, alKs placet. ai. Nee non et Nysam orbem pleriqae Indiae •dscribant,BK>ntemqueMerum, Libero patri sa cro : onde origo fabulae, Jovis femine editum, llem Astaéaoos gentem, ▼ili*, et laorh, et boxi, pomoromque omniam in Graecia nascentiam fer tilem. Qaae memoranda, et prope fabulosa, de fertilitate terrae, ao genere fragum arboramqae, avi feraram, «ni volocrum, el aliorum anima lium tradentur, suis quaeque loeis in reliqua parte oporis commeraorabuatur. Quatuor vero satrapiae mox pattilo, ad Taprobanen iosulam fe stinant· animo. Sed ante sunt aliae, Palale, quam significavi· mus in ipsis faacibus Indi, triquetra figura, ccxx si' passuum latitudine. Ex tra ostium Indi, Chrjse, «t Argyre, fertiles metallis, at credo. Nam quod •liqui tradidere, auream argenlenmqu· iis so· lam esse, haud facile crediderim. Ab iis xx mpass. Crocata. Abea xn m pass. Bibaga, ostreis et conehjliis referta. Deinde Goral liba ix m pesi, s su pra dicta, maltaeqae ignobiles.
T afbobave.
questi sono montana·! sotto ii monte Caucaso, i Sal eadi e i Sondri ; e passando il fiume lodo, e scorrendo con caso, i Samarabri, i Sambrucrni, i Bisambriti, gli Ossii, gli Antisseni, i l ’assilli con la lor città illustre : dipoi sono pianare chiamato Amande. Quattro popoli, i Peucolaiti, gli A r e galiti, i Gereti, e gli Asoi. Perciocché molti da ponente non finiscono Γ India col fiume Indo, ma v' aggiungono quat tro satrapie, cioè i Gedrosi, gli Aracoli, gli Arii, e i Paropamisadi : e fanno ultimo confine il fiume Cofete: ma tutte queste cose alcuni dicono che sono degli Arii. a i. Molti ancora attribuiscono la cillà di Nisa alP India, e il monte Mero consecrato· Bacco, onde ebbe origine la favola, che egli naeque dal pettignone di Giove. Cosi anche gli Asiacani, popolo dovizioso di viti, di allori, di bossi, e di tutti gli altri fruiti, che nascono io Grecia. Quella cose notabili, e quasi favolose, le quali ai raccon tano della fertilità della terra, a delle specie di biade e d'alberi, o delle fiere, o degli uccelli a degli altri animali, si tratteranno ciascuna a'suoi luoghi nell’altra parte dell'opera. Delle quattro satrapie parleremo poco dipoi,perciocché l'animo mi affretta a trattar prima dell'isola diTaprobaoa. Ma ci sono innanxi deH' altre ìaolc, «oè Pa lale, di coi già abbiamo ragionato), n«He fbee dell*ledo, in forma triangolare, di dogenlo venti miglia di larghezza. Fuor della foce dell' ludo son Crisa e Argira, doviziose, coma io credo, di aaetalli. Perciocché io non crederei di leggiero quel eh· alcuni hanno dello, che elle abbiano il terreno d 'oro e d 'argento. Lontana da quest· ▼enti miglia è Crocala, e da questa dodici miglia Bibaga, piena d 'ostriche e di concitigli·. Dipoi Coralliba nove miglia lontana dalle sopraddette, e m oli· ignobili. Dell' isola
T aproba ha.
aa. Lungo tempo è stato creduto, XXIV. >a. Taprobanen alterum orbem- terra XXIV. nno eas·, dia esietimatum est, Antichthonnm V isola di Taprobana essere un' altro mondo, chiamandola Anliclono: ma l'età e 1 fatti di appellatione. Ot liqueret insulam esse, Alexandri Magni aetas resque praestitere. Onesieritus classis Alessandro Magno hanno chiarito poi eh' ella è ejus praefectus, elephantos ibi majores bellico- isola. Onesicrito capitano delta sua flotta scrisse, sioresqoe, quam in India, gigni scripsit : Mega- ehe quivi nascono elefanti maggiori a più belli stheoes flumine dividi, incoiasque Palaeogonos cosi ehe in India. Megaslene dice che ella é divisa appellari, auri margaritarumque grandium fer· da fiume, e che gli abitatori ai chiamano Palco* tHiores, quam Indus. Eratostbenes et mensuram goni, assai più doviziosi d 'oro e di perle grandi prodidit, longitudini· vnn stad.,latitudinis quin» che gl' Indiani. Eratostene parlò della misura, e disse, come ella era lunga sette mila stadii e larga q«e v , nec urbes esae, sed vicos septingentos. In cipit ab Eoo mari, inter ortum occasu nique solis cinque mila, e che non vi aoao citlà, ma sette Indiae praetenta, et quondam credita xx dierum cento villaggi. Cominera dal maro Orientale fra navigatione a Prasiana genia distare: mox, quia levante e poneute all' incontra della India, a già papyracei· natibus, armamentisque Nili petero» Ai creduto ch'ella foasa lontana venti giornate per mare dalla Praeian· : dipoi perché vi s*sndé tur, ad nostrarum navium cursus, vu dierum
C. PLINII SECUNDI
intervallo taxato. Mare initerest vadosam, senis non amplias altitudinis passibus, sed certis cana libus ita profandam, at nallae ancorae sidant : ob id navibus atrimqae prorae, ne per angustus alvei circumagi sit necesse. Siderum in navigando nulla observatio. Septemtrio non cernitar : sed volacressecam vehant, emittentes saepius, meatumque earum terram petentium comitantor. Nec pios quaternis mensibus anno navigant. Ca vent i solstitio maxime centom dies, tam illo mari hiberno.
Hactenos a priscis memorata : nobis diligentior notitia Claudii principato contigit, legatis etiam ex insola advectis. Id accidit hoc modo. Annii Flocami, qai maris Robri vectigal a fisco redemerat, libertas circa Arabiam navigans, Aquilonibus raptas praeter Carmaniam, xv die Hippuros portum ejus invectos, hospitali regis dementia sex mensiom tempore irabotos adloquio, percanctanti postea narravit Romanos et Caesarem. Miram in modum in aoditis justitiam ille su spexit, qaod pares pondere denarii essent in captiva peconia, cam diversae imagines indi· carent a ploribos factos. Et hoe maxime sollici tatus ad amicitiam, legatos qoatuor misit, principe eorum Rachia. Ex iis cognitum n esse oppida, portam contra meridiem, adpositom oppido Palaesimondo, omniam ibi clarissimo, ac regiae cc n ili, plebis. Stagnum intus Megisba, g c c l x x v n ili, passoum ambito, iosolas pabuli tantum fer tiles complexam. Ex eo daos amnes erumpere : Palaesimundum, jaxta oppidam ejusdem nominis, influentem in portum tribas alveis, qoinqae sta diorum arctissimo, xv amplissimo : alterum ad aeptemtrioneslndiaraque versam,Cydara nomine. Proximam esse Indiae promontorium, quod vo cetur Coliacnm, quatridui navigatione, medio in corso Solis insola occurrentc. Mare id colore perviridi, praeterea fruticosum arboribas, jubas earora gobernacolis deterentibos. Septemtriones Vergiliasqoe apud nos, veluti novo coelo, mirabantor. Ne lunam quidem apod ipsos, nisi ab octava ad xvi sapra terram aspici fatenles, Cano pum lucere aoctibns, sidas ingeos et claram. Sed maxime miram iis erat, ombras soas in nostram coelum cadere, non in soum : solemque a laeva oriri, et in dexteram occidere potias, quam e di verso. Iidera narravere, latus insulae, qaod prae tenderetur Indiae, x mill. stad. esse ab oriente hiberno. Ultra montes Emodos, Seras quoque ab ipsis aspici, notos etiam commercio : patrem Ra-
con navi di papiro e armeggi dei NHo, al corso* delle nostre navi s'è tassato il viaggio di sette giorni. Questo mare eh* è fra l’ India e la Tapro-' bana è pieno di secche, e non è alto pià che sei passi ; ma in certi canali è talmente profondo, che l’ ancore non trovano dove appiccarsi : per ciò fanno le prode alle navi de amendue le parti* acciocchì non Γ abbiano a voltare per la stretezza del canale. Qoivi nel navigare non osservano alcnna stella. La tramontana non si vede; ma portano con esso loro degli uccelli, e spesso gli lasciano ire, seguendo il cammino d 'essi, che volano verso terra. Nè navigano pià che tre mesi delPanno. Hannoti molta cura del solstizio, massimamente per cento giorni, perchè allora qoel mare è in tempesta. Queste son le cose, che gli antichi n* hanno detto. Ma noi n* abbiamo maggiore e pià dili gente notizia nel prindpato di Claodio, essendo ancora venoti ambasci adori di qoella isola. E à i avvenne in qoesto modo. 11 liberto d' Annio Plo camo, il qoale aveva comprato dal fisco la gabella del mar Rosso, navigando intorno PArabla fa traportato dal vento Aqailone lungo la Carma nia, di maniera che il quindicesimo giorno entrò nd porlo Ipporo, e dal re dell'isola fa molto amorevolmente raccolto e trattato per sei mesi, nel qoal tempo egli imparò la lingua, poi ra gionò seco a longo dd Romani e dell* imperadorè. Laddove il re fra l'altre cose ch'egli intese da lai, si maravigliò molto ddla giastisia loro, « che i denari del liberto fossero pari di peso, dove le imagini diverse mostravan pare che eran fatti da pià persone. E perciò persuaso molto a far seco amicizia, mandò quattro ambasciadori, de' qaali fa capo Rachia. Da qaesti s'in tese come nell* isola sono cinquecento a tti, e il porto a mezzodì posto appresso alla dttà di Palesimondo, la qoale è quivi la pià nohil di latte, e dugento mila popolani al servizio del re. Ad dentro v* è lo stagno Megisba, che gira trecènto settantadnque miglia, dove sono isole fertili sola mente per pasdone. Da questo escono doe fiumi, Palesimondo, appresso la dttà del medesimo no me, 11 quale corre nel porto con tre rami, stretto cinque stadii, dove pià, e dove pià, largo qnindid: l'altro fiume verso tramontana volge all'india,' e s'appella Cidara. Quivi presso è il promontorio dell' India, che si chiama Colaico, dal qoale si na viga in ladia io quattro giornee a mezzo d d cam mino si trova l'isola del Sole. Qoel mare è di color mollo verde, e oltre a d ò pieno d'arboscelli, di maniera che le frondi loro spesso sono rasentate da' remi. Questi ambasciadori si maravigliavano molto di veder nascere appresso di noi i Setten trioni e le Vergilie, come in un nuovo cielo, e
HISTORIARUM MONDI U B. VI.
chiae oommtatte eo: advenis «ibi Seras oeeumre. Ipso· vero cxpedere hominum magnitudi non, rutilis conit, caerulei· oculis, oris sono traci, mollo commercio iingoee. Celera eadem, qaae nostri negotiatores. Fluminis olteriore ripa mer ces positas jaxta venalia tolli ab his, si placeat permutatio : non aliter odio justiore Iuxoriae, qaam si perdocta mens illae nsqae cogitet, quid, et qao petatar, et qaare.
Sed ne Taprobane qaidem, qaamvis extra orbem a natara relegata, nostris vitiis caret. Aurum-argentamqoe et ibi io pretio. Marmor te*In diai» simile, gemmae margaritaeqae in honore malto pneslanliores : et totias laxariae nostrae comulae. Ipsorum opes majores esse dicebant, sed apod nos opokntiae majorem osam. Serram nemini : non in diem aat interdia aoennam: aedificia modice ab hamo exstaotia, annonam nomqoam aogerir non fora litesye esse : «oli Herculem : eligi regem a popolo senecta d e· mcntiaqoe, liberos non habentem : et si postea gignat, abdicari, ne fiat hereditariam regnum. Rectores ei a popajo xxx dari : nee nisi plariam sententia qaemquam capitis damnari : sic qaoqoe appellationem esse ad populum ; et septuaginta judices dari: si liberent ii ream, amplias triginta, bis n ollam esse dignationem, gravissimo probro, fi egi colium Liberi patris, ceteris Arabam. Re gem, si qaid ddioquat, morte mnlotari, nullo iuterimente, aversanlibas canclis,.et commarcia etiam sermonis negantibus. Festa venatione absu mi, gratissimam eam tigribns elephantisqae con stare. Agros diligenter coli : vitis usam non esse, pomis abandare. Esse et in piscata voluptatem, testudinum maxime, quarum superficie familias habitantium contegi : tanta reperirà magnitudi ne. Vitam hominum centum annis modicam. Haec comperta de Taprobane.
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dicevano che la Iona appresso di loro non si vede sopra la terra se non dall’ ottavo al sedicesimo giorno, e dicevano Canopo rilacere la notte, la qaale è ona stella grande e chiara. Ma molto più si maravigliavano, come Γ ombre loro cadessero verso il nostro ddo, e non verso il loro : e che il sole si levasse a man manca, e tramontasse a man ritta, piottosto che al contrario. 1 medesimi rac contarono, che la parte dell'isola, la qnale è verso Γ India, è dieci mila stadii, dall’orto invernale ; e che oltra i monti Emodi, i popoli Seri sono an cora vedati da essi, e che trafficano insieme, e che il padre di Rachia Vera andato, e che i Seri vanno loro incontra qaando essi si recano U. Cbe essi sono maggiori degli altri uomini, co’ capei rossi, con gli occhi verdi, con terribil voce, e che con ninno hanno commercio di lingua ; nell’al tra cose simili ai nostri mercatanti. Pongono le mercanzie sulla riva del fiume, e appresso si met tono quelle, che si danno in cambio, le quali sono da essi tolte, se piace il baratto, non altri menti con pià giusto odio della lussarla, che se la menta condotta insino a là pensi che cosa, e in che modo si domandi, e perchè. Ma n i la Taprabana aneora, benché ella sia posta faor del mondo dalla natara, manca dei nostri.vizii. L 'oro e Γ argento quivi è in pregio. 11 marmo simile alla testuggine, le gioie e le per· le sono in grandissima stima ; e tutto il colmo delle nostre pompe. Raccontavano costoro, come le lor ricchezze san maggiori, ma che noi asiamo più le ricchezze. Nessun di loro ba servi : non dormono fino a di, nè di giorno : gli edificii loro son poco alti da terra, la vettovaglia non vi rincara mai, non vi sono giudici, nè liti : adorano Ercole, eleggono re dal popolo nn vecchio e demente,che non ab bia figliuoli ; e »’ egli avviene che ne abbia poi, rinunzia il regno, perchè ei non vada per eredità. 11 popolo gli dà trenta rettori, nè si condanna niuno a morte senza il parer di molti : così anco ra s'appdla al popolo, e creansi settanta giudici ; e se questi liberano il reo, quei trenta non hanno più autorità alcuna, anzi sono infami. L’ abito del re è come quel di Bacco, e degli altri Γ Ara besco. IL re,. se fa alcun delitto, è condannato alla morte : se non v* è persona, che lo amazzi, ‘tutti gli sono contro, nè gli voglion favellare : ma in pubblica cacdagione è lacerato, e questa caccia è gratissime, che si fa con tigri ed defanti. Lavorano diligentemente il terreno: non hanno vigne, ma sì ben dovizia di frutti. Si dilettano di pescare, e massimamente testuggini, con la cui scorza caoprono le lor case; così grandi vi sono. Lavila degli uomini è piccola di cento anni. Que, sle son le còse, che ho ritratte della Taprobaua.
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XXV. Le quattro, satrapi* 1« quali differim XXV. Quatuor «atrapiae, qoas in hnncloeui» mo in questo luogo, stanno eos). distulimus, itu se habent. »8. Dopo la uazioni vicine ali' Indo, tanci' a 3. A proxirtii Indo gentibiu, montana. Ca luoghi montuosi. La Capì ssene ebbe Capiasa città, ptisene hubnit Capissam urbem, quem diruit Cyrm. Arachosia rum oppido et flamine ejusdem la qual fa minata da Ciro. Araeosia eon la eitnominis, qaod qaidam Cophen dixere, a Semira tà e il fiume del medesimo nome, che da alcuni fa mide conditum. Amnis Erymanthus praefluent detto Cofe, edificata da Simeramide. Il fiume Parabat tra Arachosiorum. Proximos iis a meridia Erimanto, il qual passa per Parabeste degli Araad partem Arachotarum faciunt Gedrosos, et a sa- coti. Vicini a questi da mezzogiorno verso gli ptemtrioneParopamisadav.Cartana oppidom sub Aracoti pongono i Gedrosi, e da settentrione i Paropamisadi. Cartana città sotto il monte Cau Caucaso, quod postea Tetragoni· dictum. Hae· regio èst ex adverso. Bactrianorum deinde, cujo· caso, la qual poi s’ è chiamata Tetragone. Questa oppidum Alexandria, a conditore dictum. Synregione è all' incontro. Dipoi i Battriani, la cut «Iraci, Dangalae, Parapiani, Cartacea, Maei» Ad città è Alessandria, così chiamata dal suo edifi Caucasum, Cadrusi : oppidum ab Alexandro eoo* catore. I Sindraci, i Dangali, i Parapiani, i Can dilurri. taci, a t Mact. Al Caucaso sono i Cadrusi, città edificata da Alessandro. lnfr.% haee omni», ora ab Indo : Ariana regio Sotto a questi popoli e la riviera dell'In ambusta fervoribus, desertisqua circumdata^mul do : Ariana paese arso dal sole, e circondato da ta tamen interfusa opaoitate : cultore· congregat deserti, che nondimeno ba per entro di molti circa duos maxima fluvio·, Tonderon et Arosa- luoghi freschi : gli abitatori suoi sono per lo pià pen. Oppidom Artaooana. Arius amnis, qui prae intorno · due fiumi, il Tonderona e l'Arosape. fluit Alexandriam ab Alexandro conditam. Patat La città d 'Artaooana. 11 fiume Ario, che oorra oppidum stadia xxx, mulloque pulcrius, sicut pr Alessandria edificata da Alessandro. La-città antiquius, Artacabane : itarom ab Antiooho mu· è tra miglia e mezzo, molto più bella, sicooma ni tura, stadia i. Dorisci gens. Amnes : Pharnaeopià antica, dì Artacabane : fu di nuovo fortificata tis, Ophradu·. Prophlhasia oppidum Zariaspa- da Antioco, che amptiolta a sei miglia. I popoli rum : Drangae, Everge tae, Zarangae, Gedrusi. Doritei. Fiumi, il Farnacota, e l'Ofrado. Profla· Oppida : Pencolai*, Liinphorta : Methoricorum •ia città de' Zariaspi. 1 Drangi, gti Everseti, t desertum. Amnis Manata s Augutturi gtns. Flu Zirangi, i Gedruti. Città : Pencolai, Llnforta : men Borri* : gen· Urbi. Flumen navigabile Po* Il deserto da' Metorici. Il fiume M**ai. 1 popoli manus Pandarum finibus. Itam Cabi rus Sua ro Augutturi. Il fiume Borra. 1 popoli Urbi. Pena rare, oitio portuosus· Oppidum Condigramma. rne fiume navigabile aa’ eonfini de* Pandari. Cod Flumen Cophes. Influunt in eum navigabilia Sa* anche il Cabiro de' Suari, ohe fa porto alla fona. darus, Pfcrospns, Sodino·. Condigramma città. 11 fiume Cofe. Mattano in esso tra fiumi navigabili, cioè, il Sadara, il Paro» spo e il Sodino. Arianne partem esae Daritin alicui volunt, Alconi vogliono che Danti sìa parto dalla roensoramque produnt utriusque longitudine xix Ariana, a mettono la misura dell' una o dall' altra t, latitudine dimidio minore, quam Indiae. Alii per larghezza mille noveoeoto e cinquanta miglia, Gedrosos, et Pasiras posuere per exxxtv mill. e per larghezza la metà maao che l ' India. Altri pastuum. Mox Ichlhyophagos Oritas, propria, hanno posto i Gedrosi a i Pastri per oen l'ottanta non Indorum, lingua loqueutes, per cc mill. pass. quattro miglia. Poi gli Oriti, i quali vivono di pe Inde posuere At biorum gentem per oc mill. sci, a favellano con proprio linguaggio, non degli lehthyophagos omnes Alexander vatuit piscibus Indiani, per dnganto miglia. Posero pai gli Arbi vivere. Ultra deserta : deinde Carmania, ac Par» par dugento migli·» Alessandro ordì od, che tutti •is, atque Arabia. gli Ittiofagi non vivessero pià di p u ò . Sono d i poi i deserti, e dopo qmglt la Carmania, la Per sia, e l ' Arabia.
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H1ST0BIARDM MUNDI L1B. VI.
N a t ig a t io v u i a I r o u x .
V lA G G I f u
M AXI ALL·1 ISDIA.
XXVI. Sed priasqoam haec generatim perse- XXVI. Ma prima che noi generalmente par fn m a r , indiare convenit, quae prodit Onesi liamo di queste cose, s’ ha da mostrar qodlo, critus, classe Alexandri cireomtectae io aeediter che scrisse Onesicrito, il quale con la flotta di ranea Persidis ex India, narrata proxime a Joba : Alessandro dall’ India passò nella parte mediter· dein eam navigationem, qoae hia annis comperta ranca ddla Penta, trattata dianzi da Giuba : dipoi serratur hodie. qoella navigazione, la quale trovata questi anni, s’ osserva oggi. Onesicriti et Nearchi navigatio nec nomina La navigasiooe d'Onesicrìto e di Nearco non habet mansionum, nec spatia : primomqoe Xyle- ha i nomi ddle posate, nè gli spazii. E prima non nepolis ab Alexandro condita, node ceperant si ragiona abbastanza di Xileoepoli, edificata da Alessandro, ond’ essi comindarono, presso a qoal exordium, juxta qood flamen, aat obi faerit, fiome, o dove dia sia. Noodimeoo essi dicono non satis explanator. Haec tamen digna memo rato prodantur. Arbis oppidam a Nearcho con queste oose degne di memoria, che Nearco edi ficò la dttà di Arbi io qud viaggio. 11 fiame ditam in navigatione ea. Flamen Nabram na Nabro è navigabile: air incontro v’è Alessandria, viam capax : contra insola distans l x x stad. Ale· xandria condita a Leonnato jussu Alexandri in isola lootana nove miglia, edificata da Leonato finibus gentis. Argenos porto salabri. Flamen per commissione d’Alessandro a’eonfini di qndla Toberam navigabile, drca quod Pasirae. Deinde E lezione. Argeno, dov’ è buonissimo porto. 11 fia lchthyophagi tam longo tracta, at xx dierum me Tabero navigabile, appresso il quale sono i spatio praenavigaverint. Insula, quae Solis ap Pasiri. Dipoi gl’ lttiofiagi di sì lungo tratto, che pellator, et eadem cubile Njmpharom, rubens, stettero veoti dì a navigar il lor mare. L’ isola, in qua nullum non animal absumitur, incertis ohe si chiama del Sole, è por detta letto delle causis. Ori gens: flumen Carmaniae Hytanis por Ninfe, tolta infocata, dove ogni animale si con tuosam, et auro fertile. Ah eo primam Septem· suma, nè si sa la cagione. I popoli Ori. L'Itane triones apparuisse adnotavere. Arctaram nee fiome della Carmania, portuoso, e abbondante omnibus cerai noctibus, nec totis umquam. d’ oro. Dopo esse videro oome la tramontane Achaemenidas usque illo tenuisse. Aeris et ferri cominciava a mostrarsi, e che Artoro non si ve metalla, et arsenici, et minii exerceri. Inde pro deva tolte le notti, nè mai per tetta la notte : die montorium Carmaniae est, ex quo in adversa infino a qai abitavano i popoliAchemeoidi, e che ora ad gentem Arabiae Macas trajectos distat r. vi si esercitavano i metalli del rame e dd ferro, mill. pass. Insalae tres, quarum Oracla tantam l’ arsenico e il minio. Trovasi poi il promonto habitatur tqtfosa, a continenti xxv mill. pass. rio ddla Carmania, dal qoale nella riviera all’ in Insalae iv jam in sinu ante Persida. Circa has contro è il tragelto a’ Mad popoli d’ Arabia, lon hydri marini viceoom cubitorum adnatantes ter· tano dnqoanta miglia. Tre isole, ddle qoali Ora roere classem. Insula, Acrotadus : item Gaoratae, da acquosa sola è abitata, diseosto ventidnqae in qaibas Chiani gens. Flamen Hyperis in medio miglia. Quattro isole già nel golfo avanti le Persia. sino Persico, onerariarum naviam capax. F lo· Intorno a queste isole gl’ idri marini lunghi venti mea Sitiogagus, qao Pasargedas septimo die na braoda nuotando spaventarono l’ armata. L’ isola vigator. Flomen navigabile Heratemis: iosola Acrotado, e i popoli Gaurati, dove è la nazione aine nomine. Flamen Granis modicarum naviam de* Chiani. 11 fiume Iperi in mezzo il golfo di capax, per Sosianen fluit : dextra ejos accolant Persia, capace di navili da carioo. Il fiume SitioDeximontani, qoi bitumen perfidont. Flumen gago, per il qoale in sette dì si naviga a PasargaZarotis ostio difficili, nisi peritis : insulae duae di. L’Èra temi fiume navigabile, e una isola senza parvae : inde vadosa navigatio palustri similis, nome. Il fiume Granio capace di navili piccoli per euripos tamen qoosdam peragitor. Ostiam passa per la Sasiana : a man ritta «Tesso abitano i Euphratis. Lacus, quem faciunt Eulaeus et Tigris Desshnootani, i quali fanno il bitume. Il fiume jaxta Characem. Inde Tigri Susa. Festos dies ibi Zarote con una foce molto pericolosa fuor che agentem Alexandrum, invenerant septimo mense, a’ pratichi. Due isole picciole. Dipoi è uoa navi postquam digressus ab iis foerat Patalis, tertio gazione piena di secche, simile a un pantano: nondimeno vi si passa per certe corsie. La foce navigationis. Sic Alexandri classis navigavit. Po stea a Syagro Arabiae promontorio Pataten Fa ddl’ Eufrate. Il lago, che fanno l’ Euleo e il Ti vonio, quem Hippalum ibi vocant, peti cerlisti- gri presso Carace. Dipoi Tigri Susa, dove trova-
C. PLINII SECUNDI nram videbatnr xm xxxn mill. passuum aesti matione.
Secuta aetas propiorem corsom tatioremque judicavit, si ab eodem promontorio Zigerum portam Indiae peteret Diaqae ita navigatum est, donec compendia invenit mercator, lacroque In dia admota est. Quippe omnibus annis navigatur, sagittariorum cobortibus impositis : etenim pira tae maxime infestant. Nec pigebit totum cursum ab Aegypto exponere, nunc primam certa notitia patesoente. Digna res, nullo anno imperii nostri minos β-s quingenties exbauriente India, et mer ces Remittente, quae apud nos centuplicato ve· neant.
Duo millia passuum ab Alexandria abest op pidum Juliopolis. Inde navigant Nilo Coptum cocin mill. passuum, qui cursus Etesiis flantibus peragitur xn diebus. A Copto camelis itor, aqua tionum ratione aansion&us dispositis. Prima ap pellatur Hydrcnm, xxxn mill. Secanda in monte, diei itinere. Tertia in allero Hidreumate, a Copto xcv mill. Deinde in monte. Mox ad Hydrenm Apollinis, a Copto c l x x x i v mill. passaum. Rursus in monte. Mox ad novum Hydrenm a Copto ocxxxm mill. passuum. Est et aliud Hydrenm vetus, Troglodyticom nominatur, ubi praesidium excubat diverticulo doum millium. Distat a novo Hydreumate iv mill. passaum. Inde Berenice op pidum, abi portas Rubri maris, a Copto ccivin mill. passaum. Sed quia raajor pars itineris con statar noctibus propter aestos, et stativis dies abenmùotor, totam a Copto Berenicen iter duo decimo conicitur die.
Navigare incipiant aestate media ante Canis ortum, aut ab exortu protinus, veniantqae cir citer xxx die Ocelim Arabiae, aut Canen thuri ferae regionis. Est et tertius portus, qui vocator Moia, quem Indica navigatio non petit, nec nisi thuris odorumque Arabicorum mercatores. Intns oppidam, Tegi· ejat appellatur Saphar, aKudqne Save. Indos autem petentibus atilìssHMm 'est ab Oceli egredi. Inde vento Hippalo navigant diebus
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rono Alessandro, che faceva quivi certe lette, il settimo mese, poi eh’ egli »' era partito da loro a Patale, il terzo dì della navigazione. Così na vigò la flotta d'Alessandro. Dipoi da Siagro pro montorio d* Arabia pareva certo che si poteste andare a Patata eoi vento Favonio, il quale quivi si chiama Ippalo, con un viaggio, secondo la sti ma, di mille trecento trentadue miglia. L* età che venne appresso, dimostrò pià vi cino e pià sicuro cammino, se dal medesimo pro montorio s'andasse a Zigero porto dell'india. E lungamente s'è navigato in questo modo, infin che i mercatanti hanno trovata la via pià breve, e che 1' India s 'è accostata al guadagno. Perciocché .ogni anno si naviga, ma armano i navili d' arcieri, per rispetto che i corsali gli tra vagliavano molto. Nè mi parrà fatica descrivere tutto il corso dall'Egitto, poiché in questa età s 'è cominciato averne pià certa notizia. Degna cosa, che nessuno anno dell* imperio nostro l ' India non ha mai cavato nè rimesso merci per meno di cinquecento migliaia di sesterzi!, le quali appresso di noi si vendono, e stanno a cento per uno. Doe mille miglia è lontana da Alessandria la città di GiuliopoG. Navigano poi per il Nilo a Copto trecento tre miglia, il qual viaggio si fa in dodici giorni, quando soffiano in venti Etesii. Da Copto si va sopra i cammelli per alloggiamenti disposti per rispetto delle acqoe. Il primo si chia ma Idro per cammino di trentadne miglia. II se condo net monte, per cammino d 'una giornata. Il terzo è in un altro Idreo, lontano da Copto novantacmque miglia. Dipoi nel monte. Poi atl ' Idreo d'Apolline, da Copto cent'ottaotaquattro miglia. Di nuòvo nel monte. Poi al nuovo Idreo da Copto dugento tren ta tré miglia. Evvi anco un altro Idreo vecchio, che si chiama Trogloditi co, dove stanno nomini alla guardia due miglia fuor di strada : ed è discosto dall' Idreo naovo quattro miglia. Dipoi la dttà di Berenioe, dov*è il porto del mar Rosso, lontano da Copto dugento cinquantaotto miglia. Ma perchè ta maggior parte del viaggio si fa la notte per rispetto del caldo, e i giorni si consumano negli alloggiamenti, tutto il viaggio da Copto a Berenice si £s in dodici giorni. Cominciano navigare a mezza state innanzi che nana la Canieoi·, o subito poich'ella è nata ; e vengono in trenta giornate circa a Oeeli d i Arabia, ow er Cane o d paese, dove nasce l 'incen so. Evvi anco il terzo porto, che si chiama U osa, dove non va la navigazione Indiana, nè altri, faor che i mercatanti, che comprano incenso e odori di Arabia. Fra terra v 'è una città, la coi regio si chiama Salar, e un'altra detta Save. Ma a coloro.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VI.
quadraginta ad primum emporium Indiae Muzirim , non expetendum propter vicinos piratas, qoi obtinent locum nomine Nitrias : neque est abundans mercibus. Praeterea longe a terra abeat navium statio, lintribusque adferqntur onera, el regeruntur. Regnabat ibi, cum proderem haec, Celèbolbras. Alius utilior portus gentis Necanidon, qui vocatur Barace. Ibi regnat Pandion, longe ab emporio mediterraneo distante oppido, quod vocatur Modusa. Regio autem, ex qua piper monoxyiis lintribus Baracen convehunt, vocatur Cottonara : quae omnia gentium, portuumve, aut oppidorum nomina apud neminem priorum reperiuntur· Qoo apparet mutari Jocorum status. E x India renavigant mense Aegyptio Tybi inci piente, nostro Decembri : aut utique Mechiris Aegyptii intra.diem sextum» quod fit intra Idus Januarias nostras : ita evenit, ut eodem anno remeent. Navigant autem ex India vento Vul turno: et quum intravere Rubrum mare, Africo vel Austro.
Nunc revertemur ad propositum.
che vanno in India, utilissima eosa è usare da Oceli. Di là col vento Ippalo navigano quaranta giorni a Muziri, eh'è il primo mercato dell1In dia, dove non è da irvi per rispetto de* vicini corsali, i quali tengono nn luogo, che si chiama Nitria, che non è molto abbondante di mere). Olirà di questo è lontana da terra la stanca del le navi, ed è mestiero di scafe per portare e to gliere le mercanzie. Quivi regnava, quando io scriveva queste cose, Celebotra. Ecci un altro porlo più utile dei popoli Necani, il quale si chia ma Barace. Quivi regna Pandione, ed è molto lontana dal mercato fra terra la città, che si chiama Modusa. E la regione, della quale portano pepe a Barace con navioelle d’ un legno solo, si chiama Cottonara : i quali tutti nomi di po poli, di porti, o di città non si trovano presso a nessun degli antichi. Perciò ai vede quanto si muti lo stato de’ luoghi. Partono d’ India na vigando nel mese, che gli Egizii chiamano Tibi, eh’ è il nostro Dicembre ; ovvero fra i primi sei giorni del mese Mechiri Egizio, che corrispon dono presso noi a prima delle Idi di Gennaro : cosi avviene che ritornano nel medesimo anno. Partono d’ india ool vento Volturno; e come entrano nel mar Rosso, con Γ Africo, o con l ' Auslro. Ritorneremo ora al nostro proposito.
C a r m a n ia .
XXVII. Carmaniae oram patere duodecies centena x. mill. pauuum, Nearchus scripsit. Ab initio ejus ad flamen Sabin centum mill. pas suum. Inde vineas coli et arva ad flamen Andaqin xxv mill· spslip. Regio vocatur Armuzia. Oppida Carmaniae, Zetbis, et Alexandria. Sinus
P e r s ic o s e t A r a b i c o s .
XXVIII. Irrumpit deinde et io hac parte ge minum mare terras, quod Rubrum dixere nostri, Gnueci Erythraeum a rege Erytbra, aut (ut alii) aolis repercussa talem reddi colorem existiman tes : alii ab arena terraque, alii tali aquae ipsius natura. a 4· Sed in duos dividitur sinus. Is qui ab oriente est, Persicus appellatur, xxv m passuum circuita, ut Eratostbenes tradit. Ex adverso est Arabia, cujus xu mill. passaum est longitudo. Rursus altero ambitur sinu, Arabico nominato, Oceanum qui influit : Azanium appellant. Persi cam introitum, v mill. passuum latitudinis, alii quatuor fecerant. Ab eo ad intimum sinum recto córsa xi x x v mill. propemodum constat esse, et satam ejus hamani capitis effigie. Onesicritus et
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D x l l a C a r k a h ia .
XXVII. Scrisse Nearco, che la Carmania ha di riviera mille dugento cinquanta miglia. D») principio suo fino al fiume Sabin sono cento miglia. Dipoi si trovano paesi, che hanno vigne, e campi lavorali al fiume Andani, per venticinque .miglia. 11 paese si chiama Am asia. Le città del la Carmania sono Zeli* e Alessandria. '
D e l g o l f o P er s ic o e d A r a b i c o .
XXVUI. Dipoi rompe ancora le terre in que sta parte il mar doppio, ohe da' nostri è stato chiamato Rosso, da’ Greci Eritreo, dal re Eritra, o pur, come vogliono alcuni, perchè il ribatter del sole causa questo colore. Altri il credono così detto dall’arena e dalla terra ; altri per la natura tale di essa acqua. a 4 . Dividesi in due golfi. Quel eh* è verso levante, si chiama Persico, e gira duemila cin quecento miglia, come scrive Eratostene. All'in contro è l’Arabia, la cui lunghezza è mille dagento miglia. Di nuovo è circondata da.un altro golfo, chiamato Arabico, che mette peli'Oceano, e chiamasi Azanio. Il Persico ha l'entrata di cin que miglia di larghezza ; altri la fecero di qoattrp. Da quello all’ intima parte del golfo con retto corso, sono mille conto venticinque migli*» e
G. PLINII SECUNDI
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Nearcho· ab Indo amne in tinam Persicum, atque illin a Babylonem Euphratis paludibus, scripse rant xvu mill. passuum esse. In Carmaniae angolo sant Chdonophagi, testudinum superficie casas tegentes, carne veeoentes. ▲flamine Arbi promontorium ipsam in habitent, praeter oapita toto corpore hirti, coriisque pisdam vestiti. • 5. Ab horam tracta Indiam versus Caicaadrus deserta insala in Oceano, t mill. passaum tra ditor: joxtaqae eam freto interfluente Stoidis, quaestuosa margaritis. A promontorio Carmanis jangantar Armozei. Quidam interponant Arbios, qgccxii millia passoom toto litore. Ibi portas Macedonum, et arae Alexandri in promontorio. Amnes : Saganoa : dein Daras, et Salsos. Ab eo promontorium Themisteas, insula Aphrodisias habitator. Inde Persidis initiom ad flamen Oroatin, quo dividitor ab Elymaide. Contra Persidem insulae, Philos, Casandra, Arada com monte praealto Neptuno sacra. Ipsa Persis adversas oc casam sit· obtinet litor· b l mill. passoom : etiam in laxum dives, in Parthoram jam pridem trans lata nomen. Horum de imperio nunc paucis.
P aitsoxuk a bos a.
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il sito suo è a guisa del capo d* un nomo. Ones crito e Ncarco fanno dal fiume Indo inaino ri golfo Persico, « di là insino a Babilonia per le pa ludi dell1 Eufrate, mille settecento miglia. Nell’ angolo della Carmania sono i Chelonofagi, i quali mangiano la carne delle testuggini, econ le scorze d*esse cuoprooo le case. Dal fiume Arbi insino ad esso promontorio abitano nomini pelosi per tutto il corpo, in foor ehe il capo, ▼estiti di cuoi di pesoi. a5. Dopo questi verso l’ india è Caieandro isola deserta cinquanta miglia in mare, e appresso a quella con un canale stretto di mare in messo à Stoide, di grandissimo guadagno per conto delle perle. Dopo il promontorio co’ Caimani si congiungono gli Armoxei. Alcuni fi framettono gli Arbii, quattrocento ventidue miglia per tutto U lito. Quivi è il porto de* Macedoni, e gli altari d 'Alessandro nel promontorio. 1 fiumi sono, il Sagano, il Dara, e il Salso. Dopo questo è il pro montorio Temistea, e Γ isola Afrodisia. Quindi à il principio della Persia al fiume Oroati, il quale la divide da Elimaide. All’ incontro della Persia sono queste isole, cioè, Fila, Casandra, e Araci· con un altissimo monte, oonsacrata a Nettano. Essa Persia posta verso ponente, ha cinquecento cinquanta migli· di riviera, ed è rioca ancor· fino a pompa, trasferita, già buon tempo è, nel nomo de* Parti. Ragioneremo ora brevemente alcuna cosa dell* imperio loro. R bohi db* vaiti.
Tutti i regni de* Parti son didotto, XXIX. Regna Parthorum duodeviginti sant XXIX. perdoechè così dividono le province, come di omnia : ita enim dividunt provincias, circa doo cemmo, droa due mari, il Rosso da mezzogiorno, (ut diximus) maria, Rubram a meridie, Hyrca nam a septemtrione. Ex iis andecim, quae supe e l’ Ircano da tramontana. Undici di questi, ohe si chiamano superiori, incominciano dal confino riora dicantor, incipiant · confinio Armeniae, Caspiisque litoribus : pertinent ad Scytbas, cum deirArmenia, e da* liti Caspii : confinano cea-gli Sdii, coi qoali vivono del pari. Gli altri si c h i·· quibus ex aequo degunt. Reliqua septem regna mano i sette regni inferiori. Quanto appartiene inferiora appellantur. Quod ad Parthos attinet, semper fuit Parthia io radicibus montium sae a* Parti, la Partia fu sempre nelle radid de* monti più volte detti, i quali scuoprono tutte quelle na pius dictorum, qui omnes eas gentes praetexunt. zioni. Da levante ha gli A rii, da mezzodì la Habet ab ortu Arios, a meridie Carmauiam et Carmania e gli Ariani, da ponente i Pratili Medi, Ariauos,ab occasu Pratitas Medos, a septemtrione da tramontana gl’ lrcani; drcondata in ogni Hyrcanos, undique desertis cincta. Ulteriores parte da deserti. 1 Parti, che sono più oUra, d Parthi Nomades appellantur : citra, deserta : ab chiamano Nomadi : di qua son deserti : verso po occasu urbes eorum, quas diximas, Issati* et Cal nente le dttà loro, eh* abbiamo dette, sono le liope: ab oriente aestivo, Europum : ab hiberno, Mania: in medio Hecatompylos, Arsace regia : sali e Calliope : verso levante di state, Europo ; Nisaea Parthyenes nobilis, ubi Alexandropolfc verso quel di verno Mania : nel mezzo, Ecatompilo e la regi· di Arsaee: Nisea Partieoe nobile,doro • conditore. à AlessandvopoK, oosì «Marnata da ehi 1« edificò. 26. È necessario anoora segnare in questo luo a0. Necessarium est in hoc loco signare et Medorum situm, terrarumque faciem circum·* go il sito delia Media, e descrivere la fon a· dello gere ad Persicum mare» quo faciline deinde re li* terra verso il mar di Persia, acciocché pià fedi-
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q t * aoiciB tn r. N inqoe Media ab occaso Iran·· ve ra · oblique P arti·· oocurreos, utraque regna ia d u d it. Hate tergo ipsa ab orla Caspios, et Parth o i: a meridie Sitlaoeoen, et Scuianen,et Persida: al» oocasu Adiabeaen : a septemtrione Armeniam. P en n e Rnbrun mare semper acooluere, propter q a o d is sinos Persicus vocatur : regio ibi maritim»y SyrtiboJos. Qua vero ipsa subii ad Medos, Climax Megale appellatar locua, ardno monti· — ceni per grados, introita angusto, ad Per se polta caput regni, diratnm ab Alexandro. Prae terea habet io extremi· finibus Laodiceam, ab Antiocho conditam. Inde ad orientem Magi obti neat Pasmgardas castellum, in qao Cyri sepuleram est : et horam Kelatana oppidam transla tam ab Dario rege ad montes. Inter Partho· et Ariano· exonrront Paraetaceni. Dis gentibus et £nphrate, inferiora regna includuntur. Reliqoa dicemus a Mwopolamia, excepto mucrone ejns, AeaVamqne populis, m dicti· volumine.
mente s'intendano l'altre cose. Peroioechè la Media verso ponente da traverso occorrendo alla Parti·, rinchiude l ' uno e l'altro regno. Ella ha dunque da levante 1 Caspii e i Parti, da mezxodi la Sittacene, la Susiana e la Persia, da ponente l'Adiabene, da tramontana l'Armenia. 1 Persiani abitarono sempre sul mar Rosso, e perciò questo golfo si chiama Persico : quivi la region maritti ma si chiama Sirtibolo ; e per dove essa sale ai Medi, se ne chiama Climax Megale il luogo, con aspra salita del monte per {scaglioni, con entrata stretta a Persepoli, capo del regno, ruinata da Alessandro. Oltra di qaesto ha negli estremi suoi confini Laodicea, edificata da An tioco. Dipoi verso levante i Magi posseggono 11 castello Passagarda, dorè è il sepolcro di Ciro: ed è loro anoo la oittà di Ecbatana trasferita dal re Dario a' monti. Fra i Parti e gli Ariani stanne I Paretaoeni. Da queste nazioni e dal’ ’ f * Γ " son rinchiusi i regni inferi**»* * P* remo dopo la Mesopotamia, eooetto Ìa penta loro, » » r o f ·1* a m U rieordati nel libro
Mesopotamia.
D e l l a M b so v o t a b ia .
Tetta la Mesopotamia degli Assiri XXX. Mesopotamia tota Assyriorum fuit, vi- XXX. cetim dispersa, praeter Babylona, et Ninum. Mace sparsa per villaggi, fuor ohe Babilonia, e Nine città. I Macedoni la raunarono poscia in eittfc, dones eam in nrbes congregavere, propter uber tatem soli. Oppida, praeter jam dicta, habet per la fertilità del terreno. Oltra elle già dette Saleoctam, Laodiceam, Artemitam : item in Ara· città, ha Seleucia, Laodicea e ArtemHa i e nel bum gente, qni Orei vocantor et Mardani, Antio paese degli Arabi, i quali si chiamano Orei e Mar chiam, qaae a praefecto Mesopotamiae Nicanore dani, Antiochia, la quale essendo «tata edificata condita Arabis vocatur. Junguntur his Arabes in da Nicanore perfetto della Mesopotamia, si chia trorsus Eldamar/i. Supra quos ad Pellaeontam ma Arabi. Congiongonsi oon costoro gli Arabi, e flumen Bura oppidum, Salmani, et Masei Arabes. pià addentro gli Eldamarii. Sopra i quali sul fiu Gordyaeis vero juncti Aloni,per- quos Zerbis me Pellaconta è la città di Bara, i Salmani e i fluvias in Tigrin cadit, Axones, Silici montani, et Masei Arabi. Co’ Gordiei confinano gli Aloni, per Oronte·, quorum ad occidentem oppidum Gau li quali passando il fiume Zerbi mette nel Tigri, gli Atoni, i Silici moutanari, e gli Oronti : i quali gamela: item Sue in rupibus: supra Silici Classitae, per quos Lycus ex Armenia fertur: Absidris hanno verso ponente la città di Gaogamela, e ad hibernum exortum, Azochis oppidum. Mox Sue nelle rupi. Più su stanno i Silici Classiti, ia campestribus oppida: Diospage, Polytelia, per li quali passa il fiume Lieo venendo di Ar Slratonice,Anthemus. In vicinia Euphratis Nioe- menia : Absidri volta a levante invernale, e Aiopborioo, quod, ut diximus, Alexander jussit chi città. Poi nei piani queste città : Diospage, condi propter loci opportunitatem. Dicta est in Polildia, Stratonicea e Anteme. Nei luoghi vicini Zcogmale Apamia, ex qua orientem patentes all' Eufrate Nicefori on, il quale* oeme abbaam excipit oppidum apprime munitum, quondam già detto, fo fatto edificare da Alessandro per la stadiorum lxx amplitudine, et satraparum regia commodità del luogo. Abbiamo anco ragionato appellatum, quo tributa conferebantur, nuno in di Apamia nel paese di Zeugma, dalla quale ehi arcem redactum. Durant, ut fuerant, Hebata, et va in levante, troova prima una città forte, che docta Pompeji Magni terminos Romani imperii già fa grande otto miglia, e fo chiamata la regia Oruros, a Zeugmate ducentis quinquaginta mil dei Satrapi, dove si portavano i tribali : al pre libus passante. Sunt qni Radunt Euphratem Go- sente è ridotta a una rocca. Restand, come già baiis praefecti opere deductum, ubieum dixionu furono in piedi, Ebata, e Ornro, infino a dove findi, ne praecipiti cursu Babyloniam infestaret: Pompeo Magno distese.i termini dell'imperio ab Assyriis vero uwTersuappelktum Narmalchan, Romano, lontano da Zeugma dugento cinquanta
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G. PUNII SECONDI
quod significat regiam flamen. Qua derivator, oppidam fait Agrani e maximis, qaod diruere Persae.
Babylon, Chaldaicarum gentium caput, diu summam claritatem obtinuit in toto orbe, pro pter quam reliqua pars Mesopotamiae Assyriaeque Babylonia appellata est, sexaginta millia passuum amplexa, muris ducenos pedes altis, quinquagenos latis, in singulos pedes ternis digi tis mepsura ampliore, qaam nostra, interfluo Euphrate, mirabili opere utroque. Durat adhuc ibi Jovis Beli templum. Inventor hic fuit sidera lis scientiae. Cetero ad solitudinem rediit, exbau· vicinate Seleuciae, ob id conditae a Nicatore , '«esimum lapidem, in confluente Eu ii u**** · *>e,e— *tqn» Tigris: quae tamen Babylonia cognominatur, libera hodie ac sui joriS, M aoedoonnhao· FWruit ei nli»bi· urbanaedcm esse: silum vero moenium, aquilae pandentis alas : agrum totius Orientis fertilissi mum. Invicem ad hanc exhauriendam, Ctesipbontem joxta tertium ab ea lapidem in Chalooitide oondidere Parthi, quod nunc caput est regnorum. Et postquam nihil proficiebatur, nuper Vologesus rex aliud oppidum Vologesocertam in. viciao condidit. Sant etiamnum in Mosopotamia oppida; Hipparenum, Chaldaeorum doctrina claram et hoc, sient Babylonii, juxta fluvium Nar r a la m, qui dedit civitati nomen. Muros Hippare* norum Persae diruere. Orcheni quoque, tertia Chaldaeorum doctrina, in eodem situ locantur, ad meridiem Tersi. Ab hi· Noti tae et Orothopha· nitae,et Graeciochantae.
Euphrate navigari Babylonem e Persieo mari mill. passaum tradunt Nearchus et Onesi crito·. Qai vero postea scripsere, a Seleucia ccccxc rniU. Juba a Babylone Characem c l x x v mill. d passuum. Fluere aliqoi ultra Babylonem continuo alveo, priusquam distrahitur ad rigua, X.XXXTII mill. Universo autem cursu xi m passaum. Inconstantiam mensurae diversitas auctorum fa cit, quum Persae quoque schoenos ei parasangas alii alia mensura determinent. Ubi desinit alveo munire, ad confinium Charaeis accidente traetu, statim infestant Attali latrones Ara bumgens.UItra quos Scenitae. Ambitu vero Euphratis Nomades Arabiae, usque ad deserta Syriae, unde in meri diem .flecti eum d ixiau·, solitudines Palmyrenas cgocxii
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miglia. Sono alcnni che dicono, che l’Eufrate per opera di Gobare perfetto fu ridotto dove dicem mo che si divide, aociocchè con ruinoso corso non molestasse Babilonia : da tutti gli Assirii si chiama Narmatean, che significa fiome regio. Là, donde si deriva, fu già la dttà d1 Afrani del· le grandissime, la quale fu minata da* Persiani. Babilonia,capo dei popoli Caldei, lungo tempo fu di gran fama in tutto il mondo, per rispetto della quale il resto della Mesopotamia · dell1 As tiria fu chiamata Babilonia, con sessanta miglia di circuito di muraglie, altedagenlo piedi, larghe cinquanta, e ciascun piede è maggior del nostro tre dita : per messo vi passa l’ Eufrate con me ravigliosa opera da ogni parte. Dura quivi ancora il tempio di Giove Belo. Questo fu inventore della scienza delle stelle. 11 resto dd circuito tor na solitudioe, minuita dalla vicinità di Seleucia, per qoesto edificata da Nicanore fra le novanta miglia, dove Γ Eufr»»* « H Tigri condotti per canale, si <~ugtungono insieme; la qual nondi meno si chiama Babilonia, oggi libera e in suo arbitrio, e vive secondo il costume de* Macedoni. Dicono eh1 ella ha di plebe della ciltà seicento mila capi, e che il sito delle sue mura somiglia una aquila, che distenda Γ ali, e che il suo territorio è il più fertile di tutto il levante. 1 Parti scam bievolmente, acciocché questa ciltà si venisse a ditabi tare, edificarono Ctesifonte, vicino a quella tre miglia in Calonitide, che ora è capo d d regno. E veggendo che non facevan nulla, nuovamente il re Vologeso ha edificato quivi presso un* altra città, che si chiama Vologesocerta. Sono ancora in Mesopotamia altre città, come Ippareno, cele bre anch’ etso per la scienza de’ Caldei, come Babilonia, appresso il fiume. Narraga, il quale diede il nome alla citlà. Le mura di Ippareno furono ruioale da'Persiani. Gli Orcbeni anche essi, terza dottrina de* Caldei, sono nel medesimo sito verso mezzogiorno. Dopo questi sono i Notili, gli Orotofanili e i Greeiocanti. Scrivono Nearco e Onesicrito,che dal mar Per· sico a Babilonia, navigando per lo Eufrate, seno quattrocento dodici miglia. Ma quegli che hanno scritto dopo, fanno da Seleucia quattrocento no vanta miglia. Giuba fa da Babilonia a Carace cento settantacinqiie miglia e mezzo. Alcuni dicono che 1*Eufrate corre di là da Babilonia eon continuo letto, prima che si divida in rivi, ottantasette mi· glia; e tutto il suo Corso è ondici miglia. La diver sità degli autori fa la T arietà delle mirare; percioc ché dei Persiani ancora sono che fanno gli scheni, e le parasanghe chi d’ una misura, e chi d’ un' al tri. Dove fornisce d’ affortificare col suo letto al confine di Carace, dove si allarga, subito trava gliano gli assassini Attali) i quali sono Arabi. Do-
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HISTORIARUM MUNDI L1B. VI.
relinquentem. Seleucia ib a t a capite Mesopotamiae Euphratem navigantibus undecies centena x tv mill. passuum. A mari Rubro, si Tigri navigetnr, occxx mill. ; a Zeugmate nxxvn mill. Zeu gma a Seleucia Syriae ad nostrum litus ctxxv mill. pasAium. Haec est ibi latitudo terrarum inter duo maria. Parthici vero regni dcggc x l i v mill. passaam.
TlGEIS.
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po questi sono gti Sceniti. Ma nel circuito del1' Eofrate sono i Nomadi d 'Arabia βηο a1 deserti di Siria, dove dicemmo che egli si piega verso mezzogiorno, lasciando le solitudini de’ Palmireni. Seleucia è lontana dal capo della Mesopotamia a quegli, che navigano P Eufrate, mille centoventicinque miglia. Dal mar Rosso, se si naviga per il Tigri, trecento venti miglia: da Zeugma cinque cento ventisette miglia. Zeugma da Seleucia di Siria al nostro lito è distante cento settantacinque miglia. Questa è quivi la larghezza della terra fra due mari. Ma quella del regno de* Parli k nove cento quarantaquattro miglia. Dbl
f ic h e
Tioai.
XXXI. È ancora un1altra cittì della Mesopo XXXI. Est etiamnnm oppidam Mesopotamiae in ripa Tigris circa confluentes, qaod vocant tamia nella riva del Tigri, laddove egli si con· giunge con l’ Eufrate, la qual si chiama Digba. Digbao. 37. Fia dunque bene ancora ragionare del Λη. Sed et de Tigri ipso dixisse conveniat. Oritnr in regione Armeniae majoris, fonte con Tigri. Nasce questo fiume nell* Armenia maggio* spicuo in planitie. Loco nomen Elegosine est. re, d'un fonte chiaro, in pianura. Il luogo st Ipsius, qua tardior fluit, Diglito: unde concitator, chiama Elegosine. Il nomé suo, dov'egli corre a celeritate Tigris incipit vocari. Ita appellant più adagio, è Diglito : dove ei va ratto, dalla pre Medi sagittaro. Influit in lacum Arethusam omnia stezza comincia a chiamarsi Tigri. Così chiamano illata pondera sustinentem, et nitrum nebulis i Medi la saetta. Entra nel lago Aretas·, il qual exhalantem. Unam genas ei piscium est, idque sostiene tutti i pesi che vi si gettino,ed esala pe’sucft transcurrentis non miscetur alveo, sicut nec e vapori nitro. Egli ha ona sorte di pesci, I quali Tigri pisces in lacum transnatant. Fertur autem trascorrendo non sì mescolano altrimenti nel fiu me, siccome anco i pesci del Tigre non entrano nel et corsa et colore dissimilis : transvectusqne oc corrente Tauro monte in specu mergitur: subter- lago. Dicesi ch'egli è di corso e di color differente, qae lapsus a latere altero ejus erumpit. Locus e trascorrendo, quando egli arriva al monte Tauro, vocator Zoaranda. Eunulem esse manifestum est, entra in un* spelonca, e passando sotto, esce d*lqaod demersa perfert. Alterum deinde transit l* altro lato. 11 luogo si chiama Zoroanda. Ed è lacam, qai Thospites appellatur, rursusque in chiaro, ch'egli è il medesimo, perchè porta di là cuniculos mergitur, et post xxu mill. passuum le cose, che vi son gettate dentro. Passa poi un circa Nymphaeum redditur. Tam vicinum Arsaaltro lago, il qual si chiama Tospite, e di nuovo si tuffa sotterra, e dopo ventidae miglia ritor niae fluere eum in regione Arrbene Claudius Cae na presso a Ninfeo. Scrive Claudio imperatore, sar auctor est, ut, quum intumuere, confluant, nec tamen misceantur: leviorque Arsanias innatat eh' egli corre tanto vicino all* Arsania nel paese di Arrena, che quando crescono, corrono insie iv mill. ferme spatio : mox divisus in Euphratem mergitor. Tigris autem ex Armenia, acceptis me, ne però si mescolano ; e che 1* Arsania, il flaminibus claris Parthenia ac Nicephorione, quale è più leggieri, gli passa di sopra per {spa Araba* Oreoe, Adiabenosque disterminans, et, zio quasi di quattro miglia : dipoi diviso entra quam diximus, Mesopotamiam faciens, lustratis nell' Eufrate. Ma il Tigri poi ch'egli ha ricevuti montibus Gordyaeorum circa Apamiam, Mesenes in sè i chiari fiumi d 'Armenia, il Pàrteni e il oppidum, citra Seléuciam Babyloniam cxxv mill. Nieeforione, partendo gli Arabi Orci e gli Adia pass. divisus in alveos duos, altero meridiem ac beni, e facendo la Mesopotamia, che abbiamo Seleaciam petit, Mesenen perfundens : altero ad detto, circondati i monti de' Gordiei circa Apa septemtrionem flexus, ejusdem gentis tergo cam mia cittì di Mesene, di qua da Seleucia di Ba pos Canebas secat. Ubi remeavere aquae, Pasiti bilonia centoventicinque miglia, diviso in due rami, con l ' uno va verso mezzogiorno e a Seleu gris appellator. Postea recipit ex Media Choa•pem : atqoe (ut diximus) inter Seleuciam et Cte- cia, bagnando Mesene; e con l'altro piegando •iphontem vectus, in lacus Chaldaicos se fundit, verso tramontana, dietro alle medesima nazione, eosqne Lxn mill. pass. amplitudine implet : mox corre per gli campi Cauchi. Poiohè l ' acque son vasto alveo profusus, dextra Characis oppidi in ritornate, si chiama Pasitigri. Dipoi riceve di fertu r mari Persico x mill. passoum ore. Ititer Media il Coaspe, e, come abbiamo detto, passando
C. PUNII SECONDI duorum amnium ostia xxv mill. passuum fuere, a u t(u ta lii tradunt) tu mill., ntroque naviga* bili. Sed loogo tempore Euphratem praeclusere Orcbeni, et accolae agros rigantes : neo nisi Pasitigci defertur in mare.
Proxima Tigri regio Parapotamia appellatur, la ea diotom est de Mesene. Oppidom éjus Dibitach. Jungitur Cbalonitis cnm Ctesiphonle, non palmetis modo, vernm et olea, pomisqae, aliisqae arbostìs nobilis. Ad eam pervenit Zagrns moni, ex Armenia inter Medos, Adiabenosque veniens, supra Paraetàoenen et Persidem. Cbalonitis abest a Perside c c c l x x x mill. passuum. Tantum a Caspio mari «t Assyriam abesse compendio itine rum aliqui tradunt. Inter bas gentes atque Mesenen Sittacene est, eadem Arbelitis et Palaestine dicta. Oppidum ejus SiUace Graeoorum ab ortu est, t t Sabata : ab occasu autem Antiochia, inter duo flumina Tigrin et Toraadotum. Item Apamia, cui nomen Antiochus matris suae imposuit, Tigris circum funditur. Haec dividitur Archoo. Infra est Susiane, io qua vetus regia Persa rum Susa, a Oario Hystaspis filio condita : abest a Seleucia Babylonia ccccl mill. passuum. Tantumdem ab Ecbatanis Medorum per montem Cbarbanum. In seplemtrionali Tigris alveo op pidum est Babytace. Abest a Susis csxxv mill. pass. Ibi mortalium soli aurum in odio contra hunt, id defodiunt, ne quo cui sit in usu. Susia nis ad orientem versus junguntur Oxii latrones, et Mizaeorum x l populi liberae feritatis. Supra eos patent Parthosi, Mardi, et Saitae, ii qui prae· tenduntor supra Elymaida, quam Persidi in ora junximus. Susa a Persico mari absunt ccl mill. passuum. Qua subiit ad eam classis Alexandri Pasitigri, vicus ad lacum Chaldaicum vocatur Apble : unde Susa navigatione l x v m d passuum absott. Susianis ab oriente proximi sunt Cossaei ; supra Cossaeos ad septemtrionem Mesabatene sub monte Cambalido, qui est Caucasi ra mos : inde mollissimo transito in Bactros.
Susianen ab Elymaide disterminat amnis Eulaeos, ortus in Medis, modicoque spatio cuniculo conditus, hac rursus exortus, et per Mesabatenen lapsus, circuit arcem Susorum, ao Dianae tem plum augustissimum illis gentibus, et ipse in
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fra Sdeutia « Ctesifonte, entra ne' laghi de' CaP dei, e gU rimple per lunghezza di sessantadoe mi glia. Eso· dipoi mólto grosso, e a man ritta ddla dttà di Carace entra nel mar di Persia con died miglia di foce. Fra le foci de* due fiomi furono venticinque miglia, o, come vogtfooo aleoni, sette solamente : 1*uno e Γaltro navigabile. Ma gli Or cheni e i lor vidni per lungo tempo interduaero l’ Eufrate, per derivarlo nd campi ; nè mette in mare, se non pel Pasitigri. Il paese vidno al Tigri si domanda Parapo tamia. In essa si è detto di Mesene. La citti sua è Dibitach. Congiugnesi Calonite con Ctesifonte, non solamente nobile per palme, ma per ulivi, poma, e molti altri fruiti. Iniino a qui giugne il monte Zagro, venendo di Armenia fra i Medi e gli Adiabeni, sopra la Paretecene è la Pèrsia. Calonite è lontana dalla Persia trecento ottanta miglia'. Altrettanto alcuni dicono essere dal mar Caspio alP Assiria per la corta. Fra questi popoli e Mesene è la Sittacene, la quale si chiama ancora Arbelite e Palestina. La d iti sua è Sittace de* Gred da levante, e Sabata : da ponente Antiochia però fra due fiumi, il Tigri e ilTornadoto. Apamia ancora, alla quale Antio· co pose il uome di eoa madre, è droondata dal Tigri. Questa è divisa dall* Arcoo. Più sotto è la Susiana, nella quale è Susa antica regia de* Persiani, edificata da Dario figliuolo d* Istaspe: è lontana da Seleuda di Babilonia quattrocento cinquanta miglia: altrettanto da Ecbatana di Media per il monte Carbano. Nel ra mo settentrionale del Tigri è la dttà di Babitaee, la quale è lontana da Susa centotrentacinque mi glia. Qoivi, e non altrove al mondo, sono uomini che hanno io odio Toro, perciocché lo sotterrano, acciocché niuoo se ne serva. Co* Susiani verso levante si congiungono gli Ossii assassini, e qua ranta popoli de* Misei, liberi e molto fieri. Sopra essi sono i Partasi, i Mardi, e i Saiti, i quali si di stendono sopra Elimaida, la quale congiugnemmo con la Persia ndla riviera. Sosa è lontana dal mar di Persia dugento dnquanta m igli·. Per dove andò quivi la flotta di Alessandro per Q Pasitigri, è un villaggio sul lago Caldaico, che si chiama Afle, onde si navica a Susa per sessantacinque miglia e mezzo. Ai Susiani verso le vante son vicini i Cossd : sopra i Costei verso tramontana è la Mesabatene sotto il monte Cambalido, il qual è un ramo del Caucaso : di là è fedi passaggio a ire nel paese de* Battri. 11 fiome Euleo, il qual nasce in Media, parte la Susiana dall* Eli maide, e a mezzo del eoo corso entrando sotterra, e poi di nuovo rinascendo, corre perla Mesabatene, e gira la rocca d i Sosa, e il tempio di Diana, il quale è in grandissima
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HISTORIARUM MUNDI UB. VI.
magna caerimonia, Siquidem regas non ex alio bibant, c l ob id in longinqua portant. Recipit amnem Hedypnum, praeter Aijlam Peruram venietem, Adunam ex Susianis. Oppidam juxta eum Magoa, a Charace xv mill. passuum. Qui· dam hoc in extrema Susiana ponunt solitudinibus proximam.
Infra Eulaeom Elymais est, in ora jnneta Persidi, a flumine Oroati ad Charaqem, ccxl mill. passaam. Oppida ejus, Seleucia et Sosirate, adposita monti Casyro. Oram, quae praejacet, minoram Syrtiam vice diximus iuaccessam eoe· no, plurimam limi deferentibus Brixia et Ortacea amnibus : madente et ipsa Elymaide in tan· tam, ut nullus sit, nisi circuita ejus, ad Persidem aditas. Infestatur et serpentibus, quos flumina deportant. Pars ejus maxime invia Characene vocator ab oppido, Arabiae claudenle regna, de qao dicemus, exposita prius M. Agrippae senten tia. Namque is Mediam et Parthiam, et Persidem ab oriente lodo, occidente Tigri, a septemtrione Tauro, Caucaso, a meridie Rubro mari termina tas, patere in longitudinem xui xx miti. pass. in latitudinem d c c c x l prodidit. Praeterea pei* se Mesopotamiam ab oriente Tigri, ab occasu Eu· phrale, a septemtrione Tauro, a meridie mari Persico inclusam,longitudine octingentorum mill. passuum, latitudine c cclx .
Charax oppidum Persici sinus intimam, a quo Arabia Eudaeraon oognominata excurrit, habitatur in colle manu facto inter confluentes, dex tra Tigrin,laeva Eulaeum, n mill. pass. laxitate. Conditum est primum ab Alexndro Magno: qai colonis ex urbe regia Durine ( quae tum interiit ) deductis, mililamque inutilibus ibi relictis Ale xandriani appellari jasseratt pagumque Pel iacam, a patria sua, quem proprio Macedonum fecerat. Flumina id oppidum expugnavere. Po stea Antiochus restituit quintus regam, et tao nomine appellavit. Iterumque infestatam Pasines Sogdonaci filius, rex finitimorum Arabam, quem Joba Satrapea Antiochi fuisse falso tradit, oppo sitis molibas restituit : nomenque suam dedit, emanito sita jaxta, in longitudinem m mill. pass., in latitudinem panilo minus. Priua fuit 1 litore stadiis x et maritimum etiam inde portam habuit; Jaba vero prodente, im ill. pass. Nane abesse adi» tore cxx mill. legati Arabam nostrique negotiato·
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riverente appresto · que* popoli ; c 3 fiome anch’ egli è in gran cerimonia. Perciocché i re non beono d* altra acqua, c per questo la portano anoo lontano, se non vi sono appresso. Qoesto fiome riceve in sè il fiome Edipno, il qoal passa lungo ΓAsilo de'Persiani, e Aduna de'Sasitni. Ap presso a quello è la città di Magoa, lontana quin dici miglia da Carnee. Alcuni pongono questa città nell* estrema parte della Susiana presso alle solitudini. Sotto a Euleo è Elimai, nella riviera congiun ta con la Persia, dal fiume Oroate a Carace dilgento quaranta miglia. U città sue tono, Seleu cia e Sosirate, posta presso al monte Casiro. Al paese, che gli è d'intorno, il qual dicemmo eh1 è quasi in forma della Sirte minore, non si può ire, rispetto alla molta belletta condottavi dai du· fiumi, Brissia, e Or Iacea: della qual belletta è tal· mente ancora intrisa essa Elimai, che non si può ire in Persia, se non sì piglia una giravolta ben lunga. E travagliata anco dalle serpi, che i fiumi portan quivi. Quella parte d 'essa, per la quale si può manco andare, si chiama Ceracene da una città, che ohiude i regni d’ Arabia, della quale parleremo, poiché prima avrem detto 1*opinione di M. Agrippa. Perciocché egli scrisse, che la Media, e la Partia, e la Persia da levante con l ' lodo, da ponente col Tigri, da tramontana col Tauro e col Caucaso, e da metiodi sono termi nate col mar Rosso, e sono in langheaxa miKe trecento c venti miglia, in larghetta ottocento quaranta. Oltra di quésto dice la Mesopotamia essere per sè riochiasa verso levante dal Tigri, verso ponente dall1 Eofrate, da aettentrione dal Tauro, e da mezzodì col mar Persico, lunga otto cento miglia, larga trecento sessanta. C arace è città intima dal golfo di Parai·, dalla qoale scorre l’ Arabia cognominata Eudemone. È posta sopra un poggio fatto a mano fra due fiumi, dove si congiungono, perchè ha da man ritta il Tigri, e da man manca 1’ Euleo, con isptftio di due miglia fra loro. Fu prima edificata da Alessandro Magoo, il quale mandando qaivi abi tatori da Dorine città reale,la quale allora mancò, e lasciatovi i soldati disutili, volle ohe ella si chia masse Alessandria, e il villaggio Pelleo, dalla sua patria, il quale propriamente avea fello dei Ma cedoni. 1 fiumi minarono poi questa città. Dipoi Antioco la rifece, che fu il quinto re, e chiamolla dal suo nome. Ed essendo di nuovo travagliata dai fiumi, Pasine figliuolo di Sogdonaoo, re degli Arabi vicini, il qual Giuba falsamente ter ive che fu Satrapo di Antioco, la rifece fortificandola c*>a alcuni ripari, e le diede il suo nome, fortificata il sito all1 intorno in lunghetta di tre miglia, e largo poco meno. Prima fa lontana dieci stadii
G. PUNII SECUNDI rei, qui inde venere» adfirraant. Nee alla in parte pias aut celeria* profecere terrae fluminibus in vectae. Magis id miram est, aestu longe ultra id accedente non repercussas. Hoc in loco genitum esse Dionysiam, terrarum orbis sitas recentissinam anciorem constat, quem ad commentanda omnia in Orientem praemisit divas Augustus, ituro in Arraeuiam ad Partbicas Arabicasque res raajore filio. Non me praeterit, nee snm oblitus, sui quemque silus diligentissimum auctorem vi sum nobis in introitu hujus operis. In hac tamen parte arma Romana sequi placet nobis, Jubamque regem, ad eumdem Cajfim Caesarem scriptis vc\r turbinibus de eadem expeditione Arabica.
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dalla riviera, ed ebbe pare an porlo marittimo ma secondo Giuba è cinquanta mìgKa fra terra. Ora gli ambasciadori degli Arabi, e i nostri mer catanti, i qaali son venati di là, affermano, ch'elhi è lontana dalla riviera centoventi miglia. Nè ia parte alcona pià, aè pià tosto giovò la terra portata dai fiumi. Qaesto è ben maggior maraviglia, 00me ella non sia stata ributtata, aggiugnendovisi oKra ciò il flusso delP acqua. Truovasi, che in qaeslo luogo nacque Dionisio, nuovo autore^ che ha. de scritto il mondo, il quale fu mandato da Augusto imperadore in Levante a considerare e descrivere tolte le cose, dovendo andare Hsuo figliuol mag giore in Armenia contra i Parti, e gK Arabi. Io non mi dimentico, che nel principio di questa opera io dissi, che ciascuno mi pare diligentis simo autore del sao sito. Nondimeno in questa parte io voglio seguitare l ' armi Romane, e il re Giuba, il quale scrisse libri al medesimo Caio imperadore di questa impresa d’ Arabia. D ell'
XXX 1L a8. Arabia gentium nulli postferen da, amplitudine longissima, a monle Amano, a regione Ciliciae Commagenesque descendit, ut diximqs, multis gentibas eorum deducli* illo a Tigrane magno* sponte vero ad m^re nostrum litusque Aegyptiacum, ut docqiiuus : neo non in media Syriae ah Lihanum .montem penetrauli bas Nabeis, quibas {angantur Ramisi. Deinde Taranei, deinde Palami. Ipsa vero peninsula Arabia inter duo maria, Rubrum Persicumque procprxens, quodam nalorae artificio ad simili tudinem atque magnitudinem Italiae mari cir cumfusa, in eamdem etiam coeli partem nuUa differentia spectat. Haoc quoque in i(la ^ita felix.
Populos ejus a nostro mari usque ad Palmy renas solitudines diximas: reliqua nunc pera gemus. Nomades inde iufestatoresqne Chaldaeorum, Scenitae ( at diximas ) claudant et ipsi vagi, sed a tabernaculis cognominati, quae ciliciis metantur, ubi libuit. Deinde Nabataei oppidum inco lunt Petram nomine in convalle, panilo minus duum mill. passuum amplitudinis, circumdatum montibus ioaccessis amne interfluente. Abest a Gaza oppido li loris nostri oc x, a sina Persico cxxxv m, Huc convenit utrum que bivium, eorum qui Syriae Palmyram petiere, et eoram qui ab Gaza venerunt. A Petra incoluere Omani ad Characem usque, oppidis quondam claris a Se miramide conditu, Abesamitleel Soractia. Nunc puni solitudines. Deinde est oppidum, quod Cha-
Aubia.
XXXII. 28. L'Arabia, paese da non esser pò-, sto addietro a qualsivoglia altro paese del moudo, e di grandissima lunghezza, dal monte Amano, dalla Cilicia, e da Comagene, discende, come abbiam detto, con molte genti condotte quivi dal gran Tigranr, e di propria volontà al mar nostro, e al Hto Egiziaco, come abbiam dimostrato ; e ancora nel mezxo della Siria inftno al monle Li* bano sono passati i Nubei, co' quali si congiuugono i Ramisi, poi i Taranei, poi i Palami. Ma essa Arabia penisola distendendosi in fra due mari, il Persico e il Rosso, con un certo artificio di natura, alla similitudine e grandezza di Italia, è circondata dal mare, ed è volta alla medesima parte del cielo senza differenza alcona. Qaesto ancora in quel sito è felice. Noi abbiamo raccontato i suoi popoli dal no stro mare infine a'deserti Paknireni : diremo ora l’ altre cose, che seguono. 1 Nomadi e gli Sceniti, i qaali travagliano molto i Caldei, come abbiam dello, la chieggono, e essi sono vagabondi, cognominati da'padiglioni di'cilicii,che tendono dove lor piace. Dipoi i Na batei abitano ona città, che si chiama Petra nella valle, poco manco di due miglia di grandezza, circondata da monti asprissimi, e partita da un fiume,^he vi passa per mezzo. £ lontana da G aia, ciltà del nostro, lito, seicento miglia,dal golfo Per sico cento trentacinqae miglia. Qui s'accozzano amendue le vie, quella di quei che vanno a Pai mira di Siria,e qaeila di quei che vengon da Gaza. Dopo Petra abitano gli Omani fino a Carace, in due ciltà illustri edificale già da Semiramide, cioè
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raceooruih regi perei, in Paliligrii ripa, Forath nomine, in quod a Petra conveniant. Characem· qae inde xu n peSsuum secando aestn navigant. E Parthico autem regno navigantibus vieni Teredon, infra έοηβαεηίαο Euphrati) et Tigri· : laeva flaminis Chaldaei oblinent, dextra Nomades Scenitae. Qoidamet alia duo oppida longis interval lis Tigri praenavigari tradon t, Barbatiam, mox Thumatam : quod tboke a Petra decem dierum navigatione, nostri negotiatores dicunt, Characenomaqa» règi parere : et Apamiam sitam, ubi restagnatio Euphratis cum Tigri confluat. Itaque molientes incursionem Parthos operibus objecti» iaaadalione aroerK
Nunc a Charace dicemus oram Epiphtai pri mum exquisitam. Locus ubi Euphratis ostium fuit: flumen Salsum: promontoria m Chaldone^ vora gini similius» quam mari, per l m pass. orae : flumen Achatta : deserta c Mpasr. usqne ad in sulam Icharam. Sinus Capeus, qaem accolant Gaulopes et Chateoi. Sinas Gerraicui. Oppidum Gerra quinque mill. pass. amplitudine, turres habe» ex saliaqoadratis molibus. A litore h m pas suum, regio Attene. Ex adverso Tylos insula, totidem nóIUbus a li tore, plurimis margaritis celeberrima, cum oppido ejusdem nominis i juxtaque altera minor, a promontorio ejus xu mill. o pass. Ultra magnas aspiei insulas tradant, ad quas non sil perventam. Hejns ambitam exti m d passaam, a Perside longius abesse, adiri uno alveo angusto. Insula Asgilia. Gehtes: Nocheti, Zurachi, Borgodi, Cataraei-, Nomades. Flumen Cynos. Ultra navigationem incompertam ab eo latere propter scopulos tradit Juba, praetermissa mentione oppidi Omanornm Batrasabbes,et Oma» nae, quod priores celebrem portum Carmaniae Jeoere. Item Omnae et Athanae, quae nano oppi da maxiaae celebrari a Persico mari nostri ne gotiatores dicunt. A flumine Canis, ut Joba tra dit, mons adusto similis. Gentes Epimaranitae. Mox Jchtbjophagi : insola deserta : gens, Bathya i Eblitaei montes, insula Omoenus. Portus Machorbae, iasalae Etaxalos, Onchobrice : gens Cha· daeL Insalae sine nominibus multae : celebres vero, Isara, Rhinnea, el proxima in qua scriptae aaat stelae lapideae literis incognitis. Goboea portus, Bragae insdlae desertae. Gens Thaludaei. Dabanegoris regio. Mons Orsa eam portu. Sinus Deatus, insulae multae. Mons Tricoryphos. Re gio Cardalena, inaniae Solanidae, Capina. Item lchthjopbagoram. Deinde Glari. Litus Hamvnaeo«, Bbi auri metalla. Regio Canauna ; gen ica Apitimi, Gasani. Insola Devadae : fons Gora·
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Absemaide, e Soratia. Poi sono deserti. V’ è poi una cittì soggetta a! re dei Caraceni, nella riva del Pasitigri, che si chiama Forath, nella quale si ragunano da Petra, e di là navigano a Carace dodici miglia alla seconda. Però quei che navi gano dal reguo Pertico, vengono a Teredon villaggio, sotto il luogo dove s'accozzano 1'E d frate e il Tigri : da man manca del fiume stanno i Cal dei, da màn ritta i Nomadi Scenili. Certi dicono navigarti a dne altre città per lunghi intervalli dal Tigri, cioè Barbazie, e poi Tumata ; la qnale dicono i nostri mercatanti eh’ è lontana da Petra dieci giornate di marei, e che è soggetta al re dei Caraceni ; e che Apamia è posta dove l’ Eufrate e il Tigri fanno stagno. Però quando i Parti voglion lare scorrerie sopra di loro, essi tagliano gli argini, e loro mandano addosso il fiume. Descriveremo .ora la riviera, incominciando da Carace, investigata prima da Epifane. Il luo go dove fu la foce dell'Eufrate, il fiume Sdlso, il promontorio Caldone, più simile a una voragi ne, che al mare, per cinquanta miglia di riviera, il fiume Acana, i deserti di cento miglia fino al l'isola Icara. 11golfo Capeo dove abitano i Gaulopi e i Caleni. 11 golfo Gerraico. La città di Gerra grande cinque miglia, ha torri latte di massi di sale riquadrali. Lontano dal mare cinquanta mi glia è il paese d’ Attene. All' incontro l’ isola di Tilo, altrettante miglia lontana dal lito, celeber rima per l ' infinite perle, che ella produce, eoa una cillà del medesimo nome : e appresso an’ al tra minore, lontana dal suo promontorio dodici miglia a meno. Dieesi ebe più oltra si veggono grandissime isole, alle qoali non è ancora ito per· sona. 11 circuito di questa dicono essere cento dodici miglia e mezzo,ch'ella è mollo lontana dal la Persia, e che vi si va per nn canale strello. La isola Asgilia, I popoli Noebeti, i Zorachi,i Borgodi, i Catare!, e i Nomadi. 11 fiume Cino. Dice Giuba, che più là non si ha certa navigazione da quel lato per rispetto degli scogli, e non fa menzione di Balrasabbe città degli Omani, oè d 'Omana, la quale gli antichi feoero porto celebralo della Car mania. Sonci anco due città, Omfte e Alane, le quali dicono i nosiri mercatanti, che ora so» mol to celebrate nel mar Persico* Dopo il fiume Cane, come seriale Giuba, è un monte, che pare abbron zato. I pòpoli Epimaraniti. Dipoi gl’ Itiofagi, Γ isola deserta, e i popoli Belimi. I monti Eblilei, l ' isola Oaleno. 11 porto di Macorbs, l ' isole Elassalo, e Oncobrtce, i popoli Caldei. Molle isole senza nomi ; ma le illustri sono laura, Rinnee, e nna vicina dove sono pilastri di pietra ioscritti con lettere incognite. 11 porto Goboea. Qragr isole deserte. 1 popoli Tale dei. 11 peese Dabenegorì. J 1monte .Orsa col porto' 11 golfo Duato, molte
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lus. lomlae Ctlien ek Amnametba. Geo» B ir ra·. Insulae: Chdonitis, lchlhyopbagon mul tae, Eodanda deserta, Basag, maltae Sabaeorum. Flumina: Tbamar, An»on: insala· Dolicae. Fonte· : Daulotes, Dora. Insulae t Piero·, Labatania, Coboris, Sembratale, et oppidam eodem nemine in continenti. ▲meridie insulae maltae, maxima Camari. Flamen, Mysecros. Porta· Leopu. Seenitae Sabaei. IasaUe maltae. Emporiam eoram Acila, ex qaoin Indiam navigatur. Regio, Amitboscnta : Damnia. Miti major·· et mino rea» Drimati. Nanmachaeoram promontoriam contra Carmaniam eat. Dictat quinquaginta mill. pass. Mira res ibi traditur : Numenium ab Antiocho rege Mesenae praepositam, ibi vicisse eodem die classe, aestaqae reverso iterum equitatu contra Persas dimicantem, et gemina tropaea eodem in loco Jovi ac Neptuno statuisse.
Insala in alto objaeet Ogyris, d ar· Erythra rege ibi sepolto. Distat a continente cxxv mill. passuam, circuita cxn mill. n paesuam. Nec mi nee altera clara in Azanio mari Dioscoridu, di sta ns a Syagro e x tim o promontorio cc lx x x milk passaam. Reliqui in continente · Noto etiamnam Aasa ri ta·, in montes viu dieram transitus. Gentes : Larendani, Catabani, Gebanitae pluribas oppidis, sed maximie, Nagia, et Tamna templorum u t . Haec est amplitudinis significatio. Promontorium, a qoo ad continentem Troglodytarum t milL pass. Toani, Ascitae, Chatramotitae, Tomabei, Anti· dalei, Lexianae, Agraei, Cerbani. Sabaei Arabam pfopter thura clarissimi, ad uiraqae maria por· vectis gentibus. Oppida eotura in Rubro li lore : Manne, Marma, Coriola, Sabaiha: intus oppida, Naseus, Cardava, Camas, et qao merces odo ram deferant, Tomaia. Pars eoram Atramitaé, quorum capai Sabota,tx templa muris indadens. Regia tamen omni am est Mariabe. Sinam oblinet xcrv tnillibnspass. refertum insalis odoriferis. Atramitis in Mediterraneo jongontor Minaei: nare accolant et Elamitae, oppido ejasdem no minis. Ii· juncti Cagulatae. Oppidam Siby, quod Graeci Apateo vocant. Arsi, Codani, Vadei, op pido magno : Banasasaei, Lcchieni : Sygaros insufa, quam canes non intrant, expositique circa litora errando moriantur. Sinas intimas, in qno Leeanitae, qai nomen ei dedere. Regia eoram 4 g n , et in sina Lasana, vel» ut alii, Ariana. Nam
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isole. II monte Tricorifb. 11 paese Cardaleno, | W le Salonide, e Gapina. SUnilmeule degK llio b fi, Dipoi Gkri. 11 lito Ammeo, dove è la cava del l'oro. Il paese Caaaano, i popoli Apitami, é i Ga lani. L ’ isola Devade, il fonte Gorak». L · iaole Galea e Amnameta. I popoli Darri, risole Cbdo· nite, e molle degli litofagi, i deserti Eodandi, Basag,e molte isole dei Sabei. I fiami Tamar (Amom risole Doltdw. I fonti Danlote e Dora, Γ isola Piero, Labatani, Cobori, Sambtraoale, e una ritti del medeaimo nome in terrafeama. Di verao mat to giorno son molte isole, e la maggiore è Camari. 11 fiume Misecro. li porto Leupa. Gli Sceniti Sabei. Molte isole. 11 lor mercato Aeila, dondo ai naviga in India· H paese Amitoscuta : Damma. 1 Misi maggiori e i minori, i Drimati. 11promon torio de1 Nanmachei i all' incontro della Car mania, lontano cinquanta miglia. Mirabil cosa si racconta quivi ; com« Namenio posto dal re An tioco al governo di Mesena, quivi io nn medesi mo giorno vinse con la flotta i Persiani, e che ritiratasi l'acqua, di naovo combatti con la c a v a l leria contro easi, e in quel medesimo luogo r is ii due trofei l'uno a Giove, l'altro a Netanno. In alto mare è Γ isola Ogiri, illastre per esser quivi sepolto il re Eritn. É lontana centoventi· cinque miglia da terraferma,· ne gira eentododid e mesco. Un'altra non ponto meno illastre è nel mare Axanio, che si chiama Dioacorida, lontane da Siagro promontorio esteriore dugento ottanta miglia. - Gli altri in terraferma dal vento Noto sono gli Ansatiti, nei monti
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et ipnrn «ioam «oHri Aelaniticam scripsere, «Ui ▲elenaticam, Artemidorus Alenilicum, Jaba Laeaniticum. Circuitus Arabiae a Cbarace Laeana colligere proditur qaadragies septies cenlena u t v» Juha panilo minus i l palai. La listi ma est a septemtrione inter oppida Heroam et Characem.
Nane el reliqaa medi terranea ejns dicantar» Nabataeis Thimaneos junxerunt veteres: none sant Taveni, Suelleai, Arraceni, Areni : oppidam, ia qao ornai· negotiatio convenit. Hemnatae, Aaalitae : oppida, Domatha, Egra : Thamudeni, oppidam Badaneiha. Carrei, oppidam Carnata: Aeboali, oppidam Phoda : ac Minati, a rege Cre tae Minoe ( at existimant ) originem trahentes: quorum Charmaei : oppidum xvi mill. pass. Mariaba Baramalacum, et ipsnm non spernendum : item Carndn. Rhadamaei, et horam origo Rha damanthus potatur frater Minois. Homeritae, Massaia oppido. Hamirei, Gedranitae, A mprae, lllisanitae, Bachilitae, Samraei, Amathei cum op pidis Nessa et Cennesseri. Za maren i com oppi dis Saiace, Scantate, Bacascami. Riphearma op pidam, qao vocabulo hordeum appellant. Autei et Ravi, Gyrei et Maihataei. Helmodenes eum eppido Lbode. Agactnri in montibus, oppido xx mill. passnam, ia qao fons Emischabales, quod significat camelorum oppidam. Ampelone colo· ni^Milesioram. Actrida oppidum: Calingii, quo rum Mariaba oppidum significat dominos ora· niam. Oppida: Palloa,Marannimal juxta flumen, per qaod Euphratem emergere potant. Gentes : Agraei, Ammonii. Oppidum Athenae, Caurarani, qaod significat ditissimos armento: Coranitae, Caesam, Choani. Fuerunt et Graeca oppida, Arethon, Larissa, Chalcis, deleta variis bellis.
Romana arma solas in eam terram adhnc in* falit Aelia* Gallus ex equestri ordine. Nam C. Caesar Angusti filias prospexit tentam Arabiam. Galla· oppida diruit non nominata ab auctorihus, qoi ante scripserant, Negrim, Amnestam, Nescam, Magasam, Tammacam, Labeciam, et supra dietam Mariabam, circuita vi mill. pass. Item Garipeta, qao longissime proeessit. Cetera expio· rata retulit : u Nomades lacte et ferina carne vesei : reliquos vinum, ut Indos, palmis exprimere, oleam sesamae. Numerosissimos esse Homeritas : Minacis (ertile· agros palmetis arbuslisque, ia pecore divitias. Cerbanos et Agraeos armis prae· itare! maxime.Cbatramolitae. Carreis lalissimos
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non entrano tani, e posti intorno a1 liti vagabondi si muoiono. 11 golfo intimo, dove sono i Leaniti, i quali gli hanno dato il nome. .La regia loro è Agra, e nel golfo Leana, o, come alcuni vogliono, Elana. Perciocché i nostri ancora hanno chiamato questo golfo Elanitieo, altri Elenatico ; Artemi doro Alenitico, Giuba Leanilico. Dicesi che il cir cuito dell’Arabia da Carace a Leana è quattromila settecento seasantaeiaqae miglia. Giuba tiene che sia poco meno quaranta miglia. È larghissima da settentrione fra le città Eroo e Carace. Ragioneremo ora degli altri suoi looghi fra terra. Gli antichi congiunsero i Timanei co* Na batei : ora vi sono i Taveni, i Sueileoi,gli Arraceni e gli Arreni : la citti, dove si fa ogni traffico. Gli Emuati, gli Anali ti, le città Domata ed Egra. 1 Ta rnudeni, la ciltà Badanata. Carrei, la città Carnata: gli Acoali, la città Foda, e i Minei, i quali, secon do che si tiene,-hanno avuto origine da Minos re di Creta, de’ quali sono i Carmei, Mariaba città di sedici miglia de’ Baramalachi, la quale anche essa non è da sprezzare, e Carnone. 1 Radamei, dei quali pare si dice, che hanno origine da Radamanto fratello di Miuos.GliOmeriti, Massaia città. Gli Amirei, i Gedraniti, gli Ampri, gli lllisanili, i Bachiliti, i Satnmei, gli Amatei con dae città Nes sa e Cennesseri. 1 Zamareni con tre cillà Saiace, Scantate, e Bacascarni. Rifearma cillà, col qual vocabolo essi chiamano anco l1 orzo. Gli Autei, i Ravi, i Girei, e i Matatei. Gli Elmodeoi con la città Ebode. Gli Agallar· ne* monti con una città di venti miglia, nella quale é il fonte Emiseabale, che significa città dei oameli. La oittà Ampelone» colouia de*Milesii. Atlrida città: i Calingii, la coi citlà Mariaba significa signori di lutti. Le città, Pallone, e Murannimale appresso il fieme, per lo quale si tiene che Γ Eufrate emerga. 1 popoli Agrei, e gli Ammonii. Alene città, i Caurarani, che significa ricchissimi di bestiami: i Coraniti, i Cesani, e i Coani. Furonvi anco già alcune citti Greche, Aretusa, Larissa e Calcide, minate per diverse guerra. Il primo e solo, che infino al dà di oggi ha guerreggiato per li Romani in questo paese, è sta*· to Elio Gallo cavaliere. Perciocché Caio Cesare figliuolo di Augusto vide solamente l'Arabia. Gallo ruinò alcone città non nominale più dagli aatori, che n*avevano scritto prima, Negra, An nesto, Nesca, Magusa, Tammaco, Labecia, e la so praddetta Mariaba, che gira sei miglia. E Caripeta ancora, che fu il più lootano loogo, dove egli andasse. L'altre cose, che riferì, si sapevan prima; siccome è, « che i Nomadi vivono di latte e di carne di fiere. Che gli altri, siccome sono gl’ In* diani, fanno vino di palme, e l’ olio di sesama. Che gli Omeriti sono infiniti : che i Mine! hanno
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et fertilissimos agro·. Sabaeos ditissimo· silvaram fertilitate odorifera, «ari metallis, agrorum ri guis, melli· ceraeque proyen ta. » De odoribus •uo dicemus Yolumine. Arabes mitrati degunt, aut intonso crine : barba abraditur, praeterquam in superiore labro. Aliis et haec intonsa : mirumque dictu ex innumeris populis pars aequa in commerciis, aut latrociniis degit : in universum gentes ditissimae, ul apud quas maximae opes Romanorum Parlhorumque subsistant, venden tibus quae e mari aut silvis capiunt) nihil invicem •redimentibus·
dovizia nel lot paesè Ai pitrte è il* arboscelli, t che le lor ricchezze sono i bestiami. Che i Cerbani e gli Agrei sono valorosi nell'arnki, e massi· inamente i CatraraolilÌ. Che i Garrei hanno lar ghissimo « fertilissimo paese. Che i Sabei sono ricchissimi di boschi d’ alberi odoriferi, d* oro* di campi che »’ anaffiauo, di rendita di mele e di cera. * Degli odori parleremo nel suo volume. Oli Arabi usano portar le mitere, e andar tosi : radonsi la barba, fuor che i mostacchi. Altri ancora usano portar la barba nel medesimo modo, ed è cosa maravigliosa a dire, che di popoli ianto infiniti, una parte viva di mercanzie, P altra di ruberie : universalmente tono ricchissimi, sicco me quegli, appresso de* quali rimangono gran dissime ricchezze de'Romani e de’ Partì* ren dendo eglino tutto quello, che traggono dal mare, o dalle selve) e nulla comperando all* incontro·
Siiros taAfcis Rotat.
D el golfo del max Rosso.
XXXHI. Nunc reliquam oram Arabiae con trariam peraequemur. Timosthenes totum sinum quatridui navigatione in longitudinem taxavit, •bidui in latitudinem, angustias vn mill. o pas suum. Eratostbenes ab ostio xm mill. in quam· que partem. Artemidorus Arabiae latere xvn quinquaginta mill. ag. Troglodytioo vero Jet xxxti « pisi. Ptole»· anaida usqoe. Agrippa x*n xxu mill. passuum, ame differentia laterum» Plerique latitudinem x s c c c lx x v prodiderunt, faucesque hiberno orienti obversas4 alii vxi mill.) alii xu mill. passuum ■patere. Situs autem ita se habet. A $ihu Aelanitico «Iter sinus, quem Arabes Aeant vocant, in quo -Heroum oppidum est. Fuit et Cambysu inter Nelo* et Marchadas, deductis eo aegris exercitus. Gens Tyra ; Daneon portus, ex quo navigabilem liveam perdocerè in Nilum* qua parte ad Delta dicturo decurrit l x ii mill. d pass. intervallo (quod inter flamen el Rubrum mare inteferelt) primus omnium Sesostris Aegypti rex cogitavit: mox 'Darius Persarum: deinde Ptolemaeus sequens, qui et duxit fossam latitudine pedum centnm, altitudine xxx, in longitudinem x x x v ii mill. ϋ pass. usque ad fonles amaros. Citra deterruit inundationis metus, excelsiore tribus cubilis Ru bro mari comperto, quam terra Aegypti. Aliqui non eam adferunt causam, sed fce immisso mari corrumperetur aqua Nili, quae sola polus prae bet. Nihilominus iter totum terendo frequentan tur a mari Aegyptio, quod est triplex : unum a Pelosio per arenas, in quo nisi calami defixi regant, via non reperitur, subinde aura resligla
XXXIÌI. Continueremo ora il rimanente ddla riviera opposta aU’Arabia. TiiUosteae lassò tutto il golfo in lunghezza quattro giornate di naviga zione, due in larghezza, e lo stretto settecento miglia e mezzo. Eralostene dalla foce lo fa mille trecènto miglia in ciascuna parte. Artemidoro dal lato d*Arabia mille settecento e cinquanta miglia. 39. Dal golfo Trogloditico infino a Tolemaide è mille cento trentasei miglia e mezzo. Agrippa ve ne fa mille settecento ventidue, seoza la differenza de* lati. Molli hanno fatta la larghezta quattro cento settantacinque migliale le fod volte a levan te di verno, alcuni set té altri dodici miglia. 11 silo sta iti questo modo. Dopo il golfo Ele ni ti£o è un altro golfo^il quale gli Arabi Chiamano .Eant, dove è la ciltà degli Eroi. Fdvti anco Cambisu tra Nelo e i Marcadi, dove si conducono gK infermi dèlio esercito. 1 popoli U ri. Il porto Daneone, dal qual prima di tutti Sesostri re di Egitto pensò di voler fare on canale navigabile, che Venisse del Nilo da quella parie, dota corre al luogo detto Delta di sessanlidoe miglia e mezzo d* intervallo, eh* è fra il fiume e il mar Rosso. Questo stesso pensò Dario re di Persia : dipoi T o lomeo, che tenne appresso* il qual anche tirò una fossa larga cento piedi, alta trenta, e lunga trontaselte miglia e mezzo fino a* (boti amari. Nè s’assicttrA d* ir più innanzi,spaventato dalla paura ddla inuondazione, avendo trovato il mar Rosso piò alto tre braccia, che non i 1*Egitto. Altri però non ad ducono questa cagione, ma acciocché messo dentro il mare per quella fossa, non si venisse a corrom pere l'aequa del Nilo, la qual sola dà loro il bere. , Nondimeno latto il cammino, ohe si frequenta dal
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operiente. Alterum Vero duo mill. pusoam uhm Catium montem, qaod « sexaginta mill. passuum redit io Pelusiacam viam. Adcolunt Arabes AuteL Tertiam a Gerro (quod Adipson vocant) per eosdem Araba· sexaginta miU. passuam propius, sed asperum montibus, et Inops equeram. Eee viae omne· Arsinoen ducunt, conditam sorori· nomine in sina Cberandra, a Ptolemaeo Phile·* delpho, qni primus Troglodyticen excussit, et «mnem qai Arsinofo praefluit, Ptolemaeam appellavit. Mox oppidam parvam est Aennam, pro qao «lii Philoteram scribant. Deinde sont Aurei, ex Troglodytarum connubiis, Arabes feri, insulae : Sapirene, Scytale : mox deserte ad Myo•hornum, ubi fons Tednos. Mons Aces. Insule lembe, portas malti. Berenice, oppidum matris Philadelphi nomine, ad quod iter a Copto di**·* mos. Arabes Antei, et Zebedei.
TmOGLOOTTICI.
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mere Egixio,è di tre vìe: nea da Pela sio per Pare* ne, nella qnele se non fossero canoe fitte e seguele, non si ritroverebbe la vie, perciocché il vento va tuttevia coprendo i vestigii. L'altra è due miglia di lì dal monte Casio,le quale dopo tessente mi·, glie, ritorna nella via di Pelusio. Quivi abitano gli Arebi Autei. La terza è da Gerro, che i Greci chiameno Adipson, per quei medesimi Arabi, ses santa miglia più corta, ma aspra per li monti, o povera d'acque. Tutte queste vie venoo ed Arsi noe, edificete nel golfo di Cerendra da Tolomeo Filedelfb, che la appellò del nome delle sorella. Egli fa il primo che sconvolse le Trogloditica, a nominò Tolomeo il fiume che passa da Arsinoe. Dipoi v* è Enno piccola cittì, per la quale aleuni scrivono Filotera. Sono poi gli Azarei, Arabi effe rati, nati di matrimonii contratti co' Tragloditi. Le isole, Sapirene e Settale : dipoi deserti fino a Miosormo, dov'é il fonte Tadno. Il monte Ee. La isola lambe, molti porti. Berenice città così chia mata per la madre di Filadelfo,e1le quele dicemmo andarsi de Copto. Gli Arabi Anici, e i Gebadei. D blla
t b x b a d b * T b o o l o d it i .
Le Tregloditica, la quale gli antichi XXXIV. Troglodytice, qaam prisci Michoiin, XXXIV. alii Mtdoén dixere. Mons Pentedaclylos: insalae chiamarono Micoe, da altri fa dette Midoe. Il S lenae Detrae aliquot, Halonnesi non paaeiores; monte Pentedettilo. Alcone isole Steae Deire, o Car damine, Topexos, qaae gemmae nomen dedit. alcuni Alonnesi : Cardamine, Topazo, la quale Sinos insulis refertus: ex iis qoae Marea vocen diede il nome alla gioia. Il golfo pieno d 'isole : tur, aqaosee: qaee Eretonos, sitientes. Regam fra le quali quelle, che si chiameno Marea, sono his praefecti fuere. Introrsus Candei, quos Ophio- acquose; e quelle che son dette Eretono, petiscoo phagos Toci it, serpentibus vesd assueti, neque d'acqua. Queste farono tenute ila prefetti de're. Fra (erra sono i Cendei, i queli si chiemeno Ofioalie regio fertilior earum. frgi, perciocché essi mengiano serpenti; e non è paese, che n'abbia piò dovizie di quello. Giube, il quele pere che sia stato diligentissi Juba, qni videtur diligentissime proseoulut liaec, omisit in hoc Iracta (nisi si exemplsriam mo in descrivere questi paesi, ha lasciato fuori ; vitium est) Berenicen alterem, qaae Penchrysos se por ciò non i difetto degli esemplari ; un' al cognominata est : et tertiam, qaae Epidires, in· tra Berenice, la quele è cognominete Pencriso: •ignem loco. Est enim sita in cervice longe pre eia terze, che si chiame Epidire,notabile per corrente, abi fauces Rubri maris vii mill. d pas rispetto del luogo : perciò eh' elle è posta sul collo cono) ab Arabia distent. Insala ibi Cytis tope- del monte, che si distende molto, dove le foci del aion Urta» et ipsa. mar Rosso sono lontane dall* Arabie quattro mi glia e messo. Quivi ì una isola, che si chiama Citi, che anch' elle produce il topezio. Ultra silvae, ubi Ptolemais a Philadelpho Più oltra sono boschi, dove Filadclfb edificò condita ad venatus elephantorum, ob id Epithe- Tolemeide per le cecoe degli elefanti ; perciò fo rascognominata, juxta lacum Monoleum. Haee est cognominata Epitera, appresso il lago Monoleo. regio secundo volumine a nobis significata: in Di qaesto paese ho trattato nel secondo volume, qua quadraginta qoinqoe diebus ante solstitium, nel qual quarantacinque giorni innanti il solsti totidemqoe postea, hora sexta cousumuntur um zio, e altrettanti dopo, alle sei ore il sole non vi brae, et in meridiem reliquis horis cedant, cele fa omhra, e nell' altre ore l ' ombra cade e mez ri» diebus in septemtrionem : quam ia Berenice, zodì, e gli altri giorni in settentrione : dove che quam primam posuimus, ipso die solstitii sexta in Berenice, la quale ponemmo prima, proprio il bore mnlwy in tolfun «htnniinlmr} uihilquc di dei «olstizio» alle sci. ore. 1* ombra del tolto si
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C PLINII SECUNDI
adnotetur aliud novi, neu mill. passaum internile « Ptolemaide: re» ingentia exempli, 1ocusqoe subtilitatis immensae, mando ibi deprehenso, quum indubitata ratione ambrarum Eratostho· nes mensuram terrae prodere inde coeperit. Hino Azamam mare, promontorium, qaod aliqai Hia* palem scripsere: lacas,Mandatam: insola Coloeasitis, et in alto multae, in quibas teatado plu rima. Oppidam Suche, insala Daphnidis, oppi dam Adaliton. Aegyptiorum hoc servi « dominia profugi condidere. Maximum hio emporium Tro glodytarum, etiam Aethiopum. Abest a Ptole maide quinque dierum navigatione. Deferunt plurimum ehur, rhinocerotem oocnua, hippopo tamorum coria, chelyon testudinum, sphingia, mancipia. Supra Aethiopes Aroteres: insulae, quae Aliaeu vocantur: item Bacchias et Antibac chias et Stratonis. Hinc in ora Aethiopiae unus incognitus, quod admiremur, quum ulteriora mercatores scrutentur. Proqpontoriumt in quo fons Cucios, expetitas navigantibus. Ultra Jsidia portus decem dierum remigio ab oppido Adulitarum distans. In eum Troglodytis myrrha confertur. Insulae ante portam daae, Pseudopylae vocantur: interiores totidem, Pylae: inaltera «telae lapideae literis ignotis. Ultra sinus Abati tes. Insula Diodori, et aliae desertae : per continen tem quoque deserta: oppidum Gaza, promonto rium et portus Mossylicus, quo cinnamomum devehitur. Huc usque Sesostris eieroiiunt duxit,
Aliqui nnum Aethiopiae oppidam ultra po* nunt in litore Baragaza, A Mossylico promontorio Atlanticum mare incipere vult Juba, praeter Mauritaniae suas Gades usqoe navigandum Coro, Cujus tota sententia hoc in loco subtrahenda non est. A promontorio Indorum, qaod vocatur Lo* pteacra, ab aliis Drepanum, proponit recto cursu praeter Exustam, ad Malchu insulam xv passuum esse. Inde ad locam, quem vocant Sceneos, ocxxv m. Inde ad insulam Adana centum quin quaginta mill. passuum. Sic fieri ad apertum mare xvui l x x v mill. passuum. Reliqui -omne» propter solis ardorem navigari posse non puta verunt. Quin et commercia ipsa infestant ex in sulis Arabes Ascitae appellati, quoniam bubulos utres bioos sternentes ponte piraticam exercent sagittis venenatis. Gentes Troglodytarum idem Juba tradit Therothoas a venata dictos, mirae velocitatis: sicut Ichthyophagos, natantes oeu maris animalia: Bargenos, Zageras, Chalybes, Saxinas, Syrecas, Daremas, Domaxanes. Quin et accolas Nili a Syene non Aetiopam populos, sed Arabum esse dicit usque Meroen. Solis quoque oppidum, quod aon procul Memphi in Aegypti
perde; n i altro di m ò t o sitroova per seicento due miglia d*intervallo da Tolemaide: oesa di grande esempio, e luogo di molta sottilità, essen dosi trovato quivi il mondo j perciocché con certa ragione delle ombre, E rateatene quindi cominciò a mostrar la misura della terra. V' è poi il mare Axanio, e il promontorio, che alcuni chiamarono Ispalo. 11 lago Mandalo. L’ isola Colocasite, « molte in alto mare, dove sono testuggini infinito. Sucbe dttà, Dafnide isola, Aduttto città, la qoale fu edifioata da servi degli Egizii, eh* eran foggili da* lor padroni. Qoivì si fa il gran mercato dei Trogloditi, e degli Etiopi ancora. È lontano cin que giornate di navigazione da Tolemaide. Por tano quivi molto avorio, corna di rinoceronti, cuoi d’ ippopotami, testuggini, sfinge e schiavi. Sopra sono gli Etiopi Aroteri: risole, ehe si chia* mano Alieu : e Bacchia, e Antibacchia, e Stratoni, Dipoi nella riviera di Etiopia è un golfo incognito, di ebe ci maravigliamo, perciocché i mercatanti passano anche’ più innanzi. 11 promontorio, dove è il fonte Cucio desiderato dai marinari. Piò oltra è il porto d’ Iside lontano dieci giornate di mar· dalla città degli Aduliti. Quivi conducono i Tro gloditi la mirra. Dinanzi al porto sono due isole, Io quali si chiamano Pseudopile, e pià addentro doe altre, dette Pile. In una di esse sono pilastri d i pietra con lettere incognite. Più oltra è il golfo Abolite, L1Uola Diodori, e altre deserte : sono de serti anoora per terraferma.Gaza città,il promon torio e porlo Mossilico, dove ή porta il einnamo* mo, Infino a qui Sesoatri menò il sao esercito. Alcuni pongono più oltra nna città d'Etiopia nella riviera di Bara gaza. Giuba vuole, ehe il mare Atlantico cominci dal promontorio Mossi lico, lungo le sue Mauritanie, navigando fino a Gade col vento Coio, Però tutta Popinion sua non i da esser rifiatata afflitto in questo luogo. Dal promontorio d’ India, che ai chiama Lepteacra, e da alcuni Drepano, dioe, die passando · dirittura presso Esusta fino all* isola di H a ta , so no mille cinquecento miglia. Di là a nn luogo, che si chiama Sceneo dugento venticinque miglia. Dà quivi fino all’isola Adann cento cinquanta miglia. E cosi & fino al m%re aperto mille ottocento e settantacinque miglia. Tutti gli altri haano cre duto ehe non vi si possa navigare per rispetto dell* ardor del sole. Escono anoora delle isole già Arabi chiamati Asciti, e danno noia a d ii posse ; perehè disteodeqdo otri di buoi a due, come tu» ponte, vanno in «orso oon saette avvelenale. Il medesimo Ginba dice, che i Trogloditi sono chia mati Terotoi dalla caccia, di gran veloci là ; aiocome gli ltioiàgi, i quali nuotano come pesci s i Bargeni, i Zageri, i Calibi, i Sassini, i Sireeì, i Duerni, e i D o m im i. Dioe ancora che gli ab ita-
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HlSTOtlÀRUM MONDI L1B. VI.
aita dixlmua, Araba* conditores habere. Sant et qoi ulteriorem ripam Aethiopiae auferant adnoctenlque Africae, ripa* aùtem incolere propter aquam. No* relieto coique intelligeadi arbitrio, oppi da qao tradantar ordine utrimque ponema*.
tori del Nilo da Siene fino a Meroe, non aooo popoli Etiopi, ma Arabi. E v u o le ohe la- ò tti det Sole, la qual dicemmo che è poco l— i«— da Menfi nel «ito dell1 Egitto, sia «tata edificata dagli Arabi. Sono alcuni, che tolgono all* Etiopia la ripa di lì, e le danno all* Africa, e abitano le ripe per rispetto della comodità deU'acqu·. Noi lasciando Γ arbitrio a ciascuno di intendere a suo modo, metteremo le città di qua e dt là, secondo quell* ordine che si dicono.
A b t h io p ia .
D u x ’ E t io p ia .
Dopo Siene, e prima dal lato dell'Ara XXXV. A Sjene, et prius Arabiae latere, XXXV. bia,sono i Catadopi. Dipoi i Sieniti. Le città, Ta gens Catadupi. Deinde Syenilae. Oppida : Tacompson, Ia quale fu da alcuni chiamata Talke, compson, quam quidam appellaverunt Thathicen, Aranio, Sesanio, Sandura, Nasaudo, Anadema, Araoium, Sesaniam, Sandura, Nasaodttm, Anadoma, Camara, Pela et Bochiana, Leuphitborga, Camara, Peta e Bochiana, Leafitorga, Tantarene, Tentatene, Moechindira, Noa, Gophoa, Gystatae, Mechindira, Noa, Gofoa, Gistate, Megeda, Lea, Megeda, Lea Rbemnia, Nnpsia, Direa, Pataga, Rennia, Napsia, Direa, Pataga, Bagada, Damaaa, Bagada, Duraana, Rhadata, in quo felis aurea prò Radata, dove si adorava ana gatta di oro per dio. deo colebatur. Boron in mediterraneo, Mallos, Borane fra terra, Mallos vicino a Meroe : cosà scrisse Bione. proximam Meroae : sic prodidit Bion. Giuba dice altrimenti: Megatico eittà sai mon Joha aliter : Oppidum in monte Megatichos, te fra l ' Egitto e 1*Etiopia, la quale dagli Arabi inter Aegyptum et Aethiopiam, qnod Arabes Myrson vocavere. Deinde Tacompson, Aranium, fa chiamata Mirsoa. Dipoi Tacompson, Aranio, Seseniom, Piden, Mamuda, Corambia, juxta eam Sesanio, Pide, Mamuda, Corambi, e presso a bitamini* fontem : Hemmodara, Prosda,Parenta, quella il fonte del bitume : Ammodara, Prosda, Maina, Tessara, Gallas, Zoton, Graucomen, Eme· Pareota, Mama, Tessara, Galla, Zoto, Graucomen, um, Pidibotas, Hebdomeoontacometas, Nomadas Emeo, Pidibota, Ebdoraecontacometa, i Nomadi, in tabernaculis viventes : Cyaten, Pemmara, Ga- ehe vivono nei padiglioni : Ciste, Pemma, Gada* dagalen, Paloin, Primin, Ntipiin, Daaelin, Patta, gale, Palo», Primi, Nupsi, Daseli, Pati, GamGambreves, Magasen, Segasmala, Granda, Don breve, Magase, Segasmala, Cranda, Denna, Cadenma, Tena, Bata, Alana, Macam, Scammo, na , Cadauna', Thèna, Batha, A lana, Macum, Scammos, Goram in insula : ab iis Abaia, An- Goram in isola: dopo queste Abaia, AndrocaU, Sere, Mallo, Agoce. drocalim, Seren, Mallos, Agoeen. Dal lato dell’Africa sono dette col medenaao Ex Africae latere tradita sunt eodem nomine uome nn’ altra Taeompso, ovvero parte della Tatorapsos altera, sive pars prioria : Magora, Sea, prima : Magora, Sea, Edosa, Peleoaria, Pindi, Edosa, Pelenaria, Pyndis, Magusa, Bauma, Lini· tima, Spintum, Sydopta* Gensoa, Pindicitora, Magata, Bauma, Lini tima, Spinto, Sidopta, GeoAgugo, Orsima, Suasa, Mauraarum, Urbìm, Mo aoa, Pindicitora, Agogo, Orsima, Suasa, Maama lon, quod oppidum Graeci Hypaton vocarant : ro, Urbi, Mulona, la qual città fu chiamata dai Greci Ipato : Pagoarga, Zanne, onde comin Pagoargat, Zamoes, unde elephanti incipiant: Mamblia, Berre*a,Cetuma. Fuit quondam et Epi* ciano gli elefanti : Mamblia, Berresa e Cetuma. oppidum contra MeroSn, antequam Bion scriWe- Fu già anco Epi città all* incontro di Meroe, ruinata fino innanzi che Bione scrivesse. rei, deletnm. Queste città *' hanno infino a Meroe : delle Haec sunt prodita usque Meroen : ex quibas hoc tempore nullum prope utroque latere ex- quali oggi non ce n* è quasi pià ninna dall' uno •tat. Certe solitodine* nuper renuntiavere prin e l’altro lato. Non vi sopo che deserti,secondo che cipi Neroni, missi eb eo milites praetoriani eam novamen le riferirono a Nerone imperadore i sol tribuno ad explorandam, inter reliqna bella et dati della guardia mandati da lui insieme col Aethiopicam cogitanti. Intravere' autem ei eo tribuno a scoprir paese, quando egli Ara 1* altre arma Romana divi Angusti temporibus, dace imprese dileguava anco di far la guerra d* Etio P . Petronio, et ipso equestris ordinis praefecto pia. Entrarono quivi ancora I’ arme dei Romani Aegypti. Is oppida eorum expognavit, qaae sola al tempo dell* imperadore Augusto, essendo lor cbpo P. Petronio, il quale era cavaliere, e goverinvenerat, qao dicemus ordine: Ptelcin, Primin,
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G. PUNII SECUNDI
▲boccio, Phthorio, Cambusin, Atlevan, Stadisin, obi Nilas praecipitans «e, fragore «aditum accolis aofert. Diripuit et Napata. Longissime autem a Syene progressu· est dcccclxx m ill. passuum. Nec tamen arma Romaoa ibi solitudi nem fecerunt. Aegyptiorum bellis attrita est Aethiopia, vicissim imperitando seryiendoqne, clara et poteos etiam usque ad Trojaoa bella Memoooe regoaote : et Syriae imperitasse eam, nostroque litori, aetate regis Cephei, patet An dromedae fabulis.
Simili modo et de meosura ejus varia prodide re : primus Dalion ultra Meroen longe subve ctus . Mox Aristocreon, et Bfon, et Basilis : Simonides mioor etiam, quinquennio in Meroe moratus, quum de Aethiopia scriberet. Nam Timosthenes classium Philadelphi praefectus, sine mensura, dierum l x a Syene Meroen iter prodi dit : Eratosthenes d c x x v ' mill. Artemidorus d c mill. Sebosas ab Aegypti extremis «decies cen tena LxxY mill. passuum : unde proxime dicti xii i.. Verum omnis haec finita nuper disputatio est, quoniam a Syene d c c c l x x i i i mill. Neronis exploratores renuntiavere his modis : A Syene Hieran Sycaminon u v mill. passuum. Inde Ta ma Lxxn millia pass. Regiooem Evooymiton Ae thiopum primam, cxx, Acinam u v mill. Pitarao xxv, Tergedum evi mill. Iosulam Gagauden esse in medio eo tractu. Inde primam visas aves psit tacos, et ab altera ( quae vocatar Artigaia ) ani mal sphingion, a Tergedo cynocephalos. Inde Napatf l x x x m ill. Oppidam id parvam inter praedicta solum. Ab eo ad insulam Meroen c c c l x mill. Herbas circa Meroen demum viridiores, silvarumque aliquid apparuisse, et rhinocerotum elephantoramque vestigia. Ipsum oppidum Meroén ab in troita insulae abesse l x x mill passuum : juxtaque aliam insalam Tadu dextro subeunti* bus alveo, quae portam faceret. Aedificia oppi di pauca. Regnare feminam Candacem, quod nomen multis jam annis ad reginas transiit. De lubrum Hammonis et ibi religiosum, et toto tra ctu sacella. Celerum qaum potirentur rerum Ae thiopes, insula ea magnae claritatis faiL Tradant armatorum c c l nfcill. dare solitam, artificam cccc mill, alere. Reges Aethiopum x l v et hodie tra duntur.
3o. Universa vero gen· Aetheria appellata est,
natore di Egitto. Egli prete le dttà loro, le quali •ole trovò, con quello ordine che noi diremo : Peelci, Primi, Abocci, Fturi, Gambusi, Alleva, Stadisi, dove predpitandosi il Nilo, con lo stre pito assorda gli nomini del paese. Saccheggiò an co Napata, e passò di là da Siene novecento set tanta miglia. Nè però l'armi Rbmane fecero quivi solitudine. L’ Etiopia fa consumata dalle guerre degli Egizii, nelle quali ora viocendo imperava, e ora perdendo serviva ; chiara e possente ancora fino alle guerre Troiane, regnando Memnone : e trovasi nelle favole d'Andromeda, ch'ella signo reggiò la Siria, e nella nostra riviera ancora all’età del re Cefeo. Trovansi similmente varie opinioni della mi sura di essa : il primo fn Dalione, il quale andò di là da Meroe : poi Aristocreone, e Bione, e Basilide : Simonide minore anche egli era stato cin que aoni in Meroe, quando scriveva dell* Etiopia. Timostene capitano dell'armata di Filadelfo, senza segnar misura pone il viaggio di sessanta giorni da Siene a Meroe. Eratostene vi £i seicento venticinque miglia. Artemidoro sdcento miglia. Seboso dai confini dell'Egitto, mille sdcento settantacinque miglia: onde i prossimamente detti mille dugento dnqaanta. Ma tutta questa depu tazione è nuovamente finita, perdocehègli esplo ratori di Nerone riferirono da Siene ottocento settantatrè miglia in questi modi : Da Siene infi no a Iero Sicamino cinquantaquattro miglia. Di là a Tama settantadae miglia : alla regione Evo nimi to, prima degli Etiopi, centoventi: ad Adna cinquantaquattro miglia: a Pitara venticinque: a Tergedo centosei miglia. L 'isola di Gagaude è in mezzo di quel paese. Di qui comindarono a vedersi i pappagalli, e dall’ altra, che si chiama Artigula, 1*animale sfingio, da Tergedo i cino cefali. Di là a Napata faooo ottanta miglia. Que sta città sola è picciola fra le predette. Da essa all' isola di Meroe trecento sessanta miglia. E fi nalmente intorno a Meroe cominciarono a vedersi l'erbe verdi, e le selve, e Torme de'rinoceronti e degli elefanti. La città di Meroe è lontana datl ' entrata ddl' isola settanta miglia, e appresso a un'altra isola detta Tadu, la qual farebbe porto a chi navigasse da man ritta. Gli edifidi della dttà son pochi. Regnavi Candace femioa, il qual nome già molti anni è passato ndle reine. Quivi è* il tempio rdigioso d 'Ammone, e per tutto quel tratto cappelle. Quaodo gli Etiopi n' eran signori, quella isola era di gran fama. Dicono, eh' ella soleva fare dugento dnqaanta mila uo mini armati, e mantenere quattrocento mila ar tefici ; e che ancora oggi i re d’ Etiopia ne man tengono qaarantadnqae mila. So. Tutta questa gente fu chiamata prima
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VI.
deinde Atlantia, mox a Volami filio Aethiope Aethiopi·. Animalium hominomqae effigies monstriferas circa extremitate· ejos gigni minime miram, ar tifici ad formanda corpora effigiesqac caelandas mobilitate ignea. Fernnt certe ab Orientis parte intima gentes esse sine naribus, aequali totius oris planitie. Alias superiore labro orbas, alias si ne linguis. Pars etiam ore concreto et naribus ca rens, uno tantum foramine spirat, potumque ca lamis arenae trahit, et graoa ejusdem arenae sponte proveniente ad vescendum. Quibusdam pro sermone nutus motusque membrorum est. Quibusdam ante Ptolemaeum Lathurum regem Aegypti ignotus fuit usus ignium. Quidam et Pygmaeorum gentem prodiderunt inter paludes, ex quibus Nilus oriretur. In ora autem, ubi desiimus, continui mon tes, ardea Ubot similes rubent. Troglodytis et Rubro mari a Meroe tractus omnis superponitur : a Napata tridui itinere ad Rubrum litus, aqua plaria ad usnm compluribus locis serratur, fer tilissima regione, quae interest, auri. Ulteriora Atabuli, Aethiopum gens tenet. Deinde contra Meroen Megabari, quos aliqui Adiabaras nomi navere, oppidom habent Apollinis. Pars eorum Nomades, quae elephantis rescitur. Ex adverso in Africae parte Macrobii. Rorsus a Megabaris Memnones et Davelli, dierumque viginti inter vallo Critensi. Ultra eos Dochi, deinde Gymnetes semper nudi. Mox Anderae, Malhitae, Mesagebes, Hipporeae, atri coloris tota corpora rubrica illinunt. At ex Africae parte Medimni. Dein de Nomades cynocephalorum lacte viventes, Olabi, Syrbotae, qui octonum cubitorum esse dicantor.
Aristocreon Libyae latere a Meroe oppidam Tolen dierum qainque itinere tradit. Inde dierura duodecim Esar Aegyptiorum oppidum, qui Psammeticum fugerint : in eo prodantur annis trecentis habitasse. Contra in Arabico latere Da· itm oppidum esse eoram. Bion autem Sapen vo cat, qaod ille Esar,'et ipso nomine advenas ait significari. Caput eoram in insula, Sembobitin : et tertiam in Arabia, Sai. Inter montes autem et Nilum Symbari sunt, Pbaliges: in ipsis vero montibus Asachae mallis nationibas. Abesse a mari dicantor dierum qainqae itinere. Virunt elephantorum venatu. Insula in Nilo Semberritarnm, reginae paret. Ab ea Nabei Aethiopes dieram octo itinere. Oppidam eoram Nilo im positam, Tcnapsis. Sambri, apud quos quadru-
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Eterea, dipoi Atlantia, ultimamente Etiopia da Etiope figliuol di Vulcaoo. Non è meraviglia, che intorno all' estremità d’ essa nascano effigie mostruose d’ animali e d’uomini, perchè la mobilità del fuoco è artefice a formare i corpi, e scolpir le figure. Dicesi per cosa certa, che dalla parte interiore dell* Oriente sono nomini senia naso, col riso tolto piano : al tri senza il labbro di sopra, altri senza lingua. Una parte anco v’ è, cbeha la bocca ricongiunta, e sen za naso, la quale spira solo per un baco, e beo eoa bocciuoli di rena, e mangia le granella di detta rena, che nasce da sè stessa. Alcuni in cam bio di farella hanno il cenno e il moto delle membra. Certi altri innanzi a Tolomeo Lataro re d’ Egitto, non avevano cognizione del fuoco. Al cuni ancora posero i Pigmei fra le paludi, delle quali nasce il Nilo. Nella riviera, dove noi tralasciammo, sono continui monti, i quali rosseggiano come se ar dessero. Da Meroe r ’ è nn tratto, che sorrasta tutto ai Trogloditi e al mar Rosso: da Napata fino allo stesso mar Rosso per Ire giornate di cammino l’ acqua piorana si serba al bisogno in più luoghi : il paese, eh’ è in questo mezzo, è mollo dorizioso d’ oro. Più oltra abitauo gli Atabuli, popoli dell’ Etiopia. Dipoi all’ incontro di Meroe sono i Megabari, i quali sono stali d’alcuni chiamati Adiabari, ed hanno la città d’Apol line. Parte di loro sono Nomadi, i quali rivono di carne d’ elefanti. Al dirimpetto nella parte d’ Africa sono i Macrobii. Dopo i Megabari sono i Memnoni, e i Danelli, e per ispazio di renti gior nate i Critensi. Oltra essi i Dochi. Dipoi i Gimni ti, che ranno sempre ignudi. Poi gli Anderi, i Matiti, i Mesagebi, gli Ipporei, i quali son neri, ma si tingono tutta la persona di color rosso. Dal la parte d'Africa sono i Medimni. Dipoi iNomadi, i quali rirono di latte de’ cinocefali, gli Olabi, i Sirboti, i quali «i dice che son lunghi otto braccia. Scrire Aristocreone, che dal lato d’ Africa è la città Tolen lontana da Meroe cinque giornale. Di là dodici giornate è Esar, città degli Egizii, che fuggirono Psammetico : si dice che abita rono in essa trecento anni. AH* incontro nel lato d’ Arabia è Daron città loro. Bione chiama Sa pen quello eh’ esso chiama Esar, e dice che così si chiamano aoco i forestieri. Il capo loro è nell’ isola Sembobitin, e il terzo Sai in Arabia. Fra i monti e il Nilo sono i Simbari e i Faligi; e ne’ monti stessi gli Asachi con molle nazioni. Dicesi che son lontani dal mare cinque giornate. Virono della caccia degli elefanti. L’ isola nel Nilo de’ Seraberriti è soggetta areina. Lontani da essa otto giornate sono i Nube» Etiopi. La ciltà loro è Tenupsi posta sul Nilo. I Sambri, appresso
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C. PLINII SECUNDI
pedet omfiet sine aoribas, eliam elephanti. Al ex Africae parte Ptoèmbari, Pto&nphanae, qai canea prò rege habent, mota ejui imperia an fa n a te ·: Arusb» oppido looge a Nilo sito. Po ste· Adusarmi, Phelliges, Marigeri, Ca«amarri.
Bioa alia oppida in insalis tradit, a Sembobiti MeroSn Terso· dierum toto itinere viginti. Proxi• M maniae oppidam Semberritarnm sub regina : et aliad Asar : altarini oppidam Daron. Tertiam Medote vocant, in qua oppidam Asel. Quartam eodem, qao oppidam, nomine Garodeo. Inde per ripas oppida : Navos, Modnndam, Andatim, Se candam, Golligat, Secande, Navectabe, Cumi, Agrospi, Aegipam, Gandrogari, Arabam, Summaram. Regio saprà Sirbitnm, ubi desinunt montes, traditor a qoibasdam habere maritimos Aethio pes, Nisieastes, Nisitas, qaod significat ternum et quaternumocalorom viros : non qaia sic sint, sed qnia sagittis praecipua bontemplatione alantar. Ab ea vero parte Nili, qoae sopra Syrtes majores Oeeaonmque meridianum protenditar,Dalion vo catos esse dicit, pluvia tantum aqua utentes Cisoro«, Longoporos. Ab Oecalidbus dierum quinque itinere Usibalcos,Isuelos,Pharusos,Valio*,Cispios. Reliqua deserta. Deinde sabulosa. Ad occidentem versus Nigrae, quorum rex anum oculum habeat in fronte. Agriophagi, pantherarum et leonum earaibns maxime viventes. Pamphagi, omnia mandentes. Anihropophagi, humana carne ve scentes. Cynamolgi, caninis capitibus. Arta ba li tae quadrupedum ferarum modo vagi. Deinde Hesperii, Peroni, quos in Mauritaniae confinio diximus. Pars quaedam Aelhiopum locustis tan tum vivit, fumo et sale duratis in annua alimen ta : ii quadragesimam annum vitae non excedunt.
Aethiopam terram universam cum mari Ru bro patere in longitudinem semel et vicies cente na l x x mill. passuum : in latitudinem cum supe riore Aegypto duodecies centena xcvm mill. Agrippa existimavit. Quidam longitudinem ita diviserant: a Meroè Sirbitura, xit dierum navi gationem. Ab ea xn ad Davéllos. Ab bis ad Ocea num Aethiopicum sex dierum iter. In totam autem ad MeroCo d c x x v mill. passuum esse ioter auctores fere convenit : inde Syenen, quantum diximus. Sila est Aethiopia ab oriente hiberno ad coeidentem hiberriom. Meridiano cardine silvae ebeno maxime virent : a media ejus parte imminens «nari mons excelsus, aeternis ardet ignibus, Theon ocbetna dictas Graecis : a qoo navigatio quatridui ad promontoriam, qaod
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i qaali tutti gli animali da qaattro piedi «on senca orecchie, e gli elefanti ancora. Ma daMa parte d 'Africa sono i Ptoèmbari e i Ptoenfani, i quali hanno un cane per re, e dal moto di esso ne eoo· gettammo la volontà: gli Arasbl, ohe banano la lor città lontana {lai Nilo. Dipoi gli Adusarmi, i Falligi, i Marigeri e i Casamarri. Bione mette dall* altre città nell* isole, da Som* bobite verso Meroe venti giornate. Nell* isola vicina ì la città de* Semberriti sotto a reina ; e un altro Asar. Nell* altra è Daron città. La tersa si chiama Medoe, dove è Asel città. Lo quarta è Garode del medesimo nome, che la città. Sa per le rive poi sono altre città, eioè Navo, Mo» dnnda, Andati, Secundo, GolUgat, Secando, Na> vettabe, Cnmi, Agrospi, Egipa, Candrogor», Ara ba, Summara. Nel pese sopra Sirbilo, dove finiscono i mon ti, dicesi per alcuni ehe sono i marittimi Etiopi, i Nisicasti, i Nisiti,che significa uomini che hanno tre e quattro occhi ; non perchè così siano, ma perchè traggon benissimo oon le frecce di mira. Da quella parie del Nilo, die si distende sopra le Sirti maggiori e l'Oceano meridiano, dice Dalione esserci alcuni chiamali Cisori e Longepori, i quali non hanno altra acqua che quella che piove. Dopo gli Ecalici cinque giornate sono gli Usibalchi, gli lsueli, i Farusi, i Valìi, e i Cispii. Il reste son deserti. Dipoi suolo arenoso. Verso ponente i Nigri, il cui re ha solo un* occhio in fronte. Gli Agriofagi, i quali vivono per lo più di come di pantere e di lioni. I Panfagi, che mangiano d* ogni cosa. Gli Antropofago, che mangian carne umana. I Cinamolgi, che hanno la testa di cane. Gli Artabatiti, i quali vanno vagabondi a uso di fiere. Dipoi gli Esperii e i Perorai, eh* io ricordai nel fine della Mauritania. Una certa parte d'Eliopi lutto Panno vive solamente di locuste salate e secche al fumo, e non vivono più che quaran ta anni. Tutta 1*Etiopia insieme eoi mar Rosso è lunga due mila centosettanta miglia, e larga con l'Egitto superiore mille dugento novantotto miglia, aecondo Agrippa. Alcani divisero la larghetto io questo modo : da Meroe a Sirbito la navigai·eoa di dodici giornate; e dodici di quivi a Davelli. Da questi al mare Etiopico il viaggio di sei giorni. Ma qaasi tutti gli autori oonvengono in questo, che dell* Ooeano a Meroe sieoo seicento venti· cinque miglia, e di là a Siene quanto abbiamo detto. L 'Etiopia è posta da levante di verno η ponente di verno. Le *elve verso n c w k fi pre darono di molto ebano: dalla ma porte di ai e u a è un monte altissimo, ehe guarda «opra il more, e arde di continuo, dotto da’Greei Tee· 0eh emù, dal qoale si naviga in quattro di inaino al pr»-
HISTORIARUM MUNDI LIB. VI.
Hesperion ceras vocatur, confine Africae juxta Aethiopas Hesperio·. Quidam et in eo tracta mo dico» colles amoeaa opacitate vestitos Aegipanum Satynraaqoe prodant. U nato A iru o n ci maus. XXXVL 3i. Insala· toto eo auri et Ephorus complores esse tradidit, et Eudoxas, et Tinoslbcnes: Clitarcho· vero Alexandro refi renun tiatae· adeo divitem, at equos incolae talentis aeri permutarent. A ltera·, abi meer mons opa* eos silva reperto· easet, dùytUlanlibn· arboribas odore mirae saavitatis. Contra sinam Persicam Cerne nominator insola adversa Aethiopiae,cojos neqoa magnitudo, aeque intervallam a continen te constat, Aethiopas tantam popalos habere proditor. Ephoros aoctor est, a Robro mari navigantes ia eam non posse propter ardores ni tra quasdam columnas ( ita appellantor parvae insnloe ) provehi. Polybio· io extrema Maurita nia ooatra montem Atlantem a terra stadia octo abease prodidit Cerneo. Nepos Coroelios ex ad verso maxime Carthaginis a continente pastus mille: noa ampliorem circalto doobas millibas. Traditor et alia insala contra montem Atlantem, et ipsa Atlanti· appellata. Ab ea qainqoe dieram navigatione eolitadines ad Aethiopas Hesperios, et promontorium, qnod vocavimus Hesperion e t r a , inde primam circumageate m terrarum fronte in occasam, ac mare Atlanticam. Contra hoc qaeqoe promontoriam Gorgades insnlae nar rantor, Gorgonam quondam domos, bidoi navi gatione distantes a continente, at tradit Xeno phon Lampsacenas. Penetravit ia eas Hanno Poenoram imperator, prodiditqoe hirta feminar a a corpora, viros peraieitate evasisse : dusrumqme Gorgonam cotes argomenti et miracoli gratia in Jononis templo posuit, spectatas osque «d Carthaginem capiam. Ultra has eliamnom doae Hasperidom insulae narrantor. Adeoqae omnia órca haec incerta saot, nt Statias Sebosas a Gorgonam insulis praenavigatione Atlantis die rum xi. ad Hesperidum insolas corsam podiderit, ah iis ad Hesperion ceras onios. Nec Mau ritaniae inoalarom certior 6una est. Paucas modo caostat eme ex adverto Aatelolnm, a Juba reper ta·, in quibus Gaetulicam purparam tingere in sti taerat.
6 il
monlorio, che si chiama Esperion cera, confino d* Africa appresso gli Etiopi Esperii. Dicono al cuni,che io qoel paese sooo alcune colline frasche, e verdi, le qoali producono Egipani e Satiri. D e l l e is o l i d x l i a i E t io v ic o .
XXXVI. 3 i. Eforo, Eudosso e Timostene soriaseroj ehe in tutto quel mare sono molte isole; m Cl itareo afferma, che fu riferito al re Ales sandro esservene ana tanto ricca, che gli abitatori d'essa comperavano uo cavallo per on talento d'oro. E an’altra, dove s'è trovato on monte sacro,ombroso per aoa selva, dagli alberi dell· qoale eace ioaviisimo odore. All* incontro del golfo di Persia è Γ isola Cerne opposta airEtiopìa, della grandezza e distanza della qoale da terraferma non s'accordano gli scrittori. Dioesi solamen· te, che vi sono popoli Etiopi. Scrive Eforo, che coloro, i qoali navigano dal mare Rosso io «m , non possono passare per rispetto d«’ gran caldi di là da certe colonne ; così chiamano alcune (so lette. Polibio scrive, che Cerne è nefl'estrema Mauritania contra il monte Atlante lontano nn miglio da terraferma. Cornelio Nipote la inette all* iaconiro di Cartagine, lontano on miglio da terraferma, e ch’ella non gira piò dì dae migli·. Diee*i essere an’altra isola all’ incootro dd monte Atlante, U qoale «i chiama aneh’ecaa Atlantide. Lontano da questa cinque giornate dicono es sere deserti fino agli Etiopi Etperii, e al promon torio, che noi chiamammo Esperion cera, dove ai comincia a voltare la fronte della terra verso po nente e il aure Atlantico. Contra a qoesto pro montorio si diee, ebe sono risole Gorgade, dove abitarono già i Gorgoni, lontane dae giornate da terraferma, come scrive Senofoote Lampsa ceno. Quivi fa Annone capitano dei Cartaginesi, e ditee che n’aveva trovato donne, ehe avevano il corpo peloso, e gli nomini velocissimamente correndo erano fuggiti ; e per segno e miracolo appiccò nel lempio di Giunone le pelli di due Gorgone, le quali vi stettero fin che Cartagine fn presa. Di là da queste anoora si dice, che vi sono due isole Esperide. Ma tanta varietà à circa que sta cosa, che Stazio Seboso dice, che dalle isole de’Gorgoni, passando dall’ Atlante fino all* isole Esperide sono quaranta giornate, e da questo a Esperion cera una giornata sola. Ni però s’ ha ponto maggiore certexaa dell’ isole della Mauri tania. Questo si sa certo, ch’elle son poche all’ in-1 contro di Antdolo, ritrovate da Gfaba, nelle quali egli aveva istituì lo la tintura della porpora di Geiatta.
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6i9 D b u m u i F oetoh atis.
D b l l b is o lb F o e t o b a t e .
XXXVII. 3a. Sono di quei, che tengono eh» XXXVII. 3a. Soni qui altra eu Fortunatas potant esse, quasdamque alias : quarum numero di là da qoeste sieno Γ isole Fortunate, e alcune idem Sobosus etiam spatia complexos, Janoniam altre : fra qoeste il medesimo Seboso, che ne de abesse a Gadibus d g c l mill. passaam tradit. Ab ea scrive anco gli spazii, dice che 1' isola di Giaoone tantomdem ad occasom versus Plovialiam,Capra- è lontana da Gade settecento cinquanta miglia : riamque: ia Plavialia non esse aquam, nisiex che da essa altrettanto verso ponente son Pluvia imbribus. Ab iis co. mill. pass. Fortunata· con· lia e Capraria,e che oella Pluvialia uon è acqua se tra beva Mauritaniae in ix horam solis : vocari non qoella che piove. Lontano da queste dagenConvallem a convexitate, et Planariam a specie : to cinquanta miglia sono le Fortonate, all* in Convallis circuitum ccc mill. passaam. Arborum contro della man manca della Mauritania, verso ibi proceritatem ad centum xiv pedes adolescere. la noqa ora del sole. Con valle è così detta dalla sua concavità, e Planaria dalla apparenu di pia nura. Convalle ha di circuito trecento miglia. Gli alberi crescono quivi cento sedici braccia. Giuba delle Fortunate scrisse questo, ch'elle Juba de Fortanatis ita inqnisivit : sub meri son poste sotto mezzogiorno appresso ponente, die quoque positas esse prope occasum, a Purpu rariis d c x x v mill. passuum, sic ut ccc supra lontano dalle Purpurarie seiecento venticinque occasum navigetur: deinde per cqclxxv mill. miglia, talché si naviga dugento cinquanta miglia sopra ponente : dipoi verso levante trecento setpassuum ortus petator. Primam vocari Ombrion nullis aedificiorum vestigiis : habere in montibus tantacinqae miglia. La prima si chiama Ombrion, stagnum, arbores similes ferulae : ex quibus aqua dove non è segno alcun d'edificio,ed ha ne'monti exprimatur, ex nigris amara, ex candidioribus uno stagno : gli alberi suoi sono simili alla ferula, potui jucunda. Alteram insulam Junoniam appel dai quali si cava l'acqua ; degli alberi neri esce lari, in ea aediculam esse tantum lapide exstru acqua amara, de' bianchi acqua buona da bere. ctam. Ab ea in vicino eodem nomine minorem. L'altra isola si chiama Gianonia, dove è solo an Deinde Caprariam lacertis grandibus refertam. tempietto fatto di pietra. Appresso a qoella n’ é In conspectu earum esse Nivariam, quae hoc ona minore del medesimo nome. Dipoi la Capra nomen accepit a perpetua nive, nebulosam. Pro ria piena di locertole grandi. A vista d'esse é la ximam ei Canariam vocari a multitudine canum Nivaria, la quale prese questo nome dalla conti ingentis magnitudinis : ex quibus perducti sunt nua neve che v' è, essendo nebulosa. La prossima Jubae duo : apparentque ibi vestigia aedificio a qoe&ta chiamasi Canaria, dalla moltitudine dei rum. Quum autem omoes copia pomorum et cani grandi, che vi sono, de* quali due ne menò avium omnis generis abundent, hanc et plametis Giuba; e quivi sono alcuni segni di edificii. Hanno caryotas ferentibus, ac nuce pinea abundare. Esse tutte dovizia di fratti, e d’uccelli d'ogai sorte ; e copiam et mellis. Papyrum quoque et silaros in questa ha palme, che Canno datteri e pinocchi. amnibus gigni. Infestari eas belluis, qaae expel Evvi anco copia di mele, e i fiumi, che vi sono, producono papiro e pesci siluri. Sono travagliate lantur assidue, putrescentibus. da bestie, le qoali marcendo sono tattavolta gittate via. T eBBAB m
VBHSVBAS COKPABATAB.
R a g g u a g l i o s e l l a m is u r a d b l l b v a r i e t e b b b .
XXXVIII. At abande orbe terrarum extra XXXVIII. Ora esseadosi abboadevolmente intra indicato, colligenda in arctam mensura dimostrato l'aniverso della terra di fuora e di dentro, é da raccor*i in istretto la misura dei aequorum videtur. mari. 33. Polibio, dallo stretto di Gade per diritto 33. Polybius a Gaditano freto longitudinem directo corsa ad os Maeotis x xx iv x x x v u mill. d corso fino alla bocca della palode Meotide mette passaam prodidit. Ab eodem initio ad orientem la lunghezza tremille quattrocento e trentasette recto carso Siciliam x ii l x mill. d passaam, Cre miglia e mezzo.Dal medesimo principio andando tam cgclxxv mill. passaam, Rhodam c lx x x v ii a levante per dritto corso in Sicilia mille dugen mill. i» passaam: Chelidonias tantomdem: Cy to e sessanta miglia e mezzo : infino in Creta prum cccxxvmill.passaum. Inde Syriae Seleuciam trecento settantacinqoe miglia: a Rodi cento
HISTORIARUM MUNDI LIB. VI.
Pieriam cxvm ill. passuum. Quae computatio effi cit vides ter centena n mill. passuum. Agrippa hoc idem intervallum a freto Gaditano ad sinum lancum per longitudinem directam xxxiv x l pas suum mill. taxat, in quo haud sdo au sit error numeri, quoniam idem a Siculo freto Alexan driani cursu xii i. mill. passuum tradidit. Uni· versus autem drcuitus per sinus dictos ab eodem exordio colligit ad Maeotim lacum, c l v i mill. passuum. Artemidorus adjidt d c c l u i mill. Idem cum Maeotide c l x x i i i x c mill. passuum esse tra dit. Haec est measura inermium,' et pacata auda cia fortunam provocantium hominum.
Nunc ipsarum partium magnitudo compara bitur, utcumque difficultatem afferet auctorum diversitas. Aptissime tamen spectabitur ad lon gitudinem latitudine addita. Est ergo ad hoc praescriptum Europae magnitudo l x x x ii x c iv mill. passuum. Africae (ut media ex omni varie tate prodentium sumatur computatio) efficit lon gitudo x x x v ii x c v iii mill. Latitudo, qua colitur, nusquam ducenta quiquaginta millia passuum excedit. Sed quoniam a Cyrenaica ejus parte nonagentorum decem millium passuum éam fecit Agrippa, deserta ejus ad Garamantas mque, qua noscebantur, complectens ; universam men suram, quae venit in computationem, x l v i vin mill. passuuuMeffidt. Asiae longitudo in confesso est Lxin ix x v mill. passuum. Latitudo sane com putetur ab Aethiopico mari Alexandriani juxta liilum sitam, ut per Meroen et Syenen mensura currat, xvm l x x v mill. passunm. Apparet ergo Europam panilo minus dimidia Asiae parte majorem esse, quam Asiam. Eamdem altero tanto et sexta parte Africae, ampliorem quam Africam. Quod si misceantur omnes summae, liquido patebit Europam totius terrae tertiam esse partem e t octavam panilo amplios : Asiam vero quartam et quartamdecimam : Africam autem quintam et insuper sexagesimam.
ottantantasette miglia e meno : alle Chelidonie altrettante : a Cipro trecento venticinque miglia. Di li fino in Seleucia Pieria di Siria cento quin dici miglia. La qual somma fa sdmille quaranta miglia. Agrippa scrive questo medesimo inter vallo dallo stretto di Gade fino al golfo Issico per longitudine diritta tremille quattrocento e quaranta miglia; dove io non so, se sia error di numero, perchè il medesimo dal mar di Sidlia fino in Alessandria fa che vi sia mille dugento e dnquanta miglia. E tutto il drcuito per li detti golfi dal medesimo prindpio raccoglie fino alla palude Meotide diedmille dnquantasei miglia. Artemidoro v'aggiunse settecento dnquantatrè miglia. 11 medesimo con la Meotide dice essere diciasettemille trecento e novanta miglia. Questa è la misura degli uomini disarmati, i quali con pacifico ardire tentano la fortuna. Ora s'andrà ritrovando la grandezza delle parti, secondo che la diversità degli autori ap porterà difficoltà. Ma però diligentissimamente si considererà, aggiunta la latitudine alla longi tudine. A questo conto dunque la grandezza dell' Europa è ottomille dugento e novantaquat tro miglia. La lunghezza dell* Africa, pigliando il conto di mezzo fra la diversità di coloro, che scrivono, fa tremille settecento e novanta otto miglia. La latitudine, dove ella è abitata, non passa in alcun luogo dogento dnquanta miglia. Ma perchè Agrippa dalla Cirenaica, parte d'essa, la fece noveoento died miglia, abbraedando i suoi deserti fino a’Garamanti, fino a dove se n'ha notizia, tutta la misura, che viene in oompatazione, fa in somma qualtromille seicento e otto miglia. La longitudine dell' Asia chiaramente è sdmille trecento e settanlacinque miglia. La lati tudine si conterà dal mar d 'Etiopia fino in Ales sandria posta appresso il Nilo, acciocché la misura corra per Meroe e Siene, mille ottocento e set tanlacinque miglia. Vedesi adunque, che l'Europa è maggior dell'Asia poco meno che la metà. E la medesima è maggiore che l'Africa altrettanto, e la sesta parte dell'Africa. Che se si rimescoleranno insieme tutte le somme, si vedrà chiaramente, che l ' Europa è la terza parte di tutta la terra, e più un’ottava, e l'Asia la quarta parte, e una quartadecima, e l ' Africa la quinta, e una sessagesima.
DlGBSTlO ΤΧΧΒΑΒΪ* IN VABALLELOS
D iv is io h b d e l l a t b b b a ih f a b a l l b l i
BT VMBBAS PABBS.
B ΟΜΒλΒ ΡΑΒΙ.
XXXIX. His addemus etiamnum unam Grae cae inventionis sententiam vel exquisitissimae subtilitatis, ut nihil desit inspectando terrarum « to ; indkatuque regionibus noscatur, et cum
XXXIX. A queste cose aggiugneremo ancora una sentenza di Greca invenzione, e di squisiti*· sima sottigliezza, acdocchà non manchi nulla in considerar bene il sito della terra ; ed essendosi
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G. PLINII SECUNDI
dimostrate le regtooi, si conosca, e eoa qoale daseuoa d'esaa abbia società, ovvero cognazione di di e di sotti, ed ia quell di loro l'ombre sien peri, e pari la convessità del cielo. S'addurrà dunque ancor questo, e dividerà··! tutta la ter ra secondo le parti del cielo. E queste divisioni del mondo son molte, le quali da'noatri sono state chiamate circoli, e dai Greci paralleli. 34· Prineipium habet Indiae pars versa a«l 34. Comincia la parte dcH'lndia volta a b m z austrum. Patet asqne Arabiam et Rubri maris togiorno. Essa si distende fino in Arabia, e agli acoolas. Continentor Gedrosi, Persae, Carmani, abitatori del mar Rosso. Contengonsi in essa i Ge Elymaei, Parthyene, Arta, Susiane, Mesopotamia, drosi, i Persi, i Carmaoi, gli Elimei, la Partiene, Seleucia cognominata Babylonia, Arabia ad Pe· l'Aria, la Susiana, la Mesopotamia, Seleucia co tras asqae, Siria Coele, Pelusiam, Aegypti infe gnominata Babilonia, 1* Arabia fino a Petra, la riora, qoaexWfa voeatar Alexandriae, Africae Siria Cele, Pelosio, Γ Egitto inferiore che si maritima, Cyrenaica oppida omnia, Thapsus, chiama Cora di Alessandria, e le coste di Africa. Adrumetum, Clupea, Carthago, Utica, uterque Totte le città della Cirenaica, Tapso, Adrumeto, Hippo, Numidia, Mauritania utraque, AUanticnm Clupea, Cartagine, Utica, l'una e l'altra Ippone, mare, columnae Herculis. In hoc coeli circum la Numidia, l* una e 1*altra Mauritania, il mare flexu aequinoctii die media, umbilicus, quem Atlantioo e le colonne d’Èrcole. In qoesto spasso Gnomonem vocant, vn pedes longos, umbram di deio nel mezsodl dell* equinozio, 1' umbilico, ■on amplius iv pedes longam reddit. Noctis vero che sì chiama Gnomone, cioè squadrante, lungo dioqae longissima spatia horas xiv aequinoctiales sette piedi, non fa l'ombra lunga pià che quattro piedi. E i lunghissimi spazii del giorno e della habent, brevissima e contrario x. notte hanno quattordici ore equinoziali, e i bre vissimi all'inoontro ne hanno dica. Il seguente drcolo incomincia dall* India Seqaens circulus incipit ab India vergente volta a ponente, e va per mezzo la Partia, Perse ad occasam, vadit per medios Partos, Persepolin, eitima Persidis, Arabiam citeriorem, Judaeam, poli, le vidnanze della Persia, l 'Arabia citeriore, Libani moatis accolas. Amplectitur Babylonem, la Giudea,gli abitatori del monte Libano. Abbrac cia Babilonia, 1* Idumea, la Samaria, Gerosoltma, Idnmaeam, Samariam, Hierosolymam, A«calo nem, Joppen, Caesaream, Phoenicen, Ptolemai Ascalone, loppe, Cesarea, la Fenida, Tolemaide, dem, Sidonem, Tyrum, Berytum, Botryo, Tripo- Sidone, Tiro, Berito, Botri, Tripolif Biblo, Antio lin, Byblom, Aotiochiaro, Laodiceam, Seleuciam, chia, Laodicea, Selenda, i luoghi marittimi ddla Ciliciae maritima, Cypri austrina, Cretam, Lily Cilkrfa, Cipro, dalla parte di mezzogiorno, Creta, baeum in Sicilia, septemtrionalia Africae et Numi Lilibeo in Silicia, i luoghi settentrionali di Afri diae.Umbilicus aequinoctio xxxv pedum,umbram ca e di Nomidta. L* ombilico ndl* equinozio di viginti qaataor pedes longam facit. Dies autem trentacinqoe piedi fa l'ombra longa ventiquattro noxque maxima quatuordecim horarum aequi piedi. E il maggior giorno, e la maggior notte è noctialium est, accedente iis quinta parte unius di qoattordid ore eqoiooziali, e la qoiota porte di on* ora. horae. Il terzo eircolo comincia dagli Indi vicini alTertios drcnlas ab Indis Imao proximis ori 1* hnao. Passa per le porte Caspie vidne allo tur. Tendit per Caspias portas Mediae proximas, Cataoniam, Cappadociam, Taoram, Amanam, Media, per la Cataonia, la Cappedoda, il Tauro, Issam, Cilicias portas, Solos, Tarsam, Cyprum, 1*Amano, Isso, le porte Cilide,Solo, Tarso, Cipro, Pisidiam, Pamphyliae Siden, Lycaoniam, Lyciae la Pisidia, Side di Panfilia, Licaonia, Patara di Li Patara, Xantham, Caunum, Rhodum, Coum, cia, Santo, Cauno, Rodi,Coo, Alicaraasso, Gnido, Halicarnassum, Gnidum, Dorida, Chium,Delum, Dorida, Chio, Deio, per mezzo le Cidadi, Gixio, Cydadas medias, Gythium, Maleam, Arges, La la Malea, Argo, Laconia, Elide, Olimpia, Messenia coniam, Elin,Olympiam, Messeniam Peloponnesi, del Pdoponneso, Siracusa, Catina per mezzo lo Syracusas, Catinam, Siciliam mediam, Sardiniae Sicilia, la parte meridionale di Sardigna, Cartaio austrina, Cartejam, Gades. Gnomonis centum e Gade. Cento oncie di gnomone fanno ombro nndae, umbram septuaginta septem anciaram di settantasette oncie. Il pià lungo giorno è di faciunt. Longissimus dies est aequinoctialium qoattordid ore e mezza equinoziale, e la trente horarum quatuordecim atque dimidiae, com sima parte di un*ora. tricesima parte unius horae. qua euiqoe «νταή sodetas «I, sive cognatio die· rum ac noctinm, quibusque iolcr se pares om brie et «equa mnodi convexitas. Ergo reddetor hoc etiam, tenraeqae universae in membra coeli digerentur. Plora sant antera haec segmenta mandi, qnae nostri circulos appellavere, Graeci parallelos.
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Qoarto subjacent circulo, quae sant ab allero latere Imai, Cappadociae austrina, Galatia, Mysia, Sardis, Smyrna, Sipylus, Tmolus mons Lydiae, Caria, Jonia, Trallis, Colophon, Ephesus, Miletos, Samos, Chios, Icarium mare, Cycladum septemtrionales, Athenae, Megara, Corinthus, Sicyon, Achaja, Patrae, Isthmos, Epirus, septemtrionalia Siciliae, Narbonensis Galliae exortiva, Hispaniae maritima a Carthagine nova, et inde ad occasum. Gnomoni xxx pedum respondent umbrae xvi pedum : longissimus dies habet aequinoctiales horas qualQordecim, et tertias duas unios horae,
Sono sottoposte al qoarto circolo le regiooi, le quali sono dall' altro lato dell' linao, le parti meridionali di Cappadocia, la Galazia, la Misia, Sardi, Smirna, Sipilo, Tmolo monte di Lidia, la Caria, la Ionia, Traili, Colofone, Efeso, Mileto, Samo, Chio, il mare Icario, le Ciclade settentrio nali. Atene, Megara, Corinto, Sicione, 1' Acaia, Patra, l ' Istmo, lo Epiro, la parte settentrionale della Sicilia, le parti orientali della Gallia Narbonese, la Spagna marittima da Cariagiue nuova, e di li fino a ponente. Il gnomone di venti un piedi fa ombra di sedici piedi. Il pià longo giorno ha quattordici ore equinoziali, e due terzi di una ora. Nel quinto circolo si contengono dall' entrata del mar Caspio, la Battria, 1* lberia l ' Armenia, I* Mesia, la Frigia, lo Ellesponto, la Troade, Tenedo, Abido, Scepsi, Ilio, il monte Ida, Cizico, Lampsa co, Sinope, Amiso, Eraclea in Ponto, la Paflagonia, Lemno, Imbro, Taso, Cassandria, la Tessa glia. La Macedonia, Larissa, Anfipoli, Tessalonica, Pella, Edeisa, Berea, Farsa glia. Cariato, Eubea de' Beozu, Calcide, Delfo, la Acarnania la Etolia, Apollonia, Brundisio, Taranto, Turii, Locri, Reg gio, la Lucania, Napoli, Pozznolo, il mar Tosca no, la Corsica, le Baleariche, mezza la Spagna. Sette piedi di squadrante ne fanno sei di ombra. 11 maggior dì è di quindici ore equinoziali. Il sesto circolo comprende la citti di Roma, abbraccia i popoli Caspii, il Caucaso, le parti settentrionali della Armenia, Apollonia sopra il Rindaco, Nicomedia, Nicea, Calcedone, Bizanzio, Lisimachia, il Cherroneso, il golfo di Melane, Ab dera, la Samotracia, Maronea, Eno, Bessica, la Tracia, la Media, la Peonia, Tllliria, Durazzo, Ca nnaio, ultima parte della Paglia, la Campagna, la Toscana, Pisa, Luni, Lucca, Genova, la Liguria, Antipoli, Marsilia, Narbona, Tarracone, mezza la Spagna Tarraconese e di li per la Lusitania. Nove piedi di squadrante ne fanno otto d’ ombra. Il più lungo giorno è quindici ore equinoziali, e la nona parte d 'una ora ; o, come volle Nigidio, la quinta,
Quinto continentur segmento ab introito Ca spii maris, Bactr», lberia, Armenia, Mysia, Phry gia, Hellespontus, Troas, Tenedus, Abydos, Sce psis, Ilium, Ida mons, Cyzicum, Lampsacum, Sinope,Amisum, Heraclea in Ponto,Paphl»gnnia, Lemnus, Imbrus, Thasus, Cessandria, Thessalia, Macedonia, Larissa, Amphipolis, Thessalonice, Pella, Aetlessa, Beroea, Pharsalia, Carystum, Euboea Boeolum, Chalcis, Delphi, Acarnania, Aetolia, Apollonia, Brundisium, Tarentum, Thu rii, Locri, Rhegium, Lucani, Neapolis, Puteoli, Tuscum maréf Corsica, Baleares, Hispania media. Gnomoni septem pedes, umbrae sex. Magnitudo diei snramahorarum aequinoctialium quindecim. Sexta comprehensio, qua conlinelnr urbs Roma, amplectitur Caspias gentes, Caucasum, septemtrionalia Armeniae, Apolloniam supra Rhyndacum, Nicomediam, Nicaeam, Chalcedo nem, Byzantium, Lysimachiam, Cherronesum, Melanem sinum, Abderam, Samothraciam, Ma roneam, Aenum, Bessicam, Thraciam, Maediam, Paeoniam, Illyrios, Dyrrachium, Canusium, Apu liae extima, Campaniam, Etruriam, Pisas, Lunam, Lucam, Genuam, Liguriam, Antipolin, Massiliam, Narbonem, Tarraconem, Hispaniam Tarraco nensem mediam, et inde per Lusitaniam. Gno*· moni pedes novero, umbrae octo. Longissima diei spalia, horarom aequinoctialium quindecim, addita nona parte anius horae : aut, ot Nigidio placuit, quinta. La settima divisione incomincia dall' altra ri Septima divisio ab altera Caspii maris ora incipit ; vaditque supra Calatim, Bosphornm , viera del mar Caspio, e cade sopra Calati, il Bosforo, il Boristene, Tomo, le parti opposte alla Borysthenem, Tomos, Thraciae aversa, Triballos, Illyrici reliqua, Adriaticum mare, Aquilejam, Tracia, i Tri balli, il resto dello Illirico, il mare Altinum, Venetiam, Vicetiam, Patavium, Ve Adriatico, Aquile», Aitino, Venezia, Vicenza, Pa ronam , Cremonam, Ravennam , Anconam , dova, Verona, Cremona, Ravenna, Ancona, il Pi Picenum, Marsos, Pelignos, Sabinos, Umbriam, ceno, i Marsi, i Peligni, i Sabini, la Umbria, Ari Ariminum, Bononiam, Placentiam, Mediola mino, Bologna, Piacenza, Milano, e tatto dallo num, oraniaque ab Apennino: transque Alpes Apennino in qui, e di li dall’ Alpi la Gallia Aqui tanica, Vienna, il Pireneo, la Celtiberia. L'um Galliam Aquitanicam, Viennam, Pyrenaeam, Cel bilico di trentacinque piedi, ne fa trentasei di tiberiam. Umbilico triginta quinque pedum, umbrae trieinta sex, ut tamen in parte Venetiae ombre ; in. modo però, ehe nella parte di Veoezia
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exaequetur ambra gnomoni: amplissima dies 4*ombra si pareggi col gnomone. Il maggior dì horarum aequinoctialium quindecim, el quinta è di quindici ore equinoziali e tre qOinti d’ ora. rum partiam horae triam. Hactenas antiquorum exacta oelebravimas. In fino a qai abbiamo celebrate le cose trovata Sequeatiam diligentissimi, qaod aaperest terra dagli antichi. I più diligenti,' che son seguiti rum tribus assignavere segmentis. A Tanai per poi, hanno diviso il rimanente della terra in tre Maeotin lacum el Sarmatas usque Borysthenem, circoli. Dal Tanai per la palude Meotide, e per atque ita per Dacos parternqae Germaniae,Gallias, la Sarmazia fino al Boriatene, e così per la Dacia, Oceani litora amplexi, qaod esset horarum sede e parte della Germania, abbracciando le Gallie, e i liti dello Oceano, dove il più Lingo dì sarebbe cim. Alterum per Hyperboreos et Britanniam, di sedici ore. L’ altro passa per gli Iperborei, e horarum decem et septem. Postremam Scythi cam a Riphaeis jugis in Thulen, in quo dies per la Britannia, di ore diecisette.-Ultiraaroente lo continuarentur ( at diximas) noctesqae per vices, Scitico dai monti Rifei in Tuie, dove, come ab biamo già detto, i giorni si continaerebboao, e lidern et ante principia, quae fecimus, posuere circalos duos. Primam per insulam Mero£n, et le notti scambievolmente, di maniera che a certi tempi i giorni sarebbono senza notte, e in altri Ptolemaiden, in Rubro mari ad elephantorum le notti senza giorno. I medesimi posero ancora venatas conditam : abi longissimas dies duodecim horarum esset, dimidia hora amplior. Secandam due circuii avanti ai priacipii posti da noi. Il per Syenem Aegypti euntem, qai esset hora primo per Pisola di Meroe, e Tolemaide, edificata nel mar Rosso per la caccia degli elefanti : dove rum tredecim. Iidemque singulis dimidia ho.rarum spatia asque ad ullimam adjecere circulis. il più lungo dì è di dodici ore e mezza. 11 secondo passa per Siene di Egitto, che sarebbe; di tredici ore. E i medesimi aggiunsero a ciascun circolo lo spazio di mezz’ ora infino all’ ultimo. Et haclenui de terris. E questo basti aver detto della terra.
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HISTORIARUM MUNDI LIBER VII IlOMINUM GENERATIO ET INSTITUTIO, ATQUE INVENTIO ÀRT1UM
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D · rnomwB.
Dbll* oomo.
I. J l a n d u , el in «o terrae, gentes, maria, in colae, insignes orbes, ad hanc modam se habent. Animantium in eodem natara, nullius prope partis eoa tero plalioóe m i n o r est, si quidem om nia exseqoi humanus anima· queat. Prineipium jure tribueter homini, cafuscaasa videtor cancta alia genuisse natura, magna saeva mercede contra tanta saa manera : al non sit satis aestimare, pa reas melior homini, aa tristios noverca fuerit. Ante omnia anom aaimantiam cunctoram, alienis velat opibus: celeri· varie tegamenta tribuit, te stas, cortices, coria, spinas, villos, aetas, pilos, pio· h » d , pennas, squamas, vellera. Truncos etiam «boresqoe cortice, foterdam gemino, a frigoribus et calore lutata est. Hominem tantam nadam, et in noda hamo, natali die abjicit ad vagitas statim et ploratam, nollamqae tot ammaliata aliod ad lacrymas, et has protinus vitae priadpio. At bercales risas, praecox ille et celerrimus, ante qua dragesimum diem aulii datar. Ab hoc Iacis ridi· meato, qaae oe ieras quidem ioter nos genitas, ▼incula excipiant,et omniam membroram nexas: itaque feliciter natas jaoet, manibus pedibasqua devinctis, flens aaimal ceteris imperaturam : et a suppliciis vitam auspicatur, unam tantum ob
I. J.1 mondo, le terre, i popoli, t mari, lr isole, · le cittì illustri, che sono in esso, stanno in qaesto modo. Ora la nalura degli animali, che è nel me desimo, non è quasi punto di miaor contempla zione, se Γ animo amano potesse eseguire ogni co«a. E il prindpio merilamente si dee attribuire all* nomo, per cogion del quale pare che la na tura abbia generate tutte 1* altre cose, veramente con grande e crudel prezzo coatra tanti suoi doni ; di maniera che non può troppo ben giu dicarsi, s*ella è stala all’ nomo miglior madre, o più trista matrigaa. Prima ella ricuopre questo solo fra lutti gli altri animali dell* altrui cose : dove agli altri dà il lor naturai vestimento, gusci, scorze, cuoi, spine, velli, setole, peli, piume, pen ne, scaglie, e lane. Ha conservato anco i tronchi e gli alberi alcuna volta con doppia scorza dal fred do e dal caldo. L’ aomo solamente produsse ignado, e in terra ignuda subito che egli è nato K getta al pianto e al lamento ; e nessuno altro di tanti animali è prodotto alle lagrime, e a que ste subito nel priucipio della vita. E certo che H più tosto che 1* noto# rida non è innanzi al qua rantesimo giorno. Da questo principio di vita è messo in quei legami e m quelle fasciature di
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culpam, qai· natum est. Heu dementiam ab his suillis existimantium ad superbiam se genito» !
Prima roboris spes, primnmqae temporis munus quadrupedi similem facit. Quando homini incessos? quando m ? quando firmum cibis os? qaamdiu palpitans vertex, summae inter cuncta animalia imbecillitatis indicium? Jam morbi, totque medicinae contra mala excogitatae, et hae quoque subinde novitatibus victae. Cetera sentire naturam suam, alia pernicitatem usurpare, alia praepetes volatus, alia nare : hominem scire nihil sine doctrina, non fari, non ingredi, non vesci : breviterquenon aliud natnrae sponte,quam flere, lia que mulli exstitere, qai non nasci optimum censerent, aut quam ocissime aboleri.
Uni animantium laetus est datus, uni luxuria, et quidem innumerabilibus modis, ac per singula membra : uni ambitio, uni avaritia, uni immensa vivendi cupido, uni superstitio, uni sepulturae cura, atque etiam post se de futuro. Nulli vita fragilior, nulli rerum omniam libido major, nulli pavor confusior, nulli rabies acrior. Deuique ce tera animantia in suo genere probe degunt : con gregari videmus, et stare contra dissimilia. Leo· eam "feritas inter se kion dimicat : serpentium morsus non pelit serpentes: ne mari· quidem belluae ac pisces, nisi in diversa genera, saeviunt. A l hercules homini plurima ex homine suat mala.
i. Et d« universitate quidem generis hum ani, magna ex parte in relatione gentium diximus. Neque enim ritus moresque nunc tcactamus, in* numeros, ac totidem paeue, quot sunt hominum coetus: quaedam tamen haud omittenda duco, maximeqae longius a mari degentium: in quibus prodigiosa aliqua et incredibilia mullis visum iri haud dubito. Quis enim Aethiopas, antequam cerneret, credidii? aut quid non miraculo est, quum primum in notitiam venit ? Quam multa fieri non posse, priusquam sint lacta, judicantur? Naturae veto rerum visatque m ajestasia omni·
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tutto il corpo, che non hanno neppure le fiere nate tra noi: onde felicemente nato ή giace con le mani e oo’ piedi legati, piangendo, quello animale, che i per dover comandare agli altri ; e da1tormenti comincia la sua vita, e questo solamente perchè egli è nato. Gran pazzia di coloro, i quali da questi principii si danno a cre dere di esser nati per usar superbia. La prima speranza della sua fortezza, e il pri mo dono, che gli dà il tempo, lo fa simile a una bestia di quattro piedi. Quando incomincia Γ uo mo a ire ? quando a favellare ? quando a man giar da sè stesso ? quando se gli ferma egli il co cuzzolo, segno di debolezza grande fra tulli gli animali? Tanti mali, e tante medicine trovate cootra le infermità, e queste ancora del continuo son vinte dalle novità. Gli altri animali conoscono la lor propria natura: alcuni hanno la velo cità del correre, altri il volo, altri il nuotare. Lo uomo non sa nulla, se non gli è insegnato, non favellare, non andare, uón mangiare : bre vemente altro non sa per naturale iuslinto, che piangere. Però sono stati molli, i quali hanno giudicalo il meglio, o non nascerci mai, o morir quanto prima. A questo uno fra tutti gli altri animali è stalo dato il pianto, a questo solo la lussuria, e certo per infiniti modi, e per ciascun membro : ad esso solo è stata data Γ ambizione, l’ avarizia, il gran desiderio dì vivere, la superstizione, la cura della sepoltura, e anco delle cose, che dopo lui hanno a venire. Nessun altro ammala ha piè fragil vita, niuno ha maggior desiderio di tutte le oose, niuno ba più «onfusa paura, e ninno ha più terribil rabbia di lui. Finalmente gli altri aoimali vivono quietamente nel genera loro : noi gli reggiamo serrarsi iosieme, e difen dersi conir· quegli che sono di altra specie. La ferocità de'leoni non combatte fra loro, i ser» peni» non mordono i serpenti ; ma nè anco le bestie e i pesci del mare, non incrudeliscono se non contra quegli, che non sono della specte loro : ma veramente l'uomo riceve assai più mal dall'uomo, che da altro. i. Noi abbiamo già ragionato in gran parto del genere umano nel raccontar le nazioni. Per ciocché noi nou trattiamo ora delle usanze a costumi, che sono infiniti, e quasi altrettanti quante sono le raunanze degli uomini: credo però dover ragionare di alcune oose, e massimamente di coloro, che abitano più lontano dal mare, nei quali senza dubbio tengo che si troverai»· alcune cose prodigiose e iocredibili a molti. Per ciocché chi ha potuto credere, che vi sieno gli Etiopi, prima ehe gli abbia veduti? e qual «osa è»che non paia miracolo, si tosto che altri a' ha
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hos àaomentis fide caret; si quis taodo partes ejas,ac non lotam complectatur animo. Ne pavo* nes, aat ligrium, pantberaramqae macalas, et toi animaUam piet aras commemorem, parvam dicta, sed immensam aestimatione, tot gentium aer mones, tot linguae, tanta loquendi varietas, ut externus alieno paeoe nou sit hominis vice. Jam ia facie valtuqne nostro, qaam siat decera, «at panilo plora membra, nullas duas in tot snillibas bomiaus indiscretas effigies exsistere: qaod ars nulla in paucis numero praestet adfectaodo. Nec tamen ego in plerisque obstringam fidem meam, potinsque ad aactores relegabo, qai dubiis reddentur omnibus: modo oe sil fasti* dio Graeoos sequi, tanto maj ore eorum diligentia vel cara vetustiore.
cognitione ? Quante cose si giudica che non si possao fare, prima ch'elle sien falle ? Ma la for za e maestà della natura ogni momento perde fede, s'altri considera solò le parti di essa, · non lei tutta, lo non istarò a raccontare i pavoni, nè le macchie delle tigri e delle pantere, e le pit ture di tanti animali, cosa piccola a dirsi, ma grande a considerarsi, tanti ragionamenti di na zioni, tante lingue, tanta diversità di favelle, di maniera che un forestiere non pare quasi che uomo a an altro uomo. Ed essendo nella persona e viso nostro dieci membri o poco piò, in tante mi gliaia di persone non si trovano doe effigie, che si somigliano allatto : la qoale cosa nessun'arte po trebbe fare io poche figure, qoando anco s'affati casse in ciò mollo. Io non voglio però obbligar la mia fede in molte cose, che io son per dover dire, ma piuttosto rimetterò chi legge agli autori, i quali saranno assegnati di tulli i dubbii, pur che altri noa abbia a noia seguitare i Greci, es sendo stati di maggior diligenza, e di più aulica cura.
O e ITICM MltAElLES t lG O U I.
D ELLE MIRABILI FIOCHE DI ALCUNE GENTI.
li. a. Esse Scylharum genera, et qaidem plar&,qaae corporibus humanis veseereotar indi cavimus. ldipsum incredibile fortasse, ni cogitemus in medio orbe terrarum, ac Sicilia et Italia fuisse gentes hnjus monstri, Cyclops* et Laestrygooas, et nuperrime trans Alpes homioem im molari geatiam earum more solitum; quod paulluaa a mandendo abest: sed et justa eos, qui sunt ad septerntriooem versi, baud procul ab ipso Aquiloais exorta, specaque ejus dicto, quem locum Gesclitoa appellant, prodantur Arimaspi, quos diximus, aoo oculo in fronte media insi gnes: qaibus assidue bellum esse circa metalla cum gryphis, ferarum volucri genere, quale vulgo traditar, eraeate ex cuniculis auram, mira cupi ditate et feris custodientibus, et Arimaspis ra pientibus, multi, sed maxime illustres Herodotus, «I Arialeas Proconnesias scribant.
Saper alios aulem Aothropophagos Scytha*, in qaadam eoavalle magna Imai montis, regio est, qaae vocator Abarimon, io qua silvestres vivuat homines, aversis post crura plautis, eximiae velocitatis, passim cum feris vagantes. Hos in alio oon api rare coelo, ideoque ad fiaitimos rege· b o o pertrahi,neque ad Alexandrum Magnum per* tractos, Baeton itinerum ejus mensor prodidit. Priores Anlbfopopfcagoa, quos ad septentrio* •em case diximus decem dierum itinere sopra
II. a. Noi abbiamo già detto, che vi sono Scili di piò sorti, i quali mangiano carne amana. II medesimo parrebbe forse incredibile, quando noi non sapessimo, che simili mostri ancora sieno stati in mezzo il mondo e io Sicilia, e in Italia, cioè 1 Ciclopi e i Lestrigoni, e che novamente ancora di là dall'Alpi s* è trovato che quelle nazioni ave vano in usanza di sacrificare gli uomini ; in che è poca differenza dal mangiarli. Ma appresso a que gli Scili, i quali son volti a tramontana, poco lon tano da levante aquilonare, e da quella spelonca, che si chiama Gescliton, si dice che vi abitano gli Arimaspi, che noi dicemmo, i quali hanno uo occhio solo io mezzo della fronte: molti scrivono, e massimamente uomini illustri, come Erodoto, e Arislea Proconesio, che costoro di contino© fanno guerra co' grifoni, i quali, come volgar mente ai dice, son uccelli, che cavano l’ oro, · assai gelosamente con l'aiuto d'altre fiere lo guar dano, e gli Arimaspi fanno forza di torlo loro. Sopra gli altri Sciti Antropofagi, in una certa gran valle del monte Iraao è un paese, che si chiama Abarimon, dove abitano uomini salvatichi, che hanno i piedi volli dì dietro, di grandis sima velocità, e praticano con le fiere. Qoesti non vivono in altra parte del mondo, e perciò non si posson condarre a* re vicini ; nè farono anco coadotti ad Alessandro Magno, siccome scrisse Belooe isterico de1suoi viaggi. Dice lsigono Niceense, che i primi Antropoligi, i qaali dicemmo che son volti a iramontana,
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Borysthenem amnem» ossibus humanorum capi* tum bibere, cutibusque cum capillo pro mante libus ante pectora uti, Isigonus Nicaeensis. Idem in Albania gigni quosdam glauca ocolorom acie, • pueritia stalim canos, qui noctu plus quam jnlerdiu cernant. Idem itinere dierum decem supra Borysthenem Sauromatas tertio die cibum capere semper. Crates Pergamene» in Hellesponto circa Pa riam, genas hominum fuisse tradit, quos Ophiogenes vocat, serpentium ictus contactu levare soli (os, et mana imposita venena extrahere cor pori. Varro etiamnam esse paucos ibi, quorum .salivae conlra ictus serpentium medeantur. Simi* lis et io Africa gens Psyllorum fuit, at Agatbarchides scribit, aPsyllo rege dicta, cujus sepulcrum in parte Syrliara majorum est. Horam corpori ingenitum fuit virus exitiale serpentibui, et cujus odore sopirent eas. Mos vero liberos genitos pro tinus objiciendi saevissimis earum, eoque genere pudicitiam conjugam experiendi, non profugien tibus adullerioo sanguine natos serpentibus. Haec gens ipsa qaidera prope internecionesablata est a Nasamonibus, qai nunc eas tenent sedes : genus tamen hominum ex iis qui profugerant, aut guum pugnatam est,abfuerant,hodieque remanet in paucis. Simile et io Italia Marsorum genus durat, quos a Circae filio ortos ferant, et ideo inesse iis vim nataralem eam. Et tamen omnibus contra serpentes inest venenum : feruotque ictas saliva, ut ferventis aquae contactam fugere. Quod si iu fauces penetraverit, etiam mori : idque ma xime hamani jejuni oris.
Sapra Nasamona* cofinesqoe illis Machlyas, Androgynos .esse otriusqae naturae, inter se vicibus coeuntes, Calliphane» tradit. Aristoteles adjicit dextram mammam iis virilem, laevam mu liebrem esse. In eadem Africa familias quasdam effascinantifila, Isigonus etNyrophodoros : quorum lauda tione intereant probata, arescant arbores, emo riantur infantes. Esse ejosdem. generis inTriballis et Illyriis, adjicit Isigonus, qui visu quoque effascinent, interimantqoe quos diutias intuean tur, iratis praecipue oQulis: quod eorum malum facilius sentire puberes. Notabilia* esse quod papillas binas in oculis singulis habeant* Hujus generis et femina* in Scythia, quae vocantur Bithyae, prodit Apollonide*. Phylarchus et in Potito. Thibiorum genus»multosque «lio* ejusdem
dieci giornate «opra il fiume Boriitene, beono con P oasa de1capi umani, e «sano le co tea ne co' capegli per mantelli dinanzi al petto. 11 mede simo dice che in Albania nascono certi con la pupilla degli occhi verde, i quali da fanciullezza subito son canuti, e veggono pià la notte, che il giorno. Dice ancora, che dieci giornate sopra il Boriatene i Sauromati mangiano sempre ogni terzo giorno. Scrive Crate Pergameno, che veli’ Ellesponto circa Pario fu una sorte d 'nomini, eh1egli chia ma Ofiogeni, i qoali col toocar solo guariscono il morso de1serpenti, e mettendovi so la mano, cavano il veleno del corpo. Dice Varrone ancora, eh* oggi qoivi sono alcool pochi, i qoali eoo le saliva medicano il morso de1serpenti. Simili a qaesti farooo i Psilli in Africa, come scrive Agatarchide, cosi detti dal re Psillo* il cui sepolcro è in una parte delle Sirli maggiori. Ne1corpi di costoro era oaluralraenle ingenerato un veleno pestifero a1serpenti, perchè solamente con l'odo re gli occidevano. Usano costoro di mettere i lor figlinoli subito che soo nati dinanzi a crodelissimi serpenti, e provare in quel modo la pudicizia delti lor mogli, perchè i figliuoli legittimi non friggono da'serpenti. Questi popoli sono stati qnasi spenti affatto da' Nasamoui, i quali abitano ora qoel paese: noodimeoo la razza loro, tra quelli che fuggirooo, o non vi Corono, quando si combattè, oggi non conta che pochi. 11 me desimo dora oggi io Italia ne1popoli Marsi, i quali, secondo che si dice, haooo avuto origine da un figliuolo di Circe, e però hanno questa virtù per istinto naturale. E nondimeno tutti gli uomini hanno il veleno contra le serpi ; percioc ché dicono, che se si spata loro addosso, elle foggooo, come se fossero toeche dall'aequa bollita. E se lo sputo entra loro in bocca, elle muoiono ancora : e massimamente se Γ uomo è digiuno. Scrive Calli fané, che sopra i Nasamoni, e i Maclii lor confini, sono gli Androgini che beano l ' uno e l ' altro sesso, e usano insieme come toma lor bene. Aristotele vi aggiogue, che essi hanno la poppa ritta di maschio, e la manca di donna. Isigono e Ninfodoro scrivono, che nella me desima Africa sono aleute ifamiglie, che amma liano, le quali se lodano cosa alcun», ne va a male, gli alberi si seocaoo, e i bambini sì muo iono. Dice di più Isigono, che di qoesta medesima qualità sono nomini nel paese de' Tribalti e la llliria, i quali col guardo solo ammaliano, e uc cidono coloro ch'essi guardan fiso, massimamen te .con occhi adirati : e a qoesto ·pericolo vaoao più facilmente i fanciulli. E cosa più notabile è questa, che essi hanno due pnpiBe per ciascuno occhio. Scrive Apollonide anch'egli, che ia Scssia
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natara· : quorum notas tradit in altero ocalo geminam papillam, in altero equi effigiem. Eos dem praeterea non posse mergi, ne veste qaidem degravatos. Haud dissimile iis genus Pharnacam in Aethiopia prodidit Damon, quorum sador tabem contactis corporibus adferat.
Feminas quidem omnes ubique visu nocere, qaae duplices papillas habeant, Cicero quoqae apud nos auctor est. Adeo naturae, quum fera* rum morem vescendi humanis visceribus in homi ne genuisset, gignere eliam in toto corpore, et in quorumdam oculis quoque venena placuit : ne quid usquam mali esset, qaod in homine non esset. Haad procul urbe Roma in Faliscorum agro familiae sunt paucae, quae vocantur Hirpi : hae sacrificio annuo, quod fit ad montem Soractem Apollini,super ambuslam ligni struem ambulan les non adurantur. Et ob id perpetuo senatuscon sulto militiae omniumque aliorum munerum vacationem habent. Quorumdam corpori partes nascuntur ad aliqua mirabiles: sicut Pyrrho regi pollex in dextero pede, cnjus tactu lienosis medebatur. Hunc cremari cum reliquo corpore non potuisse tradunt, conditumque loculo in templo,
Praecipue India Aethiopumque tractus mira» culis scateut. Maxima in India gignuntur anima lia. Indicio sunt canes grandiores ceteris. Arbores qoidem tantae proceritatis tradantur, ut sagittis superjaci nequeant. Haec facit nbertas soli, tem peries coeli, aquarum abandantia ( si libeat cre dere), ut sub una ficu turmae condantur equitum. Arundines vero tantae proceritatis, ut singula inter nodia alveo navigabili ternos interdum homines ferant. Multos ibi quina cobita constat longitudine excedere : non exspuere : non capitis, aut den tium, aut oculorum nilo dolore adfici, raro alia rum corporis partium : tam moderato solisvapore durari. Philosophos eorum, quos gymnosophistas vocant, ab exortu ad accasum perstare, contuen tes solem immobilibus oculis : ferventibus arenis toto die alternis pedibus insistere. In monte, cui nomen est Nulo, homines esse aversis plantis, octonos digitos in singulis habentes, auctor est Megaslhenes.
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sono donne di questa sorte, le quali si chiaraan Bitie. Filarco dice, che in Ponto sono popoli detti Tibii, e molti altri della medesima nalura ; i quali in nn occhio hanno due papille, e nell'al tro effigie di cavallo. Oltre di questo dice, che i medesimi non possono andar sotto acqua, ancor che fossero aggravati da vestimenti. Scrive Da mone, che in Etiopia sono i popoli Farnaci, poco differenti da questi, il cui sudore fa marcire i corpi che tocca. E Cicerone anch' egli afferma, che tolte le donne, che hanno due pupille, nuocono per tutto con la vista. E cosi la natura, avendo generato nell' uomo il costume delle fiere di mangiar carne umana, ha voluto anco generare in lutto il corpo, e negli occhi d 'alcuni il veleno, acciocché non si trovasse sorte di veran male, che nell' uomo non fosse. Poco discosto da Roma nel territorio de' Fa lisci sono alcune poche famiglie, che si chiamano Irpie, le quali in un certo sacrificio, che si suol fare ogni anno ad Apolline nel monte Soratte, vanno sopra una massa di legni bene accesa, o non ardon punto. E per questo rispetto per de creto perpetuo del senato sono falli esenti dalla milizia, e da ogni altra gravezza. In alcuni corpi nascono parti maravigliose a qualche cosa, siccome al re Pirro il dito grosso del pie ritto, col quale toccando egli alcuuo, che avesse avuto male di milza, lo veniva a guarire. Dicesi che questo dito, quando fu arso il resto del corpo, non si potè abbruciare, e perciò fu riposto nel tempio in una cassetta. Ma soprattutto l ' India e I' Etiopia son piene di miracoli. Nascono in India grandissimi anima li. Testimonio di ciò sono i cani maggiori degli altri. Dìcesi ancora,che gli alberi quivi sono tanto alti, che le saette non vi possono aggiugnere in cima. E tale è la grassezza del terreno, la tem perie dell' aere, 1' abbondanza dell' acque (se ciò si può credere), che sotto un fico stanno le schiere intere de'cavalli. E le canne vi sono tanto gran di, che ciascuno bncciuolo in luogo navigabile, porta talora tre persone. Molti uomini quivi sono piò alti di cinque braccia, che uon isputano, che non hanno mai alcun dolore di capo, di denti, nè d 'occhi, e rare volle d 'altre parti del corpo ; così è ben temperato-il vapor del tele, che gl'indura. I filosofi loro che si chiamano ginosofisti, stan no dalla mattina alla sera con gli occhi fissi guar dando nel sole, e tutto di camminano a piedi ignudi sopra l 'arene bollenti. Sul monte Nulo, siccome scrive Megastene, sono uomini co' piedi volti al contrario, avendo otto dita in ciascun piede.
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In maltis totem montibus genas hominam capitibas caninis, ferarum pellibus velari, pro voce latraturo edere, unguibus armatam venata et aucupio vesci. Horum suprji centum viginti millia fnisse prodenle se Ctesias scribit: et in quadam gente Indiae,feminas semel in vita parere, genitosque confeslim canescere. Item hominum genus, qui Monocoli vocarentur, singulis cruri* bus, mirae pernicitatis ad saltom: eosdemque Sciapodas vocari, quod in majori aestu humi jaccntes resnpini, umbra se pedum protegant : non longe eos a Troglodytis abesse. Rursusqueab his occidentem versos, quosdam sine cervice ocuhis in humeris habentes.
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In molti monti sono uomini «on capi di cane, i quali si vestono.di pelli di fiere, e in cam bio di parlare, abbaiano : · armati di ugna vivono di cacciagione e uccellagione. E diconsi dì questi essere stati più di cento venti mila, secondo che Ctesia scrive: ed è un paese nelPIndia, dove !· donne solo una volta figliano, e i figliuoli subito che son nati diventano canali. Evvi anco nna sorte d*nomini,che si chiamano Monocoli,che han no una gamba sola, e sono di gran velocità nel saltare; e questi ancora si chiamano Sciapodi, perchè quando è maggiore il caldo del sole, essi stanno in terra rovescio, e con Γ ombra de* piedi si ricuoprono; e sono poco discosto da’ Tragloditi. E dì nuovo dice, che dopo questi verso po nente sono alcuni uomini senza cervice, i quali hanno gli occhi nelle spalle. Sunt et Satyri subsolanis lodoram montibus Sono anco Satiri ne1monti d 'India volli a le ( Catharcludorum dicitur regio) pernicissimum vante (il paese loro si chiama i Catarcludi) : qaesti animal: quum quadrupedes, tum recte currentes, sono velocissimi, e corrono quando da quadro* bomana effigie, propter volocitatem, nisi senes pedi, osando le bracoia per gambe, quando ritti aut aegri, non capiuntur, Chororoandarum gen sui piedi : haono effigie di uomo, e per la loro tem vocat Tauron, ailvestrem, sine voce, stridoris velocità non si prendono mai se non vecchi, o in horrendi, hirtis corporibus, oculis glaucis, denti fermi. Dice Taurone i Coromandari son uomini bus caninis. Eudoxus in meridianis Indiae, viris salvatichi, che in cambio di favellare, strìdono plantas esse cubitales : feminis adeo parvas, ut terribilmente, e che hanno il corpo piloso, gli oc Strulbopodes appellentur. chi verdi, e i denti di cane. Scrive Eudosso, che nelle parti meridiane d'india gli uomini hanno le piante lunghe un braccio, e le donne vi sono in modo piccole, che perciò si chiamano Strutopode. Megasthenes gentem inter Noroadas Indos Megaslene scrive, che fra gli Indi Nomadi nariora loco foramina tantum habentem, angui* sono uomini che in luogo del naso haitao sola ura modo loripedem, vocari Scyritas. Ad extre mente fori, e le gambe torte, come serpenti, e mos fines Indiae ab oriente circa fontem Gangis, chiamansi Siriti. Agli estremi confini dell'india Astomorum genlem sine ore, corpore toto hirtam verso levante sono uomini presso alla fonte del vestiri fondium lanugine, halitu tantum viventem Gange delti Astomi, senza bocca, con tutto et odore quem naribus trahant. Nullum illis il corpo piloso, i quali si vestono di quella lana, cibum, nullumque potum : tantum radicum flo- che producon le frondi, e vivono solamente di rumque varios odores et silvestrium malorum, alito, e d 'odore, che tirano col naso. Questi non quae secom portant longiore itinere, ne desit mangiano, nè beano nulla, ma usano varii odori olfactus: graviore paullo odore haud difficulter di radici, e di fiori, e di mele selvatiche, le qaali exanimari. portano con esso loro per luogo cammino, ac ciocché non manchi loro che fiutare, e muoiono per ogni poco di cattivo odore, che sentono. Supra bos extrema in parte montium Trispi· Sopra di questi nell* estrema parte de* monti thami, Pygmaeique narrantur, ternas spithamas dicesi che vi sono i Trispitami Pigmei, i qaali longitudine, hoc est, ternos dodrantes non exce nQn sono lunghi più che tre spanne, dove è l ' ari» dentes, salubri cuelo semperque vernante, mon molto sana, e sempre primavera, essendovi i monti tibus ab Aquilone oppositis : quos a gruibus che difendono da Aquilone: i quali, siccome infestari Homerus quoque prodidit. Fama est, scrisse anco Omero, sono travagliati dalle gru. insidentes arietum caprarumque dorsis, armatos Dicesi che nella primavera cavalcando essi soprsi sagittis, veris tempore, universo agroiue ad mare montoni o capre,e armati di saette vanno in (schie ra alla marina, e guastano Γ uova, e i figliuoli di descendere, et ova puliosque earum alitum consu mere : ternis expeditionem eam mensibus confici, quegli uccelli : questa impresa fanno ogni tre aliter futuris gregibus non resisti. Casas eorum mesi, altrimenli non si potrebbon difendere dalla luto, pennisque el ovorum putaminibus construi. gran quantità di quelle gru. Fanno le case loro di
HISTORIARUM MUNDI MB. VII.
Aratotele» ία eaférnii vìvere Pygmaeo* Indit : celera de his, at reliqui. Cyrno» Indorum genus Isigonus annis cente«is quadragenis vivere. Item AethiopasMacrobios et Seras existimat, et qai Alboa montem incolant : hos qaidem, qaia viperinis carnibus alanlnr : itaqae nec capiti, nec vestibus eorum noxia cor pori inesse animalia. Onesicritus, qaibas locis Indiae umbrae non sint, corpora hominum cubito rura quiouro, et binorum palmorum exsistere, et vivere annos centum triginta, nee senescere, sed ut medio aevo mori. Crates Pergamenos Indos, qui cen teno* annos excedant, Gymnetas appellat, non pauei Macrobios. Clesias gentem ex bis, quae appelletur Pandore, in eonvallibas silam, annos ducenos vivere, iù juventa eandido eapillo, qui in senectute nigrescat. Contra alios, quadragenos non excedere annos, junctos Macrobiis, quorum feminae semel pariant: idqae et Agatharchides tradit. Praeterea locustis eos ali, et esse pernices. Mandorura nomen iis dedit Clitarchus, et Maga si heoes, ireeentosqae eorum vicos adnumerat. Feminas septimo aetatis aono parere, senectam quadragesimo accidere. Artemidorus, in Taprobana insula loogissimam vilam sine ullo corporis languore traduci. Duris, Indorum quosdam cam feris coire, mixtosque et semiferos esse partus. In Calingis, ejus dem ludiae gente, quinquennes concipere femi nas, octavum vitae annum non excedere. Et alibi cauda villosa homines nasci pernicitatis eximiae, alios auribus totos contegi. Oritae ab Indis Arbis fluvius disterminat. Hi nullum alium eibum no vere, qaam piscium, qnos unguibus dissectos sole torreant : atque ita panem ex his faciant, ut refert Clitarchus. Troglodytas super Aethiopiam velo ciores esse equis, Pergamenus Crates. Itera Aethio pas octona cubita longitudine excedere : Syrbotas ▼ocari gentem eam.
Nomadum Aelhiopum, secundum flumen A«tragum ad septemtrionem vergentium, gens Me■isminorum appellata, abest ab Oceano dierum itinere viginti, animalium, quae Cynocephalos vocamus, lacte vivit, quorum armenta pascit maribus interemptis, praeterquam sobolis causa, in Africae solitudinibus hominum species obfiae aubiude fiunt, momenloque evanescunt. Haec atque talia ex bominam genere ludibria sibi, no bis miracula, iugeniosa fecit nalura. Et singula quidem, quae facit in dies, ac prope horas, quis
Η*
loto, e di penne, e di gusci d 'uova. Dice Aristo tele; che i Pigmei vivono nelle caverne. Nell’ altre cose s' accorda con gli altri scrittori. Scrive lsigono, che i Cimi popoli dell1India vivono centoquaranta anni. E quel medesimo tiene degli Etiopi Macrobii e de'Seri, e di quei che abitano sul monte Alo : e questi, perchè si pasco no di carni di vipere, avviene che nè nel capo, nè nei vestimenti loro non hanno auimali nocivi al corpo. Scrive Onesierito, che in quei luoghi di In dia, dove non sono ombre, i oorpi degli uomini sono alti cinque braccia e due palmi, e vivono centotrenta anni, e non invecchiano, ma muoiono come di mezza età. Crate Pergameno chiama que gli Indiani, che passano cento anni, Gimueti, e molti gli chiamano Macrobii. Ctesia scrive, che uba gente di questi, che si chiama Pandore, posta nelle vatli, vive dugento anni, dove in giovanez za hanno i capei canuti, e in vecchiezza neri. Per lo contrario alcuni altri non passano quaranta anni, i quali confinano co1Macrobii, le cui donne non figliano più che una volta : e ciò scrive anco Agatarchide. Oltre a ciò, che vivono di locuste, o ehe son molto veloci. Questi tali da Clitaroo e Megastene son chiamati Mandi, e annoverano trecento lor villaggi. Le donne partoriscono di sette anni, e di quaranta sou vecchie. Dice Artemidoro, che nell' isola Taprobana vivono lunghissima vita senza alcuna infermità di corpo. Dice Duri), che alcuni Indiani usauo con le fiere* onde ne nascono i parli misti, e mez zi fiere. E ne' Calingi, popoli similmente dell' In dia, le donne di cinque anni figliano, e non vivooo più che otto anni. E altrove nascono uomini con la coda pilosa di grandissima . velocità, e alcuni altri si ricuopron tutti con l ' orecchie. Il fiume Arbi parte gli Oriti dagli Indiani. Questi non usano altro cibo, che pesci, i quali sparali con Γ ugne seccano al sole ; e così di essi fanno pane, come scrive Clitarco. Dice Crate Pergame no, che sopra Γ Etiopia sono i Trogloditi mollo più veloci, che i cavalli ; e che sono otto braccia più lunghi che gli Etiopi, e che si chiamano Sim boli quella gente. Dei Nomadi Etiopi, i quali abitano lungo il fluide Astrago verso tramontana, i popoli Menismini sono lontani dal mare venti giornate, e vi vono del latte di quegli animali, che noi chia miamo Cinocefali, le cui mandre essi mantengono, uccideudo i maschi, in fuor che quegli, che si serbano per far razza. Nei diserti di Africa spesso »’ incontrano figure di uomini, e in un trailo spa riscono. Queste e altre cose fra il genere umauo produce la ingegnosa nalura per suo scherzo, e per nostra maraviglia. E chi potrebbe mai rac-
C. PLINII SECUNDI
6^3
enumerare valeat? ad detegendam ejus poten tiam, satis sit inter prodigia posuisse gentes.
Hinc ad cpnfessa in homine paucà.
P rodigiosi
p a b t u *.
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contare le cose particolari, che ella fa tatto il giorno, e quasi a ciascuna ora ? Ora per Cip co noscere la sua gran potenza, batteri aver mesto le genti fra i prodigii. Di qni verremo a dire alcune poche 009· manifeste nell' nomo. D ei
v a i t i pro d ig iosi .
111. 3. Certa cosa ò per lo esempio degH Or»· 111. 3. Tergeminos nasci certam esi, Horatiorara Curiaiiorumque exemplo: supra, inter zìi e dei Curiazii, che possono nascere tre a u à parto ; ma se son più, si tien per mostro ; foor ostenta dicitur: praeterquam in Aegypto, abi fetifer pota Nilus amnis. Proxime, sapremis divi che in Egitto, dove l’ acqua del NHo è molto ge Augusti, Fausta qaaedam e plebe, Ostiae duos nerativa a berla. Testi, negli anni aitimi delnares, totidem feminas enixa, famem, quae .con l ' imperio di Augusto, una certa Fausta donna secuta est, pprtendit haud dubie. Reperìlur et in plebea, partorì a Ostia due maschi e due fem Peloponneso binos quater enixa, majoreraque mine, il che senza dubbio fu segno delta («me, partem ex omni ejas vixisse partu. Et in Aegypto che seguì dipoi. Traovasi, che nel Peloponneso septenos uno utero simul gigni auctor eslTrogus. una donna partorì quattro volle, doe figliuoli per volta, e la maggior parte camparono. E Trogo scrive, che in Egitto qualche donna ne ha (alti «ette a un parto. Generansi ancora dell' uno e Γ altro sesso, i Gignuntur et ulriusque sexns, quos Herma· pbroditos vocamus, oliai Androgynos vocatos, et quali si chiamano Ermafroditi, e già furon detti Androgini, e avuti per prodigii, ora tenuti per in prodigiis habitos, nunc vero in deliciis. delizie. Pompeo Magno negli ornamenti del teatro Pompejus Magnas in ornamentis theatri mi rabiles fama posuit effigies, ob id diligentius pose alcune figure mirabili per fama, per questo magnorum artificum ingeniis elaboratas, inter più diligentemente lavorale dagli ingegni degli quas legitur : E c t t c b i s , a xx l i b e b i s b o g o i l artefici : fra le quali si legge di una eh' ebbe no l a t a , T b a l l ib o s e n ix a x x x vABTug. Alcippe éleme Eoliche, la quale in Traili avendo partoriti pbanlura, quamquam id inter ostenta est. Nam trenta figlinoli, fu portala alla sepoltura da venti. que el serpentem peperit inter initia Marsici belli Alcippe, partorì uno elefante, ancora che ciò fosse ancilla. Multiformes pluribus modis inter mon prodigio. Perciocché ancora nel principio della stra parius eduntur. Claudius Caesar scribit Hip guerra dei Marsi una fante partorì un serpente. 1 parli di più forme e più modi si mettono per pocentaurum in Thessalia natum eodem die intèriisse. E t nos principatu ejus allatum illi ex mostri. Claudio imperadore scrive, che in Tessa Aegypto in meile vidimus. E s t inter exempla, in glia nacque nno Ippocentauro, il quale si morì il medesimo giorno. E io nel principato suo lo uterum protinns reversus infans Sagunti, quo vidi, che gli fu portato di Egilto nel mele, l ’ruoanno ab Hannibale deleta est. vasi negli esempi!, che in Sagunto, quell'sono che ella fu ruinala da Annibaie, un fanciullo gii nato ritornò subilo in corpo alla madre. 4. Che delle femmine si mulino in maschi 4 ·Ex feminis mutari in mares, non est fabu losum. Invenimus in annalibus, P. Licinio Crasso, non è punlo cosa favolosa. Noi troviamo negli C. Cassio Longino coss. Casini puerum factum annali, che essendo consoli P. Licioio Crasso, e ex virgine sub parentibus^ jussaque aruspicum Caio Cassio Longino, a Casino nna fanciulla di deportatura in insulam dcseriam. .Licinius Mu- ventò maschio sotto il padre e la madre, e per ciaqus prodidit, visum a se Argis Arescontem, comandamento degli indovioi fu portata in una isola deserta. Scrive Licinio Muziano aver veduto cui nomen Arescusae fuisset : nupsisse etiam, mox in Argo Aresconte, che prima avea veduto Arebarbam el virilitatem provenisse, uxoremque du xisse. Ejusdem sortis et Smyrnae puerum a se scusa, la qnale ancora si era maritata, dipoi mise visum. Ipse in Africa vidi mutatura in marem la barba, diventò maschio e anco menò moglie; e che egli aveva veduto ancora a Smirne un fan nuptiarum die L. Cossicium civemTbysdrilanum· ciullo della medesima torte. E io medesimo vidi
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VII.
Editi* gemiois rara» ette, aat puerperae, aat peerperio, praeterquam alteri, vitam: *i vero alriusque sexus editi s ia t gemini, rariorem otri* que Mia lem: feminas gigni celerius, qaam marea, aleuti celerias seoescere : M e p ia s in atero rnoveri mare*, et in dextera fer· geri parte* in lae?a fe ttina*, constai.
Db b o m b e
g e h e b a n d o : p a e ik itd i te m p o b a
V E E IL L U ST B IA : EXEMPLA A MENSIBUS TU AD X I.'
6 .{6
in Africa f<. Cossicio cittadino TisJrilano, che si mutò in maschio il giorno delle nozze. Quando nascono due a un parlo, rade volta avviene che vivano amendue, cioè la madre e il parto, ma sì bene Γ uno di essi. E se ci nascono maschio e femmina, raro è che campi l'uno e Pel tro. Nascono più presto le femmine, che i maschi, come anco invecchiano più presto. 1 maschi si muovono più spesso nel corpo, e stanno quasi per lo più dalla parte ritta, le femmine da man manca. D e l l * domo
da gexebabsi
:
n o t a b il i t e m p i d i p a b -
TOEIEB : ESEMPII DA SETTE MESI AGLI CEDICI.
IV. 5. Ceteris animantibus statam, et parien· IV. 5. Gli altri auimali hanno il tempo ordi di, el partus gerendi tempus est : homo toto nato del partorire, e di portare il parto, ma l ' uo anno, et iAcerto gigbilur spalio. Alias septimo mo s 'ingenera per tutto Γ anno, e in ispaxio in mense, alias octavo, et usqae ad initia. decimi certo: chi nel settimo mese, chi nello ottavo, e uodectmiqae. Aote septimam mensem haud um- fino al principio del decimo, e dell1 undecimo. Quello, che ci uasce innanzi il settimo mese, non qoara vitalis est. Septimo non nisi pridie posterove plenilunii die, aut interlunio concepti nas· usa di campare. Nel set limo mese non nascono cantor. Tralatitium in Aegypto est et octavo se noti quegli, che sono concepiti un dì innanzi gigni. Jam quidem et in Italia tales partus esse o dopo la piena luna, o nella sua congiunzione. vitales, contra priscorum opiniones. Variant haec In Egitto-ècosa ordinaria nascere nell1 ottavo pluribus modis. Vestilia, C. Herdicii, ac postea mese. E in Italia ancora vivono cotai parli, con Pomponii, atque Orfili clarissimorum civium tra la opinione degli antichi. Variano queste cose eon{ux,ex his quatuor partus enixa, Sempronium in più modi. Veslilia moglie di C. Erdicio, e di septimo mense genuit, Suillium Rufum undecimo, poi di Pomponio, e di Orlilo, chiarissimi citta Corbulonem septimo, utrumque consulem : po dini, figliò quattro volte di questi tre, e partorì stea Caesoniam Caji principis conjugem, octavo. Sempronio dì sette mesi, Suillio Rufo d'undici, In quo mensium numero genitis, intra quadra e Corbulone di sette, Γ uno e Γ altro consolo : gesimum diem maximas labor. Gravidis autem, dipoi fece Cesonia di olio mesi, la qual fu moglie quarto et octavo mense, letalesque in iis abortus. di Caio imperadore. E quegli che nascono in Masurius auctor est, L. Papirium praetorem, se questo numero di mesi, danno per quaranta di cundo herede lege agente, bonorom possessio gran fatica alle madri. Le donne gravide, nei nem contra eum dedisse, quum mater partum se quattro e negli otto mesi sconciando, vanno a xm mensibus diceret tulisse : quoniam nullam pericolo di morte. Scrive Masurio, che Lucio «erlam tempo* periendi sUUum videretur. ‘ Papirio pretore, volendo un secondo erede la possession dei beni, con dire che il primo non era figliuolo del testatore, perchè la madre·!© ave va partorito tredeci mesi dopo la morte del testa tore, contra di esso consegnò la possessione dei beni al primo, perchè non c' era alcun tempo ordinalo di partorire.
Siena S E X csivo E A v im s
f e b u e e n t i a a n t e p a e tu m .
D e1 SEGNI DI MASCHIO O FEMMINA, CHE PBECEDONO IL PAETO.
V. 6. A conceptu deeimo die, dolores capitis, •culorum vertigines tenebraeque, fastidium in cibis, redundatio stomachi, indioes sunt hominis inetto*ti. Melior eoior marem ferenti, et facilior parto* : aaolus in alerò quadragesimo die. Coniraria omnia in altero sexu : ingestabile onus, entrarne! inguinis levi* tumor. Prima* auleta
V. 6. Dieci giorni dopo che il parto è concetto il dolor di capo, i capogirgli, e le tenebre degli occhi, il fastidio dei cibi, il vomito dello stomaco, sono segni, che la creatura è già incominciata. Se il parto è maschio, la madre ha miglior colore, e più facil gravidezza, e in quaranta giorni lo sente muovere. Tutto il contrario avviene, quando ella
C. TL1NII SECUNDI
nonagesimo die motu·. SeJ 'plurimum langùoris in utroque sexu, capillum germinante partu, et iu plenilunio; quod tempus editos quoque in fantes praecipue infestat. Adeoque incessus, atque omne quidquid dici potest, in gravida referi, ut salsioribus cibis usae, carentem unguiculis par tum edant: et, si respiravere, difficilius enitantur. Oscitatio quidem in enixu letalis est : sicut ster nuisse a coita, abortivam.
7. Miseret atque etiam pudet aestimantem quam sit frivola aoimaliura superbissimi origo, qunm plerumque abortus causa fiat odor a lu cernarum exstincta. His principiis nascuntur tyranni, his carnifex animus. Tu qui corporis viribus fidis, tu quiforlunae manera amplexaris, et te ne alumnum quidem ejus existimas, sed partum : tu tamen, cujas semper tinctoria est mens, tu qui te deum credis, aliqao successa tu mens, tanti perire potuisti: atque etiam hodie minoris potes, quantulo serpentis ictus dente : aut etiam, ut Anacreon poeta, acino uvae passae t nt Fabius senator praetor, in lactis haustu uno pilo strangulatus. Is demum profecto vitam aequa lance pensitabit, qai «emper fragilitatis humanae memor fuerit.
Movmuon
pa r t u s .
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è feramiua; il peso pare che non si possa portare; eufia l ' anguinaglia e le gambe, e non lo sente prima che nei novanta dì. Ma gran dolore -sente la madre, o maschio o femmina che sia, quando la creatura mette i capegli, e quando la luna è in quintadecima, il qual tempo travaglia molto an cora i fanciulli nati. E talmente imporla Γ andare, e tutto quél che si può dire nella donna gravida, che quando elle mangiano cibi troppo salati, fanno la creatura senza ugna, e s 'elle‘alitano, partoriscono con più fatica. Lo sbadigliar nel parto è mortale, come anco dopo il coito lo star· nulo fa sconciare. 7. lo ho compassione, e mi vergogno ancora a considerare quanto sia debole l'origine dell'uo mo., animale tanto superbo, poiché spesso par Γ odor solo delle lucerne spente fa sconciare le donne pregne. Da qaesti principii nascono ì ti ranni, e .gli animi micidiali e crudeli. Tu donqoe, che ti confidi tanto nelle forze del corpo, la che abbracci i doni della fortuna, e non ti repati suo allievo, ma figliuolo ; tu che hai Γ animo sempre nella vittoria, tu che ti credi esser dio, gonfialo per qualche felice successo, per così piccola cosa potesti morire, e oggi ancora per molto manco puoi morire, perciocché una minima morsica tura d 'un serpente ti potria lor la vita, o ancora nn granello d’ ava passa ti potrebbe affogare, come Anacreonte poeta, o come Fabio senatore, il qua le affogò avendo inghiottito an pelo nel latte. E però giustamente misurerà la vita oolai, che h o · pre si ricorderà della fragilità umana. Da' PARTI
MOSTRUOSI.
8. Egli i contra natura, che la creatura VI. 8. In pedes procedere nascentem, contra VI. nataram est: quo argumento eos appellavere ehe nasce, venga fuori coi piedi ionanzi ; · per Agrippae, at aegre partos : qualiter M. Agrippam ciò quegli, che così nascono, furon chiamaU ferunt genitam, unico prope felicitatis exemplo Agrippi, quasi difficilmenU partoriti ; come si in omnibus ad hanc modum genitis. Quamquam dice che nacque Marco Agrippa, il qual fu quasi is quoque adversa pedum valetudine, misera ju singolare esempio di felicità fra lutti coloro, che venta, exercito aevo inter arma mortesque, ad oacqnero in questo modo. Benché costui ancora noxia successa, infelici terris stirpe omni, sed scontasse P augurio della sua nascila infelice cou per utrasque Agri ppinas maxime, quae Cajum et molle sciagure, che gli avvennero : perciocché Domitium Neronem principes genuere, totidem olirà che egli fu travagliato molto delle gotte, fa faces generis humani : praeterea brevitate aevi, infelice nella sua giovinezza, avendola codsu quinquagesimo ano raptas anno, io tormentis onata fra 1* arme e le morii con daonoso successo. adnlleriorum conjugis, socerique praegravi ser Fu sventurato ancora oe' figliuoli ; e specialmente vitio, luisse augurium praeposteri natalis existi per le due Agrippine, le quali generarono Calo matur. Neronem quoque panilo ante principem, Caligola e Domizio Nerone imperadori, due in et loto principatu suo hostem -generis humani, cendii del genere amano. Olirà oiò visse poco» pedibus genitum parens ejus scribit Agrippina. che morì di cinquant' un anno tribolato degli Ritu naturae capite hominem gigni mos est, pe adulterii della moglie e per la grave servitù del dibus efferri. suocero. Scrive Agrippina sua madre, che Nero· ne, che poco diauzi fu imperadore, e in tatto il tempo del suo imperio nimico dell1 umana gene-
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C3o
HISTORIARUM MUEID1 LIB. VII.
raziona, nacque coi piedi avanti. Secondo Toso ddla natura l ' uomo nasce col capo iunanzi, a co' piedi avanti è portato alla sepoltura. Excisi
utebo.
D b'
t a g l ia t i f u o b d b l co b po a l l a k a d b b .
VII. 9. Auspicatius enecta parente gignantur : VII. 9. Con migliore augurio nascono quegli, •icat Scipio Africanus prior natos, primusque che morta la madre si cavano del corpo ; come Caesarum a caeso matris alerò dictus: qui de Scipione Africano maggiore, e il primo de’ Cesari causa et Caesones. appellati. Simili modo natus et con detto dal corpo della madre tagliato : di Manilius, qai Carthaginem cam exercitu intravit. .quindi questi tali furono ancora chiamati Cesoni. Mei medesimo modo nacque anco Manilio, il quale entrò con Γ esercito in Cartagine. Q ci
s m t vopisci.
VIII. 10. Vopiscos appellabant e geminis, qai retenti atero nascerentur,altero interempto abor tu. Namque maxima, etsi rara, circa hoc miracola exsistant. De
Q c a u sibik»
1V o p is c i.
V ili. 10. Chiamavano Vopisci, quando di due binati, i quali ritenuti nd venire son per nascere, Γ uno muore per {sconciatura. Perciocché «rea questo sono grandissimi, benché rari miracoli.
c o h c b p t u h o m ih u m b t o b r b b a t io r b .
D e l l a c o h c b z iq h b a g b h b b a z m w b d e l l * d o m o .
IX. i i . Praeter mulierem, pauca anirallia
IX. 11. In faor che la donna, pochi altri ani mali usano il coito, quando son pregni ; e sola mente ano, o due figliano sopra il primo. Truo*vasi negli scritti dei medici, e di quei che hann· trattato di simili cose, che una donna si sconciò a un tratto in dodici. Ma quando un poco di tempo è in mezzo fra Γ uno e l ' altro concetto, l ' uno e Γ altro vive ; come si vide iu Ercole · lfido suo fratello ; e in ona donna, la quale par torendo due figliuoli, uno ne fece, che somigliava il marito, l'altro, che 1* adultero : e in Procon* uesia serva, la qoale avendo in on medesima giorno usalo con due, uno ne fé* simile al pa drone, l'altro al fattore ; e in un' altra, la quale ne partorì uno al suo tempo, l ' altro di cinqae mesi ; e in un'allra ancora, la quale avendo figliar lo dì selle mesi, ne' seguenti mesi ne partorì due.
coitn m novere gravida. Unum quidem omnino,
aut alleram superfetat. Exstat in moaainenlis «tiara medicorum, et qa ibas talia consectari curae fuit, ano aborla daodecim paerperi· egesta. Sed ubi paullulam temporis inter duos conceptus in tercessit, alramque perfertur ; ut ia Hercule et ] phide fralre ejos apparuit : et in ea, quae ge m in o parta, alterum marito similem, alterumqae adultero genuit : item iu Proconnesia ancilla, qaae ejusdem diei coitu, allerum domino similem, alteram procuratori ejus ; et in alia, quae unum juslo parta, qninqae meusium alterum edidit. Rursus in alia, quae, septem meusiura «dito puer perio, insecatis mensibus geminos enixa est.
SlWTLtTODIBClI EXBWPLS.
E sb n p ii d i s o h i g l i a v z b .
X. Jam illa valgala, varie ex integris truncos X. Si vede ancora, che d'uomini perfetta· mente interi nascono talora figliuoli con difetto gigni, ea troncis integros, eademque parte trun di membri, e di padri e di madre imperfetti di cos : signa quaedam, naevosque, et cicatrices membri nascon figliuoli perfetti, e talora anco etiam regenerari. Quarto partu Dacorum origiuis co' medesimi difetti, e certi segni e nei e mar· nota in brachio redditur. . gini nascono ne' figlinoli. Nei popoli di Dacia avviene, che i figliuoli insino al quarto hanno il segno ddl* origine nel braccio. ia. Noi abbiamo trovalo, che nella famiglia ix. In Lepidorum gente tres, intermisso or· dei Lepidi furon Ire l'un dopo l'altro, i quali dine, obducto membrana oculo, genitos accepi· mus. Similes qaidem alios avo: et ex geminis nacquero con uno occhio coperto d'una pellicina. qnoqoe alterum patri, alterum matri : annoque Alcuni hauno somigliato l'avolo, e di due nati a post genitam, majori similem fuisse, at geminora. un parto, l'uno fu simile al padre, l'altro alla Quasdam sibi similes semper parere, quasdam madre ; e uno, ch'era nato poco dipoi, somigliò
C. PLINII SECUNDI
viro, quasdam nulli, quasdam feminam patri* marem sibi. Indubitatam exemptam eat Nicaei nobilis pyctae Byzaotii fenili, qui adulterio Ae thiopis nata matre, nil a celeris colore differente, ipse arum regeneravit Aethiopem.
il maggiore come gemello. Alcone donne fanno figliuoli simili sempre a loro stesse, certe altre al marito, alcune a niuno, alcune fanno la fem mina, che somiglia il padre, e il maschio, che a sè slesse. C’ è un manifesto esempio di Niceo nobil combattitore nalo in Bisanzio, il qnale prò· dotto da una madre nata dall* adulterio di un Etiope* non era punto differente dagli altri di colore t egli però generò figli, che somigliaTano l'avo Etiope. Vengono Teraraenle molle somiglianze dal Similitudinum qoidem in metite reputali» est*, pensar della madre, nella qual si (iene che molte e t in qua credantur multa forluita pollere, visus, auditus, memoria, hauslaeque imagines sub ipso cose a caso possano assai, il Tedere, l'udire, la : concepto. Cogitatio etiam ntriuslibet animum memoria, e le immagini apprese nel punto ch'ella aubilo transvolans, effingere similitudinem aut impregna. Il pensiero ancora,’ che subilo T o l a miscere existimatur. Ideoque plures io homine, nell' animo di chi che sia, si tiene che formi e qaam in ceteris omnibus animalibus differentiae, mescoli ancora la somiglianza. E perciò molle quoniam velocitas cogitationum, animique cele più differenze sono nell' uomo, che in tutti gli ritas, et ingenii Terielas multiformes notas ira- altri animali, perchè la velocilà de' pensieri, la primal : quum ceteris animantibus immobiles prontezza dell' animo e la varietà dell' ingegno sint animi, et similes omnibus, singulisque in suo imprime segni di diverse forme ; dove gli altri cuique genere. Antiocho regi Syriae e plebe no animali hanno gli animi loro immobili, e simili a tulli e a ciascuo dello slesso genere. Un cerio, mine Artemon in lanium similis fuil, ut Laodice conjux'regia, necato fam Antiocho, 'mimum per che avea nome Artemone, plebeo, somigliò tanto eum commendationi», regnique successionis pe Antioco re di Siria, che Laodice sua moglie, es regerit. Magno Pompejo Vibius quidam e plèbe, sendo già stato ammazzalo Anlioco, per mezzo di costui tramò la consegna del regno e la succes « t Publicius etiam serTilute liberatus, indiscreta prope specie fuere similes, illud os probum red sione. Un plebeo* eh* avea nome Vibio, e Publi dentes,' ipsuraque honorem eximiae frontis. Qua· cio, eh' era stato schiavo, furono tanto simili a Pompeo Magno, che fra loro non era alcuna dif Iis causa patri quoque ejus* Menogenis coci sui cognomen imposuit, jam Strabonis a specie ocu- ferenza, mostrando in loro quella maestà e grau· dezza, eh' era proprio in Pompeo. La qual ca lorora habenti, Titium imitata et in serTo : Sci pioni, Serapionis : is erat suarii negotiatoris vile gione aneora a suo padre pose il soprannome di mancipium. Ejusdem familiae Scipioni post eum Menogene suo cuoco, menire prima si nomava ■ cognomen Salutio mimus dedit : sicut Spinther Si rabone, per la forma degli occhi, che era pur secundarum, tertiarumque Pamphilus, collegio simile nel servo. A Scipione fu posto il cognome Lentuli et Metelli coss. In qno perquam impor di Serapione : costui era vii servo d'un mercatante tune fortuitum hoc quoque fuit, duorum siranl di porci. A Scipione della medesima famiglia dopo con iulum iu scena imagines cerni. E diverso L. lui Salnzio istrione diede il nome, siccome Spin tere delle seconde, e Panfilo delle terze, nel col Plancus orator, histrioni Rubrio, cognomen imposuit. BursusCurioni patri Burbulejus, ilemque legio di Lenirlo e di Melello consoli. Nel quale Messalae censorio Menopenes, perinde histriones. molto importunamente accadde ancora questo a Stirae quidem proconsulis etiam rictum in lo caso, che nella scen* si potevano vedere le imma quendo, contractionemque linguae, et sermonis gini di due consoli. Per lo contrario Lucio Planco tumultum, non imaginem modo, piscator quidam oratore mise il cognome a Rubrio istrione. E Borin Sicilia'reddidit. Cassio Severo celebri oratori, buleio padre Curione, e Menogene a Messala cen armentarii Mirmillonis objecta similitudo est. sorio, i quali erano amendue istrioni. Un certo Toranius mango Antonio jam triumviro, eximios pescatore io Sicilia s' assomigliava tanto a Sura forma pueros, alterum in Asia genitum, alterum proconsolo, che non solamente rappresentava la trans Alpes, ut geminos vendidit: taiila unitas immagin sua, ma l'aguzzare del muso nel f a T e l l a r e , erat. Postquam deinde sermooe puerorum detecta l'aggrinzare della lingua, e l'affollamento di pa fraude a fure» le, iucrepilus Antonio est : inter role. A Cassio Severo oralor famoso fu rinfacciato, alia magnitudinem pretii conqnerenle ( nam du* che egli somigliava Mirmillone guardiano d'ar centi» mercatus erat sestertiis ), respondit versu menti. Toranio vendè a M. Antonio già triumviro tos ingenii mango, u ob id ipsum se lanii vendi-' due bellissimi fanciulli, l'uno nato iu Asia, l’altro «lisse, quoniam non. esset mira similitudo jn ullis di là dall1Alpi, come gemelli ; "tanto somigli*rano
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VII.
eodera a le rò e d iti*:
diversarum qnidem g e o ·
tiam natales tam concordi 6 gura reperiri, saper omnem esse taxationem . « A deo que tempestivam adm irationem ia la li!, a t ille proicriptor animus, m odo et contumelia /arens, non aliud in censu m a gi* e * fortuna m i duceret.
Ad
q c o s b o j u v u m g e r b b a t i o . N u m e b o s is s m u b
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C un P altro. Riconosciuto poi Το inganno per la differenza della favella, dall' infurialo Antonio fu ripreso, dolendosi fra P altre cose, oh’ erano stali venduti troppo cari ( perchè gli aveva comprati per dugento sesterzi! ) rispose 1' astulo cozzone, ehe perciò gli aveva venduti sì caro, perciocché non sarebbe stata -maraviglia, ebe due aali d 'un medesimo corpo si fossero somigliati, ma non era danaro, che potesse pagare doe di diverse nazioni, che si somigliassero tanto. La qual risposta gli diede sì subila maraviglia, che quello animo crudele e arrabbiato, il quale per ogni poco di cosa saliava in bestia, non istimò dipoi cos* alcona della sua ricchezza più che questi fanciulli. Q
o a l i s u r o a t t i a l l a g s r b b a z io r b .
E
s e h p ii d i
PBOLE ASSAI HDMEKOSA.
SOBOLIS EXEMPLA.
XI. i 2. Ecci privatamente nna certa discor XI. i 3. Est quaedam privatilo dissociatio cor danza di corpi ; e due, ohe fra loro sono sterili; porum : et inter se steriles, ubi cum aliis junxere, quando si conginngono con altri, vengono a in gignunt : sicul Augustas et Livia. Item alii atiae· que feminas tanlum generant, aut mares : ple generare, siccome furono Augustae Livia. E altri, rumque et alternant : sicut Gracchorum mater e altre generano solamente femmine o maschi ; o duodecies, et Agrippina Germanici novies. Aliis il più delle volle quando Puno e quando Patirò, sterilis est juvenia, aliis semel in vita datur gi siccome la madre de1Gracchi dodici volle, · Agrippina di Germanico nove. Alcune sono ste gnere. Quaedam uon perferunt parius : quales, rili in giovanezza, alcune non figliano più che si quando medicina et cura vicere, feminam fere una volta. Alcune non portano il parto a bene, le gignuot. Divus Augustus in reliqua exemplorum raritate, neptis tuae nepotem vidit genilum quo quali se pur talora per medicina, o cura, lo por tano, quasi il più delle volte la fanno femmina. excessit anno, U. Silanum : qui quum Asiam obliaerei post consulatum, Nerouis principis succes L’ imperadore Augusto fra gli allri esempii suoi sione, veneno ejus interemptus est. Q. Metellus rari, nelP ultimo anno che si morì, vide nascere Macedonicus, quum sex liberos relinqueret, un un nipote della sua nipote, che fu Marco Silano, decim nepotes reliquit :· nurus vero, generosque, il quale dopo il consolato avendo ottenuta PAsi», et omnes qui se patris appellatione salutarent, nella successione di Nerone imperadore morì di veleno, che gli die Nerone. Quinto M e te llo Mace viginti seplem. In actis teiqporum divi Augusti invenitur duodecimo consulatu ejus, Lucioque donico lasciando sei figliuoli, lasciò undici nipoti, Sulla collega, ante diem ut idus Aprilis, C. Cri- e ventisette fra nuore e generi e altri, che lutti spinum Hilarum ex ingenua plebe Fesulana, cura lo salutavano per nome di padre. Trovasi ne’ falli liberis uovem f tu quo numero liliae duae fue de* tempi dell’ imperadore Augusto, nel suo duo runt ), nepotibus xxvti, pronepotibus xxix, nep decimo consolalo, e di Lucio Siila suo compagno, tibus octo prolata pompa, cum omnibus his iu che agli undici d 'Aprile, Caio Crispino llaro Capi'•lio immolasse. della vera plebe di Fiesole, con nove figliuoli, nel qual numero furono due figliuole, e ventiset te nipoti, e ventinove bisnipoti, e nove nipote mandata innanzi la pompa, con tulli questi sacri ficò in Campidoglio. Ad qaos a n s o s
g e re b a t» .
Fiho
a q u a r t i a r r i d o e i l a v i e t o ' g e h e b a t iv a .
XII. 14. Mulier post quinquagesimum annum XII. >4· L» donna dopo i cinquanta anni non uon gigniI, roajorqoe pars quadragesimo proflu ingenera, e la maggior parte ferma di quarauta vium genitale sistit. Nam in viris Masinissam anni le purgazioni. Perciocché negli uomini si regem, posi l x x x v i aunum generasse filiuin, trova, che il re Masinissa dopo gli ollantasei anni quem Melhymathnum appellaverit, clarum esi : ebbe un figliuolo, ch’ egli chiamò Metimatno : e Catone Ceusoriuo passali gli oliatila anni ebbe Catonem censorium oclogesirao exaclo, e filia
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C. PLINII SECONDI
Salonii dienlif sui. Qua de cauta, alioram ejus liberorum propago» Liciniani «uni cognominati, hi Salooiani, ex .qaibus Uticensis (ait. Nuper etiam L. Volusio Saturnino, in Urbis praefectura extincto, notum est Cornelia Scipionum gentis, Volusiutn Saturninum, qai fuit consul, genitum post ΐΛχη anuum. Et usque ad lxxxv apud igno biles vulgaris reperkor generatio.
MaVSIOU IH FKNIBIS MIRACOLA.
figliuoli della figliuola di Saloolo suo diente. Per la qual cosa i figliuoli dell'altra sua moglie, furono cognominati Lìetaiani, questi Saloniani, de* quali fu P Uticense. E nuovamente aneora essendo morto Lucio Volusio Saturnino nella prefettura di Roma, si trovò, die Cornelia della famiglia degit Scipioni fece Volusio Saturnino, il qual fu consolo, nato dopo i setlantadue anni. E fino agli otlantacinque si trova appresso gli igno bili essersi ingenerato. Da1 m a A B iu ausraui
d bllb
raumva.
i 5. La donna sola fra gli animali ha il XIII. i 5. Solum autem animal menstruale XIII. mulier est: inde unius utero, quas appellarunt menstruo : e perdo solo nel suo corpo nascono molas. Ea est caro informis, inanima, torri ietum certi peni di carne, che si chiamaa mole. Qoesta et aciem respuens. Movetur, sislitque menses : et è carne senza forma e senza anima, la quale non ut partus, aliasletalis, alias una senesceos, aliquanr riceve colpo di ferro n i di punta, ni di taglio. do alvo citatiore excidens. Simile quiddam et Muovesi, e ferma i mesi; «come il parto, talora viris‘ia ventre gignitur, qaod vocant scirron: muove, e talora invecchia, alcuna volta cade per s»eut Oppio Capitoni praetorio viro. Sed nihil qualche flusso. Una simil cosa a* iugenera ancora facile reperiatur mulierum profluvio magis mon nel corpo agli uomini, la qual si chiaaaa scirro 9 strificum. Acescunt superventu musta, sterile come avvenne a Oppio Capitone, il quale era scunt laetae fruges, moriuntur insita, exuruntur stalo pretore. Ma non si trova cosa alcuna p ii hortorum germina, et fructus arborum, quibus mostruosa, che il menstruo delle donne. Per insedere, decidunt: speculorum fulgor aspectu la venuta di questo i mosti aoetano, le biade ipso hebetatur, acies ferri praestringitur, eboristocche diventano sterili, i nesti muoio110, Γ erto que nitor : alvei apium emoriuntur : aes etiam ac degli orli si seccano, e i frutti degli alberi, dove ferrum rubigo protinus corripit, odorque dirus: elle si pongono a sedere, caggiono : gli specchi, dove esse guardano, arrugginiscono; il taglio del et in rab’em aguntur gustato eo canes, atque io* sanabili veneno morsus inficitur. Quin et bitumi ferro ingrossa, e la caudidetsa delP avorio s'offu sca : le casse ddle pecchie muoiono : il rame e il num sequax alioquin ae lenta natura, in lacu ferro arruginisoe : Γ aria piglia fattivo odore, e Judaeae, qui vocatur Asphaltites, certo tempore i caoi, quando ne-haano gustato, arrabbiano, e il an ni supernatans, non quit sibi avelli, ad omnem morso loro è dipòi senxa rimedio velenoso. Ma contactum adhaerens, praeterquam filo, quod tale virus infecerit. Etiam formicis, animali che piò, il bitume, che nasce in Giudea nd lago minimo, inesse sensum ejus ferunt: abjici que che si chiama Asfaltile, che per altro è di lenta e tenace natura, notaodo in certo tempo dell* anno gestatas fruges, nec postea repeti. Et hoe tale tantumque omnibus tricenis diebus malum iu mulie> sopra P acqua, non si può spiccare da sè per la re exsistit, et trimestri spatio largius. Quibusdam visoosi là, appiccandosi a dò che tocca ; e al filo, vero Saepius mense : sicut aliquibus numquam : che avrà infetto tal veleno, non si può attaccare. aed tales non gignant, quando haec est generando Dicono ancora, cbe le fiaraaidie, animai cosi pic homini materia, semine e maribus coaguli modo colo, conoseon questo morbo, e gettano t i t le* hoc in sese glomerante, quod deinde tempore biade gustale, nè più le ripigliano. E questo tale ipso animatur, corporatarque. Ergo quum gra e così gran male hanno le donne ogni trenta vidis fluxit, invalidi aut non vitales parius edun giorni, e al più lungo in tre mesi. Alcune ancora le hauno più d’ una volta il mese, e alcune altre tur, aut saniosi, ut auctor est Nigidius. non le hanno mai ; ma qu&te tali non impregna no, perciocché questa è la materia da ingenerar 1’ uomo, la quale il seme de* maschi, come se fosse presame, rappiglia, e in si stesso raccoglie, che dipoi in corso di tempo piglia anima, e viene a incorporarsi. Quando dunque le donne gravide hanno il lor flusso, le creature son deboli, o vivon poco, o son piene di cattivi umori, come scrive Nigidio, ■
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16. Idem, la c feminae d o d corrompi alenti 16. Il medesimo tiene che il latte della donna partum, si ex eodem viro rursus coneeperit, ar da poppa, non si corrompe, s’ ella di naovo inbitratur. • gravida del medesimo uomo. Q o u RATIO GBNBBAlfDI.
D il l a
XIV. Indpiente autem hoc stato, aut desinen te, conceptus facillimi traduntor. Fecunditati· ία feminis praerogativam accepimus, inunctis medi· camine oculis, salivam in6d. H isto r Jc a
c ir c a dbwte *.
H is t o r ic a
cir c a
IBFABTBS.
XV. Ceteram editis primores septimo mense gigni dentes, priusque in supera fere parte haud dubium est. Septimo eosdem decidere anno, aliosque suffici. Qoosdam et cum dentibus nasci, sicut M'. Corium, qui ob-id Dentatus cognomi natus est, et Cn. Papiriam Carbonem, praeclaros viros. In feminis ea res Inauspicati fuit exempli, regum temporibus» Quum ita nata esset Valeria, exitio civitati in quam delata esset, futuram, responso arqspicura vatidoante, Suessam Pome tiam illa tempestate fiorentissimam deportata est, veridico exitu consecuto. Quasdam concreto genitali gigni, infausto omine, Cornelia Gracchorom mater indido est. Aliqui vice dentium, con tinuo osse gignuntur : siculi Prusiae regis Bithy niorum filius, superna parte oris.
Dentes anfem Ifentum invicti sunt ignibus, nec cremantor cum reliquo corpore. Iidem flam mis indomiti, cavantur tabe pituitae. Candorem trahunt quodam medicamine. Usu atteruntur, multoque primum in aliquibus defidunt. Nec cibo tantum et*alimentis necessarii: quippe vocis sermonisqoe regimen primores tenent, concentu quodam excipientes ictum linguae, serieque stru cturae, atque magnitudine mutilantes, mollientesve, aut hebetantes verba : et qnom defuere, explanationem omnem adimentes.
Quin et augurinm in bac esse ereditar parte. Triceni bini viris adtribuuntor, excepta Turdulo rum gente: quibus plores foere, longiora promit ti vitae potant spatia. Feminis minor numerus : quibas in dextera parte gemini superne, a canibus cognominati, fortnnae blandimenta pollioentur, sicut in Agrippina Domitii Neronis matre: contra in laeva. Hominem prios qoam genito dente cre mari, mos geotiam non est. Sed mox plora de hoc, quum membratim historia decurret.
r a g io v d b l g bh e r a r b .
XIV. E coraindando questo stato o cessando, fadlissimamenle si partorisce. Conosconsi le don ne essersi ingravidate quando unti loro gli occhi con la utriaca, la sciliva ne viene infetta. ESBHFII STORICI BAPPORTO A DBXTI, IfOH CHB RAPPORTO A INFARTI.
XV. E quei che son nati di sette mesi, non è dobbio che fanno i denti dinanzi, e quasi prima nella parte di sopra. Quei medesimi caggion loro uè'sette anni, è rimetton degli altri. Alcuni ancora nascono co* deoli, siccome Manio Curio, il quale fu perciò chiamato Dentato, e Gneo Pa pirio Carboue, uomini illustri. Nelle donne que sta cosa fu di cattivo augurio ne' tempi dei re. Perchi essendo nata così Valeria, gli indovini ebbero a dire, eh* ella sarebbe la distuzione di quella dttà, dove fosse portata: e però fu confi nata a Suessa Pomezia, la quale era in quel tempo città floridissima ; e verificossi quel eh’ era stato predetto. Certe nascono con le parti ddla natura ritarale, il che è di cattivo augurio ; e di dò ne fu segno Corndia madre de1 Gracchi. Alcuni in cambio di denti, nascono con uno osso intero, siccome fu il figliuolo di Prusia re di Bitinia, nella parte di sopra della bocca. E i denti solamente non sono consumati dal fuoco, e non ardono col resto del corpo. E non dimeno questi denti, che reggono al fuoco, son rosi da un poco di catarro, o di scesa. Fannosi bianchi con certa medidoa. Consumansi per l’ uso, e io alcuni mancano mollo prima^ che negli altri. Nè solamente son necessarii al cibo e agli alimenti ; chè i primi reggono la voce e le parole,accompagnando con certo concento le bat tute della liogua ; e secondo la disposizione o grandezza loro, fanno le parole o intere, 0 moz ze, o ingrossale; e quando sono usciti, non si può espeditaraente proferire. Credesi ancora, che sia augurio in questa parte. Trenladue se n'attribuiscono agli uomini, fuorché a* popoli Turduli : coloro che ne hanno piò, si promettono più lunga vita. Le donne ne hanno minor numero. Quegli che nella destra parte ne hanno di sopra due, cognominati canini da* cani, hanno pronostico di favorevole fortana, siccome fu in Agrippina madre di Do- ' mizio Nerone : e il contrario, se sono dalla parte sinistra. Non è usanza d’ abbruciar l’ oomo,
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66ο
c P U N Ì) SECONDI prim a c h 'e g li abbia
fatto i denti.
Ma
d i c iò
ragioDerem o p iù a lu o g o ,q u an d o verrem o · (r a t · lam e parti taraen le.
Ridisse eodem die, qao genitas esset, unum homioem àccepimas Zoroastrem. Eidem cere brum ita palpitasse, ut impositam repelleret ma nam, futarae praesagio scientiae. M agh itudiitom
bx bm fla.
Trovasi che Zoroastro solo rise il medesimo dì, che nacque ; e che all* istesso batteva in modo il cervello, che rispigneva la maoo, la quale vi si metteva sopra ; presagio della sua fai ora scieaza. E sn n t
d i stature.
XVI. In trimato suo cuique dimidiam esse XVI. Ciascuno nella eli di tre anni è la metà mensoram futarae certam est. In plenum autem grande, quanto egli ha da essere. E s'è osservato, cuncto mortalium generi minorem in dies fieri, che gli uomini, quando son venuti al sommo, propemodum observatur: rarosque patribus pro ogni dì si fanno minori ; e rari essere quei che sien maggiori de*padri; perciocché 1*arsione ceriores, consomente ubertatem semiuum exu consuma la fecondità de* semi, nelle cui scam stione, in cujas vices nuac vergat aevum. In Creta terrae mota rupto monte inventum est corpus bievoli sorti l ' età ora si volge. Essendosi rotto in Creta on monte dal terremoto, fu trovato an stans XI.VH cubitorum, quod alii Orionis, alii Oti corpo, che stava ritto di quarantasette braccia, il fuisse arbitrantur. Orestis corpus oraculi jussu refossum, vu cubitorum fuisse, monuraeotis cre quale alcuni stimarono che fosse d* Orione, e ditor. Jam vero ante annos prope.mille, vates altri d* Oli. Il corpo d* Oreste, il quale per comandamento dell'oracolo fu dissotterrato, credesi ille Homerus non cessavit minora cprpora mor che fosse lungo sette braccia. E già più di mille talium, quam prisca, conqueri. Naevii Pollionis amplitudinem annales non tradunt; sed quia anni sono,il poeta Omero non cessava di rammari carsi, che gli uomini del suo tempo erano minori, populi concursu paene interemptus esset;, prodi gii vice habitam. Procerissimum hominum aetas che gli antichi. l<* istorie non mettono la gran nostra, divo Claudio principe.Gabbaram nomine, dezza di Nevio Pollione ; ma perchè egli fo quasi morto dal popolo, che concorreva a vederlo, fu ex Arabia advectum, novem pedum el totidem unciarum vidit. Fuere sub divo Augusto semipe tenuto per prodigio. Vide l*età nostra nell* im de addito, qoorum corpora ejus miraculi gralia, perio di Claudio un nomo grandissimo, che avea in conditorio Sallustianorum adservabantur hor nome Gabbare, condotto d* Arabia, lungo nove piedi e nove oncie. Sotto I*imperio di Angusto torum. Posioni et Secundillae erant nomina. furono due, Postone e Secoodilla, maggiori d ie Gabbare d’un mezzo piede, i coi corpi come per miracoli si conservavano negli orli di Sallustio. Eodem praeside, minimus homo duos pedes et palmum, Conopas nomine, in deliciis Juliae neptis ejus fuit: et mulier Andromeda liberta Juliae Augustae. Manium Maximum, et M. Tul lium, equites Romanos, binum cubitorum fuisse, auctor est M. Varro : el ipsi .vidimos in loculis adservatos. Sesquipedales gigni, quosdam longio res, iu trimatu implentes vitae cursuro, haud ignotum est.
Sotto il medesimo principe, Giulia sua nipote avea per suo trattenimento un uomo piccolissimo, alto due piedi e an palmo, chiamalo Conopa : e una donna detta Andromeda liberta di Gialla Augusta. Scrive Marco Varrone, che Manio H ai· simo,e Marco Tullio cavalieri Romani furono alti due braccia, e io gli ho veduti conservati in due cassette. Trovasi che nascono alcani lunghi mez zo piede, t quali non vivon pià che trenta anni.
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llIFAHTI KO&TI VBX TEMPO.
XVII. Inveoimus in monumentis, Salamine Eothymenis filiam, in tria cubita triennio adole visse, incessu tardum, sensu hebetem ; et jam pu berem factum voce robusta, absumptum contra ctione membrorum subita, triennio circumacto. Ipsi nos pridem vidimus eadem fenne omnia praeter pubertatem, in filio Cornelii Taciti, equitis Romani, Belgicae Galliae rationes procu-
XVII. Noi abbiamo trovato nell’ istorie, che in Salamina il figliuolo d’ Eutimeae crebbe in tre anni tre braccia : egli avea 1*andar tardo, 1*inge gno grosso ; e già fatto nomo con voee robusta, finiit i tre anni, mori per subito rattrapamento de* nervi, lo medesimo vidi già quasi tutte le medesime cose, infuor che la barba, nel figlinolo di Cornelio Tacito 'cavalier Romano, il quale
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rantii. 'ExrfcnriXisi Graeci vocant eoa : io Latio non habent nomea. 17. Qaod «il bornia i. spa tiara a vestigio verticem, id esae passis manibos inter longissimos digitos observatam est ; sicuti vires dextera parte majores, quibusdam aeqaas alraque, aliquibus beva mana praecipuas : nec id umquaiu io feminis.
IfTSlGHIA COBPOKOM.
XVU 1. Mares praestare pondere, et defuncta viventibas corpora omuium animalium, et dor mientia vigilanti bos. Virorum cadavera supiaa fluitare, femiuaraot pròna, velut pudori defun ctarum parcente D a tu ra . 18. Concretis quosdam ossibas, ac sine me dullis vivere accepimus. Signora eoram esse, nec sitim sentire, nec sadorem emittere ; quamquam et voltatale scimus sitim victam; eqoitemque Romanum Julium Viatorem e Vocontiorum gente foederata, io pupillaribus annis, aquae sabler cotem fusae morbo, prohibitam hamore a medi cis, naturam fecisse consuetudine, atque in sene cte cani Use poto. Nec non et alii multa sibi imperavere. 19. Ferunt Crassam, avum Crassi in Parthis interempti, ntimquam risisse, ob id Agelastam vocatum : sicot nec flesse multos. Socratera cla rum sapientia eodem semper visam vultu, nec aal hilaro magis, aut turbato. E rit hic animi tenor aliquando in rigorem quemdam, torvitatemque naturae duram et inflexibilem, affectjaaque humanos adimit, qaales àve&iìf Graeci vo cant, malto· ejus generi· experti : qnodqae mi ram sit, anctores maxime sapientiae, Diogenem Cynicam, Pyrrhonem, Heraclitum, Timonem, bunc qnidem etiam io totias odiiim generis hu mani evectam. Sed haec parva naturae insignia in mnltis varia' cognoscuntur : ut in Antonia Drusi nomquam exspuisse, in Pomponio conso lari poeta nomqaam ructasse. Quibus natura concreta sunt ossa, qai sunt rari admodum, cor nei vocantor. VlEBS BXIMUX.
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governava le ragioni della Gallia Belgica. 1 Greci chiamano questi tali EttraptU: in latino non hanno nome. ad 17. Noi abbiamo osservato, che quanto spazio è dalla pianta del piè degli uomini insino alla ci ma del capo, tanto n* è nelle braccia stese, dalla punta del dito di raezxo dell'una mano, alla punta del dito dell’altra. S’ è ancora osservato, che le maggiori forze sooo dalla parte ritta: ralcuni le hauno pari nell* una e nell*altra : certi hanno maggior fona nella atano sinistra; e ciò non avvien mai nelle donne. C e &t k
p r o p r ie t à d e i c o x p i.
XVIII. I maschi pesano più, e i corpi morti di tutti gli animali pesano più che i vivi, e gli addormentati più che i desti. 1 corpi morti degli nomini stanno nell* acqua rovesci, e quei delle donne bocconi, corae se la uà tura volesse riooprire la vergogna di esse defunte. 18. Noi troviamo che alcuni vivono con Possa masserie, e senza midolle, ti il segno di questi è, che non hanno sete, e non sudano ; ancora che noi sappiamo, che la sete si possa vincere ; perchè Giulio Viatorè cavalier Romano della gente con federata de' Voconzii, essendo fanciullo, e diven tando rilraopico, i medici gli comandarono che non beesse ; perchè Catto dell'abito natura, non bevve mai fino alla vecchiezza. Molti altri simil mente si sono vinti in molte cose. 19. Dicesi, che Crasso avolo di Crasso, che fa morto da* Parti, non rise mai, e perciò fu chia m ati Agelasto : e cosi dicesi che molti noa hanno mai pianto. Socrate nomo famoso per sapienza, sempre fu veduto d*un medesimo volto, non più allegro, nè più turbato. Questo tenor d* animo passa talora in un certo rigore e durezza e in· flessibilità di natura, e leva via le affezioni uma ne. 1 Greci chiamano apati questi tali, e molti ne conobbero, e massimamente filosofi (che è più da miravigliare), quali sono Diogene Cinico, Pirrene, Eraclito, e Timone, il quale ebbe in odio tntte le persone. Ma questi segni di cattiva natura variamente son conosciuti in molli; come in Antonia di Druso, che non ispatò mai, e in Pom ponio stato consolo e poeta, che mai non ruttò. Quei, che hanno 1*òssa massiccie per natura, i quali son molto rari, si chiaman cornei. Fomxs ST1AOBASDI.
XIX. do. Scrive Marco Varrone, parlando XIX. ao. Corpore vesco, sed eximii· viribas delle forze straordinarie e meravigliose, che fu Tritanoam, in gladiatorio ludo, Samnitium ar matura celebrem, filiomque ejas militem Magni gii ne* giuochi gladiatori! un Tri tannò, uomo di Pompeji, et rectos et transversos cancellatim toto ptecol corpo, ma di grandissime forze, nobile per armatura Sannite, il coi figliuolo fa soldato oorpore hahniasa nervo·, in braobiis eliam mani-
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busque, auctor esi Varro iu prodigiosi virium elatione ; atque etiam hostem ab eo ex provoca tione dimicantem, inermi 4gxlra uno digito superatum, et postremo correptum in castra translatum. At Vinnios Valens meruit io praeto rio divi Augusti centurio, vehicula cum culeis onusta, donec exinanirentur, sustinere solitus: carpenta adprehensa una manu retinere, obnixus contra nitentibus jumentis : et alia mirifica facere; quae insculpta monumento ejus spectantur. Ideo M. Varro : « Rusticellas, inquit, Hercules appel latus, mulum suum tollebat : » Fusius Salvius duo centenaria pondera pedibns, totidem mani bus et ducenaria duo humeris contra scalas fere bat. Nos quoque vidimus Alhanatum nomine, prodigiosae ostentationis, quingenario thorace plumbeo indutum, cothurnisque quingentorum pondo calciatum per scenam iugredi. C. Milonem athletam, quum conslilisset, nemo vestigio edu cebat : malum tenenti nemo digitum corrigebat.
V k lo citas
f k a b c ip u a .
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di Pompeo Magno, il quale aveva nervi diritti e traversi per tutto-il corpo a modo di graticola to, anche nelle braccia e nelle mani; e che essendo costui sfidato a combattere da uno, dei nimici, con la man disarmata e con un dito Io vinse, e ultimamente lo fece prigione, tirandolo ne! suo campo. Anche Vinoio Valente, centurione fra i soldati della guardia dell1 imperadore Augu sto, soleva sostenere i carri carichi tanto che si scaricassero, e con una man sola fermava una carretta tirata da cavalli, benché essi all'incontro facessero ogni loro sforzo : e faceva altre cose maravigliose, le quali sono scolpite nel suo se polcro. E perciò dice Marco Varrone, che Rastichello, chiamato Ercole, portava il suo mulo. Fusio Salvio portava coi piedi dugento libbre, altrettante con lè mani, e dugento per ciascuna spalla sulle scale. E ancora io ho veduto nno, che si chiamava Atanato, di m araVigliosa appa renza, con cinquanta corazze di piombo indosso, e calzato con calze di cinquecento libbre cammi nare per la scena. Quando Milone Crotoniate lottatore si fermava in su due piedi, nessuno lo poteva muovere: quando teneva una mela io mano, nessuno gli moveva da quella un dito. M ix a b il e
velocita ' .
XX. Cucurrisse m c x l stadia, ab Athenis Lace- XX. Era gran cosa, che Filippi de in due daemonem, biduo Philippidem, magnum erat : giorni corresse cento quarantaciuque miglia ih donec Anystis cursor Lacedaemonius^ et PhiloAlene e Lacedemone, finché Aniste corrier Lace nides Alexandri Magni, a Sicyone Elin, uno die demoni, e Filonide d’Alessandro Magno, corsero mille ducenta stadia cucurrerunt. Nunc quidem in un giorno da Sicione a Elide, che sono cento in circo quosdam c lx u passuum tolerare non cinquanta miglia. Al presente veggiamo alcuni nel igqoramus. Nuperqoe Fontejo et Vipsanio coss. circo sopportare il corso cento sessanta miglia. E annos vin genitum puerum, a meridie ad vespenuovamente essendo consoli Fonteio e Vipsanio, rim lx x v millia pass. cucurrisse. Cujus rei admi un fanciullo di otto anni corse da mezzodì a aera setlantacinque miglia. La maraviglia della qual ratio ita demum solida perveniet, si quis cogitet nocte ac die longissimum iter vehiculis tribus cosa tinalmeule allora perverrà intera, che alcuno Tiberium Neronem emensum, festinantem ad pensi, come Tiberio Nerone con tre carrette fece Drusum fratrem aegrotum iu Germauia : in eo un lunghissimo cammino, affrettandosi d’ andare a trovar Druso suo fratello,, eh*era ammalato ia fuerunt cc millia, passuum. Germania ; il qual viaggio fu di dugento miglia Visos xxtaiii.
VlSTB ACUTISSIME.
XXL a i. Oculorum acies, vel maxime fidem excedentia invenit exempla. In nuce inclusam Iliada Homeri carmen, in membrana scripturo, tradidit Cicero. Idem, fuisse qui pervideret cxxxv m passum. Huic et nomen M. Varro red didit, Strabonem vocatum. Solitum autem Punico bello, a Lilybaeo Siciliae promontorio, exennte classe e Carthaginis portu, etiam numerum na vium dicere. Callicrale* ex ebore formicas et alia tam parva fecit animali*, ut partes earum a ce
XXI. ai. La vista degli occhi ha esempii, che passano ogni credenza. Cicerone scrive, ehe la Iliade d’ Omero fu scritta in così poca carta, che ella stava rinchiusa in una-noce. 11 medesimo dice, èsser già stato uno, che vedeva discosto cento trenlacinque miglia» Marco Varrone m ette il nome di costui, e dice, che era chiamato S tra bone ; e che ei soleva nella guerra Africana, da Lilibeo promontorio di Sicilia, coniare il numero de1 navili, quando l'armala usciva del porto di
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teris cerai non possent. Myrmecides qaidem in eodem genere inclaruit, a qao qaedrigem ex ea dem materie, qaam mosca integeret alis, fabrica tam, et navem, qaam epicula pinnis ebsconderet.
A d d it u s m u a c u l u v .
Certegine. Callicrale fece le formiche d’ avorio, e alcuni eltri sì piccoli en imali, che le perti loro non si potevano scorgere dagli eltri. Un certo Mirmeeide fu molto illustre in questa opera, il qoale fece un carro d' avorio con quattro cavalli, il quale una mosca copriva con Peli ; e une nave, che une pecchie coprivi con Peli sue; M ib a c o l o d b l l *-u d it o .
XXII. aa. Auditas anum exemplam hebet XXII. aa. L’ udito he uno esempio mirabile : mirabile, proelium, quo Sybaris deleta est, eo die le betteglie, nella quele Siberi fu disfatte, in quel quo geitank eret, auditam Olympiae. Nam Cim dì, che elle si fece,.fu udite in Olimpie. Perciocché le vittorie Cimbriche, e Castore e Polluce Rome bricae -victoriee, Cestoresque Romani, qui Persi cam victoriam ipsa die, qao contigit, nuntievere, ni, i queli diedero nuove delle vittorie contra i Persi, quel giorno, òh?. «Ila avvenne, furono pre visus, et nominum fuere praesagia. segli delle viste, e degli dii.
Ρ α τ ι β η ϊια
c o bpo bis .
Pazibh za
dbl cobpo.
XXIiL s 3. Patientia corporie, nt est crebra sorscalami tatam, innumere documen te peperit. Clarissimam in feminis, Leeeoee meretricis, quae torte non indicavit Jlermodium et. Aristogitonem tjrrannirides : in viris, Anaxarchi, qui simili de oausa quum torqueretur, praerosam dentibus linguam, unamque spem indicii, in tyranni os exspuit
XX III . a3. Le pezieoze del corpo, per le molte calamità s* è veduta in molti. Nelle donne bellissimo esempio di pazienze fu quello di Leena meretrice, le quele essendo tormentata, non ep· pelesò Armodio e Aristogitone, i queli aveveno morto il tirenno : negli uomini, d 'Aaasarco, il quale essendo per simil cagione mertorieto, si mozzò le lingua co' denti, e le sputò nel viso el tirenno, per non avere e confessare il delitto.
Mexobia .
M bm o bia .
XXIV. 94. Memoria, necessariam mexime le« bonam, cui praecipua baud facile dictu est, tam multis gloriam ejus edeplis. Cyrus rex omni bus in exercitu suo militibus nomina reddidit : L . Seipio, populo Romano : Cineas, Pyrrhi regis legatus, senatui el equestri ordini Romae, postero d ie qtoam advenerat. Mithridates duarum et vi ginti gentium rex, lo lidem linguis jura dixit, p ro concione singule* sine interprete adfelus. Charmadas quidam in Graecie, quae quis exege rat volumina in bibliothecis, legentis modo re*· praesentavit. Ars postremo ejue rei' facta, et inventa esi, a Simonide medico, consummata e Metrodoro Scepsio, ut nihil non iisdem verbis redderetur auditum. Nec aliud est aeque fragile in homine, morborum et cesus injuries atqoe etiam metus, sentiens, elias perticulelim, alias uni versa. Ictus lepide oblitas est literas tentam. Ex praealto tecto lepsus, metris et edfinium, propinquorumque cepit oblivionem. Alias aegro tus, servorum etiam : sai . vero nominis Messala Cervinus orator. Itaque saepe defieere tentai ac ■meditator, vel quieto corpore et valido. Somno
vi- XXIV. a4· Elle é *cose diffidi da dirsi, ehi ebbie. avenzeto gli eltri di memorie, le quale è un bene molto necesserio ella vita degli, nomini, essendo steli tenti quegli, che n'henno ecquistato glorie. 11 re Ciro sepeve il nome di tutti i soldati del suo esercito. Ludo Scipione chiamava per nome lutto'il popolo Romano. Cinea, ambasciadorè del re Pirro, il secondo di che giunse a Rome, conobbe a nome tutto il seneto e l'ordine equestre. Mitridate re di ventidue nazioni, nd render ragione e tatti perbva nelle lor lingue lenze interprete. Un certo Cermede in Grecia riferì e modo di chi legge, quenti volami desca no evee felli in tutte le librerie. Ultimemente Simonide medico ridusse le memorie ed erte, le quele fu condotte e perfezione de Metrodoro Scepsio, io modo che per le medesime parole si potesse riferire quel che eltri eveve adito dire. E nondimeno non è cosa pià fregile delle memo ria nell'uomo, o per infermiti, o per avventure .0 per timori, quando parzialmente, e quando iu generele.Uno percosso da une pietre,si scordò so lamente le lettere. Un altro.essendo ceduto de uno
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quoque serpènte amputator, ut manis mens quae rat ubi sit loci.
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altissimo tetto, sì dimenticò la madre e i parenti suoi i un altro ammalato, si scordò de1servi ; e Messala Corvino oratore, dèi suo nome proprio. E così spesso tenia, e pensa di mancar nel corpo quieto e sano ; e ancóra sopravvenendo un poco di sonno in modo manca, che la vana'mente cerea dove ella sia. F r a n c h e zza
V 100& a r i m i .
d ’ a n im o .
XXV. a5. Animi vigore praestanlissimum ar- XXV. a5. Di vigor d'animo stimo io che eccellentissime fosse Giulio Cesare dittatore. Nè bilrór genitum Caesarem dictatorem. Nec virtù· tera constatitiamque nunc commemoro, nec su· racconto ora la virtù e (Sostanza sua, nè la subli blimitatem omnium capacem, quae coelo cobli mità capace di tutte le cose che sono sotto il nentur ; sed proprium vigorem celeri Utemque cielo ; ma il proprio vigore e prestezza con un quodam igne volucrem. Scribere aut legere* si certo fuoco veloce. Trovo che in on medesimo tempo egli soleva scrivere- e leggere, dettare e mul dictare et audire solilriin accepi mus.. Epi stolas vero tantarum rerum quaternas pariter udire. Dettava a un tempo lettere di cose di librariis dictare : aut si nihil aliud ageret, septe grande importanza a quattro scrittori, e aaette nas. Idem signis collatis quinquagies dimicavit : ancora, quando égli non attendeva ad altro. I l . solus M. Marcellum transgressus, qui undequa medesimo combattè cinquanta volle a battaglia giudicata, avendo egli solo avanzato Marco Mar dragies dimicaverat. Nara praeter civiles victo rias, undecies centena, et xcir m hominum occisa cello, il .quale aveva fatto trentanove giornate. proeliis ab eo, non equidem in gloria posuerim Perchè oltre alle viltorie civili, ammazzò in bat tatotam, etiam coactam, humani generis injuriam : taglia un millione * cento novantadue migliaia quod ita esse confessus est ipse, bellorum civi d* nomini j il che certo non gli metterò a conto di gloria, avendo egli Calta tanta ingiuria alla lium stragem non prodendo; generazione umana ; la qual cosa egli stesso con fessò, non iscrivendo là mortalità delle guerre civili. C lb m b u tia
b t am im i m a g n it u d o .
XXVI. Justius Pompejo Magno tribuatur naves piratis ademisse : Caeiari proprium et peculiare sil, praeter supra dicta, clementiae insigne : qua usque ad poenitentiam omnes supe ravit Idem magnanimitatis perhibuit exemplum, cui comparari non possit aliud. Spectacula enim edita effusasque opes,aut operam magnificentiam in hac parte enumerare, luxuriae faventis esL Illa ibit .vera el incomparabilis invicti animi subii* mitas: captis apud Pharsaliam Pompeji Magni scriniis epistolarum, ilerumque -apud Thapsum Scipionis, concremasse ea optima fide, atqoe non legisse. d ccclv i
Rebcm g e st a b u m
c l a x it a s sum ma :
XXVH. a6. VeVum ad decos imperii Romam ’ non soluto ad viri unius pertinet victorìpm, Pompeji Magni titulos omnes, triumphosque hoc in loco nnnenparr: aequato non modo Alexandri Maghi rerum folgore, sed etiam Herculis prope ae Liberi patris. Igitur Sicilia recuperata, onde
C l KMEBZV ■ GBAHDBZZA
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ARIMO.
XXVI. Maggiore onore adunque sarà di Pom peo Magno l ' aver tolto a* corsali ottocento qua rantasei navi. Di Cesare sia proprio e peculiare, oltre alle cose sopraddette, il titolo di demenza, nella quale fino alla penitenza avanzò tulli gli altri. Il medesimo in magnaminità fu tale, che alcuno altro non se gli può agguagliare. E il voler contare i suoi spettacoli Catti al popolo, le ricchezze spese, e la magnificenza dell* opere in questa parte, h cosa da chi favorisce le pompe. Quella fu vera e inoomparabtl grandezza d'aniaao invino ; che essendogli venate alle mani in Par sagli* le scritture e lettere di Pompeo Magno, e un'altra volta a Tapso quelle di Scipione, eoo ottima fede le arse, e non le volle leggere. S omma
c e l e b r it à ' d i c o r d ot tb im p &esb.
XXVII. 36. Egli appartiene alPonor deU’ im perio Romano, noa solo alia vittoria d'un nomo, il raccontare in questo luogo tatti i titoli e triónfi di Pompeo Magno ; il quale non p i r e agguagliò lo splendor deNe cose d*Alessandro Magno, ma anoora quasi quelle di Èrcole e di
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primam, Sullanas in reipublicae causa exoriens, auspicatos est: Africa vero tota subacta, et in ditiooem redacta, Magnique nomine in spolium inde capto, eques Romanus (id qltod antea'neibo) curro triumphali revectas est, et statim ad solis occasam transgressas, excitatis ia Pyrenaeo tro paeis, oppida d c c c l x x v i ab Alpibus ad fines His paniae ulterioris in ditiooem redacta victoriae saae adscripsit, et majore animo Sertoriam ta cu it: betloque civili (quod omaia externa couciebat) exstincto, i tera m triumphales curraseques Romam induxit, toties imperator, anteqoam miles. Postea ad lota maria, et deinde solis ortas missus, hos retulit patriae titulos, more sacris certaminibus vincentium. Neque enim ipsi coronantor, sed patriae suas coronant. Hòs ergo honores Urbi tri bai t in delubro Minervae, quod ex roanabiis dicabat:
C r.
POMPEIUS IÌG R V S IMF. BELLO XXX tRROBDM
CONFECTU, FOSIS, FD G A tlS, OCCISIS, IU DEDITIOREM ACCEPTIS HOMINUM CERTI ES VICIES SEMEL LXXXI1I M, DEPEESSIS ALT CAPTIS RAVtBUS DCCCXLVI, OPPIDIS, CASTELLIS MDXXXVUI IR FIDEM HECEPTIS : TEEBIS A MAEOTIS LACO AD BUBBUM MABE SUBACTIS, VOTUM MEEITO MINERVAE.
Hoc est breviariam ejas ab Oriente. Trium phi vero, qoem duxit ante diem tertium kaleudas Octobres, M. Pisone, M. Messala consulibus, praefatio haec fuit : Q uO M O B A M MARITIMAM
a
PRAEDONIBUS LIBE-
BASSET, BT IMPERIUM MARIS POPULO ROMANO BBSTITUISSBT: EX ASIA, PORTO, ABMBRIA, PAPHLAGONIA, CAPPADOCIA, CIU C IA , STEI A, SCYTHIS, JUDAEIS, AL BANIS, IBERIA, INSULA CRETA, BASTEBRlS, ET SUPER HAEC DB
RBG1BUS
MITHRIDATE
ATQUE TIGBARB
TRIUMPHAVIT.
Somma summarum in illa gloria fuit ( ut ipse in concione dixit, quum de rebus sois dissereret), A>iam ultimam provinciarum accepisse, eamdemque mediam patriae reddidisse. St quis e contra· rio simili modo velit percensere Caesaris res, qai major illo, apparuit, totum profecto terrarum orbem enumeret : quod infinitum esse conveniet.
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Bacco. Avendo egli dunque racqaistat» la Sicilia, onde primieramente fa il principio a dimostrare nella repubblica che fosse Stilano : e dipoi soggio gata tutta 1* Africa, dove s'acquistò il nome di Magno, trionfò esserido ancora cavalier Romano, il che nessuno altro avanti di lui avea fatto : e subito passando verso ponente, e rissando nel monte Pireneo suoi trofei, attribuì alla sua vit toria l’ acquisto d'ottocento settantasei città dall’ Alpi a'confini della Spagna ulteriore, e con maggiore animo tacque Sertorio : e spenta la guerra civile, la quale conturbava tutte le cose straniere, trionfò un'altra volta essendo pare ancora cavalier. Romano, tante volte generai d 'eserciti, prima che soldato. Dipoi raaudato a tutti i mari, e verso ponente, riportò questi titoli alla patria, a uso di coloro, che acquistano vittoria ne' giuochi sacri. Perciocché essi non sono coronati, ma incoronano le patrie loro. Diede egli dunque questi onori alla ciltà, nel lem· pio di Minerva, il quale edificava de'denari tratti delle prede, con questo titolo. Gneo Pompeo Magno imperadore, avendo fornito una guerra, ch'era durata trenta anni, avendo rotti, messi in fuga, uccisi o presi a patti due miKoQÌ e cento oltautrè migliai* d'uomini, e prese o messe a fondo ottocento quarantasei navi, e ricevute in fede mille cinquecento trentaotto città e castella, avendo soggiogate tutte le terre dalla palude Meotide al mar Rosso, meri tamente volò questo tempio a Minerva. Questa è la somma delle cose da lai falle in levante. Ma la perfezione del trionfo, ch'egli ebbe ai ventinove di Settembre, essendo consoli M. Messala e M. Pitone, fu questa.: Avendo Pompeo liberato da'corsali la riviera marittima, e resti lui lo al popolo Romano l'im perio del mare, trionfò dell'Asia, del Ponto, dell'Armenia, deità Paflagonia, della Cappadocia, della Cilicia, della Siria, degli Sciti, dei Giudei, degli Albani, dell'lberia, dell'isola di Creta, dei Basterai, e dei re Mitridate e Tigrane. In somma delle somme, la saa maggior gloria fa (com'egli ebbe a dire, ragionando in pubblico, quando ei parlava delle cose sue), che egli avea presa l'Asia, ultima delle province, e che l'avea resa mezza alla sua patria. Ma se all ' incontro alcuno-vorrà raccontare le cose di Cesare, il quale apparve maggior di lui, bisogne rebbe certo, che annoverasse tutto il circuito della terra, che sarebbe infinito.
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G. PLINU SECUNDI
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u h o c b h t i a su m m a .
XXVIII. 37, Ceteris virtutum geaeribui varie XXVIII. 27. Nell’altre sorti di virtà varia ek multi fuere praestantes* Cato primus Porciae mente e molti furono eccellenti. Catone primo geniis tres summas in homine res praestitisse della famiglia Porcia fu tenuto che avesse tre existimatus, ut esset optirims orator, optimus cose singolari sopra gli altri uomini, «he fu ot imperator, optimus «senator : quae mihi omnia, timo oratore, ottimo capitano e ottimo senatore; etiamsi non prius, attamen clarius fulsisse in Sci ma tutte queste tre parti, $p non prima, a me pione AcopHiano videntur, dempto praeterea plu nondimeno pare che fossero molto maggiori e rimorum odio, quo Calo laboravit. Itaque sit più chiare in Scipione Emiliano, non essendo proprium Catonis, quater et quadragies causam oltra a questo odiate da molti, come fu Catone. dixissè, nec quemquam saepius postulatum, et Sia dunque lode propria e peculiar di Calonè, semper absolutum. che quarantaquattro volle ebbe a difendersi, nè alcun altro fu mai sì spesso accusalo com'egli, e andò sempre assoluto. FOBTITUDO SUMMA.
Somma
. XXIX. a8. Fortitudo in quó maxime exstite rit, immensae quaestionis est, utique si recipia tur poetica fabulositas. Q. Ennius T. Caecilium Dentrem, fratremque ejus praecipue miratus, propter eos sextumdèdmum adjecit annalem. L. Siccius Dentatus, qui tribunus plebis fuit, Sp. Tarpejo, A. A ter io consulibus, haud multo po$t exactos reges, vel numerosissima suffragia habet, centies vicies proeliatus, octies ex provocatione victor, quadraginta quinque cicatricibus adverso corpore insignis, nulla in tergo. Item spolia ce pit xxxiv, donatus hastis puris duodeviginti, phaleris xxv, torquibus tribus el l x x x , armillis c l x , coronis xxvi, civicis xiv, aureis vm, mura libus m, obsidionali una, fisco aeris x captivis et xx simul bubus, imperatores novem ipsius maxime opera triumphantes secutus : praeterea ( quod optimum in operibus ejus neor ) uno ex dncibus T. Romilio ex consulatu ad populum convicto male acti imperii.
Rei millaris haud minora forent Manlii Capi tolini decora, ni perdidisset illa exitu vitae. Ante decimum septimum annum bina ceperat spolia. Primos omnium eques muralem acceperat coro nam,-vi cificas, xxxvn dona, xxm cicatrices ad verso copore exceperat : P. Servilium magistrum equitum servaverat, ipse vulneratus humerum ac femor. Super omnia, Capitolium summamque rem in eo solus a Gallis servaverat, si non regno suo servasset. Verum in bis quidem virtutis opera magna, sed majora fortunae.
fo btbzxa.
XXIX. a8. Molti stanno in dtfbbio, non sa pendo chi abbia avuto maggior nome di fortezza, specialmente se noi vogliamo dar fede alle favole de* poeti. Q. Enuio ebbe in tanto prezzo la for tezza di T. Cecilie Denlre, e del suo fratello, che per essi fece il seslodecimo annale.-L. Siedo Dentato, il quale fu tribuno della plebe, essendo consoli Sp. Tarpeia ed A. Aterio, poco dopo che i re furono cacciati, ha grandissima lode di fortezza. Perciocché egli combattè cento venti volte ; otto volte sfidalo a battaglia a corpo a corpo sempre vinse ; ebbe quarantacinque ferite tutte dinanzi, e nessuna di dietro. Prese trentaquattro spoglie. Furongli donate dagli impera tori diciotto aste pure, ventidnque fornimenti da cavallo, ottantalrè collane, cento sessanta ar rotile, ventisei corone, qoattordid civiche, otto d’oro, tre murali, una ossidioitale, e dd fisco dieci prigioni, e insieme venti buoi. Accompagnò nel trionfo nove imperadori, i qudi principal mente trionfavano per opera di lui : olirà a ciò, quel che io stimo per la maggiore opera di lai, esso accusò T. Romilio uno dei capitimi dal con solato al popolo, e convinselo d'avere ammini strato male lo imperio ddla milizia. Non sarebbon ponto minori gli onorati Gatti di Manlio Capitolino, se non gli avesse disonorati col fioe ddla sua vita. Innanzi ch’ei fosse di diciassette anni aveva acquistale due spoglie. Egli fu il primo cavaliere, che avesse corona murale, ebbene sei civiche, trentasette doni, aveva avote irentatrè ferite davanti : aveva sal data la tita a Publio Servilio mastro de’ca vaiieri, essendo esso ferito in una spalla, e fra la cosci* I e il corpo. Sopra tolte queste cose è da esser ! lodalo, ch'egli solo salvò il Capitolio, e con esso
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HISTORIARUM MUNDI Liti. VII.
M. Sergio, ut qoidem arbitror, nemo quam quam hojsioom jure praetulerit : licei pronepos Catilina gratiam nomini deroget. Secundo flipendìp dexteram manum perdidit : .stipendii» duobus ter et vicies vulnerala· est : ob id neqtra mana, neutro pede sali* utUis : uno tao tura servo, plu rimis postea stipendiis debilis miles. Bis ab Han nibale captus ( neque enim cura quolibet baste res fuit ), bis vinculorum ejus profugus, xx men sibus nullo non die in caleais aut compedibus custoditus. Sinistra manu sola quater pugnavit, duobus equis iosidenle eo suffossis. Dexteram sibi ferream feci, eaque religata proeliatus, Cre monam obsidione exqpit, Placentiam tutatus est : duodena castra hostium in Gallia cepit: quae oin aia ex oratione ejtts apparent, habita quum in praetura sacris arceretur a collegis, ut debilis. Quos hic coronarum acervos constructurus hoste mutato ? Etenim plurimum refert, in quae eqjusqoe virtus tempora inciderit. .Quas Trebia, Ticinnsve, aut Thrasjrmenus civicas dedere? Quae Cannis corona merita? unde fugisse virtutis sum mum opus fuit.. Celeri profeclo vietores homi num fuere, Sergius vicit etiam fortuoam.
IseiBU rtABCtftfi.
Γ imperio «Ia' Galli, se non l'avesse salvato per farsene re. Iu queste cose certo sono opere grapdi di virtù, ma maggiori della fortuna. Nessuno, a mio giudido, è da esser messo innanzi a M. Sergio, ancor che CatUina suo bis nipote lévi molta grazia alla fama di lui. La se conda volta, eh’ egli andò alla guerra, perdè la man ritta, e in due volte, ch’ei fu alla guerra, ebbe ventitré ferite, e per questo poco si valeva delle mani e de' piedi, ma solamente d’un servo : dipoi più volte così storpiato andò alla guerra. Due volte fu preso da Annibale ( nè s'avea da fare c«n un nemico qualunque), due volte gli fuggì dalle mani, venti mesi continui stette guardalo in ceppi, o in catene. Quattro volle combattè con la man manca sola : due cavalli gli furono morii sotto. Fecesi (are la man ritta di ferro, legandosela al braccio combattè, e liberò Cremona dall'assedio: difese Piacenza, prese 4n Gallia dodid alloggiamenti dei nimid: le quali cose si veggon tutte nell'orazione, ch'ei fece essendo egli pretore, quando i suoi colleghi non volevano, per essere storpialo,ch'egli intervenisse ai sacrificii. Quante corone s'avrebbe acquistato questo uomo, s'egli avesse avuto altro nimico ? Perciocché egli importa assai in quali tempi s'abbatta la virtù di ciascuno. E quai corona civiche diedero Trebbia, Tesino, o Trasimeno? Quale corona si meritò a Canne ? donde fu ope ra di gran valore, la foga. Gli altri veramente furono vincitori degli uomini, ma Sergio vinse ancora la fortuna. iRGBGjn p a s c im i.
39. Chi potrebbe assegnar mai la glo XXX. ag. Ingeniorum gloriae quis possit XXX. agere delectum, per tot disciplinarum genera, et ria dell' ingegno ad alcuno, per tante manière di discipline, e tanta varietà d'opere e di cose ? Untam rerum operumque varie talem ? nisi forte Homero -vate graeco nullum felicius exstitisse se già forse niuno non si riputasse essere stato più felice d'Oraero poeta greco, o si guardi la for convenit, sive operis fnr tuna, sive materia aestituna dell'opera, o la materia. Per la qual cosa atelur. Itaque Alexander Magnus ( etenim insi gnibus judidit optime, citr^que invidiam, tam Alessandro Magno ( perocché verrà benissimo e senza invidia questo nobil giudicio dietro la sen superba censura peragetur), inter spolia Darii tenza di sommi personaggi) fra le spoglie di Dario Persarum regia unguentorum scrinio capto, qnod re dei Persi trovò up forziere, dov' ei teneva erat auro gemmisque ac margaritis pretiosam, i suoi profumi, cosa di grandissimo prezzo per varios ejos usus amicis demonstrantibus (quando taedebat uoguenli bellatorem et militia aordi- l'oro, le gioie e le perle, che v'eranò intorno. E dum ), « Immohercule, inquit, librorum Homeri agli amici suoi che gli mostravano, come gli era custodiae detur : n ut pretiosissimum humani .buono a più cose ( perchè un soldato e rozzo nella milizia, com'egli era, non si curava di pro animi opos quam .maxime diviti opere .servare tur. Item Pindari vatis familiae penatibuqde fumi), diss’ei : u Sarà buono,per serbare i libri di jau it parci, quum Thebas caperet. Aristotelis Omero,» acciocché una preziosissima opera umana pbilosophi patriam condidit : tantaeque rerum si serbasse in un ricchissimo arnese. 11. medesimo quando prese Tebe, comandò che fosse usato daritati tam benigpum testimonium misepit. rispetto alla famiglia, e alla casa di Pindaro poe ta. Rifece la patria d 'Aristotele filosofo, e con
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C. PLINII SECUNDI
Archilochi poetae interfectores Apollo arguit Delphis. Sophoclem tragici cothurni principem defunctum sepeliri Liber pater jussit, obsidentibus moenia Lacedaemoniis: Lysandro eorum rege in quiete saepius admonito, ut pateretur humari delicias suas. Requisì vii rexf quis supremum diem Athenis obiisset : nec diffieulter ex iis, qaem deus significasse!, intellexit : pacemque funeri dedii·
tanto splendor di cose accompagnò ai nobil testi monio d'amorevolezza. L'oracolo d' Apolline Delfico insegnò quei che .avevano morto Archfloco poeta. Bacco comandò che Sofocle principe della tragedia fosae sotterrato, essendo i Lacedemoni! allo assedio delle mura, e apparve più volte in sogno a Lisandro lor re, ordinandogli ch’ei lasciasse seppellire le sue delizie. Domandò il re, chi era morto in Atene, e facilmente seppe da loro di chi aveva inteso il dio Racco, e assicurò quei che l'aveano a portar fuora della terra alla sepoltura.
Q O I SAPIENTISSIMI.
UoMIKI SAPIENTISSIMI.
3o. Dionigio tiranno, nato per usare XXXI. So. Platoni sapientiae antistiti Diony XXXI. sius tyrannus, alias saevitiae superbbeque natus, crudeltà e superbia, mandò incontro a Platone vitiatam navem misit obviam: ipse quadrigis albis principe della sapienza una nave ornata % uao egredientera in litore excepit. Viginti talentis di quelle che portavano le cose «acre, ed essendo unam orationem Isocrates vendidit. Aeschines giunto Platone in porto, esso gli andò incontra Atheniensis summus orator, quam accusationem, sopra una carrella tirata da quattro cavalli bian qaa faerat usus, Rhodiis legisset, legit et defen· chi. Isocrate vendè ana sua orazione venti talenti. sionem Demosthenis, qua in illud puhus fuerat Eschine Ateniese, grandissimo oratore, avendo exsilium : mirantibusque, « Tum magis fuisse mi lello a' Rodiolti un1 aocusa, ch’egli avea Citta, raturos dixil, si ipsum orantem audivissent : » lesse anco la difesa di Demostene, per la quale in calamitate testis ingens faclus inimici. Thucy egli era stato mandato in esigilo ; e maraviglian didem imperatorem Athenienses in exsiltum dosi essi, disse che molto più ai sarebbono ma· egere, rerum conditorem revocavere, eloquentiam ravigliati, se l'avessero udita recitar da lui ; nel mirati, cujus virtutem damnaverant. Magnum et la miseria sua fallo gran testimonio del nimico. Menandro in comico socco testimonium regum Gli Ateniesi mandarono in esiglio Tucidide lor Aegypti et Macedoniae contigit, classe et per le generile, e dipoi avendo egli scritto le istorie, gatos pelilo: majus ex ipso, fortunae praelata 10 richiamarono, stimando assai la eloquenza literarum conscientia. sua, benché prima avessero sprezzata la virtù di lui. Menandro poeta comico s'acquistò anche egli gran gloria, die i re d 'Egitto e di Macedo nia gli mandassero ambasciadori eoa (lotta a pregarlo ch'egli andasse a loro : ma molto mag gior gloria gli io, ch’egli avesse più earo k> aiodio delle lettere, che la grazia de' re. 1 dttidini Romani ancora onorarono gran Perhibuere et Romani proceres eliam exieris testimonia. Co. Pompejus confecto bello intra demente la virtù' negli stranieri. Gneo Pompeo turus Posidonii sapientiae professione clari do avendo finita la gaerra di Mitridate, essendo per mum, fores perenti de more a lictore vetuit: et entrare io casa di Posidonior chiaro per la p ro fasces literarum januae submisit is, cui se Oriens' fessione della sapienza, non volle che il littore, Ocddensque submiserat. Cato censorius, in illa come s'usava fare, gU picchiasse la porta : e ooliti nobili triura sapientiae procerum ab Albenis le 11 quale aveva soggiogalo il Levante e il Ponente, gatione, audito Carneade, quamprimum legatos sottomise i suoi fasci lìllorii a quella porta. Ca tone Cenaorino, in quella nobile ambasceria eos censuit dimittendos, quoniam illo viro argumandata da Atene di tre filosofi, udito die fri roentaote, quid veri esset haud facile discerni posset. Qoanta motum commutatio ! Ille semper Cameade, consigliò che quei tre ambasciadori alioquio universos ex Italia pelleodos oensuit subito fossero licenziati, perciocché argomen tando qudl’uomo, dMBmlmeate si poteva cono Graecos : at pronepos ejus Uticensis Cato, unum ex tribunatu militum philosophum, alterum ex scere qnd che fesse il vero. Quanto è grande la Cypria legatione deportavit. Eamdemque lin mutazione de' costumi ! Costui fu sempre di pa guam ex duobus Calonibus, ia illo abjecisse, io rere, che tutti i Greci si dovessero cacdare fuor
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VII.
hoc importane, memorabile est. Sed et nostro rum gloriam percenseamus.
Prior Africanos Q. Ennii stataam sepolcro soo imponi jaasit, darumque illod nomen, imn o vero spoliam ex tertia orbis parte raptnm, in cinere sapremo cam poetae titolo legi. Dirns Augustos carmina Virgilii cremari con tra testamenti ejus verecundiam vetuit : majusque ita vali testimonium contigli, qaam si ipse saa probavisset. M. Varronis in bibliotheca, qaae prima in orbe ab Asinio Polliooe ex manabiis pablicaU Romae est, ooiu» viventis posita imago est : haud aainore (ut equidem reer ) gloria, principe ora· tore et óve, ex illa ingeniorum, quae tunc fuit, multitudine, uni hanc coronam dante, qaam qaam eidem magnus Pompejos piratico ex bello navalem dedit. Innumerabilia deinde sunt exem pla Romana, si persequi libeat : quam piares ana gens ia quocumque genere eximios tulerit, quam ceterae terrae.
Sed et quo te, U. Tulli, piaculo taceam? quov e maxime excellentem insigni praedicem f qtio potius, qaam universi populi illius gentis amplis simo testimonio, et a tota vita taa consolatus tantom operibus electis f Te dicente, legem agra riam, hoc est, alimenta sua abdicaverunt tribus: te suadente, Roscio theatralis auctori legis igno verunt, notatasqoe se discrimine. sedis aequo aaioo tolerant : te orante, proscriptorum liberos honores petere gudait : tuum Catilina fugit inge stam : tu M. Antonium proscripsisti. Salve, pri mos omniam parens patriae appellate, primus in toga triumphum linguaeque lauream merite, et facundiae Latiaramque literarum parens·: atque ( at dictator Caesar, hostis quondam tuus, de te scripsit) omnium triumphorum lauream adepte snajorem, quanto plus est, ingenii Romani termi nos in tantum promovisse, quam imperii, reliquis animi bonis.
3 i. Praestitere ceteros mortales sapientia, ob id Cati, Corculi, apud Romano· cognominati. Apud Graeooe Socrate», oraculo Apollinis P jthii praelatus ounelis.
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d'Italia: ma Catone Uticense suo bisnipote con dusse a Roma un filosofo, essendo egli tribuno dei soldati, e on altro quando fa legato in Cipri. Ed i cosa mirabile se7due Catoni, che quegli cac ciasse U medesima lingua, e questi ve la condu* cesse. M» ragioniamo anco della gloria de' nostri. 11 primo Scipione Africano comandò che la statua di Q. Ennio fosse messa sul suo sepol cro , e che quel nome illustre, anzi piuttosto spoglia, rapita dalla terza parte del mondo, fosse letta sopra il suo cenere col titolo del poeta. Lo imperadore Angusto non lasciò che i versi di Virgilio fossero arsi, contra l'ordine del suo testamento, e cosi fu maggior testimonio al poe ta, che s'egli stesso avesse approvati i suoi versi. Nella libreria, la qual prima nel mondo fa pubblicata da Asinio Pollione in Roma de* denari pavati delle spoglie de* nemici, fu posta la statua di Marco Varrone, il quale era ancor vivo. E ciò, come io credo, non fu punto di minor gloria, che un principe oratore e cittadino di quella moltitudine d’ ingegni, che fu allora, desse ad esso solo questa corona, che quando Pompeo Ma gno nella guerra de' corsali donò al medesimo la corona navale. Infiniti son poi gli esempii Ro mani, se gli vorremo riandar tutti : perciocché questa nazion sola ha avuti molti più onerati uomini in ogni facoKl, che le altre terre. Ma che error farò io tacendo te, ο M. Tullio? o in che modo ti loderò io f con che testimonio piuttosto, che con quello di tatto il popolo, o per quali opere della taa vita, se non soltanto per le nobilissime del tuo consolato T Per la tua orazione le tribù raunate rifiutarono la legge agraria, che provvedeva gli alimenti loro. Per ìa tua per suasione le leggi perdonarono a Roscio, il quale aveva sollevato grandissima sedizione in teatro, e pazientemente sopportarono d 'esser tassate d’ ignominia. Per la tua orazione i figliuoli dei proscritti si vergognarono a chiedere i magi strati : l ' iogegno tuo scompigliò il trattato di Catilina: tu mandasti in esigilo M. Antonio. Salve, o primo chiamato padre della patria, il quale primo e solo senz'armi meritasti il trionfo, e con la tua lingua t'acquistasti corona d'alloro, e fosti il padre della facondia e delle Latine let tere: e, come Cesare dittatore già tao nimico di te scrisse, guadagnasti corona di lauro mag giore, di tutti i trionfi; perchè mollo più è avere allargati i coufini dell* ingegno Romano con le doti dell'animo, che quelli dell' imperio. 3i. Passarono innanzi agli altri uomini con la sapienza quegli, che perciò appresso de' Ro mani furono chiamati Cati e Corculi. Appresso de' Greci Socrate dall'oracolo d*Apolline Pitio fu messo innanzi a tutti.
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C. PU N II SECUNDI
P U M im
PXECETTl UTlLISSlMr k t v k v i t a .
VITA* UTILISSIMA.
XXXII. 3a. Chilone Lacedemonio fa fatto XXXII. 3a. Ranas mortales oracalorum dagli uomini compagno degli oracoli, perocché sodetatenl dedere Chiloni Lacedaemonio, tria praeeepU ejus Delphi· eonsecrando, aorei· lite- nel tempio d1Apolline Ddfico consacrarono tre rii, qttae sunt haec: u Nosse «e quemque: et scoi precetti a lettere d’ oro, i qaali son questi : nihil nimiam capere: eomilemque Aeris alieni u Conosd te stesso : non desiderar ttoppo alcuna atque litis esse miseriam, » Quia et fanas ejas, cosa : la miseria è compagna de* debiti è delle quam victore filio Olympiae exspirssset gaudio, liti. » Di piò, estèndo egli morto d’allegretta, intendendo come un suo figliuolo era stato vintola Graecis proseeuls est. dtore in Olimpia* tutta la Creda l'accompagnò alla sepoltura. Dt
D e l l a d i t iu a z io b e .
DIVMATIOM.
XXX I I I. 33. Divinitas, et quaedam coelitam sodetas nobilissima, ex feminis in Sibylla fuit: ex viris in Melampode «pad Graeeos, apud Ro manos in Marcio.
XXXIII. 33. La dmuità e Una certa tfobiH·sima compagnia con gli dei: tra le deana fa nella Sibilla ; fra gli uomini in Melampode appresso i Greci, e appresso i Romani in Mardo.
Vim o Pt i MU· lom atos.
C h i p o g iu d ic a t o o t t im o u o m o . >
XXXIV. 34· Vir optimus semel a condito aevo jadicatas est Sdpio Nasica, a jurato seoata. Idem in toga candida bis repulsa notatus a po pulo. In tamtna,‘ ei in patria Mori non licuit: non hercuies magis, quam extra vincala illi sa pientissimo ab Apolline judieato Socrati.
XXXIV. 34.11 migliore uomo solo una volta al mondo fa giudicalo Sdpion Nasica dal se nato, il quale prese sopra dò giuramento di giu dicar senza passione. Il medesimo chiedendo magistrali fn due volte ributtato dal popolo. In somma egli non potè morire nella patria : come anoora quel Socrate, che fu giudicato sapientis simo da Apollinei noa ebbe grana di morire fuer dì prigione.
M a t io h a k frubictssiMAE.
M a t e o i e d i som m a p u d ic iz ia .
XXXV. 35. Onestissima donna per sentenza XXXV. 35. Podictssim femina scinti, matro narum sententia, judicata est Sulpida Pàtemili di latte le matrone fu giudicata una volta Sulpi» filia, óxor Fulvii Flacd, electa ex centum prae zia figliuola di Patercolo, moglie di Fulvio Fboceptis, quae simulacrum Veneris ex Sibyllinis co, eletta di cento scelte a dedicare la statua di Venere, .siccome comandavano I libri Sibilimi, librb dedicaret. Iterum, religionis experimento, l'ala fu ancora Claudia, come ne fa prova un atto Claudia, indocta Romam deftm Matre. di religione, perchè està condusse a Rama la sta tua della Madre degli dei. StMMAB PU T A T IS EXEMPLA.
EskMPit
d i m e l u s s im a p is t a *.
XXXVI. 36. Infiniti esempi! di pieU furono XXXVI. 36. Pietatis exempla infittila quidem lòto orbe exstitere : sed Romae ubum, cui com per tulio il mondo ; ma uno ne fu in Roma, al parari cuncta non queant. Humilis in' plebe, et quale tutti gli altri insieme non si potrebbono ideo ignobilis puerpera, snpplidl causa carcere agguagliare. Fu già una donna di bassa condi indusa matre, quam impetrasse! aditum, a jani zione, la quale di poco aveva partorito, e la sua tore semper exetus*, ne quid inferret dbi, de madre era in prigione condannala a morte. Essa prehensa est oberibas sais aleus eam. Quo mira avendo ottenuto dal guardiano della prigione colo, matris salus donata pietati est, ambaeque d'atodare a vederla, era sempre cercata, acciò 4a mangiar·. perpetuis alknentis, et locos ille eidem consecra ch'dla non le portasse alcuna cosa < tos deae, Cr Quinctio, M. AciHo coss., templo Finalménte fu trovata che le dava la poppa. Par
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Pietati» exstructo in illius carceri· «ede, abi nane Marcelli theatram est. Gracchorum pater, angutbas prehensis in domo, quam responderetar, ipsam neturam alterius sexus interempto, ulmmo vero, inquit, meam necate: Cornelia enim, javenis est, et parere adhuc potest. » Hoc erat uxori par cere, et reipablicae consulere. Idque mox conse cutum est. M. Lepido· Apulejae uxoris carilate post repodium’obiit. P. RutiKos, morbo levi im peditus, nuntiata fratria repulsa in consulalns petitione, illico exspiravit.' P. Catienus Plotino· patronam adeo dilexit, ot heres omnibus bonis institutas, in rogum ejas se jaceret.
Anno· n c t u u n c
a s t r o l o g ia , g r a m m a t ic a ,
U D 1 C I1 1.
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la qual maraviglia Ia saltate della madre fa donata alla pietà della figlinola, e amendae ebbero pro visione dal pubblico per la vita loro, e quel luogo fu consacrato a lla dea, essendo consoli C. Quin zio, M. Acilio, fatto il tempio della Pietà nel sito di qaella carcere, dove £ ora il teatro di Mar cello. Il padre de’ Gracchi, essendosi presi due serpenti in casa tua, venato a sapere, eh'esso sarebbe vissuto, se fosse ammazzata la femmi na,-» Anzi, diss'egli, ammazzate il maschio, per ciocché Cornelia è giovane, e può fare ancora degli altri figliuoli. » Questo fa an atto dì pietà verso la moglie, e verso la repubblica. E così poco dipoi avvenne. M. Lepido per l'atnor, che portava ad Apuleia sua moglie, poi che Pebbe ripudiala, si morì di dolore. P. Rutilio, essendo leggermente ammalato, come intese che il fratello aveva avato repulsa domandando il consolato, ai morì subito. P. Cazieno Piotino amò tanto il suo padrone, ch'essendo instituito erede di tutti i suoi beni, si gittò nel fooco dov'egli ardeva. U o M U I RCCBLLBRTI IV ASTI, IR ASTROLOGIA, IR GRAMMATICA, IR MKD1CIRA.
XXXVII. 37. Infiniti sono stati eccellentissimi XXXVII. 37. Variaram artium «cientia innu merabiles enitaere, quos tamen attingi par sit nella scienza di diverse arti ; nondimeno toccando florem hominum libantibus: astrologia Berosus, noi il fior degli uomini* ‘tratteremo d 'alcuni, cai ob divinas praedictione· Athenienses publice i quali meriteranno più che di lor |i favelli. Ec in gymnasio slalaam inaurata lingua statue cellente fa in astrologia Beroso, al quale, per le re. Grammatica Apollodorus, cai Amphictyones ine divine pronosticazioni, gli Ateniesi pubblica Graeciae honorem habuere. Hippocrates medici mente posero una statua nel ginnasio con la lingua na: qai venientem ab Illyriis pestilentiam prae indorala. Apollodoro fu eccellente in grammati dixit, discipulosqne ad aaxiliftndam circa urbes ca, a cui gli Anfizioni della Grecia fecero molto dimisit: qaod ob meritum honores illi, quo· onore, lppocrate in medicioa, il quale predisse Herculi, deerevit Graecia. Eamdem scientiam in la pestilenza, che veniva di Schiavonia, e mandò Cleombroto Ceo Ptolemaeus rex Megalensibus i suoi discepoli ad aiutare le citlà all' intorno : sacris donavil c talentis, servato Antiocho rege. per lo qual beneficio la Greda gli ordinò quegli Magna et Critobulo fama est, extracta Philippi onori, che solea fare ad Ercole. Nella medesima regis oculo sagitta, et citra deformitatem oris •cieota fu eccellentissimo Cleombroto Ceo, e curala orbitate luminis. Summa aatem Asclepiadi perciò il re Tolomeo ne' sacrificii Megatesi gli Prusiensi, condita nova secta, spretis legalis et donò cento talenti, avendo egli medicalo e gua pollicitationibus Mithridatis regis, reperta ratio rito il re Antioco. Gran fama s'acquistò Cri lone, qua vinum aegris mederetur, relato e funere bolo ancora, per aver cavata una freccia d'un homine et servato: sed maxime sponsione facta occhio al re Filippo, e guaritolo in modo di cam fortuna, ne medicus erederelur, si umquam qaell'occhio, che benché lo perdesse non però invalidus ullo modo fuisset ipse: et victor, supre rimase bratto a vederlo. In grandissima fama ma in senecta lapsu scalarum exanimatus est. fu pure Asclepiade di Prasia, autore di nuova sella, sprezza lo re degli ambasdadori e delle of ferte del re Mitridate, e trovatore di an modo da medicare gl' infermi col vino ; siccome quel che fece tornare addietro uno, ch'era portato a sep pellirsi, e guarillo. Ma molto maggior ripuiazioneebbe dd pegno, die mise con la fortuna, dicendo che non vol«v« esser tenuto per medico,
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caso che per alcun modo cgH si fosse ammalato, e vincitore ndl'ultima vecchiezza si mori, cadendo d'una seda. G b OMSTKIA, * T AACHITECTUAA.
D i ALTE1 I * GEOMETXJA I ABCHITBTTOKA.
XXXVIII. Grande et Archimedi geometricae XXXVIli. Ebbe Archimede anch'egli gran ec machinalis scientiae testimonium M. Marcelli testimonio da Marco Marcello della sdenta geo contigit, interdioto, quam Syracusae caperentur, metrica e macchinale, avendo Marco Marcello ne violaretur anus: nisi fefellisset imperium mili mandato il bando, quando si prese Siracusa, che taris imprudentia. Ltudatos est et Chersiphron esso solo non fosse manomesso : ma tal comanda Gnossius, aede Ephesiae Dianae admirabili fabri mento non ebbe effetto per la ignoranza d'an cata: Philon, Athenis armamentario mille naviam, soldato. Fu lodato anco Chersifrone Gnossio, per Clesibius puenmatica ratione et hydraulicis orga avere edificato il mirabil (.empio di Diana Efesia; nis repertis: Dinocrftes metatus Alexandro con e Filone, per aver fatto agli Ateniesi uno arxanà dente in Aegypto AJexandriam. Idem hic impera capace di mille* navigli ; e Ctesibi?, per aver tro tor edixit, ne quis ipsum alius, quam Apelles, vata la musica degli strumenti, che sonano col pingeret: quam Pyrgoteles, sculperet: quam fiato, e gli organi ad acqua; e Dinocrate, per Lysippus, r t aere dnceret : quae artes pluribus aver disegnata Alessandria in Egitto ad Alessan inclaruere exemplis. dro, che la edificava. Questo medesimo re co mandò che nessuno altro lo dipignesse, che Apdle ; nessuno Io scolpisse se non Pirgotele ; e che niuno lo facesse di getto fuor che Lisippo : le quali arti divennero chiare per più esempli. PlCTGEA, SCCLFTOBA ΑΕΕΑΕΙΑ,'χΑΕΜΟΕΑΕΙΑ, ΕΒΟΕΑΒΙΑ, CABLATDXA.
Di
a l t a i ih f it t d b a ,
ih is c u lt u r a d i bhohzo ,
DI HAEMO, DI BBAHO, K IH U T AGLIO.
38. 11 re Attalo comperò cento ta XXXIX. 38. Aristidis Thebani pictoris unam XXXIX. tabulam, centum' talentis rex Attalus licitus est. lenti una tavola d'Aristide dipintorTebano. Cesa Octoginta emit duas Caesar dictator, Medeam et re dittatore ne comperò due di Timomaoo, la Ajacem Timomachi, in templo Veneris Genetricis Medea e l ' Aiace per ottanta talenti, volendole dicaturus. Candaules rex, Bularchi picturam dedicare nel tempio di Venere Genitrice. Can dente re comperò una pittura di Bularco, dov'era Magnetum exitii, haud mediocris spatii, pari redendit auro. Rhodum non inoendit rex Deme dipinta la distruzione de'Magneti, di mediocre trius, Expugnator cognominatus, ne tabulam spazio, tant'oro, quanto dia pesava. Il re Deme Protogenis cremaret, a parte ea muri locatam. trio -, per soprannome chiamato Espugnatore, Praxiteles marmore nobilitatus est, Gnidiaqne non arse Rodi, per non ardere la tavola dì Pro togene, posta da qudla parte dd muro. Pressitele Venere, praecipue vesano amore cujusdam juve nis insigni: et Nicomedis aestimatione regis, ebbe gran fama nelle statue di marmo, e massi grandi Gnidiocnm aere alieno permutare eam co mamente per la statua ddla Venere di Gnido, di coi certo giovane s'innamorò; e per la grande nati. Phidiae Jupiter Olympius quotidie testimo stima, che ne fece il re Nicomede, il quale volle nium perhibet: Mentori Capitolinus, et Diana Ephesia, quibus fuere consecrata artis ejus vasa. rimettere un gran debito a'Gnidi, ch’essi averaa seco» se gli davano qudla statua. Ddl'ecoeUcnza di Fidia £a testimonio ogni giorno il Giove Olim pio ; e di Mentore Giove Capitolino, e Diana Efesia, ai quali furono consacrati gli artificii di quell'arte. A l T U HOMMTOM n n M lA .
XL. 39. Pretium hominis in servitio geniti aaximum|ad hanc diem (quod equidem compererkn) fuit grammaticae artis Daphni, Gnatio Pisaurense vendente, el M. Scauro principe civi-
D ell'
ecceller za d i jo c u h i u o m ib i.
XL. 39. Il maggior prezzo di uomo nato servo, e dipoi venduto, che io sappia, infino a qoesto giorno fn di Dafnide maestro di gram matica, il quale fu venduto da Gnazio Pesarese
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VII.
latis Η-s dcc liceale. Excessere hoc io nostro sevo nec modice histriones, sed libertatem soam mer cali. Quippe quum jam apad majores Rosdos histrio n-s d annua meritasse prodatur: nisi quis in hoc loco desiderat Armeniaci belli, panilo ante propter Tiridatem gesti, dispensatorem, quem Nero i* s c u x manumisit. Sed hoc pretium belli, nou hominis fuit: tam hercule, quam libi dinis, non formae, Paezonlem e spadonibus Seja no h - s d mercante a G. Lutorio Prisco. Qoam quidem injuriam lucrifecit ille mercales in luotn civitatis, quoniam arguere nulli vacabat.
Db rsticrrlTB s o n i . . XL 1. 40. Gentium in loto orbe praestantissi me una omnium, virtute, haud dubie Romana extitit. Felicitas cui praecipua fuerit homini, non est humani judicii : quum prosperitatem ipsam alio modo, et suopte ingenio quisque ter minet. Si verum facere judicium volumus, ac repudiata omni fortupae ambitione decernere, mortalium nemo est felix. Abunde agitur, atque indulgenter fortuna decidit cum eo, qui jure dici non infelix potest. Quippe ut alia non sint, certe, ne lassescat fortuna, metus est : qao semel recepto, solida felicitas non est. Quid quod nemo Jnortalium omnibus horis sapitf utinamque fal sum hoc, et nona vate dictum .quam plurimi ju dicent! Vana mortalitas, el ad circumscribendam seipsam ingeniosa, computat more Thraciae gen tis: quae calculos colore distinctos, pro experi mento cojtt*que diei in urnam condit, ac su premo die separatos dinumerat, atque ita de quoque pronuntiat. Quid quod iste calculi can dore* illo laudatus dies, originem mali habait? Qoam multos accepta ydflixere imperia ? quam multos bona perdidere, et ultimis mersere sup pliciis? Ista nimirum bona, si cui inter illa hora in gaudio fuit, lia est profecto, alius de alio ju dicat dies, et tamen supremus de omnibus: ideoque nullis credendum est. Quid quod bona malis paria non sunt, etiam pari numero : nec laetitia ulla .minore moerore pensanda? Heu vana et imprudens diligentia! numerus dierum compa ratur: ubi quaeritur pondus?
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a Marco Scauro principe della città settecento mila sesterzi!. Gl* istrioni passarono a* tempi nostri queste somme, e di mollo, ma però comperarono la libertà loro. Perciocché appresso i nostri anti chi si «lice che Roscio istrione guadagnò ogni anno cinquecento mila sesterzi!; se già alcune non ricerca in questo luogo il dispensatore del la guerra di Armenia, fatta poco tempo è per Tiridate, il qual dispensatore Nerone fece franco per cento trenta milioni di sesterni. Ma questo fu prezzo di guerra, e non di uomo ; come ap punto fa prezzo di libidine e non di bellezza, che Seiano comperasse da C. Lutorio Prisco l'eunuco Pezonte per cinquecento milioni di sesterzi! : mercato che faceva ingiuria alla calamità pub blica, mentre nessuno aveva ardire di ripren derlo. D blla
f b u c j t ì scfabba.
XLI. 40. La più nobile nazione del mondo in ogni virtà fu senza, dubbio la Romana. Ma qoale sia stato il più felice, non c' è uomo che possa darne giudicio : perciocché chi per un modo e chi per un altro secondo il proprio in gegno termina la felicità. Ma se noi vogliamo fare vero giudicio e diffinire, lasciando da parte ogni ambizion di fortona, nessun uomo si può chiamar felice. Assai bene adunque e amorevol mente si porta la fortuna con colui, il quale me ritamente può dirsi non infelice. Perciocché, se altro non ci fosse, certo sempre si teme, che la fortona non si stracchi : una volta che si dia luo go a questo timore, non è pià vera felicità. Ma che diremo noi, che niuno può essere sempre sa vio ? e dio volesse pure, che ciò non fosse vero, e che i più giudicassero che non fosse detto da indovino ! Magli uomini son vani, e a ingan nare sé-stessi molto ingegnosi, e fanno come i popoli di Tracia, i quali mettono ogni dà lor pietruzze «nel .vaso differenti di odore, e poi al fin della vita contano quali sono state le più, e secondo quelle fanno giudicio della vita. BJa che diremo noi, che spesso gli annoverati con la pietra bianca sono stati origine del male av venire? Quanti ne son roinali per gl* imperii acquistati? quanti son capitati male per le lor ricchezze ? Questi veramente furon beni in quel dì che apportarono allegrezza. Così è certo, e un dì giudica dell'altro, e poi l'ultimo fa giudicio di tutti : e perciò non s* ha a credere a niuno. Ma che più? che i beni non pareggiano i mali,ancora che il numero sia pari : e non è così grande allegrezza, che. possa scontare un minimo affini no. O vana e sciocca diligenza! che cerca il numero de* giorni, dove bisogna cercare il peso.
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XLII. 41· Una feminarum in omni aevo Lara pido Lacedaemtouia repcritnr, quae regis filia, regi» uxor, regis mater fuerit. Una Berenice, qoae filia,.soror, mater Oljrmpionjcarum. Una familia Curiqnura, io qai tres continua. serie oratores exstiterunt. Uoa Fabiorum, in qua tres contioni principes senatus, M. Fabius Ambastui, Fabia· Rulliaous filios, Q. Fabius Gorges nepos.
YAEIETATIS XXEXPLA KlKABILIA.
XL 1II. 42. Cetera exempla fortunae variantis innumera sont. Etenim qoae facit magna gaudia, nisi ex malia ? aut quae mala immensa, nisi ex ingentibus gaudiis Ϊ 43.Servavit proscriptum a Solla M. Fidostiom aenatoreom.annis xxxvi ; sed iterum proscriptus. S^pentes Sollae vixit, sed usque ad Antonimo : conatatque nulla alia de causa ab eo proscriptum, quam quia proscriptus fuisset. HoaoauM
e x e u s la n ib a b ilia .
XLIV. Triumphare P. Ventidium de Parthis vploit quidem solum, sed eumdem in triumpho Ascalano Cn. Pompeji Strabonis duxit puerum : quamquam Masurius auctor est bu in triumpho duotum : Cicero, mulionem castrensem sufiarraneam fuisse : plurimi, juventam inopem in caliga militari tolerasse. Fuit et Balbjn? Cornelius major «onsal, «ed aocusatus, atque de jure virgarum in «osa, judioum io eonsilium missus : primus exter norum, atque etiam in Oceano genitorum usus illo honore, quem majores Latio quoque negave runt. Est et L . Fulvius inter insignia exempla, Xuscolanornm rebellantium consul : eodemqne honore, quum transisset, exornatus confestim a populo Romano: qui aolus eodem anno,«quofue rat 'hostia, Romae tviamph»«it ea iis, qaòrom consol inerat. <
UwBs
XLII. 4j . Una donna si trovò in tutte l'età, eh1ebbe nome Lampido Lacedemonia, la quale fu figliuola di re, moglie di re, e madre di re. Una chiamata Berenioé, ch'ebbe padre, fratello e figliuolo vincitori de'giuochi Olimpici. Una sola famiglia de'Curioni si trova, nella quale furono l'un dopo l'altro, padre, figliuolo e ni pote, oratori. Una de' Fabii, nella quale furono tre principi del senato continui per ordine, Mar co Fabio Ambusto, Fabio Rulliano suo figliuolo, e Quinto Fabio Gorgite suo nipote. MiaABILI ESBMPII DI
VASI A FOBTUBA.
XLI1I. 42. Gli altri esempU della instabil for tuna sono infiniti. Perciocché quali grandi allegreztedà ella,ebenon le tragga dai.mali? oquai grandi nuli, che non da grandissime allegrezze? 43. Questa salvò trentasei anni M. Fidustio senatore proscritto da Siila,- ma di nuovo pro scritto. Sopravvisse-a Siila, ma infino ad Antonio : ed è cerio che per altro egli non fu proscritto, se non perch’ers già .stato proscritto. M u u b iu
eskvfii
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oBomi.
XLIV. Questa medesima volle oheP. Venti dio trionfasse solo de' Parti, e valse aacocs, che egli «tesso, essendo ancora fanciullo fosse coddotto nel trionfo Ascolano di Gneo Pompeo Strabone; btnehè Masurio aoriva, ch'egli 61 menato .due volte in trionfo. Cicerone diee che ei fu vetturale in campo : e molti altri dicono eh'egli passò poveramente la sua .gio,vanessa al soldo da fante a piedi. Fuaooora Balbo Cornelio maggiore consolo ; .ma fu aoousato, e secondo la ragion delle verghe messo nel* consiglio dei giudici: primo degli stranieri, e nati Sull'Oceano, * che avesse quell'onore, i l quale 'gli antichi non volsero neppur concedere a quei del Lasfo. L. Fulvio anche agli è fra gli «serapii illustri, con solo dei Tuscolani’ ribellati: il qoale essendo pas sato a’RomaniiSubito 'conseguì il medesimo onore dal popol Romano, il quale solo nel medesimo anno, cha era stato nimico a' Romani, trionfò io Roma di coloro, de' quali egli età stato consolo. Lucio Siila, solo fra gli nomini di questa età, s'sppropriò il cognome di Felice, avendoselo egli acquistato col sangue civile, e col far guerra alla patria. Or vedi, che testimonii di felicità eon questi, perch* egli fece proscrivere e tagliar· a pesci tante migliaia di cittadini. O scellerata in-
Historiarum mondi u r . v ii .
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melioris sor lis tunc fuere pereuntes, quorum mi seremur bodie, quum Sullam nemo non oderit 7 Age, non exilus vitae ejus, omnium proscripto rum ab illo calamitate crudelior fuit, erodente se ipso corpore, et supplicia sibi figliente ? Quod ut dissimulaverit, et supremo somnio ejus ( cui immortuus quodammodo est ) credamus, ab uuo illo invi Jiam gloria victam: hoc tamen nempe felicitati suae defuisse confessus est, quod Capi· tolium non dedicavisset.
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jh o h o f e l ic is s im a e .
XLV. Quintus Metellus iu ea oratione, quam habuit supremis laudibus patris sui L. Metelli, pontificis, bis consulis, dictatoris,- magistri equi lam, quindecimviri agris daodis, qui primus elephantos ex primo Punico bello duxit in trium» pho, scriptum reliquit, « decem maximas res optimasque,» quibus quaerendis sapientes aeta tem exigerent, consummasse eum. Voluisse enim primarium bellatorem esse, optimum oratorem, fortissimum imperatorem, auspicio suo maximas res geri, maximo honore uti, summa sapientia case, summum senatorem haberi, pecuniam ma gnam bono modo invenire,'multos liberos relin quere, et clarissimum in civitate esse : baec con tigisse ei, nec ulli alii post Romam conditam. » Longum' est refellere et supervacuum, abnnde ano casa recitante. Siquidem is Metellus orbam laminibus .exegit senectam, amissis incendio, qnum Palladium raperet ex aede Vestae, memo rabili causa, sed eventu misero. Quo fit, ut infelix quidem dici non debeat, felix tamen non possit. Tribuit ei popnlus Romanus, quod numquam ulli alii ab condito aevo, ut quoties in senatum iret, curru veheretur ad curiam. Magnum et sublime, sed pro oculis datum.
44· Hujus quoque Q. Metelli, qui illa de patre dixerat, filius, inter rara felicitatis huma nae exempla numeratur. Nam praeter honores amplissimos, cognomenque e Macedonia, quatuor filiis illatas rogo, uno praetorio, tribus consulari bus, duobus triumphalibus, uno censorio : quae singula quoque paucis contigere: in ipso ta men flore dignationis suae C. Attinio Labeone, cai cognomen fuit Macerioni, tribuno plebis, quem e senatu censor ejecerat, revertens e Campo
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terpretazione, e infelice nel tempo avvenire ! Or non furono eglino molto più felici coloro, che perivano allora, de’quali ora abbiamo compas sione, mentre non è niuno, che non abbia in odio Siila ? Or non fu ancora il fine della vita di lui più crudele e più misero di quanti ne furono proscritti da lui, consumandosi il corpo suo da sè stesso, e generandosi i tormenti? 11 quale bencb’ egli lo dissimulasse, e all'ultimo -sogno suo (nel quale esso in un certo modo morì.) cre diamo ch’ei solo abbia vinta la invidia con la gloria; egli nondimeno confessò questo esser mancato alla gloria sua, che non potè dedicare il Capitolio. Duci
f e l ic is s im e c o s e ih o r s o l o u o m o .
XLV. Quinto Metello, in quella orazione, che ei fece nelle supreme lodi di suo padre L. Me tello, pontefice, due volte consolo, dittatore, maestro de’ cavalieri, uno de* quindici uomini nel dividere i campi, il quale assaissimi elefanti condusse in trionfo nella prima guerra Africàna, scrisse, u com'egli aveva avuto dieci grandissime e ottime cose, nel cercar delle quali uomini savii consumano la vita loro. Perdocch'egli fu eccel lentissimo guerriero, ottimo oratore, fortissimo capitan generale, fece cose grandissime sotto gli gli auspicii suoi, fu tenuto in grandissimo onore, fu mollo savio, fu eccellentissimo senatore, trovò molti denari con buon modo, lasciò molti figliuò li, e fu chiarissimo nella città : queste cose acca derono a lui, e a ninno altro poi che fn edificata Roma. » Lungo e inutile sarebbe il dime, con tro, se una sola oosa non bastasse, e questa è, che Metello diventò cieco nella sua vecchietta, avendo perduto gli occhi nel fuoco, quando egli cavò il Palladio fuor del tempio ddla dea Vesta, che ardeva, e ciò per memorabil cagio ne, ma con misero successo. E perciò benché non possa chiamarsi infelice, nondimeno non si può anco dir felice. Il popol Romano concesse a lui qudlo, che mai per alcun tempo non con cesse a veruno altro ; questo è, ch'egli potesse farsi portare in carretta, ogni volta che andava in senato : cosa grande e onorata, ma concessagli per rispetto degli occhi. 44· 11 figliuolo ancora di questo Q. Metello, il quale aveva dette quelle cose del padre, si conta fra i rari esempii di felicità. Perdocchè olirà i grandissimi onori, e il cognome di Mace donico , fu portato alla sepoltura da quattro figliuoli, uno stato pretore, e tre consoli, due de' quali avevano avuto il trionfo, e uno era stalo censore : le quali tulle oose ancora accaggiono a pochi. Nondimeno nel colmo della sua grandetta, da Catinio Labeone, cognominato
C. PLIN II SECONDI
6gi
meridiano tempore, vacuo foro et Capitolio, ad Tarpejum raptu·, ut praecipitaretur, convolante quidem tam numerosa illa cohorte, qoae patrem eum appellabat, «ed ( ut neoesse erat in subito ) tarde et tamquam in exsequias, quum resistendi sacroque sanctum repellendi jus non esset, virtu tis suae opera et censurae periturus, aegre tribu» no, qui intercederet, reperto, a limine ipso mor tis revocatus : alieno beneficio postea vixit, bonis inde etiam consecratis a damnato suo : lamquam parum esset, faucium certe intortarum, expressi· que per aures sanguinis poena exacta est. Equi dem el Africani sequentis inimicum fuisse, inter calamitates duxerim, ipso teste Macedonico. Si quidem liberis dixit: « Ite, filii, celebrate exse quias, numquam civis majoris fanus videbitis, » E l boc dicebat jam Balearicis et Diadematis, jam Macedonicus ipse. Verum ut illi sola injuria aestimetur, quis hune jure felicem dixerit, peri* ditatum ad libidinem inimici, nec Africani sal tem, perire ? Quos hostes vicisse tanti fuit ? aat quos non honores currusque illa sua violentia fortuna retroegit, per mediam urbem censore tracto ( etenim sola haec morandi ratio fuerat ), tracto in Capitolium illud, in quod triumphans ipse de eorum exuviis, ne captivos quidem sic traxerat? Majus hoc scelus felidtate consecuta foetum est, periclitato Macedonico vd funus tan tum ac tale perdere, in quo a triamphalibus libe ris portaretur in rogum, vdut exsequiis quoque triumphans. Nulla est profecto solida felicitas, qnam contumelia ulla vitae rumpit, nedum tanta. Quod superest,nesdo morum gloriae, an indigna» tionis dolori accedat, inter tot Metellos tam scele ratam C. Attinii audaciam semper fuisse inultam.
Divi A u o v st i
ad ver sa .
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Macerione, tribuno della plebe, il quale essendo égli censore, avea cacdato del senato, ritornando di villa da mezzogiorno non essendo alcnno in piazza e in Capitolio, fu ghermito per essere tratto giù dalla ripa Tarpeia : dove concorse però quella tanto numerosa moltitudine, che usava chiamarlo padre ; ma (com'era necessario in dn subito) tardi, e come alle esequie, percioc ché non v* era modo onesto da poter resistere, e soperchiare l'autorità tribunizia per salvare un uomo che veniva a perire per lo coraggio mostrato nella censura ; se non che pure a fatica si trovò un tribuno, il quale operò per lui, e lo campò dalla morte : tanto che dipoi visse per beneficio altrui. Nondimeno gli confiscarono i beni, come se poco fosse stato la pena, che gli diedero ; che nel tirarlo gli torsero in modo il collo, che gli Cecero usdr sangue per gli orecchi. 10 credo ancora, che gli fosse gran calamità 1* esser nimico di Scipione Emiliano, il che facilmente si prnova per le parole di loi mede simo. Perdocch’ egli disse a' figliuoli : « Andate, figliuoli, celebrate l'esequie: voi non vedrete mai mortorio di maggior cittadino. » E qoesto diceva egli, essendo chiamato già Macedonico, a' suoi figliuoli, i quali già s'avevano acquistato 11 cognome chi di Balearico, e chi di Dalmatico. Ma ripensando a quella sola iogiuria, che gli fu fotta, chi potrà ragionevolmente chiamarlo felice, essendo egli stato a pericolo di capitar male a ca priccio d'nn suo nimioo, e pure fosse egli stato l'Africano Γ Quai nimid potevano essere di tanto prezzo a vincergli ? o qndi onori, e carri trionfali gli deviò la fortuna con quella sua violenza,essen do strascinato censore per mezzo Roma ( perchè questa fa sola cagione dd morire) strascinato dico in qoel Capitolio, dov'egli trionfando ddle spo glie loro, non avea pure strascinato i prigioni. E questa scdleraggine fo fotta maggiore dalla Celia ta, che seguì appresso, considerando ch'esso Ma cedonico andasse a pericolo di perdere così ono rate esequie,nelle quali fosse portato alla sepoltura da' figliuoli trionfali, quasi ch’ei trionfasse an cora nell'esequie. Ma certo non è vera felidtà quella che può esser macchiata da alcuna ingiu ria. Quello che resta, non so» se si debba aggiugnere alla gloria de'costumi, o al dolor dello sdegno, che fra tanti Metelli sì scellerato ardire di Attinio non fosse piai punito. I
T eavaoli
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A ug u sto .
XLV 1. 45. Nell' imperadore Augusto ancora, XLV1. 45. In divo quoque Augusto, quem I universa mortalità* in hac censura nuncupat, si il quale tutti gli uomini reputano per felice, diligenter aestimentur cuncta, magna sortis hu I se diligentemente si considerano tolte le cose, manae reperiantur volantina. Repulsa in magi si troveranno grandissimi travagli della condi sterio equitum apud avunculum, et contra peti- zione umana. Domandando egli d 'esser crealo
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VII.
tionem ejos pntU lut Lepido»: proscriptionis invidia, coUegium iu triumviratu pessimorum civium, oec aequa saltem portione, sed praegravi Antonio : Philippensi proelio morbus, fuga, et triduo in palude aegroti, et ( nt fatenlar Agrip pa et Maecenas ) aqua subter culem fusa turgidi, latebra : usofragia Sicula, et alia ibi quoque io spelonca occultatio. Jam in navali fuga urgente hostium mano, preces Procolejo morti· admolae; «un Perusinae contentioni·: aollioitudo Marti· Actiaci: Pannonicis belli· ruinae turri : tot •edi tiones militum, tot ancipite· morbi corporis: •aspecta Marcelli vola, pudenda Agrippae able gatio, toties petila insidiis vita, incusatae libero» ram mortes, lootusqoe non tantam orbitate tri· stes : adulterium filiae, eonsilia parricidae palam facta : contumelioso· privigni Neroni· secesto· : aliud neptis adulterium: juncta deiode tot mala: inopia stipendii, rebellio Illyrici, servitiorum de lectu·,juventutis penuria, pestilentia Urbi·, fames •itisque Italiae, destinatio exspirandi, et quatri dui inedia major pars morti» iu corpus recepta. Jaxta baec Variana clades, et majestatis ejos foeda •ogillatio, abdicatio Potlhumi Agrippae post adoptionem, desiderium post relegationem : inde suspicio in Fabium, arcanorumque proditio* nem : hinc uxoris et Tiberii cogitatione·, suprema ejus cura. In sununa, deus ille, eoelumque, nesèio adeptus magis, an meritus, herede botti· sui filio e u e u it
Quos tm
FELICISSIMO! JCDICAVEEIBT.
XLVII. 4*>· Subeunt in hac reputatione Del phica oracula, velut ad castigandam vanitatem a deo emissa. Duo sunt haec : Phedium felicissi mam, qui pro patria proxime oceobaisset. Ite rum a Gyge rege tane amplissimo terrarum con sultum, Aglaum Psophidintn esse feliciorem. Senio* hic in angustissimo Arcadiae rfngulo parvum, sed annuis victibus large sufficiens, praediam colebat, nomqeam ex eo egressu·': atque
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mastro de'cavdieri appresso il zio fratello di tua madre, ebbe repulsa, e con Ira la domanda di lui gli fu innanzi Lepido. Considerasi l'odio, ch'egli •'acquistò della proscrizione ; nel triumvirato la compagnia con pes«imi cittadini, con autorità diseguale alla loro, perchè Antonio n'avea il pià d'essa. Notasi anoora la io ferinità sua nella batta glia Filippense, e la foga, e che ammalato stette tre giorni ascoso in nna palude, e (come confessa vano Agrippa e Mecenate), fu idropico, ebbe il mal di fianco, ruppe in mare in SicHja,e quivi un'altra volta ancora s'ebbe a nascondere in una spelonca. Considerasi ancora, che fuggendo nella battaglia navale, gii sopraggionto da' nimici, ebbe la vita io dono da Procoleio, il travaglio della guerra di Perugia, la sollecitudine della gaerra Aziaca, e della goerra di Pannonia, la rnìna dalla torre, tanti ammutinamenti di soldati, tante pericolose malattie del suo corpo, il sospetto, ch'egli ebbe di Marcello, il vergognoso confino di Agrippa, taote insidie fattegli contra la soa vita, le morti de' figlinoli piene di sospizioni, e i pianeti suoi non solo per non aver figliuoli. L'adulterio del la figliuola, e i suoi consigli scoperti di volere uocidera il padre. La vituperosa partita di Ne rone suo figliastro. Uo altro adulterio della nipo te, dipoi taote sciagure congiunte insieme. Il non aver denari da pagare i soldati. La ribellione della Schiavonia. La carestia dei giovani per far gli eserciti. La pestilenza di Roma. La Cime e la sete d'Italia. 11 fermo proponimento di voler morire, quando essendo egli già stato quattro giorni senza maogiare, era pià morto che vivo. Appresto a queste sciagure la rotts di Vario : la disonesta infamia fatta alla soa maestà, la repulsa di Posiamo Agrippa, dopo ch'egli se l'avea preso per figliuolo ; il desiderio, ch'egli ebbe di lai, poiché l'ebbe confina io. Il sospetto, ch’ei prese per Fabio, per avere esso rivelati i suoi segreti, i malvagi pensieri di Tiberio e della moglie conlra di luì. In somma questo iddio, il quale non so se pià s’ecqaislò o si meritò il deio, ή morì Issciando erede il figlinolo dd soo nimico. Q
o a l i f d e o n o g iu d ic a t i i p i ù f e l i c i d a g l i d e i .
XLV 1I. 46. Vengono in qnesto conto gli ora coli Delfici, come mandali da Dio a riprendere la vanità degli uomini. Qnesti son due: il primo disse,'che Fedio era stato felicissimo, il qoale poco dianzi era morto per la patria. Il secondo, qaando domandandogli il re Gige allora gran dissimo, chi fosse il più felice uomo del mondo, gli rispose; ch'egli era Aglao Psofidio. Era costui un nomo molto vecchio, il qoale lavorava un
C. PUNII SECONDI
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( ut e vitee genere inani fettoni est ) minima cupi dine minimam in vita mali experta·.
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XLVIII. 47· Consecratas est vivas sentiensqae oracoli ejnfdem jussu et Jovis deorura sommi adstipolata, Enthymus pycta, semper Olympia· victor, et semel victas. Patria ei Locri in Italia : ibi imaginem ejus, et Olympiae alteram, eadem die tactam fulmine, Callimacham, ut nihil aliad, miratam video, ad eumque jussisse sacrifi cari : qaod et vivo factitatum «t mortuo, nihilqae adeo m iram aliad, quam hoc placuisse diis.
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s p a t i i s v it a e l o r g is s im is .
XLlX. 48. ' De spatio atqoe longinquitate vitae hominum, non locorum modo situs, verum exempla, ac sua cuique sors nascendi incertam fecere. Hesiodus, qui primus aliqua de hoc pro didit, fabulose (ut reor ) malta de hominum aevo referens, cornici novem nostras adtribait aetates, quadruplam ejus cervis, id triplica tam corvis. Et reliqua fabulosius in phoeni ce, ac nymphis. Anacreon poeta Arganthonio Tartessiorum regi c l tribuit annos, Cynirae Cy priorum x annis amplius, Aegimio cc. Theopom-< pns Epimenidi Gnossio c l v i i ; ■ Hellanicus quos dam in Aetolia E pioram gentis cc explere. Cui adstipulatur Damastes, memorans Picto reum ex iis praecipuam corpore viribusqae, etiam ccc vixisse. Ephorus Arcadum reges ccc annis. Ale xanderCornelhis,Dandonem quemdam in Illyrico d vixisse. Xenophon in Periplo, Tyriorum insu lae regem d c , atque ut parce mentitus, filium ejus d c c c , quae omnia inscitia temporum accide runt. Annam enim alii aestate unum determinabanf, et alteram hieme : alii quadripartitis tem poribus, sicat Arcades, quorum anni trimestres fuere : qaidam lunae seaio, nt Aegyptii : itaque •pud eos aliqui el singola millia annorum vixisse produntur.
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piccolo podere in uno «trattissimo canto d’Aroa-^ dia, il quale però bastava al suo bisogno, e mai non n’era ascito : e (come dalla qualità del suo vivere si può vedere) avendo avato pochissime voglie, poco male ancora avea potato provare. Q
u a l e v iv b iw o c o m a r d a r o r o , c h b f o s s e a d o r a t o
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o l g o r e p r o d ig io s a .
XLVIII. 47· Fo consacrato vivo per-coman damento del medesimo oracolo, e per conservarione di Giove, Eutiroo pugnatore, stato sempre vincitore in Olimpia, e solo una volta vinto. La patria su· fu Locri in Italia, dove è la immagin sua, e un'altra in Olimpia, le qaali amendue in an medesimo di furono percosse dalla saetta. Nè veggo, ohe altro mettesse in maraviglia Callimaco, onde comandò, che come a dio gli fosse sacrificato ; il che essendo vivo fu fatto, e dipoi morto, nè ci so vedere altra cosa mirabile, se non che così piacque agli dei. D b ' LCKGHISSIMl SPAZ1I d e l l a v i t a .
* XLlX. 48. Lo spazio della vita degli nomini non solamente per lo sito de' luoghi, ma per gH esempii, e per la sorte del naseere, ehe ha cia scuno, sono stati incerti. Esiodo, il quale fu il primo, che di tai cose scrisse, raccontando, per quanto io penso, favolosamente molte cose dell'età degli uomini, dice che la cornacchia vive nove delle nostre età, il cervo quattro volte più che la cornacchia, e il corvo tre volte più che il cer vo. E molto più favolosamente scrive della fenice e delle niufe. Anacreonte poeta scrive, che Argantonio re de'Tartessii visse cento cinquanta anni, Cinira re di Cipri dieci anni piò, Egimio dugento. Teo pompo seri ve,che Epimenide Gnos sio visse centócìnqnantasette anni. Ellanico scrive, che in Etolia sono alcuni della nazione degli Epii, i qaali finiscono dugento anni. E ciò con ferma Damaste, raccontando, come Pittoreo un d'essi, grande di corpo e di forze, visse treoento anni. Eforo* dice che i re d'Arcadia vivono tre cento anni. Alessandro Cornelio scrisse, che αα certo Dandone in Ischiavonia visse cinquecento anni. Senofonte nel Periplo dice, che un re dell’ isola di Tiro visse seicento anni, e come avesse mentito con modestia, .afferma che il figliuol d'esso ne visse ottocento ; ma questo intervenne per non aver conosciuto i tempi. Perciocché a icuoi contavano un anno il verno, e nn altro la state : alcuni delle quattro stagioni facevano quattro anni, siccome gli Arcadi, che fanno l ' anno di tre mesi : certi altri, come gli Egi zi i, fiuiscon l'anno, quando I· luna è vecchi·,
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VII.
Sed at ad confessa transeamus, Arganthonium Gaditanam octoginta annis regnasse prope cer tum est: putant quadragesimo coepisse. Masinis sam sexaginta annis regnasse indahitatum est : Gorgiara Sicalam centam et octo vixisse. Q. Fabius Maximas sexaginta tribas annis angar fuit. M. Perpenna, et nuper L. Volusius Saturninus, omnium quosin consolatu sententiam rogaverant, superstites fuere. Perpenna septem reliquit ex iis, quos censor legerat : vixit annos xcvm. Qua in re et illud adnotare saccarrit, unum omnino quinquennium fuisse, qao senator nullus more· retur : quam Flaccas et Albinas censores Iastrum condidere, usque ad proximos ceosores, ab anno Urbis quingentesimo septuagesimo nooo. M. Va lerias Corvinus c annos implevit : cajas inter primam et sextum consolatam x l v i anni fuere. Idem sella curuli semel ac vicies sedit, quoties nemo alius. Aequavit ejos vitae spatium Metellas pontifex.
Et ex feminis Livia Rutilii xcvu annos exces sit : Statilia, Claudio principe, ex nobili domo, nonaginta novem: Terentia Ciceronis cm, Clodia Ofilii cxv, haec quidem etiam enixa quindecies. Locceja mima centam unnis in scena pronuntia vit. Galeria Copiola Emboliaria redacta est in aceuam, C. Poppaeo, Q. Sulpicio coss. ludis·pro salate divi Aagasti votivis, annum centesimum «juartoni agens : quae producta faerat tirocinio a M. Pomponio aedili plebis, C. Mario, Cn. Car bone consulibus, ante annos nonaginta unam ; et a Magno Pompejo magni theatri dedicatione, anas pro miracolo redacta. Sammulam quoque centum decem annis vixisse, auctor est Asconius Pedianus. Minas miror Stephaniooem (qui pri mas togatas saltare instituit) utrisque secolari· bas ladis saltasse, et divi Aagasti, et qaos Clau dius Caesar consolato soo quarto fecit, quando l x i u non amplius anni interfuere, quamquam et postea dio vixit. In Tmoli montis cacumine, qaod vocant Tempsin, c l annis vivere, Mucianas anetor est. Totidem annos censum Claadii Cae saris censnra T. Fullonium Bononiensem : idqae collatis censibus quos ante detulerat, vitaeque argumentis (etenim id curae principi erat) verum apparai t.
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e perciò appresso di loro si trova, che aleoni sono vissuti fino a mille anni.' Ma per tornare alle cose, che si confessano, egli è quasi che certo, che Argantonio Gadilano regnò ottanta anni : dicono che prese il regno di quaranta. Che Massinissa regnasse sessanta an ni, non c' è dubbio alcuno, e Gorgia Siciliano ne vivesse cento otto. Fabio Massimo fu augure ses santa Irè anni. Marco Perpenna, e nuovamente Ludo Volusio Saturnino rimasero in vita dopo tatti quei senatori, i qaali quando eran consoli avevano richiesti di parere. Perpenna lasciò sette senatori di tutti quegli, ch'egli aveva eletti, quando era censore, e visse novanta otto anni. E in questo proposito mi pare anco da notare, che fu un solo quinquennio, in cui non successe morte di senatore, da quando i censori Fiacco e Albiuo chiusero il lustro fino ai censori prossimi, ciò è dall’anno cinquecento settanta nove dopo l'edificazione di Roma. M. Valerio Corvino forni cento anni, e tra il primo e l'ultimo suo conso lato faroao quarantasei aoni. Costui sedette ventuna volta in sedia curule, il che non ebbe nessuno altro. La medesima età visse Metello pontefice. E di donne, Livia di Rutili· passò novantasette anni. Statilia di nobil famiglia al tempo di Claudio imperadore novantanove anni. Terenzia di Ciceróne cento tre, Clodia d’Ofilio cento quin dici, e questa figliò quindici volte. Lucceia istrio ne recitò oento anni in iscena. Galeria Copiola Emboliaria fu menata in iscena al tempo che Gneo Poppeo e Quinto Sulpizio eran consoli, ne’ giaoehi fatti per la.salute dell’ imperadore Augusto : essa avea cento quattro anni, la quale prima del oovanlauesimo anno nel sao co minciare v’era stata menata da M. Pomponio edile della plebe, essendo consoli C. Mario e Gneo Carbone; e da Pompeo Magno nella dedi cazione del sao gran teatro vi fa ricondotta veocbia per miracolo. Scrive Àsconio Pediano, che anco Saromulla visse cento dieci aooi. Però manco mi maraviglio, che Slefanione, il quale fu il primo, che insegnò ballare in toga, bal lasse due volte ne’ giuochi secolari, cioè in qaegli dell’ imperadore Augusto, e io quegli ancora, che Claudio imperadore fece nel suo quarto consolato, fra i qaali non fa pià tempo in mezzo che sessantalrè anni, ancora ch’egli vivesse poi lango tempo. Scrive Muciano, che sulla cima del monte Tmolo, che si chiama Tempsi, le per sone vivono cento cinqaaata anni. Del medesimo numero d’ anni fa trovato essere T. Fullonio Bolognese nella censora di Claudio imperadore: e questo si conobbe esser vero per le tasse, che egli avea prima pagate, e per gli argomenti del-
C. PLINII SECUNDI
la vita : perciocché lo imperadore volle di ciò particolarmente esser informato. Db
v a r i e t a t e h a s c b h d i.
L. 49· Poscere videtur locus ipse sideralis scientiae sententiam. Epigeues cxn annos impleri negavit posse, Berosns excedi cxvi. Durat et ea ratio, quam Petosirisec Necepsos tradiderunt, et tetartemorion appellant, a trium signorum por tione, qua posse in Italiae tractu cxxiv annos vitee contingere apparet. Negavere illi quemquam xc partiam exortivam mensuram (quod anaphoras ▼ocant ) transgredi, et has ipsas incidi occursu maleficorum siderum, aut etiam radiis eorum, solisque. Schola rursus Aesculapii secuta, quae stata vitae spatia à stellis accipi dicii, sed quan tum plurimum tribuat incertum est. Rara autem esse dieunt longiora tempora, quandoquidem momentis insignibus, lunae dierum, ut vu afque xv ( quae nocte ac die observantur ), ingens tur ba nascatur, scansili annorum lege occidua, quam climacteras appellant, non fere ita gentis u v annum excedentibus.
Primum ergo artis ipsius inconstantia decla rat, quam incerta res sit. Accedunt experimenta recentissimi census, quem intra quadriennium imperatores Caesares Vespasiani, pater filiusqne censores egerunt. Nec sunt omnia· vasaria excu tienda: mediae tantum partis, inter Apenninum Padumque, ponemus exempla. Centum viginti annos Parmae tres edidere, Brixelli unus cxxv, Parmae duo cxxx, Placentiae unus cxxxi, Faven tiae une mulier cxxxv, Bononiae, L. Terentius Marci filius, Arimini vero M. Aponius, c et t, Tertulla cxxxvu. Circa Placentiam in collibus oppidum est Vdejatium, in quo cx annos sex de tulere, quatuor centenos vicenos: unus, c l . M. lfluoins M. filius, Galerius Felix. Ac né pluribus moremur in re confessa, iu regione Italiae octava centenum annorum censi sunt homine* uv, cen tenum denum homines xiv, centenum vicenum quinum homines duo, centemup tricenum homi nes quatuor, centenum tricenum quinum aut septenum totidem, centenum quadrageoum ho mines tres.
Alia mortalitatis inconstantia : Homero* ea dem nocte natos fieetorem et Polydamante tradit,
D b l l a v a r ib t à j >b l x a s c b i e .
L. 49· Questo luogo par che rioerchi la sen tenza ddl'astrologia. Epigene disse, che Peti dell'uomo non può aggiungere a cento dodici anni. Beroso, che uoo si posson passare ceoto sedici. Dura ancora quella rsgioQe, la quale dimostrarono Petosiri e Necepso, e la chiamano tetartemorion, dalla porzione di tre segni, per la qnale si mostra, ehe in Italia si può vivere cento ventiquattro anni. Essi negarono,che niuno può passere la misura orientale di novanta parti, che chiamano anafore, e queste dicono essere tagliate dall' incontro di pianeti malefichi, o an eora dai raggi loro, e del sole. Seguitano la setta di Esculapio, la quale afferma, che ddle stelle si desume lo spazio ddla vita, ma non si sa gii certo quanto ne dieno a ciascuno. E rari dicono essere i tempi più lunghi ; perciocché per i notabili momenti dei giorni della luna,come dei sette e quindici (che s'osservano il giorno e la notte) nasce grande scompiglio con la legge degli anni occidentali, la quale essi chiamano climattera, e non passano quei che nascono cosi cinquantaquattro anni. Prima dunque la incostanze di essa erte di chiara,quanto ella sia cosa incerta. Aggiungonvisi gli esperimenti e gli esempi» dell'ultima tassa, la quale non son passati ancora quattro anni fu fatta dagl'imperadori Vespasiani,padre e figliuolo censori. Nè a'hanno di presente a riandare tutte le altre parti ; ma solamente porremo gli esempli della parte di mezzo fra l ' Apennino e il Po. A Parma ne furono tre di cento venti anni : a Brcaccilo uno di cento venticinque, lo Parma due di cento trenta. In Piacenza uno di coito trentuno. In Faenza una donna di cento trentacinque. In Bologna Lucio Terenzio, figliuol di Marco, e in Arimino M. Aponio di cento cin quanta. Tertulla di cento trentasette. Appresa· a Piacenza ne' poggi è una terra, che si chiama Veleiacio, dove ai trovarono ad di cento-dieei anni, e quattro di cento venti, e nn di cento quaranta ; e Marco Muzio, figliuol di Marco, e Galerio Fdice. E per non dimorar mollo in cote chiare, nella ottava regione d'Italia furono de scritti cinquantaquattro uomini di cento sani, quattordid uomini di cento dieci, due nomini di cento venticinque, quattro uomini di cento trenta, altrettanti di cento trentacinque, o cento trentasette, e tre uomini di cento quaranta. E acciocché s'intenda nn’ altra incostanza degli uomini, dice Omero, che in una medesima
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HISTORIARUM MONDI LIB. VII.
Uub diversae sortis viros. C. Mario, Co. Carbone m eoss. a. d. quintam kalend. Juniae, M. Caeci li» Bufo» et C. Licinius Calvus eadem die geniti sunt, oratores quidem ambo, sed tam dispari eventu. Hoc eiiam iisdem horis nascentibus in loto mundo quotidie evenit, pariterque domini ac servi gignuntur, reges et inopes.
l e BOABIS ftXBMFLA VAHIA.
Ll. 5o. Publius Cornelius Rufus, qui consul cum M’. Curio fait, dormiens oculorum visura amisit, quum id sibi accidere somniasset. E diver so Pheraeus Jason deploratus a medicis vomicae morbo, quum mortem in acie quaereret, vulne rato pectore medicinam invenit ex hoste. Q. Fa bius Maximus consul apud flumen Isaram proeli» commisso adversus Allobrogum Arvernoruraque gentes, a. d. vi idus Augustas,cxxx mperduellium caesis, febri quartana liberatus est in acie.
incertum ac fragile nimium est hoc raunns naturae, quidquid datur nobis: malignum vero et breve etiam io his, quibus largissime conligit, universum utique aevi tempus intuentibus. Quid qaod aestimatione nocturnae quietis, dimidio qaisque spatio vitae suae vivit? pars aequa morti similis exigitur, aut poenae, nisi contigit quies. Nec reputantur infantiae anui, qui sensu carent : non senectae, in poenam vivacis. Tot periculorum genera, tot morbi, tot metus, tot curae, toties invocata morte, ut nullum frequentius sit votum. Natura vero nihil hominibus brevitate vitae prae stitit melius. Hebescunt sensus, membra lorpenl, praemoritur visus, auditus, incessus, dentes etiam ac ciborum instrumenta: et tamen vitae hoc tem pus adnumeralur. Ergo pro miraculo el id soli, larium reperilur exemplum, Xenophilum musi cum cantum et quioque annis vixisse sine ullo corporis incommodo. At hercules reliquis omni bus per singulas membrorum partes, qualiter nullis aliis animalibus, certis pestifer calor remeat horis, aut rigor, neque horis modo, sed et diebus noctibusque trinis quadrinisve, eliam anno toto. Atqoe eliam morbos est aliquis, per sapientiam mori. Morbis enim quoque quasdam leges natura posuit.Quadrini circuitus febrem,numquam brurna,oamquam hibernis mensibus incipere: quos dam post sexagesimum vitae spatium non accide re: alios pubertate deponi, a feminis praecipue. Senes minime sentire pestilentiam. Namque et universis gentibus ingruunt morbi, et generatim snodo servitiis, modo procerum ordini, aliosque per grados. Qua in re observatum, a meridianis
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notte nacque Ettore e Polidamente, uomini di si diversa sorte. Essendo consoli la terza volta Caio Mario e Gneo Carbone a’ venlotlo di Mag gio, Marco Cecilio Rufo, e Caio Licinio Calvo nacquero in un medesimo giorno, amendue certo oratori, ma con sì differente successo. E questo ancora avvien tolto il giorno per tutto il mondo a coloro, che ci nascono nella medesima ora ; e parimente nascono signori e servi, re e poveri. V axh
e s e m p ii h b l l b i s f b r m i t à .
LI. 5o. Publio Cornelio Rufo, il quale fa consolo insieme con Manio Curio, dormendo perdè la vista degli occhi, e sognò che tal caso gli avveniva. E per lo contrario Giasone Fereo per una postema, ch’egli aveva nel petto, fu messo da'medici per ispaccialo, onde cercando *d’esser morto io battaglia fu ferito nel petto, e cori guari per
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G. PLINII SECUNDI
partibus ad occasnm solis pestilentiam semper ire: nec umquam fere aliter: non hieme, nec nt ternos excedat menses.
Db
m o b tb .
L ll. 5 i. Jam signa letalia : in fnroris morbo risam : sapientiae vero aegritudine, fimbriarum caram et stragulae vestis plicaturas : a somno moventium neglectum, praefandi humoris e cor pore effluvium : in oculorum quidem et narium aspectu indubitata maxime, atque ctiaiA supino assidue cubitu : venarum inaequabili aut formicante percussu: quaeque alia Hippocrati principi medicinae observata sunt. Et quum iunumerabilia sint mortis signa, salutis -securitatisque nulla sunt : quippe quum censorius Cato ad filium de validis quoqrte observationem', ut ex oraculo aliquo, prodiderit, senilem juventam praematu rae mortis esse signum. Morborum vero tara in· finita est multitudo, ut Pherecydes Syrius ser pentium multitudine e* corpore ejus erompente exspiraverit. Quibusdam perpetua febris est,sjcut C. Maecenati. Eidem triennio supremo, nullo horae momento contigit somnus. Antipater Sido nius poeta omnibus annis, uno die tantum natali, corripiebatur febre, et eo consumptus est satis longa senecta.
Qm
infermiti generali a tutte fonazioni, ora ne’tervi, ora negli uomini grandi, e finalmente in ogni sorte di persone. Nella qual cosa s’ è visto per esperienza nelle parti di mezzodì la pestilenza andar sempre verso ponente ; nè quasi mai Cirsi altrimenti : se non di verno, nè che passi tre mesi.
B LA TI RBVIXERIH T.
D ella m obtb.
L ll. 5». Segni di morte sono, nell* infermiti del furore il riso, e quando Io infermo non è furioso, è segno mortale assettarsi Torlo della veste, ripiegare, increspare le lenzuola e la co perta del .letto ; il noq curarsi di quegli, che lo voglion destar dal sonno, il gran flusso d'umore del corpo : nell1 aspetto degli occhi e del naso sono segni manifesti, e quando ancora di conti nuo giacciono supini, e quando il polso è dis egnale e formicolente ; e molti altri segni, i quali sonò stati osservati da Ippoerate principe del la medicina. E come che infiniti sieno i segni della morte, non v'è segno niuno della salute; poiché Catone Censorino scrivendo al figlinolo dell'osservazione della sani là, scrisse come per un oracolo, che una giovanezza senile pronostica corta vita. Tanto infinita è poi la moltitudine delle infermità, che Ferecide Sirio mori per la oopia delle serpi, le quali iu forma di vermini rotte le carni gli uscivano da dosso. Alcuni han no avuta perpetua febbre, come Caio Mecenate. Il medesimo negli ultimi tre anni della sua vita in nessun momento d'ora non ebbe mai tonno. Antipatro Sidonio poeta ogni anno nel di ch'egli era nato avea la febbre, e in quel di mori, essendo già ben vecchio. Di
a lc u n i, c h e f o b ta t i a l l a s b p o ltc b a b i t o e h a b o k o v iv i.
. LUI. 5a. Aviola consularis in rogo revixit: LUI. 5a. Aviola stato già consolo, essendo et quoniam subveniri non potuerat praevalenle posto nel fuoco, dove si mettevano i morti par flamma, vivus crematus est. Similis causa in L. abbruciargli, risuscitò, e perchè non si potè Lamia praetorio viro traditur. Nam C. Aelium aiutare per la fiamma grande che cresceva, fa Tuberonem praetura functum a rogo relatum, arso vivo. 11 medesimo si dice, che avvenne a Messala Rufus, et plerique tradunt. Haec est con Lucio Lamia stalo pretore. M. Messela Rufo, ditio mortalium : ad has, et ejusmodi occasiones e molli altri dicono, che Caio Elio T,uberone, fortunae gignimur, uti de homine ne morti qui il quale era anch'egli stato pretore, estendo por dem debeat credi. Reperimus inter exempla, talo per morto a dovere ardersi, fu riportato Hermotini Clazomenii animam relicto corpore vivo. Questa è la condizione degli uomini: e noi errare solitam, vagamque e longinquo multa an siamo nati a queste e simili occasioni di fortu nuntiare, quqe nisi a praesente nosci non pos* na, in modo, che dell’oomo non si debbe anco sent, corpore interim semianimi: donec cremato credere alla morte. Noi ritroviamo ira gli esem eo inimici (qui Cantharidae vocabantur) remeanti pii, che l'anima di Ermotino Clazomenio, la· animae velut vaginam ademerint. Aristieae etiam *sciando il corpo era solila andar vagabonda, · visam evolantem ex ore in Proconneso, corvi effi ritornando dar nuova di molte cote fatte in poeti gie, magna quae sequitur fabulositate. Quam lontani, le qoali non si potavano saper se non
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HISTORIARUM MUNDI UB. VII.
equidem ek in Gnomo Epimenide ino ili modo aodpio : pueram aestu el itinere imam in specu septem el qainqaaginta dormisse anni* : rerum faciem mutationemque mirantem, vdut postero experrectam die: bine pari nnmero «lieram se nio iagruente,at tamen in septimam et qainqusgesiraum atque centesimam vitae duraret annum. Feminarum sexos baie malo videtur maxime opportunas, conversione valvae: qaae si corri gatur, spiritus restitaitar. Hac pertinet nobile apad Graecos volamen Heradidis, septem diebas feminae exanimis ad vitam revocatae.
Varro quoque aactor est, xxviro se agros diridente Capuae, qaemdam qai eflferretor, foro domum remeasse pedibos. Hoc idem Aqaini accidisse. Romae quoque Corfidiam materterae snae maritam fanere locato revixisse, et locatorem faneris ab eo elatam. Adjicit miracula, qaae tota indicasse conveniat. E doobus fratribus equestris ordinis, Corfidio majori accidisse, al videretur exspirasse, aperloque testamento reci tatum beredem minorem faneri institisse: inte rim eam, qai videbatur exstinctas, plaudendo conrivisse ministeria, narrasse a fratre se venisse, commendatam sibi filiam ab eo. Demonstratam praeterea, qao ia loco defodisset auram nullo conscio, et rogasse at iis funebribus, qaae com parasse!, eflferretor. Hoc eo narrante, fratris domestici propere annatiavere exanimatum illnm: el aurum, ubi dixerat, repertum est. Pleoa praeterea vita est his vatidoiis, sed non confe renda, quum saepius falsa sint, ingenti exemplo docebimus. Bello Siculo Gabienus Caesaris clas siarius fortissimas captus a Sex. Pompejo, jus sa ejas inasa cervice, et vix cohaerente, jacuit in litore toto die. Deinde quum advesperavisset, cum gemitu precibusqae congregata multitudine petiit, uti Pompejus ad se veniret, aat aliqaem ex arcanis mitteret : se enim ab inferis remissam, habere quae nuntiaret. Misit piares Pompejos ex amicis, quibus Gabienus dixit : u Inferis diis piacere Pompeji causas et partes pias : proinde eventum lutaram, qaem optaret : hoc se nuntia re jussum : argumentum fore veritatis, qaod penetis mandatis, protinus exspiraturas esset : » idque ita evenit Post sepalluram quoque viso-
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da chi v'era stato presente, restando in qaesto mentre il oorpo mezzo morto; e finalmente i ne mici saoi (che si chiamavano Cantaridi), ardendo il corpo suo, levarono come la gaaioa all'anima, che vi ritornava. Troviamo ancora, l'anima di Aristieo nel Proconneso essere stata veduta volar gli fuor di bocca in forma di corvo ; il che certo mi pare una favola grande. Ma non è ponto minore quella che si racconta di Epimenide Gnossio; il quale dicono eh'essendo fanciullo stanco dal caldo e dal viaggio si dormì cinquantasette anni in una spelonca, dipoi uscendo stava maravigliandosi ddle cose nuove che vedeva, e non gli pareva d'aver dormito più di una notte: costui in pari numero di giorni invecchiò, e nondimeno visse cento cinquantasette anni. Que sto male i molto famigliare alle donne, perchè la matrice patisce soffocazione, ma se poi si rad drizza, lo spirilo ritorna in loro. A questo pro posito fa il libro d 'Eraclide, fra i Gred molto stimato, dove si contiene, che una donna stata sette dì come morta, si riebbe. Scrive Varrone, che dividendo i venti uomini i campi di Capova, uno ch'era portato nella baia a seppdlirsi, ritornò a casa coi suoi piedi ; e ehe questo medesimo avvenne in Aquino. In Roma Corfidio marito della zia sorella di sua madre, essendo già allogate l'esequie, risuscitò, e sep pellì poi colai, che aveva ordinate le sae esequie. Aggiugne altri miracoli, i quali meritano tutti di esser raccontali. Di dae fratelli dell* ordine equestre accadde a Corfidio, ch'era il maggiore, che parve che fosse morto, e aperto che fa il testamento, il fratello minore, ch'era istituito erede, sollecitava il mortorio. In questo mezzo oolai, che pareva morto, con allegrezza si mise a cantare alcani versi sacri, raccontando come egli veniva dal fratello, e che da esso gli era stata raccomandata la figliuola. E oltra dò gli era stato mostro, dov'era sotterrato l'oro, che niuno il sapeva, e avea pregato che gli facesse l'esequie, che già gli aveva ordinate. E mentre che costui contava queste cose, i famigliar! dd fratdlo subito gli fecero intendere, com'egli era morto, e i danari faron trovati dov’egli avea detto. Così la vita nostra è piena di simili vati cinii, ma non son però da farne capitale ; perdocchè spesse volte son falsi, come io mostrerò con un grande esempio. Nella gaerra di Sidlia, Gabieno uno de' più valorosi soldati che fossero sall'armata di Cesare, preso da Sesto Pompeo, per sao comandamento gli fu tagliata la testa, e appena ch'ella stesse attaccata al collo, così stette tatto il giorno salla riva. Dipoi, facendosi sera, con pianti e con preghi avendo rannata di molta gente, domandò che Pompeo venisse a lai, o gli
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rum exempla suat : nisi qaod naturae opera, non prodigia conseciamur.
SUBITAE MOBTIS EXEMPLA.
L 1V. 53. In primis autem miraculo sunt at que frequenti mortes repentinae (hoc est somma vitae felicitas), quas esse naturales docebimus. Plurimas prodidit Verrius : nos cum delectu mo dum servabimus. Gaudio obiere, praeter Chilo* nem, de qao diximus, Sophocles et Dionysius Siciliae tyrannus, uterque accepto tragicae victo riae nuntio. Mater pugna illa Canneusi, filio in columi viso contra falsum nuntium. Pudore Diodorus sapientiae dialecticae professor, lusoria quaestione non protinus ad Interrogationes Stil ponis dissoluta.
Nullis evidentibus causis obiere, dum calcianlur matutino, duo Caesares, praetor, et praetura perfunctus dictatoris Caesaris pater: hic Pisis exanimatus, ille Romae. Q. Fabius Maximus in consulatu suo pridie kaland. Januarias : in cujus locum Rebilus paucissimarum horarum consula tum petiit. Item C. Vulcatius Gurges senator : omnes adeo sani atque tempestivi, ut de progre diendo cogitarent. Q. Aemilius Lepidus jam egrediens incusso pollioe limini cubiculi. C. Aufastius egressus quum in senatum iret, offenso pede in comitio. Legatus quoque, qui Rhodio rum causam in senatu magna cum admiratio ne oraverat, in limine curiae protinus exspi ravit progredi volens. Cn. Bebius Tamphilus, praetura et ipse functus, quum a puero quaesisset horas. Aulus Pompejus in Capitolio, quum deos salutasse!. M’. Juventius Thalna consul, quum sacrificaret. C. Servilius Pansa, quum staret in foro ad tabernam hora diei secunda, in P. Pan sam fratrem innixus. Baebius judex, quum vadi monium differri jubet. M. Terentius Corax, dum tabellas scribit in foro. Nec non et proximo anno, dum consulari viro in aurem dicit, eques Roma nus, ante Apollinem eboreum, qui est in foro Au gusti. Super omnes C. Julius medicus dum inun·
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mandisse alcuno de’suoi cari, perciocch'egli era sialo rimandalo dall'altro mondo, acciocché egli gli facesse un'ambasciata. Pompeo gli mandò molti amici suoi, ai quali Gabieno disse; « Come «gli dei piscerà la parte di Pompeo, come quella ch'era più giusta, e perciò Pompeo avrebbe avuto quel eh'ei desiderava. Il segno, che dava che gli dei l'avessero mandato, disse che sarebbe, che fatta la sua ambasciata subito sarebbe morto,» e così ifltravenne. Sonoci ancora esempli delle cose vedute e fatte a sapere per coloro, ch'erario già morti; ma noi vogliamo contare le opere della natura, e non le cose mostruose. D elle
m oeti subit a ree.
L 1V. 53. Miracolo paiono, benché spesso in tervengono le morti repentine, ma questa è gran felicità della vita, e mostreremo che elle son naturali. Verrio ne mette molte, ma noi useremo modo e rispetto. Morirono d 'allegrezza, oltra Chilone, dì coi abbiam detto, Sofocle e Dionsio tiranno di Sicilia, l ' uno e l ' altro avendo avuto nuova della vittoria tragica. Una donna ancora avendo inteso, che il figliuolo era morto nella giornata di Canne, veggendolo tornare «ano e salvo, subito morì d'allegrezza. Diodoro maestro di loica, non sapendo rispondere a certe do m ande fattegli per giuoco da Stilpone, morì d i vergogna. Senza alcuna manifesta cagione morirono cal zandosi la mattina doe Cesari, un pretore, l'altro stato pretore, padre di Cesare dittatore ; questi a Pisa e quegli a Roma. Q. Fabio Massimo nel suo consolato l'ultimo dì di Deoembre, in luogo di cui fu sostituito Rebilo per pochissime ore, e C. Vulcazio Gurgite senatore : e tutti in modo sani e gagliardi, che pensavano di andar faora. Q. Emilio Lepido uscendo già fuor di camera, morì percolendo il dito grosso del piede nella soglia dell’uscio.'C. Aufustio uscito fuori,andando in senato morì, avendosi fatto male a un piede dove si ragunava il gran consiglio» Uno ambasciadore dei Rodioti!, avendo orato io senato con gran maraviglia, si morì subito nella soglia della curia, volendo uscir fuori. Gu. Bebio Ton filo, il quale era stato pretore, morì domandando al suo servitore quante ore erano. Aulo Pompeo in Capitolio salutando gli dei. Manio Giovenzio Talna consolo, mentre che sacrificava. C. Servilio Pansa, essendo in piazza a uoa bottega a due ore di giorno, appoggiatosi a P. Pansa suo fratdio. Bebio giudioe, mentre die comandava che si prolungasse il giorno di comparire in giudido. M. Terenzio Corace, mentre che scriveva in piaz za. L'anno passato ancora, un cavalier Romano,
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HISTORIARUM MUNDI L1B. VII.
git, specillum per oculum trahens. Aulus Manlius Torquatus consularis, quum in coena placentam adpeteret. L. Tuccius Valla medicus, dum mulsi polionem haurit. Ap. Saufejus, quum a balineo reversus mulsum bibisset, ovumque sorberet. P. Quinctius Scapula, quum apud Aquilium Gallum coenaret. Decimus Saufejus scriba, quum domi suae pranderet Cornelius Gallus praetorios et Q. Haterius eques Romanus, in Venere obiere. E t quos nostra adnotavit aetas, duo equestris ordinis in eodem pantomimo Mythico, tam forma praecellente. Operosissima tamen securitas morlis in M. Ofilio Hilaro ab antiquis traditur. Comoe> diarum histrio is, quum populo admodum pia· coisset natali dic suo, conviviumque haberet, edita coena calidam polionem in pultario popo scit, simulque personam ejus diei acceptam intuens, coronam e capite suo in eam trauslulit, tali habitu rigens nullo sentiente, donec adcubanlium proximus tepescere potionem admoneret.
Haec felicia exempla t «t contra miseriarum innumera. L. Domitius clarissimae gentis apud Massiliam victus, Corfinii captus ab eodem Cae sare, veneno poto propter taedium vitae, post· qoam biberat, omni opere ut viveret, adnisus est. Invenitur in actis, Felice Russato auriga elato, in rogum ejus unum e faventibus jecisse «ese : frivo lum dictu' : ne hoc gloriae artificis daretur, ad versis studiis copia odorum corruptum crimi nantibus. Quum ante non multo M. Lepidus nobilissimae stirpis, quem divortii anxietate dixi mus mortuum, flammae vi e rogo ejectus, recondi propter ardorem non potuisset, juxta sarmentis aliis nudos crematus est.
D b SEPULTtJXA.
LV. 54· Ipsum cremare apud Romanos non fuit veteris institnti : terra condebantur. At post quam longinquis bellis obruto· erui cognovere, tunc institutam. Et tamen multae familiae priscos servavere ritus : sicut in Cornelia nemo ante Sul lam dictatorem traditur crematas. Idqae voluisse, veritum talionem, eruta C. Marii cadavere. Se-
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mentre che favellava nell1orecchio a uno stalo consolo, dinanzi alla statua d’Apolline d'avorio, eh' è nella piazza di Augusto. Sopraltutti C. Giu lio medico, mentre che ugneva e tassava fuori una tasta dell'occhio. Aulo Manlio Torquato stato consolo, chiedendo a cena una focaccia. L. Tac cio Valla medico, mentre che beveva un melato. Ap. Saofeio, esseudo uscito del bagno, e avendo bevuto un melalo, mentre che voleva pigliare on nuovo fresco. P. Quinzio Scapula, cenando con Aquilio Gallo. Decimo Saufeio notaio, desi nando in casa sua. Cornelio Gallo stato pretore, e Q. Alerio cavalier Romano, morirono nei pia ceri amorosi. 11 medesimo intervenne ai nostri tempi a due cavalieri Romani usando con Mitico pantomimo, bellissimo garzone. Faticosissima tranquillità di morie scrivono gli antichi che fu quella di M. Ofilio llaro istrione di commedie. Costui essendo molto piaciuto al popolo il dì del suo natale, e facendo convito, domandò una bevanda calda ; e parte guardando la maschera, ch'egli aveva usata quel giorno, si cavò di capo la ghirlanda e gliela pose; e in tal abito interh> zò, che niuno se n’accorse, insino a tanto che colui, che gli era appresso gli disse, che la be vanda si raffreddava. Questi sono eaempii di felicità; ma all'ta' contro infiniti sono quei di miseria. L. Domitio di nobilissima famiglia tinto a Marsiglia da Ce sare, e da lui poi preso a Corfinio, bevve il veleno, eseendogli venula a noia la vita : dipoi pentitosi con ogni aiuto s 'ingegnò di campare. Trovasi negli atti, che un de' fautori di Felice carrettiere della fazione Rossata, si gettò nel fuoco, dov’egli morto ardea : ma gli avversari, acciocché questo non fosse attribuito a gloria del carrettiere, tro varono una cagione, benchi debole, dioendo che ««H vi s'era gettato mosso dall'abbondanaa dei profumi, che gettava il fuoco. E non molto in nanzi M. Lepido di nobilissima famiglia, il quale si morì, come dicemmo, per dolore del divorzio, essendo per la furia della fiamma gettato fnor del fuoco, e non potendovisi riporre per rispetto del grande ardore, appresso il luogo con altri sarmenti fu arso ignudo. D ella
se po ltu r a .
LV. 54· L'ardere i corpi non i molto antica usanza appresso dei Romani, che gli mettevano sotterra. Ma poi che intesero, come quegli, che erano morti in lontane guerre, erano dissotter rati, allora fu ordinato che ^'ardessero. E non dimeno multe famiglie mantennero l'usanza an tica, come nella famiglia de'Coraefii non si
C. PLINII SECUNDI
7ιι
pultas vero intelligi tur quoqao modo conditas : ham atas Tero ham o contecta*.
D b Mahibus : db anima.
LVI. 55. Post sepulturam variae Maniam ambages/Omnibas a suprema die eadem, qaae ante primam : nec magis a morte sensas alias aat corpori aat animae, qaam ante natalem. Eadem enim vanitas in faturam etiam se propa gat, et in mortis quoqae tempora ipsa sibi vitam mentitur: alias immortalitatem animae,alias trans figurationem, alias sensam inferis dando, et Ma nes colendo, deumque faciendo, qai jam etiam homo esse desierit: cen vero ullo modo spiraodi ratio homini a ceteris animalibas distet, aat non diatarniora in vita malta reperiantur, quibas nemo similem divinat immortalitatem. Qaod aa tem corpus animae per se ? qoae materia P ubi cogitatio illi f quomodo visas ? auditus ? aut qui tangit ? qai asus ejas ? aut qaod sine his bonam ? Qaae deinde sedes, quantave multitudo tot sae culis animaram, velut umbrarum? Puerilium ista delinimentorum,avidaeque numquam desine re mortalitatis commenta sunt. Similis et de adservandi» corporibus hominnm, ac reviviscen di promissa Democrito vanitas, non revixit ipse. Quae (malum) ista dementia est, iterari vitam morte ? quaeve genitis quies umquam, si in su blimi sensus animae manet, inter inferos umbrae T Perdit profecto ista dulcedo credulitasqne prae* cipuum naturae bonum, mortem : ac duplicat obitus, si dolere etiam post futuri aestimatione evenit. Etenim si dulce vivere est, coi potest esse vixisse f At quanto facilius eertiusque, sibi qaemque credere, ac specimen securitatis antegenitali camere experimento ?
Q oab
quis
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v it a iitvbhebit.
LVII. 56. Consentaneam videtur, priusquam digrediamur a natura hominum, indicare quae cujasque inventa sint. Emere ac vendere insti-
trova che innanzi a Siila dittatore ninno aia statò arso. E questo ordinò esso, temendo che il medesimo non fosse fatto a lui, perciocché «gli avea fatto dissotterrare il corpo morto di G. Mario. Sepolto »’ intende in qualunque modo si ripone il corpo: sotterrato si dice, qaando è ricoperto dalla terra. D b ' M asi :
d e ll'
ahima.
LVI. 55. Dopo la sepoltura si raccontano varie e dubbiose cose dell’ anime. Ma ognuno dopo la morte è come avanti alla vita, nè il cor po o l'aoima ha alcun sentimento di più di qaello ch'egli aveva innanzi ch'ei nascesse. Ma la mede sima vaniti umana si distende aneora nell'avve nire, e ancora ne' tempi della morte essa menten do a sè stessa, promettendosi la vita, ora dando airanima la immortaliti, ora la transfi gnrazione, ora dando il senso agl' inferi, e adorando l'anime infernali,e facendo dio quello,che non èpiù uomo; come se per alcun modo l'uomo aliti, e respiri di altra maoiera, che gli altri animali non fanno, o come non si trovino altre cose di molto pià langa vita, le quali però da niuno sono tenute immortali. Ora qual è di per sè il corpo dell'ani ma ? quale la materia? dove ha il pensiero ? come ha il vedere ?come l'udire? o come tocca? a che attende ? o che bene ha egli senza queste cose ? Quale stanza ha poi ? o quanta è in tanti secoli la moltitudine delle anime come d'ombre? Tutte queste sono scioccherie fanciullesee, e finzioni della nostra mortalità troppo ingorda e bramosa di non mancar mai. Simile è la vaniti del con servare i corpi, e darà a credere, come ci pro-r mette Democrito, di avere a risuscitare; ma an cora egli non risuscitò altrimenti. Che pazzia è questa, credere che la vita si rinnovi con U morte ? E che riposo può aver mai chi c'è nato, se il senso dell'anima sta in alto, e l'ombra nell' inferno ? Veramente questa dolcezza e cre denza distrugge la morte, che è gratissimo dono di natura, e raddoppia il dolore di colui, che ha a morire, ancora dipoi col pensare a quello che ha a venire. Che se pur dolce cosa è il vivere, a chi può essere dolce esser vissuto ? Ma quanto è più facile e più certo che ciascun creda a sè medesimo, e pigli sicurti dalla esperienza ehe noi abbiamo di quello che noi eravamo innanzi che nascessimo ? D b g l' nrvBirroBi d b llb eoe·.
LVO. 56. Parmi cosa ragionevole, che in nanzi che ci partiamo dalla natara degli nomini, ragioniamo di chi trovò aleone eosa. Bacco fu
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HISTORIARUM MUNDI L1B. VII.
U it Liber pater. Idem diadema, regiam insigne, «t triumphum invenit. Ceres frument·, quam an lea glande vescerentur. Eadem molere et con ficere in Atlica, et alia ia Sicilia : ob id dea judi cata. Eadem prima leges dedit: at alii potavere, Rhadamanthus. Literas semper arbitror Assyrjas foisse: sed alii apad Aegyptios a Hercario,at Gel lius: alii apad Syros repertas volant. Utiqoe in Graeciam attulisse e Phoenice Cadmum sedecim numero : quibus Trojano bello Palamedem adje cisse qaataor hac figura Θ , S» Φ, X. Totidem post eum Simonidem medioum, Z, Η, % Λ , quarum omnium vis in nostris recognosdtur. Ari stotele x et vm priscas foisse: A, B, Γ, Δ, E, Z, Ι,Κ , A, M, N, Ο, Π, P, Σ, T , T , Φ : et duas ab Epicharmo additas θ> X» quam a Palamede ma vult. Antidides in Aegypto invenisse qaemdam nomine Menon tradit, xv ante Phoroneam anti quissimam Graeciae regem : idque monumentis ad probare conatur. E diverso Epigenes, apad Babylonios d o c x x annorum observationes side ram coctilibus laterculis inscriptae docet, gravis auctor in primis : qai minimam, Berosas et Critodemus, ccccxc annorom. Ex qao apparet aeternam literarom usuxn. In Latiam eas attulerant Pelasgi.
Laterarias, ac domum constituerant primi Kuryalas et Hyperbias fratres Athenis: antea specas erant pro domibus. Gellio Doxias Caeli filius, io (ei aedificii inventor plaeet,exemplo sompio ah hirundinum nidis. Oppidom Cecrops a se appellavit Cecropiam, quae nane est arx Athenis. Aliqai Argos a Phoroneo rege ante conditum ▼olunt: qaidam et Sicyonem. Aegyptii vero mul to ante apad ipsos Diospolin. Tegulas invenit Cinyra Agriopae filius et metalla aeris, utrumqoe in insula Cypro : item forcipem, martulum, ve ctem, incudem. Pateos Danaas ex Aegypto adve ctas in Graeciam, qaae vocabatur Argos Dipsion. Lapicidinas Cadmus Thebis, aut, ut Theophra sto·, in Phoenice. Thrason muros. Turres, ut Aristotdes,Cydopes: Tirynthii, ut Theophrastus. Aegyptii textilia: inficere lanas Sardibus Lydi. Fusos in lanificio Cios ter filius Arachnes: Imum el retia Arachne. Fulloniam artem Nicias Mega rensis. Sutrinam Tychius Boeotius. Medicinam Aegyptii apud ipsos volunt repertam: alii per Arabam,Babylonis et Apollinis filiam: herbariam et medicamentariam a Chirone, Saturni et Phi lyrae filio.
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quel che trovò il comperare e vendere. Trovò ancora la corona reale e il trionfo. Cerere tro vò il grano, mentre prima si vivea di ghiande. Ella medesima insegnò macinare e fare il pane in Attica e in Sicilia ; e perciò fa tenuta per dea. Ella ancora fa la prima, che fece leggi, benché alcuni attribuiscano ciò a Radamanlo. Io tengo che le lettere Assirie sieno sempre state, ma alcuni vogliono ch’elle fossero trovate in Egitto da Mercurio, come Gellio: altri dicono dagli Assirii. Dicono che Cadmo fa il primo, ohe di Fenicia ne portò sedici in Grecia,alle quali Palamede nella guerra Troiana n’aggianse quat tro, cioè θ , Η) Φ, X. Altrettante dopo lai Simo nide medico, Z» 4 % Λ , la fona delle quali si riconosce nelle nostre. Aristotele dice, che le lettere auliche furono diciotto : A, B, Γ, Δ, E> Z) I, K, A, Μ, N) Ο) Π, P, Σ) T, Tj Φ) e dae, cioè θ , X, vaole che piuttosto da Epicarmo, che da Palamede fossero aggiunte. Antidide scrive, che un certo Menone le trovò in Egitto quindici anni innanzi a Foroneo antichissimo re ddla Greda, e ciò si sforza di provare con l’ istorie. Di altra parte Epigene autor molto grave dice, che appresso i Babilonii furono scritte in mattoni cotti le osservazioni delle stelle di settecento venti anni ; o, secondo quelli che dicon di manco, Beroso eCritodemo, di quattrocento novant’anni. Onde si vede, che sempre fu l’uso delle lettere. 1 Pelasgi le portarono in Italia. Eurialo e Iperbio fratdli furono i primi a fare i mattoni io Atene, e simili cose, e a murar case: prima le spdonehe s’abitavano in luogo di case. GelHo tiene, che Dossio figliuolo di Celo fu inventore di lavori, i quali si fanno di fango, avendo tolto l’ esempio da’ nidi delle rondini. Cecrope fa il primo che fece terra murata, e dal suo oome la chiamò Cecropia, la quale è ora la rocca in Atene. Alenai vogliono che Argo fosse edificato prima dal re Foroneo, e certi altri dicon che anche Sidone. Gli Egizii tengono che molto prima appresso di loro fosse edificato Diospoli. Cinira figliuolo d’Agriopa trovò i tegoli e le cave del rame, l’ uno e l’ altro ndl’ isola di Cipri : trovò anche le tanaglie, il martello, il chiavi stello e l’ incadine. Danao venuto d’ Egitto in Grecia, che si chiamava Argos Dipsion, trovò i pozzi. Cadmo trovò la eava ddle pietre in Te be, o, come vuol Teofraslo, in Fenicia· Trasone i muri. Le torri, secondo Aristotele, furon tro vate da* Cidopi, e, come vuol Teofrasto, da* Tirinzii. Gli Egizii trovarono il modo del tessere, i Udii il tignerà le lane in Sardi. Le fusa nel l'artificio ddla lana Closter figliuolo d’Aracne, il liso e le reti Aracne. Nida Megarese trovò l’arte da purgare i panni. Tiebio Beozio quella del
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C. PUNII SECUNDI
Aes conflare et temperare, Aristotele* Lydum Scythen monstrasse, Theophrastus Delam Phry gem putat. Aerariam fabricam alii Chalybas, alii Cydopas. Ferrum Hesiodus io Creta eos, qui vo cati sunt Daotyli Idaei. Argentum invenit Erich thonius Athenieosis: ut alii, Aeacus. Auri metalla «t conflaturam, Cadmus Phoenix ad Pangaeum montem: ut alii, Thoas et Eaclis in Panchaia : aut Sol Oceani filius, cui Gellius medicinae quo que inventionem ex meile adsigaat. Plumbum ex Casii teride insula primus adportavit Midacri tas. Fabricam ferream invenerunt Cyclopes. Fi glinas Coroebus Atheniensis. In iis orbem Anacharsis Scythe#: ut alii, Hyperbius Corinthius. Fabricam materiariam Daedalus, et in ea serram, asciam, perpendiculum, terebram, glutinum, ichtbyocollam : normam autem et libellam, et tor num et elavem Theodorus Samius. Meniuras et pondera Pbidon Argivus : aut Palamedes, ut ma luit Gellius. Igoem e silice Pyrodes Cilicis filius': eumdem adservar· in ferula, Prometheus.
Vehiculum cum quatuor rotis Phryges : mer caturas Poeni. Culturas vitium et arboram Eumol pus Athenieosis. Vinum aqua misceri Staphylus Sileni filius. Oleum et trapetas Aristaeus Athenien sis. Idem mella. Bovem et aratrum Buzyges Athe niensis : ut alii, Triptolemus. Regiam civitatem Aegyptii, popularem Attici, post Theseum. Tiranno* primus fuit Phalaris Agrigenti. Servitium invenere Laoedaemonii. Judicium capitis in Areopago primum aetum est. Proelium Afri contra Aegyptios primi fecere fu stibus, quos vocant palangas. Clypeos invenerunt Proetus et Acrisiu* inter se bellantes, sive Chalcus Athamantis filias. Loricam Midias Messenius. Galeam gladium, hastam Laoedaemonii. Ocreas et cristas Cares. Aream et sagittam Scythen Jo vis filiam; alii sagittas Persen Persei filium inve nisse dicunt: lanceas Aetolos,jaculum cum amento Aetoliam Martis filium. Hastas velitares Tyrrhe nam : pilam Penthesileam Amazonem : securim, Pisaeam : venabula, et in tormentis scorpionem Cretas: catapultam Syrophoenice* ballistam et fondasi. Aeneam tabum, Pisaeum Tyrrhenum. Testudines Artemonem Clazomenium. Equam (qoi naoc aries appellator) ia muralibus maebi-
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cucire. Gli Egizii vogliono che da taro fosse trovata la medicina, altri da Arabo figliuolo di Babilone e d'Apolline ; ma l’erbaria e i me dicamenti furon trovati da Chirone, figliuolo di Saturno e di Fillira. Dioe Aristotele ehe Lido Scita insegnò a fondere e temperare il rame, e Teofrasto vuole ehe fosse Dela Frìgio. La fabbrica del ferro dicono alcuni che fu trovata dai Calibi, altri dai Ciclopi. Esiodo dice che il ferro fu trovato in Creta dai popoli chiamati Dattili Idei. Lo ar gento lo trovò Erittonio Ateniese, e scoondo alcuni Eaoo. Cadmo di Fenicia trovò Toro e il modo di fonderlo nel monte Pangeo : secondo altri, Toa ed Eade in Pancata, o il Sole figliuolo dell' Oceano, a cui GelKo attribuisce aneora la invenzione della medidna e dd mele. Midacrito fu il primo, che portò il piombo dell* isola Cassitsride. 1 Ciclopi trovarono la fabbrica del fer ro. Corebo Ateniese la maestria di fare i tasi di terra. In questo esercizio Anacarsi Sdta trovò la ruota, e secondo alcuni Iperbio da Corinto. Dedalo trovò la fabbrica dd legname, e in essa h sega, l'ascia, il perpendicolo, il succhiello, la colla, la colla di pesce : ma lo arco, Parchipen zolo, li torno e la chiave Teodoro Samio. Fidone Argivo trovò le misure e i pesi, o Palamede, come volle Gellio. Pirode, figliuolo di Cilice insegnò cavare il fuoco della pietra, e Prometeo trovò il mantenerlo nella ferula. I Frigii trovarono la carretta eoo quattro ruote. Gli Africani la mercatura. Eumolpo Ate niese insegnò coltivare gli alberi e le viti. Stefilo figliuolo di Sileno, il mescolare l'acqua col vino. Aristeo Ateniese trovò Potk> e il fattoio, e il mele ancora. Bauge Ateniese, il bue e l'aratro: secondo alcuni Trittolemo. Gli Egizii trovarono la monarchia, gli Ate niesi lo stato popolare dopo Teseo. U primo tiranno fa Falari in Agrigento, I Laoedemooii trovarono il fare i servi. Il giudici· capitale fa prima fatto nell* Areopago. Gli Africani furono i primi, che facessero guerra contro gli Egizi! con mazze di ferro, le qadi essi chiamano palanghe. Preto e Aerino combattendo tra loro trovarono gli scudi, ovvero Caloo figlinolo di Atamante. Midia Messenio la paoziera : i Lace demoni! l'dmo, la spada e la landa. Quegli di Caria gli schinieri e i pennacchi. Dicono alcuni che Scile figliuolo di Giove trovò Fano o le frecce; altri dicono che fu Perse figliuolo di Perseo : gli Etolì le lance, ed Etolio figlinolo di Marte il dardo con la stringa. L’aste velitari Tirreno: il pilo Pcntesilea Amazone: raaoetta Piseo. I Cretesi trovarono gli spiedi, e tra le macchine da getto, lo scorpione: ì Sirofcoid
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VII.
ni*, Epeum ad Trojam. Equo vehi Bellerophon tem. Frenos et strato eqaorora Pelethroniam. Pugnare ex equo Thessalos, qui Centauri appel lati sant, habitantes secandam Peliam montem. Bigas prima janxit Phrygam natio, quadrigas Erichthonios. Ordinem exercitos, signi dationem, tesseras,vigilias Palamedes invenit Trojano bello. Specalarom significationem, eodem Sinon : in ducias Lycaon : foedera Theseas.
Aagaria ex avibas Car, a quo Carie appella ta. Adjecit ex ceteri· animalibns Orpheas. Hara· spicam Delphus, ignispicia Amphiaraus, aospida aviam Tiresias Thebanas. Interpretationem osten torum et somniorum Amphictyon. Astrologiam Atlas Libyae filias: ut alii, Aegyptii, ut alii, Assy rii. Sphaeram Milesios Anaximander. Ventorum rationem Aeolus HeHenis filius.
Musicam Amphion. Fistulam et monaulum Pan Mercurii : obliquam tibiam Midas in Phrygia : geminas tibias Marsyas in eadem gente : Lydios modulos Amphion : Dorios Thamyras Thrax : Phrygios Marsyas Phryx : Citharam Amphion : ut alit, Orpheust ut alii, Linus. Septem chordis additis Terpaoder. Octavam Simonides addidit : nonam Thimotheus. Cithara sine voce cecinit Thamyras primus : curo canta Amphion : ut alii, Linas. Citharoedica carmina composuit Terpander. Cum tibiis canere voce Troezenius Ardalus instituit. Saltationem armatam Curetes docnere, Pyrrhichen Pyrrhus, utramque in Creta. Versum heroicum Pythio oraculo debemus. De poematum origine magna quaestio est. Ante Trojanam bellum probantur fuisse. Prosam ora tionem condere Pherecydes Syrios instituit, Cyri regis aetate. Historiam Cadmus MHesius. Ludos gyannieos in Arcadia Lycaon : funebres Acastus Iolco : post eum Theseus in Isthmo. Hercules Olympiae athleticam : Pythus pilam lusoriam : Gyge· Lydus picturam in Aegypto : in Graecia vero Euchir Daedali cognatus, ut Aristoteli pla cet : ut Theophrasto, Polygnotus Atheniensis. Nave primus in Graeciam ex Aegyptus Da naas advenit : antea ratibus navigabatur, inven tis in mari Rnbro inter insulas a rege Erythra. Reperiuntar, qui Mysos et Trojanos priores ex cogitasse in Hellesponto putent, quum transirent advenas Thracas. Etiam nane ia Britannico ocea-
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la catapulta, la ballestra e la fromba. Piseo To scano trovò la tromba di rame. Artemone Clazo menio le testudini, macchine così dette. Epeo a Troia fra le macchine rurali trovò il cavallo, il quale ora si chiama ariete. Bellerofonte Pandare a cavallo. Peletronio la briglia e la sella. Il combat tere a cavallo i Tessali, i quali furono chiamati Centaari,che abitano lungo il monte Pelio. I po poli di Frigia furooo i primi, che misero due cavalli alla carretta, ed Erittonio quattro. Palamede alla guerra di Troia trovò l’ordine delle schiere, dare il segno al cominciare della batta glia, dare il nome, fare le guardie la notte : Sinone le specole da far cenno : Licaone le tregoe : Teseo le coofederazioni. Gli augurii degli uccelli trovò Car, ond’ebbe il nome la Caria. Orfeo v’aggiunse gli augurii degli altri animali. Delfo trovò 1' aruspicina, Anfiarao I1indovinare col guardare il fuoco, Tiresia Tebano gli auspicii degli uccelli. Anfizione la interpretazione de*mostri e de* sogni. Atlante figliuolo di Libia trovò l'astrologra: altri dicooo gli Egizii, e altri gli Assìrii. Anasimandro Milesio la sfera. Eolo figliuolo d’Ellene la ragio ne de* venti. Anfione la musica. 11 zuffolo e il montalo Pane di Mercurio. Mida in Frigia il piffero storto. Marsia nella medesima nazione i pifferi. Anfione le melodie Lidie, Tamira Tracio le Dorie, Mareia Frigio le Frigie. Anfione la cetera; secondo alcuni Orfeo o Lino, Terpandro la cetera a sette corde; Simonide v*aggiunse l'ottava. Timoteo la nona. Tamira fu il primo, che suonò la cetera senza cantare. Anfione col canto : secondo alcooi Lino. Terpandro compose i versi da cantar sul la cetera. Ardalo Trezenio cominciò a cantare co* piferi. 1 Cureti trovarono il ballo armato. Pirro il ballo Pirrico, l'uno l’allro in Creta. L'oracolo Pizio trovò il verso eroico. Del l'origine de* poemi sono diverse opinioni ; ma però si trova, che furono innanzi alla guerra di Troia. Ferecide Sirio trovò l*orazione in prosa, al tempo del re Ciro. Cadmo Milesio l'istoria. Licaone trovò i giuochi ginnici in Arcadia. Acasto i funebri in Iolco, e dopo lui Teseo nel1* Istmo. Ercole trovò i giuochi degli atleti in Olimpia. Pito la palla da giuocare. Gige Lidio la pittura in Egitto, e secondo Aristotele, Euchir parente di Dedalo in Grecia ; ma secondo Teofrasto, Poiignoto Ateniese. Danao fu il primo, che venne di Egitto in Grecia sopra uoa nave : prima si navigava con le rati, trovate nel mar Rosso fra 1* isole dal re Eritra. Alcuni dicooo che i Misi e Troiani fa· rono i primi che facessero nave in Ellesponto, quando passarono coatra i Traci. Oggi ancora
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C. PU NII SECONDI
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no ▼itile* cono drcnmsntae frani : in Nilo ex pa pyro, el scirpo, el arundine. Longa nave Jasonem primam navigasse, Philostephanas anetor est : Hegesias Paralom : Ctesias Semiramim ; Archemaebus Aegaeonem, biremem Damaste* Ery thraeos fecisse : triremem Thucydides Aminodem Corinthium: quadriremem Aristotdes Cartha ginienses : quinquerem Moesigiton Salaminios : sex ordinum Xenagoras Syracusios : ab ea ad de cemremem Mnesigiton : Alexandrum Magnum ferunt instituisse ad xn ordines. Philostephanns Ptolemaeum Soterem : ad quindecim, Deme trium Anligonii : ad xxx Ptolemaeum Philadddelphum : ad x l Ptolemaeum Philopatorem, qui Tryphon cognominatus est. Onerariam Hippus Tyrius invenit, lembum Cyrenenses, cymbam Phoenices, celetem Rhodii, cercuron Cyprii. Si deram observationem in navigando Phoenices, remum Copae,latitudinem ejus Plataeae: vela Ica rus, malum et antennam Daedalas. Hippagum Sa mii, aut Perides Atheniensis, tectas longas Tha* sii : antea ex prora tantum et pupi pugnabatur. Rostra addidit Pisaeus Tyrrhenus : ancoram Eupalamus : eamdem bidentem Anacharsis : harpagonas et manus Perides Atheniensis, adminicula gubernandi Typhis. Classe princeps depugnavit Minos. Animsl occidit primus Hyperbius Marlis filius, Prometheus bovem.
nd mare d* Inghilterra se ne tanno ddle ri pie ghevoli coperte di cuoio: nd Nilo di papiro, di giunco e di canne. Filostefano scrive, che Giasone fu il primo che usò nave lunga. Egesia dice che fu Paralo: Ctesia che Semiramide: Archemaco, che Egeone, e Damaste dice che gli Eritrei trovarono le biremi, d o ì le galee sottili. Tucidide scrive che Aminode Corintio trovò la trireme, cioè la galea grossa a tre ban chi. Aristotele concede la quadrireme a quattro banchi a' Cartaginesi. Mnesigitone da Salamina trovò la quinquereme. Senagora da Siracusa a sei ordini, dipoi infine a died Mnesigitone. Di cono che Alessandro Magno ne compose di dodici ordini, e Filostefano scrive che ne fu autore Tolomeo Sotero. N'ebbe di quindi» Demetrio d 'Antigono : di trenta Tolomeo Filadelfo: d i quaranta Tolomeo Filopatore, cognominato Tri fone. Ippo Tirio trovò la nave da carico, i C irenesi il lembo, i Fenici la dmba, i Bodiotti la edete, i Cipriotti il cercuro. 1 Fenici trovarono l'osservazione delle stdle nd navigare, i Copi il remo, i Plateesi la larghezza d'esso, Icaro le vele, Dedalo l ' albero e 1*antenna, i Samii, ov vero Peride Ateniese, la nave da portar caval li, i Tasii le navi lunghe coperte : prima si com batteva solamente da prua e da poppa. Piseo Toscano v'aggiunse le punte, Eupalamo l'ancora, cui Anacarsi fece di dne denti. Peride Ateniese trovò gli arpagoni e le mani : Tifi gl' instrumenti da regger la nave. Il primo che fece battaglia in mare fu Minos. Iperbio, figliuolo di Marte, fu i l primo che uccidesse animali : Prometeo il primo che uccidesse bue.
I h QITIBUS BEBUS PUMI GBNT1UM COBSBKSUS.
SoPttA DI CHE COHSKHTiaOBO LA PUMA VOLTA
Da ANTIQUIS LITEBIS.
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e n t i. Dbllb lbttkbb A m e n .
LV 1II. 57. Gentium consensus tadtus primus omnium conspiravit, ut Jonum literis uterentur. 58. Veteres Graecas fuisse easdem paene, quae none suntLatinae,indido erit Delphica tabala an tiqui aeris, quae est hodie in Palatio, dono prindpum Minervae dicata in bibliotheca, cum in scriptione tali: ΑΔΤΣΙΚΡΑΤΗΧ ΑΝΕΘΕΤΟ TH ΔΙΟΣ ΚΟΡΗ ΤΗΝ ΔΕΚΑΤΗΝ ΔΙΑ ΔΕΕΙΟΝ ΛΙΑΝΑ.
LV 1I1. 57. U primo tadto consenso ddle genti fu, che s'usassero lettere degli Ionii. 58. Che le lettere antiche Greche fossero quasi le medesime, che sono ora le Latine, lo dimostra una tavola di rame antica posta ia Delfo, e oggi è in Palazzo, per dono de' prindpi consacrata a Minerva nella libreria. Essa porta questa iscrizione : ΑΔΤΣΙΚΡΑΤΗΣ ΑΝΕΘΕΤΟ ΤΗ ΔΙΟΣ ΚΟΡΗ ΤΗΝ ΔΕΚΑΤΗΝ ΔΙΑ Δ Ε SION ΑΙΩΝΑ.
QUABDO f i n n » TOHSOBES.
Q uavdo coMnrciAioao ι βαχβικκι.
LIX. 59. Sequens gentium consensus in ton soribus fuit, sed Romanis tradior. In Italiam ex Sicilia renere posi Romam conditam anno qua dringentesimo quinquagesimo quarto, fcdducente P. Ticino Mena, ut auctor est Varro: antea inton-
LIX. 59.11 secondo tadto consentimento dei popoli fu ne* barbieri, ma fra i Romani piò tardi. Vennero di Sidlia in Italia quattrocento d n quantaquattro anni dopo la edificasione di Ro ma. Condussegli Publio Tidno Mena, sicoomo
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VII.
si fuere. Primus omnium radi quotidie instituit Africanus: sequens divos Augoslus cultris scraper osos est.
scrive Varrone : innanti non si radevano. Afri cano fu il primo, che cominciò a farsi radere ogni giorno, dipoi Cesare Augusto usò sempre i rasoi.
QOAHDO PRIMUM HOROLOGIA.
QOABDO si COM1RCIAROHO OSARE GLI OR1DOL1.
LX. 60. Tertias eonsensus fuit ia horarum observatiooe, jam hic rationi accedens. Quaodo et a quo in Graecia reperta, diximas in secando volumine. Serias etiam boc Romae contigit. Duo· decina tabolis ortas taotom et oecasus nominantur : post aliquot annos adjectus est et meridies, accenso consulum id prununtiante, qaom a Cu ria inter Rostra et Graecostasin prospexisset so lem. A columna Maenia ad carcerem inclinato sidere, supremam pronontiabat. Sed hoc serenis tantam diebus usque ad primam Punicum bellum. Priaceps Romanis solariam horologiam statuis se ante doodecim annos,qoam cnm Pyrrho bella tam est, ad aedem Quiriai L. Papirias Cursor, quam eam dedicaret, a patre sao votam, a Fabio Vestale proditor. Sed neque facti horologii ratio nem vel artificem significat : nec unde translatum sit, aat apad quem scriptam id iavenerit. M. Varro primam stalatum in poblico secundam Rostra in colamna tradit, bello Panico primo, a M. Valerio Messala console, Catina capta in Sici lia : deportatam iade post xxx annos, qoam de Papiriaoo horologio traditur, anno Urbis c c c c l x x v m i uec eoograebant ad horas ejas li neae : paroerant tamea eis annis uodecentum, donec Q . Marcius Philippos, qui cam L. Paolo foit censor, diligentias ordinatam juxta posuit : idque manos inter censoria opera gratissime ac ceptum est Eliam tam tamen nubilo incertae fuere horae usque ad proximam lastrum. Tunc Scipio Nasica, collega Laenatis, primus aqua di visit boras aeque nociiom ac dierum. Idqne ho rologium sub lecto dicavit, anno Urbis d x cv . Tam diu populo Romano indiscreta lux fuit. Nane revertamar ad reliqua animalia, primumqae terrestria.
LX. 60.11 terso consentimento è nella osser vazione delle ore, gii piò degli altri ragionevole. Nel secondo libro abbiam detto, qoaado e da chi qoesta osservazione fu fatta in Grecia. In Roma si fece più tardi. Nelle dodici tavole si nominan solamente il levante e il ponente : dopo alcuni anni vi fu aggiunto ancora il mezzogior no, il quale veniva pronunziato dal banditore de* consoli, quando egli dalla Curia avesse ve duto il sole fra i Rostri e la contrada de'Greci. Venendo l’ombra dalla colonna Menia alla car cere, bandiva ch'era l'ultima ora del giorno. Ma questo accadeva solamente ne* giorni sereni fino alla prima goerra Cartaginese. Scrive Fabio Ve stale, ehe il primo orinolo a sole in Roma fa fatto da Lucio Papirio Cursore sul tempio di Quirino, quaado il dedicava, votato da suo pa dre, dodici anni innanzi alla guerra di Pirro. Ma non esprime il modo dell'oriuolo fatto, nè chi lo facesse, nè donde venisse, nè dove ei ne trovò scritto. Marco Varrone scrive, che il primo orinolo fu pubblicamente posto appresso i Rostri in una colonna, nella prima guerra Cartaginese, da Marco Valerio Messala consolo, presa che fa la cittì di Catania in Sicilia ; e di là fu portato trenta anni dopo l'oriaolo di Papirio, quattrocento settantasette anoi dopo che Roma fu edi ficata. E nondimeno che le linee sue non rispon devano alle ore, pure lo seguirono per ispazio di novantanove anni, fino a tanto che Quinto Marcio Filippo, il quale fu censore insieme eoa Lucio Paolo, ne pose un altro allato a quello più diligentemente ordinato, il qaal dono fra l’opere censorie fu molto grato al popolo. Nondimeno ancora allora le ore erano in dubbio, quando era nugolo, fino al segnante lustro. Allora Scipione Nasica collega di Lenato, fu il primo che con l'acqua divise egaalmeote le ore delle notti e de' giorni. E questo oriuolo pose egli sotto an tetto al coperto, Tanno cinquecento novantacinqne della edificazione di Roma. Per tanto tempo i Romaui mancarono di divisioni certe della luce. Ritorniamo ora agli altri animali» e prima a* terrestri.
C. PUMI SECUNDI
HISTORIARUM MUNDI LIBER VIII TERRESTRIUM
ANIMALIUM NATURAE
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1.1 . A .d reliqua iranteatmisanimalia, et primum terrestri·. Maximum est elephas, proximamqne humanis sensibas : quippe intellectas illis termo nis patrii, et imperiorum obedientia, officiorumque, qoae didicere, memoria : amoris et gloriae voluptas; immo vero (quae etiam in homine rara), probitas, prodentia, aequitas : relìgio quoque sideram, solisqoe ae lanae veneratio. Auctores snnt,inMaoritaniae saltibus ad quemdam amnem, coi nomen est Amilo, nitescente luna nova, gre ges eoram descendere: ibique se purificantes solemniter aqua circumspergi, atqae ita salutato sidere in silvas reverti, vitulorum fatigatos prae se ferentes. Alienae quoque regionis intellectu, credantur maria transituri non ante naves con scendere, quam invitati rectoris jurejurando de radila. Visiqee sunt fessi aegritad iae ( quando et illas moles infestant morbi) herbas supini in coelum facientes, velati tellure precibus allegata. Naa quod ad docilitatem attinet, regem adorant, geno· sobmittunt,coronas porrigant. Indis araat minores, quos appetlant nothos.
Dboli blk p ab ti : du (Μτπαπο lo a o . I. i. ± astiamo ora a ragionare degli altri ani mali, e prima de* terrestri. Il maggiore è Telefante, e quel che più s’ appressa a1sentimenti umani ; perciocché esso intende la favella del suo paese, ubbidisce a quel che gK è comandato, ha a memoria qoel che egli impara : e si diletta dell’amore e della gloria ; e di più ha qoel che negli nomini ancora è raro, bontà, prudenza, equità ; ed ba in rispetto e venerazione le stelle, il sole e la luna. Scrivono alcuni, che nelle bo scaglie di Mauritania, a un certo fiume, che si chiama Amilo, quando comincia splendere la luna nuova scendono le mandrie degli elefanti, e qui purificandosi solennemente si spruzzano d’acqua, e così avendo fatto riverenza al pianeta, si ritornano nelle selve, e i lor pìccoli figliuoli stanchi si portano avanti. Credesi ancora, che abbiano sentimento degli estranei paesi, perchè avendo essi a passare il mare, non entrano in nave, se prima il lor maestro non giura, che ritorneranno. E ne furono visti di ammalati ( perciocché le infermità travagliano ancora sì grandi animali) stando supini gettare l’ erba verso il cielo, quasi che deputassero la terra a intercedere loro la salute. Quanto spetta alla docilità, essi adorano il re, se gli inginocchiano, e porgongli le corone. In India i minori, che ή chiamino bastardi, arano il terreno.
G. PLINII SECUNDI
7*7 Q dardo rantoli
juwcti.
Q eahdo
l a p b i * a v o l t a fuboro g iu b t i ib s ie m e .
II. a. Romae jancti primam tubiere carrum II. a. A Roma i primi, che fossero posti al Pompeji Magai Africano triumpho : qaod prius giogo, furono quelli che tirarono il carro di India victa, triamphaute Libero pai re, memora Pompeo Magno nel trionfo Africano : il che si tor. Procilius negat potuisse Pompeji triumpho scrive, che fece ancora Bacco aveado vinta l ' In junctos egredi porta. Germaaici Caesaris munere dia. Procilio dice, che non è possibile, che cosi gladiatorio, quosdam etiam inconditos motus congiunti potessero passare per la porta. Nei edidere, saltantium modo. Vulgare erat, per giuochi dei gladiatori ordinati da Cesare Ger«aras arma jacere non auferentibus ventis, atque manico, dicono che si mossero, e benché sgar inter se gladiatorios congressus edere, aut lasci- batamente, pareva pure che ballassero. Era cosa viente pyrrhiebe colludere : postea et per funes ordinaria agli elefanti, che gittassero Tarmi per incessere, lecticis etiam ferentes quaterni singu l'aria senza che i venti le deviassero, e che tra los puerperas imitantes : plenisque homine tridi- loro facessero assalti, come i gladiatori, o scher niis accubitumiere per lectos ita libratu vestigiis, zassero licenziosi al modo che si fa la moresca ; e andassero poi anco su per le funi portando ne quis potanliam attingeretur. quattro dì loro uno in lettica, imitando le donne di parto ; ed essendo piene le sale di convitati, andavano sì destramente fra i letti a riposarsi, che non calpestavan persona. Db d o c iu t a t b
bokcm .
III. 3. Certum est anam tardioris ingenii accipiendis quae tradebantur, saepias castigatam 'verberibus, eadem illa meditantem noeta repertam. Miram maxime, et adversis qaidem fanibas subire, sed regredi magis utique pronis. Mucia nas ter consul auctor est, aliquem ex his et literarum dactus graecarum didicisse, solilumque praescribere ejus linguae verbis : « Ipse ego haec scripsi, et spolia Celtica dicavi, n Itemque se vidente Puteolis, quum advecti e nave egredi cogerentur, territos spatio pontis procal a conti nente porrecti, nt sese longinquitatis aestimatione fallerent, aversos retrorsas isse.
MlBABILlA 1B FACTIS BORO*.
IV· Praedam ipsi in se expetendam sdunt •olam esse in armis suis, qoae Juba cornua appel lat, Herodotus tanto antiquior, et consuetudo melias, dentes. Qusmobrem deciduos casa aliqao, ▼el senecta defodiunt. Hoc solum ebur est : cetero, et in his qnoqae, qua corpus intexit, vilitas ossea. Quamquam nuper ossa etiam in laminas secari coepere penaria. Etenim rara amplitudo jam dentiam, praeterquam ex India, reperitar: celera in nostro orbe cessere luxuriae. Dentiam caqdore sntelligitor juventa. Circa hos helkiis sumina «era 5 alterius mucroni parCunt, ne sit proeliis
D ella
lo bo d o c il it à .
in III. 3. Uno elefante di più tardo ingegno in imparare quello che gli era insegnalo, essendo perdò spesse volte battuto dal maestro, fa dipoi trovalo la notte ripetere da sè medesimo qud che gli era stato insegnato. Maraviglia era veder gli andare all’ insù per le funi, ma mollo più, che tornassero all’ ingiù alla china. Scrive Mu dano, il quale fu tre volte consolo, che uao elefante imparò a scrivere le lettere greche, e ebe soleva scrivere con le parole di quella lingua: u Io stesso scrissi queste cose, e dedicai le spoglie Celtiche. » Dice ancora d’aver veduto a Pozzuolo alcuni elefanti, i quali avendo a usdr di nave per un ponle lungo innanzi che arrivassero a terra, si sbigottirono per sì lungo spazio, onde per ingannar sè medesimi, e per non vedere il pericolo, andarono all* indietro. M ab a v ig lio s i
t r a t t i che o savo .
IV. Conoscono che la preda, che in loro sì cerca, è solamente nell'armi loro, le qaali Giuba chiama corni,, ma Erodoto tanto più antico, e l’usanza ancora meglio, gli chiama denti. Per la qual cosa quando essi cagghra loro per qualche caso, o per vecchiaia, gli nascondono sotterra, e questo solo è l'avorio ; ma gli altri, che hanno coperti nd corpo, non sono che vili ossa ; ben ché da poco in qua per la carestia si si· comincia to ancora a segarne Possa in piastre. Perchè raro si truova grandezza de’ denti, fuor che in India; e di già gli altri, ch’erano nelle nostre parti,
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VIII.
bebes: alterius operario α·α fodiant radice*, impellant moles: circumventique · venantibus, primos constituant, quibus sunt minimi, ne tanti proelium putetur : postea fessi, impactos arbori frangunt, praedaque se redimunt.
Da
KATCRA FKEAHUM AD PERICOLA SDA lRTBLLlOBSDA.
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furon consumati dal lusso. Dalla bianchezza dei denti si conosce se son giovani. Circa questi denti hanno tali bestie gran cura, perchè non adoperano la punta dell'uno di due, per poter sene valere nelle battaglie: della punta dell'altro si servono a cavar le radici, e a spignere con esso le altre cose. E quando essi so d o accerchiali da'cacciatori, mettono innanzi i minori, per mostrar manco paora del nimico : dipoi stanchi, gli rompono in qualche albero, per non cader essi in preda. D e lla
h a t v b a d ^ l l b f ib r e , c h e io t b u d o h o
I LORO PERICOLI.
V. 4· Maravigliosa cosa è in alcuni animali, V. 4> Mirum in plerisque animalium, scire quare petantur : sed et per cuncta quid caveant. che sappiano, perchè noi cerchiamo di pigliarli : Elephas homine obvio forte in solitudine, et ma molto più che io ogni cosa sappiano di che simpliciter oberrante, clemens placidusque eliam s'abbiano a guardare. Dicesi che l'elefante incon demonstrare viam traditur. Idem vestigio hominis trando un uomo a caso ne' deserti, il qual sem animadverso prius quam homine, intremiscere plicemente abbia smarrito il cammino, lullo insidiarum metu, subsistere ab olfactu, circum amorevole e mansueto gli mostra la via. Ma però, se vede l'orma dell'uomo prima che l'uomo, ba spectare, iras proflare, nec calcare, sed erutum proximo tradere, illum sequenti, nuntio simili paura d'essere insidiato, fermasi-all'odorato, usque ad extremum: el tunc agmen circumagi, et guardasi intorno, soffia per collera, e non calpesta reverti, aciemque dirigi : adeo omnium odori la traccia,ma mostrala a chi gli è appresso, e que durare virus illud, majore ex parte ne nudorum gli a un altro di maoo io mano fino all'ultimo. Allora lutti vanno e rivanno, e ordinano la schie qoidem pedum. Sic et tigris etiam feris ceteris ra ; tanto può la veemenza di quell'odore, benché truculenta, atque ipsa elephanti quoque spernens le più volte gli nomini vi vanno co' piè calzali. vestigia, hominis viso transferre dicitur protinus Così la tigre ancora tanto terribile ad ogni altra catulos. Quonam modo agnito ? ubi ante conspe bestia, che non ba pur paora dell'elefanle, tosto cto illo, quem timet ? Etenim tales silvas minime freqoentari certum est. Sane mirentur ipsam che ba veduto l'orma deU'uomo porta altrove i figliuoli. Ma come lo conosce ella? o dove vestigii raritatem : sed unde sciunt timendum esse f Immo vero cur vel ipsius conspectum l'avea prima veduto? perciocché quelle selve paveaot, tanto viribus, magnitudine, velocitate sono poco frequentate. E se dicessi, che le ligri praestaritiores ? Nimirum baec est natura reruro, spaventano per la rarità delle orme umane,dimmi haec potentia ejus, saevissimas ferarum maximas- donde esse sanno, che l'uomo debba esser te qne numqnam vidisse quod debeant timere, et muto ? o perché si spaventano di vederlo,· essen do esse tanto maggiori, e più forti, e più veloci? statim intelligere quum sit timendum. Ma certo tale è la natura delle cose, tale è la sua potenza, che le crudelissime e grandissime fiere non hanno mai veduto quello che debbsn temere, e subito conoscano quando sia da temere. 5. Gli elefanti vanno sempre in ischiera. Il 5. Elephanti gregatim semper ingrediuntur. più vecchio guida la schiera, e la chiude quello Ducit agmen maximus natu, cogit aelate proxi mus. Amnem transituri minimos praemittunt, ne che per età gli è più vicino. Quando ei sono per passare un fiume, mandano innanzi i più majorum ingressu atterente alveum, crescat gur piccoli, acciocché enlraudo i maggiori e rom gitis altitudo. Antipater auctor est, duos 'Antiocho pendo il fondo, l'acqua non venga a crescere. regi in bellicis usibus, celebres etiam cognomini bus, fuisse : etenim novere ea. Certe Cato, quum Scrive Antipatro, che il re Antioco aveva due imperatorum nomina Annalibus describeret, eum elefanti molto valenti io battaglia, i quali erano qui fortissime proeliatus esset in Punica acie, ancora celebri per i nomi loro, perchè essi me Suram tradidit vocatum, allero dente mutilato. desimi gli intendevano. ECatoue descrivendo nei Antiocho vadom fluminis experienti renuit Ajax, suoi Annali i nomi de’capitani, dice che quello, alioquio dux agminis semper. Tum pronuntiatum, che valorosissimamente combattè nella battaglia
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G. PUNII SECUNDI
ejus for· principatum, qoi transisset t u n f f l q M Patroclum, ob id phaleris argentale, qao maxime gaudent, et reliquo omni primato donavit. Ille, qoi notabatur, inedia mortem, ignominiae praetu lit. Miras namqoe pudor est, victusque vocem fugit victoris : terram ae verbenas porrigit.
Pudore numquam nisi in abdito coeunt : mas quinquennis, femina decennis. Initur autem bien nio, quinis (ut ferunt) cujusque anni diebus, nee amplius : sexto, perfunduntur amne, non •nte reduces ad agmen. Nec adulteria novere : nullave propter feminas inter se proelia, oeteris animalibus pernicialia : non quia desit illis amoris ▼is : namque traditur nnus amasse quamdam in Aegypto corollas vendentem: ac ne quis vulgariter electam putet, mire gratam Aristophani, celeber rimo in arte grammatica. Alius Menandrum Syra cusanum incipientis juventae in exercitu Ptole maei, desiderium ejus, quoties non videret, inedia testatus. Et unguentariam quamdam dilectam Juba tradit. Omnium amoris fuere argumenta, gaudium a conspectu, blanditiaeque inoonditae, stipesque, quas populus dedisset, servatae, et in sinum effusae. Nec mirum esse amorem, quibus sit memoria. Idem namque tradit, agnitum in senecta, multos post annos, qui rector in juventa fuisset. Item divinationem quamdam justitiae. Quum Bocchus rex triginta elephantis, totidem, in quos saevire instituerat, stipitibus alligatos objecisset, procursantibus inter eos qui lacesserint, non potuisse effici, ut crudelitatis alienae ministerio fungerentur.
Q uatoo n u n m It a l u vin βιλρηαηπ .
Cartaginese, si chiamava Suro, che aveva manco un dente. Volendo Antioco passare ua fiume, Aiace non volle passare il guado, ancora che egli fosse sempre capo della schiera. Allora fu fatto intendere, che il principato sarebbe di quello, che fosse stato il primo a passare, onde uno d'essi chiamato Patroclo fu il primo a passare ; e per questo il re lo fece capitano degli altri, e diedegli i fornimenti di argento, i quali sono molto grati a questo animale. Onde quello che era come infamato, si lasciò morire di Cime piuttosto che sofferirne la vergogna. Perciocché essi la temono molto, e il vinto fugge la voce del vincitore, e porgegli la terra e le verbene. Per la vergogna stessa il maschio non usa con la femmina se non di nascosto, il maschio di cinque anni, e la femmina di dieci. Essa in gravida per due anni, e, come si dice, per cinque giorni dell’anno si oongiungono insieme e non più : nel sesto si bagnano nel fiume, non ritor nando prima alla loro schiera. Non fanno adul terii, nò per le femmine fanno tra lor battaglie, tanto dannose agli altri animali: oon perchè manchi loro la fona dell'amore, perciocché si dice, che uno elefante era innamorato in Egitto d’una donna, che vendeva ghirlande. E accioc ché alcuno non pensi che ella volgarmente fosse amata, sappia, che Aristofane famosissimo gram matico ne fu anche egli innamorato. Un altro nello esercito di Tolomeo era innamorato di Menandro Siracusano nel principio della sua giovanezza, e quando non lo vedeva, stava senxa mangiare. Scrive Giuba anche egli, che una donna, che faceva profumi, fu amata da uno elefante. I segni dell’amor suo verso di lei erano, l'allegrezza, che egli avea, quando la vedeva, le incondite carezze, che le faceva, e che i danari, che il popolo gli dava, esso gli serbava, e poi glieli gettava in seno. E non è maraviglia, che abbiano amore quegli animali, che hanno me moria ; perciocché il medesimo Giuba dice, che uno elefante, il quale in giovanezza era stato guida degli altri, dopo molti anni nella sua vec chiaia fu riconosciuto da loro. Dice anco, che ha una certa divinazione di giustizia. Volendo il re Boeco far perire trenta elefanti, gG legò a certi pali, e mandò loro trenta altri elefanti che li assaltassero ; ma per quanto si tentasse di stimolarli, non potè mai venire a capo ch'essi si facessero ministri della sua crudeltà. Q cas»o l a
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v o lta si vinaio i i v u n .
6. I primi elefanti, ohe vedesse l 'Italia, VI. 6. Elephantos Italia primnm vidit Pyrrhi VI. regis bello, et boves Lucas appellavit, in Lucanis furon nella guerra di Pirro, e ehiamaronsi buoi visos, anno urbis quadringentesimo septuagesimo Luehi, perché erano stati vedati in Lucania
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HISTORIARUM MONDI UB. VOI.
secando : Roma anlem in triumpho, septem anni* ad superiorem nomernm additis. Eadem plarimos anno quingentesimo secundo, victoria L. Metelli pontificis in Sicilia de Poenis captos. Centum quadraginta duo fuere (aut ut quidam c x l ) transvecti ratibus, quas doliorum consertis ordi nibus imposuerat Verrius eos pugnasse in Circo, inlerfectosque jacnlis tradit penuria consilii : quo· niam ncque ali placuisset, neque donari regibus. L. Piso indoctos dumtaxat in Ciroum, atque ut contemptus eorum incresceret, ab operariis hastas praepilatas habentibus, per Circam totum actos. Nee quid deinde iisfaetum sit, auctores explicant, qai non palant interfectos.
P COMAE BOEOJI.
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quattrocento settsntadue anni dopo Ia edifica zione di Roma. Roma però li vide nel trionfo sette anni dopo. Molli piò ne vide nella vittoria di Ludo Metello pontefice, presi in Sicilia nella guerra contra i Cartaginesi. Essi furono cento quarantadue (o come vogliono alcuni, centoqua ranta), portati in Italia sa travi congiunte insie me, le quali erano sopra dogli legati per ordine. Scrive Verrio, eh* essi combatterono nel Circo msssimo, e che furon morti co’dardi per mancan za di consiglio, perchè nè piacqoe lor di tenergli, uè anco gli volsero donare ad alcun re. Lucio Pisone dice che solamente furono menati nd Cir co,e condotti intorno da’mercenarii armati d’aste, acciocché fossero meno stimati. Nè quel che fosse poi fatto di loro, dicono altrimenti gli autori, i quali tengono che non fossero ammattali. Loao
COHBATTIMERl.
VII. 7. Clara est unius e Romanis dimicatio VII. 7. Famosa fu la battaglia di un Romano adversas elephantem, qoam Hannibal captivos contra nno elefante, quando Annibale fece com nostros dimicare inter sese ooegisset. Namque battere tra loro i nostri prigioni. Perciocché unum qui supererat, objeeit elephanto : et ille, mise uno, che era restato vivo, a combattere con dimitti pactas, si interemisset, solas ia arena nno elefante, e gli promise di lasciarlo in liberti, congressus, magno Poenorum dolore, confecit. se rammassava : avendolo adunque affrontato Hannibal, quum famam ejus dimicationis oon- solo nell’arena, l’uccise, eon gran dolore degH temptum allaturam bdluis inteUigeret, equite· Àfrioani. Perchè Annibaie, parendogli che quel misit, qui abeuntem interficerent Proboscidem la battaglia avesse a torre riputasione agli ele eoram facillime amputari, Pyrrhi proeliorum fanti, mandò certi cavalli dietro al Romano, experimenti· patuit Romae pugnas·· Fenestella e feeelo ammassare. Nella guerra di Pirro si tradit primam omniam in Circo, Claudii Pulchri vide per esperienza, che la proboscide fadl·aedilitate curuli, M. Antonio, A. Postumio coss., mente si pnò tagliare. Scrive Fenestdla, che anno Urbis sexcentesimo quinquagesimo quinto. la prima volta, che combattessero a Roma fu Item post annos xx, Lucullorum aedilitate curuli nd Circo, essendo edile curale Claudio Pulcro, adversus tauros. Pompeji quoque altero consulatu, consoli M. Antonio e A. Postumio, seicento rindedicatione templi Veneris Victricis, pugnavere in quantacinque anni dopo la edificazion di Roma. Circo viginti, aut, ut qaidam tradunt, xvu. Gae E similmente venti anni dopo combatterono tulis ex adverso jaonlantihus, mirabili unius contra i tori nella edilità curule de’ LnculU. dimicatione, qui pedibus con (ossis repsit genibus E nel secondo consolato di Pompeo, nella dedi in catervas, abrepta scota jaciens in sublime, quae cazione del tempio di Venere Vincitrice, venti decidentia voluptati spectantibus erant in orbem di loro, o secondo alcuni diedsette, combat drcnaacta, velat arte, non furore belluae jaceterono nd Circo. Contra loro combatterono rentar. Magnum et ia altero miraculam fuit, ano nomini di Getulia, ove meravigliosa Ai la bat icta occiso. Pilam autem sub oculo adactam, ia taglia d’ uno defante, il quale avendo feriti vitaHi capitis v«nerat. Universi eruptionem tenta· i piedi, andò eon le ginocchia oontra la mol vere, non sine vexatione populi, circumdati titudine, o gittava in allo gli scudi, ehe toglieva dathris ferreis. Qua de causa Caesar dictator, loro; i qaali sendi tornando in già rotolando posteasimile speotaculom editurus, euripis arenam davano piacere a chi stava a vedere, come circumdedit : quo· Nero princeps sustulit, equiti non per furor della bestia, ma per ispesso da loca addens. Sed Pompejani amissa fugae spe, qualche uomo fossero stati gittati. Gran mara misericordiam vulgi inenarrabili habitv quaeren· viglia ancora fu in un altro, che mori d*un ooltes «applicavere, quadam sese lamentatione com po: perciocché l’asta gli entrò per l’oeehio, e plorantes : tanto populi dolore, ut oblitos I gli passò al cervello. Quivi tatti a un tratto cer carono d'osar fuori, non senza pericolo dd poimperatori·, ac munificentiae honori suo exqui sitae, Ben· universus consurgeret,, diraaque I polo, accerchiati da catone di ferro. Per questa
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C. P ittili SEGtJNDl
Pompejo,’ quas ille mox luit, imprecaretur. Pugnavere et Caesari dictatori tertio consolata ejus, viginti contra pedites quingentos : iterumque totidem turriti cum sexagenis propugnato· ri bus eodem, quo priores, numero peditum, et pari equitpm ex adverso dimicante : postea sin·, guli, principibns'Claudio et Neroni, iu consum matione gladiatorum.
Ipsius animalis tanta narratur clementia con tra minus validos, ut in grege pecudum occuren-. tia manu dimoveat, ne quod obterat imprudens: nec nisi lacessiti noceaut, ideoque gregatim semper ambulent, minime ex omnibus solivagi. Equitatu circumventi, infirmos aut fessos, vulneratosve, in medium agmen recipiunt: ac velut imperio ac ratione, per vices subeunt. Capti ce lerrime mitificantur hordei succo.
QOIBDS MODIS CAPIA1CTTJB.
V ili. 8. Capiuntur autem in India unum ex domitis agente, rectore: qui deprehensum, soli tarium, abactum ve a grege, verberet ferum : quo fatigato, transcendit in eum, nec secus ac priorem regit. Africa foveis capit, in quas deerrante aliquo, protinus ceteri congerunt ramos, moles devolvunt, aggeres construunt, omnique vi co nantur, extrabere. Antea domi laudi gratia, greges equitatu cogebant in convallem manu faciam, et longo tractu fallacem : cujus inclusos ripis fossisque, fame domabant. Argumentum erat ramus, homine pocrigente clementer acceptus. Nono dentium causa,pedes eorum jaculantur, alioquin mollissimos. Troglodytae contermini Aethiopiae, qui hoc solo venatu aluntur, arbores propioqaas itineri eorum conscendunt. Inde totius agminis novissimum speculati, extremas iu clunes desi liunt. Laeva apprehenditur cauda : pedes stipan tur in sinistro femine. Ita pendens alterum po plitem dextra caedit praeacuta bipenni : hoc
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cagioue Cesare dittatore, essendo poi per dare un simile spettacolo, circondò il teatro di fosse le quali poi Nerone imperadore fece levar via, per accrescer luogo all'ordine dei cavalieri. Ma gli elefanti di Pompeo, avendo penduta la spe ranza di poter fuggire, cercarono di muovere il popolo a compassione con atti che non si pos sono esprimere, quasi che con certo loro lamento si compiangessero ; e ciò con tanto dolore del popolo, che scordatosi dèlio imperadore, e della sua magnificenza, falla per onorargli, si rizzaron su tutti maledicendo Pompeo, e pregandogli ogni male,come dipoi gli avvenne. Combatterono anco per Cesare dittatore nel suo terzo consolato venti elefanti conlra cinquecento fanti ; e di nuovo altrettanti con torri che capivano sessanta difensori, contra cinquecento fanti e altrettanti cavalli. Dipoi al tempo di Claudio e di Nerone combatterono a un per uno, mancaudo i gla diatori. Dicesi che questo animale è tanto clemente verso quegli, che posson manco di lui, che in contrandosi in uu branco di pecore, le mette da parte con la proboscide,per non le calpestare non se ne accorgendo ; nè mai fanno male altrui se non provocali, e perciò vanno sempre in torma ; nè si truova animale,· che vada manco : solo. ■ Quando sono accerchiati dalla cavalleria, met tono gl* infermi e gli stracchi nel mezzo della · schiera ; e come per comandamento e per ragio ne nel combattere si scambiano I' un l ' altro. E presi cbe sono si domesticano tosto eoi sugo dell'orzo. C ome
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V ili. 6. Piglienti in India in questo modo. 1 cacciatori ne hanno un domestico, e trovan done de'salvatichi un solo, che sia discosto dagli altri, lo pigliano, e lo battono tanto, che lo straccano: così affaticatolo, vi salgon sopra, e dipoi lo cavalcano come il domestico, la Africa si pigliano con le fosse, nelle quali se alcuno cade, subito gli altri ragunano rami, e voltanvi altre cose da riempiere, facendo a guisa di argi ni, e mettonvi ogni loro sfòrzo pei* cavarlo fuori. Prima per domargli usavano di cacciarne i bran chi con la cavalleria in una valle fatta a mano, e per lungo tratto bllace ; e quivi rinchiuden dogli con argini e fossi, gli domavano eoa la fame. 11 segno, che fosse domo, era, quando ei pigliava domesticamente o ramo, o fronde, che. l'uomo gli porgeva. Ora, cercandogli per aver i denti, gli saettano ai piedi, i qoali son molto teneri. 1 Trogloditi vicini all'Etiopia, i quali vivono di questa sola cacciagione, salgono sugli
HISTORIARUM MUNDI L1B. VIII.
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crure tardato profugiens, alterius poplitis nervos Cerit, cuncta praeceleri pernicitate peragens. Aiii tutiore genere, sed magis fallaci, intentos ingentes arcus defigant humi longius. Hos praecipui ▼iribus juvenes continent: alii connixi pari conatu contendunt, ac praetereuntibus sagittarum vena bula infigunt, mox sanguinis vestigiis sequuntur. Elephantorum generis feminae multo pavidiores.
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alberi, onde hanno a passare ; e passati tulli appostano l'u ltim o che (Mesa, e se gli gettano in sulla groppa. Dipoi con la man manca gli piglia no la coda, e appoggiano i piedi nella sinistra coscia, e così penzoloni, con la man ritta gli fe riscono il garello con accetta tagliente. Rallen talo il corso di quella gamba, feriscono il gheretlo dell’altra, facendo lutto con grandissima prestez za. Altri usano più sicuro modo, ma più fallace. Hanno grandissimi archi filli in terra alquanto lontano. Parte da' giovani più gagliardi li ten gono : parie li tendono con non minore sforzo, e mentre essi passano gli trafiggono di spiedi, e seguono la traccia del ferito, andandone dietro al sangue. Fra gli elefanti le femmine souo molto paurose.
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IX. g. Domantor autem rabidi, fame et ver IX. 9. Domansi i rabidi con la fame, e eoa beribus, elephantis aliis admotis, qni tumultuan le busse, accostandovi degli altri elefanti, i quali tem catenis coerceant: el alias circa coitui maxime se alcuno infuria, lo stringono con le catene. efferantur, el stabula Indorum dentibus sternunt. Quando vanno in amore sono molto terribili, e Quapropter arcent eos coitu, feminarumque pe coi denti ruinano le stalle degli Indiani. Per cuaria separant, quae haud alio modo, quam la qual cosa gli partono dalle femmine, le quali armentorum, habent. Domiti militant, et turres essi tengono come le mandre degli altri ani armatorum in hostes ferunt, magnaque ex parte mali. Domali che sono, vanno in battaglia, e portano torri piene d'uomini armati contra i Orientis bella eonficiunt. Prosternasi acies, pro terant armatos. Jidem minimo suis stridore nemici, e così la maggior parie delle guerre di terrentur, valaeralique et territi retro semper Levante si fanno con questi animali. Essi rom pono le schiere, e calpestano i soldati : e d’altra cedant, haud minore partium suarum pernicie. Indicum Afri pavent, nec contueri audent : nam parte un minimo strido di porco gli spaventa, e quando sono feriti e spaventati danno sempre et major Indicis magnitudo est. addietro, con gran danno della parte loro. Gli Africani temono degli Indiani, nè ardiscon pur guardargli ; perciocché gl' Indiani son mollo maggiori. D b p ab to
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X. 10. Decem annis gestare in utero vulgus X. 10. Tiene il vulgo, che gli elefanti por tino dieci anni in corpo: Aristotele dice due existimat : Aristoteles biennio, nec amplius quam singulos : vivere ducenis annis, et quosdam tre- anni, e che non figlino più che uno per volla, oenis. Juventa eorum a sexagesimo incipit. Gau- e che vivono dngento anni, e alcuni trecento. dent amnibus maxime, et circa fluvios vagantur, La giovanezza loro comincia di sessanta anni. quum alioquin nare propter magnitudinem cor Dileltansi de' fiumi, e vanno intorno a quegli, poris non possint, lidem frigoris impatientes : ancora che per la grandezza e peso loro non possano nuotare. Patiscono molto freddo ; e que maximum hoc malum: inflationemque etproflusto è il maggior male, che hanno : patiscono vium alvi, nee alia morboram genera sentiunt ancora enfiagioni e flusso di corpo, nè sentono Olei potu tela, qaae corpori eorum inhaereant, decidere invenio : a sudore autem facilias adhae altra infermità. Bevendo olio, truovo ch'escono rescere. E t terram edisse hia tabificum est, nisi lor di corpo i ferri, che fossero rimasi nelle saepius mandant. Devorant autem et lapides. ferite, e se sudano, più vi rimangono. Fa lor male Truncos quidem gratissimo in cihalu babent. il mangiar la terra, se non la masticano bene. Inghiottiscono anco le pietre. 1 tronchi degli al Palmas excelsiores fronte prosternunt, ac ita jaberi sono loro gratissimo cibo. Maudano a terra oenlium absumunt fructum. Mandunt ore : spi-
C. PLINII SECUNDI
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rant et bibunt, odoranturque haud improprie appellata roana. Aniamliom maxime odere mu rem : et, sì pabulum in praesepio positam atliogi ab eo videre, fastidiant. Cruciatum in pota ma· ximumsentiunt hansta hirudine, quam sanguisugatn vulgo coepisse appellari adverto. Haec ubi in ipso animae canali se fixit, intolerando adficit dolore.
Durissimum dorso tergus, ventri molle, setarum nullum tegumentum: ne in cauda quidem praesidium abigendo taedio muscarum ( namque id et tanta vastitas sentit): aed cancellata culis, et iuvilans id genus animalium odora. Ergo quum extenli recepere examina, arctatis in rugas repente cancellis, comprehensas enecant. Hoc iis pro cauda, juba, villo est.
Dentibus ingens pretium, et deorum simula· eris lautissima ex iis materia. Invenit luxuria commendationem et aliam, expeliti in callo ma nas saporis, haud alia de causa, credo, quam quia ipsum ebur sibi mandere videtur. Magnitu do dentium videtur quidem in templis praecipua. Sed tamen in extremis Africae, qua confinis Ae thiopiae est, postium vicem in domiciliis praebere: sepesque in iis et pecorum stabulis, pro palis, elephantorum dentibus fieri, Polybius tradidit, auctore Gulussa regulo.
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con Ia fronte lepalne piè alte, e còsi poi ne mangiano i frutti. Mangiano con bocca, ma ali tano, e beono, e fintano con quella, che propria mente si chiama mano. Nessuno animale hanno più in odio, che il topo, talché se veggono la biada posta loro innanzi esser tocca da' topi, non la mangiano altrimenti. Grandissimo dolore sentono, se nel bere «'abbattono a inghiottir» qualche mignatta, che volgarmente s'appella sanguisuga. Questo animale se si ficca nel canale del fiato dà loro molta noia. Hanno durissimo il cuoio del dosso, ma della pancia tenero : non hanno alcuna setola, non che altrove, ma né anco nella coda, dove sono utili per cacciar le mosche (perché le senton pure questi corpi di sì vasta mole) : ma hanno la pelle quasi a cancelli per molte grinze, e in vitano quelFanimale col proprio odore. Però quando esse si pongon loro addosso, essi rannic chiano la pelle, e così ammazzano le mosche, stridendole fra quelle grinze. Questo serve loro in luogo di coda, di setole e di crini. I denti loro sono di gran pregio, nè v ' è più squisita materia che questa per farne le atatue degli dei. 11 lusso ha trovato anco un'altra ragion di pregio nel sapor che gusta nel callo delia pro boscide, e credo che ciò non proceda da altro, se non che paia loro mangiare avorio. La grandezza de' denti si vede per quegli, che spesso s'appiecano nei tempii. Ma noudimeao nell'estrema parte dell*Africa, dove confina con l'Etiopia servono in cambio d 'imposte nelle case. Fanno anco di questi denti, in cambio di pali, clausure alle case o alle stalle degli armenti, secondo che dice Polibio, il qnale allega a questo proposito Gulussa signorotto. D ove
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XI. i i . Elephantos fert Àfrica ultra Syrticas XI. ii. Gli elefanti nascono in Africa di là solitudines, et in Mauritania : ferunt Aethiopes et da' deserti delle Sirti, e in Mauritania. Nascono Troglodytae, ut dictum est : sed maximos India, ancora in Etiopia, e nel paese de' Trogloditi, bellantesque cura iis perpetua discordia dracones, come s 'è detto. Ma maggiori -di tutti gli produce tantae magnitudinis et ipsos, ut circumplexu l'india, dove ancora nascono dragoni inimicis facili ambiant, nexuque nodi praestringant. Com simi agli elefanti, i quali sono tanto lunghi, che moritur ea dimicatio : victutque corruens, com facilmente gli ricingono e strettamente gli anuo-N plexum elidit pondere. dano. In questa battaglia muoiono amendue, perciocché monendo l'elefante cade, e cadendo aramazza il dragone. Db
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XII. ia. Mira animalium pro se cuique sol XII.
fl ISTORI ARCM MONDI UB. V ili.
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^ •cn lalu , «ib cxeeiu m. arbore iojieit. Seti ili· imparett sibi locUtam contra nexu» : itaque ar* bonus ami ropiom attritam quaerit. Caveat hoc dracone», ob idque gratus primam adligant esoda. Resolvant iiii nodos mano. At hi in ipiti nares capat oaodunt, pasiterqae apiritam praedodoat, et aaollissima» laoeioftet parte· : iidem ebvii deprehensi, ia adversos erigant κ , oculosqoer a n im e peiunU Ita 6t ut plerumqae c m c ì , ac fame et aaoeroria tabe confecti reperiauLar. Quaaa qui· aliam taatae discordiae causam attulerit, niai .naturam, spectaculam sibi ao paria componeotem ? Est et alia diaùcationis hujus fama. Elephantis frigidissimam èsse sanguinem : ob id afesta torrente praecipue a draconibus expeti. Qaamohrem ia amaibas mersos insidiari bibeotiba»: aretatisque illigata manu in a arem joorsum defigere : quoniam ia taatum locas defendi noa possi t manu. Dracones esse tantos, at totam sanguinem capiant. Itaque elephaatos ab àia ebibi, sicc^tosque concidere : et dracones in ·· jbrialos opprimi, commorique.
Dii dhacohibds . XIII. >3. Generai eos et Aethiopia Indicis pares, Ticeoum cubitorum. Id modo mirum, uude cristatos Juba crediderit. Asschaei vocan tur Aethiopes, apud qaos maxime oascantur. Narrator ia maritimis eorum qualeraos quinosq o e , inter se cratium modo implexos, erectis capitibus velificantes ad meliora pabula Arabiae vehi floctibas. M osab auGRiTUDins
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XIV. 14. Megastheoes scribit, ia India ser pentes in tantam magnitadiaem adolescere, ut solidos haariant oervos taorosque. Metrodorus, circa Rhyndacom amnem in Ponto, ut eopervor lanies quamvis alto peraidterqae alites.hauslu raptas absorbeant. Nota est, in Punicis bellis ad flumen Bagradam a Regalo imperatore ballistis tormeotisqae, at oppidam aliquod, expugnata serpens cxx pedam longitudinis. Pellis ejus ma-
alletta, così egli spia, die viaggio ha da fare l’ elefante, quando va in pastura, e monta sa gli alberi : e quando ei viene, se gli avventa addosso. Conosce Γ elefante, che non può re si tere a1legami e aodi del dragone, però va per luoghi dorè lo possa strigoere, e così lo stropic cia e frega coatra gli alberi e i sassi. Intende questo il dragone, e però sabito s'ingegna di av vo lg ergli intorno alla coda. L'elefante cerca di sciorre questi nodi con la mano ; ma il dragone nasconde il capo fra le nari di esso, e così a uu tratto gli serra il fiato, e stracciagli quelle parti piò tenere, e più facili a rompersi. Spesse volte scontrandosi insieme, il dragone se gli erige incontro e se gli avventa agli occhi ; onde molti elefanti accecando si ritrovan poi morti di fame e di dolore. E ciò fa la natura per pigliarsi giuo co, creando due bestie sì grandi con tanta inimi cizia fra loro, e in ua certo modo gli accoppia, come s'appaiano i gladiatori, per pigliarne quel piacere. Dicesi ancora, che ci è ua’altra cagione di questa battaglia. Gli elefaati soa d| sangue freddissimo, e perciò son molto più assaliti, dai dragoni ne'più gran caldi. Però s'ascondono ne'fiumi sotto l'acqua, e quando gli elefanti veogono a bere, legano loro la mano, e gli mor dono entro agli orecchi, perchè questo sol luogo è dove gli elefaoti noa sì possoa toccar eoo ma no. E sono sì grandi certi dragoni, che seccano tatto il sangue a ano elefante, talché qaando egli n' è senza mina addosso all' inebriato dragoue, e così ameadae muoiono insieme.
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XIII. 1 3. L'Etiopia prodace dragoni uguali agl' Indiani, lunghi venti braccia· È da maravi gliarsi, come Giuba credesse, eh' egli, avesser la cresta. I popoli d 'Etiopia, dove questi nascono, fi chiamano Asachei. picesi, che in quelle riviere si trovano tre e quattro dragoni implicati insieme a modo di graticci, i quali col capo alto vanno cercando dove sono migliori pasture. S e&PEBTI PI S1KG0I.A& GftABPEZZA.
XIV. 14. Scrive Megastene, che in India sono sì grandi serpenti, che inghiottiscono an cervo, e an toro intero. E Metrodoro dice, che sai fiume Rindaco in Ponto inghiottiscono gli uccelli che vi volano sopra, benché in alto e velocemente. E' si sa per ognuno, come nelle guerre Cartagi nesi sul fiume Bagrada Regolo capitan generale de' Romani combattè con balestre, e simili altri stramenti da lanciare, come se avesse avato a
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c. PUNII SECONDI
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xillaeque usqae ad bellum Numantinum d on vere Romae ia templo. Faciant his fidem in Ita li· appellai «e boae, in tantam amplitudinem m a a te i, ut divo Claudio principe, occisae in Vaticano solidus in alvo spectatus Mt infan·. Aluntur primo imbuii lactis sacco, unde nomea traxere. Ceterorum animalium quae modo con vecta uudique, Italiam oontigere saepius, formas nihil attinet eorupulose referre.
combattere una città, ob serpente lungo eentoveoti piedi, e finalmente l'uccise. La peHe d'easo, e le mascelle stettero a Roma io un tempio fino alla guerra di Numantia. Fanne» fede di ciò che qui si dice, certe serpi, che in Italia son chiamate boe, le quali vengono m tanta grandetta, che al tempo di Claudio imperadore ne fm auorta una sul monte Vaticano, nel cui ventre si trovò un fanciullo intero. Nodrisconsi prima dì latte di vacca, e di qui hanno preso il nome. Delle forme degli altri animali, i qnali tolto dì vengotf portati in Italia da ogni parte, non occorro molto minutamente parlar».
D b sctTHicis aitiu a lib os : de bisontibus.
D s g l i anim ali d i ScniA : m ' b iso n ti.
XV7. i 5. Pochissimi animali naseono in Schia, XV. i 5. Paucissima Scythia gignit, inopia per la carestia, che v’ è de' fratti : pochi ne nafruticum : pauca contermina illi Germania : in signia tamen boum ferorum genera, jubatos sooao ancora in Lamagoa, la quale oonfina con bisontes, excellentique vi et velocitate uros, la Scitia. Pure vi sono notabili generationi di quibus imperitum vulgus bubalorum nomen buoi saivalichi, detti bisonti, i quali hanno i vdli imponit, qaum id gignat Africa, vituli potius come i lioni, e altri detti uri di forza e velocità maravigliosa, li quali il volgo ignorante chiama gervique quadam similitudine. bufoli ; perciocché questi nascono in Africa, e somigliano piuttosto i vitelli e i cervi. p E IKrriMTBIOIIAUBCS : ALCB, ACHLI, BONASO.
D i QUBLL1 DBL SBTTBNTBIOHB : DELI.' ALCS, K U , BONASO.
Nascono in settentrione le mandre dei XVI. Septerotrio fert et equorum greges fe XVI. rorum, sicut asinorum Asia et Africa : praeterea cavalli salvatichi, siccome in Asia e in Africa de alcem, ni proceritas aurium et cervicis distin gli asini: nasoevi ancora uno animale, che si guat, jumento similem. Item natam in Scandina chiama alce, simile a un cavallo, se non avesse il via insui·, nec umquam visam in hac urbe, multis collo e gli orecchi assai più lunghi. Nell* isola di Scandinavia ancora è una bestia, che si chiama tamen narratam, achlin, haud dissimilem illi, sed nullo suffraginum flexu : ideoque uon cuban acli, non mai veduta in Italia, ma disegnata da tem, sed acclinem arbori in somno, eaque incisa molti, la quale è simile alla detta di sopra, se non •d insidias, capi, alias velocitatis memoratae. che non si può punto piegar nelle gambe; e perciò Labrum ei superius praegrande : ob id retrogra quando dorme non giace, ma s* appoggia a uno ditur in pascendo, ne in priora tendens involva albero. Chi la vuol dunqoe pigliare, sega l ' albero tur. Tradunt m Paeonia feram, quae bonasus tanto, che ogni poco di peso Io possa far cadere ; vocetur, equina juba, cetera tauro similem, cor altrimenti non si può pigliare perchè è d 'increnibus ita in se flexis, ut non sint utilia pugnae : dibìl velocità. Ha il labbro di sopra molto gran quapropter fuga sibi auxiliari, reddentem in ea de, e per questo non pasce se non allo indietro, fimum, interdum et trium jugerum longitudi perchè andando innanti si verrebbe a ricoprir ne : cujus contactus sequentes ut ignis aliquis la bocca, nè potrebbe mangiare. Dioesi che in amburat. Peonia nasce una bestia, chiamata bonaso, con crini di cavallo, e in ogoi altra cosa simile al toro; ma ha le corna in modo ripiegate l’ uoo inverso l ' altro, eh» non può eottare t però non ha altro scampo che il faggi re, · fuggendo spesso getta stereo per ispatio di tre iageri, il quale sterro arde dove tocca siccome ei fosse fuoco.
HISTORIARUM MUNDI LIB. VIII. D
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D a' LBOHI : GOMB S* IHGBBBaiHO.
XVII. Mirum perdoi, pantheras, leones el XVII. È cos· maravigliosa, che i pardi, le ifanilia, condito in oorporis vaginas unguiom pentere, i lioni, e simili, quando camminano ri mucrone, ne refringatur hebeteturve, ingredi : tirano gli unghioni dentro al dito, come in una aversisque falculis carrtn , oec nisi appetendo guaina, acciocché la punta d1 essi non si rompa, protendere. o non ingrossi. Corrono adunque con 1' unghie volte indietro, nè le distendono, se non quando vogiion far preda. j 6. Leoni praedpna generosità!, tone qornn 16. Grande e sua propria è la generosità del -colla armosqae vestiunt jubae. Id enim aetate lione, quando i velli gli cuoprono il collo e le contingit leone concepii·. Quos vero pardi gene spalle. E dò avviene nella debita età · quegli, che ravere, semper insigni hoc oarent : simili modo sono generati di lione. Ma quei che nascono di fc a in e . Magna ii· libido coitus, et ob hoc ma pardi, mancano sempre di questo ornamento, e ribus tra. Africa haee maxime spectat» inopia similmente le femmine. In queste è gran lussuri·, aquarum ad paucos amnes congregantium· se « perniò viene grand· ha a1 maschi. Qoesto si vede malto in Afrioa, dove le fiere per carestia feris. Ideo multiformes ibi animalium partus: ▼arie fcmiois cujusque generis mares «at vi aut d 'acqae si raunsno · pochi fiami. Perdò quiti voluptate miscent·. Unde etiam vulgare Graeciae si producano molte e strane forme d’animali, me dictum : «Semper aliquid novi Africam afferre.» scolandosi i maschi, o per forza o per amore eoa Odore pardi coitum sentit in adultera leo, lota- le femmine di diversa sorte. Onde a* è nalò quel que vi caosurgil in poenam. Idcirco ea culpa volger motto della Grecia, a ehe l’Afrie· manda flamine abluitur, aut longius comitatur. Semel sempre qualche cesa di nuovo, * Il lione s’ ac autem edi partum, lacerato unguium ade utero corge per l ' odore d d pardo é d l ’ adulterio ddla in enisu, valgum credidisse video. Aristoteles lionesse, e perciò con tutte le fone le va iaesa· diversa Iradit, vir, quem in iis magna secuturus tra per vendicarsene. Per questo la lionessa dopo ex parte, praefandum reor. Alexandro Magno che ha errato, o che si lava in un fiume, o si rege inflammato cupidine animalium naturas discosta. Egli è opinion del volgo, eh* ella figli noscendi, delegalaque bao commentatione Ari solo uns volta, avendole Tugna de11figliuoli slracstoteli, summo in omni doctrina viro, aliquot dato il ventre nel parto.. Aristotele è di diverso millia hominum in totius Asiae Graeciaeque pareset il quale in queste cose intendo di seguire traetu parere jussa, omasum quos venatas, aucu In gran parte a preferenaa d1 ogni altro. Perchè pia, piscutasque alebant : qnibusqoe vivaria, essendo Alessandro Magno acceso di desiderio di armenta, alvearia, pisdnae, aviaria in eum erant, conoscere la natura degli animali, a avendo data ne quid usquam genitum ignoraretur ab eo : di ciò la cura ad Aristotele,uomo siogolare in ogni quos pereunclando, quinquaginta ferme volu d ottrin atile che alquante migliai· di uomini per mina illa praeclara de animalibus condidit : quae tatto il paese dell'Asia a ddla Grecia ubbidissero a me collecta in arctum, cum iis qoae ignorave •'suoi oomandamenti, cioè tutti quei, che viveano di cacdagioni, ueodlagtoni e pescagioni, e tutti rat, quaeso ut legentes boni consulant, in univeru» renun naturae operibus, medioque duris quei,che avevano vivai,armeali,alveari, peschiere, simi regum omnium desiderio, cura nostra bre e luoghi da tenere uccelli; acciocché agliai potesse viter peregrina·tes. 1« ergo tradit leaenam primo informare d'ogni cosa : onde esso domandando fetu parere quinque catulos, ae per aanos singu ne ognuno, scrisse que* bdlissimi quasi cinquanta los uno minus: ab uno sterilescere. Informes libri degli animali, i quali raccolti da me in ri misùmasque carnes magnitudine mustelarum esse stretto, e insieme con essi quelle cose ch'egli initio, semestres vix ingredi posse, nec nisi bime non seppe, prego coloro che leggono, che le piglino in buona parte, scorrendo brevemente stres moveri. Ia Europa autem iater Aaheloum con 1* aiuto nostro per tulle le opere dell· natu tantum Neslumque amnes leooes esse : sed longe ra, e per lo mesto del desiderio del più famoso viribns praestanliores iis, quos Africa «at Syri· re dd mondo. Questi dice dunque, die la liones· gignant. sa la prima volt· partorisce dnque lionciai, e ad ogni figliatura un manco, infino a che parto risce on solo, e dipoi diviene sterile. E dice che da principio sono come piccola carne senza for ma, di grandeaxa quanto nn· donnola, a che in
G. PLINII SECONDI
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sei mesi appena possono andare, e non si m uo vono se non di due mesi. Dice ehe in E uropa sono lioni solamente fra il fiume Acheloo e il Ne»lo, ma che sono pià forti di qaerti quei* ch e nascono in Africa o in Siri·. Q
c a b g b r e ia e o e u m .
XVIII. Leonum duo gener· : compactile breve, crispioribus jubis. Hos pavidiores esse, quam longos simplicique villo : eos contempto res valueram. Urinam mares crure sublato red dere, ut canes, gravem odore, nec minus hali tum: raros in potu: vesci alternis diebus: a «aleniate interim triduo cibis carere. Quae pos sint, in mandendo solida devorare : nec capiente aviditatem alvo, conjectis in fauces unguibus «strabere, ut, si fugiendum in satietate, abeant. Vitam iis longam docet argumento, quod plerique dentibus defecti reperiantur. Polybius Aemiliani comes, in senecta lioraiaem appeti ab iis refert, quoniam ad persequendas feras vires non •eperaut. Tunc obsidere Africae urbes: eaque de causa crucifixos vidisse se cum Scipione, quia «eteri meta poenae similis absterrerentur eadem noxa.
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et XVIII . V’ ha due sorta di lioni : i corti e rac colti con più crespa chioma son più paurosi che i non lunghi e di vello disteso, i qoali non temono punto le ferite. 1 mischi, quando orinano, a k fe a · la gamba, come il cane : hanno cattivo odore e cattivo alito ancora: beono di rado, mangiane de* due dì l'uno, e quando sou ben satolli, «Unoo tre dì senza mangiare. Nel masticare inghiottisco·» no quelle cose, che possono intere, le qual* ao non capiscono nello stomaco, cacciandosi Γ ugne nella gola le cavan fuori, acciooche avendosi a fuggire, non ne li tardi la sazietà. Che quésti animali abbiano vita lunga, è segno il trovarsene molti, che non hanno denti. Polibio compagno di Scipione Emiliano scrive, che quando e' son vecchi, assaltano l'uomo, perchè uon hanno fona da,perseguitar le fiere. Allora essi assediano le città delPAfrica, e per questo dice ch'egli e Sci pione ne videro crocifissi, acciocché gli altri s’ impaurissero per lai gastigo. Q
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XIX. Solo il lione Tra tutte le fiere è miseriXIX. Leoni tantum ex feris clementia in sup plices : prostratis parcit : et ubi saevit, in viro· oordioso inverso chi Io prega : non offende chi ss potius, quam in feminas fremit, iu infantes non gella in terra; e quando egli usa crudeltà, assalta nisi magna fame. Credit Libya intellectum per piuttosto gli uomini, che le donne, e non tocca i venire ad eos precum. Captivam certe Gaetuliae bambini, se non quando egli ha gran fame. Crereducem audivi, multorum in silvis impetum a desi già in Libia che questi animali intendano i prieghi. lo udii dire a una serva, la quale era se mitigatum alloquio, ausam dicere se feminam, fuggita in Getulia, e fu ricondotta a Roma, ehe profugam, infirmam,supplicem animalis omnium generosissimi, ceterisque imperitantis» indignam essendo ella nelle selve avea campala la furia di ejns> gloria praedam. Varia circa hoc opinio, ex molti lioni, perchè s’era assicurata a dir loro, che ingenio cujusque, vel casu, mulceri alloquiis fe non era cosa degna, che una femmina fuggitiva, ras : quippe quum etiam serpentes extrahi cantn, inferma e miserabile fosse preda del più generoso oogique in poenam, veram falsumne sit, vita non animale, e signore dì tutti gli altri. Varie sono le decreverit. opinioni circa il mitigar le fiere col favellare, e ciascuno ne giudica come Γ ingegno gli detta, o il caso gli porge ; perocché gli nomini non si sono ancora eonvinti se sia vero o falso, ehe anco i serpenti col canto si traggau dietro e si faodano scoppiare. Leonumanimi index cauda, sicut et equo La coda è segno dell1animo del lione, come gli orecchi mostrano Γ animo del cavallo. Per rum anres. Namque et has notas generosissimo cuique natura tribuit Immola ergo placidos, ciocché la natura ha dato tali segni a questi ani clemens, blaadientiqoe similis, quod raram est : mali generosi. Quando dunque non muove la crebrior enim iracundia. Ejus in principio, terra coda, dimostra il lione esser piacevole e clemente, verberatur : incremento, terga, «eu quodam in- e come se accarezzasse ; il che avvien di rado,
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ci la mento, flagellantur. Vis somma in pectore. E x omni valuere, «ive angue impresso, sive dente, «ter profloit sanguis, lidem saltali, innoxii sant. Generositas ia pericoli! maxime deprehen ditor : noa in illo tantummodo, qnod spernent tela dia se terrore solo tee tur, ae velo! eogi testator: coorilorqoe non tamquam pericolo coactos, sed tamquam amentiae iratas. Illa nobi lior animi signifioatio : quamlibet magna canam e l veoantiom ergente vi, contemplilo restitanaqoe cedit in campis, et obi spectari potest : idem abi virgulla silvasqne penetravit, acerrimo cursa iertnr, velat abscondente torpitadinem loco. Dam sequitur, insilit salta qao in faga non uti tor. Vulneratae observatione mira percussorem novit, et ia qaantalibet moltitudine appeti L Eam vero qai telam qaidem miserit, sed tamen non vulneraverit, correptum rotatomqoe sternit, nec vulnerat. Quum pro catulis feta dimicat, oculorum aciem traditor defigere in terram, ne venabula expavescat. Cetero dolis carent et sa· spicione : nec limis intoentur oculis, adspicique simili modo nolani. Creditum est, a moriente hamam morderi, lacrimamqae leto dari. Atqoe hoe tale, tam saevam animal, rotaram orbe· circumacti, currusque inanes, et gallinaceorum cristae, cantosque etiam magis terrent, sed ma xime ignes. Aegriladinem fastidii tantam sentit, in qaa medetor ei contumelia, in rabiem agente ad nexarum lascivia simiarum. Gastalua deinde HOgnis in remedio est.
Qois ramos l b o r t o m a c h ia *
R o m a s , q u is p l c x i k o s
Μ BA LEONES DORAVEBIT.
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perciocché per lo pi& egli è adirato. Da principia dell1 ira comincia a battere là terra con la coda ; dipoi crescendo Γ ira, si batte la schiena con essi, come per piè irritarsi. Egli ha gran forca nel petto. D’ ogni ferita, che egli fa o con l’ugns, o col dente ne esce il sangue nero. Qaando è sa tollo non fa mal verano. La generosità di lai si conosce molto ne' pericoli ; non pure in questo solo, che sprezzando lotte l'armi, con lo spavento solo si difende e pare che protesti d'esser costret to a nuocere per forza : e dà nelle furie non tanto perchè è tratto in pericolo, quanto perchè sdegna l ' insania di ehi lo provoca. Gran segno del suo animo generoso è anco, che sforzandolo a ritirarsi quanto si voglia gran numero di cani e cacciatori, come sprezzando e rattenendoai si ri tira ne'campi,e dove paò esser vedalo: me poi che egli s'è ritiralo fra sterpi e boschi si mette a tatto corso, come se il laogo ricoprisse la soa vergogna» Però qaando segoe altri, va saltando, il che non la fuggendo. Qaando eg|i λ ferito, con meravigliosa osservazione appoata chi lo feri, e per gran nume ro ohe vi sia, va ad assalirlo. E colai, che gli ha lanciato, e non Γ ha ferito, se lo raggiogne, lo pi glia, e getta per la terra, ma noi fcrisw. Qaando la lionessa, che ha figliato, combatte per li suoi lioncini, dicesi che ella ferma gli occhi in terra, acciocché gli spiedi non le mettano paura. Del re sto, qoesti animali oon hanno malizia, nè inganni: non guardano altrui per traverso, nè per simil modo vogliono esser goardarti.' Dicono alcani die il lione morendo morde la terra e piagne. E qae sto tale, e cori terribile animale, lo spaventano gli strepiti ddle ruote girate, i carri vuoti correnti, le creste de' galli, e molto più il canto; ma sopra tutto il fuoco. Sente solamente la malattia del fastidio dello stomaco, la qoale ei medica veggendo la lascivia delle seimie congiunte insieme; perchè quella stranezza lo rivolge in rabbia. Guarisce poi beendo il sangoe. C hi f o ir. p a in o c h b desse
a
R oma c o v b a t t i x b b t o
DI LIONI, B CHI BB POSE Più A COMBATTEBB.
Q. Scavola figlinolo di Pablio, essendo XX. Leonum simul plarium pugnam Romae XX. princeps dedit Q. Scaevola P. filius in curuli edile corale, fu il primo che in Roma facease aedilitate. Centum autem jubatorum primas combattere insieme più lioni. Ma Lado Siila, che poi fo dittatore, fu il primo nella sua pretara, omnium L. Sulla, qui postea dictator fuit, in praetura. Post eam Pompejos Magnas in Circo che fece spettacolo di cento lioni criniti. Dopo lui oc ; in iis jubatorum cccxv : Caesar dictator cccc. Pompeo Magno ne presentò seicento nd Circo, fra i qaali ne erano trecento quindid criniti. Cesare dittatore quattrocento. M ib a b illa n i X.BOVOM fac tis»
F ato
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ium A viouoei.
XXI. Capere eos, ardui erat quondam operis, XXI. Eragià gran fatica il pigliargli,e massima/oveisque maxime. Principatu Clan i> casus ra- mente con le fosse. Ma nell* imperio d i Cl— dio,
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ii enem docuit, pudendam paene talis lerae no mine* pastori» Gaetuli «ago contra ingruentia impetam objecto : quod spectaculum in arenam protipos translatum est, vix credibili modo torpesoente tanta illa feritate, quamvis levi iojecta operto capite, ita at devinciatur non repugnans : videlicet omnis vis constat in ocai i*. Qoo minos mirnm sit, a Lysimacho Alexandri jussu simnl incluso strangulatum leonem.
Jugo subdidit eos, primosqae Romae ad cur vum janxit N, Antonina, et qoidem civili bello, quum dimicatam esset in Pbarsalkis campis, non «tee qoodam «stanto temporom, generosos spiri tu» jngiim subire illo prodigio significante : nam qaod ita vectas est cam mima Cytheride, sapra m o n s tr a «Uam illarum calamitatum fuit. Primaa aalem hominum leonem mana tractare ausos, et ostendere mansuefactum, Hanno e clarissimis Poenorum traditur : daaaaatusque illo argnmenlo, quoniam nihil «on persoaiara· vir tam arti ficis ingenii videbatar : e i mele credi libertas ei, «ai io tantam cessisset etiam feritas.
Sunt vero et CorInita eerum quoque demeo· tiae exempla. Mentor Syracusanos io Syria leone obvio suppliciter votniante, attonitos pavore, Ifoom refugienti nndiqae fera oppooeret sese, et vestigia lamberet adulanti similis, animadvertit ia pede ejaa tumorem vulnusqne, et extracto sarculo liberavit crociata. Pictura casam hanc teetatar Syracusis. Simili modo Elpis Samios na» lione, in Africam delatas nave, juxta litus conspeoto leone hiata minaci, arborem fuga petit, Libero patre invocato : qaoniam tam praecipnus votorum locas e»t, quum spei nnllus est. Neqne profugienti, quum potuisset, fera institerat : et procumbens ad arborem, hiatu, quo terruerat, miserationem quaerebat. Os morso avidiore in haeserat dentibus, crudabatqae inedia, tora poena io ipsis ejaa teli·, suspectantem, ac velat mulis precibas orantem: dum fortuita fidens •on est contra fera», malto dialia» miraculo, qoam meta, cessatam est. Degressas tandem evel lit praebenti, et qoam maxime apua esset, ac commodanti. Tradantqae qaamdia navis ea in litore steterit, retulisse gratiam venatus aggeren do. Qua de aanea Libero patri tamplnm in Samo Elpis sacravit, qaod ab eo facto Graeci mrritfof Ltméveu appellavere* Miremur postea vestigia hnminnm iotelligi * feris» qnom eliam auxilia ab
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il caso mostrò il modo, quasi da vergognarsene per lo noma di lai fiera : e ciò fa, che essendo assaltato un pastore di Getolia da un lione, gli gittò io capo il soo mantello, il qoale spettaeolo fa subito trasferito nel teatro. E appena « da credere, quanto tal bestia invilisca con tanta soa fierezza, solo per esserle così coperto il capo, in modo che egli è legato scoia contrasto : e ciò perchè tutta la sua potenza consiste negli occhi. Onde non è gran maraviglia, che Lisimaco per comandamento d* Alessandro rinchiuso eon oo lione lo strangolasse. Maroo Antonio fu il pruno, ebe io Roma gU miee sotto il giogo, e gli congiunse al carro, e ciò nella guerra civilo, qqando sife'giornata nella campagna di Fersalia, non sento certo pronostico delTavvenire, signi Beando quel prodigio, che· apiriti generosi avevano a ir sotto il giogo : percioc ché fa cosa pià mostruosa che non le altre cala mità d'allora, che egli si facesse tradurre in qoel modo io compagnia d'una femmiuacda,che fa Ci· teride ietrioua. 11 primo uomo, che avesse ardire di maneggiare on lione con la meno, e mostrarlo dimesticato, dicesi che fa Annone nobil Carta· ginese; il quale perciò fa coodannato, essendo per questo riputato uomo di lauto artificio e ingegno, ohe avrebbe potato persoadere tatto quello che voleva: e «he male si poteva fidare la libertà a o*loi, a cui di taqlo cedesse anco la stessa fierezza. Sono ancora molli esempi! della demenza loro, ma venuti a caso. Mentore Siracusano io Siria, essendosi incontrato in un lione, il quale umilmente se gli aggirava intorno, sbigottito per la paura, ai diede a fuggire. La fiera per tutto se gii faceva incontro per ferma rio,e in alto di lusin garlo gli leccava i piedi, parendo che lo volesse pregare. Onde egli guardandolo s'accorse, che il lione aveva uno enfialo e una piags nel piede, e cavandone uno stecco, che v’era dentro, lo liberò dal dolore. Questo caso è attestato da un dipinto in Siracusa. In simil modo Elpi da Samo, essendo capitato in Africa, veduto presso alla riva un lio ne con la bocca aperta, fuggi sopra uno albero, raccomandandosi al dio Bacco ; perchè soprattat to allora si sogliono fare i voti, qaaodo non c' è speranza alcuna di salute. Ne perciò la fiera ave va fatto resistenza a costai, che fuggiva, benché avesse potuto, ma gittandosi a piè dell* albero, con quella bocoa aperta, con la quale Γ aveva spaventato, cercava misericordia. E ciò perchè uno osso per troppa ingordigia se egli era fitto tra i denti ; onde e per l1 inedia, e per la peoa che temeva dalle armi di lui, se ne stava in gran tristezza, guardando pur in alto, e come con mula favella pregandolo. Ei non s’affidava già φ avventurarsi contro la fiera, nondimeno ai
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noo Mimili ara ip em t T Cor enira noa id «li·
tenne quieto cosi alla lunga piuttosto per molta sere ?aut onde nediiwi manus hominis sdnnt? maraviglia, che per paura. Finalmente scendendo nisi forte vis malorum etiam feras omnia experiri giù dell'albero, gli trasse quell’osso di Locca,acco cogit. modandosi il lione adopera, quanto più possihil fosse. E dicono,che per quanto quel navilio stette alla riva, esso gliene rese merito, portandogli tut tavia delle sue caodagtoui. Per la qual cosa Elpi consacrò un tempio in Samo a Bacco, il quale da qoello atto 1 Greci lo chiamarono tempio di Bac co salvatore. Ci maraviglieremo poi, che le fiere conoscano le veatigie degli nomini, dappoiché sperano ancora aiuto da loro? E perchè non andarono esse a trovare altri animali ? o d’oude sanno elleno, che le mani degli uomini possano medicare? se già forse la forza del male non eostrigne anco le fiere a provare ogni cosa. 17. Aeque memorandam el de panther* tra >7. Demetrio fisico scrive una simil cosa no· labile di una pantera, la quale stando a giacere dii Demetrias- physicus, jacentem in media t!» bominis desiderio, repente apparai**» patri cu- nel mezxo della via per desiderio, che dia aveva jusdam Phitini, assectatoris sapientiae : illam pa di trovare uno uomo, subito comparve quivi il vore coepisse regredi, feram vero circumvolutari padre di un certo Filino filosofo, il quale per non dubie blandientem, seseqae conflictantem paura cominciò a voler tornare iudietro, e la fiera moerore, qoi etiam in panthera intelligi posset. aggirarsegli io torno, siccome quella, che senza Feta erat, catulis procul in foveam delapsis. Pri alcun dubbio Γ accarezzava, e gli mostrava come mam ergo, miserationis fuit noa expavescere: il dolore Paccorava: il qual dolore ancora si proximam, el caram intendere : secnlasqae, qaa può conoscere nella paniera. Questa aveva di trahebat vestem uogaium levi injecta, at causam già figliato, e i calellini suoi discosto di quivi l’ erano caduti in una fossa. La prima cosa adun doloris intellexit, simalque salatis saae merce dera, exemit eatalos : eaqae com iis proseqtieate, que notabile della compassione fu non aver paura, I* altra cercare di volerla aiutare : e così usque extra solitudine· dedaelos, lie ti atqoe avendola seguitata dove ella lo tirava per la vesta, gestienle : at faeile appareret gratiam referre, et nihil invicem imputare : qaod etiam In homine destramente toccandola essa con l'ugna, sì tosto die egli ebbe intesa la cagione del sao dolore, e raram esi. insieme il premi· ddla sua salate, così le cavò i calellini della fossa. Ella con essi lo seguitò insino a che egli fu fuora ddla foresta, tutta lieta, e fa cendogli molta festa : in modo che facilmente si vedeva, come ella lo ringraziava del beneficio, non gli parendo di aver fatto Aulii per lui, anco ra che ella gli avesse fatto compagnia ; il che è anco raro nell' uomo. A. D U O O tt
AORITCS BT SBKVATVS.
D1 oso
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XXII. Haec fidem et Democrito afferant, qai XXII. Questa cosa ancora fa dar fede a De T boantem in Arcadia serratum a dracone narrai. mocrito, il quale racconta, come in Arcadia ToNutrierat eam puer dilectum admodum t pavens- ante fu salvalo da un dragone. Costui essendo qoc serpentis nataram, et magnitudinem me fanciullo se lo «veva allevato, e postogli grande amore: dipoi quando e* fu cresciuto, avendo pau tuens, in «olitudines tulerat, in quibus eiroumveato latrenum insidiis, agnitoque voce, sub ra della natura sua, e temendo anco la grandezza venit. Nam quae de infantibus ferarum, lacte di esso dragone, Pavea portato in on deserto,dove nutritis, quum essent expositi, produntor, sicut essendo assaltato dagli assassini, e conosciuto «Ila de conditoribus nostris a lupa, magnitudini fa voce, fu difeso dal dragone. Perdocchè quelle torum accepta ferri aequius, quam ferarum cose, ehe si dicono de* fanciulli nodriti dal latte delle fiere, essendo stati lasdati nelle selve, come neturae arbitror. si dice de* nostri edificatori di Roma da una lupa,
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credo piuttosto che sieno da attribuirsi alla gran dezza de'fati, che alla natura delle fiere. D b L U PAtfTERK.
D b fa h t h b r is .
XXIII. Panthera et ligris macularum varie XXIII. La pantera e la tigre quasi sole fra le tale prope solae bestiarum «pectantur : ceteris bestie hanno m ie li di macchie e di colori, dove gli altri animali hanno nn color solo, e proprio unos ac suus cujusque generis color est. Leonum tantam in Syria niger. Pantheris in candido bre> di ciascon genere. I lioni in Siria sono solamente ves macularam oculi. Ferunt odore earum mire neri. Le pantere nel bianco sono indanaiaie di nero. Dicesi, che tutti gli animali da quattro sollicitari quadrupedes cuncta», sed capitis tor piedi maravigliosamente si dilettano dell’ odor vitate terreri. Quamobrem occultato eo, reliqua d'esse, ma si spaventano per la terribilità del dulcedine invitatas corripiunt. Snot qui tradant capo. Per la qaal cosa esse ii nascondono, e così in armo iis similem lunae esse maculam, crescen piglian le bestie, invitate dal piacere che senlon tem in orbes, et cavantem pari modo cornua. di esse. Sono alcuni che dicono, che questo ani· Nunc varias, et pardos qui mares sant, appellant male ba nella spalla una macchia simile alla luna, in eo omni genere, creberrimo in Africa Syriaqoe. Quidam ab iis pantheras candore solo di U quale cresce e scema come fa la luua. Le varie si chiamano pardi, che sono ì maschi in tutto scernunt : uec adbuc aliam differentiam inveni. quel genere, di cui molti ne sono in Africa e in Siria. Certi da questi distinguouo le pantere sola mente per il colore, nè insino ad ora ci ho trovala altra differenza. S r iu t u s c o k s u l t u m e t le g b s d b A p b i c a b is .
ramos
Qois
R o m a b A f b ic a h a s : q c is p l u r i m a s .
S bh atocovsulto b lb o g i so pba l b pa r t b b b CAHB.
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AF B I·
FO IL PRIMO A TRADURRE A RoMA : CHI
BB TRADUSSE PIÒ.
XXIV. Senalosoonsultum fuit vetns, u ne li ceret Africanas in Italiam advehere, l ó n t r a hoc tnlit ad populum Cn. Aufidius tribuno*' plebis, permisitqne Circensium gratia importare. Primus autem Scaurus aedilitate sua varias centum quin quaginta universas misit : dein Pompejus Magnos quadriogenlas decem : divus Angustiis quadrin gentas viginti.
XXIV. Ci fa già ana ordinaaione antica det senato, a phele pantere Africane non si po lesero condurre in Italia. » Contra a questa rapportò »1 popolo Gneo Aufidio tribuno della plebe, e con cesse che se ne potesse portare per ii giuochi Circensi. Il primo fu Scauro nella sua edilità, che ne mise centocinquanta tutte varie: dipoi Pompeo Magno quattrocènto dieci: il divo Augusto quat trocento venti.
D b t ig r ib u s . Q u a b d o peimum R om ae v isa t ig b is .
D b l l e t i g r i . Q c a s d o l a p r im a VOLTA SE KB VIDE
D b r a t u r a babum .
RO a R o m a . D e l l a n a t u r a l o r o .
XXV. Idem Q. Tuberone, Fabio Maximo coss. iv nonas Majas, tbeatri Marcelli dedica tione, tigrin primus omnium Romae ostedit in cavea mansuefactum : divus vero Claudius simol quatpor. 18. Tigrìn. Hircani et Indi ferunt animal ve locitatis tremendae, et maxime cognitae, dum capitur totas ejas fetus, qui semper numerosus est. Ab insidiente rapitur, eqno quam maxime pernici, atque in recentes sabinde transfertur. At ohi vacuam cubile reptrit feta ( maribus enim cora non est sobolis ), fertur praeceps, odore ve stigant. Raptor adpropinquaute fremitu, abjicit unum e catulis. Tollit illa moria, et pondere
XXV. Il medesimo, essendo consoli Quinto Toberone e Fabio Massimo, a'quattro di Mag gio, nella dedicazione de! teatro di Marcello, fu il primo, che mostrò in Roma una tigre dome sticata in uoa gabbia : e il divo Clandio ne mostrò quattro insieme. 18. La tigre nasce in Ircania e in Italia, ani male-di tremenda velocità, e molto conosciuta, quando le si tolgono I parli, che sempre son numerosi. 11 rapitore se ne fugge sopra un caval lo, che corre forte, é tuttavia monta sopra un più fresco.Ora, quando la madre Iruova il covìl vuoto (perciocché i maschi non haono cura dei figliuoli) si mette a correre con la maggior cara, che può, cercandogli al fiuto. Colui, che gli ha rapili,
HISTORIARUM MUNDI LIB. VIII. etiam ocior «cla remea», ilerumque consequitor, «c subinde : doneo in navim regresso irrita feri tas saevit in litore.
De
c a m e l is
: genera earum .
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sentendo appressarsi il rumore, getia in terra un dei calellini. Ella lo toglie io bocca, e fatta da quel peso aucora più veloce, il riporta al covile, e poi ritorna, e di nuovo lo seguita ; fin ch’egli intrato in nave, la bestia incrudelita invano si sta a urlare sul lito. Db' c a v m e l l i . R a z z e
lo bo.
XXVI. Camelos inter armenia pascit Oriens, XXVI. I cammelli nascono in Oriente, dei quarum duo genera, Bactriae el Arabiae : diffe quali sono due sorti, i Batlriani e gli Arabici. runt, qnod illae bina habent-lubera in dorso, hae Sono differenti tra loro, perchè quegli hanno due singula : sub pectore alterum, cui incumbant. scrigni sul dosso,e qoesti ano: nel petto ne hanno Dentium superiore ordine, ut boves, carent in un altro, sopra il quale s 'appoggiano. E l ' una e utroqae genere. Omnes autem jumentorum mi l'altra sorte non hanno denti di sopra, come non nisteriis dorso funguntur, atque etiam equitatu hanno anco i buoi. In que' paesi s'adoperano tutti io proeliis. Velocitas inter equos, sed sua cuique come giumenti a portar la soma, e si cavalcano mensura, siculi vires; nec ultra adiuelura pro ancora nelle battaglie. Sono veloci al pax dei ca cedit spatium, nec plus instituto onere recipit. valli, ma ciascuno ne ha la sua misura, come le Odium adversas equos gerunt naturale. Sitim et forze: nè va piò lì che il consueto spazio,nè porta più grave peso, che l'ordinario. Hanno natural quatriduo tolerant : implenturque, cum bibendi mente in odio i cavalli. Sopportano la sete quattro occasio est, et in praeteritum, et in futurum, ob giorni; e quando hanno occasione di bere, s'em turbata proculcatione prius aqaa: aliter potu piono per il passato e per l'avvenire, aveùdo pri non gaudent. Vivunt quinquagenis annis, quae ma intorbidata l ' acqua co'piedi: altrimenti non dam et centenis. Utcumque rabiem et ipsae sen beono volentieri. Vivono cinquanta anni,, e alca tiunt. Castrandi genus, etiam feminas, quae bello praeparentur, inveniam est : fortiores ita fiunt ni cento. Comunque si sia, sentono ancora essi la rabbia. S'è trovato un modo di castrare anco le coitu negato. femmine, per adoperarle alla goerra ; perchè così si fanno più gagliarde, non le lasciando impre gnare. Da
CAMELOPARDALI t QCAHDO PRIHOM
RoMAB VISA.
D b 1 c a m m ello ? a r d a l i . Q c a r d o l a prim a v o l t a
•8 BE VIDERO A RotfA.
XXVII. Harum aliqua simijilndoin duo trans XXVII. Alcuna simigliente di questi si trasfe risce in due animali : gli Etiopi chiamano l’altro fertur animalia : nabum Aethiopes vocant, collo similem equo, pedibus et cruribus bovi, camelo nabo, simile nel collo al cavallo, ne' piedi e nelle gambe al bue, nel capo al cammello, con alcune capite, albis maculis rutilum colorem distinguen macchie bianche, che partono il color rosso, onde tibus, unde appellala camelopardalis, dictatoris Caesari· Circensibus ladis primum visa Romae. è stato chiamalo cammellopardale. Questa, bestia Kx eo subinde cernitur, aspectu magis, quam fu veduta la prima volta in Roma ne' giuochi Circensi di Cesare dittatore. Da allora in poi se feritate, conspicua : quare etiam ovisferae none vede a quando a qaando : è animale più rjsdcd invenit. guardevole per la vista, che per la fierezza ; per la qual cosa ancora fu chiamalo pecora selvatica. Db
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d e c e p is .
D e l c a v o , e d b ' c b p i.
X XVIII. 19. Pompeji Magni primum ludi XXVHI. 19. Ne'giuochi di Pompeo Magno la prima volta si vide il carao, il quale si chiamava ostenderunt chama, quem Galli rufium vocabant, dai Galli rufio, con effigie di lupo, e macchie di effigie lupi, pardorum maculis, lidera ex Aethio pardo. Nei medesimi giuochi furono vedali aqcora pia, quas vocant quarum pedes posteriores, pedibus humanis et cruribus^ priores manibus quegli animali deU'Eliopia, che si chiaman cept ; fuere similes. Hoc animal postea Roma non vidit. i cui piedi dietro sono simili a ' piedi e alle gambe umane : gl' innanzi simili alle nostre mani. Que sto attinialc non s' è mai poi visto in Roma.
C. PLINII SECUNDI Db M i i r o c n e T B .
Dbl u m c i u m .
30. Nè* medesimi giuochi n vide anco XXIX. 20. Iisdem lodi· ei rhinoceros, onta» XXIX. ia mre corno·, qualis saepe lin s . Alter hic geni- Γ animale detto rinoceronte, che ha un corno nel naso, quale si è spesso veduto. Questo è tus hosti· elephanto : cornu ad saxa lì nato prae parat se pugnae, iu dimicatione alvum maxime un altro nimico dell'elefaole ; e quando s'appa petens, qoam scit esae molliorem. Longitudo ei recchia a combatter·» aguwa il corno a' aasai, e combattendo va sempre alla volta della pancia, par, crura mullo breviora, color buxeus. do*· sa eh' è pià teucra la pelle. È lungo quanto Γ elefante, ma ha le gambe un poco più corto* ed è di colore del botto. De r/rifCB,
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m im c e r v i b r i , b d e l l e s f i s g e .
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s i. Nascono in Etiopia molli lupic e r XXX. a i. Lyncas vulgo frequentes et sphin XXX. gas, fusco pilo, mammis in peetore geminis, vieri, · sftug·, di pelo foseo, che hanno due p o p pe nel petto ; · molli akri animali simili a m o Aethiopia generat, aaultaque alia monstri stmilì·: penoatos equo*, et cornibus armato·, quos pega stro \ siooome sono cavalli alati, armati di corna, I see vocant: erooutas, velut ex cane kipoqu· quali ή chiamano pegasi, Nasconvi ancora crocati, conceptos, omnia dentibus frangentes, protinuscome consetti di cane e di Hip·, i quali rompono que devorat· eenfieientes· ventre: cercopithecos ogni oosa eo' denti, e subito che hanno inghiot nigris capilibus, pilo asinino, et dissimiles ceteris tito, tntto hanno smaltito nel corpo : oereopifteei voce: Indicos boves unicornes, tricornesque: col capo nero, eoi pelo asinino, e differenti d e g li leucroculam, perniciosissimam feram, asini fere altri nella voce : buoi Indiani con un eonm , e magnitudine, cruribus cervinis) collo, cauda, con .tre : leucrocota, bestia velocissima, grande pectore leonis, capite melium, bisulca ungula, ore quasi quanto nno asino, con le gamhe di cervo, ad aures usque rescisso, dentium loco osfe perpe con collo, coda e petto di lione, e capo di tasso. tuo. Hanc feram humanas voces tradunt imitari. Ha l'ugna fessa in due parti, la bocca divisa fino Apud eosdem et quae vocatur eale, magnitudine agli orecchi, e uno osso tutto intero in luogo di equi fluviatilis, cauda elephanti, oolor· nigra vel danti. Dieesi che questa fiera contraffa la vo ce fulva : maxillas apri, majora cubitalibus cornua dell' nomo. Quivi nasce ancora uno animale, che habens, mobilia, quae alterna in pugna sistit, si chiama eale, grande quanto uo cavallo d'acqua, varialque infesta aut obliqua, utcumque ratio con coda d'elefante, di eolor nere, o giallo : ha monstravit. Sed atrocissimos habet taaros *Uve- mascelle di cinghiale, 1· corea lunghe più 4 ' un stres, majores agrestibus, velocitate ante omnes, braccio, le quali move e volge come vuole ; e colore fulves» oculis ceruleis, pilo in contrarium quando combatte riaza or l ' una or l* altra, e va riale per diritto e per traverso, aeeondo dae le verso, ricta ad aures dehiscente, juxta cornua mobilia : tergori duritia silicis, omne respoens giudica più olili. Ma i piè crudeli animali, eh ' ab vulnus. Feras omnes venantur : ipsi non aliter, bia questo paese, sono tori salvatiehi maggiori qoam foveis capti, feritate semper intereunt. assai che i dimestichi, velocissimi sopra ogni al Apud «osdem nasci Ctesias scribit, quam manti tro, di color giallo, d' occhi verdi, col pelo a choran appellat, triplici dentium ordine peclina- rovescio, e col muso aperto fino agli orecchi ; e lim coeuntium, facie et auridfTlis hominis, oculis similmente muovou le corna come e' vogliono : glaucis, colore sanguineo, corpore leonis, cauda hanno la pelle dura come pietra, che non riceve scorpionis modo spicula infigentem : vocis ut si colpo veruno. Cacciano ogui fiera, ed essi non si misceatur fislulae et tubae concentus : velocita posson pigliare se non con le fosse, e sempre tis magnae, humani .corporis vel praecipue appe muoiono per fierezxa. Nascevi ancora, secondo tentem. che scrive Ctesia, uno animale che si chiama med*licora, che ha tre filari di denti in foraui di pet tine congiaoli : ha viso e orecchi d' n om o, occhi verdi, color saoguigno, corpo di lione, «oda di scorpione, che fora con la punta : la voce sua è come sarebbe, se il piffero e la tromba
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HISTORIARUM H01VD1 Ufi. TUI.
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·’ accordassero Mnene : è di gnu velocità, e τι volentieri «Ha volta dell’ ο · · ο . I x b ia b u u u u n u
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a n im a l i t u u i t i i d b l l ’
I b d ia .
XXXI. In India et bove· solidia negali·, ira» XXXI. Nascono ia India aneora buoi con cornea : et feram nomine axin, hinnulei pelle, V ugna d' 00 p e ···, e con an corno ; e nna fiera plori boa caodidioribcuqae maculi·, Merorum detta- assi, che he la pelle di captinolo, indanaìato Liberi patri·. Orsaei Indi «imia· candente· foto di bianco, salito maral ne* sacrifici di Baoco. Gli corpore venanlar. Asperrimam aatem faraaa Oraci popoli d’ ladia pigliano acimie tutte bian monoocroUm, reliqao corpore iqao r ia ile a , che. Nascevi ancora il lioncorao, fiera aspriesima, capite cervo, pedibus elephanto , cauda apre , ia latto il reato del oorpe simile al cavallo,con ca mugilu gravi, uno oornu nigro media fronte capo di cervo, piedi d'elefante, coda di cinghiale: fa bilorum duum eminente. Hanc feram vivam grave moggio. H»ia mesto della fronte aa corno negant capi. aero, Ungo dae braccia. Dicono che questa fiera noa si può pigliar viva. I tem A m io m i. Bsstia visu nnv&ncuiM.
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q uelli d e ll*
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GDABDABDO. XXX1L Apad Hesperio· Aetbiopa» feaa est Nigris, ni pleriqac existimavere, Nili caput : ar gomenta, qaae dixima·, parraadent. Jujtta haae fera apptllatar catoblepaa, modica alioqain, ceteriaque membri» iners, eapat tantum praegrave aegre (cren·: id dejectum semper in terram: alia· internecio homaai generia, omnibus qui o m lu «in» vidcre confestim exapimaliba·. Di
u iil b q u
m n a n u i.
XX X I11. Eadem et basilisci serpenti» est vis. Cyrenaica hunc generai provincia, doodennm non amplias digitornm magnitudine, candida in capite macola, ut qoodam diademate insignem. Sibilo omnes foga! serpentes : nec flexu multipli ci, nt reliquae, corpus impellit, sed celsu· el erectas a medio exeedens. Necat frutice», noa contado» modo, verum el adflatoe : exurit her ba·, Rumpit saxa, l'alia vis malo est. Creditam quondam, ex equo occisum baila, et rper eam •«beante vi, non equitem modo, «ed equum quoq w absomptum. Atqoe buie tali moaatro ( saepe cairn eaeclom coaeupivere reges videre ) muste larum viro· exitio esi: adeo naturae nihU plaoutt eme aino pari. Injiciunt eas cavernis facile cogni tis soli labe : accani illae simul odore, moriunlarqae, et natane pugna conficitur.
Db Lcnt. Qip b
v a id u
vamsusLU».
XXXII. Appresso gli Esperii Etiopi è il fonie Nigri, «ecoodo che dicon BMlti, capo del NHo : ae b lede ei& che noi dicemmo. Quivi è una Aera detta caleMepa, aon troppo grande, pigra ia tutto 10 membra : il capo ha grave,e portalo con fatica, e sempre chinato verso la terra ; altrimenti sareb be mina e distrazione ddle persone, perciocché ognao ebe vedo gli occhi snoi, sebi lo moore. Da’ aasiLiscav,
spbcib jh sr b pi .
XXXIIL Della medesima nalura è il basilisco, ehe è ana specie di fiera. Qoesto nasce nella pro vincia Cirenaica, e non è maggiore di dodici dila, o ha una macchia bianea in capo, a guisa di diadema. Col fischio caccia tutti i serpenti ; nè va corno l'altre serpi, avvolgendosi, ma eammjna ritto dal meno in su. Appassisce le piante aon solamente col toccarle, ma col fiato ancora : ab brucia l’erbe, e rompe i sassi: tanta forza ha questa bestia. Dioesi ebe nna volta, statone morto uno da un’ asta, il veleno di esso montando su per Pasta non solo uccise il cavaliere, ma ancora 11 cavallo. E a questo tal mostro ( perciocché i re spesse volte hanno voluto vederne qualcun mor to) certo umor delle donnole è mortifero : così la natara non ha voluto far cosa, che sia senza pari. Coloro che vogliono far morire i basilischi, gettano le donnole nelle oaverne loro : esse gli ammazzano solamente con la bruttura ; ed elle similmente muoiono solo per l’odore; e cosi la natara fornisce la «uà battaglia. Db* loti. O idb
v b u b la favola del versipelle.
XXXIV. aa. In Italia ancora comunemente ai XXXIV. aa. Sed in Italia quoque creditor tiene che il vedere i lupi sia nocivo, e che per loporum visu· esse noxius : vocemque bomini,
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qaem. priores contem plentor, adimere ad prae· ; allora tolgano la voce all’ uomo, se lo veggono sens. Inerte· hos parvosque Africa et Afcgyptn» 1 prima che da lui sien veduti. L* Africa e l’ Egitto gignont : asperos trncesque, frigidior plaga. Ho producon lupi piccoli e pigri, ma i paesi freddi gli mines in lupos verti, rursumque restituì sibi, fanno aspri e crodeli. Che gli uomini si conver falsum esse coofidenter existimare debemus, aut tano in lupi, e dipoi toroino nell’ esser lor di prima, dobbiamo credere che al tutto sia falso, credere omnia, qnae fabulosa tot secalis com perinone. Unde tamen ista vulgo infila sit fama ovvero credere ancor* tutte l’ altre cose favolose. in tantum, ut in maledictis versipelles habeat, in Manondimeno onde abbia avuto origine questa dicabitur. Evanthes inter auctores Graeciae non opinione così ferma nel volgo» che tra le parole spretus* tradit Arcadas scribere, ex gente Antbi ingiuriose spesso uno è chiamato versipelle, cioè cujusdam, sorte familiae lectam,ad stagnum quod mutapelle, si racconta in questo modo. Evante dam regionis ejus duci, veslituque in quercu su fra gli autori Greci di qualche stima, scrive che spenso transnatare, atque abire in deserta trans» quegli di Arcadia dicono, che della famiglia d’ on certo Anti s’elegge uno per sorte, il quale è con figurarique in lupum, et eum ceteris ejusdem generis congregari per annos novem. Quo in dotto a uno stagno di quel paese, e ch'egli appicca tempore si homine se abstinuerit, reverti ad idem i suoi paoni a una quercia, e poi passa lo stagno, stagnum : et cum tramnataverit, effigiem recipe- e va ne* boschi, e quivi diventa lupo, e sta nove anni con gli altri lupi. E se in questo tempo si re, ad pristinum habitum addito novem anno rum senio. Id quoque Fabius, eamdem recipere ritiene da mangiar carne d’uomo, torna al mede vestem. Mirum est quo procedat Graeca credu simo stagno, e ripassatolo indietro ritorna nellitas! Nullum tam impudens mendacium est, nt Tesser suo di prima, se non eh’ è più vecchio teste careat. Itaque Agriopas, qui Olympionica* nove anni. Dioe Fabio di più, eh’ egli ripiglia i scripsit, narrat Demaenelum Parrhasium In sa i suoi panni, che aveva appiccati alla quercia. Vedi crificio, quod Arcades Jovi Lycaeo humana etiam adunque dove si distende la credulità de’Grect : tum hostia faciebant, immolati pueri exta degù· e non è sì sfacciata bugia, che non abbia testi stasse, et in lupum se convertisse : eamdem de monii. Agriopa dunque che scrisse le Olimpioni cimo anno restitutum athleticae, certasse in pugi che, racconta, come un oerto Demenelo Parrasio latu, victoremque Olympia reversum. Quin et in un sacrificio, nel quale gli Arcadi solevano caudae hujus animalis creditur'vulgo ittesse ama· sacrificare i corpi umani a Giove Liceo, mangiò torium virus exigno in villo, eumque, cum capia delle carni d’ un fanciullo sacrificato, e diventò tur, abjici, nec idem pollere, nisi viventi dire lupo ; e dopo dieci anni tornò uomo, combattè ptum. Dies, quibus coéat, loto anno non amplias jae’ giuochi Olimpici, e vinse, e ritornò a casa duodecim. Eumdem in fame vesci terra, Inter con l’ onore. Dicesi ancora,-che un picco! pelo auguria, ad dexteram commeantium praeciso iti della sua coda ha virtù di fare che uno ami, ma nere, si pleno id ore fecerit, nullum ominum quando è preso, lo getta, nè vale, se non è svelto praestantius. Snnt in eo genere, qui cervarii vo qaentre che il lupo vive. Va io amore dodici cantor, qualem e Gallia in Pompeji Magni arena giorni soli di tutto l’ anno. Quando egli ha fame, speciatum diximus. Huic quamvis in fame man maogia la terra. Ponsi tra gli augurii quando denti, si respexerit, oblivionem cibi subrepere e’ vien da man ritta, e attraversa la via, e s’ egli ajuut, digressumque quaerere aliud. ha la bocca piena, nessuno altro auguriò è mi gliore. Sonoci lupi, che si chiaman cervieri, come di sopra dicemmo, che Pompeo Maguo ne menò di Gallia a Roma. Dicono che questo animale ha sì poca memoria, che benché mangi con fame, se guarda addietro, non si ricorda più dei cibo, e partendosi cerca dell* altro. SBftPBHTlUM GBHBBl.
V a b ib
so b t i d i sb&p e k t i .
a3. Quanto appartiene a’ serpenti, XXXV. a 3. Quod ad serpentes attinet, vul· XXXV. gatum est colorem ejus plerasque terrae habere, dicesi che la maggior parte hanno il color di quell· terra, nella quale si nascondono. Infinite sono le in qua occultentur. Innumera esse genera. Cerastis corpore eminere cornicula saepe quadrigemina : sorti d’essi. Le ceraste hanno quattro picciole cor na, col moto delle quali, nascondendo il resto del quorum motu reliquo corpore occultato, sollici tent ad se aves. Geminum capul amphisbaenae, corpo, allettano a sè gli uccelli. Le anfisbene hanno due teste, cioè l’una dal capo, e l’altra dalla hoc est, et a cauda, tamquam parum esset uno ore
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fandi venenom. Aliis squamas esse, aliis pictu ras : omnibus exitiale virus. Jaculam ex arborum ramis vibrari ; neo pedibus tantum pavendas serpentes, sed et missili volire tormento. Colla aspidum intumescere, nullo ictus remedio, prae terquam si confestim partes contactae amputentur. Uuus huic tam pestifero animali sensus, vel potius affectu* est. Conjugia ferme vagantur: neo nisi cum pari vita est : itaque.alterutra interempta, incredibilis alteri ultionis cura. Persequitur in terfectorem, unumque eum in quanlolibet populi •gmine notitia quadam infestat, perrumpit om nes difficultates, permeat spatia, nec nisi amnibus arcetur, aut praeceleri fuga. Non est fateri, rerum natura largius mala, an remedia gennerit. Jam primum hebetes oculos huic malo dedit : eosque non 10 fronte ex adverso cernere, sed in tempo ribus : Itaque excitatur pede saepius quam visu.
a4· Deinde inlernecinum bellum cum ichneu mone. Db
ich bbv m o hb .
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coda, quasi che fosse poco gettar veleno per una bocca sola. Ateune serpi hanno scaglie, altre pit ture, ma tutte hanno mortai veleno. Ecci una serpe chiamata dardo, la quale si lancia da1 rami degli alberi ; serpenti spaventosi non solo a chi va a piedi quand' essi sono in terra, ma perchè vibrano i loro cmlpi ancora col mezzo del volare. L'aspido rigonfia il collo, nè v’è altro rimedio alla ferita che fa, se non tagliar subito le parti tocche da esso. Qoesto così pestifero animale ba però un senso, o piuttosto affetto. Vanno sempre accop piati, e non vivono senza compagnia, onde un de* due che sia morto, non si potrebbe credere, quanto l'altro cerchi di farne vendetta. Persegui ta colui che 1* ha morto, e per gran numero di gente che vi sia, cerca d' offendere lui solo, che ben conosce: vince ogni 'difficoltà, e passa ogni spazio, nè si può schifarlo se non o con passare il fiume, o con velocissima fuga. Io non saprei dire, qual di due la nalura più copiosa mente ci abbia dato, i mali, o i rimedii de' mali. Per la prima a quésta bestia ha dato gli occhi di corta vista, e fitti dentro nelle tempie, in modo che poco vede per diritto, e pià spesso la muove Γ udito, che il vedere. a4· L’ aspido ha mortai guerra con lo icneu· mone. D b l l o Ic m o x o u b .
XXXVI. Notum est animal hae gloria maxi XXXVI. Questo animale è conosciuto molto per questa gloria, nato nel medesimo Egitto. me, in eadem natum Aegypto. Mergit se limo saepius, siccatque sole. Mox ubi pluribus eodem Tuffasi spesso nella belletta, e indi si rascinga al modo se coriis loricavit, in dimicationem pergit. sole. Dipoi quando per questo modo s'ha fatte di molte corazze, va a combattere. Alzando la In ea caudam attollens, ictus irritos aversus exci pit, donec obliquo capite speeulatus invadat in coda riceve colpi vani, finché col capo torto preso Jkuces. Nec hoc contentus,-aliud haud mitius il tempo se gli «nette nella gola. Nè contento di questo, vince ancora on* altro non meno feroce debellat animal. animale. D b cbo co dilo.
D ei. cb o c o b ilo .
XXXVII. a5. Crocodilum habet Nilus, qua drupes malum, et terra pariter ac flumine infe stum. Unum boc animal terrestre linguae usu caret. Unum superiore mobili maxilla imprimit morsum, alias terribilem, pectinatim stipante se dentium serie. Magnitudinem excedit plerumque duodeviginti cubita. Parit ova quanta anseres : eaque extra eum locum semper incubat, praedi vinatione quadam,ad quem summo auctu eo anno accessurus est Nilus. Nec aliud animal ex minori origine in roajorem crescit magnitudinem. Et unguibus hic armatus est, contra omoes ictus cute invicta. Dies in terra agit, noctes in aqua, teporis utrumque ratione. Hunc saturum cibo
XXXVII. a5. Produce il Nilo il erocodilo, animale di quattro piedi, nocivo parimente e nel fiume e in terra. Solo questo animai terrestre manca dell' uso della lingua. 'Questo morde con la mascella'di sopra, che sola ha mobile: altri menti sarebbe terribile, avendo i denti per or dine, come i pettini. È bene spesso maggiore di diciolto braccia. Partorisce uova grandi quanto quelle dell' oca ; e si mette sempre a covarle sopra qoel luogo, fin dove per una certa divina zione sa che quell'auno ha da crescere il Nilo. Ne alcuno aUro animale da minor principio cresce in maggior grandezza. E armato di ugne, e ha la pelle che resiste ad ogni colpo. 11 dì si sta in terra,
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piscium, el wmper esculento ore, io litore Mono datum, parva avis, quae trochilos ibi vocatur* rei avium in Italia, ìnvitat ad hiandum pabuli sei gratia, 0$ primam ejus adsuhim repurgane, mo* dente·, et jntus fauces qaoqae ad haoe aoabendi dulcedioem quara maxime hiantes : in qaa volopiate somno preasum eoo «picatas ichneamon, per easdem fauces, at Ulum aliquod, mmwm, erodit alvam.
e la noMe ned* acqua, e Γηηο e Γ altro fis perché ama tepida temperatura. Questo animale quando è ben satollo di pesci, sempre «on la bocca piena si addormente sul lito ; e un piccolo uccello, che quivi si chiama trochHo, e in Italia re degli uoadli, lo incita ad aprir la bocca per mangiarti d ò ch’ei ha destro :eprtmasal teilandògli intorno, la bocca gli netta, dipoi i denti, e anco le fauci, ehe alla dolcetta
Db « cibo · .
O iuo «ciaco.
XXXVIU. Simili· crocodilo, «ed minor etiam ichneamoue, est in Nilo naia· sdneos, contra ve· neoa praecipoos autidotu· : itenrad inflamman· dam virorom Venerem. Veraaa in orocodik» major erat pestis, quam ut ααο esaet <}us hoste natara contenta. Itaque el delphini immeantes Nilo, quorum dorso lamqaam ad bone usam cultellata ioest spina,abigeo tes eos praeda,ac velai in sao tantum amne regnantes, alioqni impares viribus ipsi, astu interimunt : callent enim in hoc cuncta animalia, sciuntque non sua modo eomnioda, verum et hostium adversa: noruul sua tela, norunl occasiones, partesque dissidentium imbel les. In veulre mollis est tenuiique cutis crocodilo : ideo se, ut territi, mergant delphini, subeutitesque alvum illa secant spina. Quin et gens ho minum est baie belluae adversa ia ipso Nilo Tentyritae, ab insula,, in qua habitat, appellata. Mensura eorum parva, sed praesentia animi in hoc tantum usa mira. Terribilis haec oontra fa· gaces bellai est, fugax conlra insequenles : aed adversam ire soli bi audeat. Quin etiam flumini innatant : dorsoqae eqaitautium modo impositi, hiantibos resupino capite ad morsum, addita in os clava, dextra ac laeva tenentes extrema ejus utrimque, ut frenis in terram agunt captivos : ac voee eliam sola territos, cogunt evomere recentia corpora ad sepulturam. Itaque nui ei insulae cro codili non aduatant : olfacluque ejus generis ho minum, ut Psyllorum serpentes fugantur. Hebe tes oculos boc animal dicitur habere in aqua, extra acerrimi visas : quatuorque menses hiemi· inedia semper transmittere in specu. Quidam boc unam quamdiu vivat, crescere arbitrantor : vivit autem longo tempore.
XXXVIII. Lo «daco è simile al crocodilo, ma minore anoora ehe Io icneumone, e nasce anch'egli nel Nilo. E mirabit rimedio contra i vdeni, e molto vale ancora a muovere gli nomini a lussuria. Ma il crocodilo è si pestifero animale, che la natura non si contentò di dargli solo un nimico. Laonde gli soo nemici ancora i delfini, i quali del mare entrano nel Nilo. Essi hanno sul dosso una spina tagliente come coltello, la quale par loro posta a questo oso, e mentre quelli, come.se regnassero in on fiume ad ogoi altro pesce disdetto, gli impediscono di far preda, essi, ehe di forze si riconoscono da meno, gli uccidono con astuzia : giacchi la natara ha dato ad ogoi animale, che conosca non solamente i suoi corno· di, ma accora gl'incomodi ddl* avversario, e i suoi mezzi da ferire, e le occasioni, e il dove sia il nemioo piò debole. Or il crocodilo ha nel ventre la pelle sottile e molle : mostrando adunque i delfini di fuggire per la paara,si tuffato, e caccia tisi sotto il ventre dd crocodilo, lo tagliano con qudla spina. Sono ancora alcool ooauoi nimid a questa bestia, i quali abitano pnr nel Nilo, e diconsi Tenliriti dall' isola loro. Essi sono piccoli di persona, ma in questocaso sono di maraviglio so coraggio. 11 crocodilo è terribile ancora a chi fogge, e per contrario fogge da chi lo eaeda : ma questi uomini soli ardiscono andargli inoonlra. Anzi essi nuotano per lo fiume, e postid a cavai· doni dello stesso crocodilo, quando egli r o v ·· •dandosi apre la bocca per volerli mordere, gli cacciano a traverso una mazza in bocca, e tenen dola da ogoi parte, come s’ella fosse eoa briglia, lo menano prigione in terra ; e ancora con la vooe •ola spaventandolo lo costringono a gettar Cuore i corpi inghiottiti di fresoo per seppdlirgli. 1q quella sola isola dunque non nuotano i crooodilt ; e solo all'odore di quegli uomini, come i serpenti da' Pailli, si mettono in fuga. Dioesi che questo animale nell' acqua vede assai poco, ma in terra
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vede benissimo; e che quattro mesi continui del verno si sta nascoso in una grotta senza mangiare. Alcuni tengono che questo^animal solo cresce tuttavia fin che e' vive ; e vive lungo tempo. Ds
h ip pop otam o .
D e l i / ip p o p o t a m o .
XXXIX. Major altitudine in eodem Nilo bel· lua hippopotamus editur : unguli* binis, quale· bubus, dorso equi, et juba et hinnitu, rostro resimo, cauda et dentibus aprorum aduncis, sed minus noxiis : tergoris ad scula galeasque impe netrabilis, praeterquam si humore madeàt. De· pascitur segetes, destinatione ante ( ut ferunt ) de terminatas in diem, et ex agro ferentibus vestigiis, ne quae revertenti insidiae comparentur.
Q ois n m »
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R om ae ,
XXXIX. Nel medesimo Nilo è una bestia di maggiore altezza, che si chiama ippopotamo : ha Γ ugne fesse come i buoi, il dosso, i crini e lo annitrire di cavallo, il naso schiacciato, la coda e i denti di cinghiale, torti, ma manco nocivi. La pelle della schiena non se gli può passare con alcuna arme, fuor che quando elltf si trova ba gnata. Pascesi di biade, le quali, come si dice, egli apposta di giorno, ed entra nel campo allo indie tro, acciocché quando ei torna indietro non gli fosse fatto q(làiche aguato. C h i p o , c h e p r im o a R o m a m o s t r ò ip p o p o t a m i
BT CftOCODlLCM.
B CROCODILI.
XL. 26. Primus eum, et quinque crocodilos Romae aedilitatis suae ludis M. Scaurus tempora rio.euripo ostendit. Hippopotamus in quadam medendi parte etiam magister exstitit. Assidua namque satietate obesas exit in litus, recentes arundinum caesuras speculatum : atque ubi acu tissimam videt stirpem, imprimens corpus, venam quamdam in crure vulnerat, ita profluvio sangui nis morbidum alias corpus exonerat,-, et plagam limo rursos obduci*
XL. a6. Il primo, che mostrò a Roma Γ ippo potamo e cinque crocodili fu Marco Scauro nei giuochi della sua edilità in un canale fatto per a tempo. L' ippopotamo in certa parte della medicina fu maestro anch'egli. Perciocché quan do egli è bene ingrassato, e ripieno per troppo mangiare, esce sulla riva, e guarda dove sono canneti tagliali di fresco, e come vede alcuna di quelle tagliature.acutissima, vi accosta il corpo, e ferisce una vena nella gamba.; e così cavandone il sangue, allegerisce il corpo, che al trimenti infermerebbe, e dipoi vi tura la piaga con la belletta.
M eDICOTAB AB ABIMALIBDS BEFEIITAE.
MEDICINE SCOPERTE DA AUMALI.
XLI. 37. Simile quiddam et volucris in eadem Aegypto monstravit quae vocatur ibis: rostri aduncitate per eam partem se perluens, qua red di ciborum onera maxime salubre est. Nec haec •ola a multis aniinalihus reperta sunt, usui futura et homini. Dictamnum herbam extrahendis sagit tis cervi monstravere percussi eo telo, pastuque ejus herbae ejecto, lidem percussi a phalangio, quod est aranei genns, aut aliquo simili, cancros edendo *ibi medentur. Est et ad serpendam ictus praecipua, qua se lacerti, quoties cum his conseruere pugnam, vulnerati refovent. Chelido niam visui saluberrimam hirundines monstravere, vexatis pallorum oculis illa medentes.
. XLI. vj. Una simii cosa c1 ha mostrato nello Egitto un uccello, il quale si chiama ibi. Questo uccello, quando si seote carico s'empie il gozzo d’ acqua, e col becco si fa una argomento, o cristéo. Nè queste cose sole sono state trovate dagli animali, le quali sono utili all'uomo. 1 cervi fecero conoscere l'erba dittamo, la qual è buona per trarre il ferro della ferita, per l ' uso da essi fattone, e per l'avversione che hanno a cibar quell'erba. I medesimi quando son feriti dal falangio, che è una specie di ragno, o da altro simile animale, risanano mangiando de' granchi. Ecci anco una erba buona a' morsi delle serpi, con la qoale le lucertole si cnrano quando com battono con esse, e né son ferite. Le rondini furon quelle, che insegnarono Γ erba chelidonia, la quale è ottima alla vista, perciocché quando i rondini hanno male agli occhi, li guariscono cou essa.
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Testudo cunilae, qaam bubulam vocant, pa stu, vires contra serpentes refovet: mustela ratae, io marium venatu cum iis dimicatione conserta. Ciconia origano, edera apri in morbis sibi medea tur, et cancros vescendo, maxime mari ejectos. Angais hiberno situ membrana corporis obdu cta, feniculi succo impedimentum illud exuit, nilidusque vernat. Exuit autem a capite primum, nec celerius quam uno die ac nocte replicans, ut extra fiat membranae, quod fuerat intus. Idem hiberna latebra visu obscurato, marathro herbae sese adfricans, oculos inungit ac refovet : si vero squamaé obtorpuere, spinis juniperi s· scabit. Draco vernam nauseam silvestris lactucae succo restinguit. Pantheras perfricata carne aconito (venenum id est), barbari veaautur. Occupat illico fauces earum angor: quare pardalianches id venenum appellavere quidam. At fera contra hoc excrementis hominis sibi medetur : et alias tam avida eorum, ut a pastoribus ex industria in aliquo vase suspensa altius, quam ut queat saltu attingere, jaculando se appetendoque defi ciat, et postremo exspiret :alioqu i vivacitatis adeo lentae, ut ejectis interaneis diu pugnet. Elephas chamaeleone concolori frondi devorato, occurrit oleastro huic veneno suo. Ursi, cum mandragorae mala gustavere, formicas lambunt. Cervus herba cinare venenatis pabulis resistit. Palumbes, grat culi, merulae, perdices, lauri folio annuum fasti dium purgant : columbae, turtures et gallinacei, herba quae vocatur helxine : anates, anseres, ceteraeque aquaticae herba siderite: grues et similes, junco paluslri..Corvus occiso chamaeleo ne, qui etiam victori nocet, lauro infectum virns exstinguit.
P b o g n o s t ic a p b b i c c l o b u m b x a n i m a l ib u s .
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l>a testuggine pascendo l’erba cunila, che sl chiama bubula, ristora le sue forte contro le serpi : la donnola, quando caccia i topi, mangia prima della ruta. La cicogoa medica i suoi mali con l'origano, e i cinghiali con l'ellera, e col mangiar de'granchi, massimamente quelli che sOn rigettati dal mare. La serpe per istar ferma il verno, si sente poi rannicchiata la pelle ; però si medica di qaesto male col sugo del finocchio, e vien pulito nella primavera. Prima si comincia a spogliar dal capo, n i pià tosto che in un dì e in una notte, rovesciando in modo la pelle, che sia fuori quél che fu di dentro. E perchè il verno è stata al buio e ha scemata la vista, fregandosi con l ' erba delta maratro, s 'unge gli oochi e m ristora; e se le scaglie si fossero appiccate insieme, le gratta, e oosi le distacca con le spine di ginepro. 11 dragone restingue la nausea della primavera col sugo della lattuga selvatica. I barbari cacciano le potere avendosi fregata la carue con l'aconito, il qoale è veleno. Subito che esse ne assaggiano sentono dolore e strettezza nella gola: e perciò quel veleno fu da alcuni chiamato pardalianche. Ma ìa fiera contra questo veleno si medica con lo sterco dell'uomo, del quale sempre però è ghiot ta ; onde i pastori ne mettono ne' vasi, e gli ap piccano tanto alto, che essa sallaodo non li possa aggiungere ; la quale per quel lanciarsi in alto e doverne far senza, vien meno, e alla fine anche si muore : altrimenti è di tanta vita, ch'ella combat te ancora, quando le son tratte le budella. L'ele fante, avendo inghiottito il camaleone, che ha il medesimo colore della fronde, ricorre per rime dio di questo veleno all' ulivo salvalico. Gli orsi, quando hanno mangiato i veleni della mandra gola, leccano le formiche. 11 cervo si difende dal1* erbe velenose con l ' erba cinare. 1 colombi sal va lichi, le mulacchie, le merle e le starne pur gano ogni anno le superfluità loro con le foglie d'alloro : le colombe, le tortore e le galline con .una erba, che si chiama elsine : l'anitre, Poche e gli altri uccelli d'acqua con Γ erba siderite: le gru e simili col giunco di palude. Il corbo aven do ucciso il camaleonte, il quale nuoce ancora al vincitore, ne spegne il veleno con l ' alloro. P b o n o s t ic i t r a t t i d a g l i a m m a l i s o p b a a puucou
XLII. a8. Millia praeterea, utpote cum plurimis animalibus eadem natura rerum coeli quoque observationem et ventorum, imbrium, tempestatum praesagia, aliis alia dederit, quod persequi immensum est, aeque scilicet quam reliquam cum singulis hominum societatem. Si quidem et pericula praemonent, non fibris nodo
.
XLI1. a8. La medesima natura ha dato mille presagii e divinazioni a pià animali, e ancora l ' osservazione del cielo, de' venti, delle piogge, delle tempeste, a quali dando una cosa, e aquali un* altra : e a volere dir tutto così sarebbe cosa infinita, come se si volesse raccontare in quante altre cose tutti hanno convenienza con gli uomini.
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extisque, circa quod magna mortalium portio haeret, sed alia qaadarn significatione. Ruinis imminentibus masculi praemigrant, aranei cura telis primi cadunt. Auguria quidem artem fecere apad Romanos : et sacerdotum collegium tei maxime solemne est. In Thracia locis rigentibus et vulpes, animal alioqui solertia diram : amnes gelatos, lacusque non nisi ad ejus itum reditumqoe transeunt. Observatum, eam aure ad glaciem apposita, conjectare crassitudinem gelus.
Perciocch’ essi ci avvisano innanzi de* pericoli non solamente con le viscere e interiori loro, in torno alla qaal cosa è occupata gran parte degli uomini, ma con un certo altro significato. Quando qoalche edifìcio sta per ruinare, i topi se ne vanno, e i ragnateli con le lor tele sono i primi a cadere. E così degli augurii s* è fatta un'arte presso i Romabi ; tanto che essi hanno il collegio de’ sacerdòti, che ha gran riputazione. Nella Tra cia ne’ luoghi freddi traggon pronostico anche dalla volpe, animale pernicioso per la sua indu stria: non passano fiumi o laghi agghiacciati, se non quando essa va e torna per essi. E s 'è osser vato, ch’ ella mettendo Γ orecchio al ghiaccio, fa con ghie ttura quanto il ghiaccio sia grosso.
G b RTES AB AH1VALTBUS SUBLATAE.
P o p o l i d is f a t t i d a a r m a l i .
XL 1I 1. 19. Nec minus clara exitii documenta sont etiam ex contemnendis animalibus. M. Varro aactor est, a caniculis suffossura in Hispania oppi dum, a talpis in Thessalia : ab rauis civitatem in Gallia pnlsam, ab locustis in Africa : ex Gyaro Cycladum insula incolas a muribus · fugatos : in Italia Amyclas a serpentibus deletas. CilraCynamolgos Aethiopas late deserta regio est, a scorpio nibus et solipugis gente sublata : et a scolopendris abactos Rhoelienses, anetor est Theophrastus. Sed ad reliqua ferarum genera redeamus.
XL 11I. 29. Hannosi ancora manifesti segni di mina dagli animali minuti. Scrive Marco Varro ne, che i conigli in Ispagna cavarono sotto una citlà tanto che la minarono : e in Tessaglia ne fu ruinata un’ altra dalle talpe : e in Gallia fa ab bandonata una città per la mollitudine de’ ra nocchi : e in Africa per le locuste. Di Giaro isola delle Cicladi gli abitatori furono cacciati da’topi: in llalia la citlà d’ Aratela fu disfalla dalle serpi. Di qua da’ Cinamolgi popoli dell* Etiopia, è un gran paese rimaso disabitato per gli scorpioni, e solpungi, che souo una specie di formiche vele· nose : e Teofrasto scrive, che i Reziesi furono cacciali dalle scolopendre, altrimenti centogambe. Ma ritorniamo all* altre sorta di fiere.
Db
h ta e r is .
XLIV. 3o. Hyaenis ntramqne esse naturam, et alternis annis mares, alternis feminas fieri, parere sine mare, vulgns credit, Aristoteles negat. Collum et juba continuitate spinae porrigitur, fiectique, nisi circumacta totins corporis, neqait. Multa praeterea mira traduntor. Sed maxime ser monem humanum inter pastorum stabula adsimalare, uomenque alicujus addiscere, quem evoca tum foras laceret. Item vomitionem hominis imitari, ad sollicitandos canes, quos invadat. Ab uno animali sepulcra erui,inquisitione corporum. Feminam raro capi. Oculis mille esse varietates, coloruroque mutationes. Praeterea umbrae ejus contacta canes obmutescere. Et quibusdam magi cis artibus omne animal, quod ter lustraverit, in vestigio haerere.
D bllb
ib r b .
XL 1V. 3o. Il valgo tiene, che la fiera chiama ta iena sia dell’ una e dell’ altra natura, è uno anno sia maschio, l’ altro femmina, e che ingra vidi senza maschio. Aristotele dice, che non è vero. 11 collo suo e i crini stanno intirizzati per chè ha ii collo e la schiena d’ un pezzo ; nè si può piegare, se non si volge con tutto il corpo. Molte altre maraviglie si contano di questo ani male, ma soprattutto, che negli stajli de’ pastori contra03i il parlare umano, e impara il nome di qualcheduno,e chiamandolo fuora lo sbrana. Con traffa ancora il vomito delTuomo, per allettare a sè i cani, e per divorargli. Nè si truova altro ani male, che scuopra le sepolture per trarne i corpi sotterrati. La femmina di rado si piglia. Negli occhi loro hanno mille varietà, e mutazioni di colori. 1 cani se son tocchi dall’ ombra loro, am mutoliscono : e con certi incantesimi ogni ani male, eh’ è tre volte attorniato da questa fiera, sta senza poter muovere i piedi.
C. PLINII SECONDI
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D e c o b o c o t t is . D e m a n tic h o ris.
D e lle c r o c u t b . D elle h a u t i c o re .
XLV. Hujus generis coi tu leaena Aethiopica parit corocottam, similiter voces imitantem homi num pecorumque. Acies ei perpetua : in utraque parte oris nullis gingivis, dente continuo : qui ne contrario occurso hebetetur, capsarum tuodo in cluditur..Hominum sermones imitari etmantichoram in Aethiopia, auctor est Juba.
XLV. Di quella fiera impregna la lionecM Etiopica e partorisce uno animale detto crocota, la quale anch’ essa contraila la voce dell* nomo e delle bestie. Non ha gengie, e in luogo di denti ha uno osso continuato molto tagliente, il quale acciocché percotendo nell* altro non venga a per dere il taglio, si rinchiude a uso di casse. Scrive Giuba accora, che la manticora in Etiopia con traila la voce dell* uomo.
De
o n a g r is .
XLVI. Hyaenae plurimae gignuntur in Africa, qnae et asinorum silvestrium multitudinem fun dit. Mares in eo genere singuli feminarum gregi bus imperitant. Timent libidinis aemulos, et ideo gravidas custodiuut, morsu que natos mares ca strant. Contra gravidae latebras petunt, et parere furto cupiunt, gaudenlque copia libidinis.
De
casto beo.
De
a q u a t ic is ,
BT IISDEM TERRESTRIBUS *. DE LUTRIS.
XLVII. Easdem paries sibi ipsi Pontici am putant fibri, periculo urgente, ob hoc se peti gnari : castoreum id vocant medici : alias animal horrendi morsus, arbores juxta flumina, ut ferro, caedit: hominis parte comprehensa, non ante quam fracta concrepuerint ossa, morsus resolvit. Cauda piscium iis, cetera species lutrae. Utrum· que aquaticum : utrique mollior pluma pilus.
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BAH U
RUBETIS.
XLVIU. 3i. Ranae quoque rubetae, quarum et in terra, et in humore vita, plurimis refertae medicaminibus, deponere ea assidue ac resumere a pastu dicuntur, venena tantum semper sibi re servantes. D e VITULO MARITO : DE FIBRIS. D b STELLIONIBUS.
XLIX. Similis et vitulo marino victus, in mari ac terra : simile fibris et iogenium. Evomit fel suum, ad malta medicamenta utile : item coa gulum, ad comitiales morbos : ob ea se peti prudeoj. Theophrastus auctor est, anguis modo et
D boli o n a g r i.
XLVL In Africa nascono molte iene, e ancora assaìssimi asini salvalichi. Fra questi un maschio sempre guida un branco di* femmine. Non vo gliono concorrenti in amore, e perciò fanno la guardia alle asine pregne ; e se partoriscono ma schio, subito lo castrano co* denti. All* incontro le femmine s'ingegnano di figliare di nascoso, perchè desiderano che i maschi moltiplichino per satisfar meglio la lussuria loro. D e l casto rb, a n im a l e
sì
d *a c q u a , com e d i t e r r a
:
DELLE LOBTBE.
XLVII. I fibri Poolici, altrimenti beveri, si castrano da sè stessi quando sono stretti dai cac ciatori, perchè conoscono d* esser perseguitati solamente per avere i testicoli loro. I medici lo chiamano castora, animale di terrìbil morso, il quale taglia gli alberi presso ai fiumi co* denti, come s* egli avesse uoa maiiaìa ; e quando piglia un membro all* uomo, vuole sentire lo scoppio dell' osso, il quale si rompe prima che lo lasci. Ha coda di pesce : nell* altre parti somiglia la lontra. L* uno e Γ altro di questi vive nell' acqua, ed ha il pelo piò morbido, che non è la piuma. D elle bave rubete.
XLV 11I. 3i. Le rane rubete, altrimenti botte, le qoali abitano in terra e in aoqua, sono piene di molte medicioe ; ma dicesi che del continuo le depongono e riassomooo dopo aver cibato, non deponeodo però mai i loro veleni. D el v i t b l l o m a rib o : db* f i b r i . D b * r a m a r r i .
XLIX. 11 vecchio marinq vive anch* egli ia acqaa e io terra, ed è di natara simile al bevero, e perciò getta fuori il suo fiele, il quale è ottima medicina a molte cose. Getta ancora il caglio suo, il qual giova contra il mal caduco, conoscendo
HISTORIARUM MUNDI LIB. VIII.
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stelliones senecta lem exaere* eamqae protinas devorare, praeripientes comitiali morbo remedia. Eosdem mortiferi io G ricci· morsas, innoxios esse iq Sicilia.
di essere perseguitato per conio di qaetle due cote. Scrive Teofrasto, che le sèrpi e i ramarri gettano lo scoglio loro per ringiovanire, e subito l’ inghiottiscono, togliendo così un rimedio al mal caduco. Dicesi che i ramarri in Grecia son vele nosi, e in Sicilia non fanno mal veruno.
D i caius.
Dei ceavr.
L. 3a.Cervis qaoqae est soa malignitas, quamqoam placidissimo animaliora. Urgente vi canam, nitro confugiant ad hominem. Et in partendo semitas minus oavent, humanis vestigiis tritas, quam secreta ac ferisopportona.Cooceplusearam post Arcturi eidas. Octonis mensibus ferant par· tus, interdum et gemiaos. A conceptu separant se. At mares relicti rabie libidinis saeviuot : fo diant scrobes. Tunc rostra eorum nigrescant, donec aliqui abloant imbres. Feminae autem aote partam porgantur herba quadam, quae seselis dicitur, faciliore ita utentes ntero. A partu duas, quae aros et seselis appellantur, paslae, redeunt ad fetum : illis imbui lactis primos voluot succos, quacumque de causa. Editos parius exercent cur· su, et fugam meditari doceot ; ad praerupta du cunt, saltumqua demonstrant.
L. 3a. I cervi anche essi hanno la malignità loro, benché sia piacevolissimo animale. Quando sono cacciali dalla faria dei cani corrono da loro stessi alla volta dell* uomo. E nel partorire fuggono manco le vie ballate dagli uomini, che i luoghi riposti, e comodi alle fiere. Le cerve so gliono ingravidare dopo la stella di Artaro. PorUno olio mesi il parto, e talora ne partoriscon dae. Poi che son gravide si partono dai maschi. Ma essi abbandonati infuriano per la rabbia del la lussuria, e cavano fosse. Allora i musi loro diventano neri, infinchè le piogge gli lavino. Le femmine innanzi che partoriscano si purgano con una certa erba, che si chiama seseli, percioc ché così vengono a figliar più agevolmente. Dopo che hanno figliato, asano dae erbe, Γ una detta aros, 1* altra seseli : pasciute che sono, tornano a parti ; e di quelle vogliono empiere i primi sughi del lalle, qualunque ne sia la cagione. Esercitano i figliuolini · correre, e insegnan loro come ab biano a fuggire : menangli alle ripe, e mostrano loro il salto. I maschi poi quando si trovan liberi dal de riderlo dell· femmina, tornano volentieri alla pa stura. E quando ei s*accorgono di esser mollo grassi, vanno oercando di nascondersi, confessan do quasi di non esser buoni a correre, per esser troppo carichi di carne. Negli altri tempi sempre nel fuggire si fermano, e guardano indietro : e quando si veggono appresso il nimico, ripigliano il corso, e fuggono. E ciò fanno essi per la doglia di uno intestino, il quale hanno sì debole, ehe per ogni poca di percossa internamente si rompe. Fuggono quando sentono abbaiare i cani,e vanno alla seconda del vento, acciocché le pedate si frig gano insieme con loro. Dilettansi mollo del can to, e del suono dei zuffoli dei pastori : quando hanno gli orecchi ritti, odono mirabilmente; quando gli inchinano, eon sordi. Per altro è ani male molto semplice, e di ogni cosa stupidamente si maraviglia ; tanto che accostandosegli o caval lo, o vacca, non vede Γ uomo, che d’ appresso le caccia, o se pur lo vede, si sta a guardarne l'arco e le saetle. Passano il mare a branco 1’ on dopo P altro, e pongono il capo salle groppe di quei che vanno innanzi : e quando i primi sono stan chi per non avere dove posare il capo, ritornano
Jam mares sololi desiderio libidinis, avide petunt pabula. Ubi se praepingues sensere, late bras quaerant, fatentes incommodum pondus. Et alias semper in faga adqniescant, stantesque re spiciunt ; cum prope ventum est, rursns fugae praesidia repetentes. Hoc fit intestini dolore, tam infirmi,ut ictu levi rumpatur in tas. Fagiani autem latratu canum audito secunda semper aura, ut ve stigia cum ipsis abeant. Mulcentur fistula pastorali et canta: .cum erexere aures, acerrimi auditus: cum remisere, surdi. Celero animal simplex, et omnium reram miracolo stupeas ; ia tantam, ut equo aut bacula accedente propius,hominem juxta venantem non cernant; aut si ceruant,arcum ipsum sagittasque mirentur. Maria tranant gregali m nanles porrecto ordine,et capita imponentes prae cedentiam dunibns, vicibusquead terga redeun tes. Hoc maxime notatur · Cilicia Cyprum traji cientibus. Nec vident terras, sed in odore earum satant. Coruna mares habent, solique animalium omnibus annis stato veris tempore amittunt : ideo aob ipsa die quam maxime invia petunt. Latent amissis velut inermes : sed et bi bono suo invi dent. Dextrum cornu negant inveniri, ceu medi camento aliquo praeditum; idque mirabilius faten
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«Ium est, com et in vivariis mutent omnibus annis: defodi ab iis patant. Accensi autera ulrioslibet odore serpentes fugantur, et comitiales morbi de prehenduntor. Indicia quoque aetatis in illis ge runt, singulos annis adjicientibus ramos usque ad sexennes. Ab eo tempore similia reviviscunt : nec potest aetas discerni, sed dentibus senecta declaratur. Aut enim paucos, aut nullos habent : nec in cornibus imis ramos, alioqui ante fron tem prominere solitos junioribus. Non decidunt castratis cornua, nec nascuntur. Erumpunt au tem renascentibus tuberibus primo aridae colis similia. Eadem teneris increscunt ferulis, arun dineas in «paniculas molli plumata lanugine. Quamdiu carent iis, noctibus procedunt ad pa bula : increscentia solis vapore durant, ad ar bores subinde experientes : ubi placuit robur, in aperta prodeunt. Captique jam sunt, edera In oornibus viridante ex attritu arborum, ut in aliquo ligno, tenerisydum experiuntur, innata. Fiunt ali quando etcandido colore, qualem fuisse tradant Q. Sertorii cervam, quam esse fatidicam Hispa niae gentibus persuaserat. Et iis est cum serpente pugna. Vestigant cavernas, nariumque fpiritu extrahunt renitente*. Ideo singulare abifeendis serpentibus, odor adusto cervino cornu. Contra morsus vero praecipuum remedium ex coagulo hinnulei in matris utero occisi. Vita cervis in confesso longa, post centum annos aliquibus ca ptis cum torquibus aureis,quos Alexander Magnus addiderat, adopertis jam cute in magoa obesitate. Febrium morbos non sentit hoc animal, quin et medetur huic timori. Quasdam modo principe· feminas scimus omnibus diebu; matutinis carnem eam degustare solitas, et longo aevo caruisse fe bribus: quod ita demum existimant ratam, ei' vulnere uno interierit.
33. Eadem est specie, barba tantam et armo·
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agli ultimi, ponendo U capo sulle groppe loro. E ciò se è veduto far loro massimamente quando passano di Cilicia in Cipro. Nè veggono la terra, ma solamente nuotano al fiuto d 'essa. I maschi hanno le corna, e a lor «oli fra gli altri animali caggiono ogni anno la primavera : e perciò quan do vien questo tempo, s'ascondono in luoghi molto riposti. Così se ne stanno ascosi, come se avessero perdute Γ armi loro, e hanno anco invi dia al ben loro. Dicono che non si trova il cor no destro, il quale ha certa virtù di medicina. Ma questo ancora è maggior maraviglia* che i cervi, i quali eòu rinchiusi ne' parchi, gli mutano ogni anno, e tiensi che gli sotterrino. Ardendosi le corna dei cervi, le serpi fuggon da quello odore, e il mal caduco si viene a scoprire. Hanno ancora i segoi dell' età loro in queste corna, per ciò che v' aggiungono -ogni anno un ramo fino a sei anni. Da quel tempo in là rinascono le mede sime, nè si può conoscere P età, se non a* denti, perchè quando invecchiano, o n' hanno poehi, o niuno, nè in fondo delle corna hanno alcun ramo, mentre ne spunta loro alcuoo quando son giova netti. Non caggiono le corna ai castrati, nè nasco no, ma ben vengon lor fuora certi bitorxoli simili a pelle secca. Le medesime corrò crescono simili a ferule sottili in pannocchie di canne, con piume di tenera lanugine. Quando soo senza corna, vanno alla pastora di notte, e quando crescon loro, le induriscono tenendole al sole, dipoi le provano agli alberi; e quando par loro che siano ben dure, vanno allo scoperto. E già sono stati presi di que gli, che sulle corna avevano l'ellera verde, natavi iu, quando essendo ancor tenere le stropicciavano a qualche albero, dove era ellera. Trovanst anco dei cervi bianchi, siccome dicono ohe fu la cerva di Quinto Sertorio, la quale egli avéa dato a cre dere a' popoli di Spagna, che fosse indovina. I cervi combattono con i serpenti, perciocché vanno cercando le lor caverne, e accostandovi il muso al buco della caverna, con l'alito per forza le tiran fuori. E perciò è buonissimo rimedio a cacciar le serpi ardere le corna di cervo. Contra il mono delle serpi è ottima medicina il caglio del cervo non nato, ma morto in corpo alla madre. Questo animale è di lunga vita, perciocché dopo cento anni si trovarono alcuni cervi d 'Alessandro Ma gno co* suoi collari d'oro, dove la carne cresciuta avea ricoperto il collare. 11 cervo non ha mai feb bre, anzi è rimedio contra essa. E io ho conosciuto alcune nobilissime donne, le quali essendosi aver le a mangiare ogni mattina carne di cervo, per lungo tempo non ebbero mai febbre : ma dicono che a volere che ciò abbia effetto, bisogna che il eervot sia stato morto d' una ferita sola. 33. Écci un’ altro animale, che somiglia il
HISTORIARUM MUNDI LIB. Vili.
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rum villo distans, quem TfayiXapov vocant, non alibi, quam juxta Phasin amnem, nascens.
Db c i m i u o n .
Ee
r e l iq u is c o lo r em m d t a b t ib u s
cervo, se non che ha 1« barba e i pelli ; si chia· ina tragelafo, e non nasce altrove che presso il fiume Fasi. D bl
LI. Cervos Africa propemodum sola non gi gnit : at chamaeleooem et ipsa, quamquam firequentiorem Indiae. Figura et magnitudo crai lacerli, nisi crura essent recta et exeelsiora. Late ra veutri junguntur, ut piscibus, et spina simili modo eminet. Rostrum, nt in parvo, haud absi mile suillo : cauda praelonga in tenuitatem desi nens, et implicans se viperinis orbibus : angues adunci, motus tardior, at testudini : còrpas aspe rum, ceu crocodilo : oculi in recessa cavo, teaui discrimine praegrandes, et corpori conoolores : oamquam eos operit ; nec pupillae mota, sed totius oculi versatione circumaspicii. Ipse celsus hianti semper ore, solus animalium nec eibo nec potu aliter, nec alio quam aéris alimento: circa caprificos ferus, innoxius alioqui. Et coloris na tura mirabilior: mutat namque eum subinde, et oculis, et cauda, et toto corpore, reddilque sem per quemcumque proxime attingit, praeter ru brum candidumqae. Defuncto pallor est. Caro in capite et maxillis, et ad commissuram caudae ad modum exigua, nec alibi toto corpore : sanguis in corde, et circa oculos-tantum ; viscera sin· splefte. Hibernis mensibus latet, ut lacerta.
: TARtRDO,
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c a m a lb o b t b »
LI. L'Africa è quasi la sola, che non prodoce cervi, ma genera bene camaleonti, benché maggior numero ne nasca in India. È simile al ramarro, se non che ha le gambe maggiori, e più diritte. I fianchi e la pancia sono congiunti insieme come ne* pesci, e la spina soprasta nello stesso modo. Ha il muso disteso quasi come un porcelli no : la coda molto lunga, e sottile in cima, che s’altorciglia oome ona serpe : le unghie uncinate, il molo tardo, come la testuggine, il corpo aspro, come il crocodilo : ha gli occhi indentro, grandi, e con poco spazio divisi, e del colore del suo cor po : non gli cuopre mai, nè vede per muovere la pupilla, nla tutto l’occhio. Va sempre allo, e cob la bocca aperta, nè mangia alcuna cosa, nè bee, ma solo d’ aria si pasce. Intorno a* fichi salvatichi è fiero e crudele, altrove non fa mal verano. Ma molto più mirabile è la natura del suo colore, perchè ei lo mata negli occhi, nella coda, e in tutto il corpo, e piglia il colore della cosa, che gli è vicina, fuorché del rosso e del bianco. Quando è morto diventa pallido. Ha an poco di carne nel capo; nelle mascelle, e dove la coda s*appicca col dosso : altrove non n1 ha punto. Ha sangue solamente nel cuore, e intorno agli occhi, ma non ha milza. Il verno sta nascoso come il ramarro.
D b GLI ALTRI CHE MUTANO COLORE : DBL TABABDO,
LYCAOKB, ΤΗΟΒ.
DEL L1CAOBB, DBL TOE.
LH. 34«Mutat colores et Scytharum laraudus, nec aliud ex iis quae pilo vestiuntur, nisi in Indiis lycaon, cui jubata traditur cervix. Nam thoes ( luporum id genas est procerius longitudine, brevitate crurum dissimile, velox saltu, venata vivens, innocuum homini ) habitum, non colorem mutant, per hiemes birli» aestate nudi. Tarando magnitudo, quae bovi : caput .majus cervino, neo absimile: cornua ramosa, ungulae bifidae, villus magnitudine ursorum. Sed cum libuit sui coloris esse, asini similis est. Tergori tanta duritia, ut thoraces ex eo faciant. Colorem omnium arbo-r rum, fruticum, florum, locornmque reddit, in quibas latet, metuens, ideoque raro capitur. Mirum esset habitum corpori tam maltiplioem dari, mirabilius et villo.
L ll. 34· 11 tarando di Scizia muta colore an che egli ; il che non fa niuno altro animale, che abbia pelo, se non in India qoel che ai chiama licaone, il quale ha velli sul collo. 11 toc è specie di lupo, ma è più lungo, e ha le gambe corte, veloce nel saltare, vive di cacciagione, ma non nuoce all* uomo. Questo non mula colore, ma muta abito, perciocché il verno è vestito di peli, la state ignudo. Il tarando è grande qoaoto an bne : ha il capo maggior che il cervo, ma simi le a quello: ha le medesime corna, le ugne fesse, e pelo d’ orso. Ma quando e1 vuole esser di suo colore, è simile all'asino. Ha il cuoio si duro, che se ne fanno corazze. Quando egli ha paura, piglia il colore di tatti gli alberi, piante, fiori, e luoghi, che gli son vicini, e perciò rade volle vien preso. Meravigliosa cosa sarebbe trovare no corpo sì vario, ma più meravigliosa assai sì va rio pélo.
C. PLINII SECONDI
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D b ll ’ is t e ic e .
b y s t b ic e .
LII1. 35. Hystrices generat India et Africa spiaa contectas, herinaceorum genere : sed hystri ci longiores aculei, et cnm intendit cutem, missi les. Ora urgentium figit canum, et paullo longius jaculatur. Hibernis autem se mensibus condit: quae natura mullis, et ante omnia ursis.
De
d esis : d b f e t o
bobdm .
L 1V. 36. Eorum coitus hiemis initio: nec vulgari quadrupedum more, sed ambobus cuban tibus complexisque. Deinde secessus in specus separatim* ia quibus pariunt trigesimo die, phtrimam quinos. Hi sant candidainformisque caro, paullo muribus major,sine oculis, sine pilo,ungnes tantum prominent :. hanc lambendo paullalim fi gurant. Nec quidquam rarius, quam parientem videre ursam. Ideo mares quadragenis diebus la tent, feminae quaternis mensibus. Specus si non habuere, ramorum fralicomqoe congerie aedifi cant, impenetrabiles imbribus, mollique fronde constratos. Primis diebus bis septenis tam gravi somno premuntur, ut ne vulneribus quidem ex citari queant. Tunc mirum in modum veterno pinguescunt. Illi sunt adipes medicaminibus apti, con traque capilli defluvium tenaces. Ab iis diebus resident, ac prioram pedum suctu vivunt. Fetas rigentes adprimendo pectori fovent, non alio in cubitu, quam ad ova volucres. Mirum dicla, credit Theophrastus, per id tempus coctas quoque ur sorum carnes, si adserventur, increscere. Cibi nulla tunc argumenta, nec nisi humoris minimum In alvo inveniri : sanguinis exiguas circa corda tantum guttas,reliquo corpori nihil inesse. Proce dant vere, sed mares praepingues: cujus rei causa non prompta est: quippe nec somno quidem sagi natis, praeter quatuordecim dies, ut dizimus. Exeuntes herbam quamdam aron nomine laxandis intestinis alioqui concreti· devorant, circaque surculos dentium praedomantes ora. Oculi eorum hebetantur : qua maxime causa favos expetunt, ut convulneratum ab apibus os levet sanguine gravedinem illam. Invalidissimum arso caput, quod leoni fortissimum : ideo urgente vi, praeci pitaturi se ex aliqua rupe, manibus eo operto jaduntur : ac saepe ia arena colapho infracto exa nimantor. Cerebro veneficium inesse Hispaniae credunt, oedsorumque in spectaculis capita cre mant, testato, quoniam potum in ursinam rabiem agat. Ingrediuntur et bipedes. Arborem aversi derepunt. Tauros, ex ore cornibusque eorum
LIII. 35. Gli istrici nascono in India e in Africa, i quali hanno le penne come gli spinosi, ma maggiori ; e quando distendono la pelle, le lanciano, e con esse feriscono i cani che gli se guitano, ma però poco lontano le posson trarre. Il verno sta nascoso, come molti altri animali, e massimamente gli ora. D e g l i oasi :
d el fak to lo b o .
L 1V. 36. Gli orsi vanno in amore nel princi pio del verno, non come Γ altre bestie, ma a gia cere, e abbracciali. Dipoi si ritirano separati in certe grotte, dove partoriscono il trentesimo giorno, e al più fanno cinque. Queste sono un pezzo di carne bianca, poco maggiore che un to po, senza occhi e senza pelo ; solamente si cono scono l’ nnghie : ma la madre leccandogli a poco à poco gli forma. Ni cosa alcuna più di rado s’ è vista, che P orsa partorire. Per qnesto i maschi stanno ascosi quaranta giorni, e la femmina quat tro mesi. E se non hanno grotte, con una rauoata di rami e di arbusti fanno luoghi che l’acqua non vi può entrare, e letti morbidi di fronde. I primi quattordici giorni sono aggravati da profondo sonno, che nè anco con le ferite si polrebbon destare. Allora essi maravigliosamente ingrassano per quel dormire. E quel lor grasso è buono a molte medicine, e massimamente a far fermare i capegli, che cascano. Dopo questi giorni si pon gono a sedere, e vivono còl succiarsi i piè dinan zi. Covano i figli loro difendendogli dal freddo, come gli uccelli Puova. Cosa maravigliosa a dirsi, l'eofrasto crede che anco la carne dell’orso cotta in quel tempo, serbandosi, cresca. Nè si vede al lora in essi alcun segno di cibo, se non un poco di umore nel ventre, e certe piccole goccie di san· gue intorno al cuore : nel resto del corpo non ce n'è nulla. Escono fuora la primavera, ma i maschi grassissimi, nè si sa la cagione di ciò, perciocché essi non si son già ingrassati per troppo dormire, perchè non hanno dormito più che quattordici giorni, come abbiam detto. Quando escon fuora, mangiano una certa erba, che si chiama aron, buona per allargare le budella, altrimenti ritu rale. Quando mettono i denti, sono intorno ai teneri piantoni, per avvezzar la bocca. Gli occhi loro ingrossano spesso il vedere, e perciò vanno agU sciami, per farsi pungere la bocca dalle pec chie, e così alleggerire quella gravezza del sangue. L1 orso ha il capo debolissimo, dove il lione Γ ha fortissimo, e perciò quando la (ona gli strigne,
HISTORIARUM MUNDI LIB. VIII.
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pedibus omnibas suspensi, pondere fatigant Nec alteri anlroalinm in maleficio sluititia solertior. Annalibus notatam est, M. Pisone, M. Messala ooss. a. d. xiT kalendas Oclobr. Domitium Abenobarbum aedilem curulem unos Numidicos centum, et totidem venatores Aethiopas in Circo dedisse. Miror adjectam Namidicos foisse, cum in Africa ursum non gigni constet.
Db HDusm P ovncis, bt A lpibu .
7M
avendosi a precepitare da qualche ripa, si gettano, ma si cooprono il capo con le zampe anteriori, onde spesse volte in teatro se è veduto ammaz zargli solo con dar loro un pugno sul capo. Cre dono in 1spsgna, che il cervello loro si adoperi a fare incanti e malie, e per questo abbruciano i capi di quei, che son morti negli spettacoli, affer mando che chi lo bee si converte in rabbia di orso. Vanno in due piedi ancora. Scendono degli alberi col capo innanzi. Straccano i tori col peso, attaccandosi loro con tutti i piedi alla bocca e alle corna. E non e' è altro animale più malizioso nè più pazzo di loi. Trovasi nell* istorie, che es sendo consoli Marco Pisone, e Marco Messala, ai diciotto di Settembre, Domizio Enobarbo edile curale condusse in teatro cento orsi di Namidia, e altrettanti cacciatori Etiopi. E maravigliomi, come ei dicesse di Nomidia, poiché in Africa non nascono orsi. Dei
topi
P o stici, b A lpibi.
L ?. 37. Conduntor hieme et Pontici mnres, hi dumtaxat albi: qoorom palatam in gasta sagacissimam, auctores quonam modo intellexe rint, miror. Condontur et Alpini, quibas magni· lodo melium est ; sed hi pabulo ante in speou convecto, cum qoidam narrent alternos marem •c feminam, supra se complexo fasce herbae, supinos, cauda mordicus adprehensa, invicem detrahi ad specam, ideoque illo tempore detrito esse dorso. Sunt his pares et in Aegypto : rimiUterque resident in clunes, et binis pedibus gra diuntur, prioribnsque ut manibus utantur.
LV. 37. 1 topi Pontici si nascondono il verno, e questi solamente son bianchi : ma ben mi ma raviglio, come gli scrittori abbiano potuto sapere, che qaesti animali abbiano sottilissimo gusto. Nascondonsi pncora gli Alpini, i quali sono del la grandezza dei meli ; ma questi portano prima nella tana vettovaglia per mangiare. Dicono al enai, che ora il maschio, or la femmina si arro vesciano 1* un 1*altro, e si pongono sul corpo un fascio di erba, e poi pigliando là coda coi denti si tirano alla lana, e perciò sempre in quel tempo hanno pelata la schiena. Sono in Egitto altri topi rimili a questi, i quali similmente seggono, e van no in due piedi, e servonsl di quei dinanzi in luogo di mani.
D b HBB1BACBIS.
Db* bicci.
LVI. Praeparant hiemi et herinacei cibos : ac volutati supra jacentia poma adfixa spinis, anum amplius tenentes ore, portant in cavas arbores, lidem mutationem Aquilonis in A astrum, conden tes se in cabile praesagiunt. Ubi vero sensere venantem contracto ore pedibusque, ac parte omni inferiore, qua raram et innocuam habent lanuginem, convolvuntur in formam pilae, ne quid comprehendi possit praeter aculeos. In des peratione vero, urinam ex se reddunt tabificam, tergori suo spinisque noxiam, propter hoc se capi gnari. Qnamobrem exinanita prius orina venari, ars est E t tum praecipua dos tergori, alias corrupto, fragili, patribus spinis atqae deciduis, etiam si vivat subtractas faga : ob id non nisi in novissima spe maleficio eo perfunditur : quippe
LV 1. I ricci, altrimenti spinosi, ripongono i cibi per lo verno, e voltolandosi salle mele e al tri fruiti, in quel modo gli infilzano nei loro spi ni, e cosi gli portano negli alberi incavali, dove hanno i lor covili, non ne tenendo in bocca più che uno. Presagiscono la mutazione del vento di tramontana in mezzogiorno nascondendosi nel lor covile. Quando sentono il cacciatore, s'aggo mitolano in forma, che, rannicchiato il muso e le gambe, prendono esteriormente la forma di palla, non presentando altro che i loro spini, rari sì, ma che guarentiscono il corpo loro da esterne offese. Qaando però veggono non aver più rime dio, gettano Porina, la quale è nociva alla pelle e agli spini, conoscendo che solo per aver quelli son presi. Però Γartificio del cacciare a queste bestie,
G. PU N II SECUNDI
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ei ipsi odore tfaum venefidum, ita parcentes tibi, terminumque supremum opperientes, ot ferme aote captività· occupet. Calidae postea aquae adspersu resolvitur pile: adprehensusqae pede •Itero e posterioribus, suspendio ac fame necator: aliter non est occidere, el tergori parcere. Ipsum animal, non ut reo tur plerique, vitae hominom supervacuum est: si non sint illi aculei, frustra TeUerum molliti·· iti pecude mortalibus data: hac cute expoliuntur vestes. Magnum fraus et ibi lucrum monopolio Invenit, de nulla re crebrio ribus senatusconsultis, nulloque non principe adito qufcrimoniis provincialibus.
D b LBomoPHOBO :
d b ly h c b .
LV 1I. 36. Urinae et e dobus alita animalibus ratio mira eat. Leontophonon aocipimas vocari parvum, nec aliubi naeeena quam ubi leo gignitur: qno gustato tanta illa via, ul ceteris quadropedam imperitans, illico exspiret. Ergo corpus efus ady crg o st afiis carnibus polentae modo, iasidiantes ferae, neoantque etiam cinere. Tam oontraria est pestis. Haud immerito igitur odit leo, visumque frangit, et eitra* morsum exanimat Ille contra urinam spargit, prudens hanc quoque leoni exi tialem.
Lyncum humor ita redditus, ubi gignuntur, glaciatur arescitve in gemmas carbunculis similes, et igneo eoiore fulgentes, lyncurium toeatas, atque ob id succino ' a plerisque ita generari prodito; Novere hoc, sciunlque lynces, et invi dentes urinam terra operiunt, eoque celerius solidatur iUa. · Mslbs : scremi. LV 111. Alia soiertia in metu melibus ; suffla tae cutis distentu ictos hominum et morsati canum arcent. Provident tempestatem et sdori : obturalisqoe, qua spiraturas est venias, eavernis,ex alia parte aperiant fores : de cetere ipsis villosior eauda pro tegumento èst. Ergo in hiemes aliis provisum pabulum, aliis prtf cibo somnos.
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è di lasciare che prima sien vote d’orina; e allora la pelle è buona, e gli spini non caggiono ; altrimenti *' infracida e corrompe, ancor se vivesse : perciò non si bagnan mai d'orina, se non quan do hanno perduto ogni speranza, perciocché an cora essi hanno in odio il lor veneficio, e eoe! se ne astengono, aspettando Γ ultimo termine, che ei stian per esser presi. Il gomitolo, che han fetta, si risolve gettandovi sopra deU’acqua calda, e Panimale a’ impicca per nn piè di dietro, lascian dolo morir di fame : altrimenti non si uccide, nè la pelle si pud conservare. Questo animale non è, oome stimano molti, disutile alla vita delToomo : se non ci fossero quegli spini, inutile ne torne rebbe la mollezza della lana, perocché con quelli le vesti si ripuliscono. E la fraude ancor qui ha trovato guadagno, per lo appalto, non spessendo fatte maggiori ordinazioni in senato di niuna altra cosa; e non c' è principe, a coi le province di dò aon abbiao fatto querela. D el
lboh tofoko
:
d e l lc po c k b v ik x o .
LVII. 36. Due altri animali hanno mirabile fona nell’ orina loro. 11 leontofono, doè amazzaleooe, è on piooolo animale, il quale non nasce altrove, se non dove è il lione ; ed è di tal forza e natara, die il lione, qael re di tatti i quadru pedi, muore sobito die n’ ha mangiato. Però i eaodatori seccano questo «nimatettov e assem brano di qnesle oon la altre carni in f o r a i di pattona, le quali gettano insidiosamente al leone, e cosà lo aeddono : il medesimo effetto fa aneora la cenere di esso leontofono. Meritamente dun que il lione P ha in odio, e come l’ ha vedalo lo percuote, e senza morderlo altrimenti Pammaxza. Egli all1incontro gli spruzza addosso della ana orina, sapendo che anch’essa è mortale al lione. L*orina de* lopicervieri fetta dove essi na scono, si congela, e indurisce in gemme tiu ffi a carbonchi, riaplendendo con color di fuoco, e sì chàaman lincuriL Cosi «redono alenai ehe ά lin da aneo 1* ambra. Gonoacono e sanno d ò i Inpicervieri, e avendone invidia, oeprono Torini con la terra, la quale tanto pià tosto si rassoda. Db' Kbli :
o bo li
scim i. "
LV 1U. Dn’ altra industria hanno i meli nella lor paura, che col distender la pdle gonfiata, uà difendono dalle percosse degli nomini, e da*morsi de* cani. Gli sduri, altrimenti scoiattoli, pre veggono il mal tempo ; e perdò tarando le lo r caverne per dove ha da soffiare il vento, apron o i* uscita dall* altra parte. Benno la oodi* m ollo pilo**, la quale usano per coprirà. La naturai
HISTORIARUM MUNDI LIB. VUI.
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dunque ha provvisto il verno agli animali, a chi il mangiare, e a chi U dormir in cambio di questo. D i vivane
D u u virata b dille «nocciole.
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L 1X. 3$. Serpentium vipera «ole terra dicitur candì : ed a m arborum «al saxorum cavi·. Et alias vai annua Cune durant, algore modo dempto. Omnia secessus tempore veneuo orba dormiunt. Simili modo et oochlaae. Illae quidem iterum et aestati boa, adhaerentes maxime saxis : aut etiam injuria resupinatae avulsaeqne, non tamen exeuntes. In Balearibus vero insulis cavatieae ap pellatae, non prorepunt e oavis terrae, neque bosrbu vivunt, aed uvae modo inter se cohaerent. Est «t aliud genus minus vulgare, adhaerente «perenta ejusdem testae ae operiens: obrutae terra semper hae,eteirca maritimas tantum Alpes quondam sffossae, coepere jam «rui et in Veli terno. . Oainmm taaaeu hudatissimae mAstypalaea insula.
L 1X. 39. Sola la vipera fra i serpenti si dice che si nasconde nella terra : gli altri s’ascondono o fra sassi, o in alberi bucati. Per altro stanno un anno tenta mangiare, purché non abbian freddo. Tutti quando tono ascosi, dormono senta veleno. Le chioociole aoch’ esse si nascondono. Ma elle si ripongono anco la state, massimamente at taccandosi a sassi, in modo che anoora per fona spiccate e arrovesciate non eseon fuori. Nell’isole Baleariche son chioociole chiamate cavatiche, le quali non escon della cava della terra, nè v ìv o d d’ erba, ma a modo d’ uva stanno appiccate in sidine. Sooci altre chioociole manoo conosciute, le quali si cuoprono sotto un medesimo guscio, e stanno sempre sotterrate : per il passato si cava vano solamente circa TAlpi marittime, oggi si cavano ancora nel paese di Veletri. Ma le migliori di tutte Γ altre sono nell’ isola Astipaloa.
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DBLLB X.VCBUTOU.
L X . Laecctae, inimicissimum genus cochleis, ■agantur semestrem vitam excedere. Incerti Ara· i>iae-cubitales, in ludiae vero Nysa monte, xxiv jb ieogitudiaau pedum, colore fulvi, aut poni«ei,- as t caerulei.
LX. Le lucertole sono inimicissiine alle chioc ciole, e dicesi che non vivono più che sei mesi. In Arabia sono lunghe un braccio. In India nel monte Nisa son lunghe ventiquattro piedi: e sonvi delle gialle, delie rosse, e delle verdi.
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I PADBOUl. C o i OSÒ SCU1BBB DI CASI I I U B BA1V T A G LI*.
LXI. 40. E x ds quoque atrimilibas, quaenobiscnm degunt, multa sunt cògnita dìgna: fidefluiuiumque abte omnia homini eanis, atque equns. Pugnasse adverras latrones canem pro dòmino accepimus,oonfoctumque plagis acorpore t M r>oessisse,wlncrce et feras abigentem. Ab alio i a Epire agnitum iu conventu percussorem domi ni, lauiatuque, et latratu eoactntn M iri seduè. Garamantum regem canes ducenti ab exsilio re duxere, proeKati contra resistentes. Propter bella Colophonii, ftetuque Caatabalenscs, cohortes ca vam Imbuere 1 hae primae dlmieabant In acie nunquam detrectantes: haee erant fiddieslma -atftflia, neo stipendiorum indiga. Ganea defendere Gfatbri» eaesis domus eorum plaustris impositae. J€èirie Jasone Lycio interfecto, elbum capere ttotait* 4ae
LXI. 4 0 . Degli animali, ehe vivono eoa esso noi, ci sono molte oose degne di sapersi ; a piò che gli altri animali, fedelissimi sono al suo si gnore il cane e il cavallo. Io ho già udito dire, •die un euoe eombattè per lo suo signore contra gli aisasiiui, il quale essendo mal concio dalle ferite, non abbandonò mai H oorpo morto, ma stette quivi fermo a cacciar le fiere e gli ueeeHi. Un1altro in Epiro riconoscendo colai, che aveva morto il suo signore, con Γ abbaiare e oel mor dere lo eostrinse a confessare il delitto comues· so. Dugento cani rimisero in istato i re de’Garamanti, combattendo centra ehi face* loro contra tte. 1 Colofoni! · i Castabalesi mantenevano ndle guerre le schiere de’cani : queste erano le prime a combattere, e non rifiutavano mai la battaglia. Era questo un fedelissimo aiuto,e non avea bisogno di paga. I cani, essendo morti i Cimbri, difesero I lo r case poste su carri. 11 cane di Giasoa Li-
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C. PLINII SECONDI
Hieronis regis. Memorat et Pyrrham Geloni· tyranni canem Philistus. Memorator et Nicomedi* Bithyniae regi·, nxore ejos Cdnsingi lacerata, propter lasciviorem cum marito jocum. Apud nos Volcatium nobilem, qui Cascellium jus civile docuit, asturcone e suburbano redeuntem, cum advesperavisset, canis a grassatore defendit. Item Caelium senatorem aegrum Placentiae ab armatis oppressum : nec prius ille vulneratus est, quam cane interempto. Sed super omnia in nostro aevo actis populi Romani testatum, Appio Junio et P. Silio coss. cum animadverteretur ex causa Nero nis Germanici filii, in Titium Sabinum, et servilia ejus, unius ex his canem nec a carcere abigi potuis se, nec a corpore recessisse abjecti in gradibus Gemoniis, moestos edentem ululatu·, magna populi Romani corona : ex qua com quidam ei cibum objecisset, ad os defuncti tulisse. Innatavit id?m cadaver in Tiberim abjecti sustentare cona tus, effusa multitudine ad spectandum animalis fidem.
Soli dominum novere : el igootum quoque, ai repente veniat, intelligunt. Soli nomina sua, soli vocem domesticam agnoscunt. Itinera, quam vis longa, meminere. Nec ulli praeter hominem memoria major. Impetus eorum el saevitia miti· fa la r ab homine oonsidente hami.
Plurima alia in his quoque vita invenit. Sed in venatu solertia et sagacitas praeeipua est Scru tatur vestigia atque persequitur, comitantem ad feram inquisitorem loro traheas: qua visa qfam silens et occulta, quam significans demonstratio est, canda primum, deinde rostro I Ergo etiam •enecta fessos,' caecosque, ac debiles sinu ferunt, ventos el odorem captante·, prodentesque rostro cubilia. E tigribus eos Indi volunt concipi : et ob id in ailvis coitus tempore alligant feminas. Primo et seeundo fetu nimis feroces putant gigni: terlio demum educant Hoc idem e lupis Galli, quorum greges suam quisque ductorem e cani bus et ducem habent Ulum in venata comitantur, illi pavent. Namque inter se exeMent etiam ma-
ciò, morto che fa il suo signore, mai non volo mangiare, e così morì di fame. Scrive Dori, ebe un cane, il quale avea nome Ireano, si gittò nel fuoco, dove ardeva il corpo dd re Lisimaco ; e così fece un altro del re Gerone. Filisto nomina ancora Pirro, cane del tiranno Gelone. Oioeai ancora, che Consinge moglie di Nicomede re di Bitinia scherzando molto lascivamente col ma rito, fu sbranata dal suo cane. Appresso di noi Volcazio nobile, il quale insegnò ragion civile a Cascellio, ritornando di villa sopra una ehinea in sul far ddla sera, abbattutosi in uno assassino, ne fu difeso da un cane. E CeSo senatore, tro vandosi ammalato in Piacente, un cane si mise a difenderlo contra parecchi uomini armati: nè questi lo poterono ferire, se prima non ammas sarono il cane. Ma nessun altro esempio va sopra a quello che si legge nelle storie d d popolo Ro mano, avvenuto a1 tempi nostri. Questo è, d ie sotto Appio Giorno · Publio Silio consoli, es sendo condannati a morte Tito Sabino e I suoi .servi per cagione di Nerone figliuol di Ger manico, il cane d’ uno d’ essi non si potè mai cacciare dell· carcere, nè far partire dd cor po morto, g:ttato giù dalle scale Gemonie; che anzi si fermò quivi mettendo grandissime urla, essendogli intorno gran moltitudine del popol Romano: e dandogli uno di qoesti dd pane, esso Io portò alla bocca dd morto. Essendo poi gettato il corpo morto nd Tevere, egli si mise a nuotar per lo fiume, sforzandosi di sostenerlo, traendo gran numero di persone a vedere la feddti di questo animde. Essi soli conoscono il padrone, e conoscono ancora chi non è di casa, subito ohe e’ giugne. Soli essi intenddno i nomi loro, e la voce d d padrone. Ricordansi di tutto il cammino, ebe hanno fatto, ancora eh’ e* sia lungo. Nè alcuno altro animale, fuor che l’uomo, ha memoria mag giore. La furia e la cruddtà loro si mitiga, met tendosi l’ uomo in terra a giacere. Molte altre cose si trovano alla pom ata in qoesto animde. Ha grandissima astuzia e sagacitè nella caccia. Egli si mette sulla traccia, e tut tavia segue la fiera, e spesso vi tira il cacciatore per lo guinzaglio, mostrandogli tacitamente, ma però coi segni pià espressivi, dove dia è asoosa» prima con la coda, e poi col muso. Però qoesti tali i cacciatori seli portano (ira le braccia,-se eoa vecchi, o deehi, perché sentono a naso la fiera, e col muso mostrano il covile. Gli Indiani vogliono che sien cani ingenerati di tigri : e perciò nel tempo che le cagne sono in amore, le legano nei boschi. La prima e la seconda figliatura aon trop po fieri, la terza finalmente gli dlevano. In Galli· nascono di lupi, e ogni branco di questi ha on
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HISTOftlAHUM MUNDI UB. Vili.
fiatarla. Certum est juxla Nilam u u e m correnk> la a b flrM a « to odihw wMitoti onwiionm p reteso I. In d iw petenti Alexandro Magno, rex Albaniae dono dederat inusitatae magnitudini* « u n t cujasspecie delectata* jussitnrsos, mox apre·, «I deinde dama» «milti, eoitytemplo immo bili jaeente 90. Qua segnitie tanti ©orpori* offeamu imperator generosi spiritus,. eam interimi jossit. Nuntiavit hoc fama regi. Ilaqae alleram miUens addidit mandata, ne in partis experiri vellet, sed in leone, elephaatove. Duo· «ibi Ini»* •e : hoc interempto, praeterea nullum fore. Nec distali! Alexander, leonemque Iraetnm protinus vidit. Postea elephantum jussit induci, haud alio magis spectaculo laetatas. Horrentibus quippe per totam corpus viliis, ingenti primnm lalnta intonuit : moxque increvit adaullaus, contraqae beli nam exsurgens hinc et illinc, artifici dimica tione, qua maxime opus esset, infestans atque evitans, donee assidua rotatam vertigine adflixit, ad casum ejos tellure concussa.
Da OOUATKMB I 0MM. L X 1L Cianaai generi bis anno partas. Justa ad pariendam annua aetas. Gerant ateram sexa genis diebus. Gignant eaeoos : et quo largiore aluntar lacte, eo tardiorem visam aceipiani] non tamen nmqnara altra vioesimam primam diem, nee sate septimam. Quidam tradant, si nnas gi gnatur, nono die cernere ; ai gemini, deaimo: idemqae in singolo· adjici, lotidemque esse tar ditatis ad laoam die·: et ab ea, quae femioa sii ex primipara genita, eitius cerai. Optimus in fitta qui novissimus cernere incipit, aat qaem pri mam fert in cabile feta.
Co i t u lA B tu nnnpiA. LXU 1. Alisei capum Sirio ardente bottini pestifera, nt diximus, ita morsis letali aquae meta. Quapropter obviam itur per xxx eos die·, galli naceo maxime fimo immixto eanam cibis : aat ai .praevenerit morbus, vecatro.
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cane, il quale guida gli altri. Nella caccia van dietro ad esso, e lo ubbidiscono : perooehè fanao comuni tra sè ancora le loro faocende. In Egit to quando beono nel Nilo, beono correndo, per non essere appostati dal crocodilo. Andando in India Alessandro Magno, il re d’ Albania gli avea donato un grandissimo cane, il quale essen dogli piaciuto mollo, comandò ehe fosse messo contra orsi, poi cinghiali, e finalmente caprioli ; dove esso facendosene beffe, non si mosse mai. Perché Alessandro di generoso spirito, credendo eh1 egli avesse, beochò di sì gran mole di corpo, fatto ciò per viltà, e pigrizia, lo fece ammazzare. Il re intendendo questo, gliene mandò a donare un altro, facendogli sapere che non lo volesse provate in animali piocoli, ma lo adoperasse conira lioni, o elefanti; e soggiunse, ehe non n’ avea avuti se non due, e morto questo, non n1 avea piò. Fece Alessandro la praova, e tubilo vide ch'egli sbranò un lione. Dipoi lo mise a uno elefante ; nè mai quel re vide ooeache pià il dilettasse. Il cane prima arricciò latto il pela, e abbaiò quasi come se tonasse: dipoi assaltò la fiera, e contra essa aliandosi di qua e di là eoa artificiosa battaglia, e ora, ferendo ove piò vedea neoessario, ora fuggendo, finalmente lo straccò, e geltollo in terra, che di quella caduta tremò tutta. D il l a
lo io
oum aAiion.
LXII. 1 cani figliano ogni anno doe volte, « in capo all'anno i nati .cominciano a figliare. Portano il parto due mesi, e fannogli ciechi ; e quanto essi hanno più dovizia di latte, tanto piò tardi apron gli occhi : non passan però mai ventua dì, nè anco gli aprono innanzi a'sette. Dicono alcuni, che se ne nasce an «ola, egli apre gli occhi in capo a nove giorni ; se nascon due, in capo a dieci : e così per ognun ·* aggiagoe an giorno di pià alla tardanza del vedere, e quegli veggoa prima, che nascono di cagna, che non ha pià figliato. )1 miglior cane è quello, di* è ultimo ad aprir gli occhi, o quello che la cagna porla primo nel covile. U m id ii c o x n o
la e a w a
01
assi.
. LX 11I. La rabbia de* cani è pestifera all* uo mo ne' dì caniculari, come abbiam detto ; e così a coloro che son morsi, quando hanno paura delP acqua, è seguo mortale. Per la qual cosa se gli rimedia per qnei .trenta dì, mescolando il man giar dei. cani con lo sterco della gallina, o se già fossero arrabbiali, si mescola con una. erba, che •i chiama veratro, altrimenti elleboro.
G. PU N II SECONDI
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14, A morto veto unicum remedium oracolo qw dim nuper reportata, radii silvestris rosae, qoae eybor#hodos appellatur. Columella auctor est, si qoadragesimo die, quam sit natus* castratur mors* ctfuda, iummusqde ejus articulas auferatur, sequenti nervo exempto^ nec Cendant crescere, nec canes ràbidos fieri. Canem locutum, in prodigiis (quod equidem addotaverim ) accepi» mus: et serpentem latrasse, quum pulsus est regno Tarquinius.
E qcoru·
satura.
LXIV. 43. Eidem Alexandro et equi magna raritas contigit : Bucephaton eam vocarunt, rive ab aspectu torro, erre ab iuttgni taurini capitis, armo impressi* Tredeoim talentis ferant ex Phiknmei Pharsalii grege emptum, etiam tum puero •apto ejds deòòre. Neminem bie alium, quam Atsxabdnun, regio instratas ornata, recepit in sedem* *Kos passim recipiens. Idéra in proeliis ebemorata* cnjusdam perbibetur operae, Thebatuin oppugnatione vulaeratus in alium transire AtaUndriim non pàssds; multi praeterea ejusdem modi* propter qoae rex defbncto eidttxit et sequitt : nrbentquem tumulo circumdedit nomind ejus. Nec Caesaris dictatoris qaemqaam aliam recepisse dorso equus traditur : idemque huma nis similes pedéS priores hàbnSsée hac effigie locatas ante Veneria Genetricis aedem. Fecit et divus Augustas equo tumulum, de quo Ger manici Caesaris carmen est. Agrigenti cempltt» rium equorum tumuli pyramide· habeat. Equum adamatum a Bemiramide usqae in eoltum, Jaba aaator est* Seythim quidem eqaitatas equo*· fém gloria strepant Occiso regalo ex provo·· catione dimieaate, hostem quum vietor ad spoliandum venisset, ab equo ejus ictibus fnorsuque omfeitoffl. Atiam detracto oculorom opcrimento, et cognito cvm matre coitu, petiisse praeraptit atque exanimatam. Equae eadem ex eansa in lUatino agro laceratum prorigam invenimus. Namqde et cognationum intellectus fa iis estt atque in grege prioris anni sofrore libentius etiam, quam matre, equa comitatur. Docilitas tanta est, Ut universa» 9ybifitafti efcerdtus eqai· tatas ad symphoniae cantum saltatione quadam moveri solitos inveniatur. Hdem praesagiunt pu gnami et amissos lugent dominos, lacrymasqae interdum desiderio faeduat. Interfecto Nieomode rege t ^ n i ejus inedia vitam finivit. Phylar» ehastrefert CentareCum t Galatis, in prodio occiso Antiocho, potitudi equo ejus eonsoendisse ovantem. At iHom indignitrone accensum demitis frenis, ne regi posset, praecipitem in abrupta
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4 r. Al morso del caée arrabbiato fe’ è oào
unico rimedio, travato, aoo è molto, per ostio oracolo, Ia radice della rosa salvatfea, die si chia ma (ftnèroda. Scrive GotumeUe, ehe seU qaavatt* tesimo dì, die il aane è nato, se gli raotaa la coda co* denti, e se gli spicea ii primo nodo d* essa in modo die ii seguente nervo se ne tragga, la ooda non cresce, e il cane mai non arrabbia. Ho letto ne* prodigii (nè voglio tacerne), ehe un cane la · vellò già, e die una serpe abbaiò qoeli'amto, che H re Tarquinio fa cacciato. N it O li OSI CAVALLI.
LXIV. 4a· II medesimo Alessandro ebbe an cavallo rarissimo, che si chiamò IkftóefMo, o per il suo terribile appetto, ovvero perchè nèHa spal la egli aveva nn ségno di capo di bue. Compendili» «fltofa ftadutto sedici taterftl dalle ttaftdrfe di Pitonico Fersdlco, essendo intKgbito detta sua bellezza. Nessuno éssfcàdo egU eoli ortaamento reale volle mai addosso, se non Alessandro. Nella battaglia della presa di Tebe, essendo stato ferito Bucefalo, volle Alessandro montare in su ano altro cavallo, ma noi comportò Bucefalo. Per questo e per molte Altre cose simili Alessandro Fonorò e di esequie, e di sepoltura, e fecegli anoo iblorto una dttà, appellata dal suo nome. Diced ancora, ehe 31 cavallo di Cesare dittatore non volte essere caval cato da altri* eh · da lai, ed i m a i piedi dinanai come qud d’ ono nomo, e in questa forma fa posta la saa statua dinanzi al tempio di Venere Genltriee. ^imperadore Augusto a n d in i fece la sepoltura al sno cavallo, del qaale Cesar· Germa nta) scrisse an carme. In Agrigento, dttà di Siailia, sono molte sepolture e piramidi di oavalii. Scrive Giuba, che Semiramide amò tanto na cavallo, che osò eoa lui. Gii Sdii hanno nome di booai ca valli. Combattè già ua re loro a corpo a corpo, e avendo morto il nlmloo* a volandolo 'spogliare, il cavalla &? morsi e co'calei l*amtftaflaò. D bV tto cavallo, levatoci il panno, come conobbe eh* e* gli aveva usato con la madre, si giltòda et» riffe, e morì. Per questa medesima cagione troviamo, che una cavalla nd oontado di Rieti ammanò colai, che dà i cavalli alle cavalle. Peraocehè questi animali bonosooao il lwr parentado, onde nella razza il cavallo segue più volentieri la sua sorelli dell* atto* passito, che la madre. Sono Qaesti animali Unto docili, che tutta la cavalleria dello esercito Sibaritano usava muoversi al suo* ddla sinfonia a uso di danza. Essi presto» tono anoora la battaglia, « piangono la morte dd lor signori, sicché alcona volta s*è visto venir per dò loro le lagrime agli occhi. Essendo stato ammazzato il re Nieomede, il sno cavallo si
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HISTOftlAHUM MUNDI UB. V ili.
i w , «anima tnmque una. Philistus a Dionysio relictum in . anno baeientem, ni sese en ilw et, secutum vestigia domini, exanime apam jabae inhaerento: ooqueo«tentf tyraaaidem a Dionysio
Db w » m ii sQuoara. Mu i i k i ì o o m ia u n i.
LX Vv I s f a i» eoram iaaaarrahiiia : jaeulantceebseqaia expcviualar, difficile· conalas o»rpo tè ipso nisuque invitantium. Jam tela hami col lari» equiti porrigunt. Nam in Cimo ad corrai functi, aon dabie intellectum adhortationis et gloriae (stentar. Claadii Caesaris aeeularlam ludorum Circensibus, excusso ia caroeribas au riga Albeto Carace, occupavere prima: tum obtinuere, opponentes, effisndentes, omniaque coatra aemulos, quae debuissent peritissimo au riga insistente, {sciente·: quum puderet homi nem artem ab equis vinci, peraeto legitime corso ad metam stetere. Maju# agurium apud prisoos, plebejis Circensibus excusso auriga, ita ut si starei, ia Capilotiom cpearrisse eqoo·, eedemqoe ter iastraese·: maximam vero eodem pervenisse ab Vejia eum palaia et corons, «A mo Rato mena, qui ibi «scerai : and* postea nomen portae est.
Sarmatae longinqua itinera acturi, inedia pridie praeparant eos, potum exiguum impertien tes? atqae ita per centena miUia et quinquaginta eentnuo cursu euntibus insident. Vivnnt annis quidam quinquagenis, feminae minore spatio : caedem quinquennio finem crescendi capiunt, mares anno addito. Forma equorum, quales maxime legi oporteat, pulcherrime quidem Vir gilio vate absoluta est. Sed et nos diximus in libro de jaculatione equestri condito : et fere in ter omnes contare video. Diversa autem Circo ratio quaeritur. Itaque quum bimi in alio subi gantur imperio, non ante quinquennes ibi certa men accipit.
lasciò morir di feme.Scrive Filarco,obe Centareto, un dei Gelati, essendo morto Antioco in batta glia, prese il suo cavallo, e vi salì sopra, facendo allegrezza. Perchè il cavallo di d ò sdegnato, preso il freno, acciocché non potesse esser retto, si giitò giù per certe ripe, e mori con Ini. Sem e Filislo, che Dionisio lasciò il suo cavalle nel fango, per aiutarsi, il quale dipoi uscito fuori seguitò il sno signore, avendo attaccato ai essai uno sciame di pcochie: il che fu un prodigio, ehe Dioaisio dovea occupare la tirpnnide. D b u ’ i*
i * cavalli. Mauavioub ορκαατ* da e n n QUAMioaa.
LXV. Soao di mirabile ingegno, oome provaa coloro, che lanciano a oavallo, perchè essi invi tano e aiutalo con la persona loro e oon l ' im peto le difficili iasioni. E già raceolgen le lanoe di terra, e porgente a ohi è lor sopra. Pcrehè nel Circo legati alla carretta senta dubbio fanne seguo di intendere l’esortatioal e la gloria. Nel giuochi secolari di Claudio imperadore i cavalli guidati da Albato Corace ebbero la vittoria, ben ché costui fosse caduto nel prinejpio dd cono* dando impaccio agli altri, forviando all1uopo, e incendo coatro gli ornali loto tolte quelle cosa, ehe avrebbe saputo opmaadar loro un valeQtissirao carrettiere : cpoichè ebber fatto maravi gliare che P artifido degli uomini fu vinto dai cavalli, finito il corso, si fermarono dove s’aveano da fermare. Maggiore augurio videro gli anti chi nd giuochi plebd dd Circo, dove i cavalli, essendo caduto il carrettiere, corsero a d Capi tolio, come se egli vi fosse stato sopra, e Ire volte Γ attorniarono s. ma molto maggior fu, che essi giugnessero quivi dai Veii oon la palma e con la corona, gettato già Ratumena, il quale avea vinto quivi : onde la porla poi prese il aome. 1 Sarmati quando sono per fere lungo viaggio, preparano- i cavalli aon dando loro mangiare il di ipnaozi, e solamente danno loro un poco da bere) eoosì oortono cento cinquanta miglia senta fermarsi. Alcuni d'essi vivono cinquanta anni : le femmine vivon manco: queste finiscono di cresce re ne'dnque anni, i maschi nd sd. Quale debba essere la forma de* cavalli da preferirsi, Virgilio Γ ha descritto benissimo, e io n' ho parlato anco nd libro, eh’ io composi della iaculazione eque stre : e veggio che tntli siamo in ciò d* nn me desimo parere. Ma nd Circo si ricerca un' altro modo di fere. Perchè ancora che si domino per gli altri bisogni di due anni, nd Circo non si pigliano manco che di dnque anni.
G. PLINII SECONDI
999 GbEBEATIO
BQUOftUM.
LXVI. Parlam in eo genere undenis men sibus ferunt, duodecimo gignant. Coito· verno •equinootio, bimo utrimque, volgari·: sed a trinata firmior partas. Generat mas ad annos triginta tres, atpote qaum a Circo post vice· •Unam annum mittantur ad sobolem. Opunte et ad quadraginta dorasse tradunt, adjalum mo do in attollenda priore parte corporis. Sed ad generandum paucis animalium mimor fertilitas : qua de eausa per intervalla admissurae dantur : nec tamen quindecim initas ejusdem anni valet tolerare. Equarom libido extioguitur juba tonsa. Gignunt annis quadragesimum. Vixisse equum septuaginta quinque annos proditur. In boo ge nere gravida stans parit, praeterque ceteras fe tum diligit. Et sane equis amoris innasci venefi cium, hippomanes appellatam, in fronte, caricae magnitudine, colore nigro : quod statina edito parta devorat feta, aut partum ad ubera non ad m ittit Si quis praereptum habeat, olfacta in rabiem id genus agitur. Amissa parente in grege armenti, reliquae fetae educant orbum. Terram attingere ore triduo proximo, quam sit genitus, negant posse. Qao quis acrior, io bibendo pro fundius nares mergit Scythae per bella feminis uti malunt, quoniam urinam cursu non impedito reddant
V b HTO COBCiriSHTBS.
LXVII. Constat in Lusitania circa Olisiponem oppidum et Tagum amnem equas Favonio flante obversas animalem concipere spiritum, idque par tum fieri, et gigni pernicissimum ita : sed trien nium vitae non excedere. In eadem Hispania GaUaica gens est, et Asturica : equini generis ( hi eunt quos thieldones vocamus, minori forma ap pellatos asturcones ) gignunt, quibus non vulgaris in cursu gradus, sed mollis alterno crurum expli catu glomeratio : unde equis tolutim carpere in cursus traditur arte. Equo fere, qui homini mor bi, praeterque, vesicae conversio, sicut omoibus in genere veterino. D b asiais : gebkratio in ms. LXV 1U. 43. Asinum cccc millibus nummum emptum Q. Axio senatori, auctor est M. Varro : haud scio an omnium pretio animalium victo.
t i B U U U O U DE1CAVALLI.
LXVL Portano il parto undici mesi, e nei dodici generano. Vanno in amore nelTequinozio della primavera, essendo tramendani di due anni; ma quando son di tre anni, il parto è pià fermo. 11 maschio genera fino a trenlatrè anni, ma però dopo i venti anni son levati dalle corse Circensi, e adoperali per far razza. Diccsi, che in Opunte generano fino a quaranta anni, pur che sieoo aiutati a sollevare la parte del corpo dinanxL Pochi altri animali sono manco fertili a genera re ; e per ciò non si mettono fra le cavalle, ae non dopo intervallo di tempo ; n i però possono in nno anno montare pià di quindici volte. La lussuria delle cavalle si spegne col tosar loro i crini. Ingenerano ogni anno fino a' quaranta* Trovasi scritto che un cavallo visse settantaònque anni. La cavalla partorisce stando ritta, e più che akro animale ama il suo figlinolo. Nella fron te del cavallo è un poco di carne, grande quanto an fico seooo, che si chiama ippomane, di oolor nero, la quale è malfa a fare innamorare : la ma dre subito che ha figliato se lo mangia, altrimenti non d ì la poppa al figliuolo. Se però gli foase tolto innanzi, la madre se ne accorge all* odore, ed arrabbia. Se alcun puledro perde la madre, Γ altre cavalle V allevano. Dicono che i primi tre giorni, poi che egli è nato, non può toccare terra con la bocca. I migliori cavalli, beendo attuffano il muso più a fondo. Gli Sciti usano più volentieri le femmine, che i maschi in battaglia, perchè elle orirano senza fermare il corso. Cove
s'iHFKBGHAIIO LB CAVALLE VOLTE AL V O T O .
LXVH. Dicesi che in Portogallo appresso a Lisbona, e sul fiume Tago le cavalle volte al vento Favonio s 'impregnano di qoel fiato , e fanno cavalli velocissimi, i quali però non vivono più che tre anni. Nella stessa Spagna la G allali· e l’Asluria producon cavalli (che noi diciamo tieldoni, o, se son piccoli, asturconi), i qoali hanno nn corso non comune, ma un grazioso andar d'ambio con passo raddoppiato : onde si dice che s'avvezzano ir di portante ancora per artifizio. I cavalli hanno tutte l’ infermità, che l’ uomo, eccetto che quelle della vescica, come tutti quegli, che posson portar some. D e g li
Asini, e
lo e o gbhbaazioue.
LXV 1II. 43. Scrive Marco Varrone, che Q. Assio senatore comperò un asino quattrocento mille nummi ; il qual prezzo non 10 se abbia vinto il
•ο*
HISTORIARUM MtJNDI UB. VII.
Opera «ine dubio generi mirifica, arando quo prezzo di tatti gli altri animali. Egli è senza alcan que, sed mularum maximeprogeneratione. Patria dubbio otilissimo a portare, e a lavorare la terra etiam «pectatur in his, Arcadicis in Achaja, in ancora, ma principalmente si tiene per generar Italia Reatinis. Ipsum animal. frigoris maxime mole. Considerasi ancora in qoesti animali il impatiens; ideo non gèaeratur in Ponto : nec paese dove nascono : in Arcadia sono migliori qnei di Achaia, in Italia qnei di Rieti. Qaesto aequinoctio verno, ut cetera pecua, admittitur, sed aolslitio.Maresin remissione operis deteriores. animale teme molto il freddo ; perciò non nasce in Ponto: nè si lascia ire alle asine ndl'equinozio Partu· a tricesimo mense oeissimus, sed a trimatu legitimos: totidem, quot equae, et eisdem mensi- della primavera, come gli altri animali, ma nel et simili modo : sed ioconlinens uterus solstizio. I maschi nella intermissione dell’ opera sono più deboli. 11 parto è prestissimo dopo urinam genitalem reddit, ni cogator in cursum trenta mesi, ma di tre anni figliano a tempo. La' verberibus a, coito. Raro geminos parit: pari tura Inoam fagit* et.tenebras quaerit, ne conspi- asina porta tanti mesi, quanti le cavalle, e nel ciatur ab homine. Gignit tota vita, qoae est ei> medesimo modo; ma il suo ventre rigetta il seme ad trigesimum annum. Partus oaritas sommai genitale, se dopo il eoito non si fa correre a sed aquarum taedium majus ; per ignes ad fetus colpi di bastone. Partorisce di rado più che ano, ’ Radant ; eaedem, si .rivos minimus intersit, hor e quando è per partorire, fogge la luce, e cerca il ‘ rent ila, u t. pede· omnino caveant lingere. Nee baio, per non esser veduta dall1 nomo. Figlia* nisi assaetos potant fontes, quae sont in pecua tutto il tempo, della siutvita, la quale arriva fino a trenta anni.'Amano assai i lor figliuoli,ma più* riis, atque,it* ut sicoo tramite ad potum eant: nec.panles traaseunt,per raritatem earnm trans può la paara die hanno dell* acqua. Andrébbono per lo fuoco a trovarli ; ma se elle hanno a nubentibus fluviis. Mirumqoe diotu, sitiunt: et si immutentur aquae, ut bibant cogendae-exofran.· passare nn rigagnolo, temono in modo, che non ‘ ardiscono mettervi il piede. Non beono che nei dacve.rant. Nec nisi spatiosa incubiunt laxitate: varia namque somno visa concipiunt, ictu pedum fonti de'lor pecorili, perché gii vi son prima’ crebro : qni niai per inane emicuerit, repulsa avvezze ; e non andrebbono ad essi se non per via asdotla, nè passerebbono ponti, se p«r qual dororis mjUeriea etandilaten UUoo affert. Qum stos ex iis opima praedia exaoperant. Notem est, che fessura vedessero il fiume. Ed è maravigliosa* ia. Celtiberia singola· qoadringentena millia cosa a dire, che avendo sete, e cambiando acqna, non beono se non sono sforzate e stimolale. nummorum emi. Ad mularum maxime parto·, aorium referre in.his et palpebrarum pilos ajont. Nè si mettono a giacere se non in luogo spazio Quamvis enim unicolor reliquo corpore, totidem so: dtrimenti si guastano i piedi, perciocché tamen colores, quot ibi fuere, reddit. Pollo· fanno strani sogni, e sognando traggono calci ; earum epulari Maecenas instituit, mullum eo dove se percotessero in cosa dura, e non nell’aria, tempore praelatos onagris; post, enm interiit s 'azzopperebbono. 11 frutto, che si trae di que auctoritas saporis. Asino molriente viso, celerrime sti animali, avanza ogni ottima possessione. Tro vasi che in Celtiberia l'asina è venduta quattro· id genas deficit. cento mila nummi. Per generar muli sopra tatto dicono che importano assai i peli degli oreochi e delle pdpebre. Perciocché ancora che il resto del corpo sia tutto d’un colore, se in quelle parti ci fu varietà, il molo ne trae seco la tinta. Fa Mece nate il primo, che comindò a mangiare le carni degli asini, e forono giudicate migliori, che quelle degli asini salvalichi. Dopo lai non · ’ è fililo conto di simil vivanda. Se uno asino è veduto morire, tutta la generazione di Ule asino perisce. H o LAXUM HATOBA, BJ BBLIQUOBUII JDMBRTOBOH.
N a t ORA DBLLB WOLB, B DBGLI ALTAl GIOMBMTL
LXIX. 44* **ino et equa mula gignitur mense lertiodecimo, animal viribas in labore· eximium. Ad tales partus equas neque quadrimis minores, neque decennibus majores legant : arce ri que ulrumque genas ab allero narrant, nisi in infantia ejus generis, qood ineat, lacte hausto.
LXIX. 44* D dl’ asino e della cavalla nasce il mulo il tredicesimo mese, animde ecceHentissimo a portare la fatica. A simili parti tolgono le cavalle, che non abbian manco di quattro anni, nè piò di died : Tana specie di questi animdi caccia l’altra, se nella fanciullezza l’uno noa gustò
C. PUNII SECONDI Quapropter subreptos palio* io tenebri· equarum oberi, asinarumve eqauleos admovent Gignitur aatem mola ex eqoo et asina, sed efireni·, et tar ditatis iadomitac : leota omnia eie, ut vetuli·· Conceptam ex eqoo, secata· asini coito·, aborto perimit : non item ex asioo eqai. Feminas a par to optime septimo die impleri, observatam est : mare· fatigatos melius implere. Qoae non prias, qoam dente·, quos pullinos appellant, jaciat, con ceperit, sterilis intelligitur, et quae non primo inita generare coeperit. Eqao et asina geoitos mare·, hionulo· aotiqoi vocabant : cootraqoe malo·, qaos asini et eqaae generarent. Obser vatam, t duobus diversis generibus nat», tertii generis fieri, et neatri parentum esse similia : eaque ipsa, quae sunt ita nata, non gignere, in omni animalium genere: idcirco molas noo parere. Est in annalibo· nostri·, pepcriue caepe: verum prodigii loco habitum. Theophrastus valgo pare re in Cappadocia tradit : sed e m id animat ibi •ai generi·. Molae calcitrato· inhibetor vini cre briore potu, Io ploriom Graecoram est monu mentis, cum equa muli coitu natum, quem voca verint gionom, id est, parvam mulam. Generantor. ex equa et onagris mansoefactis molae veloce· in corsa, daritia eximia pedam, verum strigoso corpore, indomito animo, sed generoso. Onagro et asina genitos, omnes antecellit. Onagri in Phry gia et Lycaonia praecipui. Polii· eoram, 'ceu praestantibus sapore, Africa gloriatur, quos lali siones appellant Mulam χ,χχχ aonis vixisse, Athenenieosiam monumentis apparet. Et gavisi namque, quum templum io arce facerent, quod derelictas senecta, scandentia jumenta comitato, nisuque exhortaretur, decretam fecere, « ne fru mentarii negotiatore· ab incerniculi» eam arce rent, »
De BUBUS, ET OBPEEATIO ΒΟΕΟΜ. LXX. 45. Bobos Indici· camelorum altitudo traditor, corno a ia latitudinem quaternorum pedum, in nostro orbe Epirotici· lain· a Pyrrhi ( ut ferunt )>jam inde regis cora. Id consecutas est, non aule quadrimatum ad partus vocando. Praegrande· iiaqae fuere, et hodieqoe reliquiae stirpium d orant. Al raoc ■»«"!*»*»«*
del latte della specie d e l’altr* : e però al baio mettono gli asinini alle poppe delle eavaUe, « i cavallini a quelle delle asine. Naso· la mula anco del cavallo e dell’asina, aaa sfrenata, e d'indomita tarditi tutta indugio come se foese dì veeehia età. Se l’ asino usa .eon Γ asina già pregna del cavallo, la fa sconciare, ma non per Io eoetrario. Egli à stato preso per ottima o n a u eh» le femmine · ’ empiano sette di dopo il parto, o n torna assai meglio che i maschi le empiano poiohò •ono affaticati. Quella, che non impregna prima che getti i denti, che ai chiama· pullini, s’ intende essere sterile, e quella anoora che 900 oemiocàa ingenerare la prima volta, ohe è montata. Gli an tichi chiamavano ranoll i flMschi nati del cavallo e dell'««ina : e per contrario muli* quei che na scevano d'asini e di cavaMe. E cosi ·’ è osservato, che di due nati di diversi generi, sì viene a fa r· un terso genere, il qnalenon somiglia n i al padre, ni alta madre: e quegli slessi animali, ehe nascono in tal modo, non ingenerano, in ogoi sorte di ani mali, e pereiò le mule non figlieno. Trovasi ner' nostVi annali, come spesse volto elle hanno par torito, ma ciò è stato tenuto per prodigio. Teofraftto serite che comunemente elle figliano in Cappadocia, ma qoivi «ono ankneli del suo genere. Qaando la n o i· trae cale», a volerndn far rimanere, se le dà spesso a ber vino. È scritto da molti Greci, che della cavalla e del molo ne è nato il già no, eioà pioeoi mulo. Nascono di cavalla e di asini salvatici domesticati mole veloci nel coreo, che heono i piedi-durìwimi, ma il cor po macilento} l'animo indomito, mia genero*». Ma quello, che nasce di nno asino selvatico e di una asina domestica, avanza tatti gli A r i. Otti mi «ono in Frigia e in Laeaonia gli asini astv»> tict. Gloriasi 1'.Africa dei puledri loro, i qnafi chiamano lalieioni. Trovasi nell’ istorie degli Ateniesi, che on mulo visse ottanta anni. E reilegraronsi, però che quando essi focevano il tem pio nella rocca, essendo stato abbandonato per vecchio, esso il meglio che poteva inanimava i giumenti a salirvi su, accompagnandoli e spin gendoli : onde gli Ateniesi fecero un decreto, « che i granaiuoli non lo potessero cacciare da' vagli. » D ei
buoi , b lobo gbhbbaziobb .
LXX. 45. Dicono che i buoi di India sono alti qnanto i cammelli, e ehe hanno le corna larghe quattro braccia. Nel* Europe sono in presto i boet Epirotici, dappoi che il re Pirro, come ai dice, ne ebbe cura. Egli ottenne d ò, per nbn gti tirare al parlo innanzi al quarto anno. Riuscirono dunque molto grandi,ed oggi c’è ancora di qudla
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HISTORIARUM MUNDI LIB. VIII.
fecondi talem poscantur,UOerantius tamen U iu k te tri generationem, quadrimi. Implent singuli deo as «odea « d u o . Ttodont antea», si.post coi. I m ad dextram partem abeant tauri, generatos B u t t e m : ei in laevam, femina·. Conceptio ano inita peragitor : qoae ai forte pererravit, vige· •imam post diem marem femina repetit. Pariant mente deeimo: qnidqoid anle genitam, inolile «st. Sant auctores, Ipso compiente decimam mèosem die parere. Gignant raro-geminos. Coi te# a Delphini exorto a. d. pridie nonas Januaria·, «liebo· triginta; aliquibus et «atumno : gentibas quidem, qaae laete vivunt, Ha dispeosatus, nt omni tempore anni superdtid alimentam. Tanri a o · saepiae, quem bi· die, ineant Boves anima· lana soli, et retro ambulantes pascantar : apadf GaramanUt qaidem baud aliter. Vita feminis, qaìadems autii longissima. : maribus, vicenis. Robor in qoiaquennata. Lavatione calidae aqoae traduntor pinguescere, et si quis incisa cate spiritam arundine in viscera adigat. Non degenere· • « •rimandi etiam minas laudalo aspecta. Piari* mnm lactis AJ’pinis, qaibas minimam corpori*, plarimam laboris, capite, non cervice, {unctis. Syriacis non sunt-palearia, sed gibber in dorso. Cariei quòque in parte Asiae foedi visu, tabere •operorrnm a «esvidbo· eminente, laxatu corni» bos, excellentes in opere narrantor : celero nigri coloris candidivi ad laborem damnantor. Tauris minora, qokm babos eornqa, tenoioraque. Domitara boom in trimatu : postéa sera, ante jtraema· tura. Optim» étm domito juvencus imbuitur. Socium enim laboris agriqaC voltane babemas boa animal, tantae apad priores eurae, ot sit joUr exempla damnatas a popolo Romano, die dicta^ qai concnbiiio procaci rore dmasom edisse se negante, occiderat bovem,*cloaqoe «exsiliam , tamquam'colono a » interempto.
Tanri· in aspecto generositas, torva fronte, aoribos setosi·, cornibos in procinto dimicatio* nem poscentibus. Sed tota comminatio prioribus in pedibu». Stat ira gKscente alternos replicans, spargensque in alvum arenam, et solus animatiom eo stimulo ardescens. Vidimo· ex imperi· dtmi-
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razza. Ma ora le vaeehe di ono anno si pigliano per figliare ; nondimeno di doe anni sarebbe (46 da comportare. 1 tori di quattro anni son buoni per ingenerare, e a eiascun toro ai danno dieci vacche il medesimo anno. E se dopo che hanno osato i tori vanno a man ritta, hanno generati maschi ; se a man manca, femmine. Le vacche impregnano in ooa volta, le quali se per sorte non ingravidano alla prima, di là a venti giorni on’altra volta vanoo al toro. Partoriscono il decimo mese, e ciò ehe nasce prima, non è boono. Sono autori che.dicono, che ella figlia quel giorno' appunto, che finisce il decimo mese. Di ra ne fanno due. Vanno in amore nd nascere del Delfino insino ai quattro di Gennaio, per trenta giorni | e alcool ancora ndrao tuono ; essendo cosi compartita questa figliatione fra le genti che vivono di latte, acciocché di ogni tempo ddl’anoo possano avere di questo dimenio. I tori non montano più che doe volle il giorno. Soli i buoi fra gli altri animali pascono anche camminando all' indietro, e appresso dei Garamanti non mai altrimenti. La vita delle femmine la più langa è qaindid anni, qudla dd maschi venti. La lor fortezza è nei cinque anni. Dicesi che elle in grassano col lavarsi con l'acqua calda, e ancora, se alcuno foracchiala la pelle con un bucduolo di canna,spinga lor aria internamente. Non sono sti mati vili quegli, che sono di meno lodato aspetto. Hanno di molto latte qod che sono nell* Alpi, > qoali hanno minor corpo, durano più fatica, se m congiungono per il capo, e non per il collo· In Soria non hanno la giogaia, ma uno scrigno solla schiena. In Caria, eh* è parte dell’Asia sono di bratto aspetto, e sulle spalle hanno uno scri gno, che pende dd oollo, · le corna distese : però •ono utili d lavoro: gli altri di color nero, o bianco* non sono buoni ebe da fatica. 1 tori hanno le corna minori, e piò sottili, che i buoi. Di tre anni i buoi si domano : dopo I tre anni, è tardi ; innanxi, è troppo tetto. Ottimamente d viene ad ammaestrare il giovenco col bue domo. Qoedo animde è nostro compagno alla fatica, a d governo ddla terra. Fo di tanto rispetto ap presto gli andebi, che d legge come fa condan nato uno accasato dal popolo Romano, perch’egli uccise aa boe per fcr mangiare ddla trippa ad un eoo vicino di villa ehe sosteneva di non averne mangiato md. Fu dunque condannato, e confi nalo, com’egli avesse morto il suo^colono. 1 tori sono di aspetto generoso, con la fronte minacciosa, gli orecchi setolati, e con le corna apparecchiate alla saffa. Ma tutte le minacce stanno ne* pie dinanzi : e qaando gli monta la stizza, pesta or con qaesto or con qaello, e man da la rena in aria : e solo fra tutti gli animali per
G. PLINII SECONDI canterei ideo jnonstratos,rotari, cornibus «den tei excipi, iteramqae resurgere, modo jacentes m homo lolla, bigarumque etiam corra citato, T«|et aarigas, insistere. Thessalorum gentis inTentum est, equo juxta quadrupedante corna insorta cervice (aaros necare : primus id specta» onlumdtditRomae Caesar dictator. Hinc victima* opimae, et lautissima deorum placatio. Hnic tan tum animali omnium, quibus procerior cauda, non statim nato consummatae, ut celeris, mensu rae ; crescit uni donec ad vestigia ima perveniat. Quamobrem victimarum probatio in vitulo, ul articulum suffraginis contingat : breviore non litant. Hoc quoque notatam, vitulos ad aras hu meris hominis allatos non fere litare, sicut nec claudicante, nec aliena hostia deos placari, nec trahente se ab eris. Est frequens in prodigiis priscorum, bovem locutum : quo nuntiato, senatam sub dio haberi solitum. . .
Aris i n Aegypto. LXXI. 4^· Bos ia Aegypto etiam nominis vice cajatur, Apim vocant. Insigne ei, in dextro latere candicans macula, -cornibus lunae crescere i aci* piantis. Nodus sub lingua, quem oantharum ap pellant. Non est fa« eum certos vitae excedere anoos, mersumque in sacerdotum fonte enecant, quaesituri .luctu alium, quem substituant : et donec invenerint, moerent, derasis etiam capttibus : nec tamen umquam diu quaeritur. Inventus deducitur Memphim a sacerdotibus. Delubra ei gemina, quae vocant thalamos, auguria populoram. Alteritm intrasse laetum est, in altero dira portendit. Responsa privis dat, e mauu oonsblentiam cibum capiendo. Germanici Caesaris manam •versatas est, haud multo postea extineti. Cetero secretus, quum se proripuit in coetus, incedit submotu lictorum, grexque puerorum comitatur, carmen honori ejus canentium : intelligere vide tur, et adorari velle. Hi greges repente lymphati fatura praecinunt. Femina bos semel ei anno ostenditur, suis et ipsa insignibus, quamquam aliis : semperque eodem die et inveniri eam, et extingui tradunt. Memphi est locus in Nilo, quem a figura vocant Phialam : omnibus annis ibi auream pateram argenleamqae mergunt iis die bus, quos habent natales Apis : septem hi sunt, mirumque neminem per eos a crocodilis attingi c octavo post horam diei sextam, redire belluae feritatem.
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quello stimolo s 'accende in ira. Abbiamo veduto questi animali combatter» la maggioranza fra loro, epperò aggirarsi, difendersi cadendo con le corna, e di nuovo risorgere, o giacendo per terra erigersi alla pugna, e star saldi ancora nelle carrette velocissime, come s’essi ne fossero i car rettieri. È stata invenzione de1 Tessali, cavalcan do intorno al toro, amazzarlo, pigliandolo pel corno, e torcendogli il collo ; e il primo che desse a Roma tale spettacolo, fu Cesare dittatore. Di qui sono le vittime grasse, e i dilicatissimi si eri fici i degli dei. A questo anima) solo non subito oh’ egli è nato, ma a poco a poco cresce la coda,' fin che gli arriva a’ piedi. Però il vitello si dice essere allora atto al sacrificio, quando la coda gli tocca i garetti : e Y è piò corta, non si sacri fica. Questo ancora s 'è osservato, che il vitello portato all'altare sulle spfclle dell’ uomo, rade volte placa, siccome ancora non placa s 'è zoppo, s 'è vittima d' altri, s’ e’ fugge dall' altare.Trova si spesso ne' prodigii degli antichi, che il bue ha favellato ; il che quando s 'intende, il fenato usa di tannarsi allo scoperto. D el
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A n ur
E g it t o .
L U I . 46. Adorasi ancora in Egitto il hue in luogo di dio, e chiamasi Api. Egli ha- dal lato ritto una macchia bianca, e ha le corna suriili · quelle deUa luna, quando ella comincia « cre scere. Ha un nodo sotto la lingua, eh' essi chia mano cantaro. Non è lecito eh1 e' viva" più che un certo tempo, perchè tuffandolo nella fonte de' sacerdoti, quivi Precidono,* e poi piangendo cercano d'ano altro in iscambio, e cosi stanno d i mala voglia fin che-1’ hanno trovato, radendosi anco il capo ; nè penano· però molto a trovarlo. Trovato eh' egli è, i sacerdoti lo menano a Menfi. Quivi sono due tejnpli a lui consacrati, che si chiaman talami, e quindi i popoli pigliano i loro augurii. Perciocché entrando nell'uno significa allegrezza, entrando nell' altro infeliciti. Dà le risposte a'privati, pigliando il mangiare dalle mani di coloro, che gli domandano delle cose a Venire. Fuggì la roano di Germanico Cesare, che poco dopo morì. Quando esce in pubblico, va senza strepito di littori, ed è accompagnato da un numero grande di fanciulli, i quali canta no versi in suo onore ; e pare ch'egli intenda, e voglia essere adorato. E questi branchi di fan ciulli subito infuriati predicono le cose a venire. Mostrassegli una volta Γ anno la vacta, la quale ancora essa ha le sue insegne, benché sien diverse} e dicono sempre il medesimo dì trovarsi, e mo rire. A Menfi è on luogo nel Nilo, il quale dalia figura, eh’ egli ha, si chiama Fiala : quivi ogni
HISTORIARUM NUOTI UB. Vili.
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a m o tu Sano-una I n u d ’ e ro · ^ a r g e n t o n e*d i natali # A p i, i quali
sodo
«ette : ed è gran n a t i ·
TigKa, che ia qoe’ g io rn i nessuno non eia a f f é * da’ crocodili : nell* ottavo giorn o dop o le te i arcr del d i la bestia ritorn a a nuocer·*
P lO O U l SATURA, ET OBKBBATIO RORUU.
D blla « atuba
s e l l e pecore , b l o m a r i » -
RAZIOBE.
LXXU. 47· Magna et pecori gratia, vel in placamenti* deorum, vel in usa velleram. Ut bo ve* victam hominum excolunt, ita corporum tutela pecori debetor. Generatio biaais utrimque ad novenos annos : quibusdam et ad decimum. Primiparis minores fetus. Coitus omnibus ad Arcturi oceasum, id est, a tertio idus Majas, ad Aquila· occasam in x kal. Aug. Gerunt partum diebus centum quinquaginta: postea concepti invalidi. Cordos vocabant antiqui post id tempas natos. Multi hibernos agnos praeferunt vernis, quoniam magia intersit ante solstitium, quam ante brumam, firmos esse, eolumque hoc animal utiliter bruma nasci, Arieti naturale agnas fasti* dire* senectam ovium consectari : et ipse senecta melior, illis quoque utilior. Ferocia ejus co hibetur, cornu juxta aurem terebrato. Dextro teste praeligato feminas generat, laevo mares. Tonitrua solitariis ovibus abortus inferunt, fiemedium est congregar· eas, ut coetu juventur. Aquilonis ‘flatu mares concipi dicunt, Austri fe minas : atque in eo genere arietum maxime spe· ctantur ora: quia cujus coloris sub lingua habue re venas, éjus et lanicium est in fetu : variumque, si plures fuere: et mutatio aquarum potusque variat. Ovium summa genera duo, tectum et co lonicum : illud mollius, hoc in pascuo delicatius, quippe qaam tectum rubis vescatur. Operimenta ei ex Arabicis praecipua.
G e r ir à
la n a· bt c o u i d i .
LXXIII. 4^. Lana autem laudatissima Apula, et quae in Italia Graeci pecoris appellatur, alibi Italica. Tertium locum ..Milesiae ovea obtinent. Apulae breves villo, nec nisi paenalis celebfes. Circa Tarentum Cannsiumque summam nobili-
LXXII. 47* Gran merito ha la pecora, * nel placar gli dei, · nell’ oso della lana. E coma l· buoi procurano il viver degli uomini, m i noi siamo debitori alle pecore dd eoprimento de’cor* pi. Il maschio e hi femmina generano da' dae anni fino a nove, · alcun· fino a dieci. Le prime ehe nascono, sono minori. Tutte vanno ie m s ·' re dal tramontar d’ Arture, cioè dagli andici-di Maggio, infino a dle l’ Aquila va sotto, cioè fin· a’ ventitré di Luglio. Portano il parto eentoeinquanta giorni ; e se più olire, non è buono. Gli antichi chiamavano Cordi quei die nascevano dopo questo tempo. Molti hanno per migliori gli agnelli nati il verno,’ che qaei della primavera, perchè torna assai meglio che sieno in età per fetta innanxi la state, che innanii al verno ; · solo questo animale nasce utilmeote il verno. È cosa naturale al montone avere in odio 1· agnel le, e seguitare le vecchie ; ed esso ancora è miglior vecchio, e più util loro. La sua ferocità si mèliga, se gli si fora il corno appresso aU’orecchi· ; · s · gli si lega il testicolo ritto, genera feaamine j ea il manco, maschi. 1 tuoni fanno sconciar le pe core, s’ elle son solitarie. Il rimedio dunque è raunarle insieme, acciocché le guardi da d ò la compagnia. Dieesi che soffiando il vento di tra montana, ingravidano di maschio, e soffiando mezzodì, di femmine : e in questo genere si pon molto cura alla bocca de’ montoni} perchè di qud colore, eh’ essi haano le veae sotto la liagua, è dipoi la lana d·’ parti suoi ; · ae furono più, è di più colori : e anco la mutazione dell’ acqua e del bere varia le lane. Due sono le specie delle pecore, ona. chiamata tetta, e l’ altra ooloniea : quelle sono più morbide, · quest· più dilicate nel pascere, perehè le lette si pascono di prani per le siepi. Le coperte, che s’ hanno da queste, sono eccellenti, specialmente qaelle ddl’Arabia. S fbcib
d i b a h b d i colo bi .
LXX 1I 1. 48. .La lana Pugliese è la più lodata dì tutte, e quella che in Italia si chiama lana di greggia Greca, altrove è detta lana Italiana. Le pecore di Mìleto ottengono il terzo luogo. Le Pugliesi hanno la lana corta, e non son buone se
C. PUNII SECONDI
6 ι»
S ia
tat·» habent hi Asia vero eodem genere Laodi non per fare schiavine. Intorno a Taranto e Ca ceae. Alba CùreanipadanU noHa praefertur, neo notto hanno gran fama, e in Asia del medesimo libra eentenòe nummo* ad hoc levi exoewit «Ila. pregio sono quelle df («aodicea. Nessuna avanza Otes non abiqoe tondentor : durat qoibtudam di bianchezza quelle, che seno intorno al Po, n i in lode vellendi mos: colorum plora genera: alcuna altra infioo all'età nostra s 'è venduta pià quippe qaura deiint etiam nomina eis. Quas oa- di cèoto nummi la libbra. Non in ogni luogo le tivai appellant, aliquot modis Hispania: nigri pecore si tosano, poichi in certi Inoghi dura velleris praecipuas habet Pollentia juxta Alpes : Γ usanza di sveller loro la lana. I colori sono di jam Asia rutili, quas Erythraeas vocant : item pià sorti, tanto che non ne abbiam o neppur Baetica : Canusium fulvi : Tarentum et suae pul tutti i nomi. Quelle che nomano native, son di liginis. Succidis omoibos medicata vis. Istriae varie specie di tinta odia Spagna: Pollenzia ap Liburniaeque pilo propior, qoam lanae, pexis presso le Alpi ha buonissime pecore di color nero: aliena vestibos, et qoam sola ar# scotolato texto l'Asia di rosta» e le chiamano Eritree : simi|ment« commendat in Lositania. Similis circa Piscenas la Betica.Canosio ha pecore che pendono in giallo, provinciae Narbonensis : similis et in Aegypto, e Taranto le ha del sno naturai brano. Tolte le ja. qoa vestis detrita oso pingitor, rorsosque lane non ancor purgate hanno virtù medicinale. aevo dorat Est et hirtae pilo crasso in tapetis . In Istria e in Liboraia hanno piuttosto pdo, dae antiqoissima gratia : jam certe prisco· iis usos, lana, ed i differente dalle vette di lana pettinata. Homeros aoctor esi, Atfter haec Galli piogont, In Lositauia Γ artifieio solo la fa piacere per la aliter Partborom gentes. Lanae et perse coactam tessitora Catta a1 fregi. Simile i quella de’dinlorni vestem faciunt : et si addator acetum, etiam ferro di Pisceoa nella Provenza : simile n*i in Egitto, resistant : immo vero etiam ignibus novismao e con essa dipingono le vesti logore dail'uo eoi sui porgamento, qoippe ahenis polientium ex lidi colorati ebe vi frappongono : vesti che poi tractae, in tomenti nsom veniont, GaHiarum, dorano long» tempo. Ed è antichissima grazio ot arbitror, invento : certe Gallicis hodie nomi nei tapetti fatti di lana di peli : Omero scrive, ebo nibus discernitor: nec facile dixerim, qoa id gli antichi gli usavano* 1 Galli gli dipingono a mi aetate coeperit. Antiquis enim toros e atramento modo, e i Parti a ano altro. Le lane par si ristrette erat, qualiter etiam none in eastri·. Gaoaapa pa fan panno, e se vi si aggingne aceto, aneora reg tris mei memoria eoepere : amphimalla, neatra : gono al ferro; e anco al fuoco, oltimo suo purga sicut villosa etiam ventralia : nam tonica lati da mento, perchè tratte delle caldaie di qnegli che vi, in modum gausapae texi none primam incipit le poliscono, vengono in uso di borra’ ; il che» Lanarum nigrae nullum colorem bibunt De re come io stimo, i invenzione ddla Gallia ; e certo liquarum infecta anie locis dieemoe, in conchyliis che oggi si distinguono eoi nomi Gallid : n i sa marinis, aot herbarum natura. prei ben dire in che tempo d ò cominciaste. Per che anticamente i letti si facevano di paglia segala e trita, oome ancora oggi negli eserciti sa osano. Al tempo di mio padre oomieciarono usarsi certe schiavine pilose : al presente se ne a sano, di pilose da amendoe i lati, come ancora i ven trali pilosi. Ed aneora *’ i cominciato a tessere la tonaca di làticlavo io modo di bernusso. Le lane nere non pigliano altro colore. Del modo di tignar V altre parleremo ai anoi luoghi, qoando tratteremo dei pesd, che fanno la porpora, e della natura dell* erbe. Gassa* vxsmni.
Sracia pi vxsrnuirri.
LXXIV. Scrive Marco Varroue, che la lana LXX 1V. Lanam in coTo et fnso Tanaquilis, quae eadem Caia Caecilia vocata est, in templo nella ròcca e nel fuso di Tanaquile, la qnale per Sangi durasse, prodenlc se» auctor est et H. Var altro nome si chiamò Caia Cedila, durò nel tem ro : factamque ab ea togam regiam ondolatam in pio di Saogo, mostrandola esso ; -e che 4a essa fa aede Fortunae, qoa Ser. Tnllios luerat osos. fiatta una veste reale a onde nd tempio dell· Por lode factam, at nabentes virgines comitaretur tone, la qoale Ser. Tallio avea portata. Di qot colus compta, et fasns cam-stamine. Ea prima te* - venne 1* usanze, che dietro alle fandoHe, qoando xnit rectam tunicam, quales cum toga para iiro- die andavano a marito, foste portata la rocca
8ι 3
HISTORIARUM MUNDI L1B. Vili.
ne* ind am tor, Mveeqae naptae. Undulata Tetti» prima e laudatissimis fait : inde sororieslata de fluxit. Toga* rasas Pbrygianasque, divi Augusti novissimis temporibus coepisse, scribit Fenestella. Crebrae papaveratae aatiquiorem habent origi nem, jam sub Lucilio poeta in Torqaato notatae. Praetexi·· apad Etruscos originem invenere. Trabeis usos accipio reges : pictas veste» jam apnd Homerum fuisse, and· triumphales naiae. Aea facere id Phryges invenerant, ideoqoe Phrygio· niM appellatae soni. AoroJni intexere in eadem A a·· b re a k Altatos réx : and· nomen. Attalicis. Colores diversos picturae intexer· Babylon maxi· n e celebravit, «t nomen imposuit Plurimi» vero licii· texere, qoae polymita appellant, Alexandri· instituit: soutolis dividere, Gallia. Metellas Sci pio tricliniaria Babylonie· sestertium octingenti· milbbus venisse jam tuqc, posuit in Catonis eri· minibus, quae Neroni principi quadragies neper •teiere. Servii Tullii praetextae, quH^us ssgunm Fortaoae ab eo dicatae coopertam erat, doMvere od Sejani exitam. Mirum que fuit nec -defluxisse eas, nec tiredidto injurias sensisse apnis d u . Vidimus jam et viventium vellera, purpura, eoo· eo, conchylio, sesquipedalibus libris infecta, velut illa sic nasci cogente huuria.
■ D · rscoatn a romiiA, e t d b « r a r o r a .
inconocchiata di lana, e il fuso col filat·. Essa fu la prima, che tessè la tonaca retta, la quale in sieme con la toga pura si vestono i giovani, e le spose novelle. La veste ondulata fu prima tenuta cosa delicatissima, me venne poi la sororiculata, la quale è veste di più colori. Scrive Fenestella, che le toghe rase, e Frigiane a’ osarono negli aitimi anni di Augusto imperadore. Le papaverate, che son pià spesse,sono pià sntiehe: perciocché Lueilio poeta le vitupera in Torquato. Le preteste furono trovate da1Toscani. E troovo che i re usavano I· trabee.Omero fa menzione delle vesti dÌpinte,onde vennero le trionfali. I Frigii furono quei, che tro varono il ricamare eoo Tago, e pereto tali vesti si chiamarono Frigionle. 11 re Aitalo in Asia trovò il tesservi Poro, e perciò farono chiamate vesti Attaiiche. Babilonia trovò P intessere vaiti colori alla pittore, e pose loro i nomi. Il tessere con piò Hcii, le qaali vesti n chiamano polimite, cioè di piò fili, fé trovato in Alessandria, e la Gallia trovò il distinguer· 1· vesti con iscudieciuoli. Metello Scipione pose fra i delitti di Capitone, i forni menti da letto Babilonici essersi venduti già allora ottocento mila sestertii, 1 quali costarono · Ne rone imperadore, non è molto, quaranta mila s e s t e rn i. Le preteste di Servio Tullio, dalle quali era coperta la statua della Fortuna, dedicata d · esso, doraróno fino alla morte di Seiano. E fa mtraviglie, che elle non si marcissero, nè fossero rose dalle tignuole iu cinquecento sessanta anni. E già abbiamo veduto i,velli delle pecore vive tinti di porpora di grana e di conchiglia con cortecce d*nn piede e mezzo, come se la pompa le avesse fatte nascere in quel modo.
DtUi m u
DBLLB PECOBB, B DBL MUSKOBB.
LXXV. Le pecore pià lodale sono quelle, che hanno le gambe corte, e la pancia vestit· : quelle che l’ hanno ignuda, si chiamavano apiche, e non erano stimate. Le pecore di Soria haono un braccio di coda, e in quella parte è assai lane. Non è buono castrare gli agnelli, se non hanno cinque mesi. • 49. È ancora in Spagna, e massimamente in 49. Est et in Hispania, sed maxime Corsica, non'maxime abstail· peeori, genas musmonum, Corsica, uno animale detto musinone, poco diffe caprino vHlo* qaam peeori» velleri, propini. .Qao*’. rente dalla pecora ; ma il vello è pià caprino rum e · generer et ovibus nato· prisci Umbro· che di pecora. Quegli che nascono di questi e voearunt Infirmissimum pecori caput ; quiynob· delle pecore, gli antichi gli chiamarono Umbri. Hanno il capo molto debole, e per questo si fanno rem aversam a sole pasci cogendum·. Quam stul tissima animaliam lanata, Qua timuere ingredi, pascere, avendo il sole di dietro. Stoltissimi di tutti gli animali son quei, che.hanno lana, perchè onum eorno raptum sequuntur. Vita* longissima •mai x, m Aethiopia· xin . Capris eodem loco xi, dove hanno paura a passare, se uno vi tira il oorno, tutti vapno appresso. La pià lunga vita in reliquo orbe plnrimtim octoni. Utfomqae ge loro è dieci anni, in Etiopia tredici. Le capre nel n a · intra quartum coitum impletur. medesimo luogo vivono undici anni, nelP altre LXXV. In ipsa ovi satis generositatis osten· éitar brevitate crarnqo, ventris vestita: qaibus nadus esset, ' apicas vo&bant, damnabantque. Syriae eubitaie* ovini» eaadae plurimamque in ea parte laeieti. Castrari agnos, nisi quinqueme stres, praematurum existimatur.
8.5
8 16
G. PUNII SECUNDI
parti del mondo «1 più vivono otto. E Γ ano e Γ altro genere di pecore e di capre non panano il quarto coito, che son pregne. C a fb aeo·
h a t u x à e t g e b b e a x io .
N atoea
e g b b e e a zio v d e l l e c a v e e .
LXXV 1. 5o. Le capre ne fanno ancora quattro, LXXV 1. 5o. Caprae pariant at queternos, sed roro admodum.' Ferant qainqae mensibus, ut ma ciò di rado. Portano, cinque mes},' come l e oves. Caprae pinguedine' sterilescunt. Ante tri- pecore. Le capire per la grasaezztf diventano H e mas minus utiliter generant, et in senecta altra rili. Di tre anni figliano, ma non con m olta quadriennium. Incipiunt septimo mense, adhuc utilità, e similménté nella vecchiaia,' dopo pas lactentes. Mutilnm in utroque sexu utilius. Pri sali i quattro anni. ·. Comincianò n e l‘settimo mus in die coitus non implet: sequeas efficacior, mese, quando àncora poppano* Sono migliori e ac deinde. Concipiunt Novembri mense, ut Mar maschi e femmine senza corna. Nd· primo coito tio pariant turgescentibus virgultis, aliquando del dì non impregnano : il seguente è migliore, e anniculae, sempre bimae, in trimatu utiles. Pa- di mano fermano.Ingravidano di Novembre, per riunt octonis. Abortus frigori obnoxius. Oculos figliar di Marzo, qnando gli alberi incominciano suffusos capra junci puncto sanguine exonerat, ca a mettere, alcuna volta di uno anno, ma per lo per rubi. Solertiam ejus animalis, Mucianus visam più di dne, e dj.tre meglio. Partoriscono insino in sibi prodidit in ponte praetenui, duabus obviis e ottQ annj. ll freddo à lor nocivo a farle scondaae. diverso : quum circumactum angustiae non cape La capra ai mèdica gli occhi dspi con-nna punta rent, nec reciprocationem longitudo in exilitate di giunco», sgravandosi 'di sangue, e il capro con caeca, torrente rapido minaciter subterfluenle, una {tanta di rovo/ Scrive Muciano, che egli vide alteram decubaisse, atque ita alteram proculcatae la solerzia grandissima di questo animale in un ponte strettissimo, dove essendosi incontrate due supergressam. Mares quam maxime simos, lougis auribus infraclisque, armis quam villosissimis capre s mezzo un ponte che non. potevano rivol probant. Feminarum generositatis insigne, laci gersi, uè polevavo anco tornare iudìetro, perchè niae corporibus a cervice biuae dependentes. il ponte era luogo e strettissimo,, con soltovi on Non omnibus cornua : sed quibus sunt, in his torrente di gran rapidità, per naturale industria trovarono un rimedio, e ciò fu, che un* si pose et indicia annorum per incrementa nodorum. Mutilis lactis major ubertas. Auribus eas spi a giacere, e l’altra le pajsò sulla schiena. I ma schi sono riputati migliori, quando son molto rare, non naribus, nec nmquam febri carere, camusi, ed hanno lunghi orecchi,* le spalle r i Archebus auctor est: ideo fortassis anima his, cotte, e sono vellosi. 1 segni buttoi nelle femmi quam ovibus, ardenlior, calidioresque concubi ne sono, che P ultimo orlo della tana, che pende tus. Tradunt et noctu non minus cernere, quam loro dal corpo e dal collo, aia doppio. Tutte oon. in terdi u : ideo si caprinum jecur vescantur, re stitui vespertinam aciem his, quos njctalopas hanno corna , ma quelle capre che P hanoo, facilmente mostrano 1’ el$ loro · ai numero dd vocant. In Cilicia, drcaque Sjrtes villo tonsili nodi, che sono nelle corna. Quelle, che son. senza vestiuntur. Capras in occasam declivi sole, ia pascuis negant contueri inter sese ; sed aversas corna, hanno pitf latte. Scrive Archelao, che le jacere : reliquis autem horis adversas et inter capre alitano non per il nato, ma per gli orecchi, cognatioues, Dependet omnium mento villus, e non son mai senza febbre, e perciò hanno forse quem aruncum vocant : hoc si quis adprehensam Γ alilo più caldo, che le pecore,, e i loro coiti son ex grege unam trahat, ceterae stupentes spectant. più caldi. Dicesi, che (Uè veggono sì ben di nollè, Id etiam evenire, quum quamdam herbam aliqua come di giorno, e che perciò se si mangia il ex eis momorderit. Morsui earum arbori exitialis. fegato della capra, si restituisse il vedere della Olivam lambendo quoque sterilem laciunt, eague . iera*a colora, che si .chiamano nittalopi. In ex càtfta Minervae non immolantur. Cilicia, e intorno alle -Sirti si fanno vestiti di quello che si tosa · Dicono die le capre nd tramontar dd sole pascendo non si guardano l’ una Γ altra, ma giacciono volgendosi fra loro le reni, e ndl’ altre ore fanno il contrario, e •tanno fra le congiunte; Hpnno tutte al mento un fiocco -di velli, il qual si Chiama arunco, e se alcun piglia una capra per questo fiocco, e la tir» a sè, faUe.Paltre come in atto di maraviglia
HISTORIARUM MUNDI LIB. VIII. stanno a guardarlo. E ciò avviene aneora, quando alcona di esse morde una certa erba. II morso di questi animali fe gran danno agli alberi, · lec cando anoora fanno sterile 1* olivo ; e per questa cagione non si sacrificano a Minerva. Sura rrav. LXXV 1I . 5i. Sailli pecoru admissura · F « o nio ad aequinoctium vernum: aetai, octavo mense: quibusdam in locis eliam quarto, usque «d octa vum annum. Partus bis anno : tempus utero quatuor mensium : numerus fecunditatis ad vice nos : sed educare tam multos nequeunt. Diebus decem circa brumam statim dentatos nasci, Nigi dius tradit. Implentur u d o coito, qui et gemina tur propter facilitatem aboriendi. Remedium, ne prima subatione, ncque ante flaccidas aures coi· tus fiat. Mares non ultra trimatum generant. Feminae senectute fessae, cubantes coeunt. Co messe fetus bis, non est prodigium. Suis fetus sacrificio die quinto purus est, peooris die octavo, bovis tricesimo. Coruncanus ruminales hostias, donec bidentes fierent, puras negavit. Suem oculo amisso putant cito exstingui : alioqui vita ad quin decim anno·, quibusdam et vicenos. Verum effe· ranUur, el alia· obnoxium genus morbis, anginae maxime, et strumae. Index sui· invalidae, eruor in radice setae dorso evulsae, caput obliquum in in cessu. Penuriam lactis praepingues sentiunt, et primo fetu minus sunt numerosae. In luto volu tatio generi grata. Intorta cauda : id etiam nota tam , facilius litare, in dexteram quam in lae vam , detorta. Pinguescunt l x diebus, sed magis tridui inedia saginatione orsa. Animalium hoc maxime brutum, animamque ei pro sale datam non illepide existimabatur. Compertum agnitam vocem suarii furto abaetis,mersoque navigio incli natione lateris unios remeasse. Quin et duces in orbe forum nundinarium domosque petere di scunt : et feri sapiunt palude confundere urinam, fogam levare. Castrantur feminae quoque, sicuti cameli, post bidui inediam suspensae pernis prio ribus, vulva recisa : celerius ita pinguescunt.
S ia m .M m s
d b ' t o e c i.
LXXVI1. 5 i. 11 bestiame porcino va in amo re il verno, da che comincia il vento Favonio fino all1 equinozio della primavera, nella età di otto mesi, e in certi luoghi ancora da'quattro infino ai sette anni. Figliauo due volte l'anno, e portano quattro mesi, e ne fanno insino a venti, ma non ne possono già allevar tanti. Scrive Nigi dio, che per dieci giorni circa la bruma nascono subito co1 denti. Ingravidano in un coito, il quale anco si raddoppia per la facilità dello soondarsi. Il rimedio è, che nella prima volta non si faccia il coito, nè prima che abbiano floscii e abbassati gli orecchi. I maschi non generano passati i tre anni. Le femmine stanche per la vecchiaia usano il coito a giaoere. Non è prodigio in loro, ch'elle si man giano i figliuoli. La figliatura del porco è. pura 0 atta al sacrifizio il quinto dì, quella della peeora l'ottavo dì, e della vacca il trentesimo. Coruncaao scrive, che le ostie deU'animale, che roguma, non son pure insino a che non hanno doe denti. So il porco perde l'oochio, dicon che tosto muore ; ma naturalmente vive quindici anni, e talora venti. Questo animale però talvolta inferocisce, ed i soggetto a diverse infermità, massimamente a serratura di gola, e a scrofe. Segno che il porco sia ammalato è, che svegliando una setola del dosso, la sua radice sia sanguinosa, o che andando pieghi il capo. Quelle che son molto grasse hanno poco latte, e ndla prima figliatura fanno pochi figliuoli. Piace lor molto potersi voltolar nel fango. Hanno la coda torta, ed èssi posto mente, che pià facilmente si placan gli dei ne' lacrificii quando essa è a man ritta, che a man manca. Ingrassano in sessanta giorni, ma pià, se nel co minciar a ingrassare, stanno tre dì digiuni. Que sto animale è pià insensato d'ogni altro ; onde gentilmente s 'usava dire, che l ' anima gli è data per sale.È intervenuto, che avendo alquanti porci, eh' erano stati rubati, udita la voce dd porcaio, gettarono tutti alla banda del navilio, e fattolo affondare se ne ritornarono a lui. Alcuni si fan guida degli altri, e questi imparano andare per dttà al mercato, e tornare a casa : i cinghiali confondono la loro orina col fango per non la sciar vestigii di fuga. Castrensi le porche, come 1 cammdli, poiché sono state due giorni senza mangiare. Appiccansi per le gambe dinanzi, e prestamente si taglia dove bisogna : e così tosto ingrassano.
8
C. PLINII SECUNDI
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Adhibetor et ars jecori feminarum, sicut anserum, inventam M. Apieii, fico arida saginati* ae latieM e nocetis «epente nraW pota dato. Neque alia es animal» numerosior materia ganeae : qainqaaginta prope sapores, com oeteris singoli. Hinc censoriarum legam paginae, interdictaque cenis abdomina, glandia, testiculi, vulvae, sinci pite verrina, ut taosen Publii mimorum poetae coene,postquam servitutem exuerat,nulla mernovetar sine abdomine, etiam vocabolo suminis ab eo imposito.
Db f b m s
subus.
Qdis
m i m u s v i v a r i a b e s t ia r u m
Usasi arte aneora a ingrassare il fegato delle porche, come si fa quello dell’oche. Fu inven zione di Marco Apicio l ' ingrassarle co' fichi sec chi, e ammazzarle quando han sazietà, dando lor subito a bere mulso, ciò i vin melato. Nè di alcuno altro animale si ha più materia per lo gola : perciocché di essi si fanno intorno a d òquanta vivande, tra le semplici e le mescolate eon altro. Di qai son nate le leggi ée’ceusori, nelle qoali sono proibiti nelle cene addottimi, gangole, testicoli, valve, e capi ; nondimeno che non si ricordi verno» cena di Publio, poeta do mimica, poi ch’egli era diventato libero, odia qoale oon ei fosse il suo addensine : fo egli ansi che gl' impose il nome di sumine. D bi PORCI CINGHIALI.
in s t it u it .
LXXV 11I. Plaooere aotem et feri sues. Jam Catonis Censorie orationes aprugnum exprobrant callum. In tres tamen partes diviso, media pone batur, lumbus aprugnus appellata.Solidum aprum Romanorum primus in epulis adposuit P. Servi· bos Rullus, pater ejus Rulli, qui Ciceronis con sulatu legem agrariam promulgavit. Tam propin qua origo nuuc quotidianae rei est. Et hoc An nales notarunt, horum scilicet ad emendationem morum i quibus non tota quidem coena, sed in principio, bini ternique pariter manduntur apri.
5a. Vivaria horum, ceterorumque silvestrium, primus togati generis invenit Fulvius Lupious, qui in Tarquiniensi feras pascere instituit. Nec dio imitatores defuere L. Lucullus et Q. Hor tensius.
Sues ferae semel anno gignunt. Maribus in coito plurima asperitas. Tunc ioter se dimicant, indurantes attritu arboram costas, lutoque se tergorantes. Feminae in partu asperiores, et fere similiter in omni genere bestiarum. Apris mari bus, nonoisi anniculis generatio. In India cubita les dentium flexus gemini ex rostro, totidem a fronte, ceu vituli cornua, exeunt. Pilus aereo si milis agrestibus, ceteris niger. At in Arabia suil lum genus non vivit.
D b sbmipbris animalibus.
LXX 1X. 53. In nullo genere aeque facilis mixtura cum fero, qualiter natos antiqui bybri*
Cm
PECE IL PRIMO SERBATOI
DI BESTIE.
LXX V ili. Piacquero aocora i porci cinghiati. Le orazioni di Caton Censorino rimproverano il callo del cinghiale. Nondimeno facendotene tre parti, in quella di mezzo si ponevo il lombo, chia mato aprogno. Publio Servilio Rollo, padre dà qoel Rullo,che nel consolato di Cioèrane pubblicò la legge agraria, fo il primo in Roma, ehe mettesse in tavola on cinghiale intero. Tanto è vicina Tori· gine d'ona cosa, che si fa ogni giorno. E evò hanno notato l’ istorie, e certo per correggete qoesti costui*), per li qoali non in tutta la cena, ma nel solo principio si mangiano due e tre cin ghiali insieme. 5a. Il primo ehe faceste serbatoi di qoesti e degli altri animali ealvatiehi fa Fulvio Lupino, uomo togato, il quale od territorio Tarquintese comioeiò a maotener le fiere. Nè loogo tempo andò che lo imitarono Lucio Locollo e Quinto Ortensio. Le porche cinghiali figliano ana volta Panno. 1 maschi al tempo del coito sono piò feroci. Al lora essi combattono fra loro, e indorano le co sto!e col fregarle agli alberi, e s* incrostano di loto la schiena. Le femmine sono piò fiere net tempo del parto, e lo stesso saccede quasi in ogni sorte di bestie. I cinghiali maschi non inge nerano se non d'un anno. In India hanno pieghi li denti, lunghi un braccio: due escono dd muso, e due dalla fronte come corna di vitelli. I salva tici» hanno il pelo del color di rame, gli altri Γ hanno nero. Ma in Arabia non vive alcuna sorte di porci. D tou
a n im a l i m ezzo f ib r b .
LXXIX. 53. Nessuna sorte d 'animali più fa cilmente si mescola co' salvatici», e quegli, ohe
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das vocabant, cen semiferos : ad homines quoque, ut In C. Antonium Ciceronis in consulatu colle gam, appellatione translata. Non in suibus au tem tantum, sed in omnibus quoque acimalibus, cujuscumque generis ullum est placidum* ejus dem invenitur et £orom, utpote quum hominum etiam silvestrium tot genera praedicta sint. Ca prae tamen in plurimas similitudines transfigu rantur. Sunt capreae, sunt rupicaprae, sunt ibioes pernicitatis mirandae, quamquam onerato capite vastis cornibus gladiorum que vaginis : in haec se librant, ut tormento aliquo rotati in petras, po tissimum e monte aliquo in alium transilire quae rentes, atque recusso pernicius, quo libuerit, ex sultant Sunt et oryges, soli quibusdam dicti con trario palo vestiri, el ad caput verso. Sunt et damae, et pygargi, et strepsicerotes, multaque alia haud dissimilia. Sed illa Alpes, haec transma rini sitas mittant.
nasoono di questi, dagli antichi si chiamavana ibridi, come a dire meno salvatichi : nome che per traslazione si riferisce agli uomini, come fu riferito a Caio Antonio, il quale Accompagno di Cicerone nel consolalo. Nè solamente ne’ porci, ma ancora negli animali d’ ogni sorte mai non ai truova alcun domestico, che del medesimo genere non si truovi il selvatico ; e già s’ i detto, che d son ancora tante sorti d'uomini salvatichi. Non dimeno le capre si trasfigurano in piò genera tioni. Sonci capre, rupicapre, ibid molto vdod, benché abbiano aggravato il capo di grandissime corna, use già adoperarsi per guaine di coltelli : su queste si appoggiano per dare I lor salti so pei sassi, roteandosi come se fossero scagliati da qualche macchina, massimamente quando vogtion saltare da un monte a un diro, e quando piace loro pià velocemente risdtano addietro. Sond ancora capre, ehe si chiamano orige, e queste sole, secondo che alcuni dicono, hanno il pelo al contrario, e rivolto verso il capo. Sond dame, pigargi, e sterpsioeroti, e molti dtri simili. Ma quelle nascono neU1Alpi, e queste oltre mare.
Da s u h i s .
D b l l b s c im ib .
LXXX. 54. Simiarum quoque geoera hominis figurae proximo, caudis inter se distinguuntur. H ka solertia : visco inungi, laqueisque calceari imitatione venantium tradunt Mucianus et latrooeolis lusisse, fictas oera icones usu distin guente : Ione cava tristes esse, quibus in eo gene re eauda sit, novam exsultatione adorare : nam defectam siderum et ceterae pavent quadrupedes. Simiarum generi praeeipua erga fetum adfectio. Gestant catulos, quae mansuefactae intra domos peperere, omnibus demonstrant, tractarique gau dent, gratulationem intelligentibus similes. Ita que magna ex parte complectendo necant Effe ratior cynocephalis natura, sicul satyris. Callitriehes toto paene aspecta differant : barba est in facie, cauda late fusa primori parte. Hoc animal negator vivere in alio qoam Aethiopiae, quo gignitor, coelo.
LXXX. 54. Le spede delle scimie, le quali somigliano molto all’ nomo, si distinguono nella coda. Dicesi che qoesti animali con mirabile in dustria s’ ungono col visco, e calum i con lacci, ad imitazione dei cacdatori. Scrive Mudano an cora, che giuocano a scacchi, avvezze a distin guer per uso le figure fatte di cera : stanno mal contente a luna vecchia quelle che in quel ge nere hanno la coda, e eon allegrezza l ' adorano quando dia è nuova; benché ancora gli altri animali quadrupedi spaventano all* oscurar dei pianeti. Le scimie portano grandissima affezione a' lor parti. Quella già addomesticate, che par torirono entro le case, si portano seco i lor piocoli figliuoli, mostrandogli a lotti, ed hanno a caro che sien tocchi, mostrando d’ intendere che qodlo sia uno allegrarsi con esso loro. E così per la maggior parte abbracciandoli gli ammaz zano. Pià efferati sono i dnocefeli e i «tiri. I callitrici» quasi in tutto l'aspetto sono differenti : hanno la barba nella feccia, e la coda molto larga nella parte superiore. Dicesi ehe questo animale non vive altrove, che in Etiopia, dove e’ nasce.
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LXXXI. 55. E l leporom plura sunt genera : àa Alpibus candidi, quibus hibernis mensibus pro cibalo nivem credunt esse: certe Hquescente ea ratiksoont annis omnibus : el est aUoqui ani-
L X X X I.55. Molte spede d sono di lepri: ndl’Alpi son bianche, e credono alcuni ch’dle si pascano il verno di neve; e certo ogni anno, quando le nevi si struggono, le lepri diventan
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nui intolerandi rigori· damnum. Leporum ge neri· sani et qaos Hispania cunicnlos appellat, fecunditati· innumerae, famemque Balearibus insali·, popolati· messibus afferentes. Fetas ven tri exsectos, Tel aberibas ablatos, non repurgatis interaneis, gratissimo in cibatu habent : laurices vocant. Certum est, Balearicos adversus proven tum eorum auxilium militare a divo Augusto petiisse. Magna propter venatum eum viverris gratia est. lojiciuot eas in specus, qui sunt mul tifores in terra, unde et nomen animali t atque ita ejectos superne capiant. Archelaus auctor est, quot sint corporis cavernae ad excrementa lepori, totidem annos esse aetatis. Varius certe numerus reperitnr. Idem atram que vim singulis inesse, ac sine mare aeque gignere. Benigna circa boc na tura, innocua et esculenta animalia fecunda gene ravit. Lepus omnium praedae nascens, solus prae ter dasypodem superfetat, aliud educans, aliud in utero pilis vestitum, aliud implume, aliud inchoa tum gerens pariter. Nec non et vestes leporino pilo licere tentatam est, tactu non perinde molli, ut in ente, propter brevitatem pili dilabida·.
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LXXXII. 56. Hi mansuescant raro, cum feri dici jure non possint: complura namque sunt nec placida, nec fera, sed mediae inter utrum que naturae, ut io volucribus, hirundines, apes : in mari, delphini. 57. Quo in genere multi et hos incolas do muum posuere mures, haud spernendum in osten tis etiam poblicis animal. Adrosis Lavinii clypeis argenteis, Marsicum portendere bellum : Carboni imperatori apud Clusium (asciis, quibus in cal ceata utebatur, exitium. Plura eorum genera in Cyrenaica regione: alii lata fronte, alii acuta, alii herinaceorum genere pungentibus pilis. Theo phrastus auotor est, in Gyaro insula cum incolas fugassent, ferrum quoque rosisse eos. Constat id natura quadam et ad Cbalybas facere in ferrariis officinis. Aurariis quidem in metalli·, ob hoc al vos eoruln cxcidi, semperque fartum id depre hendi : tantam esse dulcedinem forandi. Venisse
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rouigne, e d'altra parte amano esse il freddo piò rigido. C’ è anco ona «orte di lepri, che la Spa gna chiama conigli, d’ incredibil feconditi, fi quali fanno carestia nell* isole Baleari, divoran dovi tolte le biade. Si tengon per ottimo cibo i ooniglini tratti di corpo alla madre, o tol tigli dalla poppa, mangiandogli con le budello piene : chiamangli laurici. Trovasi che gli nomioi di qoeste isole domandarono aiuto di gente d1arme ad Angusto contra i conigli, i quali em o moltiplicati troppo. Presso questi popoli sono i a molta graxia le viverre o faretti, per Taso ehe ne fanno. Le cacciano nelle caverne de* conigli, che hanno molte viuxze sotterra, onde venne il nome a quell’animale, e cosi cacciati di sopra gli pigliano. Sorive Archelao, che quante cavità han le lepri in corpo, dove sta lo sterco, tanti anni han esse di età: certo è ehe vario se oe trova il numero. Dice ancora che la lepre ha natura di maschio e di femmina, e die ingravi dano senza maschio. La natora in questo è stata molto benigna, poi che ella ha voluto che gli animali, che son buoni a mangiare, e non nuoeono a nulla, siano fecondi nd generare. La lepre adunque, la quale è preda a ogni animale, ingra vida sopra qudlo che è concetto, il che non fa ninno altro animde fuor ehe il daaipode; e uno gii nato ne alleva, ano ne porta in corpo gii ve stito di pdi, un senza peli, ano che non è ancora tntto formato. S’ i provato ancora a far vestiti di pelo di lepre, che non è però cosi morbido al toccare, come i nella pelle ; e perché il pelo è corto, il testato non dura. DEGLI ANIMALI N Ì SALVATICHI, N* DOMESTICI.
LXXXII. 56. Questi di rado s'addomesticano, e nullameno ragionevolmente non si possono chiamar salvatichi ; perciocché molti animali d ha, che non sono nè salvatichi, nè domestici, ma di natura media fra l’ uno e P altro, come fra gli uccegli le rondini e le pecchie, e in mare i delfini. 57. E in questo genere molli hanno posti i topi, che abitano nelle case, animale da non essere sprezzato ancora ne' pubblici augarii. Perchè avendo eglino rosi gli scudi d'argento in Lavinio, pronosticarono la guerra dei Marsi : e a Carbone capitano dell'esercito a Chiusi, rosero le fascie, che egli usava nel calzarsi, il ehe significò la sua rovina. Molte sorti sono di questi animali ndla regione Cirenaica; deuni hanno la fronte larga, alcuni aguzza, alcuni hanno i peli, che pungono come quelli degli spinosi. Scrive Teofrasto, che •vendo i topi nell'isola di Giaro cacdati gli aomin» dd paese, rosero aneora il ferro. È manifesto ehe fanno il medesimo per una certa lor natara anco
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marem cc denariis, Casinam obsidente Hanniba le: eumqne qai vendiderat fame ioteriisse, em ptorem
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QUIBUS W LOCIS AH1M1LIA ΒΟΗ SIIT.
LXXX111. 58. Miram, rerum nataram non aolom alia aliis dedisse terris animalia, sed in eo dem qooqoe sita quaedam aliquibus locis negasse. In Moesia silva Italiae, non non nisi in parte re perì unlar hi glires. In Lyda dorcades non transeuut montes Syris vidnos : onagri montem, qui Cappadociam a Cilicia dividit In Hdlesponto in alienos fines non commeant cervi : et circa Arginassam Elaphum montem non excedunt, auribus etiam in monte fissis. In Poro selene insula viam mustelae non transeant : in Boeotiae Lebadia so lam ipsam fagiani, quae jaxta in Orchomeno tota arva subruant, talpae, quarum e pellibus cubicolari· vidamas stragula : adeo oe rdigio quidem a porteotis submovet delicias. In Ithaca lepores illati moriaotur extremis qaidem in litonbas : in Ebuso, caniculi non sunt : scatent juxta in Hispania, Balearibusqae. Cyrenis matae foere ranae, illatis e continente vocalibas durat genns «arum. Matae sunt etiam nnne in Seripho insula. Eaedem alio translatae canaot : qaod accidere et in lacu Thessaliae Siceodo tradunt. In Italia mu ribus araaeis venenatas est morsas : eosdem ulte rior Apennino regio non habet. Iidem ubicumque sint, orbitam ή transiere, moriantur. In Olympo Macedoniae monte non sunt lapi, nec in Creta
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nelle fadoe dei ferro, e nelle miniere dell’oro : però si taglia loro il corpo, e trovasi che sempre ne son pieni; tanta è la dolcetta del rubare. Scri vono l ' istorie, ch’essendo Annibale all’assedio di Casilino, fa vendalo un topo dugento danari, e che colui, che lo vendè, si mori di fame, e chi lo comprò visse. Quando si veggon bianchi, fanno buono augurio. Noi abbiamo piene le istorie, che per lo stridor de1 topi si sono interrotti gli au gurii. Scrive Nigidio, che i topi anche essi si na scondono il verno, come i ghiri, i quali dalle leggi censorie, e da M. Scauro principe dd senato nd suo coasolato furooo interdetti, che non si dessero nei conviti, non altrimenti che l’ostriche e gli nocelli presi fuori d'Italia. E questo animale è mexxo tra selvatico e domestico ; e quel medesimo, che trovò i parchi pd dnghiali, trovò i serbatoi nd vasi di terra pei ghiri. E in dò s 'è posto mente, che non istanno insieme ratinati, se nou son nati in una medesima selva ; e se si mescolano insie me di diversi siti, che fossero separati o per fiome o per monte, muoiono combattendo. Nodriscono con gran pietà i loro padri quando sono stanchi per la vecchietta. Cacciano la vecchietta eoi dormire il verno; perchè qaesti animali anoora dormono riposti, e di nuovo la state rin giovaniscono, come fanno a neo le donnole. Q
u a l i a r m a l i ih q d a l i l u o g h i ho * siebo .
LXXX 1II. 58. È cosa meravigliosa, che la na tara non solo ha prodotti in diversi luoghi diversi animali, ma nel medesimo suolo ancora concede ad un sito qud stessi, che non concede ad dtro sito vicino. In Mesi· sdva di Italia non si ritro vano questi ghiri se non in una parte d'essa. In Licia i dorcadi, che sono spede di capre, non pas sano i monti confini alla Siria ; e gli anni salvatichi noo passano il monte, che parte la Cappadoda dalla Cilicia. Nell’ Ellesponto i cervi non escono de1 lor confini; e arca Arginasse non valicano il monte Elafo, «vendo fitti ancora gli orecchi nd monte. Nell' isola Poroselene le donnole non pae sano la via : e le talpe, se son portate in Lebadia di Beotia, fuggono altrove; mentre in Orcomeno frugano tutte le campagne ; ddle cui pelli io ho veduto farne coperte da letto : tanto è vero, che nè anco la religione non rimuove le delixie dai portenti. Le lepri portate in Itaca vi muoiooo appena toccano il lido. In E buso non son conigli, dove in Ispagna e nelle isole Baleari ne tono infi niti. A Cirene furon già mutole le ranocchie; essendovene poi portate di terraferma di qudle che cantavano, ve ne son tuttavia. Oggi tono an cora mutole nell' isola di Serifo. Queste medesi me portate altrove, cantano : e ciò dicesi ancora
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insula. Ibi qqidem non vulpes, arsire, atque omnino nollum maleficam animal, praeter pha langium : «urpuei id genus, de quo dicemus suo loco. Mirabilius, in eadem insula cervos, praeter quam in Cydoniatarum regione, non esse : item apros, et attagenas, herinaceos. In Africa autem nec apros, nec cervos, nec capreas, nec ursos.
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quab a d v b b is t a b t u m h o c b a jt quab
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u p i o t n s tabtum .
LXXXIV. 5g. Jam quaedam animalia indige· nis innoxia advenas interimunt : sicut serpentes parvi in Tirynthe, quos terra nasci proditur. Item in Syria angues, circa Euphratis maxime ripas, dormientes Sjros non attingunt, aut etiamsi calcati momordere, non sentinntur maleficia: aliis cujuscomque gentis infesti, avide et eum cruciatu exanimantes : quamobrem et Syri non necant eos. Contra in Latmo Cariae monte Ari stoteles tradit a scorpionibus hospites non laedi, indigenas interimi.
Sed reliquorum quoque animalium, et prae· ter terrestria, indicemus genera.
avvenire in Sieendo, lago di TecsagKa. In Italia i moseragnoli (ovvero i topi del genere delle don nole ) hanno il morso velenoso : oltra l’ Apenni no non ve ne sono. Questi medesimi, dovunque e i sono, se passano la via fatta dalla ruota d d carro, muoiono. In Olimpo monte di Macedonia noa sono lupi, nè anco ndl’ isola di Creta. Quivi noa sono volpi, n i orsi, nò alcuno altro animai d i danno, fuorché il falangio. Questa è ana specie di ragno, di oui parleremo d suo luogo. Ma molto maggior maraviglia è, ohe nella medesima isola non son cervi, fuorché nd territorio di Cidoaia ; nè son anco ringhiali, attageni, spiaosi. L’Africa non ha nè cinghiali, aè cervi, nè capriuoK, nò orsi. D ovb b q u a li faccia® d a b so a* s o li fo b b s tib b i : DOVB B QUALI AI SOLI PASSAVI.
LXXXIV. 5g. Sono alcuni animali, die non nuocono agli uomioi d d paese, e ammassano i forestieri ; siccome i serpenti piccoli in Tirinte, i qudi si tiene che nascono di terra. In Siria sono delle serpi, massimamente circa la riva dd fiume Eufrate, le quali non toccano i Siri che dormo· no; e se a caso sono da loro cdpeste, e per qaesto gli mordano, td morso non è velenoso. A gli dtri, di qualunque luogo si sieno, son ni miche, ammassandogli rabbiosamente e con tormento ; e per questo i Siri non le ammassano. Per Io contrario in Latmo monte del|a Caria aerivo Aristotele che gli scorpioni non offendono i fo. restieri, e uccidono gli nomini d d paese. Ma ragioniamo anoora dell'dtre aorli di ani· mali, oltra i terrestri.
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HISTORIARUM MUNDI LIBER IX A Q U A T I L I U M
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I. i. ijimmalrara, quae terreitria appellavimu», homhiam quadam consortione degentia, indicata natara esi. Ex teliquis minimas esse volucre· convenit. Quamobrem prius aequorum, amnium, stagnorumque dicentur.
I. i. iv o i abbiamo ragionato della natura degli animali terrestri, i quali vivono · un oerto modo io compagnia degli uomini. Fra gli altri, gli occelli sono gli animali pià piccoli. Per la qual cosa ragioneremo prima degli animali del mare, dei fiumi e degli slaghi. a. Sono in acqua di moltissimi animali, mag giori anco di quei di terra : la cagion di ciò è manifesta, cioè 1*abbondanza dell* umore. Altra natura è quella degli uccelli, i quali vivono pen dendo nell* aria. Ma nel mare sì largamente co ricato, e che con sì molle e «ì fertile nutrimento riceve in tè dalla sublime e sempre ingenerante natura il teme generativo, nascono spesso animali mostruosi dai detti scemi e principii in sè stessi intricati, e diversamente ora dal vento, ora dalPonde rivolti; di modo che è vera Γ opinion del volgo, che tutto quel che nasce in alcuna parte del mondo, nasce ancora in mare ; ed oltra ciò, che il mare genera molte altre cose, che non nascono altrove. Che poi il mare produca non solamente Immagini di animali,ma ancora di cose, se ne può convincere chiunque osservi forme dì uva, di coltello, di sega ; e il cocomero simile al terrestre nell* odore, e nel sapore. Però non sì maravigli altri di vedere, che in così picciole gocciole sien capi di cavalli.
a. Sunt autem complura in ii·, majora etiam terrestribus. Causa evidens, humoris luxuria. Alia sors aKlum, quibus vita pendentibn·. Iu mari autem tam late supino, mollique ac fertili nutri mento eccipiente catuas genitales e sublimi, semperque partente natura, pleraque eliam monstri' fica reperrantur, perplexi·,et in «emet aliter atque aliter nane flatu,nunc fluctu convoluti· seminibus, atque principiis : vera ut fiat rulgi opinio, quid quid nascatur in parte naturae ulla, et io mari esse ; praeterque multa, quae nusquam alibi. Re rum quidem, non solum animalium simulacra esse, licet intelligere intuentibus uvam, gladium, •erras ; cucumin vero et colore et odore similem : quo minus miremur equorum capila in tam par vis eminere cochleis.
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II. 3. Molti e grandissimi animali sono nel II. 3. Piarim· totem et maxima in Indico mari animalia, e qaibas balaenae qaaternum ju mare Indiano, fra i quali sono balene di quattro lugeri ( cioè di novecento sessanta piedi in lar gerum, pristes dacenam cubitorum : qaippe abi ghezza e la metà meno in lunghezza), e altri pesci locaiUe quaterna cubita impleant Anguillae chiamali pistrici, di dugento braccia : e locaste quoque in Gange amne tricenos pedes. Sed in di quattro braccia. Nel fiume Gange sono anguille mari belluae circa solstitia maxime visuntur. di trenta braccia. Le bestie di mare si veggono Tane illic raunt turbines, tunc imbres, tane de· jeclae montium jugit procellae ab imo vertunt di solstitio più che d'altro tempo. Quivi allora turbini tempestosi, quivi acquazzoni, quivi pro maria, pulsatasqae ex profundo bellaas cam flu celle, ebe precipitatesi dai dossi de* monti voltano ctibus volvunt : et alias tanta thjnnorum multi tudine, ut Magni Alexandri classis haud alio il mare sotto sopra, e rimosse dal fondo le mari ne belve, le travolgono coi loro flutti : e alcuna modo, quam bostium acie obvia contrarium agmeu adversa fronte direxerit: aliter sparsis volta sorge tanta moltitudine di tonni, che fu necessario alla flotta d 'Alessandro Magno strin non erat evadere. Non voce, non sonitu, non iclu, gersi in ischiera per andar contra questi animali, sed fragore terrentur, nec nisi ruina turbantur. Cadara appellatur Rubri maris peninsula ingens. nou altrimenti che si soglia fare contra i nemici : Hujus objectu vastus efficitur sinus, duodecim altrimenti, se i navili fossero iti sparsi, non sarebbono campati. Perciocché questi pesci non sì dierum et noctium remigio enavigatus Ptolemaeo regi, quando aullias aurae recipit afflatum. Hujus possono spaventare nè con voce, nè con suono, loci quiete praecipua ad immobilem magnitudi· nè con percosse, ma col fragore ; nè scompigliarli che al grande fracasso. È un luogo, il qual fa nem belluae adolescant. Gedrosos, qai Arabia amnem accolant, Alexandri Magni classium prae gran penisola nel mar Rosso, e si chiama Cadara; e perchè entra molto fra mare, fa ao golfo, cai fecti prodidere, ia domibus fores maxillis belluanavigò il re Tolomeo in dodici giorni, e dodici rum facere, ossibus tecta contignare, ex quibus notti, sempre vogando, perchè mai quivi possono multa quadragenum cubitorum longitudinis re i venti. In tal tranquilliti e quiete crescono i pesci perta. Exeunt et pecori similes belluae ibi iu ter ram, pastaeque radices fruticum remeant: et insino a una grandessa, che rende loro malage vole il moto. I Gedrosi, i quali abitano sul fiume quaedam equorum, asinorum, taurorum capiliArabi, mostrarono al capitano della flotta d'Ales bas, qaae depascantur sata. sandro Magno, ch'essi facevano gli uscii delle case di mascelle di pesci, e con l ' ossa facevano le travi, e correnti de' tetti, de* quali molti ve n'erano luoghi qoaranta braccia. Quivi sono alcuni pesci, che escono in terra, come una gran man dra, e pasconsi di radici d 'arboscelli, e dipoi ritornano in mare ; tra i quali sono alquanti, che hanno capo di cavallo, o d'asino, o di bue, e pascono i seminati. Q
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111. 4· Maximum animal in Indico mari pri HI. 4· Il maggiore animale, che sia nel mar stis, et balaena est : in Gallico oceano physeter, d 'India, è la pistrice e la balena : nel mare di Gal ingeniis columnae modo se attollens, altiorque lia il fiselere, il quale vieu fuora a guisa di co navium velii diluviem quamdam eructans. In Ga lonna, e più alto che le vele delle navi, manda ditano oceano arbor in tantum vastis dispansa fuora come un diluvio di acqua. Nel mar di Cadi ce è un pesce in forma d'albero, con rami tanto ramis, ut ex ea causa fretum numquam intrasse credatur. Apparent et rotae appellatae a similitu sparsi, che per questa cagione si crede che non dine, quaternis distinctae radiis, modiolos earum abbia mai passalo lo stretto. Veggenti pesci ancora chiamati ruote, per la somiglianza che n' hanno, oculis duobus atrimqae claudentibus. distinte per quattro raggi, chiudendo la traversa di quelle due occhi di qua e di là.
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p ig u b a d b g l i e l e f a n t i m a e io t .
IV. 5. Tiberio principi D o n t iiv it Olitiponen- IV. 5. Gli ambasciadori di Lisbona mandati per questo effetto a Tiberio imperadore, gli fecero sium legatio ob id mista, vitam, auditumque in qoodam speca concha caneotem Tritonem, qoa intendere, corae essi avevano veduto e udito in noscitur forma : et Nereidum falsa non est, squa ana certa spelonca nn Tritone, che sonava la cor mis modo hispido corpore, etiqm qaa hamanam netta, ed era di quella forma, con la quale si co effigiem habent. Namque haec in eodem spectata nosce; e che anco la forma delle Nereidi non è falsa, ma solamente hanno il corpo aspro per le scaglie, litore est, cujus morienlis etiam gannilum tristem accolae and i vere longe. Et divo Augusto legatas ancora dove hanno 6gura umana. Perciocché se ne Galliae complures in litore apparere exanimes vide una di queste nel medesimo lito, e gli uomi Nereidas scripsit. Auctores habeo in equestri ni del paese udirono di discosto il rimmaricchio ordine splendentes, visum ab his in Gaditano d’ essa, quando moriva. L’ ambasciador della oceano marinam hominem, toto corpore absoluta Gallia scrisse anco all’ imperadore Augusto, come similitudine : ascendere navigia nocturnis tem s1 erano vedute sul lito più Nereidi morte. Io ho poribus, statimque degravari, quas insederit, par- l’autorità di cavalieri onorati, i quali hanno scrit tea : et, si diutius permaneat, etiam mergi. Tibe to d* aver veduto nel mar di Cadice nno nomo rio principe, contra Lugdunensis provinciae litas marino,per tutto il corpo affatto somigliante a noi; simul treceutas amplias belluas reciprocans desti il quale di notte saliva sopra i navili, e aggravava tuit oceanus, mirae varietatis et magni tudiuis, tanto quella parte, dove ei posava, che poco più nec pauciores in Santonum litore : in terque reli che vi fosse stalo, il navilio si sarebbe affondato. quas elephantos, et arietes, candore tantom cor Nel tempo di Tiberio all’ iocontro del lito della nibus adsimulatis, Nereidas vero multas. Turauius provincia di Lione, il mare spinse in un’ isola prodidit expulsam belluam in Gaditana litora, più di trecento bestie, di gran varietà e gran cujus inter duas pinnas nltimae caudae cubita dezza, e poco manco altrettante alla spiaggia dei sexdeciro fuissent, dentes ejusdem cxx maximi Santoni ; e fra l’ altre elefanti, e montoni con le dodrantium mensara, minimi semipedum. Bel- corna, simili a’ terrestri solo nel color biaoco, e luae, cui dicebatur exposita fuisse Andromeda, molle Nereidi. Scrive Turanio, che alla spiaggia oasa Romae, apportata ex oppido Judaeae Joppe, di Cadice fu gettata una bestia, la quale fra le due ostendit inter reliqua miracula iu aedilitate sua penne nell’ estremità della coda avea sedici brac cia di spazio : ì denti della medesima erano cento M. Scaurus, longitudine pedam x l , altitudine costarum Indicos dephautos excedente, spinae venti, an palmo lunghi i maggiori, mezzo piede i minori. L ’ ossa della bestia, alla quale si diceva crassitudine sesquipedali. che era stata data Andromeda a divorare, essendo •tate portate a Roma dalla città di loppe nella Giudea, furono mostre da M. Scauro, che era edile, fra le altre maraviglie, ed erano lunghe quaranta piedi, e d’altezza passavano le coste de gli elefanti Indiani : la spioa era grossa un piede e mezzo. D E BALABE IS : DE OBCU.
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V. 6. Balaenae et in nostra maria penetrant. V. 6. Le balene passano nei nostri mari. Dicesi che elle non si veggono nel mar di Spagna In tiaditano oceano non ante brumam conspici eis tradunt, condi autem statis temporibus in innanzi il verno, e che a certi tempi si nascon qnodam siim placido et capaci, mire gaudentes dono in un certo golfo placido e capace, e quivi ibi parere. Hoc scire orcas, infestam his belluam, hanno piacere di partorire. Dicesi che vengono a saperlo le orche, bestia molto nimica alla bale et cujus imago nulla repraesentatione exprimi possit alia, quam carnis immensae dentibus tru na, e la cui forma non si può esprimere per alcuna culentae. Irrumpunt ergo in secreta, ac vitulos altra rappresentazione, che d’una immensa mole earum, aut fetus, vel etiamnuro gravidae lanci di carne con terribili denti. Vanno dunque in nant morsu, incursuque, r«n Liburnicarum ro quei luoghi secreti, e i figliuoli delle balene, e quelle che hanno partorito, e le gravide ancora stris fodiunt. Illae ad Uexum immobiles, ad repu-
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G. PLINII SECUNDI
gnandotn inerte·, et pondere sao oneratae, tane quidem et utero graves, pariendive poenis inva lidae ; solum auxilium novere in altum profugere, et se toto defendere oceano. Contra, orcae occur rere laborant, seseque opponere et caveatas an gustiis trucidare, in vada urgere, saxis illidere. Spectantur ea proelia, ceu mari ipsi sibi irato, nullis in sinu ventis, fluctibus vero ad anhelitus ictusque, quantos nulli turbines volvant. Orca et in portu Ostiensi visa est, oppugnata a Claudio principe. Venerat tunc exaedi fica nte eo portum, invitata naufragiis tergorum advectorum e Gallia, satiansque se per complures dies, alveum in vado sulcaverat, adtumnlata fluctibus in tantum, ut circumagi nullo modo posset ; et dum saginam persequitur, in litus fluctibus propulsa, emineret dorso mullum supra aquas carinae vice inversae. Praetendi jussit Caesar plagas multiplices inter ora portus: profectusque ipse cum praetorianis cohortibus populo Romano spectaculum prae buit, lanceas congerente milite e navigiis assul tantibus, quorum unum mergi vidimus, reflatu belluae opptelum unda.
A * SPIBBHT PISCES : AH DOEMAHT.
sbranano coi morsi, e verso lor correndo vanno « investirle, come se fossero navi Libumiehe, che co' becchi investissero le nemiche. Le balene inette a piegarsi, e pigre a difendersi, e aggravate dal proprio peso, e fatte pià lente dall'esser pre gne, o dalle doglie del parto, non trovano altro scampo, se non fuggirsi in alto mare, e difen dersi nella vastità dell'Oceano. D 'altra parte si oppongono le orche, e ingegnansi d’ incontrar le, e negli stretti degli scogli ucciderle, o spin gerle nelle secche, o nei sassi fiaccarle. Veggonsi queste battaglie, che pare che il mare sia crucciato fra sè medesimo ; e benché non sia vento, non dimeno per lo soffiar di queste bestie e per li colpi si leva burrasca in mare, come se ei fosse travaglialo da gran furia di vento. Trovossi una orca nel porto d'Ostia, presa da Claudio impera dore, quando egli edificava quel porto. Era venu ta questa bestia dietro a' coiami, arrecati da un legno di Gallia, che rompendo per tempesta gli avea perduti in mare; ed essendosi per molti giorni ripiena di quel cibo, avea solcalo il baiso del mare, e ricoperta da meuo acqua non poteva volteggiare. Onde mentre che ella seguitava die tro a tal cibo, fu spinta nel lido dall'onde, stando rilevala cou la schiena molto fuor deir acqua, come una barca volta a rovescio. L* imperadore fece tendere molte reti nella bocca del porto, e venuto esso coi soldati della sua guardia contra la bestia, diede grato spettacolo al popolo Ro mano. I soldati lanciavano armi in asta dai lor navili, che cercavano investirla, de' quali uno ite vedemmo affondare coperto da gran moltitudine d 'acqua, cui soffiando la bestia ributtò. Sa i
PESCI a l i t a n o
: sa d o k m o s o .
VI. Ora balaenae habent in frontibus : ideoVI. Le balene hanno la bocca nella fronte, e però nuotando in sommo dell'acqua, mandano in que summa aqua natantes, in sublime nimbos ef alto come uua grandissima pioggia. flant. 7. Spirano, secoodo l'opinione d'ognuno, po η. Spirant autem confessione omnium et pan dissima alia in mari, quae internorum viscerum chissimi altri animali nel mare, che hauuo il pol mone nelle viscere, perciocché senza esso si tieue pulmonem habent, quoniam sine eo nullum ani mal putatur spirare : nec piscium branchias ha che niuno animale possa alitare. I pesci che han bentes, anhelitum reddere, ac per vices recipere no branche, secondo alcuni, nou danno alito, oc existimant, quorum haec opinio est : nec multa lo ricevono. Ma ne fan senza molti pesci ancora, alia genera etiam branchiis carentia : in qua che non hanno branche, del qual parere veggio senlcotia fuisse Aristotelem video, et multii per- che fu Aristotele, il quale con molle iovestigatuasisse doctrinae indaginibus. Nec me protinus zioni ciò persuase. Ora io confesso che non mi huic opinioni eorum accedere haud dissimulo : accosto così subito alla opinione di costoro ; per quoniam et pulmonum vice aliis possunt alia spi ciocché gli animali possono avere in luogo d i pol rabilia inesse viscera, ita volente natara : sicut mone altre viscere che spirino, volendo così la et pro sanguine est multis alius humor. Iu aquas natura; come in luogo di sangue molti auiuiali quidem penetrare vitalem hunc halitum quis hanno uu altro umore. E chi si vorrà maraviglia tuirelur, qui etiam reddi ab his eum cernat : re, che questo alito,vitale penetri nell' acqua, il et in terras quoque tanto spissiorem naturae quale lo veggd auco uscire da essa, e peuetrare
HISTORIARUM MUNDI LIB. IX.
pariem, penetrare, «rgumento animalium, quae semper defossa vivunt, ceu talpae? Accedant «pad n e certe efficacia, ut credam etiam omnia ia aqais spirare naturae soae aorte : primam saepe adootata piscium aestivo calore quaedam anhela tio, et alia tranquillo velat oscitatio: ipsoram quoque, qai sunt in adversa opinione, de sora no piscnm confessio : qais enim sine respiratione somno locosf Praeterea ballantium aquarum suf flatio, lanaeque effeola concharom quoque cor pora augescentia. Saper omnia esi, qaod esse auditam et odoratam piscibus, non erit dubium : ex aèris atrumque materia. Odorem quidem non aliad, quam infectom aera, intelligi possil. Quaraobrem de his opinetur, at cuique libitum erit. Branchiae non sunt balaenis, nec delphinis. Haec doo genera fistulis spirant, qoae ad pulmonem pertinent, balaenis a fronte, delphinis a dorso. E t vituli marini, qnos vocant phocas, spirant ac dormiunt in terra. Item testudines, de quibus mox plura.
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VII. 8. Volocisstmnm omniam animalium, non solum marinorum, est delphinus, ocior vo lucre, ocior telo, ac nisi multum infra rostrum os illi foret, medio paene in venire, nullus pi scium celeritatem ejus evaderet. Sed adfert mo ram providentia naturae, quia nisi resupini atque conversi non corripiunt: quae causa praecipue -velocitatem eoram ostendit. Nam quum fame con citi, fugientem in vada ima persecuti piscem, diutius spiritum continuere, ut arcu emissi, ad respirandum emicant ; tantaque vi exsiliunt, ut plerumque vela navium transvolent. Vagantur fere conjugia : pariunt catulos decimo mense, •estivo tempore, interim et binos : nulriunt ube ribus, sicut balaena: atque etiam gestant fetus iofantia infirmos. Quin et adultos diu comilantnr, magna erga parium caritale. Adolescant celeriter, decem annis palantur ad summam magnitudinem parvenire : vivunt et tricenis ; quod cognitum praecisa cauda in experimentum. Abduntur tri ceni· diebus circa Canis ortum, occaltantarque incognito modo : quod eo magis mirum est, si spirare in aqua non queunt. Solent in terram erumpere incerta de causa : nec stalim tellure tacta moriuntur, multoque ocius fislnla clausa. Lingua est his contra nataram aquatilium mobilis, brevis atque lata, haud difierens suillae. Pro voce gemila· humano sim ili·, dorsum repandum,
anoora nella «erra, taoto più densa parte della natura; essendo di ciò segno gli animali, che stanno sempre sotterra, come le talpe ? Oltre a ciò, forti ragioni mi fan credere, che ancora tutti gli animali nell’ acqua spirino secondo la sorte della natura loro ; prima, perchè nel caldo della state si è notata una certa anelaiioue de’ pesci, e nella tranquillila dell'acqua come uno sbavigliare. Dipoi perchè coloro, che sono di contraria opinione, confessano che i pesci dormono ; pe rocché come può esserci sonno senza respirazio ne ? Serica che veggonsi nelle acque certe enfia ture, ovvero bolle, e col progresso della luna in grandire i corpi delle conchiglie. Ma sopra tutto, ei non è dubbio alcuno che i pesci hanno l’ udito e l'odoralo, e che l'uno e l'altro è prodotto dall ' aria ; perchè l ' odore non si può intendere che sia altro che aria infetta. Nondimeno intorno a ciò ognun creda quel che gli pare. Nè le balene, nè i delfini non hanno brauche, ma alitano per due canali, quali vanno al polmone ; le balene dalla fronte, i delfini dalla schiena. Eziandio il vecchio marino, che si chiama foca, alita e dorme in terra : e le testuggini anoora, delle qaali pooo di sotto parleremo. Db’
d e l u s i.
VII. 8.11 delfino è il più veloce di latti gii animali, non solo dei marini : egli vince di velo cità l ' uccello, vince la saetta ; e se non fosse che egli ha la bocca mollo più bassa che il becco, quasi a mezza la pancia, nessuo pe»ce scamperebbe dal la sua velocità. Ma la provvidenza della natura l’ ha in qualche guisa fatto tardo, perchè egli uou può pigliar con bocca se non supino e rivolto : la qual cagione principalmente mostra la velocità loro. Perchè quando essi cacciati dalla fame han no perseguitalo il pesce insin al fondo, e hanno ritenuto Γ alilo per un pezzo, saltano su per po ter respirare, come ghiera uscita di balestro ; e con tanto empito escon fuori, che molte volte col salto passano le vele de’ navili. Vanno insieme quasi sempre maschio e femmina : figliano il de cimo mese il tempo della siate, e talor due: danno poppa come le balene, e portano i lor figli, quando sono ancor troppo deboli. Anzi gli ac· compagnano anco quando son maggioretli, e guardangli con grande amore. Crescono in poco tempo, e in termine di dieci anni vengono alla maggiore grandezza : vivon anche trenta anni, e ciò s’ è trovato per aver tagliata la coda a uno. Stauno nascosi nn mese intorno al nascere della Canicola, nè si sa come, il ohe fa tanto maggior maraviglia, perchè non possono spirare nell’acqua. Soglion saltare in terra, nè si >a perchè, nè subito
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rosi rum «imam. Qua de e n s i nomen Simoni* omnes miro modo agnoscant, malantqne ita appellari.
Quos AMAVBRIHT. T 1II. Delphinus non homioi tantam amicam aaimal, verum et masicae arti, mulcetur sym phonia· eantu, et praecipue hydrauli sono. Ho minem non expavescit, at alienum : obviam navigiis venit, adludit exsultans, certat etiam, et quamvis plena praeterit vela. Divo Angusto prin cipe, Lucrinnm lacum iavectas, pauperis cnjusdam puerum, ex Bajano Puteolos in ludum literarium itanlem, quum meridiano immorans appellatum enm Simonis nomine saepius fragmen tis panis, quem ob id ferebat, adlexisset, miro •more dilexit. Pigeret referre, ni res Maecenatis et Fabiani, et Flavi Alfii, moltorumque esset literis mandata. Quocumque diei tempore incla matas a puero, quamvis occa Itus atqne abditus, ex imo advolabat ; pastasqae e mana praebebat •scensaro dorsum, pinnae aculeos velut vagiua condens: receptamqae Puteolos per magnam •equor in ludum ferebat, simili modo revehens pluribus annis: donec morbo exstincto puero, subinde ad consuetum locum ventitans, tristis et moerenti similis, ipse quoqae ( qaod nemo dabitaret ) desiderio exspiravit
Alias intra hos annos in Africo litore Hippo nis Diarrhyti, simili modo ex hominum mana vescens, praebensque se tractandum, et adludens natantibus, impoiitosque portans, nogueuto pe runctus a Flaviano proconsule Africae, et sopitus ( at apparuit ) odoris novitate , fluctuatusque •imilis exanimi, caruit hominum conversatione, nt injuria fugatus, per aliquot menses: mox reversus in eodem miraculo fuit. Injuriae potesta tum in hospitales, ad visendum venientium, Hipponenses in necem ejus compulerunt.
che l 'hanno tocca ai muoiono, ma molto più tosto muoiono turandosi loro la canna, per la qoale tirano l’ alito. Essi contra la natura degli altri animali d’ acqua, hanno la lingua mobile, corta e larga, poco differente da quella del porco, l a cambio di voce hanno un gemito simUe a quel dell’uomo, la schiena acrignata, il muso stiacciato. Laonde tolti maravigliosameote conoscono il no me Simooe, ed hanno caro d’ esser cosi chiamati. A
CHI ΑΒΒΙΑΗΟ POETATO AM Oftl.
VIII. È il delfino non solo amico delT aomo, ma ancora della musica, e sopra tutto sì dilette del suono degli organi d’ acqua. Non ha punto paura dell’ uomo, anzi va incontra a* navili, e in torno a essi giuoca e scherza. Combatte simil mente del correre, e passagli benché abbin le vele piene. Al tempo d* Augusto imperadore on del fino entrò nel lago Lucrioo, dove αα fanciuUo d’ un povero uomo, il quale andava ogni giorno da Baia a Pozzuolo alla scuola, veggendolo men tre sedeva al meriggio, il chiamava e allettava con minuzzoli di pane, che perciò recava seco, tanto che ripetuta sovente quella baia, il delfino gli pose grandissimo amore. Vergognereimi a par lare di questa cosa, s’ ella non fosse stata scritta da Mecenate, da Flaviano, da Flavio Alfio, e da molti altri. Da tutte 1* ore del giorno eh’ egli era chiamato da questo fanciullo, benché e’ fosse ascoso e riposto, di subito veniva, e mangiandogli in mano, poi gli porgeva la schiena perchè vi montasse, ascondendo le spine del dosso come se le rimettesse in una guaina. Il fanciullo mon tava sul delfino, il quale per lungo spazio di mare lo portava a Pozzuolo alla scuola, e simil mente lo riportava a casa ; e qoesto durò molti anni : alfine mortosi il fanciullo di malattia, il delfino venendo al luogo usato, simile a ua die si dolga e si rammarichi, ancora esso, il che nes suno dubita, morì di dolore. Un'altro ne fu a questi anni nel lido d’Africa d* lppone Diarrito, che per simil modo mangiava in mano all* uomo, e lasciavasi maneggiare, e scherzava con quei che nuotavano, e portava quei che gli salivano addosso. Dipoi essendo unto da Flaviano proconsolo d’ Africa con odoriferi pro fumi , e addormentato, come si vide, per la novità dell’ olezzo, e sbattuto dall'onde quasi che morto, fuggì della conversazione delle per sone, come fatto fuggir per ingiuria, per alcani mesi : dipoi ritornato continuò a fare le medesime maraviglie. Ma gli Ipponesi furono costretti uc ciderlo per li danni, che ricevevano quegli che alloggiavano i magistrati e uomini grandi, che venivano a vedere.
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Ante haee simili· die paero in lasso otrbe Memorantor, cujus amore speciatus loogo tem pore, dum a beantem in litas avide sequitur, in arenam invectos exspiravit. Puerum Alexander Magnos Babylone Neptuni sacerdotio praefecit, •morem illum numinis propitii fuisse interpreta tas. In eadem urbe lasso Hegesidemus scribit et aliam puerum Hermiam nomine, similiter maria perequitantem, quum repentinae procellae fluctibus exanimatus esset, relatum : delphioumque causam leti fatentem non reversum in maria, •tque in sicco exspirasse. Hoc idem et Naupacti accidisse Theophrastus tradit. Nec modus exem plorum. Eadem Amphilochiet Tarentini de pueris delphinisqne narrant. Quae faciunt, ut credatur Arionem quoque citharoedicae artis interficere oautis in mari parantibus, ad intercipiendos ejus quaestus, eblanditum, ut prius caneret cithara, congregatis cantu delphinis, quum se jecisset in mare, exceptum ab nno Taenarium in litus per rectam .
Qonus 19 l o c i · s o c i e t a t e riscean».
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Innanzi a qoesta si racconta una cosa simile avvenuta a un fanciullo nella ciltà di lasso, il quale era stato lungo tempo vagheggiato da «n delfino : poiché volendo il delfino seguitare con troppo desiderio il fanciullo, che se n'andava, scorso nell'arena mori. Alessandro Magno volle che quel fanciullo medesimo in Babilonia fosse fatto sacerdote di Nettuno, persuadendo*! che quello amore fosse segno che avesse propizio quel dio. Scrive Egesidemo, che nella medesima città di lasso fu un altro fanciullo, chiamato Ermia, che similmente cavalcava per mare un delfino ; il quale essendo morto per nna subita burrasca, il delfino lo riportò alla riva, e confessando di essere stato cagione della sua morte, non volle piò tornare in mare, ma mori in secco. Scrive Teofrasto ancora, che questo medesimo avvenne in Naupatie. Nè si finirebbe di recarne esempli. 11 medesimo raccontano gli Anfilochi e i Taren tini de' fanciulli e de1 delfini. Il che fa che noi crediamo esser vero quel che si dice d'Arione. Fu Arione gran musico, e avendo acquistato in Italia gran ricchezze per la sua arte, tornava in Grecia per mare : onde quei della nave fecero tra loro consiglio d'ucciderlo, e rubargli i denari. Di che avveggendosi Arione, domandò loro di grazi·, che innanzi che l'ammazzassero, lo lascias sero cantare sulla sua cetra: con quel canto e suono raunò intorno al uavilio più delfini, e get tatosi fra loro, fu ricevuto da uno e portalo • salvamento nel lito dell'isola di Tenaro. I a q o a l i s it i v is c a n t o ess i
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c o m p a g n ia
DEGLI UOMINI.
E nella Provenza nel territorio di Nimes IX. Est protinciae Narbonensis et in Nemau- IX. uno slagno chiamato Later1», dove i delfìni pesca aiensi agro stagnum Latera appellatura, ubi cum no in compagnia degli uomini. Quivi una infi homine delphini sncietate piscantor. Innumera vis nita quantità di muggini a certo tempo dell'anno mugilum stato tempore angustis ftucibns stagni per le strette foci dello stagno entra in mare, ap in mare erumpit, observata aestus reciprocatioue. postando quando la corsia torna indietro. Però Qua de causa praetendi non queant retia, aeque non si possono tender le reti, perchè esse non molem ponderis nullo modo toleratura, eliamsi reggerebbero tanta mole di peso, quantunque non solertia insidietur tempori. Simili ratione in l ' industria non aspettasse questa occasione. Per •Itum protinus tendunt, quod vicino gurgite questo modo i muggini vanno subito nel prò. efficitur, locumqne solum pandendis retibus habi fondo del golfo vicino, affrettandosi di fuggire lem effugere festinant. Qaod ubi animadvertere piscantes (concurrit autem roultiludo temporis solo il luogo adatto a distendervi le reti. I pesca tori come ciò osservano (e ve ne accorre gran gnara, et magis eliam voluptatis hujus avida), copia che sa il tempo, e parte anche per godere totosque populus e litore quanto potest clamore cenciet Simonem ad spectaculi eventum. Celeriter di questa difettosa pesca), e tutto il popolo dal lido con quanto posson di voce gridan Simone, delphini exaudiant desideria, Aquilonum flatu perchè succeda lo spettacolo. 1 delfini subito sod vocem prosequente, Austro vero tardius ex ad disfanno a) desiderio loro, quando regna vento verso referente. Sed tum quoque improviso in auxilium advolant. Properare apparet acies, qoae di tramontana, perchè ei porta loro la voce, la protinus disponitur in loco, ubi conjectus est qaale odon più tardi quando tira ostro, perchè tira in direzione opposta. Ma pur anche allora pugnae: opponunt sese ab alto, trepidosque in
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vada urgent. Tum piscatores circumdant retia, furcisque sublevant : mugilum nihilomiuus velo· citas transilit. At illos excipiunt delphini, et occidisse ad praesens contenti, cibos in victoriam differunt. Opere proelium fervet, includique reti bus se fortissime urgentes gaudent: ac ae idipsum fugam hostium stimulet, inter navigia et Telia, natantesve homines, ita sensim elabuntur, ut exitum non aperiant. Saltu, quod est alias blan dissimum his, nullas conatur evadere, ni sub· mittantur sibi retia. Egressus protinus ante vallum proeliatur. Ita peracta captura, quos interemere, diripiant. Sed enixioris operae, qaam in unius diei praemium, conscii sibi, opperiuntur in posterum : nec piscibus tantum,* sed intrita panis e vino satiantur.
A l ia
circa bos m ira .
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sono a tempo, e volano subitamente in aiuto. Vedesi il loro affrettarsi, e lo schierarsi tosto dove ha da succedere la pugna: vengono dall'alto mare incontro ai muggini, e atterriti gli cacciano ne' sili guadosi. Allora i pescatori gli circondano con le reti, cui con le forche sollevano ; e non dimeno la velocità de'maggini le passa. Ma i del fini gli scontrano, e per allora basta loro uccider gli, riserbandosi a mangiargli dopo la vittori*. Quivi combattono valorosamente, e hanno caro d'esser rinchiusi nelle reti, dove gagliardamente stringono i pesci. E acciocché questo medesimo non istimoli alla fuga i nemici, fra i navili e le reti, e gli uomini che nuotano, si destramente passano, ché non mostrano ai nemici vie d'uscita. Nessuno si sfona d'uscirne col salto, il che è age volissimo loro, se non son loro abbassate le reti. E qaale è uscito delle reti, subito combatte in nanzi allo steccato. Così poi che hanno finita la preda tolgono quei ch'essi hanno ammazzato. Ma perchè essi conoscono, che la fatica che hanno fatta merita molto maggior premio, che il man giar d* un giorno, aspettano l ' altro dì, per essere non pur sazii di pesce, ma ancora di pane intriso nel vino. A l t e e £,0x 0 u a e a v ig li o s b cosa.
X. Qaae de eodem genere piscandi in Iassio X. Quel che scrive Muoiano della medesima sinu Mucianus tradit, hoc differunt, quod ultro, maniera di pescar nel golfo di lasso, è differente neque inclamati praesto sint, partesque e mani in questo, che i delfini vengon da sè senza esser bus accipiant, et suum quaeque cymba e delphinis chiamati, e la parte, che tocca loro della preda, socium habeat, quamvis noctu, et ad faces. Ipsis la pigliano dalle mani de' pescatori, e ciascuna quoque inter se publica est societas. Capto a rege barca ha per compagno un delfino, benché di Cariae, alligatoque in portu, ingens reliquorum notte, e a lume di facelline. Essi aneora hanno convenit multitodo,moestitia quadam quae posset fra loro una pubblica compagnia. Avendo il re intelligi, miserationem petens, donec dimitti rex di Caria preso e legato nel porto un delfino, una gran moltitudine di altri vi si raunò intor cum jussit. Quin «t parvos semper aliquis gran no, e con una certa manincttaia, la quale si po dior comitatur, ut custos. Conspectique sunt teva bene intendere, domandavano misericordia, jam defunctum portantes, ne laceraretur a belluis. insino a che il re comandò che fosse lasciato ire. C' è di piò, che sempre alcun de' più grandi ac compagna i piccoli come per guardia. E già si son veduti, che portavano un morto, perchè non fosse straziato dalle bestie. Db
t o b s io b ib u s .
Da* T orsi ohi.
XI. 9. Quegli, che chiamano torsioni, so XI. 9. Delphinorum similitudinem habent, qui vocantur tursiones. Distant et tristitia qui migliano a' delfini, ma sono differenti nell' au dem aspectus : abest enim illa lascivia, maxime sterità dell' aspetto, perciocché essi non hanno tamen rostris canicularum maleficentiae adsimu- quella vaga piacevolezza : nondimeno tengono molto delie caguuole nel muso e nella mordacità. lati.
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HISTORIARUM MUNDI UB. IX.
TBSTCDIK1B0S. Q l'A B GESEHA AQUÀT 1L 1BM TBSTODINCH, ET QOOUODO CAP1ABTOB.
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D b l l b t b s t o o o k t i . Q o a l i s p b c ib d i i b s w o g m i d ' a c q u a , b com b si h o u b o
.
io. Il mar d’ india prodoce testuggini XII. 10. Testudines tanta· magnitudines In XII. dicam nare emittit, ut singularum superfìcie di tanta grandezza, che con la superficie d'ana di esse si cuoprono le case abitabili, e fra Pisole habitabiles casas integant, atqae insulas Rubri del mar Bosso navigano con queste in luogo di praecipue maris his navigent cymbis. Capiuntur mallis quidem modis, sed maxime evectae io sum barche. Esse si pigliano in molti modi, ma sopra tutto quando presso al mezzogiorno vengono a ma pelagi antemeridiano tempore blandito, emi galla, stando sopra l'acqoa tranquilla con tutta nente toto dorso per tranquilla fluitantes : quae la schieua : il qual piacere di potere liberamente voluptas libere spirandi in tantum fallit oblitas spirare inganna le meschine dimenticate di lor sui, at solis vapore siccato cortice, oon queaut medesime, che riseccando il guscio loro per la for mergi, invitaeque fluitent, opportunae venanlum praedae. Feruot et pastum egressas noctu, avido- za dal sole, quando poi vogliono, non si posson tuffare, e lor malgrado galleggiaodo rimangono qne saturatas lassari: atque ut remeaverint ma in preda del pescatori. Dicesi ancora, eh* elle tutino, somma in aqoa obdormiscere : id prodi escono la notte in terra a pasturarsi, e quando stertentium sooitu; tamqoe leviter capi. Adnotare sono ben piene e satolle mancano di forze : e eoim siogulis ternos: a duobus in dorsum verti, a dipoi verso il dì tornando al mare s'addormen tertio laqueom injici supinae, atque ita e terra a tano stando a galla ; il che si conosce perch'elle pluribos trahi. In Phoenicio mari haad olla dif ficoltate capiootor, oltroque veniant stato tem russano forte. Allora si pigliano agevolmente, perciocché tre persone vanno nuotando intorno pore anni in amnem Eleotherum effusa multitu a una : due la volgono cou la schiena di sotto, dine. Dentes aon sunt testudini, sed rostri margi nes acuii, superna parte inferiorem daudenle il terzo le getta il capestro, e così supine più uomini che sono in terra, le tirano a sé. Nel mar pyxidom modo. In mari conchyliis vivant, tanta di Fenicia si pigliano senza alcona difficolti, poi oris duritia, at lapides comminuant : in terram ché da loro stesse vengono a certi tempi dell'anno egressae, herbis. Pariuot ova avium ovis similia, nel fiume Eleatero io gran numero. Le testuggioì ad centena numero : eaque defossa extra aqoas, noa hanno denti, ma Γ orlo del maio taglia co et cooperta terra, ac pavita pectore et compla me coltello, e la parte di sotto si chiude in quel nata, incobant noctibus. Educoot fetus aoooo spatio. Quidam oculis, spectandoqoe ova foveri la di sopra come si chiuderebbe una scallola. In ab iis potant : feminas coilom fugere, donec mas mare vivono d' ostriche, e hanno sì dura la booca, che romperebbon le pietre : uscendo in terra festucam aliquam imponat aversae. Troglodytae cornigeras habent, ut in lyra, adnexis cornibus vivono di erbe. Fanno uova simili a quelle degli uccelli, infioo a cento per volta. Infossante fuor latis, sed mobilibus, quorum in natando remigio dell'acqua, e le cuoprono con la terra : e poiché se adjuvant. Chelyon id vocatur, eximiae testu 1' hanno ben accozzate insieme e ripianate col dinis, sed rarae : namque scopuli praeacuti Chelonophagos terrent. Troglodytae autem, ad quos pelto, vi stanno sopra a covarle la notte. Allevano adnatant, at sacras, adorant. Sout et terrestres, i figliuoli in termine di un anno. Alcuni tengono ch'elle covino l'uova loro cogli occhi, solo a quae ob id ία operibus Chersinae vocantur, in Africae desertis, qua parte maxime sitientibus gaardarle. Dicono che le femmine fuggono il areuis squalent, roscido, ot creditur, humore coito, infin che il maschio non mette loro di die tro qualche fuscello. Nel paese de'Trogloditi «ono viventes. Neque aliud ibi animal provenit* cornute come una lira, cou larghe corna con giunte, ma mobili, cui nuotando adoperano per remi. Chelio si chiama la testuggine di questa specie, che é d’esimia qualità, ma rara. Percioc ché gli scogli mollo acuii spaventano i Chelonofagi, cioè quegli, che raangiauo le testuggini. 1 Trogloditi, ai quali elle nuotano, le adorano come sacre. Sono ancora tesluggiui terrestri, le quali per questo dagli artefici, che le adoperuno, son chiamate Chersine. Nascono ne'discrii d'A fri ca, massimamente in quella parte, dove le a t e u e
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c * PUNII SECONDI
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eoa più ardenti; evivono, per quel che si crede, di rugiada. Nè quivi nasce alcuno altro animale. Q u is
p e ih o s t e s t u d ii e i i s b c a r b ib s t i t u b r it .
C hi
f u i l p r im o c h e se g ò i l g u s c io d e l l a
TBSTUGGISE.
XIII. 11. Carvilio Pollione fu il primo, ch e XIII. i i . Teslndinum putamina secare in cominciò segare i gusci delle testuggini in piastre, laminas, lectosque et repositoria his vestire, Carvilius Pollio instituit, prodigi et sagacis ad per ornarne le lettiere e gli armadii. Fu costui uomo d’ ingegno prodigo e sagace a trovare g li luxuriae instrumeuta ingeuii. instrumenti delle delizie. D
D ig e s t io a q u a t i l i u m p e r s p e c ie s .
e g l i a c q u a t ic i o t s t ib t i p u
is p b o k .
XIV. ia. 1 copri menti degli animali di aequa XIV. ia. Aquatilium tegumenta plora sunt. son molti: altri son coperti di cuoio e d i peli, Alia corio et pilis integantur, at vituli et hippo potami. Alia corio tautam, at delphini ; cortioe, come i vitelli e gli ippopotami. Altri di cuoio solo, ut testudines ; silicum duritia, ut ostreae et come i delfini; altri di scorza, come le testuggini: alcuni di durezza di pietra, come I1 ostriche e i conchas ; crustis, ut locustae ; crustis et spinis, at nicchii ; di croste, come le locuste; di croste e di echini ; squamis, at pisces; aspera cate, ut sqaaspine, come i ricci marini ; di scaglie, come i tina, qua lignum et ebora poliuntur : molli, at pesci ; di pelle ruvida, come la squatina, eoo la muraenae : alia nulla, ut polypi» quale si pulisce il legno e l’ avorio : alcuni hanno la pelle morbida, come la murena ; altri non hanno pelle, come i polpi. Q u a · p il o v e s t ia n t u r , a u t c a r e a n t ; e t q u o m o d o PABIAHT.
De
VITO LIS MARINIS, SIVB PHOCIS.
Q
o a l i si vestan o d i p e l o , q u a l i i o
TORISCANO. D s ’ v i t e l l i
m a r in i ,
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co m e p a h
·
OVVERO FOCHI.
XV. i 3. Quaepilo vestiuntur animai pariunt, XV. i 3. Quegli animali, che son vestiti di ut pristis, balaena, vitulas. Hic parit in terra pelo partoriscono animale, e non nova, come la pecadum more: secundas partu reddit. Inita pistrice, la balena, e il vecchio marino. Questo canam modo cohaeret : parit nonnumquam partorisce in terra, come gli animali terrestri, e geminis plures : educat mammis fetum. Non ante partorendo manda fuori la secondina, ovvero duodecimum diem deducit in mare, ex eo sub membrana che avvolge il parto nel ventre. Nel inde assuefaciens. Interficiuntur difficulter nisi coito rimane appiccato, come i cani : ne fa tal· capite eliso. Ipsis in tono mugitas: unde nomen volta piò che due, e gli allieva con le poppe. Non vituli. Accipiunt tamen disciplinam, voceque pa gli conduce al mare, se prima non hanno dodici riter el visu populum salutant : incondito fremitu, giorni, e dipoi ne gli comincia avvezzare. Diffi nomine vocati, respondent. Nullum animal gra cilmente s 'ammazzano, se non sono percossi nel viore somno premitor. Pinnis, quibus in mari capo. Questi animali mugghiano, e perciò furono uluniur, humi quoqne vice pedum serpunt. Pelles chiamati vitelli. Nondimeno s* ammaestrano, e eorum, eliam detractascorpori, sensura aequorum con la voce, e con la vista salutano il popolo ; relinere traduul,seroperqueacslu maris recedente e chiamati per nome rispondono con asprissimo inhorrescere: praeterea dextrae pinnae vim sopo urlo. Nessuno auiraale ha sonno più profondo. riferam inesse, somnosque allicere subditam Serpeggiano ancora in terra con le penne, le quali capiti. usano in mare. Le pelli loro ancora cavate dal corpo, dicesi che ritengono il senso del mare, e sempre, quando il mare scema, e la corsia ritorna indietro, s’arricciano. Dicono ancora, che le pen ne loro del lato ritto hanno forza d'addormen tare,e iucitauo il sonno a chi le tiene sotto il capo. 1 4 . F ilo c a re n tiu m d u o o m n in o a u im a l p a 14. D'animali, che non abbian pelo, due sola r iu n i, d e lib im i» «φ v ip e r a . mente sono, che partoriscouo nou uova, ma auimale, cioè il delfino e la vipera.
HISTORIARUM MUNDI LIB. IX.
84ο
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QtJOT OMBRA r a c n w .
Q u a r t i g b b e r i d i pesci c i h a .
X Y 1. Pisoium sant species septuaginta quatuor, praeter crustis ia tecta, quae inot triginta. De singulis alias dicemus. Nunc eoim oaturae «radantur insignium.
XVI. Settantaquattro sono le sorti de* pesci, senza quegli che son coperti di corteccia, i quali sono trenta. Di tutti ragioneremo un* altra volta; perciocché ora si tratta della natura dei più ec cellenti.
Q o i MAXIMI MSCES.
Q d a l i siano i p i ù g r a h d i .
XVII. i 5. Praecipua magnitudine thynni : XVII. i 5. Di singoiar grandezza sono i lonoi, invenimus talenta quidecim pependisse. Ejusdem de' quali alcuni si son trovati aver pesato quin caudae latitudinem duo cubita et palmum. Sunt dici talenti, e avere avuta la coda larga due brac et in quibusdam amnibus haud minores : silurus cia e uo palmo. Sono in alcuni fiumi pesci non in Nilo, esox in Rheno, attilos in Pido, inertia minori, come è il siluro ne] Nilo, l ' eso nel Reno, pinguescens, ad mille «liquando libras, catenato l’ aitila nel Po, il quale per pigrizia ingrassando, giugne alcuna volta al peso di mille libbre : picaptus hamo, nec nisi boum jugis extractus. Atqui honc minimus piscis appellatus clupea, venam glianlo con ami incatenati, nè si può trar fuori, se non a paia di buoi. C' è un picciol pesce, che si qoamdamejusin faucibus mira cupidine appetens, chiama dupea, il quale s'appicca avidamente a morsu exanimat. Silurus grassatur, ubicumque est, omne animal appetens, equos natantes saepe una certa vena, che Pattilo ha nella gola, e col demergens. Praecipue in Moeno Germaniae amne morso Γ uccide. 11 siluro va a divorare ogni ani male, dovuoque ne sia, e spesse volte lira a fondo protelis boum, el io Danubio marris extrahitur, poreulo marino simillimus : el iu Borystene me i cavalli che vi nuotino. Nel Meno fiume di Lamoratur praecipua magnitudo, nullis ossibus magoa si trae a lerra per forza di buoi, e nel Da kpinisve intersitis, carne praedulci. In. Gange nubio con le marre, un pesce mollo simile al porIndiae plalanislas vocant, rostro delphini et cau cello marino : e nel Boristene è an pesce molto da, magnitudine autem xv cubitorum. In eodem grande senza alcuno osso o spina, ed ha la carne dolcissima. Nel Gange fiume d 'India son pesci esse Statius Sebosus haud modico miraculo affert, vermes branchiis binis, sexsginta cubitorum, chiamati platanisti, che hanno il ceffo e la coda caeruleos, qui nomen a facie traxeruot. His tantas di delfino, e son grandi quindici braccia. Dice Stazio Sebos· che nel medesimo fiume, cosa che esse vires, ut elephaotos ad potum venientes, mordicus comprehensa manu eorum abstrahant. fa non poca maraviglia, sono vermi verdi eoa due branche, lunghi sessanta braccia, i quali hanno preso il nome dalla iorma ; e hanno tanta forza, che quando gli elefanti vanno a bere, col morso pigliano loro la mano, e tirangli nelΓ acqua. T H Y B in , QORDYLAE, KLAMIDES : m b m b b a t im b x h is salsura.
M e l a n d r y a , apo le ctj, c t b ia .
D b'
TOITHI, CORDILI.!, PBLAMIDI.. TAG LIATI A PEZZI, $' IBSALABO *. MBLABDBIB, APOLETTI, C1BU.
XV 1I1. Thynni mares sub ventre non habent X V ili. 1 tonni maschi non hanno penne sotto pinnam. Intrant e magud*mari Pontum verno il ventre. Di primavera entrano a branchi dal mar grande nel Ponto, nè figliano altrove. I tempore grega tim, nec alibi lelificant. Cordyla figlinoli loro si chiamano cordille, » quali se appellantur partus, qui fetas redeuntes in mare autumno comitantur; limosae vero, aut e luto guono la madre che ritorna in mare nell'autun no. E perchè stanno nella mota, si cominciano pelamides incipiunt vocari : et quum annuum excessere tempus, thynni. Hi membratim caesi, a chiamar pelamide, e quando hanno passalo cervice et abdomine commendantur, alque clidio, l'anno, si chiamano tonni. Questi si tagliano recenti dumtaxat, et tum quoque gravi ruclu: in pezzi : sono tenuti per on buon mangiare il collo, il grasso, e le gangole solamente fresche, e cetera parte plenis pulpamentis sale adservanlur. Melandrya vocaolur, caesis quercus assulis anoo allora oon grave rutto; 1*altre parti con tulle le polpe s'insalano. Sono pesci che si simillima. Vilissima ex his, quae caudae proxima, quia pingui carent : probatissima, quae faucibus : chiaman melandrie, le qoali paiono appunto asse
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C. PLINII SECUNDI
85ι
at in alio picce airca caudam exercitatissima. Pe lamides iu apoleclos parlieulatimque cousectae in genera cybiorum dispertiuntur.
A m ia · :
s c o m b r i.
di quercia segate. Vilissime sono
Piscium genus omue preecipua celeritate XIX. Ogni sorte di pesce cresce tosto, massi maiuente uei Pouto. La cagione di ciò è la moltiludiue de' fiumi, che vi mettono acque dolci. amoium dulces inferentium aquas. Amiam vocant, Evvi un pesce, che si chiama amia, il quale ogni cujus incrementum singulis diebus intelligitur. Cum thynnis baec et pelamides iu Poutum ad dì si vede crescere a occhio. Queste e le pelamido insieme co’ tonni eutrano a branchi nel Ponto dulciora pabula inlranl grega litu cum suis quae que ducibus, et primi omuium scombri, quibus alle più dolci pascione, tulli con le lor guide, est in aqua sulphureus color, extra qui celeris. e primi souo gli sgombri, i quali nell' acqua Hispaniae cetarias hi reptent, thynnis non com hanno color di zolfo, e fuor dell' acqua sou del color degli allri pesci. Questi riempiono i vivai meantibus. della Spagna, uou vi andando i lonui. XIX.
adolescit, maxime in Ponto. Causa, multituJo
Q o i b o b si s t p isc k s ih P o m t o : q o i i s t r b k t , b t
Q oali p is c i b o b sib b o b b l P o b t o : q o a l i v* m -
QOI ALIAS ait DBA HT.
TB1BO, Β QUALI ALTBB VOLTB BITOBBIBO.
XX. Sed in Pontum nulla intrat bestia pisci· XX. Ma nel Ponto non entra alcuna bestia, bus malefica, praeter vitulos et parvos delphinos. che faocia male a' peaci, fuorché vecchi marini, a Thynni dextra ripa intrant, exeunt laeva. Id delfiui piccoli. 1 lonui entrano dalla riva destra, accidere existimatur, quia dextro oculo plus ed escono dalla siuislra. E ciò si crede che av venga, perch' essi veggou più dall* occhio ritto, cernant, utroque nalura hebete. Est in euripo benché naturalmente uou veggauo beue nè anche Thracii Bosphori, quo Propontis Euxino jungilur, dall'altro· C' è nella ritrosia del Bosforo di Tra in ipsis Europam Asiamque separantis freti an· gustiis, saxum miri candoris, a vado ad summa cia, dove la Propontide si cougiugue col mare Eusino uello sire Ito, che parte l'Asia dall’ Euro perlucens, juxta Chalcedonem in latere Asiae. Hujus aspectu repente territi, semper adversum pa, un sasso di mirabit bianchezza dal foudo del mare insino alla cima, appresso a Calcedone Byzantii promontorium, ex ea causa appellatum dal lato d’ Asia. Spaventali dunque dalla vista Aurei Cornus, praecipi li petunt agmine, llaque di questo sasso sempre vanno di gran corsa verso omnis captura Byiantii est, magna Chalcedonis il promontorio di Bisanzio, per questa cagione penuria mille passibus medii interfluentis euripi. Opperiuntur autem Aquilonis flatum, ut secuodo chiamato del corno d* oro. Però sempre a Bisan fluctu exeant e Ponto, nec nisi intrantes porlum zio n' è dovizia, dove a Calcedone n' è gran care Byzantium capiuntur. Bruma non vagantur : ubi stia, benché tra esse non siavi che un canale cumque deprehensi, usque ad aequinoctium, ibi di un miglio. Aspettano che tiri tramontana per hibernaot. lidem saepe navigia velis euntia comi uscire del Ponto alla seconda con l'onde, e non tantes, mira quadam dulcediue per aliquot hora si pigliano a Btsauiio, se non quando entrano n d rum spatia et passuum millia a gubernaculis porto, il verno non vanno attorno, e dove si spectantur, ne tridente quidem in eos saepius trovano fino all'equinozio, quivi svernano. Spes jacto territi. Quidam eos, qui hoc e thynnis se volle accompagnano i navili, che vauno a vela, faciant, pompilos vocant. Mulli in Propontide sicché con meraviglioso piacere si mirano dal aestivant: Pontum oon intrant, liem soleae, timone per più ore percorrere di molte miglia, quum rhombi intrent: neo sepia est, quum nè mai spaventarsi, per quanto si geili lor sopra loligo reperiatur. Saxatilium, turdus et merula il tridente o forcone. Alcuni chiamano pom desunt : sicut conchylia, quum ostreae abundent. pili quei louui, che fanuo questo. Molti stanno Omnia autem hibernant io Aegeo. Intrantium la state nella Propontide, e non entrano nel Pon Pontum soli non remeant trichiae. Graecis enim to. Non v'enlrano soglie ancora, quando i rombi in plerisque nominibus uti par erit, quando aliis vi sono ; nè vi sono seppie, quaudo souvi loligini. atque aliis eosdem diversi appellavere tractus. De' sassatili uou vi sono torJi, nè merle, uè con-
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HISTORIARUM MUNDI LIB. IX.
Sed hi «oli Istrum tonem subeunt: exeo subter ranei· ejus venis io Adriaticum mare defluant : itaque et illic descendentes, nec nmquam subeuntes e mari visuntur. Thynnorum captata est a Vergiliarum exortu ad Arcturi occasum : reliquo tempore hiberno latent in gurgitibus imis, niti tepore aliqno evocali, aut pleniluniis. Pingne•eant et in tantam, ut dehiscant. Vita longissima his biennio.
Q u a b b p is c u b x t b a a q u a ·
b x u l ia v t .
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chilii, quando evvi abbondanza d'ostriche. Tulli vernano nel mare Egeo. Di qaei ch’entrano nel Ponto, nessuno è che non terni, se non le triglie, che così si chiamano in greco ; e siccome i pesci in diversi paesi hanno diversi ηοφί, è bene alcu na volta usare il nome greco. Però questi soli entrano nell' litro, e da quello per vene sotto terra passano nel mare Adriatico. Questa è la ra gione, perchè si veggono uscir di quivi, ma non si veggono mai ritornar dal mare. Pigliansi i ton ni da che nascono le Virgilie, infino a che Arturo va sotto : nell'altro tempo del verno stanno ascoù nei gran fondi · basso, se già non escono fuora a tempi dolci, o quando la fona è piena. Ingras sano tanto, che scoppiano. La più lunga loro vita non passa due anni. PlB C H À I PBtCI SALTINO FUOHI DBLL' ACQUA.
Ecci un piccolo animale della forma XXI. Animal est parvam, scorpionis effigie, XXI. dello scorpione, e grande quanto on ragno. •ranei magnitudine. Hoc et thynno, et «i qai Questo ficca 1' ago sotto le penne al toono, e al gladios vocator, crebro delphini magnitudinem peace coltello, il qoale spesso avanza la grandez excedenti, sub pinna adfigit aculeum : tantoqae za del delfino, e dà lor tanto dolore, che spesso infestat dolore, nt in naves saepenumero exsiliant. Qnod et alias faciunt aliorum vim timentes, mu saltano ne'navigli. Il che i pesci fanno ancora deU'allre volte, temendo la forza degli altri, e giles maxime, tara praecipua· velocitatis, ut massimamente i muggini, di sì gran velocità, eh· transversa navigia interim superjactent. talora si lanciano sopra i navigli a travereo.
Esse a u g u b i a
C hb
e x p is c ib u s .
si p i g l i a v o a u g u b ii d a i pesci.
XXII. 16. Sunt et ia hac parte natorae auga- ΧΧ 1Γ. 16. In questa parte ancora ci so d o gli ria, sunt et piscibus praescita. Siculo bello, ambo- augurii della natura, · le divinazioni de'petci. laute io litore Angusto, piscis e mari ad pedes Nella guerra di Sicilia, andando Augusto per la ejus exsiliit: quo argumento vales respondere, riviera, un pesce gli saltò del mare a' piedi ; per Neptunum patrem adoptante tum sibi Sex. Pom 10 quale argomento gli indovini gli dissero, che pejo ( tanta erat navalis rei gloria ) : « Sub pedi 11 padre Nettuno se 1' adottava per figliuolo, ri bus Caesaris lator··, qai maris tempore illo te fiutando Sesto Pompeo (tanta era la gloria della vittoria), « avendo a essere sotto a' piedi di Ce nerent. » sare quei che allora erano signori del mare. »
I v QUO GBBBBB PISCIUM MABBS BOB S1BT.
XXIII. Piaeium feminae majores qoam mares. Io quodam genere omnioo son tunt mares, sicut in erylhinis et dumis. Omnes enim ovis graxidae capiantur. Vagantur gregatim fere onjusque ge neris squamosi. Capiuntur ante solis oriam : tam maxime piscioni fallitur visos. Noctibus quidem illustribus aequa, quam dia, oeronnt. Ajunt et •i terator gurges, interesse captorae : itaque plo res secondo tracta capi qoam primo. Gusta olei maxime, dein modicis imbribus gaudent, aluntnrqoe. Quippe el arondinea, qaamvis in palade
la
chb g b b b b b m
PBecft b o b
si d ia b o m aschi,
XXIII. I pesci femmine sono maggiori ehe i maschi. In alcuna sorte di pesci non ve ne sono di maschi, oome negli eri tini, e ne'cani ; percioc ché tutt· quell·, che si pigliano, son gravide di nova. Quei che hanno scaglie, qoaai tutti vanno a brauchi. Pigliaosi innanzi al levar del sole» perchè allora s 'inganna molto la vista de' pesci. Nelle notti chiare veggono come di giorno. Dico no che alla pesca importa rigettar le reti nella stessa posta, perchè se si torna a pescare nel me desimo luogo, se ne piglia piò la seconda volta,
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C. PLINII SECONDI
prognatae, non tamen sine imbre adolescunt : et alias ubioamque pisces in eadem aqua assidui, si non adpluat, exanimantov.
che la prima. Ai pesci piace molto l’oglio, e s'al legrano ancora delle piove picciole, e se n e pascono. E certo che le canne ancora, bench'elle sieno nate nella palude, non però crescono aenxa pioggia : e finalmente i pesci, se stanno di con tinuo in una medesima acqua, che non corra, muoiono, se non piove.
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ΗΙΒΜΒ ; BT QUI HIEME BOB CAPUBTUB, HISI STA
BO BASCOSTI IL VBBBO, Β QUALI DI QUESTO TEM
TIS DIBBUS.
PO BOB SI F1GLIIO CHB ▲ CBBTI GIOBBI.
XXIV. Praegelidam hiemem omnes sentiant, XXIV.Tutti i pesci patiscooo il verno, qaan do egli è molto aspro, e massimamente quegli, sed maxime qai lapidem in capite habere existi che si stima che abbiano ana pietra nel capo, sic mantur, at lapi, chromes, sciaenae, pagri. Qaam asperae hiemes fuere* malti caeci capiuntur. Ita come sono i lucci, i coracini, le sciene e i pagri. que his mensibus jacent speluncis conditi, sicut Quando il verno è stato gran freddo, se ne pi in terrestrium genere retulimus. Maxime hippu gliano molti ciechi. In questi mesi dunque ai ros et coracinas hieme non capti, praeterquam stanno riposti nelle spelonche, come dicemmo statis diebus paucis, et iisdem semper : muraena d 'alcuni animali terrestri, massimamente lo ipet orphus, conger, percae, et saxatiles omnes. puro e il coracino, i quali non si pigliano mai Terra quidem, hoc est, vado maris excavato di verno, se non in certi pochi giorni ; u i la mo condi per hieme· torpedinem, psittam, soleam- rena ancora, Γ orfo, il congro, le perce, e tutti i qae tradant sassatili. Dicono che la torpedine, la psitta e la soglia il veruo cavano il fondo del mare, · si atan no nascoste in quelle caverne. Q ui
absta tb latk a h b
:
q u i s id e e e iit u » p is c e s .
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u a l i s t ib b o b a s c o s t i l a s t a t b
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BESTIBO ASSIDBBATI.
XXV. Alcani altri pesci, i quali non posaon XXV. Qaidam rursus aestus impatientia, me sentire il caldo, quando son qae'gran caldi, diis fervoribus sexagenis diebus latent, nt glau stanno riposti due mesi, siccome sono il glauco, cus, aselli, auratae. Fluviatilium silurus Caniculae l'asinelio, l'orata. Ne'fiumi il siluro, quando exorta siderator, et alias semper fulgure sopitur. Hoc et in mari accidere Cyprino putant. Et alio- nasce la Canicola resta assiderato, cioè attratto, qui totam mare sentit exortum ejus sideris : quod e per lo folgore s'addormenta. Tiensi che questo maxime in Bosphoro apparet. Alga enim et pi medesimo ancora avvenga nel mar di Cipri. Ansi tutto il mare si travaglia nel nascere di questa sces superferantur, omniaqae ah imo versa. stella, e ciò specialmente si vede nei Bosforo. Perciocché allora l'alga e i pesci vengono a galla rovesci e supini. D b m u g ile .
D bl m u g o ib k .
XXVI. 17. Mugilum natura ridetnr, in metu XXVI. 17. 1 muggini sono di semplice natara, capite abscondito, totos se occultari creden tium. perchè avendo paura nascondono il capo, · si Iisdem tamen tanta salacitas, ut in Phoenice, et credono d’ essere ascosi tutti. Essi nondimeno Narbonensi provincia, coitus tempore e vivariis sono tanto lussuriosi, che in Fenicia e in Pro marem linea longinqua per os ad branchias reli venta nel tempo che vanno in amore, con un filo gata emissum in mare, eaderaque linea retra lungo che passa per la bocca, ne lagano uno ctum, feminae sequantur ad litas, rursusqttp fe nelle branche, e de' vivai lo mandano in mare ; « minam marea partas tempore. tiratolo poi col medesimo filo, le femmine lo se guono alla riva, e di naovo le femmine i maschi nel tempo del parto.
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HISTORIARUM MUNDI UB. IX.
D b ACIMBRBBB.
D aLL* AQQIVBBBBftB.
XXVII. Apod antiqaos piseium nobilissimas XXVII. Appresso gli antichi il pid nobil di habitus acipenser, uuu· omnium iqaim ii ad os tutti i pesci era tenuto l ' accipeusere, che solo versis, conira aquagi in uando meat: onllo nane fra tutti gli altri ha volte le scaglie verso la boc ia honore est : qaod qaidem miror, qaum «il ca, e va nuotando contra l'acqua: ora non se ne rara· inventu. Quidam eam elopem vocant. tien conto alcuno, di che molto mi maraviglio, perchè par di rado si trova. Alcani lo chiamano elope. D b unro :
db u i u o
.
D bl l o t o : d b l l 'a s i b x l l o .
XXVIII. Postea praecipuam anciori latera XXVIII. Farono poi in grande stima il pesce foiiN lupo, et asellis, Cornelius Nepos, et Labe lupo e il pesce asinelio, siccome scrivono Cornelio rius poèta mimorum, tradidere. Luporum lau Nipote e Laberio poeta mimico. De’ lupi i mi datissimi, qui appellantur lanati, a candore mol gliori son tenuti quegli, che si chiamano lanati, li liaque carnis. Asellorum duo genera : callariae, dalla bianchexza e morbidezza della carne loro. minore· : et bacchi, qni non nisi in alto capiun- Dne sono le sorti degli asineli! : le callarie; ctfe son inr, ideo praelati prioribus. At in lapis, in amne minori, e i bacchi, i quali non si pigliano, se non capti praeferuntor. in alto mare, e perciò sono tenuti migliori de' priMa dei lupi, quei che si pigliano ne' fiumi, son migliori. De
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D b l l o acA&o :
d b l l a m u st e l l a .
XXIX. Nane scaro dator principatus, qui so XXIX. Ora ri dà il vanto allo scaro, il quale las piscium dicitur ruminare, herbisque vesci, solo de' pesci si dice che ruguma, e vive di erba, non aliis piscibus, mari Carpathio maxime fre e non degli altri pesci : ne son molti nel mare quens. Promontorium Troadis Lecton sponte Carpazio. Volontariamente mai noo passa Letton •numquam transit. Inde advectos Tiberio Claudio promontorio dalla Troade. Di li ne condusse ia principe, Optatus Eliperlius praefectus classis, Italia al tempo di Tiberio Claudio imperadore, inter Ostiensem et Campaniae oram sparsos dis Optato Eliperzio, capitan della flotta, e sparsegli seminavit. Quinquennio fere cara est adhibita, lungo la riviera d 'Ostia fino in Campagna : ed a l capti redderentur mari. Postea frequentes ebbesi cura, che per cinque anni non se ne inveniantur Italiae in litore, non antea ibi capti, pigliasse, e se ne venivano presi, fossero rimessi ▲dmovitqne sibi gula sapores piscibus satis, et iu mare. Da allora in qua se ne trovano assai novam incolam mari dedit, ne quis peregrinas nella riviera d* Italia, non se ne essendo presi qnivi per avanti. La gola dunque s’ ha provvisto aves Romae parere miretur. degli altri sapori, aveodo seminali de'pesò, e dati nuovi abitatori al mare ; onde non sarà che al cuno si maravigli, se in Roma figliano uccegli forestieri. Proxima est mensa jecori dumtaxat mustelaDopo questi in maggior riputazione sono le rum, quas (mirum diclu) inter Alpes quoque mnstelle, le quali (cosa maravigliosa a dire) nasco laena Rhaetiae Briganlieus aemulas marinis ge no ancora fra i'Alpi nel lago Brigantino di Rezia, nerat. e sono simili alle marine. M
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gbbbba
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b t d b s a b g o c o m it e .
Sbbob d i m u l l i : d b l s a b g o c a b s ' a c c o h v a g m a AL STOLLO.
XXX. Ex reliqua nobilitate et gratia maxi XXX. Nel resto de' pesci famosi è molto in ma est et copia mullis, sicut magnitudo modica : grazia il mullo, o barbone : è pesce piccolo, e di binasque libras ponderis raro admodum exsupe rado passa due libbre, o i cresce nei vivai e'nelle rant, nec in vivariis piscinisqne crescant. Se- peschiere. Questi nascono solo nel mar Settentrio plemtrionalis tantam hos, et proxima occidentis nale, e nella prossima parte di ponente, e ce ne son
86ο
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C PLINII SECUNDI
parte gignH Oceanus. Cetero eoram geoera plora. Nam et alga vescantur, et ostreis, et limo, et alio rum piscioni carne : barba gemina insigniuntor inferiori labro. Lotariom ex iis vilissimi generis appellant. Hooc semper comitator sargos nomine alios piscis, et coenom (odiente eo, excitatam d»* vorat pabulum. Neo litoralibus gratia. Laudatis simi conchylium sapiunt. Nomea his Fenestella • colore mulleorum calciameotorum datum pa lat. Pariunt ter anno. His certe toties fetura ap paret. Mullum exspirantem versicolori,quadam et numerosa varietate spectari, proceres gulae nar rant, rabentium squamarum multiplici motatione palleseentem, utique si vitro spectetur inclusus. M. Apicius ad e»moe laxus ingeniam miros, in sociorum garo (nam ea quoque res cognomen invenit ) necari eos praecellens putavit, atque e jecore eorum alecem excogitare provocavit : id «oior est fecilin* dixisse, quam qois vicerit.
di pià sorti. Perdoochè «i pasoon d’alga, d’ostriohe, di belletta, e ddla carne d* altri pesd, e nel labbro di sotto hanno doppia barba. Fra questi è di vilissima sorte quel che si chiama lutario. Questo è sempre accompagnato da un* altro pesce detto targo, e quando è da qoesto£avata la bdletta, · commossala, e' si pasce d'essa. Non sono molto in grazia quei dei liti. 1 più saporiti hanno sapor di concbilii. Fenestella tiene che abbiano preso il nome dal colore de'calzari scartai tini. Partori scono tre volle l'anno : certo che tre volte ή veggono in istato di gravidanza. Dicono i princi pali ghiotti, che quando il mollo muore, si vede in esso una infinita varietà di colori, o c h e im pallidisce variamente temperando la rossa tinta delle suescaglie, specialmente se si riguarda rin chiuso in un vetro. M. Apirio, uomo ingegnoso in ogni sorte di ghiottoneria, per fare il garo ddle interiora de'pesd, ovvero caviale (perchè ancora qoesta cosa trovò il suo cognome), pensò che fosse cosa eccellente ammazzargli, e del fega to loro provò a farne salamoia. E questo è più fadle a dire, che dire che alcun 1* abbia vinto.
Effoam m i n
M ir a b ilia n s c n m n n u .
XXXI. Asinius Celer e consularibus, hoc pi ae· prodigas, Cajo principe unom mercatas octo millibos n a m m a m : quae repotatio aofert trans versam animum ad contemplationem eorum, qui in conquestione luxus coqoos emi singnlos piaris qoam equos, quiritabant. At nuoc coci triumphorum pretiis parantor, et eoqoorom pisces. Nollosque prope jam mortalis aestimatur pluris, qaam qai peritissime censum domini raerii». 18. Moliam l x x x libraram in mari Rubro eaptum Licinias Madaoas prodidit. Quanti mcr eatura eam luxuria, sabarbanis litoribos inven tam T N o i TJBIQTJB BADISI GBBEBA VLACB&B.
XXXII. Est et hseo natara, at alit alibi pi sces priodpatom obtineant : coracinas in Aegy pto : zeus, idem faber appellatus, Gadibus : circa Ebusum salpa, obscoenus alibi, et qui nosqaam percoqoi possit, nisi ferola verberatus : in Aqui tania salmo flottatili* marinis omnibus praefertur.
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rasa.
XXXI. Asioio Celere, che fa consolo, nomo prodigo io qaesto pesce, al tempo di Claudio im peradore ne comperò uno otto mila nummi : la qual considerazione leva l'animo mio alla con templazione di quegli, che nel quistionare dello spendere, rammaricavano che I cuochi d com prassero più cari, che i cavalli. Ma ora d compra no i cuochi coi prezzi de' trionfi, e i pesd con quello de' coocbi. E niuno oomo è stimato piè di colui, che meglio sa consumare la roba del padrone. 18. Scrive Lidnio Modano essersi preso n d mar Rosso un mullo di ottanta libbre. A qual prezzo non l’ avrebbe mercato il lusso, se fosse stato preso nelle riviere suburbane ! N o·
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BAGIOBI DI PESCI.
ΧΧΧΠ. La natara ba fatto aneora che on pesce in αα luogo, e no altro dtrove da tenuto in maggior pregio : il coracino in Egitto, il zoo, ebe si chiama anco fabro, a Cadice ; intorno a Eviza è tenuta buona la salpa, la quale altrove non vd nulla, siccome quella che non d può cuo cer bene, se prima non è battuta eon una sferza : in Aqoitaoia il salmone d 'acqaa dolo· è stimato assai più, die tolti i marini.
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86»
HISTORIARUM MUNDI L 1B. IX.
D an a iM s c u :
D b b b a b c b ii· : o a ( Q O ia ii,
XXX 1LL Piwiuo atti branchia· moldpllee· habent, atti simplices, alii duplice*. Hi» •qaam emittant icoeptio or·. Scacchi tis indici a m «qua· maram doriti·, quae non tool omnibus simile·. Duo lacus Itali·· in radicibus Alpium, Larius et Verbanus appellantor, in quibus pisoes omoibos anuis Vergiliarum orto exsislnol, squamis con· •pieni crebria *lqae praeacutis, clavorom caliga* rium effigie : neo amplios, quam circa eam men sem, visantur. V o c a l i · , b t si »
b b a b c b iu pisc es .
XXXIV. 19. Miratur et Arcadia saum exoooetum, appellatam ab eo, qaod in siccum somni causa exeat Circa Clitoriam vocalis hic traditor, «t sine branchiis ; idem aliquibus adoni· diotas.
Qoi a t u u i
b x b a b t. T em p oba
c iin u ·.
d b l l b sqcam b .
XXX 1IL De* peed aleoni hanno le branche in molti pieghi, altri scempie, altri doppia. Con queste mandano fuora 1* acqua presa per booca. il segno della vecchiezza è la durezza delle sca glie 1 che tutti non l’ hanno a un modo. Sono d a· leghi in Italia alle radici dell1 Alpi, chiamati La rio e Verbsno, ne1 qoali ogni anno nel nascere delle Vergilie si veggono pesci con iscaglie spesse e aoote, a modo di chiodi di calzolai | nò si veg gono piò, ohe intorno a quel mese. Pasci c u
babbo
foca,
b sobo sbb za bb a bcb b.
XXXIV. 19. Prendesi maraviglia ancora l'Areadia del sueessooeto, oosì chiamato, perché egli esce ia seeco per dormire. Dieesi che qaesto pe sce ha vooe circa il fiume Clitorio, e eh' è senza branche : da alcuni è chiamato adone. Q u a l i b sc o b o ir tb b b a . T em p i d a f ì g u a b l i .
X X X V . Exeant in terram et qui marini mores vocaotur, et polypi, et mnraeoae. Quia et ia ludiae flumini bos certum genus piseium, ao deinde resilit : nam in stagna et amnes transeun di plerisque evidens ratio est, ut tutos letas edant, quia non siut ibi qoi devorent partas, fluctasqoo mioas saeviaot. Has intelligi ab iis causas, servarique temporum vices, magis miretur, si quis re potei quoto cuique homioum nosci, uberrimam ewe capturam solo transeunte Piscium signum.
XXXV. Escono in terra ancora quei che si chiamano topi marini, e i polpi, e le morene. £ ne' fiumi d 'India è una caria sorte di pesoe, che fo il medesimo, e dipoi riselta in mare ; perchè si vede che molti passano ne' fiumi e negli stagni per figliare più sicurameute, perciocché quivi non c'è chi mangi loro i figlinoli, e 1* onde v' incru deliscono meno. Maggiormente si maraviglierebbe alcuno, che essi intendano queste cagioni, e osser vino le mutazioni de' tempi, se considerasse quan» to pochi sono gli nomini, che sappiano come t i piglia di molto pesce, qaando il sole pana il se* gno de' Pesci.
D ig e s t io f is c id m n f i g u b a s c o b p o h i i . R b o m b o b c m
DisTIHZIORB DBI PESCI SBCOHDO LB LOB F 1GVBB.
BT FASSBBUM D1FFEBEBTIA. D b L0HG1S PISCIBUS.
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XXXVI. ao. Marinorum alii snnt plani, al rhombi, soleae, ac passeres, qui a rhumbis situ tantum corporum differunt Dexter resapioatus est illis, passeri laevus, Alii longi, ut muraena, eonger.
D b v ita m
fibris, bt u t ^ h o i batiobe.
XXX VII. Ideo pinnarum qooqne fiunt discri mina, quae pedum vice sunt datae piscibus : nul lis supra quaternas: quibusdam binae, quibusdam irinae, aliquibus nullae, lo Fucino tantum laoo
XXXVI. ao. De' pesci marini alcani sono pia ni e schiacciati, oome rombi, soglie e passere, le qoali sono differenti da'rombi solamente riguar do a posi tara di corpo ; perchè ponendoli in modo che il mento guardi la terra, e gli occhi il cielo, la parte sopina del rombo è la ritta, della passera la manca. Alcuni sono lunghi, oome la murena e il eoo grò. D b l l b feh v b d b * pasci, u d b l m odo d i b o o t a b b .
XXXV li. E per questo e* è differenza an cora nelle penne, le quali i pesci hauno in luo go di piedi. Nessuno n' ha più che quattro. Al cuni n' hanno due, alcuni tre, e alcuni nessuna.
0. PLINII SECUNDI
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piscis est, qui octouis pinnis natat, binae omnioo, longis et lubricis, at anguillis et congris. Nullae, ut moraenis, quibus oec branchiae. Haec omnia flexuoso corporum impolsu ita mari ataatur, at serpente* terrs.la sicco quoque repunt, ideo etiam vivaciora lalia. Et e planis aliqua non habent pinna·, at pastinacae: ipsa enim latitudine natant. Et qoae mollia appellantur, at polypi, quoniam pede* illis pinnarum vicem praestant.
A
r g u il l a e .
XXXV II I. at. Anguillae octoni* vivant annis. Durant et sineaqaa senis diebas aquilone spiran te : austro, paucioribus. At hiemem eaedem in exigua aqaa non tolerant, nec in turbida : ideo circa Vergiliae maxime capiuntur, fluminibus lum praecipue turbidis. Pascantur nocliba*. Exani mes piscium solae non fluitant aa. Lacus estltaliaeBenacus in Veronensi agro Mincium amnem transmittens, ad cujus emersus •nnao tempore Octobri fere mense, autamnali sidere, at palam est, hiema Io laca, fluctibus glo meratae volvuntur, in tantum mirabili multitudine, nt in excipulis ejus fluminis, ob hoc ipsam fabricatis, singulorum millium globi repedantur,
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Solo nel Jago Fucino è un pesoe, il qoale ba otto penne. 1 pesci lunghi t sdruccioli, siccome sono l ' anguille e i congri, ordinariamente n'hanno due. Le murene non hanno penne, nè branebe. Tutti qaesti vanno per Pacqaa divincolandosi, come le serpi per terra, e vanno ancora in secco ; e perciò son più vigorosi che gli altri pesci. Del piani, alcuni non hanno penne, come le pestinache, le quali naotaoo con la lor larghezza ; nè quegli ancora, che si chiamane morbidi, siccome sono i polpi; perciocché essi si servono de*piedi ia luogo delle penne. A sgcille.
X X X V ili. s i. L 'angaille vivono otto anni, e durano senza acqua sei giorni, quando tira tra montana ; ma regnando ostro, giorni meno. Que ste non sopportano il verno in poca acqua ; nè anco nella torbida ; e perciò intorno alle Vergilie se ne piglia assai, massimamente ne' fiumi torbi di. Paseonsi la notte. Elie sole fra gli altri pesci, quando son morte, non vengoo a galla. aa. È un lago in Italia sul Veronese, chiamato Benaco, per lo qual passa il fiume Mincio, alla coi uscita ogni anno qaasi del mese d 'Ottobre, nell' auluono, quando il lago è già raffreddalo, si rivoltano per l'onde viluppi di anguille io si mirabil numero, che in certe rattenute di questo fiume, fatte per ciò, se ne trovano groppi di mille avviluppate insieme.
M oraebae.
M urene.
XXXIX. a3. Muraena qaocumqueroense parit, quam celeri pisce* stato pariant. Ova ejus citissi me crescunt. In sicco litore lapsas vulgus coi Io serpentium impleri palat. Aristoteles smyrum vocat marem, qui generat. Discrimen esse, quod muraena varia et infirma sit, smyrus unicolor et robustus, denlesque extra os habeat. In Gallia septem triooali muraenis omnibus dextra in ma xilla septenae macalae, ad formam Septemtrionis, aureo colore fulgent, damtaxst viventibus, pariterque cum anima extinguuntur. Invenit in hoc animali documenta saevitiae Vedius Pollio eques Romsnus ex amicis divi Augurti, vivariis earam immergens damnata mancipia, non tamquam ad hoc feris terrarum non sufficienlibas, sed quia in alio genere totum pariter hominem distrahi, spectari non poterat. Ferunt acelt gustu praecipue eas in rabiem agi. Tenuissimum his tergus : con tra anguillis crassius : eoque verberari solitos tradit Verrius praetextatos: et ob id mulctam his dici non institutam.
XXXIX. a3. La morena partorisce d'ogni tem po, ancor ehe gli altri pesci partoriscano a certi tempi ordinati. L'uova crescon tosto. Tiene il volgo che uscendo elle alla riva in secco s 'impic cino con le serpi. Aristotile chiama smiro il ma schio, che ingenera. Ed evvi questa differenza, che la murena è di più colorì e debole, dove lo emiro è d 'un color solo e gagliardo, e ha i denti faor di bocca. Nella Gallia settentrionale tutte le murene hanno nella mascella ritta selle macchie, a guisa di Settentrione, che rilucono come oro, solo quando elle vivono; ma si spengono al morir delle murene. Trovò in questo animale una ma niera di crudeltà Vedio Pollione cavalier Roma no, un degli amici dell' imperadore Angusto, pit tando ne' vivai delle murene i servi, eh' et volea far morire, oon perchè le fiere della lerra non ba stassero a far ciò, ma perchè nell'altre fiere non potea vedere uno uomo a un trailo tutto sbranarsi. Dicesi che assaggiando Γ aceto elle vanuo in rab bia. Hanno la pelle sottilissima, ma l ' anguille Γ hanno più grossa. Scrive Verrio, che con que sta si solevano battere i fanciulli ; e che perciò si dice, non essere loro ordinata la ipulta.
HISTORIARUM MUNDI LIB. IX.
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PlAKOBUM PI5C ID · GBNBBA.
PSSCI JCIIIAOCIATI.
XL. a4· Planorum piscium alterum est genus, quod pro spina cartilaginem habet, ut raiae, pastinacae, squatinae, torpedo: et quos bovis, lamiae, aquilae, ranae nominibus Graeci appel lant. Quo in numero sunt squali quoque, quam vis non plani. Haec graece in nniversum σ·λάχ* appellavit Aristoteles primns, hoc nomine eis im posito: nos distinguere non possum us, nisi car tilaginea appellare libeat. Omnia aotem carnivora sunt talia, et supina vescuntur, ut in delphinis diximos. Et quum ceteri pisces ova pariant, hoc genus solum, ut ea quae cete appellant, animal parit, excepta quam ranam vocant. ^
XL. a4' Ecci on’ *ltra sorte di pesci schiac ciati, che in cambio di spina hanno una car tilagine, come le raze, le pastinache, le squatine e le torpedini : e quegli ancora, che i Greci chia mano col nome di bue, di lamia, d 'aquila e di rane ; nel qual nnmero sono ancora gli squali, benché non sien piani. Questi la Grecia univer salmente chiamò selaohe, e Aristotele fu il primo che pose loro questo nome : noi non gli pos siamo distinguere, se gii non gli chiamassimo cartilaginati. Tulli quei, che mangiano carne, son tali, e pascono a rovescio, come dicemmo dei delfini. E dove gli altri pesci partoriscono nova, questo genere solo partorisce animali, come que gli che chiaman cete, in fuor che la rana.
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XLI. a5. Est parvus admodum piscis adsuetus petris, echeneis appellatus : hoc carinis adbaerente naves tardius ire creduntur, inde nomine impotisto: quam ob causam amatoriis quoque veneficiis infamis est, et judiciorum ac litium mora: quae crimina una laude pensat, fluxus gravidarum utero sistens, partusque continens «d puerperiora. In cibos tamen non admittitur. Pedes eum habere arbitratur Aristoteles, ita po sita pinnarum similitudine. Mucianus muricem esse, latiorem purpura, neque aspero, neque ro tundo ore, neque in angulos prodeunle rostro, sed simplice concha, utroque latere sese colligeote : quibus inhaerentibus, plenam veniis stetisse navem, portantem a Periandro, ut castrarentur nobiles pueri : conchasque quae id praestiterint, apud Gnidiorum Venerem coli. Trebius Niger pedalem esse, et crassitudine quinque digitorum naves morari ; praeterea banc esse vim ejus adservati in *ale, ut aurum, quod deciderit in altissi mo* puteos, admolns extrahat.
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PISCES COLOBBM MUTBHT.
XLII. 26. Mutant colorem candidom maenae, el fiunt aestate nigriores. Mutat et phycis, reliquo tempore candida, vere varia. Eadem piscum sola nidificat ex alga, atque in nido parit.
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b L L ' e CHBSBIDB
B SUO VBBBFIClO.
XL1. a5. Ecci un piccol pesce avvezzo alle pie tre, chiamato echeneide, il quale attaccandosi alle navi si tiene che le fermi ; e di quivi ba preso questo nome : il perchè si crede ancora, che s'adoperi nelle malie amorose, e a far prolungare le sentenze e le liti. Questi vizii però egli li sconta con una lode, che fa rimanere il flusso nel corpo alle donne pregne, e fa fermare il parto, che non si sconci. Non però si mangia. Tiene Aristotele, ch'egli abbia i piedi; certo a somiglianza di piedi ha disposte le peone. Dice Muciano che è una specie di murice, più largo che la porpora, e che non b la bocca aspra, nè tonda, nè il muso spor gente in angoli, ma è semplice nicchio, che si chiude da ogoi lato. Dice anco, che questi nicchii attaccandosi a una nave l'hanno fatta fermare, aocora ch'ella andasse a vele piene. Eran su que sta nave gli ambasciadori di Periandro, i quali portavano commissione, che si castrassero i fan ciulli nobili: e per questo diceche i nicchii,i quali furon cagione di ciò, sono adorati a Gnido nel lempio di Venere. Trebio Ntgro dice che son lunghi un piede, e grossi cinque dita, e che fer mano le navi. Olirà di ciò dice, che se questo pesce è conservalo nel sale, accostandovisi cava tuor l'oro, ch'è caduto nei pozzi, per quanto sieno profondi. Q
o a l i pbsc i m u tan o c o l o b b .
XLI1. a6. Mutano colore le mene, le quali il verno son bianche, e la stale tirano al aero. Il pesce, che si chiama fice, lutto il resto del tempo è bianco, e la primavera di più colori. Questo sol· fra gli altri pesci fa il nido nall'alga, e partorisce nel nido.
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C. PLINII SECUNDI Qcn
TOLiTBirt e x t b a a q u a m .
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VISCB QOI BOCTIBUS LUCBT.
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D b CORNUTO.
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Q u a l i v o l i s o r u o a o* a c q u a : d b l l a r o n d in e : d i
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UN PESCB CHE NELLA BOTTE BILUCE: DI UBO CHB HA CORNA : DBL DRAGONE ■ ABIBO.
DRACOHE ΜΑΒΠΤΟ.
XLI II. Volat hirundo, ««ne perquam similis Yolacri hirandini : item milvae.
XLUI. U pesce rondine vola, e somiglia molto la rondine, uccello, da cui egli ha preso il nome : « Similmente il pesce nibbio.
37. Sabit in samm· mam piscis ex argumento appellatas laceras, lingaeqae ignes per os exerta, tranquillis noctibus relacet. Attollit e mari sesqaipedsnes fere cornua, quae sb his no mea traxit. Rarsas draco marinas captus, atque immissus ia arenam, cavernam sibi rostro -mira celeritate excavat.
97. Viene nella sommità del mate an pesce, dall'effetto che produce chiamato lucerna, il quale ha la lingua focosa fuor della bocca, e riluca nelle notti serene. Alza fuor del mare due oorna lunghe un piede e mezzo, un pesce, che prese il noma da esse. 11 dragone marino preso e mesa» nel l'arena, con mirabil prestezza si cava tosto «oa caverna col muso.
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piscibus sa n g u in e c a re n tib u s .
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HOH HANNO SANGUB : QUALI SI CHIA
■OLLBS APPBLLBHTUB.
MINO pesci MORBIDI.
XLIV. 38. Piscium qaidam sanguine carent, de qaibas dicemas. Sunt sutem tris genera : in primis quae mollia appellantor : deinde contecta crastis tenuibus: postremo testis conclusa daris. Mollia sunt, loligo, sepia, polypus, et cetera ejus generis. His caput inter pedes et ventrem : pe diculi octoni omnibus. Sepiae et loligini pedes duo ex his longissimi et asperi, qaibus ad ora admovent cibos, et in fluctibus se, velut ancoris, stabiliant: cetera, cirri, quibus venantur.
XLIV. 28. Alcuni pesci sono sensa sangue, de'quali parleremo. Sono di tre sorti: prima quei che si chiamaoo morbidi ; dipoi quegli, che son eoperli di croste sottili ; dipoi quegli, che son rinchiusi in gusci duri. Morbidi sono la loligine, la seppis, il polpo e simili altri. Questi hanno il capo fra i piedi e il ventre ; ed hanno tutti otto piedi: La seppia e la loligine hanno due di qUei piedi lunghissimi ed aspri, co'quali si mettono il cibo in bocca, e fermansi nell'onde come con l'aneore. Gli altri somigliano a ricci di capella tura, e oon essi predano.
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s e p ia
; d e l o l i g i n b ; d e p b c t u n c u l >s .
XLV. 39. Loligo etiam volitat, extra aquam se efferens, qaod et peduncoli faciunt sagittae modo. Sepiarum generis mares varii et nigrores, consUntiaeque majoris. Percussae tridente femi nae auxiliantur : at femina icto mare fugit. Ambo autem, ubi sensere se apprehendi, effuso atramenr to, quod pro sanguine his e#t, infuscata aqua absconduntor.
Db p o l y p j s . XLV 1. Polyporum multa genera : terreni ma jores, quam pelagii : omnes brachiis, ut pedibai ac manibus, utuntur : eauda vero, qqae est bisul ca et a c a ta , in coitu. Est polypis fistula in dorso, qua transmittunt mare : eamque modo in dextram partem, m o d o in sinistram transferunt. Natant obliqui in c apu t, quod praedurum est sufflatione viventibus. Celero per brachia 'Vefut aqetabuBs
D b l l a s e p p ia , d e l l a l o l ig in b , d e ' p b t t b n c u l i.
XLV. 29. La loligine si lancia fuor dell'acqua, come fanno anco i pettunculi, a modo di saetta. Nel genere delle seppie i maschi sono varii, e pià neri, e di maggior costanza. Quando la femmina è percossa dal tridente o forcone,' le dà aiuto, ma la femmina quando il maschio è percosso, si fogge. Ed amendue, quando s'accorgono che si vuol pigliarli, mandano fuora l'inchiostro, che hanno in luogo di sangue, e cosi intorbidando l'acqua s'ascondono. D b'
p o lp i.
XLVI. I polpi sono di più sorti: qaf£# dì terra son maggiori che i marini : tatti si servoao di certe braccia, come di piedi e mani,' e nel coito usan la ooda, la quale è divisa in due parti ed acuta. I polpi hanno una cannella nella schiena, per la qoale gettano fuor l ’acqua, e la mandano quando a man ritta, quando a man manca. Nuotano a tra verso, e col capo sotto, il che è cosa molesta a
HISTORIA ROM MUNDI LIB. IX.
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dispersis, 1m«m
De
h a v ig a t o e e p o l y p o .
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quei, che vivono alitandq. Questi pesci eon le loro bocche s'attaccano come per morso a tntlo che toccano, tenendo la preda supini, per non esserne divelli. Non s 'appiccano a guani poco fondi, e t grandi lengooo manco forte. Questi soli di tutti i pesci morbidi, escono in seeoo, solamente in luogo aspro, perchè hanno a noia i luoghi delicati. Pasconsi di carne di ostriche, i cui nicchii rom pono strigaendogli oon i crioi ; e cosi si viene a conoscer benissimo dov* è il loro covile, perchè v' hanno sempre innanzi gusci rolli. E benché per altro egli sia animale mollo insensato, di maniera che ei nuota fìoo alla man dell' uomo, nondimeno nella sua cosa famigliare è molto accorto. Egli porta tutte le prede alla sua stanza, dipoi avendo rosa la carne, porla fuori quei gusci, co* quali egli adesca i pesci piccoli. Egli muta oolore a somiglianza del luogo, massimamente quando egli ha paura. E non è vero ciò che alcuni dicono di lui, che egli si roda le sue braccia, perchè questo male gli fanno i congri; ma gli rinascono poi, come a' coioti a alle lucertole fa la eoda. D el
p o l p o h a v ig a t o s * .
XLVII. Inter precipua autem miracula est, qai vocatur nautilos, ab aliis pompilos. Supious in samma aequora m perveqit, ita se paollatim au* brigens, et emissa omni per fistulam aqua, velut esoneratila sentina, facile naviget Postea pri ma duo brachia retorquens, membranam inter illa mirae teouiialis extendit. Qua velificante in aara, celeris subremigans brachiis, media cauda, at gubernaculo, se regit. Ita vadit alto, liburnica rum ludens imagine, et si quid pavoris interve niat, hausta se mergens aqua.
XI,VII. Fra le maggiori maraviglie è quel pesce, che si chiama nautilo, e da alcuni pompilo. Questo viene a galla a rovescio, e eosì a poco a poco si rizza, per mandar fuori con una cannella lutla l'acqua, che ha in corpo, e come nave alleg gerita volando la sentina, facilmente navigare. Torcendo poi le prime due braccia, distende una sottilissima pelle, che ha fra esse, e che stende a mo' di vela : oon Γ altre braccia remeggiale reg* gesi con la ooda, usandola per timone. E cori va per mare, come per giuoco, a modo di usa (usta ) e se gli sopraggiugne alcuna paura, si riempie d'acqua, e va al fondo.
PoLTtoMtni e u m : s o i a t i a .
SpBCIB DI POLPI : LOBO SOLBBZIA.
XLVIIL 3o. Polyporum generia est ozaena, dicta a gravi capitia odore, ob hoc maxime maraenis eam eonsectantibas. Polypi binis mensibus conduntur. Oltra bimatum non vivunt Pereunt autem labe semper, feminae celerius, et fere a pertu. Non sunt praetereunda et L. Lucullo pro consule Baelicae comperta de polypis, quae Trcbius Niger e comitibus ejus prodidit: avidissimos esse concharum : illas ad tactum comprimi, prae cidentes brachia eorum, ultroque esoam ex praedanle capere. Carent conchae visu, omnique sensu alio, quam cibi et periculi. Insidiantur ergo polypi apertis: impositoque lapillo extra eorpus, ne palpitatu ejiciatur : ita securi grassan tur, extrahunlque carnet: illae se contrahunt,
XLV 11I. 3o. Specie di polpo è l ' ozena, così detta dal grave odor del capo : e per questo è seguitata molto dalle murene. I polpi stanno ascosi due mesi, e non vivono pià di due anni: e muoiono sempre per corruzione,e le femmine più tosto, e quasi sempre dopo il parto. Non sono da essere passale con silenzio quelle cose che s'inte sero de'polpi, quando Lucio Lucullo era procon solo della Betica, le qoali Trebio Nigro, nno dei suoi compagni, scrisse. Dice donque, che essi sono ghiottissimi dell'oslriche, le quali come son tocche si riserrano, e tagliano loro le braccia, e così man giano colui, che volea mangiare esse. Le ostriche non veggon lume, e non hanno senso di altro, fuorché del cibo, e del pericolo. I polpi dunque
C. PLINII SECUNDI sed frustra, discuneatae. Tanta solerti· animalium hcbetininii quoque est Praeterea negat ollum esse atrocius aoimal ad confidendam hominem in aqua. Lactatur enim complexa, et sorbel ace tabulis, ac numeroso sucto detrahit, quum in naufrago· urinantesve impetam cepit. Sed si invertatur, elanguescit vis : exporrigunt enim se resupinati. Cetera, quae idem retulit, monstro propiora possunt videri. Carteiae in oetariis ad auctus exire e mari in lacu· eorum apertos, atque ibi salsamenta popolari (mire omnibus raariuis expetentibus odorem quoque eorum : qua de causa et nassis illinuntor ) : convertit in se custo dum indignationem assiduitate furti. Immodicae bis sepes erant objectae : sed has transcendebat per arborem : nec deprehendi potuit, nisi canum •agacitate. Hi redeuntem circumvasere noctu, concitique custodes expavere novitatem. Primam omnium magnitudo inaudita erat : deinde color muria obliti, odore diri. Quis ibi polypum exspe ctasse!, aut ita cognosceret f cum monstro dimi care sibi videbantur. Namque et afflatu terribili canes agebat, nunc extremis crinibus flagellatos, none robustioribus brachiis clavarum modo in cussos, aegre multis tridentibus confici potuit. Ostendere Lucntlo caput ejus, dolii magnitudine, amphorarum quindecim capax, atque ( ut ipsius Trebii verbis utar ) « barbas, quas, vix utroque brachio complecti esset, clavarum modo torosas : longas pedam tricenum : acetabulis, sive caliculis urnalibus, pelvium modo: dentes magnitudini respondentes, m Reliquiae adservatae . miraculo pependere pondo d c c . Sepias quoque et loligines ejusdem magnitudini· expulsas in litus illud, idem auctor est. in nostro mari loligines quinum cubitorum capiuntur, sepiae binum. Neque hia bimatu longior vita.
•tanno appostando quelle che sono aperte, e in tromettono un «assolino fuor del corpo, accioc ché palpitando esse non caggia: e cori sicura mente caccian dentro le braccia, e tiran le carni. Quelle si voglion rinchiudere, ma indarno, aven do il sassoUno di sbarra. Tanta astuzia hanno questi animali ancora che stupidissimi. Dicono oltre a ciò, che non v’ è nessuno animale più terribile a uccidere 1’ uomo nell' aequa. Perchè quando egli assalta coloro che rompono in mare, o quei che si tuffino sotto acqua, cerca prima di abbracciarli, poi quasi gli assorbe con le sue molte bocche, e gli consuma a forza di succiarli. Ma quando si volge soltoisopra, perde ogni sua fon a. Perciocché quando son così rovesciati, si disten dono, e porgonsi a tutti i pesd. L'altre cose, che raccontò costui, paion piò tosto miracolo, che al tro. Perchè egli scrive, come a Carteia un polpo era avvezzo a uscir del mare e venire in corti laghi aperti ad uso di vivai, e quivi face* gran danno al pesce insalato ( poiché i pesci mariui traggono avidamente verso il polpo per l’odore che ha : onde con le carni di esso se ne ungono ancora le nasse ). Coloro, che v’erano a guardia si sdegnarono alla fine, che cosi gran furto, e si spesso fosse fatto loro. 11 luogo era attorniato di gran siepi, ma il polpo le passava salendo aa per uno albero, nè fu scoperto se non per la sagaeità de* cani. Qoesti, tornandosene egli ona noUe, raccerchiarono, destando le guardie, che accor sero spaventate alla novili di questa cosa. La be stia era di grandezza inaudita : aveva un color terribile, essendosi lordato nel salsume, ed aveva anco odor reo; e siccome non pensavano che quivi potesse veoir polpo, nè così involto Io pote vano conoscere, pareva loro avere a combattere con on mostro. Egli iufatti con un terribile sof fiare spaventava i cani, e talora co* crini, come con isferze gli batleva, alcuna volta con le braccia, come pon mazze, gli percoteva, tanto che a gran fatica l’uccisero con molti tridenti. Portarono a mostrare il suo capo a Lucullo, simile a un doglio di tenuta di quindici anfore, e (per usare le paro le di esso Trebio) a gli mostrarono le sue barbe, le quali appena con amendue le braccia si pote vano abbracciare, torose come gran mazze : eran lunghe trenta piedi, con bocche quasi come calici, ovvero a modo di catini, di tenuta di una urna. I denti rispondevano alla grandezza loro, » La mi nor parte che si conservò per maraviglia, pesava settecento libbre. Scrive lo stesso autore che nel medesimo lito furono gettate alla riva seppie e loligini della medesima grandezza. Nel nostro mare si pigliaoo loligini di cinqoe braccia, e sep pie di due. Però qaesti pesci non vivono più di due anni.
HISTORIARUM MUNDI LIB. IX. Db i i u m t o u ia d p u o .
XLIX. Navigeram similitudinem et aliam in Propontide visam sibi prodidit Mucianus : con cham esse acalii modo carinatam, inflexa pappe, prora rosirata : in hae eondi nauplium, animal sepiae simile, Indendi societate sols. Daobns hoc fieri generibas : tranquillo enim vectorem demis· sis palmalis ferire, at remis. Si vero flata· invitet, easdem in usu gubernaculi porrigi, pandique baccarum sinus anrae. Hnjas voluptatem esse, at ferat : illius, at regat : siinnlque eam deseendere in duo senso carentia : niti forte tristi ( id enim constat ) omine navigantium, humana calamila· in causa est.
C ru sta
ib t b c t i
:
3i. Vivant petrosis loeis: cancri, mollibus. Hieme aprica litora sectantur : aestate in opaca gurgitum recedant. Omnia ejus generis hieme laeduntur, autumuo et vere pinguescant, et ple nilunio magis, quia noctem sidus tepido fulgore mitificat.
gbnera
: d b p in n o t h b r e , s c h i s i ·,
n a u p l io n a v ig a t o b b .
XLIX. Scrive Muciano d'aver veduto nella Propontide uua conca, a similitudine di uua nave, con la carena, con la poppa inflessa, e con la prua rostrata. In questa conca o nicchio si posa il nau plio, animale simile alla seppia, solamente per ischerxare con essa. Il che avviene in dae triodi. Perciocché portato egli dalla conca, usa delle sue braccia come di remi, quando il mare è in calma. Se poi tira vento, le distende indietro · aso di timone, aprendo le sne cavili ovvero booche al vento. Laonde il piacere della conca è il por tare, del nauplio il dirigere il corso : piacere che par è tentilo da due animali insensati ; forse per contrasseguo d'umano infortunio, poiché l'esperienza fa risguardar questo fatto ai naviganti come cattivo pronostico. D b'
d b l o c u s t is .
L. Loeustae crosta fragili muniantur, in eo genere qaod caret sanguine. Latent mensibu· qoinis. Similiter cancri, qui eodem tempore occultantor, et ambo veris principio senectutem aogiom move exuunt renovatione tergorum. Ce tere in nndis natant: locustae reptantium modo fluitant: si nullus ingruat metus, recto mealn : cornibus, quae sunt propria rotuuditale praepila ta, ad latera porrecti· : iisdem erecti· in pavore oblique in latera procedunt. Cornibu· inter se dimicant. Unum hoc animalium, nisi vivam fer venti aqna incoquatur, fluida carne non habet callum.
Cavcrorum
D el
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pbsci c o p e r t i d i cbosta
:
d elle locuste.
L. Le locosle, fra quei che non hanno sangue, sono coperte d' una fragil corteccia. Elle stan no ascose cinque mesi. Similmente i granchi, i qaali nel medesimo tempo ·' ascondono, e amendue nel principio della primavera si spogliano la vecchiezza a modo delle serpi con rinovar la pelle. Gli altri nuotano nell'acqua : le locuste scorrono per l'acqna come quegli che serpeggiano : se non sopraggiugne loro paura di cosa alcuna, vanno a corso ritto, con distese a' lati le corna, che per la propria rotondità riescono appuntate. Se poi hanno paura, le tengono erede, e scorrono a tra verso. Combattono fra loro con le corna. Questo solo animale, se non si cuoce vìvo con l'acqua bollente, ha la carne guizza «enz'alcun ritegno. 3 i. Vivono in luoghi sassosi; i granchi però in morbidi. Questi il verno cercano liti, che ab biano il sole : e la state vanno ne'fondi ombrosi. Tutti gli animali di questo genere patiscono il verno, e P autunno e la primavera in g rassan o, e maggiormente quando la luna è piena, perché lo splendore tiepido della luna mitiga la noi le. D
b l l b s p e c ie d e ' g r a n c h i
:
d e ’ p in n o t e b i, e c h in i,
COCLEIS, PECTINIBUS.
CHIOCCIOLE, PETTINI.
LI. Cancrorum genera, carabi, astaci, maiae, pegori, heracleotici, leones, et alia ignobiliora. Carabi caoda a ceteri· cancris distant. In Phoenice hippi vocantur, tantae velocitatis, nt consequi non sit. Cancris vita Jonga, pedes octoni, omnes ia obliquum flexi. Feminae primas pes duplex, mari simplex. Praeterea bina brachia denticulatis far ci pibus. Superior pars in primoribo· his movelar;
LI. Sonci più sorti di granchi, cioè cambi, astaci, maie, paguri, eracleotici, lioni, e altri di minore stima. 1 carabi son differenti nella coda dagli altri granchi. In Fenicia son chiamati ippi, di tanta velocità, che non si possono raggiugnere. I granchi hanno lunga vita : hanno otto piedi, latti piegali. La femmina ha il primo piè doppio, il maschio l ' ha scempio : ed bauuo due braccia
C. PLINU SECONDI
8;5
inferiore Immobili. Dextrum brachium omnibus majus. Universi aliquando congregantur: os Ponti evincere non valent : quamobrem regressi circu meunt, apparetque Iritum iter.
Pinnotheres autem vocatur minimus ex omni genere, iileo opportunus injuriae. Huic solet tia est inanium ostrearum festis se condere: et quum adcreveril, migrare in capaciores. Cancri in pavore etiam retrorsum pari velo citate redeunt. Dimicant inter se, ut arietes, adversis cornibus incursantes.Contras serpentium ictus medentur. Sole Cancri aigoum transeunte, et ipsorum, quum exanimati sint, corpus traustigurari in scorpiones narratur in sicco. ,Ex eodem genere sunt echini, quibus spinae pro pedibus. Ingredi est his, in orbem volvi : itaque detritis saepe aculeis inveniuntur. Ex his echinometrae appellantor, quorum longissimae spinae, calyces minimi. Nec omnibus idem vitreus color. Circa Toronem candidi uascuntur, spina parva. Ova omnium amara, quina numero. Ora in medio corpore in terram versa. Tradunt sae vitiam maris praesagire eos, correptisque opperiri lapillis, mobilitatem pondere stabilientes, nolunt volutatione spinas atterere. Quod ubi videre nau tici, statim pluribus ancoris uavigia infrenant.
3a. In eodem genere cochleae, aquatiles, terrestresque, exserentes se domicilio, biuaque ceu cornua protendentes contrahentesque : oculi· ca rent : itaque corniculis praetentant iter. 33. Pectines in mari ex eodem genere haben* tur, reconditi et ipsi in magnis frigoribus, ac magnis aestibus : unguesque velut igne lucentes in tenebris, etiam in ore mandentium.
con forbici dentate, delle quali la parte di sopra è mobile, quella di sotto immobile. Hanno tutti il braccio ritto maggiore. Talora si raunano tatti insieme, ma non possono spootare la bocca del Ponto ; per la qual cosa tornali indietro vanno volteggiando, e vedesi la ria lor pesta. 1 minori granchi che si trovino si chiamano pinnoteri, e perciò possono essere pià facilmente offesi. Hanno questi una astuzia di nascondersi nei gusci vóti delle conche, e quando son c r e sciuti, ne cercano di pià capaci. Camminano alt1indietro i granchi, quando hanno paura, con la medesima prestezza che ran no innanzi. Combattono fra loro con le torna, come i montoni. Son buoni a medicare il morso delle serpi. Passando il sole per lo segno del Gran chio, dicesi che il corpo loro, quando son morti e tratti nel secco, si suol mutare in iscorpione. Del medesimo genere sono gli echini, i qaali hanno spine in cambio di piedi. L'andare di questi pesci è il voltolarsi, e perciò spesso si tro vano, che hanno gli spini logori. Fra questi chia mansi echi nometri alcuni, che hanno gli spini lunghissimi, con piccoli bocciunli. Non tutti han no un medesimo color di retro, poiché presso a Torone nascono bianchi, e con piccola spina. L* uova di tutti questi sono amare, e ne' fanno cinque per volta. Hanno la bocca in mefczo il corpo, rolla in verso la terra. Dieesi ehe essi preveggono la fortuna del mare, e caricandoti di pietruzze I* aspettano, fermando in questo modo la leggerezza loro con quel peso, se non vogliono col voltolarsi logorare le spine. Onde quando i naviganti ciò veggono, subito con molte ancore fermano i navigli. 3a. Nel medesimo genere sono le chiocciole d* acqua e di terra, le quali escono della dimora loro, distendendo e ritirando come due corna ; e perchè non hanno occhi, tentano il lor cammino con le corna. 33.1 pettini in mare sono tenuti d d medesimo genere, i qnali anco essi si nascondono ne* gran freddi e ne1gran caldi. Hanno Pugna, che rilu cono al buio, come il fuoco, e ancora in bocca di chi le mangia.
CoUCHARCII GEWBRÀ.
VARtB SORTI DI COVCHC.
LII. Firmioris jam testae murices, et concha rum genera : in qoibus magna ludentis naturae varietas, tot colorum differentiae, tot figurae, planis, concavis, longis, lunatis, in orbem circum actis , dimidio orbe caesis in dorsum elatis, laevibus, rugatis, denticulatis, striatis : vertice muricatim intorto, margine in mucronem emisso, foris effuso, intui replicato. Jam distinctione vir-
Lll. Le murici e le conche d 'ogni genere hanno ben saldo guscio. In queste gran varietà ha usato la natura, che pare che se ne abbia voluto pigliar piacere, tante sooo le differenze de'colori, e tante diverse figure, piane, concave, lunghe, lunate, tonde, tagliate in mezzo tondo e rilevale in sulla schiena, pulite, grinzose, fatte a denti, accanatale, col colmo ritorto a foggia d i
HISTORIARUM MUNDI LIB. IX.
folata, crinita* crispa : cuniculatim, pectinalim divisa : imbricatim undata, cancellatim reticulata: in obliquum, in rectore expansa : dentata, porre cta, sinuata: brevi oodo ligati·, toto latere connexis, ad plausam apertis, ad baccinam recur vis. Navigant ex his Veneriae, praebentesqae concavam sui partem, et aorae opponentes, per somma aequorum velificant Saliuot pectines, et extra volitant, seqoe et ipsi carinant
QUARTA L O X D U U MATERIA SIT I · MARI.
LUI. 34· Sed quid haec tam parva comme moro, quum populatio moram atqae luxuria non elionde rosjor, qoam e concharum genere prove niat ? iam quidem ex tota rerum oatora damno sissimum ventri mare est, tot modis, tot mensis, tot piscioni saporibus, qaibas preti· capientiom perìcolo fiant 35. Sed qaota haec portio est repatantibas parpurss, conchylia, margaritas ? Param scilicet faerat in galas condi maria, uisi manibus, auri bus, capite, totoqae corpore a feminis juxta virisqoe gestarenter. Qeid mari cam vestibus f Qoid aodis floctibasqae eam vellere ? Non recte recipit haec nos rerum natara, nisi nodos. Esto, sit tante ventri cum eo societas, qoid tergori T Param est, oisi qai vescimar periculis, etiam vestiamur: adeo per totani corpus,anima hominis qaaesita maxime placent.
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m a r g a r i t is : q u o m o d o s a s c a n
+c r , s t
c a i.
LIV. Principium ergo culmenque omnium pretii, margaritae tenent. Indicas maxime has mittit oceanus, inter illas belluas tales tantasqae, quas diximas, per tot maria venientes, tam longo terrarum tracto, e tantis solis ardoribus ! etqoe lodis quoque ih insulas petuntur, et admodum paucas. Fertilissima est Taprobane et Stoidis, nt diximas ia circuita maodi : item Perimula promontorium Indiae. Praecipue autem laedan tur circa Arabiam in Persieo sinu maris Rubri. rero m
Origo atqoe genitura coochae, est haad moltam ostrearum conchi* differem. Has ubi geni· talis anni stimulaverit hora, pandentes sese quadam oscitatione, impleri roscido concepta tradant, gravidas postea niti, partomque concha-
murice, la sua estremità a guisa di coltello ester namente sporta, internamente ripiegata. Altre son vergate, crinite, crespe, fatte a canali, in for ma di pettine, fatte a onde di piogge, fatte come graticole di cancelli, sparse io traverso, io dritto : deose, distese, ripiegate, legate con breve nodo, congiunte in tutto oo lato, piane e baone a dare strepito percotendooe i gusci, ricurve e buone a render suono. Di queste, le Venerie navigano, e opponendo al vento la parte lor concava, van no a vela sopra l'acqua. I pettini saltano, e volano foori, e fannosi di sè stessi carena. Q
u a r t a m a t e r ia d i l u ss o s ia e e l m a r e .
LIII. 34. Ma a che fine perdo io tempo a rac contare queste cose si piccole, mentre la roina de* buoni costumi, le pompe e le morbidezze non vengono d'altronde, che dalla specie de1nicchii T E veramente che fra tutte le cose del mondo il mare è di grandissimo danno cagione, eoo tante maniere, tanti cibi, tanti sapori di pesci, a*quali è posto il prezzo secondo il pericolo de' pescatori. 35. Ma questa è una piccola particella, a chi considera la porpora, le conchiglie e le perle. Era parso poco, che il mare servisse alla gola, se an cora cosi dagli aomini, come dalle donoe non si portasse io maoo, negli orecchi, nel capo e per tatto il corpo. Che ha a fare il mare eoo le vesti ? Che hanno a far Tonde e i flotti con le lane? Questo elemento noD ci riceve heoe se noo ignudi. Poniamo che la gola abbia molto che fare col mare ; il dosso che ha egli a far seco ? Non basta che ci pasciamo, se anco non ci vestiamo oon perìcolo : tanto è vero che ci piace avere in tutte le parti del corpo, cose acquistale cou pericolo della vita dell'uomo. D elle
pbele
:
co m e r a s c a r o , e d o v e .
L 1V. Il primo e maggior prezzo di tutte le cose hanno le perle. Queste nascono specialmente nel mar d1India, fra quelle tali e così grandi be stie, che noi dicemmo che vengono per tenti mari, di si fontani paesi, e da sì grao caldi. Gl' Indiani stessi ne vanno in cerca fra le isole, che gii sono ben poche. Doviziosissima è Pisola diTaprobana, e Stoide, come noi dicemmo nella descrizione del mondo, e Perimula promontorio d’ india. Ma però son tenute le migliori qoelle che nascon circa P Arabia nel golfo Persico del mar Rosso. L'origine e nascimeoto della conca è poco differente da quella delle ostriche. Dicesi che quando elle vanno 10 amore, s 'aprono da loro stesse, come se sbadigliassero, e s'empiono di rugiada, e così impregnando, partoriscono poi, e
C. PLINII SECUNDI
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ruin esse margaritas, pro qualitate roris accepli : si purus influxerit, candorem conspici : si vero turbidas, et fetum sordescere : eumdem pallere, coelo minante concepturo ; ex eo quippe constare, coeliqaeeis majoretti societatem esse, quam maris: inde nubilum trahi colorem, aut pro claritate matutina serenum. Si tempestive satientur, gran' descere et partus. Si fulguret, comprimi conchas, ac pro jejunii modo minui. Si vero etiam tonuerit, pavidas ac repeule compressas, quae vocant physemala efficere, speciem modo inani inflatam sine corpore : hoc esse concharum abortus. Sani qui dem partus multiplici constant cute, non impro prie callum ut existimari corporis possit : itaqne et purgantur a peritis. Miror ipso tanlnm eas coelo gaudere sole rubescere, candoremque per dere, ut corpus humanum. Q tiare praecipuum custodiant pelagiae, altius mersae, quam nt pene trent radii. Flavescant tamen et illae senecta, rugisqu* torpescunt : nec nisi in juventa constatine, qui quaeritur, vigor.Crassescuut etiam in senecta, conchisque adhaerescunt : nec his avelli queunt, niii lima. Quibas ana tantum est facies, et ab ea rotundiUu, aversu planities, ob id tympania no minantur. Cohaerentes vidimus ia conchis, hac dote unguenta circumferentibus. Cetero in aqua mollis unio, exemptus protinus durescit.
Q
uomodo in v e n ia n t u r .
LV. Concha ipsa quum raauum videt, compri mit sese, operitque opes suas, gnara propter illas se peti : manumque, si praeveniat, acie sua ab scindit, nulla justiore poena: et aliis munita suppliciis : quippe inter scopulos major pars invenitur: sed in alto quoque comitantor marinis canibus: nec tamen aures feminarnm arcentnr. Quidam tradunt, sicut apibus, ita concharum examiuibus singulas magnitudine et vetustate praecipu»*, esse veluli duces, mirae ad cavendam solerliae : has urinantium cura peti : illis captis, facile celeras palantes retibus includi . Multo deinde obrnlis sale in vasis fictilibus, erosa carne omni, nucleos quosdam corporum, hoc est, unio nes decidere in ima.
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il parto di que1 nicchii son perle seeondo la qua lità della rugiada, che hanno ricevuta : se la rice verono pura, son bianche ; se fu torbida, vengon brulle; e se è nugoloso il cielo son pallide: questo avviene, perciocch' elle hanno maggior conve nienza con l'aere, che co! mare, e di qui tirano i l colore nubiloso o sereno, secondo la chiarella della mattina. S'elle si saziano per tempo, diven gono grandi ancora i parti. Se folgora, ì nicchii si rinchiuggono, e. le perle scemano, seeondo il più o meno del digiuno. Se tuona, per paura si chiudono a un tratto, e in luogo di perla, vengono a fare un' altra specie, che si chiama fisema, go n fiata, come ana vescica e senza corpo: queste sono perle abortive. Le perle buone hanno più scorze, in modo che propriamente si possono stimare la polpa del corpo, e sono poi ripulite da que gli, che ne san Parte. Maravigliorai come esse si rallegrino tanto dell1aria, eh* arrossiscano p er il sole, e che perdano la bianchezza come il co r po umano. Però si, castodiscon bene, tuffandosi nel fondo del mare, tanto che non v 'aggiun gano i raggi del sole. Nondimeno anch' esse in giallano per la vecchiaia, e diventano crespe e guizze, ni hanno quel vigore che si ricerca, se non nella giovanezza. Ingrossano ancora nella vecchiezza,e appiccane! alla madreperla, nè si pos sono spiccare se non oon la lima. Quelle che son tonde da una faccia sola, e dall' altra piane, si chiamano timpanie. Ne Yedemmo già di attaccate alle madreperle, le qaali per qaesto lor pregio furoao ridotte in vasi* da profami. La perla nel l’acqua è tenera, e cavata fuori sabilo indurisce. C
ome s i t r o v in o .
LV. La madreperla quando vede la mano del pescatore, tosto si chiude, e serra le sue ricchezze, perchè sa quello che il pescatore cerca ; e s’ ella si può chiuder prima che il pescatore ritiri a sè la mano, col taglio del nicchio glie ne recide, della qual pena nessuna altra è più giusta: ma arreca ancora altri supplicii. Perciocché la mag gior parte convien cercarle fra gli scogli : ma in allo mare ancora sono accompagnate da cani ma rini ; e nondimeno non ne posson far senza gli orecchi delle donne. Dicono alcani, che siccome gli sciami delle pecchie hanno il re loro, così que ste conche hanno le guide loro, le quali sono maggiori delPaltre, e più attempale, c di grande iadastria a guardarsi. Tutto P ingegno dunque de’luffatori s 'indrizza a pigliar queste guide, per chè prese ch'elle sono, l'altre che vanno aparse facilmente si rinchiuggono con le reti. Quelle che si pigliano, si meltouo in vasi di lerra coperte col sale, il quale, rosa tulta la carne, lascia la perla nella ucl Tondo.
HISTORIARUM MUNDI LIB. IX. Q
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S feci * o b o l i u v io b i.
u v io b u m .
LV 1. Uso atteri non dubiam est, eoloreraque indiligentia matara. Dos omnis ia caadore, ma gnitudine, orbe, laevore, pondera, haod promptis rebus, Ia taatam et nalli duo rtperianlar indi screti : unde aomea anlonum Romaaae scilicet imposuere dclioiae. Nam id apad Graecos noa est, ne apod Barbaros qaidem iaveotores ejus aliad, qoam margaritae. Et ia candore ipso magna differentia : clarior ia Rubro mari reper tis : Indicos specularium lapidum squama adsimolat, alias magnitudine praecellentes. Summa laas colóris èst exaluminatos vocari. Et procerio ribus sua gratia est: dencos appellant fastigata longitadine, alabastrorum figura in pleniorem orbem desiaenie*. Hos digitis suspendere, et bioos ae ternos auribus, femtaarum gloria est. Subeant luxuriae ejus nomina, et taedia, exquisita perdito nepotatu; siquidem quum id fecere, crotalia appellant, ceu soao quoque gaodeaUt, et collisu ipso margaritarum: cupiontque jam et pauperes, mlictorem feminae in poblico unioaem esse » dietitaates. Quin et pedibus, nec erepidarom tantam obstragulis, sed tolissoeeulis addunt. Neque enim gestare jam margaritas, nisi calcent, ac per uniones etiam ambulent, satis est.
In nostro mari reperirà solebant, crebrius drca Bospborura Thracium, rufi ac parvi in con chis, qaas myas appellant. At in Aea mania quae vocatur pinna gigoiU Quo apparet non uno con chae genere nasci. Namque et Juba tradit, Arabi· dsconcham esse similem pectini insecto, hirsutam echinorum modo, ipsum unionem in carne, grandini similem. Conchae non tales ad nos a f f e r u n t u r . Nee in Arcauania autem laudati reperiuntur, enormes fere, colorisque marmorei. Meliores circa Actiam, sed et hi pervi: et io Maaritaaiae maritimis. Alexander Polyhistor et Sodine* senescere eos putant, eoloremqoe ex spirare.
Q uas o u n u m
i * h is . Q u a b r a t d a a
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aoaua.
LVI. E’ oon i dubbio alcuno, che le peti· adoperandosi si vengoo a logorare, e, se ooo vi s* ha diligente, cambiano oolore. La belleua toro consiste ndl'esser bianche, grandi, tonde, palile, e di peso, le qoali cose si trovano si di rado, ebe ooo ce oe sono due indifferenti : onde le dettale Romaoe le chiamarono anioni. Perciocché que* sto nome non è appresso de' Greci, nè de' Bar bari, i quali ne sono inventori, i quali non le chiamano che col nome di margarite. Ed è gran differenza ancora nella bianchezza. Nel mar Rosso si trovano più chiare. Le Ìndiche si fanno somi glianti a quelle con le scaglie delle pietre da spec chi : peré queste sono eccellenti per grandezza. La miglior lode del colore hanno quelle, [che si ehiaman essalomioate, perché tirano al color deU'allume. Ed aneo le lunghe hanno la grazia loro, e chiamante eleaehi : qaesie s’aUungano ap puntandosi come le pere, e a guisa di alabastri finiscono in larga rotonditi. Hanno le doone a gloria portarne per le dita, e due · tre agli oreoehi. Qaesto lusso crea eziandio nuovi nomi a fa* stidii che costano ona ricchezza intera ; poiché chiamano crotalii tali ornamenti di piè perle, godendo persia del suono che mandano come si artano tra loro. Le desiderano ancora le donne povere, dieendo, la perla in pubblico essere alla donna un littore, ehe le fa largo: e e* è di piò, die le vogliono anoopa ne* piedi; e non solamente nelle guiggia della pianella, ma per tutti gli stivaletti. Nè basta lor portare le perle, che accora le calpe stano, e vannovi sopra. Solevaosi g» trovare nel nostro mare, ma più spesso circa il Bosforo Tracio, rossigne e pic cole, ne'nicchii che si chiamano mie: ma in Acarnania le produce quel nicchio che si chiama pinna. E così si vede, eh' elle non nascono da un# sorte sola di madreperle. Perciocché anche Giu be scrive, che Γ Arabia produce una madreperla simile a un pettine non segato, e irsuta come gli echini, e ehe essa perla nella carne soauglia grani di gragnnola. Simili perle non sono portate a noi. Nè in Acarnania ancora se ne trovan molte, ohe sien belle, essendo quasi tutte sgarbate, e di oolor di marmo. Migliori sono intorno ad Aszio, die però son piceole, e nelle parti maritti me di Maaritania. Alessandro PoHstore e Sodine dicono, ch'elle ioveoehiaoo, e perdono del oolore. Q
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L V 1I.Eorumcorpusselidumessemanifestum est, quod nullo lapsu franguntur. Non autem
LV 1L È oosa chiara, ohe il corpo loro è solido, peróocch'elle ooo si rompono per alcuna
C. PLINII SECUNDI
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semper in media carne reperiuntur, sed aliis atque aliis locis. Vidiraasque jam in extremis etiam marginibus velat concha exeuotes : et in quibusdam quaternos quinosque. Pondus ad hoc aevi semunciae pauci singulis scrupulis excessere. In Britannia parvos atque decolores nasci certum est: quoniam divus Julius thoracem, quem Veneri Genetridi in templo ejus dicavit, ex Britannicis margaritis factum voluerit intelligi. '■
E U I P U CIRCA EOS.
LV 1II. Lolliam Paulinam, quae fuil Caji principis matrona, ne serio quidem, aut solemni caerimoniarum aliquo apparatu, sed mediocrium eliam sponsalium ooena, vidi smaragdis margarilisque opertam, alterno textu fulgentibus, toto capite, crinibus, spira, auribus, collo, monilibus, digitisque: quae summa quadringenties sestertium colligebat : ipsa confestira parata mancupationem tabulis probare. Nec dona prodigi principis fue rant, sed avitae opes, provinciarum scilicet spoliis partae. Hic est rapinarum exitus : hoc fuit quare M. Lollius infamatus regum muneribus in toto Oriente, interdicta amicitia a Cajo Caesare Augu sti filio venenum biberet, ut neptis ejus quadringenties sestertio operta spectaretur ad lucernas. Computet nunc sliquis ex altera psrte, quantum Curius aut Fabricius in triumphis tulerint, imaginetur illorum fercula ; et ex altera parte Lolliam, unam imperii mulierculam accubantem : non illos curru detractos, quam in hoc vicisse malit ?
Nec haec summa luxuriae exempla sunt. Duo fuere maximi uniones per omne aevum : utrum que possedit Cleopatra, Aegypti reginarum no vissima, per manus Orientis regum sibi traditos. Haec, quum exquisitis quotidie Antonius sagina retur epulis, superbo simul ac procaci fastu, ut regina meretrix, lautitiam ejus omnem apparatumque obtrectans, quaerente eo quid adstrui magnificentiae posset, respondit « una se coena centies sestertium absumpturam, n Cupiebat di scere Antonius, sed fieri posse non arbitrabatur. Ergo sponsionibus factis, postero die quo judi cium agebatur, magnificam alias eoenam, ne dies periret, sed quotidianam Antonio, apposuit, irri-
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caduta. Elle non si trovano però sempre in mexao della carne, ma ancora in altri luoghi. E già n'abbiamo vedute nell'orlo del nicchio, eh' elle quas! uscivano fuori ; e in alcuni quattro e cinque. Io fino a questa età si son trovate poche perle, che abbiano pesato più d'una mezza oncia, lnloghil·terra nascono piccole e di brutto colore, il che ai sa, perchè Giulio Cesare imperadore volle ch e si conoscesse che la corazza, la quale egli a v e · dedicata a Venere Genitrice nel suo tempio, era stata (atta di perle loglesi. E se m piì
r a p p o r t o a d b ssb .
LVUI. Io vidi Lollia Paolina, che fo moglie di Caio imperadore, nè già solo quando ella s'adornava solennemente in qualche magno e reale apparato, ma anco in ordinario e medio cre sponsalizio, tutta coperta di smeraldi e di perle rilucenti, con ricchissimi fra messi, per tatto il capo, per li capelli, per le ciocche de' ricci, per gli orecchi, per lo collo, per le mani ; perle che aggiugnevano alla valuta di qnaltroeentomila se sterzi! : ed essa era sempre apparecchiata a pro vare questo importo con le scritture di compera. Nè queste l'erano stale donate dal prodigo princi pe, ma erano ricchezze sue patrimoniali,acquistate nelle spoglie delle province. Questo è l'esito delle rapine ; questa fu la cagione, perchè Marco Lollio infamato d’ aver ricevuto doni da lutti i re di Oriente, e avendosi perciò perduta l ' amicizia di Caio Cesare, figliuol di Augusto, s'avvelenò da sè stesso, acciocché la sua nipote fosse guardata la sera a lume di torcie coperta di quattrocentomila sasterzii. Esamini ora qui alcuno da uoa parte, quanto Curio e Fabrizio portarono nei trionfi, e s'imsgini le pompe loro ; e d'altra parte Lollia, una femminuccia d'imperio sedente.a ta vola : or non vorrebbe egli che coloro fossero scesi del lor cocchio trionfale, piuttosto che dovessero aver trionfato per simile effetto ? Nè questi sono i maggiori esempli di pompa. Doe sole furono le perle maggiori che mai si tro vassero al mondo, ed amendue l'ebbe Cleopatra, ultima regina d' Egitto, per le mani dei re di Oriente a lei date. Costei essendo ogni dì convi tata da Marco Antonio con ricchissime e sontuo sissime vivande, superba e sfacciata come regina e bagascia, si faceva beffe di quaota magnificenza e pompa era quivi : onde Marco Antonio la do mandò, com'essa avrebbe saputo far di più ; ed essa gli rispose : che ella avrebbe speso in una cena centomila sesterzii. Aveva già caro Antonio di veder la pruova, ma non credeva che ciò si potesse fare. Posti dunque i pegni, Cleopatra
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HISTORIARUM MUNDI UB. IX.
denti, computa tionemque expostulanti. At illa corollariam id esse,«tconsorapturam eam coenam taxationem confirmans, solamque se centies se«tertiam eoeaa turano, inferri menaam secandam ■jussit. Ex praecepto ministri unam tantam vas ante eam posaere aceti, cujus asperitas visque in tabem margaritas resolvit. Gerebat aoribus qaum maxime singolare illad, et vere unicam naturae •opus. Itaque exspeetante Antonio quidnam esset actura, detractum alterum mersit, ao liqaefactum absorbuit. Injecit alteri manum L. Plancus, judex sponsionis ejus, eum quoque paranti simili modo absumere, rictumque Antonium pronuntiavit, omine rato. Comitatur fama unionis ejus parem, capta illa tantae quaestionis victrice regina disse ctam, ut esset in utrisqae Veneris auribus Romae in Pantheo dimidia eorum coena.
Q oax o o rx iito x i s o su v
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LIX. Noo ferent tamen hanc palmam, spoliabunturque etiam luxuriae gloria. Prior id fecerat Romae in unionibus magnae taxationis Clodius tragoedi Aesopi filias, relictus ab eo in amplis opibus heres, ne triumviratu suo nimis superbiat Antonius, paene histrioni comparatus, et quidem nalla> sponsione ad hoc producto, quo magis regiam fiat : sed ut experiretur in gloria palati, qoid ssperen t margari tae : atque ut mire placuere, ne solus boc sciret, singulos uniones convivis quo que absorbendos dedit. Romae in promiscuum ac frequentem asum venisse, Alexandria in ditio nem redacta: primum autem coepisse circa Sul lana tempora minutas et viles, Fenestella tradit, manifesto errore, quum Aelius Stilo Jugurthino bello unionum nomen impositum maxime gran dibus margaritis prodat.
- MDUCUM BAXUIAB, BT VUUUEABUM.
LX. Et hoo tamen-aeternae prope possessionis est: sequitor heredem, ia mancipatum-venit, ut praedium aliquod. Conchylia et purpuras omnis hora atterit, quibus eadem mater luxuria paria paene etiam margaritis ptetia fecit. 36. Purpurae vivuntannis plurimum septenis.
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giorno seguente, ch'era il giorno della prova, mise a ordiné una cena veramente magnifica, ma nondimeno quale ogni dì s'osava. Rise Antonio, e le domandò che-ella gli mostrasse in che cosa avea spesa la somma già detta. Ma ella risponden dogli che l’ apposto era un soprappiù, e eh* essa sola avrebbe consumato in quella cena i centomila sesterzi!,ordinò che si recassero le secondomense. Così le fa messo innanzi solo on vaso d'aceto, la cut asprezza e forza fa struggere le perle. Ella aveva agli orecchi quella veramente stupenda e sfrigolare opera di natura. Stando dunque Antonio ad aspet tare ciò che ella era per fare, ella ne spiccò una, e come fu strutta nell'aceto, la bevve : e volendo ella fare il medesimo dell' altra, L. Paoco giudice di quella scommessa, non la lasciò fare, e giudicò -vinto Antonio, formando come il pronostioo del la sua futura caduta. Onde ò in gran fama l'altra perla simile, ohe divisa in due, poi che fu presa Cleopatra vincitrice di sì gran prova, e donata a Venere nel Panteo di Roma, appese alle orec chie di lei la metà di quella cena. QcABD O L à VB1MA VOLTA VBMBftO Ul USO A ROHA.
L 1X. Ma non però costoro avranno il vanto della prodigalità. Perciocchà questo avea prima fatto in Roma in perle di grandissima valuta Clodio figliuolo d'Esopo tragedo, lasciato da esso erede di ricchissime facoltà ; onde non dee insu perbir troppo Antonio del suo triumvirato, quasi paragonato a uno istrione. Nè si mosse Clodio a far questo per vincer pegni, nè scommesse, onde era tanto più cosa regia, ma per dare alla gola la gloria di sentire di che sapore fossero le perle. E veduto che elle mirabilmente gli era no piaciute, per non esser solo a questo piacere, ne fece dare una per uno a quanti erano a man giar seco. Scrive Fenestella che a Roma si comin ciarono usare per ciascuno, poiché Alessandria fa ridotta sotto l ' imperio Romano, ma che però le minute e vili cominciarono usarsi intorno ai tempi di Siila: nel che è in manifesto errore, perciocch' Elio Stilone scrive, che le margarite grandi si chiamarono unioni fio dal tempo della guerra Giogortina. Natura
d b l l b v u b ic i b d b l l b
r o ir o u .
LX. Però le perle formaoo un possesso ehe dura sempre : seguono l'erede, e vengono in do minio, come se fossero qualche podere. In vece le conchilie e le porpore si consumano a ogni ora, alle quali la stessa madre prodigalità diede quasi j^nedesimi prezzi, che alle perle, v 36. Il pesce porpora vive al più sette anni.
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tite tf, sicut m rifiu , circa C io» oriam triceni* diebus. Congregae lar Terno tempore, mataoqae ^Urit« lentorem cujusdara cerae salivant. Simili snodo etmuriees. Sed pnrparae florem illam tin gendis expetitum vestibus, in mediis habeo t faucibus, liquoris hic minimi esi in candida rena, onde pretia·*»* ille bibitur nigrantis rosae oolore •ablucens· Reliquam corpus sterile. Vira» capere contendunt, qaia cam vita saccum eam evomant JEt majoribus quidem purparis detracta concha auferunt : minore· cum testa vivas frangant, ita demam rorem eam exspuentes.
Tyri praecipuus hic Asiae : iu Meninge, Afri· eae, et Gaetulo litore oceani : in Laconica Euro pae. Huic faeces securesque Romanae viam faciunt: idemque pro majestate pueritiae est. Distinguit ab eqaite curiam: diis advocatur placandis; omnemque vestem illuminat : in triumphali, mi scetur auro. Quapropter excusata et purpurae sit insania. Sed unde conchyliis pretia, queis virus grave ia fuco, color aaslerus in glauco, et iraseenli similis mari 7
Lingua purpurae longitudine digitali, qua pascitur perforando reliqua conchylia : tanta du ritia aculeo est. Aquae dulcedine necantur, et sicubi flumini immerguntur: alioqui captae, diebus quinquagenis vivunt saliva sua. Conchae omnes celerrime crescunt, praecipue purpurae: anuo magnitudinem implent.
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HATIOSES PORPURAl.
LXI. Quod si hactenas transcarrat expositio, fraudatam profecto se luxuria credat, nosque indiligentiae damnet. Quamobrem persequemur etiam officinas : ut tamquam in vita frugum no scitur ralio, sic omues, qui istis gaudent, praemia vitae suae calleant. Concharum ad parpura· et conchylia (eadem enim est materia, sed distat temperameoto ), duo sunt genera. Buooinum mi nor concha, ad similitudinem ejos qua bucciui sonas editar : unde et causa nomini, rotunditate oris in margine incisa. Alterum purpura vocatur, euniculalim procurrente rostro, et ouoieuli latere introrsus tubulato, qua proferatur lingua. Praete rea clavatum est ad turbinem usque, aculeis in orbem septenis fere, qui non sint buccino : aad utrisque orbes totidem, quot haj>«ant annos. Bue-
Sla nascosto, come fia Ia pnarsoe, nel naeoer della Canicola trenta giorni. Raunanti ia primavera, e stropicciandosi insieme Γ ό η · 1*altra, deano u n a saliva tenace a modo di cera. 11 medesimo ftn oo anco le murici. Ma le porpore hanno quel fio r del oolore,ehe si cerea per tigaere i panni) in m es so la eanna della gol·. Questo è un poco di li core, ehe sta entro · una specie di vena bianca, del quale nasce quel presioao oolore di rosa, d i e pende in nero, e riluce : latto il resto di qaesto pesce è sterile. Coloro ehe le prendooo, s 'in g e gnano di pigliarle vive, perchè elle insieme e o o la vite gettano quel lioore. Spogliano pereiò d el lor nicchio le maggiori, e tritano vive con la m a cina le minori, le quali in questo modo lo effondono. Il più eccellente è in Tiro d'Asia, in Mentala d'Africa, e nella spiaggia del mare di Getulia, e io Laconica d’ Europa. Di questo sono ornati i fasci e le scari dell* imperio Romano, e qaesto ancora dì maestà alla fanciullezza. Egli distin gue i cavalieri da1 senatori : è buono per placare gli dei, dk splendore ad ogni veste, e accompa gnasi nei trionfi con l'oro. Però sia scusala ancora la pazzia della porpora. Ma perchè sono in prezzo i conchilii, i quali hanno grave odore nel sugo, colore austero e burbero nel verde, e simile al mare, quando egli è adirato ? La lingua della porpora è lunga quanto an dito, con la quale essa si pasce forando gli altri conchilii, tanto è ella dura e appuntata. Ammal ia osi con l1 acqua dolce, o immerse in qualche fiume : altrimenti prese vivono cinquanta dì eoa la lor saliva. Tolti i nicchii crescono prestissimo, massimamente le porpore, e In un anno son ginn le alla lor grandma.
Di QUARTI
EA1ZS SIERO LS l O U O l l .
LXI. Ma se noi non scrivessimo piè di qaesto, la prodigalità veramente si terrebbe per ingan nata, e dorrebbesi della nostra negligenza. E però trascorreremo ancora le sue officine e bot teghe, acciocché come rapporto a vitto ai conosce la nalura delle biade, così coloro che di queste tali cose si godono, intendano la natura delle loro preziosità. Una medeaim» materia & il colore dello porpora, e quello, eh'è chiamato conchilio, ma la diflarensa è nell· tempera. Ve ne sono due •orti, una è conca minore, e chiamasi buccino, a aamigtiansa del buccino, · cono, oon che si saoqaf ed èoosì dettaeppoatoperchè ha la boeoa tonda. L'altra ai chiama porpora. Questa riesce in punta ricurva a guisa di rostro e ritonda, e per nu’èpertara in fiaaeo, che ·' interna raion-
HISTORIARUM MONDI LIB. IX.
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cianai nonnisi petris adhaeret, circeque eoopolo· legitor.
5j . Purpurae* nomine alio pelagiae vocantur. £aram genera plora, pabolo et «olo discreta. Lutense putrì timo, et algense enutritum alga, vilissimam ulrumque: melius taeniense,in taeniia muris collectum : hoc quoque tamen etiamnum levius atque dilutius 2 calculense appellatur a calcalo maris, mire apto conchyliis et longe optime purpuris: dialutense, id est, vario soli genere pastum. Capiuntur autem purpurae par vulis rarisque textu veluti nassis in alto jactis. Inest iis esca, clusiles mordacesque conchae, ceu mitulos videmus: has semineces, sed redditas mari, avido hiato reviviscentes appetant purpu rae, porrectisque linguis infestant : at illae aculeo ex limula tae claudunt sese, eomprimuntque mor dentia : ita 'pendentes aviditate sua purpurae tolluntur.
Q domqdo
ex
■» u u i τηοΛΕτσχ.
LX 11. 38. Capi eas post Canis ortum, aut ante vernum tempus, utilissimum: quoniam quum fetifieevere, fluxos habeat sucoos. Sed id tingen tium officinae ignorant, quum sumaaa vertatur in eo. Eximitor poelea vena, quam diximus : cui addi salem necessarium, sextarios ferme in libras centenas : macerari triduo justum : quippe tanto majoris vis, quanto reeentior. Fervere in plumbo Stagniisque «quae amphoris centenas atque quin quagenas medicaminis libras aequari, ao modico vapore torreri, el ideo longinquae fornacis am i calo. Ita despumatis subinde carnibus, quas adhae sisse venis neoesse est, deeimo ferme die liquata cortina, veHus elutriatum mergitur in experimen tum : et donec spei satis fiat, oritur liqatfr. Rabent calor «lignote deterior. Quini» leoa potat heris, narsuaqOfc mergitor carminata, donec omnem ebibat saniem. Buoeionm per se damnator, qnoa i u i fucom remittit. Pelagio admodum alligatur, mmiaeque ejus nigritiae dat austeritatem illa»
89»
demente, l'animate mette Arari Ia lingua. OHra di dò il suo guscio e pieno di spiai qnati come ehiovi, i quali lo girano in più cerchi, e io q da sette per cerchio, quali non gli ha il buoeino ; però l’uno e l'altro ha tanti cerchi, quanto egli ha anni. U buodno non s’ apptooa se non alle pietre, e si trova intorno gli «cògli. 37. Le porpore sono dette per altro n o n · pelagie. Elle sono di pià torti, differenti per le varietà del terreno dove sono, e del cibo. Lutensi si chiaman quelle che vivono nel loto ; algensi quelle che si pascono d’ alga : 1* una e P altra specie è molto vile. Migliori sono le teniensi, cioè quelle che si colgono nelle pietre, che in fondo al mare biancheggiano per lungo tratto a guisa di fasce ; ma quesle ancora sono leggere e troppo liquide. Alcune si chiamano calculensi, perchè stanno in luoghi pieni di calcoli, cioè piccole pietre, e quasi oome ghiaia) luoghi molto a pro posito per le conchiglie tutte, ma specialmente per le porpore. Alcune altre sono dette dialu tensi, perch' elle si pasoono in diversi luoghi. Piglianti le porpore in questo modo. Tolgono eerti nicchii piccoli, delle eui carni le porpora son ghiotte, i quali si aprono, e ti chiudono «er rando forte. Li dispongono rari, ma però come tessuti a naasa, e così li gettano in mare. Confessi sentono l'acqua già temivivi, si aprono tosto a novella vita, ma le porpore vi cacciano la lingua per pascersi della lor carne. 1 nichii essendo punti si rinchiudono, e rinchiudendosi serrano la lin gua delle porpore. Tratti dunque fuor dell'aoqna tirano seco le porpore già prese. Con
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LX1L 38. È utile a pigliarle dopo ohe è nata la Canicola, ovvero innanzi la primavera ; per chè quando elle hanno figlialo, hanno il sugo troppo liquido. Ma questo non sanno i tintori, ancora che in ciò consista il lutto. Cavasi poi la vena, la qual dicemmo, e sopra vi si mette del sale, uno staio per ogoi cento libbre. Basta maoerarle tre giorni ; perciocché quanto la porpora è più fresca, ha tanto maggior virtù. Vuol bol lire in vaso di piombo, e ad una anfora d'acqua si danno centocinquanta libbre di medicamento, misture ehe si £1 bollire lentamente, derivandole il calore della fornace per via di tubo. Così schiu male poi le carni che restarono attaccate alle ve ne, dopo un dieci giorni in circa di bollitura, se ne fa il saggio immergendovi lana non mai prima tinta} e attende»! a far bollire fino a che riesce. II oolor rosso non è così buono, come quello, che pende in nero. Cinque ore bee la lana, e dipoi s<&rmigliata di nuovo si tuffa, infin che ha sne-
8 g*
G. PLINII SECUNDI
nitoremque, qoi quaeritur, cocci. Ita permixtis viribus alteram altero excitatur, aat adstringitar. Somma medicaminum in l librat velleram, buc cini ducenae : pelagii, exi. Ita fit amethysti color eximias ille. At Tyrios pelagio primam satiator, immatora viridiqae cortina : mox permutator in boccino. Lans ei somma, in colore saogainis concreti, nigricans aspectu, idemqae suspecta re fulgens . Unde et Homero purpareus dicitur sanguis.
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LXI11. 39. Purporae osom Romae semper faisse video, sed Romulo in trabea. Nam toga praetexta, et tatiore clavo Tollam Hostiliam e regibas primum asam, Etrascis devictis, salis constat. Nepos Cornelius, qui divi Augusti princi patu obiit: «Me, inquit, juvene violacea purpura vigebat, cajas libra denariis centum venibat: nec mallo post rabra Tarentina. Hoic saccessit dibapha Tyria, qnae in libras denariis mille non poterat emi. Hac P. Lentulus Spinther aedilis curulis primus in praetexta usus improbabatur : qua purpura quis non jam, inqnit, triclinaria facit? » Spinther aedilis fuit orbis conditae anno d c x c i , Cicerone console. Dibapha tone dicabatur, qoae bis tincta esset, veluti magnifico impendio, qualiter none omnes paene commodiores purpu rae tingantur.
De COKGBTLIAT1S
ciato lotto ii colore. Il boccino schietto si danna, perchè non ritiene il colore. Collegasi donqoe al pelagio, e alla troppa nerezza di esso dà il vivo e laccate, cb' è nella grana. E così mescolati que sti colori, acquistano chiarezza od oscuriti l’uno dall'altro. Per tiogere cinquanta libbre di lana bisognano dugento libbre di boccino e cento undici di pelagio. Da questa mistora ne viene il bellissimo colore dell* ametiste. Il color Tirio però si ottiene coll' inzuppare la lana nel pelagio innanzi che la tintura sia pienamente bollita e cotta, poi coll' immergerla nel buccino. Qaesto colore ft perfetto nel suo genere quando somiglia sangue rappreso, che penda in oero guardandolo, ma che risplenda guardandolo come di sotto In sa. Per questa ragione Omero dì raggiunto di porporeo al sangue. Q
u ah d o s i c o m ib c iò u s a b b l a p o r p o r a a
Q
CLAVI, BT PRAETBXTAB.
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LXI1I. 39. Io trovo che P aso della porpora fu sempre a Roma, ma Romolo l'usò nella trabea; perocché è fuor di dubbio che il primo che ne usasse nella toga pretesta e nel latoclavo fa Tallo Ostilio dopo la saa vittoria sai Toscani. Cornelio Nipote, il qoale morì al tempo d’ Augusto impe radore, così scrive : u Quaodo io era giovane, era in oso la porpora di color di viole, la coi libbra si vendeva cento denari ; e non molto dipoi la rossa Tarentina. Dopo qoella venne la dibala Tiria, la coi libbra valeva più di mille denari. Di qoesta avendosi pel primo fatta ona pretesta Publio Lentulo Spintere edile curule, ne fu molto biasimato: ora di questa porpora ognun ne fa panni, che s 'adoperano nelle sale, dove si man gia. w Spintere fa edile l'anno seicento novantuno della edificazione di Roma, essendo console Cice rone. Dibafa si chiamava allora la porpora, ebe fosse tinta due volte per più magnifieenza di spesa ) ora quasi ogni porpora si tigne due volle. D bllb
VBST1BUS.
LXIV. In conchyliata veste cetera eadem, sine boccino: praeterque, jos temperatur aqua, pro improviso humani potus excremento : dimidia et medicamina adduntur. Sic gignitur laudatas ille prfllor saturitate fraudata , tantoqoe dilotior, qoanto magis vellera esuriant t
4o. Pretia medicamento sont qni dem pro fer*
tilitale litorom viliora: non tamen osqoam pelagii libras quinquagenos nummos excedere, et boccini centenos, sciant qni ista mercantor immenso.
R om a.
u abdo il la t o c la v o b l a p r e t e st a .
v e s t i c o h c h il ia t e .
LXIV. Nella veste conehiliata s 'usano quasi le medesime cose : però non s'oss il boccino, ed oltre · ciò il sago del conchilio si tempera eoa acqna, non oon orina d'uomo, come la porpora, e basta solo la metà del sugo. Con viene a Care qoel color lodato per la soa pallidezsa per man camento di tinta, il quale è tanto più smorto, qoanto la lana ne bee manco. 4o. Il prezzo di questa tinta è tanto più vile, quanto più ne han fertilità i diversi siti. Sappia*» però coloro, che la comprano si caro, che la libbra dd pelagio non passa in luogo alcuno cinquanta denari, e quella del boccino oento.
HISTORIARUM MUNDI LIB. IX.
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LXV. Sed ali» e fine initia : javatque ludere impendio, et lusus geminare miscendo, iteramqoe et ipsa adulterare adulteria naturae : sicut testodine» tingere, argentum auro confundere, ut electra fiant : addere his aera, nt Corinthia.
LXV. Ma qui sul fine conviene riandar da capo, dacché piace folleggiare in dispendii, in mescolar e contraffar la già conlra Salta natara ; che tale è il tingere le testuggini, amalgamar Poro con l’argento per farne l'elettro, e aggiun gere a questi il rame per trarne il metallo Corintio. 41. Non est sali» abstulisse gemmae nomen 4 i· Non basta aver dato alTametisto il nome amethystum : rursum absolutam inebriator Ty di una gemma : questo colore «'intinge nel Tirio, rio, ut sit ex ntroque nomen improbum, simulque e acquista un altro nome scellerato, on altro luxuria duplex: et quum confecere conchylia, ineentivo di lusso : qoando s 'è fatto il conchilio, transire melius in Tyrium putant. Poenitentia l'uomo non si sta contento; ei reputa meglio hoc primum debet invenisse, artifice mutante il tingerlo in Tirio. Questo dovette la prima quod damnabat : inde ratio nata, totum quoque volta esser prodotto dal pentimento di artefice lactum e Titio portentosis ingeniis, et gemina che forse corresse la fattura ehe non gli piacque : demonstrata via luxuriae, ut color alius operire però divenne un modo di tingere, e del vizio na tur alio, saavior ita fieri leniorqne dictu». Quin cque la voglia ai bizzarri ingegni: così fu aperto et terrena miscere, coccoque tinctum Tyrio tin campo a un altro oggetto di lusso, e si volle un gere, ot fieret hysginum. Coccum Galatiae ru colore a cui fosse passato sopra un altro colore, beo» grannm, ut dicemus in terrestribu», aut circa dicendosi che così vien pià delicato e soave. Essi trovato poi ancora mescolar le cose terrestri, Emeritam Lusitaniae, in maxima laude est. Ve e quello eh' è tinto in grana, tignerlo in Tirio, rum ut simul peragantur nobilia pigmenU, an niculo grano languidus succus: idem a quadrimo per farne lo isgino. La grana è una erba rossa che evanidus. Ita nec recenti vires, neque senescenti. nasce nella Galazia, come diremo nelle cose terre Abunde tractata est ratio, qua se virorum juxta stri, ovvero circa Emerita città di Lositania, ed è fefninarumque forma credit amplissimam fieri. in grandissima stima. Ma a voler finire a un Iratto le tinte fine, questa erba, quando ha uno anno, ha poco sugo, e quando n' ha quattro, è svanita Ha forza dunque quando è nè fresca nè vecchia. Ora e* ci pare d 'aver detto abbastanza come la bellezza degli uomini e delle donne crede potersi fare grandissima. D x PIXBJ ET PIMOCBBB.
D b LLA PIUMA B DBL PIBTROTKKB.
LXV 1. 4a> Concharum generi» et pinna est. Nascitor in limosis subrecta semper, nec nmquam aine comitet quem pinnoterem vocant, alii prnnopbylacem. Is est squilla parva : alibi cancer dapis adsectator. Pandit se pinna, luminibus orbum corpus intus minutis piscibus praebens. Adsultant illi protinus, et ubi licentia audacia crevit, im plent eam. Hoc tempus speculatus index, morsa levi significat. Illa compressu, quidquid inclusit, exanimat, partemque socio tribuit.
LXV 1. 49· La pinna anch'ella è una specie di nicchio. Nasce tra la belletta, e sta sempre elevala, nè va mai senza compagno, il quale alcuni chia mano pinnotere, altri pionofilace. Questo è come una piccola squilla, altrove grauchio, che segue il cibo. La pinna «' apre, e presenta il suo corpo, che dentro è privo di lume, a' pesci minuti. Que sti pesciolini corrono tosto, e come dalla appa rente sicurezza son falli audaci, entrano io essa, e la riempiono. La spia aveodo appostato questa cosa, con un morso leggiero gliele fa intendere, ed ella strignendo la bocca, uccide tulio quello, eh' ella rinchiuse, e oe dà la sua parte al com pagno.
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C. PLINII SECONDI D js s e n s u a q u a tiliu m : t o b f b d o , p a s tin a c a , SCOLOPENDRA, GLANIS : PB ÀS3BTB PICCE.
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LXVII. Qoo magi· miror, quosdam existimas· K , aquitilibus nullum inesse sensum. Novii tor pedo vim suam, ipsa non torpens : mersaque ia limo se occultat, piscium qui securi supernatantes obtorpuere, corripiens. Hujus jecori teneritas nulla praefetur. Nec minor solertia ranae, qnae in mari piscatrix vocatur. Eminentia sub oculis cor nicula turbato limo exserit, adsultantes pisoicalos pertrahens, donec tam prope accadant, ut adsiliat. Simili modo squatina, et rhombus, abditi pinnas exsertas movent specie vermieolorum : itemque quae vocantur raiae. Nam pastinaca latrocinator ex occulto, transeuntes radio (quod telum est «i) figens. Argumenta solertiae hujus, quod tardis simi piscium hi, mugilem velocissimum omnium habentes iu ventre reperiuntur.
43. Scolopendre terrestribus similes, quas centipedes vocant,bamo devoratoomnia interanea evomunt, donec hamum egdrant, deinde resor bent. At T u lp e s marinae, simili in periculo glutiunt amplius usque ad infirma lineae, qnae facile praerodant. Cautius qui glanis vocatur : aversos mordet hamos, nee devorat, sed esca spoliat.
44· Grassatur aries, ut latro. Et nnne gran diorum navium in salo stantium occultatila umbra, si quem nandi voluptas invitet, exspectat : nuno elato extra aquam capite, piscantium cymbas spe culator, occullusque adnatana mergit.
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LXVUI. 45. Equidem et his inesse sensum arbitror, quae neque animalinm, neque fruticum, sed tertiam quamdam ex utroque naturam ha bent: urticis dico, et spongiis. Utricae noeta ▼agantur, noetnque mutant. Carnosae frondis his natura : et carne vescuntur. Vis pruritu mordax eademque quae terrestria urticae. Contrahit ergo se quam maxime rigens, ac praenaiante pisciculo
LXVI1. E perciò molto mi maraviglio, come alcuni abbiano creduto che gli aoimali d’ acqua nen abbiano alcun sentimento. Conosce la tor pedine la sua forca, non essendo però essa nè torpida nè addormentata, e tuffandosi nella mota si nasconde, e cosi piglia i pesci, che sicuri nuo tando sopra essa, ri rimanessero intorpiditi, o addormentati. Non e* è cosa veruna, pià tenera, che il fegato di questo pesce. E non è punto mi nore Γ astuzia della rana, che in mare si chiama pescalrioe. Questa bastinola, avendo prima intor bidata l'acqua, cara fuora le corna, ohe l’escono di sotto agli occhi, allettando i pesciolini, i qoali le vanno intorno, finché le tengono tanto ap presso, che salta loro addosso. A simil modo la squatinae il rombo ascosti muovon fuori le penne 0 de a guisa di vermioeHi: il medesimo fa la rana. La pastinaca sla in aguato, e a modo d*as~ sassioo assalta i pesd, che paesano, trafiggendogli con una punta, che ha per arme. E die ciò sia vero, ne è segno che questi sono i pià tardi pesd che siano, e trovand avere, in corpo il muggine, eh’ è il pià vdoee pesce che viva. 43. Le scolopendre simili a quelle di terra, che d chiamano centogambe, quando hanno in ghiottito l’ amo, redono tutte le interiora, finché mettano fuor 1* amo, dipoi le ringhio ttiscono. Ma le volpi marine che abbiano inghiottito l'amo, inghiottiscono ancora tanto che vengano al filo più sottile, il quale facilmente rodono. Però più accortamente fa il pesce che si chiama glano, il qude afferra l’amo a rovescio, nè lo inghiottisce allrimente, ma lo spoglia dell'esca. 44> H montone assalta i pesd come uno assas sino : talora s’asconde all’ombra de’navili grossi, 1 quali stanno fermi, e aspetta se alcuno ha voglia di nuotare; e ora alsando il capo fuor ddPacqoa, apposta le barchette de’ pescatori, e di nascose nuotando le mette a fondo. Di
q u b l l i, c k b h a n n o o n a t s b z a n a t u b a , d * a n im a l i b d ’ a l b b b i .
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LXVIII. 45. Io credo anoora ehe abbiane sentimenti quegli, che non sono aoimali, nè al beri, ma hanno una terza natura che partedpa dell’ uno e dell’altro, dico le ortiche e le spu gne. Le ortiche vanno attorno la notte, la notte molano dimora. Hanno foglie carnose, e pasconsi di carne. Pungono come le ortiche di terra. Ran nicchiasi dunque e sta tutta raccolta, e quando
HISTORIARUM MUNDI LIB. IX.
frondem eoam spargit, coraplectensqoe devorat. A lia· marceoli similis, et jactari ac passa flucta algae vice, contactos pisces, attrituque petrae scalpentes pruritum, invadit. Eadera noeta pecti· nea et echinos perquirit: dum admoveri sibi manam sentit, colorem mutat et contrahitur. Tacta uredinem mittit, paullumque si loit inter· T a lli, absconditor. Ora ei in radice esse tradontor, excrementa per somma tenni fistola reddi.
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LX 1X. Spongiarum tria genera accepimus: spissam ac praedaram et asperam, tragos id v o c a tor : minas spissam et mollius, manon t teuae denramqae, ex qoo penicilli, achilleam. Nascuntor omnes in petris: alantur conchis, pisce, limo. Intellectam inesse his apparet, qnia obi avulsorem sensere, contractae, molto difficilius abstrahuntur. Hoc idem flacta pulsante faciant. Vivere eses, manifesto conchae minutae io his repertae osten dant. Circa Toronem vesci illis avulsas etiam ajant, et ex relictis radicibas recrescere. In petris era oris qaoqae inhaeret color, Africis praecipue, qoae generantor in Syfrtibus. Maxime fiunt manae, sed mollissimae, circa Lyciam. In profando aatem, tiec ventoso, molliores. In Hellesponto asperae, et densae circa Maleam. Putrescant in apricis locis: ideo optimae in gurgitibus. Viventibus idem,qai mandentibus, nigricans color.Adhaerent neo parte, nec totae: intersunt enim fistulae quaedam inanes, qaaternae fere aot quinae, per quas pasci existimantor. Sunt et aliae, sed superne concretae. Et sobesse membrana quaedam radici bas earum iotelligitor. Vivere constat longo tera· pore. Pessimam omnium genas est earum, qoae aplysiae vocantor, quia elni non possant, in qui bus utagnae sant fistulae, et reliqua densitas spiata.
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LXX. 4G. Canicularum maxime multitudo circa eas arinantes gravi periculo infestat. Ipsi
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passano i pesciolini, disleode lor sopra le sue frondi, e abbracciandoli gli divora. Alcooa volta come se fosse erba fracida, si lascia portare dal l'acqua come l'alga, e preda i pesci che riscontra per via, e che stanno fregandosi a* sassi quando lor prude la foia. La notte cerca de* pettini e degH echini, e quando si sente appressar mano, mata colore, e si rannicchia. Essendo tocca abbrucia come l’orlica terrestre, e se ha pure un poco di spazio, si nasconde. Dicesi ch'ella ha la bocca nella radice, e purgasi per canaluzzi, che sono nell’ estreme foglie. D
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LX 1X. Io trovo che ci son tre sorti di spugne, una spessa, dura e aspra, che si chiama tra gos : una spessa, ma pià delicata, detta manon : un’ altra sottile e densa, di cni si fanno i pen nelli, e si domanda achilleo. Nascono tutte nel le pietre, e pasconsi di nicchii, di pesce e di mota. Vedesi ch'elle hanno intelletto, perchè sì tosto che hanno sentito eoi ai, ehe le vaole spie care, ritirate e rannicchiate più difficilmente si staccano. Qaesto medesimo (anno, quando ella sono percosse dall'onde. 1 nicchii minuti, ehe si trovano in esse, mostrano chiaramente ch'elle vivono di esca. Dicesi che ne' dintorni di Torone si pasconp aneora eh' elle sieno spiccate da' sassi, e che ricrescono delle radici lasciate. Talor vedesi ancora il colore del lor sangue nelle pietre, e massimamente in Africa di quelle che nascono nelle Sirti. Qeelle della seconda specie divengono grandissime nei mari della Licia, ma son diKca» tissime : a dov' è più fondo, e che non aia luogo ventoso, sono on po'men delicate. Nell’ Ellespon to sono aspre, e dense circa la Malea. Infracidano ne' luoghi solatii, e perciò sono ottime ne' fondi. Vivendo e mangiando hanno un colore, che trae in a erà Stanno attaccate nè in tutto, nè in parte, perchè in più luoghi del corpo rimangon loro come certi canali vóti, quattro o cinque, per li qoali si tiene ch'elle pascano. Ne hanno ancora degli altri, ma riserrati di sopra, e vedesi sotto le lor radici essere nna certa pelle sottile. Trovasi cb’elle vivono lungo tempo. Le peggiori di tutte sono quelle, che si chiamano aplisie, le quali non si possono mai nettare e pulire : hanno grandi i sopraddetti tubi o canali, e nel resto son più deose d'ogni altra specie. D bllb
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LXX. 46· Sono molto travagliati dalle canicole quegli che intorno di loro si tuffano. Essi dicono,
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C. PLINII SECUNDI
ferant, et nnbem quamdam crassescere saper capita, animaliom planornm pisciam similem, prementem eos, arcentemque a reciprocando : et ob id stilo* praeacutos lineis ad nexos habere «ese: quia nisi perfossae ita, non recedant : caliginis et pavoris, ut arbitror, opere. Nabem enim et nebu lam ( cujus nomine id malam appellant ) inter animalia haud ullam comperit quisquam. At curo caniculis atrox dimicatio. Inguina, et calces, omnemque candorem corporum appetant. Salus una in adversas eundi, ultroque terrendi. Pavet enim hominem aeque ac terret. Et sors aequa in gurgite : ut ad summa aquae ventam est, ibi peri culum anceps, adempta ratione contra eundi, dum conetur emergere: et salus omnis in sociis : funem illi religatum ab humeris ejas trahant: hunc dimicans, ut sit periculi signum, laeva quatit: dextra adprehenso stilo in pugna est : modious alias tractus. Ut prope carinam ventum est, nisi praeceleri vi repente rapiat, absumi spectant. Ac eaepe jam subducti, e manibus auferuntur, si non trahentium opem, conglobato corpore in pilae modum, ipsi adjuvere. Protendunt quidem tri dentes alii: sed monstro solertia est navigium subeundi, atque ita e tuto proeliandi. Omnis ergo cura ad speculandum hoc malum iusnmitar.
47· Certissima est securitas vidisse planos pisces : quia numquam sunt ubi maleficae bestiae: qua de causa urinantes sacros appellant eos.
Da BIS QUAB SILICEA TBSTA CLAUDUHTUE. QcAB SUTE SEXSU ULLO 18 MAXI. D b &BL1QDIS SORDIUM ABIMAUBOS.
LXXI. Silicea testa indnsis fatendum est nul lum esse sensum, ut ostreis. Multis eadem natutura, quae frutici, ut holothuriis, pulmonibus, stellis. Adeoque nihil non gignitur in mari, ut cauponarum etiam aestiva animalia, pernici mo lesta saltu, et quae capillus maxime celat, exsi stant, et circumglobata escae saepe extrahantur : quae causa somnum piscium in mari noctibus infestare existimatur. Quibusdam vero ipsis in nascantur, quo in numero chalcis accipitor.
che cresce alie canicule sopra il capo una certa n u gola simile a’ pesci piani, la quale gli preme, e non gli lascia ribatter le onte ; e perciò hanno a lili acutissimi attaccati a legnuzxi ; perchè s'elle n on son pante, non si partono; ma credo che ciò avvenga per opera della caligine e della p u r a . Perciocché non c*è niuno ch'abbia trovato mai nè nugolo, nè nebbia, come altri la voglia domanda re, fra gli animali. Fassi una terribil battaglia con queste canicule, le quali volentieri s 'appiccano all'anguinaglia e a' piedi dell'uomo, e dovunque veggono bianco. Écci un rimedio solo contra queste bestie, ed è, andare loro incontro, e spa ventarle; percioochè esse spaventano l'uomo, e da lai ancora sono spaventate. Mentre che sono sotto acqua, la cosa va del pari, ma quando elle son ve nute a galla, quivi è il pericolo dubbioso, perchè l ' uomo non può ir loro incontra, volendo uscir fuori, e ogni salute sta ne'compagni. Costoro tengono in mano una fune legatagli alle spalle, onde colui che combatte, fa cenno del suo peri colo, dimenando con la man manca la fune, perchè con la ritta tieu lo stile, e combatte; e a poco a poco è tirato su. E come egli è venuto su presso alla nave, se non lo tirano su con prestezza, lo veggono consumare. E spesse volte ancora, quan do è già tratto fuora, è tolto loro delle mani, se esso non si ritira e ripiega oon tutto il corpo, raggomitolandosi, e facendosi in guisa di palla. Alcuni di essi distendono i tridenti, ma qaesto mostro ha ona astuzia di ricoverar sotto il naviilo, e cosi combattere al sicuro. Mettesi dunque ogni diligenza a spiar questa bestia. 47· Certissima sicurezza è il veder pesci pia ni, perch* essi non sono mai dove si trovano be stie malefiche, e per questa cagione i tuffatori gli chiamano pesci sacri. Di
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LXXI. Chiara cosa è, che quegli che hanno il guscio di pietra, come son l ' ostriche, non han no alcun sentimento. Molti hanno la medesima natura, che le piante, siccome sono gli oloturii, i pulmoni e le stelle. Ed è oerto ch'ogni cosa nasce in mare, infino a quegli animaluzzi da ta verna, che con veloce salto ci molestano la state, e quegli ancora, che stanno ascosi fra i capegli, i quali spesso, tirando fuora l'esca, vi sono aggo mitolati intorno: questa è la causa che alcuni pesci non possono dormir la notte in mare. In alcuni anche nascono naturalmente, fra i quali è la calce.
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HISTORIARUM MONDI LIB. IX. Db T in tu ra M aini.
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LXXII. 4«· Nec veneo* cessant dira, ni in lepore : qui in Indico mari eliam tacto pestilens, vomitam dissolotionemqae stomachi prolinos creat: in nostro offe informis, colore tantum lepori similis : in Indis, et magnitudine, et pilo, doriore tantnro: nec vivas ibi capitar. Aeqae pestiferam animal araneas, spinae in dorso acu leo noxias. Sed nnllum usquam exsecrabilius, qaam radias, saper caudam emioens trygonis, qoam nostris pastinscam adpellant, qoinconcisli magnitudine. Arbores infixos radici necat : arma, nt telam, perforat : vi ferri, et veneni malo.
LXXII. 48· Sono aneo veleni in mare, come si vede nella lepre marina, Ia quale nel mar d’ in dia nuoce ancora a toccarla, e sabito fa io altrui vomito e distemperamento di stomaco. Nel no stro mare è un pezzo di carne senza forma, e non somiglia la lepre in altro che nel colore. In India n* è simile di grandezza, e di pelo più duro : quivi non si piglia viva. Un altro animai velenoso è il regnatelo marino, il quale ha solla echieoa una punta velenosa. Ma non ve n’è poi ninno al mondo peggiore di quel che si chiama radio, il quale ha tre ponte sulla coda : i nostri lo chiamano pasti naca, di grandezza di cinque onde. Ficcandosi nelle radici fa seccar gli alberi, e fora Γ armi come una saetta : la sua ferita è velenosa, di maniera che nuoce come ferro, e come veleno.
Di MOXBIt VISCIDI!.
D b l l b m a l a t t i b d b ’ p e s c i.
LXX 1II. 49. Morbos universa genera pisciam, at cetera animalia etiam fera, non accipimus sentire. Verum aegrotare singulos, manifestum fadt aliqaorom mades, qaam in eodem geoere praepingues alii capiantur.
LXX 1II. 49· Noi non troviamo che ei pro vino le infermiti, come fumo gli altri animali, anche i fieri ; ma nondimeno dal vederne alcuni magri e smorti si conosce ehe anch* essi amma lano ; tanto più che della medesima sorte se ne pigliano de1molto grassi.
Dx GB1BBATI0BB ΒΟΒΟΜ.
LXX 1V. 5o. Quonam modo generent, desi derium et admiratio hominam differri non pali tar. Pisces attritu ventrium coeunt, tanta celeri tate «t visum fallant : delphini, et reliqua cete, simili modo, et paa|lo dialius. Femina piscis coitus tempore marem seqoitur, ventrem ejus rostro pulsans : sub partum mare· feminas simi liter, ova vescentes earum. Nec sati· est genera tioni per se coitus, nisi editis ovis, interverssndo inares vitale adsperserint viras. Non omaibus id contingit ovis in tanta multitudine : alioqoi re plerentur maria et stagna, qaam singoli uteri innumerabilia concipiant.
5 i. Piscium ova in mari crescunt, qoaedam summa celeritate, ut muraenarum : quaedam panilo tardius. P la n i pisciam quibus cauda non obest, acoleique, et testudines in ooitu superveniunt t po lypi crine uno feminae naribus adnexos sepiae et loligines linguis, componentes inter se bra chia, el io contrarium nantes : ore el pariant.
Dbl e s i n a
d b1 p is c i.
LXX 1V. 5o. II desiderio e la maraviglia de gli uomini non comporta che si prolunghi di dire in che modo iogenerano. I pesd usano insieme fregando il corpo l'un con l'altro, eon tanta pre stezza, che ingannano la vista. I delfini, e gli altri pesd grandi, per simil modo, ma oon più tempo. La femmina nei tempo che tono in amore, va dietro al maschio, e col muso gli percuote il ventre ; e nel tempo del parto simil mente il maschio sego*- la femmina, e le mangia l’ uova. Nè alla generazione basta il coito solo, se poi che son nate 1’ uova, il maschio e la fem mina voltolandole fra loro, non vi spargono nn cerio umor vitale. E dò non accade in tanto nu mero a tutte l’uova, altrimenti s’ empirebbono i mari e gli stagni, perciocché ciascun pesce nè produce infiniti. 5 i. L’uova de1pesci crescono in mare, alcune con gran prestezza, come quelle delle morene, alcune un poco più tardi. 1 pesd piaoi, che non hanno coda, e non aculeo, come le testuggini, si montano nel coi to : i polpi usano il coito con un crine congiunto al muso della femmina : le seppie e le loligini eon le liogue, componendo le bracchia fra loro,
G. PLINII SECUNDI 9*>J e nuotando a rovescio: queste partoriscono per Sed polypi in terram verto capile coeant. Reli qua mollium tergis, nt canes : item locustae, et bocca. Ma i polpi osano il coito col capo volto alla terra. Gli altri pesci teneri l'usano con le schiene, squillae : cancri, ore. Ranae superveniunt, prio ribus pedibus alas feminae mare adprebendente, come i cani : le locuste, le squille e i granchi oon posterioribus clunes. Pariunt miuimas carnes la bocca. Le rane montano, e il maschio piglia coi nigras, quas gyrinos vocant, oculis tantnm et piedi dinauzi le spalle della femmina, e con quei cauda insignes : mox pedes figurantur, cauda dietro la groppa. Partoriscono pezzolini di carne findente se in posteriores. Mirumque, semestri nera, i qnali si chiamano girini. Veggonst solo in vita resolventur in limum nullo cernente, et essi gli occhi e la coda; dipoi si formano i piedi, itarsus vernis aquis renascuntur quae fuere : na fendendosi la coda, e facendosi i piedi di dietro. turae perinde occulta ratione, quara omnibus Ed è gran maraviglia, che dopo che son vissute sei roeti, ti risolvono in fango, senza che persona annis id eveniat. le vegga, e di nuovo rinascono nell* acque della primavera quelle che furon nate; e certo eoo occulta ragione, perchè ciò avviene ogni anno. Et mituli et pectines sponte naturae in are 1 mituli e i pellini nascono da per loro nosis proveniunt. Quae durioris testae sunt, ut senza coito, prodotti dalla natura ne’ luoghi are murices, purpurae, salivario lentore ; sicut aces nosi. Quegli che hanno il guscio piò duro, come cente humore culices : apuae, spuma maris inca- le murici e le porpore, nascono di sciliva visco lescente, quum admissus est imber. Quae vero sa : le zanzare da umore acetoso, e le acciughe siliceo tegmine operiuntur, ut ostrea, putrescen dalla schiuma del mare, che si riscalda, essendovi te limo, aut spuma circa navigia diulius stan piovuto sopra. Quegli che hanno il guscio di tia, defixosque palos, et lignum maxime. Nu pietra, come 1' ostriche, nascono di mota putre per compertum in ostreariis, humorem iis fetifi fatta, o di schiuma, la quale sia stata un pezzo cum laciis modo effloere. Anguillae atterunt se intorno a’ navili, e pali fitti, e massimamente in scopulis : ea strigmenta vivescunt : nec alia eat torno al legno. Non è molto, che s’ è trovato earum procreatio. Piscium diversa genera non ne’ serbatori delle ostriche, uscir di quelle un coeunt, praeter squatinam et raiam : ex qoibus umore generativo a modo di latte. Le anguille nascitur priori parte raiae similis, et nomen ex si fregano agli scogli, e quello che rimane delle fregate, diventa vivo, nè altro è la loro genera utroque compositam apud Graeoos trahit. zione. Diverse sorti di pesci non vanno in frega, oltre la squatina e la raggia ; delle quali nasce una terza specie nelle parti dinanzi simile alla raggia, e appresso dei Greci ha un nome com posto dall’ uno e l’ altro. Alcuni nascono a certi tempi dell’ anno al in Quaedam tempore anni gignentur, et in hu more, ut in terra : vere peetines, limaces, hirun acqua e sì in terra. La primavera i pettini, le lu dines eodem tempore viviscunt. Piscium le mache, le rondini si fanno vive a un medesimo pos et trichias bit anno parit, et saxatiles omnes. tempo. De’ pesci, il lupo e la triglia figliaa due Malli ter, ut chalcis : cyprinus sexies, scorpiones volle l'anno ; così tulli i sassatili. I mulli tre vol b if, ac sargi vere et autumno. Ex planis squa te, come ancora le calce : il ciprino sei volte : gli tina bi/: sola autumno, occatu Vergiliarum. Plu scorpioni e i sargi doe volte, la primavera e rimi pisdum tribus mensibus, Aprili, Maio, Junio. l'autunoo. De’ pesci schiacciati sola la squatina Salpae autumno : sargi, torpedo, squali, circa figlia due volle, la primavera e nel tramontar aequinoctium: molles vere: sepia omnibus men delle Vergilie. Assaissimi pesci in questi tre mesi, tibus. Ova ejus glutino atramenti ad speciem l ' Aprile, il Maggio, il Giugno : le salpe l'autun uvae cohaerentia, masculas prosequitur adflatu, no : i sargi, la torpedine e gli squali circa l'equi alias sterilescunt. Polypi hieme coeunt, pariunt nozio. 1 teneri nella primavera. La seppia in vere ova tortili vibrata pampino, tanta fecundi tulli i mesi. L'uova sue stanno appiccate con tate, ut mollitudinem ovorum occisi non reci certa pania d'inchiostro a modo d 'u v a , e il piant cavo capitis, quo praegnantes tulere. Ea maschio soffiando le segue, altrimenti diventano excludunt quinquagesimo die, e qaibas multa sterili. I polpi vanno in amore il verno, e la pri propter numernminlercidunt. Locustae, et reli mavera fanno l'uova come attortigliate a un qua tenuioris crustae, ponant ova super ova, pampino ritorto, e con tanta fecondità, che non atque ita incubant. Polypus femina modo in ovis capirebbe nel eavo del capo di un polpo ucciso ■edet, modo cavernam cancellato brachiorum quella moltitudine che portò nel ventre una pre-
HISTORIARUM MUNDI LIB. IX.
implexa claudit. Sepia in tem no parit inter araodines, aat sicabi enata alga : excludit qaintodeeimo die. Loligine* ia alto conserta ora •dnnt, at sepiae. Purpurae, narice», ejusdemque generis, Tere pariant. Echini ova pleniluniis habent hiemo: et cochleae hiberno tempore nascuntor.
Qui
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gnante. Partorisconle in capo a cinquanta giorni, e molte femmiue per il numero grande delle lor nova periscono. Le locuste, e gli altri pesci di più sottil corteccia, mettono uova sopra oova, e cosi le oovano. 11 polpo femmina ora siede sulle uova, ora con lo iotrecdar ddle braccia & caverna, e cosi le ritiene. La seppia figlia ancora io terra fra le canne, o in luogo dove sia aata alga, e partorisce in capo aquindid giorni. Le loligini in alto mare partoriscono le uova appiccate insieme, come le seppie. Le porpore, le murici, e altri simili par toriscono la primavera. 1 ned marini hanno le nova il verno a luna piena, e le chiocdole di mare nascono il verno. Q u a l i p a b t o x is c a h o k r t x o m sè
1ΒΤΒΑ SB OVA F A I IA UT, ST ABIMAL.
v o ta b
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l ’ a h im a l e .
LXXV. Torpedo octogenos fetas habens in· venitor : eaque io tra se parit ora praemollia, ia alium loeum uteri transferens, atqae ibi excla· dens. Simili modo omaia, qaae cartilaginea ap pellavimus. Ita fit, at sola piscium et animal pariant et ova coadpiaat. Silarus mas solus omnium edita custodit ova, saepe et quinquage· oia diebus, ne absumantur ab aliis. Ceterae femi nae in triduo exdadant, si mai attigit.
LXXV. La to r p e d in e
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f ig lin o li, e p a r to r is c e e n t r o d i s im e , tr a s fe r e n d o le d o r è le fa n a s c e re .
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ι ο ι τ α τ ο ι v x s t e x , d e ib
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LXXVI. Acus, sive belooe, ooaa pisdam dehisceate propter multitadiaem utero parit. A parta coalescit vulnus ; quod et in caecis serpen tibus tradunt. Mus marinus in terra scrobe ef fosso parit ova, et rursus obruit terra : tricesimo die refossa aperit, fetumque ia aquam dacit.
Q u i VOLTAS
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:
q u i s b ip s i i m a i t
.
LXXV 1. Uo pesce, che si chiama ago ovvero belone, partorisce, aprendosegli il corpo per la moltitudine delle uova. Dopo che ha figliato, qudla piaga si risalda, e ciò dicono avvenire anco nei serpenti ciechi. 11 topo marino cava una fossa in terra, e quivi partorisce le nova, e di naovo le ricaopre di terra. In capo a trenta gior ni le scoopre, e condace il suo parto nell’ acqua. Q o a l i a b b ia n o m a t x ic i : q o a l i u sib o i l c o i t o f r a s i STESSI.
LXXV1I. 5a. Erythini et ehanae vulvas ha bere tradantar : qui trochos appdlatur a Grae cis, ipse se inire. Fetas omniam aqaatilwm inter initia visa carent.
Q
o a b l o b o is s im a v it a p is c iu h .
LXXVUI. 53. Aevi pisciam memorandam nuper exemplum acceptmas. Pausilypum villa est Campaniae, haud procal Neapoli ; in ea in
LXXV 1I. 5a. Dicesi ohe i pesd eritini, e le cane hanno le matrici. Quel che i Greci chiama no troco, asa il coito fra sè stesso. 1 parti di tatti gli aaimali di acqua mancaoo da prindpio di vista. Q
o a l e s ia l a p iù l d s g a v i t a d e i p i s c i .
LXXVIII. 53. Noi abbiamo poco tempo fa inteso uno esempio notabile della vita dei pesd. Pausilipo è una villa dì Campagna poco lontana da
9θβ
C. PLINII SECONDI
9 «?
Caesaris piscinis a Pollione Vedio conjectam plseem, sexagesimam posi annum exspirasse scribit Annaeas Seneca, doobas aliis aequalibus ejus ex eodem genere etiam Ione viventibus. Qaae men tio piscinarum admonet, at paullo plura dicamus hac de re, priusquam digrediamur ab aquati libus.
Q u is p a ia o s v iv a b ia o s t b b a iu m n rv E ra a iT .
LXXIX.54.0 strearum vivaria primus omnium Sergius Orata invenit in Bajauo, aetate L. Crassi oratoris, ante Marsicum bellum : nec gulae causa, sed avaritiae, magna vectigalia tali ex ingenio suo percipiens, ut qui primos pensiles invenerit balineas, ita mangonizatas viUas subinde ven dendo. Is primus optimam asporem ostreis Lu crinis adjudicavit, quando eadem aquatilium ge nera aliubi atque aliubi meliora, sient lupi pisces in Tiberi amne inter duos pontes, rhombos Ra vennae, maraena in Sicilia, elops Rhodi : et alia genera similiter, ne culinarum censura peraga tur. Nondum Rritannica serviebant litora, quum Orata Lncrina nobilitabat: postea visum tanti in extremam Italiam petere Brundisium ostreas: ac ne lis esset inter duos sapores, nuper excogi tatam, famem longae advectionis a Brundisio compascere in Lucrino.
Qois FBIHUS U U Q D O M M
PISCIUM VIVA1IA
in s t it u e r it .
LXXX. Eadem aetate prior Licinius Muraena, reliquorum piseium vivaria invenit: cujus deinde exemplum nobilitas secuta est, Philippi, Hortensii : Lucullus exciso etiam 'monte juxta Neapolim majore impendio, qoam villam exae dificaverat, euripum et maria admisit : qua de causa Magnus Pompejus Xerxen togatum eum appellabat. Quadragies H-S pisoinae a defuncto illo veniere pisces.
Quis « urabhabum
v iv a b ia ib s t h ^ b b it .
LXXXI. 55. Muraenarum vivarium privatim excogitavit C. Hirrins ante alios, qui cenis triumphalibus Caesaris dictatoris, sex millia nu mero muraenarum mutuo appendit Nam per mutare quidem pretio noluit, aliave merce. Hujus
Napoli : quivi nelle peschiere di Cesare fu gittato da Pollione Vedio nn pesce, il quale scrive Anneo Seneca che visse sessanta anni ; e due altri, eguali a quello e della medesima sorte, i quali erano ancora vivi. Questa menzione delle peschie re ci awertisce a dover dire alcuna altra cosa di questa materia, prima che noi ci partiamo dagli animali di acqua. Chi
usò
paino i
v iv a i d b l l b o s t r ic h e .
LXX 1X. 54. Segrio Orata fu il primo, che al tempo di Lucio Crasso oratore innanzi alla guer ra Marsica trovasse i vivai dell* ostriche a Baia, e non fe' ciò per conto di gola, ma per avarizia ; perchè egli cavava gran guadagno di questa sua industria, siccome quegli che fu il primo a tro vare i bagni sospesi in alto ; e cosi edificava le ville con simili stanze, e poi le vendeva. Questi fu il primo, che giudicò d1ottimo sapore le ostriche del lago Lucrino, perchè de* pesd son tenuti migliori in un luogo, che in un altro; siccome sono i lucci nel Tevere fra i due ponti, il rombo a Ravenna, le murene in Sicilia, P elo pe a Rodi ; e altre sorti simili, per non dare mi nutamente giudizio della cucina. Non ci serviva no ancora le riviere di Brettagna, quando Orata dava riputazione alle ostriche del lago Lucrino : dipoi ci è parato cosa degna di mandare per le ostriche fino a Brindisi,che è ai confini dell’Italia ; e perchè non fosse lite fra due sapori, nuova· mente si è pensato di coodurle affamale da Brin disi, e pascerle nel lago Lucrino. C h i p b im o o r d ir ò v iv a i p b g m a l t b i p e s c i .
- LXXX. In questo medesimo tempo Licinio Murena trovò i vivai degli altri pesci; il cui esempio è stato poi seguito dai Filippi, dagli O r tensi!, e dagli altri nobili. Lucullo anch’egli tagliò on monte appresso a Napoli, con maggiore spesa, che non gli era costa la villa, per farvi entrare nn canale di mare. Per la qnal cagione Pompeo Magno lo chiamava Serse togato. Dopo la morte di lui furono venduti i pesci di quel vivaio quat tro milioni di sesterni. C h i pbc b i v iv a i d b l l b h u r b h b .
LXXXI. 55. Gaio Irrio fo il primo, che trovò i vivai delle morene, il quale nelle cene trionfali di Cesare dittatore prestò sei mila murene, per chè non le volle vendere, nè cambiare ad altra mercanzia. Furono vendati i vivai di costei
HISTORIARUM MUNDI LIB. IX.
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villam intra quam modicam quadragies piecim e vendiderunt. Invasit deinda singuloram piseinm amor. Aptad Battio· io parte Bajana piscinam habail Hortensias orator, in qua muraenam adeo diiexit, ol exanimatam flesse ere· datar. In eadem villa Antonia Drusi maraenae, qaam diligebat, inaures addidit : cajas propter fenum nonnulli Bauloa vivere concupiverant.
Quis ramos cocxuARim
v iv a m i ibstiturrit.
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In nna piccolissima villa quattro milioni di sester tii. Venne poi messo affezione e amore a eiascun pesce. Aveva Ortensio oratore a Banli nel paese di Baia un vivaio, dove egli voleva tanto bene a nna murena, che quando ella mor) fu tenuto che la piangesse. Nella medesima villa, Antonia moglie di Druso mise i pendenti agli orecchi a nna murena, cui ella volea tutto il suo bene ; tanto che già mosse molte persone a venir a Bauli, solo per vederla.
Cnt FU
IL· PRIMO CHB OKDMASS& 1 VIVAI D U U CHIOCCIOLE.
LXXXII. 56. Cochlearum vivaria instituit Folvins Hirpinus in Tarquiniensi, panilo ante ci vile bellum, quod cum Pompejo Magno gestum est, distinctis quidem generibus earum, separatim at essent albae, quae in Reatino agro nascuntur : separatim Illyricae, quibus magnitudo praecipua : Africanae, quibus fecunditas : Solitanae, quibus nobilitas. Quin et saginam earum commentus est, sapa et ferre, aliisque geoeribus, ut cochleae quo que altiles ganeam implerent : cujus artis gloria in eam magnitudinem perducta sit, ut octoginta quadrantes caperent singularum calices. Auctor est M. Varro.
P isa · tirami. LXXXIli. 57. Pifdum genera etiamnnm a Theophrasto mira produntur: circa Babylonis rigua decedentibus fluviis, in cavernis aquas ha bentibus remanere. Quosdam inde exire ad pabola pinnulis gradientes, crebro caudae motu, contraqne venantes refugere in snas cavernas, et in iis adversos stare : capita eorum esse ranae ma rinae similia, reliquas partes gobionum, bran chias ut ceteris piscibus. Circa Heracleam, et Cromnam, et Lycum, et multifariam in Ponto anum geous esse, quod extremas fluminum aquas sectetur, cavernasque faciat sibi in terra, atque in his vivai, etiam reciprocis amnibus siccato li tore. Effodi ergo : motu demum corporum vivere eos adprobant. Circa Heracleam eamdem, eodemqne Lyco amne decedente, ovis relictis, in limo generari pisces, qui ad pabula petenda palpitent exiguis branchiis, quo fieri non indigos humoris: propter quod et anguillas diatius vivere exemplas aquis. Ova autem in sicco maturari, nt testudi num. Eadem in Ponti regione adprehendi glacie piscium maxime gobiones, non nisi patinarum calore vitalem motu fetente*. Est in his quidem,
LXXXII. 56. Fulvio Irpino fn quel che or dinò i vivai delle chiocciole nel territorio deTarquinii, pooo innanzi alla guerra civile, che fa fatta contra Pompeo Magno ; e P aveva distinte secondo le specie, sicché in un luogo eran le bianche, che nasoono nel territorio di Rieti; altrove quelle di Schiavonia, le quali son molto grandi ; in un' altro le Africane, che soo molto feconde ; altrove le Solitane, le quali sono più nobili. Inventò inoltre la pastura per ingrassarle, mescolando la sapa col farro, e eon altre cose, acciocché le chiocciole ancora accrescessero vi vande alla gola : e la gloria di questa arte crebbe tanto, che nn calice di chioccinole, come scrìve Marco Varrone, pigliava ottanta quadranti. P esci
t ir r b b i.
LXXX 111. 57. Teofrasto mette ancora diverse e maravigliose sorti di pesci, e racconta come ne* paesi di Babilonia, i quali sono talora rico perti dal fiume, rimangono Tacque nelle caverne; e di quivi escono a pascere certi pesci, i quali adoperano le penne in cambio de1piedi, movendo spesso la coda ; e quando veggono cbe alccno gli seguita, rifuggono nelle caverne, e quivi stanno rivolti alla bocca : il capo loro somiglia alla rana marina, e Γ altre parti a' gobii, e le branche agli altri pesci. Circa Eraclea e Cromna e il Lieo, e in molti luoghi in Ponto è una sorte di pesci, che segue P ultima acqua de’ fiumi, e si fa caverne in lerra, e in esse vive, ancor che rimanga secco il lido, quando il mare torna addietro. Cavangli adunque, e per lo moto del corpo si conosce che son vivi. Intorno alla medesima Eraclea, quando il fiume Lieo vien scemando, delle uova lasciate nella belletta nascono i pesci, i quali con le lor piccole branche camminano a mangiare, il che fanno per non aver bisogno d'amore; e per ciò dicono che le anguille ancora vivono lunga mente fuor dell* aoqua. Le uova poi si maturano
G. PLINII SECUNDI
9»
tametsi mirabilis, tamen aliqua ratio. Idem tradit in Paphlagonia effodi pisces gratissimos cibis, terrenos, altis scrobibus, in his locis ubi nullae restagnent aqaae : miralusque et ipie gigni sine coito, humoris quidem vim aliam inesse, qaam puteis, arbitrator, cea vero in nallis reperiantar pisces. Qoidqaid est boe, certe minas admirabi lem talparom facit vitam subterranei animalia, nisi forte vermium terrenorum et his piscibas natara inest.
nel seoco, come quelle delle testuggini. Nd me desimo paese di Ponto si pigliano i pesci nel ghiaccio, massimamente i gobii, i quali non mo strano il lor moto vitale, se non per lo caldo delle padelle, quando ai friggono. 11 che, benché sia cosa mirabile, pure non è senza ragione. Scri ve il medesimo, che io Paflagonia ή cavano di profonde buche pesci terreni di gratissimo sapa»> re nei luoghi dove non istagoano acque ; e ma ravigliatosi anch1egli, come nascano senza coi to, porta opinione che siavi in qoelle buche uu certo amore d’ altra virtù ehe non è 1’ aoqua dei pozzi ; come se in veruno di questi non si ritro vassero pesci. Comonque sia, questo reode cer tamente meno meravigliosa la vita delle talpe, animale che vive sotterra, qaando per avventar» non avessero questi pesci la nalura stessa che i vermi di sotterra. Da’ t o p i
Da vuanvs nr N il o . LXXXIV. 58. Veram omnibus his fidem Nili inundatio, adfert, omnia excedente miraculo : quippe detegente eo musculi reperiuntnr inchoato opere genitalis aquae terraeque, jam parte corporis viventes, novissima effigie etiamnum terrena.
Q
u o m o d o c a p i a s t c * a b t b i a s p is c b s .
LXXXV. 59. Nec de anthia pisce sileri conve nit, qoae plerosque adverto credidisse. Chelido· nias insolas diximus Asiae, scopulosi maris, ante promontorium sitas: ibi freqoens hic piscis et ce leriter capitor uno genere. Parvo navigio, et concolori veste, eademqoe hora per aliqaot dies continuos piscator enavigat certo spatio, eicamque projicit. Quidquid ex eo mittitur, sospecta fraus praedae est : cavensque quod timuit, quum id saepe factum est, unus aliquando consoetudine invitatas anthias, escam adpelit. Notatur hic intentioAe diligenti, ut auctor spei, conciliatorque capturae. Neque enim est difficile, quum per ali· qoot dies solas accedere audeat. Tandem et ali* quos invenit, paullatimqoe comltatior; postremo greges addacit innumeros, jam vetustissimis quibosque adsoetis piscatorem agnoscere, et e manu cibam rapere. Tam ille paullam altra digitos in esca jaculatus hamum, singulos involat vertas qaam capit, ab umbra navis brevi conatu rapiens, ita ne ceteri sentiant, alio intus excipiente cento nibus raptum, ne palpitatio olla aut sonos ceteros abigat. Conciliatorem nosse ad hoc prodest, ne capiator, fugitaro in reliquum grege. Ferunt discordem socium duci insidiatam pulchre noto,
d b l Nilo .
LXXXIV. 58. Ma a tutte qaeste cose aggiu sta fede la inondazione del Nilo, la qoale pasta tolte le maraviglie. Perciocché qaando egli rece de dalla terra che inondò, si trovano alconi to polini, che cominciata già l’ opera dell’ acqoa e della terra genitale, in una parte del corpo vivo no, mentre l'ultima ha ancora forma terrena. Cova
n
p ig l i il
pasca
a h t ia .
LXXXV. 5g. Non è da tacere anco del pesce anlia, qoel eh’ io trovo che molti ne hanno cre dalo. Le Chelidonie sono isole dell’ Asia, d’ an mare pieno di scogli, poste ionanzi a uu promon torio : qoivi i assai di qaesto pesce, e facilmente si piglia, ed i tutto d’ uua sorte. 11 pescatore per alcuni di continua sempre di venire a ona medesima ora, con ana barchetta istessa, e tut tavia eo’ medesimi panni; e naviga foora per certo spazio, e getta una medesima esca, perchè qualonque cosa e’ matasse darebbe sospetto al pesce. Quando dunque egli ha fatto ciò piè volte, uoo di qoesti pesci antie, assicorato per l’ usanza, va a pigliar l’ esca. Il pescatore lo con sidera diligentemente per poterlo poi conoscere, perchè qoesto ha da essere qael che condaca gli altri. E non è molto difficile a conoscerlo, venen do per alquanti di solo. Egli comincia poi a me narne degli altri, e a poco a poco s’accompagna ; e finalmente ne meoa infioiti branchi, e già questi, che hanno continuato a venir piò giorni conoscono il pescatore, e pigliano l’ esca di sua maoo. Allora egli destramente ascondendo l’amo nell* esca, nn per volta al gentilmente ne piglia, anzi ne fora, che gli altri non se n’ accorgono.
9(3
HISTORIARUM MtJNDI LIB. IX.
cepweqse malefica voluntate: agnitam in ma cello a «odo, cajas iajaria erat : et damni formalam editam, condemoatamqae addidit Macianas aestimata lite decem libri*. Iidem anthiae, qaam .uaam hamo teneri fiderint, «pini·, qoa« io dorso •erratas habent, lineam secare tradaotar : eo qai tene lar, estendente, at praecidi po««it. At inter s»rgos, ipse qai teaetar, ad «copulo* lineam terit.
Da
s t e l l is
3 ,4
Porgeli di nascoso al compagno ; ed egli K mette in barca fra certe lenzuola, aoeioochè nel guizzare non facciano romore, · spaventino gli altri. Ma sopra tatto gli giova conoscer la guida, per non pigliarlo ; perchè egli se ne va in altri branchi, e dipoi similmente gli conduce. Dioono esser gii avvenuto, che venendo discordia tra pescatori, il compagno di quello che gli alletta, per fargli ingiuria e danno prese la guida ; ma avendola colui conosciuta nel mercato, chiamò in giudìzio il compagno, e accasollo d’ ingiuria fatta; ond'egli fu condannato. Maziano v’ aggiugne, che quella lite fu stimata dieci libbre. Questi pesci antie quando veggooo an di loro preso all* amo, con la spina, la quale hanno sulla schiena a oso di sega, tagliaoo il filo ; e quello eh’ è preso lo distende, acciocché si possa tagliare. Ma il sargo da sè medesimo s’ aiata, perciocché qoando egli è rimaso all' amo, frega tanto lo spago a una pietra, che lo rompe.
MAaiau.
D b llb stb llb n a m .
LXXXVI. 60. Praeter haec claro· sapientia •actores video mirari «tellam in mari : ea figara est : parva admodam caro intus, extra duriore callo. Huic tam igneam fervorem esse tradunt, ut omnia in mari contacta adarat, omnem cibam •tatim peragat. Quibus «it hoc cognilum experi· mentis, haud beile dixerim : multo memorabilia* dixerim id, cajas experiendi qaotidie occasio est.
LXXXVI. 60. Oltra di questo io veggo autori chiari per sapienza ammirar la steli·, oh* è in mare. Questa è un piccolo pesce, che di dentro è carne, e di fuori ha il callo molto doro. Dicooo che questo pesce è di sì focosa natura, ch'egli arde latte le cose che tocca in mare, e sabito smaltisce ogoi cibo. Io non saprei gii dire, come ciò si sia potuto sapere, ma dirò oosa più meravigliosa, e di coi si paò vedere ogni dì la praova.
D b d a c t t lo b u m w u c d u s .
D b* d a t t i l i , b l o b o m a & a v io u b .
LXXXVU. 61. Concharum e genere sunt da· ctyli ab humanoram angulum similitudine ap pellali. Hi* natura in tenebris remoto lamine, •lio fulgere claro, et quanto magis humorem ha· beant, lucere in ore mandentium, lucere in mani bus, atque eliam in solo ae veste, decidentibus guttis : ut procul dubio pateat, sucoi illam natu· ram esse, qaam miraremur etiam in corpore.
LXXXVII. 61 . 1 dattili sooo della specie delle conche, cosi chiamati dalla somiglianza, che haono con l ' unghie amane. La natura di qaesti è di rilucere al buio, qoando non v' è lame, e secondo che hanno più amore, rilacoao io bocca di coloro, che gli maogiano, rilucono io mano, e così anco in terra, e nelle vesti, e nelle gocciole che csggiono, in modo che senza alcun debbio si conosce tale essere la nator· di qoel sago, quale anoora ammiriamo nel corpo.
D i nrancmis i s t e · s b a q u a t iliu m , r r a m ic itiis .
Dbllb
a m ic izib b
miMicnu c h b u n o 1 Μβςι « b a lo b o .
LXXXV 1II. 62. Sunt et inimidtiarnm atque concordiae miracola. Mugil et lupas mutuo odio flagrant: conger et muraena, caudas inter se praerodentes. Polypum in tantum locusta pavet, ut si juxta vidit, omnino moriatur: locustam conger : rursos polypum congri lacerant. Nigi-
LX X X Vili. 6a. Sond anoora i miracoli dlnimidzia, e di coneordia fra i pesci. Il muggine e il lupo son nimici, il congro e la morena, i quali si rodono la coda fra loro. La locusta ha tanta paura del polpo, che s 'ella pur se lo vedo appresso, sabito muore. 1 congri han paura della
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dìa· aaetor est, praerodere caudam mugili lopam, eosdemqae statis mensibat concordes esse. Omaes aatem vivere, qaibus caadae sic ampu tentur. At e contrario amicitiae exempla suol (praeter illos da quorum diximus societate) ba laena et musculus : quando praegravi supercilio rum pondere obrutis ejus oculis, infestaotia ma gnitudinem vada praenatans demonstrat, oculorumqae vice faogitur. Bine volacram natane dicenlar.
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loeasta, e per opposito uccidono il polpo. Scrìve Nigidio, die il lupo rode la coda del muggine, e eh* eglioo in certi mesi dell1 aono sono insieme d'accordo; e che tatti i pesd vivono, ancora che fra loro s'abbiano mozza la coda. Per lo contrario d sono esempii d’amicizia, oltra qaegli, della coi compagnia abbiam ragionato, tra la balena e il topo marino, perciocché il topo guida la balena, e le insegna a schifar le secche, qaando talora le dglia aggravate ricaoprono P occhio, siech* dia non vede lame. Ora ragioneremo ddla natara degli uccelli.
C. PLINII SECUNDI
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N A T O R A E
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Db sT*cmocAMBz.o.
I. i. Dequitur nalura aviam, qnarom grandisaimi el paene bestiaram generis, struthiocameli A frici vel Aethiopici, altitudinem equitis iosiden* tis equo excedant, celeritatem vincant: ad hoc demam datis pennis, at carrentem adjavent: cetero non sont volucres, nec a terra tolluntor. Ungolae iis cervinis similes, quibus dimicant, bisulcae, et comprehendendis lapidibus utiles, qaos in faga contra seqnentes ingerant pedibus. Concoqueodi sioe delectu devorata mira natura : aed non minus stoliditas, in tanta reliqui corporis altitudine, qaam colla frutice occultaverunt, Ute re sese existimantium. Praemia ex iis ova, pro pter amplitudinem, pro quibusdam habita vasis, «onosque bellicos, el galeas adornantes pennae.
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PHOBBICB.
U. a. Aethiopes atque Indi, discolores maxime et inenarrabiles ierunt aves, et ante omnes nobi lem Arabia phoenicem, haud scio an fabulose, unam in toto orbe, nec visam magnopere. Aqui lae narratur magnitudine, auri folgore circa col la, cetero purpurea** caeruleam roseis caudam
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struzzo .
1. i. Seguita la natura degli uccelli, de*quali i grandissimi,e quasi della specie de’bruti, souo git struzzi, i quali nascono in Africa a in Etiopia, e sono pià alti che un uomo a cavallo, e più veloci ancora. Hanno le penne dalla natura non per volare, ma per aiotarli a correre ; per altro non sono uccelli, n i s’ alzano da terra. Hanno le unghie simili a quelle di cerva, con le quali combattono, ed avendole fesse, pigliano i sassi con ette, e fuggendo li tcagliano a chi corre lor dietro. Smaltitcono maravigliosamente ciò che mangiano, ma del pari sciocchi, perchè quando hanno ascoso il collo in qualche arbusto, credono di non esser veduti. Le uova di questi animali, per esser molto grandi, s 'adoperano a far certi vasi» e delle penne loro sì fanno pennacchi per mettere sogli elmi. D
e l l a febtcb.
II. a. In Etiopia e in India sono uccelli di varii colori, e incredibili : fra gli altri in Arabia è la fenice, la quale, non so se favolosamente, dicesi eh* è sola in tutto il mondo, e che di rado si vede. Dicono eh' è grande quante Γ aquila, che intorno al «olio è di color d* oro, il resto è por-
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pennia distinguentibus, cristi· fauces, capatque plumeo «pice honeslante. Primos atque diligentissimus togatbrum de eo prodidit Manilius, se· nator ille maximis nobilis doctrinis doclore nullo: neminem extitisse qui viderit vescentem : sacrum in Arabia aoli esse, vivere anni· quingentis sexa ginta, senescentem casiae thurisque surculis con struere nidam, replere odoribus, et superemori. Ex oscibus deinde et medallis ejus nasci primo ceu vermiculum : inde fieri pnllnm : prindpioque justa fonerà priori reddere, el totum deferre nidnm prope Panchaiam in solis urbem, et in ara ibi deponere. Cum hujus alitis vita magni conversionem anni fieri prodidit idem Manilius, iteramque significationes tempestalum et sideram easdem reverti. Hoc autem circa me ridiem indpere, quo die signum arietis sol intra verit. Et fuisse ejus conversionis annum prodenle se, P. Licinio, Cn. Cornelio coss. ducentesimum quintum decimum. Cornelius Valerianus phoeni cem devolavisse in Aegyptum tradidit, Q. Plau tio, Sex. Papinio coss. Allatus est et in Orbem, Clandii principis censura, anno Urbis occc, et in comitio propositos, qood actis testatum est, sed quem falsum esse nemo dubitaret.
Aquilaxcm
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porino ; e la coda, la qual è oernles, è distiate con penne di color di rose. La feccia e il capo ha ornato di cresta. 11 primo Roraaoo che dili gentemente scrivesse di questo uccello, fa Mani· lio senatore, quel che senza alcun maestro im parò molte dottrine. Dice costai, che nemoao vide mai la fenice mangiare, e che in Arabia è consacrata al sole, e ch'ella vive dnqneceoto ses santa anni, e che quando invecchia, si fa on nido di sprocchetli di cassia e d 'incenso, e riempielo d'odori, e poi vi maor sopra. Dipoi dell'ossa e delle midolle sne nasce prima come nn vermelto, che poscia si fa uccello. E prima fa l 'esequie alla g ii morta, e porta tutto il nido presso « Pancata nella ciltà del Sole, e quivi lo mette sull' altare. Dice Manilio ancora, che con la vita di questo uccello si fa la rivoluzione dell' anno grande, e che ritornano da capo le medesime significazioni de* tempi, e delle stelle ; e che questo comincia intorno al mezzodì, nel giorno che il sole entra nd segno delPAriete. Egli mo stra che Tanno di questa rivoluzione fu il ducen tesimo decimoqninto, essendo consoli Publio Licinio e Gneo Cornelio. Scrive Cornelio Valeria no, che la fenice volò in Egitto, essendo oonaoli Quinto Plauzio e Sesto Papinio. Fu portata an co in Roma nella censura di Claudio impera dore, Γ anno ottocento dell* edificazione della città, e posta nel comizio, come fanno fede gli alti pubblici t ma niuoo è ohe dubiti dò esaer Calao. SPBCU DI AQOILB.
III. 3. Ex his qua· novimus, aquilae maximus III. 3. Di tutti gli uccelli, dd quali noi ab honos, maxima et vis. Sex earum genera : mela- biamo cognizione, grande è l'onore in che si ten naetos a Graecis diota, eademque Valeria, nimia gono le aquile, e grandissima la forza loro. S d magnitudine, viribus praecipua, colore nigricans : ne sono le spede, una da'Gred detta melaneto, sola aquilarum fetus suos alit: ceterae, ut dicemus, che anco si chiama Valeria, mollo piccola, ma di fugant: sola sine clangore, sine murmuralione. gran forza, e di color nero : sola essa fra Paqnile Conversatur autem in montibus. Secundi generis alleva i suoi figlinoli ; I* altre, come diremo, gH pygargus, in oppidi· mansitat et in campis, albi scacciano : sola non fa romore, nè strepito alcuno. cante cauda. Terlii morphnos, quam Homerus et Questa sta ne'monti. La seoonda spede è il pigarpercaon vocat, aliqui et clangam,et anatariam, se go, che abita nelle terre e aei piani, ed ha la eoda cunda magnitudineet vi: huicque vita circa lacus. bianca. La terza sorte si chiama morfho, die da PhemonoS Apollinis dicta filia,dentes ei esse pro Omero è detta anche percno : alcnni la doman didit, mutae alias, carentique lingua : eamdem a- dano e clanga e *uataria, di seconda grandezza quilarum nigerrimam, prominenliore cauda.Cou- e forza; e questa vive iutorno a'iaghi. Femonoe, aentit et Boens. Ingenium est ei, testudines raptas che fu tenuta figliudla d* A polline, scrìsse che e sublimi jadendo : qnae sors interemit poStam ella ha i denti, e che è mutula e senxa lin Aeschylum, praedictam fatis (ut ferunt) ejus diei gua, e che è più nera che 1* altre aquile, e ha ruinam secura coeli fide caventem. Quarti gene piò lunga la coda. Questo medesimo afferma Beo. Questa ha uno ingegno di pigliar le testug ris est percnopterus: eadem oripelargus, vultu gini, e portarle su in aria, poi farle cadere, e cosi rina specie, alis minimis, reliqua magnitudine anleeelleus, sed imbellis et degener, ut quam romperle : di questo modo ebbe morte Eeehilo verberei corvus. Eadem jejunae semper aviditatis, poeta, benché quel giorno egli a*avesae cara di
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et querula· marmorationis. Sola aquilarum esa nima fert corpora: cetera·, quum occidere, oon· sidant. Haec facit, ut quintam fenus yriivm τοcelar, velut verum, solumque incorruptae ori ginis, medis magnitudine, oolore subrutilo, rarum conspectu. Superest haliaeetos, clarissima oculo rum acie, librans ex alto sese : visoqoe in mari pisce, praeceps in eum ruens, et discussis pectore aquis rapiens. Illa, quam tertiam fecimus, circa stagna aquaticas aves adpetit mergentes se subin do, donec sopitas lassatasque rapiat Spectanda dimicatio, ave ad perfugia litorum tendente, asaxime si oondenea arundo sit : aquila inde ictu abigente alae, et quum adpetit, in lacus cadente : nmbramque suam nanti sub aqua a litore esten dente : rusus ave in diverso, et ubi minime se credat exspectari, emergente. Haec causa gregatim avibus natandi, quia plures simal non infestan tur, respersu pennarum bostem obcaecantes. Saepe et aquilae ipsae non tolerantes poudus adprebensum, una merguntur. Haliaeetos tantum implumes etiamnum pullos suos percutiens, su binde cogit adversos intueri solis radios, et si con niventem bumectantemqae animadvertit, praeci pitat e nido, velut adnlterinnm atque degenerem: illum, cujus acies firma contra stetit, educat. Ha liaeeti suum genus non habent, sed ex diverso aquilarum coitu nascnnlur. Id quidem, quod ex iis natum est, in ossifragis genus habet, e quibas vultures progenerantur minores : et ex iis magni, q ai omnino non geoerant Quidam adjiciunt ge nas aquilae, quam barbatam vocant: Tosci vero ossifragam.
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IV .Tribas primis,et qainto equilarum generi inaedificator nido lapis aetiles, quem aliqui dixere gangitem : ad multa remedia utilis, nihil igne deperdens. Est aotem lapis iste praegnans, intus, qum quatias, alio velai in utero sonante. Sed vis illa medica non nisi nido direptis. Nidificant in petris et arboribus: pariunt etova terna: exdudant pullos binos; visi sunl et tres aliquando.
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evitare quello inforlanio, predettogli, siccome di cono, dagl' indovini per sicuro indiiio del cielo. La quarta specie è il percnottero, nominalo anco oripelargo, che ha la forma di avoltoio, con ali picoole, ma che nella grandezza del corpo l'avanza : però è codardo e vile, siccome qnei che si lascia battere dal oorbo. È sempre ingordo, come se fosse digiuno, e tuttavia urla e stride : esso solo fra l ' aquile porta i corpi morti ; l’ altre oome hanno ammazzato, si fermano. Qaesta & che ls quinta specie si chiami gnesio, come v e n e sola di incorrotta origine: è di mezzana grandez za, di color rosso, e rade volte si vede. Rimane quella che si chiama alieeto, di ^acutissima vista. Questa pendendo in aere, e veduto il pesce in mare, precipitosamente vi cala, e fendendo col petto 1* acqua lo piglia. Quella, ehe noi femmo la terza specie, intorno agli stagni segue gli uc celli di acqua che continuamente si tuffano, in fino a che gli piglia per istraechi. Ed è bellissima soflè, degna di esser vista, perciocché l ' uccello si sforza di rifuggire alla riva, massimamente se vi son canoe folte, e Γ aquila col battere dell* ali lo risospigne di là ; e qaando lo uccello ritorna nel lago, l'aquila gli mostra Γ ombra soa dalla riva sotto acqua, e lo uccello di nuovo vien faori in luoghi diversi, e dove non crede essere aspet tato. Questa è la cagione, che gli uccelli nuotano in frotta, perchè qaando sou molti insieme non son travagliali, perciocché spargendo Tacque con le penne, tolgono la vista al nimico. E spesso ancora 1* aquila oon potendo sostenere il peso della preda si tuffa oon essa. Lo alieeto percotendo i figliuoli da principio innanzi che mettano le penne, gli costringe a guardare nei raggi del sole; e se alcuno abbaglia e umetta gli occhi, lo getta fuor del nido come non suo figliuolo, e quello che vi può tener gli occhi fermi, l ' allieva per suo. Gli alieeU non hanno propria specie, ma na scono del coito di diverse aquile. Quello che di lor nasce è della generazione degli ossifragi, dai qoali nascono gli avolloi minori ; e di questi poi naacooo i grandi, i quali non ingenerano altri menti. Alcuni vi aggiungono ona specie di aquila, la quale chiamano barbala, e i Toscani ossifraga. N atvba
lobo.
IV. Le prime tre sorti loro e la quinta fanno il nido con una pietra, ehe si chiama etite, la quale fu da alcuni detta gangite : è utile a molti rimedii, e non perde nulla nel fnooo. Questa pietra è pregna, e quando tu la diguazzi, pare che ne abbia in corpo un' altra. Ma ella non ha quella virtù medicinale, se non è tolta dd nido, Fanno il nido nelle pietre e negli alberi : parto-
G. PLINII SECONDI Alleram expellant taedio nutriendi. Qaippe eo tempore ipsis cibam negavit natura, prospiciens pe omnium ferarum fetus raperentar. Ungaes quoque earum io vertuntur diebus his, albescunt inedia penoae, ut merito partas saos oderint. Sed ejectos ab his cognatum genus ossifragi excipiant, et educant cam suis. Verum adultos quoque per sequitur parens, et longe fugat, aemulos scilicet rapinae. Et alioqui unum par aquilaram magno ad populandum tractu, ut satietur, indiget. De terminant ergo spatia, nec in proximo praedan tur. Rapta non protinus ferunt, sed primo depo nunt : expertaeque pondus, tunc demum abeunt. Oppetunt non senio, nec aegritudine, sed fame, in tantum superiore adcrescente rostro, ut adun citas aperiri non queat, A meridiano autem tem pore operantur, et volant: prioribus horis diei, donec impleantur hominum conventu fora, igna vae sedent. Aquilarum pennae mixtas reliquarum alitura pennas devorant. Negant uraquam solam hanc alitem fulmine exanimatam : ideo armige ram Jovis consuetudo judicavit.
QOAKDO LBGIOaUM SIGHA B3IB COEPSEINT.
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riscono tre nova, onde nascono due, e talora anco tre. Talvolta ne cacciano quel terso per tedio di allevarlo, perchè in quel tempo la natara nega loro il cibo ; e cosi ha cara che oon rapissero i figliuoli di tutte le fiere. E similmente in quei giorni si rovesciano loro gli unghioni, e le penne s'imbiancano per la fame, tanto che meritamente hanno a noia fino ai lor figliuoli. Ma scacciati da queste, gli ossifragi che sono della loro spede, gli raccolgono e allevaoo coi lor figliuoli. E poi che son cresciuti, la madre gli perseguita ancora, e di loro la cacda, come concorrenti ddla pro da. E certo solo un paio di aquile ha bisogao di an grandissimo paese da predare, per cavarsi la fame. Dividono adanqae gli spaxii, per non pre dar Pana appresso Γ altra. Nè portano sabito via le oose che hanno rapite, ma prima le poogon già, e come hanno provato il peso, allora se ne vanno. Muoiono non di vecehiezxa, uè di malattia, ma di fame, perciocché cresce talmente loro il becco di sopra, che non lo possono aprire. Operano e volano nel mezzogiorno : ndle prime ore del di, infino a che i mercati e le piazze si empiono di uomini, stanno oziose. Divorano le penne dell'aquila, se elle si mescolano con qudle degli altri uccelli. Dicono che questo solo fra gli altri uccelli mai non fu morto dalla saetta, e per ciò fu detto, che ella porta Γ armi di Giove. Q u a b d o c o m ih c u r o h o o i ì u i co m e d e lle
n s io n
LBaioai.
V. 4· Romanis eam legionibus C. Mariae in V. 4· Gaio Mano nel suo secondo consolalo secundo consulatu suo proprie dicavit. Erat et dedicò propriamente l'aquila alle legioni Roma antea prima cum quatuor aliis: lupi, minolauri, ne. Era ancora innanzi la prima insegna, però eoa equi, apriqae singulos ordines anteibant. Paucis quattro altre, del lupo, del minotauro, del cavallo ante annis sola in aciem portari coepta erat : re e del dnghiale, e ciascuna di queste andava in liqua in castris relinquebantur. Marius in totam nanzi alla sua schiera ; ma non son molti anni, ea abdicavit. Ex eo notatam, non fere legioni· eh' ella si cominciò a portar sola, l ' altre inaegne araqyam hiberna esse castra, abi aquilaram non lasciandosi in campo. Mario le levò via adatto. «it jugam. Da quel tempo in qua s 'è notato, non aver quasi mai vernato legioni in campo, dove non sia an paio d 'aquile. Primo et secundo generi non minorata tan La prima e la seconda specie non solamente tum quadrupedum rapina, sed etiam cum cervis fanno preda degli animali piccoli, ma combat to proelia. Mullum pulverem volutata collectum, no ancora co' cervi. Questo uccello avendo solle insidens cornibus excutit in oculos, pennis ora vata molta polvere con l 'ali, mettendosegli fra verberans, donec praecipitet in rupes. Nec unus le corna, gliele scuote negli occhi, e con le penne hostis illi salis est: acrior est cum dracoae pu gli percuote la faccia, io fino a tanto che lo rnina gna, mulloque magis anceps, eliamsi in aere. in qualche balza. Nè gli basta an nimico solo, Ova hic conseciatur aquilae aviditate malefica : che molto più terribil battaglia fa col dragone, e at illa ob hoc rapit ubicumque visum. Ille mul molto più dubbiosa aucora, s* è in aria. La serpe tiplici nexu alas ligat, ila se implicans, ut simul seguita l ' oova dell'aquila con rabbiosa ingordi decidat. gia, ma Taqaila la rapisce perciò dovunque la vede. Ella eoo molti nodi le avviluppa Pali intri candosi in modo, che amendae vengono a un trailo a cadere.
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HISTORIARUM MUNDI L1B. X. aquila ,
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Di r a ’ AQpiLA G B · OITTOSSt HBL &OGO DOVE ARDEVA VITA FANCIULLA.
VI. 5. Esi percelebris «pad Seston orbem VI. 5. Molto famosa è la gloria di on* aquila aquilae glorie : educatam e virgine retulisse gra appresso alla cittì di Sesto. Questa fo allevata tiam, aves primo, mox deinde venatos adgeda una faudulla, e gliene rese poi merito, perchè rentem, Defnoola postremo, in rogom accensum prima le portava degli uccelli eh' ella pigliava, ejus injecisse sese, et simol conflagrasse. Qoam dipoi delle sdvaggine. Finalmente essendo morta ob causam incolae, qood vocant Heroam in eo la fandulla, si gittò nel fuoco e abbrnciò insie loco fecere, appellatum Jovis et virginis, quoniam me con essolei. Per la qual cosa gli uomioi del illi deo ales adscribitur. paese edificarono in quel luogo un tempietto in onore dì Giove e della fanciulla, perchè quel lo uccello è consaorato a Giove. D* VOLTCH*.
D u i 1a v o l t o i o .
VII, 6. Vultorum praevalent nigri. Nidos VII. 6. Degli avo! toi i neri sono i migliori. nemo adtigit: ideo etiam fuere, qoi potarent Nessuno truova mal i lor nidi : e per questo an cora sono stali alcuni, i quali, benché falsamente, illos ex adverso orbe advolare, falso: nidificant enim in excelsissimis ropibos. Fetos qoidem saepe hanno creduto che vengono dall’ altro mondo. cernontor, fere bini. Umbricius aruspicato in Essi per verità fanno nidi in altissime ripe. Uranostro aevo peritissimos, parere tradit ova trede*· brido, il piA eccellente indovino dell’ eli nostra, dm : uno ex iis relique ova nidumque lustrare, dice ehe fanno tredid uova, e che con uno d’essi mox abjicere. Tridoo autem ante advolare eos, purgano l’ altre uova e il nido, e poi lo gellan obi cadavera fotora sunt. via ; e che doe o tre dì innanzi gli avoltoi votano dove hanno ad esser i corpi morti.
Saiqvaui a v is , n immssvLos.
Dst. s a b o u a u
■d b l l ’ n m c s s v L o .
VIII. 7. Sanqualem avem,atque immussolom, V ili. 7. L’ uccello sanguale e lo immussulo è augures Romani in magna quaestione habent. avuto dagli auguri Romani in gran dubbio. Al· Immossolam aliqui vulturis pullum arbitrantur cuoi tengono che l ' immussulo sia il figliuol esse, et sanqualera ossifragae. Massurius Sanqua piccolo dell* avoltoio, e il sanguale dell* ossifrago. lem ossifragum esse dicit, immnssulum autem Massurio dice, ehe il sanguale è 1*ossifrago, e che Γ immussulo è il figliuol dell* aquila, prima pullum aquilae, priusquam albicet cauda. Quidam post Modum angorem visos non esse Romae ch’ egli cominci a imbiancar la coda. Alcuni di· confirmavere : ego (qood veri similius) in desidia cono, che dopo Muzio augure qoesti uccelli non furono mai veduti a Roma ; ma io credo che in rerum omnium arbitror agnitos. tanta negligenzie di tutte le cose, qoanto è oggi, non sieno conosciuti ; e qoesto ha pià dd vero. A c c ip it » b * : BUTEO.
S f a iv is m : BUTEOire.
8. Noi troviamo esserci sedici sorti di IX . 8. Accipitrum genera sedeam invenimus : IX. ex ii* aegithum claudom altero pede prosperrimi sparvieri, de* qoali qud che si chiama egito, zoppo da on piede, è di fdidssimo augurio nelle augurii nuptialibus negotiis el pecuariae rei. Triorcbem a numero testium* cui principatum faccende delle nozze e de* bestiami. Qud che si in auguriis PheraonoS dedit: butonera hunc chiama triorehe, così detto, perchè ha tre orchi, appellant Romani, familia etiam ex eo cognomi doè tre testicoli, a coi Feraonoe diede il prin nata, quum prospero auspicio in dods navi sedis cipato negli aogorii, è chiamato da’ Romani bu teone, e da lui ha preso il nome ancora la famiglia set. Epileon Graed vocant, qui solus omni tem pore apparet: ceteri hieme abeunt. Distinctio de* Buteoni, perchè qoesto eccello si pose nella nave del capitano con felice augurio. 1 Greci chia generum ex'aviditate. Alii non nisi ex terra ra piunt avem: alii non nisi circa arbores volitantem: mano epileone, quello che solo da ogni tempo si vede; perocché gli altri si partono il verno. L’avialii sedentem in soblimi: aliqui volantem in
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aperto. Ilaqoe et columbae novere ex iU pericola, viioque considant, vel subvolant, contra nataram ejus auxiliantes sibi. In insala Africae Cerne in oceano accipitres totias Massaesyliae borni feti ficent : nec alibi nascentur, illi· adsoeti fentibot.
diti ne forma la distinxione delle speoie. Percioc ché aleoni non rapiscono Poecdlo «e non di terra, alcuni qoello che vola iotoroo agli alberi, aleoni qoello che s*è poeto io alto, aleoni qoello che vola 10 loogo aperto. Però le colombe conoscendo que sto, per fuggire il pericolo, come 1* hanno veda lo, o si fermano, o volano, e aiata osi eoo quello eh* è eoo tra la lor natara. In Cerne isola d’Africa, nel mare, gli sparvieri di tutta Massesilia fanno i nidi in terra ; nè nascono altrove, estendo av vero oon qaelle genti.
1 · QUIBUS LOCIS SOCIETATE A 0 C IN T U 1 ΒΤ R O m i S
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AUCOPBRTUa.
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LARO COR URA CERTA COMPAGRIA.
X. In Thraciae parte saper Amphipolim homi X. la ooa parte della Tracia sopra Anfipoli, nes atque accipitres societate quadam aacopan·· gli uomioi e gli sparvieri uccellano con una certa tur. Hi ex silvis et arondioeti· excitant ave·: compagnia. Gli nomini fanno levar gli eccelli illi supervolantes deprimant. Rorsos captas aoco- ftior delle selve e de* canneti, e gli sparvieri vo pes dividant cam iis. Traditum est, missas in lando lor di sopra gli spingono a terra ; e presi sublime sibi excipere eos : et qoum tempus sit ca che son gli uccelli gli dividono con esso loro. Di pturae, clangore ac volatas genere invitare ad cesi che frittati gli uccelli in alto, gli sparvieri se occasionem. Simile qoiddam lapi ad Meeo tino gli pigliano, e quando è il tempo di pigliare, col paludem laciunt. Nam nisi partem a piscantibus gracchiare e col volo invitano alla occasione. Una suam accepere,expaosa eoram retia lacerant. Acci certa cosa simile ftnno i Inpi sulla palude Meo pitres aviam non edant corda. Noctornus accipi tide. Perciocché se non hanno la parte loro dai ter cymindis vocator, raros etiam in silvis, inter pescatori, loro straedano le reti tese. Gli spar dia minas cernens. Bellum internednum gerit vieri non mangiano il coore degli ocoelli. Lo spar cam aquila, cohaerentesque saepe prehendantur. viere notturno si chiama dmindi, raro anoora nelle selve, e di giorno vede poco. Egli ha g u e r r a mortale con Γ aquila, e spesso sono presi appic cati insieme. Q
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QUAS AVIS SIRGULA OVA PARIAT.
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SUA «P8CIS : QUALE FA U » UOVO SOLO.
XI. 9. Coccyx ex accipitre videtor fieri, tem XI. 9. Pare che Io sparviere diventi cuculio, pore anni figoram mutaos, quoniam tooc non motando figora in certo tempo dell* anno, per apparent rdiqui, nisi perquam paacis diebas: ciocché allora non appaiono gli altri, se non per ipse qooqae modico tempore aestati· visos, non pochissimi giorni ; ed esso ancora, che si vede cernitor postea. Est autem neqoe adaocis onper poco tempo della state, non si vede poi. .gaibas solas accipitrare, nec capite similis illis, Solo degli sparvieri non ha gli onghiooi oncinati, neqoe alio qoam eoiore, ac ricto colombi potias. né gli somiglia nel capo, né in altro che n d co Quin et sumitur ah accipitre, si qaando ana aplore, ed ha piottosto il becoo del colombo. Di paruere: sola omnium avis a sao geoere interem più, d vien morto dallo sparviere, se talora pta. Motat aotem et vocem: procedit vere, occul s*incontrano insieme, e questo solo di tatti gli tator Canicolae orto: semperqoe parit in alienis altri occdli è morto da qoegli della sua specie. nidis, maxime palumbium, majori ex parte sin Mata anco la voce: apparisce la primavera, e si gula ova, quod nulla alia avis : raro bina. Causa asconde nel nascere della Canicola, e partorisce subjiciendi pullos potator, qaod sciat se invisam sempre negli altrui nidi, massimamente in qoello cunctis avibus, nam minatae qooqae infestant: delle colombelle. Fa le pià volte aao novo solo, ita non fore tutam generi ano stirpem opinator, 11 che non fa alcuno altro accello ; di rado doe. ni fefellerit : quare nullam facit nidom, alioqoi La cagiooe, perché fa I* uova sue ne* nidi d* altri trepidum animal. Edocat ergo «obditam adulte si tiene che sia, perchè si conosce odiato da tutti rato feta nido. Ille avidus ex natura, praeripit gli uccelli ; perdocchè fino agli uccelli piccoli gli cibos reliqois poliis, itaque pinguescit, et nitidas danno noia ; e oosì pensa che la sua stirpe non
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in se natricem convertit: illa gaudet «jai specie, miraturqae sese ipsam, qood talem pepererit : m o s comparatione ejos damnat, nt alienos, absuaniqne etiam se i aspettante patitnr, donec corri piat ipsam quoque jam volandi potens. Nulla tane avium suavitate carnis comparatur illi.
sarebbe sicura, se non osasse 1* inganno: però egli non fa alcun nido, essendo animai pauroso. 11 suo figliuolo adunque i allevato da un* altra madre, avendo il cuculio adulterato il nido. Que sto ingordo per natura toglie il mangiare agli altri, e così ingrassa, e tutto bello e pingue rivol ge in sè la bélìa, la quale si rallegra ddla bdlesza d’esso, e maravigliasi di sè stessa, che abbia fililo tale uccello, e biasima i suoi a paragone di esso come strani, e patite· che se gli mangi in sua presenza, in fino che dia addosso a Id aneora, g ii fatto possente a volare. Allora la sua carne è riputata pià saporita, che quella degli altri uccelli.
M il v i .
Niran.
XU. 10. Milvi ex eodem accipitrum genere, magnitudiae differant. Notatum in his, rapacis simam et famelicam semper alitem nihil esculenti rapere nmquam ex fanorum ferculis, nec Olym piae ex ara. Ac ne ferentium quidem manibus, nisi lugubri municipiorum immolantium ostento, lidem videntur artem gubernandi docuisse cau dae flexibas : iu coelo monstrante natura, quod opus esset in profundo. Milvi et ipsi hibernis mensibus lateat, non tamen ante hirundinem abeuntes. Traduntur antem et a solstitiis adfid podagra.
XII. io. I nibbii, del medesimo genere de gli sparvieri, sono differenti di grandezza. S’ è posto mente, che benché sia uccdlo rapacissi mo e sempre affamato, nondimeno non piglia mai cosa alcuna da mangiare delle vivande de* mortorii, nè ddl* aliar di Olimpia ; ma nè anco dalle mani di coloro, che portano quelle vivande, se non con cattivo augurio ddle terre, che fanno sacrifizio. I medesimi uecdli pare che abbiano insegnata I*arte di governare i na vili col voltare ddla coda, mostrando la natura nell* aria quel che bisogoa fare nella acqua. I nibbii anco essi stanno ascosi il verno, ma non però innanzi, che le rondini ύ partano. Dieesi ancora, che nel solstizio hanno le gotte.
D igb stio i v n n m
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ΧΠΙ. i i . Volacram prima distinctio pedibus maxime constat. Ant enim aduncos ungues ha bent, aut digitos, aut palmipedum in genere snnt, uti anseres et aquaticae fere aves. Adancos un· gues habentia, carne tantum vescuntur ex parte magna. CoamcBs : i s a o s m c a t a b a v b s . Q c it o s aoir sirr in a u s p ic a t a * .
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ssc o r d o sroem.
XIII. i l . La prima distinzione degli nceelli consiste prindpalmente ne* piedi. Perdocchè ο essi hanno gli artigli, o hanno le dita, o hanno palma di piedi, come I* oche, e quasi tutti gli uccelli d*acqna. Quegli che hanno gli artigli, per la maggior parte si pascono solo di carne. CoaiTACCBu : U g c b l ii d i m i o a c o u e io . I · q u a l i HBSI MOV SIEVO DI MULO AUGCBIO.
XIV. is . Cornices et alio pabulo, ut quae XIV. ia. Le cornacchie oltre all* altro modo duritiam nude rostro repugnantem, volantes in di pascere, si alzano in aria volando, e le nod, altam in saxa tegnlasve jaciunt iterum ac saepius, che non possono rompere col becco, pià e pià donec quassatam perfringere qneant. Ipsa ales volte le gettano sopra i sassi, tanto che vengono est inauspicatae garrulitatis, a quibusdam tamen a spezzarle. Qaesto uccello col suo gracchiare laudata. Ab Arcturi sidere ad hirundinum adven porta cattivo augurio, ma nondimeno è lodato tum notatur eam in Minervae luds templisque da alcani. Èssi pósto mente, che da che nasce raro, alicubi omnino non aspid, sicut Athenis. la stella di Arturo sino a che vengono le ron Praeterea sola haec etiam volantes pullos aliqoan- dini, ella si vede di rado ne’ boschi e tempii di diu pasdt : inauspicatissima fetus tempore, hoc Minerva, e in alcuni luoghi non si vede mai, come in Atene. Oltlra di dò la cornacchia sola est, «post solstitium.
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*3a
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pasce per qualche tempo i suoi figli che pur vo lano : è di cattivo augurio nel tempo dal parto, cioè dopo il solstizio. Db
c o e v i ·.
D b' coavx.
XV. Tutti gli altri uccelli del medesimo XV. Ceterae omnes ex eodem geoere pellant genere cacciano i figliuoli del nido, e gli co nidis pullos, ac volare cogunt, sicut et corvi: qai et ipsi non carne tantum aluntur, sed robustos stringono a volare, siccome fanno i corbi, i qoali quoque fetus suos fugant longias. Ilaque parvis anch'essi non solamente si pascono di carne, ma ancora quando i figliuoli loro son gagliardi, gli in vicis non plus bina conjugia sunt : circa Cra nonem quidem Thessaliae singula perpetuo : cacciano discosti. Laonde ne' piccoli villaggi non genitores soboli loco cedunt. Diversa in hac, ac se ne veggono più che due paia, e circa Cranone di Tessaglia non mai pià che un paio : i padri supradicta alite quaedam. Corvi anle solstitium danno luogo a' figliuoli. Sono alcune cose con generant, iidem aegrescunt sexagenis diebus,siti maxime, antequam fici coquantur autumno. Cor trarie tra ii corbo e la cornacchia. I corbi gene nix ab eo tempore corripitur morbo. Corvi pa- rano innanzi il solstizio, e sono ammalaticci per riunt quum plurimum quinos. Ore eos parere sessanta giorni, massimamente per la sete, che aut coire vulgus arbitratur : ideoque gravidas, patiscono prima che i fichi si maturino nell' au si ederint corvinum ovum, per os parium red tunno : la cornacchia di quel tempo ammala. dere: atque in totum, difficulter parere, si tecto I corbi per lo pià ne fanno cinque. U volgo Inferantur. Aristoteles negat, non bercule magis, tiene eh* essi partoriscano, o usino il coito per quam in Aegypto ibim : sed illam exosculatio bocca; e perciò dicono «he la donna pregna, nem, quae saepe cernitur, qualem in columbis, s 'ella mangia uno uovo di corbo, partorisce per esse. Corvi in auspiciis soli videntor intellectum bocca ; e in tolto il parlo sostiene gran difficolti, habere significationum suarum. Nam quum Me solo che queste uova le sieno portate in casa. diae hospites occisi sunt, omnes e Peloponneso Aristotele dice, die ciò non è pià vero che non et Attica regione volaverunt. Pessima eorum si sia, che in Egitto si truovi l'uccdlo ibi; ma che gnificatio , quum glutiunt vocem velut stran qoel che spesso si vede, è on baciarsi, come fanno gulati. i colombi. Soli i corbi negli augurii pare che in tendano i loro significati, perciocché quando i forestieri di Media furono uccisi, lutti volarono fuori del Pdoponneso e del paese d 'Atene. Pes simo è il loro aogurio, quaudo essi inghiottiscono la voce, come se fossero strangolati. Db
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b a b b a g ia n r i.
XVI. Uncos ungues et nocturnae aves habent, XVI. Gli uccelli di notte, siccome sono dut noctuae, bubo, ululae. Omnium horum he· vette, barbagianni e assiuoli, hanuo gli artigli. betes interdiu oculi. Bubo funebris, et maxime Tulli questi veggono poco il giorno. Il barba abominatus publicis praecipue auspiciis, deserta gianni è di pessimo augurio, massimameote nel incolit : nec tantum desolata, sed dira etiam et le cose pubbliche : abila in luoghi diserti, e inaccessa : noctis monstrum,'nec cantu aliquo massimamente in quegli che danno spavento, a vocalis, sed gemitu. Itaque in urbibus aut omni dove a fatica si può ire : egli è un mostro della not no in luce visus, dirum ostentum est. Privato te, e non cauta ma piange. Quando egli è veduto rum domibus insidentem plurimum scio non nelle città, o pur di gioruo, è di cattivo augurio. fuisse feralem. Volat numquam quo libuit, sed Quando si posò ndle case de' privati, non sempre transversus aufertur. Capitolii cellam ipsam in è stato di cattivo augurio. Egli non vola mai travit Sex. Palpelio Histro, L. Pedanio coss. dove vuole, ma è portalo a traverso. E g ii uno propter quod nonis Martiis urbs lustrata est eo n' entrò nella cella istessa del Capitolio, essen anno. do consoli Sesto Palpelio lstro e Ludo Peda nio, e perdo fu purgata la d iti quell'anno a' sette di Marzo.
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A i » , QUARUM VITA AUT VOTITI A 1RTBRC1DIT.
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l a c u i v it a b β ο π ζ ι α s o r s i s a p i ù .
XVII. i 3. Inauspicata est et incendiaria «t is , XVII. i 3. Di cattivo augurio ancora è Γ uc propter quam saepennmero lustratam urbem in cello detto incendiario, per lo quale si truova annalibus invenimus, sicut L. Cassio, C. Mario nell1 istorie che la città spesso fu purgata, come coss., quo anno et bubone viso lustrata est. Quae essendo consoli L. Cassio e C. Mario, nel quale sit avis ea, nec reperitur, nec traditnr. Quidam anno fu purgata ancora per essersi veduto un ita interpretantur, incendiariam esse quaecum- barbagianni. Non si trova, nè si sa chi sia que que apparuerit carbonem ferens ex aris vel al sto uccello. Alcuni intendono a qaesto modo, e taribus. Alii spinturnicem eam vocant : sed haec dicono, che incendiario è qual si voglia uccello, ipsa qoae esset inter aves, qui se scire diceret, che si vede portar carbone o fuoco dagli altari. non inveni. Altri Io chiamano spinturnice ; ma io non ho mai trovato chi sappia dir qoale uccello sia questo. 14. Io trovo ancora, che non si sa quello uc 14. Cliviam quoque avem ab antiqui· nomi* cello, che gli antichi chiamarono divia. Certi natam, animadverto ignorari. Quidam clamato riam dicunt, Labeo prohibitoriam. Et apud Ni lo chiamano clamatoria, Labeone proibitoria. E gidium subis appellatur avis, quae aquilarum appresso Nigidio si chiami sabe un uccello, che rompe 1’ uova dell’ aquile. ova frangat. 15. Sono oltre a d ò assaissimi uccelli dipinti 1 5. Sunt praeterea complura genera depicta in Etrusca disciplina, sed ulli non visa : quae nella disdplina Toscana, che non son noti a ve nane defecisse mirum est, quum abundent etiam runo : è maraviglia ora che sieno manchi, essendo tuttavia abbondanza di quegli, che la gola umana qaae gula humana populatur. divora. Q u A B A CAUDA VASCAVTU*.
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q u a l i b scb p r im a h b l v a s c b b b l a p a b t b d blla coda.
XVIII. 16. Externorum de auguriis peritis XVIII. 16. È opinione che degli nomini stra nieri Ila abbia ecedlenlissimamente scritto degli sime scripsisse Hylas nomine putatur. Is tradit noctuam,bubonem, picum arbores cavantem, augurii. Costui dice che la civetta, il barba gianni, il picchio che cava gli arbori, il trigone trygonem, cornicem, a cauda de ovo exire: quo e la cornacchia escon dell’ uova mettendo foor niam pondere capitum perversa ova, posteriorem prima la parte della coda, perdocchè per lo peso partem corporum fovendam matri adplicent. dd capo l’ uova rivolte porgono alla madre la parte posteriore de’ corpi a covare. D
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b v o c t u is .
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XIX. 17. Noctuarum contra aves solers di XIX. 17. Sono le dvette molto astate a com battere con gli altri uccelli. Perciocché qaando micatio. Majore circumdatae multitudine, resu pinae pedibus repugnant, collectaeque in arctum, elle sono accerchiate da gran numero, s’ arroveostro et unguibus totae teguntur. Auxiliatur ac sdano e combattono co’ piedi, e restringendo» si cuoproo tutte coi piedi · col becco. Lo spar cipiter collegio quodam naturae, bellumque par viere Γ aiota per ana certa compagnia di natura, titur. Noctuas sexagenis diebus hiemis cubare, e con lei parte la zuffa. Scrive Nigidio che le et novem voces habere tradit Nigidius. dvette covano dae mesi di verno, e che hanno nove vod. D b neo M abtio .
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b l p ic c h io
M a x z io .
XX. 18. Sonci ancora alcuni uccelli piccoli X X. 18. Sunt et parvae aves uncorum angui con le ugna undnate, come il picchio, cognomi um, u t pici^Martio cognomine insignes, et in auspiciis magni. Quo in genere arborum cavato nato Marxio, di grande importanza negli augarii. In qaesto genere sono gli uccelli, che cavano gli res scandentes in sobreptnm feliam modo : illi
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▼ero et rapini, percossi corlicis sono, pabolam sabesse intelligont. Pallos in c ifii edncant avium soli. Adactos cavernis eoram a pastore cuneos, admota quadam ab bis herba, elabi creditur Tolgo. Trebios auctor est, clavam cuneumve ada ctam, qaanta libeat vi, arbori in qua nidam ba· beat, statim exsilire, cum crepita arboris, quum insederit clavo aut cuneo. Ipsi principales Latio sunt in aaguriis, a rege, qui nomen buie avi deditr Unam eoram praescriptam transire non qoeo. In capite praetoris urbani Aelii Tuberonis, in foro fora pro tribanali reddentis, sedit ita pla cide, ut manu prehenderetur. Respondere vates, « exitium imperio portendi, si dimitteretur : at si exanimaretur, praetori. » Et ille avem protinus concerpsit : nec multo post implevit prodigium.
D · MU QOl ONO· OVOOBSIABUT.
alberi, i qaali salgono come le faine : qaesti ataodo supioi picchiano, e conoscono se v’ è esca sotto. Essi soli fra gli altri uccelli allevano i figlinoli nel le buche, che fanno negli alberi. Crede comu nemente il volgo, che quando i pastori hanno turale le buche loro con un conio, il picchio accostandovi certa erba lo faccia cadere. Scrive Trebio, che se un chiovo o conio si caccia con tutta forza nel buco, dov’ è il nido loro, subito salta fuori con istrepito dell'albero, quando il picchio vi si mette sopra. Questi ucoelli sono i prin cipali negli augurii appresso de'Latini, per rispet to del re loro, che diede il nome a questo occdlo. Io non posso passar oon silenzio uno augurio di esso. Erasi fermato un picchio sul capo di Lucio Tuberone pretore di Roma, il quale ren deva ragione in piazza a tribunale, Unto dome sticamente, che fu preso con mano. Dieserò gl1 indovini, che se quel picchio si lasciava ire, ne seguiva la ruina ddP imperio, e se s'ueddeva, la morte dd pretore. Ed egli «abile ammazzò lo uccello, e poco dipoi il prodigio ebbe effetto. Di
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u n o V c o v a racuuxm.
XXI. 19. Vescuntur et glande in hoc genere, XXI. 19. Molli uccdli di questo genere man pomisque maltae, aed quae carne tantum non giano ghiande e frutti, ma son qud che ai pa vivnnt, excepto milvo : qaod ipsam in aaguriis scono non di sola carne : se ne eccettua il nib dirum est. Uncos uogoes habentes omnino non bio, il quale anch' esso i cattivo negli angoris. congregantor, et tibi quaeque praedantor. Snnt Gli uccelli, che hanno 1' unghie uncinate, non vanno io frotta, ma dascano preda per aè stesso. autem omnes fero altivolae, praeter nodor nas; et magia, majores. Omnibus alae grandes, corpus Volano qoasi tutti alto, fuor che le dvetU, e pià exiguam. Ambalaol difficulter. In petris raro allo i piè grandi. Tutti hanno grandi ale e piccol corpo. Camminano oon fatica. Rade volle ai oonnstont, curvatura unguium prohibento. fermano solle, pietre, per rispetto degli artigli, che son curvi. Da PAvonsos.
Db' r avo· ! .
XXII. ao. Nane de secando genere dicamus, XXII. ao. Parleremo ora del secondo ordine, qaod in duas dividitur species, oscines, et alites : il quale si divide in due spede, gli oscini e gli illaram generi cantus oris, his magnitudo diffe diti, che danno gli augurii o eoi canto, o eoi rentiam dedit: itaque praecedent et ordine: volo. Qoegli si differendone per lo canto ddla omnesqoe raliquas in his pavonum genas, quam bocca, e qoesti per la grandezza ; e così prece forma, tam intellectu ejus et gloria. deranno ancora per ordiue. Tra qaesti sono i pavoni, per la bellezza, per lo intelletto e per 1« gloria loro. Gemmantes landalosexpandit colores, adver Questo ucedlo, quando egli è lodato, dlarga so maxime sole, quia sic fulgentius radiant. Simul i suoi bellissimi colori, massimamente all' incon umbrae quosdam repercussus ceteris, qui et in tro del sole, perchè allora piò rilucono. Egli opaco clarios micant, conchata qaaerit cauda: cerca ancora con la coda concava certi ripercoti omnesque in acervum coutrabit pennarum, quos menti di ombre ad dtri colori, i quali risplendono spectari gaudet, oculos. Idem, caoda annuis meglio allo scoro ; e racooglie insieme tulli gli vicibus amissa cam foliis arborum, donec rena oochi ddle pene, rallegrandosi mollo che gli scatur i tarum eam flore, padibandas ao mae sieno gusrdati. Questo uccello ancora perdendo rens quaerit latebram. Vivit annis xxv. Coloro una volta Γ anno la coda i i i c y con le foglie
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iocipit fin d m in trimatu. Ab aoetoribos non gloriosum tantum animai hoc traditor, sed «t malevolum, sicut anser verecundum : quoniam ha· quoque quidam addiderant nota* inhia, band probata* mihi.
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XXIII. Pavonem cibi gratia Romae primo* oo> cidit oralor Hortensios, adì tù li eoena sacerdotii, Saginare primo* ioatiioit droa noviuimum pira ticam bellum M. Aufidius Larco, exqae eo qoae· a tu redito* sestertium sexagena millia babuiL
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XXIV. t i . Proxime gloriam sentiunt et hi nostri vigile* nocturni, quo* excitandi* in opera «nortalibos, rompendoqae somno natara genuit. Norunt sidera, et ternas distiogaunt horas in· terdiu canta. Cara sole eaut cubitam, qaartaqae castrensi vigilia ad curas laboremque revocant. Nec solis ortom iacaatis patiuntur obrepere, diemque venientem nuntiant canta, ipsam vero cantam plausu laterum, imperitant suo generi, e t regnum in quacumqoe sant domo, exercent Dimicatione pariiur boc quoque inter ipsos, ve la t ideo tela agnata cruribus suis iotelligentes : nec finis saepe commorientibu*. Quod si palma contingit, statim in victoria canunt, seque ipsi principes testantur. Vietus occultatur silens, aegreque servitium patitur. Et plebs tamen ae que superba, graditur ardua cervice, cristis celsa: cnelumque sola volucram aspidt crebro, in su blime caudam quoqoe falcatam erigens : itaque terrori sunt etiam leonibus ferarum generosissi mis. Jam ex his quidam ad bella tantam et proelia assidua nascantur, quibus etiam patrias nobilitarunt, Rhodum, ac Tanagram. Secundus eat honos habitus Mdids, et Chalddicis,nt plane dignae aliti tantum honoris praebeat Romana parpura. Horam sunt tripudia solistima. Hi ma gistratus nostros quotidie regunt, domosqne ipsis suas claudant aut reserant : hi fasces romanos impellunt aut retinent, jubent acies aat prohi bent, victoriarum omnium toto orbe partarum auspice*: hi maxime (erraram imperio imperant, extis etiam fibrisque haud diter quam opimae victimae dii* grati. Habent ostenta et praepo steri eorum vesperlinique cantas. Namque totis noatibos canendo, Boeotiis nobilem illam adver-
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degli alberi, finché dia di nuovo gli rinaace eoi fiori, vergognoso e malcontento cerea di stani ascoso. Vive venticinque anui. Di tre anni co niinda a metter fuora i colori. Scrivono gli au tori, che questo animale non solo è borioso, ma maligno ancora, siccome Γ oca è vergognosa ; perchè certi hanuo aggiunte a sì fatti animali queste proprietà, che io punto non approvo. C u TU IL p a in o CHS UCCIDBSSB 1 PAVOMI PBE ■ABG1ABU. C hi OBD18Ò A MGBASSABM.
XX II I. Ortemio oratore fu il primo, che ammanò in Roma il pavone per mangiarlo nd lauto convito pontificale. Marco Aufidio Lurcone fu il primo che ordinò a ingrassargli, circa l'ulti ma guerra dd eorsdi; e di dò fece una entrata di sessanta mila sesterni. Dai
GALLI.
XXIV. ai. Dopo i pavoni i galli seno i pià vaghi uccelli: esd soa le nostre guardie not turne, prodotti ddla natura per destare gli ttomini alle opere, e per rompere il sonno. Essi conoscono le stdle, e il giorno cantano di tre ore in tre ore. Vanno a dormire insieme eoi sole, e nella quarta vigilia castrense richiamano alla cura e alle fatiche. Nè vogliono che il sole si levi, che noi non lo sappiamo, ma eel canto aonundano il giorno ebe viene, e innanxi che can tino dibattono con le d i. Comandano alla loro stirpe, e io ogni casa dove sono, hanno il lor regno. Combattono ancora per questo regno fra loro, quasi come se conoscessero che la na tura abbia per ciò posto loro le armi nelle gam be ; e spesse volle la xufia finisce con la morte. Colui che vince subito canta per la vittoria, dando segno della sua superiori li. Il vinto si nasconde e sta cheto, e malvolentieri sopporta la servilà. An che la plebe loro è del pari superba : vanno con la testa alta e con la cresta ritta, ed essi soli fra gli dtri uccelli guardano spesso il cielo, e ris iano ancora la coda in arco, e perciò spaven tano fino ai lioni, nobilissimi fra tutte le altre fiere. Alcuni di essi nascono solamente per far guerre e battaglie, con le quali anco banno nobilitato le patrie loro, Rodi e Tanagra. 11 se condo onore è dato a quegli di Mela e di Calcide, e molto onore fa a questo uccello la porpora Romana. Questi soli fanno il tripodio solistimo, ovvero Γ augurio che si traeva dal modo dd loro mangiare. Questi tutto il giorno reggono i nostri magistrati, e aprono e serrano le case loro : questi spingono, o ritengono i fasd Romani ; fanno ire le schiere in battaglia, o le rileogono,
C. PUNII SECUNDI
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sai Lacedaemonios praesagivere victoriam, ita conjecta interpretatione, qooniam victa ale· illa non caneret.
Q
u om o do c a s t b b k t u b .
Da g a l l in a c e o
locu to.
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• sono auspici di tutte le vittorie acqoistate per tatto il mondo. Qaesti son quei, che reggono lo imperio del mondo ; e il fegato e le interiora loro sono grate agli dei, come si sieno le vittime opime. Hanno augurio i lor eanti fatti fuor di tempo, o suU’abbrunare. Certo cantando essi tutta la notte indovinarono quella nobil vittoria, che i Beotii ebbero eontra i Lacedemoni!, essendosi fatta conghiettura che qaesti eccelli non.avrebbon cantato se fossero stati vinti. C om e
s i c a s t b ib o .
Di
d i g a llo chb fa v e l l ò .
XXV. Desinant canere castrati : quod duo- XXV. Non cantano più, qoando son castrati ; bns fit modi· : lambis adostis candente ferro , il che si fa in due modi, o abbruciando loro i lom aat imi· craribas: mox hulcere oblito figlina bi con un ferro rovente, o abbruciando le parti creta : facilius ita pinguescunt. Pergami omniba· basse delle gambe : poscia · ’ impiastra il luogo anni· spectaculum gallorum publice editar, ceu con terra da stoviglie, e così più facilmente in gladiatorum. Invenitur in annalibus, in Arimi grassano. In Pargamo si fa ogni anno pubblica nensi agro, M. Lepido, Q. Catulo coss. in villa mente uno spettacolo di galli, come di gladiatori. Galerii locatum gallinaceum, semel, quod equi Trovasi nell* istorie, come nel territorio d* A ri dem sciara. mino, essendo consoli Marco Lepido e Quieto Catulo, nella villa di Galerio oo gallo favellò ano volta sola, eh1 io sappia. D bll'
D a AirsBBB.
oca.
XXVI. aa. Et anseri vigil cura, Capitolio XXVI. aa. Sogliono 1* oche ancora avere una testata defenso, per id tempus canam silentio pro· cura molto vigilante ; di che fa fede il Capitolio da lor difeso, essendo in quel tempo spacciate ditis rebus. Quam ob causam cibaria anserum cen•ores in primis locant. Quin et fama amoris, Aegii le cose per rispetto del silentio de'cani. Onde i dilecta forma pueri Olenii, et Glauces Ptolemaeo censori, la prima cosa che fanno, preizolan per regi cithara caoeotis, quam eodem tempore et sona che abbia da dar mangiare all* oche. Dicesi aries adamasse proditur. Potest et sapientiae vi anco che in Egio una oca s*innamorò g ii di un faodullo, che avea nome Oleno, e in Egitto deri intellectus bis esse. Ita comes perpetuo adhae sisse Lacydi philosopho dicitur, nusquam ab eo, un* altra s* innamorò di Glauce, che sonava la cetera al re Tolomeo, della quale in quel me non in publico, non in balneis, non noctu, non interdiu digressas. desimo Ιςιηρο era anco innamorato un montone. Si tiene che questo uccello abbia intelletto e sapere, perciocché si trovò gii uoa oca, la quale amò tanto Lacide filosofo, che non se gli partiva mai da lato in luogo alcuno, nè in pubblico, nè al bagno, nè di di, nè di notte.
Quis PBIMUM JECUR AVSSMVUM mSTITOTT.
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f u i l f e im o c h b m a b o iò f e g a t o d * o c a .
XXVII. Nostri sapientiores, qui eos jecoris XXVII. Ma i nostri furono assai più savii, i bonitate novere. Fartilibus in magnam amplitu quali seppero conoscere la bonti del fegato loro : dinem crescit : exemplum quoque lacte mulso questo ingrassa molto tenendolo in istia, e cre sce ancora qoando tratto fuor d d corpo è mes augetur. Nec sine causa io qoaestione est, quis primas taotum bonum invenerit, Scipione Metel so nel latte e nel vin melato. E non senza cagio lus vir consularis, an M. Sejus eadem aetate eques ne si dubita chi fu il primo a trovar tanto bene, Rom. Sed (quod constat)Messalina· Cotta, Mes se Scipione Metello stato conso!o,oM.Seio in qoel salae oratoris filius, palmas pedum ex his torrere, medesimo tempo cavalier Romano. Ma questo si sa por certo, che Messalino Gotta, figlicelo di atque patinis com gallinaceorum cristis condire
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repent Triboetnr enim a ma colini· cujosque palma cam fide. Miram in hac alite, a Morini· asqae Romam pedibas venire. Festi proferantur ad primos : ita celeri stipatione naturali propel· lunt eos. Candidorum alteram vectigal in pluma. Velluntur qaibusdam locis bis anno. Rursus plu migeri vestiuntur : mollior, quae corpori proxi ma : et e Germania laudatissima. Candidi ibi, verum minores, gantae vocantur. Pretium plu mae eorum, in librat denarii quini. Et inde cri mina plerumque auxiliorum praefectis, a vigili statione ad haec aucupia dimissis cohortibus totis. Eoque deliciae processerei sine hoc instrumento durare jam ne virorum quidem cervices possint.
Da c o m a g b b o . XXV II I. Aliud reperii Syriae pars, quae Comagene vocatur : adipem eorum vase aereo cum cinnamo nive malia obrutum, ac rigore gelido maceraturo, ad usum praeclari medicaminis, qaod ab gente dicilar Comagenum.
C h ebalofbcss , c b b h b b o tb s , t b t b a o b b s , o t id i» .
X XIX. Anserini generis sunt chenalopeees, et quibas lautiores epulas non novit Britannia, chenerotes, fere ansere minores. Decet tetraonas suus nitor, absolutaque nigritia, in superciliis cocci rubor. Alterum eorum genus valturum magnitudinem excedit, quorum et colorem red dit. Nec ulla ales, excepto struthiocamelo, majus corpore implens pondus, in tantum aucla, at in terra quoque immobilis prehendatur. Gignunt eos Alpes, et septemlrionali· regio. In aviarii· saporem perdunt. Moriuntur contumacia spirita revocato. Proximae eis sunt, qaas, Hispania aves tardas appellat, Graecia olidas, damnatas in ci bis. Emissa enim ossibu· medulla, odori· taedium extemplo sequitur.
G aobc.
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Messala oratore, fu il primo che cominciò arro stir le palme de* piedi, e acconciarle insieme con le creste de* polli ; perocché io non son per tor re a niuno 1* onore, che ·’ ha guadagnato nella cucina. Maravigliosa cosa è di que«to uccello, che se ne viene a piedi da* Morini fino a Roma. Quando alcuna è stanca, chi la conduce la porta fra le prime, perchè la lor natura è d* andar sì strette, che quelle dietro spingendo aiutano quel le dinanzi. Écci uno altro guadagno dell* oohe bianche nella piuma : pelansi in certi luoghi due volte l*anno, e di nuovo si vestono di piuma, ed è più delicata quella chf è più presso al cor po : la miglior viene di Lamagna. Quivi son bianche, ma piccole, e chiamansi gante. Vale la libbra di qoella piuma cinque denari; onde na sce il disordine ne* capi dei soldati, i quali ab bandonando spesso la notte il luogo delle guar die, vanno a questa uccellagione. E gii siamo venuti in tanta delicatezza, che Γ uomo non può posare il collo senza questo (strumento. D
bll* oca
C om agbba.
XXVIII. Un'altra gentilezza a* è trovata in Comagena, parte della Siria : tolgono il grasso d* oca in un vaso di rame col cinnamomo, e co pertolo di neve, lo fanno macerare dal freddo, e fannone un* ottimo medicarne, chiamato Co· mageno. ' C
h b b a l o p b c i , c h b b b b o t i , t e t b a o h i , o t id b .
XXIX. Di specie d 'oche sono i chenalopeci e i chenero li, i quali in Inghilterra son tenuti per le migliori vivande del paese, e son minori delle oche. Sono belle le telraooe, per la loro perfetta nerezza, la quale riluce, ed hanno le ciglia rosse, come di grana. Un* altra specie loro è maggiore degli avoltoi, e li somiglia anco nel colore. Nè si trova altro uccello di mag gior peso, fuor che lo struzzolo, e cresce in mo do che non si può muovere di terra, e baciasi pigliare. Nascono nell* Alpi e nel paese setten trionale. Perdono il sapore e la bontà loro nei serbatoi. Muoiono per tirar Palilo a sè con gran de ostinazione. Dopo questi sono quegli, che la Spagna chiama uccelli lardi, e la Grecia otide, i quali non eoo troppo buoni da mangiare. Per· ciocché la midolla dell* ossa loro uscendo foori, di subito ristucca e fa fastidio. D blt.b
gbd.
XXX. a 3. lnducia· habet gen· pygmaea ab XXX. a3.1 pigmei hanno tregua, quando le gru si partono da loro, come abbiam Hello di scessa gruum ( ut diximus ) cum iis dimicantium.
C PUNII SECUNDI
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Immensos est tracia», qao veniant, ή qui» repu tet a nari Eoo. Qaando profidsaantor oon—otinnt : volant ad prospiciendum alte : dacem, qaen seqaaotar, «ligant: in extremo agmine per vice», qni todament, disposilo· habent, et qni gregem voce contineant. Excobias babent nocturnis temporibus, lapillum pede sustinen tes, qni laxatas sanino et decidens indiligentiam coarguat. Ceterae dormiant capite sabter alam «ondilo, alternis pedibus insistentes. Dux erecto providet collo, ac praedicit. Eaedem mansuefactae lasciviant, gyrosque quosdam indecoro cursa »d singulae peragant. Certam est, Pontum transvo laturas, primam omniam angustias petere, inter duo promontoria Criumetopoo, et Carambin : mox saburra stabiliri. Qaam mediam transierint, abjici lapillos e pedibus : qaam attigerint con tinentem, et e gettare arenam. Cornelius Nepos, qai divi Augusti principatu obiit, quum scribe· ret turdos paullo ante coeptos saginari, addidit, deonias magis placere, quam grues : quum haee none ales inter primas expetatar, illam nemo velit attigisse.
sopra, perehi combattono con essi. Immenso è il viaggio dal mare Orientale, onde partono, fio a dove vengono. Qaando si partono s’ aceordan tette, volano io alto, per veder di lontano, e ri eleggono una guida da seguitare, e tengono nella retroguardia alcooe d’esse, che gridano a vioenda, e eon la voce tengono a ordine la schiera. La notte hanno chi fa la guardia, e tengono alto o d piè, eon oo sassolino dentro, acciocché se s’addormen tassero, per lo romore che fa la pietra ascendo loro del piede, si vengano a destare. L’ altre dor mono col capo sotto l’ a le , fermandosi ora su an piede, or sull’ altro. La guida col collo ritto ή guarda intorno, e fa segno all’altre. Questi uccelli come sien domesticati, scherzano, e con goffo cor rere fanno certi giri. Dicesi che quando die hanno a passare il mar di Ponto, prima vanno dove è più stretto fra i due promontorii Criumetopo e Carambi, e quivi poi per volare eon pià fermezza s’ empiono il gozzo di rena. Quando hanno pas sato il mezzo, lasciano andare i sassolini, e qaan do toccano terra ferma, rigettano la rena. Cor nelio Nipote, il qual morì nel principato d’ Au gusto imperadore, scrivendo che poco prima s’ era cominciato a ingrassare i tordi, soggiunse ehe le cicogne piacevano pià che le grò ; e non dimeno ora la grò è posta fra i primi uccelli, e della cicogna non c* è pure ehi ne voglia assag» giare.
Os acomis.
D i l l i c ic o g h e .
Infioo ad ora oon s’ è potuto sapere, XXXI. Ciconiae qaoniam e loco veniant, aut XXXI. quo ae referant, incompertum adhuc est. E lon donde vengano le cicogne, mi dove elle vadano. ginquo venire non dubium, eodem quo grues Chiaro è, ch’ elle veogooo di diseosto, oome modo : illas hiemis, has aestatis advenas. Abitu fanno aoeo le grò, ma le grò il verno, queste la rae congregantur in loco certo : comitataeque eie, state. Quando eoo per partire, si rsooaoo ia oo ot nulla sui generis relinquatur, nisi captiva et laogo determinato, e cosi aoeompegnate ehe non serva, eeu lege priedieta die reeedent. Nemo vi ue rissane addietro aleena, se oon è presa, quasi dit agmen discedentium, quum discessurum ap per legge si partono il giorooordinato. Nessuno le vide mai partirsi, bench’ die siano apparecchiale pareat : nee venire, sed venisse cernimus : utrum que nocturnis ftt temporibus. Et quamvis ultra al partire ; nè anco le veggiamo venire, ma poi citrave pervolent, numquam tamen advenisse ché son venate ; ehè l’ ano e l’ altro fanno di usquam, nisi noeta, existimantur. Pythopos co uotte tempo. E benché elle volioo di qua e di rneo vocant io Asia patentibus eampis, ubi con li, nessuno perà le vede mai venire, se non che gregatae inter se commurmurant, eamque quae si stimano esser giunte di notte. Chiamasi in novissime advenit, lacerant, atque lia abeunt. Asia Pitooo oome il luogo d* ona campagna lar Notatum, post idos Aagastae non temere visas ga, dove minandosi pigolano fra loro, e l’ ulti ibi. Sunt qui cieoniis oon inesse lioguas confir ma ehe viene l’ ammazzano, e così se ne vanno. S’ è posto mente, che dopo i tredici d'Agosto ment, Honos io iis serpentium exitio tantus, ot io Thessalia capitale fuerit oeoidisse, eademqoe die non si veggono molto quivi. Alcuni tengo no che le cicogne non abbian lingua. Questi uc legibus poena, qoae in homicidam. celli sono tanto onorati in Tessaglia, perchè am massano le serpi, che c* è pena la vita a chi gli ammazza) pena ohe per legge si d i a chi uccide
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XXXII. Simili ansere· qaoque et olore· ra XXXII. A questo modo anoora fanno pas tione commeant : sed horum volatus oernitur : saggio Γ oche e i ceceri, ma il partir di qaesti liboraiearom modo rostrato impeto feruntar, fa- uccelli si vede : vanno con la parte innanzi ap dlios ita findentes aera, quam ai recta fronte portata, a guisa di brigantini armati di rostro, impellerent: a tergo seosìm dilatante se cuneo feodeodo cosi pià facilmente l'aria, che s'elle porrigitur agmen, largeqae impellenti praebetor volassero con fronte distesa : -di dietro a poco a aerae. Colla imponant praecedeotibos : fesso· poco s'allargano, esseodo la loro schiera come daees ad terga recipiant. Ciconiae nidos eosdem un oonio, con la panta avanti, la quale vinoe in repetant : genitricam «enectam invicem educant. largo la resistenza dell'aria. Posano il eolio sopra Olorum morte narrator flebili· canius (falco, ut di quelle che vanno innanzi, e quando tono strac arbitror), aliqoot experimentis, lidem mutua che le gaide, le ricevono di dietro. Le cicogne tornano allo stesso lor nido, e nndriscono il padre carne vescuntor inter se. e la madre, quando son vecchi. Dicesi che i ceceri, quando giungono alla morte, fanno on lamentevol canto { la qual cosa è falsa per molti esperimenti. Questi uccelli si mangiano Pan l'altro. Db a via os pBuoaims « l o t t id s s ,
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XXX 11I. Veram haec commeantium per maria XXX II I. Ma questo lor passaggio per mare terraaque peregrinatio non patitor differriminores e per terra non patisce differire gli occelli mi quoque, quibas est natura similis: oteomqoe enim nori, che sono di simil natara ; perocché riguardo supradictas magnila Jo et vires corporum invitare a' sopraddetti, pare che la grandezza del corpo videri possint. Coturnices ante etiam semper-ad· e le forze gl' invitino a veoire a noi per si lunga veniant, quam grues : parva avis, et qoam ad via. Le cotornici sogliono venir prima ehe le gru : noe venit, terrestris potius, qoam sublimis. Ad è picciolo uccello, e qoando viene a noi, vola piut volant et hae simili modo, non sine periculo na tosto a terra,che in alto. Volano queste ancora nel vigantium, qaum adpropinqaavere terris. Quippe medesimo modo,e non senza pericolo de'navigan· veli· saepe incidunt, et hoc semper noctu, merti, qaando s'appressano alle terre. Perciocché guotqoe navigia. Iter est his per hospitia certa. spesse volte si fermano eolie vele, e questo sempre Anatro non volant, huroido scilicet et graviore di notte, e affondano i navili. Fanno il passaggio vento. Aura tamen vehi volont, propter pondos loro per alberghi osati. Non volano qoaodo è corporum, viresque parvas. Hinc volantium illa vento di mezzodì, che è veoto umido e grave. conquestio labore expressa. Aquilone ergo maxi Vogliono però aver vento per rispetto del peso me volant ortygometra dtice. Primam earum de' corpi e delle lor poche forze ; e di qui è, terrae adpropinquantem accipiter rapit. Semper qaando volano, quel lor rammariccbio pien di hinc remeantes comitatam sollicitant : abeontque fatica. Passano dunque volentieri, qaando è tra nna persuasae glottis, et otos, et ejehramus. montana, avendo per guida 1' orligometra. La prima di loro, che s'appressa a terra, è presa dal lo sparviere. Sempre che di qaa se ne ritornano, avvinano quegli occelli che hanno ad essere com pagni lorot onde le tre altre specie, del gloto, dell' oti e del eicramo partono nna con esse. Gioiti) praelongam exserit lingoam t onde ei Il gloto mette fuori una lingua mollo lunga, nomen. Hanc initio blandita peregrinatione avide onde n'ha preso il nome. Questo da principio per profectam, poenitentia in volatu, eom labore sci desiderio del passaggio ri parte volentieri, di poi licet, sabit : reverti incomitatam piget, et seqni : si pente, perchè volando si stanca ; ma non gli è nec oroqaam plus ano die pergit : in proximo meno grave il ritornarsene poi. solo,che non fosso hospitio deserit. Veram invenitor alia, anteoe? l ' ire innanzi : non seguita la schiera mai pià d'un dente anno relicta : simili modo in sioguloa dies. giorno,e lascia i compagni nel primo alloggiamen Cychramus perseveranlior festinat etiam perve to. Qui però ne trova on altro lasciato l'anno in n ire ad expetita· sibi terras. Itaque noctu is eaa nanzi} e per simil modo ogni altro giorno. Il
C. PUNII SECUNDI
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exdtat, tdmoiietqm itineri*. Otus bubone minor « t, nociai* major, aaribus plumeis eminentibus: unde et nomea illi : qaidam latine asionem vo cant: imitatrix alias ari* ac parasita, et quodam genere saltatrix. Capitor hand difficulter, ot no· etoae, intenta in aliqno, circomennte alio. Qood *i ventus agmen adverso flata coeperit inhibere, pondascalis lapidum adpreheosia, aut gotture arena repleto, stabilitae volant. Coturnicibu· ve· neni semen gratissima* cibas : qoam ob causam eas damnavere mensae, simulque comitialem propter morbam despai saetam, quem solae ani malium sentiant, praeter hominem.
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deramo piò saldamente «'affretta di giugnere alle terre da lui bramate, e perciò sveglia i compagni la notte, e li sollecita al viaggio. L’oti è minore del barbagianni e maggiore che la dvetta : ha le orec chie grandi fornite di piume, onde prese il nome. Alcuoi in latino lo chiamano astone: qoesto è ano uccello, che contraili molto gli altri, ed è come lor buffone, contraffacendogli con varii ge sti. Pigliasi agevolmente come le civette, mentre che bada un altro, che gli va d’ intorno. Che se il vento comincia a soffiar incontra, pigliano certi sassolini ne’ piedi, o s’ empiono il gozzo di rena, e volaoo piò saldamente. Il seme velenoso è cibo gratissimo alle coturnici,e per questa capone si sono poco osate alle tavole, e anco per rispetto del mal caduco, al qual male, infuor che l'uomo, altro animale non i soggetto.
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XXXIV. 34. Abeant et hirundines hibernis XXXIV. Le rondini aneora sono di passag mensibus, sola carne vescens avis ex iis qaae gio il verno : questo uccello è solo di tutti quegli, aduncos ungaes non habent: sed in vicina che non hanno l’ unghione torto, che si pasca abeant,aprioos secutae montium recessas: inven- di carne ; ras vanno in luoghi vidni, seguendo taeque jam sunt ibi nndae atque deplames. The Je piagge solatie de’ monti, dove se ne sono g ii barum tecta subire negantur, quoniam urbs illa trovate ignude e senta piume. Dicesi ch’elle non saepius capta sit : nec Bizyae in Thracia, propter entrano nelle, case di Tebe, perchè qudla città scelera Terei. Caecina Volaterranus equestris più volte è stata presa; nè anco nella città di ordinis, quadrigarum dominus, comprehensas in Bizia in Tracia per rispetto delle scelleraggini urbem secum auferens, victoriae nuntias amicis di Tereo. Cecina Volterrano cavaliere, signore mittebat, in eumdem nidum remeantes, illito vi· delle carrette, le pigliava in Roma, e le portava ctoriae colore. Tradit et Fabius Pictor in anna seco, e qoaudo nel correr de* cavalli avea vit libus suis, quum obsideretur praesidium Roma toria, le rimandava, e così faceva sapere la vit num a Ligustinis, hirundinem a pullis ad se adtoria sua agli amici; perch’elle tornavano al pro latam : ut lino ad pedem ejas adligato nodis si prio nido del color della vittoria. Scrive Fabio gnificaret, quoto die adveniente auxilio eruptio Pittore ne* suoi annali, eh’ essendo assediato il fieri deberet. presidio Romano da’ Liguri, gli fu recata una rondine, la quale aveva il nido e i figliuoli in quella rocca, ed egli le legò on filo al piè, il qoale aveva tanti nodi, quanti dì egli avea a stare a potergli soccorrere, acciocché quel giorno essi s* apparecchiassero a far sortita. Ds a v ib c s w o s t b is q u a b d is c b d u h t , i t
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LUMBBS. S t u BBOBUM BT HIBUBDIBUM VOLATUS.
COLOMBI SALVATICBI. V oLA B B D IG LI STO BH B LU B DBLLB BORDIVI.
XXXV. Abeontet merulae, turdique, et stur XXXV. Sono anoora di passaggio e i merli ni simili modo in vicina. Sed hi plamam non e i tordi e gli stornelli, ma in luoghi vidni. Però •mittunt, nec occultantur: visi saepe ibi, quo questi non perdono le piume, nè si nascondono, hibernum pabulum petunt : itaque in Germania ma sono sempre veduti quivi, dove pigliano il hieme maxime turdi cernuntur. Verius turtur cibo dal verno. E per qaesto in Lamagna il ver oecultatur, pennasque amittit. Abeunt et palum no sono di molti tordi. La tortora s’ asconde la bes, quonam et in iis incertum. Sturnorum generi primavera, e perde le penne. Vanno via ancora
HISTORIARUM BRINDI LIB. X.
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propriam eatervatim volare, et quodam pHae orbe ctrcamagi, omnibas in mediam agmen tendenti· bai. Vblucrum toli birandini flexuosi volata· velox celent··: qaibu· ex causisneqae rapinae celeraram «litam obnoxia .est Ea demam «ola aviam nonnisi in volata pasdtar.
Quah a v iu m m m · , TBiMxrraxs :
q u a b sb m b s t e b s , q d a b
g a l o c l i,
n n u .
le colombelle, e non ή sa dove. Proprio degli •tornelli è di volare a «chiare, e avvolgersi per Paria come in una palla, sforzandosi tutti di esse· re nel mezzo. Sola la rondine fra gli uccelli ha il volo tortuoso, ma di grandissima prestezza : per queste cagioni non può esser preda degli altri uccelli. E questo solo uccello ancora si pasce vo lando. , Q o i U UCCELLI STIM O SEMFXB IV UBA B B G IO n , QUALI S II MISIf QOALI T U ! OOGOU, MJBOLB.
XXXVI. a5. Temporum magna differentia XXXVI. a5. Gran differenzia de* tempi è ne avibus. Perenne·, at colambae ; semestres, at hi- gli uccelli. Sono alcuni, che atanno sempre, eome randioes; Irimeitm, ak tardi el tartare·: et le colombe; alenai aei meai, coqae le rondini; qoae, qaam latam eduxere, abeant, at galguli, altri tre mesi, eome i tordi e le tortore ; e alcuni ancora ci tono, ehe quando hanno allevati i apapae. figlinoli ae ne vanno, come i gogoli e le bnbole. Mumomnss.
M in ora» .
XXXVII. a6. Aaetorea sunt, omnibas anni· XXXVII. 26. Scrivono aleoni, che ogni anno advolare Iliam ex Aethiopia aves, et confligere vengono uccelli a Troia d1 Etiopia, e che com •d Memnonis tamolam, qnas ob id memnonidas battono alla sepoltura di Mennone, i qoali per* vocant. Hoc idem quinto qooqae anno facere ea· ciò si chiamano Mennonidi ; e che Canno queato in Aethiopia circa regiam Memnonis, exploratum medesimo ancora ogni cinque anni in Etiopia, «ibi Cremutias tradit. intorno il palazzo di Mennone ; e questo dice Cremazio aver· per cosa certa. Mblkagxidbs.
Mbleagbidb.
XXXVIII. Simili modo pagnant mdeagrides XXXVIII. In questo medesimo modo com in Boeotia. Africae hoc est gallinarum genas,' battono le meleagride in Beozia. In Africa que gibberum, variis sparsum plumis: quae novisti* sta è una sorte di galline gobbe, sparse di varie jmae «unt peregrinarum avium in menaas rece piume : queste «on 1* altime degli uocelli fore ptae propter ingratum viros. Verum Meleagri stieri ricevute alle tavole, per rispetto del loro tumulus nobiles eas fecit. malvagio odore. La «epoltara di Meleagro le ha nobilitate. S blscodxs.
S b l b u c id i .
XXXIX. 27.Seleucidesaves vocantur, quarum X X X IX .27. Gli uccelli Seteuddi «i chiaman adventum ab Jove precibus impetrant Casii mon quegli, la coi venuta gti abitatori del monte Casio tis incolae, fruges eorum locustis vastantibus. impetrano da Giove con preghi, quando le lo Nee unde veniant, quoque abeant, compertum, custe guastano le lor biade. Non ai troova nè numqoam conspecti·, nisi qaam praesidio earum donde vengano, nè dove vadano, nè mai si son indigetur. veduti, se non qoando s'ha bisogno dell’ aiu to loro. b is .
I bi.
XL. 28. Invocant et Aegyptii ibes saas eon tra serpentium adventum : et Elei Myiagron deum, muscarum multitudine pestilentiam adforente : quae protinus intereant, qaam litatum est ei deo.
XL. 28. Invocano gli Egizii ancora le loro ibi eontra la venuta delle serpi, · gli Elei s'aocomandano al dio Miagro, per la pestilenza recala dalla gran qoanlità delle mosche; le quali muoio no subito quel giorno die a' è latto sacrifido · qud dio.
C. PLINII SECUNDI Q
QU ALI UCCBLLI IH QOALI LOOOBI « 0 « SIIBO.
u a b q v is u s l o c is a t u boh i i r t .
XLI. »9. Sed ra seeessu aviam el noctuae pano» diebus latere traduntur : quarum genas in Greta tarala non esi : etiam si qua invecta sit, emoritor. Nam baec quoque mira naturae diffe rentia : alia aliis locis negat : tamquam genera frugum fruticumve, sic et animalium, non nasci, translatitiom : invecta emori, mirum. Quid est illud uoius generis salati adversum f quaeveista naturae invidia ? aut qui terrarum dicti avibus termini f Rhodos aquilam non babet. Trauspadana Italia juxta Alpes Larium lacum appellat, amoenum arbusto agro, ad quem ciconiae non permeant : sicari nec octavam citra lapidem ab eo, immensa alioqui finitimo losubrium tractu examina graculorum aaonedolaromque, cui soli «vi furacitas argenti aurique praecipue mira est. Picus Martius in Tareutioo agro negatur esse. Nuper, ed adhuc tamen rara, ab A pennino ad orbem verras cerni doepere picarum genera, quae longa insigne· cauda variae appellantur. Pro prium bis calveseare omnibus annis, qaam serantar rapa. Perdices non transvolant Boeotiae fines in Attica : nee nlla avis io Ponto, iosula qua ap palta* est Achilles, sacratam ei aedem. In Fidenate agro jaxta urbem ciconiae nec pullos, nec nidam faciunt. At in agrum Volaterranum palumbium vis e mari quotannis advolat. Romae in aedem Herculis in foro Boario nec muscae, nec canes intrant. Malta praeterea similia, qnae prudens •ubinde omitto in singulis genaribos, fastidio par* cena : qnippe quum Theophrastus tradat inverti ti·· esse in Asiam etiam columbas, et pavones, et corvos, et in Cyrenaica vocale· tana·.
D s oscnron
g b b e h ib c s , b t q u a b m u ta w t c o lo & e k b t vocbm .
XLII. Alia admiratio circa oscioes: fere mu tant eoiorem vocemque tempore anni, ac repeute fiunt aliae 1 quod io grandiore alitum genere grues tantum : hae enim senectute nigrescunt. Merula ex nigra rufescit, canit aestate, bieme balbutit, àrea solstitium muta. Rostrum qnoque anniculi· in ebur transfigurator dumtaxat maribue. Tardi· color «estate circa cervicem varius, hieme concolor.
XLI. 09. Dicesi ohe nel ritirati· degli needli, anco le civette stauno ascose poehi giorni: non ve ne sono nell1 isola di Creta,e se alcuna v’è portata^ vi muore. E questa ancora è meravigliosa diffe renza di natura, perciocché ella a nn luogo nega ana cosa, a un altro uu’ altra ; siccome delle biade e degli alberi, e cosi & degli aoimali: non é nuovo che in qualche luogo alcuni animali non nascano, ben è maraviglia che vi muoiano se vi con trasportati. Or donde è mai questo impedimento alla vita d’alcuna specie f o qua le è quest· invidia della natura? o quai ter mini di paesi sono dedicati agli uccelli ? In Rodi non sono aquile. L’ Italia di lé dal Po appresso l’ Alpi ha il lago di Como, ameno per li campì pieni di arboscelli, dove non vanno mai le cico gne ; come nè anoo appresso a otto miglia sono mulacchie, essendone quantità grande nel terri torio vicino di Milano; accedo che si diletta molto di trafugar l’ oro e l’ argento. Dicasi che il picchio non si vide mai nel territorio di T a ranto. È da poco che si veggono dall’ Apennino a Roma le piche chiamate varie, che hanno la coda lunga ; però son molto rare. È naturale a questi uccelli di diventar calvi ogni anno, quan do si seminano le rape. Le starne nel territorio Attico non trapassano i confini della Beozia ; nè alcuno uccello in Ponto, nell* isola dov’ è sepolto Achille, non trapassa il tempio a lai dedicato. Nel territorio di Fidena, appresso la dttà, le «ìl eogoa non fbnno nido, nè figlinoli. Nd territorio di Volterra voi· ogni anno di mare gran quantità di eolombi salvatiobi. A Roma nè mosche nè coni non entrano nel tempio d’ Ercole, eh’ è nd foro Boario. Molte altre cose simili lascio addietro in pruova, per non venire a noia al lettore, p er ciocché Teofrasto dice che in Asia non sono colombi, pavooi e corbi, se non portati, e nel paese di Cirene rane che cantino. D
b l l b s f b c ib d e g l i o s c ib i , b q u a l i m u tin o c o lore
Jt VOCB.
XLU. Un’ altra maraviglia è circa quegli no* celli, che si chiamano oscini, i quali matauao colore e voce a certo tempo dell’ anno, e in nn •ubilo diventano altri uccdli, il che negli uccelli maggiori nou addiviene, se non nelle gru, le q o a li quando son vecchie diventan nere. Il merlo di nero si fa rossigno, «aula la aiate, il verno cin guetta, e intorno al solstizio ammutolisce. 11 becco a’ soli maschi d’ un anno si fa come d’ avorio. 1 tordi la state tfanno il colore intorno al collo vario, il verno son tutti d’ on medesimi} modo*
HISTORIARUM MONDI UB. X. D b L u sa m .
XLU1. Lottimi* diebus ac noctibus continuis quindecim garrulas siae intermissa cantas, den tante se frondiam fermine, non in novissimum digna mirato «vis. Pritanm tanta vox tam parvo in corpuscolo, tam pertinax spirito». Deinde io ima perfecta nrasSeae scientia modulatos editar •o n » : et οαηά oontinao spirita trahitur in lon* gnm, nem variator inflexo, nane distinguitor eoociso,copulator intorto, promittitor revocato, infuscator ex inopinato ; iulerdam el secam ipse mnrmarat ; plenas, gravis, acatos, creber, exten» tas : ubi visura est, vibrans, summus, medius, imus. Breviterqne omnia tam parvuKs in fauci bus, qoae exquisitis tibiarum tormentis ars ho minum excogitavit: ut non sit dubium hanc sua vitatem praemonstratam efficaci auspicio, quum io ore Stesichori eednit infantis. Ac ne quis du bitet artis esse, plures singulis sunt cantus, nec iidem omnibas, sed sui cuique. Certant inter .se, palamqoe animosa contentio esfc Victa morte finit saepe vitam, spirilo prius deficiente, quam eant·. Meditantur aliae juveniores, versusque qoos imitentur accipiunt. Audit discipula inten tione magna, el reddit, vicibasqae reticens, Intelligitur emendatae correptio, et in docente quaedam reprehensio. Ergo servorum illis pretia sant, et quidem ampliora, quam quibus olim ar migeri parabantur. Scio se«tertiis sex, candidam alioquin, qood est prope invisitatum, venisse, qoae Agrippinae Claudii principis conjugi dono daretur. Visum jam saepe, jussas canere coepisse, et cum symphonia alternasse : sicut homines repertos, qai sonam earam, addita transversi m in os hafundine, tamquam foramine inspirantes, linguaeque parva aliqua opposita mora, indiscreta redderent similitudine. Sed eae tantae tamque artifice· argutiae a quindecim diebus paullatim desinunt, nec ut fatigatas possis dicere,aut satiatas. Mox aestu aucto in totum alia vox fit,nec modulala, aut varia. Mutatur et color. Postremo hieme ipsa 000 cernitur. Linguis earum tenuitas illa prima non est, qoae ceteris avibus. Pariant vere primo quam plarimum sena ova.
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LDSCIOiVOLI.
XL 11I. I loidgnooli quindici giorni continui cantano senxa fermarsi mai, e questo è, quando le foglie degli alberi cominciano a farsi folle. È uccello veramente degno di maraviglia; prima, perehè tanta voce e sì ostinata lena si truova in così piccolo corpicello, dipoi perché il suo canto è secondo perfetta mosica aocordato ; ed ora con lungo fiato trae in lungo la voce, or la varia piegandola, or la interrompe a tratti, la lega gorgheggiando, l’allunga in ritornello, la infosca improvviso ; e talora anco fra sé stesso mor mora, pieno, grave, acuto, spesso, disteso, e quando gli pare move il canto allo, mediocre e basso. E a dir brevemente, in cos) piccola gola sono tutte le cose, che P arte degli uomini ha sapute trovare eon tanti esquisiti stramenti di pifferi e di flauti ; in modo ehe non c’ è dubbio deano, ehe questa soavità fu mostra con efficace augurio, qoando d cantò nella bocca di Stesicor· poeta, ancora bambino. Ed acciocché nessun dubiti che i canti loro sìeno artificiosi, ogni lu tei gnnolo ha piò canti, e tutti non fanno il me desimo verso, ma dascuno il suo. Fanno a gara tra loro di chi cauta meglio, e animosamente contendono insieme. Spesso il vinto la finisce, con la morte, mancandogli prima lo spirito, che il canto. Gli altri, che son piò giovani, im parano e imitano i versi che sentono. Sta il di scepolo a ndire con grande attenzione, e poi rende il canto, tacendo e cantando or P uno, or Peltro; in modo, che intende·! l'emenda che fa il discepolo, e la riprensione che gli fa il mae stro . Vendonsi dunque questi uccelli quanto un servo, e mollo più che già non si vende vano i paggi, che portavano l'armi, lo so che già ne fu venduto uno sei sesterzii, eh' era però bianco, il che è cosa-mollo rara: questo fu do nato ad Agrippina moglie di Claudio imperadore. Già pià volte s 'é visto, eh' essendo (or coman dato, cominciarono cantare, e si risposero in ac cordo · vicenda ; siccome anco si trovano degli uomini, che contraffanno quel v e r s o con canne che poogono alla bocca attraversate: vi soffiano nd foro, lenendo quieta la lingua, e suonano che non si disoerae il loro dal canto del lusciguuolo. Ma queste tante e così artificiose argu zie mancano in quindid giorni a poco a poco, in modo però che non si può dire che sieno faticali o salii. Quando è poi cresciuto il caldo, si fa del tutto un'altra voce, ebe non è tem perata, nè varia : molasi anco il colore, e final mente non si vede il verno. Le lingue loro non sono di quella sottigliezza, che hanno gli altri
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ncoelii. Partoriscono la primavera, e k pià volte sei oov·. Db m b l a b c o r t fu s ,
bbith acis ,
raosiocctis.
XLIV. Alia ratio ficedulis : nam formam u · mal coloremque mutant: hoc nomen autumno : non habent poste* : mdancoryphi vocantor. Sic et erithacua hieme, idem phoenicuros aestate. Mutat et upupa, ut tradit Aeschylus poèta, ob* scoena alias pasto avis, crista visenda plicatili, contrahens eam subrigensque per longitudinem capitis.
O bhahthb,
Da* u u s o o u n ,
3o. Merulae circa Cyllenen Arcadiae, nec us quam diubi, candidae nascuntur. Ibis circa Pe lusium tantum nigty est, ceteris omnibus lods candida.
Tauros avium
g b v itu b a b .
XLV1. 3i. Oscines, praeter exceptas, non te mere fetus fadunt aote aequinoctium vernum, aut post autumnale : ante solstitium autem du bios, post solstitium vitales.
H alctobbs : d ibs
babum h avioabilks .
XLVII. iU. Eo maxime sunt insignes halcyo nes. Dies earum partus, maria, quique navigant, novere. Ipsa avis paullo amplior passere, colore cyaneo ex parte majore, tantum purpureis et can didis admixta pennis, collo gracili ac procero. Alterum genus earum magnitudine distinguitur -et cantu. Minores in arundinetis canunt. Halcyo nem vider· rarissimum est, neo nisi Vergiliarum occasu, et drca solstitia brumam ve, nave aliquan do circumvolata statina in latebras abeuntem. Fetificant bruma, qui dies halcyonides vocantor, pladdo mari per eoa et navigabili, Siculo maxi me. Fadunt autem septem ante brumam diebus nidos, et totidem sequentibus pariunt. Nidi ea rum admirationem habent pilae figura, paullum eminenti, ore per quam angusto, grandium spon giarum similitudine : ferro intercidi non queunt,
m tc u it.
XLIV. Altra maniera è quella ddle ficedole, perdocchè mutano a on tratto la forma e il co lore» Esse non hanno questo nome so non Γ au tunno, dipoi si chiamano mdancorie. Cosi fa 1*eritaco il verno, e il fenieuro la state Mutasi anco la bubola, come dice Eschilo poeta, eh· per altro nd pascersi è ucodio molto sporco, ma ha bella cresta con alcune pieghe : esse la ritira e rissa per h lunghezza del capo.
chlobio , v b b u l a i , ibis .
XLV. Oenanthe qaidem etiam statos latebrae dies habet, exoriente Sirio occultata, ab occasu ejusdem prodit: quod miremur, ipsis diebus ulrumque. Chlorion quoque, qui totus est luteus, hieme non visus, arca solstitia procedit.
b b ita o o ,
E v a v tb ,
c l o b io is , mbblt ,
m.
XLV. Anco I* d ocello detto enant· si sta per alcuni giorni asseoso, perchè riponedosi nd nascere ddla Canioola, esoe fuora quando dia tramonta ? ed è maraviglia, chè V ona e l'altra cosa succede negli stessi giorni. Il clorione anch· egli, il quale è tutto giallo, non si vede il verno, e comparisce iotoroo a mezza state. So. I merli intorno a Cillene d’ Arcadia, e non altrove, nascon bianchi. L'ibi solamente è di oolor nero appresso a Pdusio : In tatti gli altri looghi è di bianco. T
bmpo o b l f ig l ia b b o l i u ccelli.
XLVI. Si. Gli oscini, fuor che i sopraddetti, non sogliono figliare innanzi I*equioozio detta primavera, nè dopo qoel dell* autunno. Quegli che nascono ionanzi il solstizio hanno vita in certa, ma dopo il solstizio vivono. AtCWin, B GIOBBI LOBO HAVIOABILI. XLV1I. Sa. Ma molto pià illustri sono g li uccdli aldoni. Tutti coloro che navigano, san no i giorni, quando essi figliano. Questo uccello è poco maggiore della passera, di color azzurro la maggior parte, solo con alcune penne rosse e bianche mescolale, col collo sottile e lungo. Écd un* altra sorte d 'alcioni, differente da q u e sta di grandezza e di canto. I minori cantano ne* canneti. Gli aldoni si veggono di rado, fu o r che nel tramontar delle Vergilie, e intorno a’aolstizii, e di verno, perchè essi volano talora io t o r n o a* navili, e subito si nascondono. Figliano il verno, e quei giorni si chiamano alcionii, p e r docchè allora il mare è pladdo e quieto, masaimamente il Siciliano. Fanno il nido sette giorni innanzi la bruma, e in altrettanti dopo figliano. I nidi loro sono degni di maraviglia, perchè soa
HISTORIARUM MUNDI MB. X.
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franguntor icftì valido, ut «puma «rida nam . Nec onde eoofingantor, invenitur. Putant ex «pinis Mulcatis : piscibus enim vivunt. Subeunk et in n u m . Pariunl ova quina.
fiitli a guisa d’una palla, afequanto alta, eoo la en trata molto stretta, a similitudine delle spugne grandi: non si possono tagliar col ferro, ma ben si spezzerabbono con un gagliardo colpo, coma la schioma seoca del mare. Nè si truova di che cosa sien fatti. Credesi che sieno di spine di pesai apponiate, perciocché vivono di pesd. En trano ancora ne’ fiumi. Fanno dnqne nova.
D s BBL1QUO AQUAffKABB* OBHBBB.
D b l l b a l t b b so b t b d i u c c e l l i d ’ acqua .
XLV11I. Gaviae in petris nidificant : mergi el in arboribos. Pariunt plurimum terna : sed gaviae aestate, mergi incipiente vere.
XLV11I. Le gavie fanno il nido nelle pietre, e gli smerghi negli alberi. Fanno al pià tre uova j ma la gavie la state, gli smerghi al co minciar della primavera.
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Av iv · n r m o is . H ib u b d ih c m o r s a a ■ ib a . R if a b ia b .
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f a b b i r id i .
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BOVD1BI DI miFA.
XLIX. S3. Halcyonum nidi figura, reliqua· rum quoque solerti»e admonet: neqoe alia parte ingenia avium magis admiranda sunt. Hirundines loto construunt, stramento roborant Si qoando inopia est loti, madefactae molta aqna pennis pulverem spargoot. Ipsum vero nidom mollibus plumis flocdsqoe consternunt tepefaciendis ovis, aimul ne durus sit infantibus pullis. In fetu sum ma aequitate alternant cibum. Notabili munditia egerunt excrementa pullorum : adultioresque circumagi doceut, et foris saturitatem emittere. Alterum genus hirundinum esi rusticarum et agresliom, quae raro in domibus,‘diversos figura, aed eadem materia confingunt nidos, totos supi nos, faucibus porrectis in angustum, utero capa ci : mirum qua peritia et occultandis habiles poliis, et substernendis molles. In Aegypti He racleotico ostio molem continuatione nidorum «vaganti Nilo inexpugnabilem opponunt stadii fere unius spatio : quod humano opere perfici non posset In eadem joxta oppidom Copton insula est sacra Isidi, quam ne laceret amnis idem, mu niunt opere, indpientibos vernis diebus, palea et stramento rostrnm ejus firmantes, continuatis per triduum noctibus tanto labore, ut mullas iu opere emori constet. Eaque militia illis cum anno redit semper. Tertium est earum g e n u s , quae ripas excavant, atque ita internidificant. Harom pulli ad dnerem ambusti, mortifero faucium malo, moltisque aliis morbis humani corporis medentur. Non faciunt hae nidos, migrantqiieaaoltis diebus ante, si fotorom est ul auctus amnis attingat.
XLIX. 33. La figura del nido degli alcioni d fa avvertiti ancora dell’ astuzia degli altri ; nè in altra parte sono gl’ ingegni degli uccelli de gni di maggior maraviglia. Le rondini fanno i nidi di fango, e gli fortificano con pagliuscole e fuscelli. E se talora non traevano fingo, si bagnano le penne con di molla acqua, e ne spruzzano la polvere e fanno fango. Acconciano il nido di dentro con piuma morbida, e altre cose simili, perchè l’ nova, slieuo pià calde, e dipoi i rondinini posino in soffice. In allevare i figliuoli han grande eqnttà, perché scambiando le volte, fanno che dascuno ha la sua parie dell’esca. Tengongli molto netti, cavando sempre del nido ogni bruttura, e quando son cresduli, gli guidano, e iosegnsno lor volare, e mandar fuori del nidolo sterco. Écci un’ altra sorte di rondini rusti che e selvatiche, le quali rade volte figliano per le case : queste fanno i nidi della medesima materia, ma di altra forma, i qoali son tutti volli all’ in giù, con entrale strette e con seno cajiace : cosa maravigliosa è a vedere con quanta maestria gli fanno accooci a nascondere i lor figliuoli, e morbidi per tenervigli ben riposati. In una delle sette bocche del Nilo, la quale si chiama Eracleotica, è ono argine inespugnabile, il qual ritiene il fiume che non trabocchi ed esca del suo luogo, la eoi lunghezza è 1’ ottavo d’ un miglio, ed è fitto d’ una continuazione di nidi di rondini ; la qual cosa con opera umana non si potrebbe fare. Nel medesimo Egitto appresso la città di Copto è uoa isola consacrata a Iside : acciocché non sia lacerata dal medesimo fiume, esse ne fortificano Γ argine con 1’ opera loro, incomindando ne* giorni di primavera, con pa glia e con fuscelli, per tre dì e tre notti conti-
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noe, con tanta fatica, c h e aaolU n n e muoiono lavoro. Esse tanno aempre questa impre sa nel tornar· dell* anno. Écci ooa lena «pecie di rondini, c h e cavano le ripe, e quivi Canno toc. nidi. 1 figlinoli di qoe«te rondini arsi e fatti c e n e r e medicano il mortifero male della gola, ovvero squinanzia, e molti altri mfli del oorpo u m a n o . Qoeste non fanno nidi, e partonsi molti g io r n i p rim a Se il fiome h a a crescer tanto, e h · egli aggiunga φ lor caverne. so l
A c a it h y l u s , e t c .
L. In genere vili parrarum eat, cai nidns ex musco arido ita absoluta perficitor pila, ot inve niri non posait aditu·, àcanthyllis appellator, eadem figura ex lino intexent. Picorum alieni auapenditur aarcalo primia in ramia cyathi modo, nt nulla quadrupea poaait accedere. Galgulo· qai dem ipio· dependentes pedibus commini capere confirmant, quia tntiorea ita ae aperent. Jam pu blicum quidem omnium eat tabulata ramorum anatinendo nido provide eligere, camerare ab imbri, aut fronde protegere denaa. In Arabia ciunamolgos avia appellator : oinnami aurculia nidi ficat. Plumbatis eoa sagittis decutiunt indigeoae, mercis gratia. In Scythis avis magnitudine otidis, binos partt, in leporina pelle semper in cacumi nibus ramorum snspensa. Picae quum diligentius visura ab homine nidum sensere, ova transgeruot alio. Hoc in hia avibua, quarum digiti non annt accommodati complectendis, tranafereudis» que ovis, miro traditur modo. Namque surculo •uper bfna ova imposito ac ferruminato alvi gin* tino, anbdita cervice medio, aequa olrimque libra deportant alio.
M b eo p s.
Db p b a d ic jio s .
LI. Nec vero ii· minor solerti·, qoae cana· buia in terra faciunt, corpori· gravitate prohibi tae sublime petere. Merops vocatur, genitore· suos reconditos paaeens, pallido intus colore pennarum, auperne cyaneo, primori aubrntilo. Nidificat in speco sex pednm defossa altitudine. Perdices spina et frutice «ic moniunt recepta culum, ut contra fera· abande vallentur. Ovis •tragulum molle pulvere contumulant, nec in
A cabtillb,
ecc .
L. Nel genere degli uccelli di ripa è qeell·, il quale fa il nido di musco secco io guisa di palla sì tonda, che non vi si poò trovar Γ en trala. Acantille ai chiama quello, che fa il nido di lino nella medesma forma. Soooci alcani picchi, i quali appiccano i lor nidi alla cima de* rami, fatti a modo di bicchieri, acciocché nessun quadrupede gli poaea aggiugnere. Alcuni tengono che i galguli dormono, pendeodo coi piedi dal ramo, al quale atanno attaccati, creden dosi così più sicuri. Gii è cosa chiara a ognuno, eh’ essi iudostriosameote scelgono que’rami che formano come un piano o tavolato per riporvi i loro nidi, e gli cuoprono di sopra con molte foglie a modo di camera, per difender» della pioggia. In Arabia è uno uccello, che si chiana cinnamolgo, il quale fa il nido con fuscelli di cin namomo. Gli uomini del paese con saette piom bate gli gettano giù per fame mercanzia. la Scizia è uno uccello grande quanto l'o lid e , che ne fa due, e sempre in pelle di lepre attaccala alla cima de* rami. Le gazinole, qnando ·*accor gono, che il nido loro «ia stato visto da persona, portano Toova altrove. Ora gli occelli che non hanno le dita accomodate ad abbracciare e tras ferir l'uova, tengono qaesto mirabil modo: posto un fuscello sopra due uova, oon l 'amor che loro esce del corpo, 1*appiccano : dipoi vi raettoo sotto il collo a mezzo il foscello, e portan via le uova, che così stauno sopra lor bilanciate. H s e o f b . D xllk p b m ic i.
LI. Nè ponto minore indostria hanno quegli, che faooo i nidi in terra, non potendo, per esser troppo gravi, aodar in alto. Un uccello, che si chiama merope, paace i auoi genitori ascosi : egli ha il di dentro della peuna di color pallido, di sopra azzurro, e la prima parte rossign·. Fa il nido in caverna addentro sei piedi. Le pernici, o starne, fortificano i lor nidi con pruni e sterpi, che resistono benissimo contra le fiere. Fauno un coprimento alTuova con polvere
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quo loco pepefere incubant : neve cui frequeotior conversatio sil suspecta, transferunt alio, lllte quidem et maritos suoi fallunt, quoniam intemperantia libidinis frangunt earum ova, ne incubando detineantur. Tone inter se dimicant inares desiderio feminarum : victum a)uut Venerem pati. Id qoidem el cotornices Trogus, et gallinaceos aliquando: perdices vero a domitis feros, et novos, aut victos, ioiri promiscae. Ca piantur quoqoe pognacitale ejusdem libidinis, contra «ucopis illicem exeoote in proelium duce totios gregis. Capto eo procedit alter, ac sub inde singuli. Rursus circa conceptum feminae capiontor, contra aocupum feminam exeuntes, a t rixando abigant eam. Neqoe in alio animali par opos libidinis. Si contra mares steterint fe minae, dora ab bis flante praegnantes fiant : hientes aatem exserta lingua per id tempus Mttusot. Coocipiunt et supervolantiom addato, aaepe -voce tantam audita masooli. Adeoque vin cit libido etiam fetus caritatem, ut illa furtim et in occolto incubans, quum sensit feminam aucupis accedentem ad marem, recanat revooetque, et ultro praebeat se libidini. Rabie quidem tanta ferantur, at in eapite aacopantiam saepe caecae metu sedeant. Si ad nidum is coepit accedere, procurrit ad pedes ejus feta, praegravem aut delumbem sese simulans, subitoque io procursu •n t brevi aliquo volato cadit, fracta aot ala aat pedibus : procarrit iteram, jam jam prebeysorum effugiens, spemque frustrans, donec in di versum abdocat a nidis. Eadem pavore libera ac materna vacans cura, in sulco resupina gleba •e terrae pedibns adprebensa operit. Perdicum vita ad sedecim annos dorare existimatur.
morbida, ma oon le covano dove le hanno fette; e acciocché il frequente ire e redire non sia sospet to, le portano altrove. Queste ingannano anco i lor mariti, perché essi per la furia della lussuria loro rompono P nova, acciocché le femmine non sieno occupate a covarle. Allora i maschi per amor della femmine combattono iosieme,e dicesi che il vinto si lascia calcar come femmiua. Scrive Trogo che le quaglie e i galli fanno talora il medesimo; ma le peroici, o sieoo fiere, o nuove, o vinte, si la sciano coprire mescolatamente da qoelle che han no già vinto. Sono prese anco per l’ ardor della lussuria loro, perché la guida di tutta la compa gnia si fe innanzi al limbello deir accecatore, e preso quello, vien l 'altro, e cosi a ono a uno. Similmente nel tempo della concezione si pigliano le femmine, perciocché mostrando Γ uccellatore ona femmina, qoelle le vanno incontra per cac ciarla. Nè in alcuno altro aoimale è maggior forza di lussuria. Se la femmina sta all'incontro del ma schio, e il fiato venga dal maschio verso lei, dicesi ch'ella impregna. Quando sono in amore, per lo caldo tengono la lìngua fuori. Ingravidano anco per l'alito del maschio, pur che voli sopra, e spesse volle anoora solamente a udir la voce del maschio. Anzi la lussuria ancora vioce talmente l'amoc dei figliuoli, che covando la femmina di nasooso, se Γ endice dell* uccellatore è la fem «ina e va verso il maschio, quella che cova, canta e chiama il ma schio e si congiunge seco. Sono anco spinte da tanta rabbia, che spesso cieche per paora, si po sano sol capo dell1uccellatore. Se alcuno s 'acco sta al nido, la madre si mostra grave o dilomba ta, dipoi finge volando di cadere, o d* aver rotto ala, o piede, e così se lo fa venir dietro eon (spe ranza di poterla pigliare, tanto ch’essa lo disoosti dal nido, e pigli altra via. Allora posta giù la paora de* figliuoli, si getta supina in terra, e coi piedi piglia aoa zolla e ricopresi. Credesi che la pernice viva d'intorno a sedici anni.
Dx COLUMBIS.
Dx1COLOMBI.
Lll. 34« Ab his columbarom maxime spectan tor simili ratione mores iidemi sed pudicitia illi· prima, et neutri nota adulteria. Conjugii fidem noo violaot, commonemqoe servant do mum. Nisi coelebs, aot vidoa, nidum non relin quit. E t imperiosos mares, sobinde etiam iniqoos ferant : quippe suspicio est adulterii, quamvis natura non sit. Tone plenom querela gattur, saeviqoe rostro icto·, mox in satisfactione exoscu latio, . et circa Veneris preces crebris pednm or bibus adulatio. Amor utrique sobolis aequalis : saepe et ex bac caosa castigatio, pigrios intrante femina ad pollos. Partorienti solatia et ministeria
Lll. 34· Simili costami hanno i colombi, ma i colombi osservano la castità ; nè Γ ano, nè l'altra non commette adulterio. Essi non rompono la fe de del matrimonio, e baono cura della casa comone. Se la femmina non è vedova, o non vive ca sta, mai non abbandona il nido. Sopportano Γ im perio del marito, benché sia difficile e strano, per ciocché il maschio è geloso,ancor che non bisogni. Allora ha egli la gola gonfiata e piena di querela, e le di di male pecciate ; dipoi per soddisfazione la bada, e volendo usar seco, se le aggira intor no con ispesse rivolte di piedi, come se la pregas se. Hanno eguale amor^ verso i lor figlinoli, ·
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ex mare. Pallis primo salsiorem lerram collectam gutture in ora inspuunt, praeparantes tempesti vitatem cibo. Propriam generis ejas et turturum, qaam bibant, oolla noo resupinare, largeque bi bere jumentorum modo.
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per questa cagione il maschio spesso gastiga la femmina, quando essa lentamente torna ai fi gliuoli. Mentre dia è nel figliare ha dal marito sollevo e servitù. Quando i figli son nati, sputau loro in booca terra alquanto salsa,che ·’ hanno ran nata n d gotto, apparecchiando il tempo conve nevole al cibo. È proprio di questi uccelli, a ddle tortore, quando beono, non bere poco alla volta, aitando il collo indietro, ma di bare largamente a un tratto, siccome fanno i giumenti. 35. Vivere palombe· ad xxx annum, aliquos 35. Scrivono gli autori, che le colombelle ad XL· habemus aoctore·, ano tantam incommo vivono trent' anni, e alcune quaranta, solamente do oogaiom, eodem et argomento senectae, qni con P incomodo delle onghie troppo lunghe, le citra peroiciem redduntur. Cantas omnibas si quali aooora fon seguo della vecchietta : nondi milis atque idem, trino confidtur versa, prae- meno ή possono tagliare senta loro danno. Il terqoe in clausola gemito : bieme motis, a vere canto Toro è sempremai ad nn modo, e si compie vocalibus. Nigidias potat, quum ova iocubet, sub in tre versi, ocoelto che finisce in un gemito: tecto nominatam palumbem relinquere nidos. di verno stan ebete, e la primavera cantano. Ni Pariant aatem post solstitium. Colambae et tor gidio tiene che quando la colombella cova l'uova, e deuno la nomina sotto U tetto, dia abbandoni tares octonis annis vivuot. l’uova. Figliano dopo il solstisio. Le colombe e le tortore vivono otto anni. 36. Contra passeri mioimam vitae, cai salaci 36. Per lo oootrario la passera ha corta vita, tas par. Mares negantor anoo diutios dorare, ar ma non ha manco lussuria. Dicesi che i maschi non gumento quia nolla veris initio appareat nigri vivono più d’un anno, e danno di dò qoesto se tudo in rostro, qoae ab aestate incipit. Feminis gno, che di primavera noo se ne vede nessuno longiusculam spatium. che abbia il becco nero, il che cominciano avere la state. Le femmine vivono un poco più. Verum columbis inest qoidam et gloriae in Sentono anch'essi i colombi on noo so che di tellectas. Nosse credas suos colores, varietatem- gloris. Pare che eooosoano l'ordinata varietà dd qoe dispositam : quin etiam ex volata quaeritor lor colori : anzi nel lor volare festeggiano per plaudere in coelo, varieque solcare. Qua in osten l'aere e lo solcano in diversi modi. In questa loro tatione, nt vinctae, praebentor accipitri, implica ostentazione cadono preda allo sparviere siccome tis strepita pennis, qai non nisi ipsis alarum vinti, perchè nel fare strepito, ehe nasce appunto humeris eliditnr : alioqui soloto volata in mal- dagli stessi omeri delle ali, intricano fra loro le tura velodores.Speculator occultus fronde latro, penne: che se volessero liberamente, son molto vdod.Sta ascosto l'assassioo sotto le foglie, e spia; et gaudentem in ipsa gloria rapit. e quando gli vede menar qoel vampo, se li preda. 37 . Con quest? dunque si paò metter Tuccd3
B1STOR1AEUM MONDI LIB. £ .
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Orili U M » M n U B lL U , « T F U T U .
MlBABILl COSS CHB FABRO , B MEZZO LOBO.
LIII. Quin et internuntiae in rebus magnis fuere, epistolas adnexas earum pedibus obsidione Mntinensi in castra consulam Decimo Bruto mit tente. Qnid vallum, et vigil obsidio, atque etiam retia amne praetenta profuere Antonio, per coe lum ennte nuntio ? Et barum amore insaniunt malti: saper tecta exaedificant, torres iis, nobilitatemque singularum et origines narrant, vetere jam exemplo. L. AxiuS eques. Romanas ante bel· Inm civile Pompejanum denariis quadringentis singula paria venditavit, ut M. Varro tradit. Qain et patriam nobilitavere, in Campania gran· dissimae provenir» existimatae.
LUI. Sono anco stati già messaggeri in cose di grande importanza ; perchè essendo assediato Decimo Bruto in Modena, legò loro una lettera a' piedi, che essi portarono nel campo dei consoli. Che giovarono dunque ad Antonio lo steocato e le guardie, e anco le reti tese sul finme, se il messo volava per P aria ? Molti si invaghiscono fuor di modo di questi uccelli, ed edificano loro torri sopra i tetti, e'raccontano4a nobiltà e ori gine di ciascuno, già per anticopsempio. L. Assio cavalier Romano iunaozi la guerra di Pompeo li vendè quattrocento denari il paio, come scrive M. Varrone. Essi hanno anpo nobilitato la patria, perchè si dice che nascono molto grandi nella Campania.
D im a ra T iA B
v o la to s, e t
ib c b s s u s .
L1V. Haram volatus in reputationem cetera rum quoque volacrum nos impellit. 38. Omnibus animalibus reliqais certus et aniasmodi, et in sao cuique genere incessus est : aves solae vario meata feruntur et in terra, et in aére. Ambulant aliquae, at cornices : saliant aliae, a t passeres, merulae : currunt, ut perdices, rusti culae : ante se pedes jaciunt, nt ciconiae, grues : expandunt alas, pendentesque raro intervallo quatiunt, aliae crebrius, sed et primas dumtaxat pennas : aliae et tota latera pandunt : quaedam vero majore ex parte compressis volant, percussoqoe semel, aliquae et gemino ictu aere ferun tur, velat inclusum eum prementes, ejaculantur sese in sublime, in recturo, in pronum. Impingi pates aliquas, aut rursus ab alto cadere has, illas salire. Anates solae, quaeque sunt ejusdem gene ris, in sublime protinus sese tollunt, atque e vestigio coelum petunt, et hoc etiam ex aqua. Itaque in foveas, quibus feras venamur, delapsae solae evadunt. Vultur, et fere graviores, nisi ex procursu, aut altiore cumulo immissae, non evo lant: cauda reguntur. Aliae circumspectant, aliae flectant colla. Nonnullae vescuntur ea quae ra puere pedibus. Sine voce non volant multae : aot e contrario semper in volatu silent. Subrectae, pronae, obliquae, in latera, in ora, quaedam et resupina· ferantur : ut si pariter cernantur plura genera, non in eadem natara meare videantur.
D if f e r e b z b r b l vo lo a b e l l ' avdabb .
LlV. Ma il volo loro ci spigne a dover ragio nare del volo e delPandare degli altri uccelli. 38. Tutti gli altri animali hanno il lor proprio e naturai andare, ciascun nel suo genere : soli gli uccelli sono portati da vario moto e in terra e in aere. Alcuni camminano, come le cornacchie ; alcuni saltano, come le passere ed i merli ; alcuni corrono, come le starne e le rustichelle ; altri si gettano i piedi ionanzi, come le cicogne e le gru ; altri distendono Γ ali, e pendendo con rari inter valli le muovono ; altri spesso, ma solamente le prime penne; alcuni le aprono da tutto il Iato; e certi volano il piò della via tenendo Γ ali chiu se. Alcuni, avendo percosso Paere solo una vol ta o due, son portati per quello come se aven dolo incbiuso lo premessero : alcuni si lanciano in alto, a dirittura, allo ingiù. Alcuni pare che sieno spinti ; questi pare che caschino da alto, e quei che salgano. L’ anitre sole, come gli altri uccelli di quella specie, subito s'alzan in alto, e di tratto van al cielo,e questo aneora uscendo dell’acqua. Calate duoque nelle fosse,dove cacciamo le fiere,essesole scampano. Gli avoltoi e quasi tutti gli uccelli gravi, se prima non corrono per terra, o non sono in luo go rilevato, non posson volare, ma ben si reggono con la coda. Alcuni si guardano indietro, alcuni piegano il collo. Alcuni si pascono di quella preda, che hauno preso co* piedi. Pochi volano senza voce, o per lo contrario volando sempre stanno cheti. Alcuni volano volti in so, alcuni volti in giù, alcuni volti a traverso, alcuni ad un lato, alcuni col becco innanzi, e alcuni anehe riversati, di modo che se si vedessero insieme di molte specie, parrebbe che non fossero della medesima natura.
C. PLINII SECONDI
9®7 A po d bs , m a ' c y psk l l i .
A p o d i , o v v s a o c ip s e l l i .
LV. 39 . Plurimum volant, quae apode», quia careant uso pedam : ab aliis cypsdli appellantor, hiraadinum specie. Nidificant in scopulis. Hae snot, qaae toto mari cernanlnr : nec amqaam tam longo naves* tamqoe coulinao cursu rece dant a terra» ut non circumvolitent eas apodea. Cetera genera residunt et insistunt : hia quies, nisi in nido, nulla : aut pendent, ant jacent.
LV. 3g. Volano molto certi uccelli, i quali son chiamati apodi, doè senza piedi, appunto perchè non adoperano i piedi : alcuni gli chia mano cipselli, e sono di spede di rondini. Fanno i nidi negli scogli. Questi si veggono per latto >1 mare; nè mai di »ì lunga e si continua via ai discostano i navili da terra, che questi uccelli non sieno loro intorno.Gli altri uccelli si pongono e riposansi, ma questi non si fermano mai se noo nd nido, e quivi stanno appiccati pendendo, ovver giacciono.
D b vasto avio ·. Capkmolgi. P latea.
D bl p o s to d e g l i u c c e l l i . C a p b tm o lg i : p l a t e a .
LV1. Et ingenia aeque varia, ad pastum maxime. 4o. Caprimulgi appellantur grandioris meru lae aspecta, fures nocturoi : interdiu enim visu carent. Intrant pastorum stabula, caprarumque uberibus advolant sactum propter lactis: qua injnria uber emoritur, caprisque caecitas, quas ita mulsere,oboritur.Platea nominatur,advolans ad eas, quae se in mari mergunt, et capita illarum morsa corripiens, donec capturam extorqueat. Eadem quum devoratis se implevit conchis, calore ventris coctas evomit, atque ita ex iis esculenta legit, testas excernens.
LVI. Anche le nature sono mollo diverse, massimamente nel pasto. 4o. 1 caprimulgi sono uccelli assai ben gran di, simili ai merli, ladri di notte, perciocché di giorno non veggon lume. Entrano di notte ndle stalle, e poppano le capre, il che £s seccar loro il latte, e le accieca. Platea si noma un occdlo, il quale va a quegli uccelli che si tuflàno, e morda loro taoto il capo, finché cava lor di boeca dò che hanno preso. Oltre a dò s’ empie il gozzo di telline intere, dipoi quando per lo caldo naturale son colte, le rigetta, e di nuovo si mangia la e n ne, e lasda stare i gusci.
Da nesxus avium. Cabddblis, taubus, ahthus. LV11.41 · Villaribus gallinis et religio inest Inhorrescunt edito ovo, excutiuntque sese, et cir cumactae purificant, ac festuca aliqua sese, et ova lustrant. 4a. Minimae aviam cardueles imperata faciunt, nec voca tantum, sed pedibus et ore pro manibus. Est quae boum mugitus imitatur, in Arelatensi agro tanrns appellata, alioqui parva. Est quae equorum quoque hinnitus, anthus nomine, her bae pabulo adventu eorum pulsa imitatur, ad huno modum se oldscens. 1*
D e g l ’ m g b g h d b g l i u c c b l u . C a l d e r u g io , TOBO, ARTO.
LV1L 41 . Le galline casalinghe hanno in sè religione, perchè fatto che hanno Γαονο, si raocapricciano, e scuolonsi, e aggirantisi intorno d purificano, e con certo fuscello purgano aè e le uova. 4a. 1 calderugi uccelli mollo piccoli, fanno dò eh1è lor comandato, nè solamente con la voce, ma ancora co* piedi e col becco in loogo della mani. Écci un uccello, che contraila il mugghiar dei buoi,nd territorio d’Arli chiamato toro, per altro piccolo. Écci un altro uccello, che ha nome auto, il quale imita ancora l 'annitrire de'cavalli, qaando per la venuta d’essi è cacdato ddla pa stura ; e a questo modo si vendica.
D* AVtBVS QUAB LOQUCRTUB : PSITTACI.
D e g l i u c c e l l i c h e f a v e l l a l o : P a p p a g a l l i.
LV11I. Super omnia humana voces reddunt, psittaci qaidem etiam sermocinante*. India hanc avem mittit, sittacen vocat, viridem toto corpore, torque tantum miniato in cervice distinctam. Imperatores salulat,et qaae accipit vèrba,pronun-
LV1II. Ma sopra tutte 1*altre cose contrafianno i pappagalli le vod umane ancora parlando. Questo uccello vieo dall’ India, dove si d > iin sittace, verde per tutto il corpo, avendo solamente intorno d collo nn poco di color rosso* a uso di
•
HISTORIARUM MUNDI UB. X.
970
tiat : ia l i o o praedpue lasciva. Capiti ejus durilia eadem, qoae rostro. Hoc, qaam loqui discit, ferreo verberator radio : non sentit aliter ictos. Qoam devolat, rostro se excipit, illi innititor, levioremque se ita pedam infirmitati fecit.
collana. Salata gli imperadori, a pronunzia la pa role che ha apprese, ed è molto lascivo bevendo vino. Ha il capo doro come il becco. Questo uc cello quando egli impara a parlare, è battuto con uno stile di ferro, altrimenti non sente la per cossa. Quando raccoglie il volo, dà prima del becco, e a quello «'appoggia, e così gravita meno sui piedi, nei quali ha poca forza.
P ica OUIDA1U.
G h ia b d a ib .
LIX. Minor nobilitas, quia non ex longinquo venit, sed espressior loquacitas, generi picaram eat. Adamant verba qoae loqoantor. Nec discont tantum, sed diligoot: meditantesqoe intra se mel, cara atque cogiutiooe intentionem non occnltanL Constat emori victas difficultate verbi, ac nisi subinde eadem audiant, memoria falli : qaaerenteaqae miram in modam hilarari, si in ierim audierint id verbom. Nec vulgaris illis forma, qoamvis non spectanda. Satis illis deeoris in specie sermonis hamani est Veram addiscere alias negant posse, qaam qoae ex genere earum sunt, qoae glande veseantur : et inter eas facilius, quibus qoini suat digiti in pedibus : ao ne eas quidem ipsas, nisi primis duobos vitae annis. Latior iis est lingua ; omnibasqae in suo cuique genere, quae sermonem imilaotur humanum: quamquam id paene in omnibus contingit. Agrippina Claudii Caesaris Inrdum habuit (quod nomqaam ante ) imitantem sermones hominnm. Qoom haec proderem, habebant et Caesares ju venes sturnum, item luscinias, graeco atque lati no sermone dociles : praeterea meditantes in diem, et assidue nova loqoentes, longiore etiam contextu. Docentur secreto, et ubi nulla alia vox miseeatur, adsidente qui crebro dicat ea, qaae «ondila velit, ac cibi» blandienle.
L1X. Écci nna certa sorte di piche o gazze, che si tengono in minor pregio, perchè non ven gono di lontano, ma favellano più spedito. Ama no di udir parole da imparare. Ni solamente le imparano, ma se ne dilettano, e tra loro stesse con diligenza esercitandosi, »' ingegnano met terle a mente, come facilmente si conosce. Sono di quelle che si muoiono di dolore, per non aver potuto pronunziar la parola che desideravano, e se non odono sovente quella medesima, ne per dono la memoria : dipoi se odono la medesima parola, della quale desideravano di ricordarsi, si rallegrano molto. Non i brutta la forma loro, ma non ba però nulla di osservabile. Assai bel lezza hanno in sapere esprimere la favella umana. Dicono che non favellano se non quegli uccelli, che appartengono alla speciechesi pasce di ghian de, a fra gli altri più facilmente quegli, che hanno cinque dita ne'piedi ; ni anco questi favellano se non ne'primi due anni. Tatti quegli, che contrai· fanno le parole, hanno la lingua larga, ciascuno nella soa specie, benchi ciò avvenga quasi in tatti. Agrippina moglie di Claudio imperadore ebbe αα tordo che favellava, il che mai più non si vide. Quando io scriveva queste cose, i giovani figliuoli dell* imperadore avevano uno stornello e Insciguuoli, che parlavano greco e latino, e con dili genza stavano ascoltando chi favellava, e ogni dì dicevano cose nuove, anche con longo contesto di parole. Insegnasi lor di segreto, e dove nes sun' altra voce si possa udire, e del continuo vi sta chi dice le parole, che hanno a imparare, e ano che gli lusinghi col cibo.
P b o p t b b c o a v c v lo q v bh tb ·
n o m o po pu li
& O U II.
LX. 43. Reddatur et corvis sua gratia, indignatiooe qaoqoe populi Romani lestata, non so lam conscientia. Tiberio principe ex feto supra Castorem aedem genito pullus, in oppositam sutrinam devolavit, etiam religione commendatas offieioae domino. Ia mature sermoni adsoeCactus, omnibas raataliois evolans iq Rostra, forom versus, Tiberium, dein Germanicam et Drosum
S b d iz io r b d b l p o p o l o R om avo h i c a g io b b d’
v a GOBBO CHB FAVELLAVA.
LX. 43· Rendiamo anoora a'corbi le meritate grazie, con testimonio non pur della coscienza, ma dello sdegno del popolo Romano. Nel tempo di Tiberio imperadore, sopra il tempio di Casto re e di Polluce avendo figliato on corbo, ano de* figliuoli volò nella bottega d 'on sarto dirim petto al tempio : costui l'allevò non senza religio* ne,essendo venuto di luogo sacro. In breve qaesto
G. PLINII SECUNDI
991
97 η
C H in ti nomidithn, mox transeuntem populum Romanum salutabat, postea ad tabernainremeans, plarium annorara assiduo officio mirat. Hanc »w aemulatione vicinitatis, manceps proximae sutrinae, sive iracondi· «abita, ot voluit videri, excrementis ejos posita calceis macola, exanima vit: tanta plebei consternatione, at primo patsas ex ea regione, mox et interemptas sit, fanasque innomeris aliti celebratum exsequiis, constratam lectam saper Aethiopum daorum hameros, p re cedente tibicine, et coronis omniam generum, ad rogum usque, qai constructus dextra viae Appiae •d secandam lapidem, in campo Redicali appel lato, fait. Adeo satis josta caasa popolo Romano visa est exsequiarum, ingeninm avis, aut supplicii de cive Romano, in ea orbe, in qua multorum principum nemo duxerat funus : Scipionis vero Aemiliani post Carthaginem Numantiamque de letas ab eo, nemo vindicaverat mortem. Hoc ge stum M. Servilio, C. Cestio coss. a. d. v kalend. Aprii. Nane quoque erat in urbe Roma, haec prodente me, equitis Rom. cornix e Raetica, pri mum colore mira admodum nigro : deinde plora contexta verbà exprimens, et alia crebro addi scens. Necnon et recens fama Crateri Monocerotis cognomine, in Eritena regione Atiae corvorum opera veoantis, eo quod devehebat in silva· eos Insidentes corniculis hamerisque: illi vestigabant «gebantque, eo perdocta consuetudine, ot exeun tem sic comitarentur et feri. Tradendam potave re memoriae qoidara, visom per sitim lapides congerentem in sitnlam monumenti, in qoa plu via aqua dorabat, sed qoae attingi non posset : ita descendere paventem expressisse tali conge rie, quantam potaro sufficeret.
uccello cominciò a parlare : volava ogni mattina ne* Rostri, e voltandosi verso il foro salotava per nome Tiberio, e dipoi Germauioo e Draso, poi il popolo Romano ebe passava, poi si tornava alla bottega; e cosi con gran maraviglia continuò parecchi anni. Uo garzone poi d’ una bottega vi cina I’ ammazzò, o per invidia, o, com'egli disse, per subita collera, avendogli il corbo imbrattate le scarpe. Di che si grande sdegno prese il popolo, che sabito lo cacciò di quella contrada, dipoi lo uccise, e fece bellissime eseqoie a quello uocello. Gli ornarono benissimo la bara, die due Etiopi, oon innanzi H piffero, e corone d'ogni aorta, dae miglia faori della porta, portarono al rogo co struito nella via Appia, a man ritta, nd luogo chiamato Redioolo: tanto la virtè di quelPu codio parve al popolo giusta cagione, che per la morte soa facessero morire on cittadin Romano, ia qoella cittì, dove molti principi furono sotter rati senza alcun onore, e dove ninno vendicò giammai la morte di Scipione Emiliano, il quale avea già distratta Cartagine e Numaniia. Questo fu fatto essendo consoli M. Servilio e C. Ce stio , a* veol’otto di Mano. E di presente nn cavalier Romano ha una cornacchia venuta di Retica, la qoale primamente ha nn belHsdmo color nero, e inoltre prouanzia a an tratto molte parole, e tuttavia nè impara dell’altre. È recente la fama d*un cerio Cratero Monocerote di Erlzeoa, paese dell’Asia, il qude cacciando si serviva deliziato de’ corbi, cai egli portava ndle selve in sulle spalle : quegli investivano, e spingevano gli altri corbi saivalichi ; e l’ osanza era aoorsa tanto oltre, che sino i salvatichi l’ accompagnavano, qaando egli usciva fuora. Alcani altri han no scritto come si vide gii nn corbo, il qoale avendo seta metteva delle pietre in una secchia, dove dorava I*acqua piovana ; perchè non po tendo aggiagnere tl fondo, dove dia era, con que’ sassi la faceva alzar tanto, che poteva bere quanto gli faceva bisogno.
D iom bdbab .
D io m b d b i.
LXI. 44· Nec Diomedeas praeteribo aves': Juba cataractae vocat : eis esse dentes, oeolosqoe igneo colore, cetero candidis, tradens. Daos sem per iis doces : alteram docere agmen, alteram cogere. Scrobes excavare rostro, inde crate con sternere, et operire terra, qaae ante fuerit egesta: in his fetificare. Fores binas omniam scrobibus : orientem spectare, quibas exeant in pascua : oc casum, quibus redeant. Alvam exoneraturas sub volare semper, et contrario flato. Uno bae in loco totios orbis visantur, in insala, qaam dixi mus nobilem Diomedis tomolo atqoe delubro,
LX1. 44· Voglio parlare ancora degli uocdli di Diomede, i qoali da Giuba son chiamati cata ratti : hanno denti, ed occhi di color di fuoco ; il resto bianco. Hanno sempre due gnide, l’ano scor ge la schiera, l’altro gli restrigne insieme. Cavano boche sotterra col becco, poi vi distendon aopra come gratiori, e cuoprono oon qndb terra, ehe prima avevano cavata, e quivi entro figliano: lasdano due entrate a quelle buche, una che guarda a levante, per la quale vanno · pesoersi, 1*altra a ponente, per donde tornano. Quando vogliono andar dd corpo, volano sempre in so e
HISTORIARUM MUNDI LIB. X.
β?3
oontn Apuliae oram, fulicarum similes. Advena* barbaro» clangore infestant, Graeci· lenium «do lantur, miro discrimine, velnt 'generi Diomedi» hoc tribuentes; aedemque eam quotidie pleno gutture madentibus pennis perluunt atque puri ficant : onde origo fabulae, Diomedis socios in eanun effigiet mutatos.
Q o i l AMMALIA IUML DISCART.
LX1I. 45. Non omittendum est, quom de ior geniis disserimus, e volucribus hirundines esse indociles, e terrestribus mores : qoutn elephanti jusaa fadaut, leones jogum subeant ; in mari vi tali, totqae pisdam genera mitescant.
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in to im u o n .
974 acootrario veoto. Questi occelli si veggono solo in uo loogo del mondo, cioè nell’ isola dove è la «epoltora e il tempio di Diomede, dirimpetto alla Paglia, e sono simili alle folaghe. Travagliano i forestieri barbari, che vanno quivi, con le strida, e solo fanno carene a*Greci con meravigliosa differenza, come se facessero questo onore al ge nere di Diomede ; e ogni giorno entrano nel suo tempio col goxxo pieno e con le penne bagnate, e spruzzandolo d’ acqua, così lo parificano: di qui ebbe origine la favola, ehe i compagni di Diomede s 'erano mutati in questi uccelli. Q
ua li am m ali
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cosa vbx d r a .
LXU. 45. Non è da tacere, trattando noi de gli ingegni degli ucoelli, come le roodini non imparano nolla, oè i topi fra gli animali terrestri ; aucor che gli elefanti {sedano quello ehe è lor comandalo, i lioni si mettano sotto il giogo, e io mare i vitelli e tante altre sorti di pesd s 'ad domestichino. Dbl m i
d e & li c c c b l l i : d b l p o r f i b i o r b .
LX1I1. 46. Bibunt aves suctu : ex his, quibus longa colla, intermittentes, et capite resupinato ▼dot infundentes sibi. Porphyrio solus mersu bibit. Idem est proprio genere, omnem eibom aqua subinde tingens, deinde pede ad rostrom, ▼eluti manu, adferens. Laudatissimi io Comagene. Rostra iis, et praelonga crora rubent
LX1I1.46 . Gli uccelli beono succiando: que gli che haono il collo loogo, non pigliano a un tratto il lor bere, ma a ripigli, e alzando il capo in su se lo rifondono io sè stessi. Solo I’ eccello chiamato por firione bee mordende. Solo egli esiandio ogni cibo tigne nell* acqua, e dipoi col piede, come eoo mano, se lo mette al becco. Sono ottimi in Comagene. Qeivi hanno il becco e le gambe molto loogbe e roaaigoe.
H abm a to po d bs .
E m a to po m .
LX1V. 47· Haec quidem et haematopodi, multo minori, quamquam eadem craram altitu dine. Nasritor in Aegypto. Insistit ternis digitis. Praedpoeei pabulum moscae. Vita in Italia pau cis diebus.
LX1V. 47· Queste cose medesime avvengono all’ematopode, molto minore uccello, benché sia della medesima altezza di gambe. Egli nasce in Egitto. Fermasi in su Ire dita* e sé pasce per lo più di mosche. In Italia vive pochi giorni.
Da
p a s t u a v io m .
D bl
pa sto
degli
c c c b l l i.
LXV. Graviores omnes fruge veseuntur, al tivolae carne tantum. Inter aquatieas, mergi sollidti sunt devorare, quae ceterae reddunt.
LXV. Tulli gli uccelli più gravi si pascono di biade: quegli che volano allo, solamente di carne. Fra gli uccelli d'acqua gli smerghi soglio no mangiare quello, che gli altri ributlano fuori.
O mog&o t a h .
O r o c b o t a l i.
LXVI. Olorum similitudinem oneorotali ha bent: neo distare existimarentur omnino, nisi iaudhns ipsis inesset alterius uteri genos.- Huc omnia inexplebile animal congerit, adra f t sit
LXVI. Gli onocrotali «ornigli·no i cigni oè si stimerebbe che fosse differenza tra loro, se l’ooooroUio non avease nella gola some un altra venire 1 nel qoale, per esser·' assai oapevolr,
C. PUNII SECUNDI
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976
capacita·. Mox pericola rapina, nbiìid inde in 0 · reddita, in veram alvum ruminantis more refert. Gallia ho· septemtrionali proxima oceano mittit,
rauna qoetlo insaziabile animale tnUa U ina rapina, e dipoi a poco a poco di là ritornatala io bocca, a modo di chi raguma, la manda nel ▼ero oorpo. Questi uccelli vengono dalla Gallia settentrionale vicina al mare.
D b PBBBOB1BIS ATIBOS t PBALBH1DBS, PIASI ABAB,
D b OLI UCCBLLl POBBSTIBBI: FALBBIBI, PAOfAVI,
HUMID1CAB.
HUMIDICI.
LXV1I. Io Hercynio Germaniae sattu invili tala genera alitam icce'pirnas, qaaram plamae igniom modo colloeeant noctibos. In ceteris nihil praeter nobilitatem longinqoitate factam, memo randam occurrit.
LXVII. Abbiamo che in Lamagna nella selva Ercioia sono inusitate sorti di neoelli, le cui piu me rilucono la notte a modo di fuoco. Nell' altre parti del corpo nou mi sovvien che abbian nulla degno di memoria, fuorché una certa riputazione per essere di lontano paese. 48. Gli uccelli chiamati faleridi in Seleucia de’ Parti, e lo Asia, sono i più lodati di tutti gli acquatici. Enel paese dei Colchi sono uccelli detti fagiani, i quali hanno orecchi di piuma, e gli abbassano e alzano. 1 numidici sono netta Numidia, parte d’Africa, ma tutti questi già sono anco in Italia.
48 . Phalerides in Seleucia Parthorum, et in Asia, aquaticarum laudatissimae : rursus phasia nae in Colchis geminas ex pluma aures submit tunt, subriguntque. Numidicae in parte Africae Numidia, omnesque jam iu Italia.
P b q b h ic o pt b b i , a t t a o e s a b , pb a l a cb o co b a cbs , PTBBHOCOBAGBS, LAGOPODBS.
LXV1II. Phoenicopteri Unguam praecipui sa poris esse Apicius docet, nepotum omnium altisaimus gurges. Attagen maxime Jonius celebratur, vocalis alias, captus vero obmutescens, quondam existimatus inter raras aves. Jam et in Gallia Hispaniaque capilur, et per Alpes etiam, ubi et phalacrocoraces, aves Balearium insularum pecu liares : sicut Alpium pyrrhocorax, luteo rostro, niger : et praecipuo sapore lagopus : pedes lepo rino villo nomen ei hoc dedere, cetero candidae, columbarum magnitudine. Non extra terram eam vesci facile, quando oec viva mansuescit, et cor pus occisae statim marcescit. Est et alia nomine eodem, a coturnicibus magnitudine tantum diffe rens, croceo tinctu cibis gratissima. Visam in Alpibus ab se peouliarem Aegypti et ibim Egna tius Calvinus praefectus earum prodidit.
Db b o v is
a v ib u s : b ib io rb s .
LX1X. 49· Vanar· iu Italiam Bebriacensibus bellis civilibus trans Padum et novae aves ( ita enim adhuc vocantur ) turdorum specie, paullum infra columba· magnitudine, sapore gratae. Baleakres insulae nobiliorem aliam supra dicto por phyrionem mittunt» Ibi et buteo accipitrum gene-
F am com ai, a t t a o b m *
f a la c b o c o b a c i ,
PIBBOCOBACI, L A M PI.
LXVI1I. Il fenicotlero ha la lingua di ottiaso sapore, oome insegnò Apicio, il quale fn il mag giore sguazzatore e ghiotto del suo tempo. L* at tagene di looia è molto celebrato : è uccella aha ha voce, ma come egli è preso ammutolisce : già tempo fu tenuto fra gli uccelli rari. Pigliasi in Francia e in lspagna,e per l’AIpi ancora, dove aon pure gli uccelli detti falacrocoraci, peculiari delia isole Baleari ; siccome i delle Alpi il pirrocorace eh’ è nero, ed ha il becco giallo; e il lagopo di o t timo sapore, a cui i piedi che egli ha col pelo di lepre, diedero questo nome: nel resto è bianco e grande come le colombe. Difficilmente ai man gia fuor della sua terra, perchè vivo non si do mestica, e morto che egli è subito si eurrompe. Écci anco un altro uccello del medesimo nonee^ che non è differente dalle quaglie,se non di gran dezza : ha color giallo, gratissimo nei cibi. Egnazio Calvino che avea la prefettura delle Alpi, dice di aver vedoto quivi l’ uccello ibi, che è occello peculiare di Egitto. D e g l i u c b l l i h u o v i : b ib io b i .
LX1X. 49· Vennero in Italia oltra il Po nelle guerre civili Bebriachesi uccelli nuovi, che cosi si chiamano aneora oggi : somigliano tordi, poco minori dì colombi, e di sapor molta grato. Nell’ isole Baleari nasce l’ uccello porfì rione, as sai piè nobile che quello, di cui ragionammo di
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HISTORIARUM MUNDI LIB. X.
rii in honore mentarum e»! : item bibione* : «c enim vocant minorem gruem.
«opra. Quivi anoo è il boteone ddla specie degli sparvieri, alimato assai nelle vivande t sonvi i bi bioni ancora, che cosà d chiamano le grò picoole.
D* FAIOIM U i l i » » . LXX* Pegasos equino capite volucres, et gryphas aurita aduncitate rostri fabuloso» reor : ilio· in Scythia, hos in Aethiopia. Equidem et tragopana, de qoa plores ad firmant, majorem aquila, cornua in temporibo» curvata habentem, Cerruginei coloris, tantom capile poeniceo. Nec sire ne» impetraverint fidem : licet adfirmet Dino, Clitarchi cerbrati ancioris pater, in India esse : mulcerique earum cantu, quos gravatos sommo lacerent. Qui credit ista, et Melampodi profecto aure» lambendo, dedisse intellectum avium ser* moni» dracones non abnuet : vel.quae Democritur tradit, nominando aves, quarum confuso sanguine serpens gignatur: quem quisquis ederit, intellecturus sit alitum colloquia: quaeque de una ave galerita privatim commemorat, etiam sine his immensa vitae ambage circa auguria. Nominantur ab Homero aeopes, avium genos : neqoe haram satyricos motos, quum insident, plerisque memoratos, facile conceperim mente : neque ipsae jam aves noscuntur. Quamobrem de confessis disseruisse praestiterit.
Quis g a llih a s fa * c i* b i u s t i t u u i t : quiqcb hoc rami cem oxB S TBTUxaiicr. LXXI. 5o. Gallinas «agioare Deliaci ooepere : unde pestia exorta, opima» aves et suopte oorpore unctas devorandi. Hoe primum antiquis eoenarum interdictis exeeptom invenio jam lege C. Fannii cos. xi anni· ante tertium Punicam bellam, « m qnid volucre poneretur, praeter unam gallinam, quae non esset altilis : » quod ddnde caput translatum, per omnes leges ambu lavit. Inventumque diverticulum est, in firaude caram, gallinaceos quoque pascendi lacte addito cibis : multo ita gratiores adprobantor. Feminae quidem ad saginam non omnes eliguntur, nec nisi in cervice pingui cote. Postea coKnarum artes, «t dunes spectentur, ut dividantur in tergora, ut a pede uno dilatae repositoria occu pent. Dedere et Parthi cocis sobs mores. Nec tamen io hoc mangonio quidquam totum placet : bic dune, alibi pedore tantum laudatis.
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lO C U U VAV9UU.
LXX. Credo bene che sia favola qod che d dice, ehe ndla Senia sieno gli ucoelli pegasi coi capo di cavallo, e i grifoni in Etiopia col rostro adone» e fatto a modo di orecchia. Il medesimo tengo ddla tragopana, la quale molti dicono eh* è maggior ddP aquila, e nelle tempie ha le corna torte, di color bigio, e solamente rossa il capo. Non credo neppure che le sirene ei sieno, ancorchi Dinone, padre di Clitarco autor fcmoso, dica che elle sono in India, e che col eant» fonno ad dormentar gli uomini, e poi se gli mangiano. Chi erede queste oose, crederi ancora, che i dragoni leccando gli orecchi a Mdampo, gli facessero in tendere il parlare degli occelli : e ancora qod che dice Democrito, n qoale nomina gli necelli, del coi sangue mescolalo nasce nn serpente, il quale chi lo mangia, intende la favella degli uc celli: e dò che separatamente dice anco delP uccello galerita. Gii anche senza questi la vita nostra è in gran dubbio circa gli augurii. Omero & menzione di «ma spede d’ooodli ch'egli chiama scope; ma non erodo ponto ehe qaesti, qoaodo si posaoo, ballino come i satiri, benché molti lo dioooo : oggi non si eonoseono più Idi occelli. Epperò besterà ragionare di qud che d senoo. Chi r e
i l r a m o a ir g x a s s a u lb g a l l i h r : q u a li CUSOXI DA PaiM A CIÒ VIBTAIOIO.
LXXI. 5 o. Gli oomini ddP isola di Deio fu rono i primi die comindarono ingrassar gdlines code ne nacque la pestilenza di divorar gli oc* celli grani, e di lor oatora noti. Io troovo che questo i la prima fra le aotiehe proibizioni, rap porto a conviti, dov* è vietato per legge di C. Fan nio consolo, ondici anni avanti la terza guerra Cartaginese, che non «i mettesse in tavola se non una gallina, la quale non fosse stata ingrassata : il qual capitolo fu posto poi in tutte Paltre leggi. Ma trovossi uno inganno alla legge, e ciò fu di mescolare il latte eon Pesea ; e così pasdule sono molto migliori. Le femmine non si tolgono tntte a ingrassare, se non qodle che hanno la pelle grassa sul oollo. V arte della cucina ha poi inse* guato che si ponga mente al groppone, e che sì dividano per ischiens, e che allargate da un dd piedi occupino i taglieri. Hanno aneora i Parti dato i lor costumi a' cuochi : e nondimeno in questa mercanzia non c’ è cosa, che tutta piac cia ; perchè in alcuna piace il petto, in alcona il groppone.
C. PLINII SECONDI
979 Qcis PBiaos
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ιν«τιτοητ.
Ο ι Α η ο μ PATIVA.
980
C hi o b d ib ò ram o l e b g c e l u e b b . D bl p i a t t o m £ sopo.
LXXII. Aviaria primo· instituit, indatis LXXII. M. Lenio Strabone cavalier Romano omnium generum avibas, M. Laenius Strabo fo il primo che a Brindisi edificò luoghi da Brundisii equestris ordinis. Exeo coepimus car rinchiudere ogni sorte di oecdli. Da qud tempo cere animdia coercere, quibas rerum natur· in qua s’è cominciato a incarcerar gli animali, coelum adsignaverat. a' qudi la natura ave· assegnato Γ aria. 5i. Maxime lamen insignis est in hac memo 5t. In questa memoria è molto illustre il ria, Clodii Asopi tragid histrionis patina, H-S piatto di Clodio Esopo istrione di tragedie, che centum taxata : in qoa posuit aves cantu aliquo fo tassato in cento mila sesterni: egli lo compose •ut humano sermone vocales, H-S sex singulas di nccdli, che fossero o di soave canto, o sapes coemptas t nulla dia inductui suavitate, nisi ut sero contraffare la favella dell* uomo, comprati in his imitationem hominis manderet, ne quae gii sei mila sesterxii Tono ; d che non fn mosso stus quidem suos reveritus illos opimos, et voce da altra soavità, se non di mangiare in qnegfi meritos : diguus prorsus filio, a quo devoratas uccelli la imitaiione ddPuomo ; nè anco in dò diximus margaritas. Non sit tamen (ut veram ebbe punto rispetto a considerare, che i suoi fatear ) facile inter duos jodidum turpitudinis : guadagni erano stati del cantare e d’esprìmere pisi quod minus est summas rerum naturae opes, la voce d’ altri : degno veramente di aver avolo quam hpipinum linguas, coenasse. qud suo figliuolo, che, oome dicemmo, divorò le perle nd convito. A dir vero però non è fàcile dar gindido di questi due, se non eh' è minor vido l'aver mangiato le grandissime ricchezze della natura, die le lingue degli uomini. G eh b b a t io a v io · : q u a e p b a e t e k a v is
GBHBBAZtOITB DBGLI VCOBLLI : jgCALI A LTO
OVA GfGVAOT.
AMMALI OLTBB GLI DGCBLLI FACCIALO DOVA.
LXXI1I. Sa. Generatio avium simplex vide tur esse, quum et ipsa sua habeat miracula, quo niam et quadrupedes ova gignunt, chamaeleones, lacertae, et quae diximus inter serpentes. Penna torum autem infecunda sunt, quae aduncos ha bent ungues : cenchris sola ex his supra quater na edit ova. Tribuit hoc avium generi natura, ut fecundiores essent fugaces earum, quam fortes. Plurima pariunt struthiocaroeli, gallinae, perdices. Soli coitus avibus duobus modis: fe· mina humi considente, ut in gallinis : aut stante, nt in gruibus.
LXXIII. 5a. La generazione degli ncodli pare che sia semplice, e nondimeno aocora essa ha i suoi miraceli ; perciocché d sono anco ani mali quadrupedi che fanno uova, sicoome sono camaleonti, lucertole, e alcuni serpenti. Di quegli che hanno le penne, poco fecondi sono quegli die hanno gli artigli : fra questi sola la eencride fa piò di quattro uova. La natura ha voluto che gli uccelli fugaci sieno più fecondi, che i rapaci. GB struzzoli faono di molte oova, come anco le gal line e le starne. Soli gli uccelli usano insieme in due modi, cioè, o che la femmina s’ abbassa io terra, come fanno le gallina, o che sta ritta, oome le gru.
Ovoau* g b n b b a ,
b t w a to b a .
LXXIV. Ovorum alia sunt candida, ut co lumbis, perdidbus : alia pallida, ut aquatids : alia punctis distiocla, ut mdeagndi: alia rubri coloris, ut phasianis, cenchridi. Intus autem omue ovum volucrum bicolor. Aquatids lutd plus quam albi, idque ipsum magis luridum quam ce teris. Piirium unus color, in quo nil candidi; Aviam ova ex calore fragilia, serpentium ex fri gore lenta, piscium ex liquore mollia. Aquatilium, rotunda: reliqua fere fastigio cacuminata. Exeunt a rotundissima sui parte, dum pariunlur, molli
SPBCIB DBGLI VOTI B KATUBA LOBO.
LXXIV. Alcune nova aon bianche come qodle della colombe e delle starne; deune pallide, come degli uccelli d’acqua ; altre punteggiate, come delle mdeagridi, altre di color rosso, oome de* fagiani e ddla eencride. Le nova di tutti gli uccdli sono dentro di doe colori. Gli oecdli d'aeqoa v' hanno più giallo che (riaipo, e quello stesso più smorto che gli altri. Le uova de* pesci sono tutte d 'nn colore, e non hanno ponto di bianco. Le nova degli nceelli per rispetto dd eddo loro son fragili, quei ddle serpi per lo
HISTORIARUM 9®f putamine, «ed protinus darescente, quibascamqae emergunt portionibus.Qaaeoblonga «ni ova, gratiori· saporis paUt Horatius Flacco·. Femi nam adoni, quae rotundiora gignuntor, reliqua marem. Umbilicos ovis a eaenmine inest, cen gatta eminens in putamine.
53. Qoaedam omni tempore coeant, nt galli nae, el pariant, praeterquam duobus mensibos hiemi· brumalibus. Ex iis jurencae plura, qaam veteres, o d minora, et in eodem fetu prima ac noviwma. Est autem tanta fecondità*, ut aliquae et sexagena pariaqt, aliquae quotidie, aliquae bi* die, aliquae in lautum, ut effetae moriantur. Adriani* lau· maxima. Columbae decies anno pa riant, quaedam et undecies: in Aegypto vero etiam bramali menae. Hirundines, et meralae, et palumbi, et tortares bi* anno pariunt : oeterae ares fere semel. Tordi in cacamiaiba* arborum luto nidificantes paene contextim, in secessu ge nerant. A coito diebus decem ova maturescunt in utero. Vexatae autem gallinae et columbae penna evulsa, aliare simili injuria, diotiu*. Omni bas ovis medio vitelli parva ioest velut sanguinea gatta, qaod esse cor avium existimant, primum in omni corpore id gigni opinantes: in ovo certe gutta ea salit, palpitatque. Ipsum animal exslbo liquore ovi corporatur. Cibos in luteo est. Omni bus intus caput majus toto corpore : oculi com pressi capite majores. Increscente pullo, candor in medium vertitur, luteum circumfunditur. Vi cesimo die, si moveatar ovum, jam viventis intra putamen vox auditur. Ab eodem tempore plu mescit: ita positos, ut capot supra dextrum pedem habeat, dextram vero alam sopra capot. Vitellos paallatim deficit. Aves omnes in pedes nascuntur, contra quam reliqua animalia. Quaedam gallinae omni· gemina ova pariuot, et geminos interdum excludunt, ut Cornelius Celsus aactor est, «Jlerum tnajorem. Aliqoi negant omnino geminos exdadi. Plus vicena quioa incubanda subjici vetant. Pa rere a bruma incipiunt. Optima fetura ante ver num aequinoctium. Post solstitiom nata non magnitudinem jastam, tantoque minus, quanto serias provenere.
MUNDI UB. X.
9»a
freddo vincidi, quei de* pesci per l1umido vi scosi. Qoelle degli uccelli d* acqua son tonde, l’altre sono un poco apponiate. Qaando nascono viene innanzi la parte loro p:à tonda, col guscio tenero e sottile, che subito indurisce, per quan tunque ne vengano fuori. Oratio Flacoo tiene che sieno pià saporite fuova che hanno del lun go. Quelle che son pià tonde, fanno femmina, 1’ altre maschio. Il bellico dell’aovo è rolla cima, come gocciola rilevata nel guado. 53. Certi uccelli usano il coito d’ogni tempo, come le galline, e partoriscono sempre, fuor etra due mesi del verno. E di queste le giovani più che le vecchie, ma minori, come il sono nd mede simo parlo i primi e gli ultimi. Elle son tanto fe conde, che alcune ne fanno fino a sessanta, alcune ogni dì, alcune due volte il giorno, e «Icone ne Canno tante, che votandosi muoiono. Le galline d’ Adria sono tenute eccellentissime. Le colombe fanno died volte l ' anno, e alcune undici : e in Egitto fanno ancora il verno. Le rondini, i merli, le colombelle e le tortore fanno due volte V anno : gli altri uccelli non fanno per ordioario più d* una volta. 1 tordi nell· cima degli alberi fanno i nidi di mota quasi tessuti, e quivi gene rano : dieci dì dopo il coito sono Γ uova ma ture nel corpo. Ma se le galline son noiate, o le colombe pelate, o fatta loro altra ingiuri·, pe nano pià. Io tutte le uova a mezzo del rosso, ov vero taorio, è a modo d’ ana piccola gocdola di sangue, la quale si tiene che sia il cuor degli uc celli, e credesi sia la prima cosa che nasca : certo è che v*ha uoa certa gocciola, la qoal salta e muo ve». L’animale s’ incorpora del liquor bianco dell’aovo : il cibo sao è nel giallo. Tutti gli uccelli mentre ehe sono nell’uovo, hanno il capo mag giore che tutto il resto, e gli occhi schiacciati, e maggiori che il capo. Crescendo il pollo, il bianco se ne va nel metto, e il giallo si spande all’ intor no. 11 veoteaimo dì, se l’uovo si scuote, ri sento pigolar dentro l’animale : da allora et comincia a metter le penne, e sta ndl* uovo col capo *ul piè destro, e con l’ ala destra sopra il capo: il taorlo a poco a poco manca. Tatti gli uccelli nascono co’ piedi iuoanxi, al contrario degli altri animali. Alcune galline fanno tutte l’ uovi doppie, e talora di tali uova nascono due pnldoi, come scrive Cornelio Celso, de’ qaali l’ ano è maggiore. Altri dicono che mai non ne na scono due. Dicesi che alla gallina non si deb bono dare a covare pià ehe ventidnqoe uova. Cominciano a far l’uovo dopo messo Dicembre, ma la miglior figliatura è qudla che ossee innanzi messo Marzo. Qoelle che nascono dopo messo Giugno, non sono grandi quanto si conviene, · son tanto minori, quanlg nascono pià tardi.
C. PLINII SECUNDI V lT U , BT ΚΕΜΕΡΙΑ ΠΓΟυΒΑΗΤΠΤΜ.
LXXV. 54· Ora incubari intra decem dies «dita otiltuimnm : vetera aat recenliora infeonnda. Subjici impari nomerà debent Quarto die postquam ooepere incubari, ei contra lnmen ca cumine ovorum adprehenso una manu, puro* et uoiocmodi perluceat color, sterilia existimantur esse, proque eis alia «ibstituenda. Et in aqua est* experimentum: inane fluitat: itaque sidentia, boc est, plena, subjici volunt. Concoti vero ex perimento vetant, quoniam non gignant confusu vitalibus venis. Incubationi datur ioiliura post novam lunam, quia prius inchoata non prove* niant. Celerius excluduntur calidis diebos. Ideo aestate undevioesimo educunt fetum: hieme, xxv. Si incubitu tonuit, ova pereunt: et accipitris audita voce vitiantur. Remedium contra toni trus, clavus ferreus sub stramine ovorum positus, aut terra ex aratro. Quaedam autem et citra in cubitam sponte natnrae gignunt, ut in Aegypti fimetis. Soitum de quodam reperì tur, Syracusis tamdiu potare solitnm, donec cooperta terra fe tum ederent ova.
ACOUSffAB BX 0111 AVGDMUM.
LXXVI. 55. Quin et ab bomina perficiuntur. Livia Angusta, prima sua juventa Tiberio Cae sare ex Nerone gravida, qunm parere virilem sexum admodum coperete boc uu est puellari augurio, ovnm in sinu (ovendo, atqoe quum deponendam haberet, nufrici per sinum traden do, ne intermitteretur tepor. Nec falso augurata proditur» Nuper inde follasse inventum, ut ova in calido loeo imposita paleis igne modioo fove rentur, homine versante, pariterque et stato die illine erumperet fetus.Traditur quaedam ars gal linarii cujnsdam, dicentis quod ex quaque esset. Narrantur et mortua gallina mariti earum visi succedentes invicem, et reliqua fetae more ferien tes, abstinentesque se a cantu. Super omnia est anatum ovis subditis atque exclusit admiratio, primo non plane agnoscentis fetum : mox incer tos incubitus sollicite convocantis : postremo la menta circa piscinae stagna, mergentibns.se pul lis natura dace.
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q u i l u chb covavo.
LXXV. 54 . Utilissima cosa è ehe le nova ebe si mettono a covare, non abbiano piè di dieci giorni : le piè stantie e le piè fresche non son cosà boone. Debboosi porre in caffo. Se al quarto d i ch’elle son cominciale a covarsi, sperando, ovvero opponendo al lume le nova, la cima si vede chiara e d’un colore, sono sterili, e vorrebbonsi scambia re. E fusene la pruova nelTaoqua, perciocché le nova vane stanno a galla : però non si debbono porre se non quelle, che vanno a fondo, le quali son pieoe. Nè si vogliono digusxzare, per veder so son piene, perchè dipoi non nasoono, rimanendo per quel modo confase e ravviluppate le vena vitali. Dicono che si debbono porre a covare dopo la luna nnova, perchè cominciando prima non nascono. Nascono più tosto, quando è caldo : però la state in diciannove dì escono dcll'eovo, e il verno in venticinque. Se tuona quando la gaU liaa cova, le uova si perdono ; e guaslansi aneora, udendo la voce dello sparviere. Rimedio contra i tuoni è porre sotto la paglia del nido un c h io d o , o della terra spiccata dall1aratro. Nascono anco ra alcune nova senta esser covate, oome quelle che si pongono ne’ litarai in Egitto. Lsggesi un bel tratto d’un gran bevitor Siracusano, il quale avendo poste l’ uova a covare, non rifiaava mai di bere, fin ch’elle non eran nate. Avocalo ni G iu lia
A u g u sta
naso
d a c o v i.
LXXVI. 55. Nasoono le oova ancora covata dall’ uomo. Giulia Augusta, nella sua prima giovanessa gravida di Tiberio Ceure essendole ma rito di Nerone, siooome avea molto caro di parto rire uu figliuol maschio, usò questo augorio fanciuHesco : tolse a oovare uno uovo in seno ; e quando l’ aveva a por piè, lo dava a oovare a m a sua bàlia, accioochè non si raffreddasse. Nè fu pub*o falso il suo augurio. Sono alenai, che con recente ritrovato le mettono nella paglia, e daonovi il caldo temperato, e di continuo le volgono notte e dì, finché al debito tempo n e nascono. Dioesi che vi fu già un certo polia molo, il quale upeva indovinare quel che avere a nascere di ciascuno uovo. Dioesi ancora, che s’ è veduto, morta la gallina, il gallo a vicenda covar l’ uova, e in quel mezzo non cantare. Maravigliansi le galline, quando hanno covato le uova dell’anitre, veder nascere i figliuoli noa suoi ; dipoi pure gli chiamano, e si lamentano molto quando gli auitrini mossi da instinto na turale si tuffano nell* acqua.
HISTORIARUM MUNDI LIB. X. Q cu»
G A LLISI» OPTIMAE.
Q u a l i sib b o l s o a l liw b m ig l io r !.
LXXYU. 56. G illiu ra a generosi!·* spe· etatur crisU erecta, interdum gemina : pennis nigris, ore rubicundo, digitis imparibus, ali· quando et super quatuor digitos transverso uno. Ad rem divinam, luteo rostro pedibusque, purae pon videntur ; ad opertanea sacra, nigrae. Est et pumilionum genus non sterile in his, quod non in alio geoere alitum, sed quibns certa fecundi* tas rara, et incubatio ovis noxia.
LXXV1I. 56. I segni della gallina buona so no, eh* ella abbia la cresta ri Uà, e alcuna volta doppia» le penne nere, il becco rosso, le dita in caffo, e talora anco uno attraversalo sopra le quattro. A farne sacrificio non son pure quelle che hanno il becco e i piedi gialli : a* sacrificii secreti pigliano le nere. Ci sono anco delle gal line nane, le quali non sono affatto sterili, il che non avviene in altra sorte d'uccelli, ma però di rado son feconde, e 11 oovar loro é nocivo alPuova.
M o r b i e a r u m , e t b e m e d ia .
M o r b i l o b o , b b im b d ii .
LXXVUI. $7 . Ipiraicissima autem omnium generi pituita, maximeque inter messis et vin demiae tempus. Medicina in forne, et cubitas in fumo, utique si ex lauro, aut herba sabina fiat : penna per transversas inserta nares, et per omnes dies mota : cibus, alium cum farre, aut aqua per· fusus, in qua maduerit noctua, atque cum semine ▼itis albae coctus ; et quaedam alia.
LXXVI1I. 57 . Molto contraria a tutte le gal line è la pippita, massimamente fra il tempo del la battitura e della vendemmia. 11 rimedio è eh* elle si tengano affamate, e che dormano nd fumo dell* alloro, o dell* erba saviua, ed è anco il ficcar loro una penna a traverso per il naso, · moverla ogni giorno : il cibo loro sia aglio eoa farro bagnato nelTacqua, dove si sia lavata la ci vetta, · cotto con seme di vitalba; esimili altre cose.
QuASDO AVES, I t
QUOT ΟΤΑ PARJART.
QDARDO B QUARTE UOVA FACCIAMO OLI UCCELLI.
A r d e o l a e om g e r b r a .
S pbcib d b l l b a b a b o lb .
LXX1X. 58. Columbae proprio ritu oscolantu r ante coitum. Pariant fere bina ova : ita na ta re moderante, ut aliis crebrior sit fetus, aliis numerosior. Palumbes et turtures plurimum terna : nec plus quam bis vere pariunt : atque ila , si prior fetus curruptus est : et quamvis tria pcpererint, numquam plus duobus educunt. Ter tiam quod irritum est, urinam vocant. Palumbis incubat femina post meridiana in matutinam, cetero mas. Columbae marem semper et femi nam pariunt, priorem marem, postridie femi nam . Incubant in eo genere ambo, interdiu mas, n o eta femina. Exclodunt vicesimo die. Pa ria n t a coitu quinto. Aestate quidem iulerdum binis mensibus terna educant paria : nam deci m o oetavo die excludunt, stalimque concipiunt. Q uare inter pullos saepe ova inveniantur, et alii provolant, alii erumpunt. Ipsi deinde pulli quin quemestres fetificant. El ipsae autem inter se (si mas non sit) feminae aeqae saliant, pariuntque ova irrita, ex quibus nihil gignitur ; quae hypenemia Graeci vocant.
LXX1X. 58. Le colombe di propria natura si baciano innanzi che vengano al coito. Fanno due uova, perchì la natura così ragguaglia le cose,che alcuno uccello figli più spesso, ma pochi ; alcuno più rado, ma più figliuoli. Le colombelle e le tortore ordinariamente fanno tre uova, e non figliano più ebe due volle la primavera ; e quest· è, se la prima figliatura si perde ; e benché fac ciano tre oova, non però n’allevano più che due. Il lerzo,ch*é vano, si chiama urino. De* colombi salvatichi la colomba cova dopo mezzo giorno infino all* alba, il resto del tempo cova il ma schio. Le colombe fanno sempre maschio e fem mina, prima il maschio, poi l’altro dì la femmi na. Il maschio cova il giorno, e la femmina la notte. I pippioni nascooo in venti dì. Fan no 1*uova cinque dì dopo il coito ; e alcuna volta la stale in due mesi figliano tre volte, perciocché m diciotto dì l 'nova nascono, e dipoi subito elle impregnano. E perciò spesso si trovano le uova tra*pippioni, e alcuni volano, altri escon del guscio. I pippioni finiti cinque mesi comin ciano a far te uova. E se le femmine non hanno masehio, si calcano tra loro e fanno uova vane, chiamate dai Greci ipenemia, delle quali non nasce nulla.
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C. PLINII SECONDI
5g. Pavo a (rimata perii. Primo anno anum aat alleram ovum, Mqaenti quaterna qninave, cele ris duodena, non amplias, intermittens binos dies lernosve parit, et ter anno, si gallinis subjician·' tur incubanda. Mares ea frangant desiderio In· cabantiam. Qapropler oocta et in latebris pa ri uot, aut in excelso cabantes : et nisi molli strato excepta, frangontar. Mares singulis quinis suffi ciunt oonjugibus. Quam singalae aut binae fuere, corrumpitor salacitale fecunditas. Partus excludi tur diebus ter novenis, aut tardius tricesimo.
Anseres in aqua coeunt, pariunt vere : aut si bruma coivere, post solstitium,quadraginta prope. Bis aono, si priorem fetum gallinae excludant : alias plurima ova sedecim : paucissima, septem. Si quis surripiat, pariunt donec rumpantur. Alie na· non excludunt. Incubanda subjici utilissimum novem, aut undecim. Incubant feminae tantum triceois diebus : si vero lepidiores sint, viginti quinque. Pullis eorum urtica contacta mortife ra, nec minus aviditas, nunc satietate nimia, nunc snamet vi: quando adprebensa radice, morsu saepe conantes avellere, ante colla sua abrum pan t Contra urticam remedium est, stramento ab incubitu sabdita radix earum. ·
60 . Ardeolarum tria genera : leucon, asterias, pello*. Hi in coitu angunlur. Mares quidem cum vociferata sanguinem etiam ex oculis profundunt. Nee minus aegre pariunt gravidae. Aquila trice nis diebus incubat et fere majores alites : mino res vicenis, ut milvus et accipiter. Singulos fere parit numquam plus ternos : is qoi aegolios vo catur, quaternos ; corvus aliquando et quinos : incobant totidem diebus. Cornicem incubantem mas pascit. Pica novenos : melaucoryphos supra vicenos parit semper numero impari : nee alia plores : tanto fecunditas major parvis. Hirundini caeci primo pulli, et fere omnibus quibas nume-· rosior fetas.
Qos OVA BYPEHBMIA : QDK CTIOIDIA
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59 . Il
pavooe figlia come ha fomiti tre anni: il primo anno uno o due uova, il seeondo quat tro o cinque, gli altri dodici e non pià. Fram mette due o tre dì dall* uno all' altro, e se si danno a covare alle galline, se ne possono avere in un anno tre figliature. 1 maschi le rompono, per aver le mogli espedlte ; e peri le femmine fanno le uova di nascoso, e di notte, o da qualche pertiea che s’attraversi sopra il nido ; onde si rompono, se non bando sotto alcuna cosa mor bida. Ciascun maschio basta a dnqoe femmine: e quando egli non avesse pià che una o due mogli, la troppa lussarla del maschio le fa sterili. Le uova nascono in ventisette giorni, o al pià lungo in trenta. Le oche usano il eoito nell* acqua : partori scono la primavera ; o se sono calcate di verno, fanno le nova da metta state intorno a quaranta. Due volte l’anno fanno le nova, se la prime volta si danno a covare alla gallina : quando ne fanno più sono sedici uova, quando meno, sette. Se le uova son lor tolte, attendono a farne tante, che scoppiano. Covano ancora le uova d* altri. Ed è bene non ne porre più ehe nove, o undici. Le femmine covano solamente trenta giorni, 0 se è pià caldo ventìcinque. I peperini muoiono toccando l’ortica. Ναοςβ alcuna volta loro la ingordigia, o per la troppa satietà, o per la troppa lor fo n a ; perocché si sfortano tanto di sveglie!* qualche radice, che si schiantano il collo. Contra l’ortica il rimedio è mettere sotto il nido una radioe pur di ortica. 60 . Tre sorti ci sooo d’ardeole, leucon, asteria» e pello. Questi uccelli patiscono nel coito. I ma schi per le troppe grida gittano sangue per gl» occhi ; uè con minor passione partoriscono le gra vide. L* aquila cova trenta dì, e quasi tutti gli uccelli maggiori : i minori venti giorni, come il nibbio e lo sparviere. Partorisce nno, nè mai pià che tre : quel che si chiama egolio, ne fa qoattro ; il corbo alcuna volta fino a cinque. Covano al trettanti giorni. 11 maschio pasce la cornacchia femmina, che oova. La gatta ne fa nove: to uc cello chiamato melancorifo più di venti, sempre in caffo ; nè altro uccello ne fa piò di lui : tanto» son fecondi gli uccelli, qaanto pià piccoli. I ron dinini da prima son dechi, e sono dechi ancora quasi tutti i figliuoli di quegli oecdli, che ne fanno molti a on parto. Q u a l i cov a s ta v o v a h : q u a l i l b cthosueb :
QUOMODO OPTIMI SKKVEHTUB OVA.
COMB s i c o a s s a v tv o IL m e g l io l s d o t a .
LXXX. Irrita ova, qaae hjrpenemia diximus, aut mutua feminae inter se libidinis imaginatione concipiunt, aol pulvere : nec columbae tantum,
LXXX. Quelle uova, dette gii ipenemia, che le femmine fanno senta maschio per immagi na tione di coito, sono vane ; nè solamente le 00 -
HISTORIARUM MUNDI LIB. X.
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« d et gallinae, perdku, parones, anserei, cheoalopece». Sunt autem sterilia, et minora, ao minos jocandi sapori», et magi» hamida. Quidam et vento putant ea generari: qua de catua etiam sephiria appellantor, Haec aotem Tere tantum fiant, incubatione derelicta, qoae alii cynosura dixere. Ova aceto macerata in tantam emollian tur, ut per annulos transeant Servari ea in lo mento, aot hiema in paleis, aestate in furfuribus, utilissimum. Sale exinaniri credantur.
lombe le bono, ma le galline, le starne, 1 pavoni, le o6he e i chenalopeci. Queste sono sterili, e pià picoole, « di manco grato sapore, e più umide. Alcuni tengono ancora, ch’elle s’ingenerino di vento, e perciò si chiamano sefirei. Queste nasoooo solo di primavera | nè gli acoelli si curano di covarle t da alcuni sono state chiamate cinosure. Le uova messe in maoero nell’ aceto, si ammorbidiscono tanto, che pessano per uno anello. È utilissimo conservare le uova in farina di fave, il verno nella paglia, e la stale nella crusca. Tiensi che il sale le faccia diventar vane.
Q u AB VOLVCXOM SOLA ANIMAL PABJAT, BT L4CTB
Qualb sia quell' uccello, aia solo pabtobucb AMMALB, B LO ALLIBVA DI LATTE.
■UTB1AT.
LXXXI. 6 i. Volucram animai parit vesper tilio tantam, cui et membranaceae pinnae uni. Eadem sola volucram lacte natrit : ubera admo ve». Parens gemino» volitat amplexa infante», secumque portat Eidem coxendix una traditor, et in cibata calices gratissimi.
LXXXI. 6 i. Di tutti gli uccelli il pipistrello solo partorisce animale; ed ei solo ha l’ali di sotlil pannicolo, e nodrisce i figliuoli col latte delle sue poppe. Vola tenendo abbracciali due figliuoli,e portagli seco. Dicono che questo uccello ba solo nna coscia, e ohe gli puccioo molto le «ansare.
, (^>ai T a u m m i ova paxiaht. Sbbpehtiu· GBffEBA.
Quali ammali tbrhbstbi vacciaho uova. Spbcib db’ sbbpbbti.
LXXX1I. 6 s. Rorsas in terrestribas ova pa riant serpentes: de quibus nondam dictam est Coeant complexa, adeo rireumvolotae sibi ipsae, ut una existimari biceps possit. Viperae mas ca put inserit in os, qaod illa abrodit voluptatis dulcedine. Terrestrium eadem sola intra se parit ova unius coloris et mollia, ut pisces. Tertia die intra oteram catulos excladit : deiode singulos singulis diebas parit, viginti fere numero. Itaqoe ceterae tarditatis impatientes, perrumpunt latera, occisa parente. Ceterae serpentes contexta ova in terra incabant, et fetum seqoente excluduot an no. Crocodili vidbos incubant, mas et femina. Sed reliquorum quoque terrestrium reddatur feneratio.
LXXXII. 6 a. Degli animali terrestri le serpi partoriscono nova, delle quali non s’ ì ancora ragionato. Usano il coito sì avviluppate insieme, che due paiono una con due capi. H maschio della vipera mette il capo io bocca alla femmina, *d ella per la dolcezza del diletto glielo rode. Essa sola degli animali terrestri partorisce dentro di sè l'oova di un colore e tenere, come i pesci. 11 terzo giorno entro al corpo manda foori dell’ute ro i viperioi, poi ne fa ogni dì ano, qassi fino a venti. E però gli altri, che non soffrono d’aspeltar tanto, le rodono i fianchi, e cosi uccidono la ma dre. L’altre serpi covano l’aova coperte io terra, e mandano foori il parto Tanno seguente. I cro codili covano a vicenda il maschio e la femmina. Ma egli è oggimai tempo che si ragioni ancora degli altri animali terrestri.
T n iu n ic i otamm
g e w e b a tio .
LXXX1II. 63. Bipedam solus homo animal gignit Homini tantom primi coitos poenitentia, angarium scilicet vitae a poenitenda origine. Ce teris animalibos stati per tempora anni concubi tas : homini ( ut dictum est ) omnibas horis die rum noctiumque. Celeris satietas io coitu,homini prope niilla. Messalina Claudii Caesaris coujux , regalem existimans palmam, elegit in id certa-
GbUBBAZIOITB DI TUTTI I TEBBESTEI. LXXX1II. 63. Degli animali di dae piedi solo l’ oomo genera animale. Solo l’ uomo dopo il coito si pente ; e ciò è segno, ehe a chi nascerà dee increscere d’aver tratta la vita da quella ori gine. Gli altri animali a certi tempi ordinati dell’ anno vanno in amore, ma l’ oomo, come s’è dello, a tutte l’ore del dì e della notte. Gli altri animali si saziano del coito» e l’ uomo non mai.
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C. PLINU SECUNDI
men nobilissimam e proitiiolìi ancillam mereestipi*, earaque nocie «e di· superavit quinto atque vicesimo conoabitu. In hominum geoere naribus diverticula Veneria excogitata, omnia scelere naturae; feminis vero abortus. Quantum in bac parte multo nocentiores quam ferae sumus ! Viro· avidiorea Veneris hieme, fe mina* aestate, Hesiodus prodidit. m iìm
Coitus aversis elephantis, eamelis, tigribus, lyncibus, rhinoceroti, leoni, dasypodi, cuniculis, quibus aversa genitalia. Cameli etiam solitudines, aut secreta certe petunt : neque intervenire da tur sine pernicie. Coitus tota die ; ét his tantum ex omnibus, quibus solida ungula. In quadrupe dum genere mares olfactas accendit Avertuntur et canes, phocae, lupi, in oaedioque coitu, invi* tique etiam cohaerent. Supra dictorum plerisque feminae priores superveniunt, reliqais mares. Ursi autem, ut dictum est, humanitus strati, he rinacei stantes ambo iuter se oomplexi : feles nare stante, femina subjacente: vulpes in latera projectae,maremque femina amplexa. Taurorum cervprumque feminae vim non tolerant : ea de causa ingrediuntur in oonceptu. Cervi vicissim ad alias transeunt et ad priores redeunt. Lacer tae, ut ea quae sine pedibas sunt, circumplexu Venerem novere.
Omnia animalia quo majora corpore, hoc mi nus fecunda sunt. Singulos gignunt elephanti, cameli, equi : acanthis duodenos, avis minima. Ocyssime pariunt, quae plurimos gignant Qao majus est animal, tanto diutius formator in «tero. Diutius gestantur, qoibus longiora sunt vitae spatia. Neque crescentium tempestiva ad gene randum aetas. Quae solidas habent ungulas, sin gulos: quae bisulcas, et geminos pariunt. Quo rum ia digitos pedum fissura divisa est, ea nu merosiora in fetu. Sed superiora omnia perfectos edunt partus,haec inchoatos: in quo sunt genere leaenae, ursae: et vulpes infermia etiam magis, quam supradicta, parit : rarumque est videre pa vientem. Postea lambendo calefaciunt fetus om nia ea, et figurant. Pariunt plarimom quaternos.
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Messaline, Mogli· di Claudio imperatore, stiman do che ciò fesse ana vittoria reale, elesse · questa pruova una delle più belle, ehe si concedessero a presso nel bordello, e in nn di e una notte P avanaò di venticinque volte nel coito. Hanno gli uomini trovati indiretti modi nei piaceri amorosi, eon scelleraggine della natura; e le donne hanno trovato lo sconciarsi. E in questa parte quanto siamo noi pià colpevoli che le fiere! Scri ve Esiodo, che gli nomini sono più inclinati alla lussuria il verno, e le donne la state. Usano insieme, volgendo la femmina le spalle al maschio, gli elefanti, i camelli, le tigri, i lupi cervieri, i rinoceronti, i lioni, i tassi, i conigli, i quali hanno le parti genitali di dietro. I camelli vanno alle solitudini, o a1 luoghi secreti, e cor resi pericolo a trovargli in simile atto. Stanno lotto il £ eooginnti insieme quegli animali, che hanno P unghia di nn pezzo. Negli animali da quattro piedi i maschi vanno in frega al fiuto. Usano il coito per le parti di dietro ancora i cani, le foche e i lupi, e nel mezzo del ooito e oontra lor volontà restano insieme attaccati. A molti dei sopraddetti animali sopravvengono prima le fem mine, agli altri 1 maschi. Gli orsi poi, come già si è detto, usano insieme nel modo che fa l 'uomo, stando a giacere ; gli spinosi ritti, alando amendue iosieme abbracciati ; le faine stando il ma schio in piè, e la femmina a giacere ; le volpi messesi per lato, avendo la femmina abbracciato il maschio. Le femmine del tori e dei cervi non sopportano la forza, e per questa cagione entra no nel ooito. 1 cervi scambievolmente vanno alle altre, e ritornano alle prime. Le lucertole, come qnei che sono senza piedi, con lo abbracciarsi usano insieme. Tatti gli animali quanto hanno maggior cor po, tanto aon manco fecondi. Gli elefanti, i ca melli e i cavalli non ne (anno più che uno, a Pacante, che è ano uccello piccolissimo, ne fe do dici. Partoriscono prestissimo quegli ammali, ehe ne fanno assai. Quanto maggiore è lo ani male, tanto pià lungamente si forma nel corpo. Pià lungamente si portano quegli, che hanno più lunga vita ; e quegli, che tuttavia crescono, non son buoni a ingenerare. Quegli, che hanno Γ unghia di un pezzo, ne fanno un per volta s quegli, che P hanno fessa, ne fanno sino a due. Quegli, che hanno la fessura dei piedi divisa ia dita, ne partoriscono più. I sopraddetti fanno i parti perfetti, ma questi ultimi solo abbottali, come le liooesse, le orse e le volpi. Anzi le volpi partoriscono aoimali pià deformi, che non fanno gli altri, e di rado st veggono partorire. Tutti questi leccando poscia riscaldano i parti e danno loro figura. Partoriscono le pià volte quattro.
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Caecos autem gignant cane·, lapi, pantherae, thoes. Canam plura genera. Lteonicae octavo mense atrimque generant. Ferant sexaginta die bus, el plarimum tribus. Ceterae cane· et seme stres coilnm patiuntur. Implentur omnes uno coitu. Quae ante justum tempus concepere, diu tius caecos habent catulos, nec omnes totidem «liebus. Existimantor in orioa attollere eros fere semestres: id est signum consummati virium ro boris: feminae hoc idem sidentes. Partus duode ni, quibus numerosissimi : cetero quini, seni, s d iq u a n d o singuli, quod prodigiosam potant, si cut omnes mares, aut omnes feminas gigni. Pri mos qooqae m e re s pariant : in ceteris alternant. Incantar a partu sexto mense. Octonos Laconicae pariunt. Propria in eo genere maribos labore aalacitas. Vivant Laconici annis denis, feminae duodenis: cetera genera quindenos annos, ali quando et vicenos : nec tota soa aetate generant, fere a doodecimo desinentes. Feliam et ichneamonam reliqua, ut canum. Vivunt annis senis.
Dasypodes omni mense pariunt, et superfe tant, sicut lepores. A partu statim implenlar. Concipiunt, quamvis ubera siccante fetu. Pariunt vero caecos. Elephanti, at diximas, pariunt sin gulos, magnitudine vitali trimestris. Cameli doodecim mensibus ferunt : trimatu pariunt vere, ilernmqoe post annum implentur a partu. Equas autem post tertium diem, aut post unum ab eoixo utiliter admilli putant, coguotque invitas. Et mulier septimo die concipere facillime creditur. Equarom jubas tondere praecipiunt, at asinorum in coita patiantur harailitalem : comantes enim gloria superbire. A coito solae animalium cur ru ut ex adverso Aquilone Austrove, prout marem aot feminam concepere. Colorem illico motant rubriore pilo, vel quicumque sit, pleniore : hoc argumento desinunt admittere, eliam nolentes. Nec impedit partus quasdam ab opere, falluntque gravidae. Vicisse Olympia praegnantem Echecratidis Thessali invenimus. Equos, et canes, et soes initum matutinum adpetere, feminas autem post meridiem blandiri diligentiores tradunt. Equas domitas u diebus equire, antequàra gre gales : sues tantam coita spumam ore fundere : verrem subantis audita voce, nisi admittatur, ci bum non capere usque in maciem: femioas autem iu tantum efferari, ut hominem lacerent, candida maxime veste indutum. Rabies ea aceto mitiga tor naturae asperso. Aviditas coiUp putatur et cibis fieri : sicut viro eruca, pecori caepa. Quae ex feris mitigentur, non concipere, ut anseres ;
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I cani, i lupi, le pantere e 1 tei gli fanno cie chi. Sono molte sorti di cani. I Laconici ingene rano di otto mesi. Portano sessanta giorni, e al pià sessantrè. Le altre cagne anche di sei mesi im pregnano, e al primo coito. Quelle che ingravi dano innanzi il tempo giusto, più lungamente hanno i catellini ciechi ; nè tatti aprono gli occhi in an medesimo tempo. Stimasi che di sei mesi orinando alzioo la gamba, e questo è seguo che hanno perfette le furze : le femmine orinando si abbassano in terra. I parti loro, al più che pos sano essere, son dodici, e per lo ordinario cinque o sei, e talora ono, il che si tieoe per prodi· gio, come anco se nascono tolti maschi, o tolti feromioe. I primi che partoriscono la prima volta son maschi : le altre volle Canno or 1' ono, or Peltro, se sono coperte a tempo debito. Coopronsi sei mesi dopo che hanno figliato. Le Laconiche ne fanno otto per volta. In questa specie naturai mente i maschi si dilettaoo della fatica. Qaesti vivooo dieci anni, e le femmine dodici : le altre specie quiodici anni, e talora anco venti, ma dopo i dodici anni rade volle figliano. Le faine e gli icneumoni nel resto fanno come i cani. Vivono sei anni. I lassi figliano ogni mese, e le femmine ben· chè sieno pregne, impregnano di naovo, come le lepri. Subito che hanno figliato, ingravidano9 benché i già nati poppino. Partoriscono i figli ciechi. Gli elefanti ne fanno un per volta, grande quanto un vitello di tre mesi. I camelli portano dodici mesi, e partoriscono di primavera di tre in tre anni, impregnando un anno dopo che hanno figliato. Ma le cavalle dopo il terzo gior no del parto, o dopo uno, dicesi che utilmente si montano : spesso le fanno montare per for za. La donna facilmente si ingravida il setti mo di dopo il parto. Mozzano i crini alle cavalle, acciocché si degnino esser montate dall’asino, perchè quando hanno i crini se ne glo riano tanto, che insuperbiscono. Esse sole fra tutti gli altri animali, poich’ elle sono state mon tate corrono contra il vento di tramontana, o di mezzogiorno, secondo che son gravide di ma schio o di femmina. Mutano subito colore, e il pelo acquista il rossiguo, o qualche altro color più pieno ; onde i pastori ciò veggendo, non le lasciano più montare, ancora eh* elle volessero. Nè impedisce il parto che alcune non possano sopportare la fatica : alcune anche son gravide, che par tutto allro.Truovasi che ne’giuochi Olim pici noa cavalla d’Echecratide Tessalo pregoa vin* se. I cavalli, i cani e i porci desiderano il coito la mattina, ma le femmine dopo mezzodì più lusin gano i maschi, secondo che i più diligenti hanno considerat?. Le cavalle dome sessanta dì prima
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apros vero tarde, et cervos, nec nisi ab infantia educatos, mirum est. Quadrupedum praegnantes Tenerem arcent, prater equam et suem. Sed su perfetant dasypus et lepus tantum.
die quelle ddle mandre vanno in amore : i pord solamente nel coito fanno schioma alla bocca. Se il verro ode il grido della troia, che sia in caldo, e non sia lasciato montare, dimagra tanto, che muore ; e le troie diventano si fiere, che sbraoano gli uomini, massimamente se son vestiti di bianco. Tal rabbia si mitiga bagnando loro la natura con aceto. Credesi eh’ elle vadano mol to in caldo, secondo la qualità de' cibi, siccome fa all1nomo la ruchetta, e la dpolla al bestiame. Quelle che di selvatiche s* addomesticano, non sogliono iogravidare, il che veggiamo nell' oche. 1 cioghiali e i cervi coucepono, se sono allevali da piccoli. Tutte le bestie da quattro piedi, quaudo son pregoe, fuggono il coito, in fuor che la cavalla e la troia. Ma non impregna di nuovo quella che è pregna, se non il tasso e la lepre.
Q oae s it arim alium ik u t e r is p o s it io .
Q dalb sia la p o s it u r a d e g l i a n im a l i b e l l ' u t er o .
LXXXIV. 64 . Quaecumque animai pariunt, io capita gignunt circumacto sub enixum fetu : alias in utero porrecto. Quadrupedes gestantur extensis ad longitudinem cruribus, et ad alvum suam applicatis : homo io semet conglobatus, ioter duo genua uaribus silis. Molas, de quibus ante diximus, gigni putant, ubi mulier non ex mare, verum cx seraetipsa tantum conceperit : ideo neo animari, quia non sit ex duobus : allricemque habere per se vitam illam, quae salis arboribusque contingat. 65. Ex omnibus, quae perfectos fetus, sues tantum ct numerosos eduut : item plures, contra naturam solidipcdutn, aut bisulcorum.
LXXXIV. 64 . Totli quegli, che partoriscono animale, lo fanoo col capo innanzi, perchè vi si volge nel tempo del parto : altrimenti sta disteso nell’ utero. Gli animali di quattro piedi tengono le gambe distese, e accoste al suo corpo : l 'uomo sta aggomitolalo io sè stesso col naso tra le gi nocchia. Le mole, delle quali dinanzi parlammo, nascono quando la donna ingravida di sè stessa, e non del maschio ; e per qoesto non si fanno vive, perchè non sono concette di doe, e sodo nutrite di quella vita, eh' è nelle piante. 65. Di tutti quegli, che fanno perfetti parti, soli i porci ne fanno assai, più che non comporta la natura di quegli, che hanoo Γ ugna d* un pezzo, o di due.
Q uorum anim alium o r ig o a d h c c in c e r t a s it .
LXXXV. Super cuncta est murium fetus, haud sine cunctatione dicendus, quamquam sub auctore Aristotele et Alexandri Magui militibus. Generatio eorum lambendo constare, non coitu, dicitur : ex una genitos cxx tradiderunt : apud Persas vero, praegnantes et in venire parentis repertas. Et salis gustatu fieri praegnantes opi nantur. Itaque desinit mirum esse, node vis tanta messes popolelur murium agrestium : in quibus illud quoque adhuc latet» quonam modo illa multitudo repente occidat. Nam nec exanimes reperiontur, neque exstat qui murem hieme in agro effoderit. Plurimi ita ad Troadem prove niant : et jam inde fugaverunt incolas. Proventus eorum siccitatibus: tradunt etiam obituris vermi culum in capile gigni. Aegyptiis muribus durus
Di QUALI
AMMALI SIA ASCORA III CERTA L* ORIGIIE.
LXXXV. Sopra tutti gli animali ì topi oe fanuo infiniti ; de'quali vuoisi parlare nou senza circospezione, benché con Γ autorità di Aristo· tele e de' soldati di Alessandro Magno. N ascono dal leccare, e non dall'usare insieme. Dissero che una femmina ne fece centoventi : in Persia si son trovatele femmine de'topi gravide nd corpo della madre. Tiensi ch'elle impregnino anche solo al gustar dal sale. Però non è da maravigliarsi, che tanta quantità di topi campestri guastino talora le ricolte ; e insino a qui ancora non ti truova iu che modo quella tanta moltitudine io uu tratto si muoia. Pcrciucch' essi nè si trovano morti, nè c* è alcuno che il verno lavorando la terra ne trovi nel campo. Assai così ne perven gono nella Troade, e già ve ne sono venuti tanti.
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pilas, sicut herinaceis. lidem bipedes ambulant, ceu Alpini qooqae. Qoam diversi generis coivere animali·, ita demam generant, si tempus nascen di par habent. Qaadrapednm ova gignentium lacertas ore parere (ot creditur vulgo) Aristoteles negat : neqoe incubant eaedem, oblitae quo sint in loco enixae, qaoniam huic animali nulla me moria. Itaqae per se catuli erumpunt.
che n' hanno cacciati gli uomini del paese. Di cesi che moltiplicano per lo secco, e che quando hanno a morire nasce a loro in capo un piccolo vermine. 1 topi d'Egitto hanno il pelo doro, come gli spinosi, e camminano in doe piedi, come quei dell' Alpi. Quando gli animali di di verse sorti s 'impacciano insieme, ingenerano, se Γ uno e l’ altro ha il medesimo tempo del parto· rire. Degli animali da qoattro piedi, che facciano nova, dice Aristotile, contra quel che tiene il volgo, che la lucertola non partorisce per bocca, ni anco cova altrimenti le sue uova, dimentican dosi dove 1*abbia fatte, perchè questo animale non ha memoria alcuna. 1 lucertolini dunque nascono da loro.
Db s a la m a r d b is .
D e l l e sa b a m a v d ib .
LXXXVI. 66 . Anguem ex medulla hominis spinae gigni, accipimus a multis. Pleraque enim occolta et caeca origine proveniunt, etiam in quadrupedam genere :
LXXXVI. 66 . Noi abbiamo inteso da mol ti, che della midolla della spina dell' nomo casco la serpe. Perciocché molte cose vengono da in certa e oscura origine, ancora negli animali qua drupedi : 67 . Siccome è la salamandra, animale simile alla lucertola, pieno di stelle, il quale non viene mai, se non a tempo di lunghe piogge, e per sereno manca. Questo animale è tanto freddo, che spegne il fuoco al tocco, non altrimenti che farebbe il ghiaccio. Escegli di bocca nno amore a guisa di latte, il quale toccando Γ uomo in qual sivoglia parte del corpo, gli fa cadere tntti i peli, e quella parte eh'è tocca, si muta di colore e rimane imperfetta.
6 7 . Sicut salamandra, animal lacerti 6 gora, stallatoli), oomqaam, nisi magnis imbribus, pro veniens, et serenitate deficiens.Huic tantus rigor, ut ignem tactu restinguat, non alio modo, quam glacies. Ejusdem sanie, qoae lactea ore vomitor, quacumque parte corporis humani contacta, toti defluunt pili : idque quod contactum est, colorem in vitiliginem mutat.
Q o a e b u sc a r t i» e x ro r g e r it is . Q cab r a t a r ih il GIGNAR : IR QUIBUS RBVTEB SBXCS SIT.
Q u a l i a n im a l i nascono d a ' bo r r a t i . Q o a l i e s sendo
RATI, NULLA GBNB&ANO : IR QUALI ROR CI
HA NÈ L ' UNO NÈ L' ALTRO SBSSO.
LXXXVII.6 8 .Quaedam vero gignuntur ex non genitis, et sine ulla simili origine, ut supra dicta: et quaecomqoe aetas, aut ver, statutumque tem po· anni generat. E t iis quaedam nihil gignunt, ot salamandrae. Neque est iis genus masculinum femininumve : sicut neque io anguillis, omnibusqoe qoae nec animal, nec ovum ex sese generant. Neutram est et ostreis genus, et ceteris adhae rentibus vado vel saxo. Quae autem per se gene rantur, st in mares ac feminas descripta sunt, generant quidem aliquid coitu, sed imperfectam et dissimile, et ex quo nihil amplius gignatur, ut vermiculos muscae. Id magis declaravit natura eorum, qoae insecta dicantur, arduae explana tionis omnia, et privatim dicato opere narranda. Quapropter ingenium praedictorum, et reliqua subtexetur edissertatio.
LXXXVI1. 6 8 · Alcuni animali nascono dei non generati, e senza alcuna simile origine, coire i sopraddetti, e quei che son prodotti dalla state o dalla primavera, e da un tempo ordinato dell'anno. Di questi alcuni non generano nulla, come le salamandre. E questi non sono nè ma» schio nè femmina, siccome interviene nelle an guille, e in tutti gli animali che non figliano, nè fanno uova. L 'ostriche ancora non sono nè ma schi, nè femmine, e tutti quegli che stanno ap piccali ai sassi o al fondo. Ma quegli che si gene rano per sè stessi, e son distinti in maschi e in femmine, generano alcuna cosa per coito, ma imperfetta e diversa, nè di quello altri si genera, come sotto i vermini, che nascono delle mosche. Ciò si conosce meglio per la natura di quelli che si chiamano insetti, animali di somma dif ficoltà, a volerne discorrere, e da esser trattati
G. PUNII SECONDI
OOQ »w
IOOO
in una opera appartata. Però della natara dei predetti diffusamente ragioneremo altrove. T aCTOM OMNIBUS BSSB :
D bi sbbsi d e g l i a n im a li. C sb t u t t i b a b b o i l t a t
I T U GUSTATUM. QoIBUS VISUS PRAECIPUUS : QUI
t o b i l g u s to . Q o a l i a b b ia b o p iù a c u t a v i s t a :
D b SBNSIBUS ABIMAUUM.
BUS ODORATUS : QOIBUS AUDITOS : DB TALPIS.
All
OSTRBIS AUDITUS.
LXXXVIII. 69 . Ex sensibos ante cetera homìui tactos, deio gustatus: reliqais snperatur a malti·. Aqailae clarius oernaot: vultures sagacia* odoraotar : liqaidias aadiuot talpae obrutae ter ra, tam denso atque «ardo natorae elemeoto. Praeterea voce omoiom io sublime teodente sermonem exaudiuot : et si de iis loqaare, intelligere etiam dicantur, et profugere. Aaditas cai hominam primo negatas est, buie et sermonis asas ablatas : nec sant naturaliter sardi, ut non iidem sint et moti. In marinis, ostreis aadiloro esse, non est verisimile : sed ad sonam mergere se dieantar solere. Ideo et silentium in mari piscantibas. Qui
b x p isc ib u s c la r is s im e a c d i a k t .
LXX XIX. 70. Pisces qoidem aaditusoec mem bra habent, nec foramina : audire tamen eos pa lam est : at patet, qaum plausu congregari feros ad eibum adsaetudine in qoibusdam vivariis spe ctetur : et in piscinis Caesaris genera piseium ad nomen venire, quosdamqoe siogolos. ltaqne pro da otar etiam clarissime aadire, mugil, lupus, salpa, chromis, et ideo in vado vivere. Qui b x
p is c ib u s h a x ik b o d o b b b tu t.
XC. Olfactam iis esse manifeste palei : qoippe non omnes eadem esca capiontar : et prius, quam adpetant, odoraotar. Quosdam et speluncis la tentes, salsamento illitis faucibus scopuli piscator expellit, veluli sui cadaveris agoitionem fugien tes. Conveniuotque ex alto etiam ad quosdam odores, ut sepiam ustam, et polypum : quae ideo conjiciantur in nassas. Sentiuae quidem navium odorem procol fugiunt: maxime tamen piscium sanguinem. Non potest petris avelli polypos: idem conila admota, ab odore protinus resilit. Purpurae quoque foetidis capiuntur. Nara de re liquo animaliom geoere qqis dubitet ? Cornus cervini odores serpeutes fugantur, sed maxime styracis : origani, aut calcis, aut sulphuris formi cae necantur. Culices acida petunt, ad dulcia non advolant.
q u a l i l ’o d o r a t o : q u a l i l 'u d i t o . D b l l b t a l p b .
Sb l ' o s t r i c h e a b b ia b o u d i t o .
LXXXVIII. 69.11 tatto e il gusto sono eccel lentissimi nell'uomo, che negli altri sentimenti è superalo da molti animali. L'aquile veggon me glio: gli avoltoi hanno maggiore odorato : le talpe rinchiuse nella terra, tanto denso e sodo elemento di nalura, odon meglio; e benché la voce vada in so, pure odono il parlar nostro, e se si ragiona di loro, si dice che intendono, e fuggono altrove. Ogni uomo, che da principio é privo ddl'odire, é anco privo del favellare, e non c' è sordo na turale, che parimente non sia mutolo. Non è verisimile, che le ostriche marine abbiano l'adito; ma pure si toffano, quando senton romore: però i pescatori sogliono star cheli. Q u a l i t e a 1 p b sc i o d a b o a s s a i d is tin ta m e b tb .
LXXX1X. 70 . 1 pesci non hanno membra, nè fori da potere udire, ma però è cosa certa che odono ; perché si vede, ch'essi a un certo suono si raunano ne'vivai a pigliar Pesca. E nelle pe schiere di Cesare si chiamano di per si tutte le sorte di pesci, che vi sono, e vengono, e alcani d'essi hanno nome proprio. Perciò si vede die odono benissimo il muggine, il lupo, la salpa, il cromi, e per qaesto vivono in poca acqua. Q u a l i s p e c ia l m e n t e abbiano o d o r a to .
XC. E similmente non è dubbio che hanno odorato, perciocché tulli non si pigliano a ana medesima esca, e la fiutano prima che la vogliano mangia re. Sogliono i pescatori, quando i pesd sono ascosi sotto qualche scoglio, ugnere la bocca della lana con qualche sai sume, e così i pesd fuggono, come se conoscessero quello essere odore di pesd morti. Vengono aucora fin di alto mare a certi odori, come a quello della seppia arrostita e dei polpi, e per questo si mettono nelle nasae. Alcuni fuggooo l’odor della seatina delle navi, e massimamente il sangue del pesce. Il polpo non si può spiccar ddle pietre; ma se vi si accosta di quella erba, che si chiama santoreggia, sabito si stacca, per fuggir quell'odore. Le porpore aacora si pigliano con le carogne. E non c'è dub bio alcuno degli altri auimali. Le serpi fuggono l'odore dd corno di cervo, ma molto più dello
loor
HISÌORIABUM MUNDI IJB. X.
71 . Taclu* Mnsu· oranibos est, eliam quibus nallas alias : nata et ostreis ; et terrestrium, ver mibus quoque.
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storace; e le formiche maoiono all'odore ddPorigano, o ddla calcina, o -del zolfo. Le zanzare T a n n o alle cose acetose, ma non alle dold. 71 . Tutti gli animali hanno il tatto, fino a quegli, che non hanno niuno diro sentimento ; perciocché lo hanno anoora le ostriche e i Termini della terra.
D ivbbsitas i m i u r a » *a*tu.
D lT U S lT À DI ARMALI QUARTO A VASTO.
XCI. Existimaverim omuibu* seusum et gu•tatù* esse : cur enim alio* alia sapore* adpetant? io quo vel praecipua naturae architectae vis. Alia dentibus praedantur, alia unguibus, alia rostri aduncitate carpunt, alia latitudine ruunt, alia acumine excavant, alia sugunt, alia lambunt, sor bent, manduut, voraut. Nec minor variela* in pedom ministerio, ut rapiant, distrahant,teneant, premant, pendeant, tellurem scabere non cessent.
XCI. lo credo che tutti abbiano ancora il senso dd gusto. Infatti, perchè appetisoono essi chi un sapore e chi un altro? nella qual cosa si poò T e d e re una maraTigliosa industria della na tura. Alcuni predano co*denti, altri c o n l'unghia; diri pigliano col becco aggav ig n a to , altri scor rono per la larghezza, altri c aT a n o , altri succiano, altri leccano, assorbono, masticano, d iT o ra u o . Nè hanno punto minor varieté ndl’ opera de’ piedi, perchè con essi rapiscono, straziano, tengono, premono, sospendono, e non rifinano di frugac chiare e scalfire la terra.
Q o u VBimms
vitamt.
Q u a l i t iv a r o d i t b l b v i .
XCII. 7 *. Venenis capreae, et coturnices (ut diximus) pinguescunt, placidissima animalia : at serpentes ovis, spectanda quidem draconum arte: aut enim solida hauriunt, si jam lances capiunt, quae deinde in semet convoluti frangunt intus, atque ila putamina extussiunt : aut si tenerior est catulis adhuc aetas, orbe adprehensa spirae, ita sensim vehementerque praestringunt, ut am putata parte, ceu ferro, reliquam quae amplexu tenetur sorbeant. Simili modo avibus devoratis «olidis» contentione plumam excitam revomunt.
XC1I. 72 . I capriuoli e le quaglie, come ab· biam detto, ingranano di veleni, e pur sono animdi molto p ia c e T o li: le serpi ingrassano di nova ; e qui s'ha da considerar l*arte delle serpi. Perciocché o esse le inghiottiscono sode, se lor possono entrare in gola, e allora rivolgendosi fra sè stesse le spezzano dentro, e così ne cavano qud tenero, e mandano fuori i gusci : o se la serpe è giovane, talché ella non possa inghiottire, diora s'avvolge intorno alPuovo, e a poco a poco lo stringe in modo, che levatone una parte, come s e facesse col ferro, inghiottisce P altra che tiene ristretta. E similmente quando hanno inghiottiti gli occelli interi, col divincolare e voltolarsi man dano fuor le piume e Possa.
Q u ab t b b ia : q u a e fa m b a o t s it i vov ιοτβββαιττ .
Q u a l i v iv a ro d i t b b b a : q u a l i r o h n u o t i l o DI FAME, u à DI SBTB.
XCIII. Scorpione* terra vivant. .Serpentes, quum occasio est, vinum praecipue adpetunt, quum alioqui exiguo indigeant potu. Eaedem minimo et paene nollo cibo, quum adservantur indusae : «culi aranei quoque, alioqui suctu vi ventes. Ideoque nullum interit fame aut «ili vene· natum. Nam neque calor his, neque sanguis, ne· que sudor, quae aviditatem naturali sale angent. In quo genere omnia magis exitialia, si snura genus edere, antequam noceant. Condit in the sauros maxillarum cibum sphingiorum et satyro rum genu* : mox inde sen*im ad mandendum
XCIII. Gli scorpioni vivono di terra. Le serpi, quando possono averne, beono volentieri del vi no, ancora che per altro abbian poco bisogno di bere: e anco non hanno quasi punto bisogno di mangiare, quando elle si tengono rinchiuse; come ancora i ragnateli, i qoali vivono di suc ciare. Per questo nessuno animai velenoso non muore nè di fame, nè di sete. Perciocché essi non hanno nè caldo, nè sangue, nè sudore, le quali cose col sale naturale accrescono la ingordigia loro. Nel qual genere più mortiferi sono, se s’ab battono aver mangiato alcuno animale della epe-
ιοο3
C. PUN II SECUNDI
manibus expromit : et qaod formici* in annum solemne est, his in dies vel horas.
73 . Unum animal digitos habentiam herba alitur, lepos : sed et froge solidipedes, et e bisol eis sues omni cibata et radidbus. Solidipedum volutatio propria. Serra toram dentium earnivora snot omnia. Ursi et froge, fronde, vindemia, pomis vivant, et apibus, cancris etiam, ac formi da. Lapi, ut diximus, et terra in fame. Pecus pota pingaescit : ideo sal illis aptissimus : ilem veterina, quamquam et fruge et herba : sed ot bibere, sic edunt. Ruminant praeter jam dicta, silvestrium cervi, quum a nobis alantur : omnia autem jacentia potius qaam stantia, et hierae magis qaam aestate, septenis fere mensibus. Pontid quoque mures simii modo remandant.
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d i v b b s i t a t b p o to s .
XC1V. In potu autem, quibus serrati dentes, lambant : at mares hi vulgares, quamvis ex alio genere sint. Quibus continui dentes, sorbent ; ut equi, boves. Neutrum ursi, sed aquam quoque morsa vorant. In Africa major pars ferarum aestate non bibunt inopia imbrium : qaam ob causam capti mares Libyci, si bibere moriuntur. Orygem perpetuo sitientia Africae generant, et natara loci potu carentem, et mirabili modo ad remedia sitientiam. Namque Gaetuli latrones eo durant auxilio, repertis in corpore eorum sala· berrimi liquoris vesids. Insidunt in eadem Africa .ardi condensa arbore, occultatique earum ramis, in praetereuntia desiliunt, atque e volucrum sede grassantur. Fdes qaidem quo silentio, qaatft levibus vestigiis obrepunt avibus, quam occolte speculatae in musculos exsiliunt! Excrementa sua effossa obruunt terra, intelligentes odorem illum indicem sui esse.
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de loro innanzi che naocaao. Le sfingi e i satiri nascondono il dbo in certe bache ddle raascdle, e dipoi a poco a poco lo cavano fuor con le mani per mangiare : e quello che le formiche ripongo no per un anno, questi lo conservano per où di, 0 per poche ore. 73 . Un solo animale di qud che hanno le dita, si pasce d'erba : qaesto è la lepre : e di qaei che hanno l'ugne fesse, i porci mangian d’ogni cosa, fin delle radici.'Jl voltolarsi è proprio di qaei che hanno i piè sodi. Tutti quegli che hanno 1 denti a modo di sega, mangiano carne. Gli orsi vivono di biade, di foglie, d'uva, di mele, di pec chie, di granchi e di formiche ancora. 1 lupi, come dicemmo, mangiano fin della terra, quando hanno fame. Le pecore ingrassano di bere, e per ciò il sale è loro utilissimo ; e ancora gli animali che portano, benché vivano di biade e d'erba ; ma come bevvero, così mangiano. Oltra gli ani mali già detti, de'salvatici rugumano i cervi, quando son pasciuti da noi ; e tatti pià tosto a giacere, che ritti, e piò di verno, che di state, quasi per sette mesi. I topi Pontid anch'essi rugumano nel medesimo modo. D e l l a d iv e r s it à d e l b b b b .
XC1V. Quei che hanno i denti a uso di sega, beendo leccano, e i nostri topi ancora, benché sieno di un'altra specie. Quei che hanno i den ti continuati, assorbono, come i cavalli e i buoi. Gli orsi non fanno nè l'uno, nè l'altro, ma divo rano l'acqua col morso. In Africa la maggior parte delle fiere non beono la state, per la care stia delle piogge. Per la qual cosa i topi di Libia quando son presi beendo muoiono. In Afriea, dove il paese ha sempre carestia d'acqua, naaca un animale, che si chiama orige, il qude seguen do la nalura del suolo, mai non ha bisogno di bere ; eppure è di mirabil bontà per rimedio di coloro che hanno sete. Perciocché gli assas sini di Getulia durano con qudlo aiuto contra -la sete, trovando nel corpo loro certe vesdche di saluberrimo licore. Posand nella medesima Africa i pardi fra le fronde degli alberi, e appiat tando» ne'rami loro saltano addosso agli animali che passano, e così predano da on sito che è proprio degli uccelli. Ma con qual silenzio e eon quanta destrezza i gatti assaltano gli uccelli, e co me segretamente appostano e ammazzano i topi ! Coprono lo sterco loro con la terra, conoscendo che l'odor d'esso gli scuopre.
HISTORIARUM MUNDI LIB. X.
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Q u ab i i m
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A m ic it ia m ahim a liu m
: BT AFFECTUS a b im a liu m .
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Q o a l i a m m a li u sin o f r a lo b o a v v e r s io n e . C he SI DÀ AMICIZIA PRA GLI ANIMALI : AFFETTI DI ESSI.
XCV. 74 . Ergo et alios quosdam sensos esse, quam supra dictos, haud difficulter apparet. Sunt enim quaedam his bella amicitiaeque, unde et affectus, praeter illa quae de quibusque eorum suis diximus locis. Dissident olores et aquilae : corvus et chloreus, noctu invicem ova exqui rentes. Simili modo corvus et milvus, illo praeri· piente huic cibos: cornices atque noctua : aquilae et trochilus (si credimus), quooiam rex appellatur avium : noctuae et ceterae minores aves. Rursus cnm terrestribus, mustela et cornix : turtur et pyralis, ichneumones vespae et phalangis. Ranae aquaticae, et gaviae. Harpe et triorches accipiter. Sorices ed ardeolae, invicem felibus insidiente·. Aegì thus avis minima cum asino. Spinetis enim se scabendi causa atterens, nidos ejus dissipat : quod adeo pavet, ut voce omnino rudentis audi ta, ova ejiciat, pulli ipsi metu cadant. Igitur ad volans ulcera ejus rostro excavat. Vulpes et Nili angues ; mustele, et sues. Aesakra vocator parva avis, ova corvi frangens, cujos pulli infestantur a vulpibus. Invicem baec catulos ejus ipsamque vellit. Quod ubi viderunt corvi, contra auxilian tur, velut adversus communem hostem. Et acan this in spinis vivit: idcirco asinosetipsa odit, flores spinae devorantes. Aegithum vero anlhus in tantam, ut sanguinem eorum credant non coire, multisque ob id veneficiis infament. Dissi dent thoes ac leones. Et minima aeque ac maxi ma. Formicosam arborem erucae cavent. Librat araneus se filo in caput serpentis porrectae sub umbra arboris suae, tantaque vi morsu cerebrum adprehendit, ut stridens subinde, ac vertigine rotata, ne filum quidem desuper pendentis rum pere, adeo non fugere queat : nec finis ante mor tem est.
XGV. 74· Facilmente dunque si vede, come negli animali ci sono degli altri sentimenti oltre a' già detti di sopra. Perciocché gli animali hanno Ira loro certe guerre, ed amicizie; onde vi ή veggono essere alcune affezioni, oltre · quelle cose, le quali dicemmo di ciascun d'essi ne'suoi luoghi. Ni mici sono i cigni e l'aquile : il corvo e il dorione di notte fra loro si vanno ricercando l'uova. Similmente il corbo e il nibbio, togliendo quello il cibo a questo; la cornacchia e la dvetta; l'aquila e il trochilo perchè si chiama (se lo cre diamo) re degli uccelli : le civette e gli dtri uc celli minori. Inoltre fra' terrestri, la donnola e la cornacchia; la tortora e il pirale, gl'icneu moni, le vespe e i falangi. Le rane d'aequa e le gavie. L'arpe e il triorco sparviere. 1 topi e l'ardeole, le quali per inganno s’ingegnano d'uoddere i figliuoli l'un dell'altro. L'egito uccello piccolissimo con l'asino, perocché fregandosi l'asino ndle siepi per grattarsi, gli guasta il nido ; dove questo uccello n' ha tanta paura, che solo a udire il ragghio dell'asino getta l'uova fuor del nido, e i figliuoli, se son nati, caggiono per pau ra. Però l'uccello, volandogli intorno gli rode col becco dove egli ha rolla la pdle. Le volpi e le serpi dd Nilo ; 1e donnole e i porci. Esalon si chiama un certo uocello piccolo, il quale rompe l'uova del corbo : i suoi figliuoli sono noiati dalle volpi, ma esso similmente combatte e la volpe e i figliuoli di ld. La qual cosa veggendo i corbi, aiutan la volpe, e cosi combattono conlra il nimico comune. L'acanto vive nelle spine, e perciò ha in odio anch'esso l'asino, perchè ei mangia i fiori ddla spina. L'anto poi vuol tanto male all’egito, che si tiene, che il sangue loro non si mescoli insieme, e per questo l'usano a molte malie. Sono nimici i toi e i lioni : e tra piccoli e grandi sono inimicizie ancora. I bruchi soglion fuggire gli alberi pieni di formiche. 11 regnatelo sceode giù per il suo filo sopra il capo della serpe, che giace sotto l'albero, e con tanta forza le morde il cervdlo, che la serpe si ridendo per il dolore s'aggira, e non che possa rompere il filo, che le penda sopra, ma non può pur fuggire, nè rimane di girare fin che si muore.
E x b m pla a ffe c t u s s b e f b b t id h .
E sRMFU DI AFFETTO KB' SBBPEJITI.
XGVI. Rnrsus amici pavoneset columbae; turtures et psittaci ; merulae et lurdi ; cornix et ardeolae; conlra vulpium genus communibus ini*
XCVI. Sono poi amid i pavoni e le colombe; le tortore e i pappagalli ; i merli ed i lordi ; la cornacchia e l'ardeole, e hanno inimicizia comune
C. PLINII SECUNDI
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micitiii. Harpe et milvas contra triorcbem.Quid, non et affectas indicia suat etiam ia serpentibus, immitissimo animalium genere f Dicta sunt, quae Arcadia narrat de domino a dracone s e r v a to , et agnito voce draconi. De aspide miraculum Philarcho reddatur: is enim auctor est, quum ad mensam cajusdam veuiens in Aegypto aleretur assidue, enixam catulos, quorum ab uno filium hospitis interemptum : illam reversam ad consue tudinem cibi, intellexisse culpam, et necem intu lisse catulo, nec postea in tectum id reversam.
contra le volpi : la arpe e il nibbio contra il tri oreo. £ di pià che ancora nella serpi, animali inimicissimi, souo segni defletto a d'amicizia. Noi abbiam gii detto quel che si dice che intervenne in Arcadia d'un signore, die fu salvato da uu dragone ; e oome e' conobbe la voce dell'uomo. Filarco scrive la maraviglia d 'un1 aspide, e dioe che un’aspide in Egitto soleva di continuo pascersi alla tavola d'un certo, e ch'ella fece due figliuoli, l'uno de* quali ammazzò il figliuolo del padrone della casa ; e ritornando ella poi a mangiare, e intendendo come era ita la cosa, uccise il suo proprio figliuolo, nè mai pià ritornò in quella casa.
D b s o n n o a b im a lid m .
D a i. SOBBO DBOU ABIH ALI.
XCV1I. 75 . Somni quaestio non obscuram conjectationem habet. In terrestribus, omnia qoae conniveant, dormire manifestum est. Aquatilia quoque exignnm qaidem, etiam qui de celeris dubitant; dormire tamen existimant : non ocu lorum argumento, quia non habent genas: verum ipsa quiete cernuntur placida, ceu soporata, nc que aliud quam caudas moventia, et ad tumul tum aliquem expavescentia. De thynnis confiden tius adfirmatur : juxta ripas enim aut petras dormiunt. Plaoi autem piscium in vado, ut manu saepe tollantur. Nam delphini, balaenaeque ster tentes etiam audiuntur. Iusecta quoque dormire silentio adparet, quia ne luminibus quidem ad motis excitentur.
XCVII. 75 . La quislione del sonno degli ani mali è cosa di non piccola considerazione. Fra gli animati terrestri tutti quei che serrano gli occhi certo è che dormono. Gli animali d'aoqua ancora comunemente si tiene che dormano, benché poco eziandio da coloro, che dubitano degli altri ; e non dall'argomento degli occhi, perciocch' essi non hanno palpebre ; mi perchè si veggono come addormentati con piacevoi riposo, che non di menano altro che la coda, e a ogni poco di stre pito si risentono, e hanno paura. De' tonai si tiene per cosa certa, perdocchè dormono appres so le ripe, o le pietre. 1 pesci piani dormono od poco fondo, talché spesse volte si pigliano con mano. 1 delfiui e le balene si sentono ancora russare. Vedesi similmente che gli animali insetti dormono, perciocché non si risentono anco con accostar loro i lumi.
Q u a b s o k k ib b t.
Q dau s o g b ib o .
XCV1II. Homo genitus premitur somno per aliquot menses : deinde longior in dies vigilia. Somniat statim infans : nam et pavore expergiadtur, et suctum imitatur. Quidam vero num quam : quibus mortiferum fuisse signum contra consuetudinem somnium, invenimus exempla. Magnus hic invitat locus, et diversis refertus do cumentis, uiruntue sint aliqua praescita animi quiescentis: qua fiant ratione, an fortuita resdt, ut pleraque. Et si exemplis agatur, profecto paria fiant. A vino et a cibis proxima, atque in redormitatione vana esse visa, prope convenit. Est autem somnus nihil aliud, quam animi in medium sese recessus. Praeter hominem somniare equos, canes, boves, pecora, capras, palam est. Ob hoc creditur et in omnibus quae animal pariant. De
XCV1II. L'uomo, come egli è generato, dor me assai per parecchi mesi, dipoi di giorno in giorno va scemando il dormir». Sogna il bam bino subito eh' egli è nato, perchè veggiamo che dormendo si spaventa, e contraffa il poppare. Alcuni nou sognano mai, e troviamo essere stato seguo mortale il sogno a chi non fu mai usato di sogoare. Nascemi qui un gran dubbio di voler sapere, se l'animo nel dormire vede le co*e av venire, e sognando indovina; e per che ragio ne ; o se tutto è a caso, come in molte cose veg giamo. E se vogliamo provare per esempii, certa mente saranno pari nell’una e nell'altra parte: pure quasi ognuno concede che i sogni, i quali si fanno poco dopo il mangiare e il bere, e nel ripigliarsi dd sonno, sieno vaui. 11 sonno non è
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HISTORIARUM MUNDI LIB. X.
iis qoae ova gignunt, incertam est : sed dormire es, certam. Veram ad insecta transeamus : baec namqae rsstant immensae subtilitatis animalia : qaando aliqui ea neqoe respirare, et sanguine etiam carere prodiderant.
IO IO
altro, se non an ritornar deU'snimo nel mezzo di sè «tesso. Oltra Puomo sognano ancora i ca valli, i cani, i buoi, le pecore e le capre. E però si tiene che sognino tutti gli altri, che partori scono animale. Di quegli che fanno uova, non si sa certo che sognino, ma non c’ è dubbio che dormano. Passiamo ora a ragionar degli insetti, i qaali sono animali di grandissima sottilità e con siderazione, perciocché molti hanno dello che non alitano, e che sono senza sangue.
C. PLM I SECONDI
HISTORIARUM MUNDI LIBER XI INSECTORUM
A N I MA L I U M GE NE R A.
SuBTILlTAS 1 · BIS RBBUS HÀTCBAE.
SOTTILITÀ DBLLA HATU&A. IH QUESTI IRSBTTT.
I. i. IU ulla haec el multigenera, terrestrium votucrumquae ▼ita. Alia pennata, ut apes : alia atroqae modo, nt formicae : aliqoa et pennis et pedibos carentia ; et jnre omnia insecta appellata •b incisuris, qoae nnne cervicum loco, nunc pe ctorum atque alvi, praecincta separant membra, tenui modo fistula cohaerentia. Aliquibus vero non tota incisura, eam ambiente ruga : sed in alvo, aut saperne tantum, imbricatis flexilibus vertebris, nusquam alibi spectatiore naturae re rum artificio.
.I. i. v j r r insetti sono molti, e di molte specie, ed hanno vita d1 animali di terra e d'uccelli. Alcuni haono le penne, come le pecchie : alcani sono oon ale e senta, come le formiche ; e alcuni altri non hanno ni penne, nè piedi. E merita mente tutti sono chiamati insetti, cioè tagliati, dalle riciditure, che ora in luogo di collottola, ora in luogo di petto o di ventre,separano le membra, che stanno fra loro appiccate solo per via di meati spongiosi. Alcuni non sono affatto ricisi, ma cir condati da rughe; solo però nel ventre e nel capo, dove hanoo raenature flessibilmente connesse: nò t ’ ha altrove più mirabile artifizio di natura. a. Ne1corpi grandi, o veramente ne'mag giori di questi, è piò fadl fabbrica, perdocchè quivi la materia ubbidisce e sì rende. Ma in que sti così piccoli, e quasi come nulla, che ragione, qual forza, e quanto inestricabile perfezione! Dove pose dia la natura tanti sentimenti in una zanzara ? e sono altre cose minori a dire. Or come le diede ella la vista? dove le accomodò il gusto ? dove le mise Γ odorato ? E dove le ingenerò quella voce aspra, e grande a propor zione del corpo? Con qual sottigliezza le attaccò le penne, e le allungò le gambe de’ piedi ? e con quale le dispose quella digiuna caverna del corpo ingorda di sangue, e sopra tutto di san gue umano ? Ccn che artificio poi le aguzzò lo
a. In magnis siquidem corporibus, aut certe majoribus, facilis officina sequaci materia foit. In his tam parvis, atque tam nullis, quae ratio, quanta vis, quam inextricabilis perfectio ! Ubi tot sensus collocavit in culice f et sunt alia dicla minora. Sed ubi visum in eo praetendit? Ubi gu statum adplicavit? ubi odoratum inseruit ? nbi vero truculentam illam et portione 'maximam vocem ingeneravit? qua subtilitate pennas adnexuit? praelongavit pedum crura? disposuit jejunam caveam, uti alvum ? avidam sanguinis, et potissimum humani, sitim accendit? Telum vero perfodiendo tergori, quo spiculavitingenio? Atque nt in capaci, qnam cerni non possit exili tas, iu reciproca generavit arte, nt fodiendo acu-
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C. PLINII SECUNDI
minatam pariter, sorbendoqae fistnlosum enet. Qaos teredini ad perforanda robora cum sono teste dente* adfixit, potissimumque e ligno ciba· tum fecit ? Sed turrigeros elephantorum miramur hameros, tauro rurnqne colla, et truces in sublime jactus: tigrium rapinas, leonum jubas, quum rerum natura nusquam magis, quam in minimis, tota sit. Quapropter quaeso, ne nostra legentes, quoniam ex bis spernunt multa, eliam relata fa stidio damneot, quam in contemplatione naturae nihil possit videri supervacuum.
Ar s p ib b h t ,
a · b a b b a iit s a b q v w m .
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11. 3. Insecta mulli negarunt spirare, idqoe ratione persuadentes, quoniam in viscera interiora nexos spirabilis noo inesset. Itaqoe vivere ut* fruges, arboresque: aed plurimam intereaae, spiret aliquid, an vivat. Eadem de eaum necaaoguinem iis esae, qui sit nullis careutibns oorde atque jecore. Sic nec spirare ea, quibus pulmo desit. Unde numerosa quaestionem series exori tor. lidem enim et vooem esse his negant, in lanio murmure apinm, cioadarum sono, et alii· quae suis aestimabantur locis. Nam mihi con tuenti se persuasit rerum natura, nihil incredibile existimare de ea. Nee video, cur magis poasint non trahere animam talia, et vivere, quam spi rare sine visceribus : quod etiam iu marinis do cuimus, quamvis arcenle spiratam densitate et altitudine humoris. Volare quidem aliqua, et ani matu carere in ipso spiritu viventia, habere sen sum victas, generationis, operi·, atque etiam de futuro curam : el quamvis non siul membra, quae vehit carina, sensos invehant, esse tamen his au ditum, olfactum, gustatum, eximia praeterea naturae dona, soleriiam, animum, artem, quis facile crediderit? Sanguinem non esse his fateor, sicut ne terrestribus quidem cunctis, verum simile quiddam. Ut sepiae in mari sanguinis vicem atra mentum obtinet, purpurarum generi infecior ille succos: sic et iuseclis quisquis est vkalis humor, hic «rit et sanguis, 4 o o m aestimatio ««a cuiqoe sit. Nobis propoùtom esi, usturas rerum manifestos indicare, noe cautas judicare dubias.
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spentone ; e beoch’ egli sia sottilissimo sicché bon si vede, nondimeno come se fosse capace, Γ ha Ì4 U 0 agusso per forar la pelle, e accanata lo per succiare il sangne ? Che denli, dei quali è testimonio il suono, ha dato al tarlo per fora· re ogni duro legno, e perchè ha dia volato che si pasca di legno ? Ma noi ci maravigliamo delle spalle degli elefanti, die vi portano le torri ; «lei colli dei tori, e come orribilmente gettino in aria alimi; delle rapine delle ligri, e dei crini dei lioni ; e nondimeno la natura mostra assai più tutto il suo sapere ndle cose minime, che nelle grandi. E però prego coloro che leg gono queste cose, benché molli di questi tali animali sieno in dispregio, nondimeno non vo gliano avere a noia le cose che riferiremo di essi, oon .ci essendo nulla di superchio a con templar la natura. Ss A U T O »
B ABBIA· SABGUB.
II. S. Molli hanno detto, che gl’ insetti noo hanno respiratione, e dò persuadono con ragio ne, perchè nelle viaeere interiori non hanno connesainnr di meati spirabili ; e perciò dicono ehe viftao nume le biade e gli alberi ; ma che e' è gran diloreau tra vivere e spirare. E però tengono sooora, che essi non abbian sangue, perohè chi non ha cuore e fegato, non ha san· go« ; e sosì quei che noo hanno polmone, non alitano. Di qui nasce un numero infinito di questioni. Perciocché questi medesimi dicono,che gl1inselli non hanno voce, mentre pur udiamo il ronzar delle pecchie, il canlar delle cicale, e altre cose, che si diranno al suo luogo. Perchè considerando io la natura delle cose, io son fur· iato a credere, che ella possa fare ogni cosa. Nè so vedere, perchè più tosto questi animali pos sano uoo trarre Palilo e vivere, che alitare sen za P interiora, il che dimostrammo negli ani mali di mare, benché il corpo denso detP acque e la lor profondila impedisca Γ alitare. Ma chi potrà credere che alcuni animali volino, e man chino di spirito, vivendo in esso spirito, cioè nelP aria, e abbiano seuso al vitto, al generare, all1 opera, e ancora abbiauo cura deiravvenire? e benché non abbiano i membri, i quali porlino i aeosi come carena, abbiauo però Pudito, Podoratn, il gnsto, ed oltracciò onorati doni di na to » , iodostrsa, animosità e arte? lo confesso eh* essi m b Jh h m sangue, come tutti gli altri animali terrestri, ma però hauno un certo ornare che gh somiglia. Come le seppie iu ma ce in cambi· di sangoe hanno inchiostro, e le porpore qnd sego, J i «ni si tingono i pao ni ; «od qnello amore viult, é t hanno questi
HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.
animaluzzi, qaalanque e* si sia, è in luogo di sangue. Ma ciascuno creda quello che gli pare ; perchè l'inlenzion mia è di voler mostrare ia nalura manifesta delle cose, e non di giudicare le cagioni occulte. Db
g o iv o b b b o b c m .
UI. 4· Insecta, at intelligi possit, non viden tur nervos habere, nec ossa, nec spinas, nec car tilaginem, nec pingaia, nec carnes, ne crnstam qaidem fragilem, at quaedam marina, nec qaae jure dicatur cutis: sed mediae cajusdam inter omnia haec naturae corpus, arenti simile, nervo mollius, in reliquis partibas siccius vere, quam durius. Et boc solum his est, nec praeterea aliud. Nihil intus, nisi admodum paucis intestioum im plicatam. Itaque divulsis praecipua vivacitas, et partium singularum palpitatio. Quia quaecum que est ratio vitalis, illa non certis inest membris, sed toto in corpore, minime tamen capile, solumque non movetur, nisi cum pectore avulsum. In nullo genere plures sunt pedes* Et quibus ex his plurimi, diutias vivunt divalsa, ut in scolopendris videmus. Habent autem oculos, praeterque e sen sibus tactum atque gestatum : aliqua et odoratum, pauca et auditum.
Da
am b o s.
D b l l o b o co ev o .
III. 4· Questi insetti non pare che abbiano nè nervi, nè ossa, nè spine, nè cartilagine, nè grasso, nè carne, nè corteccia si agile, come certi animali di mare, nè pelle propriamente delta; ma hanno corpo d'una natura, la quale è in qoel mezzo di tutte queste cose, che pare secco e arido, ma è più morbido che se di nervo; nell’altre parti più secco, che duro ; e ciò solo hanno, senza altro. Dentro non haono nulla; se non se alcani pochi,che hanno un certo budello inviluppato. Ferò benché sieno divisi, vivono in tutte le parti, ancor che sieno separate, e muovonsi. Perciocché qualaoque si sia la rsgioa vitale, quella non è in oerti mem bri ma in lutto il corpo : ma però non solo nel capo, perchè esso solo non si muove, se non è spiccato col pello. Nessuna sorte d 'animali ci è, che abbia più piedi ; e quegli che più ne han no, vivono più lungamente se ne siau loro slac cali, come veggiamo in certi bacherozzoli, che si chiamano cento gambe. Hanno ben gli occhi, e dei sentimenti oltre il tallo e il gusto, alcuni hanno ancora lo odoralo, e pochi Γ udito. D b llb
p e c c h ie .
IV. 5. Sed inler omnia ea principatus apibas, IV. 5. Ma fra lutti questi le pecchie oltengoet jare praecipua admiratio, solis ex eo genere il principato, e merilamente sono in grandis hominum causa genitis, Mella contrahunt, sue- sima ammirazione, essenJo esse sole fra gl'insetti cumque dulcissimum afque subtilissimum, ac sa generate per cagion dell’ uomo. Esse fanno il luberrimum. Favos conitugunt el ceras, mille ad mele, licore dolcissimo, sotlilis»imo, e ulil mollo. usus vitae : laborem tolerant, opera conficiunt, Fabbricano i favi e la cera, utile a mille bisogni rempublicam bebent, consilia -privatim, ac duces della vita umana. Durano fatica, fanno opera, gregatim : et quod maxime mirum sit, mores hanno repubblica, privati consigli e guide delle babeot. Praeterea, quum sint ueque mansueti schiere, e quello ebe é molto più degno di mara generis, neque Crri, tamen lauta est ualura rerum, viglia, hanuo costumi, d ir a di ciò, ancor che elle ut prope ex ambra minimi animalis, incompara non sieno di genere nè domestico, nè salvalico, bile effecerit quiddam. Quos efficaciae induslriae- nondimeno è tanto grande la natura delle cose, que tantae comparemus nervos? quas vires? che quasi della ombra di un minimo animale ha quos ralioui medius fidius viros ? hoc cerle prae- fatto un certo che d 'incomparabile. Quai nervi stanlioribus, quod nihil novere, nisi commune. ritroveremo noi di tanta efficacia e industria ? Non sit de anima quaestio : cooslel et de sangui quai forze ? quali uomini per dio a comparane, quantulam tamen esse in tantulis potest ? ziooe di qoeste bcstiuole ? le quali io questo ve ramente gli avaozaoo di gran lunga, che non Aestimemus postea ingenium. hanuo nulla se nou comune. Non si disputi del* Γ anima, e sia pure ella di sangue ; nondimeno quanto poco ne può essere in questo animale sì picciolo ? Consideriamone poi lo ingegno.
C. PLINII SECUNDI
■019 Q v t* ORDO IB 0 VBBB BABVll.
loto
Q ua LB SIA l ’ OBDIBB DBL· LAVOEO CHB FABRO.
V. 6 . Le pecchie stanno riposte il verno; V. 6 . Hieme condantur *unde enim ad praiaas nivesqne, el Aquilonum flatui perferendos vires? perchè come potrebbono elle resistere alle nevi, Sane et insecta omnia : sed minus dia, quae pa ai ghiacci e ai venti ? E similmente tutti gli altri rietibus nostri· occultata, mature tepefiunt. Circa insetti, ma meno quegli, che sono sotto i nostri apes aut temporum locorumve ratio mutata est, tetti, perchì più tosto si riscaldano. Circa le aut erraverunt priores. Conduntur b Vergiliarum pecchie, o ·* è mutata la natara dei luoghi e dei occasu, sed latent ultra «ortum : adeo non ad tempi, o gli antichi hanno errato. Ripoogonsi veri· initium, ut dixere, nec quisquam in Italia nel tramontar delle Vergilie, e stanno nascose de alvis existimat. Ante fabas florentes exeunt più là che il nascimento delle già dette stelle, ad opera et labores, nullusque, quum per coelum tanto che dò non i al principio della prima licuit, olio perit dies. Primam favos construunt, vera, come dissero gli antichi, biasimati in Italia ceram fiogunt, hoc est, domo· cellasqae faciunt. da quanti han casse di pecchie. Innanzi che le Deinde sobolem, postea mella, ceram ex floribas, fave fioriscano elle escono a lavorare, e qaando melliginem e lacrymis arborum, quae glatinam hanno cominciato, nessuno dì, se il tempo oon le pariunt, salicis, ulmi, arundinis, succo, gummi, impedisce, passa ozioso. Prima dunque fanno i resina. His primum alveum ipsum intus totum, fiatoni e la cera, cioè fanno le case e le celle at quodam tectorio, illinunt, et aliis amarioribus loro. Dipoi gli sciami, e finalmente il mele : fan succis contra aliarum bestiolarum aviditates : id no la oera dei fiori: fanno il melligine delle •e facturas consciae, quod concupisci possit. His gocce glutinose degli arbori, oome a dire di sal dteinde fores quoque latiores circumstruant. ci, di olmi, di canne, del sugo loro, della gom ma, della ragia. Con queste cose prima tuli* la lor cast di dentro, come di uno intonico, ricuoprono, e con altri sughi più amari eontra la in gordigia di molte bestinole, e ciò fanno, sapendo che ve n’ ha che cercano il mele. Con qaesti an cora restringono le entrate troppo larghe. Q o iD SIT IB BO COVMOSIS, FISSOCBBOS, PB0F0L1S.
C h b s ia c o n o s i, fis s o ceno, p b o p o li.
VI. 7 . Prima fandamenla commosin vocant VI. 7 . La prima crosta o fondamento dei periti, secunda pissoceron, tertia propolin, inter fiatoni si chiama comosi, il seoondo pissoeero, coria cerasque : magni ad medicamina usus. Com il terzo propoli : questo è tra cuoio e oera, e di mosi· crusta est prima, saporis amari. Pissoceros molto utile nelle medicine. La prima crosta, o co super eam venit, picantium modo, ceu dilntior mosi, è di sapore amaro. Il pissocero vien sopra cera. E vitium, populorumque mitiore gummi a quella a foggia d’ impeciatura, ed è cera assai propolis, crassioris jam materiae, aridi lis floribus, molle e dilavata. La propoli è formala della nondum tamen cera, sed favorum stabilimentum, gomma più molle che gronda dalle viti e dai qua omnes frigoris aut injuriae aditus obstruun pioppi, ed è di materia più grossa, aggiuntovi i tur, odore el ipsa etiamnum gravi, ut qua pleri- fiori; non però ancora cera, ma stabilimento de' fialoni, con cui si serra la via al freddo, e que pro galbano utantur. a ogni cosa nociva : è d 'odor reo ; onde molti 1' osano in luogo di galbano. Q u id b b it h a c b , siv b saboabaca , s iv e c b b ib t h o s .
C hb s ia b b ita c b , o v v e b o s a n d a b a c a , o c b b i s t o .
VII. Praeter haec convehitur erithace, quam aliqui sandaracam, alii cerinthum vocant. Hic erit apium, dum operantnr, cibus, qui saepe in venitur in favorum inanitatibus sepositus, et ipse amari saporis.Gignitur autem rore verno,et arbo rum succo, gumraium modo, Africi minor, Austri flatu nigrior, Aquilonibus melior et rubens, plu-
VII. Oltra queste cose, le pecchie conducono ancora quella, che si chiama eri tace, che da al· cuni è detta sandaraca, e da altri cerinto. Que sto sarà il cibo delle pecchie, mentre che eli· lavorano, il quale spesso si trova riposto ne' ba chi de' fiatoni, ed anch' esso è amaro. Naaoe della rugiada della primavera e del sugo degli
ioaa
HISTORIARUM MONDI L1B. XI.
tosi
rima» io (ηοοίι nucibus. Menecrates florem «ne dicit, sed nemo praeter eam.
E x QOIIOI FLO M ID I O K U FIABT.
alberi a modo di gomma ; minore, soffiando ven to Africo, ed più nero al soffiar d’ Ostro : sof fiando Aquilone è maggiore, e rosseggia. Naaeeae assai nei nod greci, ovvero mandorli. Menecrate dice eh'egli è un fiorei ma niuno altro fuor di lui. Di q d h i
noni si f a c c ia n o ■l a v o r i
lo ro .
Vili. 8 . Le pecchie fanno cera de' fiori di VIII. 8 . Gerat ex omniam arboram satoromqae floribus confingant, exeepla ramice et echi- tatti gli alberi e sementi, eccetto la ramice e nopode. Herbarum baee genera. Falao excipitur l ' eehinopode. Queste son sorti d' erba. Falsa et spartnm, quippe qaam i i Hispania multa in mente se ne eccettua quella ch' i detta sparto ; spartariis mella herbam eam sapiant Falso et perciocché in lspagna molti meli fatti in luogo oleas excipi arbitror, quippe olivae protenta dov'è lo sparto, ritengono il sapore di quel-1 plurima examina gigni certum est. Fructibus l'erba. Falsamente ancora penso che se ne ec nullis nocetur. Mortuis ne floribus quidem, non cettui l ' olivo, perciocché quando è dovisia modo corporibus insidunt. Operantur intra sexa d'olive, nascono molti sdami. Non nuocono a ginta passus : et subinde consumptis io proximo frutto 1alcuno : non si posano sopra morti, non floribus,speculatores ad pabala ulteriora mittunt. solamente corpi, ma né ancora fiori. Operano Noeta deprehensae in expeditione excubant su per ispasio di sessanta passi all* intorno, e poi pinae, ut alias a rore protegant. ché hanno consumati i fiori, che erano dappres so, mandano innanzi le spie a cercar de' paschi. Se la notte le sopraggiugne alla campagna, dor mono supine, acciocché la rugiada non bagni loro le ali. Afic h s tu d io
cara.
DBGLI AKATOBl DBLLB VBCCUB.
IX. g. Ne quis miretur amore earum captos, IX. 9 . Non d maravigli dunque alcuno, che Aristomaohum Solentem duodesexaginta annis ni Aristomaco Solense innamorato delle pecchie, hil aliud egisse : Philiscum vero Thasium in de per ispasio di cinquanta otto anni non attendes sertis apes eolentem Agriam cognominatum ; qai se ad altro, e che Filisco Tasio, vivesse nei deserti ambo scripsere de his. per aver agio di coltivarle, onde fu chiamato Agrio, quasi selvatico. Araendue scrissero ddla natura ddle pecchie. R a t iio o p e r is .
X. 10. Ratio operis. Interdia statio ad portas more castrorum, noctn quies in matutinum, donec uua excitet gemino aut triplici bombo, ut buccino aliquo. Tnoc universae provolant, si dies mitis fatarus est. Praedivinant enim ventos imbresque, et se contineot tectis. Itaque temperie coeli (et hoe inter praescita habent), qaam agmen ad opera processit, aliae flores aggerunt pedibus, aliae aquam ore, guttasque lanugine totius corporis. Quibus est earum adolescentia, ad opera exennt, et supradicta convehunt : ae niores intus operantor. Quae flores comportant, prioribus pedibus femina onerant, propter id satura scabra, pedes priores rostro: totaeque onustae remeant sarcina pandatae. Excipiunt eas ternae, quaternaeque, et exonerant Sunt enim intus quoque officia divisa. Aliae struunt, aliae
D b l m odo
hi l a v o r a b b .
X. 10. Il modo del lor lavoro è questo. 11 giorno sono alcune di loro, le qudi fanno la guardia alle porte, come s'osa in campo : la not te riposano fino all’ alba, tanto che una le risve glia tutte, facendo due o tre volte romore, oome s'ella sonasse il corno. Allora tutte volano fuori, se il giorno è per essere quieto. Perdocchè elle indovinano quando ha ad essere vento o piog gia, e allora si stanno in casa. Qoando il di è temperato (poiché prevedono anche questo), se ne vanno in pastura, e d a rn e s 'appiccano i fiori d ie gambe,alcane portano acqua con la boc ca, · sui peti di tutto il corpo. Escono al trava glio e riportano le prefate cose qudle die son giovani : le vecchie rimangono denteo. Quelle che portano i fiori, ne tengono il carico sulle cosce dd piè dinanzi, perciò medesimo di lor
C. PLINII SECONDI
natura rostigliose, e sostengono quei piè stessi col rostro j e così onuste ritornano tutte curve per lo peso. Tre o qoaltro di quelle che rima sero nell' alveare se ne vanno intorno a una, e la scaricano ; poiché di dentro ancora gli ufficii sono compartiti. Alcune compongono, alcune ri puliscono, alcune porgono, alcune apparecchia· no il cibo delle cose che sono arrecate di fuori; perocché mangiano tutte insieme e ad un* ora, acciocché non oasca tra loro disuguagliane· di opera, di cibo e di tempo. Fanno dipoi la volta o concameratione, e intessono l'opera fino in som mo, ed aprono due viottoli per ogni via prind· pale, acciocché possano entrare per uno, e uscire per F altro. Stanno i fiatoni attaccati dalla parte disopra, e si tocoano anoor un poco da* lati, e pendono insieme. Non toccano la cassa, quando torti, e quando tondi, secondo che ricerca la qualità del luogo; e talora anco sono di due sorti, quando due sciami di diverso costarne stanno d 'accordo dentro a una cassa. Perchè li cera non ruini, le fanno sotto quasi pile di ponti ; in quel modo lasciano gli sparii, per li qaali possano ire a empiere i fiatoni. Lasciano vóti presso a poco i tre primi ordini per levare la comodità e 1*occasione a' ladri di rubare. Gli aitimi si riempiono tutti di mele, e perciòi Ba ioni si cavano fuori per lo contrario della cassa. Quelle che fanno 1' ufficio del portare, veggono d* andare a seconda ool vento. E se si leva bur rasca di vento, si bilanciano pigliando co'piedi aleuui sassolini. Alcuni dicono che se gli pon gono in sulle spalle, e volano presso a terra, qoando hanno il vento contrario, schivando tva via gli sterpi. Maravigliosa è la loro diligerne nel lavorare. Pongono mente a quelle, che si stanno, poi le gastigano e puniscono con b morte. Mirabile è ancora la nettezza loro. Leva no di mezzo dò che vi fosse, non volendo alcu na bruttura fra il lavoro. E più, che lo stereo di qoelle che lavorano dentro, per non portarlo troppo lontano, lo nonano tutto in on luogo, e ne* giorni piovosi e scuri, quando non ai poò lavorare, lo portan fuori. Quando si fa aera, a poco a poco comincia a scemare il romore nella cassa, fin che una vola attorno nel medesimo modo, come fa quando le risveglia eoi ronzare, quasi che ella comandasse loro ehe si riposas sero ; e questo a uso degli eserciti. Altera subito ·' aochetano tutte. ■i. Domos primum plebei exaedificant, dein ii. Fanno prima le case a'plebei, poi a 're , de regibus. Si speratur largior proventus,, adji e se si spera dovizia, fanno le case ancora a' fochi : ciuntur contubernia et fucis. Hae cellarum mini queste sono minori celle dell' altre, ma assi sono maggiori delle pecchie. mae, sed ipsi majores apibus.
poliant, «lite suggerant, aliae cibum comparant ex eo, qaod adlatum est. Neque enim separatim ▼escantur, ne inaequalitas operis et cibi fiat et temporis. Struunt orsae a coocameratione alvei, textumque vel usque ad summa tecta deducunt, limitibus binis circa singulos actus, ut aliis intrent, aliis exeant. Favi superiore parte adfixi, et paul)um etiam lateribos simul baerei)t, et petfdent una. Alveum non contingant, nunc obliqui, nunc rotandi, qualiter poposcit alveas : aliquando et duorum generum ; quum duo examina concor dibus populis dissimiles habaere ritus. Ruentes «eras fulciunt, pilarara intergerinis sic a solo fornicatis, ne desit aditas ad sarciendum. Primi fere tres versas inanes straootur, ne promptam •it quod invitet furantem. Novissimi maxime implentur meile : ideoqoe aversa alvo (avi exi· muntur. Gerulae secundos flatus captant. Si coo riatur procella, adprebensi pondusculo lapilli se librant. Qaidam in humeros eam imponi tra dunt. Juxta vero terram volant in adverso flatu vepribus evitatis. Mira observatio operis. Cessan· tinm iperliam notant, castigant mox, et pnniunt morte. Mira munditia. Amoliuntur omnia e me dio, nullaeque inter opera spurcitiae jacent. Quin et excrementa operantium iotus, ne longius rece dant, unum congesta in locum, turbidis diebus et operis otio egerunt. Quum advesperascit, in alveo strepunt minus ac minus, donec nna cir cumvolet eodem, qao excitavit, bombo, ceu quie tem capere imperans : et hoc castrorum more. Tunc repente omoes conticescunt.
historiarum mondi u b . xl
Db' vuod.
D b rv o » .
XI. Soni aatem fad, sine acato, velai imper- XL Sono i fochi aena· ago, come p«eebie im faclae apes, novissimaeque, · forni· et jam emeriti· perfette, « altima figliator« oomindata da qoelle inchoatae, serotino· foto·, el qtuw serviti· vera- eho ·οηο già vecchie « «tanche : d chiaman feti n m apiom: quamobrem imperant ii·, primocqne serotini, e son come servi ddle vere pecchie. Però ia opera expellant: tardante· aine dementia po- qoeste comandano loro, « gli cacciano i primi « niunLNeqo· in opere tantam,«ed io feto quoque lavorare; e puniscono qud che tardano sema com· •djav«nt e u , maltam ad cdorem conferente tor passione. Ni solamente i fochi «intano 1« pecchie ba. Certe qoo major eorum foit moltitado, hoo a lavorare, ma ancora « figliar·, perchè quanto è aujor fiet examinum provento·. Qoam mella maggior il nomero, tanto pià risodda, e n'escono coeperant matar«eoere, abigunt eo· ; maltaeque tanto maggiori sdaaai. Qaando il mele poi oomin· «ingoio· «dgraaae troddant. Nee id gena·, nid aia a maturare, esse gli caccian via, « molte di ▼ere, eonspidtor. Foca· «dempti· «li· in dvenm loro mettendo» incontro « uno, sà gli «mmaauMjectas, ipte «eteri· «dimit. no. Non d veggono se non n d b primavera. Sa il fooo, qoando egli h« perdute Γ ali, ricad· dentro, egli guata poi I*aH aH’ahre. Qu ii u t d u
« l u i.
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LA BATDBA DBL MBLB.
XII. RegW· imperatoribas fotori· in ima ΧΠ. à quegli che hanno « esser re, Anno lo parte alvd exstruant amplas, magnifica·, «epara> P abitadooi grandi, magnifiche « separate, e on tu , tabercolò eminente· : qaod d exprimetar, poco pià rilevate che l'altre con an certo oocnon gignuntor aoboles. Sesaogolae omnea oellae, eozzolo, perocché se non d sia re, non d generano aénguloram eae pedam opere. Nihil horam stato poi sdami. Tolte le odle sono fotte « mi angoli, tempore, sed rapiont dieta· aerenu mnnia. Et e ogni angolo è opera d’un piede, perchè le pecchie Belle ano dlerove ad sammum die ed i·· replent. n* hanno «ei. Niana di queste cose fonilo a tempo determinato, ma foono ogni com qaando è chiaro e sereno ; e in nn di, o in dne al pià, empiono Io lor celle di rode. 1«. Venit boc «x afre, et maxime sideram ia . Nasce il mde dell'aria, e matdmamente exortu, praedpoeqae ipso Sino exsplendeseente nel nascere ddle stelle, e sopra tatto nd tempo I ti nee omnino prius Vergiliarum exorto, sablo· ddU Canicola t nè md innanzi che le VergHie caois temporibus. Itaqae tum prima aorora folia nascano ; e viene drca l'alba. Però ndPaurora arborum meile rosdda inveniuntor : ao d qai le foglie degli alberi si traevano rugiadose di maluiino sub dio fuere, anctas liquore veste·, mde : e se alcuno stari all* aria scoperta in qneleapillomqae concretam sentiant. Sive ille est l 'ora, si troverà le vesti qnad come ante, e ! ca «odi ludor, sive quaedam sideram saliva, dv« pe gli impiastrati « viscod. E fora· il mele ò purgantis se afri· succus, atinamqae esse! et pa sudore del dd o , o noa oerta sciliva delle atelle, ra · «e liquida·, «t suae natorae, qoali· deflait o sago ddl' «ria che d purga ; e fosse par egli primo : none vero e tanta caden· dtltndine, mal- paro, liquido, e di saa natara quale egli da.printomque dom venit, sordescens, et obvio tem e dpio viene; ma intanto che cade da tanta dtezza, halita infectas, praeterea e fronde ac pabolis po ei d viene imbrattando mollo n^’vapori della ter tas, et in otrìcolo congestos «piom (ore enim eum ra, che se gli fanno incontra. Oltre a dò dalle fo vomoot) : ad haec sueco flornm corruptus, et glie e paschi bevalo, e rinchiuso ne'piccoli corpi alvds maceratus, totiesqoe molata·, magnam ddle pecchie (perdocchè esse lo mandano foorm tomen coelesti· nalarAe ▼olaptatem adfert. per la bocca), e corrotto anco dal sugo de* fiori, e macerato nelle casse, e tante volte matato, Ap porta però seco gran soavità della natara celeste. Q v ab o v t ih a * b l l a .
QuALB SIA IL MBLB HlOLIOBB.
Xlll. iS. Ibi optimus semper, abi optimorum XIII. tS. È sempre l'ottimo md« qaei che doliolis floram conditor. Atticae regionis hoc, et le pecchie traggono dal calice de' migliori fiori. Siculae, Hymetto, et Hjbla, ab locis: mox Cdydna Tale è nell* Attica e nella Sidli», nell'Inietto,
C. PLINII SECUNDI insala. Est autem initio mei, ut aqua, dilatum, et primis diebus fervet, at matta, seque purgat : vi* cesimo die crassescit, mox obducitor teooi mem brana, qua fervoris ipsius spuma concrescit. Sor betur optimum, et minime fronde infectam, e quercus, tiliae, arundinum foliis.
nell* Ibla e nell’ isola Calidna. Π mele da princi pio i, come acqua, stemperato e liquido, e nei primi giorni bolle come fa il mosto, e si porga : il ventesimo giorno ingrassa, poi si eoopre d* nna pelle sottile, la quale ingrossa per la schiuma dd ribollimento. Pigliasi ottimo, a non infetto ponto, dalle foglie dalla quercia, del tiglio e delle canne.
Q d AB GBKEIA MELLIS 111 SltTGULlS XOCIS.
Q o a l i spb c ib d i m blb in ciascun l u o g o .
XIV. r4. Somma qoidem booitatis natione XIV. 14 . La somma della bontà sua consiste constat (ot supra diximus), pluribus modis: aliobi nel luogo dov* ei nasca, come abbiam detto di enim favi cera Vectabiles gignantur, ut in Peli· aopra, per più modi. Perciocché in alcun luogo gnis, Sicilia: aliobi mellis copia, ot in Creta, i Baioni si fanno bellissimi per rispetto della oera, Cypro, Africa: aliobi magnitudine, ot in septem· come nelP Abruzzo e in Sicilia : altrove per la trionalibus, viso jam in Germania octo pedam quantità del mele, come in Creta, in Cipri e in longitadinis favo, in cava parte nigro. Africa : altrove per la grandezza, come nei paesi settentrionali, essendosi già visto in Lamagna un fiatone lungo otto piedi, e nero nella sua parte concava. In quocumque tamen tracta terna sunt mellit Ma nondimeno in ogni paese sono tre sorti genera. Vernum ex floribus constructo favo, quod di mele. Quello della primavera, i cui fiatoni ideo vocatur anthinum. Hoc quidam attingi ve son fatti di fiori, il quale perciò si chiama antant, ut largo alimento valida exeat soboles. Alii tino. Alcuni non vogliono che questo mele si ex nullo minus apibus relinquunt, quoniam magna tocchi, acciocché per rispetto dell* alimento co sequatur ubertas, magnorom siderum exortu. pioso, più abbondevolmente nascano le pecchie. Praeterea solstitio, quum tbymura et uva florere Altri di nessuno altro ne lasciano manco alle incipiunt, praecipua /cellarum materia. Est autem pecchie, perchè gran dovizia ne segue nel nascere in eximendis favis necessaria dispensatio, quoniam ielle stelle grandi. Inoltre si fa nel solstizio, inopia cibi desperant, moriunturque, aut diffu quando il timo e Γ uve cominciano a fiorire, il giunt: contra copia ignaviam adfert: ac jam meile, che è ottima materia a* fiatoni. Ma nel cavare i non erithace pascuntur. Ergo diiigentiores ex hac fialoni è necessario che s* usi discrezione, per vindemia duodecimam partem apibus relinquunt. ciocché te pecchie per carestia del cibo si dispe Dies status inchoandae, ut quadam lege naturae, rano, o muoiono, o faggono : d’ altra parte per si scire aut observare homines velint, tricesimus la dovizia diventano infingarde, e si pascono di ab educto examine: ferequeMajo mense includi mele, non d'eri tace. I piò diligenti dunqoe di tur haec vindemia. questa ricolta lasciano la duodecima parte alle pecchie. Il giorno ordinato per cominciare eon certa legge di najura, se gli uomini lo vogliono sapere, ovvero osservare, è il trentesimo di poi che gli sciami sono asciti, e questa vendemmia s’ interclude quasi nel mese di Maggio. AUerum genus est mellis aestivi, quo ideo Écd un’altra sorte di mele di state, il quale per vocatur eifetiov%a tempestivitate praecipua, ipso ciò si chiama oreo, perchè la stagione è più da ciò : Sirio exsplendescente post solstitium diebus tri si fa ne’ giorni canicolari, quasi trenta di dopo il cenis fere. Immensa circa hoc subtilitas naturae solstizio. La natara mostrò in qaesto mele an sot mortalibus patefacta est, nisi fraus hominum tilissimo provvedimento per P uomo, se rom ana cuncta pernicie corrumperet. Namque ab exortu frode non guastasse ogni cosa. Perciocché dopo sideris cujuscumque, sed nobiliom maxime, aut il nascimento di ciascuna stella, e massimamente coelestis arcus, si noa sequantur imbres, sed ros delle nobili, o d$JP arco celeste, se non seguono tepescat solis radiis, medicamenta, non mella, P’oggc? 108 la rugiada intiepidisca per li raggi gignuntur, oculis, ulceribus, internisque visceri- del sole, non nascono meli, ma medicine per gli bus, dona coelestia. Quod si servetur hoc Sirio occhi, e per le ulcere, e per le viscere, doni veraexorieute, casuque congruat in eumdem diem, ut menti celesti. Che se si conserva qaesto mele nel saepe, Veneris aut Jovis, Mcrcuriivc exortus, non nascimento della Canicola, e s 'abbatta, siccome
HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.
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«Ik marita*, visqoe mortalium mali· a morte vooandis, qoam divini nectari·, fiat
Da m e a , uva n m u a , •iv· f lin v a .
Q oovooo raoaaBTDB.
•peno avviene, ebe in quel dì medesimo nasca ο Venere, o Giove, o Mercurio, noo c’ è altra de licatezza al mondo, nè miglior medicina per gua rir gii nomini d'ogni malattia, ebe questo divino nettare e licore. C on si novi.
D u x ’ sB ic a ,
onuo
ts t& a u c k ,
o sismo.
XV. i5. Mei plenilunio uberia· capitor, sere XV. i5. 11 mele si coglie più abbondante* na die pinguius. In omni meile, qood per se fluxit, mente a Iona piena, e più grasso nel dì sereno. at mostam oleumque, appellator aeetom. Maxime In ogni aorte di mele quello che per aè cola come laudabile est eliam omne rntilom, ot ulceribus mosto e olio, chiamasi aeeton. È sommamente aptissimam. In aestimato est e thymo, colori· pregevole eaiandio quello ebe rosseggia, siccome aorei, saporis gratissimi. Qood fit palam folioli·,, utilissimo a guarire le piaghe. Ottimo è tenuto pingue : marino e rore, spiasom. Qood concrescit qud di timo, ehe ha color d'oro, di gratissimo sa autem, minime laodator. Thymosam non coit, pore. Qoello che in qualunque sito si trae dalle et tacta praetenoia fila mittit: qood primam foglie del timo, è pingue : quello che dall* alito gravitati· argumentum est Abrumpi statim et del mare ne* siti litorali, è spesso. Quello che si resilire gotta· vilitatis indicium habetor. Se· rappiglia, non è molto stimato. Il limoso non si quens probatio, ot sit odoratam, et ex dald acre, rappiglia, e toccandolo ia fila sottili ; e ciò è il glutinosam, perlacidam. Aestiva mellatione deci primo segno ch'egli è grave. Ma quando le fila mam partem Cassio Dionysio apibus relioqai si rompono tosto, e la gocciola ritorna indietro, placet, si plenae foerint alvi : si minos, pro rata è segno che non vai nnlla. L’ altra pruova è, che portione: aot si inanes, omnino ooo attingi. Huic sìa odorifera, agro per troppa dolcezza, tenace e vindemiae Attici signum dedere initiom caprifid: chiaro. Dionisio Cassio vuole che del mele, che si alii diem Vulcano sacram. cava la state, si lasd la decima parte alle pecchie, se le cassette «on piene; se non sono piene, se ne lasd a proporzione ; e se son molto vote, che non se ne tocchi. Gli Ateniesi volsero che il segno di questa ricolta fosse il dì caprificale; altri il dì consacrato a Vulcano. 16. La terza sorte di mde è poeo lodata, per 16 . Tertiam genas mdlis, minime probatum, silvestre, qood ericaeam vocant Convehitor post chè è selvatico : chiamasi ericeo. Fessi dopo le primos autumni imbres, qoam erice sola floret prime piogge dell' antonno, qoando l 'erba erice in silvis,ob id arenoso simile. Gignitur id maxime •ola fiorisce ndle sdve, e perciò è arenoso. Ge Arctari exortu ex ante pridie idos Septembri·. nerasi nel nasdmento d 'Arturo, intorno a* doQuidam aestivam mellationem ad Arctori exor did di Settembre. Alcuni indugiano il mele della tam proferant, quoniam ad aeqaiooctiom autum •tate fino al nascere d 'Arturo, perchè da questo ni ab eo supersint dies qoatuordedm: et ab all’ equinozio dell* autunno tramezzano qoattoraequinoctio ad Vergiliarum occasam diebus x l v i i i did giorni, e dall' equinozio al tramontar delle plurima sit erice. Alheoienses tetralicem appd- Vergilie sono quarantotto, e allora si truova mol lant, Euboea sisirom; potantque apibus esse gra ta di questa erice. Gli Ateniesi la chiamano tetissimam, fortassis quia tunc nulla alia sit copia. tralice, e nell' Eubea è detta sisiro : tengono che H a e c ergo mellatio, fine vindemiae et Vergiliarum ella aia gratissima alle pecchie, forse perchè al oeeasu,idibus Novembris fere ineludi tar.ReHnqui lora non ci è dovizia d'altro. Questa raccolta ex ea duas partes apibus ratio persuadet, et scra dunque dal fine della vendemmie e tramontar per eas partes favorgm, qnae habeant erithaoen. delle Vergilie non passa i tredid di Novembre. A bruma ad Arcturi exortum diebo· l x somno La ragione persuade, ehe se ne lasd no alle peoalantur sine ullo dbo. Ab Arcturi exorta ad ae chie le due parti, e sempre quelle parti de'Saloni, quinoctium vernum tepidiore tractu jam vigilant: che hanno Γ eri tace. Dalla bruma al nascere di aed etiam lune alveo se continent, servatosqoe in Arturo si pascono di sonno per sessanta giorni id tempus dbo· repetunt. In Italia vero hoc idem senza mangiare. Dal nascimento d'Artaro al• Vergiliarum exortu fadunt: in eum dormiant l ' equinozio della primavera, essendo fatta l ' aria più tiepida, gii vegliano, ma nondimeno ancora si «tanno ndle cassette, e ripigliano i dhi serbati
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G. PLINII SECONDI
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Alvo* quidam in eximendo meile expendant) it· dirimentes quantam relinquent. Aequitas si quidem etiam in eis obstringitur: feruntque societate fraudata alvos mori» In primis ergo praecipitor nt loti, poriqoe eximaot mella. Et forem molieromque menses odere. Quum exi muntur mella, apes abigi fumo utilissimum» ne irsscaotar, aut ipsae avide voaent Fumo crebriore ejtiam ignavia earum excitatur ad opera. Nam nisi incubavere, favo· lividos faciunt Rursus nimio fumo inficiuntur : quarum iojuriam celer rime sentiunt mella, vel minimo contactu roris acescentia. Et ob id inter gener» servatur, quod acapnon vocant
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QOOOODO Ans OOBKMt.
per qaesto tempo. Ia Itali· fenno qaesto mede simo dal nascere delle Vergilie, e dormono fino a quello. Alcuni nel cavare il mele pesano le camelie» e tanto vi lasciano, quanto ne cavano; perchò ancor· in esse si richiede la equiti ; e dicono, che se sono ingannate, si muoiono. Prima eoa* dunque fi comanda, che quei che cavano il mele, sien lavati e netti. Le pecchie ancora hanno in odio il ladro, e i mestrui delle donne. Quando ai oev· il mele, i utilissimo caceiare le pecchie col fumo, acciocché non s' adirino, ed esse ingorde se Io mangino. Col fumo spesso si risvegli· an cora la pigrizia loro <1 lavoro, perciocché a*d ie non tooo intente al lavoro, fanno i fiatoni lividi. Qaando hanno anco troppo forno, diveotaoo in fette ; la qoale ingioria subito sente il mele, il quele ogni poco di rugiada che tocchi, divento acetoso. E perciò fra pià aorti di meli si serbo quello, che ai ehiama acapnon, cioè senta fama. C ova u r i c c n s « u n n o .
XVI. Fetus quonam modo progenerarent, XVL Ora in ehe modo nasoano le pecchie, ci magna inter eruditos et subtilis quaestio fuit sono grandi e sottili questioni fra gli uomini Apiom enim coitus visus et numquam. Plures letterati. Perciocché non si son viste mai le pec existimavere oportere confici floribus compositis chie usare insieme. Molti sono stati di parere, apte atque utiliter. Aliqui coitu unius, qui rex ia eh* elle oascano di fiori acconciamente · util quoque appellatur examine. Hunc esse solam mente composti insieme. Alcuni vogliono eh* elio marem, praecipua magnitudine, ne fatiscat. Ideo s’ ingenerino dsl ooito di uno, il quale ri chiama fetum sinu eo non edi : apesqoe reliquat, tam re io ciascooo sciame. Dicooo che qoesto solo è quam mares feminas comitari, non tamquam du maschio, e ch'egli è molto grande, acciocché cem: quem probabilem alias sententiam fucorum non maAchi nella fa ti·. E però senxa esso non proventus ooargoit Quae enim ratio, ut idem nasee il parto j e l'altre pecchie femmioe Γ ac coitus aKos perfectos, imperfectos generet alios f compagnano come maschio, non come capo e Propior vero/ prior existimatio fieret, ni rursus guida. Ma questa opinione peraltro probabile^ •lia difficultas occurreret Quippe nascuntur ali la riprova il nascere d ·' fochi. Perchè come può quando io extremis Cavis apes grandiore·, qaae essere, ebe d 'on medesimo ooito nascano parti ceteras fugant Oestrus vocatur hoc malum : quo perfetti e imperfetti ? La prima opinion· adun nam modo nasoens» si ipsae fugant r que parrebbe migliore, se noo s'incontrasse un'altra difficoltà. Perciocché nella estremità 4 e* fialooi oascono talora pecchie maggiori, cho cacciano P altre. Queste si chiamano estri : or, cóme nascono elle, se si formano da loro stesse? Qood certum est, gallinarum modo incubant. Chiaro è ch'elle covano, oome le galHne. Id quod exclusum est, primum vermiculus videtur Quello che prima ne nasce, pare die sia un ver candidus, jacens transversus, adbaerensque ita ut micello biaoco,che giace a traverso, e sta attaccato pars cerae videatur. Rexstatim mellei coloris, ut ehe paro che sia cera. Il re è sobito da principio electo flore ex omni copia factus, neque vermi di color di mde, comese fosse fatto di fiore culus, sed statim penniger. Cetera turba quum scelto di tutta la moltitudine ; e non è vermicel formam capere coepit, nymphae vocantor : ut lo, ma incontanente ha le penne. L'altra turba, foci, sirenes, aut cephenes. Si quis alterutris ca quando comincia a pigliar la forma, si chiamao pita demat, priusquam pennas habeant, pro gra ninfe ; coma I fochi, le sirene, o le cefene. Se si tissimo sont pabulo matribus. Tempore proce leva il capo ad alfono di questi, prima che iN l· dente Instillant cibo·, atqoe incubant, maxime taoole peone, son gratissioio cibo alle madri. marmorantes, caloris ( ot potant ) faciendi gratia, Dipoi in processo di tempo instUIano i cibi, o
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HISTORIÀBUSI MUNDI U B. XI.
necam ii OitlodeHdii pollii, donec rapti· mem brani·, f i t · liogolo* etofonk ovorum modo, universum agnem emergat Spectatam hoc Roma· consolaris cajusdam suburbano, alvei· «ora· latersae translucido f a d ie . Feto· intra u t diem peragitor. Fit in favi· qoibosdam, qai voeatar clere·, amarae derida «ara·, qaam fetom inde non edaxere morbo ant ignavia, aol iofecunditate naturali. Hic est aborto· apium. Protinus aatem edaci) operantar qaadam disciplina cara ma tri bas: regemqae jpvenem asqaalis torba oomitatur.
Reges plora· lochoantor, ne dedot. Postea ex bis soboles qaam adulta esse ooepit, concordi suffragio deterrimo· neeant, ne dìstrahantagmina. Duo aatem genera eoram: mdior niger variasqae. Omnibas forma semper egregia, et daplo qaam «eteri· major, pennae breviares, crura recta, ingressos celsior, in front· macola quodam diademate candicans. Maltam etiam ni tore a volgo diflerunt.
Qvab aaoomns
x a t io .
10 S4
covano, e allora fanno un gran ronzare, per quel die d pensa, affine di fare un caldo necessario a mandar fuora i nati, infino a che rotte quelle pellidne, le quali cingono ciascuno a modo di nova, esce fuor totta la schiera. Qaesto s 'è ve duto a Roma, nella villa d' uno eh* era stato consolo, essendosi fatte le cassette in un bracdo di lanterna luddo e trasparente. Qaesta figliatu ra è compita in quarantacinque giorni. Generasi in ulconi fiatoni una certa cosa dora di cera ama ra, la quale si chiama dero, e dò avviene quan do non hanno figliato o per infermiti, o per infingardaggine, o per isteriliti naturale. Questa è la sconciatura delle peochie. Or, subito che gli sciami sono osati Inora, operano oon ona certa disdplina insieme con le madri; e una turba eguale accompagna il re giovane. Sono più re da prindpio, acciocché non na manchi all'uopo. Come la gioventù è cresdata, a Catta possente, di comune consentimento ammal iano i peggiori, acciocché non s’ammutinino fra loro. Di questi re ce ne sono doe sorti ; è mi gliore il nero e vario. Tutti sono sempre di bel lissima forma, e maggiore il doppio che 1*dire : hanno le peone più corte, le gambe diritte, l'an dare dto, e in fronte uua certa macchia bianca, che pare una diadema. Rilucono ancora molto più che P dire peochie. Du. m odo n i Loao oovsmao.
17 . Or cercherà alcuno, se d è stato ano XVII. 17 . Qoaerat aanc aliquis, anosne Bor XVII. eale· faerit, et ^oot Liberi patres, et reliqua Èrcole, o più, e se Bacoo ebbe più padri, e altra vetustatis situ obruta f Ecce in re parva, villisque cose smatri le ndP amichiti ? mentre in ona cosa nostris adoexa, eujus assidua «opia est, non con sì piccola, e sì cornane alle nostre ville, e di cui stat inter auctores : rex nullomne solos habeat abbiamo tanta dovisia, non si accordano gli au aculeom, majestate tantum armatu^ an dederit tori, i qoali tottavia qoestionano se il re abbia eum quidem natara, sed a som ejus illi tantum aculeo, e se par gli basti essere armato solo della negaverit. Illud condat, imperatorem aculeo non sua maesti; ovvero, se la natora gliene abbia uti. Mira plebd drea eam obedientia. Qaam dato, ma in modo che non lo possa usare. Chia procedit, una est totum examen, drcaque eum ro è, che non P usa. Maravigliosa é l 'ubbidien globatur, cingit, protegit, cerni non patitur. Re· te di tutti gli d iri inverso di lai.* Qaando egli liquo tempore, quum populus in labore est, ipse esce fuora, tolti gli sono intorno, accerchiaolo, opera inla· circuii, similis exhortanti, solus im euopronlo, il proteggono, nè lo lasd ano vedere. munis. Circa eum satellites quidam lictoresque, 11 resto del tempo, qoando il popolo lavora, esso asddoi custodes auctoritati·. Procedit fora· non sta dentro, e va veggendo per tolto, quasi con nisi migraturo examine. Id multo intelligkur fortando gli altri, ed egli solo non fa nulla. Ha ante, aliquot diebus marmore intas strepente, intorno suoi sergenti e provisionati, che lo guar apparatus indice diem tempestivum eligentium. dano e difendono. Egli non esce fnora, te non Si qui· alam d detruooet, non fagiet examen. quando e' vuole mutare starna. Ciò d conosca Quum proceasere, se quaeque proximam illi cupit deuni giorni innanxi per un mormorio, ehe si esse, et in offido conspici gaudet. Fessum humeris sente nella cassetta, il che è come un certo mettersi sublevant: validius fatigatum ex toto porlaot. Si a ordine per eleggere il dì atto a partire. Se al qaa lassata defidt, aot forte aberravit, odore per- cuno gli menasse l 'ali, lo sdame non d parti •eqtitar. Ubicamqae ille consedit, ibi canclaram rebbe dirimenti. Qoando escono foori, daseona castra w nt desidera d'essere più presso al re, e s'allegra
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C. PLINII SECUNDI
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esser v«dota da loi io fargli servitio. Qaando egli è stacco, lo «oKevaoo oon le spalle, e se non poò ponto reggersi, lo porlaoo di peso. Se alcuna ri mane addietro o per istanehezza, o per arerà smarrita la via, seguita l'odore del re, e lo traova ad fiutos e lo raggiugne. Dovunque il re ai ferma, quivi tolte l 'altre s 'Accampano. A tlQ O im BT LABTOM O K U u » u ì h w i l
T a l v o l t a i L o to s c ia v i so so d i l ie t o a c o u k io .
Fanno graodl augurii o pubblk>i,o pri XVIII. Tene ostenta faciont privat· ac pobli· XVIII. ca, uva depeodente io domibos templisve, saepe vati, quando stanoo appiccate insieme a guisa d'on expiata magni* eventibus. Sedare io ore infantia grappolo di uva, e pongonsi oelle case o ne' tem tom etiam Platonis, «navitatem illam praedulcis pii, i qaali sono per ciò stati spesse Tolte porgati. •loqnii portendentes. Sedare in castris Drnai im Posaronsi già eolia bocca di Platone, qaando egli para toris, qoam proaperrime pogoatum apod era bambioo, e ciò significò la soavità della dol Arbalonem eat, haud qoaqaam perpetua araspi- cissima eloquente, che aveva · essere in loi. Pocom conjectura,qai diram id oateotum existimant scroosi nell’ esercito di Droso imperadore, qaan aemper. Dnoe prehenso totam tenetur agmen : do egli fece giornata e vinse appresso Arbalone; amisso dilabitor, migratque ad alio·. Esse otiqn· ancora che in ciò gli iodovioi ooo a’ appooessosine rege non possnnt. Invitae autem interimant ro, i quali tengono sempre ciò per cattivo anga eos, quam piares (aere, potiusqae nascentium rio. Preso eh* è il re, lotte P altre si fermano ; e domos diruant, si proventae desperator : tunc se si perde, totto l ' esercito si risolve, e vanno a et fucos abigunt. Quamquam de iis video dubita trovare altri re, perchè Ooo possooo reggersi ri, propriuraque iis genas esse aliquos existimare, senza loro. Malvolentieri gli ammanano, quando sicut furibus grandissimis inter illas, sed nigris, son molti, e più tosto minano le case, dove han lataque alvo: ita appellatis, quia furtlm devorent no da nascere, se si teme di cattiva ricolta; allora mella. Certum est, ab apibua fucos interfici. Uti cacciano via ancora i fuchi. Nondimeno di qoesti que regem non habent. Sed quomodo sine aculeo veggo che si sta in dubbio, e alcuni tengono che nascantor, in quaestione est. essi sieno d'una propria specie, e sieno come ladri e assassini grandissimi fra le pecchie, ma neri, e col corpo largo; così chiamati, perchè di soppiat to roaagiano il mele. Però è certo che le pecchie occidooo 1 fuchi, e eh' essi ooo baooo re. Ben si debita, come oascaoo senza spuntone. Hnmido vere melior fletas : sicoo, mei copio Quando la primavera è umida, il parto loro è sius. Qaod si defecerit aliquas alvos «ibas, impe meglio ; ma s1ella va secca, c' è piè dovizia di tam in proximas faciant rapinae proposito. At mele. E se in alcuoa cassetta manca da mangiare, illae contra dirigoot aciem : et si eustos adsit, al assalgono le vicine con intenzione d* averne per terutra pars, qoae sibi favere seotit, ooo appetit forza. Ma quelle all' incontro si mettono in bat eam. Ex aliis quoque saepe dimicaot caosis, eas- taglia, e se il gaardiano v'è presente, quella parte, qoe acies contrarias doo imperatore· instruant, che lo vede favorir le sue, non gli dà punto noia, maxime rixa in convehendis floribus exorta, «t nè Toffende altri menti. Spesso combattono aneora suos quibusque evocantibus : qoae dimicatio in per altre cagioni, e due re ordinano qaelle schiere jectu polveri*, «ot fumo tot· diaeotitor. Reconci contrarie, ciascuno la soa ; e massime se osseo liatur vero lacte vel aqua mulsa. differenza nel portare i fiori, dove ciascuno «Ma rna i sooi in soccorso. La qoal battaglia si fermo gittando fra loro on poco di polvere, o fiaceodo forno. Rappatumaosi poi col latte, ο «on Γ aoqoa melata. G im i
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XIX. 18 . Apea sunt et rusticae silvestresque, XIX. 18 . Soood anoora ddle pecchie rusti horridae aspecta, molto iracundiores, sed opere che e selvatiche, e spaventose da vedere, e molto •e labore praestanto*. Urbanarum doo geoera : più iraconde, ma odi* opera « nella fatica m m
HISTORIARUM MUNSI LIB. XI.
optimae b n re i, nriaeqoe, ei in rotanditatem compactile* : deteriore* longae, el qaibo* simili tudo v ap tru n : «damnum deterrimae ex ti* pi* losae. In Ponto sunt quaedam albae, qoae bi* in mense meile fadunt -Circa Thermodoontem ao· tam fluviam duo genera : diorum, quae in arbo ribus mellificant : aliarum, qoae sub terra, triplici cerarum ordine, uberrimi proventos. Aculeum apibus natura dedit ventri conser tam. Ad unam ictam boc infixo* qaidam eas sta dia amori putant. Aliqai non nisi in tantam ada cto, a t intestini quidpiam sequatur : sed fuoos postea esse, nec mella facere, velut castratis viri bus, pariterque et nocere et prodesse desinere. Est in exemplis, equos ab iis occisos.
Odere foedos odores, proculque fugiunt, sed et fictos. Itaqae angaenta redolentes infestant, ipsae plurimorum animaliora injuriis obnoxiae. Impugnant easnatorae ejusdem degeneres vespae, atque crabrones, eliam e culicum genere, qoi vo centur muliones: populantur birondincs, et quaedam aliae aves. Insidiantor aquaotibus ra nae, quae maxima earum est operatio tum, quum sobolera faciant. Nec hac tantum, quae stagna rivosque obsident, verum et rubetae veniunt ul tro, adrepentesqne foribus per eas sufflant : ad boc provolant, confestimque abripiantur. Nec sentire ietus apium ranae traduntur. Nec sentire ictus apiam ranae traduntur, loimieae et oves, difficile se a lanis earum explicantibus. Cancro rum eliam odore, si qais juxta coquat, exani mantur.
D i m ib u a.mu*.
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eccellenti. Le Somatiche sono di due sorti, le migliori son le più eorte e varie, e quasi rotonde: le peggiori sono le lunghi», le quali somigliano la vespe; e fra esse le pesame son pilose. In Pon to ne sono alcune bianche, le quali fanno mela dae volte al mese. D’intorno al fiome Termodonte ne sono di doe sorti ; alcune, che fanno il mele negli alberi ; alcune altre sotterra, di grandissimo guadagno, perchè fanno tre ordini di cera. La natara diede Γ ago alle pecchia, inserto e appiccato nel ventre. Alenai dicono, che come qaesto ago è confitto a on tratto, die subito muoiono. Altri tengono, che dò non sia, se oon qaando egli è fitto tanto addentro, che tira seco il budello; ma che poi son fochi, e noo fanno pià mde, quasi ohe sieno state lor tolte le forse, e che noo possano pià nè nuocere, nè giovsre. Truovaà che qaeite tali hanno morto de’cavalli. Hanno a noia i cattivi odori,e foggongli disco sto, e qoegli ancqra che sono fittizii e contraffatti. Le pecchie dunque travagliano coloro, che hanno addosso profumi, soggette elle stesse alle ingiurie di diversi animali. Combattono contra di loro le vespe che son della medesima natura, ma imba stardite, e i calabroni, e certi del genere ddle zan zare, che si chiamano mulioni; non che le ron dini e alcuni dtri ueodli. Le rane fanno loro imboscate, quando elle vanno per acqua,la quale è una delle maggiori fatiche, qoando èlle fanno gli sciami. Nè solamente fsnno loro villania quel le, che stanno intorno a* rivi e agli stagni, ma le botte vanno anco alle lor casse,e aggrappandosi al le porte soffiano dentro; onde le peochie volano fuori a quél soffio, e subito son carpite. Dicesi che le rane non senton la puntura delle pecchie. Sono nimiche loro anco le pecore, perchè diffictimente si sviluppano dalle lor lane. Muoiono ezian dio per Γ odor de* granchi, se deuno ne cuoce loro appresso. Delle ran av rri D u ti pecchie.
Hanno ancora delle infermità di lor na XX. Quin et morbos suapte natura sentiant. XX. Index eoram tristiUa torpens, et quam ante fores tara.. Il che dimostrano qaando son tutte meste in leporem solis promotis aliae cibos ministrant, e manineoniche, e qoando standosi al sole innanzi qaam defunctas progerunt, funeralitiumque mo all’ entrata ricevono il dbo da altre, e quando ra oomitantar exsequias. Rage ea pesta consum portano faova le morte, ed accompagnano il cor pto maeret plebs igaavo dolore, non cibo* con po come in esequie. Ed essendo il re morto, la vehens, non procedens, tristi tantum murmure plebe sta mal contenta, e s’snnighittisce nel dolo glomeratur circa eorpu* ejus. Sobtrahitnr itaque re. Non portano i cibi, non vanno foori, e sola diducta multitudine: alias spectantes exanimem, mente oon tristo mormorio si raonano intorno laetum non minuunt l une quoque ni subvenia il corpo di taso. Oade è necessario leverto via, tur, fame moriuntur. Hilaritate igitur et nitor? fatta partire di là fa moltitudine ; altrimeuti veggsndolsi morto innanzi, non rifioano mai di do sanitas aesdmatar. lersi. E allora anco, se non sono aiutate, si rauo-
C. PUNII SECONDI
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ig. Soni et operis morbi : quam favos non «xpkot, deron vocant. Item blapsigoniam, si fetum non peragunt
tono di Cime. La saniti loro dunque d eonoson per I1allegrezza « «plendor
Q uab umica Aravi.
Q u i l i 0 0 0 1 lo b o n u c i .
XXI. Inimica est et echo resultanti sono, XXI. Èaueo loro nimica l’eco la quale le spa qni pavidas alterno pulset ictu : inimioa et ne venta con le ripercussioni dd suono : è nimie* bula. Arand quoque vd maxime hostiles, quum ancora la nebbia. Sono i regnateli grandissimi loro praevaluere nt intexant, enecant dveos. Papilio avversari, I qudi quando o dentro o ftiori ddl’al·•tiam ignavus et inhonoratus, luminibus accensis veare han disteso la lor tde, tutte la ucddono. advolitans, pestifer, neo uno modo. Nam et ipse Eziandio la farfalla vile e disonorata,la quale voi* «eras depascitur, et relinquit excrementa, quibas a’ lumi acoesi, fa lor grandissimo danno, e in pià teredines gignuntur: fila etUun araneosa, qna- modi. Perciocché anch’ essa mangia la cera, e r i cumque incessit, alarum maxime lanogine obte lascia lo sterco, di coi nascono i tarli; e con quelle xit. Nascontur et in ipso ligno teredines, qnae certa lanugine che ha nelle ali impolvera le fila te ceras praecipue appetunt Infestat et aviditas pa se dd regnateli, ovunque s’aggira. Nascono aimilstus, nimia floram satietate, verno maxime tem iQente nd legno i tarli, i quali consumano molto pora : alvo cita. Oleo quidem non apes tantum, la cera. Nuoce lor parimente l’avidità troppa dui aed omnia insecta exanimantor, praecipue si ca cibo, massime nd tempo della primavera, quando pite uncto in sole ponantur. Aliquando et ipsae empiute di fiori a gola, vien loro flusso di oorpo. contrahunt mortis sibi causas, qnnm sensere exi E non solamente le pecchie, ma ancora tutti gli mi mella, avide vorantes. Cetero praeparcae, et inselli muoiono per l’olio, maggiormente s'elle quae alioqui prodigas atqoe edaces, non secus ao stanno col capo unto d sole. Alcuna volta ancora pigras atque ignavas proturbent. Nocent et saa s’ uocidono da loro stesse, perciocché quando elle snella ipsis, illitaeque ab adversa parte moriun sentono torsi il mde, ne mangiano tanto ingor tur. Tot hostibus, tot casibus (et quotam por damente, che fa lor mde. Per diro tempo s o d o tionem eorum oommemoro ? ) tam munificum ani molto massaie, e gastigano quelle ehe mangiano mal expositum est. Remedia dicemus suis lod* : troppo, come le pigre. Nnocono anco i lor meli, nunc enim sermo de natura est. perchè imbrattata di mele dalla parte di dietro, muoiono. A tanti nimioi, a tanti casi è soggetto sì benefico animale ! ed appena se n’ è raooonlata una piccola parte. Ragioneremo de’ rimedii d soo luogo, perciocché ora d parla della natura. De covro bbdis Arnus.
C o n si u m e iM .
XXII. ao. Gaudent plauso atque tinnitu «eris, XXII. ao. Godono dd suono de’ metdli, e eoque convocantur. Quo manifestum est, auditus eon esso si raunano; onde si conosce che elle quoque inesse sensum. Effecto opere, educto fetu, hanno il sentimento ddl’ udire. Fatto che hanno functo munere omni, exercitationem tum solem- il lavoro, fatti i figliuoli e fornita ogni ooan , nem babent : spatiataeque in aperto, et in dtum hanno per lor solennità l’ eaeroitazione. Volano datae, gyris volato editis, tum demum ad dbum dunque in luogo aperto, e innalzansi ; gironzano redeunt. Vita eis longissima, ut prospere inimica a zonzo, e dipoi tornano a mangiare. Quando ac fortuita cedant, septenis annis universa. Alvos ogni cosa va lor bene, e eh’ die campano da ogni numquam ultra deeem annos durasse proditur. pericolo, al pià che possano vivere, non passano Sunt qui mortuas, si intra tectum hieme serven seltq anni. Nè si truova mai, die alcuna cassa da tur, ddnde sole verno'tbrreanlur, ac ficulneo ci durala più che dieci anni. Dicono alcuni, che ae nere toto die foveantur, putent revivescere. si serbano il verno al coperto le pecchie morte, e dipoi a primavera le si seccano d sole, e eoa cenere di fico tutto il di si fomentano, detta pec chie risuscitano.
HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.
1041 D b b b ta b a r d is .
1041
C om e s i b ifa c c ia k o .
XXIII. I d totom vero amissas reparari ven XXIII. Quando poi elle sou perdute tutte, sì tribus bubuli* recentibus cam fimo obruti·: Vir- rifanno eo' ventri de1 buoi sotterrati di fresco gilius juvencorum corpore exininuto, sicut eqao- eon tutto il loro letame. Virgilio dice, ch’ elle ram vespas atque crabrones, sicut asinorum sca nascono de* giovenchi morti, come le vespe e i rabaeos, mutante natura ex aliis quaedam io alia. calabroni de’ cavalli, e gli scarafàggi degli asini, Sed horam omnium coitus cernuntur. Et tamen trasformando la natura un· cosa in un’ altra. Ma di tutti questi ai vede il coito, e nondimeno nella in fetu eadem prope natura, quae apibus. figliatura è quasi la medesima natura, che nelle pecchie. D e v bspis b t c b a b b o h ib d s . Q o ae a m m a l ia e x
D b l l b v e spe b c a l a b b o r i . Q o a l i a h im a l i
A LIBRO SCUM FAC1ART.
SI APBOFB1ABO IL KOS SCO.
XXIV. ai. Vespae in sublimi e luto nidos fa XXIV. ai. Le vespe fanno il lor nido in alto, ciunt, et in his ceras : crabrones in cavernis, aut di loto, e in essi la cera : i calabroni nelle caverne sub terra. Et horum omnium sexangulae cellae. o sotterra. Le lor eelle sono anch’esse di sei angoli, Cera autem corticea et araneosa. Fetus ipse inae ma la lor cera è bucciosa ovvero munita di cor qualis, et barbarus; alius evolat, alius in nympha teccia, e piena di ragnatele. La stessa figliatura è est, alius in vermiculo. El autumno, non verno, ineguale e strana, perciocché un vola, 1’ altro è omnia ea. Plenilunio maxime crescunt. Vespae, piccolo, e l’ altro ancora nel vermine; e tatti quae ichneumones vocaotur ( sunt autem mino questi figliano l’ autunno, e non la primavera. res, quam aliae ), nnum genus ex araneis peri Crescono molto quando la luoa è piena. Le ve munt, phalangium appellatum, et in nidoa suos spe, le quali si chiamano icneumoni (queste ferunt, deinde illinunt, et ex iis incubando suum son più piccole che l’altre), ammazzano una genus procreant. Praeterea omnes carne vescun sorte di ragni, che si chiama falangio, e lo por tur, contra quam apes, quae nullum corpus attin- tano nel lor nido ; dipoi turano eoa loto, e di gunl. Sed vespae muscas grandiores venantur : et quegli covando creano il genere loro. Oltra a amputato iis capite, reliquum corpus auferunt. ciò tutte si pascono di carne, al contrario delle Crabronum silvestres in arborum cavernis de pecchie, le qnali non toccano corpo alcuno. Ma gunt: hieme, ut celera insecta conduntur: vita le vespe vanuo a caocia delle mosche maggiori, bimatum non transit. Ictus eorum haud temere e mozzo loro il capo, ne portano il rimanente del sioe febri est. Auctores sunt, ter novenis punctis corpo. 1 calabroni salvatichi vivono nelle buche interfici hominem. Aliorum, qui mitiores viden degli alberi : il verno si ripongono, come gli al tur, doo genera : opifices, minore corpore, qui tri insetti, nè vivono piò che due anni. La pun moriuntur hieme : matres, quae biennio durant: tura loro di rado è senza febbre. Scrivono alcu ii et clementes. Nidos vere faciunt, fere quadri ni, che ventisette puntare di calabrone ammaz fores, io quibus opifices generentur. Iis eductis, zano un uomo. Gli altrif che paiono più piacevoli, alios deinde nidos majores fingunt, io quibus sono di due sorti ; quei che lavorano sono più matres futuras producant. Jam tum opifices fun piccoli, e muoiono il verno; gli altri sono le ma guntur munere, et pascunt eas. Latior matrum dri, che vivono due anni: qaesti sono mansueti. species : dubiumque an habeant aculeos, quia non Fanno i nidi loro la primavera, per lo più di egrediuntur. Et his sui fuci. Quidam opinantur quattro fori, ne’ quali generano gli artefici. Poi omnibus his ad hiemem decidere aculeos. Nec che hanno allevati questi, formano degli altri crabronum autem, nec vesparum generi reges, nidi maggiori, dove e’ producono qoelle che han aut examiua : sed subinde renovatur multitudo no a esser le madri. Allora gli artefici fanno Γ ufficio loro, e lor danno mangiare. Le madri •obole. son maggiori, e non si sa certo s* elle hanno lo spuntone, perchè non escon fuori. Anche que ste hanno i lor fuchi. Alcuni tengono che a tutti questi il verno caggiono gli aghi. I calabro ni e le vespe non hanno sciami, nè re, ma rinovansi per la figliatura.
C. PLINII SECUNDI
Ds
BOMBYCE ÀSST&IA.
D e l bom bicb
Assilio.
XXV. aa. Quartum inter haec genas est bombjcnm, io Anyrii proveniens, majas qaam supra dicta. Nidos lato fingant, salis specie, adplicatos lapidi, tanta dnritie, ut spiculis perforari vix possint. In iis et ceras largias, quam apes, fa ciunt: deinde majorem vermiculum.
XXV. aa. II qnsrto genere fra questi aon quegli, che si chiamano bombici : provengono nell’Asia, e son maggiori che i detti di sopra. F a n · no i lor nidi di loto, che sembrano di sale, attac cati alle pietre,e tanto duri, che a fatica si possono forare con gli spuntoni. In essi tanno più cera assai che le pecchie, dipoi maggior vermine.
D b BOMBYLIIS NECYDALIS. Q dAB P&1MA laVBHEKlT
Db*BOMBILI RECIDALI. D’ OTTA DOTOA, CHE HTVBBTÒ
BOMBYCIHAM VBSTBM.
LA VESTB ΒΟΜΒΙΟΗΑ.
XXVI. Et alia horum origo: e grandiore vermiculo, gemioa protendente sui generis cor nua, primam eruca fit: deinde quod vocatur bombylius : ex eo necydalus: ex hoc in sex men sibus. Bombyces telas araneorum modo texnnt ad vestem luxumqne feminarum, quae bomby cina appellatur. Prima eas redordiri, rursusque lexere invenit in Ceo mulier Pamphila , Latoi filia, non fraudanda gloria excogitatae rationis, ut denudet feminas vestis.
XXVI. Questi hanno altra origine. Nasoono da maggior vermine, fornito di due corna di specie propria, e questi sono i così detti brachi. Di qqesti si £b poi quello, che si chiama bombilo, e da esso il necidalo; e tutti questi in sei mesi. 1 bombici fanno tela a uso de* regnateli, per veste e pompa delle donne, la quale si chiama bombicina. La prima, che trovò modo di riordirle e tesserle di nuovo, fu nell’ isola di Coo una donna, che si chiamò Panfila figliuola di Latoo ; la quale non si dee fraudar delù sua gloria, avendo ella trovala una foggia di vesta sì sottile, che mostri le femmine ignuda.
D b b o k x y c b C o a . Q co m o d o c o m c u r n C oa v b s tis .
D b l b om bice d i
Coo. C om e si fo b m a
l a v e s t e C oa.
XXVII. a3. Bombycas et in Co insula nasci XXVII. a3. Dicesi che i bombici nascono tradant, cupressi, terebinthi, fraxini, quercus nell* isola di Coo, di fiori di terebinto, dì frassi florem imbribus decussam terrae halitu animan no, di quercia, fatti cadere dalle piogge, e animati te. Fieri autem primo papiliones parvos, nudos- dal vapore della terra. E dicono, che prima si que : mox frigorum impatientia villis inhorre fanno farfalle piccole e nude, dipoi non potendo scere, et adversum hiemem tunicas sibi instaurare regger al freddo mettono irti peli, e si vestono densas, pedum asperitate radentes foliorum la contro il verno di dense coperture ; perciocché nuginem in vellera : hanc ab his cogi unguium co’ piedi, i qoali hanno aspri, radono la lana carminatione, mox trahi inter ramos, tenuari delle foglie, e fannone quasi velli, e con l'ugna ceu pectine. Postea ad prehensam corpori involvi la scardassano, e dipoi la tirano fra rami, e l’aanido volubili. Tum ab homine tolli, fictilibusque sotligliano, come se la pettinassero ; poi in molti vasis tepore et forfurum esca nutriri: atque doppii si rivolgono dentro. Gli uomini allora gli ita subnasci sui generis plumas, quibus vestitos pigliano, e tengongli caldi in vasi di terra, e ad alia pensa dimitti. Qqae vero coepta sint la danno loro mangiare crusca, tanto che nasce ia nificia, humore lentescere: mox in fila tenuari loro nuova e naturai piuma, della quale quei chs junceo fuso. Nec puduit has vestes usurpare etiam sono vestiti si rimandano, perchè in simil modo viros, levitatem propter aestivam. In tantum a producano i vermicelli e i bruchi, e via via. Lo lorica gerenda discessere mores, ut oneri sit etiam lane, che si colgono da quegli, s'ammorbidiscono vestis. Assyria tamen bombyoe adhuc feminis con l'umido, poi si filano sottile con fuso di ginnco. Nc si son vergognati gli nomini ancora a por cedimus. tare di queste vesti, per essere più leggeri la state. Tanto si sono allontanali i nostri costumi dal portar la corazza, ehe lor pesano fin le vesti. Ma nondimeno per ancora lasciano la bombice di Siria alle donne.
HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.
De a e a b e i s
: q u i e x h is t i x a h t : q o a e m a t e e i a b v a t u e a a d TBX B m xn.
D b i BAGNI : QUALI FBA QUESTI VESSANO : DI CHE VATEB1A SI VALGONO A TESSERE.
XXVIII. a^. Araneorum his non absurde XXV111.24 . Agglugneremo di pariare ancora jungatur natura, digna vel praecipue admiratio sulla natura de’ ragni, la quale è degna di grau ne. Plura autem sunt genera, nec dielu necessa maraviglia. Essi sono di più sorti, nè però accade ria in tanta notitia. Phalangia ex his appellantur, ragionar di tutte, essendo molto note e manifeste. Falangìi son quelli che hanno il morso velenoso, q u o r u m noxii morsus, corpus exiguum, varium, acttmtnatura, adsultim ingrediefttium. Altera eo picciol corpo, appuntato e di più colori, e vanno rum species, nigri, prioribus cruribus longissi a saltelli. Una specie di questi son neri, e hanno mis. Omnibus internodia terna in cruribus. Lu* lunghissime gambe dinanzi. Hanno tutti tre no por uni minimi, non texunt. Majores interna et delli nelle gambe. I più piccoli, che chiamano cavernis exigtia vestibula praepandunt. Tertium lupi, non tessono. 1 maggiori ricuoprono cou la eorumdem gennserudita operatione conspicuum. tela certi buchi in terra. La terza specie loro fa Orditor telas, tantique operi* materiae uterus tela con nobile artificio. Mentre la ordisce, il ipsius sufficit: sive ita corrupta alvi natura stato ventre suo gli di materia a tanta opera, sia che tempore, ut Democrito placet : sive est quaedam per far questo il ventre s’infracidisca in certo tem intns lanigera fertilitas i tam moderato ungue, po, come vuol Democrito, sia che dentro v’abbia tam tereti filo, et tam aequali deducit stamina, una cefla fertilità di lana. Ed è gran maraviglia, ipao *e pondere usos. Teiere a medio incipit, ehe con ugna si temperata, oon filo così tondo e sì circinato orbe subtegmina adneotens maculasque eguale egli tiri i suoi stami, usando sè medesimo paribus semper intervallis, sed subinde crescen per peso. Comincia a tessere dal mezzo, adattando tibus, ex angusto dilatans indi**olubili nodo im la trama alla tela in forma tonda, e fa le maglie plicat. Quanta arte celat pedicas, ac scutulato sempre con spazii uguali ; però di mano in mano reta gravante·! qdam non ad hoc videtur perti che avanza col lavoro, li dilata ugualmente* e eoa nere crebratae pexitas telae, et quadam politurae indissolubil nodo intreccia le fila. Con quanta arte, ipsa per se tenax ratio tramae ! quam laxu· arte nasconde egli i lacciuoli nella rete fatta come •d flatos, ac non ad respuenda quae veniant, si ad occhietti, per pigliare la preda che vi si aggira nus ! Derelicta lasso praetendi summa parte ar- dintorno ! come pare che a questo non appar bitrere licia : at illa difficile cernuntur, atque ut tenga la filatura di si densa tela, e qilel modo in plagis lineae offensae, praecipitant in sinura. di trama per sè tenace, e con certa arte di poli* Specu* ipse qua concameratur architectura ! et tezza! quanto è tessuto lento H seno ovvero sac contra frigora quanto villosior ! quam remotus a co, acciocché percosso da qualche furia di vento, medio, aliuqoe agenti* similia ! inclusu· vero sic, movendosi, non iscuota da sè la preda ! Sembra ut sit, nec ne, intu* aliqui*, cerni non possit ! che la parte superiore della tela .sia lasciata pel Age, firmitas quanta rumpentibus veniis? qua ragno già stanco ; ma quelle fila difficilmente si pulverum mole degravante? Latitudo telae saepe vedono, e, come fanno nei calappi! di lino, ri inter duas arbores, quum exercet artem et diseit corrono sino al sacco. E oon quanto artifizio è texere : longitudo fili a culmine, ac rursus a ter fatta in volta Ìa sua spelonca! e quanto è ella ra per illud ipsum velox reciprocatio : «ubitque fornita bene contra il freddo! Quanto sta egli pariter ac fila deducit. Quum vero captura inci discosto dal mezzo come se e* facesse cfualche dit, quam vigilan· et paratu· ad cursura ? licet altra cosa, e rinchiuso in modo, che niuno lo può extrema haereat plaga, semper in medium cur vedere, se e’ vi sia, o non vi sia ! E come eon rit : quia sic maxime totum concutiendo impli forti queste tele contra il soffiar de’ venti, e il cat. Scissa protinus reficit, ad polituram sarcieu*. peso della polvere, che le aggravi ? La larghezze Namque et lacertarum catulos venantur: os pri della tela spesso è lo spazio fra due alberi, quando mum tela involventes, et tunc demum labra utra» egli s'esercita nell’arte, e impara a tessere. La lun que morsu ad prehendentes, amphitheatrali spe ghezza del filo è dalla cima fino a terra, per lo ctaculo , quum contigit. Sunt ex eo et auguria. quale velocemente ascende e discende tendendo Quippe incremento amnium futuro telas suas al le sue fila. Ma quando la preda dà nella rete, tius tollunt. lidem sereno non texnnt, nubilo te quanto è egli vigilante, e presto a correre ! Benché xunt. Ideoque multa aranea imbrium signa sunt. stia sospesa nell'ultimo lacciuolo,sempre corre nel Feminam putant esse quae texat, marem qui ve- mezzo, perchè a questo modo diguazzando tutta la rete,meglio l’avviluppa. Quanto v’ha di strac netur : ita paria fieri merita conjugio. cialo, tosto e’ Io rimenda sì bene, che non appare.
C. PLINII SECUNDI
Con questa rete ancora pigliano le locertoline : ravvolgono prima il capo nella tela, e pigliandole poi col morso dai due orli opposti le involgono, come fanno i reziarii nel giuoco de* gladiatori. Pigliansi augurii ancora da questo animaletto, perciocché quando i fiumi hanno a ingrossare, essi (anno più allo le lor tele. I medesimi oon tessono per sereno, ma sì quando è nugolo ; e perciò molli ragualeli sono segno di pioggia. Tengoncf che sia femmina quella che tesse, e ma schio quello che uccella, e così i meriti son divisi fra i due coniugi G e BBBATIO ABARBOKUlf.
Gbbbkazioitb de’
a agn i.
XXIX. Aranei conveniunt clunibus : pariant XXIX. I ragni si congiuugono co* gropponi vermiculos ovis similes. Nam nec horum differri di dietro, e partoriscono vermicelli simili a uova. potest genitur·, quoniam insectorum vix ulla alia Tocchiamo subito di questa genitura, perchè de narratio est. Pariunt autem ova ea in telas, sed gli animali inselli appena si può dire altro. Faono sparsa, quia saliunt, atque ita emittunt. Phalan queste uova sparse per la tela, perciocché saltando gis tantum in ipso specu incubant magnum nu le mandano, fuori. Il Mangio ne cova nel mu merum : qui ut emersit, matrem consumit, saepe buco un numero grande, il quale quando comin el patrem : adjuvat enim incubare. Pariunt au cia a germogliare, consuma la madre, · speaao tem et trecenos, ceterae pauciores. Et incubant ancora il padre, perch’egli l’aiuta a oovare. Qoesti triduo. Consummantur aranei quater septenis ne partoriscono fino a trecento: gN altri minor diebus. numero. Covano tre giorni. Consumane· i ragni in ventotto dì. Dji
sco& piom bos.
Dbgu sg o b m o b i.
XXX. a5. Similiter his el scorpiones terre XXX. a5. Gli scorpioni terrestri Canno an stres, vermiculos ovorum specie pariunt, simili- eli’essi vermini coaie uova, e periscono al modo terque pereunt : pestis importuna, veneni ser de’ ragni testé detti. Sono velenosi come le serpi, pentium, nisi quod graviore supplicio lenia per se non che uccidono più lentamente, e quindi triduum morte conficiunt, virginibus letali sem con più tormento, in termine di tre dì : la pun per ictu, et feminis fere in totum : viris aulera tura loro è sempre mortale alle fanciulle, e quasi matutino, exeuntes cavernis, priusquam aliquo a tutte le donne. Negli uomioi è mortale ancora, fortuito tela jejunum egeraut venenum. Scraper se s’abbattono a pugnerli la mattina prima che cauda in ictu est : nulloque momento meditari per altra puntura abbiano gii tato il veleno a di cessat, ne quando desit occasioni. Ferit et obli giuno. Punge sempre con la coda, nè cessa mai quo ictu, et inflexu. Venenum ab iis candidum d’ esercitarla per esser presto a ogni occasione fundi Apollodorus auetor est, in novem genera che gli vieoe. Ferisce da traverso e ricurvo. Scri descriptis, per colores maxime: supervacuo, quo ve Apollodoro, che gli scorpioni hanno il veleno niam non est scire, quos minime exitiales prae- biaooo, e gli distingue in nove sorti, massimadjxerit.Geminos quibusdam aculeos esse: mares· mente per colori : inutilmente, perchè non ai può que saevissimos. Nam coitum iis tribuit. Intelligi sapere quai sieno i velenosi. Dice ancora, che autem gracilitate el longitudine. Venenum omni alcuni d’essi hanno due spuntoni, e che i maschi bus mèdio die, quum incanduere solis ardoribus: soa crudelissimi, perchè secondo lui, usano U coi itemque quum sitiunt, inexplebiles polu. Con to; e questi si conoscono per esser più s·»tlili e stat et septena caudae internodia saeviora esse : più lungi. Tulli hanuo il veleno da mezzogiorno, pluribus enim sena sunt. Hoc malum Africae vo quando si sono riscaldali per l'ardor del sole; lucre eliam Austri faciunt, pandentibus brachia, e quando hanno sete, non si possono saat4re di ul remigia sublevantes. Apollodorus idem, plane bere. Quegli che hanuo selle nodi uella coda souo quibusdam inesse pennas tradit. Saepe Psylli, più crudeli, perchè la maggior parie n* hauoo sei. qui reliquarum venena terram invehentes quae Questi animali iu Africa volano, quando aofia stus sui causa peregrinis malis implevere Italiam, Ostro, perciocché distendono le braccia, le quali
lo5o
HISTORIARUM MUNDI UB. XI.
hot quoque k ip o rtm «moti soot: sed vivere is»tra Siculi coeli regionem noo potuere. Visootar tam·» aliquando io IUlU, sed innocui, multis· qoe aliis in lode, ni circa Pharem in Aegypto. Io Scythia interimoat etiam saes, alioqui vivadores conlra venena talia : nigras quidem, celerius, si in aqoam se immerserint. Homini iclo putatur esse remedio ipsorum dnis potus in tino. Ma· gnam adversitatem oleo mersis, et stellionibos potant esse, innoeois domtaxat iis, qui et ipsi careot sanguine, lacertarom figura. Atque soorpiones in lotum notiis nocere, qoibos noo sit aanguis. Quidam et sb ipsis fetom devorari ar bitrantor. Unam modo relioqui solertissimum, et qui se ipsias matris clunibus impooeodo, tu tos et a cauda et a morsu loco fiat. Hanc esse reliquorum altorem, qui postremo genitores sa perne confidat. Pariantor aatem undent.
Db
portate dal vento usaoo oome remi. Dice il me· desimo Apollodoro, che ve ne sono aleoni, i quali hanno le penne. Spesse volte i Psilli, i qoali per gaadaguare hanno ripieno Italia di veleni fiore** stieri, si sono sfonati di portarvi anco di questi, ma non vivono da Sicilia in qoa. Vedetene però talora in Italia, ma oon fanno male, e in molti altri luoghi, come io Egitto circa il Faro. Nella Scizia ammazzaoo ancora i porci, i quali sogliono regger mollo contra i veleni. Muoiono più tosto i neri, massimamente se entrano nell1acqua. Quando l'uomo è punto dallo scorpione, il rime dio è, che ne faccia cenere, e la bea nel vino. Hanno grande contrarietà alle tarantole, ovvero ramarri, che han la forma delle locertole, i qoali però non possono esser da loro offesi, perchè mancano anch’essi di sangoe ; e lo scorpiooe or dinariamente non nuoce ad animale, che non abbia sangue. Dicono alcooi che lo scorpiooe mangia i suoi figliuoli, e che solamente ne campa qualche accortissimo, il qoale mettendosi solla groppa alla madre, nè dalla bocca di Iri,.nè dalla ooda può essere offeso. Qaesto fa la veodetta degli altri, perchè stando quivi sicuro sbrana la madre. Ne partoriscono ondici per volta. D b llb taba ntd lb.
s T s llio b ir c s .
XXXI. a6 .Chamaeleonom stelliones qno«lam· XXXI. οβ. Le tarantole, o ramarri, hanno io modo naturam habent, rore taotnm viventes, certo modo la natara de’oamaleonti, perciocché eoo vivooo d’altro ehe di rugiada e di regnateli. praeterque aranris. De c ic a d is : s ih b o b b bssB, b x i t o citi.
XXXlf. Simili· cicadis vitat qoarum duo ge nera : minores, quae primae proveoiont, et no vissimae pereunt : sunt autem mutae. Sequens est volato rara. Qoae canunt, vocantur achetae : et quae minores ex his sont, tettigooiae: sed illae magis canorae. Mares canant in otroque genere : feminae sileat : gentes vescantor iis ad Orientem, eliam Parthi opibus abundantibus. Ante coitum mares praeferunt, a coitu feminas, ovis earum conceptis, quae sunt candida. Coitus supinisAsperitas praeacuta in dorso, qoa excavant fetu rae locom in terra. Fit primo vermiculos, dein ex eo, qoae vocatur tettigometra, eojos cortice ropto drca solstitia evolant, noeta semper : pri mam nigrae atqoe darae. Unam hoc ex iis quae vivant, et sine ore est. Pro eo qaiddam aculea tarum lingais simile, et bpc in pectore, qao ro rem lambant. Pectus ipsum fislulosum : hoc ca nunt achetae, at diximas. De cetero in ventre nihil est. Exritatae quum subvolant, humorem reddunt, qood solam argumentum est rore eas
D bllb
c i c a l e : cbb
sono sbvza
bocca, sbbza
Ο Β ίηαΟ DA IU U ID U B LO BSCBBMBTO.
XXXII. Simile è la vita delle dcale, le qoali son di due sorti. Le piccole sono le prime che vengono, e Polliate che maoiono, e son mutole. Quella che segue, vola di rado. Quelle, che can tano, si chiaaoano acete ; e le minori tra loro tettigoaie ; ma qoelle cantano piò. 1 maschi del ibane e l’altra sorte cantano, le femmine stanno chete. Alconi popoli in Levante ne mangiano, e i Parti ancora, che por son ricchissimi. Innanzi il coito dieono ehe i maschi son migliori, e le femmine dopo, qaando hanno concetto le uova, le quali son bianche. Usano il coito sopine. Hanno un’asprezza acutissima sulla schiena, eon la quale cavano in terra luogo per figliarvi. Nasce prima J un vermicello, dipoi qoella, che li chiama tetti gometra : è rivolto in on buccio, che scoppia intorno al solstizio, e n'esce già d^ala, che vola, e sempre esce di notte. Prima son nere e dure. Questo è an di quegli animali, che vivono senza bocca, e in cambio di bocca banno nel petto una certa cosa appuntata, simile a una lingua, con
ιο5ι
id5a
C. PLINII SECUNDI
aU. Iisdem solis nullum «d excrementa corporis foramen» Oculi tam hebetes, nt si qais digitum contrahens ac remittens iis adpropinqaet, tran seant velut in folia. Quidam doo alia genera fa ciunt earum : surculariam, quae sit grandior: frumentariam, qoam alii avenariam vocaut. Ap paret enim simul cum frumentis arescentibus.
#7 . Cicadae non n ascdnlur in rftritate arbo* rum : idcirco non sani Cyrenis circa oppidam : nec in campis, nec in frigidis aat ambrosia ne moribus. Est quaedam et iis locorum differentia. In Milesia regione paucis. sunt locis. Sed in Ce· phalenia amnis quidam penuriam earum et co piam dirimit. At in Ehegino agro silent omnes : ultra flamen in Locrensi canant. Pennarum illis natara quae apibus, sed pro oorpore amplior.
Db p ib b is
ib s e c to e u * .
1« quale leccano Ia rugiada. Il petto loro i «sca nalato; e con qaesto cantano le achete, come dicemmo. Altro non hanno in oorpo. E quando volano via, gettano fitori un certo umore, e à i solo è segno ch'elle si pascono di rugiada. Qoesti animali soli non hanno baco alcuno per mandar fuori lo sterco. Hanno gli occhi di si grosso ve dere, che se alcono vi appressa il dito, e lo tira a sè, gli passano sopra come so foglie. Alcuni ne fan no due altre sorti, la surcularia, ch’è maggiore ; e la frumentaria, che altri chiamano avenaria ; perciocché ella apparisce insieme 0 0 ' frumenti, quando si seccano. 37. Le cicale non nascono dove sono pochi alberf, e perciò non ce ne sono a Cirene intorno alla cittì, e non ne' campi, nè in luoghi freddi, nè in boschi ombrosi. Haono ancora esse certa differenza rapporto ai luoghi. Nel paese Milesio sono in pochi sili ; e nella Cefaleuia un certo 6 ume divide l'abbondanza e la carestia loro. Nel terri torio di Reggio stanno tutte chete : di là dal fiu me nel paese de' Locri cantano. Hanno le penne simili a quelle delle pecchie, ma rispello al corpo maggiori. D b l l b pe r r b d e g l ' ih s e t t i .
XXXIII. a8 . Insectorum aatem qnaedam binas XXXIII. 2 8 . Alcuni insetti hanno due ali, gerant pinnas, ot muscae : qnaedam qoalernas, come le mosche ; alcuni quattro, come le pecchie: ut apes. Membranis et cicadae volant. Quaternas le cicale volano con alcune pellicine sottili. Que habent, qaae, aculeis in alvo armantor. Nallnm, gli che hanno quattro ali, hanno lo spuntone nel cui telum in ore, pluribus quam binis advolat ventre. Niuno, che abbia l'ago in bocca, ha più pennis. Illis enim ultionis c a u sa dalum est, his che due ali. Perciocché quegli hanno Pago per aviditatis. Nallis eorum pennae reviviscant avol vendicarsi, e quest! per succiare l'esca. A niuno sae. Nullum, cui aculeus in alvo, bipenne est. rimettono l'ali, quando una volta sooo svelte. Ninno', che abbia lo spuntone nel ventre, ha due ali. D b sc a b a b a b is . L a m p y rid e s . R e l i q d a
D e g l i s c a b a p a g g i. L a m p ib id b . L b a l t b b s p e c ie
SCABABAEOBGM OBHBBA.
DEGLI SCABAPAGGI.
XXXIV. Qnlbasdaro pennarum tatelae crosta XXXIV. Alcuni cuoprono le penne con certa supervenit, ut scarabaeis, qaoram tenuior fragi- corteccia, come gli scarafaggi, ΐ quali hanno più liorque penna. His negatus aculens: sed in qnodam sottili ali, e son senza ago. Di qoesti ce ne sono genere eorum grandi, corona praelonga, bisulcis alcuni grandi, che hanno le coma lunghe, e nel dentata forcipibus in caoumine, quum libuit ad la punta d'esse certe forbici addentate, con le morsam coeuntibos, infantium etiam remediis ex quali possono mordere; e queste s'attaccano cervice suspenduntur. Lucanos vocat hos Nigi al collo a' bambini per certi rimedii. Nigidio gli dius. Aliud rnrsns eorum genus, qui e fimo ingen chiama Lucani. Écci un'altra sorte di scarafaggi, tes pilas aversi pedibus volutant, parvosque in iis i quali co' piedi all' indietro voltolan grandi pal •contra rigorem hiemis vermiculos fetus sui nidu lottole di sterco, e vi ripongon entro i lor piccoli lantur. Volitant alii magno cum mnrmure ac vermicelli nati, acciocché nel verno sieno difesi mugitu. Alii focos et prata crebris foraminibus dal freddo. Alcuni volano con gran romore. Altri excavant, nocturno stridore vocales. Lucent cavano i focolari e i prati, facendovi spessi ba igninm modo noctu, laterum et clunium colore chi, e di notte ronzano con molto strepile. Le lampyrides, nunc pennarum hiata refulgentes, lampiride rilucono la notte ne' fianchi e nel
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nunc vero compresso obombratae, noo ante me tani pabola, aat post deitcto oooepicaae. £ oontn rio tenebraram alano· blattis vita, locemqoe fogioot, in balineis maxime homido vapore pro gnatae. Fodiant ex eodem genere rotili atqae praegrande* scarabaei tellarem aridam, favosque parvae ac fistulosae modo spongiae, medicato meile fingunt. Io Thracia juxta Olynthum loca* est parvus, ia quo unum boc animal exanimator, ob hoc Canlharolethra* appellata*. Pennae insecti* omnibus «ine scissura : oolli caoda nisi scorpioni. Hic eorum solos et brachia habet, et in caoda «picalom. Reliqaoram qai* bosdam aculens io ore, at asilo, sive tsbaoom dici placet: item calici, et quibusdam moscis. Omnibus aalem bis io ore et prò liogaa soot hi acolei. Quibusdam hebetes, neque ad punctam, «ed ad sucturo, at muscarum generi, io quo lio gaa evideos fislula est. Nec suot talibus dentes. Alii* cornicula ante ocalos praetenduntur igoava, pt papilionibus. Quaedam insecta carent pennis, ot scolopendra. D b lo c o s tis .
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di dietro, e qoaodo aprono Tali mostrano il lame, qaando le riserrano lo oaseoodooo ; ma ooo si veggooo innanzi che le biade *ieo malore, oè poi che eoo *egate. Per eootrario le blatte ootrite al baio aoggoao la loce. Ne' bagni ne nascono molte generate da amido vapore. Sono certi scarafaggi graodi e lucidi, ehe oavano la terra, dove i seoca, a fanno fiatoni io forma di piccola spugna, e piena di canali. II male di qaesti è medicinale. In Trada appresso Olinto è ao piocol luogo, dove qaesto aaimale solo è occiso, c per questo è ehiamato Cantaroletro. Tatti gl'insetti hanno le ali «eosa alcuna rìdidtora, e neuuoo ha coda fuor che lo scor pione. Solo qoe*to ha le braecia e l’ago oella coda. Degli altri alcuni hanno l'ago io bocca, come l'assillo, ovver tafano, a le «ansare ancora, e certe mosche ; e questo tale ago è io cambio di liogaa. Alcaoi l'hanno che non pngoe, ma solamente snoda, come 1« mosche, le quali hanoo la lingua vota come oo boodaolo : qaesti non hanoo deoti. Alcaoi haooo cornicine innanzi agli occhi, ma deboli, come le farfalle. Alconi insetti non hanno penne, come i centogambe. D b llb
lo co sn .
Qoegli che hanoo piedi, gli moovono XXXV. Insectorum pede* quibas sant, io XXXV. obliquum moventur. Quorumdam extremi loo- per traverso. Alconi hanoo gli estremi piedi piò longhi, e ripiegati in fuori, come le locaste. giores foris curvantur, ut locastis. ag. Le locaste partoriscono uova nell'autun ag. Hae pariunt in terram demisto «pinae caule, ova condeosa, automni tempore. Ea daraot no, ficcando 1*estrema parte della schiena io hieme sub terra. Subsequente anno exita veris terra. Queste uova dorano il verno sotterra, e emittunt parvas, nigrantes et sine cruribus, peo* poi l'anno «eguente al fioe della primavera oe nisque reptantes. Itaque vernis aqui* intereunt nascooo piooole locuste nere, e senza gambe e ova : siccoque vere roajor proventas. Alii dupli seosa penne. Muoiono però delle uova la prima cem earum fetum, geminam exitium tradunt; vera per le molte piogge; e quando ella va secca, Vergiliarum exorto parere, deiode ad Caqis or oe casce quantità maggiore. Altri dicono, che tam obire, et alias reoasci. Quidam Arcturi occaso la lor figliatura i doppia, perchè die partori renasci. Mori matres quum pepereriift, certam scono nd nascere delle Vergilie, e dipoi maoiooo, est, vermiculo statim circa fauces enajcente, qui qoaodo oaaee la Canicola, e oe nascoo dell'altre. eas strangulat. Eodem tempore mares obeuot. Alcaoi tengono ch'elle rinascano oel tramontar Tam frivola ratione monentes, serpentem, quam d' Artaro. Certo è, che le madri maoiooo sabito libuit, necant singulae, faucibus ejus apprehensis che haooo partorito, perchè oasce loro an ver mordicus. Non nascuntur nisi rimosis locis. Io micello intorno alla gola, il quale le strangola. lodia ternum pedum longitudinis e*se traduntor, Nel medesimo tempo muoiono i maschi. E ben croribus et femioibos serraram asara praebere, ché mooiaoo per sì deboi modo, ooodimeoo quam inaruerint. Est et alius earum obito*. Gre- dascona d'esse, qaando voole, ammazza on ser gatim sublatae vento in maria aut stagna decidant. pente, col mordergli solo 0 0 poco la gola. Noo Forte hoc casaqae evenit, oon (at prisci existi nascono se non in luoghi pieot di fessi. Dicesi mavere) madefactis nociamo humore alis, lidem che in India sono lunghe tre piedi, dove leccano quippe nec volare eas oocliba* propter frigora loro le gambe e le cosce, e dipoi l'adoperano io tradideroot : igoari etiam longinqua maria ab cambio di aeghe. Maoiooo ancora in altro modo; iis tran*iri, continuata plnrium dierum ( qaod perchè essendo levale a branchi dal vento, ca maxime miremur) fame quoque, qoam propter scano in mare o* negli stagni. E qaesto avviene externa pabala petere sciant. Deorum irae peetis a c aso , oon come credettero gli antichi, perchè
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ea intelligilur. Namqae et grandiore» eernnntur, et tanto volant pennarum stridore, ot aliae alite» eredantor : solent que obumbrant, solliciti» suspe ctantibus populi·, ne suas operiaot terras. Soffi ci uot quippe vires : et tamqoam parum sit mari· traosisse, immensos tractus permeant, diraque messibos oontegunt nube, multa contaetu adu rentes : omnia vero morsa erodentes, et (ores quoque tectorum. Italiam ex Africa maxime ooortae infestant, saepe populo ad Sibyllina ooacto remedia confugere, ioopiae meto. Io Cyrenaica regione lex etiam est ter anno debellandi eas, primo ova obterendo, deinde fetum, postremo adultas: desertoris poena io eum, qui cessaverit, Et in Lemno insula certa mensura praefinita est, quam singoli enecatarum ad magistratus referant, Graculos quoque ob id ooluot, adverso volato occurrentes earum exilio. Necare et in Syria mi litari imperio coguntur. Tot orbis partibus vaga tur id malum. Parthis et hae in cibo gratae. Vox Arum proficisci ab occipitio videtur. Eo loco in commissora scapolarono habere quasi dentes existimantor, eosque inter se terendo stridorem edere, circa doo aequinoctia maxime, sinet cica dae circa solstitium. Coitos locustarum, qui et insectorum omnium quae coeant, marem por tante femina, in eum (emioarom ultimo caudae reflexo, tardoqoe digressu. Minores autem in omni hoc genere feminis mares.
De
f o & m c is .
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XXX VI. 3o. Plurima insectorum vermiculum gignuut. Nam el formicae similem ovis vere : et hae communicantes laborem : sed apes utiles fa ciunt cibos, hae condunt. Ac si quis comparet onera corporibus earum, fateatur nullis portione vires esse majores. Gerunt ea morsu. Majora aversae postremis pedibus moliuntur, humeris obnixae. El iis reipublicac ratio, memoria, cora.
si bagnassero loro le ali ddla guaxia dell· notte* I medesimi ebbero a dite, ch'elle non volano la notte per rispetto del freddo, neo sapendo che passano lunghissimi meri, e stanno di molti giorni seoxa mangiare ( eh* è maggiormente da maravigliarsi), perchè ancora sanno d'andare ai paschi stranieri. Credesi che questi animali sieno una crudel peste mandata dall' ira degli dei. Perciocché se ne veggono delle molto grandi, e volano con tanto stridor di penne, che paiono altri eccelli ; e oscurano il sole, stando tuttavia i popoli in grandissimo sospetto, ch'elle non cuoprano la terra loro. Perchè taoto bastano loro le forze, che come se fosse poco passare i mari, passauo per grande spazio fra terra, e con una orribil nugola cuoprono le biade, abbruciando molte cose che toccano, e rodendo ogni cosa fino agli usci delle case. Queste bestinole che nascono in Africa vengono a travagliare l'Italia, tanto che spesse volte hanno costretto I popoli a ricor rere a' rimedii Sibillini, per paura della carestia. Nel paese di Cirene v' è una legge, die tre volta l’anno si vada a combatterle, prima rompendo l ' uova, di poi la figliatura, e finalmente quando elle son cresciute: e chi non va a questa impresa n' è punito, come chi abbandona il campo. E nell' isola di Lenno è ordinata certa misura, la quale ciascuno è tenuto portare al magistrato, dà quelle eh' egli ha morte. E per questa cagione accarezzano molto le mulacchie, le quali volano alla ruina e distruzione di questi animali. In Siria ancora sono sforzali armarsi e ire a combatterle; per tante parti del mondo va attorno questa ruina. 1 Parti le mangiano oome un cibo delicato. La voce loro par che venga dalla collottola, e molti tengono eh' elle abbiano una specie di deoti dove il collo si congiogue con le spalle, i quali stropicciandosi l ' nn con 1*altro facciano rumore, massimamente intorno ai due equinozi!, siccome le cicale da mezza state. Il coito delle locuste è come quel degli altri insetti, che la fem mina porta il maschio e voltagli l ' ultima parte della coda, e tardi si spiccano. Ita tutta questa specie i maschi sono minori delle femmine. Dbl li ream e··. XXXVI. 3o. La maggior parte degli animali inselli fanno vermini in luogo d'uova : cosi taono le formiche, le quali vivono in comune come le pecchie, ma dove le pecchie fanno cibi, queate gli raganauo. E se alcuno vorrà paragonare s pesi, ch'elle portano, a'corpi loro, confesserà che niuno altro aoimale ha maggior forza seoondo la sua proporzione. Portano i pesi con la
HISTORIARUM MONDI LIB. XI.
Semina arrosa condunt, «e rurans io froges exeant e terra. Majora ad introitum dividunt. Madefacta imbre proferunt atque siccani. Ope rantur et noctu pleua luna : eaedem interlunio cessant. Jam in opere qui labor ! qoae sedulitas 1 Et quoniam ex diverso convehunt altera alterius ignara, oerli dies ad recognitionem mutuam nun dinis dantur. Quae tunc earum concursatio ! quam diligens cum obvii* quaedam collocutio atque percunctatio ! Silices itinere earum nitri to· videmus, et in opere semitam furiam, ne qai* dubitet qualibet in re quid possit quantulacumqve assiduitas. Sepeliunt inter se viven tium solae, praeter hominem. Non sunt in Sicilia pennatae.
3i. Indicae lormicae cornua, Erythris in Aede Herculis fixa, miraculo fuere. Aurum ex cavernis egerunt terrae, in regione septentrio nalium Indorum, qui Dardae vocantur. Ipsis co lor felium, magnitudo Aegypti luporum. Erutum hoc ah ii* tempore hiberno. Indi furantur aesti vo fervore, conditis propter vaporem in cuniculo* formicis : quae tamen odore sollicitatae provo lant, crebroque lacerant, quamvis praevelodbu* cameli* fugiente*. Tanta pernicita* feriU*qne est cum amore auri.
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bocca, ma quando ei sono troppo gravi, git so spingono coi piedi posteriori, e vanno ali' indie tro pontando nel terreno con le spalle. Hanno questi ammainati forma di repubblica, memoria e governo. Rodono i semi, e così rosi gli ripon gono, acciocch’ essi non nascano. Dividono quei che sono si grandi che non entrano nella buca, e quando son molli per la pioggia, allora gli ca vano fuora, e gli rasciugano. Lavorano la notte, quando la Iona è piena, e cessano, quando ella è scema. E che fatica poi e che diligenza durano nel lavoro ! E perchè elle arrecano i semi di di verse parti, non sapendo Γ una dell' altra, hanno certi dì come mercati, nei quali attendono a ri conoscersi insieme. E quale allora e il loro ire e redire ! S’incontrano insieme, e fermansi, come se elle favellassero tra loro, e pare che l'una Γ al tra dimandi. Noi infatti veggiamo che formano la via, e logorano le pietre nel camminare che fanno, tanto che niuuo dee dubitare come molto può la diligenza e Γ assiduità ancora nei piccoli animali. Seppelliscono le morte, ciò che non fa alcuno altro animale fuor che l'uomo. In Sicilia non sono formiche con le penne. 3i. Furono attaccate nel tempio d'Èrcole in Erilra le corna d'una formica Indiana, per cosa miracolosa. Nel paese degl' Indiani *ettentrionali, i quali «on chiamati Dardi, le formiche cavano l 'oro di «otterrà. Queste *ouo del colore delle faine, e cono grandi quanto i lupi di Egitto. Gli Indiani rubano l'oro cavato il verno da queste formiche, quando elle la «late per il gran caldo stanno nelle caverne ; le qaali nondimeno trag gono all'odore, e spesso sbranano gli uomini, ancora eh' essi fuggano su velocissimi cammelli ; tanta è la prestezza e crudeltà loro insieme oon Γ amor dell* oro.
CaiTMLLUWS.
C x ts i tu n B .
XXXVII. Sa. Multa autem insecta et aliter nascuntur, atque in primis ex rore. Insidet hic raphani folio primo vere, et spissatus sole in magnitudinero milii cogitur. Inde porrigitur ver miculus parvus, et triduo eruca: quae adjectis diebus adcrescit, immobilis, duro cortice; ad tactum tantum movetur, araneo adcreta, quam chrysallidem appellant : rupto deinde cortice volat papilio.
XXXVI). Sa. Molti altri insetti nascono altri menti, e massimamente di rugiada. Questa si posa sulla foglia del rafano uel tempo della pri mavera, e il sole la rassoda quanto un granello di miglio. Dipoi ne nasce uu vermine, che in tre giorni si fa eruca ; e in pochi giorni cresce, e si fa immobile, con la corteccia dura, e attorniata di ragnatele : muovesi solamente quando è tocca, e chiamasi crisallide : dipoi rotta la corteccia, nasce la farfalla.
D b HIS AHUMLIBOS, QUAB BX LIGNO, k V t IN LIGNO
D b g li a n im a li c h b b a sc o n o d a l lb g n o , o v i e
NASCVNTCK.
LEGNO.
XXXVIII. 33. Sic quaedam ex imbre gene rantur in lerra : quaedam et in ligno. Nec enim
XXXV111. 33. Così nascono alcuni animali dalla pioggia in terra, e alcuni ancora nel legno :
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costi tantum in eo, sed etiam tabani ex eo nascuntur : et alia, ubicumque humor est nimius : sicut intra hominem taeniae tricenum pedum, aliquen
perciocché non solo in esso nasoono i cossi, m a i lafaoi ancorale altri animali, dovunque è tropdo umore. Così dentro all'uomo nasoono v er mini e mignatte lunghe trenta piedi, e talora più.
SoHDIDJf HOMINIS ANIMALIA. Q c O D ABIMAL MINIMUM :
A n im a l i
BTIAM 19 CERA A » MALI A.
b e g l i bsc sk m b n ti d a l l ' dom o.
Q
o a lb s ia
i l p i ù p ic c o l o a n im a l e : v e n ’h a p u r b b l l a c e r a .
Anco nella carne già morta, e in XXXIX. Jam in carne exanimi, et viventium XXXIX. quoque hominum capillo : qua foeditate et Sulla capo degli uomini vivi ne nascono ; della qual dictator, et Alcman ex clarissimis Graeciae poe bruttura morirouo Siila dittatore, e Alcman uno tis, obiere. Hoc quidem et aves infestat : phasia dei chiarissimi poeti della Grecia. Questi animali nas vero interimit, nisi pulveraules sese. Pilos ancora danno noia agli uccelli, e ammazzano i habentium asinum tautum immunera hoc malo fagiani, se non si nettano con la polvere. Fra gli credant, et oves. Gignuntur aatem et vestis ge animali che hanno il pelo, non ce n' è libero niu nere, praecipue lanicio interemptarum a lapis no, fuor che l'asino e la pecora. Nascouo simil ovium. Aquas quoque quasdam, qaibus lavamur, mente in qualche sorte di panno, e massimamente fertiliores ejus generis, invenio apud auctores. iu vestimento fatto di lana di pecora morta dai Quippe qunm etiam cerae id gignant, quod ani lupi. Producegli alcuna volta l'acqua, con la malium minimum existimatur. Alia rursas gene quale ci laviamo, e quegli di questa sorte truovo rantur sordidas a radio solis, posteriorum lascivia essere più fertili appresso degli autori, percioc erarum petauristae. Alia pulvere huroido in ca ché la cera ancora ne ingenera uno che è stimato il minimo dì tutti gli animali. Nascono talvolta vernis, volucria. ancora dalle brutture tocche dal raggio 4*1 «ole, movendo lascivamente i piedi posteriori che pa iono giocolatoti di petauro. Altri ne nascono nelle caverne dall1umida polvere ebe ci ha, e questi volano come mosche. A biM AL CUI CIBI KX1TUS KOB I f T .
A bim a lb chb boh h a o sc ita a l c ib o .
XL. 34· Est animal ejusdem temporis, infixo semper sanguini capite vivens, atqoe ita intume scens, nnum animalium cui cibi non sit exitus : dehiscit que nimia satietate, alimento ipso moriens. Numquam hoc in Ramentis gignitur, in bu bus frequens, iu canibus aliquando, in quibus omnia. In ovibus et in capris hoc solum. Aeque mira sanguinis et hirudinum generi in palustri aqua sitis. Namque et hae toto capite conduntur. Est et volucre canibus peculiare suum roalum, aures maxime lancinans, quae defendi morsu non queunt.
XL. 34· Écci nno animale del medesimo tem po, il quale vive lenendo sempre il capo fitto nel sangue, e cosi gonfia, perchè non ha uscita al cibo, e s 'empie tanto, che scoppia. Questo ani male non nasce mai nei cavalli, ma sì bene spesso nei buoi, e alcona volta nei cani, nei quali pur tutti gli altri : nelle pecore e nelle capre questo solo. Simile ingordigia di sangue hanno le mi gnatte, le quali nascono nelle paludi ; perchè esse ancora s'ascondono nel sangue con tutto il corpo. Hanno anco i cani uno animai volatile, eh* è lor peculiare e proprio male, il quale specialmente fora loro gli orecchi ; uè se nepossono difendere col morsi».
TlB BA B , CABTHAEIDBS, CDLICBS. MlVlS ABIMAL.
TlGBUOLE, CANTARELLE, ZABZARB. ABIMALB CHE NASCE BELLA N EVI.
XLI. 35. Idem pulvis in lanis et veste tineas creat, praecipue si araneus una includatur. Sitit enim, et omnem humorem absorbens, ariditatem ampliat. Hoc et in chartis nascitur. Est earum genus tunicas suas trahentium, quo cochleae mo do. Sed haram pedes cernuntur. Spoliatae exspi rant. Si aderevere, faciunt chrysallidem. Ficarios
XLI. SS. La medesima polvere produce le tignuole nei pannilani, e massimamente se insie me vi si rinchiude il regnatelo. Perciocché egli ha sete, e succiando tutto Γ umore, accresce 1*ari dità. Questo animale nasce ancora nelle carte. Écoeae una sorte, che si tirano dietro lor tona che, oome fanno le chiocciole. Ma i piedi loro si
HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.
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calices caprificas generat. Cantharidas vermiculi ficorum et piri, et peuces, et cynacanthae, et ro sae. Veoeuum hoc alae medieantur : qoibns dem ptis, letale est. Rnrsus alia genera calicum ace scens na tora gignit. Qoippe quum et in nive can didi inveniantur vermiculi ; et vetustiore, io me dia quidem allitodiue rutili ( nam et ipsa nix ve tustate rubescit), hirti pilis, grandiores, lorpentesqae.
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f y b a l i s , s iv b p y r a c s t e s -
io6a
veggano, e come ne sono spogliate, si muoiono. Se die crescono, fanno la crisallide. 11 fico selvatico produce le zanzare ficaie. Le cantarelle sono ver micelli dei fichi e del pero, di peuce, di cinacanto e di rosa. Qaesto veleno ha il rimedio seco, pe rocché le ali stesse della cantarella ne sono il contravveleno o l 'antidoto : levate via queste, è animale mortifero. Sono altre sorti di zanzare, le quali nascono di materia acetosa. E di pià che nella neve ancora si trovano bianchi vermicelli, i quali nel mezzo dell’ altezza di essa, s’ ella ha molto tempo, tirano al rosso ( perchè la neve an cora, quando ella invecchia, rosseggia), e sono pilosi, e pià grandetti e pigri. A n im a l b
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PIRAUSTA.
XL1I. 36. Gignit aliqua el contrarium natu rae elementnm. Siquidem in Cypri aerariis foruacibus, et medio igni, majoris muscae magnitu dinis volat peaoalom quadrupes : appellator pyralis, a quibusdam pyrausta. Qnamdiu est in igne, vivit : quum evasit longiore panilo volata, emoritur.
XLII. 36. Genera ancora aleuni animali l’ele mento che di sua natura non è ponto vitale, per ciocché in Cipri nelle fucine del rame per mezzo al fuoco vola un uccello di quattro piedi, mag giore che una mosca : il quale si chiama pi r ale, e da certi pirausta. Mentre eh* egli è nel fuoco, vive ; qaando vola un poco discosto, si muore.
H b m b r o b io n .
E
m e b o b io n e .
XLUl. Hypanis fluvios in Ponto, circa solsti tium defert acinorum effigie tenues membranas : quibus erumpit volucre quadrupes supradicti modo, nec ultra unum diem vivit, nude hemerobion vocatur. Reliquis talium ab ioilio ad finem septenarii snnt numeri : culici et vermiculo ter septeni : corpus parient ibas, quater septeni. Mo tationes, et in alias figuras transitus, Irinis aut quadrinis diebus. Cetera ex his pennata, au tumno fere moriuntur : tabani quidem etiam cae citate. Muscis humore exanimatis, si cinere con dantur, redit vita.
XLIII. Il fiume Ipanì nel Ponto da mezza siate porta certe pellicine sottili, che paiono aci ni, fuor delle quali esce uno uccello da quattro piedi, come quel che abbiam detto, e non vive più che un giorno; però si domanda emerobiooe. Gli altri animali simili a questi vivon per giorni computati a «eltenarii : la zanzara e quei che han forma di vermicello vivon tre volte sette : quegli che partoriscono corpo, quattro volte sette. Le mutazioni, che fanno in altre Bgure, sono in tre o quattro giorni. Gli altri di questi pennati muo iono quasi tutti 1*autunno ; e i tafaoi muoiono ancora di cecità. Le mosche morte per umidezza, se si cuoprono di cenere, tornano vive.
A rauunioiinw
N a t DBA B STORIE DEGLI ANIMALI PBB CIASCUN MEM
fbb ungula membra, hatcBA.B BT BISTOBJAB. QuAB APICI· HABBNT, QUAB GBISTAS.
XL1V. 37 . None per singulas corporis par tes, praeter jam dicta, merabratim tractetur hi storia. Caput habent cuncta, quae sanguinem. In ca pite paucis animalium, nec nisi volucribus, api ces, diversi quidem generis : Phoenici plumarum serie, e medio eo exeunte alio : pavonibus, crini tis arbusculis: Stymphalidi, cirro: phasianae,
BRO. Q
u a l i h a n n o a f jg b , q u a l i c r b s t a .
XL1V. 37 . Orasi Iratterà la storia delle parli del corpo, membro per membro, benché ne ab biamo già innanzi ragionato. Tutti gli aoimali che hanno capo, hanno san gue. Pochi animali, in fuor che gli uccelli, hanno creste in capo, e questi 1’ hanno di più sorti. La fenice ha la cresta fatta in modo, che del mezzo della prima n’ esce un’ altra. I pavoni l'hanno
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G. PLINII SECUNDI
oornicolis. Praetere* parvae avi, qoae ab Ulo galerita appellata quondam, postea gallico voca bulo etiam legioni nomen dederat alaudae. Dixi mus et cui plicatilem cristam dedisset natura : per medium caput a rostro residentem ct fulica rum geueri dedit : cirros pico quoque Martio, et grui Balearicae. Sed specialissimum insigne gal linaceis, corporeum, serratum : nec carnem id esse, nec cartilaginem, nec callum jure dixeri mus, verum peculiare. Draconum ènifii eruta» qui viderit, non reperitur.
CoiHDUM GSBLKRA.
QoiBCS MOBILIA.
XLV. Cornua multis quidem et aquatilium, et marinorum, et serpenlum, variis data sunt modis: sed quae jure cornua inlelliganlur, qua drupedum generi lanturo. Actaeonem enim, et Cipom etiam in latiua historia, fabulosos reor. Nec alibi major naturae lascivia. Losit animamalium armis. Sparsit haec iu ramos, ut cervo· rum. Aliis simplicia tribuit, ut in eudem genere subulonibus ex arguroenlo dicti*. Aliorum finxit in palmas, digitosque emisit ex iis: unde platycerotas vocant. Dedit ramosa capreis, sed parva : nec fecit decidua. Convoluta in anfractum arie tum generi, ceu caestus daret : infesla, tauris. In hoc quidem genere, et feminis tribuit : in multis, tantum maribus. Rupicapris in dorsum adunca, damis in adversum. Erecta aatem, rugarumque ambitu conlorla, et in leve fastigium exacuta, ut lyras diceres, slrepsiceroti, quem addacem Africa appellai. Mobilia eadem, ut aures, Phrygiae ar meniis : Troglodytarum, in terram directa : qua de causa obliqua cervice pascantur. Aliis singula, et haec medio capite, aut naribus, ut diximus. Jam quidem aliis ad incursum robusta, aliis ad ictum : aliis adunca, aliis redunca : aliis ad jactam pluribus modis, supina, convexa, conversa, omnia in mucronem migrantia. In quodam genere pro manibus ad scabendam corpus. Cochleis ad prae tentandam iter: corporea haec, sicut cerastis: aliquando et singula. Cochleis semper bina : et ut protendantur, ac resiliant. Urorum cornibus barbari septemtriunales potant: urnaque bina ca pitis unius cornua implent. Alii praefixa hastilia cospidaut. Apud nos in laminas secta translucent, atque etiam lumen inclutum latius fundunt : mullasque alias ad delicias conferuntur, nunc tincta, non sublita, nunc quae ceslrota picturae genere dicuntnr. Omnibus autem cava, et in mucrone demam concreta sant. Cervis autem lota solida,
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in foggia di arbuscelll criniti : le slinfalide Γ han no crespa, come ricci di capegli. 1 fagiani oome cornicine. I/ ha inoltre quel piccolo uccello, che già fu detto gnlerita, dipoi per vocabolo Fran cese, «lauda, onde prese il nome una legione. Noi ragionammo ancora d* un uccello, a cui la nalura diede la cresta che si piega, e questa è la bubbola. Alle folaghe diede la cresta ricciuta, e così al picchio, e alla gru di Maiolica. Ma soprat tutto bellissimo ornamento di cresta diede a' galli e alle galline : questa ha corpo, ed è falla a uso di sega, tanto che noi potremo dire, eh' ella non è carne, ni cartilagine, nè callo, ma una certa cosa propria. Perciocché uon si troova ehi abbia visto le creste de' dragoni. Specie
DBLLB COBRA.
QcALl
LB ABBIABO MOBILI.
XLV. Molti animali d*acqua, e marini, e serpenti, hanno le corna in più modi ; ma corna propriamente si posson chiamare solo quelle de gli auiraali da quattro piedi. Perciocché io tengo che Atleone e Cipo eziandio nell’ istoria Ialina siano favolosi. Nè troverai altrove maggior lasà via di natura. Ella ha scherzato nell' arme degli animali. Ad alcuni Γ ha falle in rami, comea'cervi : ad alcuni semplici, come nel medesimo gene re ai subuloni, cosi delti per questo rispetto. Ad alcuni le fa come palme, delle quali nascono dila; onde si chiamano plaliceroli. Diede le ramose ai capriuoli, ma piccole e che non cadessero loro. I montoni le hanno rivolle in sè medesime acdoc· chè fossero come cesti co' quali si combatte. I tori l'hanno con la punta volta al nimioo: in questa specie le hanno ancora le femmine; in molte altre Γ hanno solo i maschi. Le rupicapre 1' hanno appuntate, ma volte indietro : i daini all' incontro. Lo strepsicerole ha le corna ritte, e con certe crespe attorcigliate, e pulitamente aguzze, tanto eh' elle paion lire. I bestiami di Frigia muovono le corna come gli orecchi : nel paese de' Trogloditi hanno le corna diritte verso la terra, e perciò bisogna che pascano col collo a traverso. Alcani hanno un corno solo, e questo iu mezzo il capo, o nelle nari, come dicemmo. Alcani le hanno forti per fare scontro; alcuni per dar colpo: altri le hanno adunche; altri ricurve; ed altri per ferire le hanno conformate in più modi, supine, convesse, rivolte ; ma tuttequante sono aguzze. Alcuni animali si servono delle corna a grattare il corpo in luogo di mani. Le chiocciole con le corna tastano il cammino; e queste corna sono corporee, come qaelle delle ceraste, che talora n* hanno un solo. Le chioc ciole n' hanno sempre due, le quali distendono e ritirano a sè. I barbari settentrionali beono con
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HISTORIARUM ΜΌΝΟΙ LIB, ΚΙ.
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et omnibas «nui· decidua. Boam attriti· angoli·, eornaa anguendo arvina, medentor agricolae. Adeoqae sequax natara est, ut ia ipsis viventium corporibus ferventi cera flectantur, atqoe iocisa nascentiam in diversas paries torqueantur, ot singulis capitibus quaterna fiant. Tenuiora femi nis plerumque snul, ut in pecore multis : ovium nulla, nec cervarum, neo quibas multifidi pedes, nec solidipedum ulli, excepto asino Indico, qui ano armatus est cornu. Bisulcis bioa tribuit na tura : superne primores habenti dentes. Qai pataat eos in cornaa absumi, facile coarguatur cer varum natura, quae neque dentes habent, at ne que mares, nec tamen cornua. Ceterorum os sibus adhaerent, cervorum tantum cutibus ena* •coniar.
le corna de' booi salvatichi, detti ori, e le corna d’un capo solo empiono due urne. Alcuni di loro oe (anno le punte alle lance. Appresso di noi segate in lame rilucono : se ne fanno lanterne, e molte altre gentilezze, ora tignendole, e ora smallan dole ; e ora s’ usano a lavorare di tarsia. Tutte le corna dentro son vote, e appuntate, fuorché quelle del cervo, che I1 ha latte sode, e le perde ogoi anno. I contadini, qaando i buoi hanno lo gore le ugne le medicano ugnendo lor le corna con lardo. E la natura è lauto arrendevole, che le corna ne1 corpi vivi si piegano con la cera bol lente, e se si tagliano quando I’ animai nasce, si piegano come altri vuole, e fannosi quattro in ogni capo. Le femmine per lo più le hanno più sottili ; come si vede ne1bestiami minuti. Le pe core non hanno corna, nò alcaua cerva femmioa ; ni quegli che hanno Γ ugna di molte parti o di un pezzo solo, infuor che Γ asino d 'India che n 'ha uno. Quegli, che hanno Pugna di due pezzi, hanno doe corna, ma non qaegli, che han no i denti dinanzi nella mascella di sopra. Colo ro, che credono che tali denti si consumino nelle corna, facilmente ai convincono per le cerve fem mine, le qaali non haono denti, come anco i ma schi, e nondimeno non hanno corna. Negli altri le corna sono appiccete all'osso, ma ne’ccrvi alla cotenna.
O b c a pit ib o s , b * q u ibu s m u lla .
D b l capo , b q o a l i a n im a li b o i Kb a b b ia so .
XLVI. Capila piscibu· portione corporum maxima, fortassis nt mergantur. Ostrearum ge neri nulla, nec epongii·, nec aliis fere, quibus •olas ex sensibas tactus est. Quibusdam indiscre tam caput esi, ut cancris.
XLVI. I pesci a proporzione del corpo hanno grandissimi capi, e forse è ciò, perchè si possano loflàre. I/ ostriche, le spugne, e quasi tutti quegli ehe noo hanno altro senso che il tatto, non han no capo. Alcuui hanno il capo non distinto, come i granchi.
D s CAVILLO.
D bl ca pello .
XLV1I. In capite conclorum animalium ho mini plurimus pilus, jam quidem promiscue ma ribus ac feminis, apad intonsas utique gentes. Atque eliam nomina ex eo Capillatis Alpium incolis, Galliae Comatae : at tameu sit aliqua ia hoc terraram differentia ; quippe Myeonii caren tes eo gignuntor, sicut in Cauno lienosi. Et quaedam animalium naturaliter calvent, sicut •trathiocameli, et corvi aquatici, quibus apud Graeco· nomen est inde. Deiluvium eorum in ipuliere rarum, in spadonibus non visum, nec in nilo ante Veneris osum. Nec infra cerebrum, aut infra verticem, ant circa tempora, atqoe aures. Calvitium _uni tantum animalium homini, prae terquam ionatom. Canities homini tantam et
XLV1I. Nel capo di tutti gli aoìmali sono peli, ma più nell1uomo, e alla mescolala, così ne' ma schi come nelle femmine, appresso i popoli che non si tosano. E da questo ancora presero il nome di Capillati gli abitatori dell’Alpi, e la Gallia Co mata: v’è però qualche differenza in tanti paesi. Perciocché i Miconii nascono senza capegli, come i Caunesi hanno tutti mal di milza. Sono ancora alcuni animali naturalmente calvi, come gli struz zo! i e i corbi d’acqua, i quali appresso de’Greci hanno preso il nome da questo. Rare volte lo don ne diventano calve, e gli uomini castrati non mai ; oè niuno vien calvo innanzi eh’ e’provi i piaceri amorosi, nè mai sotto il cervello, o sotto il vertice, o intorno alle lempie e agli orecchi. Solo l'uomo
G. PLINII SEGONI»
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eqaii : sed homini aemper a priori parte capitis : Ium deinde ab aversa.
fra gli animali divien oalvo, fuov che quello che così i nato. Solo l'uomo e il cavallo incanutisce, ma P uomo sempre prima dalla parte dininst del capo, e poi di dietro.
D e o ssib u s c a p i tis .
D b l l b ossa b e l c a po .
XLVI1I. Vertices bioi hominum tantam ali quibus. Capitis ossa plana, tenuia, sine medullis, serratis pectinatim structa compagibus. Perfracta non queunt solidari : sed exempta modice non sunt letalia, in ?ioem eorom succedeute corporea cicatrice. Infirmissima esae ursis, durissima psit tacis, suo diximus loco.
XLV111. Sonci aleani uomini di hanono due cocuzzoli. Hanno Tossa del &po piane, so ttili· senza midollo, e le congiunture in forma di sega si uniscono come due pettini. Se si rompono, non si possono risaldare, ma cavandosi, se è piceol pezzo, la carne si rassoda e P uomo vive. Gli orsi hanno debolissimo capo, e i papagalli durissimo, come dicemmo al sno luogo.
O s c b b b b eo .
D b l c b ev b llo .
XLIX. Cerebrum omnia-habent animalia quae sanguinem : etiam in mari, quae mollia appella· vimos, quamvis careant sanguine, ut polypi. Sed homo portione maximum et humidissimum, omnium que viscerum frigidissimum, duahns su· pra sublerque membranis velatum, quarum al· tara tram rumpi mortiferum est. Cetero viri, qoam feminae, majus. Hominibus hoc sine san guine, sine venis, et reliquis sine pingui. Aliud esse quam medullam eruditi docent, qooniam coquendo durescat. Omnium cerebro medio in sunt ossicula parva. Uni homini in infantia pal pitat, nec corroboratur ante primum sermonis exordium. Hoc est viscerum excelsissimum, proximuraque coelo capitis, sine carne, sine cruore, sine sordibus. Hanc habent sensus arcem : huc venarum omnis a corde vis tendit, hic desinit : hic culmen altissimum, hic mentis est regimen. Omnium autem animalium in priora pronum, quia et sensus ante nos lenduut. Ab eo profici scitur somnus: hinc capitis nutalio. Quae cere brum non habent,non dormiunt. Cervis in capile inesse vermiculi sub linguae inanitate, et circa articulum, qua caput jungitur, numero viginti produutur.
XLIX. Tutti gli animali che hanno sangue, hanno cervello ; e in mar$ ancora quei pesci, che noi dicemmo molliccìchi, benché non abbiano sangue, come sono i polpi, nondimeno hanno cer vello. L'uomo a proporzione l’ ha grandissimo, uni tdissirao e freddissimo sopra tutte le ioteriora. Questo ha di sotto e di sopra due pannicoli: la rottura dell' uno o deir altro è mortale. Quello dell* uomo è maggiore, che quello della donna. 11 cervello degli uomini è senza sangue, e senza vene ; quello degli altri animali senza grasso. Di cono gli eruditi che il cervello non i altro che midolla, perchè col cuocerlo indurisce. Nel n e izo del cervello di tutti sono piccoli ossicini. Al· Γ uomo solo fra tutti gli aoimali, quando egli è barobino, palpita il cervello, né si fortifica innan zi eh' egli incominci a favellare. -Questa è la piè alta di tutte le »isoere, e prossima ai cielo del capo, senza carne, senza sangue, senza sporchez ze : questa è la rocca de*sentimenti : tutta la fona delle vene derivanti dal cuore qoi tende, e qoi finisce : qui è P altissima cima, e il reggimento della mente. A tutti gli animali s’inclina nelle parti davanti, perchè anche i sensi n · si disten dono innanzi. Da quello ne viene il sonito, e il menale del oapo. Gli animali che non hanno il cervello, nou dormono. Dicono che i cervi haono nel capo vermicelli sotto la concavità del la lingua, e nella incbiavatura per dove ai eoo· giugae il capo, a novero venti.
De
a u b ib u s : q u a b s ib e a d b ib d s , b t s ib e FOBAVIB1BDS AUDIABT.
L. Anres homini tantum immobiles. Ab iis Flaccorum cognomina. Nec in alia parte feminis majns impendium, margaritis dependentibos. In Oriente qoidem et viris, auram gestare eo loci,
D e l l e o b b o c h ib : q u a l i a b u ia u oda h o sb b za OEBCCHIB B SBBZA ALTBO POEAME.
L. Non è che l'uomo che abbia gli orecchi immobili. Da questi venne ileognome de' Flaochi. Nè in altra parie fanno le donne maggiore spesa, por· tandovi appiccate perle di tanta valuta. In Lavante
HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.
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decas existimator. Animalium «Itis majores, «Uis minore·. Cervi* tantum seissae, ao telai divisae : sorici pilosae. Sed auriculae omnibas animal dumtaxat generantibus, excepto vitato marino, atqoe delphino, et quae eartilaginea appellavimus, et viperis. Haec cavernas tantum habent aurium loco, praeter cartilaginea, et delphinum, quem tamen audire manifestum esi. Naro et eantu mul centur, et capiuntur attoniti sono. Quanam au diant, mirum, lidem nec olfaetus vestigia bahent, quum olfaciant sagacissime. Pennatorum anima lium buboni tantam et oto plumae, velut aures : ceteris cavernae ad auditum. Simili modo squainigeris, atque serpentibus. In equis et omninm jumentorum genere indicia animi praeferunt: fessis marcidae, micantes pavidis, subrectae fu rentibus, resolutae aegris.
Da
f a c ib , d e f r o r t b , s t s u f e b c i l u s .
ancora gli nomini si recano a ornamento portar vi dell1 oro. Degli animali alcuni gli hanno mag giori, alcuni minori. Soli i cervi gli hanno fessi, e in un certo modo divisi ; e i topi pilosi. Ma di tutti gli animali solo quegli, che generano ani male, haono gli orecchi, fuor che il vecchio ma rino e il delfino, e quegli che noi chiamammo panniculosi, ovvero cartilaginosi, e le vipere. Questi hanno solamente raverne in luogo d'orec chi, eccetto che i panniculosi e il delfino, i quali nondimeno odono; perciocché si dilettano del canto, e pigliane! storditi dal suono. Bene è ma raviglia come ei possano mai udire. Questi mede simi non hanoo segoo alcuno d’odoralo, eppar odorano benissimo. D e to n a ti soli i guffi e gli alocchi hanno penne in forma dirocchi : gli altri hanno solo i buchi da udire; il che dee dirai ancora degli animali, che hanno scaglie, e della serpi. Ne1cavalli e in tutti i giumenti per gli orec chi si conoscon le qualità deU1aoimo : gli stracchi l 1 hanno appassite, i paurosi l1 hanoo tremanti, gl1 infuriali le risiano, gl1infermi l’hanno ca scanti. D e lla
f a c c ia ,
db'
Ll. Facies bomini lantuna, ceteris os, aut rosira. Frons et aliis, sed homini tantum tristitiae, hilaritatis, clementiae, severitatis index. In animo •essus ejua. Supercilia bomini, et pariter et alter ne mobilia, et in iis pars animi. Negamus, au annuimus? Haec maxime indicant fictum. Su perbia aliubi conceptaculum, sed hic sedem habet. In corde nascitur, huc subit, hic pendet. Nihil aliius simul abruptiusque invenit in oorpore, ubi •olitaria esaeL
De o c o l i s
: q u a e s u b o c u lis a r im a lia : q d a i
della
fbo btb
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SOPBACC1QLI.
Ll. Solo l'uomo ha la faccia, gli altri am mali hanno o bocca, o muso, o becco. Alcuni altri hanno la fronte, come I' uomo, ma nelPuoroo dimostra tristitia, allegrezza, dementa, seve rità; affetti che vi derivano dall'animo, dove hanno lor sede. L' uomo ha le ciglia, le quali si muovono iosieme, o di per sè : ancora in quelle si conosce Panimo, e se neghiamo o acconsentia mo. La superbia si genera altrove, ma qui ha la sua stani·. Ella nasce nel cuore, ma vien qui, e di qui pende. Nè pià alto loogo e più rapido ha trovato nel corpo, dove sola potesse stare. D e g l i o c a » : q o a l i ìh ih a l i sie r o s e r ia occhi :
9IHGCLOS OCDLOS TABTCM HABBAST.
QOALI ABBIAPO V * SOLO OCCHIO.
LII. Subjacent oculi, pars corporis pretiosis· sima, et qui lucis usu vitam distinguant a morte. Non omnibus animalium hi : ostreis nulli : qui busdam concharum dubii. Peclincs enim, st qai· digitos adversum hiantes eos moveat, contrahun· tur, ut videntes. El solenes fugiunt admota fer ramenta. Quadrupedum talpis visus non est : oculorum effigies inest, si quis praetentam detra hat membranam. Et inter aves ardeolarum gene> re, quos leucos vocant, altero oculo carere tra dunt. Optimi augurii, qoam ad Austrum volant, Septem Irionemve : solvi enim pericula et metas narrant. Nigidius nec locustis nec cioadis esse
LII. Gli occhi vi stsnuo sotto, preziosissima parte del corpo, i quali prestando la luce, distin guono la vila dalla morte. Non tutti gli animali gli hanno : non le ostriche ; e stassi in dubbio, sa alcuni niocbii gli hanno, o no. Perciocché i petti ni, se alcuno porge il dito inverso di loro, quan do sono aperti, si rinchioggono, come se vedes sero; e le solene fuggono il ferro appressato. Degli animali di quattro piedi, le talpe noo ne hanno, ina hanno una effigie d* occhi, levandosi via un pannicolo, che n1 è disteso sopra. Fra gli uccelli nella specie delle ardeole, dicesi che que gli, i quali si chiamano leuci, non hanno se non un
G. PUNII SECUNDI
«licii. Cochleis oculorum vicem cornicula bina praetentato implent. Nec lumbricis ulli saal, vermiumve generi.
D» N
occhio. Questi uccelli sono d'ottimo augurio., quando volano a mezzodì o a tramontana ; per ciocché dicesi eh1 essi sciolgono i pericoli e le paure. Dice Nigidio che le loouate e le cicale non hanno occhi. Le ehiocctole hanno in luogo d 'o c c due ptooole cornicine, con le quali tastano la vìa. Nè i lombrichi, nè altri vermini hanno oechi. D llU
I H N U T I OCOLOEOM.
L i l i . Oculi homini tantum diverso colore: ceteris in suo cuique genere similes. El equorum quibusdam glauci. Sed in homine numerosissimae varielatis atque differentiae : grandiores, modici, parvi, prominentes, quos hebetiores putant: conditi, quos clarissime cernere; sicul in colore caprinos.
Q uab k a t io visus . N o ctu vibbm tbs .
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D1VBBSITÀ D8GM OCCHI.
Lill. Solamente gli uomini hanno occhi dì diverso colore : gli altri li hanno tutti ad un mo do, secondo la loro specie. De'cavalli certi gli hanno verdi e bianchi, ma nell' uomo sono di gran varietà e differenza, grandi, mediocri, pic coli, che sporlano in fuori ; e questi dicono aver corta vista. Sono di quei che stanno indentro, e questi dicono veder benissimo, come nel colore i caprini. Ou
MODO DI VBDEEB.
Di QUELLI CBS
VKGQOHO
DI SOTTB.
L1V. Praeterea alii contuentur longinqua ; alii nisi prope admota, nou cernunt. Multorum visus fulgore solis constai, nubilo die pon ceruenliuro, nec post occasus. Alii interdiu hebetiores, noctu praeler ceteros cernunt. De geminis pupil lis, aut quibus noxii visus essent, sati* diximus. Caesii in tenebris clariores. Ferunt Tiberio Caesari, nec alii genitorum mortalium, fuisse naturam, ut expergefactus noctu paullisper, haud alio modo, quam luce clara, contueretur omnia, paullalim tenebris sese obdu centibus. Divo Augusto equorum modo glauoi fuere, superque hominem albicantis magnitudi nis. Quam ob causam diligentius spectari eos, iracunde ferebat. Claudio Caesari ab angulis can dore carnoso sanguineis venis subinde suffusi : Cajo principi rigentes. Neroni, nisi quum conniveret, ad prope admota hebetes. Vigiuli gladia torum paria in Caji principis ludo fuere : in iis dno omnino, qui contra comminationem aliquam non conni verent, et ob id invicti. Tantae hoc difficultatis est homini. Plerisque vero naturale, ut oiclari non cessent,quo* pavidiores accepimus.
L1V. Oltra di questo, altri veggono le cose lontane, altri non veggono se non da presso. Alcuni veggon meglio nello splendor del sole, e alcuni non veggono, qnando è nugolo, e dopo il tramontare. Altri di giorno sono di poca vista, e di notte veggon pià che gli altri. Di quegli che hanno due pupille, o di quegli che nuocono col guardare, abbastanza abbiamo ragionalo altrove. Gli occhi azzurri veggono meglio al buio. Dicono che Tiberio imperadore, e niuno altro nomo del mondo, ebbe questa natura, che la notte, quando egli stava un poco svegliato, ve deva tutte le cose, come se fosse stalo di mezzo giorno ; ma a poco a poco perdeva la vista nel buio. L 'imperadore Augusto ebbe gli occhi gaz zerini, come i cavalli, e biancheggianti più che negli altri uomini. Per la qual cosa avea molto per male, se altri li fisav* diligeutemenle a guar darlo. Claudio imperadore aveva negli angoli degli occhi un candore carnoso, egli occhi sparsi di vene sanguigne. Caio imperadore gli aveva ri gidi. Nerone avea corta vista, e non vedea neppur le cose appressategli, se ùon aguzzava gli oc chi socchiudendoli. Ne' giuochi di Caio impera dore furono venti paia di gladiatori, e fra questi erano due soli, i qoali non voltarono nè socchiu sero mai gli occhi conira a minacce, che lor fos sero fatte, e per ciò furono invilii ; perocché è somma difficoltà tenere gli occhi immoli nei pericoli. Alcuni altri hanno per nalura d 'aprire e serrare tuttavia gli occhi, e per questo son te nuti molto paurosi.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.
Oculo» uniculor nulli t oam candore omnibas medias color differens. Neque all· ex parte majora animi indicia, ennetia animalibns; sed homini maxime, id eat, moderationi», dementiae, miseri cordiae, odii, amoris, tristitiae, laetitiae. Contuita quoque multiformes, truces, torvi, flagrantes, graves, transversi, limi, submissi, blandi. Pro fecto in ocolis animus habitat. Ardeut, intendun tur, humectant, conni veni. Hinc illa misericordiae lacryma. Hoa qaam osculamur, animum ipsum videmur attingere. Hino fletus et rigantes ora rivi. Qai* ille hamor est, in dolore tam fecundus et parata·? aot obi reliquo tempore? Animo aotem videmus : animo cernimus : oculi, ceu vasa quaedam, visibilem ejus partem accipiant, atque transmittant. Sic magna cogitatio obcaecat, abdu cto intas visa. Sic in morbo comitiali aperti nihil cernant, animo caligante. Qaia et patentibas dormiant lepores, maltique hominum, quos X 0 fo flm rt$ 9 Graeci dicunt. Tenuibus roultisqae membrani· eos natura composuit, c a llo sis contra frigora caloresqua in extimo tunicis,quas subinde pnrificant lacryma tionum salivis, labricos propter incursantia, et mobiles.
D i i m i i p era u i. Q011 n o n
c o b b iv b a b t .
Non c* è niaoo, che abbia l’occhio d'un color solo; ansi tutti col bianco hanno il color di mes to differente. E in questa parte più che in alcuna altra tutti gli animali mostrano segni grandi dell'animo loro,e massimamente Poomo, doè di temperanza, di demenza, di misericordia, di odio, d'amore, di maninconia e d'allegrezza. Nel guardare anco sono gli occhi di diverse ma niere, crudeli, burberi, sfavillanti, gravi, trasver si, obbliqui, sommessi, piacevoli. E veramente che P animo abita negli occhi. Peroiocchì essi ardono, si distendono, innmidisconsi, e accenna no. Di qui vengono le lagrime di compassione. Quando noi baciamo gli occhi, d pare di toccar l’animo. Di qui vengono i pianti e i rivi, che rigano le gote. Che umore è mai questo tanto fecondo nel cjolore, e così presto? o dove sta nel l’altro tempo ? Con P animo veggiamo, con P animo discerniamo ; e gP occhi sono come certi strumenti, i quali pigliano quella parte di lui vi sibile, e fuori la trasmettono. Così un gran pen siero ci toglie il vedere, riduoendo la vista di dentro. Così nel mal caduco, bench* essi sieno aperti, non veggono nulla, essendo l'animo offu scato. E di più che le lepri dormono con gli occhi aperti, e similmente molti nomini, che i Greci chiamano iniziati nelle sagre de'Coribanti. La natura gli compose di molti e sottili pannicoli, e contra il freddo e il caldo gli ha vestiti di tona che callose nella lor parte estrema, le quali di continuo si purificano con gli umori delle lagri me. Gli ha fatti lobrichi e mobili, acdocchè fa cilmente scacrìno da sè le cose nodve. D i l l a b a t u b a d b l l b p u p il l e . Q u a l i b o b CHIUDABO OLI OCCHI.
LV. Media eoram oornna fenestravit papilla, a ijp t angustiae non sinunt vagari incertam aciem, e t vdut canali dirigant, obiterque inddentia facile dedinant : aliis nigri, aliis ravi, aliis gland «oloris orbibus dreamdatis: ut habili mixtura e t aedpiatar circumjecto candore lux, et tempe rato repercussu non obstrepat. Adeoque iis absolata vis speculi, ot tam parva illa pupilla totam imaginem reddat hominis. Ea causa est, ot pleraeque alitum a manibus hominum oculos polissisnasn appetant, qnod effigiem suam in iis cer nente·, vcJui ad cognata desideria sua tendoni.
Veterina tantam quaedam, ad crementa lanae morbos sentiant. Sed homo solas emisso humore
LV. Nel mezzo d* essi ha fatta nna finestra, eh' è la pupilla, la quale per la sua strettezza non lascia ire vagando il vedere più che non bisogni, ma oome per canali lo indirizza,e facilmente canta quelle cose, che per avventura gli cadesser sopra. Alcuni hanno la pupilla di color nero, alcuni di rosseggiante: altri l ' hanno circondata di cerchi di color verde, acdocchè dall* acconcia mistura sia ricevuta la luce, essendovi sparso intorno il candore ; e temperata la ripercussione, non fàc cia strepito. Ed è tanto perfetta in essa la virtù dello specchio, che quella così piccola pupilla rappresenta tutta la immagine dell' nomo. Que sta è la cagione, che molti uccelli, quando gli uomini gli hanno in pugno, vanno agli occhi di quegli, perchè veggono in essi la effigie loro ; onde pe vanno come a cosa lor connaturale. Certi animali da soma al crescer della Iona patiscono malattie,'Jtna l ' nomo « Ίο , mandato
C. PLINII SECONDI
caecitate liberalur.Poit vicesimum aanom malli· reali talus est visus. Quibusdam stalim nasoeptibas negatus, nullo oculorum vitio: mullis repente ablalu* simili modo, Dalla praecedenle injuria. Venas ab iis pertinere ad oerebrum, peritissimi auctores tradunt : ego et ad stomachum credide rim. Certe nulli sine redundatione ejus eruitur ocolos. Morienlibus operire, rorsusque in rogo patefacere, Quiritium ritu sacrum est: ita more condito, ut neque ab homine sopremnm eos spectari fas sit, et coelo non ostendi, nefas, Uni animaliam homini depravautur: unde cognomina Strabonum et Paetorum. Ab iisdem qui altero lumine orbi nascerentur, Coclites vocabantur : qui parvis ulrisque, Ocellae : Luscini injuriae co gnomen habuerunt.
Nocturnorum animalium, velati felium, in lenebris fulgent, radianlque oculi, ut contueri non sit : et caprae, lupoque splendent, lucemque jaculantur. Vituli marini, ut byaenae, in mille coloree transeant subinde. Qain et in tenebris mallorum piscium refalgent aridi, sicut robusti caudices vetustate putres. Non connivere diximus, qaae non obliquis oculis, sed circamaclo capite cernerent. Chamaeleonis oculos ipsos circomagi lotos tradant. Cancri in obliquam aspiciunt. Crosta fragili inclusis, rigentes. Locustis sqail·» lisque magna ex parte sob eodem manimento praedari eminent. Quorum dari sant, minus cernunt, qaam qaorom hamidi. Serpentium ca tulis, et hirundinum pullis, si quis eruat, renasci tradunt. Insectorum omnium, et testacei operi menti, oculi moventor, sicat quadrupedam aures. Qaibqs fragilia operimenta, iis oculi duri. Omnia talia, et pisces, et insecta, non habent genas, nec integunt ocalos. Omnibus membrana vitri modo translucida obtenditur,
faor Γ amore, si libera dalla cecità. Dopo il ven tesimo anno molli hanno riavuta la vista. Alcani altri nascendo subito Phanno perduta, m u alcun difetto d’occhi ; molli la perdettero a vn tratto senza averle fatta per innanzi lesione. Di cono autori eoeellentissimi, che certe vene vanno dagli occhi al cervello ; io crederei che an o h · allo stomaco. Certo che non si cava occhio a nes suno, che lo stomaco non ributti. È cosa sacra, secondo Γ usanza de* Romani, chiudergli a quei che muoiono, e aprirgli loro quando son portati a bruciare, perchè non è lecito vedersi quei det1*uomo nell1estremo, ed è cosa empia non ai mo strar loro il cielo. AlP uomo solo fra gli altri animali gli occhi si storcono ; onde n’è nato il soprannome di Strabone e di Peto. Quegli ebe nascevano ciechi d 'uno occhio, si chiamavano Codili ; quegli che gli avevano piccini emendile, Ocelli ; e quelli eh* erano di corta vedute , eoe ingiurioso cognome furon detti Luscioi. Gli occhi degli animali notturni, siooome sono le gatte, rilucono al buio, e lampeggiano in modo che non si possono guardare; e qoel della capra e del lupo risplendono e gettano la luce. Gli occhi del vecchio marino, e della iena si fanno di mille colorì. Rilocooo ancora al baio qaegli di molti pesci aridi, come i grossi ceppi di legno, che son fracidi per la vecchiezza. Noi ab biamo pià detto che quegli animali, che veggono non voltando gli occhi, ma girando il capo, noa serrano gli occhi. Dicono che il camaleonte voi· ta tutto Γ occhio. 1 granchi guardano a traverso. Quei pesci, che son rinchiusi in fragil corteccia, hanno gli occhi immobili. Le locuste e le squille hanno gli occhi duri, che puntano iu fuori. Que gli che hanuo gli occhi duri, veggon manco, che quegli che gli hanno umidi. Dicesi che ai figliuolini delle serpi e delle rondini rinascono gli oc chi, se sien loro cavati. Gli occBl di tutti gli ani mali insetti, e di quegli, che son coperti di gu scio, si muovono, come gli orecchi degli animali di quattro piedi. Quegli che hanno il coperchi· tenero, hanno gli occhi duri. Tutti questi tali, a i pesci, e gl' insetti, non hanno le gote, nè le pal pebre degli occhi, ma hanno un veto a modo di vetro trasparente.
D b p a l f e b b is , i t Q uinos k o b stxt : q u ib u s a »
D b l l b pa lb b b b b , b q o a l i a b im a u n
ALTBBA TARTU* PABTB.
s b b z a : q o a l i l b a b b ia b o d a u b a
LV1. Palpebrae in genis homini utrimque. Mulieribus vero etiam infectae quotidiano. Tanta est decoris adfectatio, ut tingantur oculi quoque. Alia de causa hoc natura dederat, ceu vallum quoddam visus, et prominens munimentum con tra occursantia animalia, aut alia forluitu inci-
m o oum
m n - so la .
LVT. Gli uomini hanno i peli nelle coperchio degli occhi da ogni lato ; e qoesti le donne gli tingono ; tanta è la vanità loro d 'accrescere la bellezza. Ma la natura per altro rispetto gli ha dati, a guisa di steccato e di sporgente riparo per difesa degli occhi, acciocché alcuno animahwicy
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deolia· Defilerà ei» haud immerito Venere abundantibus tradunt. Ex ceteri* nulli suot, niai quibus et io reliquo corpore pili. Sed quadrupediba* io soperiore Uolam gena, volucribus io inferiore : «t quibo* molle targo*, ot serpeotibus: et qoadropedam quae ova parioot, ot lacertae. Strothiocamelos alitam sola, ot homo, utrimque palpebra· habet.
o altra co*a noo v'enlri. Dice·! ebe questi peli caggiono a chi usa troppo i piaoeri amorosi. Ne*· •ooo animale ha qnesti peli, se non quegli ebe •ono pilosi per tolto il corpo : ma gli animali da qoattro piedi hanoo solamente di sopra le co perchi·; gli occelli di sotto; cooie aooo quegli che hanno il eooio morbido, quali s o d o le serpi, e gli altri aoimali di qoattro piedi, che fanno uova, come le lucertole. Degli uccelli lo struzzo!o solo, come Γ uomo, ha le palpebre di sotto e di sopra.
Q o n m g i r a i « o b ai u t .
Q u a l i k ob abbiamo g o t i .
LV1I. Nec genae quidem omnibas : ideo neqoe nictationes iis, qoae animal generant. Graviores alitum inferiore gena connivent. Eaedem nictan tor, ab angelis membrana obeunte. Golombae et similia otraqoe coooivent. At quadrupede· quae ova pariunt, ot testudines, crocodili, inferiore tantum, sine ulla nictatione, propter praeduros oculos. Exlremom ambitum genae soperioris, antiqoi cilium vocavere : unde et supercilia. Hoc volnere aliquo diductum non coalescit, ut In paucis humani corporis membris.
LVII* Ni lutti gli animali hanno le gote o pal pebre, e perciò quegli che generano animale non le serrano. Gli uccelli più gravi chiuggono col coperchio di sotto : i medesimi chiuggono dagli angoli con un sottil velo che vi si stende. I colom bi e simili chieggono eoo ambedue. Ma gli animali di qoattro piedi, che fanno nova, siccome sono le testuggini e i crocodili, solamente con quella di sotto senza che la muovano, per aver gli occhi duri. L’ estremo circolo del coperchio di sopra fu chiamato dagli antichi ciglio, onde il nome di sopraccigli. Questo àglio, se per alcuna ferita si viene a fendere, non si rappiccamai; e ciò avviene in pochi altri membri del corpo ornano.
Di
Dil l i
m alis.
LV1II. Infra oculos malae bomini taotom, qoas prisci geoas vocabant, x ii Tabolarom inter dicto radi a feminis eae vetantes. Podoiis haee •edes. Ibi maxime ostenditor robor.
LVili. Sotto gli occhi l'uomo solo ha le guance, le quali anticamente si chiamavano gene, ed era vietato per la legge delle dodici tavole alle donne di raderle. Questa è la sede della vergogna. Quivi specialmente apparisce il rossore.
D i v a b ib u s . LIX. Intra eas hilaritatem risomqne iodicaotes boccae. Et altior homini tantam, quem novi mores subdolae irrisioni dicavere, nasus. Non alii animaliere nares emioeftt : avibos, serpentibus, p i «cibos foramina tantum ad olfactus, sine naribos. Et hinc cognomina Simorom, Silonum. £eptimo mense genitis saepenomero foramina aurium et narium defuere.
Di
b u c c is, l a m i s , m i s t u , m a x illis .
LX. Labe·, · qoibos Brocchi. Labeones dicti. .E t os probam dariusve, animai generantibus : p r o ii· cornea el acuta volocribus rostra. Eadem
g u a b c i*
D il l i
m b ic l
L1X. Sotto esse son le buche, cioè quella par te, che si gonfia, per le qoali si mostra la festa e il rìso. E solo I*uome ha il naso rilevato, il quale i nuovi costumi hanno dedicato alle beffe, o allo scherno. Gli altri animali non Γ hanno rilevato. Gli occelli, le serpi e i pesci hanno solamente i buchi, co1 quali fiutano. E di qai son venati i cognomi di Simi e di Siioni a quelli che hanno il naso schiacciato. Coloro che son nati di sette mesi, spesse volle non hanno avuto forato il naso e gli orecchi. D il l a
bocca , l a m b ì , m is t o , m a sc il lb .
LX. Le labbra hao dato nome ai Brocchi e al Labeoni. La bocca hanno gli animali, che gene rano ammali. Gli occelli in luogo di bocca hanno
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rapto viventibus adunca: collecto, recta : herba· eraenlibu· limamqne, Ista, ut inaro generi. Ju mentis vice raanus ad colligenda pabula ora: apertiora laniatu viventibus. Mentum nulli praeter hominem, nec malae. Maxilla· crocodilus tantum superiores movet: terrestres quadrupede*, eodem, quo cetera, more, praeterque in obliquum.
il becco di corno e acuto ; e quegli ebe vivono di rapina Γ hanno adunco, e diritto quei che vi vono di raccolta. Gli animali che svelgono Perba e il limo, hanno il ceffo agutzo, come sono i porci: qnei che ricolgono Γ erba, lo hanno largo, e a uso di mano. Qnei che mordono e stracciano, come sono lupi e cani, hanno maggiore apritura. Niuno animale, fuor che Γ nomo, ha il mento · le gote. Il crocodilo muove solamente le mascelle di sopra: gli animali di quattro piedi terrestri le muovono come gli altri animali, eccetto che a traverso.
D b d e n tib u s : q u a b g e b e b a bobum : q u ib u s b o b
D e i d e n t i : d e l l e s pe c ie l o b o : c h b a b im a u g l i
UTBAQUB PABTB SIBT: QUIBUS CAVI.
ABBIANO DA UBA SOLA PABTB : CHB ALTHI GLI ABBIABO CORCAVI.
LXI. Dentium tria genera : serrati, ant con tinui, aut exserti. Serrati pectinalim eoe un te», ne contrario occursu atterantar : ut serpentibus, piscibus, canibus. Continoi, ut homini, equo. Exserti, ut apro, hippopotamo, elephanto. Conti nuorum, qui digerunt cfbum, lati et acuti : qui conficiunt, duplices : qui discriminant eos, canini appellantur. Hi sunt serratis longissimi. Continui, aut utraque parte oris sunt, ut equo : ant supe riore primores non sunt, ut bnbns, ovibus, omnibusque, quae ruminant. Caprae superiores nou sunt, praeter primores geminos.Nulli exserit, quibus serrati. Raro feminae, et tamen sine usu. Itaque quum apri percutiant, feminae sues mor dent. Nulli, cui cornua, exserti : sed omnibus concavi, ceteris dentes solidi. Piscium omnibus serrati, praeter scarum : huic uni aquatilium plani. Cetero multis eorom in lingua et toto ore : ut turba vulnerum molliant, quae attritu subi gere non queunt. Multis et in palato, atque etiam in cauda. Praeterea In os vergentes, ne excidant cibi, nullum habentibus retinendi adminiculum.
D b SBBFBHTItni DBBTIBUS : DB VBBBBO EOMJB.
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VOtUCBl DBBTBS.
LXI. Tre sono le sorti di denti ; o come segs, cioè alii e bassi, o continuati, o che sportano io fuori. 1 primi si congiungono Come i peli ini, acciocché nel riscontro l'nno non ispeiu Paltrtf: così gli hanno le serpi, i pesci e i cani. Conti nuati gli ha l'uomo e il cavallo. Denti che spor tane in fuori hanno il porco, l’ ippopotamo, · Γ elefante. De* continuati quei che smaltiscono il cibo sono larghi e acuti : quegli che Io mastica no sono doppii : quei che lo dividono, si chia mano canini. Quegli che gli hanno come sega, cK hanno lunghiuimi. 1 denti continuali «ooo od* Γ una e Γ altra parte della bocca, come ha il ca vallo ; o nel dinansi non sono nella parte di so pra, come a' buoi, e alle pecore, e a tutti quei che rugumano. Le capre non ne hanno di sopra fuor che due nel dinanzi. Nessuno animale ch« abbia i denti in fuori,ha denti a sega: e le femmi ne di quegli, che gli hanno in fuori, gli hanno di raro, e non gli adoperano. Laonde i por ci cinghiali feriscono con essi, ma le troie mor dono. Nessuno animale, che ha corna, ha denti ia foori, ma tutti concavi : gli altri li hanno sodi. Tutti i pesci gli hanno a modo di sega, foor che lo scaro, il qual solo ha i denti piani. Molti pesci hanno i denti nella lingua, e per fotta la bocca, acciocché possano meglio ammaccare e mollifi care il cibo, poi che noi possono dividere. Volti hanno i denti nel palalo, e nella coda ancora ; e io oltre volti in dentro, acciocché i dbl non can giano, non avendo eglino sostegno alcuno da ritenere. D EI DENTI DEI SBBPBSTI : DEL VSLBBO LOBO. QuALB UCCELLO ABBIA DENTI.
VjXII. Similes aspidi, et serpentibus : sed duo LXII. Cosi gli hanno gli aspidi, e » serpenti ; In supera parte, dextera laevaqwe longissimi, j ma due nella perle di sopra da m a· ritta em aa tenni fistola perforati, nt scorpionum acolei, | a>aoca lunghissimi, e vóli deatro, cerne un sottil*
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HISTORIARUM MONDI LIB. XI.
Tenenam Soffondente·. Noo iliad hoc esse qaam Cei serpentium^ et inde veois soh spina ad o· per* venire, diligentissimi aoelores acribuot. Quidam anum esse eam : et quia sil adoncus, resupinari, qaam momorderit. Aliqui, tane deoidere eam, rarsasqae recrescere, facilem decaisa : et sine eo esse, quas tractari oernamas. Scorpionis caudae inesse euro* et plerisqae ternos. Viperae dentes gingivis condootur. Haeo eodem-praegnans ve neno, impresso dentiam repalsa viros fandit in morsas. Volucrum nulli dentes, praeter vesper tilionem. Camelas ana ex iis, qoae noo sunt cornigera, in superiori maxilla primores non tabet» Cornea habentiam nolli serrati. El cochleae dentes habent : indicio est eliam a minimis earum derosa vitis. At in marinis crostata et cartilaginea primores habere, iupt echinis quioos esse, unde intelligi polaertl, miror. Dentiam vice aculeus insectis. Simiae dentes, nt homini. Elephanto intas ad mandendam qaataor : praeterque eos, qai prominent, masculis reflexi, feminis recti atqoe proni. Mosculos marinus, qui balaenam antecedit, nullos habet : sed pro iis, setis intas os hirtom, et linguam etiam, ac palatam. Terre strium minatis quadrupedibus, primores bini otrimqoe longissimi.
znflolo, pei quali mandano fuor veleno, come gli aghi degli scorpioni. Ne altro è questo veleno, che il fole de’»erpenti, il quale di là per le vene,ebe so-* no sotto la spina, perviene alla bocca,siccome scri vono diligentissimi autori. Alcuni dicono ch'egli è solo on dente, e perchè egli è uncinato, con viene che il serpente si ripieghi addietro, quan do morde. Alcuni dicono, che allora gli cade, o di nuovo rimette, ma debole come prima ; e che sono senza esso quegli, che noi reggiamo che si maneggiano domesticamente. Dicono ancora che lo scorpione lo ha nella coda, e che molti di loro ne hanno tre. 1 denti della vipera le stanno ascosi nelle gengie. Questa ripiena del veleno medesimo, 10 manda fuori nel mordere, quando ritira i denti da dove gli ha confitti. Nessuno uccello ha i denti, se oon il pipistrello. Il cammello solo di quegli,che non hanno corna, non ha i primi nella masrella disopra. Nè verono animale, che abbia corna, ha denti fatti a sega. Anche le chiocciole hanno denti, e n 'è segno, che fino alle minime d'esso rodono le viti. Ma rapporto ai pesci marini, mi maraviglio molto come si sia potalo intendere, che i pesci che hanno corteccia o pannicoli, ab biano i primi denti, e che i ricci marini u* ab biano cinque. Gli animali insetti hanno l'ago in vece de' denti. Le scimie hanno i denti simili a quegli degli uomini. Gli elefanti oltra quegli, che spuntano fuori, n’ hanno qoattro dentro per mangiare; i maschi gli haono ritorti,e le femmine diritli e chini. 11 topo marino, ehe va innanti alla balena, non ha denti, ma in loogo d 'essi ho la bocca, la lingua, e il palato dentro piloto di setole. I piccoli quadrupedi di terra hanno i doe primi dalle bande langhisaimi.
MlBABlLIA DESTITU.
M ir a b il i cosb b a p p o s t o a i d e s t i .
LXI1I. Ceteris cum ipsis nascantur : homini, postqaam natas est, septimo mense. Reliquis perpetuo manent. Motantur homini, leoni, ju mento, cani, et ruminantibus. Sed leoni et cani, non nisi canini appellati. Lapi dexter caninus, in magnis habetur operibus. Maxillares, qui sunt o caninis, nullum animal mutat. Homini novissi m i, qui genoiui vocantor, circiter vicesimum annum gignantur : mullis et octogesimo, femi nis qooque; sed qaibas in juventa noo fuere nati. Decidere in senecta, el mox renasci certam est. Zoclen Samothracenum, cui renati essent post centum et quatnor annos, Mucianus visum o se prodidit. Cetero maribus plures, qoam fe minis, in homine, pecude, capris, sue. Timar«Juu Nicoeli* filias Paphii duos ordioes habuit maxillarem. Frater ejas non mntavit primores, ideoque praetrivit. Est exemplum dentis homini
LXUI. Gli altri animali oascono coi denti, ma airuomo provengono sette mesi poi ch’egli è nato. Gli altri animali gli tengon sempre, ma Γ nomo, 11 lione, il cavallo, l’asino, il mulo, il cane, e quei che rugumano, gli molano. Però il lione e il cane non mutano se non quei denti, che si chiamano canini. 11 dente ritto canino del lnpo s'adopera a gran cose. Nessuno animale muta i mascellari, che sono dopo i canini. Gli ultimi, che nascono all’ nomo intorno al ventesimo anno, son quegli che si chiamano genuini : molti gli fanno nell’ot tantesimo anno; e similmente le donne: però intendesi di quelli che non li gettarono in giovi nezza. Nella vecchiaia cadono, e poi rinascono, che non v' ha dubbio. Scrive Muziano d’ avere veduto, e conosciuto ao certo Zancle Samotraceno, il quaje fece questi denti, poiché egli ebbe parsati cento quattro anni. Del resto, tra gli
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C PLINII SECUNDI
et in palato geniti. At eanfni amissi eata aliqno, numquam renascuntor. Ceteris senecta rabeseunt, equo tantam candidiores fiunt.
Aitai
α ν ιμ λ β τ ιο μ ab hi* .
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nomini, le pecore* le capre, e i perci, n' hum o più i maschi che le femmine.'Timaroo, figliuolo di Nicode da Pafo, ebbe doe ordini di maseeUe· U fratello suo non mutò i primi denti, e però gli soprappose. Trovossi già un uomo il qaala ebbe i denti ancora nel palalo. I denti canini /quando per aleno caso eoo perduti, noo ridar scono mai. Agli altri aoimali quando sono vec chi i denti rosseggiano, e al oavallo di Tentano più bianchi. L* BTÀ OBOLI ABUCALI SI
ULBVA »A B W .
LXIV. Aetas veterinorum dentibus indica» tur. Equo sunt numero x l . Amillit tricesimo mense primores utrimqoe binos : sequenti anno totidem proximos, quum subeunt dicti columel lares. Quinto anno incipiente binos amittit, qui sexto aono renascuntur. Septimo omnes habet et renatos, et immutabiles. Equo castrato prius, non decidunt dentes. Asinorum genus tricesimo mense similiter aromiltit, deinde senis mensibus. Quod si non prius peperere, quam decidant postremi, sterilitas certa. Boves bimi mutant. Suibos decidunt numquam. Absumpta haec obser vatione : senectus in equis, et ceteris veterinis, intelligitur dentium brochitate, superciliorum ca nitie, et circa ea laeonis, quum fere sedecim an norum existimantur. Hominum dentibus quod piam ioest virus. Namque et speculi nitorem ex adverso nudati hehetant, et columbarum fetos implumes necant. Reliqua de iis in generatione hominum dicta snnt. Erumpentibus, morbi cor pora infantium accipiunt. Reliqua animalia, quae serratos habent, saevissima dentibus.
LX1V. L* età degli aoimali da portar soma •i conosce a* denti. U cavallo n’ ha quaranta, a nel trentesimo mese perde i primi due d 'ambi i lati: l ' anoo seguente altrettanti vicini a quegli; e qoesti qoando rimettono si chiamano colu mellari. Entrando nel quinto anoo ne perde doe, i quali rinasoono il sesto anno : il settimo anno gli ha tutti, e rinati, e immutabili. Quando il cavallo è castrato prima, non perde poi i denti. Gli asini similmente in trenta mesi gli perdono, e dipoi in sei mesi. E se non partoriscono prima ehe perdano gli ultimi, non figliano mai più. 1 buoi gli mutano due volte : i porci non m ai. S 'è anco falla osservaziooe, che la vecchiaia nei cavalli e negli altri animali da soma si conosce dai denti sporti io fuori, e dalla canutezza delle ciglia; e quando intorno a esse ciglia hanno concavità, si stimano di sedici anni incirca. Nei denti delP uomo v' ha un certo veleno, perchè se si mostrano scoperti allo specchio, oscurano il soo splendore, e ammazzano i pipioni, che non hanno ancora messe le penne. L’ altre cose di qoesti si son dette oella generazione degli nomi ni. Quando i fanciulli cominciano a mettere i denti, ammalano. Gli altri animali, che hanno i denti come seghe, osano con essi le lor maggiori crudeltà.
D a LMGtlA, BT QUAB SIHB BA : DB BABAIO* SOBO.
D b l l a l ih o o a , b chb a m m a l i b b fa c c ia * s c i t a :
Db p a la to .
DELLA VOCB DBLLB BABB. D e l PALATO.
LXV. Lioguae oon omoibos eodem modo. Tenuissima serpeotibus et trisolca, vibrans, atri •coloris, et, si extrahas, praelonga : lacertis bifida •et pilosa: vitulis quoque marinis duplex: sed -su prad ictis capillamenti tenuitate : ceteris ad cir cumlambenda ora. Piscibus paullo minus tota adhaerens, crocodilis tota. Sed in gustatu, liuguae vioe carnosum aquatilibus palatum. Leoni· bos, pardis, omnibusque generis ejus, etiam feli bus, imbricatae asperitatis, ac limae similis attenoansqoe lambendo cutem hominis. Qoae causa etiam mansuefactorum, ubi ad vicinam saogui-
LXV. Non tolti gli animali haooo la lingua a on modo. Le serpi V haooo sottilissima, a tre punte, vibrante, e di nero colore; e se la cavi loro, è lunga : le lucertole 1*hanno divisa e pilosa : e i vecchi marini anch* essi P hanno dop pia : ma lotti i sopraddetti Γ hanno sottile, come capello. Gli altri coo essa si possono leccar per tutta la bocca. I pesci Γ hanno appiccata quasi tutta : i crocodili tuttaquanta. Però gli animali d 'aeqna per gustare, in cambio di lingoa hanno il palato carnoso. I lioni, i pardi e altri simili animali, fino alle galle, Γ baiano aspra a foggi·
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HISTORIARUM MUNDI MB. XI.
nem pervenit, saliva invitat id rabiem. De pur· purarum linguis diximus. Ranis prima cohaeret, intima absoluta a gutture, qua vocem mittunt mares, quum vocantur ololygones. Stalo id tem pore evenit, dentibus ad coitum femiuas. Tum «quidem inferiore labro demisso, ad libramenlum modicae aquae receptae in fauces, palpi tante ibi lingua ululatus elicitur. Tunc extenti buccarum sinus perlucent, oculi flagrant labore propulsi. Quibus in posteriori parte aculei, et iis dentes, et lingua. Apibus etiam praelonga, eminens et cicadis. Quibus aculeus in ore fistolosus, iis nec lingua, nec dentes. Quibusdam in· sectis intus lingua, ut formicis. Ceterum lata ele phanto praecipue. Reliquis in suo genere sem per absoluta : bomini tantum ita saepe constricta venie, ut interddi eas necesse sit. Metellom pon tifice» adeo inexplanatae fuisse accepimus, ut multis mensibus tortua credatur, dum meditatur in dedicanda aede Opis vere dioere. Ceteris se ptimo ferme anno sermonem exprimit. Multis vero talis ejus ars cooliogit, ut avium et anima lium vocis indiscrete edatur imitatio. Intellectus saporum est ceteris in prima lingua, homini et in palato.
D b t o b s i l l i s . U va, ip ig lo s s is , a e t b b i a b , g u l a .
LXVI. Torisillae in homine, in sue glandu lae. Quod inter eas, uvae nomine, ultimo de pendet palato, homini tantum est. Sub ea minor lingua, epiglossi* appellata, nulli ova generan tium. Opera ejus gemina, duabus interpositae fistulis. Interior earum appellatur arteria, ad pulmonem atque cor pertinens. Hanc operit in epulando, ne spiritu ac voce illae meante, si po tos cibusve io alienum deerraverit tramitem, torqueat. Altera exterior appelletur sane gula, qua cibus atque potus devoratur. Tendit haec nd stomachum, is ad ventrem. Hanc per vices operit, quum spiritus tantum aut vox commeat, ne restagnatio intempestiva alvi obstrepat. Ex cartilagine et carne arteria, gula nervo et carne constat.
d'embrice, e simile a una lima, e leccando assot tigliano Ia pelle all’ uomo. E questa è la cagione, che anche addomesticati, se la sciliva loro penetra nel sangue vicino alla pelle che leccano, comuni cano all’ uomo la rabbia. Delle lingue delle por pore già n’abbism parlato. Le rane l’hanno appio, cala nel principio presso alla gola, e dispiccata dove forman la voce : i maschi allora che si chia mano ololigoni. Questo avviene a un tempo deter minato dell'anno, quando vanno in amore. Allora abbassando eglino il labbro di sotto, pigliano un poco d’acqua in gola; e palpitando quivi la lingua, manda fuori certo ululato. Allora ancora gon fiando le gote rilucono, e gli occhi per la fatica lampeggiano. Quegli animali, che hanno l’ ago nella parte di dietro, hanno e denti e lingua. Le pecchie l’hanno lunga, e le cicale in fuori. Que gli che hanno l’ago nella bocca accanatalo, non hanno nè lingua, nè denti. Alcuni inselli hanno la lingua dentro, come le formiche. Ma soprat tutto Γ elefante l’ ha molto larga. Gli altri nel genere loro l’ hanno sempre sciolta : solo V uo mo spesso ha la lingua talmente ristretta dalle vene, che bisogna tagliarle. Dicesi che Metello pontefice ebbe la lingua tanto ravviluppata, che per molti mesi si crede che s 'affaticasse a ripe tere ciò che dovea dire quando avea a dedicare il tempio della dea Opi. Negli altri generalmente la lingua esprime spedita la favella quando han no seti* anni incirca. Molti hanno tanto artificio nella lingua, che indifferentemente sanho con traffare la voce degli uccelli, e degli animali. Gli altri animali hanno il gusto dei sapori nella pri ma parte della lingua : l’ uomo l’ ha ancora nel palato. Dxlli t o o t l l s . U g o la , m o lo s s i,
a i t o » , g o la .
LXV1. L'uomo patisce nella gola per le ton sille, e il porco per le glandule. Quella carne che pende fra esse nell1 estremiti del palato, e che si noma ogola, è solamente propria dell’uomo. Sotto essa è una lingua minore detta epiglossi, cui nou ha nessuno animale che faccia uova. Fanno esie dne ufficii frapposte a due tubi, de’ quali il più addentro si chiama arteria, che tende al polmone ed al cuore. La epiglossi copre questa arteria nel mangiare, acciocché passando la voce e l’ alito per essa, oon la offenda il cibo, o il bere, s’ egli pigliasse altra via, che la sua. L’ altro tubo di fuori ή chiama gola, per dove passa il mangiare e il bere. Questo ne va allo stomaco, e lo stoma co al ventre. La epiglossi cuopre a vioenda anche questo tubo, solo quando ne viene l’ alito o la voce, acciocché intempestivo ribocco di ventre non susurri. L’ arteria è di pannicolo e di carne, e la gola di carne e di nervo.
C. P U M I SECUNDI C bXVIX, COLLUM, SPIRA.
LXVII. Cervix nulli, nisi quibus utraqae baec. Celeri* collum, quibus tantum gula. Sed quibas cervix, e mullis vertebratisque orbicula ti m ossibus flexilis, ad circumspectum articu lorum uodis jungitur. Leoni tantum, et lupo, et byaenae, ex singulis rectisque ossibus rigens. Cetero spiuae adnectitur, spina lumbis, ossea : sed tereti slructnra, per media foramina a cere bro medulla descendente. Eamdem esse d natu ram, quam cerebro, colligunt : quoniam pinete· D ui ejus membrana modo incisa statim exspire tur. Quibus longa crura, iis longa et colla. Item •quaLicis, quamvis brevia crura babentihqs ; ai' m ili modo uncos ungues.
G u tto
a,
f a o c b s , s to m a c b o s .
LXV1II. Gultur homini tantum, et suibus intumescit, aquarum quae potantur plerumque vitio. Summum gulae fauces vocantur, extremum stomachus. Hoc nomine est sub arteria jam car nosa inanius adnexa spinae, et latitudine ac lon gitudine Ugenae modo fusa. Quibus fauces non sunt, ne stomachus quidem est, nec colla, nec guttur, ut piscibus, et ora ventribus junguntur. Testudini marinae lingua nulla, nec dentes : ro stri acie comminuit omnia. Postea arteria et sto machus denticulatus callo, in modum rubi, ad confidendos dbos, decrescentibus erenis : quid quid adpropinquat ventri, novissima asperitas, ui scobina labri.
D b c o b d e , s a b g o ih b , a h imo.
LXI X.Cor animalibus ceteris in medio pecto re est: homini tantum infra laevam papillam, turbinato mucrone in priora eminens. Piscibus solis ad os spectat. Hoc primum nascentibus for·, ■tari in utero tradunt: deinde cerebrum, aicut tardissime oculos. Sed hos primum emori, cor novissime. Huic praecipuus calor. Palpitat certe, et quasi alterum movetur intra animal, praemolli
lo»
C ollo tto la , collo , s p m a .
LXVII. Nessuno abimale ha collottola, s· non ha amendue i detti tubi. Chi ha solamenta la gola, ha il collo. La collottola, in ehi ne Γ ha, è composta di molte ossa tonde, e quasi ganghe* rate, e tutte annodate insieme in modo eh· el la si può volgere a piacere da ogni band·. Sola mente il lione, il lupo, e la iena P hanno d*oa osso solo, che non si può piegare. Comunemente congiui.gesi alla spina, e la spina, eh* è d'osso, i ooogiunge ai lombi : è di atruttura rifonda, ac canala ta nel metto per tutta la lunghezza, d'on de scende la midolla ehe ha prindpio nd cer* vello. Dicono che questa è della medesima nato· re ebe il cervello, perohi se si taglia il suo pan* nicolo sottile, Γ animale subito muore. QoegK animali che hanno le gambe lunghe, hanoo anca luogo il collo ; ancora ehe d sieno alcuni occdH di acqua, i quali avendo corte gambe, non4i« meno hanno lungo oollo, e le ngne aggavignttc. G o l a , fa u c i , sto m a co .
LXVI1I. Solo Γ uomo e il porco fanno il gozzo, e le più volte per di fetto dall* acque die beono. La più alta parte della gola si chiama fauce, e la più bassa stomaco. Con questo nome si chiama ancora quella vacuiti carnosa appic cata alla spina, simile in lunghezza ad un va«o da tener vino, stretto nella bocca, e largo nel mezzo. Quegli che non hanno le canne della gola, non hanno ancora stomaco, nè collo, ni go* la: tali sono i pesci, ne’quali la bocca immedialamente si congiugne col ventre. La testuggine marina non ha nè lingua nè denti, m a eoi ta glio del becco rompe ogni cosa. Dipoi ha l’srte* ria, e lo stomaco con collo addentdlato io nod· di un pruno, per triturare i cibi : questa specie di dentatura scema quanto più lo stomaco di* scende, tanto che tutto d ò che s' appresi· d ventre passe come per una acoffina da fabbro. D b l c d o b b , s a r g c e , a rim o.
LX1X. Gli altri animali hanno il cuore od mezzo del petto : Γ uomo solo Γ ha sotto la pop* pa manca appuntato a guisa di palio. Soli i (*** Γ hanno volto alfa bocca. Dicesi che questo è il primo membro, che si forma nell’ utero a q*·®*1 nascono ; dipoi il cervello, e il più lardi gli e®* chi. Questi però sono i primi, che muoiooo» l’ ultimo il cuore. Questo ha supremo Λ ·
«o8g
HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.
firmoqoe opertam membranae involoero, moni tam costarum et pectoris moro, ni pariat praeci puam vitae causam et originem. Prima domicilia intra w animo et «angami praebet, sinuoso apeca, et in magni· aniroalibos triplici, io nollo non gemino : ibi meos habitat. Ex hoc fonte duae gran· des venae io priora et terga discurrant, spaisaqae ramorum serie, per alias minores omnibas membris vitalem aaogoioem rigant. Solam hoe viscerum vitiis non macerator, nec sopplicia vitae trahit : laesumque mortem illico adfert. Celeris corruptis, vitalitas in corde durat.
Qoiars
maxim a c o id a
: qu ibu s m inim a :
QOIBDS BUA.
LXX. Brata exislimanlur animaliom, qoibos durum riget : audacia, quibus partum est : pa vida, quibus praegrande. Maximum aatem est porlione maribas, lepori, asino, cervo, pantherae, mustelis, hyaenis, el omnibos timidis, aut pro pter metom maleficia. In Paphlagonia bina per· didbos corda. In eqaorom corde et boam ossa reperiontur interdum. Augeri id per singnlos annos in homine, ao binas drachmas ponderis ad quinquagesimam accedere : ab eo detrahi tantumdero, et ideo non vivere hominem altra cen tesimam annum defecta cordis, Aegyptii existi mant, quibus mos est cadavera adservare medi cata. Hirto corde gigoi quosdam homines prodi tur, neque alios forliores esse industria, sicut Aristomeoem Messenium, qui ccc occidit Lace daemonios. Ipse convulneratus et caplus, semel per cavernam laolomiarum evasit, angnslos vul pium aditus secutus, lterom captas, sopitis custo dibus somno, ad ignem advolutus lora cum cor· pore exussit. Tertio capto Lacedaemonii pectus dissecuere viveutt,hirsolomqae cor reperlnm est.
Q uabdo m b x t is a s p ic i c o b pt a .
1090
palpita, e muovesi deo Iro al petto come an al tro animale : è coperto di ao fermo e £>ttil pan nicolo, e fortificalo dal muro delle costole e del petto, acciocchì prodoca la prioeipal cagione e origine della vita. Questo eotro di sè d i i primi domicilii all* anima e al sangue in sinnosa ca viti, che negli animali grandi è triplice, e in nessuno non è manco che doppia. Quivi abita la mente. Da questo fonie nascon doe gran vene, le qoali e nelle parti davanti e per lo dosso discor rono; e sparse per ordioe di rami con altre minori infondono il· sangue vitale a tutte le membra. Solo esso oon si guasta per alcun di· fello delle viscere, nè tira a sè i malori ; ma su bito che egli è offeso, adduce morte all’ animale. Quando Γ altre membra" son corrotte, la virtù vitale dura nel cuore.
Cu
ANIMALI BABBO OBABDUS1MO IL CUOBB, CHB
PICCIOLISSIMO ; c h b a m b i b b b a b b o d u b .
LXX. Animali broli son tenoti quegli che hanno il cuore rigido e doro : animosi quei che lo hanno piccolo : paurosi quei ohe lo hanno mollo grande. Grandissimo lo hanno secondo la proporzion loro, i topi, le lepri, lo asino, il cer vo, la paniera, la donaola, la iena, e tolti gli animali timidi, o malefici per la paora. In Paflagonia le starne hanno doe coori. Nel cuore dei cavalli e dei buoi si trovano alcuna volta dell’ossa. Gli Egizii, i qoali aogKooo conservare i corpi imbalsamati, dicono che il cnore nelPoomo ogni anno cresce due dramme di peso fino a cinquanta anni, e che poi nel medesimo modo va scemando ; e che perciò l’ nomo per mancamento del cnore non vive più di cento anni. Trovasi che alcnni uomioi nascono col cuor piloso, e che questi tali sono molto forti e industriosi, siccome fa Aristomene Messenio, il qoale ammaxzò trecento Lace demoni! ; ed egli essendo ferito e preso, si fuggì ona volta per le cave de*sassi, e per viottoli falli sotterra dalle volpi. Essendo poi preso di naovo, aspettò che i goardiaoi dormissero, e accostatosi al fuoco, arse i suoi legami con la carne dintorno. Finalmente preso la terza volla i Lacedemoni! lo spararono ancora vivo, e fa trovato ch'egli aveva il cuor piloso. Q uabdo si com ibciò ossbbvabb il c u o b b BBLLB ib t b b io b a .
LXX1. In corde summo pingnitndo est quaedam, laetis extis. Non semper antem in parte ex torum habitum est. L. Postumio Albino, rege sacroraro, post centesimam vicesimam sextam olympiadem, quum rex Pyrras ex Italia discessis-
LXX1. Quando nella cima del cuore è una certa grassezza, è di prospero augurio. Però non sempre s 'è annoverato fra le interiora da consul tare. Al tempo che Lacio Postumio Albino era re delle cose sacre, dopo l'olimpia cenlestfea ven-
iodi
C. PLINII SECUNDI
1093
set, cor in extis srnspices Inspicere coeperunt. Caesari dictatori, qoo die primam T e ste purpurea processit, atqoe io sella aorea sedit, sacrificanti bis io eslis defuit. Unde quaestio magna de di vinatione argnmentantibus, potueritne sine illo viscere hostia vivere, an ad tempos amiserit. Ne gatur cremari posse in iis, qui cardiaco morbo obierint ; negatur et veneno interemptis. Certe extat oratio Vitellii, qua reum Pisonem ejus sceleris coarguit, hoc usus argumento; palamque testatos, non potuisse ob venenum cor Germanici Caesaris cremari. Contra geuere morbi defensus est Piso.
tesiroa sesta, quando il re Pinro s’era partito d1 Italia, gl' indovini cominciarono a guardare U cuore nell’ interiora. Il primo giorno che Cesare dittatore comparve in pubblico vestito di por pora e sedè nella sedia d'oro, come dittatore, due volte che si sacrificò, non si trovò il cuore nelPanimale. Onde fu gran disputa fra gli auguri, se quello animale poteva vivere senza cuore, o ae pure l’avea perduto a qoel tempo. Dioono ehe il cuor di quegli che son morii di mal cordiaoo, o di veleno, non può ardere. Oude Vitellio nella sua orazione affermando che Germanioo Cesare era perito di veleno, in segno di questo allegò che il suo cuore non era potuto ardere ; nondi meno a favor di Pisone, che da Vitellio n'era dato per reo, fu dimostrato che questo era una sorte di malattia.
D b po lm o b b : b t q u ib u s m axim os , qu ibo * m ib i mus : -q u ib u s m a iL a l iu d qoam pu l m o ib t u s :
D b l po lm o bb , b c b b a n im a li l *a bb ia bo m o lto
QOAE CAOSA VELOCITATIS ABTIMALIUM.
GBABDB, CHB ALTBI MOLTO PICCOLO, CHB ALTB1 • BOB ABBIANO DEBTBO SB BOB POLMOBB : QUAL SU LA CAOSA DBLLA VBLOCITA BEGLI ABIMALL.
LXX1|. Sub eo pulmo est, spirandique offici na, attrahens ac reddens animam, idcirco spon giosus, ac fistulis inanibus cavo. Panca enim ( ut dictum est) habent aquatilia. At cetera ova parientia exiguum, spumosum, nee sanguineum ; ideo non sitiunt. Eadem est causa, quare sub aqua diu ranae et phocae urinentur. Testudo qooque, quamvis praegrandem et sub toto tegumento ha beat, sioe sanguine tamen habet. Quanto minor hic corporibus, tanto velocitas major. Chamae leoni portione maximus, et nihil aliud intus.
D b jb c ir o b e , b t qo ibo s a b im a lib o s , b t ih
LXX1I. Sotto il cuore è il polmone, dove si forma il respiro, perciocché il polmone è quello che tira l'aria, e la rimanda fuori, e per questo è spugnoso e pieno di cannelle. Pochi animali d'acqua, oome s'è detto, hanno polmone, e quegli che fanno aova l'hanno piccolo e spumoso, e non sanguigno : questa è la cagione perchè 0 0 0 asse tano. Ciò medesimo è anche cagione, perchè le ranocchie e le foche stanno assai sotto acqua. La testuggine ancora, benché l'abbia molto grande, e sotto tatto il coperchio, Γ ha però sensa saogve. Quanto l'animale ha minor polmone, tanto piò è veloce. 11 camaleonte secondo la proporzione soa ha grandissimo polmone, nè altro ha in corpo. D b l p b o a to ,
e
q o a l i l o a b b ia b o , b d i c h e lu o g o
qu ibu s lo cis b ib a jb c o b a .
B QUALI ABUSALI ABBIABO DOS FEGATI.
LXXIII. Jecur in dextra parte est: in eo quod caput extorum vocant, magnae varietatis. M. Marcello circa mortem, qaam periit ab Hanni bale, defuit io extis. Sequenti deinde die geminum repertum est. Defait et C. Mario, quura immola ret Uticae: item Cajo priucipi kaleod. Januariis, quum iniret consulatum, quo anno interfectus est : Claudio successori ejus, quo mense interem ptus veneno. Divo Angusto Spoleti sacrificanti primo potestatis suae die, sex victimarum jecora replicata intrinsecus ab ima fibra reperta snnt : responsumque « dapficataram intra annom im perium. n Caput extorum tristis ostenti caesum quoque esi, praeterquam in sollicitudine ac me ta : Iqnc enim perimit curas. Bina jecora lepori-
LXXIU. Il fegato è nella parte ritta; ed esso, che si chiama il capo degli interiori, ha gran va rietà. Nel sacrificio, che fece Marco Marcello, innanzi ch'ei fosse morto da Annibaie, noo si trovò il fegato neU’animal sacrificato: il d ì se guente poi ve ne furon trovati due. Non lo trovò nè anche Caio Mario, quando e'sacrificò in Uti ca : nè ancora Caio Caligola qaando sacrificò nel di primo di Geonaio nel principio di qaei con solato, nel quale fu morto. 11 medesimo avvenne a Claudio suo successore, in qoel mese eh' ei fu morto di veleno. Quando Augusto sacrificava a Spoleto il primo dt della saa potesti, trovò sei fegati delle vittime ravviluppati dentro dall’ell»roa vena ; e gli auguri risposero, che quell’anno
HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.
I 09 S
bus circa Brilelnm et Thatten, et in Chersoneso •d Propontidem. Miramque translatis alio interit alteram.
egli aveva a raddoppiar Γ imperio. È di cattivo augurio il capo delle interiora se è ferito dal col tello del sacrificatore, eccetto che in occasione di travaglio e paura, perchè allora significa che ba da cessare ogni affanno. Intorno a Brileto e Tarne, e nel Chersoneso sulla Propontide le lepri hanno due fegati. Ed è gran maraviglia, che quando son portate altrove, rimangono con on solo.
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ABUSALI» BOB s i t : 8 T q c ib d s a l i b i q u a · ib
p io . Q u a l i b o b b e ab biam o, b q u a l i a l t e o v b
JECOU.
cbb b b l f e g a to .
LXX1V. In eodem est fel,non omnibas datam animalibus. In Eaboeae Chalcide nallam pecori. In Naxo praegrande geminumque, ut prodigii lo* co atram qae advenae. Equi, mali, asini, cerri, capreae, apri, cameli, delphini non habent. Mu rium aliqui habent. Hominam paucis non est, qaornm valetudo firmior, et vila longior. Sant qai equo non quidem in jecore esse, sed in alvo patent : et cervo in canda, ant intestinis. Ideo tantam habent amaritudinem, ut a canibus non attingantur. Est autem nihil aliad, qaam purga mentum pessimam sanguinis, et ideo amaram est. Certe jecur nulli est, nisi sauguinem heben tibus. Accipit hoc a corde,cui jungitur;funditque io venas.
LXXlY. Nel fegato è il fiele, coi non hanoo tutti gli aoimali. Io Calcide di Eobea nessuna pecora ha fiele. Nell' isola di Nasso P hanno gran dissimo e doppio, in modo che i forestieri se ne maravigliano come di cosa prodigiosa. I cavalli, i muli, gli asini, i cervi, le capre, i porci cinghiali, i cammelli e i delfini non hanno fiele. Alcuni topi Phanno. Pochi uomini non l'hanno, e questi son più sani, e di più langa vita. Alcuni tengono che il cavallo l'abbia non oel fegato, ma nel cor po, e il cervo nella coda o nell'interiora; perciò hanno tanta amaritudine, che non son tocchi da'cani ; ed è si amaro il fide, perchè è il peg giore escremento del sangue. E di vero, non hanno legato se non quegli animali che hanno sangue. 11 fegato riceve il sangue dal cuore, col qoale si congiuoge, e lo spande nelle vene.
Q uae Vis BIOS.
Q u a l e la v ie t ò d i a sso .
LXXY. Sed in felle nigro insaniae causa ho mini, morsque tolo reddito. Hinc et in mores crimen, bilis nomine. Adeo magnum est in hac parte virus, quam se fundit in animum. Quin et toto corpore vagum, colorem quoque oculis aufert : illad quidem redditum, etiam ahenis ; oigrescuntque contacta eo : ne quis miretur id venenum esse serpentium. Carent eo, qui absin thium vescantur in Ponto. Sed renibus et parte tantum altera intestino jungitur, in corvis, cotur nicibus, phasianis: quibusdam intestino tantum, u t columbis, accipitri, muraenis. Paucis aviam in jecore. Serpentibus portione maxime copiosum, e t pisciboa. Est autem plerisque toto intestino, «icat acdpilri, milvo. Praeterea in jecore est et cetis omnibas : vitalis qaidem marinis ad multa qooqae nobile. Taurorum Ielle aureas dacitur color. Aruspioes id Neptano a t humoris potandae dicavere : geminumque foit divo Augusto, quo die apad Actiam vicit.
LXXV. Ma nel fiele nero è la cagione onde l'oomo iofuria ; e se lo sparge tutto, si muore. Di qui ooi pecchiamo coatro a'costami, e piglia mo il nome di collerid ; tanto è grande il vdeno in questa parte, quando si sparge nell'animo. E di più, che soorrendo ancora per tutto il cor po, leva il colore agli occhi, e mandato foori lo leva ancora a* vasi di rame ; e diventa nera ogni cosa che è tocca da esso ; onde alcuno non si maraviglierè, nè crederà che ciò sia vdeno di serpi. Mancano di fiele quegli animali, che in Ponto mangiano assensio. Congiungesi cogli ar nioni, e solo da una parte con uno intestino, nei corbi, nelle starne e ne' fagiani : in alcuni ai con giugne solo con Γ intestino,come ne'colombi, negli sparvieri e ndle murene. Pochi uccdli l'hanno n d fegato. 1 serpi e i pesd in proporzione d d corpo loro l'hanno molto grande. E molti l'hanno per tutto l ' intestino, come lo sparviere è il nibbio. Oltra di ciò tutte le balene l ' hanno nel fegato ; e quel de' vecchi marini è utile a molte cose. Col fide d d toro si fa color d ' oro. Gli arospid lo dedicarono a Nettuno come d dio dell'attore, e
C. PLINII SECONDI Γ imperadore Augusto lo trovò doppio nel dì d ie fece giornata e vinse al promontorio di Azzio. ctm
s t d e cresca t ib c c k .
A CHE ABIMALl CBBSCA IL FEGATO CON LA LARA, O
A b d spicd m c ibca ba obsb bv a tio bbs , BT PBOD101A MIBA.
DBCBBSCA. OSSBBVAZIOBI DEGLI ABOSFId SO M A
LXXVI. Mariam jecoscalis fibrae ad namerom Ionie io mente congrnere dicantor, lotidemqae inveniri, qnotam lameo ejni ait: praeterea bruma increscere. Cooicolorum in Baetica saepe gemi nae reperiontur. Ranaram rubetarum altera fibra a formici* non attingitur, propter venenum, at arbitrantur. Jecor maxime vetustatis patiens, se ptenis durare annis, obsidionum exempla pro didere.
LXXVI. Nel fegato de* topi sono alcune venoline, le qoali dicono sempre esser taote a no vero, qaanti sono i dì della Iona, e che tante se ne trovano, quanti giorni ba il soo lame, e che oltra di ciò crescono nel verno. Gl* interiori dei conigli in Betica, regione della Spagoa, spesso si trovano esser doppii. L’una delle vene delle botte noo è mai tocca dalle formiche, secondo che si stima, per rispetto del veleno. Il fegato dora loogbissimo tempo ; e pegli esempii delle terre assediate s 'è veduto, ch’egfrè dorato sette anni.
P b a b c o b d ia . R isu s b a t o b a .
P b b c o b d u . N^a t c b a d b l b is o .
LXXY1I. Exta serpentibus et lacertis longa. Caecinae Volaterrano dracones emicuisse de extis laeto prodigio traditur : et profecto nibil incredi bile sit, existimantibus, Pyrrho regi, qoo die periit, praecisa hostiarum capita repsisse, sangui nem suum lambentia. Exta homini ab inferiore viscerum parte separantur membrana, quae prae cordia appellant, quia cordi pretenditur, qood Graeci appellaverunt . Omnia quidem principalia viscera membranis propriis, ac velut vaginis inclusit providens natara : in hac foit et peculiaris causa vicinitas alvi, ne cibo sopprimeretur animos, fiuic certe referiar accepta subti litas mentis : ideo nolla est ei caro, sed nervosa exilitas. Io eadem praecipua hilaritatis sedes, quod titillatu maxime intelligilur alarum, ad quas subit, non alibi tenuiore cote humana, ideo scabendi dolcedioe ibi proxima.Ob hoc in proeliis gladiatoromqoe spectaculis mortem cum risu tra jecta praecordia ad tulerunt.
LXXVI1. Gl* interiori delle serpi e delle lu certole son longhi. Dicesi che a Cecina Volterrano uscirono serpi degl’ interiori, e ciò fo tenuto a buooo aogurio. E verameote nessooa eoa· fia incredibile a qoegli che considerano, come il giorno che Pirro fu morto, i capi degli animali sacrificati andarono per terra leccando il lor saogue medesimo. Gl* ioteriori dell'uomo dalla parte ioferiore delle viscere si separano per al cool pannicoli, i qoali si chiamano precordi!, perchè s'acuoslano al caore : i Greci li chiamano frene. L'accorta natura ha rìochioso in certe membrane, come io propria guaina, tutti i visceri principali ; ma qoi ebbe rispetto alla vicinità del ventre, acciocché l’animo non fosse oppresso dai cibi. A qoesti s’attribuisce la sottilità della mente, e perciò non han pooto di carne, ma ooa sotti gliezza nervosa. Quivi è la principale residenza dell'allegrezza, e ciò massimamente si conosce nel solleticare sotto le braccia, alle qoali si acco stano ; e siccome, oltre alla vicinanza del sito, quivi la pelle dell'uomo è più sottile che altrove, perciò è più agevolmente sentita la dolcezza di quel solletico. Per questa cagiooe nelle battaglie e negli spettacoli i precordii feriti hanno arrecato morte con riso.
Q dibos c u i a i
lo b a
CIÒ, B MIBABILI PKODIGII.
D b v b b te b , b t q u ib u s m m .
D bl v b r t b b , b q u a i a n im a li h b s i a · s b b z a . Q uali
Q uAB SOLA VOMANT.
SOLI BBCIAHO.
LXXV11I. Subest venter stomachum haben tibus, ceteris simplex, ruminantibus geminus, sangoine carentibos nullos. Intestinus enim ab ore incipit) et quibusdam eodem reflectitor, ut
LXXVIII. Sotto allo stomaco, negli animali che l ' hanno, è il ventre : quegli che rugomano lo hanno doppio, gli altri lo hanno scempio ; e quelli che mancano di sangoe, mancano aneora
HISTORIARUM MUNDI LIB. XI.
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sepiae, polypo. Ia homine adnexus infimo sto macho, similis canino. His solis animalium infe riori parte augustior: itaque et sola vomant, quia repleto propter angnstias supprimitur cibo·: qaod accidere non potest iis, quorum spatiosa laxitas eum in inferiora transmittit.
di ventre. Perocché parte lor dalla bocca on in testino, il quale in alcuni si ripiega nel eorpo e ritorna ancora alla bocea, come alla seppia e al polpo. Nell1 uomo è attaccato alla parte bassa dello stomaco, simile a quello del cane. Questi soli 1*hanno pià stretto nella parte di sotto, e per questo essi soli recion», perchè essendo esso ripieno, per la sua strettezza preme il cibo dalla parte inferiore ; il che nou può avvenire a quegli altri, i quali avendo lo stomaco largo in fondo, facilmente mandano il cibo a basso.
L actbs , be ll a b, alvus , co lo r . Q ua &b q uasdam
L a c t i s , i l e , t b i t t e x , c o l o . P sa ca i a l c u n i a n im a li
INSATIABILIA AR1MALIA.
SIERO INSAZIABILI.
LXX1X. Ab hoc ventriculo laetes in homine et ove, per quas labitur cibus : io ceteris hillae a quibas capaciora iotestina ad alvam, bominique flexuosissimis orbibus. Idcirco magis avidi cibo rum , quibas, ab alvo longius spatium. Iidem mi nus solerte·, quibus obesissimas venter. Aves quoque gemino· sinus habeat quaedam : anum, qao mergantur recentia, ot guttur : alterum, io quem ex eo demittuot concoctione maturata : ut gallinae, palumbes, colombae, perdices. Ceterae fere carent eo ; sed gula patentiore utuntor: ut graculi, corvi, cornices. Q uedim neutro modo, sed venirem proximum habent, quibus praelonga colla et angosta, a t porphyrioni. Venter solipe· dum asper et durus.Terrestrium aliis denticulatae asperitatis, aliis cancellatim mordacis. Qoibus neqoe dentes utrimque, nec ruminatio, bic con fic iu n tu r cibi, bine io alvum delabuntur. Media haec umbilico adoexa in omnibus, in homine suillae infima parte similis, a Graecis appellator colon, ubi dolorum magna causa est. Augustissi ma canibus, qua decausa vehementi nisu, uee sine cruciatu, levant eam. Insatiabilia animalium, qoibus a ventre protinus secto intestino transe* ont cibi, ut lupis cervariir, et inter aves mergis. Ventres elephanto quatuor, cetera suibus similia: palmo quadruplo major bubulo. Avibus venter carnosus callosasque. In ventre hirundinum pul· lis lapilli candido aut rubenti colore, qui cheli donii vocantur, magicis narrati artibus, reperiontor. Et in juvencarum m undo ventre pUae rotunditate nigricans tofus, nullo pondere: sin gulare, ut potant, remediaro aegre parientibo·, si fellarem 000 attigerit.
LXX1X. Da questo ventricolo procedono quei che si chiamano lactes nell’ uomo e nella pecora, per li quali passa il cibo : negli altri animali si chiamano ile, dai quali insino al ventre sono più larghi intestini, e nell' oomo Canno intricatissimi cerchi. Perciò sono più ingordi de' cibi quegli che hanno più luogo apazio del corpo ; etmanco industriosi sono quei che hanno il corpo molto grasao. Alcuni uccelli similmente hanno due ven tri ; uno, per dove va il cibo freaco, e questo è il gozzo ; l ' altro è dove va il cibo smaltito ; sicco me sono galline, colombi salvatichi e domestichi, e starne. Gli altri p erlo p iù noo l'hanno, ma hanno la gola più larga, come sono mulacchie e corbi e cornacchie. Alcuni non hanno ventre nè a quel modo, nè a questo, ma hanno il ventre vicino, e ·οη quei ohe hanno il eolio loogo e stretto, come è il porfirione. Il ventre di quei che hanno 1*ugna d ' un pezzo, è sodo e duro. Dei terrealri alcuni hanno il ventre aspro e come addentellato, alcuni mordace e come a cancelli. Quegli che noo hanno denti da ogni lato, nè rugamaoo, tirano i cibi io questo loogo, e di qui li maodaoo nel ventre. Questo Γ hanno tutti at taccato al bellico : nell' uomo nella più bassa parte è stipile a qoello del porco, e chiamasi dai GaecE colo, dove è gran cagione di dolore. 1 cani l ' han no molto stretto, e perciò eoo grande sfono, nè senza grao cruciato lo sgravaoo. Insaziabili sono gli animali, ai qoali dal ventre subito paesano i cibi per dirilto budello, come i lupi cervieri e gli occelli smerghi. L 'elefante ha quattro ventri, nel reato è aimile al porco, ed ha il polmone qoattro volte maggiore che quello del bue. Gli occelli hanno il ventre carnoso e colloso. Nel ventre dei rondini sono alcune pietroline bian che, o ro se e , le quali si chiamano chelidonie, e soo nominate nell'arte magica. Nel aeoondo ven tre delle giovenche è un tufo nero, tondo come nna palla, e di niun peso; ottimo rimedio · qoelle donne che partoriscono con fatica, purché egli noo abbia tocco la lerra.
1 ιοο
C. PLINII SECONDI
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D b o m xbto , b t d b s flb k b , b t quibu s
D b l l * o m en to , i d i l l a m il z a , b cmb a n im a l i n o n
AR1MAL1UM ROR SIT.
LA ABBIAMO.
LXXX. Ventricolas atque ia testina piagai ac ienai omento integuntor, praeterquam ova gignentibus. Haic adncctitar lien in sinistra parte adversus jecori, cam qao locum aliqaando per mutat, sed prodigiose. Qoidam eotn potant inesse ova parienlibas, item serpentibas admodum exigaom : ita certe apparet in testudine, et croco dilo, et lacertis, et ranis. Aegocephalo avi non esse conslat, neque iis qoae careant sanguine. Pecnliare cursus impedimentum aliqaando in eo: quamobrem inuritur cursorum laborantibus. Et per vulnus etiam exemplo vivere atoiraalia tra dunt. Sunt qai putent adimi simol risum bomini; intemperantiamque ejus constare lienis magnitu dine. Asiae regio Scepsis appellator, in qua mini mos esse pecori tradunt, et inde ad lienem inventa remedia.
LXXX. 11 ventricolo e gl’ intestini sono co perti di ooa rete sottile, faor che a quegli ch e fanno aova. A questo s'attacca la milza nella parte manca dirimpetto al fegato, col qoale a lc a na volta cambia loogo ; ma questo è contro na tura, e s 'ha per prodigio. Atenni tengono che gli animali che fanno uova, abbiano anche esai la milza ; e le serpi ancora, benché molto piccola : certo ei c' è nella testuggine, nel crocodilo, n d le lucertole e nelle ranocchie. L 'uccello, che si chia ma egocefslo, non ha milza, n i l’ hanno ancora quegli animali che son senza sangue. Questa d ì talora grandissimo impedimento nel correre; e perciò i corrieri di piè se la fanno incendere. Di cono. ancora, che se ben la milza ì cavata per qualche ferita, gli animali però vivono. Sono di qoei che tengono, che cavandosi la milza all* no mo, se gli leva anco il riso, e che il rider molto procede dalla graodezza della milza. È un paese in Asia, che si chiama Scepsi, dove dicono che le pecore hanno pochissima milza ; e di lì ή son trovati i rimedii pei malori a cui va soggetta.
D b bbribu s , b t u b i q c a t e b n i a n im a libu s :
D b OLI ARNIONI, B DOIB SIBICl ABIMALI CHI
AB
QtJIBUS RULLI.
BIANO q u a t t r o . Q u a l i nor r b abbiamo .
LXXXI. Al in Brileto et Tbarne quaterni re nes cervis : conlra pennatis, squamosisque nulli. Cetero summis adhaerent lombis.Dexter omnibus elatior, et minos pingois sicctorque. Ulrique autem pinguitudo e medio exit, praeterquam in vitulo marino. Animalia in renibas pinguissima : oves quidem letaliter circnm eos concreto pingui. Aliquando in eis inveniuntur lapilli. Renes habent omnia qoadrapedum, qoae animal generant : ova parieotium testudo «ola, qoae et alia omnia vi scera: sed ot homo, bubalis similes, velat e multis renibas compositos.
LXXXI. In Brilelo e in Tarne i cervi hanno quattro arnioni ; e allo incontro qnegli animali che hanno penne, o scaglie, non ne hanno alcano. Generalmente sono appiccati alla sommiti d à lombi. Il destro di tolti è più rilevato, e meno grasso e più asciutto. All' ano e all' altro esce grasso del mezzo, fuor che nel vecchio marino. Gli animali sono grassissimi negli arnioni ; e le pecore talvolta vi raunano tanto grasso, che elle si muoiono. Alcune volta si trovano in essi pietruzze. Tutti gli animali di quattro piedi, ohe generano animali, hanno gli arnioni ; di quegli che fanno nova, sola la testoggine, la qnale ba ancora tolte l ' altre viscere ; ma l’ uomo gli ba simili al bae, come composti di molte reai.
P ic t u s : 003TAB.
P i t t o : c o s t i.
LXXXII. Pectas, hoc est, ossa, praecordiis et vitalibus nator· circumdedit: at ventri, quem necesse erat increscere, ademit. Nulli animaliora circa ventrem ossa. Pectas homioi tantam latam, reliqais cariaatam, volacribas magis, et inter eas aqnaticis maxime. Costae homini tantum octonae, suibus denae, cornigeris tredecim, serpentibas triginta.
LXXX1I. La natura diede per riparo il petto, cioè le costole, ai precordi! e ai membri vitali ; ma tolsele al ventre, al qoale è necessario crescere e rigonfiare. Niooo animale ha ossa intorno al ven tre. Solo l ' uomo ha il petto largo, mentre gli altri animali l ' hanno in forma di carena, ma più gli uccelli, e massimamente qaei d 'acqaa. L 'no mo non ba più che otto costole ; i porci dieci ;
noi
HISTORIARUM MUNDI MB. XI.
noa
gli animali che hanno corna, tredici ; le serpi trenta. VSSICA : QOIBUS BOB SIT.
V b sc ic a :
q u a i a n im a l i b b s u b f b i t i .
LXXXΠ1. Infra alvum est a priore perle Te sto·, quae nolli ο τ· gignentiom, praeter testudi nem : nolli nisi sanguineum pnlmonem habenti : nnUi pedibos carentinm. In ter eam etalvom arte riae, ad pubem tendentes, qaae ilia sppellantar. In vesica lapi lapillo·, qai Syrites Toeator. Sed in hoaainum qaibosdam diro crociata subinde nascente· calcoli, et Mtarnm capillamenta. Vesica membrana constat, quae Talaerata cicatrice non solidescit: neque qua cerebrum, aat cor involvifa r : plora enim membranarum genera.
LXXX1U. Sotto il venire nella prima parte è la vescica, cui non ha ninno animale di quel li, che fanno uora, fuorché la testuggine; niu no, se non qaei che hanno il polmone sanguigno; ninno, che non abbia piedi. Tra eaea e il Tentre sono arterie, che vanno al membro genitale, le qoali si chiamano ilia, ovver lombi. Nella vescica del lopo è ona pietroua che si chiama sirite. In qaella dell’ uomo nascono talora pietre con gran dissimo di loi tormento, e certe setole ancora. l a vescica è (atta di un pannicolo, il quale qaando vien che si rompa, non salda pià, oome quello che caopre il cervello e il cuore; perciocché ci sono molle sorti di pannicoli.
D b v u l v i · : d b to m i t o l t a : d b iu h ir b .
D b l l b v u lv b : d b l l a v u l v a d b l l b t b o ib : d b l l a su o b a .
LXXXIV. Feminis eadem omnia : praeterque vesieae junctus otricolo·, unde dictos nterus: qaod alio nomine loco· appellant : hoc in reliqni· animàlibo· volvam. Haec viperae et intra se parienlibos, duplex: ova generantium adnexa praecordiis : et in moliere gemino· sino· ab otraqoe parie laterum habet: funebri·, qooties versa •piritom indosit. Bove· gravida· negant praeter quam dextero volvae «ino ferre, etiam quum ge minos ferant Valva ejecto parto melior, qoam edito. Ejeciilia vocator illa, haeo porcaria, pri miparae suis optima: contra eflèlss. A parta, praeterqaam eodem die soia occisae, livida ac macra. Nec novellarem «nam, praeter primipara· prdbatur :potiasqoe veteram, dum ne effetarum, nee biduo ante partam, aat po«t partam, aal qao ejecerint die. Proxima ejectitiae est, occisae uno die post partum. Hujus et somen optimnm, « modo feto· non haoserit: ejeetitiae deterrimam. Antiqai abdomen vocabant : priosqoam calleret, iocientes occidere qon adsueti.
LXXXIV. Le donne hanno tolte qoeste cose, e oltra ciò on ventricolo congiunto con la vesci ca, il qoale si chiama utero, e per altro nome looghi : negli altri animali è chiamato volva. Le vipere, e quelle femmine che partoriscono dentro a sé medesime, 1*hanno doppia : quelle che fanno «ova, I1banoo appiccata ai precordi!. Nella donna ha due rieelli da amendue i lati ; ed è mortale, qaando ella si rovescia, io modo che rinchioda 1’ aria e faccia soffocazione. Dicono che le vacche pregne non portano se non nel lato ritto della matrite, ancora che elle ne abbiano doe in c o rp o . La valva è migliore se abortisce, ehe se ella avesse partorito. Qaella si chiama eiettizia, e questa porcaria ; ed è ottima qoella della porca che non ha più figliato : quelle che hanno figlialo assai, l'hanno livida e magra, se la porca non i1uccide il di medesimo del parto. Nè punlo è migliore qoella delle porche giovani, se gii non s'ammas sano nel primo parto; e forse è da preferire quella delle vecchie, purché non sieno stanche, e vote per aver figliato troppo, e non sien morte due dì inuansi al parlo, o dopo il parto, o il medesi mo giorno. Dopo la eiettizia, migliore è quella della porca accisa on dì dopo il parto. La sogna di qoesta è ottima, se il parlo noo Γ ha contorna la : qoella della eiettixia è tristUsiiua. Gli antichi la chb mavano addomine, e la ripotavan migliore quando avesse indorilo e fallo il callo ; il perchè non usavano ammassar le femmine eh’ eran pregne.
C. PUNII SECUNDI
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Q d ì I SBVOII BABEABT, QUAB ROS P1HGUBSCABT.
CHB ABUSALI ABB1ABO SBVO, B CHB ALTHI H O · IBGBASSIBO MAI.
LXXXV. Cornigera una parie dentata, et qnae in pedibus talos habeot, sevo pinguescunt. Bisulca, scissisve in digitos pedibus, et non cor nigera, adipe. Concretus hic, et qaam refrixit, fragilis : semperque in fine carnis. Conlra pingue inter carnem cutemque, succo liquidum. Quae dam non pinguescunt, ut lepus, perdiz. Steriliora cuncta pinguia, et in maribus, et in feminis ; senescunlque celerius praepinguia. Omnibus ani malibus est quoddam in oculis pingue. Adeps cunctis sine sensu : quia nec arterias habet, nec venas. Plerisque animalium est pinguitudo sine sensn : quam ob causam sues spirantes a muribus tradunt adrosos. Quin et L. Apronii consularis viri filio detractos adipes, levatnmque corpus immobili onere.
LXXXV. Gli animsli cornuti, e da una p a rte dentati, e che hanno i talloni ne'piedi, ingrassano di sevo. Quegli che non hanno corna e h aooo fesse Γ ugne, ovvero hanno dita, hanno sogna. Questa è rappresa, e quando è raffreddata diven ta fragile, ed è sempre in sull' estremo della carne. Per contrario il grasso è tra la carne e la cotenna, ed è umido e sugoso. Alcuni animali non ingrassano mai, come la lepre e la starna. Tulli gli sterili son grassi, cosi maschi, come femmine ; e quegli che son molto grassi rinvec c h ia n o piè presto. Tulli gli animali hanno oa cerio che di grasso negli occhi. Quegli che noo hanno arterie nè vene, hanno il sugnsccio senza sentimento, quale lo hanno la maggior parte degli animali ; perciò dicono che i topi rodono i porci, e gli uccidono che non sentono. E di più dicono, che al figliuolo di Lucio Apronio stato consolo furono traili i sugnacci, e allegerìto il corpo di quel peso insensato ed immobile.
Db m e d u llis , b t q u ib u s b o b s i b t .
D b l l b m id o l l e , b q u a i a b u sa l i b o b b ' ab b ia h o .
LXXXVI. Et medulla ex eodem videtor esse, in juventa rubens, et senecta albescens. Non nisi cavis haec ossibus : nec cruribus jumentorum, aot canum : quare fracta non ferruminantur, quod definente evenit medulla. Est autem pinguis iis, quibus adeps: sevosa, cornigeris: nervosa, et in spina tantum dorsi, ossa non habentibus, ut pi· sc iu m generi : ursis nulla: leoni in feminum et brachiornm ossibus paucis exigua admodum: cetera tanta duritia, ut ignis elidatur, velut e silice.
LXXXVI. Pare che anche la midolla sia della stessa qualità, rossa in giovanezza, e in vecchiezza bianca ; e questa non è se non nell' ossa locavate, e non è nelle gambe de' giumenti e de' cani ; e però quando son rotte, non si risaldano ; il che avviene qaando la midolla scorre. Hannola gras sa quegli animali, che han sugnacci, e sevosa quei che hanno corna ; e nervosa, e solamente nella spina della schiena, quei che non hanno ossa, siccome i pesci: gli orsi non hanno midolla, i lioni n' hanno pochissima in poche ossa delle ooscie e delle braccia : le altre ossa loro son tanto dure, che ne esce fuoco come di una pietra.
Da
ossibus b t s p ib is .
Q u ibu s rbc ossa, b bc s p ib a .
C a b t il a g ih k s .
LXXXV1I. His dura, quae non pinguescunt : asinorum ad tibias canora. Delphinis ossa, non spinae; animal enim pariunt : serpentibus spinae. Aquatilium mollibus, nulla : sed corpus circulis carnis vinctum, ut sepiae, alque loligini. Et inse ctis negatur esse ulls. Cartilaginea aquatilium habeot medullam in spina. Vituli marini cartila ginem, non ossa. Item omnium auriculae, ac nares, quae modo eminenl, flexili mollitia, natu rae providentia, ne frangerentur. Cartilago rupta non solidescit. Nec praecisa ossa recrescuut, prae terquam veterinis ab ungula ad suffraginem.Homo
D bl l b ossa b d b l l b sp ih b . Q u a l i b o b a b b u io b ì ossa ,
a à sPiBB. C a b t il a g im i .
LXXXVII. Le ossa son dure in quegli che non ingrassano. Quelle degli asini risuonano al suon delle tibie. I delfini hanno ossa, e non già spine, perciocché essi partoriscono animale : le serpi hanno spine. Degli animali d'acqua teneri nessuno ha spine, ma hanno il corpo circondato da'circoli di carne, come la seppia e la loligine. Ni anche gli animali insetti n* hanno veruna. Gli animali d 'acqua cartilaginosi hanno la midolla nella spi na. 1 vecchi marini hanno cartilagine, e non ossa. Similmente quelli, i cui orecchi e il muso pontano an poco in fuori, hanno un certo tenerume, che
HISTORIARUM MUNDI UB. XI. crescit ia longitudinem ed annos asque ter septe nos: tam deinde ed plenitudiaem. Maxime autem pubescens nodum quemdam solvere, et praecipue aegritudine, sentitur.
De
m m .
Q vab s im b b b v is .
1106
si piega, e ciò è stato previdenza di natara, perché non si rompessero. La cartilagine rotta non risal da. Nè Possa tagliate crescono, fuorché «gli animali da soma, dall’ ugna del piè fino al nodo del ginocchio. L’uomo cresce in lunghezza fino « vent’ono anno, e dipoi in grossezza. L massimamente cominciando a mettere i peli, si sente come sciogliere un nodo, e specialmente per via di qaalche malore. D ei b b b v i. Q oali s ib b m m di m v r .
LXXXVIII. Nervi orsi a corde, bubuloque etiam circumvoluti, similem naturam et causam habent, in omnibus kibrieis applicati osaibus : nodosque corporum, qai V o c e n tu r articuli, aliubi iuterventu, aliubi ambitu, aliubi trauiitu ligantes, hic teretes, illic lati, ut ia unoquoque poscit figuratio. Neque ii solidantur incisi ; miromque, vulneratis summas dolor; praesectis, nullus. Sine nervis suntquaedam animalia, at pisces : arteriis enim constant. Sed neque his molles piscium ge neris. Ubi sunt nervi, interiores conducant nem · bra, superiores revocant. Inter hos latent arteriae, id est, spiritus semitae. His innatant venae, id est, sanguinis rivi. Arteriarum pulsos, in cacumine maxime membrorum evidens, index fere morbo· raro, in modulos certos, legesque metricas, per aetates, stabilis, aat citatus, aut tardus, descriptus ab Herophilo medicinae vate, miranda arte, ni miam propter subtilitatem desertus, observatione tamen crebri eat languidi ictus, gubernacula vitee tem perat
LXXXVIII. I nervi, i qaali cominciano dal enore, e ne* buoi anche gli si aggirano intorno, hanno simile le natura e la causa : stanno appic cati in tutte le ossa lubriche, legando i nodi del corpo, che aneora si chiamano articoli, dove frapponendosi loro, deve circondandoli, dove pas sando lor sopra; e qaando sono rotondi, qaando larghi, come richiede la configurazione dell* ani male. Noa risaldano, quando son tagliati ; ed è gran maraviglia, che qaando son feriti danno estremo dolore, e se son tagliati, ninno. Alcani animali sono senza nervi, come i pesci, i quali hanno arterie t non però quegli che sono molliocichi. 1 nervi interiori, dove ce ne ha, distendono i membri, gli esteriori li ristringono. Fra i nervi stanno ascose le arterie, ciò sono i canaletti, onde scorre Paria vitale. In esse nuotano le vene, che sono i rivi del sangue. Il moto e polso delParterie massimamente nella sommità de1 membri dimo stra le malattie, secondo i suoi diversi movimenti, stabile, o frettoloso, o tardo, e sempre con certe regole e misure proporzionate alPetà dell’anima le ; il che è stato descritto da Crofilo poeta di medicioa coo mirabile arte, il quale tuttavia per la sua troppa sotti gliexia è stato lasciato da parte. Nondimeno Posservazione del polso veloce o tar do, tempera il governo della vita.
A e TBBIAB, VEBAB : QUAB BBC TEBAS, BBC ABTBB1AS
A b t b b ib , v b b b : q u a l i b o b abb ia bo b ì a b t b b ie ,
HABBBT. D e SABGU1BB BT SCDOEE.
LXXX1X. Arteriae careot sensu : nam et sangoine. Nec omnes vitalem continent spiritum : praecisisque torpescit tantum pars ea corporis. Aves nec venas nec arterias babent : item ser pentes, testudines, lacertae, minimamqae sangui nis. Venae in praetenues postremo fibras subter totam cutem dispersae, adeo in angustam subii* li latera tenuantur, ut penetrare sanguis non pos sit, aliud ve qaam exilis bomor ab illo, qai cacu minibus innumeris sudor appellator. Venarum in umbilico nodas ac coilas.
ai v b b b . D b l
sa b o o s b d b l su d o b b .
LXXXIX. L’arterie non hanno sentimento, perchè non hanno neppur aaague. Nè hanno tolte lo spirito vitale; e se si tagliano, si perde solamente quella parte del corpo. Gli uccelli non hanno nè vene, nè arterie ; cosi le serpi, le te stuggini e le lucertole, che anche hanno pochis simo sangue. Le vene disperse poscia in tenuis sime fibre disotto alla pelle, si riducono a tanta sottigliezza, che il sangue non può passare, nè altra cosa, se non un sottile umore, il quale uscen do oon infiuiti cocuzzoli si chiama sudore. Ne! bellico le veoe si coogiongono e avviluppano.
itoS
C. PLINII SECUNDI Q uoeum c b l b e b im e sahgois ip is s b t u r , quobum NON
D i QUAI ANIMALI IL SANGUE SI EAPPIGLl PBBSTU S I
COÉAT : QUIBUS CBASS1SSIMUS, QUIBUS TERUISSUfUSy
NO: d i q u a l i n o . Q u a l i lo abbia no g e o s s u s i m o :
QUIBUS RULLUS.
QUALI SOTTILISSIMO : QUALI NON NB ΑΒΒΙΑΗΟ.
XC. '38. Sanguis quibus multus et pingui·, iraconda: maribus, quam feminis, nigrior: et juventae magjc quam senio : et inferiore parte pinguior. Magna et in eo vitalitatis portio. Emis sas spirilnm secura trahit: tactam tamen non sentit. Animalium fortiora, quibus sanguis cras sior : sapientiora, quibus tenuior : timidiora, quibus minimus, aut nullus. Taurorum celerrime coit atque durescit, ideo pestifer potu maxime. Aprorum, ac cervorum, caprearumque, et bobaIorum omnium noo spissator. Pinguissimas asinis, bomini tenuissimus. His qaibus plus quaterni pedes, nullas. Obesis minas copiosas, quoniam absamitor pingui. Profluvium ejus uni fit in naribus homini, aliis nare alterutra, quibusdam per inferna, multis per ora stato tempore,ut nuper Macrino Visco viro praetorio: sed omnibus annis Volusio Saturnino urbis praefecto, qui nonagesi mum etiam excessit annam. Solum hoc in corpore temporarium sentit incrementum : siquidem ho stiae abundanliorem fundunt, si prius bibere.
QoiBUS CERTIS TEMPORIBUS ARNI BULLUI.
XC. 38. Quegli che hanno mollo saogne, e grasso, sono colerici : i maschi V hanno p iù n e ro che le femmine ; e più n’ hanno i giovani, c h e i vecchi ; ed è più grasso nella parte inferio re. In esso è gran parte della vitalità. Qaando egli è uscito, tira séco lo spirilo, e Γ animale si m u o re ; nondimeno tocco non sente. Quegli animali «on più forti che hanno il sangue più grosso : più savii quei che lo hanno più sottile ; più tim idi quei che ne hanno pochissimo, o che noo u 'han no punto. Il sangue dei tori prestissimo ai rappi glia, e indura ; e perciò è molto pestifero a bere. Quel dei porci cinghiali, de' cervi, delle capre e dei bafoli non si rappiglia. Gli asini lo hanno grassissimo, e l’ uomo sottilissimo. Quegli smi mali che hanno più di qoattro piedi, non hanno sangue. I grassi ne hanno manco degli altri, per chè egli è consumato dal grasso. Solamente all’ uomo esce il sangoe per lo naso, ad alcuni per uno dei buchi di esso, ad alcuni per tuttadue : ad alcuni viene il fiosso di sangue per disotto, e a molti per bocca a certo tempo ordinato, come non ha molto avvenne a Macrino Visco atato pretore, e ogni anno a Volusio Saturnino pre fetto di Roma, il quale visse ancora più di no* vanta anni. Solo questo ha temporario incre mento nel corpo, poiché si vede che gli animali che si sacrificano, ogni volta che hanno bevuto prima, ne mandano fuora maggior quantità. Q u AI Non NE ABBIANO SOLO IN CEETI TEMPI DELL’ ANNO.
XCI. Quaeanimalium latere certis temporibus diximus, non habent tunc sauguinem, praeter exiguas admodum circa corda guttas, miro opere naturae : sicut io homine, vim ejus ad minima momenta mutari, non morbo tantum in ore soffusa materia, verum ad singulos animi habitus, pudore, ira, metu : palloris pluribus modis, item ruboris. Alius enim irae, et alius verecundiae. Nam et in metu refugere, et nusquam esse certum est, mullisque nou transfluere transfossis: quod homini tantum evenit. Nam quae mutari dixi mus, colorem alienum accipiunt quodam reper· cusso : homo solus in se mutat. Morbi omnes morsque sanguinem absumunt.
XCI. Quegli animali, i quali dicemmo che in certi tempi stanno ascosi, non hanno allora san gue, fuorché alcune pochissime gocciole intono al cuore per maravigliosa opera della natura. Cosi veggiamo nelP uomo variare la sua fona a ogni piccolo movimento dell* animo, ricorren done più o meno sol volto non solamente per ma lattia, ma secondo cVegli è dominato da qualche passione, da vergogna, da ira, da timorei; e simil mente quando più o meno impallidisce, e qoando più o meno arrossa ; perocché altro rossore è quello dell* in , altro è quello della vergogna; dacché per la paura il sangue rifugge e non ù lascia trovare: onde si è veduto, che a molti, benché sieno feriti, non è uscito sangue; il die non avviene se non alPoomo. Perchè qaegli che noi dicemmo che sì mutano, pigliano colore per una certa riflessione estranea: l’ uomo solo lo mula in sè stesso. Tutte le infermità e la morte consumano il sangue.
uto
HISTORIARUM MUNDI LIB. XI
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A a m SAHGCIHE VBIBCIPATUS.
S b IL PBIBCIPATO b BEL· SAHGUE.
XCII. 39.Sont qai subtilitatem animi constare n o n tenuitate sangninis putent, sed cute operixnentisque corporum magis ant minus bruta esse, u t ostreas et testudines : boum terga, setas suum obstare tenuitati immaantis spiritus, nec purum liquidumque transmitti : sio et in homine, quum crassior callosiorve excludat cutis ; ceu vero non crocodili* et doritia tergoris tribuatur et solertia.
XCII. 39 . Sono alcuni che tengono, che la sottilità dell1animo non proceda dalla sotti gliezza del sangue, ma dalla pelle e dalla copri tura del eorpo, e per questo vogliono che gli animali sieno pià o meno insensati, come veggiamo V ostriche e le testuggini : il cuoio grosso dei buoi, e le setole del porco sono impedimento alla sottilità dello spirito loro, perchè non può passare liquido e puro. 11 medesimo avviene nel1*uomo, quando la pelle più grossa e più callosa l'esclude. Nondimeno ai crocodili che hanno durezza di cuoio si attribuisce pure ingegno a solerzia.
D b terg ore.
D b l tbbgo.
XCIII. Hippopotami corii crassitudo talis, ut inde tornentur hastae,et tamen quaedam ingenio medica diligentia. Elephantorum quoque tergort impenetrabiles setas habent, quum tamen omnium quadrupedum subtilitas animi praecipua perhi· beatur illis. Ergo cutis ipsa sensu caret, maxime in capite : ubicumque per se ac sine carne est, -vulnerata non coit, ut in bucca cilioque.
XCIII. L 'ippopotamo ha cosi grosso il cuoio, che con esso si puliscono l ' aste a torno ; e non dimeno l’ ingegno suo ha ana certa virtò medi cinale. Il cuoio dell’ elefante è si duro, che non ha setole, perchè non lo possono passare ; e non dimeno nessuno animale di quattro piedi è più ingegnoso di lui. La pelle dunque non ha senso, massimamente nel capo : dovunque essa è sem plice e seoza carne, non rammargina, se sia feri* ta, come veggiamo nelle gote e nelle palpebre.
Db p iu s
bt v e s t i t u tb b g o & is .
XCIV. Quae animal pariunt, pilos habent : qaae ova, pennas, aut squamas, aut corticem, ut testndines : aut cutem puram, ut serpentes.Pen narum caules omnium cavi : praecisae non ereacunt, evolsae renascuntur. Membranis volant fragilibus insecta, humentibus hirundines in n a ri, siccis inter tecta vespertilio. Horum alae quoque articulos habent. Pili a cute exeunt crassa hirti, feminis tenuiores, equis in juba largi, in armi· leoni : dasypodl et in buccis intus, et io pedibus, quae utraque Trogus et in lepore tradi dit : hoe exemplo libidinosiores hominum quo que hirtos colligens. Villosissimus aoimalium lepus. Pubescit homo solus, qood nisi contigit, sterilis in gignendo est, sen masculus, seu femi n i. Pili in homine partita simul, partim postea gignuntur. Congeoiti autem non desinunt, sicut nec feminis magnopere. Inventae tamen quedam defluvio capitis invalidae : ut et lanugines oris, qunm menstrui cursos stetere. Quibusdam post geniti viris sponte non gignantur. Quadrupe dibus pilum cadere atque subnasci, annuum est. Viris crescunt maxime in capillo, mox in barba. Recisi, non, a t herbae, ab ipsa incisura augentur,
Db1p e l i b c o p e i t c b a d e l tb b g o .
XCIV. Gli animali che partoriscono animale, hanno peli ; quei che Canno uova, hanno penne, o scaglia, o corteccia, come sono le testuggini, o la pelle pura, come le serpi. Il gambo di qua lunque penne è bugio. Tagliandole non cresco no; svegtiendole rimettono. Gli insetti hanno ale di pannicoli, amidi le rondini marine, asciutte i pipistrelli caserecci ; e le ale loro hanno anco i nodelli. Dalla pelle grossa escono ! peli aspri, alle femmine più sottili : i cavalli nel collo e i lioni nel le spalle gli hanno maggiori : i tassi gli hanno dentro nelle gote non che nei piedi, le quali due cose Trogo attribuisce ancora alla lepre, e cork questo esempio conchiude, che gli uomini pilosi son molto lussuriosi. La lepre è il più pilòso ani male che sia. Solo Γ uomo mette i peli D ell’ età atta a generare: e se ciò non è, dimostra sterilità così il maschio, come la femmina. I peli nell’uomo parte s'ingenerano insieme con lui, parte poi.Qoegli che sono insieme con loi generati, non man cano dipoi, come nè ancora mollo nelle donne. Sonsi trovate alcune, che quando gettano i capegli, diventano invalide, come anco la lanugine della facab) quando restarono i flussi menstrui.
Ili E
G PUNII SECONDI
sed ab radice exeunt. Crescuot et in quibusdam morbis, maxime phtbisi, et in seneeta : defuoctorum quoque corporibai. Libidinosis congeniti, malorias defluunt: agnati, celeria· crescunt. Quadrupedibus senectute crassescant laaaeqae rarescunt. Quadrupedam dorsa pilosa, ventres glabri. Boam coriis glutinum excoquitur, lauro rum qae praecipuum.
1112
Alcuni uomini poiché hanno fatti i peli, n o n g li rimettono più. Gli animali di quattro p ied i m u tano i peli ogni anno. A’ maschi crescono a a n i nel capo, e poi nella barba. I peli tagliati n o n rimettono in sulla tagliatura, come rim e tto n o Γ erbe, ma escono infuori della radice. C reacono ancora in alcune malattie, massimamente n ella tisi, e in vecchiaia, e ne*corpi morti an co ra. Quegli, che nascono insieme con 1*uomo, e a f · giono più presto, s 'egli è lussurioso, m a > nati crescono più tosto. Gli animali di quattro p ied i ingrassano per la vecchiaia, ma le lane diventano loro più rade. Qaesti pure hanno la schiena pilosa, e il ventre senza pelo. De* cuoi boriili, cocendogli, si fa ottima colla, e massimamente di quelli de* tori.
D a MAMMIS, ET QUAB VOLUCEUM MAMMAS HABEANT.
DELLE POPPE, B QUALI UCCELLI LE ABBIAMO.
NoTABIUA ABIMALIUM IB 0BKE1BUS.
NOTABILI COSB EAPPOETO ALLE POPPE.
XCV. Mammas homo solos e maribus habet : celerà animalia mammarum notas tantum. Sed ne feminae quidem in pectore, nisi qaee possunt partus sao· attollere. Ova gignentium nulli:nec lac, nisi animal parienti : volucrum, vespertilioni tantum. Fabulosam enim arbitror de strigibus ubera eas infantium labris immulgere. Esse io maledictis jam antiquis strigem convenit: sed quae sit avium, constare non arbitror.
XCV. Solo di tutti gli animali maschi Γοοη» ha le poppe : negli altri animali i maschi hanno solo certi segni di poppe. Ma nè anco le donne hanno le poppe, se non qoelle che possono nu trire i figliuoli : qoegli, che fanno uova, non hanno poppe. Nessuno animale ha latte, se non quegli, che generano animale ; e fra gli uccelli solo il pipistrello. Perocché credo che sia favola ciò ehe si dice delle strigi, che mungano il latte a* bambini. Nelle esecrazioni antiche si trova qaesto nome di strige, ma non si sa che uccello si sia. 4 o. Alle asine dolgono le poppe dopo il par to, perciò svezzano 1*asinino il sesto mese, dove le cavalle danno poppa quasi tutto l’anno. T atti gli animali che hanno 1*ogna di un pezzo, ooa generano più che due per volta, e tutti hanno due poppe e 1*hanno nel pettignone. Nel mede· simo luogo 1*hanno quelli, che han I* ugna di dae pezzi, e son oornuti : le vaeche quattro, le pecore e le capre due. Quelle ehe partoriscono più che due, e che hanno le dita nei piedi, han no molte poppe per tutto il corpo in due filari, eome le troie, delle quali quelle di razza miglio re n* hanno dodici, le volgari due meno, e simil mente le cagne. Alcune n* hanno quattro ia mez zo del oorpo, come le pantere ; alcune dae, eoaae le lionease. L* elefantessa sola ha doe poppe ao^to gli omeri,cioè non nel petto, ma più sotto, e nasco ste ndle ascelle. Nessuna femmina, che abbia d ila no*piedi, h · poppe nel pettignone. I porcellini p ri ma nati succiano le prime poppe: queste son le più presso alfa bocca loro, e ciascun altro conosca le sue ia qadlo ordine* che è nato, e oon qudla si nutrisce, e non eon sllra. Subito ebe è levato u a
4o. Asinis a feto dolent : ideo sexto mense aroent partus, quum equae anno prope toto prae beant. Quibus solida ungula, nec supra geminos fetus, haee omnia binas habeat mammas, neo aliubi, quam in feminibus. Eodem loco bisulca el cornigera; bove· quaternas, ove· capraeque binas. Quae nuMMroso facunda partu, et quibus digiti in pedibus, haec plures habent, tolo ventre du plici ordine, ut sues, generosae duodenas, volga re · binis minus: similiter eanes. Alia ventre medio quaternas, ut pantherae : alia binas, ut leaenae. Elephas tantum sub armis duas : nec in pectore, sed citra in alis occultas. Nulli in femi nibus digitos habentium. Primogeniti in quoque partu suis primaa premunt : eae sunt faucibus proximae : suam quisque novit in feto quo geni tos est ordine, eaqne alitur, nec alia. Detracto ilia alumno suo sterilescit illico, ne resilit. Uno ▼ero ex omni turba relicto, sola munifex, quae genito fuerat adtributa descendit. Utsae mammas quaternas geriint. Delphini binas in ima alvo papillas tantam, nee evidentes, et paallum in obliquum portoci··. Neque aliud animal in corsa
HISTOBJARDB MUNDI UB. XI.
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1114
lambitor. El balaena· aatem vitalique manmii nutriaot fetas.
porcellino dalla madre, la poppa che egli suc ciava, perde il latte, e rappianasi. E se di tutti non rimanesse se non un solo, similmente la sua «ola poppa rimane, e non più. LV>rse hanno qoat* tro poppe. 1 delfini hanno solamente due capessoli nou mollo evidenti, e dislesi alquanto per traverso. Niuno altro animale è poppato mentre che corre, fuor che il delfino. Anche le balene e i vecchi marini nutriscono i figliuoli con la poppa.
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XCVL 4>· Molieri ani· septimom meoaeaa profusala lae, inalile. Ab eo manie, quod vitales partus, salubre. Plerisque aatem totis memori», atqoe etiam alaraa sino flait. CameU lae habaot, donee iterai· gravescant SoavisstmOm hoc esitli* ina tur ad onam mensaram tribas aqase additis. Botante pertum noo babet. Ex primo semper a parlo colostra fiunb qaae, ni admìaeealor aqoa, in pomieis modum coeant daritia. Asinae praegnan tes cootlnoo lactescant. Pallis earam, obi piago· pabulum, bidao a parto materaom lae gustasse, letale est Genos mali vocatur colostra lio. Caseus non fit ex utrimque dentatis, quoniam eorum lac aon ooit. Tenuissimam camelis, mox equis: crassissimum asinae, ot qoo coaguli vice olaotur. C ubferre aliquid et candori io mulierum cote existimator. Poppaea certe Domitii Meronis eoo)ox, qaingentas secosa per omoia trahens fetas, balpearom etiam solio totam corpus illo laete macerabat, extendi qooqae catem credens. Omne autem igne spissator, frigore serescit. Bubulam caseo fertilius, qoam caprinum, ex eadem men sura paene altero tanto. Qaae plures quaternis mammas babent, caseo inutilia, et meliora quae binas. Coagulano hinnulei, leporis, boedi lauda tum. Praecipuum tamen dasypodis, quod et pro fluvio alvi medetur, unius utrimque dentatorum. Mirom barbaras gentes, qaae lacte vivant, igno rare aat spernere tot seculis casei dotem, deosantes id alioqui in acorem jurandum, et pingue butyrum : spuma id est lactis, coocretiorque, quam qood serum vocatar. Non omittendum in eo olei vim esse, et barbaros omnes infantesque nostros ita ungi.
CIB DBGLI ALIMENTI CHE SI FAUNO COL LATTB.
XCVI. 4>* U lette della donna innanzi il set* timo mese è inutile ; Bea da quel mese in li, per chè il parto è vitale, diventa,, buon·. Ad alcune donne gocciola il latte non dal solo capezzolo, ma da totta la poppa, e ancora da sotto le braeeia. Le caramelle haooo latte fioo a che impregni no di nuovo, ed è tenuto buonissimo, se si me scola coo tre tanti di aoqoa. La vacca non ha latte innansi al parto, e sempre del primo dopo il p ari· si fanno colostre, le quali si rassodano oo me pomice, se non vi ai mescola aequa. L’ asine pregne hanno sempre del latte. L* asisino muore, se dove è grassa pastura iofra due dì dopo il parlo gusla il latte della madre. Chiamasi questo male colostrazione. Non si fa cacio degli animali dentali da ogni lato, perchè il latte loro non si rappiglia. Sottilissimo latte hanno le cantinelle, e poi le cavalle : grossissimo è quello dell1asine, e perciò s* adopera in luogo di presame. Tiensi che e’ sia buono per far bianca e lucente la pelle alle donne. Onde Poppea moglie di Domizio Ne rone menava sempre seco cinquecento asine lat tanti, e nei bagni ammolliva tutto il corpo col latte di esse, credendo ancora di stender la pelle. Ogni latte si rassoda eoi fuoco, e col freddo va in siero. Il latte di vaeca fa pià cacio, che il ca prino, quasi altrettanto d1ona medesima misera. Quelle bestie, che hanno più di qaallro poppe non fanno cacio, e migliore lo fanno qoelle, che n’ hanno due. Il presame del cervietto, della le pre e del capretto è molto lodato ; ottimo non dimeno è quello del tasso, uno di quegli animali che hanno i denti di sotto e di sopra : esso rista gna anco il flusso del corpo. Maraviglia è che le nazioni barbare, le quali già tanti arini sono vi vono di latte, o non conoscano, o non istimino l’ utilità del cacio, e pare lo rappigliano, e piace lor mollo, quando è un poco forte, è ne fbnno eziandio butirro grasso, il quale è schioma di lat te, e più condensato che il siero; Non si vuole tacere eh* esso tien dalla virtù de!P olio, e che i barbari tatti e i fanciulli nostri se ne ungono.
C. PUNII SECUKDI
in 5
1116
G uE ll CASBOBUM.
S p e c ie d b i fo b m a g g i ,
XCVII. 4a. Lau* caseo Romae, ubi omnium gentium bona cominus judicantor ; e provinciis, Neraausensi praecipua, Lesorae Gabalidque pagi; sed brevis, ac mu*(eo tantam commendatio. Duobus Alpes generibus pabula sa· adprobant: Dalmaticae Doclealam mittant, Geatronicae Vatasicum. Numerosior Apennino. Gebanam hic e Ligaria mittit, ovium maxime laetis : Aesioatem ex Umbria : misloque Etruriae atque Liguriae confinio, Luaensem magnitudine conspicuam: quippe et ad singola millia pondo premi lar : proximam aatem Urbi Vestinam, eumqoe e Ce d ilo campo laadatissimom. E t caprarum gregi bus sua laus est, Agrigenti maxime, eam aagente gratiam famo: qualis in ipsa Urbe conficitor, cauclis praefereadas. Nam Galliarum sapor me dicamenti vim obtinet. Trans maria Tero Bithy nas fere ia gioria est. Inesse pabulis salem, etiam ubi non detur, ita maxime iatelligitar, omni in salem caseo senescente, quales redire in musteam saporem, aceto et thymo maceratos, certam est. Tradunt Zoroastrem ia desertis caseo vixisse an nis viginti, ita temperato, at vetastatem non sentiret
XCV1I. 4λ Vuoisi dar lode al cacio eh* è in Boma, dove si giudicano essere i beni di tutte le nazioni convicine. Delle province i lodato molto quello di Niroesa, che si & be’ due villaggi Lesura e Gabalico ; ma qaesto vanto è assai poco, e solamente qoando egli è fresco. Le Alpi si lo dano dei lor paschi, che ne danoo dae spede. La Dalmazia manda il cacio che si chiama Dodeata: il paese dei Centroai qoel che è chiamato Vatusico. Ma in maggior numero ne fa Γ Apennino. Di Ligaria viene il cacio Cebano, e massima mente di latte di pecore: di Umbria qael di Esi : e da1 confini della Toscana e ddla Liguria viene il cado di Ltonigiana, per la grandezza soa molto bdlo a vedere, perchè se ne fa fino a mille libbre di pesò per forma. Vidno a Roma è il cado Vestino, e ottimo i quello d d territorio Gedizio. È tenuto boono ancora il cado di capra, e massimamente d’ Agrigento, dove si rende pià grato coll* affumicarlo : qoal si fa quivi è da es ser messo innanzi a tulli. Perdocchè il sapore di quello ddla Gallia ha virtà medidnale. Olirà mare il cado di Bitinia i in grandissima riputa zione. Intendesi che nelle pasture i il sale, aneo ra dove non se ne trova, perchè ogni cacio l ’ in vecchia col sale : i cad tornano aneora nel sapore che aveano da freschi, qoando si tengono in ma cero ndl*aceto e nel timo. Dicono ehe Zoroastro visse venti anni n d deserto solamente di cado, temperato in modo, che non invecchiava mai.
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XCVI1I. 43. Terrestrium solas homo bipes. Uni juguli, hameri, celeris armi: uni uloae. Quibas animalium manas sant, intus tantam carnosae : extra nervi· et cute constant
XCV11I. 43. L'uomo solo fra tutti gli animati terrestri ha doe piedi : esso solo ha gorgozzule, esso solo ha omeri, mentre gli altri hanno spalle: esso solo ha ulne, che è quel tanto delle braeda, che è dal gomito alle punte delle dita. Le mani in quegli animali che ne hanno, sono solamente di dentro carnose, e fuori sono di nervi e di pelle.
Da n o n u , na
beacmiis.
XC1X. Digiti quibusdam in manibns seni. C. ■Horatii ex patricia gente filias duas ob id Sedigitas appellatas accepimus, et Volcatiam 9edigilam, illustrem in poetica. Hominis digiti articulos habeat ternos, pollex biaos, et digitis adversas universis flectitor : per se vero in obliquum por rigitor, crassior ceteris. Haic minimas mensura par est : duo reUqai sibi, inter qaos medias Ion»
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XC1X. Alcuni hanno sei dita nelle mani. C. Orazio, il quale fu patrizio, ebbe due figliuole, le quali furouo perciò chiamate Sedigite, e tale ancora fa Volcazio Sedigito, illastre in poesia. I diti dell* uomo hanno tre nodi, faor che il d ito grosso, il quale n* ha due. Qaesto si volge con tra latte 1*altre dita, ma per sè si porge per tra verso, ed è più grosso degli altri. Il dito mignolo
niSTORIARDM MUNDI LIB. XI.
1H 7
gitante prolendilur. Quibas ex rapina victus quadrupedum, quìai digiti in prioribus pedibus, reliquis quaterni. Leones, lupi, canes, et pauca in posterioribus quoque quinos ungues habent, uno juxta eroris articulum dependeote : reliqua quae sunt minora, digitos quinos. Brachia non omnibus paria secum. Studioso Thraci in G. Caesaris ludo notam est dextram fuisse procerio rem. Animalium quaedam, ut manibus, aluntur priorum ministerio pedom : sedentque ad os illis admoventia cibos, ut soiuri.
De s im ia b u m
s im il it u d ib b .
C. 44· Nam simiarum genera perfectam homi nis imitatiouem contineat, facie, naribus,auribus, palpebris, quas solae quadrupedum et in inferiore habent gena. laro mammas in pectore, et brachia, et crnra in contrarium similiter flexa : in manibos angues, digitos, longioremque medium. Pedibus paallum differunt. Sunt enim ut manus, praelongi, sed vestigium palmae simile faciunt. Pollex quoque his, et articuli, ut homini, ac prae ter genitale, et hoc in maribus tantum, viscera etiam interiora omnia ad exemplar.
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Cl. 45. Ungues dansolae nervorum summae existimantur. Omnibus hi, quibus et digiti. Sed simiae imbricati, hominibus lati, et defuucto crescant, rapacibus unci : celeris recti, ul canibus, praeter eum qui a crure plerisque dependent. Omnia digitos habent, quae pedes, excepto ele phanto. Huic enim informes, numero quidem qainqae, sed indivisi, ac leviter discreti : ungalisque, haud ungaibus similes : et pedes majores priores. In posterioribus articoli breves. Idem poplites intus flectit hominis modo. Cetera ani malia, in diversam posterioribus articuli pedibus, qaam prioribus. Nam quae animal generant, ge nua ante se flectant, et suffraginam arlus in aversam.
è pari a qaesto : gli altri due sono pari fra loro, fra i quali è qoel di mesto, il quale è molto più lungo di tutti gli altri. Gli [animali di quattro piedi, che vivono di rapina, hanno cinque dila ne1 piedi dinanzi, negli altri quattro. 1 lioni, i lupi, i cani e pochi altri hanno cinque unghioni ancora nei piedi di dietro, uno, che pende presso il nodo della gamba : gli altri, che son minori, hanno cinque dita. Le braccia non sono pari ia ciascuno. Nei ginocbi di C. Cesare fu uno, che si chiamò Studioso di Tracia, il quale avea pià lungo il braccio ritto. Alcuni auimali adoperano i piedi dinanzi ad uso di mani, e seggono, met tendosi con essi i cibi in bocca, come fanno gli scoiattoli. D ella
s o m ig l ià n z à d b l l b s c im ib .
C. 44· Sono le scimie simili affatto alP uomo nella faccia, nel naso, negli orecchi e nelle pal pebre, cui esse sole degli animali quadrupedi hanno ancora nel coperchio di sotto delP occhio. Hanuo le poppe nel petto, e le braccia, e simil mente le gambe volte al contrario : P ugne nelle mani, le di la, e quel di mezzo piò lungo. I lor piedi sono un poco differenti, perchè sono lunghi come le mani, ma fanno P orma simile alla palma. Hanno anco il dito grosso, e i nodi nelle dita, come Puomo, e oltre il membro genitale, e que sto solamente ne' maschi, hanno anco simili tutte le viscere interiori a quelle dell* nomo. D
b l l b to tg h ib .
CL 45. L’anghie sono tenute Postreme clau sole de* nervi. Tutti gli animali, che hanno dita, hanno unghie, ma le scimie P hanno a modo di tegoli, gli nomini larghe, a cui crescono ancora poich’ egli è morto ; gli animali rapaci P hanno uncinate, gli altri ritte, come i cani, fuor che quella, che a molti pende dalla gamba di dietro. Tutti gli animali che hanno dila, hanno piedi, faor che Pelefaate, perciocch'esso ha cinque dila a novero, informi e appiccate insieme, e poco distinte, simili a quelle che sono d*un pezzo ; e i piedi dinanzi son maggiori : quei dietro hanno i nodelli più corti. Il medesimo piega il ginoc chio indentro a modo dell* uomo. Gli altri ani mali hanno al contrario, cioè i nodelli a* piedi di dietro, e non a quei dinanzi. Perciocché que gli che generano animale, piegano le ginoechia innanzi a sè, e la congiuntura delle coscie al con trario.
C PLINII SECUNDI
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CII. Homini genua et cnbila contrari» : iteto ursis, et simiarum generi, ob id minime per n iri bus. Ova parientibqs quadrupedum, crocodilo, lacerlis, priora genaa poit curvantur, posteriora io priorem partem.Sont autem crqra his obliqua, humani pollicis modo. Sic et multipedibus, prae terquam novissima salientibus, Aves, ut quadra* pedes, alas in priora curvant, suffragine* iu po steriora.
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CII. L 'uomo ba le ginoeohia e i gomiti pie* gali al eeatiurio : cosi gU orsi, e le settate, le quali perciò noe son punto teloei. Gli animati d i quattro piedi, che fanno ueva, come il croCod tlo e le lucertole, hanno le ginocohsa dinanzi piegate indietro, e quelle di dietro piegate immori ; e le gambe a traverso, cerne U dite grosso deH* no* mo. Simili sono quei che tanno molti piedi ; t a l* · quelli che saltano, i quali hanno Γ estremiti delle gambe piuttosto diritte. Gli uccelli, come gli animali di quattro piedi, piegano 1*ali nelle parti dinanzi, e le giuntqre della coscia nelle parti di dietro. In QUALI
UMBRA M I CORPO TOSAVO SlAUBOflB D I
SACBA BBLIGIO.
M tKUOBB.
Clll. Hominis genibus quaedam et religio inest, observatione gentium. Haee supplicet adtingunt : ad haec manus tenduat : haec, ut ara·» adorant : fortassis quia inest iis vitalitas. Namque in ipsa genu utriusque commissura, dextra laevaqee, a priore parte gemina quaedam bucoaruaa inanitas inest : qua perfossa, ceu fugalo, spiritus fogit. Inest i t aliis partibus quaedam religio: sicut dextra osculis aversa appetitur, in fide por· rifi tur. Antiquis Greciae in supplicando mentum adtingere mos erat. Est iu anre ima memoriae locus, quem tangentes attestamur. Est post aurem aeque dextram Nemesios (quae dea Iatinum no men ne in Capitolio quidem invenit), qno refe rimus tacto ore proximum a minimo digitum, veniamsermonis a diis ibi recondentes.
CHI. Nette ginocchia dell1 uomo ci ha ona certa religione, secondo che osservarono le genti. Per la qual cosa queste toccano quegli che umil mente si racoomandano, verso queste distendo· le mani : queste adorano come altari, forse perchè hanno in sè potenza vitale. Perciocché nella con giuntura dell* uno e I*altro giaocdkio, dalla parte dioanzi è un certo vacuo da ritta e da manca, come dentro alle gote ; e ae sS fora, come la canna della gola, l'uomo subito muore. Nell*altre parti ancora è una certa religione, perocché la man ritta riceve baci rovescia, e in pegno di fede si porge e si distende. Gli antichi Greci usavano, che chi supplicando chiedeva grazia, toccasse Π mento. Nella bassa parte deir orecchia risiede, o che pare, la memoria, e mostriamo di ciò credere quando la tocchiamo per rammentarci. Dopo l'orecchia destra è il cos) detto Nemesio, o luogo di Nemesi, e significa giusto sdegno (la qual dea non ha trovato nome latino non che altrove, ma nè ancora in Capitolio), dove, toccata la bocca, portiamo il dito eh* è presso al mignolo, quasi che ivi riponessimo H perdono chiesto agli dei di ciò che diciamo.
V a bica s .
V aaio .
C1V. Varices in cruribus viro lautum : inu beri raro. C. Mariam, qui septies consnl fuit, stantem sibi extrahi paisum unum hominum, Oppius anetor «st
C1V. Le varici nelle gambe vengono all* uo mo ; rade volte alla donna. Scrive Oppio, che Caio Mario, il quale fa sette volte consolo, stando ritto in piedi, solo di quanti mai furono, ebbe il coraggio di lasciarsene cavare.
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HISTORIARUM MUNDI UB. XI. Db e u m ,
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CV. Omni· animalia a dextris partibus in cedant, sinistris incubant. Reliqua, at libitam «st, gradiantur. Leo tantam et camelas pedatim, hoc eat, a t ainiater pes non transeat dextram, •ed sabcequatur. Pede* homini maximi, femini· tenuioreis in omni genere. Sorae homini tantam, «t crara carnosa. Repetitur apad auctore· qoem· dam io Aegypto non habaisse sa ras. Vola homini tantam, exeepti· quibusdam. Namque et bine cognomina inventa Planci,Pianti, Pansae, Scaari: •icat a craribu· Vari, Variae, Vatinii : quae vitia e t in qoadrupedibo·. Solida· babent angui*·, qaae non ·αηΙ cornigera : igitor pro hi· telam ungula est ilKt. Nec talo· habent eadem. At quae bisulca eant, habeat : i idem digito· habeatiba* non aaat : neqae in prioribos pedibus omnino olli. Camelo tali similes bubali·, «ed minore· panilo. Eat enim bisulca· discrimine exigao pes im o·, vestigio carnoso, ot orsi : qua de caos· in longiore itinere sine calciata fatiscant.
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um vus.
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D b u 1 ANDABE, db * PIBDI, DBtiLK GAMBB.
CV. Tutti gli animali per lo piò vanno da man ritta, e da man manca giacciono : l'altre cose fan no, come più lor piaee. Solo il lione e il cammello -'▼anno a pii per piè, cioè, che il piè manco non passi il ritto, ma lo segua. 1 piedi degli uomini son grandi, quei delle femmine più piccoli in ogni genere. Solo I’ uomo ha le polpe nelle gam be, e le gambe carnose. Traovasi scritto appresso gli autori, che fo in Egitto nno, che non aveva le polpe delle gambe. L*uomo solo ha la palma della mano, eccetto alquanti. E di quindi forano an che inventati eerti soprannomi, come di Planco, di Pianto, di Pansa, di Scaoro ; siccome dalle gambe qaegli altri, di Varo, di Varia, di Vatinio ; i quali difetti sono ancora negli animali di quat tro piedi. Gli animali che non hanno corna, han no l’ agoe sode, e così in cambio delle corna hanno P ugoe per arme loro ; e questi medesimi non hanno anco talloni. Qaegli, che han l’ ogne di due peni, gli hanno ; non però qaegU, che hanno 1« dita : nondimeno nessuno gli ha nei piedi dinaoil. Il cammello ha i talloni rimili al bue, ma an poco minori ; perocché esso ha l'ugna divisa, sebben poco, nella cima del piede, il qoale di sotto è carnoso, come qoel degli orsi ; e per questa cagione a lungo viaggio, te non è calcato, •coppia. D b l l b TJGBE.
CVI. 46 . Uogake veterino tantam generi re nascuntor. Sae· in Illyrico qaibasdam locis soli dae babent ungala·. Cornigera fere bisulca. So lida ungula, et bicorne nullum. Unicorne asinus tantam Indieoa: unicorne et bisulcum, oryx. Ta los asinus Indicas anas aolidipedam habet. Nam •aes ex atroque genere existimantor, ideo ferun· tu r diversi earum fetas. Hominem qui existima ru n t habere, facile convicti. Lynx tantum digi to · habentium, simile quiddam talo habet: leo ctiamnum tortuosius. Talus autem recta· est in articulo pedis ventre eminens concavo, in verte bra ligatas.
CVL 46 · Le ogne rimettono solamente agli animali, die portano peri addotso. I porci in al dini luoghi di Schiavonia hanno P ngne sode. Quegli, die hanno le corna, qnasi tutti hanno Γ ugna fessa. Nessuno animale di due oorna ha 1*agna d’ un peno. Solo P asino d'india ha ao corno ; e similmente I* animale detto orice, ha an cornò, e Γ ugne fesse. Di tatti gli animali che hanno Γ ugne, solo I’ asino d’ India ha i talloni ; perchè i porci ri stimano dell* uno e Γ altro gènere, e perciò haoci diversità ne* figli loro. Que gli che hanno tenuto che Γ uomo gli abbia, fa cilmente sono stati convinti. Di quegli che hanno le dita, solo il lupo cerviere ha una certa cosa sìmile al tallone. 11 lioné 1*ha anch* egli, ma più torta. 11 tallone spunta dritto fuor della giuntu ra del piede, ha il mezto concavo, ed è legato con noddlo.
VoLCC&CM PEDES
PlBDI DEGLI UCCELLI.
CV1L 47· Avium aliae digitatae, aliae palmi pede·, aliae inter otrumqoe divisis digitis adjecta P lisio I. N.
CV1I. 4?· Degli uccelli alcuni hanno le dita, alcani le prime, alcani an ehe di messo, perebè
V
C. PUNII SECUNDI
latitudine. Sed omnibus quaterni digiti, Ire· in priore parte, unu* a calce. Hic deest quibuidam longa crura habentibus. Lynx sola utrimque bi· d o s babet. Eadem linguam serpentium similem in magnam longitndinem porrigit.Collum circum agit in aversum. Ungues ei grandes ceu gracu lis. Avium quibusdam gravioribus, in cruribu» additi radii : nulli uncos habentium ungues. Lon gipedes porrectis ad caudam cruribus volant: quibus breves, contractis ad medium. Qui negant volucrem ullam sine pedibus esse, confirmant et apodas habere, et oten et drepanin, in eis quae rarissime apparent. Visae jam eliam serpente· anserinis pedibus.
P b DSS ABIMAUUM, A I1 R U AD C U m U O S . D a poN iuom iDs.
CV1II. 48. Insectorum pedes primi longiores» duros habentibus ocnlos, ut subinde pedibus eos tergeant, ceu notamus in muscis. Quae ex his no vissimos habent longos, saliunt ; ut locustae. Qmnibua autem his seni pedes. Araneis quibus dam praelongi accedunt bini. Internodia singuli· terna. Octonos et marinis esse diximus, polypis, sepiis, loliginibus, cancri·, qui brachia in conlra· rium movent, pedes in orbem, aut in obliquum. Iisdem solis animalium rotundi. Cetera binos pedes doces habent : cancri tantum, quaternos. Qoae huoc numerum pedum excessere terrestria, nt pleriquo vermes, non infra duodeoos habent, aliqua vero et centenos. Numerus pedum impar ■ulli est. Solidipedom crura statim ju ta nascan tur meneara: postea exporrigentia ae verius, qaam crescentia. Itaque in infantia scabunt aures posterioribus, qaod addita aetata non queunt ; qaia longitudo superficiem oorpornm solam am· pliat. Hac de canae inter initia pasci, nisi submis sis genibus, non possunt : nee usque dum cervi· ad justa incrementa perveniat.
49 . Pumilionum genus in omnibus animali bus est, atqnc eliam inter volucres.
Db
g e h it a l ib u s
:
db
h k x m a f h k o d it is .
C1X. Genitalia maribus quibus essent retro, salis diximus. Ossea suat lapis, vulpibus, muste lis, viverris : unde eliam calcalo humano remedia
na4
hanno le dita divise con una certa sorte di palma. Tutti però hanno quattro dita, tra dinanzi, · o n di dietro. Qoesto manca ad alcuni, che hanno le gambe lunghe. Solo il lupo cerviero ha doe dita da ogni parte, e la lingua come la serpe, eoi d i stende a gran lunghezza. Gira il collo verso gli omeri, e quando riposa, anche indietro. Ha Togae grandi, come le mulacchie. Certi degli uccelli più gravi hanno gli sproni nelle gambe, ma non alcu no che. abbia gli unghÌQni uncinali. Gli uccelli di lunghi piedi volano distendendoli verso la coda : quegli, che gli hanno torti, gli ritirano sotto mtà meuo. Coloro che dicono che non c 'è nratto uccello senza piedi, tengono che quegli ch« si chiamano apodi, gli abbiano, e ohe aneora gli uccelli delti ole e drepani, i qoali ai veggono di rarissimo. Sonsi travate serpi co’ piedi d 'oca. Piedi d k o li a b in a li, da d e i v ir o
a
carro.
Da* aAni. CVIII. 4^. Gli insetti, cioè animali aaulo», « quali hanno gU occhi dori, hanno i primi piedi più lunghi, acciocché con essi gli nettino, come veggiamo far le mosche. Quegli che hanno gli ultimi lunghi, saltano, come fanno le locuste ; e tutti questi hanno sei piedi. Alcuni regnateli ne hanno due lunghi per lato. Tutti hanno tre no delli. Noi dicemmo anco che i polpi, le seppie, le loligini e i granchi, che muovono le braccia per indietro, e le gambe io giro o a traverso, hanno otto piedi. Soli questi animali son tondi. Gli altri hanno due piedi, i quali sono guida agli altri quattro. 1 granchi n’ hanno solo qoattro. Qoegli che passano questo numero, che sono la maggior parte vermini terrestri, non n' hanno meno che dodici, e alcuni anco n'hanno cento. Nessuno animale ha i piedi in caffi». Gli animali ehe hanno l’ugna d’un pesto, nascono eoo le gambe lunghe quanto hanno a essere, sì che dipoi si distendono piuttosto, che non crescono. Nella loro faocìullezxa dunque si grattano gli orecchi 00’ piedi di dietro, il che qoando son cresciuti non poaaooo poi Ciré, perehè la lunghezza amplia Baiamente la super fide de'corpi. Per questa cagione da principio non possono pascere, se non piegano le ginocchia, nè infino a che il collo pervenga a sua giusta misura. 49 . De' nani ne sono in tutte le sorti degli animali, e tra gli uccelli ancora. D e l l e membra g e n it a l i ; d i g l i bem a fr o d itx .
CIX. Noi abbiamo già dettoabbaslauza di que gli animali ebe hanno la membra genitali di dietro. O’dmo I* hanno i lupi, le volpi, le donnole
na9
H1STOEIAEOM MONDI UB. XI.
praeeipoa. Or*o quoque simol atqae exspiraverit, oornescere ajant. Camelino arena intendere, OrieotM popoli* fidissimum. Nec oon «liqaa geo· tiu m quoque in boc discrimina, et saerorom •tiam, ci tra perniciem ampntantibo· matris de&m Gallis. Contra malie ram paneis prodigiosa assixnilatio : sicnt hermaphroditis ntriosqoe sexns : qood e tia m qoadrnpednm generi accidisse Nero nis prineipato primom arbitror. Ostentabat certa hermaphroditas snbjonetas carpento suo equas, in Tnverieo Galliae agre reperta· : eeo plane vi senda resem i, prineipem te r r a r n m insidere por tentis.
Da
T ssn av s.
T aira
obw bbum s tM iv ia i.
CX. Testes pecori armentoqne ad crura de cidui, sobos adnexi : delphino praelongi ultima conduntnr alvo, et elephanto oeculti. Ova parientium lumbis intus adhaerent : qualia ocissima In Venere. Piscibus serpentibusque nulli, sed eo rum vice binae ad genitalia a renibus venae. Bu teonibus terni. Homini tantum injuria, aut sponte naturae franguntur : idque tertium ab herma* pbroditls et spadonibus, semiviri genus habent, liares in omni genere fortiores, praeterquam in pantheris, et ursis.
Dk c a u d is . CXI. 5o. Caudae, praeter hominem, ac simias, omnibus fere aoimsl, et ova gignentibus, pro differentia corporum : nodae hirtis, ut apris : parvae villosis, ut ursis: praelongis setosae, nt equis. Amputatae lacertis et serpentibus renaaenntor. Pisciam meatus gubernacali modo re· gont : atque etiam in dextram atqne laevam mo tae, nt remigio qaodam impellunt. Lacertis inve niuntur et geminae. Boum caudis loogissimas caulis, atque in ima parte hirtus. Idem asinis lon gior quam equis, sed setosus veterinis. Leoni in fima parte, ot bobus et sorici : pantheris non item : vulpibus et lupis villosns, ot ovibus, qui bus procerior. Snes intorquent : canam degene res sab slvam reflectant.
e i furetti ; onde ci sono rimedii singolari al male della pietra dell’ uomo. Dicesi ancora, che si tosto che 1*orso c morto, il membro genitale gli diventa di corno. I popoli Orientali Canno gran uso nel tendere Parco oon quello del cammel lo. V 'ha eziandio Ara le nazioni ona certa diffe renza in questo membro, come anco fra i popoli consacrati, perciocché 1 sacerdoti della dea CTbele io Gallia se si tagliano via senza pericolo di morte. Per lo contrario poche’ donne han pro digiosa simiglianza di uomo, come gli ermafro diti dell* uno e Γaltro sasso; la qoal cosa anoora penso che avvenne agli animali di quattro piedi nel principato di Narone. Egli faceva mostra di dne cavalle ermafrodite, che tiravano la sua carretta, la qoali s’eran trovate nel territorio di Treviri in Gallia, qoasi se fosse una c o m molto bella e degna da vedersi, che ono imperador del mondo si posasse sopra mostri. Da' t e s t ic o l i .
M e z z i d o m iv i d i t u s f z c ib .
CX. 1 testicoli al bestiame pecorino e all' ar mento pendono fra le gambe : i porci gli hanno appiccali : i delfini gli hanno lunghissimi, e ri posti nell* ultima parta del corpo, e gU elefanti gli hanno ascosi. Qaei che fanno nova, gU hanno attaccati dentro a* lombi, e qoesti tali son velo cistin i nell* alto venereo. 1 pesci, e le serpi non haooo testicoli, ma in cambio d* essi hanno due vene che vanno dalle reni a* membri genitali. 1 buteoni n* hanno tre. Agli uomini solamente si schiacciano per qualche ingiuria fattavi, o per riparare qualche difetto di natura j e questa è la terza specie di mezzinomini, dopo gli ennochi e gli ermafroditi. I maschi in ogni genere son piè forti, fuorché nelle pantete e negli orsi. D&lli
cod b .
CXI. 5o. Fuor che Γ uomo e la sci mia, qoasi tutti gli altri animali haooo la coda, e quegli aacora che fanno 1*uova, secondo la differenza de* corpi. Gli animali setolali, siccome sono i porci cinghiali, le hanno ignnde : i pelosi, come gli orsi, l ' hanno piccole : quei che son lunghi, come i cavalli, 1*hanno setolute. Le lucertole e le serpi, s*elle son mozze loro, le rimettono. Quelle de* pesci reggono il lor viaggio a modo di timone, e movendole a man ritta e man manca, le adoperano a uso di remi. Trovanti delle lucertole, che hanno due code. La pannochia delle code de* buoi è lunghissima, e pilosa in cima : gli asini 1*hanno più lunga che i cavalli, ma gli animali da soma I*hanno setoluta. Il lione I* ha Citta in cima come i buoi e i topi, ma cosi
C. PLINII SECUNDI
>R*S
non Γ hanno le pantere; le volpi e i lupi Γ h a n n o pelota, come le pecore, ma più longa d 'esse. I porci U ritorcono, e i cani poltroni la rip ieg an o sotto la panda. De
VOCIBUS ANIMAUOM.
CX1I. 5 i. Vocem non habere, nisi qnae spi rent, Aristoteles pntat Idcirco et insectis sonasi esse, non vocem, intas metnie spiritu, et inclaso sonante. Alia mnrmur edere, ut apes. Alia con tritu stridorem, at cicadas. Recepto enim ot duobussub pectore cavis spirita, mobili occursaote membrana intas, attrita ejus sonare. Muscas, apes et similia cam volata et indpere audiri et desi nere. Sonam enim attrita et interiore aara, non anima reddi. Locastas pennarum et feminum attritu sonare, ereditar sane. Item aquatilium pe ctines stridere, quum volant: mollia, et crusta intecta, nec vocem nec sonum ullam habere. Sed et ceteri pisces, quamvis pulmone et arteria careant, non in totum sine ullo sono sunt. Strido· rem eum dentibus fieri cavillantor. Et is qui caper vocatur, in Acheloo amne, grunnitum habet, et alii de qaibas diximas. Ova parientibns sibilus, serpentibas longas, testudini abruptus. Ranis sonas sui generis, ut dictum est ( nisi si et in his « ferenda dubitatio est), qui mox in ore concipitur, non in pectore. Mullum tamen in iis refert el lo corum natura. Mutae in Macedonia traduntur, muti et apri. Avium loqaadores qoae minores, et circa coitus maxime. Aliis in pugna vox, ut cotarnidbas: aliis ante pugnaro, at perdicibus: aliis quam vicere, at gallinaceis. Iisdem saa ma ribus : aliis «ifcdem u t feminis : ut lusciniarum ge neri. Quaedam toto anno canunt, quaedam certis temporibus, ut in singulis dictum est. Elephas citra nares ore ipso, sternutamento similem elidit sonum : per nares autem, tubarum raudtati. Ru bus tantum feminis vox gravior : in omni alio genere exilior, quam maribus : in homine eliam castratis. Infantis in nascendo nulla auditur, an· tequam totus emergat utero. Primus sermo an niculo est. Semestris locutus est Croesi filius in crepundiis : quo prodigio lotum id concidit re gnum. Qui celerius fari coepere, tardius ingredi indpiunt. Vox roboratur quartodecimo anno. Eadem in senecta exilior : neque in alio anima lium saepius mutatur. Mira praeterea suut de vo ce digna diclu. In theatrorum orchestris, scobe aut arena superjecta devoratur, et in rudi parie tum circumjectu, doliis eliam inanibus : currit eadem concavo vel recto parietum spatio, quamvis levi sono dicta verba ad alterum caput perferens, si nulla inaequalitas impediat. Vox in homiue magnam vallas habet pariem. Agnosrimus eam
D*LLE T0C1 D M U ABUSALI.
CX1L 5i. Aristotele tiene che non ab b ian o voce, se non quegli animali, che hanno polm one e arterie; e perciò dice, che gPiosetti h anno suono, e noo voce, per rispetto d d l'a rie e b e dentro si muove, e rinchiusa risuona. Alcuni ronzano, come fanno le pecchie. Alcuni toccan doli stridono, siccome le cicale, nelle quali si sa come Γ aria entrando in due cavità, le qoali hanno sotto il petto, e incontrandosi ella io on pannicolo mobile dalla parte di dentro, per quello attrito le viscere vengono a risuona re. Altri ai odono quando incominciano a volare, eome le mosche e le pecchie, e rimili. Perciocché il soono nasce dallo stroppicciar dell1ali e dall* aria che han dentro, e non dal fiato. La locusta risaona per lo stroppicciar delle penne e delle cosde. T ra gli animali d'acqua i pettini stridono qaando vo lano. I molliccichi, e quegli che hanoo g u sc io , non hanno nè voce, nè suono. Ma eziandio gli altri pesd, benché non abbiano polmone e arteria, non però sono affatto senza alcun suono. Sono alcuni che tengono che questo strido nasca dai denti, ma s ' ingannano. Il pesce che ii chiama capro, nd fiume Acbeloo, grufola come fa il por co, e similmente altri animali, dei quali abbiamo già parlato. Gli animali che fanno uova, hanno il fischio ; le serpi lungo, la testuggine rotto. Le ranocchie hanno il soono della spede loro, come s'è detto (se già non è da dubitarne), il quale si forma nella bocca, e non n d petto. Ma però mollo imporla in loro anco la natara d d luoghi. Dicesi che in Macedonia son mutole, come ancora i cinghiali. Fra gli uccelli, i pià piccoli pià cicala no, e massimamente drca il coilo. Alcuni altri dan voce qyando combattono, come le coturnici : altri innanti la battaglia, come le starne : altri quando hauno vinto, come i galli. Questi hanno voce differente dalle galline : altri Γ hanno eguale a quella delle femmine, come i luscignuoli. Alcuni cantano tutto Γ aono, alcuni a certi tempi, come già si è detto di ciascuno. L'elefante ha suono sotto le nari, propriamente nella bocca, simile allo starnuto, e per lo uaso manda fuori un suono rauco simile a qudlo delle trombe. Le vacche hanno voce più grossa che i buoi : in tutti gli altri maschi è il contrario ; e tra gli uomini ancora i maschi castrali hanno maggior voce che le femmine. Del bambioo che nasce, noo s ' ode voce alcuna, se prima non è tolto fuori ; e non
HISTORIARUM MUNDI L1B. XL prios, qaam ceratami, oon alito qaam oenlis: totidemqae sant «a·, qaet in rertua natura mort*Us: el saa cniqne, sieut bcm. Hiac illa gen tium, tolqae linguanun, loto orbe divertita·: bine tot cantai et modali, flexionesque. Sed aate omnia explanatio animi, qaae no» distinxit a feria, inter ipso· quoque homines discrimen alteram aeqae fraude, qoam a bellois, fòoit.
Da
adowajcebtibcs membbis.
favelia, se non poi che egli ha fornito Γ anno. 11 figliuol di Creso favellò di sei mesi mentre bamboleggiava, e per tal prodigio rainò tutto quel regno. Qaegli, ohe pià tosto cominciano a favellare, penano pià a camminare. La voce s 'in grossa di qnattordioi anni, e in vecchietta s'assot tiglia ; e nessuno altro animale la muta più spesso che l'uomo. Molte altre cose meravigliose son da dire della voce. Nei teatri si perde U vooe ogni volta che dalla parte di sopra si getta polvere o rena, e cosi avviene fra le mura rotte, o se si ragiona basso dinanti a vasi vóti: che se le pareti Canno concavo spatio o diritto, per lungo che sia lo intervallo, le parole giungono intere e spedite fino all’ altro capo, se oon alcuno impedimento. La voce porta seco gran parte del viso dell'uomo, perciocché per essa noi conoscia mo altrui, prima che lo veggiamo, non altrimenti che se lo vedessimo; e tante sono le differente delle voci, quanti sono gli nomioi, perchè ciascuno ha la sua propria, come ha il suo volto. Di qai è nata tanta diversiti fra le genti di tutto il mondo: di qui sono tanti e diversi modi, forme e inflessioni di canto. Ma innaoti a ogni altra cosa c’è la dimostraiione dell'animo, la quale, avendone distinti dalle fiere, ne distinguo anche fra noi con non minore differenta di qaella, onde dalle fiere ne ha distinti. Db' m em bbi. s u p e b tl u i.
CX1H. 5a. Membra animalibns adgnala inu tilia sunt, sicut sextas homini semper digitus. Placuit in Aegypto nutrire portentum, biois et in aversa capitis parte oculis hominem, sed iis non cernentem.
CX11I. 5a. 1 membri, che nascono di più agH animali, sono sempre disutili, oome è sempre il sesto dito all’uomo. Nacque gii un mostro in Egitto, il qoale era un uomo, che aveva due occhi nella collottola, ma con essi non vedeva, e volsero che s' allevasse.
V ita l it a t u b t mobum b o t a i , ex mbmbhis
S e g b a l i d i lu h g a v it a b d b *c o s t o s i , CHB
BOXINOTI.
APPABISCOVO BBLLB MBMBBA DELL' UOMO.
CX1V. Miror qaidem Aristotelem non modo credidisse praescita vi lae esse aliqua in corpori bus ipsis, veram etiam prodidisse. Quae quam quam vana existimo, nec sine cunctatione profe renda, ne in se quisque et auguria anxie qnaeral: ad tingam tamen, qaae tantus vir io doclrina non sprevii. Igitur vitae brevis signa ponit ra ros dentes, praelongos digitos, plumbeum co lorem, pluresque in manu incisuras, nec per petuas. Contra longae esse vitae incurvos hume ris, et in manu ana duas incisaras longas haben tes, et plures quam xxxu dentes, auribus amplis. Nec universa haec ( ut arbitror ), sed singula observat, frivola ( ut reor ), et tolgo tamen nar rata. Addidit morum quoque aspectus simili m o -
CXIV. Maravigliomi che Aristotele non sola mente credesse, ma scrivesse ancora, che ne'corpi degli uomini fossero alcuni srgni della vita, lo però, sebbene stimi che sian vaoi, e da non doversi dire senta consideratione, nondimeno acciocché alcuno troppo curioMmenle non vada cercando in sè stesso gli augurii, toccherò qaegli che tanto nomo nelle dottrine non ha sprextati. Egli mette donque per segai di corta vita i denti radi, le dita molto lunghe, il color di piombo, molle tagliature e non continuate nella mano. Α1Γ incontro dice che sono inditii di lunga vita le spalle chine, e per ciascuna mano due taglia ture lunghe, e più di trentadue denti, e gli orecchi grandi. Nè, come stimo, osserva egli
nSi
C« PUNII SECONDI
do «pad nos Trogoe,*tipeaaaotor teverwiara·: quoa verbis ejus subjiciam : « Front «bi ost a t · gna, segnem animam tabette significat : qaibae parva, mobilem: quibat rotanda, iracundam, v d at hoe vestigio tamoris apparente. Superdlla quibus porrigantur in rectam, raollet significanti quibus juxta nasata fiexa sunt, aatterot : qaibas juxta tempora io/Iexa, derisoret : quibat in totum demitta, malevolos et ìnvidot. Ocali quibascumqae tant longi, malefico! ette indicant. Qai car n o s o s a naribat aagalot habent, malitiae notam praebent. Candida part extenta, notam impu dentiae habet: qai identidem operire soleat, inconstantiae. Auricularum magnitado loquaci tatis et stultitiae non est. » Hactenas Trogus.
D » AHIMA R
VICTU.
CXV. 53. Animae leonis viros grate, arti pestilens. Contacta halita ejus nolla fera adtingit : citiusqae putreacuntafflata reliquit. Hominit tantnm infici natura voloit ploribut modis, et ciborum «c dentium vitiis, ted maxime aenio. Dolorem sentire non poterat: tacta temaqae omni carebat, sine qaa nihil sentitor. Eadem commeabat, recens assidue, exitura supremo, et sola ex omnibas s a p e r f a lu r a . Denique haec tra hebatur e coelo. Hujos quoque tameo reperta poena ett, ut neque idtpsum, quo vivitur, in vita juvarét. Parthorum populis hoc praecipue, et a juventa, propter indiscretos cibos: namqne et vino foetent ora nimio. Sed sibi proceres meden tor grano Assyrii mali, cujos est suavitas praeci pua ia esculenta addito. Elephantorum anima serpentes extrahit, cervorum u rit Diximus hominam genera, qui venena serpentium suctu corporibus eximerent. Quin et subus serpentes in pabulo sani, et aliis venenum esL Quae insecta appellavimus, omnia olei aspersu necantur. Vulturea unguento qui fugantur, alios appetunt odores, scarabaei rosam. Quasdam serpentes scorpio occidit. Scythae sagittas tingunt viperina sanie, et humano sanguine: irremediabile id scelus, mortem illico affert levi tacta.
n 3 a
tatto queste cose Insieme, tua «Uscana per ti ; deboli, seoondo 11 mio vedere, ma narrate n e l volgo. Trogo appresso di not «ggiagne « n o o rn per sitali modo i segni de* costumi, autore a n d i' egli severissimo, i quali lo sogghignerà q a i con le tae parole : * La fronte grande sig n ifica animo pigro, la piccola mobile : chi Fha to n d a è colerico, come ae questo gonfiamentodhnostrasae qoello dell'animo. Le ciglia diritte significano uomini molli ; quelle ehe son piegate verso II naso, uomini austeri; quelle che son p ieg ate presto le tempie, schernitori; quelle che eoo in tutto basse, maligni e invidiosi. Gli occhi ta n g h i significano animo volto a far male. Qaando le lagrimatoie allato al naso sono carnose significano uomo malizioso. Quando il bianco dell' occhio è molto ditteto significa uomo slacciato. Quegli, che lo toglion coprire, hao legno di leggerezza. Gli orecchi grandi lignificano loquacità e p o li zia. » Fin qui Trogo. D bll'
au to i
DSC. VITTO.
CXV. 53. L'alito del lione à grave lesso, quello dell'orso è pestilente. Però ninna fiera toc ca cosa, che prima aia ttata tocca dall'alito d'esso: tal cosa si corrompe più tosto che Paltre. Ha volu to la natura, che solamente l'alito dell'uomo di venti infetto per più modi, e per mali cibi e per guasto de' denti, ma molto pià per la vecchiaia. L'alito non poteva sentir dolore, perchè mancava del tatto, e d'ogni altro sentimento ; e nondi meno senza lai nalla si sente. Esso entrava in noi sempre nuovo, per non usare interamente che da sezzo ; la tola cota che ha da sopravvivere a tutte le altre. Finalmente questo si tirava dal l'aria. E nondimeno di questo ancora s 'è trovato la pena ; perciocché quello, per cui noi viviamo, spesso nella vita ci è molesto. I Parti da giova nezza sopra agli altri uomini lianoo qaesto ioco modo, per osare eglino molta confusione di cibi ; e ancora per lo troppo vino che beono potè loro fieramente la bocca. Ma i grandi rimediano a que sto alito mescolando i cibi loro con le granella della mela Assiria,cbe sono molto delicate. L'alito degli elefanti tira fuor le serpi ; e quello di cervi gli arde. Dissi come v'erano degli uomini, i quali succiando traevano il veleno del corpo umano punto dalle serpi. Le serpi ancora sono cibo det porci, come il veleno ad altri animali. Tatti gli insetti muoiono, te son unti con olio. Gli avoltoi, che fuggono i profumi, corrono agli altri odori. Gli scarafaggi amano le rote. Lo tcorpione uoride alcune terpi. Gli Sciti ungono il ferro delle tacite colla tanie della vipera, e col tangae amano ; e tal ribalderia non ha rimedio alcuno, perchè ogni poco che tocca, subito uccide.
Η1βΤΟ*ΙΑΒ0 ΙΙ MUNDI UB. XI. Q p a i vb**ho p a s ta m * poh m « m * b t « d i t a t a *BC4«r.
CXVL Quae « q M w p i w n i t e r veaeoo J iìiwm · Quaedam innocua, «Jìoqui, venenatis fotta uoxia fiant «t ippa* Apro» io Pamphylia et Ciliaiae « n u m i* , ν Ιμμι^ π ab hit devorata, qoi odore moriuntur. Nec est intellectus aUus ia odore, vel sapore ; et aqua vinomque iaterimit « h i»M>4 n ibi innortam tei ii oam ao biberit, «mde poletur : ita a rana, qqam rubetam v o tn t. Tantum insidiato» « t vitae ! Vespae ter peate avide vescuntor, qoo alimento mortifero· ictus faciunt. Ideoque magna differentia est victus : ut m tractu pisce viventium Theophrasto· prodit, boves quoque pisce veed, sed nou nisi vivente.
QUIBUS DE CADSU HOMO 1 0 1 C0BC0QUAT.
Di q u b o u
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c o a im y s l h i
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SCOHO, MA AMMASSAVO CHI CIBA DI ISSI.
CXVL GU abbiamo ragionato di quegli ani mili, che si pascono di veleno. Alcuni, che per altro non son nocivi, pasciuti di cose velenose diventano anche essi nocivi. 1 cinghiali in Pan fili· e u«i luoghi montuosi di Cilicia mangiano le salamandre sensa elcuna offesa, ma gli uomini, che mangiano di essi cinghiali, si muoiono. Nè c'è Intendimento veruno nell'odore e nel sapore; e Pacqoa e il vino, dove sia morta la salamandra, ammassa altrui, o se si beva altra cosa, dov’essa abbia bevuto : il medesimo Ci la botta : tante in sidie son poste alla vita dell’ uomo! Le vespe mangiano volentieri delle serpi, e se poi puogon l'uomo, tal puntura è mortale. E perciò gran differenta è nel vitto, perchè come dice Teofrasto, dove parla di coloro die vivon di pesce, sonci ancore de'buoi che mangiano il pesce, ma solo quando egli è vivo. Pam q u a l i
c a u si l ' uomo hoh ism a l tisc a
IL· c ia o .
Ds BBMBDI1S CBUDITATUM.
Db' B1MBDII ALL* IRDIQBSTIOItB.
CXVI1. Homini cibus utilissimus simplex. Acervatio saporum pestifera, et condimento per niciosior. Difficulter autem preficiuntur omnia in cibis acria, nimia, et avide hausta : et aestate, quam hieme, difficilius; et in senecta, quam in juventa. Vomitiones homini ad haec in remedium excogitatae, frigidiora corpora faciunt, inimicae oculis maxime ac dentihus.
CXVII. 11cibo semplioe è utilissimo all’oomo ; ma la divertiti de'sapori è pestifera, « più dan nosi sono i condimenti. Difficilmente si smaltir scono lotte le cose agre nei cibi, le troppe, e quelle che ingordamente son prese; e piò difficil mente la state che il verno, e piò in vecchiaia che in giovanezza. Sonsi trovate dall’uomo per rime dio di queste cose le vomitazioni, ma die fanno i corpi molto freddi, e sono inimicissime agli occhi e a' denti.
Q ubm adm odum
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QUOMODO MlffUATUm.
COMB SI SCEMI.
CXV1II. Somno concoquere corpulentiae, qaam firmitati utilius. Ideo athletas malunt cibo· ambulatione perficere. Pervigilio quidem praeci pue vincuntur cibi.
CXV11I. Smaltire eoi sonno è pià utile allo ingrassare, che a fsr gagliardo. E perdò i lotta tori vogiioo piuttosto smaltire i dbi col cam minare. Ma soprattutto con la vigilia i cibi si smaltiscono. 54· I corpi crescono coi dbi dold e grassi, e col bere ; dove all' incontro scemano con le cose secche e aride, e con le fredde, e con la sete. Alcuni animali e le pecore ancora in Africa beono ogni quattro giorni una volta. Trovasi che l'uomo può viver sette giorni sensa mangiare e bere; e s'è veduto ancora, che molti hanno passatigli undiri. L'uomo solo fra gli animali muore per la ingordigia d d mangiare sempre insaziabile.
54· Augeseunt corpora dulcibus, atqoe pin guibus, et potu : minuuntnr siccis et aridis, frigidisque, ac siti. Quaedam animalia, et pecudes qooque in Africa, quarto die bibunt : homini non utique septimo letale est inedias : durasse et ultra undecimum plerosque certum est. Mori esurien di semper inexplebili aviditate, animalium uni homini.
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G. P U m i SECUNDI HISTOH. MTODI UB. XI. Q ca*
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Di Q R u a ic o a c tt e n r i n o u «accuso LA 7 A 0 ■ la ta ra .
CXIX. Quaedam rare tu exigao gotta famem aesitim icdant, conservantqne vires, ntb atjram , hippace, glycyrrhiza. Perniciosissimam aatem in omni qaidem vita, qaod nimiam, praedpae ta men corpori : minoiqae, qaod gravet, qaolibet •modo atUius. Verum ad reliqaa natone transe amus.
CXIX. Sono aleone cose, ohe per poco ch e «e ne gotti, levano la Cune e k sete, e maot e r gono le forse, siccome è il barro, il cacio di latte di cavalla, e nn’altra aorte di cacio teoero, eb e ai domanda glieirrisa. In ogni maniera di vivere perà i eempre dannosissimo qoel che è troppo, e massimamente al corpo; ed è piè utile diminuire qoello die aggrava per qoal modo si voglia. Ma passiamo aU'altre coae della natara.
C. PLINII SECUNDI
HISTORIARUM MONDI LIBER XII ARBORUM
NATURAE.
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HOHOA BA&UM.
DBLL'OHOAB DBGLI ALBERI.
1. ixuimalium. omnium, qaae nosci potuere,
1. Jje nature di. tutti gli animali, che si sono potuti conoscere generalmente e particolarmente stanno in questa modo. Rimane a dire di qoelle cose prodotte dalla terra, le quali hanno anima aoch’esse (poiché ninna cosa vive senza anima), acciocché di qai si venga a ragionare ancora delle cose, che si cavano di sotto terra, affine che non si taccia opera alcuna della natura. Lungo tempo sono stali ascosi i beneficii suoi ; e teneansi pel sommo dono che della terra potesse dar la natura, gli alberi e le selve. Quinci venne il pri mo alimento delle persone, e con la fronde d'essi si faceva più morbida la spelonca, e con la scorza le vesti. E sonci ancora oggi de' popoli, che vi vono in questo modo. Onde tanto maggiormeote è da maravigliarsi, che da qaesti principii il vivere sia scorso in tanta delicatezza, che si ta glino i monti per li marmi, e per li vestimenti si vada a1 popoli Seri, e che nel profondo del mar Rosso si cerchi delle perle, e degli smeraldi nelle viscere della terra. A questo fine s’ è trovato il forare degli orecchi, certo perch'era poco por tarle al collo e a'capegli, se ancora per portarle non si foracchiava il corpo. E però è ragionevol cosa seguitar l'ordine della vita, e la prima cosa parlare degli alberi, e così ridire i principii dei nostri costumi.
naturae gener»lina merobratiroque ita se habent. Restant neque ipsa anima carentia (quandoqui dem nihil sine ea vivit) terra edita, ut inde eruta dicantur, ac nullam sileatur naturae opus. Diu fuere occulta ejus beneficia, sumrouroque manus bomini datum, arbores, silvaeque inielligebantnr. Hinc primum alimenta, harum fronde mollior specus, libro vestis. Eliamnum gentes sic degù ot. Quo magis ac magis admirari fubit, ab iis prin cipiis caedi moutes in marmora, vestes ad Seras peti: unionem in Rubri maris profundo, smarag dum in ima tellure quaeri. Ad hoc excogitata sunt aurium vulnera : nimirum quoniam parum erat collo crinibusque gestari, nisi infoderentur etiam corpori. Quamobrera sequi par est ordinem vitae, et arbores ante alia 'licere, ac moribus pri mordia ingerere.
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i t 4o
11. i. Haec fqere nuitiinum terapia, pvisooque II. i Negli alberi e dalle selve furono i templi rito simplicia rur» etiantnuacdeo pNeoéllettem degli dei, è stcoodo il dostume antico oggi aneora arborem dicant. Nec magis aoro fulgentia atqoe i semplici contadini dedicano agli dei gli alberi ebore «imolacra, qoam lucos,'et io iis silentia più belli e maggiori. Nè più adoriamo le statue ipsa adoramus. Arborum geoera numinibus suis ornale d'oro e d’avorio, che le selve agli dei dicata perpetuo sCrvantur : ut Jovi esculus, Apol oonsaerafé, e fino «dèlie gli stessi loro sflenio. lini laurus, Minervae olea, Teneri myrtus, Her Molte sorte d'alberi consacrali a'lo r dei io per culi populus. Quin et Sil va nos, Faunosque, et petuo si conservano ; siccome il leccio a Giove, dearum genera silvis, ac sua numina, tamquam et il lauro ad Apolline, l'olivo a Minerva, il mirto coelo, adtributa credimus. Arbores postea blan a Venere, e l'oppio ad Ercole. Oltre a ciò credia dioribus fruge succis hominem mitigavere. Ex mo che le selve abbiano i Fauni, i Silvani, e altri iis recreans membra olei liquor, viresque polus lor dei dati dal cielo. Gli alberi poscia eoo piò vini : tot denique sapores annui sponte venien soave sugo che non le biade mitigarono l'uomo; tes : et mensae (depugnetur lieet earum causa perciocché da essi è venuto l'olio, il qual licore cum feris, et pasti naufragorum corporibus pi ristora i membri ; e il vino, che ristora le forte: sces expetantur) etiamnum tamen secundae. Mille finalmente infiniti sapori vengono ogni anno dei praeterea sunt earum, sine quis vita degi non fruiti degli alberi, i quali fanno tuttavia le seconde possit. Arbore sulcamus maria terrasque admo tavole, beuchè si combatta per insino eoo le fiere vemus : arbore exaedificamus teqta : arbore et per averne cibo, e si corra in traccia di pesci, simulacra numinum fuere, nondum pretio exeo· i quali si pascono in mare de'nostri corpi. Molle gitalo bel luo rura cadaveri ; atque ut, a diis nato altre sono l'utilità degli alberi, senza le qual* jure luxuriae, eodem ebore nominum ora spe non si potrebbe vivere. Con l'albero noi solchia ctarentur, et mensarum pedes. Produnt Alpibus mo i mari e cerchiamo lontane terre : con gli coercitas, et tum inexsuperabili munimento Gal- alberi edifichiamo i tetti : degli alberi si fecero lias, hanc primum habuisse causam superfunden le statue degli dei, non si essendo ancor messo il di se Italiae, quod Helico ex Helvetiis civis earum, pregio a'corpi morti degli elefanti per fare dello fabrilem ob artem Romae commoratus, ficum stesso avorio e le statue loro e i piedi delle mense, siccam et uvam, oleique ac vini praemissa re come se il nostro lusso dovesse derivar dal cul means secum tulisset. Quapropter haec vel bello to che prestiamo agli dei. Dicono che gli alberi quaesisse venia sit. furono cagione, ehe i Galli divisi da noi da così aspre e insuperabili Alpi venissero iu Italia, es sendo stato un cerio Elicone abitatore della Alpi Elvexie, il quale, esercitata per molto tempo a Roma l'arte del fabbro, oel tornarsene a casa portò seco de*fichi secchi, dell'ava, dell'olio e del vino. E perciò perdonisi loro, che s'abbiano voluto acquistar queste cose eon la guerra. D e FEBEGB18IS ABBOBIBDS.
PtiTAJICS
QUAEIDO
D e g l i a l b b b i f o b b s t ib b i . Q oabdo l a r i m i volti
r a m e * » I t a l ia , b t o n » .
r e BECATO IL » LATA s o IH ITALIA, B d 'o B K .
IU. Sed quis non jure miretur, arborem um brae gratia tantum ex alieno petitam orbe? Platanus haec est, marre Jonium in Diomedis insutam ejusdem tumuli gratia primum invecta, inde in SiciRhm transgressa, atque inter primas donata Italiae, et jam ad Morinos usque pervecta, ac tributarium etiam detinens solum, ut gen tes vectigal et pro umbra pendant. Dionysius prior, Siciliae tyrannus, regiam in urbem transtu lit eas, domus suae miraculum, ubi postea factum gymnasium : nec potuisse in amplitudinem ado lescere, et alias fuisse in Italia, ac nominatim Hispania, apud,auctores invenitur.
III. Ma chi non si maraviglierà, che solo per averne l'ombra, di lontani paesi sieno stati coedotti i platani in Italia i Questo albero per W mare Ionio fu prima portato nell' isola di Dio mede per fare ombra alla sua sepoltura, dipoi condotto in Sicilia, e di là donato all* Italia fra i primi alberi stranieri, donde passò poscia ai Morini, tanto che s'è pagato ancora tributo del l ' o m b r a sua. Dionisio il vecchio, tiranno di Sici lia, gli trasportò nella città reale perchè avessero a essere di maraviglia nella sua casa, dove f u faUo poi il gtnuasio; e trovasi scritto eh'essi non po terono crescere, · ch’ai tre volte erano stati ■ Italia, e in Ispagna ancora.
HISTORIARUM MUNDI L1B XII. Νατολα « a io ·.
IV. Hoc actam circa oaptae Urbis aetaUm lanturaque postea honoris increvit, ut mero in fuso enutriantur: compertum id maxime prodesse radicibus : docuimusqu· etiam arbores viu» po tare.
U l U C O l i BX S IS .
N a t o · · d ig l i a l b s e i .
: IV. Questo fu ne' tempi, che Roma fo presa : crebbe questo albero poi in tanta riputazione, che si comiuciò a nutrirlo col riuo, essendosi trovato che ciò giova molto alle sue radici ; e cosi abbiamo fatto conoscere che gli alberi ancora beono il vino. M ir a c o l i
d e g l i a l b s b i.
V. Celebratae aunt primum in ambulatione Y. Furono prima celebrati qoesti alberi nella Academiae Athenis cubitorum χχχιιι a radice loggia deirAocademia d'Alene,dove crebbero in ramo· antecedente. Nuoc est clara in Lycia gelidi altezza più di trentatrè braccia. Ora è un bellis fontis aocia amoenitate, itineri opposila, domicilii simo platano iu Licia sulla strada sopra una fonte, modo, cava octoginta alque unius pedum speco, il quale a guisa d'abitazione fa spelonca d’ollantuo nemorosa vertice, et se vastis protegens ramis, piede, denso nella velia e fornito di molli rami, i arborum MMlar, agro· longis oblinet umbris : qoali p«iouo altrettanti alberi, e occupa 1 campi ae ne quid desit speluncae imagini, saxeae con lunghissima ombra ; e aociò che paia in tutto intus crepidini· corona muscosos complexa pu spelonca, ha sotto a sè un cerchio di sasso, che fa mices : tam digna miraculo, ui Licinius Mucia grotta, e abbraccia «li molli sassi carichi di mu nas ter ooasul, et nuper provinciae ejus lega schio. Ed è questo albero tanto degno di mara tos, prodendam etiam posteris putarit, epula viglia, che Licinio Muziano stato tre volle con tum intra eam se cum duodevicesimo comite : solo, e nuovamente legato di quella provincia, larga ipsa loros praebente fronde, ab ornai afflatu ha lasciato scritto, come egli mangiò sotto quello securam, optantem imbrium per folia crepitus, albero oon diciotto compagni, dove le firondi di laetiorem, quam marmorum nitore, picturae va esso gli rieoprivaa lutti dal sole e dal vento. E vi rietate, laquearium aaro, cubuisse in eadem. stette con piacere, aspettando che piovesse eo Aliod exemplum Caji principis, in Veliterno rure quelle foglie, per sentirle crepitare; assai più lieto mirati unius tabulata, laxeque ramorum trabibus e soddisfallo di quell'ombra, che dello splendor •eamna patula, et in · · epulati, quum ipse pars dei marmi, e della varietà della pittura, e de*palchi esaet ombrae, quindecim convivarum ac ministe indorali. Écci un altro esempio di Caio impera rii capace triclinio, quam coenam appellavit ille dore. Nel contado di Veletri era uu platano, che nidam. Est Gortynae in insula Creta juxta fontem porgeva i suoi rami di sopra a forma di tavolato, platano· ana, iasigois ulriusqne linguae monu e faceva coo quei di sotto come spaziosi sedili. mentis, numquam folia dimittens : statimque ei Quivi egli cenò, dove eiavano quindici persone, Graeciae fabulositas superfuit, Jovem sub ea cum con tulio il servigio, essendo ancora esso parte Europa concubuisse : ceu vero non alia ejusdem deU'ontbi'·; la qual cena egli ohiaaaò nido. A generis esset in Cypro. Sed ex ea primum in ipsa Gortina nell’ isola di Creta appresso una fonte Croia ( ut est natura hominum novitatis avida ) è un platano, notabile per iscrizioni in lingua Greca e Lalina, che mai pon perdè foglie. E su phtaui satae regeneravere vitium: quandoquidem commendatio arboris ejus non alia major est, bito la Grecia vi favoleggiò sopra, che Giove quam solem aestate arcere, hieme admittere. In sotto questo albero aveva usalo con Europa, de in Italiam quoque ac suburbana sna, Claudio come se in Cipri non ne fosse anco un altro di principe, Marcelli Aesernini libertus, sed qui se quella sorte. Ma intervenne che essendosi stra potentiae causa Caesaris libertus adoptasset, spado punti! ti da quello assai polloni (perchè la nalura Thessalicos praedives, ut merito dici posset is dell'uorao è sempre cupida di novità ), i novelli plataoi ritennero il vizio della pianta materna : qnoque Dionysius, tsnslulil id genus. Durantque etiam ia Italia portenta terrarum, praeter illa dico vizio, perchè la maggior virtù e qualità di quest'albero è difendere dal sole la state, e il seilicet, quae ipsa excogitavit Italia. verno ricevere il sole. Di là, al tempo di Claudio imperatoce, gli trasportò in Italia e nella ras villa un liberto di Marcello Esernioo, che per accrescersi riputazione si fece adottivo de* liberti di Cesare j ricchissimo eonuoo di Tassagli·, che
C. PLINII SECUNDI perciò a buon diritto potevasi dire un novello Dionisio. Ond'è che durano anche in Italia le maraviglie del mondo, oltre a quelle che per sè medesima ha ritrovate. C b a m a b v la ta v i. Q dis p e iv u n v ib id a e ia to n d k b b
C a b a l a t a v i . C hi t o s ò h i h a
i
g ia k d im .
ISSTITOBBIT.
VI. a. Namque et chamaeplatani vocantur VI. a Sonci i cameplatani, cioè platani terracoactae brevitatis : quoniam arborum etiam abor gnuoli, e fatti nani per fona ; perciocché sì tro tus invenimus. Hoc quoque ergo in genere, vano ancora delle sconciature degli alberi. Per» pumilionum infelicitas dicta erit. Fit aalem et tanto anche iu qnesta specie Tesser nano di ra s a ferendi genere, et recidendi. Primus C. Malius infelicità. Fassi platano nano nel piantarlo e nel ex equestri ordine, divi Augusti amicus, invenit potarlo. Gneo Maaio cavaliere, e aulico dell'im peradore Augusto, fu il primo che trovò il tosar nemora tonsilia intra bos l x u annos. gli alberi, e ridurgli bassi, non s o n o ancora ottanta anni. M a lum A ssybiom quoxo do s b e a t c b .
VII. 3. Peregrinae et cerasi, Persicaeque, omnes quarum Graeca nomina aut aliena : sed quae ex his incolarum numero esse coepere, dicentur inter frugiferas. In praesentia externas peraequemur, a salutari maxime orsi. Malus As syria, quam alii vocant Medicam, venenis mede tur. Folium ejus est unedonis, intercurrentibus spinis. Pomum ipsum alias non manditur : odore praecellit foliorum quoque, qui transit in vesles una conditus, arcetque animalium noxia. Arbor ipsa omnibus horis pomifera est, aliis cadentibus, aliis maturescentibus, aliis vero sobnascentibus. Tentavere gentes transferre ad sese propter re* medii praestantiam 6 ctilibus iu vasis, dato per cavernas radicibus spiramento : qualiter omnia transitura longius seri arctissime transferrique meminisse conveniet, ut semel quaeque dicantur. Sed nisi apud Medos, et Perside, nasci uoluit. Haec est aatem, cujus grana Parthorum proceres incoquere diximus esculentis, commendandi hali tus grati·. Nec alia arbor laudatur in Medis.
I n d ia i a r b o bb s .
CoMB SI VIANTI IL MELO d ’ AsBIBIA.
et VII. 3. Forestieri sono i ciriegi, e i peschi, e tulli quegli che hanno nomi Greci o atranieri; ma quegli che sono cominciati a esser de 1nostri, si metteranno ira i fruttiferi. 11 melo Assi rio, chiamato da alconi Medico, è buono contra i ▼eleni. La foglia sua è come quella del corbes· zolo, intramessevi alcune spine. 11 pomo suo ooa si mangia altrimenti, ma è di maraviglioso odore non meno che le sue foglie: caso si comunica ai vestimenti, con cui si ripone, e gli conserva dal le tignuole e altre bastinole nocive. L'albero istesso ba frutti d'ogoi tempo, perchè alenai cascano, altri maturano, e altri crescono di mano in mano. Hanno provalo molti popoli di voler trasferire a sè questo albero in vasi di terra, per l'ecoellenza del rimedio, dando spiraglio alle ra dici per certe forature, siccome bisogna che si piantino e si trasportino lutti gli alberi che hanno a ir lontano ; e questo precetto nna volta sia dato per tutte. Ma non ba voluto allignare se non in Media e in Persia. Qaesto è quel fratto, le cui granella dissi che i grandi della Partia cuocono fra le altre vivande, per farsi boooo alilo. Nè altro albero si loda hi Media. A l b b e i d e l l ' I k d ia .
VIII. 4· Linigeras Serum in mentione gentis Vili. 4· Abbiamo già toccato degli alberi ejas narravimus : itero Indiae arborum magnitn- laniferi de* Seri, quando ragionammo di quel po dinem. Unam e peculiaribus Indiae Virgilius polo ; e cosi pure della grandezza che hanno certi celebravit ebenum, nusquam alibi nasci professus. arbori delPludia. Virgilio tra i principali dell' IoHerodoto· eam Aethiopiae intelligi maluit, in dia celebrò l'ebano, del quale dice, che non nasce tributi vicem regibus Persidis e materie ejus altrove. Erodoto' volle piuttosto eh* ei sia in centenas phalangas tertio quoque anno pensitasse Etiopia, dicendo, come gli Etiopi ogni terzo Aethiopas, cum aoro et ebore prodendo. Non anno danno per tributo al re de* Persi cento fa omittendam id quoque : vicenos dentes elephan- langite di quel legno, con oro ed avorio. Dice
1*45
HISTORIARUM MUNDI UB. XII.
loram grandes, quoniam ita significavit, Aethio pes ea de causa pendere solitos. Tanta ebori auctoritas erat, Urbis nostrae trecentesimo deci mo anno : lune enim auctor ille historiam eam condidit Thuriis in Italia. Qao magis mirum est, qaod eidem credimus, qui Padum amnem vidis set, neminem ad id tempus Asiae Graeciaeque, aut sibi cognitum. Aethiopiae forma, ut diximus, nuper allata Neroui principi, raram arborem Meroen usque a Syene fine imperii, per d c c c x c t i m passuum, nullamque nisi palmarum generis esse docuit. Ideo fortassis in tributi auctoritate tertia res fuerit ebenus.
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1 14 6
ancora, che gli Ktiopi per la slessa cagion’ di tri buto sogliono lor pagare venti denti grandi' d’elefanti. Di tanta riputazione era l'avorio Pan no trecento dieci dalla edificazione di Roma, perciocché quello autore scrisse a quel tempo la sua storia in Turio d’ Italia. Oude t a n t o mag giormente è da meravigliarsi, che noi crediamo a costai, il quale asseriva, che niuno uè d'Asia nè di Grecia, ch'ei sapesse, aveva mai veduto « il fiume Po. Dalla descrizione dell' Etiopia, nou ha guari tempo presentala a Nerone, come di cemmo, si rileva che da Siene, eh'è sul confine dell'impero, fino a Meroe, vale un dire per jspa» zio di ottocento novantasei miglia, ci sono po chissimi alberi, e non d'allra sorte che delle palme. Questa forse è la ragione perchè nella prescrizione del tributo era compreso per terza cosa l'ebano. Q
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IX. Romae eam Magnus Pompeius in trium IX. Pompeo Magno mostrò l'ebano a Ro pho Milhridatico ostendit. Accendi Fabianus ne ma nel trionfo di Mitridate. Dice Fabiano che gat: uritur tamen odore jucundo. Duo geneia questo albero non s'accende; nondimeno arde ejus : rarum id, quod melius, arboreum, trunco con giocondo odore. Ce ne sono di due sorti : enodi, materie nigri splendoris, ae vel sine arie il raro, il quale è migliore; è albero, e ha il pe protinus jucundi : alternm fruticosum cytisi mo dale senza nocchi : il colore del suo legno è néro, ma lucido, e bellissimo ancora senza artificio aldo, el tota India dispersum est. cuuo. L'altro è piuttosto sterpo che albero, simile al citiso, e sparso per tutta l'india. S pu ta I n d ic a .
X. 5. Ibi et spina similis, sed deprehensa vel lucentia, igni protinus transiliente. Nunc eas «xponam, quas mirata est Alexandri Magni victo ria, orbe eo patefacio.
Ficos I n d i c a . XI. Ficus ibi exilia poma habet. Jpsa se sem per serens, vastis diffunditur ramis; quorum imi adeo in terram curvantur, ut annuo spatio infi gantur, novaraque sibi propaginem faciant circa parentem io orbem, quodam opere topiario. In ii* sepem eam aestivant pastores, opacam pari ter et munitam vallo arboris, decora specie subter intuenti, proculve, fornicalu ambitu. Su periores ejusdem rami in excelsum emicaut, sil vosa multitudine, vasto matris corpore, ut u passus plerique orbe colligant, umbra vero bina stadia operiant. Foliorum latitudo peltae effigiem Amaronicae habet : hac causa fructum iolegeos,
S p in a
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I n d ia .
X. 5. Simile è quivi la spina, utile a dar lume, perchè subito il fuoco vi si avventa. Ragionerò ora degli alberi avuti in maraviglia nella vittoria d'Alessandro Magno, essendoci per essa venuta in cognizione questa parte del moudo. Fico
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I n d ia .
XI. Quivi è il fico, il quale fa frutti molto piccoli, e sempre si pianta da sè stesso, percioc ché fa i rami sì lunghi, che si chinano in terra, e dentro l'anno barbicano, e così fanno un cer chio di propagini intorno alla madre,che pare una verdura condotta ad arte. Dentro a questa siepe stanno la state i pastori al fresco, perchè il luogo è ombroso, e chiuso iu modo di steccato. Ed è bellissimo a vedere sia da vicino, sia da lontano, come quello che ha aspetto di circolo ricoperto di arcale. 1 rami di sopra vanno alti, e sou tanti, che fanno una selva sul corpo della madre ; il quale è spesso sì ampio, che in molti ha sessanta
C. PLINII SECUNDI
•»4?
crescere prohibet. Rar usque esi, nec fabae ma gnitudinem excedens:sed per fui i· solibus co ctus praedulci sapore, «liguus miraculo arboris: giguiiar circa Acesineu maxime amnem.
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p i l a : ρ ο μ γ · a b ib n a .
. XII. 6 . Major alia: pomo el suavitate prae· cellentior, quo sapientes ludorum vivunt. Folium alas aviuin imitatur, longitudine Iriura cubito· ruro, latitudine duum. Fructum cortice mittit, admirabilem succi dulcedine, ut uno quaternos satiet. Arbori nomen palae, pomo arienae. Plu rima est in Sydracis, expeditionum Alexandri termino, lisi et alia similis hnic, dulcior pomo, sed interaneorum valetudini infesta. Edixerat Alexander, uc quis agminis sui id pomum attin geret.
IMDICABVM A BBOBtJ· ΡΟΒΜΛΒ SIHB ROMiaiBCS:
L ib ip b b a b I b d i a b ABBOBBS.
passi di giro, e con le ombre coopre Io spatio di un quarto di miglio. Le foglie sono grandi come uoa rotella, di quelle che portavano lo A asm ai; e per questa cagione veaeudo a coprire il (ratto, uol lasciano crescere. Esso è raro, e noci è mag giore ch’una fava ; ma se egli è eolio dal sole che potesse penetrare tra le foglie, è di dolcissimo sa pore, e degno della maraviglia di qoello albero. Truovansi molti di questi alberi presso il fidine Acesine. Dell'
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.
XII. 6 . Écci un sltro albero, che fa maggior frullo, e più dolce assai, dei quale vivono i savii d’ India. La foglia sua è simile all' ale degli uc celli, lunga tre braccia, e larga due. Manda fuori il fruito per la scoria, maraviglioso per la dol cezza del suo sugo, ma grande di maniera, che uno salterebbe quattro persone. L'albero si chiama pala, il fruito ariena. Molti di questi al beri sono nel paese di Sldraci, termine delle im prese d 'Alessandro. Écci uu altro albero simile a questo, il quale fa più dolce fruito, ma molto contrario alla sanità dell'interiora. Avera man dato un bando Alejsaodro, che oiuoo del suo esercito mangiasse di quel fi ut tu. fobm b d' a l t b i a lb b ei d e l l'
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XIII. Genera arbornm Macedones narravere, XIII. Raccontarono i Macedoni molte sorti majore ex parte sine nomiuibus. Est et terebintho d'alberi, la maggior parte senza nomi. Écci un similis cetera, pomo amygdalis, minore tantum altro albero simile al terebinto, ue' frutti al man magnitudine praecipuae suavitatis. In Bactris uti dorlo, se uon ch'egli è minore, e molto delicato. que haoc aliqui terebinthum esse proprii generis Nel paese de' Satiri alcuni hanno tenuto ch'ei sia potius, quam similein ei, putaverunt. Sed unde il vero terebinto, piuttosto die un simile ed essa. vestes lineas faciunt, foliis moro similis, calyce Ma ve n’ è un altro, onde tanno vestimenti di pomi, cynorrhodo. Serunt eam in campis, nec lino, che ba le foglie simili algelao, ed ha le boc· eie per frulli, come il rosaio salvatico. Essi lo est gratior villarum prospectus. piantano nelle campagne, e non ci è albero, che faccia più bella vista di questo. P lP B B K ABBOBBS. G e RBBA PIPEB1S : BBECBHA. ZlNGIBBBI, SIVB ZWPIBBBI.
D e l l ' a lb b b o d e l pbvb :
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XIV. 7 . Oliva ludiae sterilis, praeterquam XIV. 7 . Gli ulivi iu India sono sterili, nè oleastri fructu. Passim vero quae piper gignunt, prodnoono altro frutto, che quello dell'ulivo juniperis nostris similes : quamquam in fronte aalvatioo. Tutti gli alberi che fanno il pepe, sono Caucasi solibus opposita gigni lautum eas aliqui simili a'nostri ginepri, aneora che situ ai dicano, tradidere. Semina a junipero distant parvulis sili eh'essi nascono solamente nella fronte del monte quis, quales in faseolis videmus. Hae, priusquam Caucaso, dove più batte il sole. Sono differenti dehiscant, decerptae, lostaeque sole, faciunt quod nel seme dal ginepro, e nascono iti piccoli bac vocatur piper longum : paullatim vero dehiscen celli, come i fagiuoli. Questi baccelli coiti p ru a tes maturitate, ostendunt candidum piper : quod che s'aprano, e abbronzali al sole fanno quello, deinde tostum solibus, colore rugisque mutatur. ebe si chiama pepe lungo; dipo! aprendosi s
H1ST0H1A&ÙM MONDI UB. XII. Veruna el iis sua isquria est,atqnecoeli intemperie carbunculantur, fioalqae semina c i m i et inania, qaod vocant brachine, aio 1odorum lingua significatile abortum. Hoc ex omni geoere asperrimna» est, levissimumque, et pallidum. Gratius nigrum: lenius utroque candidum.Non est hojus arbori· raiiix, ut aliqui existimavere, quod vocant zimpiberi, alii vero zingiberi, quamquam sapore simile. Id enim in Arabia atqoe Troglodytica in villis nascitur, parvae herbae, radice candida. Cderiler ea cariem «enlit, quamvis in lania ama ritudine. Pretium ejus in libras, vi. Piper longum facillime adnlleralur Alexandrino sinapi. Emitur in libras, x. xv. Album, x. vn ; nigrum, x. iv. Usum ejus adeo placuisse mirum est. In aliis quippe suavilas cepit, in aliis species invitavit : huic nec pomi nec baocae commendatio eat aliqua: sola placere amaritudine, ei hanc io Indos peti Quis illa primo· experiri cibit voluit? aut coi in appelenda avidi late esurire non fuit satis ? Ulrumque silvestre gentibus sais esi, et tamen pondere emitur, ut aurum vel argentum. Piperis arborem jam «t Italia habet majorem myrto, uec absimilem. Amaritudo grano eadem quae piperi musteo creditur esse. Deest tosta illa maturitas, itleoque et rugarum culorisquc similitudo. Adul teratur juniperi baceis mire vim trahentibus. In pondere quidem mullis modis.
C a b y o p s y l l o b . L y c iu x , siv b pi xa c a b vitto
Ciiaomux.
ti&o
poco a poco, per esser maturi, mostrano il pepe bianco, il quale poi riarso dal sole diventa nero e grimo. Ma questi baccelli ancora sentono i lor d«nni, poiché quando va cattiva stagione incarbonchiauo, e fanno le granella vane, e ciò si chiama brechma,che in lingua lodiana vuol dire sconciatura. Questo è il pià aspro e più leggeri, e pallido. Migliore è il nero, ma il bianco έ manco possente pel sapore che l'altre due specie. Quello, che alcuiii chiamano zimpiberi, e alcuni altri zingiberi, cioè gengiovo, uon è già la radice dell'albero *lel pepe, come molti credono, ben.chè lo somigli nel sapore. Perocch'esso nasce in Arabia e in Trogloditica ne' villaggi, ed è un'erba piccola, che ha la radice bianca ; la quale benché abbia così forte sapore, tosto intarla. Il pregio suo è sei danari la libbra. Il pepe Inngo facilmente si falsifica con la senapa Alessandrina. Comperasi qnlndici danari la libbra : il bianco selle, il nero quallro. E maraviglia che questo gengiovo s'adoperi, perciocché l ' altre cose c'in vitano o coo la belletta, o coo la soavità loro, laddove questo non ha nè frullo nè coccola, che sia da vedere, e non piace per altro se non per conto del suo forte sapore, e vessi per esso fino In India. Chi fu adunque il primo, che lo ▼olle provar ne'cibi? o chi fu quello, a cui nel cercare appetito, non bastò la fame ? L'uno e l'altro è cosa selvatica nella sua patria, e nondi meno si compera a peso come l'oro e l'argento. Oggi in llalià l'albero del pepe è maggiore che la mortine, e la somiglia molto. II suo granello ha la medeaima amaritudine, che il pepe fresco, ma per non .essere abbronzato dal aolc, non è nè uero, nè grinzoso com; questo. Falsificasi con le coccole del ginepro, le quali maravigliosamente traggono a quel sapore. Nel peso ancora si con traili io molli modi. D el
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p is s a c a u t o
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In ludia ancora quel che si chiama gheXV. Est eliamnum in India piperis grani si XV. tuile. quod voeatur garyophylton, grandius fra- rofano somiglia il granello del pepe pià grande giliosque. Tradent in Indico Ineo id gigni. Adve- e più Ano. Dicono che nasce in utia selva India hilur odoris gratia. F*rt el in spinis piperis simi na. Portasi a noi per cagione del suo odore. La litudinem, praecipua amaritudine, foliis parvis spina ancora fa un frutto, che somiglia il pepe, densisque, cypri modo, ramis trium cubitorum, il quale è mollo amaro : ha piccole foglie e folle, cortice pallido, radice lata, lignosaque, buxei co come il cipro, i rami lunghi tre braccia, la scorza loris Hac in aqua com semine excepta in aereo pallida, la radice larga e legnosa, del color di vase medicamentum fit, qood vocatur lycion. Ea bossolo. Questa col seme messa nell'acqua in un «pina el in Pelio monte nascitur, adalieraique vaso di rame, fa una medicina che si chiama medicamentum. Item asphodeli radix, aut fel Itcion. Questa spina nasce ancora nel monte Pe bubulum, aat absinthiam, ve) thus, vel amurca. lio, e falsifica la deila medicina. E similmente Lycion aptissimum medicinae, qood est spuaao- la radice dello asfodelo, o il fiele dì bue, o l'as •em .lndi iantribqs camelorum aut rhinocerotum senzio , ο Γ incenso, o la morchiaw 11 lidon è
lib a
C. PUN II SECUNDI
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id mittunt. Spinam ipiam in Goccia quidam pyxacauthum Cbironium vocant.
attissimo alla medicina, porcài i ιβ ο α ο » . Gli lodiaoi lo mettono in otri di euv>» di cammelli, o di rinoceronti. Qnesla spio* in Grecia t chiamati da alcuni pissacanto Chironio.
M a c ie .
Dsi MACH.
XVI, 8 . Et raacir ex lodia advehitor, cortex rubeos radicis magnae, nomioe arboris suae : qualis sit ea, incompertum habeo. Cortici» meile deeocli usus iu medicina ad dysenlericos praeci puus babetor.
XVI. 8 .11 n a d r anch'egli vico d'india, e ha la corteccia grossa, e gran radice, che porta il nome deli1 albero suo. lo non so troppo bene come sia fatto qoesto albero, ma la sua icona colta nel mele è molto medicinale a chi ha flusso di corpo.
Sacchabon.
D ello z o c c a a a o .
XVII. Saccharon ei Arabia feri, sed laudatio· ludia : e»l aulem mei io arundinibus collectum, gummium modo candidum dentibus fragile, am plissimum uucis avellanae magnitudine, ad medi cinae lautum usum.
XVII. Lo zucchero nasce in Arabia, ma molto migliore in lodia. Esso è mele collo nelle canne, caodido come gomma, che si rompe coi denti : il maggior granello è quanto una Doccinola, e si usa s^lo oelle medieioe.
A bbobbs A i u i a i g b b tis . Ite m G bdbom ab : ite m
Albbei
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A b u so . A ltri
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a l t b i d e l l ’ Ircabla.
H n c iitii.
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XV11I. Contermina Indù gens Ariana appel XVIII. Confina eon 1*India an paese, che ai latur, cujus spina lacrymarum pretio··, myrrhae chiama Ariano, dove nasoe un prmio prezioso similis, accessu propter aculeos anxio. Ibi et per la gomma, che da esso stilla, simile alia mir frutex pestilens raphani, folio lauri, odore equos ra, la qnal difficilmente si coglie per le poni» invitante, qui paene eqnitalu orbavit Alexan del pruno. Quivi è ancora un arboscello pesti drum primo introitu : quod et in Gedrosis acci lente, detto rafano, con foglie di alloro, il cui dit. Item laurino folio et ibi spina tradita est, odore alletta i cavalli, di mauiera che a prima cujus liquor aspersus oculis, caecitatem infert giuuta egli privò quasi Alessandro di cavalleria ; omnibus animalibus. Necnon et herba praecipui il che gli avvenne ancora nel paese dei Gedrosii. odoris referta minutis serpeulibus, quarum ictu Quivi parimente è un altro pruno, che ha le fo protinus moriendum esset. Onesicritus tradit in glie simile all'alloro, il cui licore sparso negli Hyrcaniae convallibus ficis similes esse arbores, occhi acceca lutti gli animali. Ècd anco un'erba quae vocentur occhi, ex qoibos defluant mel^ di grandissimo odore, piena di minutissime serpi, e chi le tocca subito muore. Scrive Onesicrito, horis matutinis duabus. che nelle valli d'ircania sono alberi simili ai fichi, i quali si chiamano occhi, dai quali cola mele due ore fa matlina. I t e m B a c t b ia b . B o e l l iu m ,
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MALACHAM, SIVB MALDACON. SCOBDACTI. I n OMNI
Albbei
del
paese de'
B a t t b ia n i. B d e l l io ,
BBOGO, O SIA Mfi-ACA, OVVERO MALDACO.
BUS ODOEIBOS AUT CONDIMENTIS DICDNTOB ADOL-
d a t t i.
TBBATIONBS, EXPBBIMENTA, PRETIA.
DI TOTTI GLI ODORI B CONDITORE.
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a l s if ic a z io n i,
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ScO%prèzzi
XIX. 9 . Vicina el Bactriana, in qua bdellium XIX. g. Confina con questo il paese dei Batnominalissimum. Arbor nigra est, magnitudine triani, dove è il bdellio nominatissimo. Questo oleae, folio roboris, fructo caprifici naturaque. è nu albero nero, grande quanto lo ulivo, che Gummi alii brochon appellant, alii malacbam, ha le foglie di rovere, e il frutto è della n a t u r a del fico «atvalico. Fa gomma, la quale alcuni alii maldacou. Nigrum vero et in offas convolu tum, adrobolon. Esse aolem debet translocidom, chiamano broco, altri malaca e altri maldaco; simile cerae, odoratam, et quum fricatur, pingue, ma poi ohe è nera, e ridotta in massa, ai chiama 'gusto amarum citra acorem, ln-aacris vino pev- adrobolo. Debbe essere trasparente, M in ile alla
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HISTORIARUM MUNDI UB. XII.
fusum, odora li us. Nascitur el in Arabia, Ind iaque, ei Media, ac Babylone. Aliqui peraticum vocant ex Media a d v e c t u m . Fragilius hoc et cru stosius, amariusque: at Indicum humidius et gumminosum. Adulteratur amygd&la nuce. Ce tera ejus genera cortice «t scordacti. lia vocatur arbor-aeraulo gurami. Sed deprehenduutur (quod semel dixisse el in ceteros odores salis sil) odore, colore, pondere, gustu, igne. Bactriano nitor siccus, iD ii lti q u e candidi ungues. Praeterea suum pondus, quod gravius esse aut levius nou debeat. Preliuut sincero in libras x. terni.
Paaswis
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cera, odorifera, e quando «i stropiccia, grassa, al guslo, ma non già forte. Ne*sacrifi cii bagnata col vino b a migliore odore. Nasce ancora in Arabia, in India, in Media e in Ba bilonia. Alcuni chiamano peralico quello che viene di Media. Questo è più fragile, più ero· stoso e più amaro; ma Γ Indiano è più umido e più gommoso. Falsificasi col fratto del man dorlo, e le altre sorti sue con la corteccia, o gomma d’uu albero detto scordatti suo concor re n le. Si conoscono l'un dall'altro (e così aia detto di tutti gli altri odori) all'odore, al colore, al peso, al gusto e al fuoco. Il Baltriano ha un certo splendor secco, e molte particelle bianche. Oltre di questo ha il suo peso ancora, del qoale uon debbe essere o più grave, o più leggeri. Il prezzo di quello eh'è puro, è solamente tre da nari la libbra. a m a ra
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XX. Gentes supra dictas Persis attingit, Rubro XX. Con le sopraddette nationi confioa Ia mari ( qaod ibi Persicam vocavimus ) longe in Persia, dove il raar Bosso (che quivi chiamammo terra aestas agente, mira arborum natura. Nam Persico) spìnge la marea per gran tratta aopra que erosae sale, invectis dereliclisque similes, il terreno ; e quivi maravigliosa è la natara degli sicco lilore radicibus nudis polyporum modo alberi. Peroiocchè essendo essi rosi dalle onde amplexae steriles arenas spectantur. Eaedem mari hanno le radici scoperte, che par che il mare advenieute fluctibus pulsatae, resistunt immobi gli abbia giltati quivi, e poi lasciati, e a guisa les. Qoin et pleno aestu operiuntur totae : appa- di polpi si veggono abbracciare la sterile arena. retque rerum argumentis asperitate aquarum E benché s:.^no percossi dalla escrescenza del illas ali. Magnitudo miranda est, species similis mare, nondimeno resistono immobili. Anzi qaan unedoni, pomum amygdalisexlra, intus coulorlis do esso è molto gonfio ne vanno tutti coperti; e vedesi per manifesti segni, che l'asprezza del nucleis. mare gli nodrisce. Sono di maravigliosa gran dezza, e simili nella forma ai corbezzoli : il fratto di fuori è simile alle mandorle, il nocciuolo di dentro i inviluppato e torto. P
e r s i c i m a b is m s c l a r c m a r b o r e s .
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XXI. io. Nel medesimo sito i l'isola di Tilo XXI. io . Tylos insula iu eodem sinu esl, re· pietà silvis, qua spectat Orientem, quaque el piena di boschi dalla parte d i Levante, onde ipsa aestu maris perfunditur· Magnitudo singulis anch'ella è percossa dal mare. Ciascuno albero è arboribus fici,flos suavitati inenarrabili, pomum grande quanto un fico : il fiore ha una soavità incredibile; il fruito è simile allupino; e per lupino simile, propter asperitatem intactum omnibus animalibus. Ejusdem insulae excelsiore l'asprezza sua nessuno animale ne tocca. Nel più rilevalo luogo della medesima isola sono alberi, suggestu lanigerae arbores alio modo, quam Serum. His folia infecunda : qaae, ui minora che producono seia, ma in altro modo che que esseut, vitium poterant videri. Ferunt cotonei gli che sono tra i popoli Seri. Quesli alberi hanno mali amplitudine cucurbitas, quae maturitate le foglie sterili ; le quali se non fossero minori, ruptae ostendunt lanuginis pilas, ex quibus ve parrebbono di viti. Producono zucche grandi quanto una mela cotogna, le quali quando son stes pretioso liuteo faciunt. mature, s'apruno, e mostrano palle di seta, delle quali fannosi T e s t im e li li di grandissima valuta.
C. PLINII SECONDI Arbores vocant gossympfnos : fertiliore otiam Tylo minore, quae distai x x pass. ii.
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XXII. Juba circa froticem lanugine* esse tradit, linteaque ea Indicis praestantiora. Arabiae aulem arbores, et quibus vestes faciant, cynas vocari, folio paknae simili. Sic ludos suae arbores vo> stiunt. In Tylis aulem et alia arbor floret albae violae specie, sed magnitudine quadruplici, sine odore, quod miremur in eo tractu.
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11 . Sono alcuni alberi, che si chiamano gospiupinf, molto più fertili ancora in nna isola minore che Tilo, la quale è lontana da essa dieci migli*.
XXII. Dice Giuba,che detti arbusti producono lanugine intorno la pianta, e che quelle tele sono assai pià fine, che le Indiane. Gli alberi d'Arabia, dei quali si fanno vestimenti, si chiamano cine, e hanno la foglia simile alla palma. E così gli Indiani si vestono degli alberi loro. In Tilo an cora è un altro albero, che ha fiori simili alla viola bianca, ma quattro volte maggiori, senza alcuno odore, che per essere fra tanti aromi odo rosi è una gran maraviglia. Ir
IR LOCO ÀBBOBUM ROLLA POLIA DBCIDART.
q u a l s it o r o r c a d a ro h a i l b f o g l ie
AGLI ALBBEI.
XXHI. Est et alla rimili», foliosior tamen, roseique floris : quem nocto comprimens, aperire incipit solis exortu, meridie expandit. lucolae dormire en m dicunt. Fert eadem insula et palmas, oleaique, ac vites, et cam reliquo pomorum ge nere ficos. Nulli arborum folia ibi decidunt. Rigaturque gelidis fontibas, et imbres accipit.
Q
u ib u s m o d is c o r s t b r t a b b o b u m f h u c t u s .
XXIII. In quel contorno è uno altro albero simile, ma pià frondoso, e di fiore di rosa, il qual fiore rinchiudendosi la notte, si comincia aprire nel levare del sole, e di mezzogiorno s'allarga. Gli nomini del paese dicono ch’ei dorme. Nella medesima isola nascono palme ancora, ulivi, e viti, e fichi, con altre sorti di frulli. Qai ri a nes so no albero cascano le foglie. Questa isola ba freschissimi fonti, e anco vi piove. Ir
q u a l i m o d i s t ib r o i f r u t t i d b g l i a l b e r i .
XXIV. Vicina his Arabia flagitat quamdam XXIV. L’Arabia, che confina con essa, ricerca generum distinctionem, quoniam fructus iis con che si parli distintamente delle specie de' suoi stat radice, frutice, cortice, succo, lacryma, ligno, alberi, perchè quivi si coglie fratto dalla radice, dal tronco, dalla scorza, dal sago, dalla lagrima, sarculo, flore, folio, pomo. dal legno, dalle marze, dal fiore, daHa foglia e dal frutto. Db
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XXV. ia. Radix et foliam indis est maximo XXV. ia. Hanno gl'indiani nna radice e fo pretio. Radix cosli gusto fervens, odore eximio, glia di grandissimo prezzo. La radice del costo frutice alias inutili. Primo statini introitu amnis ha sapor pungente, e grande odore ; ma il ano Indi in Palale insula, duo sunt ejus genera : ni sterpo è inutile. Nella foce del fiume lodo, ndgrum, et quod melius, candicans. Prelium in l ' isola di Patale, sono due sorti di costo; il nero, libras x. vi. e il bianco, il quale è migliore ; il prezzo suo è sei danari la libbra. Db
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XXVI. De folio nardi plura dici par est, ut XXVI. Della foglia del nardo ss posso» dire principali in unguentis. Frutex est gravi et crassa molte cosc, come principale negli ungueuti. Que radice, sed brevi ac nigra, fragilique, quamvis sto è uno sterpo, che ha la radice grave e grossa,
HISTORIARUM MDND1 LIB. XII. piegai, si tura redolente al cyperi, aspero sapore, folio parvo deosoque. Cacumina in arista· se spargunt : ideo gemina dote nardi spicas ac foli· celebrant. Alteram ejus genas apud Gangem na scens, damnatur in tolum, ozaenitidis dòmine, virua redolens. Adulteratur et pseudonardo her ba, qaae abique nascitur crassiore atque laliore folio, et colore languido in candidam vergeute. Item saa radice permixta ponderis censa, at gum ini, «pomaque argenti, aut stibio, ac cypero, cyperive cortice. Sincerum qaidem levitate depre henditor, et colore rufo, odorisene suavitate, et gusta maxime siccaot os, sapore juoondo. Preliam spicae in libras x. c. Folii divisere annonam : ab ampli lodine hadroephaerum vocator majoribus foliis, x. i.. Quod minor· folio est, mesoephaerum appellator : emitur x. l x . Laudatissimum microsphaernm e minimis foliam : pretius ejusx. l x x v . Odoris gratia omnibus major recentibus. Nardo color qoi inveteraverit,'nigriori melior. In nostro orbe proxime laudatur Syriacum, mox Gallicam, tertio loco Creticam, quod aliqui agrium vocant, abi pbo, folio olusatri, caole cubitali, geniculato, in purpura albicante, radice obliqua villosaqoe, et imitante aviam pedes. Baccharis vocatur nardum rusticum, de quo dicemus inter flores. Sunt aatem ea omnia herbae praeter Indicam. Ex iis Galli cum et cum radice velli lur, ablui torque vino. Siccator in ambra, alligatur fascicnlis in charta, non multum ab Iodico di fifereas. Syriaco tamen levius. P retiam x. m. In his probatio una, ne sint fragilia, et arida polios, qoam sicca folia. Com Gallico nardo semper nascitor herba« quae hirculos vocatur, a gravitate odoris et similitu· dine, qua maxime adulteratur. Distat, qaod sine cauliculo est, et quod minoribos foliis, quodque radicis neqoe amarae, neqoe odoratae.
A sa b o b .
ma oorta, nera e fragile, benché grassa : ha odore come il cipari, ma sapore aspro, e foglia piccole e folta. La cima sua & spighe, talché il nardo ha doppia dote, cioè spighe e foglie. Un' altra sorte di nafdo nasce sul fiume Gange, il quale è cat tivo, perchè ha odore lezioso, detto ozenilide. Falsificasi con un'erba, che si chiama pseodonardo, la quale nasce per tulio, ed ha la foglia più grossa e più larga, e il color più smorto, che pende in bianco. Vi si mescola la sua radice, per rispetto del peso, con gomma, e schiuma di ar gento, o stibio, e cipari o scorza di cipari. 11 paro si conosce alla leggerezza, e al colore rossigno, e alla soavità dell'odore, ma soprattat&o al gusto, quando lascia ia bocca asciutta, ed ha sapore giocondo. II prezzo della spiga è cento danari la libbra. Le foglie ne fanno il prezzo diverao : si chiama adrosfero dalla grandezza, perchè ha mag giori foglie, e il prezzo soo è cinquanta danari la libbra. Quello che ha le foglie più piccole, si chiama mesosfero, e comperasi sessanta denari la libbra. 11 migliore di lutti è il microsfero, che ha le foglie piccolissime, e vale setlantacinque denari la libbra. Tutti hanno buono odore, ma il fresco Γ ha migliore. 11 nardo vecchio ha miglior colore, se egli è nero. In Italia ha maggior prezzo quello di Siria, poi qoel di Gallia, e ultimamente quello di Creta, il quale alcuni chiamano agrio, altri fu : ha foglia di olu satro, il torso di dae braccia con più nodi ; è porporino, e pende in bianco, con radice ritorta e pilosa, che somiglia i piedi degli uccelli. Baccari si chiama il nardo rustico, del quale ragioneremo tra'fiori. Talli questi però sono erbe, fuorché l ' Indiano. Il Gallico si sveglie con la radice, e lavasi col vino : seccasi al rezzo, e fessene mazzi rinvolti in carta : non è molto differente dall'In· diano, ma però è più leggeri che quello dr Siria. Il prezzo sao è tre denari la libbrar. La praova in questi è che le foglie non sieno fragili, ma piuttosto aride che secche. Col nardo Gallico nasce sempre un'erba, che si chiama irculo, per rispetto della gravità dell'odore e della somiglianza, per cui mollo si falsifica. £ solo differente in questo, che nou ha torso, e ha foglie minori, e la sua radice non è amara, nè ha odore. D e l i .' m i o .
XXVII. i3. Nardi vim habet et asarum: qaod XXV11. i3. L’ asaro anch' egli ha la virtù che et ipMtm aliqui silvestre nardom appellant. Est il nardo, onde da alcani è chiamalo nardo selva tico. Ha le foglie come l ' ellera, ma più tonde e aatem ederae foliis, rotandiorìbas tantum mollioribasqae, flore purpureo, radice Gallici oardi: più morbide ; il fiore è porporino, e la radice semen acinosum, saporis calidi ac vinosi. Monti- simile al nardo Gallico. Il seme è granelloso, di boa in ambrosie bis anno floret. Optimam in sapor caldo e vinoso. Ne' monti ombrosi fiorisce Ponto, proximam io Phrygia, tertium in Illyrico. due volte 1' anno. Ottimo è ip Pento, poi un
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C. P U N II SECONDI
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Foditur quum folta mittere incipit, et in sole siocatar, celeriter sitam trahens, ac senescens. Inventa nuper et in Thracia herba est, cujus folia nihil ab Indioo nardo dislant.
A h o m u m : AMOMIS.
poco meno in Frigia, e finalmente assai peggiore in Ischiavonia. Cavasi quando comincia a metter le foglie, e seccasi al sole, e subito acquista grave odore ed invecchisi. Hassi nuovamente trovata un’ erba in Tracia, che nelle foglie non è ponto differente dal nardo d ' India. D bll'
a m o m o : d e l l ’ a m o m id b .
XXVIII. Amomi uva in usu est, Indica vite XXVIII. L' uva d' amomo è in uso ; nasce ia labrusca : ut alii existimavere, frutice myrtuoso, lnd*a in vite labrusca. Alcuni tengono, ch'ella nasca in uno sterpo mirtuoso, allo un palmo: palmi altitadine : carpiturque cum radice mani· pulatim leniter componitur, pronilus fragile. pigliasi con la radice, e leggermente s' acconcia Laudatur quam maxime Punici mali foliis simile, in mazzetti, essendo molto fragile. Lodasi gran nec rugosis, colore rufo. Secunda boniias pallido. fiem eoi e quel ch' c molto simile nelle foglie al melagrano, non grinzoso, e di color rosso. Nel Herbaceam pejus, pessiraumqne candidum, quod secondo grado di bonlà è pallido. Il verde è peg et vetustate evenit. Pretium uvae in libras x. lx ; friato vero amomo x. x l v i i i . Nascitur et in Ar giore, e pessimo il candido, il che avviene per ri meniae parte, quae vocatur Otene, et in Media, spetto della vecchtezza.il prezzo dell’uva è sessanta et in Ponto. Adulteratur foliis Punicis, et gummi danari la libbra, e dell'amomo sfregolato quaran liquido, at cohaereat conrolvatqoe se in uvae totto. Nasce ancora in quella parte d'America, ehe modum. Est et quae vocatur amomis, minus ve si chiama Otene, e in Media, e in Ponto. Falsifi casi con le foglie del melagrano e con gomma nosa atque durior, ae minus odorata: quo appa liquida, acciocché s 'attacchi e rivoltisi in modo ret, aut aliud esse, aut colligi immaturum. d 'uva. V'è anche quella che si chiama amomide, manco venosa è pià dora e meno odorifera ; onde si conosce che o è altra cosa, o che si coglie acerba. CM VM OMm.
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cardamomo.
XXIX. Simile his et nomine et frutice carda- XXIX. Simile a questi e di nome e di sterpo momura semine oblongo. Metitor eodem modo è il cardamomo, ehe ha il seme lungo. Mielesi «t in Arabia. Quataor ejas genera : viridissimum nel medesimo modo anco in Arabia. V' è di ac pingue, acatis angulis, contomax frianti, qaod quattro sorta. Éccene del molto verde e grasso maxime laudatur ; proximam e rufo candicans : con angoli acuti che punge chi lo maneggia ; tertiam brevius atque nigrins. Pejus tamen va questo è grandemente stimato. Il prossimo a qae riam et facile trita, odorisqae parvi : qui verus, sto è il rosso che biancheggia : il terzo è pià breve costo vicinos esse debet. Hoc et apud Medos na e pià nero. Nondimeno assai peggiore è il vario, scitor. Pretium optimi in libras x. duodecim. facile a stritolarsi, e di pochiisimo odore. Quello eh’è vero, debbe essere di qualità vicino al co sto. Questo nasce ancora in Media. 11 prezzo «Μ Ι* ottimo vale dodici danari la libbra. D b THUBIFSBA BEOIOVE.
D F L PABSB CHE PRODUCE MC&KdO.
XXX. Cinnamomo proxima gentilitas erat, ni XXX. Ora si vorrebbe parlar del cinnamomo, prius Arabiae divitias indicari couveniret, causas- a voler seguitare a dire degli aromi, se non che que, qoae cognomen illi feliris ac beatae dedere. prima conviene dimostrasi le ricchezze d ' Arabia, Principalia ergo in illa thus, et myrrha : haec et e le cagioni che le hanno dato il sopra uooaae di beata e di feliee. Le principali cose dunque ia cam Troglodytis eoramunis. essa sono l’ incenso e la mirra, beaché questa è comune anco a* Trogloditi. 14 . Thura, praeter Arabiam, nullis, ao ne Ara 14 . L 'incenso eoo nasce se noe » Arabia, biae quidem universae. Id medio ejas fere sunt ma ni anco in tutta P Arabia. Quasi in meiao ad
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HISTORIARUM MONDI LIB. XII.
Atramitae, pagus Sehaeornm, capite regni Sabota, in monte excelso, · quo oeto mansionibus distet regio eoram thurifera, Saba appellata. (Hoc si· unificare Graeci mysterium dicunt). Spectat ortas solts aestivi, ondiqne rupibos invia, el a dextra mari scopnlis inaccesso. Id solam e rabro la cteam traditur. Silvarum longilodo est, schoe ni xx : latitudo dimidium ejue. Schoenus patet Eralosthenis ratione, stadia x l , hoc est, passuum quinque millibus: aliqai x x x i i stadia singulis schoenis dedere. Attolluntur colles alti, decurruntque el in plana arbores sponte natae. Terram argillosam esse convenit, raris fontibus ac nitro sis. Attingunt el Minaci, pagus alius, per qiios evehitur uno tramine angusto. Hi primi com merciane thuris fecere, maximeque exercent : a quibas et Minaeam dictum est. Nec praeterea Arabum alii thuris arborem vident, ac ne horam quidem omnes. Ferunt q u e m in η ο ιι amplius e sse familiarum, quae jus per successiones id sibi vin dicent. Sacros vocari ob id, nec ullo congressn ieminarum, funernmque, quum incidant eas ar bores aut metant, pollui : atque ita religione merces augeri. Quidam promiscuum jus iis po pulis esse tradunt in silvis : alii per vices eunorum dividi.
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arborei thus
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essa nel regno Sabeo sono le borgate degli Atra mili, la cui principale è Sabota, poita sopra un monte altissimo, dal quale otto giornate è lon tana la terra dove nasce lo incenso. Chiamasi Saba, che secondo i Gr«ci vuol tlire mistero : è volta a levante di stale, e d’ ogni parte ha diffìcile entrata per rispetto delle rupi che la circondano, e per li scogli di mare, che da man rilta non la sciano appressarvi. Il terreno dicono eh' è da rosso a l a t t a t o . La lunghetta delle selve è venti sebenì, la larghezza έ dicci. Lo scheno, secondo il conto di Eratostene, è uno spazio di quaranta stadii, ovvero cinque miglia : alcuni altri dicono, che ogni scheno è quattro miglia. Quivi s'innal zano i colli, dove da loro stesse nascono queste piante, che arborate le chine, discorrono ancora nelle pianure. U terra è tutta argilla, ed ha fonti radi, che tengono di nitro. Confina con questa I' altra borgata dei Minii, fra i queli si passa per nna via molto stretta. Que«ti furono i primi mer canti dell*incenso, e molli il sono pur tuttavia : da loro l1 iocenso è chiamato Mineo. Nè altri in Arabia, che costoro, veggono Γ albero dall' in censo, e nè anco questi tulli. Dicesi che sono tremila famiglie e non più, le quali successiva mente hanno quesla giurisdizione. Perciò sono chiamali sacri, e non usano con donne, nè si tra vagliano in mortorii, quando intaccano gli albe ri, o rioolgono I* incenso ; e cosi la religione ne accresce il prezzo. Alcuni dicono, che i detti po poli insieme lutti hanno qnesta possessione; al cuni altri dicono che tocca ogni anno a una parte di loro. Q
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Al.RKRI LO rRODCCAttO.
Non si sa come sia fallo questo albe XXXI. Nec arbori» ipsius quae sit facies, XXXI. ro. Noi abbiamo travagliato in Arabie, c Tarmi constat. Res in Arabia gessimus, et Romana arma Romane sono arrivate in gran parie d' essa, ed in magnam partem ejus penetravere: Gajuseliam Caesar, Augusti filius, inde gloriam petiit, neo anco Caio Cesare, figliuolo d ' Augusto di qui tamen ab ullo (quod equidem sciam) Latino ar s ' acquistò giuria, nè però alcun Latino (ch'io borum earum tradita facies. Graecorum exempla sappia) ha descritta mai la figura di questo albe variani. Alii folio p iri, minore dumtaxat, et ro. Gli esempli dei Greci variano. Alcuni hanno herbidi coloris prodidere. Alii lentisco similem detto, eh' egli ha la foglia come il pero, sola snbralilo. Quidam terebinthum esse, el hoc vi mente un poco più piccola e di >olor di erba. Al sam Antigono regi allato frutice. Juba rex iis cuni dicono eh' egli somiglia il lentisco, ed ha vokimibibus, quae scripsit ad C. Caesarem, Au foglia che rosseggia. Alcuni, eh' egli è terebinto, gusti filium, ardentem fama Arabiae, tradit con e che cosi parve al re Antigono, a cui ne fu por tata una pianta. Il re Giuba in quei libri eh' egli torli esse candicis, ramis aceris maxime Pontici, succum amygdalae modo emittere: talesque in scrisse a Caio Cesare figliuolo d 'Augusto, il Carmania apparere, et in Aegypto satas studio quale desiderava sapere le cose d ' Arabia, scrive, Ptolemaeorum regnantium. Cortice lanri esse che lo incenso ha il pedale ritorto, e i rami d 'aeoostat : quidam et folium simile dixere. Talis cero, massimamente come quello di Ponto, e che certe fini arbor Sardibus. Nam et Asiae reges manda fuori sugo, come le mandorle, e che tali serendi coram habuerant. Qui mea aetate legali sono in Carmania e in Egillo piantativi per dili ex Arabia venerunt, omnia incertiora fecerunt, genza dei re Tolomei. Chiaro è, che ha la cortec cia simile all' alloro : alcuui hanno dello ancora q o o d jure miremur, virgis etiam thuris ad nos
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commeanlibas : quibus credi poiesl, malrcm quoque lcr«4e et cnodi fruticare tronco.
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ch’egli n’ ha rimile par la foglia. E certo tale albero fu in Sardi, perciocché anco i re d’Asia posero cura in piaolarlo. Gli ambascia lori d 'Arabia, i quali al tempo mio vennero a Roma, hanno fatto ogni cosa più inoerta ; di che molto mi maraviglio ; però le verghe di qaesto albero, le quali sono venute a Roma, dimostrano la madre avere il pedale tondo e senta nocchi. D b LLA WATCBA DBU.’ IBCBMO, B QUALI *B SIBVO LB SMCIB.
XXXII. Meli semel anno solebul, minore oc XXXII. Solevano gii ricorre Γ incenso uoa casione vendendi. Jam quaestus alleram vinde- volta l ' anno, perchè se ne vendeva meno ; ma il miam a fleri. Prior atqoe naluralis vindemia circa guadagno ha già introdotta una seconda ricolta. Canis orlom flagrantissimo aesto, iocidenlibus La prima e naturai vendemia è intorno al nasce qua maxime videatur esse praegnans, tenuissi- re della Canicola, ne’ piò ardenti caldi. Allora wusque lendi cortex. Laxator hic plaga, non adi intaccano Γ albero dove e’ pare pià pregno, e la mitur. Inde prosilit spuma pinguis. Haec con buccia pià sottile, e questa non che si levi, sola creta densatur, ubi loci*natura poscat, tegete mente, s’intacca e s’ incide. Dipoi n'esce una palmea excipienle, aliobi area circumpavita. Pa schioma grassa, la quale si spessa ecoagnla, dove rius illo modo, sed hoc ponderosius. Quod io il soffre la natara del sito, e cade sopra nna stooia arbore haesit, ferro depectilur, ideo corticosum. latta di canne, o anche sopra nn'aia ben pesta Silva divisa certis portionibus mutua innocen all’ iu to rn o . Nel primo modo ai raccoglie piè tia tuta est: neque ollus saucias arbores custo nello, nel secondo di maggior peso. Quello che dii: nemo furatur alteri. At Hercules Alexandriae, rimane appiccato all’ albero, si spicca col ferro, e obi thura interpolantur, nulla satis custodii di però è pià corteccioso. f
H ISTORI Ah DM MUNDI LIB. XII. et atomum Ufi modo appellant : mlnorera autera orobiani. Mfaas concasso elisas luannam vocatnus. Etiamnum tamen inveniuntor gallis, qaae ter tiam partem minae, hoc est xxviu denariorum pondus aequent. Alexandro raagno in pueritia sine parsimonia thura ingerenti aris, paedagogu* Leonides dixerat, ut illo modo, qaum devicisset thuriferas gentes, supplicaret. At illa Arabia po titus, thure onustam navem misit ei, exhortatus ut larga deos adoraret.
ThtM oollectam Sftbota camelis convehitur, porta ad id una patente. Degredi via capitale le ges fecere. Ibi decimas deo, quem vocaut Sabin, mensura, non poudere sacerdotes capiunt. Nec ante mercari licet : inde impensae publicae to lerantur. Nam et benigne certo itinerum numero deus hospites pascit. Evehi non potest, nisi per Gebanitas: itaqae es horum regi penditar vecti gal. Caput eorum Thorana abest a Gaza nostri litoris in Judaea oppido χΤΓν xxxvi millia pas suum, quod dividitur in mansiones camelorum txv. Sunt et qnaa sacerdotibus dantur portiones, scribisque regum certae. Sed praeter hos et Aislodes, satellitesque, et ostiarii, et ministri popu lantur. Jam quacumque iter est, aliubi pro aqua, atiobi pro pabulo, aut pro mansionibus, variisque portoriis pendunt, ut sumptus in singulas came los denarium d c l x x x v i i i ad nostrum litus colli gat : iterumqne imperii nostri publicanis pendi tur. ltaqne optimi thuris libra x. vt pretium babet ; secanda x. v} tertia x. m. Apud uos adul teratur resinae candidae gemma perquam simili: sed deprehenditur, quibus dictum est, modis. Probatur eandore, amplitudine, fragilitate, car bone, ut statim ardeat. Item ne deutem recipiat potius, quam in micas frietur.
Ds m u i i . XXX 1U. i5. Myrrham in iisdem silvis per mixtam arborem nasci tradidere aliqui, plures separativi : quippe multis io locis Arabiae gigni tu r, ut apparebit in generibus. Convehitur et ex insalis laudata, petuntque eam elium ad Troglo dytas Sabaei transitu mfcris. Sativa quoque pro venit, multum silvestri praelata. Gaudet rastris atque ablaqueationibus, rodior radice refrigerata.
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di queste empieva la inano, quando poteva cre scere con più agio, e non si avea tanto desiderio di ricorlo sì tosto. 1 Greci chiamano questa sta gonia e atomo ; la goccia minore chiamano orobia. 1 minuzzoli spiccati per iscuoterli si chiamano manna. Però ancora oggi si trovano pezzi, che pesano la terza parte d’utia mina, cioè ventisette danari. Leonide pedante d* Alessandro, veggendolo in sua fanciullezza usare senzà rispasmio alcuno lo incenso nei sacrilicii, gli disse che allora ne consumasse tanta quantità, quando egli avesse soggiogato il paese che lo produce. Perchè avendo egli aquistalo Γ Arabia, gli mandò un navilio carico d 'incenso, confortandolo, che largamente adorasse gli dei. L'incenso raccoltosi porta a Sabota sui cam melli, per una porla a ciò aperta ; e per legge è posta la pena della vita a chi esce fuor di strada. Quivi i sacerdoti pigliano le decime per Iu dio, eh' essi chiamano Sabi, a misura, non a peso ; nè prima si può comperarne per altri. Con questo si comportano le spese pubbliche, perciochè quel dio per certo numero di giorni pasce i forestieri. Non si può condurre,se non per lo paese de’Gebaniti, laonde anebe al re loro se ne paga la gabel la. Lor capitale è Tonna, lontana da Gaza più di quattromiUe quattrocento miglia, il qual viaggio è diviso in sessantaciuque giornate di cammelli. Dassene ancora certa parte ai sacerdoti e ai can cellieri dal re. Oltra questi ne colgono i custodi, i cagnotti, i portinai, i ministri ; perocché ovun que si viaggia, convien darne loro ora per l ' acqua, ora per il mangiare, ora per l ' albergo e per varii pedaggi, di maniera che ciascun cam mello ha di spesa insino al nostro lito seicento ottanta otto danari, e quivi paga ancora ai nostri doganieri e passaggieri. Vale dunque la libbra dell' ottimo incenso sei danari, del secondo cin que, del terzo tre. Falsificasi appresso di noi coo la ragia bianca, che lo somiglia molto ; ma conoscesi nei modi che s 'è detto. Pruovasi alla bianchetza, alla grandezza, alla fragilità, e se col carbone subito arde : e similmente vuoisi che non s 'attacchi al dente, ma piuttosto si triti in mmazzoli. D ill a a m a a.
XXXIII. iS. Alenai dicono che la mirra na sce nella medesima selva, mescolata con l ' albero dell'incenso : ma i più tengono eh' elfa nasca ap partatamente; perciocché nasce in molti luoghi d 'Arabia, come si vedrà ragionando delle sue specie. Portatene ancora dalle isole della buona, e i Sabei per mare là pattano dal paese dei Tro gloditi. Quella che si pianta è molto migliore
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<:. PUNII SECONDI
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che la selvatica. Giovale esser lappala e ttabata intorno alle barbe, ed è migliore, se le si rin fresca la radice. D
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XXXIV. Arbori allitudo ad quiuque cubila, XXXIV. L'albero suo è alto cinque braccia, nec tine ipiiu, eaudice duro et intono, crassio • uon senza spina : ha duro e (orto tronco, e re, quum thuris, et ab radice eliain, qaam reli più grosso che quello dello incenso, e più ancora qua aui parte. Corticem levero, similemque uue- dalla radice che da altra sua parie. Ha la scoru doui : scabrum alii, spinosumque dixere. Folium pulita, e simile al corbezzolo. Alcuni la dissero olivae, verum crispius, et aculeatum : Juba olu ruvida e spinosa. La foglia è simile a quella delsatri. Aliqui similem juuipero, scabriorem lan l ' ulivo, ma più crespa, e più aguzza. Giuba dice ium spini»que horridam, folio rotundiore, sed che somiglia P olusatro, o macerone. Altri fanno sapore juniperi. Nec uou fuere, qui e thuris ar Palbero simile al ginepro, ma più ruvido e aspro per le spine, e di foglia più tooda, ma di sapore bore utrumque nasci mentirentur. di ginepro. Alcuni pure ancora hanno falsamente detto, che anche la mirra nasce dall'albero del· l’ incenso. N a t o b a b t g b n b ea m y b b h a e .
N a t o b a b spec h i d e l l a h i b e a .
XXXV. luciduutur bis et ipsae, iisdemque ' XXXV. Inlaccansi anche questi alberi due temporibus, sed a radice usque ad ramos qui va volle, e in quei medesimi tempi, ma dalla ra lent. Sudaut autem spouie prius quam incidantur, dice fino a'ram i posseuli. Sudano innanà che stacten dictam, cui nulla praefertur. Ab hac sa •'intacchino una certa gomma, ehe.si chiama tiva, et in silvestri quoque melior aestiva. Non stette, la quale vantaggia ogni altro aromo. Mi dani ex myrrha portiones deo, quouiam et apud gliore è quella che gronda dall' albero dome alios nascitur. Regi tamen Gebanilarum quartas stico, e quella che gronda la siate dal selvatico. partes ejus peuduut. Cetero*passim a vulgo coem Della mirra nou dauao la parte al dio, perch'ella ptam in folles conferciunt, noslrique unguentarii nasce ancora in altri paesi : nondimeno ne daaoo digerunl baud difficulter odoris atque pingue le quarta parte al re dei Gebauili. 11resto si com pra e si vende da chi che sia, e meltesi iu secchi dinis argumentis. di cuoio: i nostri profumieri facilmente la co noscono all' odore e ella grassezze. 16. Genera complura: Troglodylica silve16. Sono più sorti di .mirra: la Trogloditica slrium prima. Seqpens Minaea, in qua el Aire- nata uelle selve è la principale. La seconda è la mitica est, et Ausaritis Gebanilarum regno. Ter Miuea, nella quale è Γ Atra mi tira, e l ' Ausante tia Dianilis. Quarta collatitia. Quinte Sembra dei regno dei Gabauiti. La lena è la Dianite. La cene. a civitate regni Sabaeorum mari proxima. quarta è la collalizia, ovvero reecolta qua e là. Sexta, quam Dusarilin vocant. Est el candida La quiuta è le Sembracene,così detta da una ciltà uno tantum loco, quae in Messalum oppidum del regno dei Sabei vicina al mare. Le sesia si confertur. Probatur Troglodylica pinguedine, el chiama Dusarile. V' è anco la bianca solamente quod aspectu aridior est, sordidaque ac barbara, iu un luogo, la quale portano nella citlà di Mes sed aurior ceteris. Sembracene praedictis caret salo. Conoscesi la Trogloditica alla grassezza, e vitiis, ante alias bilaris, sed viribus teouis; io perchè a vederla è più sordida e barbara, ma piò plenum autem probalio est minutis glebis, uec forte che P altra. La Sembracene non ha qoesli rotundis, in concretu albicantis succi et tabe difetti, ed è più che l 'altre allegre, ma di poca scentis; ulque fracla candidos ungues habeat, forza. La perfetta prova è nei pezzi minuti e oou gustu leniter amara. Secunda bonitas intus va tondi, e che iu unione abbia sugo bianco e lì ria. Pessima, intus uigra : pejor, si eliam foris. quido, e quando si rompe abbia l'estremità bian Pretia ex occasione ementium varia. Stactae vero che, e al gusto sia un poco amara. La seconda a xiu ad x l . Sativae summum, x. xi. Erythraeae, bontà è, che dentro sia varie. La pessima è den ad xvi. Hanc volunt Arabicam inlelligi. Troglo- tro nera; peggiore ancora, s 'ella i nera di fuori. dyticae nucleo, xvi ; ejus vero, quam odorariam 1 pregi soo diversi, secondo P occasione dei com vocant, xiv. Adulteratur lentisci glebis, et gom pratori. li pregio della stelle è da tredici a q u a mi. Item cucumeris succo amaritudinis causa : ranta danari la libbra. Della saliva il più è fitto
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XII.
sicut ponderis, spuma argenti. Reliqua vitia de prehenduntur sapore : gummis, dente lentescens. Fallacissime autem adulteratur Indica royrrha, quae ibi de quadam spina colligitur. Hoc solutu pejus India affert, facili distinctione: tanto de terior est.
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a undici danari la libbra: della Eriterea fino a sedici. E questa vogliono che s' intenda per Arabica. Il pregio della Trogloditica è fino a se dici danari la libbra, e di qaella, che si chia ma odoraria, a quattordici. Falsificasi con le zolle del lentisco, e con gomma, e anco col sugo del cocomero per rispetto dell* amaritudine, e con la schiuma dell' argento per cagion del peso. Gli altri difetti suoi si conoscono assaggiandola, per chè se è gommosa impiastra i denti. Con gran dissimo inganno si falsifica con la mirra d'india, la quale si ricoglie quivi di una certa spina. Questa sola cosa nasce in India peggiore che al trove, e tanto peggiore, che agevolmente si co nosce. D bl
mastico.
XXXVI. 17. Ergo transil in mastichen, quae XXXVI. 17. Passa dunque in mastice quella et ex alia spina fit in India, ilemque in Arabia : che ai fa in India di un altro pruno, e in Arabia lainam vocant. Sed masliche quoque gemina est: ancora, e chiamasi laina. Ma il mastice pure è di qnooiam et in Asia Graeciaque repentur herba due sorti, perchè in Asia e in Grecia si trova radice folia emittens, el carduum similem malo, un' erba, la quale mette le foglie sulla radice, seminis plenam: lacryroaque erumpit incisa par ed ha il cardo simile a una mela, pieno di seme; te summa, vix at dignosci possit a mastiche vera. e la lagrima che ella getta tagliandosi la cima, Nec non et tertia in Ponto est, bilaminis simi è in maniera, che a fatica si conosce dal vero ma lior. Laudatissima autem Chia candida, cujas pre stice. Éccene un'altra sorte in Ponto, più simile tium in libras xx, nigrae vero xu. Chia e lentisco al bitume. Quella dell'isola di Scio è la migliore, traditur gigni gnmmi modo: adulteratur, ut ed è bianca; il cui pregio è venti danari la libbra, e la ner» dodici. Dicesi che quella di Scio nasce del thara, resina. lentisco a modo di gomma. Falsificasi con la ra gia, come lo incenso. D b ladano b t sto b o l o .
XXXV11. Arabia etiamnum et ladano glori»* tur : forte casuque hoc et injuria fieri odoris, plures tradidere. Capras maleficum alias fron dibus animal, odoratorum vero fruticum appe tentius, tamquam intelligaut pretia, germinum caules praedulci liquore turgentes, distillaotemque ab his ( casus mixtura ) succum improbo barbaram villo abstergere : hunc glomerari pul vere, incoqui sole : et ideo in ladano caprarum pilos esse : sed hoc aon alibi fieri, quam in Na bataeis, qui sunt ex Arabia contermini Syriae. Recentiores ex auctoribus strobon hoc vo cant : traduntque silvas Arabum pastu caprarum infringi, atque ita succum villis inhaerescere: verum autem ladanum Cypri insulae esse (u t obiler quaeque genera odorum dicantur, quamvis nou terrarum ordine) : similiter hoc et ibi fieri tradunt, et esse oesypum hircorum barbis genibusque villosis haereos, sed ederae flore deroso, pastibus matutinis, quum et rorulenta cypros.
D b l l a u d a bo b d b l l o str o b o .
XXXVII. L'Arabia si gloria del laudano, il qaale, secondo che alcuni dicono, si viene a fare a caso, e per ingiuria dell’ odore. Le capre, ani male molto dannoso alle foglie, e desideroso degli odori, come se conoscessero di pascere cose pre ziose, rodono di quest' albero i torsi germoglian ti, e pieni di dolcissimo licore, e con la barba le vano il sugo, che da essi gocciola. Questo si rappallottola iu polvere, e ricuocesi dal sole ; onde avviene, che con esso mescolano i peli loro. Ma questo non si fa se non nel paese de' Nabatei, i quali confinano con la Soria. 1 più moderni autori lo chiamano slrobo, e dicono, che le capre pascendo le selve di Arabia, rompono questi alberi, onde dipoi nel laudano si veggono i peli loro ; che però il vero laudano nasce nell'isola di Cipri (per ragionare di tutte le sorli degli odori, senza ritener l'ordine de' paesi). Dicono similmente, che si fa quivi, e che si truova appiccalo alle barbe, e alle ginocchia vellose de'becchi, ma roso il fiore della edera, nel pascer
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PLINII SECUNDI
Deinde nebula solem discussa, pulverem maden tibus villis adhaerescere, atque ita ladanum de pecti. Sont qui herbam in Cypro, ex qua id fiat, ledam appellant ( etenim illi ledanum vocant ) : hujus pingue insidere : itaque attractis funiculis herbam eam convolvi, atque ita offas fieri. Ergo in utraque gente bina genera, terrenum et factitiuin. Id quod terrenum est, friabile : factitinm, lentum. Necnon et frutioem esse dicunt in Carmania, et super Aegyptum per Ptolemaeos translatis plantis : aut (ut alii) generante et id tburis arbore: colligique, ut gunimi, inciso cortice, et caprinis pellibus excipi. Pretia sunt laudatissimo in libras, asses xi.. Adulteratur myrti baccis, et aliis ani malium sordibus. Sinceri odor debet esse ferus, et quodam modo solitudinem redolens : ipsum visu aridum, tactu statim mollescere, accensum fulgere, odore jucundo gratum. Myrtata depre henduntur crepitantque in igne. Praeterea sin cero calculi potius e rupibus inhaerent, quam pulvis.
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della mattina, quando il cipri è rugiadoso. Dipoi avendo il sole cacciata la nebbia, la polvere s'at tacca a' velli bagnali, e così si pettina giù il lodano. Sono alcuni, che chiamano quella erba, onde ei si fa in Cipri, leda (perciocché quivi si diman da lodano). Dicono che ti ferma nel grasso di essa : onde tirando certe funi convolgono qudla erba, e così lo ragunano liquido in forma di cota appastricciata. In astendue qaesti paesi dunque sono due sorti di lodano, terreno e fattizio. Il terreno si stritola, il fattizio è viscoso. Dicouo ancora, che sono sterpi in Carroania, e sopra l'Egitto, perchè i Tolemei vi fecero condurre le piante, ovvero, come alcuni altri dicono, il lodano nasce nell*albero dell' incenso e si raccoglie come gomma, intaccando la scoria, e ricevesi in pelli di capra. Il pregio del migliore sono quaranta assi la libbra. Falsificasi con le coccole di mortine, e con altre brutture di ani mali. Lo odore del vero debbe esser sdraggio, e sapere in un certo modo di solitudine : a ve derlo parere arido, e a toccarlo diventar morbi do, acceso rilucere, e gettare buono odore. Se è mirrato, scoppia n d fuoco. Nel vero «ono pi alto· sto pietruiie, quali veggiarao essere nelle ripe dei onli, che non polvere. E sbh o .
XXXVIII. In Arabia et olea dotatur lacryma, XXXVIli. In Arabia gli ulivi ancora gettano qua medicamentum conficitur, Graecis enhaemon liquore, del quale i Greci fanno una medicina,che dictum, singulari effectu contrahendis vulnerum si chiama enemo, la quale è ottima a levare le cicatricibus. In maritimis eae fluctibus aestuque margini delle ferite. Nelle maremme queste pian operiuntur. Nec baccae nocetur, quum constet et te van coperte dalle escrescenze del mare, senza in foliis salem relinqui. Haec sunt peculiaria però che le ulive ne ricevano nocumento ; il chc Arabiae : ct pauca praeterea communia, alibi di si conosce per lo sale che rimane sulle foglie. cenda, quoniam in iis vincitur. Peregrinos ipsa Queste son cose peculiari dell'Arabia. Altre an mire odores et ad exteros pelit.Tanta mortalibus cora ve ne sono, ma comuni con altri paesi, le suarum rerum satietas est, alienaruraque aviditas. quali vogliono esser dette altrove, perchè rappor to a queste l ' Arabia è da meno. Fa maraviglia eh'essa chieda gli odori anche da genliesterne ; tanto è vero che hanno · noia gli uomini le cose proprie, e bramano Γ altrui. Bea to s a bbo b.
XXXIX. Petunt igitnr in Elymaeos arborem bralum, cupresso fusae similem, exalbidis ramis, jucundi odoris accensam, et curo miraculo Histo riis Claudii Caesaris praedicatam. Folia ejus in spergere potionibus Parthos tradit. Odorem esse proximum cedro, fumumque ejus conlra ligna alia remedio. Nascitur ultra Pasiligrin in finibus oppidi Sitlacae in monte Zagro.
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beato.
XXXIX. Vanno adunque nel paese degli Elimei a torre l'albero brato simile al cipresso aper to, con rami biancheggianti, e di buono odore quando s'abbrucia; il quale albero è con maravi glia lodato nelle istorie di Claudio imperadore. che scrive, come i Parli mettono le sue foglie nelle bevande. L 'odore suo è quasi come q u d l o del cedro, e il suo fumo è rimedio contra il putire degli altri legni. Nasce olirà il fiume Pasiligre ai confini della dttà di Sittaca, sul moute Zagro.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XII. S t KOBOM ABBO*<
D e l l ' a l b e r o stb o b o .
XL. Petunt el in Carnunos arborem slroburn ad suffitus, perfusam vino palmeo accendentes. Hujus odor redit a cameris ad solum jucundas, sed adgravans capita, citra dolorem tamen. Hoc somnum aegris quaerunt. His commerciis Carras oppidum aperuere, quod est illis nundinarium. Inde Gabbam omnes petere solebant, dierum xx itinere, et Palaestinam Syriam : postea Characem peli coeptum, ac regna Partborpm ex ea causa, auctor est Juba. Mihi ad Pereas etiam prius ista portasse, quam in Syriam aut Aegyptum, viden tur, Herodoto teste, qui tradit singula millia ta lentum thuris annua pensitasse Arabas regibus Persarum.
XL. Vanno anco in Carmania per uno albero, che si chiama strobo, il quale ardono per profu mo, ma bagnanlo col vino delle palme. L’ odor di questo albero è più soave, quando dalle volte delle camere ritorna iu giù a tèrra, ma aggrava il capo, però senza dolore. Usano questo profumo per far dormire gli ammalati. A questi traffichi hanno aperta la città della Carra, dove fanno le lor fiere. Di quivi venivano a Gabba lontana venti giornate, e a Palestina di Siria. Per questa mede sima ragione dipoi cominciarono ire a Carace, e nei regni dei Parti, siccome scrive Giuba. Ma a me pare, che essi conducessero prima queste cose in Persia, che in Siria, o in Egitto ; di che ho testimonio Erodoto, il qual dice, che gli Arabi pagavano ogni anno ai re di Persia mille talenti d' incenso. Di Siria portano a casa loro lo storace, il quale perchè è di odore acuto, lo pongono sul fuoco per cacciare la noia delle loro legne, ancora che essi non usino altre legne che odori fere. I Sa bei cuocono i cibi lo r· con legne d ' in censo, e alcuni altri con quelle della mirra, e non è diverso fumo nelle città, e ne1 villaggi, che si sia negli altari. Per levare dunque questo odore ardono lo storace in pelli di becchi, e fanno profumi in casa : tanto è vero che non c’ è sì gran piacere, che con I’ usarlo troppo non venga a noia altrui. Fanno il medesimo profumo per cacciar le serpi, le quali sono in grandissima quantità nelle loro odorifere selve.
E x Syria revehunt styracem, acri odore ejus in focis abigentes suoram fastidium. Celero, non alie ligni genera sunt in usu,quam odorata : cibos· que Sabaei coquunt thuris ligno, alii myrrhae; oppidorum vicorumque non alio, quam ex aris, forno atque nidore. Ad hunc ergo sanandum urunt styracem in pellibus hircinis suffiuntque lecta. Adeo nulla est voluptas, quae non assidui tale fastidiam pariat. Eumdem et ad serpentes fugandas urunt, in odoriferis silvis frequenlissimas.
JD s FELICITATE A b a BIAB.
D e ll a f e l ic it à d b l l ' à b a b ia .
XLI. 18. Non sunt eorum cinnamomum aut casia : et tamen Felix appellatur Arabia, falsa el ingrata cognominis, quae hoc acceptum superis ferat, quum plus ex eo inferis debeat. Beatam illam fecit hominum etiam in morte luxuria, quae diis intellexerat genita, adhibens urendis defunctis. Periti rerum asseverant, non ferre lantum aonuo fetu, quantum Nero princeps no vissimo Poppaeae suae die concremaverit. Aesti mentur postea toto orbe singulis annis tot fune ra, acervalimque congesta honori cadaverum, quae diis per singulas micas danlur. Nec minus propitii erant mola salsa supplicantibus, immo vero (ut palam est ) placatiores. Verum Arabiae etiamnwn felicius mare est : ex illo uamque mar garitas mittit. Miniraaque computatione millies centena millia sestertium annis omnibus India et Seres, peninsulaque illa imperio nostro adimunt. Tanto nobis deliciae et feminae constant ! Quota
XLI. 18. Non ha P Arabia cinnamomo, nè cassia, e nondimeno è chiamala Felice, falsa e ingrata di questo soprannome, cui essa riconosce dagli dei celesti, dove piuttosto ne è debitrice a quegli di sotterra. Felice l’ ha falla la soverchia pompa degli uomini ancora nella morie, usando nell*abbruciare i defunti quelle cose, che si conoscevano esser nate per gli dei. Gli uomini pratichi delle cose del mondo dicono, che ella non ricoglie tanto in un anno, quanto Nerone im peradore ne arse nel mortorio di Poppea sua mo glie. Sliminsi dipoi tante esequie per tulio il mon do in lutto l'anno, e quanto si rauna in un corpo morto di quello, che agli dei si dà a granella. Nè però erano essi meno favorevoli a quegli, che sacrificavano una pulliglia di farro e di sale, anzi molto più, come manifestamente si vede. Ma molto più felice ancora è il mare di Arabia, perchè da esso vengono le perle. E l ' India e i
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C. PLINII SECUNDI
enim portio ex iliis ail deos quaeso jam, uli ad inferos, perlinet ?
De
c in n a m o .
De
x y l o c in n a m o .
XLII. 19. Cinnamomum et casias ' fabulose narravit antiquitas, princepive Herodotus, avium nidis, et privatim phoenicis, in quo situ Liber pater educatus esset, ex inviis rupibus arboribusque decuti,carnis quam ipsae inferrent pondere, aut plumbatis sagittis. Item casiam circa palud.es propugnante unguibus diro vespertilionum ge nere, aligerisque serpentibus: his commentis augentes rerum prelia. Comitata vero fabula est, ad meridiaui solis repercussus inenarrabilem quemdam universitatis halitum e tota peninsula existere, tot generum aurae spirante concentu, Magnique Alexandri classibus Arabiam odore primum nuntiatam in altum. Omnia falsa, siqui dem cinnamomum, idemquecinnamuro, nascitur in Aethiopia Troglodytis connubio pèrmixta. Hi roercanles id a conterminis, vehunt per maria vasta ratibus, quas neque gubernacula regant, neque remi trahant vel impellant, non vela, non ralio ulla adjuvet, quum omnium instar ibi sint, homo tantum et audacia. Praeterea hibernum mare exigunt circa brumam, Euris tum mexime flantibus. Hi recto cursu per siuus impellunt, atque a promontorii ambitu Argesle deferunt in portum Gebanilarum, qui vocatur Ocelis. Quamobrem illi maxime id petunt, produntque vix quinto anno reverti negotiatores, et multos interire. Contra revehunt vitrea, et ahena,vestes, fibulas cum armillis ac monilibus. Ergo negotia tio illa feminarum maxime fide constat.
Ipse frutex duum cubitorum altitudine am plissimus, palmique minimus, iv digitorum cras situdinis, statim a terra sex digitis surculosus, arido similis. Quum viret, non odoratus, folio origani, siccitate gaudens, sterilior imbre, cae duae naturae. Gignitur iu planis nuidem, sed densissimis in vepribus, rubisque, difficiifs rolleclu. Metilur non nisi permiserit deus (Jovem hunc intelligunt aliqui : Assabinum illi vocant):
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popoli Seri, e quella penisola cavano ogni anno dal nostro imperio, per minimo conto che si fac cia, mille milioni di sesterzi!. Tanto costano a noi le pompe e le donne. Nè maggior parte si fa di queste agli dei del cielo, che si faccia agli dei dell' inferno. Dbl
c in n a m o m o .
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s il o c ih n a m o m o .
XL11.19. Una favola degli antichi,ed Erodoto principalmente, raccontò che il cinnamomo e la cassia si trovauo ne' nidi degli uccelli, e special mente in quello della fenice, nel paese dove fu nutrito Bacco, e che è fatto cadere dalle ripe inaccessibili e dagli alberi per lo peso della carne, che essi vi portano, o con le saette impiombate; e che la cassia si truova intorno a certe paludi, dove la difendono con l'ugna loro nna crudel sorte di pipistrelli, e di serpenti con Tali; e con questi trovali rincarano i pregi delle oose. Ma dipoi s 'è aggiunto alla favola, che alle riflessioni del sole di mezzogiorno nasce «n certo alilo indicibile di tutta quella contrada, composto dallo spirare di tante diverse aure odorose, tanto che la flotta di Alessandro Magno s'avvisò del1' Arabia dall' odore che ne sentiva fino nell'alto mare. Cose false tutte quante, perciocché il cinna momo, che è il medesimo ebe il cinnamo, nasce in quella parte dell’ Etiopia eh' è mescolata coi Trogloditi pei matrimonii che contraggono insie me. Questi comprandolo dai vicini loro, Io por tano per grandissimi mari, con foderi o zattere, i quali son navili che non si governano con timoni, nè con remi, nè con vele, nè con altra ragione di navigare, servendo in cambio di tutte queste cose l’ ardimento dell' nomo. Navigano di mezzo verno, quando soffia il vento Euro, e vanno a dirittura per lo go(fo, e giralo il promontorio Argesle eh' è nella penisola dei Seri, entrano nel porto de' Gebaniti, che si chiama Oceli. 11 perchè essi traggono massimamente a quel promontorio, c si dice che appena dopo cinque anni ritornano da quel traffico, e che infratlanto ne muoiono di molli. Riportano indietro vetri, rami, vestimenti, ciulole con vezzi e collane. Questo negozio adun que provvede nella massima parte all’ ornato delle donne. Lo sterpo stesso d d cinnamomo, qaando è più lungo, non passa due braccia, e non è minore d' un palmo, grosso quattro dita, e infiuo a sei dita da terra- è pieno di fuscelli, e pare quasi secco. Verde non getta odore, ba foglia di origa no, si ^allegra del secco, e vieu più sterile, per la pioggia : non si sbarba, ma si taglia, e lasciasi da rimettere. Nasce in luoghi piani, ma pieni di pruni, di modo che è difficile da ricorlo. Non si
HISTORIARUM MDEVDI LIB. Xli.
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su r boum, capraruraqne, et arietum extis impe tratur venia caedendi. Non tamen aut ante ortum solis, aut post occasam licet. Ssrmenta basta di vidit sacerdos, deoqae partem ponit : reliquam mercator iu massas coodit. Est et alia fama cum sole dividi, ternasque partes fieri : dein sorte cremia discerni : quodque soli ceperit, relinqui, ac sponte conflagrare.
Praecipua bonitas virgultorum tenuissimis partibas, ad longitudinem palmi. Secunda pro ximis breviore mensura, atque ita ordine. Vilis simum, qaod radicibus proximum, quoniam ibi minimum corticis, in quo summa gratiae. Qua de causa praeferuotar cacumina, ubi plurimus cortex. Ipsum vero liguum in fastidio est, pro pter origani acrimoniam : xylocinnamomum vo catur. Pretium est in libras xx. Quidam cinnami duo genera tradidere, candidius, nigriusque. Quondam praeferebatur candidam, nuoc contra nigrum laudatur, atque etiam varium praeferant candido. Certissima tamen aestimatio ne sit scabrom, atque ut inter sese tritum tarde frietur. Damoaturio primis molle, aut cai labitar cortex.
Jus ejus a Gebanitarum rege solo proficisci tor: is edicto mercatu vendit. Pretia quondam luere in libras deoarium millia. Auctum id parte dimidia est, incensis, ut ferunt, silvis ira barba rorum. Id acciderit ob iniquitatem praepoten tium, an forte, non salis constat. Auslroi ibi tam ardentes flare, ut aestatibus silvas accendaul, in venimus apud, auctores. Coronas ex cinnamo in terrasili auro inclusa^, primus omnium in templis Capitolii atque Pacis dicavit imperator Vespa sianus Augustus. Radicem ejus raagoi ponderis vidimus in palatii templo, quod fecerat divo An gusto conjux Augusta, aureae paterae impositam: ex qua guttae editae annis omnibus in grana durabantur, donec id delubrum incendio con sumptura est. C a sia .
XL1II. Frutex et casia est, juxtaqne cinnami campos nascitur: sed in montibus crassiore sar mento, lenai cule verius, quam cortice, quem contra atque in cinnamo, levari el exinaniri pre tium est. Amplitudo frutici trium cubitorum. Color triplex. Quum primum emicat, candidus pedali mensura: dein rubescit addito semipede: ultr» nigricans. Haec pars maxime laadatur, ac
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miete, se il dio non dà licenza (e qaesto dio tengono alcani che sia Giove : essi lo chiamano Assabino), la qaale s1 impetra da lui coi sacrificio di quarantaquattro buoi, capre e montoni. Ma però non si paò mietere, se non o innanzi che il sole si levi, o dopo che egli è tramontato. 11 sacerdote divide i sarmenti con an' asta, e una parte ne piglia per lo dio, e l ' altra il mercatante ripone in masse. Altri dicono, che ei si divide col sole, e fassene tre parti, e si trae a sorte il quanto se n' ha ad ardere ; e che la parte che tocca al sole, per sè stessa s 'abbrucia. La migliore è la più sotti) parie delle verme ne insin» ad an palmo : di poi la parte prossima, ma pili corta, e cosi per ordine. La parte dunque vicina alle radici è vilissima, perchè quivi è pochissima scorza, dove consiste tulio il pregio. E perciò le cime sono tenute sempre le migliori, perchè hanno molta scorza. Il legno sazia troppo, perchè egli ha appunto quello amarognolo, che ha lo origano, e chiamasi silocinnamorao. Il prez zo è venti assi la libbra. Altri dicono che vi sono due sorti di cinnamomo, bianco e nero. Il bianco era gii tenuto il migliore, ora il nero si pregia più. Il vario ancora si slima più che il bianco i ma soprattutto a voler conoscere il buono, a' ha da guardare che non sia rosliglioso, e che fregato insieme si stritoli tardi. È riputalo cattivo il morbido, e quello che ha la scorza bianca. Ogni diritto di questo è del re de* Gebaniti, e vendesi per sua commessione. Anticamente vale va mille danari la libbra : s*è dipoi rincarato il doppio, avendo i barbari adirali arse le selve ; nè si sa certo, se di ciò fu cagione la insolenzà e malignila de* grandi, o la sorte. Scrivono alcuni, che i venti di mezzogiorno vi sono si caldi, che la siale accendono le selve. Vespasiano impera dore fu 'il primo, che nei templi del Capilolio e della Pace dedicò corone di cinnamomo legalo in oro pulito. Noi vedemmo nel lempio, che l’ imperadrice fece in palagio all' imperadore sao marito, una radice di gran peso, posta in una tazza di oro, della quale ogni anno uscivano gocciole, le quali si rassodavano, é diventavano granella, fin che quel tempio arso. D e lla
c a s s ia .
XLI1I. La cassia è sterpo anch'ella, e nasce ap presso le campagne del cinnamomo ; ma oe'monlt fa più grossi sarmenti, e piultosto ha buccia, che scorza, la quale al contrario che nel cinnamomo è utile a nettarla e volarla. Questo sterpo è alto tre braccia, ed è di tre colori. Quando egli esce della terra fino a che è alto un piede, è bianco, dipoi un mezzo piede rosseggia, e più là nereggia.
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C. ΡΟΝΙΙ SECONDI
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deinde proxima : damnatur vero candida. Con· secant sarculos longitudine biaum digilorum : mox praesuunt recentibus coriis quadrupedum ob id interemptarum, ut iis putrescentibus ver miculi lignum erodant, et excavent corticem tu tum amaritudine. Probator recens maxime fer vens potius, quam lento tepore leniter mordens, colore purpurae, quaeque plurima minimum pon deris faciat, brevi tunicarum fistula, et non fra gili. Laetam vocant talem barbaro nomine. Alias est balsamodes, ab odore simili appellata, sed amara, ideoque utilior medicis, sicut nigra un guentia. Pretia nulli diversiora. Optimae in li bras x. L, ceteri», x. v.
20 . His addidere mangones, quam dapbnoiden vocant, isocinnaraon cognominatam : pretiuraque ei faciunt x. ccc. Adulteratur styrace, et propter similitudinem corticum, lauri tenuis simis surculis. Quin et in nostro orbe seritur : extremoque in margine imperii, qua Rhenus adluit, vivit in alveariis apum sata. Color abest ille torridas sole, et ob id simul idem odor.
C arcam d· .
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α &π ν .
XLIV. lix confinio casiae cinnamiquc, et can*· camum ac tarum invehitur, sed per Nabataeos Troglodytasque qui considere ex Nabataeis.
S e r ic h a t u ii . G aba lid * .
Questo è teouto il migliore, dipoi il rosso: il bianco è il più vile. Tagliano le vermeoe lunghe due dita e poi le cacciano io cuoi freschi di animali morti per questo effetto, acciocché mar cendosi faociaoo vermini, che rodano il legno, e incavino la corteccia che non è da lor tocca per l'amaritudine. A conoscersi la fresca, massima mente si vuole che abbia dilicatisdmo odore, e che a gustarla molto frizii in bocca, piuttosto ebe con tiepidezza leggermente morda, e ebe sìa di color porporino; e che essendo molta, pesi poco; e il bucciuolo della scorza sia piccolo, e non fragile. Questa tale si chiama latta oon barba ro nome. Un'altra specie è la balsamode, cosi detta perchè n* ha odor simile ; ma è amara, e perciò più utile a' medici, come la nera a' profa mi. Nessuna altra cosa ha prezzi tanto diversi : perciocché la migliore vale quaranta danari la lib bra, l ' altra quindici. ao. A quésti hanno aggiunto i mercanti quel lo, che chiamano dafnoide, cognominato isocinna momo, e fanno il prezzo di esso trecento danari. Falsificasi con lo storace, e, per la similitudine della corteccia, coi sol lil issi mi ramoscelli dell'al loro. Piantasi ancora nelle nostre parli ; e a'eonfini del nostro imperio, dove corre il Reno, vìve piantata fra le casse delle pecchie. Non ha il colore abbronzalo dal sole, e per questo non ha anoora il medesimo odore. D ii
cahcamo.
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taro.
XL1V. Dal paese della cassia e del cinnamomo si porta anco il cancamo e il taro, ma per terra de' Nabatci^e de* Trogloditi, i quali vicinano eoo essi. Dn
s s a ic A T o .
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g a b a lio .
XLV. at. Eo comportatur et serichatum, et gabalium, quae intra se consumuut Arabes, no stro orbi tantum nominibus cognita, sed cum cinnamo casiaque nascentia. Pervenit tamen ali quando serichatum, et in unguenta additur ab aliquibus. Permutatur in libras x. vi.
XLV. ai. Con qaesto si porta ancora il sericalo e il gabalio, i quali consumano fra loro gli Arabi, nelle nostre parti non conosciuti se noo per nome. Questi nascono col cinnamomo e con la cassia. Vienci però alcuna volta il sericato, e da alcuni è adoperato nei profumi. Vale dieci da nari la libbra.
M y ro ba la rd s.
D ee . H iaoBA LA ffo.
XLVÌ. Myrobalanum Troglodytis, et Thebai di, et Arabiae, quae Judaeam ab Aegypto dister minat, commune est, nascens ungnento, ut ipso nomine apparet. Quo item indicatur et glandem esse arboris, heliotropio, quam dicemus inter herbas, simili folio. Fructus magnitudine avel lanae nucis. Ex his in Arabia nascens Syriaca
XLV1. Nasce il mirobalano nel paese dei Trogloditi, nella Tebaide e nell' Arabia, la quale parte la Giudea dall' Egitto, per farne profano, come appare per esso nome. Per il quale medesi mamente si mostra essere ghianda di albero, simile nelle foglie allo elitropio, di coi ragione remo fra l ' erbe. 11 frutto è grosso quanto ona
u 8ì
HISTORIARUM MUNDI LIB. XII.
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appellatur, et eet candida : contra in Thebaide nigra. Praefertur illa bonitate olei, quo
nocciuola. Quello che nasce in Arabia si chiama Siriaco, cd è bianco ; quel di Tebaide è nero. 11 Siriaco è tenuto migliore per la bontà dell'olio che se ne cava ; ma il Tebaico per 1'abbondauza. Fra qoesti il Trogloditico è riputalo vilissimo. Sono alcuni che stimano Γ Etiopico più che tutti, il quale la una ghianda nera, ma non grassa, e ha il di dentro fragile ; ma dà più odorato licore, quando si spreme, quello che nasce nelle campa gne. L ' Egizio è più grasso, e rosseggia con più grossa scorza, e benché nasca in luoghi paludosi, è più corto e più secco. Al contrario 1' Arabico è verde e più sottile ; e perchè uasce nei monti, è più denso. Ma di gran lunga migliore è quello della città di Pelrea, di cui già dicemmo, il quale ha la scorza nera, e il di deolro bianco. I profu mieri premono solo il sugo della scorza, i medici pestano quel di deutro, mettendo io esso a poco a poco acqua calda.
P hobhicobalabos.
D E L FBBICOBALAtro.
X L V II. sa. Myrobalano in unguentis similem proximutnque usum habet palma in Aegypto, quae vocatur adipsos, viridis, odore mali coton e i, nullo intus ligno. Colligitur autem paullo ante, quam incipiat maturescere. Quod si relin quatur, phoenicobalanus vocatur, et nigrescit, vescentesque inebriat. Myrobalano pretium in libras x. bini. Institores et faecem unguenti hoc nom ine appellant.
X LV I 1. aa. Iu Egitto è una palma, che si chiama adipsos, d ' odore di pomo cotogno, senza alcun legno dentro, della quale si fa oso simile al mirobalano nei profumi. Raccogliesi poco innaozi che incominci a maturarsi. Quello che rimane si chiama fenicobalano, e nereggia, e fa ubbriacare coloro che ne mangiano. Il pregio del mirobalano è dieci danari la libbra. I mercatanti con qoesto nome chiamano ancora la feccia dello unguento.
D b CALAMO ODORATO : DB )D*CO ODORATO. X LV III. Calamus quoque odoratus in Arabia nascens, communii Indis atque Syriae est, in qua v in cit omnes, a nostro mari centum L stadiis. In ter Libanum montem, aliumque ignobilem, non ( ut quidam existimavere ) Antilibanum , in convalle modica juxta lacum, cujus palustria aestate siccantur, tricenis ab eo stadiis calamus et juncus odorati gignuntur. Sane enim dicamus et d e junco, quamvis alio herbis dicato volumi n e , quoniam tamen hic unguentorum materia tractatur. Nihil ergo a ceteris sui generis diffe r a n t aspectu : sed calamus praestantior odore, statim e longinquo invitat, mollior tactu, meliorq n e qui minos fragilis : et qui assulose potius, q u a m raphani modo frangitur. Inest fistulae araneum , quod voeant florem. Praestantior est, c u i numerosius. Reliqua probatio, ut niger sit. D am n atur aliubi. Melior, quo brevior, crassiorq u e , et lentos in frangendo. Calamo prelinm in lib ra s, xi; junco, xv. Tradnntque juncum odora t u m et in Campania inveniri.
D el
c a la m o o d o r a t o : d b l g iu n c o o d o r a t o .
X LV 1H. Il calamo odorato ancora, il quale nasce in Arabia, è comune all' India e alla Siria, ma è migliore fra ceolo cinquanta stadii dal nostro mare. Fra il monte Libano e un altro monte ignobile, noo, come alcuni credono, Γ An tilibano, in una valle piccola, appresso un lago, i cui pantani si seccano la stale, lontano da esso trecento stadii nascono il calamo e il giunco odorali. Diremo adunque ancora del giunco, benché l ' erbe si riserbino a un altro volume, perciocché qui si |»arla d' ogni maleria da pro fumo. Nella forma non souo pnnto differenti dagli altri di quella specie, ma il calamo odorifero invila subito di lontano con l ' odore ; ed c più morbido e migliore quello eh' è manco fragile, e quello che si rompe a schegge, che quello che si schianta come il rafano. Nel bucciuolo è un ragnatele, che si chiama fiore ; e quello che ne ha più, è tenuto migliore. È aegoo ancora di bontà, che sia nero ; ed è tanto migliore, quanto è più corto e piè grosso, e che si piega nel romperlo. Il calamo vale la libbra undici danari,
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q. PLINII SECONDI
e il giunco quindici. Dicono che dei giunco odo rato se ne trova anche in Campagna. H m io r im i» .
D e l l ' a h voitiaco .
XLIX. Discessimus a terris Oceanum spectan tibus ad convexas in nostra maria.
XLIX. Noi ci siamo partili dai paoas che sono volti alPOceano, e venuti a quegli che scendono nei nostri mari. a3. Quella parte dell’ Africa % che è sotto Γ Etiopia, stilla nelle sue arene la lagrima, che si chiama ammoniaco, onde è* venuto il nome ancora a Giove Aminone, presso a eoi nasce l ' albero che si chiama metopio, e che la produce a oso di ragia e di gomma. Sono di due sorti ; una si chiama trauslo, simile all* incenso maschio, e questo è molto stimalo. L 'altro è grasso e ragioso, e si domanda firaraa. Falsificasi con le arene, come se nasceodo ne tragga seco. La pruova è, che sia di pezzi piccoli e purissimi. II prezzo del migliore sono quaranta assi la libbra.
a3. Ergo Aethiopiae subjeota Africa hammo niaci lacrymam stillat in arenis suis (inde nomine etiam Hammonis oraculo, juxta quod gignitur arbor ) : quam metopion vocant, resioae modo aut gummi. Genera ejus duo : thrauston, masculi thuris similitudine, quod maxime probatur: al terum pingue et resinosum, quod phy rama ap pellant. Adulteratur arenis, velut nascendo adprehensis. Igitur quam minimis glebis probatur, et quam purissimis. Pretium optimi in libras, asses x l .
S ph a g v o s .
L. Sphagnos infra eos situs in Cyrenaica pro vincia maxime probatur, alii bryon vocant. Se cundum locum obtinet Cyprius, tertium Phoe nicius. Fertur et in Aegypto nasci : quin et iu Gallia : nec dubitaverim. Sunt enim hoc nomine cani arborum villi, quales in quercu maxime vi demus, sed odore praestantes. Laus prima candi dissimis, atque altissimis : secunda rutilis, nulla nigris. Et iu insulis petrisque nati improbantur: omnesque quibus palmarum, atque non suus odor est.
C y p &os .
D e llo
spa g h o .
L. Quello che chiamano sfagno, è ottimo nella provincia di Cirene. Alcuni Ίο chiamano briou. 11 secondo grado tiene quello che nasce io Cipro, il terzo quello che in Fenicia. Dicesi che nasce ancora in Egitto e in Gallia ; nè io saprei porue dubbio. Questo medesimo nome baono certi peli bianchi degli alberi, come si veggono sulle querce, i quali hanno buonissimo odore. I migliori sono tenuti i bianchissimi e lunghissimi: nel secondo grado sono i rossigni ; i neri non valgon nulla ; e similmente si riprovano quei che nascono nell1 isole, e nellt pietre, e tulli quegli che hanno odore di palma, e non suo. D el
c ip k e o .
LI. a4- Cypros in Aegypto est arbor ziziphi foliis, semine coriandri, candido, odoralo. Co quitur hoc in oleo, premitnrque postea, quod cyprus vocatur. Pretium ei in libras, x. v. Opti mum e Canopica in ripis Nili nata : secundam Ascalone Judaeae : tertium Cypro insula, odoris suavitate. Quidam hanc esse diount arborem, quae in Italia ligustrum vocetur.
LI. a4· 11 cipero è ano albero in Egitto che ha le foglie di zizifo, il seme del coriandro, bianco e odorifero. Questo si cuoce nell'olio, e poi se nr spreme qoello, che si chiama cip.ro. Vale la libbra cinque danari. Ottimo è tenuto quello che nasce a Canopo sulla riva del Nilo, il secondo di qualità in Ascalona di Giadea, il terzo nell’ isola di Cipro per la soavità dell’ odore. Alcuni dicono cb< questo albero è quello, ebe in Italia si domanda ligustro.
A f f i M T H O I , SIVE BETSISCBPTBUlf.
D i l l * a s f a l t o , o v v e e o e a i s ii s c e t t r o .
L1I. In eodem tractu aspalalbos nascitor, spi na candida, magnitudine arboris modicae, flore rosae. Radix unguentis expetitur. Tradunt in quocumque frutice curvetur arcas coelestis* eam-
Lll. Nasce lo aspalto nel medesimo paese : bj gli spini bianchi, ed è albero piccolo, ed ha il fiore della rosa. La radice sna s'adopera nei pròfami. Dicono che qualunque sterpo, nel quale si
HISTORIARUM MUNDI U B . XII.
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dem qaae sit aspalatbi, suavitatem odoris exst itere; sed t i m M pilitko, inenarrabilem quam dam. Quidam eam erysisceptrum vocant, alii sceptrum. Probatio ejus ih colore ruto vel igneo, tactaque spisso, et odore castorei. Permota tar io libras x. ▼.
posa Pareo baleno, piglia la medesima soavità d’ odore, che è nell'aspalto, il quale I* ha infìoita. Alcuni lo domandano erisiscettro, altri scettro. La pruova sua consiste nel colore rossiguo, o focoso, e che al tatto sia spesso, e abbia odore di castoreo. Vendesi cinque danari la libbra.
Mabom.
D bl m abo .
L 1II. In Aegypto nascitor et maron, pejas qaam L ydium , majoribus follis ac variis. Illa brevia ac minata, et odorata.
L 1II. Nasce in Egitto ancora il maro, peggio re che quello di Lidia, con le foglie maggiori e varie. Quelle sono corte e minori, e odorifere.
D b BALSAMO, OPOBALSAMO, XYLOBALSAMO.
D b l balsamo , opobalsam o , silobalsam o .
LIV. 25. Sed omnibus odoribus praefertur balsamum, oni terrarum Jndaeae concessum, qaondam in duobus tantum horti·, utroque re gio, altero jugerum x x non amplius, altero paucioruu. Ostendere arbusculam hano Urbi impe ratores Vespasiani. Clarumque dictu, a Pompejo Magno in triumpho arbores quoqoe duximus. Servit nane haec, et tributa pendit cum sua ftente, in totum a)ia natura, quam nostri externique prodiderant. Quippe viti similior est, quam myrto. Malleolis aeri dicitur, nnper vineta, nt vitis: et implet colles vinearnra modo, quae sine adminiculis se ipse sustinent. Tondetur similiter fruticans, ac rastris nitescit, properatque nasci, intra tertiam annum fructifera. Folium proxi mam rutae, perpetua coma. Saeviere in eam Ju daei, sicut in vitam quoque suam. Contra defen dere Romani, et dimicatam pro frutice est. Se· ritqoe nane eum fiscus : nec unquam fuit nume rosior, aut procerior. Proceritas intra bina cubita subsistit.
Arbori tria genera. Tenui et capillacea coma, quod vocant eulherislon. Alterum scabro aspectu, iocurvum, fruticosum, odoratius: hoc trachy ap pellant. Tertium eumeces, quia est reliquis pro cerius, laevi cortice. Huic secunda bonitas, no vissima eulheristo. Semen est vino proximum gusta, colore rufum, nec sine pingui : pejus in grano, quod levius atque viridius. Ramus cras sior, quam myrto. Inciditur vitro, lapide, osseisve cultellis. Ferro laedi vitalia odit. Emoritur pro tinus, eadem amputari supervacua patiens. Incideutis manus libratur artifici temperamento, ne quid ultra cortioem violet.
LIV. a 5. Il balsamo avanza tutti gli altri odori, concesso solo al paese della Giudea ; e già per il passato solamente in due giardini, Γ uno e l'altro regio, l’uno di venti iugeri, l’altro minore. Questo arboscello fu mostrato in Roma dagli imperadori Vespasiani. È cosa notabile a dire, che gli alberi ancora fossero menati in trionfo da Pompeo Magno. Serve al presente questo albero, e insieme con la sua nazione paga tributo, ed è d 'altra natura, che già non hanno detto i nostri e gli scrittori stranieri, perciocch* egli somiglia molto piò la vite, che la mortella. Piantasi per magliuoli, siccome le viti, e se ne inarboran le colline come se di vigne ; ma qoesto arboscello si sostiene da sè stesso senza pali. Potasi anch’esso e zappasi ; e in tre anni fa frutto. Ha la foglia simile 311« rnta, e sempre la tiene. Furono I Giudei non punto meno crudeli contra questo albero, che contro la vita loro. All' incontro i Romani lo difesero ; e così si venne alle armi per un arbusto. Ora il fìsco Romano lo pianta e governa, nè ve ne faron mai in maggior numero, nè pià grandi. Qnesto albero non è maggiore che due braccia. Èccene di tre sorti : l ' uno, che ha le foglie sottili come capelli, e si chiama euterìsto. Il secondo è ruvido, torto, abbondante di germogli, e più odorifero : questo si domanda trachi. Il terzo dicesi eumece, perch* è maggiore degli altri, e ha la scorza liscia. Qnesto è in secondo grado di bontà, in terzo grado è l'euteristo. 11 seme suo a gustare ha del sapore del vino : è di color rosso, e non senza grasso, e il suo granello è peggiore quanto egli è più leggeri e più verde. Ha i rami più grossi che mirto. Intaccasi con vetro, con pietra, o con coltelli di osso. Se s'intacca con ferro, le sue parti vitali si vengono a seccare; e subito e* si muore, con tutto che sopporti che si potino le sue superfluità. Colui che fa la intacca tura, debbe usare diligenza che non tocchi più là che la scorza.
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C. PLINII SECUNDI
Succos e plaga manat, quem opobalsamum vocant, suavitatis eximiae, ted tenui gatta plo ra ta, lanis parva colligitur m cornua. Ex hb novo fictili conditur, crassiori similis oleo, et in musto candida. Rubescit deinde, simulque da* rescit e translucido, Alexandro Magno res ibi ge rente, toto die aeitivo unam concham impleri justum erat. Omni , vero fecunditate e majore horto congios senos, minore singulos, quum du plo rependebatur argento. Nunc eliam singula rum arborum largior vena, ter omnibus percuti tur aestatibus, postea deputatur.
Et sarmenta quoque in merce sunt, occ U-S amputatio ipsa «urculusque veniit intra qaintum devictae annum. Xylobalsamum vocatur, et co quitur in unguentis : pro succo ipsum subslituere oQiciuae. Corticis etiam ad medicamenta pretium est. Praecipua aqtem gratia lacrym ae, secunda semini, tertia cortici, minima ligno. Ex hoc bu· xosum est optimum, quod est odoralissimum : e semine autem maximum et ponderosissimum, mordens gustu, fervensqqe in ore. Adulteratur Petraeo hyperico : quod coarguitur magnitudine, inanitate, longitudine, odoris ignavia, sapore piperis. Lacrymae probalio, ut sit pinguis, tenuis, ac jnodice rufa, et in fricando odorata. Secundus candido colos, pejor viridis, crassusque, pessimus niger : quippe ut oleum senescit. Ex omni inci sura maxime probatur, quod ante semen fluxit. E t alias adulleralur seminis suoco, vixque mal er Acium deprehenditur fustu amariore : esse enim debet lenis, non subacidus, odore taulnm auste rus. Vitiatur et oleo rosae, cypri, lentisci, balani, terebinthi, myrti, resina, galbano, cera cypria, prout quaeque res fuit. Nequissime autem gam mi, quoniam inarescit in manu inversa, et in aqua sidit : quae probatio gemina est. Debet sin cerum et inarescere : sed hoc et gummi addita fragili crusta evenit. Et gusla deprehenditur. Carbone vero, quod cera resinaque adulteratum est, nigriore flamma. Nam meile rantatqm slatina in mana contrahit muscas. Praeterea sinceri den satur in tepida aqua gutta sidens ad ima vasa, ■adulterata olei modo innatat: et si.metopio vi tiata est, circulo candido cingitur. Summa prohatio est, ut lac coagulet, in vesle maculas non faciat. Nec manifestior alibi fraus :. quippe milli bus denarium, sextarii empti vendente fìsco tre centis denariis, veneunt : in tantum expedit an gere liquorem. Xylobalsamum pretium in li bras x. v.
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Il sago sao che esce della intaccato», e che si chiama opobelsmno, è di grandissima soavità, m a di piccola goccia. RicogUesi qaesto sago con lana, e si mettp in piccoli corni, e da qaesti si r i p o n e in yasi nuovi di terra; e d è simile a u n o l i o grosso, e quando è fresco, è bianco. Diventa poi rosso, e s 'indura e traluce. Quando Alessandro Magno guerreggiava in qoel paese, era assai, che in tutto un giorno di state se n'empiesse nna conca. Tutta la ricolta del maggiore giardino eran sei congi, del minore ano, e compera v a s i con doppio argento. Ma ora ciascuno albero fa molto più sugo, che non soleva, e intaccasi tre volte la state, di poi si pota. I sarmenti ancora sono in prezzo, e vendesi settecento sesterzi! la potatura, ovvero il pollone che ha pigliato e non ancora passò il quinto anno. Chiamasi silobalsamo, e caocesi ne’ profam i ; e nelle botteghe si adopera in cambio del sago. La scorza sua ancora è in prezzo nelle medicine. Ha credito prima la goccia, poi il seme, poi la s c o r i a : il legno n’ ha pochissimo. E ottimo il b a s s o s e , · simile al bosso, ed è odoratissimo : q u e llo che si trae del seme è più copioso e più petante : mor de gustandolo, e frizza in bocca. Falsificasi col Petreo iperico, che si conosce nella grandezza, leggerezza, lunghezza, debolezza di odore, e sapore di pepe. La pruova della lagrima è, che ella sia pìngue, sottile, e poco rossa, e odorìfera nello slropicciar-r la. 11 secondo è quello, .che è di color bianco x peggiore è il verde e grosso, e pessimo il nero, perchè egli invecchia come l'olio. Di ogni intac catura il migliore è quello che vien prima del seme. Falsificasi ancora col suo seme, e a fatica P inganno si conosce nel sapore più am*ro ; per ciocché egli debbe esser soave, e non acetoso, ma austero solo nell’odore. Falsificasi similmente con olio di rosa, di cipero, di lentisco, di balano, di terebinto, di m irto, con ragia, galbano, cera cipria. Ma il peggior modo di tutti è con la gomma, perchè s’ attiene, qoando si to lge la mano sotto sopra, e nell' acqua va al fondo ; la qual pruova è doppia. Debbe essere sincero, e riseccarsi ; ma ciò avviene anoora aggiugnendovi la scorza della gomma. Conosoesi ancora al fasto, ed eziandio nella bragia, se egli à falsificato oon la cera e con la ragia, perciocché fa la fiamma più nera. S’ egli è mescolato col mele, subito alletta le mosche. Olirà di ciò lo si rappiglia nell’acqua tiepida, e le gocce vanno nd ίο η φ del vaso ; il falsificato sta a galla, come l’ olio : e se si falsifica col metopio, ha an cerchio bianco intorno. La miglior pruova è, che rappigli il latte, e che non lasci macchia nel panno. Non c' è cosa, che scuopra più l’ inganno che questa,
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XII. perchè veggiamo che ona misura, che ai chiama sestario, il quale si rende a conto del fisco mille danari, si vende trecento ; con tanto guadagno si falsifica qaesto licore. 11 silobalsamo vale cinque danari la libbra. Styrax.
D e l l o sto r a ce .
LV. Proxima Judaeae Syria sapra Phoenfcen styracem gignit, circa Gabala, et Marathonia, et Casium Seleuciae montem. Arbor est eodem no mine, cotoneo malo similis, lacrymae et austero jucundioris, intus similitudo arundinis, succo praegnans. In hane circi Canis ortus advolant pennati vermiculi erodentes : ol» id in scobe sor descit. Styrax laudatur post supra dieta ex Pisi d ia , Sidone, Cypro, Cilicia, Creta minime. Ex Amano Syriae medicis, sed unguentariis magis. Colos in quacumque natione praefertur rufus, et pinguiter lentus: deterior furfurosus, et cano sito obductus. Adulteratur cedri resina vel gum in i, alias meile, aut amygdalis amaris : omniaque ea deprehenduntur gustu. Pretium optimo, x. V m . Exit et in Pamphylia, sed acrior, minosqoe succosus.
LV. Nella Siria che è prossima alla Giudea, là dove sovrasta la Fenicia, nasce lo storace sui dintorni di Gabala, di Maratunta, e del Casio, monte di Seleucia, da un albero che ha lo slesso nome, ed è simile al melo cotogno : la lagrima sua è dilettevole per rispetto del sapor brusco che ella ha. Dentro è forata a guisa di canna, e piena di sago. In essa volano certi vermini con Γ ali, in torno al nascere della Canicola, i quali la rodono ; per queslo si stritola, e diventa polvere. Dopo quello dei luoghi suddetti è lodato lo storace dì Pisidia, di Sidone, di Cipro, di Cilicia, ma nou già di Creta. Quello che nasce nel monte Amano di Siria, è buono per servigio dei medici* ma migliore per li profumieri. Di qualunque paese si sia, lodasi il color rossigno, e alquanto viscoso. Quello che ha forfora, ed è bianco, è manco buono. Falsificasi con ragia di cedro o con gomma, o con mele* o con mandorle amare : e tutti questi inganni si conoscon al gusto. Il prezzo del migliore è otto danari la lihbra. Nascé ancora in Panfilia, ma più forte, e di manco sago.
GALBARtnt.
D e l galbano .
L V l. Dal et galbanom Syria in «odem Amano monte e ferula, quam ejusdem nominis resinae modo stagonitin appellant. Quod maxime lau d ant, cartilaginosum, purum ad similitudinem hammoniaci, minimeque lignosum. Sic quoque adulieratur faba, aut sacopenio. Sincerum si ura tur, fugat nidore serpentes. PerraulaUir in li bras, x. v. Medicinae hoc tantum.
L V l. Nasce similmente il galbano in Siria nel meddKmo monte Amano di una ferula del mede simo nome. Il sugo che ne distilla a modo di ragia, è ancora chiamato stagonite. Quello che è tenuto il migliore, è cartilaginoso, puro a modo dello ammoniaco, e non è punto legnoso. Si falsifica ancora con fava, o col sagapeno. Se si abbrucia schietto, fa fuggir le serpi con Γ odore cHe ne manda. Vendesi cinque danari la libbra : questo è solamentè buono alle medicine.
D e PAiucfe.
D e l vabacb.
L V ll. 26. Panacem et unguentis eadem gi gnit, nascentem et in Psophide Arcadiae, circaque Erymanthi fontes, et in Africa, et in Macedonia: ferula sui generis quinque cabi torum, foliis pri mo quaternis, mox senis in terra jacentibus, am pla magnitudine rotandis, in cacumine vero oleagineis, semine in muscariis dependente, ut ferulae. Excipitur snccns ineiso caule messibus, radice in autumno : laudator candor ejos coacli.
LVII. a6. Nasce in Siria ancora il panace, buono per li profumi, e in Psofide di Arcadia, e intorno alle fonti dell1 Erimanto, e in Africa, e in Macedonia. La sua ferula, lunga cinque br»«ci», prima fa qoattro foglie, poi sei, eh» giacciono inverso terra grandi e tonde, * io cima simili all'ulivo. II seme suo pende nelle pannocchie, come quello dell* altre ferule. Il sugo si coglie la stata dalla intaccatura del torso, e l'autunno dal-
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G. PLINII SECUNDI Sequens p*l!i
Ia intaccatora della radice. Quando è rappreso lodasene il bianco ; nel secondo grado έ il palli do ; il nero è cattivo. Il migliore vale dae danari la libbra.
SPOBDYLION.
D e l l o s p o n d il io .
LVIII. Ab hae ferola differt, qoae vocator spondylion, foliis tantam, quia sont minora, pla tani divisura. Nan nisi in opacis gignitur. Semen eodem nomine silis speciem habet, medidnae tantam olile.
LVIII. Da questa è differente la ferola, che si chiama spondilio, ma nelle fòglie solamente, perchè son minori, e tagliate come quelle del platano. Non nasce se non al rexxo. 11 seme del medesimo nome è simile al silo, ed è betono salo alla medicina.
D b m a lo b a th ro .
D b l m a lo b a tr o »
LIX . Dat et malobathron Syria, arborem fo lio convoluto, arido oolore : ex quo exprimitur oleam ad unguenta : fertiliore ejosdem Aegypto. Laudatius tamen ex India venit. In paludibus ibi gigoi tradant lentis modo, odoralius croco, ni gricans, scabramque, quodam salis gustu. Minus probatur candidum. Celerrime situm in vetustate sentit. Sapor ejus nardo similis esse debet sub lingna. Odor vero in vino suffervefacti antecedit alios. In pretio quidem prodigio simile est a x. singulis ad x. ccc pervenire libras : oleum aalem ipsam in libras, x. l x .
L lX . Nasce ancora in Siria il malobatro, il quale è uno albero, che fa le foglie ravvolte e «li colore oome secco ; onde si cava olio per li profumi. Abbondane più lo Egitto, ma però il migliore vien d' India. Dicesi che egli nasce quivi nelle paludi a uso di lente, piò odorifero che il groogo ; pende in nero, ed è ruvido eoo an certo gusto di sale. Il bianco è tenuto per manco buono. Il vecchio si muffa tosto. Il sa por di esso debbe esser simile al nardo sotto la liogua ; ma l1odor suo quando è bollito nel vino, vince tutti gli altri odori. Il pregio soo è c o s s mostruosa, perciocché da an danaro la libbra giunge fino a trecento : Γ olio stesso vale sessanta danari la libbra.
D b o m p b a c io .
D b l l ' okfa c io .
LX. 37. Oleum et omptiacinm est. Fit duobus generibus, et totidem modis, ex olea, et vite : olea adhoc alba expressa : deterins ex drupa : ita vocatur priusquam cibo matura sit, jam tamen colorem motans. Differentia, quod hoc viride est, illud candidum. E vite fit psythia aut amminea, qunm sint acini ciceris magnitudine, ante Canis ortum. In prima lanugine demetitor uva, ejusque melligo. Reliquam corpus sole coquitur. Noctur ni rores caventor. In fictili condita melligo colli gitur : subinde Cyprio aere servatur. Optima , quae rufa, acriorqoe, et aridior. Pretium omphacio in libras x. vi. Fit et alio modo, quum in mor tariis uva immatura teritur : sicca taque in sole, postea digeritor in pastillos.
LX. 37. Anche 1* onfacio è an oteo. Si fa in due maniere, e così è di doe sorti, cioè
HJSTOKIAROM MtJNDI LIB. XII.
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B e YOH, OBBABTHB, MASSARIS.
D bl b r io , e k a s t b , « a s s a b i.
LXI. 28 . Eodem el bryon pertinet, uva populi albae. Optima circi Gnidum auf Cariam, in si tientibus aut siccis, asperisque : secunda i n Lyciae cedro. Eodem el oenanthe perlinet : est autem T iti* labruscae uva : colligitur, quum floret, id est, quum optime olet : siccatur in umbra sub strato linteo, alque in cados conditur. Praecipua ex Parapotamia : secunda ah Antiochia, atque Laodicea Syriae: lertia ex montibus Medicis. Haec utilior medicinae. Quidhm omnibus praefe runt eam, quae in Cypro insula nascitur. Nam quae in Africa fit, ad medicos lantum pertinet, vocalurque massaris. Omnibus autem ex alba labrusca praestautior, quam e nigra.
LXI. a 8 . Écci ancora il brio uva di pioppo bianco. La migliore è quella che nasce intorno a Gnido o alla Caria, in luoghi secchi e aspri. Nel secoudo grado di bontà è la cedrina di Licia. Ci ha ancora I’ enante. Questa è uva di vite labru sca. Ricogliesi quando è fiorita ed ha buonissimo odore. Seccasi all* ombra sopra un lenzuolo, e serbasi in vasi. L’ ottima viene da Parapotamia, la seconda d* Antiochia e da Laodicea dì Siria, la terza dai monti di Media. Questa è pià utile nelle medicine. Alcuni vogliono che sia migliore di tulle 1’ altre, quella che nasce nell1 isola di Cipro. Perciocché quella che si fa in Africa, è boona so lamente per le medicine, e chiamasi massari. Son poi tutte migliori di labrasca bianca, che di nera.
E l a t s , v b i, s p a t h b .
D e ll k la tb , ovvbbo s fa tb .
LX1I. Est praeterea arbor ad eadem unguen ta pertinens, quam alii elaten vocant, quod nos abietem, alii palmam, alii spathen. Laudatur hammoniaca maxime, mox Aegyplia, dein Syria ca, dum laxat in locis sitientibus odorata, pingui lscryma, quae in unguenta additur ad doman dum oleum.
LXII. Écci un altro albero buono ai medesi mi unguenti, che alcuni chiamano eia te, e noi abete, alcuni palma, ed altri spate. Lodasi per mollo buona Γ ammoniaca, poi 1’ Egizia, ultima mente quella di Siria, ma nata in luoghi secchi, perchè altrove non ha odore con lagrima grassa, la qnale si mette nei profumi per attutare l’odore dell’ olio.
ClBJTAWIM, COMACO·.
D e l c im a v o , c o m aco .
LXIII. In Syria gignitur et cinnamuro, quod coroacom appellant. Hic est suecus nuci expres sus, multam a succo vero cinnami di (Terens, vi cina taraen gratia. Pretium in libras, asses qua draginta.
LX1I1. Nasce in Siria ancora il cinnamo, che si chiama comaco. Questo è tin sugo premuto della noce, molto differente dal sugo del vero cinnamo, ma però ha poco men credito di quello. Vale quaranta assi la libbra.
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C. PLIMI SECUNDI
HISTORIARUM MUNDI LIBER XIII PISTORIAE DE PEREGRINIS ARBORIBUS, ET UNGUENTIS.
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D a σ ιβ ο η η ι : qoamdo cobpbbmt.
I. H a c te n a s in odoribus habent pretia ιϊΙ τ μ ι erantqoe per se mira singola : juvitqde bixuria omnia ea miscere, et e canctis unam odorem fa cere : iU reperta sunt unguenta.
i . Qnis primus invenerit non traditnr. Iliacis temporibus non erant ; nec thure sapplicabatar : cedri tantam et citri suorum fruticum in sacri· fumo convolatam nidorem verius, quam odorem noverant, jam rosae sucoo reperto : nominator enim qooqae in olei laude. Unguentum Persarum genti se debet. Illi madent eo, et aoeersita com mendatione, ingluvie natam viros extinguunt. P rim am , qaod equidem inveniam, castris Darii regis expugnatis, in reliquo ejas apparata Alexan d e r cepit scriniam ungueatorum. Postea voluptas e jtu a nostris qooqae inler laudatissima atque etiam honestissima vitae bona admissa esi: honosq o e et ad defunctos pertinere coepit Quapropter p lo ra de eo dicemns. Quae ex his non erant fru ticum , ad praesens nominibos tantum indicabun t u r : natura vero eorum suis reddetur locis.
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D bgu vvovum : q u a n d o s i c o bob beb o .
I. Insino ad ora abbiamo ragionato degli alberi, i quali sonò tenuti in pregio per fare unguenti, e cose odorifere ; e tutti per sè stessi erano maravigliosi ; ma la prodigalità ha voluto mescolargli insieme, e di tntti Care uno odor solo ; e così sono stati trovati gli ongnenli odoriferi. i. Non si sa chi fu il primo che trovò gli un guenti. Al tempo della guerra di Troia non si osavano ancora, nè si supplicava con incenso ; conoscevano solo nei sacrificii un profumo piut tosto che odore dei rami del cedro e del citrone ; e già si era trovato il sugo della rosa, al quale pare si dà il vocabolo di olio. L’ unguento dee essere stato invenzione dei Persiani, perciocché essi ne son tntti molli, e con materia di sommo pregio spengono il cattivo odore, che nasce dalla ingordigia loro. La prima menzione che io no ritrovassi, fa che essendo stato preso il campo di Dirio, fra il resto del sno apparato, Alessandro ritrovò una cassetta di unguento. 11 diletto poi di esso è stato accettato da' nostri uomini fra i lodatissimi e anco.onestissimi beni della vita ; e tale onore oominciò anoora farsi ai morti. Però ragioneremo di esso a lango. Quegli che non saranno di questi arbusti, al presente si citeranno solo per nome, per parlare poi altrove della na tura loro.
C. PLINII SECONDI G eb b eì
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b t ooMioarrioBBs x u .
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SpBCtB D C GtI UflGUUITI, B DODICI C0UP0SIZ105I.
II. Hanno gli uagoeoU presi i nomi loro parte dai paesi, parte dai saghi, alcani dagli alberi, e alenai ddle cagioni. E primamente s ' ha da sa pere, che non sempre ebbero la stessa riputazione, e che sovente diventarono inglorii. Lodatissimo fu ai tempi antichi quello che si faceva nell* isola *di Deio, dipoi il Mendesio. Nè ciò solo avviene per la mistura e per la composizione, ma i me desimi sughi in diversi paesi sono stati e peggiori e migliori. Lo irino di Corinto lungo tempo pia cque aasai, poi quello di Cizieo ; fu si m il nacate in credito quello delle rose di Faselo | ma dipoi questa gloria se l*hanno usurpata Napoli, Capova e Preneste. 11 crocioo, o vogliam dire di gruogo, in Soli di Cilicia è stato gran tempo lodato, e poi in Rodi. Lo unguento dell’ enante prima in Cipri, dipoi in Landramili. Lo amarieino in Coo j poi nel medesimo luogo venne in ripeti zione il melino. II Ciprino in Cipri, dipoi in Egitto, dove il mendesio e il metopio subito di venne più grato. La Fenicia poi gli levò via tatti, e lasciò la lode del Ciprino alP Esilio. Atene s’ è di continuo mantenuto 11 suo Panalenaieo. Fassi ancora il pardalio In Tarso, la cui composi zione e mistura è panata in obito. Il narcissino anco, che si faceva del fiore di narcisso, s* è la» sciato di comporre. Ralio faciendi duplex : saccus, ftcorpite. Illo Egli si fa in due modi, cioè di sugo. e di cor olei generibus fere constant, hoc odoram. Hseo po solido. Qoello è composto presso che tutto di stymmata vocantr illa hedysmata. Tertius inter varie specie di olio,, questo di sostanze odorose. haec est colos, mullis neglectus. Hujus «ausa ad Gli unguenti di questa specie si chiamano stim duntur cinnabaris et anchusa. Sal aspersas olei* olati, di quella edismali. V* è una terza specie di naturam coercet Quibus anchusa adjecta est, sal unguento ehe si ft per aso di colore, roa ts stracnon additur. Resina aut gurnmiadjiciuntur ad citrato da molti : per averne la tinta gli si secontinendum odorem in corpore. Celerrime Ia giunge cinabro « anousa. Il sale sparsovi dentro evanescit atque defluit, si aan sunt haec addita. reprime la natura dell’ olio. Dove si mette l’an nusa, non si mette àale. Mallevisi ragia, o gom ma, per conservare Γ odore nell* unguento in corpo, il quale senza queste oose tosto si perde. Unguentorum expeditissimum fuit, primam* Credesi che il primo e più spedilo unguento fosse d* olio brio, e balanino, ed è molto veri si que, ut verisimile est, e bryo et balsamo oleo, oleo. Increvit deiode mendesiam balaaino resina mile. Venae in credito di poi il medesimo, nel mixta, magisque etiamaum metopio. Oleam boa quale la ragia si aggiunse col balanino, na est, amygdalis amaris expressam in Aegypto. Cai mollo ancora il metopio. Qaesto è olio, che si addidere om phaciura,carda momum, juncu m,cala- fa di mandorle amare in Egitto ; al qnale ag mura, mei,viaum, myrrham,semen balsami, galba giunsero on fido, cardamomo, giunco, calamo, mele, vino, mirra, seme di balsamo, galbano, a num, resinam terebinthinam. E vilissimis qaidem hodieque est, ob id creditam et in vetustissimis ragia trementina. Oggi è in poochissimo cre dito, e perciò si tiene ch'ei sia de’più antichi, aa* esse, qaod constat oleo myrteo, calamo, cupresso, cora queHo che si fa d* olio di mortine, di calssypro, lentìsoo, melogranati cortice. Sed divul mo, di cipresso, di cipero, di lentisco e di scorza gata maxime ungueata crediderim rosae, qaae plurima ubique gignitur. Itaque simplicissima di melagrana. Ha gli unguenti più divulgati ten rhodini mixtura diu fuit, additi* omphacio, flore go io che sieno quei di rose, perchè ne nasce U. Unguentis cognomina dedere aliis patriae, afiis succi, aliis arbores, aliis causae. Primumqae id scire conveoit, m atatam auctoritatem, et sae pius iraosisse gloriam. Laudatissimum fuit autiquilus in Delo insula : postea Mendesium. Nec mixtura et compositione tantum hoc accidit : sed iidetn succi varie alibi ad quaelibet praevaluere, aut degeneravere. Irinum Corinthi diu maxime placuit, poslca Cyzici : simili modo rhodinum Phaseli: quam gloriam abstulere Neapolis, Capua, Praeneste. Crocinum in Solis Ciliciae diu maxime laudatum, mox Rhodi. Oenanlhinum in Cypro, postea Adramytteo. Amaracinum in Coo: postea eodem loco praelatam est melinum. Cyprinum ia Cypro, deinde in Aegypto, ubi mendesiam et inetopium subito gratiu· facium est. Mox haec abstulit Phoenice, et Cyprini laudem Aegypto reliquit. Panathenaicon suum Athenae perseve ranter obtinuere. Fuerat et pardalium in Tarso : cujus etiam compositio et mixtura obliterata est. Narcissinum quoque ex flore narcisso desiit componi.
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IUSTORIAKUM MUNDI LIB. XIII.
rosae, crocino, oinnabari, calamo, mclle, junco, salis flore aut anchusa, vino. Similis ratio et in crocino, addille cinnabari, anchusa, vino. Similis et in sampsuchino, admixtis omphacio, calamo. Optimum hoc in Cypro et Milylenis, ubi plurima sampsuchus. Miscentur et viliora genera olei e myrto, lauro, quibus additur sampsuchinum, li lium, fenum graecum, myrrha, casia, nardum, juueus, cinnamomum. E malis quoque cotoneis et struthiis fit oleum ( ut dicemus) melinum, quod ia unguenta transit, admixtis omphaciu, cyprino, sesamino, balsamo, junco, casia, abrota no. Susinum tenuissimum aypniura est. Constat ex liliis, balanino, calamo, meile, cinnamomo, croco, myrrha. E t idem cyprinum ex cypro, et omphacio, et cardamomo, calamo, aspalatho, abrotano. Aliqui et in cyprinum addunt myrrham et panacem. Hoc optimum Sidone, mox Aegypto, ai non addatur sesaminum oleum. Durat ex quadriennio. Excitatur cinnamomo. TeKnum fit ex oleo recenti, cypero, calamo, meliloto,feno graeco, meile, raar», amaraco. Hoc erat celeberrirourn Menandri poetae comici aetate. Postea multo siiccesvt propter gloriam appellatura rnegalium, ex oleo balanino, balsamo, calamo, junco, xylobalsam i, casia, resina. Hujus proprietas, ut ventiletur in coquendo, donec desinat olere’: rur sus refrigeratum odorem suum capit.
Singuli quoque succi nobilia unguenta la ciunt. In primis malobathrum: postea iris Illyri ca, et Cyzicena amaracus: herbarum uiraque. Pauca his, et alia alii miscenl : qui plurima, al terutri mei, salis florem, omphaciuni, agni folia, panacem, externa omnia. Prodigiosa cinnamo mino pretia. Adjicitur cinnamo balaninum oleum, xylobalsamum, culamus, juncus, balsami semina, myrrha, mcl odoratum: unguentorum hoc cras sissimum. Prelia ei a x. xxv ad x. ccc. Nardinum, sive foliatum, constat omphacio, balanino, junco, costo, nardo, amomo, myrrha, balsamo. In hoc genere cooveniet memiois.se , herbarum , quae narduin Judicum imitentur, species novem a nobis esse dictas : lauta materia adulterandi est. Omnia aulem acutiora fiunt costo, amomo, quae maxime uares feriunt : crassiora myrrha, suavio· raque : medicinae autem utiliora croco : acerrima per se amomo. Hoc el capi lis dolores facit. Qui dam salis habent adspergere, quae sunt pretiosis sima, ceteris decoctia,impendio parcentis; sed non eadem est vi;, uisi una dccoctis. Myrrha et per se
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assai in ogni luogo. Perciò la mistura dell' un guenta delle rose fu lungo tempo semplicissima, aggiuntovi onfacio, fior di rosa, crocino, cinabro, calamo, mele, giunco, fior di sale o ancusa, e vino. Il medesimo si fa in qoello di zafferano, aggiuntovi cinabro, ancusa e vino. Altrettanto in quello di sansuco, mescolandovi onfacio e ca lamo. Questo si fa ottimo in Cipro e in Melelino, dove è molto sansuco, ovver persa. Mescolanvisi ancora più vili sorti d’olio di mortine e d'alloro, ai quali s'aggiugne olio di persa, gi glio, fiengreco, mirra, cassia, nardo, giunco e cinnamomo. Fassi ancora olio melino (come di remo) di mele cotogne e slrutee, il quale entra negli unguenti, aggiugnendovi onfacio, ciprino, sesamo, balsamo, ginneo, cassia e abrotano. Il susino è molto più sottile di tulli gli altri. Fassi di gigli, balano, calamo, mele, cinnamomo, gruopo e mirra. Ancora il ciprino fassi di cipero, on facio, cardamomo, calamo, «spalato e abrotano. Alcuni nel ciprino ancora aggiungono mirra e panace. Questo è ottimo in Sidone, poi in Egit to, se uon vi si melle olio aesamino. Dura ben quattro auni, e si risveglia col cinnamomo. Il telino si fa d1olio fresco, cipero, calamo, meliloto, fiengreco, mele, maro e persa. Questo era in grandissima riputazione al tempo di Menan dro poeta comico. Fu poi molto iu uso quello, che per rispetto del gran nome eh* egli aveva fu chiamalo .megalio, d 'olio balanino, balsamo, ca lamo, giunco, silobalsamo, cassia e ifgta. Questo richiede che si sventoli mentre che si cuoce, fin ché egli non ha più odore : dipoi quando egli è raffreddalo, ripigli» il suo odore. Tutti ancora i sughi singolarmente presi fan no di uobili unguenti. Prima il malobatro, poi l’iride Illirica, e la persa di Cizico ; erbe tutte c due. A queste mescolano poche cose, ma però chi ve ne mette una, e chi un' altra : quei che ne mettono più cose nell'una, o nell'altra, vi rod ioti mele, fior di sale, onfacio, agrifolio e pana ce ; cose lulte forestiere. L' unguento di cinna momo ha prezzi eccessivi. A comporlo vuoisi aggiungere al ciunaraomo olio balanino, silobalsamo, cularao, giunco, semi di balsamo, mirra e mele odoralo. Questo è il più grosso unguento che sia. I pregi suoi sono dai venticinque ai tre cento danari. 11 nardino, ovver fogliato, si fa con onfacio, balanino, giunco, costo, nardo, amomo, mirra e balsamo. Iu questo geoere conviene ri cordarsi dell'erbe che somigliano il nardo In diano, le quali sono di nove specie già da noi dette ; tanta materia c' è di falsificare. Tutti gli unguenti si fanno più acuti coi costo c con Γ aruonio, i quali si fanno seulir mollo al naso : la mirra gli fu più grossi e più soavi; ma il gruogo
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C. PLINII SECONDI
gli fa più utili alla medicina, e I' amomo per sé medesimo molto forti. Qaesto fa ancora dolori di capo. Alcuni si contentano di dar solo tlcosi spruzzi delle materie più preziose, sopra Γ altre già cotte; e ciò fanno per risparmio: ma esse non hanno quella medesima virtù, se non si cuocono insieme. La mirra fa anch' ella unguento da sè senza olio, solo con lo statle ; altrimenti saria troppo amaro. Col ciprino si fa verde, col susino untuoso, col mendesio nero, col rosato bianco, con la mirra pallido. Queste sono le specie degli unguenti antichi, e dipoi i furti dalle botteghe. Ora ragioneremo 4*1 colmo delle delizie, e in quanta riputazione furono già queste cose. s. Chiamasi unguento reale quello che usa 2. Ergo regale unguentum appellatum, quo vano i re de' Parli : (assi di mirobalano, costo, niam Parthorum regibus ita temperatur: constat myrobalano, costo, amomo, cinnamo, comaco, araomo, cinnamomo, comaco, cardamomo, spiga di nardo, maro, mirra, cassia, storace, lodano cardamomo, nardi spica, maro, myrrha, casia, opobalsamo, calamo, giunco, enante, malobatro, styrace, ladano, opobalsamo, calamo, junco, oenanthe, malobathro, serichato, cyprio, aspala- sericato, cipero, aspalato, panace, graogo, cipiro, persa, loto, mele e vino. Nessuna di queste cose tho, panace, croco, cypiro, amaraco, loto, meile, nasce in Italia vincitrice di latte le nazioni, nè vino. Nihilque ejus rei cansa iu Italia victrice in tutta Europa ancora, in fuorché Pi ride Illirica, omnium, in Europa vero tota, praeter irin Illy e il nardo Gallico. Perciocché il vino, la ros*, e ricam, et nardum Gallicum, gignitur. Nara vi num, et rosa, et myrti folia oleumque, commu le foglie e l’ olio di mortine s 'intendono esser comuni quasi di tutti i paesi. nia fere amnium terrarum iutelliguntur.
unguentum facit sine oleo, slacte dumtaxat : alio qui nimiam amaritudinem adfert. Cyprino viride fit, susino unguinosum, mendesio nigrum, rho dino candidum, tuyrrha pallidum. Haec sunt antiquae inventionis genera,et postea officinarum furta. Nunc dicetur cumulus ipse deciliaruro, et summa auctoritas rei.
D ia p a s m a t a , m a g m a t a : b t p b o b a t io c h g o b n t i.
UI. Siccif odoribus constant, quae diapasmata vocantur. Nam faecem unguenti magma appellant. Inter omnes potentissimus odor, quisquis novis sime additur. Unguenta optime servantur in ala bastris, odores in oleo : quod diuturnitati eorum tanto utilius est, quanto pinguius, ut ex amygdalis.\Et ipsa unguenta vetustate meliora. Sol inimicus his: qoamobrem in umbra coquuutur plumbeis vasis. Experimentum eorum inversa manu capitur, ne carnosae partis calor vitiet.
Q uarta i s v s g d b s t is l c x d b i a .
D i a p a s m a t i , m a g m i : c o m e sb h b p i g l i b jpes w e s t o .
IH. Fatinosi d'odori secchi quegli che si chia mano diapasmati, perchè la feccia dell' unguento si chiama magma. Quello odore è potentissimo negli unguenti, il quale è l'ultimo che vi si met te. Gli unguenti conservansi benissimo io vasi d'alabastro, e gli odori nell'olio; il qoale quanto è più grasso, tanto è migliore per conservargli lungamente, come quello delle mandorle. Gli un guenti anch' essi, quanto son più vecchi, son migliori. Il sole è molto lor nimico, e però si cuocono all' ombra in vasi di piombo. 11 aaggio loro si fa sul dosso della mano, acciocché il ca lore della parte carnosa non lo guasti. C ome possbbo g l i o r g o b n t i o g g e t t i d i GB AH LOSSO.
3. Questa è una materia da spendere mol IV. S. Haec est materia luxus e cunctis ma IV. xime supervacui. Margaritae enim gemmaeque to più superflua di tutte l ' altre. Perciocché k ad heredem tamen transeunt : vestes prorogant perle e le gioie vanno in mano degli eredi ; i tempus : unguenta ili ico exspirant, ac suis mo vestimenti durano qualche tempo ; ma gli un riuntur horis. Summa commendatio eorum, ut guenti subito stupidiscono, e fra ore se ne muo transeunte femina odor invitet etiam aliud agen iono. La maggior lode loro è questa, che pas tes : exceduntque quadragenos denarios librae. sando la donna inviti quegli ancora, che badano Tanti emitur voluptas aliena : etenim odorem ad allro ; e passano quaranta danari la libbra ; qui gerit, ipse non sentit. Sed el haec aliqua dif così caro si compera il piacere d'altri, perciocché ferentia signanda sunl. In M. Ciceronis monti colui chc porta l'odore adosso, non lo sente. M.«
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mentis invenilur, unguenta gratiora esse, quae terram, qaam quae crocum sapiant : qaando quae crocum sapiant : quando etiam corruptissi mo in genere magis (amen juvat quaedam ipsius vitii severitas. Sed quosdam crassitodo maxime delectat, spissum appellantes: linique jam non solum, sed et perfundi, unguentis gaudenL Vi dimus eliam vestigia pedum tingui : quod M. Othonem monstrasse Neroni principi ferebant. Quaeso ut qualiter sentiretur, juvaretque, ab ea parte.corporis f Nec non aliquem ex privatis au«livim»s jussisse, spargi parietes balinearum un guento : atque Cajum principem, solia temperari : ac ne principale videatur htoc bonum, et postea quemdam ex servis Neronis. Maxime lamen mi ram est, hanc gratiam penetrasse et in castra. Aquilae certeac signa, pulverulenta illa, et custo dibus horrida, inunguntur festis diebus : utinamque dicere possemus, quis primus instituisset! Ita esi, nimirum hac mercede corruptae terrarum orbem devicere aquilae. Ista patrocinia quaeri mus vitiis, ut per hoc jus soniantur sub casside unguenta.
queste cose ancora s 'hanno da distinguere con qualche differenza. Truovasi ne' ricordi di Mar co Cicerone, che gli unguenti, i quali sanno di lerra, sono piò grati che quegli che sanno di zafferano ; poiché ancora il più guasto ha sempre un che di piccante che rende più gradito il suo stesso difetto. Ma alcaoi si dilettano grandemen te della grossezza, chiamandola densità, e non basta loro solamente essere unii, che vogliono anco tuffarvisi insino alla gola, lo ho veduto ancora di quegli che vi tingono i piedi ; la qual cosa si dice essere stata mostra da M. Ottone a Nerone imperadore. Or che piacare o diletto poteva egli sentire da quella parte del corpo? lo ho inteso ancora che qoalche uomo privato s 'ha fatto profumare le mora del bagno, e che Caio imperadore ne faceva porre sulle seggiole : e acciocché non paia che qnesto bene sia stato solamente di principe, un servo di Nerone fece dipoi questo medesimo. Ma però è molto più da maravigliarsi, che questa delica tura sia trapelata fin negli eserciti | chè veramente l ' aquile, e l’insegne polverose che a guardarle voglioo altro che uomini olezzanti, si profumano i giorni delle feste, e dio volesse pare, che io potessi dire chi fu il primo a farlo. Eppar vero è, che P aquile corrotte da questo premio hanno vinto il mon do. E son queste le difese e scuse che cerchiamo contra i vizii, acciocché per questa ragione ci possiamo profumare fin sotto gli elmetti.
Q o a n d o p r i m o v R o v a n i s ih u so .
Q o a n d o l a p r i v a v o l t a v b n n m o i n oso frksso
i R ovani.
Io nou saprei dire, quando gli unguenti V. Quando id primum ad Romanos penetra V. verit, non facile dixerim. Certum est Autiocho cominciassero a usarsi in Roma. Ma bene è co rege Asiaque devictis, Urbis anno d l x v , P. Lici sa certa, eh* essendosi vinto il re Antioco e l ' Asia, niam Crassum, L. Julium Caesarem censores edi cinquecento sessantacinque anni dopo la edifica zione di Roma, P. Licinio Crasso e L. Giulio xisse : u Ne quis venderet onguenta exotica;» Cesare censori mandarono un bando, che niuno sic enim appellavere. At hercules jam quidam vendesse unguenti esotici ; chè così gli chiama.etiam in potus addunt : lantaque amaritudo est, vano. Ma per mia fe\ che già vi son di quegli, ut odore prodigo fruantur ex ulraque parte cor poris. L. Plolium, L. Planci bis consulis censo- che gli mettono fin nel vino, e tanto stimano 1' amaritudine, che oon somma prodigalità usano risque fratrem, proscriptam a triumviris, in Sa P odore nel corpo e di dentro e di fuori. Truo lernitana latebra unguenti odore prodilora con vasi che L. Plozio fratello di L. Planco stato stat : quo dedecore tota absoluta proscriptio est. due volte consolo e censore, essendo proscritto Quij enim non merito judicet periisse tales? da' triumviri, fu ritrovato a Salerno in an luogo ascoso, donde lo avea manifestalo l'odore de'pro fumi ; per lo qual vituperio la proscrizione fu interamente compiuta : perciocché chi noe giu dicherebbe, che questi tali meritamente sieno stati ammatzati.
C. PLINII SECUNDI Db
PALUM.
D b l l b pa lm e.
Vf. 4· I/ Egitto è paese accomodatissimo agli VI. 4· Celero terrarum omnium Aegyptu· ac commodatissima unguentis : sb ea Campania est, unguenti ; e dopo Γ Egitto la Campagna, per la copia rosae. Judaea vero inclyta est vd magia gran dovizia che ha di rose. La Giudea è grande palmis: quarum natura nane dicetur. Sunt qui mente nobilitata per le sue palme, della cui na dem et in Europa, vulgoque Italia, sed steriles. tura ora si favellerà. Ne sono anco in Europa, Ferunt in maritimis Hispaniae fructum, verum e comuni in Italia, ma sono sterili. Nelle parti marine della Spagna fanno frutto, ma non ma immitem : dulcem in Africa, sed slalim evane turo : in Africa il fanno dolce, ma tosto invani scentem. Contra in Oriente ex his vina, gentiumque aliquibus panis : plurimis vero eliam quadru sce. Per lo contrario in Levante di questdttfrutto fanno vino, e alcuni popoli ne fanno ancor pane, pedum cibus. Quamobrem jure diceutur exter na·. Nulla est in Italia sponte genita, nec in alia e cibo similmente «'molti animali quadiupedi. Però meritamente si potranno chiamare stra parte terrarum, nisi iu calida : frugifera vero niere. In Italia non ne nasce niuna da sè stessa, nusquam, nisi in fervida. nè in altra parte del mondo, se non in luoghi caldi ; e in nessun luogo fruttifica, se non in parte caldissima. Db
n a tu ra b a r o ».
VII. Gignitur levi sabulosaque terra : majore in parte et nitrosa. Gaudet et riguis, totoque anno bibere quum amet, anno sitienti. A 6mo quidem eliam laedi putant : et Assyriorum pars aliqua, si non rivis misceatur. Genera earum plu ra : et prima fruticem non excedentia : sterilem hunc, aliubi et ipsum fertilem, brevique ramo rum orbe foliosum. Tectorii vicera hic parieti bus plerisque in locis praestat contra aspergines. Procerioribus silva, arbore ex ipsa foliorum acu leo fruticanle circa totas pecliualim, quas silve stres intelligi necesse est. lucerta tamen libidine etiam mitioribus te miscent. Reliquae teretes atque procerae, densis gradatisque corticum pol licibus, ut orbibus, faciles se ad scandendum Orientis,populis praebent, utilem sibi arborem circumducto circulo, mira pernicitate tum homi ne subeuule. Coma omnis iu cacumine, et pomum est non inler folia hoc, ut in ceteris : sed suis in ter ramos patmilibus racemosum, utruque natura uvae atque pomi. Folia cultrato mucrone, lateri bus in sese bifidatis bullas primum demonstra vere gemmeas : nunc ad funes, vitiliumque ne xus, et capitum levia umbracula findantur.
Arboribus, immo potius omnibus quae terra gignat, herbisque etiam, utruroque sexum esse diligentissimi ualurae tradunt : quod in plenum satis dixisse hoc ia loco: uallis tamen arboribus
D e l l a iv a t o b a l o r o .
VII. Nasce dove il terreno è leggero e are noso, e la maggior parte nitroso. Ama assai l'acqu», e lutto l'anno desidera bere, massima mente quando l'anno va secco. Alcuni tengono ancora, che il grassume le faccia danno ; come avviene in alcuna parte di Assiria, se uon si me scoli coi rivi esso grassume.^Sono di molte sorti: la prima non è maggiore d 'altezza che uno arbuscello, ed è sterile, ma però in alcun luogo fa fruito : è fogliosa con breve giro di r«mi. In più luoghi serve alle mura in cambio di coprimenlo coutra le umidità. Le più alle formano selva, delle quali escono le foglie appuntale, e germo glianti iutomo all1 albero in foggia di petiini, le quali è necessario che s’ abbiano per selvatiche. Nondimeno per non so quale lussuria si mesco lano ancora con le domestiche. L’ altre sono ton de c grandi, con frequenti nodi, che come aneli* c in g o n o il fusto e formano come gradini che danno agio a que’ popoli di salirvi su ; alili alla slessa pianta, che perciò è più robusta, e all’ uo mo, perchè vi può salire velocemente. Tutta la loro chioma è nella cima : il frullo suo uon e tra le foglie, come negli altri alberi, tua eoe* grappoli d’ uva è ne* rami, e così la sua natura è d’ uva e di frullo. Le foglie con punta di col tello dai la li divise, mostrauo prima come belle gemme ; dipoi s 'aprono, e sono utili a fuui, e a legature pieghevoli, e a fare leggeri copriture al capo contra il caldo del sole. Gli aulori diligentissimi scrivono, che tulle le cose generale dalla terra, e aucora l ' erbe e gli alberi, hanno il maschio e la femmina ; e ciò ba sti aver detto in questo luogo per tatti; ma in
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manifestiti*. Mas in pslmilfe floret, femine dir» florem germinat tanlum spicae modo. Utrisque autem prima nascitor pomi caro : postea lignum intus, hoe e»t, semen ejus. Argnmentnm, qood parvae sine hoc reperì uutur in eodem palmite. Est autem oblongom : non, ot olivis, orbicula tum. Praeterea caesam a dorso pulvinata fissare, et in alvo media plerisqne umbilicatum, unde primum spargitor radix. Seritor autem pronum, et bina juxta composita semina, superque toti dem,quoniam infirma singulis planlaesl:quat<»rnae coalescunt. Mullis caudidisque lignnm hoc » carnibus discernitur tunicis, aliis corpori adhae renlibus : laxeqne distans, tentum cacamini filo adhaereI. Caro maturescit anno. Quibusdam ta men in locis, ut in Cypro, quamquam ad maturi tatem non perveniat, grato sapore dulcis est : et folium ibi latius, fructus quam reliqais rotundior, nec ul devoretur corpus, verum ut exspuatur, succo modo expresso. Et in Arabia languide dul ces traduntur esse palmae : quamquam Juba apud Scenitas Arabas praefert omnibus saporibas,quam vocant dablan. Cetero sine maribus non gignere feminas «ponte edito nemore confirmant: circaque singulos plwres nutare in eum pronas blan dioribus comis. Illum erectis hispidum, adflaclu visuque ipso et pulvere etiam reliquas maritare : hujus arbore excisa viduas post sterilescere femi nat. Adeoqueet Venerisinlclleclus,utcoituseliam excogitatus sit ab homine, ex maribus flore ac lanugine, inierim vero tantum polvere insperso feminis.
nessuno altro albero è pià manifesto, che nelle palme. Il maschio fiorisce nel ramo nuovo : la femmina non fa fiore, ma fa germogli a guisa di spiga. Nell' uno e nell* altro il frutto fa prima la carne, dipoi il nocciolo, cioè il seme suo. Questo s ' intende, perchè i fruiti piccoli non hanno an cora il nocciolo. E lungo, e non tondo, come nell' olive : oltra di ciò c tagliato in un sol dos so, ritratto in forma di piomaccio, e nel mezzo del ventre ha un fesso, onde da prima esce la radice. Seminasi col ventre di sotto, e due insie me, e disopra «lire due; perciocché la pianta d’un nocciolo solo non si sostiene ; ma quattro si afforzano insieme. Questo nocciolo sta diviso per molti pannicoli bianchi dalla carne : essa però in altri è ravvolta, e benché non tocchi il nocciolo, gli sta attaccata nella cima per un filo. La carne ai matura in un anno. Ma nondimeno in alcuni luoghi, come in Cipro, ancor che ella nou maturi, è dolce e di grato sapore , ed ha la foglia più larga, e il frutto più tondo, che gli altri : il corpo non è buono da mangiare, ma si sputa, avendone solamente spremuto tutto il sugo. Dicono che anche in Arabia le palme hanno mite dolcezza ; ancorché Giuba preponga a tulle le altre saporifere quella che nasce nel paese degli Arabi Sceniti, la quale si chiama dabla. Oltra di ciò dicono che le femmine, ancora che facciano un bosco da loro stésse, non generano senza maschi, e se molte ne sono intorno ad ono, s'inchinano verso di quello, che pare che Io blandiscano con le lor foglie. Dicono ancora che il maschio è ruvido e aspro, e ha le chiome ritte, e col ventila re, con la stessa presenza e con la polvere ancora le impregna. E poiché è taglialo questo albero ma schio, dicono che le femmine vedove non fanno più frutto. E tanto è il sentimento di Venere,che gli uomiui hanno trovalo forma di coito, spar gendo sulle femmiue il fioree la lana del maschio, e talora anco la polvere sola.
Q cohodo s er an tu b.
C o m e si m a r t i n o .
V ili. Seruntur autem palmite el Irunco, dunm cubitorum longitudinem a c e re b r o ipso arboris, fissuris diviso atque defosso. Et ab radice avulsac vitalis est satus, et ramorum tenerrimi*. In Assy ria, ipsa quoque arbor in solo humido lota radi catur, sed in frutices, non in arborem. Ergo plantaria instituunt, anniculasqoe transferunt, el iterum bimas. Gaiident enim mutatione sedis, verna alibi, iu Assyria an lem circa Canis orius. Nec ferro attingunt ibi novellas: sed religaut comas, ut in altitudinem exeanl. Hobuslas depu tant crassitudinis gratia, semipedales ramorum relinquentejr truncos, qui decisi alibi necant tua-
V ili. Piantansi ancora le palme, togliendo un piantone di due braccia dal cervello o cima del l'albero, diviso in fessure, e sotterrato. E svegliendone dalla radice, e da tenerissimi rami si appic cano ancora. In Assiria questo albero stesso gettato in terra nel terreno umido, mette le radici, ma fa a modo di ramuscelli, e non di albero. Ne fanuo adunque una piantagione appartala, e li traspongono quando sono di un anno, e poi un'altra volta, quando son di due. Perciocché essi amano la mutazione del suolo, la quale in all ri luoghi si fa di prima vera·, ma in Assiria intorno al nascimento della Canicola. Quivi le
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trem. Disamai «aita· ab hé· solum diligi. Ergo i piante novdle-naa si (oceano col ferro, na loro si ubi non «si tele, salem adspergunt, non radicibus, legano le chiome, accciocchè elle crescano in sed loogio» paullo. Quaedam in Syriaet Aegyplo maggiore alletta. Quaodo die aon (orli, si pota in biaoi dividunt se Ironcos : in Creta et iu ter no, acciocché ingrossino, laseiaudo i tronchi dei nos, quaedaraque et in quinos. Ferunt slatino in rami lunghi un metto braccio, i quali tagliati trimatu. In Cypro vero, Syria, Aegypto, quadri altrove uecidono b madre. Noi abbiamo detto, mae : aliquae quinquenues, altitudine hominis, che elle amano il terreo salso ; però dove egli noa nullo intus pomi liguo, quaradiu suut novellae, è tale, vi spargono del sale, non alle radia, au un poco più discosto. Alcuue palme in Siria e io ob id spadonum accepto nomine. Egillo si dividouo in due tronchi, e in Creta ia tre, e alcune anche iu cinque. Fauno frullo il terzo anno; ma in Cipro, in Egitto e in Siria, aleo ne di quattro anni, altre di cinque, avendo l'altez za di un uomo : mentre che elle son novdle, i frulli nou hanno dentro alcun nocciolo, e per ciò si chiamauo spadoni ovvero iufrullifere. G e r e e a b a b u m e t ir s ig r ia .
IX. Genera earum multa. Sterilibus ad materias, operumque lautiora, utilur Asiyria et tuta Persit. Sant et caeduae palmarum quoque silvae, germi nantes rursus ab radice snecisae. Dulcis medulla earum in cacumine, quod cerebrum appellant : exemptaqoe tivunl, quod non aliae. Vocantur autem chamaerepes, folio latiore ac molli, ad vi tilia utilissimo. Copiosae in Creta, sed magis in Sicilia. E palmis prunae vivaces, ignisque lenius.
Fructiferarum aliis brevius lignum in pomo, aliis longius : his mollius, illis durius : quibusdam osseam lunalumque,dente contra fascinantes reli· gione politum. Aliud pluribus vestitum paucioribusve tunicis : aliud crassioribus lenuioribusve. Ita fiuut undequinquaginta genera, si quis omnium persequi velit nomina etiam barbara, vinoruraque ex iis differentias. Clarissimae om nium, quas regias appellavere ab honore, quo niam regibus tantum Persidis servarentur, Baby lone natae uno in horto Bagou : ita euira vocaul spadones, qui apud eos etiam regnavere. Hortus ille numquam nisi dominantis iu aula fuit. At in meridiano orbe praecipuam obtinent nobilitatem syagri, proximaroque margarides. Hae breves, candidae, rotundae, acinis, quam balanis, similio res. Quare et nomen a margaritis accepere. Una earum arbor in Chora esse traditur : una et syagrorum. Mirumque de ea accepimus curo phoe nice ave, quae putator ex hujus palmae argumento nomen accepisse, iterum mori ac renasci ex seipsa: eratque, quum haec proderem, fertilis. Ipsnm pomum graode, durum, horridum, et a celeris generibus distans sapore ferino, quem fer me in apris novimus : evidentissimeqlie causa est
SpECIB DELLE PALUS, B LOft SEGRA LI.
IX. Sono di molle sorti : l’ Assiria, e tolta la Persia si serve delle sterili a farne legnami per opere delicate e pulite. Sonci ancora boschi di palme, i quali si tagliano, e di nuovo rimettono quando sono tagliale da* piedi. La midolla loro è dolce nella cima, che chiamasi cervèllo ; e cava* tane questa, vivono, il che agli altri alberi noo avviene. Queste si domandano camerope: haooo la foglia più larga, e delicata, e utilissima alla legatura delle viti. Copiose sono in Creta, ma mollo più in Sicilia. Le palme fanno la braga vi vaci, ma il fuoco lento. Di quelle che fanno il fratto, alcune hanno il nocciolo del dattero più lungo, altre più corto, altre più tenero, allre più duro. Alcuna lo hanno di osso iu forma ricurva, e questo, limato che sia col dente, è buono contro il fascino o malia che facevano i maghi con certi riti di rdigione. Di questi noccioli, altri son vestili di più pannico li, altri di meno: quali di più grossi, quali di più sottili. Così ve ne sono quarantanove sorli, chi vorrà contare i nomi di lotti, ancor ché barbari, e le differenze dei vini, che di loro si fanno. Le palme più nobili di tutte son quelle,che ci chiaman regie, perciocché elle erano riserbale solo per il re di Persia, nate in Babilonia in un solo orto detto dei Bagoi ; perciocché essi cosi chiamano gli eunuchi,! quali anco regnarono appresso di loro ; e qud giardino non è sialo mai se non di colui, che ha siguoreggiato io corte. Nelle parli di mezzogiorno i dalleri sono ripu tali nobilissimi, e dopo loro le margaride. Queste son brevi, bianche, tonde, e più somigliano gli acini, che i balani ; però hanno preso il nome dalle margarite. Dicesi che in Cora v 'é un al bero che fa fruiti di questa sorte, e on che fa siagri ancora. Di esso albero abbiamo inteso una
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HISTORI ARO M MUNDI LIB. XIII.
nominis. Quarta auctoritas sandalidum, a simi litudine appellatarum. Jam in Aethiopiae fine quinque earum nec plures arborea tradunt, d o o raritate magis, quam suavitate mirabiles.
Ab his caryotae maxime celebrantur, et cibo quidem, sed et succo uberrimae. Es quibus prae· cipua vina Orienti, iniqua capiti, unde pomo no men. Sed ut copia ibi atque fertilitas, ita nobili tas in Judaea, nec in loia, sed Hiericunte maxi me. Quamquam laudatae el Archelaide, el Phase lide, atque Liviade, geulis ejusdem convallibus. Dos his precipua sueco pingui lactenlibu· : quodaroque vini sapore in ruelje praedulci. Sicciores in hoc genere Nicolai,sed amplitudinis praecipuae, quaterni cubitorum longitudinem efficiunt. Minus speciosae, sed sapore caryotarum sorores, obboc adelphides dictae, proximam suavitatem habent, non tamen eumdem. 'J'erlium ex his genus pate tae, nimio liquore abundat ; rumpitque se pomi ipsius, etiam in sua matre, ebrietas, calcatis si milis.
Suum genus e sicciore turba junceis, praelon ga gracilitate cnrvatii in terram. Nam quas ex bis honori deorom dicamus, chydaeos appellavit Ju daea, gens contumelia uuroinura insiguis. In to tum arentes Thebaidis atque Arabia, macroque corpore exiles, el assiduo vapore torrentes, cru stam verius, quam culem, obducunt. Iu ipsa qui dem Aethiopia friatur ( lania est siccità*), et fari nae modo spissatur in panem. Gignitur autem in frutice ramis cubi lai ibus, folio latiore, pomo ro tundo, sed majore, quam mali, amplitudine : coicas Tocant. Triennio maturescunt : semperqoe frutici pomum est subnascente alio. Thebaidis fructus extemplo in cados conditur, curo sui ar doris anima : ni ita fiat, celeriter exspirat : marceacitque non retostus furuis. Ex reliquo genere plebejae videntur. Syri el Juba trageroala appel lant. N*m in ali« parte Poenices, Ciliciaeque, po pulari etiam nomine a nobis appellantur balani. Eorum quoque plura genera. Differunt figura
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maraviglia, cioè che insieme con l'uccello fenice, il quale si tiene che abbia preso il nome da ciò che avviene a questo albero, muoia e rioasca da sè stesso ; e qoando io scriveva queste cose, era fertile. Esso fruito è grande, duro, aspro, e differente dalle altre sorti per sapore ferino, quasi come è quello che abbiamo veduto nei cinghiali ; onde e' manifesta la cagione del nome. Nel quarto grado di riputazione sono i datteri detti sandalide, cosi chiamati dalla somiglianza che hanno col sandalo. Dicono che nel fine dell' Etiopia non sono più che cinque di questi alberi, non meno moravigliosi per la rarità, che per la soavità loro. Dopo questi sono in gran credilo le cariote, piene di carne e di sugo ancora.Di queste si fanno ottimi vini in Oriente, ma nocivi al capo, onde il frutto ha preso il nome. Ma siccome quivi n' è la dovizia e la fertilità, così la nobiltà n 'è in Giudea, benché non in tutta, e principalmente in Gerico. Nondimeno son lodate eziandio le palme Archelaiche, e le Faselide, e le Liviade nelle valli di quel paese. La bontà loro è, che elle gettano un sugo grasso come latte, e un certo sapore di vio dolce siccome il mele. In questo genere son più secchi i noccioli delle palme che presero il nome da Nicolao Damasceno, i quali però sono grandissimi, tanto che quattro di loro formano la lunghezza d'un braccio. Manco belle sono le sorelle, ma di sapore di cariote, e perciò chiamale adelfide : queste hanno una soavità prossima a quelle, ma non però ia mede sima. La terza sorta di queste si chiama pateta, e questo frutto abbonda di tanto licore, che si rompe e ne inebria la madre : è di forma pialla, sì che par pesto e calcato. Tra i secchi ne formano una specie i noccioli giuncosi, lunghi e sottili, e piegati verso lerra. Perciocché quegli che noi offeriamo in onor degli dei, la Giudea gli chiama chidet, nazione famosa in vituperare i numi. Aride e secche affatto sono le Tebaiche e le Arabiche, zollili, con corpo magro, e per lo continuo ardore riarse ; hanno crosta, piuttosto che buccia. In Etiopia ai macina questo frullo, tanto è secco, e rassodasi io pane a uso di farina. Generasi nell' arbusto iu rami lunghi un braccio, con le foglie alquanto larghe: ha frulli tondi, ma maggiori di grandezza che il melo, e chiamansi coiche. Maturano in Ire anni ; e sempre innanzi che i primi si colgano, nascono gli altri. Il frutto delle palme Tebaiche subito si mette nei vasi, perchè se non si facesse così, perderebbe a un trailo lo spirilo del suo odore : e marcisce se non s 'arrostisce nei forni. Delle allre sorti di palme si tiene poco conto. 1 Siri e Giuba le chiamano tragemate ; perciocché
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C. P U M I SECCJNDl
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rotunditatis aut proceritatis. Differunt et colore, nigriores ao rubentes. Nec pauciores fico tradun tur coloret. Maxime tamen placent candidi. Di stant et magnitudine : prout inulti cubitum effe cere. Quidam sunt non ampliores faba. Servantur hi demum, qui nascantur in salsis atque sabulo sis, ut in Judaea, et Cyrenaica Africa. Non item in Aegyplo, Cypro, Syria et Seleucia Assyriae. Qoaniobrem sues et reliqua animalia ex his sagi nantur. Vitiati aut vetusti ejus pomi signum esi, cecidisse candidam verrucam, quae racemo adhae serit. Alexaudri milites palmis viridibus slrangulali sunt. In Gedrosis id factum est punii genere, alibi copia evenil. Esi enim lauta rausleis suavi tas, ut finis maudendi non nisi periculo fiat.
in altra parte dell* Fenicia e della Cilioie, coi nome ancora di qnei popoli son chiamate balani. Di queste ancora n« sono piè sorti, e sono diffe renti per figura di rotondità, o di lunghesso, non che nel colore, per esser più nere e rosseg gienti. Differenti nel colore sono ancora i fichi. Nondimeno molto più che gli altri piacciono i bianchi. Souo differenti ancora nella grandezza, perchè ve ne sono molli grandi un braccio. Alcu ni altri non sono msggiori che una fava. Conser vanti quei che nascono in luoghi salsi e arenosi, come ili Giudea e in Cireuaica di Africa. Ma non così in Egitto, in Cipro, in Siria e in Seleucia d'Assiria, perchè di tali frutti s'ingrassano i porci e altri animali. 11 segno che questo frullo è guasto, o vieto, è quando gli è caduto un porro bianco, che sta appiccato al racemo. 1 soldati d'Alessan dro affogarono per mangiar palme verdi, e questo avvenne uel paese de'Gedrosi per rispetto della qualità del frullo, altrove per l‘ abbondanza. Perciocché i freschi son così dilettevoli, che si resta di mangiarne sol quando si seulono far male.
S y b i a b a r b o r i s : p is t a c ia , c o t t a r a ,
D e g l i a l b e r i d i S i r i a : p i s t a c c h i , c o -γ γ α β ι , m ·
DAMASCENA, MYXA.
MAJSCBRI, B U A .
X. 5. Syria praeter hanc peculiares habet X. 5. La Siria oltra questo ha degli altri al arbores. In nucum genere pislacia nota. Prodesse beri suoi proprii, e fra gli altri uel genere delie adversus serpentium traduntur morsus, el potu noci i pistacchi. Dicesi che nel berne e nel roto* et cibo. In ficorum autem, caricas, et minores giarne giovano a chi fosse punto dalle serpi. Nel genere dei fichi ha le carice, e altri minori, che ejus generis, quae collana vocant. Item pruna in Damasco monte nata, el myxa : utramque jam si chiamano cotlani : e similmente le susine naie nel monte Damasco, e la inisa ; I’ una e Γ altra familiarem Italiae. Ex myxis in Aegypto et vina fiunt. già famigliare in Italia. Delle mise in Egitto se ne fa vino. C bd bu s. Q u a b a b b o b e s t r iu m a r r o b u m f r u c t u m PARITER BABBART.
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cedro.
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a l b e r i t b h g a r o i l fbutto m
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XI. Juniperi similem habent Phoenices et XI. In Fenicia è il cedro minore, simile ai cedrum minorem. Duo ejus genera, Lycia et ginepro. Sono «li due sorti, il Licio e il Fenicio, Phoenicia, differant folio : nam quae durum^ e sono differenti nella foglia ; perciocché quello acutum, spinosum habet, oxycedros vocatur, ra che ha la foglia dura, acuta e spinosa, si chiama ossicedro, il quale è ramoso e pien di nodi. I/al mosa et nodis infesta: altera odore praestat tro ha migliore odore. Fanno il frutto grande Fructum ferunt myrti magnitudine, dulcem sa pore. Et majoris cedri dno genera : qnae floret, come quello della raorliue, e di sapor dolce. Il fractum non fert : frugifera non florei : et in ea cedro maggiore è par esso di due sorli. Quei chc fiorisce, noo fa frullo, e quel che fa frullo, noa antecedentem fructuin occupat novus. Semen fiorisce, e in questo nasce il seguente frutto in· ejus cupresso simile. Quidam cedrelalem vocant. nanziche il primo si maturi. Il seme suo è li Ex hac resina laudatissima. Materiae vero ipsi mile a quello del cipresso. Alcuni lo chiamai*: aeternitas: itaque et siroulaora deorum ex ea fa cedrelale. Di questo si fa oli ima ragia, e il legno ctitaverunt. Cedrinus est Romae in delubro Apollo Sosiaous, Seleucia advectas. Cedro similis suo dura perpetuo, e perciò si facevano di esso anche le statue degli dei. La statua di Apolline in Arcadia est arbor : in Phrygia frutex vucatur. Sosiano condotta diSeloucta a Roma, è di cedro.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XIII.
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In Arcadia è uno albero simile al cedro, ii quale in Frigia si chiama frutice.
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XII. 6 . Syria el terebinthum habet. Ex hit XII. 6 . Nase* ancora in Siria Γ albero, che si mascula est sine fructo. Feminarum doo genera. chiama terebinto. Il maschio non fa frutto : le Alteri fructus rubet lentis magnitudine ; alteri femmine sono di due sòrti ; l’ ona ha il fratto pallidns, cum vite maturescit, non grandior faba, rosso, grande quanto una lente, l'altra lo Ci pal odore jucundior, tactu resinosus. Circa Idam lido. Matura con la vile: non è maggiore che una fava, ha buonissimo odore, e a toccarlo sente Troadis, et in Macedonia brevi» a^bor haeo atque fruticosa, in Damasco Syriae magna. Materies ei di ragia. Nasce nel monte Ida di Troia, ma in aJraodum lenta, ac fidelis ad vetustatem, nigri Macedonia questo albero è piccolo, e pieno di splendoris : flos racemosus olivae modo, sed ra sterpi : in Damasco di Stria è grande. II legno bens: folia densa. Fert et folliculos emittentes suo è pieghevole, e dura assai, ed è di color nero qaaedam animalia, ceu culices, lenloremque resi risplendente. Fa il fiore a grappoli, come l'ulivo, nosam, qui ex cortice erumpit. m» rosso, e ha le foglie spesse. Produce ancora certe pallottoline, delle quali escono animaluzzi come zanzare, e an licore viscoso e ragioso, che esce della corteccia. R
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XIII. Etiam rhas Syriae mattala fert,sterili fe XIII. Ancora il rus macchio di Siria prodace, mina, folio ulmi paullo longiore et piloso, foliorum mentre la femmina è sterile: ha le foglie come inter se semper contrariis pediculi*, gracili brel ' olmo, ma un poco più Innghe e pilose, e sem vique ramo. Pelles candidae cou&ciuntur iis. Se pre i picciuoli delle foglie stanno al contrario men lenti simile, cam uva rubescit, quod vocstar fra loro. I rami sono sottili e corti. Di questo si rhus, medicamentis necessarium. fanno le pelli bianrhe. Ha il seme simile alla lente, che arrossisce insieme con P uva, il qaal si chiama ras, molto necessario alle medicine. A b g t p t i a b b o b b s : f ic o s A l a x a b d r i r a .
D e g l i al b e r i d e l l ' E g i t t o : d b l fic o d ' A l e s s a n d r ia .
X IV . 7 . Et Aegypto multa genera, quae non XIV. 7. In Egitto ancora sono molte sorti di alibi. Ante omnia ficus, ob id Aegyptia cogno alberi, i qnali non sono altrove ; e Fra gli altri il minata. Arbor moro similis folio, magnitudine, fico, per cid chiamato Egizio. I/ albero è simile aspectu. Pomum fert non rami*, sed caudice ipso. al moro nelle foglie, nella grandezza e nell’aspet Idque ìpsum ficus est praedulcis, sine granis in to. Produce il frutto non nei rami, ma nel legno, terioribus, perquam fecondo proveotu, scalpen e questo è un dolcissimo fico, senza granella den do tantum ferreis unguibus : aliter non mature tro. Viene in molta abbondanza : se non si graf scit. Sed qauin factum est, quarto die demetitur, fia con ugne di ferro, non matara, ma quando alio sitbnascente: septeno ita numerosa partu, per s’ è grattato, matura in quattro giorni, e coglien aingùlas aestates multo lacte abundante. Subna dosi ne nasce un altro infino a sette ogni sfate scitur, etiam si non scalpatur, fetus quater aestàcon abbondanza di latte. Nasce ancora se non si te, prioremque expellit immaturum. Materies graffia, ma sol quattro volte la state; e quello proprii generis inter atilissimas. Caesa statim stache nasce, caccia il primo, benché non sia maturo. guis mrrgitur: hoc est ejus siccari. Et primo si 11 legno tuo è utilissimo fra gli altri legni del dit, postea fluitare incipit : certòque sugit eam fico. Taglialo che egli è, si mette nell’ acqua, e alienus humor, qui aliam omnem rigat. Quum così si secca. Prima sta al fondo, dipoi comincia innatare coeperit, tempestivae habet signom. a ire per V acqua ; e così lo succia e secca quello umor··, il quale ha;rta ogni altro legno. Come comincia a ire a galla del tutto è segno che egli è secco.
C. PU NII SECONDI
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Ficu» C y p r i a . XV. Huic similis quadamtenus quae vocatur Cypria ficu» in Creta. Nam et illla in caudice ipio fert pomum, et ramis, quum in crassitadinem adolevere. Sed haec germina emittit sine ullis foliis : radice similia populo, folium ulmo. Fructus quaternos fondit : totiea et germinat. Sed grossus ejus non maturescit, nisi incisura emisso lacte. Suavitas et interiora, fici: magnitado, sorbi.
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di Cipbo.
XV. Simile a qnesto in un certo modo è quel lo, che in Candia si chiama fico Ciprio! to. Per· ciocché anche esso fa il suo frutto nel tronco, e nei rami grossi, quando son cresciuti. Ma questo fico manda fuori i polloni senza alcuna foglia. Il legno suo è simile stroppio, e la foglia all* olmo. Fa il frutto quattro volte, e altrettante germina. Ma il fico suo φ>η matura, se prima oon ή taglia in modo che n’ esca il latte. Ha il sapore di fico, e la grandezza di sorba. D e l l a s il iq u a c e r a u b ia .
XVI. 8 . Similis et quam Jones ceroniam vo cant : trunco et ipsa fertilis, sed pomo siliquae. Ob id quidam Aegyptiam ficum dixere, errore manifesto. Non enim in Aegypto nascitur, aed io Syria, Joniaque, et circa Guidum, atque in Rho do : semper comantibus foliis, flore candido, cum vehementia odoris: plantigera imis partibus, et ideo superficie flavescens, succum auferente soho· le. Pomo antecedentis anui circa Canis ortum detracto, atatim alterum parit : postea florem per Arcturum : hieme fetus enntriente.
XVI. 8 . La siliqua, la quale nella Ionia al chia ma ceronia, produce il frutto nel tronco suo, come il fico detto di sopra ; e per qaeato alcuni la chiamarono fico Egizio, pigliando ia ciò ma nifesto errore. Perciocch' ella non nasce in Egit to, ma nella Siria e nella Ionia, e intorno a Gui do, e in Rodi ; e ha sempre foglie, e fior bianco, coi\ grandissimo odore. Produce piante nel trou· co abasso, e perciò è gialla nella superficie, levan dole il sugo que' piantoni. Levatone il frottoddl'anno precedente intorno al nascer della Canìcola, subito ne fa un altro : dipoi nelPuscire di Arturo fa fiori, nutrendo il verno i suoi parti.
. P uS IC A ΑΒΒΟΚ C BT QUIBUS ABBOBIBUS
D e l l * a l b b b o p e b s ic o ; e a q u a l i a l b e r i b a s c a b o
SUBBASCABTUR FRUCTUS.
1 FRUTTI BELLA SCORZA.
XVII. 9 . Aegyptus et persicam arborem sui XVII. <). Produce ancora l'Egitto I*albero generis habet, similem piro , folia relinentem. persico della^ua specie, che è simile al pero, e ri Fertilitas assidua ei, subnascente crastino fructu: tiene sempre le foglie. Qoesto albero fa di conti maturitas etesiarum adflatu. Pomnra longius piro, nuo frolli, perchè coltone oggi uno, domani ne .inclusum amygdalae putamine, et corio, colore nasce un altro. Maturasi quando soffiano i venti .herbrdo : sed ubi nux illi, huic prunum, diffechiamati etesii. 11 fratto suo è più lungo che una rens brevitate ac mollitie : et quamvis blandiatur pera, e ha guscio come la mandorla, e colore .praedulcis suavitas, innocuum. Materies bonitate, coma d* erba : ma dove quella ha la scorza, que .firmiludine, nigritia quoque nihil differens a sto ha il frutto, differente per esser minore e loto. Simulacra ex ea factitavere, non eadem gra più tenero ; e benché sia molto dolce e soave, tia, quam fideli materie, at ex arbore quam bala non fa però mal veruno. Il legno suo ha la bon num appellavimus, magna ex parte contorta: tà, la Cortesia e la neretta non punto differente navalis itaque tantum est. dal loto. Di questo legno si sono già fatte delle statue, non tanto perehè egli abbia bellezza, -quanto perchè è di materia durabile ; come s* è fatto ancora dell'albero, che noi chiamammo balano, il qaale per la maggior parte è torlo. Laonde è buono solamente a far navili. Cuci.
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XVIII. Ma per contrario l ' albero chiam ato XVIII. At e diverso cuci in magno. honore, cuci è in gran riputazione,' il quale è simile alla palmae similis, quaudo et ejus foliis utuntur ad te-
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HISTORIARUM MCIISDI UB. XIII.
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x lilia. Differt quod in brachia camorum spargitur. Pomo magnitudo, qoae manum impleat, color folvos, commendabilis succo ex austero dulci. Ligonna intus grande, firmaeque duritiae, ex quo velares detornant anulos. In eo nucleus dulcis, dura recens est : siccatus durescit ad infinilum, ut nandi non possit, nisi pluribus diebus mace ri lui. Materies crispioris elegantiae, et ob id Persis gratissima.
palma : si adoperano le sue foglie a far cose in-, tessute. È differente in questo,, che i. rami tuoi s'allargano molto. Il frutto suo è grande, ch’cm-. pierebbe la raano, ed è di color giallo : il sugo ha grazia per essere aspro e dolce. Il legno suo è molto duro sotto la corteccia, del quale fanno carrucole da vele col torno. Dentro a quello è il nocciolo dolce, mentre eh' è fresco ; ma come è secco, indurisce in infiuito, sì che non si può mangiare, se molti dì non si tiene a molle. Il legno suo è crespo, e perciò è molto iu grazia de' Persiani.
SPIRA AEGYPTIA.
D e l l a s p ir a E g iz ia n a *
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XIX. Nec minus spina celebratur in eadem XIX. Nel medesimo paese è la spina, nera gente dumtaxat nigra, quoniam incorrupta etiam sol quivi, e non altrove ; e perch' ella dura an in aquis durat, ob id utilissima navium costis. cora senza marcirsi altramente nell' acqua, per Candida facile putrescit. Aculens spinarum et in ciò è utilissima a fare le costole de' navili. La foliis. Semen in siliquis, quo coria perficiuntur bianca facilmente s 'infracida. Questa è spinosa gallae vice. Flos et coronis jucundus, et medica· ancora nelle foglie. Fa il seme suo in baccelli, il mentis utilis. Manet et gummi ex ea. Sed prae qnale s 'adopera alle cuoia in luogo di galla. Il cipua utilitas, quod caesa anno terlio resurgit. suo fiore è vago per far ghirlande, e utile per Circa Thebas haec, ubi et quercus, et persica, et medicina. Di questa spina tagliandosi n' esce oliva, ccc a Nilo stadiis, silvestri tractu, et suis gomma; ed i utile massimamente perchè rimette fontibns riguo. il terzo anno. Nasce questo albero intorno a Te be, dove sono anco boschi di querce, di peschi e ulivi, in un loogo assai copioso di fonti, e lon tano dal Nilo trecento stadii, cioè trentaselte miglia e mezzo. io. Ibi et prunus Aegyptia, non dissimilis io. Quivi nasce ancora il pruno£giziano, po apinae proxime dictac, pomo mespili, matureco differente dalla spioa detta di sopra : il fratto scensbruma, nec folia dimittens. Lignum iu pomo soo è come oespola, e matura di mesto verno ; grande, sed corpus ipsum natura copiaque, mes nè lascia mai le foglie. Nel frutto è il nocciolo sium instar incolis. Purgatum enim tundunt, grosso, e i paesani si servono di questo fruito in servaotqueejus offas. Silvestris et circa Memphim luogo di biada per la qualità e abbondanza d'es regio tam vastis arboribus, ut terni non quirent so. Perciocché purgato che l ' hanno, lo pestano, circumplecti. Unius peculiari miraculo, nec po e lo serbano in pani. Fu già intorno a Menfi un mum propter, usumve aliquem, sed eventum, paese d ' alberi sì grandi, che tre uomini non ne Acies est : spinae folia habet, ceu pennas, quae, potevano abbracciar uno ; e quello che fa mara tactis ab homine ramis, cadunt protinus, ac po viglia è, non il frutto nè la sua utilità, ma che stea renascuntur. hanno tutti lo stesso aspetto. Ha foglie come la spina, ovvero penne, le quali caggiono, se l ' no mo le tocca, e di poi rinascono. G chuck
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ix. S axc ocolla .
N o v e s p e c ie d i g o m m a . S a E c o c o l l a ,
XX. 11. Gummium optimam esse ex Aegyplia XX. i i . Ogoun tiene che la gomma della spina convenit, vermiculatam, colore glauco, pu spina Egiziana sia ottima ; è biliottata, di co* ram , sine cori ice, dentibus adhaerentem. Prelium lor verde, pura, senza crosta, e che s* attacca ai ejus in libras, x. m. Deterior ex amygdalis ama denti. 11 pregio ano è tre danari la libbra. Peg ris, et ceraso, pessima ex prunis. Fluit et ex viti giore è la gomma di mandorle amare, e di cilie b u s , infantium ulceribus aptissima : el aliquando gio, e pessima quella di susini. Cola ancora delle, viti, ed è buonissima alle rotture di fanciulli: ex,olea, dentium dolori : ulmo eliam in Coryco alcuna volta ne nasce dell' nlivo, e giova al do m onte Ciliciae, ac junipero, ad nihil utilis : ex lora dei denti * e dell' olmo ancora in Corica u lm i vero gummi ,et. culices ibi nascantur. Fit et
C. PLINH SECONDI
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ex sarcocolla (ita vocatur arbor) gammis ntilis« m i pictoribus ac medici·, limili» polliui Iburìi; et ideo candida, qaam rufa, melior. Pretium ejus, quod sopra.
monte della Ciciti»* t del ginepro, che però non è buoua a nulla ; ma dèlia gomma dell* olmo na scono quivi zanzare. Passi ancora delP albero, che si chiama sarcocolla, uua gomma utilissima ai pittori e ai medici, simile al friscello dell'iocenso ; e per questo è migliore la bianc^, che U rossa. 11 pregio d’ essa è quanto di sopra.
D e p a p t r o : db c h a r t a e use : q o a h d o c o e p r r i t .
D el
p a p ir o : d e l l ’
qso
d b l l a c a r t a : qoabdo
COMINCIÒ USARSI.
XXI. Infino a qui non s 'è ragionato dei luo XXI. Nondum palustria alligimus, nec fruii· ces arauium. Prius tamen quam digrediamur ab ghi paludosi, nè degli alberi de* fiumi. Ma non dimeno prima che ci partiamo d ' Egitto, patte Aegypto, et papyri natura dicetur, quum chartae u»u max ime humanitas vi lae constet et memoria. remo della nalura del papiro, poiché con Taso E l hanc Alexandri Magni victoria reperlam, della carta principalmente si conserva la storia auclor est H. Varrò, condita in Aegyplo Alexan della vita umana. Scrive M. Vairone che la carta dria. Antea non fuisse chartarum usum : in pii* fu trovata' nella vittoria d'Alessandro Magno, ma rum foliis primo scriplitalum : deinde qua essendosi edificata Alessandria in Egitto. Prima rumdam arborum libris. Postea publica monu non s’ usava la carta, usandosi già scrìvere nelle menta plumbeis voluminibus : mox et privata foglie delle palme, di poi nelle scorze di certi linteis confici coepta, aut ceris. Pugillarium enim alberi. S'incommctaron dipoi a scrivere gli alti usum fuisse eliam ante Trojana tempora inveni pubblici in volumi di piombo, e poco dopo i mus apud Homerum. 1Ilo vero prodente, ne terra privati scrissero in fiannilini, o in cere ; perchè quidem ipsa, quae nunc Aegyptus, intelligitur noi troviamo anco in Omero, che innanzi alla (quum in Sebennylico saltem ejus nomo nonnisi guerra di Troia s' usavano le tavole incerate. E charta nascatur ) : postea adaggerata Nilo. Siqui quando egli scrìveva questo, nou era tutta terra dem a Pharo insula, quae nuuc Alexandriae ponte quella, che oggi si chiama Egitto (perciocché al jungitur, noctis dieique velifico uavigii cursu mauco in Sebennitico, eh'è una prefettura d' fi terram fuisse prodidit. Uox aemulatione circa gli to, d o u nasce che carta), la qual terra poi fu ac bibliothecas regum Ptolemaei et Eumenis, suppricresciuta dal Nilo. Perciocché, secondo Yaroue, tneule chartas Ptolemaeo, idem Varro membra dall'isola del Faro, la quale oggi è congiuuta per nas Pergami tradidit repertas. Postea promiscue ponte con Alessaudria, v’era 11 viaggio marittimo paluil usus rei, qua constat immortalitas hod' un dì e d 'una notte. Dipoi scrive il medesimo luinum. Varrone, ch’essendo concorrenza iu far copiosissi me librerie fra Tolomeo re d' Egitto, ed Eume ne, e perciò non lasciando Tolomeo uscire la carta d'Egitto, in Pergamo si trovò il far mem brana, cioè carta di pelli. Si comiuciò dipoi alla mescolata usare Γ una e Γ altra carta, onde le cose degli uomini si fanuo immortali. Q uom odo p ia t .
XXU. Papyrum ergo nascitur in palustribus Aegypti, aut quieacetotibus Nili aquis, ubi evaga tae stagnant, duo cubita nou excedente altitudine gurgitum, brachiali radicis obliquae crassitudi ne, triangulis lateribus, decem noo amplius cu bitorum longitudine in gracilitatem fastigatum, thyrsi modo cacumen includens semine nullo, «ut usu ejus alio, quam floris ad deos coronandos. Radicibus incolae pro liguo utuntur : nec ignis tantum gratia, sed ad alia quoque utensilia va sorum. Ex ipso,quidem pàpyro navigia texunt: et e libro vela, iegetesque, nec oon et vestem,
C ome
si f a c c i a .
XXII. Nasce dunque il papiro nei luoghi pa ludosi d'Egitto, o dote staguano Tacque dd Nilo uscite del suo letto, non passaudo la l'altezza di due braccia. Ha radice obbliqu*. gros sa quanto un braccio. Ha i lati in forma trian golare : non è più lungo che dieci braccia, t.i appunta la cima soa iu forma di torso. N o o ha seme, e il fior suo non è buono ad ''pltro, che a far ghirlande agli dei. I paesani usano le ra dici per legno, non solo per ardere, ma per Care varii vasi è instromeuli. Del papiro U u u » «o d i* barchette, e della corteccia vdc, c capanne, «
DISTOltlARUM MUNDI LIB. XIIL edam «tragulam, ao fuoes. Manduut qnoqoe «o d o n , dMKlQoqaet adocura tantum devoranlai. Naseitur et in Syri·, circa quem odoratus ille calamus, lacum. Neque alti· usus est, qaam inde, fanibue r » Antigonus in navalibus rebus, nendam sparlo eoramunicato. Nuper et Eupbrale naeeens circa Babylonem papyrum intellectum est eumdem usam habere chartae. E l tumet» adhuc malunt Parthi vestibus literas iutexere.
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vestimenti, e panni da letto, e foni. Mangianto ancora e crudo e cotto, suggendone solamente il sago. Nasce pure in Siria, presso a quel Iago stesso, a cui dintorno nasce il calamo odoralo. Nè d*altro albero che di questo si valse il re Anti gono per farne funi da marineria, perchè ló sparto uon s’era aneora divulgato. Non ba molto ehe »’ è inteso che il papiro, il qual nasce nello Eufrate, è buono a far le carte ; ma nondimeno i Parli per ancora vogliono piuttosto iulessere le lettere in panno.
Nova
SFECI* DI ESSA.
XXIII. ìa. Preparane! di esso le carta divise XX11I. ia. Praeparantur ex eo oharlae^iviio eon Pago in sottilissime, ma larghissime falde. *cu in praetenue^ sed quam lalissimas, philuras. Le migliori sono quelle di mezzo, e poi le altre Principatus medio, atque inde scissurae ordine. di mano in maoo. Anticamente si chiamava iera Hieralica appellabatur antiquitus, religiosis tan tica la carta, la quale s 'usava solamente nei libri tum voluminibus dicata, quae adulatione Augn ili nomen accepit : sicut secunda Liviae, a conjureligiosi: questa di recente per adulazione ha preso ge ejus, lia descendit hieralica in tertium nomen. il nome da Augusto, siccome la seconda da Livia Proximum aiuphilheatricae datum fuerat a con sua moglie, onde la ieratica è diventala la terza. fecturae loco. Excepit hanc Romae Fauuii sa Un'al Ira sorte ve ne fu, che si chiamò anfitealrica, gax officina, tetiualamque curiosa interpolatione così delta dai luogo dov’ ella si faceva. Cominciò priucipalem fecil e plebeja, et nomen ei dedit. a farsi questa carta a Roma nella bottega di Quae uon esset ila recurata, in suo mausit araFannio, il quale assorellatala con isquisila ac philheatrica. Post hanc Sailica, ab oppido, ubi conciatura, di plebea la rese nobilissima, e le maxima fertilitas, ex vilioribus ramentis: proimpose il suo nome. Quella che non è sì ben piorque eliarouum cortici Leneotiea, a vicino curata, rimase nel suo nome anfitealrica. V’ è loco, poodere jam haec, non booitale, venalis. dipoi la Sailtcs, così delta da una citi» d'Egitto, Nam emporetica inutilis scribendo, involucris dove n’ è gran dovizia, e fassi delle parti piò vili, chartarum, segeslriumque iu mercibus usum e quasi della corteccia. Écci ancora la Leneotica, y»r«ebel : ideo a mercatoribus cognominala. Post così chiamata da un luogo vicino ; e questa si hauc papyrum esi, extremumque ejus scirpo si vende piuttosto per lo peso, che per la bontà. mile, ac ut fuuibus quidem, nisi in humore utile. Quella che si chiama emporetica, non è buona per iscrivere, ma fassene involture e coverte all1altre carte, e a molte spezierie ; e per questo è nomi nata carta da* mercanti. Dopo questa v’ è il papiro, e l'ultima parte d'esso simile al giunco, che non è pur buona alle funi, se non nell' umido. Texuntur omues, madente tabula NiK aqua: Tessonsi tulle su tavole bagnale nell'acqua del turbidus liquor glutiuis praebet vicem. Primo Nilo ; che quando è torbida serve in luogo di colla. supiaa tabula scheda adlinitur longitudine pa Da prima tengono la tavola supina, cioè piana. pyri, quae potuil esse, resegminibus utrimque La membrana si bagna a tanta lunghezza, quanto amputatis: transversa postea crates peragit. P re è la carta di papiro, tagliando da ogni parte le luitur deinde praelis, el siecautur sole plagulae, superfluità : indi queste membrane si pongono a tipverso l ' una sopra l’ altra a modo di cratieoio. et que ioler se junguntur, proximarum semper bouitalii tlimiuulkxte ad deterrimas. Numquain Metlonei indi nelle strettoie, e poi «I sole, onde p lu re » scapo, quam viceuae. si congiungouo insieme e si seccano; ma badasi di disporre (uriina le più buoue, e per ordine fino alle più triste. Queste meinbraue non sono mai più che venti per fusto. PhObATlO CHARTARUM.
D ella p h o v a d e l l e c a s t e . '
X X IV . Magna iu latitudine earum differen XX IV . Gran differenza c’ è nella larghezza tia : x iu dfgiluruni oplimis : duo detrahuntur loro : le migliori sono tredici dita : la ieratica è
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C. PL1NH SBC0ND1
hieratiche. Fanniana denos babet; et uno minus arophi theatrica : pauciores Sailica, nec malleo Sufficit: nam emporeticae brevitas sex. digito* non excedit. Praeterea spectantur in chartis, te nui lai, densitas, candor, laevor. Primatum mo tavit Claudius Caesar : nimia quippe Augustae tenuitas tolerandis non sufficiebat calamis. Ad hoc transmittens lileras liturae metum adferebat ex aversis: et alias indecoro visu pertranslucida. Igitur et secundo corio statumina 'facta sunt: ut primo subtemina. Auxit et latitudinem. Pedalis erat mensura, et cubitalis macrocolis : sed ralio deprehendit vitium, nnius schedae revulsione plures infestante paginas.Ob haec praelata omni bus Claudia ( Augustae in epistolis auctoritas re licta : Liviana *uara tenuit): cui nihil prirase erat, sed omni· secundae.
V lT lÀ CHARTARUM.
due meno, Ia Fanniana dieci* · U anfiteatri*» nove. La Sailica n’ ha·meno, e non regge a& martello; e Γ emporetica non passa· sei dita. Considerasi poi. nelle carte la sottigliezza, la densità, la bianchezza, e la pulitezza. Claudio imperadore fu quel che mulo la principale, per ciocché la troppa sottigliezza nella carta Angusta noo reggeva al calamo. Oltra di'ciò le lettere passando all’altra feccia della carta faeean credere cancellate le parole nel rovescio ; senza che era anche una sconcia cosa a vedere. Laonde alla seconda tonaca o membrana soppose una terza, in modo che questa e la prima erano per tra verso, e quella di mezzo per lungo. Ne aumentò ancora la larghezza. La misura della carta lunga era d'un piede, e per quella che pià, un braccio. In pruova si venne poi a conoscer· a' ella aveva difetto, perchè se si componeva d’una membrana meno delle tre, guastava più pagine. Per qnesto la Claudia fu tenuta la migliore di tutte; PAu gusta si riserbò per iscrivere lettere ; la Liviaaa ri tenue la sua autorità, perch’ ella non ricevette 1* aumento della Claudia, ma restò quale era di seconda qualità. Db’ d i f e t t i
d b llb c a rte .
La ravida si liscia col dente, ovrer eoa XXV. Scabritia laevigalur dente, conchave ; XXV. sed caducae literae fìunt. Minus sorbet politura la zanna, ma la lettera non vi si può fermare. L» carta che fu pulita bea meno l’ inchiostro, e riluce charta, magia splendet. Rebellat saepe humor in curiose datus primo, malleoque deprehenditur, di più. Quando essa ha avuta la prima volta cat aul etiam odore, quum fuerit indiligentior. De tila bagnatura, non-riceve bene lo acri Ilo; la prehenditur et lentigo oculis: sed inserta mediis quale imperfezione si conosce all’ odore, o col glutinamentis taenia, fungo.papyri bibula, vix martello, perchè lo stesso foglio dove è pià grosso, nisi litera fundente se: tantum ioest fraudis. dove più sottile. L1 occhio stesso vi scorge talora Alius igitur iterum texendis labor. delle lentiggini ; e se la colla non attaccò per ogni verso le membrane, ma vi lasciò come linee scollate, la sottigliezza del papiro appena ricevuto l’ inchiostro lo diffonde; tanto di frode vi ha sovente. Vuoisi adunque rinovar la fatica, e tea* serie un’ altra volta. Db
GLUTINO CHARTARUM.
D ella co lla d bllb carte.
XXVI. Glutinum vulgare e pollinis flore tem XXVI. La colla sua volgare i fior di fariea peratur fervente aqua, minimo aceti fcspersu: temperala oon acqua bollita, e un poco d’ M eto, perchè la colla fabrile e quella delle gomme non nam fabrile, gummisque fragilia sunt. Diligenter cura, mollia panis fermentati colata aqua fer lasciano piegare la carta. Quando si asa più cura, vente: minimum hoc modo intergerii; atque la si ammollisce in aoqua purgata dopo la bolli* tura di grano fermentato ; e così quando si pone etiam Nili lenitas superatur. Omne antem gluti tra nna membrana e l’altra, è sottilissima che non naro, nec vetustius esse debet uno die, nec recen tius. Postea malleo tenuator, et ilerum glutino si conosce, e vince la siesta acqua torbida del Nilo. Ma ogni colla noo debbe esser più vecchia, percurritur, iterumque constricta erugatur, alnè più fresca d’ un giorno. S’ assottiglia poi col que extenditur malleo. Ita eunt longinqua mo martello, e di nuovo si rifrega con la «dia ; e poi numenta Tiberii Cajique Gracchorura manus, d a a p o si distende col maglio. A qaesto moti» quae-apud Pomponium Secundam Tatera civem-
HISTORIARUM MUNDI LIB. XUI.
qne dailutmam vidi annos fere post oc. Jam ▼ero Cieeroni», ac diti Augniti, VirgiUique ue> penamero tid en oi.
D e. t u a n .N dmab. • XXVII. i 3. Ingentia exemjpla. contra Varro nis sententiam de chartis reperhratur.- Namque Cassius Hemina, vetustissimus auctor annalinm, quarto eoram libro prodidit, Cn. Terentium scribam agrum anum in Janienlo repastinantem, offendisse arcam, In qua Nnma, qui Romae re. gnavit, sitos fuisset. In eadem libros ejns reper to* P. Cornelio L. F. Cethego, M/ Baebio Q. F* Pamphilo coss. ad quos a regno Numae colligun tur anni oxxxv et hos fuisse e charta : majore etiamnum miraculo, quod tot infossi duraverunt annis: quapropter in re tanta ipsius Heminae ▼erba ponam. Mirabantur alii, quomodo illi libri durare potuissent: ille ita rationem reddebat: u lapidem foisse qnadratnm circiter in media arca vinctum candelis quoquo versus. In eo la pide insuper libros impositos fuisse : propterea arbitrari eos non computruisse. Et libros citratos fuisse : propterea arbitrarier lineas non tetigisse. I d his libris scripta erant philosophiae Pytha goricae. Eosqne combustos a Q. Petilio praetore, iquia philosophiae scripta essent. » Hoc idem tra dit L. Piso censorias primo commentariorum : « Sed libros septem juris pontificii, tolidemque Pythagoricos fuisse. * Tuditantis tertiodedmo : u Nomae decretorum fuisse. » Ipse Varro Huma. naram antiquitatum sexto, Antias secando, u duos pontificales Latinos, totidem Graecos praecepta ‘philosophiae continentes, w Idem tertio ponit, u quo comburi eos placnerit. » Inter omnes vero convenit Sibyllam ad Tarquiniam Superbum tres libros ad tulisse : ex quibus igni duo cremati ab ipsa, tertius cum Capitolio Sullanis temporibus. Praeterea Mucianus ter consul prodidit nuper se Jegisae, quum praesideret Lyciae, Sarpedonia a Troja scriptam in quodam templo epistolae char tam. Quod eo magis miror, si etiamnum Homero condente Aegyptus non erat : aot cur, si jam hic era t osas, in ipsa illa Lycia Bellerophonti codi cillos datos, non epistolas, prodidit. Sterilitatem aentit hoc quoque: factumque jam'Tiberio prin cipe inopia chartae, ut e senatu darentur arbitri 'dispensandae : alias in tumultu vita erat.
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durano aocora i libri scritti di mano di Tiberio e Caio Gracchi, i quali io ho veduti appresso di Pomponio Secondo, poeta e cittadino nobilissimo, dopo dugento anni eh* erano scritti. Spesso ne veggiamo ancora di inano di Cicerone, dell' im peradore Augusto, e di Virgilio. Da* lib b i
ni Nom a.
XXVII. 1 3.'Grandi esempi! si Irùovano contra P opinione di Varrone della orìgine delle carte. Perciocché Cassio Emina antichissimo scrittore nel quarto libro delle sue istorie scrive, che Gneo Terenzio cancelliere svegliendo un suo campo, trovò nel monte Gianicolo ona cassa, dove era il corpo dì Noma Pompilio secondo re di Roma, e ancora i libri suoi. Questo avvenne nel consolato di Publio Cornelio Cetego figliuolo di Lucio, e di Marco Bebio Panfilo figliuol di Quinto, e dal regno di Noma fino al tempo dì*questi consoli furono cinquecento trentacinque anni. Questi libri erano di*carta ; onde è tanto maggior mara viglia, che si sieno mantenuti sotterrati tanti anni. E perciò in sì grau cosa racconterò leparole pro prie d’ esso Emina. Maravigliavansi alcuni, come qnei libri fossero potuti dorare tanto tempo, ma egli ne mostra questa ragione. Quasi nel mezzo dell'arca era uua pietra quadra attorniata d 'ogni parte di candele, e in quella pietra diso pra erano stati posti i libri, e per questo pensava che non si fossero gnasli. I libri erano stati tinti col sugo del cedro, e per questo teneva che tignuole non gli avessero manomessi. In questi libri erano gli serilti dellk filosofia di Pitagora i furono arsi da Q. Petilio pretore perch'erano scritti di filosofia. Questo medesimo scrive L. Pisone censorio nel primo libro dei suoi com mentarii, ma dice che furono aelte libri di ra gione pontificia, e altrettanti Pitagorici. Tuditano nel suo tredicesimo dice che forano de' de* creti di Noma. Varrone nel sesto «Ielle .Anti chità umane, ed Anziate nel secondo, scrivono che furono doe pontificali Latini, e altrettanti Greci, che contenevano precelti di filosofia. 11 medesimo nel terzo dice il perchè furono arsi. & tutti di comune consentimento s 'accordano, che la Sibilla portò tre libri a Tarquinio superbo $ de'quali ella ne arse due, l'altro abbruciò in sieme eoi Capitolio al lempo di Siila. Oltra di ciò Muciano stato tre volte consolo scrìve, coipe egli av^va Ietto, essendo al governo della Licia, nna carta di una lettera di Sarpedone scritta da Troia.-Di che tanto piò mi maraviglio, perchè r quando Omero scriveva, non era anoora l'Egitto, i o se egli era pure questo uso, perchè Omero scriI va, che in questa stessa Licia fossero date a Belle*
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C. PLINII SECONDI
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rofonle tavolette, a non pittUosto letlerfe. Viene anco tnlora carestia in questa carte. E perciò al tempo di Tiberio imperadore il senato per care stia della carta elesse alcuni nomini, che la di spensassero ; perchè altrimenti sarebbe nato qual che disordine. A e THIOPIAB ARSO BBS.
XXVIU. >4· Aethiopia, Aegypto conterrai na, insignes arbores non fere habet, praeter la niferas, quarum nalnra in descriptione Indorum atque Arabiae dicta est. Propior tamen huic na tura lanae, majorque folliculus graoati modo ma li : similesque et inter se arbores ipsae. Praeter hano palmae, quales retulimus. Insularum arbo res ambitu Aethiopiae, et nemora odorata, id mentione earum dicta sunt.
D e o Lz a l b e r i d b l l * E t i o p i a .
XXVIII. 14. L’ etiopia, vicina all’ Egitto, è qnasi del tntto mancante di alberi eccellenti, fuor che di quegli che fanno la lana dell· seta, della cui natura si è parlato nella descrizione delP India e dell* Arabia. Ma questa ha piò na tura di lana, e produce maggiori palle, grandi quasi come una melagrana. Gli alberi ancora sono simili fra loro. V' è ancora la palma, ma di questa, siccome pure degli alberi delle isole ebe circuiscono l ' Etiopia, s 'è di già ragionato.
• A t la n t ic a abbob.
D b errat
abbobb,
BT DB QTBBIS HBRS1S.
D b g l i ALaaai d e l m o n tb A t l a n t e . D e l l * u h m CBDBO, B DBLLB TAVOLB DI BSSO.
XXIX. i 5. Atlas mons peculiari proditur sil XXIX. i 5. Dicono che il monte Atlante ha va, de qua diximus. Confines ei Mauri, quibus una propria selva, di cui abbiamo parlato. ?i plurima arbor citri, et mensarum insania, quas ■sono ai confini i Mori, i quali hanno dovìzia di feminae viris contra margaritas regerunt, Ezslat cedri, e la pazzia delle mense, per le quali insa hodie M. Ciceronis in illa paupertate, et quod niscono gli uomini quanto per opposito insani magis mirum est, illo aevo empta H-S x. Memo scono le femmine per le perle. Durano ancora quelle che Cicerone comperò per diecimila se ratur et Galli Asinii, H-S xi. Venumdatae sunt et duae a Juba rege pendentes: quarum alteri pre sterzi ί in quella povertà, e, che è maggior mara tium fuit H-S xu, alteri paullo minus. Interiit viglia, in quel tempo. Rammentasi ancora quel la di Gallo Asinio venduta undicimila sestenii. nuper incendio a Cethegis descendeos, H-S xtv Vi sono ancora due altre, che furono vendute permutata, latifundii taxatione, si quis praedia dal re Giuba, l’ una delle quali costo dodicimila tanti mercari malit. Magnitudo amplissima adhuc sestenii e V altra poco meno. Perì, non ha mot fuit, unius commissae «x orbibus dimidiatis duo to , per fuoco quella dei Ceteghi che era sta· bus, a rege Mauritaniae Ptolemaeo, quatuor pe dum et semipedi· per m edium ambitum, crassi ta comperata quattordicimila sesterzi», quanto tudine quadrantali. Majusque miracnlnm in ea est sarebbe la stima di una gran possessione, se al artis, latente jurtetura, quam potuisset esse na cuno piulto«lo volesse comperar poderi tanto prezzo. Ma la maggiore insino a questi tempi 61 turae. Solidae autem a Nomio Caesaris liberto una di Tolomeo re di Mauritania larga quattro eognomen trahentis, tribus sicilici· infra quatuor piedi e mezzo per diametro, commessa di due pedes, tdlidemque infra semipedem crassitudiuis. Qua in re non omittendum videtur, Tiberio mezzi tondi, e grossa un quadrante ; m a m olto principi mensam quatuor pedes sextante et sici maggiore maraviglia è ancora lo artificio di es lico excedentem, tota vero crassitudine sescun sa, perchè oon vi si vede neppur la congiun ciali, operimento laminae vestitam fuisse, quum tura, che ella per natura avrebbe potuto avere Ecci un1 altra di un pezzo, la quale ha nome da tam opima Nomio liberto ejus esset, cujos mate Nomio liberto di Tiberio imperadore, la quale è ria erat tuber. Hoc est radicis, maximeque lau datum, quod sub terra totum fuerit : et rarius tre sicilici, ovvero tre quarti di pollice meno di quattro piedi, e altrettanto manco di un messo quam quae superne, quaeque gignuntur etiam in piè di grossezza. Nella qual cosa nou è da lascia ramis, proprieque quod tanti emitur, arborum re, che la mensa di Tiberio imperadore passa vitium est, quarum amplitudo ac radices aesti mari possunt ex orbibus. Sunt autem cupresso quattro piedi un sestante e uu sicilico, e tutta la feminae etiamnum silvestri similes folio, odore, grossezza è uii* oncia e mezzo, ed è stata vestila con copritueulo di lama : quella di Nomio suo caudice. Aucorarius mons vocatur citerioris Mau-
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HISTORIARUM MUNDI LIB. Xlll.
ri Uniae, qui Uadalistftuam dedit citrum, jam exhaustus.
Q o a b p b o b e h t o r , AUT VITUPBBBRTOB II» HI*.
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liberto è lento più sontuosa, perchè la materia n' è ona tuberosità della piaota. Questa formasi nella radice, ed è grandemente lodata perchè è tutta materia di sotterra, più rara di quelle che sono disopra, e che nascono ne' rami. È dunque propriamente quello che si compra tanto caro niente altro che vizio d 'alberi, la grandezza e radice de' quali si possono stimare da questi ri* tondi. Sono ancora simili al cipresso femmina, con la foglia selvatica, odore, e pedale. Nella Mauritania citeriore è un monte, che si chiama Ancorario, il quale soleva già fare bellissimi ce dri, e ora non ne fa più.
D i CIÒ CBS IN ESSO È LODATO Ο BIASIMATO.
La maggior bellezza, che abbiano le XXX. Mensis precipua dos in venam crispis, XXX. tavole è, che sieno crespe io vena, o in piccoli ▼el in vortice* parvo». Illud oblongo evenit di vortici, lo quelle le crespe ricorrono per lungo, scorso, ideoque tigrinam appeHatnr : hoc iotor to, et ideo tales pantherinae vocantur. Sunt et e perciò si chiamano tigrine ; in queste ricorro undalim crispae, majore gratia, si pavonum cau no per distorto, e perciò son chiamale panlerine. Trovansi ancora le crespe che son fatte a dae ocolos imitentur. Magna vero post has gra onde, con maggior grazia, s' elle imitano gli tia, extra predictais, erispis densa veloti grani congerie, quas obid asimilitodine apiatas vocant. occhi della coda de' pavoni. Dopo queste ha molta grazia una certa increspatura, formata co Somma varo omniora in colore. Hic maxime me di quantità di granelli, e sì fatte tavole per mulsi placet, suis refulgens veuis. Post haec am questa somiglianza si chiamano apiate. Ma il plitudo est : jam toti caudices juvant : ploresque sommo di tulli i pregi consiste nel colore. Qui in una. piace molto il colore del vino melato, il qual riloce per le sue vene. Dipoi v' è Ja larghezza : piacciono molto i ceppi interi, e meglio, se son più iu una tavola sola. Queste mense hanno i loro difetti : il legno ; Rleasae vitia : lignum, ita vocatur materia sorda, et Indigesta simplicitas, aut platani folio- che coti chiamano certi pezzi non risplendenti, e quella certa semplicità non compartita, o com rum modo digesta: itera ilignae venae similitudo, partita a modo di foglie di platano : inoltre la vel coloris : et quibos maxime obnoxias fecere aestus venlique, rimae, aut capillamenta rimas somiglianza delle vene dell' elee, o del suo co imitata. Postea muraena nigro traoscurrens li lore. Alcune i venti e i caldi le fanno sottopo mite : variisque co rtien m punctis adprehensut, ste alle fessure, o certi capillamenti, i qoali papaverum modo, et In totum atro propior colos, paiooo fessure. Dipoi la morena, la quale tra maculaeve discolores. Virides terra condunt bar* scorre con una lista nera ; e la corteccia laeeaU bari, et illinunt cera. Artifices vero frumenti a punti di uo colore come il papavero, che tira acervis imponoot septenis diebos, totidem inter* affatto all' atro, o le macchie picchiettate. 1 missis : mirumqoe ponderi quantum ita petraha- barbari le sotterrano verdi, e le erapiaslrano di lor. Naufragia docuere nuper, hanc quoque ma cera. Gli artefici le mettono ne' monti del grano teriam siccatam mari, duritie iocurropta spissari, per sette giorni, e altrettanti le tengon fuori ; non ullo modo vehementias. Nutriuntor optime, ed è maraviglia quanto in questo modo scemino tple ndesco nlque, manu sicca fricatae a balineis del peso. E nuovamente i naufragii ci hanno fallo conoscere che questo legname, quando maxime : nec a vinis laeduntur, ut his geuitae. si asciugò dell1 acqua del mare, si addensa, e acquista una durezza che mai per verun altro modo. Nulriscousi bellissimo e rilucono, quan do si slropicciauo con la mano asciutta, massi mamente dopo i bagni : nè sono offesi dai vini, essendo i cedri generati tra essi.
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C. PLINII SECUNDI
16. Inter pauca nitidioris vitae iostromenta haec arbor est : quapropter insistendam et qoo· qae paallarn videtor. Nota etiam Homero fuit : thyon graece vocatur, ab aliis thya. Hanc itaqoe inter odores uri tradit in deliciis Circes, qoam deam volebat intelligi, magno errore eorum, qui odoramenta in eo vocabulo accipiunt, quum praesertim eodem versu cedrum laricemque una tradat : in quo manifestum est de arboribus tantum locutam. Theophrastus ( qui primus a Magni Alexandri aetate scribit, quae circa urbis Romae quadringentesimum quadragesimum gesta sunt annum ), magnum jam huic arbori honorem tri buit, memoratas ex ea referens templorum ve terum contignationes, quamdamque immortali tatem materiae in tectis contra vitia omnia in corruptae. Radice nihil crispius, nec aliunde pretiosiora opera. Precipoam autem esse eam arborem circa Hammonis delubrum : nasci et in inferiore Cyrenaicae parte. De mensis tamen ta cuit : et alias nullius ante Ciceronianam vetu stior memoria est, quae novitia apparet.
M a l c m c i t &b u j i .
16. Sono poche cose le quali d postano pa reggiare a questo albero per servire allo splen dore della vita nostra ; e però ci pare di fermarci ancora un poco a ragionare di esso. Fu noto an che ad Omero : i Greci lo chiamano tio, altri lia. Scrive egli adunque, che Circe ardeva questo legno con altre cose odorifere, volendo che ella fosse intesa per dea ; onde mollo errano color che credono, che tal vocabolo si pi"li per cosa odorifera, massimamente ponendo e^li nel me desimo verso il cedro e il larice, do ve si vede chiaro ch'egli parlò solamente degli alberi. Teofraslo, il qual è il primo che dopo i tempi d 'Alessandro magno scrivesse quelle cose, che si fe cero intorno agli anni quattrocento quaranta da che fu edificata Roma, attribuisce un grande onore a questo albero, e racconta che i palchi de' tempii antichi si facevan d’ esso, e come que sto legoo era in un certo modo immortale, e incorrotto contra tutti i difetti. Dice anco, che la radice sua è mollo crespa, e che d ’ essa si fanno opere di grandissimo prezzo ; che questo albero è ottimo intorno al tempio di Giove Aia· mone, e che nasce ancora nella parte pià adden tro di Cirene. Nou dice però nulla delle mense; ma di niun' altra non c’ è memoria più antica che di quella di Cicerone, onde si vede, eh' elle son cosa nuova e recente. D bl
f a o t t o cbd&o.
XXXI. Alia est arbor eodem nomine, malum XXXI. Écci un altro albero del medesimo nome, che produce una mela molto biasimala da ferens exsecratum aliquibus odore et amaritu dine, aliis expetitum, domos etiam decorans, nec alcusi per rispetto dell1 odore e amaritudine sua, e da alcuni altri avuta cara ; la quale adorna an dicenda verbosius. cora le case, ma però non merita che se ne parli grao fatto. L otos.
D b l l' albbeo lo to .
XXXII. 17. Eadem Africa, qua vergit ad nos, XXX I I . 17. La medesima Africa in qoella insignem arborem loton gignit, quam vocant cel- parte che guarda verso noi produce il famoso tin, et ipsam Italiae familiarem, sed terra muta albero, che si chiama loto, o celli : lo produce tam. Praecipua est circa Syrtes atque Nasamonas. ancora l ' Italia, ma il terreno gli fa mutar nalura. Magnitudo, quae piro : quamquam Nepos Cor Il più notabile è intorno alle Sirli e nel paese nelius brevem tradat. Incisurae folio crebriores, de' Nasamoni. E della grandezza del pero, ancora quae ilicis videntur. Differentiae plures, eaeque che Cornelio Nipote scriva eh' egli è albero pic maxime fructibus fiunt. Magnitudo huic fabae, colo. Le foglie sue parrebbono come quelle del color croci, sed ante maturitatem alius atque leccio, se non fodero più tagliate. Sono di più sorli, e massimamente nella maniera dei frutti. alios, sicut in uvis. Nascitur densus in ramis La grandezza del frutto di questo albero è quaumyrti modo, non ut in Italia, cerasi : tam dulci to una fava, ed ha colore di gruogo, ma innanzi ibi cibo, ut nomen etiam genti terraeque dederit, nimis hospitali advenarum oblivione patriae. che si maturi varia il colore come l ' uva. Fa i Ferunt veniris non sentire morbum, qui eum rami folti, come la mortine, e non come il ciriemandant. Melior sine interiore nucleo, qui in al gio in Italia : ed è sì dolce a mangiare, eh' egli ha dato il nome a* popoli e al paese, dove molli fotero genere osseus videtur. Viuum quoque ex·
HISTORIARUM MUNDI LIB. X1IL
primi lar illi, simile inniso, qaod ultra denos dies negat durare idem Nepos : baccaeque concisas cam alica ad cibos doliis condi. Quin et exercitas pa stos eo accepimus, ultro citroqae commeantes per Africam. Ligno colos niger. Ad tibiaram cautas expetitur. E radice cultellis capulos, brevesque alios usus excogitant. Haec ibi natura arbori*.
18. Hoc amplius in Euphrate tradunt, et ca put ipsum et florem vespera mergi usque in inedias noctes, totumqae abire in altum, at ne demissa quidem manu possit inveniri. Verti deinde, paullatimque subrigi, et ad exortum soli, emergere extra aquam, ac florem patefacere, atque etiamnam insorgere, ut plane ab aqua absit alte. Radicem lotos haec habet mali cotonei magnitudine, operiam nigro cortice, qualis et caslaneas tegit. Interius candidum corpus, gra tum eibis, sed crudo gratius decoctum, sive aqua, sive pruna. Nec aliunde magis, quam purgamentis ejus, suea crassescunt.
restieri si fermano dimenticandosi di tornare alla patria loro. Dicono che chi ne mangia non sente alcun dolore di corpo. È migliore assai senza il nocciolo di dentro, il quale in uo altro geoere pare che sia d1 osso. Fessene vino ancora simile al vino meleto, il quale, secondo che dice Cor nelio Nipote, non dura più che dieci giorni. Que ste coccole poste insieme col baccello si conser vano nei vasi per mangiare. Ed io ho letto, che spesse volte gli eserciti, i quali andando e ve nendo son passali per quel paese, si son mante· nuli di questo cibo. 11 legno è di color nero : fes sene comodamente zuffoli e pifferi ; e delle ra dici manichi di coltelli, e altri strumenti. Questa è quivi la natura di esso albero. E anche un* erba di questo nome, e uuo stelo 10 Egitto tra le specie dei palustri, la quale quando 11 Nilo ritorna al suo luogo, nasce in luoghi pan tanosi simile alla fava, ed è folta di gambi e di foglie, ma pià corti e più sottili che non hanno le fave. Il fruito suo nel capo somiglia il papavero, nei frastagli e in ogni altro modo. Dentro sono granella come di miglio. 1 paesani fanno monti grandi di questi capi, e quando sono putrefatti, ricolgono le granella, e lavanle : dipoi secche le macinano, e ne fanno pane. Olirà di ciò raccon tano qaesto miracolo, che quando il sole tra monta, le foglie ricuoprono questi papaveri, e quando si leva, li scuoprono, finaltanto che maturino, e che il fiore, che è bianco, venga a cadere. 18. Oltra di ciò dicono che nell1 Eufrate lo stesso capo e il fiore quando vieu sere si tuffa nell1 acqua insino a mezza notte, sì profonda mente che non si può toccare con mano. Dipoi a poco a poco esce sa, in modo che al levar del sole è fuor dell’ acqua, e apre il fiore, e cosi si va tanto innalzando, che rimane alto sopra l'acqua. Questo loto ha la sua radice grande quanto una mela cotogna, coperta di corteccia nera, come le castagoe. Deotro è bianca, grata a mangiare, e mollo più colta che cruda, o nell1 acqua, o sotto la bragia. Non c1è cosa, che faccia più ingras sare i porci, che le mondiglie di questo frutto.
C y h b w a ic a e a b b o r e s : p a l i u r u s .
D e g l i a l b e b i c ir e r a ic i : d e l f a l i o r o .
Est aalem eodem nomine et herba, et in Aegypto caulis in palustrium genere.Recedentibus enim aqois Nili riguis provenit similis fabae caule, foliisque densa congerie stipatis, brevio ribus tantam, gracilioribuique : cui fractos in capite papaveri similis incisuris, omnique alio modo : intas grana, ceu milium. Incolae capita in acervis putrefaciunt : mox separant lavando, et siccata tundunt, eoque pane utunlar. Mirum est, qood praeter haec traditur : sole oceidente papavera ea comprimi, et integi foliis : ad ortum aatem aperiri, donec maturescant, flosque, qui est candidus, decidat.
XXX 111. 19. Cyrenaica regio loton suae post ponit paliuro. Fruticosior haec, fructuque magis rubens, cujus nucleos noo simul mandatur, ju cundus per se, atque suaviore vino, quin et vina socco suo commendans. Interior Africa ad Ga ramantas usque, et deserta, palmarum magnitu dine, el suavitate constat, nobilibos maxime circa delubrum Hammonis.
XXXIII. 19. La region Cirenaica in Africa stima molto più che il loto il sno paliuro. Que sto è più cespuglioso ohe il loto ; ed ba il fratto più rossigno, che non si mangia insieme col gu scio. Per si medesimo è più dilettevole che il vino, e fa parere molto migliore il vino, mesco landovi il suo sago. La parte più fra terra dell’ Africa infino ai popoli Garanvanti e i deserti, è piena di palme grandi e soavi, e le migliori sono intorno al tempio di Giove Aminone.
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C. PL1N1I SECONDI
P o n ic i v i t i o i n i A ix . B a l a u s t i u m .
N o v e s p e c ib d i m e l a g r a m . B a l a u s t i o .
XXXIV. SeJ cire· Carihtginem Punicum XXXIV. Ma Cartagine ha il vanto delle me lagrane ; le quali da molti son delle granate. malum cognomine «ibi vindicat : aliqui granatum appellant. Divisit et in genera : apyrenum vo Sono di più sorti. Apirena si chiama quella, che cando, cui lignosus nucleus abest : sed candidior non ha il nocciolo legnoso, ma è più bianca di ei natura, et blandiores sunt acini, minosque natura, ed ha gli acini più piacevoli, e meno amaris distincti membranis. Alia struetur* eorum •mari, e divisi con certi pannicoli. Eccene un'al* tra sorte, che somigliano i fiatoni del mele. Di qnaedam, ut in favis, communis. Nucleos haben ciuque sorti sono quelle che hanno il nocciolo, tium quinque species: dulcia,acria, mixta, arida, dolci, acri, miste, acetose, vinose. Quelle deU'isola vinosa. Samia et Aegyptia dislinguunlarerythrococcis, et leucococcis. Corticis major usus ex di Samo e d'Egitto si distinguono chiamandosi eritrococce, e leucococce, cioè di chiome rosse, acerbis ad perficienda coria. Flos balaustium vo e di chiome bianche. La corteccia sua a conciar catur, et medicinis idoneus,et tingendis vestibus, le cuoia è migliore quando è acerba. Il fiore si qoarnm color inde nomen accepi i. chiama balaustio, ed è buono a medicine, e a lin gere vestimenti, il colore de'quali ha preso il nome d« que>to fiore. A s ia e b t
G asa a b a r b o r e s
: e p ip a c tis, e r ice; g b a ·
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bum C i u d i om, siv e t h y m e l a b a , siv b p t r o s a c h h b ,
EH ICE : GRANELLO GNIDIO, OVVERO TIMELEA, 0
SIVE CSESTROlf, SIVE CUSORON.
PIROSACME, O C8 ESTRO, O CVEORO.
XXXV. ao. In Asia et Graecia nascuntur fru XXXV. ao. In Asia, e in Grecia nascono certi tices: epipactis, quem alii elleborinera vocant, arbuscelli : lo epipatti, da alcuni detto elleboriae, parvis foliis, quae pota contra veuena prosunt, ha piccole foglie, le quali bevale giovano contra sicat erices contra serpentes. i veleni, come fa 1' erice conira le serpi. ai. Et in quo nascitur granum Gnidiura, quod ai. La pianta, dove nasce il grano Gnidio, che •liqai linum vocant : fruticem vero thymelaeam, alcuni chiamano lino, è un arbuscello dello ti alii chamelaeam, alii pyrosaebnen, alii cnestron, ntele», e da alcuni camelea, da altri pirosacne, da alii cneoron : est similis oleastro, foliis angustio altri cuestro, da altri cneoro. E simile all' ulivo ribus, gamminosis si mordeantur, myrti magni salvalico, ma ha le foglie più strette, e gommose tudine: semine, colore et specie farris : ad medi a chi le morde : ha la grandezzn della mortine, cinae tantam usum. col seme, colore, e maniera di farro, buono sola mente per mediciua. T r AGIOM : TRAGACABTHE.
T r a g io n : t r a g a c a r t e .
XXXVI. Tragion fruticem sola Creta insola XXXVI. In Candia sola nasce un arboscello, gignit, terebintho similem et semine, quod contra che si chiama tragion, simile al terebinto uel sagittarum ictus efficacissimum tradunt. Eadem seme, il quale dicono esser buonissimo contra 1« ferite delle saette. Nella medesima isola nasce tragacanthen, spinae albae radice, multum prae un altro albero dello Iragacante, che ha la radice lata apud Medos aat in Achaja nascenti. Prelium di spina bianca : questo è molto migliore di quel ejos in libras x. m. lo che nasce in Media, o in Achaia : il pregio suo è tre danari la libbra. T e a g o s , s i v b s c o r p io : m y r i c e , s i v e b r y a : o s t r t s .
D e l t r a g o , o v v e r o s c o r p io m e : d e l l a m i r i c e ,, ov ve ro bri a
: d e l l ' o s t r i.
XXXVII. Tragon et Asia fert, sive scorpio XXX VII. Nasce il trago auco in Asia, che si milmente si chiama scorpione : è pruno senu nem, veprem sine foliis, racemis rubentibus, ad medicinae usura. Myricera et Italia, quam alii ta foglie, che ha i grappoli rossi, ed è buono per medicina. In Italia nasce la mirice, la quale alcuni maricem vocant : Athaja autem bryam silvestrem: insigne in ea, quod saliva lanium Ierat gallae si- chiamano tamarice; in Acaia la bria sai ve tir», ed
HISTORIARUM MUNDI LIB. XIII.
rnilem fractam. In Syris et in Aegypto copiosa haec est, cajas infelicis ligna appellamus, quae tamen iufeliciora sunt Graeciae. Gignit enim ir* borero ostryn, quam et ostryam vocant, solita riam circa saxa aquosa, similem fraxino cortice, et ramis, folio piri, paullo tamen longioribus, crassioribusque, ac rugosis incisuris, quae per tota discurrunt: semine hordeo simili et colore. Materie est dura atque Arma : qua in domani il lata, difficiles partus fieri prodant, mortesque mitcras.
Evomrasos.
è cosa notabile in essa, che quella che si pianta fa il fruito simile alla galla. Nasce in quantità ancora in Siria e in Egitto, »cui legni noi di cemmo infelici ; però pià infelici assai sono que gli della Grecia. Perciocché ella produce l’ albero ostri, il quale si chiama anco ostria, solitario in torno ai sassi dove sia acqua, simile al frassino nella corteccia e ne' rami, con la foglia di pero, ma però con intagliature pià lunghe, e pià grosse, e pià crespe, le quali discorrono per tutto Γ albero. 11 seme e il color suo somiglia quel delΓ orzo. Il legno é duro e fermo ; e dicono che in quella casa, dove egli é, le donne vi partoriscono con fatica, e v' intervengono di misere morti. D e ll
1b v o b i h o .
XXXVlll. 22. Nec auspicalior in Lesbo insula XXXVIII. sa. Né di migliore augurio è un arbor quae vocatur evonymos. non absimilis Pu albero io Lesbo, il quale si chiama evonimo, si nicae arbori, inter eam el laurum folii magnitu mile al melagrano, ed ba le foglie grandi tra il dine, figura vero et mollitie Puuicae, flore can melagrano e l ' alloro, ma la figurae delicatezza è didiore, statim pestem deuuntians. Fert siliquas di melagrano : ha il fior più bianco, e subilo an sesamae similes: intus granum quadrangula figu nunzia pestilenza. Fa i baccelli simili al sesamo : ra, spissum, letale animalibus : nec non et in folio dentro ha un granello fatto a quadrangolo : spes eadem vi*. Succurrit aliquando praeceps alvi exi so é mortale agli animali ; e la foglia anco ba la nanitio. medesima forza. Alcuna volta aiuta una subita evacuazione di corpo. E oh a b b o b .
XXXIX. Alexander Cornelius arborem eonem appellavit, ex qua lacta esset Argo, similem robori viscum ferenti, quae nec aqoa neo igni possit cor rumpi, sicoli nec viscum : nulli alii cognitam, qaod equidem sciam.
A rdbachrb .
XL. Adrachnen omnes fere Graeci portulacae nomine interpretantur, quum illa sit herba, et andrachne vocetur, unius lilerae diversilate. Ce teram adrachne est silvestris arbor, neque in planis uascens, similis unedoni, folio tantum mi nore, et numquam decidente: cortice non scabro quldero, sed qui circumgelatus videri possit, tam tristis aspecta est. CoCCYOIA : AFHABCB.
XLI. Similis el coceygia folio, magnitudine minor. Proprietatem habet fruclum amittendi lanugine (pappum vocant), quod nulli alii arbo rum evenit. Similis et apharce,bifera aeque quaoi adraebne. Priorem fractum incipiente pubescere
D e ll'
a l b b b o bohb.
XXXIX. Alessandro Cornelio chiamò eone un albero, del quale fa fatta la nave d'Argo, simile al rovere che produce il visco: questo albero non si può guastare per acqua, nè per fuoco, come nè anco il visco. Ma io non mi ri cordo aver letto niuno altro, che favelli di questo albero. D e ll'
ahdracw e.
XL. Adracne quasi tutti i Greci interpretano che sia la porcellana, essendo essa erba, e chia mandosi andracue con aggiunger solo una let tera. Del reslo adracne è un albero selvatico, che non nasce nei piani, simile al corbezzolo : soltanto ba la foglia minore, che mai non casca ; e la cor teccia non e già ruvida, ma pare che sia agghiac ciata } così ba maninconica vista. D e l l a c o c c ig ia : d e l l ’ a f a b c e .
XL 1. Simile a questo albero nella foglia è la coccigia, ma si è però minore. Ha la proprietà di perdere per la lanugine il frullo, che si chia ma pappo ; il che a nessuno altro albero avviene. Simile n' è ancora Γ afaree , che produce due
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c. p u n ii
SECUNDI
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peragant, alterum iuitio hiemis: quales eos* non traditor.
volte P anno, come fa 1' adracne. II primo frutto matara, quando l'uva comincia a rosseggiare, l'altro al principio dei verno ; ma come sten fatti, non c' è chi lo scriva.
F erula.
D ella f e r u la .
XLII. Et ferulam inter externas dixisse con veniat, arborumque generi adscripsisse : quoniam quarumdam naturae (sicut distiaguimus) lignum omne corticis loco habent, hoc est, forinsecus : ligni autem looo fungosam intus medullam, ut sambuci : qoaedam vero inanitatem, ut arundi nes. Ferula calidis nascitur locii, atque trans maria: geniculatis nodata scapis. Duo ejus geoera: nartheca Grasci vocant, adsurgentem in altitudi nem : narlhecyan vero semper humilem. A ge nibus exeuntia folia maxima, ut qnaeque terrae proxima. Cetero natura eadem, quae anetho, et fructu similis. Nnlli fruticum levitas raajor : ob id gestatu facilior, baculorum usum senectuti praebet.
XLII. Puossi mettere ancora la ferula tra gli alberi forestieri, perchè alcuni alberi (secondo la distinzione che ne femrao ) per natura hanno il legno in luogo di corteccia, cioè di fuori, e in cambio di legno hanno una midolla fangosa, come è il sambuco ; ed alcuni son vóti den tro, come le canne. La ferula nasce ne’ luoghi caldi, e oltre mare, e fa buccioli e nodi. È di due sorti : narleca chiamano i Greci quella che cresce in alto, e nartecia quella, che sta sempre bassa. Da' nodi mette foglie grandi, e maggiori, quaoto sono più presso a terra. Nel resto è della medesi ma natura che l’ aneto, e simile nel fratto. Nes suno sterpo è più leggieri di questo, e perciò 1* usano i vecchi per bastone e sostegno della vecchiaia.
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T · APSI A. XLIII. Semen ferulae, thapsiam quidam vo cavere : decepti eo, quoniam ferula sine dubio est thapsia, sed sui generis, foliis feniculi, inani caule, nec excedente baculi longitudinem: semen quale ferulae, radix candida. Incisa lacte manat, et contusa succo : nec corticem abdicant. Omnia ea venena : quippe etiam fodientibus nocet : ti minima adspiret aura , intumescunt corpora : faciemque invadunt ignes sacri : ob id cerato prios illinunt. Quibusdam tamen morbis auxi liari dicunt medici, permixtam aliis : itera in alopeciis, sugillatisque, ac liventibus ; ceu vero remedia desint, ut scelera non tractent. Sed ista praetexunt noxio instrumento : tantumque im pudentiae est, ut venenum artis esse persuadeant. Thapsia est in Africa vehementissime. Quidam caulem incidunt per messes, et in ipsa excavant radice, quo succus confluat; arefactumque tol lunt. Alii folia, caulem, radicem tundunt in pila, et suocura in sole coactum dividunt in pastillos. Nero Caesar claritatem ei dedit initio imperii, nocturnis grassationibus converberatam faciem illinens sibi cum thure, ceraque, et secuto die contra famam cutem sinceram circumferens. Ignem ferulis optime servari certum est, easque in Aegypto praecellere.
D e l l a t a p s ia .
XLIII. Il seme della ferula si chiama per al cuni tapsia ; ma questi s 'ingaunano, perchè senza dubbio la tapsia è una ferula, ma del suo genere ; la quale ha foglie di finocchio, e il gambo vóto, e non cresce più che sia un bastone d’ appog giarsi. 11 seme è come quello della ferula, e la radice biaoca. Tagliata getta latte, e pesi* fa sugo, nè se ne può levare la corteccia ; e tutte queste cose son velenose. Nuoce anco a chi la svegli· : caso che tiri un poco di vento, fa gonfiare il cor po, e nella Caccia venire i carboncelli, e per ciò s 'ungono prima con un cerotto. Nondimeno di cono i medici che mescolata con altre cose è buo na a certe malattie. Giova ancora a certa specie di tigna, alle contusioni, e a'lividori, come se man cassero loro i veri e buoni rimedii, aetua che va dano cercando di eose scellerate e maligne. Ma essi ricuoprono queste cose con instrumento no civo, e sono tanto sfaociati, che vogliono darò a credere, che il veleno sia dell' arte loro. La tapsia in Africa è gagliardissima. Alcuni le intaccano il gambo per le mietiture, e le fanno incisure oelle radici stesse, acciocché n’esca il sugo, e qaando è secco lo colgono. Altri pigliano le foglie, pestano la radice nel mortaio, e quando il sugo è rappreso al sole, lo dividono in pastegli. Nerone impera dore nel principio del suo imperio gli diede ripu tazione, perchè andando egli la notte aconosciulo, e facendo altrui molle ingiurie, tanto che ne avea sovente il viso pesto, se ne ungeva poscia eon caso mescolandovi incenso e cera; e l'altro fiora·.
HISTORIARUM MUNDI LIB. XIII.
eontra 1' aspettazione d1 ognuno, aveva la faccia bella e sana, e senza macchia alcuna. Conservasi benissimo il fuoco nelle ferule, le quali in Egitto sono eccellenti. C « m u i , «1TB CTBOSBATOR, SIVB OPHBOSTAPHTLB.
D e l CAPPBKO, O CUOSBATO, OVVERO OFEOSTAFILE.
XLIV. sS. Ibi et capparis, firmioris ligni frutex, seminisque et cibi vulgati, caule quoque una plerumque decerpto. Cavenda ejns genera peregrina: siquidem Arabium pestilens, Afri cum gingivis inimicum, Marmaricum vulvis, et omniam inflationibus. Apulum vomitus facit : stomachum et alvum movet. Quidam id cynos» baton vocant, alii opheostapbylen.
XLIV. »3. Quivi nasce anco il cappero : que sto è uno sterpo di legno duro, di seme e cibo vulgato; il quale si coglie anco talora insieme col gambo. E da guardarsi da molte sorti di capperi forestieri. Perciocché quei che nascono in Arabia sono pestilenti, gli Africani noocono alle gengive, i Marmarici alla matrice, e a lutti gli enfiati. 1 Pugliesi fanno vomito e muovono lo sto maco e il corpo. Alcuni chiamano il cappero cinosbato, e altri ofeostafile.
Sa b ip h a .
Dbl
s a r i.
XLV. Fruticosi est generis et sari, circa Ni lum naseens, duorum ferine cubitorum altitu dine, pollicari cressitudine, coma papyri, similique manditur modo : radice ferrariis officinis praecipua, carbonis nsu, propter duritiam.
XLV. Nasce ancora intorno al Nilo quello che chiamano sari, alto due braccia, grosso quanto il dito pollice. Ha le foglie come il papiro, e man giasi nel medesimo modo : la sua radice è si dura, che se ne fanno carboni per le fucine de'fabbri.
S p in a r b g ia .
D b l l a s p ir a b b g i a .
XLVI. >4* Non omittendum est et quod Ba bylone seritur in spiais, quoniam non aliubi vi vit, sicut et viscum in arboribus : sed illud in spina tantum, quae regia vocatur. Mirum, quod eodem die germinat, quo injectam est. Injicitur autem ipso Canis orto, el celerrime arborem occupat. Condiunt eo vinum , et ideo serunt. Spina illa nascitnr et Athenis in Longis muris.
XLVI. »4* Non è da lasciare addietro ancora quello che in Babilonia si semina tra gli spini, perch'egli non vive altrove, siccome il visco negli alberi ; ma questo non nasce se non sopra una spina, che si chiama spina regia. Ed è cosa maravigliosa, che in quel di ebe si semina, nasce. Seminasi quando nasce la Canioola, e prestamente occupa l'albero. Con esso acconciano i vini, e questa è la cagione, onde lo seminano. Naaee ancora questa spina in Atene nelle mura Lunghe.
C y tis us .
D b l c it is o .
XLVII. Frutex est et cytisus, ab Aristomacho Atheniensi miris laudibus praedicatus pabu lo ovium, aridus vero etiam suum : spondetqne jugero ejus annua H-S. m. m. vel mediocri solo reditus. Utilitas, quae ervo, sed ocior satietas, perquam modico pingnescente quadrupede, ita u l jumenta hordeum spernant. Non ex alio pabu lo laciis major copia aut melior, super omnia pecudum medicina a morbis omni usu praestante. Quin et nutricibus in defecta lactis aridum, atque in aqoa decoctum, potui cum vino dari jubet : firmiores eelsioresque infantes fore. Viri· dem etiam gallinis, aut si aruerit, madefactum. Apes quoque nnmquam defore cytisi pabulo con tingente, promittunt Democritus et Aristoma-
XLV11. (I citiso ancora egli è uno sterpo, mirabilmente da Aristomaco Ateniese lodalo per pastura delle pecore, e quando egli è secco, per li porci. E'dà ogni anno la rendita di due mila sesterzi! per ogni iugero, per quantunque fosse mediocre la ubertì del suolo. E della medesima utilità che la roviglia, ma sazia più tosto. Ingrassa le bestie di maniera, che i cavalli ne lasciano l ' orzo. Nè c' è alcuna altra pastura, della quale esca più latte, nè migliore. E ottima medicina a ogni morbo del bestiame : oltra di ciò se secco si cuoce nell'acqua, e dassi a bere col vino alle bàlie, che mancano di latte, fa i bambini più gagliardi, e maggiori. Dassi anco verde alle galline, o, s’egli è secco, si debbe tenere a molle nell* «equa.
C. PLINII SECUNDI
•»47
chus. Nec aliud minoris impendii est. Seritur cum hordeo : aut Tere, semine, ut porrum : vel caule, aulumuo ante brumam. Si semine, madi dum : et si desint imbres, satum spargitur. Plan tae cubitales seruntur scrobe pedali. Seritur per aequinoctia tenero frutice : perficitur triennio : demetitur verno aequinoctio, quum florere desi nit, vel pueri vel anus vilissima opera. Ganns aspectu : breviterque, si quis exprimere simili tudinem velit, angustioris trifolii frutex. Datur animalibus post biduum semper : hieme vero quod inaruit, madidum. Satiant equos denae li brae, et ad portionem minora animalia : obiterque inter ordines allium et caepe seri fertile est. Inventus hic frutex in Cythno insula, inde transla tus est in omnes Cycladas, mox in urbes Graecas, magno casei proventu : propter quod maxime miror rarum esse in Italia. Non aestuum, non frigorum, non grandinum, aut nivis injuriam ex pavescit. Adjicit Hyginus, ne hoslium quidem, propter nullam gratiam ligni.
A u bo k k s e t f r u t i c e s in m a r i m o s t r o . Phycos,
Scrivono Democrito e Aristomaco, che le pecchie non mancano mai, mentre che hanno da mangiare del citiso. Ne c' è altra cosa di minore spesa. Seminasi al tempo che Γ orzo, o nella primavera col seme, come il porro, o trapiantasi col gambo nell'autunno. Quando si getta il seme, vuole esser bagnato ; e se noo piove, il terreno s* innaffia. Le piante vogliono esser lunghe un braccio, e la fossa alla un piede. Seminasi dopo l’equiuozio, quaodo egli ha la messa tenera, e si perfeziona in tre auoi. Mietesi neU'equinozio della primavera qaando la scia di fiorire, per mano di fanciulli o di vecchie. È canuto neirespetto, e, adir brevemente,se alcu no lo volesse esprimere, ha somiglianza di piccolo trifolio. Dassi sempre agli animali dopo due giorni, e di verno quello che si secca si dà bagnato. Dieci libbre saziano il cavallo, e per proporzione i minori animali, e diviene piò fertile se di mezzo alle file vi si semina l ' aglio e la cipolla. Questo sterpo fu trovato nell1 isola di Citno : di là fu trasferito in tutte le isole Cicladi, poi nelle ciltà Greche, per la grande entrata del cacio : per la qual cosa molto mi maraviglio, ch'ei sia così raro in Italia. Esso non teme nè caldo, nè freddo, nè grandine, nè neve. Dice di più Igino, che non teme ancora i nimici, non essendone utilità iilcuua nel legno. A lrrri
e st e r pi d e i. rostro m a r e .
D e i . fic o , o
SIVB PRASON, SIVR ZOSTRR.
FRASOR, OVVERO ZOSTBRA.
XLV 11I. 25. Nascuotur et in mari frutices arboresque, minores in nostro. Rubram enim, et totus Orientis Oceanas refertus est silvis. Non babet lingua alia nomen, quod Graeci vocant phycos : quoniam alga herbarum magis vocabu lum inlelligitur ; hic autem est frutex. Folia lata colore viridi gignit, quod quidam prason vo cant, alii zostera. Alterum genos ejusdem, capil laceo folio, simile feniculo, in saxis nascitnr : superius in vadis haud procul litore : verno ntrumque : et inierit aotumno. Circa Cretam insulam nato in petris purpuras quoque infi ciunt, laudatissimo a parte Aquilonis, aut spon giis. Tertium est gramini simile, radice genicu lata et caule, qualiter calami.
XLV 1I 1. 25. Nascono auche in mare sterpi e alberi, minori però nel nostro. 11mar Rosso, e lutto l1Oceano Orientale è pieno di selve. Altra tingna non ha il nome di quello, che i Greci chiamano fico ; perchè alga è piuttosto il vocabolo d’aa'erba, ma questo è uno sterpo. Fa le foglie larghe, di color verde, e da certi èchiaraano prason, da al tri zostera. Éccene d1 un'altra sorte, che ha foglie come capelli, simile al finocchio, e nasce fra fassiQuel disopra nasce ne1 luoghi guadosi, po c o di scosto dal lito : però l’ ono e l'altro nasce nella primavera, e manca Γ autunno. Nasce anoora intorno all1 isola di Candia fra le pietre, e serve a tingere le porpore: è più lodato quello che trovasi dalla parte di tramontana, e fra le spugne. Ve n1 ba una terza specie, che è simile alla gramigna, e nella radioe enei gambo ha nodi,come i calami.
B ryoh
μλ Bistro.
XLIX. Aliud genus fruticum bryon vocatur, folio lactucae, rugosiore tanlum, jam hoc interius nascens. In alto vero abies et quercus cubita li altitudine. Ramis earum adhaerent conchae. Quercu et tingi lanas tradunt. Glandem etiam
D el
b r io h b m a r ir o .
XLIX. Écci un1 altra sorte di sterpo, che si chiama brion, con foglia di lattuga, solamente più crespa, e questo nasce in più distanza dal lido. Ma in alto mare nascono gli abeti, e le querce, alte an braccio, alle cui rame le conche
1*49
HISTORIARUM MUNDI LIB. Xlll.
qoasdam ferre in alto : naufragis haec deprehen sa arioantibnsqne. El aliae traduntor praegran de* circa Sicyonem : vilis eoim passim nascitor : sed ficus sine foliis, rubro cortice. Fit et palma fruticum generis. Extra Herculis columnas porri fronde naseitnr fmtex, et alios laori, et thymi, qui ambo ejecti in pumicem transfigurantur.
Iw m a b i Rmmo.
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s'attaccano. Dicono ancora, che la quercia serve a tingere le lane ; e che alcune di quelle dove è più fondo, producono ghiande, trovate già da coloro che rompono in mare, e da quei che si tuffano sotto acqua. Dicesi che ci son pure altri alberi più grandi intorno a Sidone ; perciocché le viti nascono per tolto. It fico è sènza foglie, e con la scorta rossa. Nasce ancora la palma del genere degli sterpi. Di là dalle colonne d* Ercole nasce uno sterpo, che ha le foglie di porro, e un altro con foglie d'alloro e di timo, i quali amendue giltati a riva si trasformano in pomice. ÀLBBftt B STERPI DSL· MA& ROSSO.
L. At in Oriente mi rum est, statim a Copto per solitudines nihil gigni, praeter spinam, quae sitiens vocatur, et hanc raram admodum : in mari vero Rubro silvas virere, laurum maxime, et olivam ferentem baccas, et quum pluat, fun gos, qui sole tacti mutantur in pumicem. Fruti cum ipsorum magnitudo ternnm cubitorum est: caniculis referta, vix ut prospicere e navi tutum sit, remos plerumque ipsos invadentibus.
L. In Oriente è cosa maravigliosa, che da Copto in là, per le solitudini niente vi nasce, fuorché una spina, la quale si chiama siziente, ed è pur mollo rara. Bensì nel mar Rosso sono selve, massimamente d 'allori, e d’ ulivi che portano frutto ; e quando piove, nascono funghi, i quali come son tocchi dal sole, diventano pomice. Questi sterpi hanno la grandezza di tre baccia, e son pieni di pesci cani, in modo che, benché si stia in nave, è pericoloso appressatisi alle bande, perchè spesse volle si gettano a1 remi.
I t e m m I ndico .
Q u e l l i d e l m a r I n d i a n o .*
LI. Qui navigavere in Indos Alexandri mili tes, frondem marinarum arborum tradidere in aqua viridem fuisse, exemptam sole protinus in salem arescentem. Jnncos quoq«e lapideos per quam similes veris per litora : et in alto quasdam arbusculas colore bubuli cornus ramosas, et ca cuminibus rubentes : quum tractarentur, vitri modo fragiles, in igne autem nt ferrum inardescentes, restinctis colore suo redeunte. Eodem Iraclo insularum silva* operit aestns, quamquam altiores platani·* populisque altissimi». Folia iis laori, flos violae et odore et colore. Baccar, ut oleis, et ipsae odoris jucundi, autumno nascen tes, foliis numquam deciduis. Harum minores tolas integit mare. Maximarum cacumina exstant, ad quae naves religantur, et quurti recessit aestus, ad radices. Alias quoque arbores in alto ab eis dem accepimus eodem iu mari visas, semper folia relinentes : fructu earum lupino simili.
1,1.1 soldati d'Alessandro, i quali navigarono in India, dissero che le foglie di questi sterpi neir»cqna son verdi, ma come son fuor dell’acqua subito per lo sole seccano e diventano sale. Dicono che nel lido son molli giunchi di pietra, simili ai giunchi veri ; e che in mare sono certi arhiKcelli, i rami de1 quali han colore di corna di bue, e nella cima son rossi : e che toccandogli si spezzano come vetro, e mettendogli al fuoco diventano roventi come ferro, e dipo» raffreddali ripigliano il colore di prima . Nel medesimo trailo di mare le acque salgono fino a coprire le selve dell* isole, benché sieno più alte che i più ahi platani e gli oppii. Hanno qoesti alberi foglie di lauro e fiore, odore e colore di viola. Produ cono nell' autunno coccole come nlive, le quali anch1 esse hanno buonissimo odore ; nè perdono mai le foglie. 1 minori alberi sono tutti coperti dal mare; i maggiori hanno la cima fuori, alla quale si legano le navi; le quali quando la marea si parte, si legano alle radici. Oltra di ciò dissero i medesimi sold-ili, che nello stesso mare sono alberi, i quali sempre tengono le foglie, e fanno frutto simile a' lupini.
G. PU N II SECONDI H1STOR. MUNDI LIB. XIll. I te· Trogloottico : Isidu r u c u o s : CflAaiTOBLBMUBOM.
LII. Job* tradit, circa Troglodytarum insa la* fruticem in alto vocari, Isidi· crinem, coral lio similem, sine foliis : praecisum mutato colore in nigram darescere : quum cadat, frangi. Item, aliam qai vocalar charitoblephsron, efficacem in amatoriis : spathalia eo facere et monilia fe minas : sentire eum se capi, durarique comas modo, et hebetare aciem ferri. Qood si fefelle rint insidiae, in lapidem transfigurari.
Q o il u d i l m d’
Tbooloditico : c i m i a
I s id b : G u n o i u m o i .
LII. Serive Giuba che Intorno all* bole dei Trogloditi nel mare è uno sterpo, il quale si chiama capello d1 Iside, simile al corallo, e sena foglie : tagliato indurisce e diventa nero, e qaando cade, si rompe. Ce n' è un altro, che si chiama caritòblefaron, cioè ciglio di grazie, il qoale è di molla virtù a conciliare l1 amore : di esso le donne fanno veui e collane. Dicono ch’egli s 'avvede, quando è preso, e che indurisce come un corno, e guasta il taglio del ferro ; e se i tradi menti Pingannano, adora si trasforma in pietra.
C. PLINII SECUNDI
HISTORIARUM MUNDI L IB E R
X IV
FRUCTIFERAE
ARBORES.
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VlTlDM «ATOBà : QVIIDI MODIS FBBANT.
D b LLA SATURA DELLE VITI : B COMB ELLB F ACCIAI! FRUTTO.
Externie
I. arborei, indocilesque nasci alibi, qaam abi coepere, et qaae in aliena» non com meant terrav, hactenus fere snnt. Lieetqoe jam de communibus loqai, quarom omniam pecoliaris parens videri potest Italia. Noscentes tantam me minerint, naturas earum a nobis interim dici, non culturas : quamqoam et colendi maxime in natura portio est. Illud satis mirari non queo, interiisse quarumdam memoriam, atque etiam nominum, quae auctores prodidere, notitiam. Qais enim non commuoicato orbe terrarum, majestate Ro mani imperii, profecisse vitam putet commercio rerum ac societate festae pacis, omniaque etiam quaeoecnlta ante fuerant,in promiscuo usu facta? At bercales non reperiuntur, qui noriot malta ab anliqais prodita : tanto priscorum cura ferti lior, ant industria felicior fuit, ante millia anno rum inter principia literarum Hesiodo praecepta agricolis pandere orso, subsecutisque non paucis hanc coram ejus, unde nobis crevit labor : quip pe qnom requirenda sint non solum postea in venta, verum etiam ea, quae invenerant prisci, desidia rernm internecione jmemortae inducta. Cujus somni causas quis alias, quam publicas mundi, invenerit? Nimirum alii subtere ritus, circaque alia mentes hominum delineotur, et ava-
Noi
I. abbiamo insino a qui ragionato degli alberi stranieri, i qoali non possono vivere altrove, che in que'paesi, dove ei nati. Possiamo danque oggimai parlar de*comuni, dei quali tutti pare che 1* Italia sia peculiar madre. Però chi legge abbia mente, che noi di presente de scriviamo la natura loro, e non la cultura, anco raché la maggior parte della cultura consista nella natura. Ma non posso gii maravigliarmi tanto che basti, che sia mancata la notizia e fino nome d'alcuni alberi, de'qnali gli scrittori fanno menzione. Perocché chi è che non creda che siasi fatto assai profitto nella vita umana, pel commer cio ogni cosa e una confederazione di pace universale, essendo quasi diventato comune agli nomini lotto il mondo per la potenza dell* impero Romano, e perchè quelle cose ancora, le quali pri ma erano occulte, sono venute in oso comnne? Ep pure non si trova chi conosca molte cose trovate dagli antichi, tanto era maggiore la cura e pià feli ce la industria, gii son le migliaia degli anhi, nei principii delle lettere, quando Esiodo cominciò a dare precetti dell'agricoltura, e dipoi molti altri scrittori fecero il medesimo ; cosa che crebbe fati ca a noi. Perchè non solamente abbiamo a ricercar le cose trovate dopo, ma quelle ancora, ehe gli
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G. PLINII SECUNDI
antichi avevano trovale, essendo elle perite per difetto di memoria ; del qual vizio non si possono addurre altre cagioni, se non quelle che aon comuni a tutte le cose del mondo. E per verità sono venuti dipoi altri costumi, gli animi delle persóne si sono occupati in altre eose, e solamente si è atteso alle arti dell1 avarizia. Da prima vivevano le genti dentro a1 termini e dominii loro, e perciò gli ingegni, per una certa sterilità di fortnoa, erano sforzati esercitare i beni delΓ animo, e molti re erano avuti in gran pregio per l'onore delle arti trovate da essi, e per que ste nella gloria delle ricchezze ben più si tene vano, pensando d'accrescersi immortalità per mezzo loro. E perciò abbondavano i premii e i vantaggi della vita. Ma a quegli, che son venuti poi, la vastità del mondo e l'ampiezza delle cose ha nociuto assai ; poiché il senatore cominciò a essere eletto secondo le sue entrate, e farsi il giudice secondo le ricchezze, e nessuna altra cosa ornare il magistrato e il oapitano più che le ricchezze ; poiché cominciarono a essere in ripu tazione e credito grande quegli, che sono senza figliuoli, perciocché molti, per acquistarsi benivolenza e farsi loro eredi, gli favorivano, essendo grandissimo contento l'avere della roba; e cosi andarono in ruina i pregi della vita. E per tal modo tutte le arti, chiamate liberali da quel grand:ssimo bene eh' è la libertà, passarono ad esser tenute di niun pregio ; e si cominciò ad ingrandire col farsi ilei servi, quali iu un modo e quali in un altro, tendendo nondimeno il desi derio degli uomini allo stesso fine e all' agonia di possedere. Ed eziandio veggiamo spesso uossini, che pur son tenuti i migliori, volere piuttosto seguire gli altrui vizii, che i lor proprii beai. Cominciò dunque a vivere il diletto, e la vita a non viver più. Ma noi con diligenza ricerchereseo le cose già venute io oblio ; nè ci spaventerà la bassezza d’ alcune cose, come non aooo quando parlammo degli animali ; ancora che reggiamo Virgilio poeta eccellentissimo per la medesima cagione aver fuggito di ragionar delle doli degli orti, e di tanto che raccontò, aver solo conio il fior delle cose, e nominate solamente quindici sorti di viti, Ire d’ ulivi, altrettante di peci, e dei meli non aver ricordato se non se l’ Assiri», lasciando tutti gli altri da parte. Ma onde oomincieremo noi piuttosto, eh· II. Unde autem potius incipiemus, quam a 11. dalle viti? il cui principato è tanto peculiari vitibus? quarum principatus iu tantum peculiaris ltalipe est, ut vel hoc uno omnia gentium vicisse, d 'Italia; che con questo solo par eh' ella abbia quam odorifera, possit videri bona : quamquam potuto vincere tutti gli alberi delle altre Dazio ubicumque pubescentium odori nulla suavitas ni, solo eccettuatine gli odoriferi ; benché niimm soavità si possa mettere innanzi all'odor loco, praefertur. dovunque elle fioriscano. i. Le vili appresso agli antichi ragionereii. Vites jure apud priscos magnitudine quo·
ritiae tantam aries colualur. Antea inclusis gen tium imperiis intra ipsas, ideoque et ingeniis, quadam sterilitate fortunae, necesse erat animi bona exercere: regesque innumeri honore ar· tinm colebantur, et in ostentatione has praefere bant opum, immortalitatem sibi per illas proro gari arbitrantes. Quare abundabant et praemia, et operae vitae. Posteris laxitas mundi et rerum amplitudo damno fuit : postquam seoalor censu legi coeptus, judex fieri censa, magistratum ducemque nihil magis exornare, qnam censos : post quam coepere orbitas in auctoritate summa el potentia esse, captatio io quaesla fertilissimo, ac sola gaudia in possidendo : pessum iere vitae pretia; omnesque a maximo bouo liberales dictae artes, in coatrarium cecidere, ac servitute sola profici coeptum. Hanc alius alio modo, et in aliis adorare: eodem tamen, habendique ad spes, omnium tendente volo. Passim vero etiam egre gii aliena vilia, quam bona sua, colere malle. Ergo hercules voluptas vivere coepit, vita ipsa desiit. Sed nos obliterata quoque scrutabimur : nec deterrebit quarumdam rerum humilitas, sicut nec in animalibus fecit. Quamquam videmus Virgilium praecellentissimum vatem, ea de cauta hortorum dotes fugisse : et e tantis, quae retulit, flores modo rerum decerpsisse, beatum felicemque gratiae, xv omnino generibus uvarum nomi nalis, tribus oleae, totidem pirorum, malo vero tantum Assyrio, celeris omnibus neglectis.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XIV.
que inter arbpres numerabantur. Jovis simula crum io orbe Populonio ex una couspicimus, tot aevis incorruptam : item Massiliae pateram. Me tu ponti templum Junonis viligiueis oolumois stetit. Etiam ounc scalis tectam Ephesiae Dianae acanditur ona vite Cypria» ut ferunt, quoniam ibi ad praecipuam amplitudinem exeunt. Nec est ligno ulli aeteruior natura. Verum ista ex silve stribus facla crediderim.
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VVAmOM HATOBA, BT COBA VIT CM.
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mente erano poste fra gli alberi per la grandezza loro. Nella cilli di Populonia era la statua di Giove fatta di una vite sola, la quale era durata tanto secolo senza guastarsi ; e così una tazza in Marsilia. In Metaponto il tempio di Giunone aveva le colonne di vite. Le scale, le quali vanno al tetto.del tempio di Diana Efesia, son fatte di una sola vite di Cipro, dove dicono che esse crescono mollo : nè v’ è legno alcuno, che natu ralmente duri più che la vile. Però io credo bene, che queste cose che bo delle fossero fatte di viti salvatiche. D blla r a t u b a d elle uve, b d e lla cdba d bllb v it i.
111. Hae vites tonsura annua coercentur, vis earum omnis evocatur in palmites, aut depri mitur in propagines, succique tantum gratia exire sinitur pluribus modis ad coeli mores, solique ingenia. Ia Campano agro populis nabunt : miritssqne complexae, atqoe per ramos earum pro· cacibus brachiis geoiculato cursu seandenles, ca cumina aequant, in tantum sublimes, nt vinde mitor auctoratus rogum ac tumulum excipiat. Nullo fine crescant, dividique, aut potius avelli nequeoot. Villas et domos ambiri siogularum palmitibus ae sequacibus loris memoria dignum inter prima Valerianus quoque Cornelius existi mavit. Una vilis Romae in Liviae porticibus subdiales inambulationes umbrosis pergulis o pa cat, eadem duodenis musti amphoris fecunda. Ul mos quidem ubique exsuperant. Miratumque al titudinem earum Ariciae ferunt legatum regis Pyrrhi Cineam, facete lusisse in austeriorem gustum vini, u merito matrem ejns pendere in lam alia crnce. ί Rumpotinus voealur, et alio ■omine populus arbor llaliae Padum transgressis, cujus tabulata in orbem patula replent, puroque perductae dracone in palmam ejus, inde in su brectos ramorum digitos flagella dispergunt. Eaedem modici hominis altitudine adminiculatae sudibus horrent, viaeamque faciuut : et aliae improbo reptato, pampioorumque superfluitate, peritia domini, amplo discursu atria media com plentes. Tot differeotias vel sola tantum Italia recipite Stat provinciarum aliqnarum per se vitis sine ullo pedamento, srtus suos in se coli igeo a, et brevitate crassitudinem pascens. Vetant boo aliubi veoti : ut iu Africa et in Narbonensis pro* viudae partibas. Excrescere ultra suos pollices prohibitae, semperqtie pastinatis similes, herba rum modo vagantur per »rva, ac succum ‘errae passim uvis bibunt, quae ob id magnitudinem iofantium puerorum in interiore Africae parte exsuperant. Uva non alibi gratior callo, ut inde poasil iuvenisse uomeu duracina.
et III. Le dimestiche si potano ogni anno, e tutta la loro forza si tira ne' tralci, o se ne va in propagini : nè altro si vuol da esse se non il sugo, cioè il vino, di più sorti, secondo la nalura dell'aria e del terreno. Nel territorio di Capova si congiun gono agli oppii, e quelli abbracciando si diffon dono per tutti i rami loro con braccia rigogliose e piene di appigli, tanto che salgono fino alla cima loro, alte a segno, che pare che il vendemmiatore stia per tirarsi addosso, cadendo, il rogo e la sepoltura. Crescono senza misura, nè si possono dividere, o spiccare dall' albero. Dai tralci d 'una vile sola ne van circondale le ville e le case ; il che da Valeriano Cornelio è stato ricordato per una delle lor maraviglie. E ona vite in Roma ne* portici di Livia, la quale con ombrose pergole ricuopre tutti que' luoghi, dove si spasseggia da mezzo giorno, e fa l’ anno dodici anfore di vino. In ogni luogo elle sorpassano gli olmi. Però si dice che Cinea ambascia do re del re Pirro, es sendosi maravigliato dell'altezza loro inAricia, e dipoi motteggiando nel bere di quel vino mollo brusco, facetamente disse, che a buon diritto la madre di esso era appiccata a così alla farca. Chiamasi rumpotino, e per altro oome pioppo, un albero in Italia di là dal Po, i cui palchi o tavolali protesi per attorno sono riempiuti dalle viti, le quali innalzatesi per vecchi tralci fino alla sommiti di esso, spargono di là i loro tralci minori fra le divisioui dei rami. Queste all* altez za appena d 'un uomo s' appoggiano a' pali, e fanno vigne, e altre con iosaziabile progresso e superfluità di parapaoi, per la maestria del culto re abbracciano lutto il cortile. E così tante differenze di viti si veggono solo in Italia. In alcuni paesi le viti si reggono da loro stesse senza appoggio veruno, raccogliendo in sè medesime le loro membra, e con la brevità pascendo la grossez za. In alcani paesi, come in Africa e in Provenza, non possono andare alte per rispetto de' venti, ma sempre simili alle propagini staono basse al
C. PU NII SECUNDI
Namque gener* magnitudine, oolore, sapori bus, acinis innumera, eliamnom multiplicantur ▼ino. Hic purpureo luoent ooiore, illic fulgent roseo, nilenlque viridi. Candicans enim nigerque, vulgares. Tument vero mammarum modo bu masti. Praelongis dactyli porriguntur acinis. Est illa nalurae lascivia, ut praegrandibus adhaereant parvi, miles, et suavitate certantes: leptoragas has vocant. Durant aliae per hiemes, pensili con cameratae nodo. Aliae in sua tantum continentur anima ollis fictilibus, et insuper doliis inclusae, alipatae vinaceis circumsudantibus. Aliis gratiam, qui et vinis, fumus adfert fabrilis; iisqne gloriam praecipuam in fornacibus Africae Tiberii Caesaris auctoritas fecit. Ante eum Rhaeticis prior mensa erat, et uvis Veronensium agro. Quin et a patien tia nomen acinis datur passis. Conduntur et mu sto uvae, ipsaeque vino suo inebriantor. Aiiae decoctae in musto dulcescant : aliae vero sobotem novam in matre ipsa exspectant translucidae vi tro : additque acinis eamdera, quam in doliis amphorisve, duratricem illam firmitatem auste ritas picis infusa pediculo. Jam inventa per se in vino pioem resipiens, Viennensem agrum nobili tans, A rverno, Sequanoque et Helvico generibus non pridem illustrata. Atque haec Virgilii vatia aetate incognita, a cujus obito xc aguntur anni. Quid quod insertae castris summam rerum imperiomque continent? Centurionum in manu vilis, et opimo praemio, tardos ordines ad lenias perducit aquilas, atque etiam in delictis poenam ipsam bonorat. Nec non vineae oppugnationum dedere rationem. Nam in medicaminibus adeo magnum oblinent locum, ut per sese vino ipso remedia sint.
E a BOM GEftEBA XCI.
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par dell’ erbe e oon P uve beono il sugo d d ter reno : onde in Africa fra terra tali viti sono piè grosse, ohe un bambino iu faece. Nè altrove son uve di piè gratiosa durezza, e per ciò hanno preso il nome di duraeiae. Le sorti dell* uve aon molte, e ri diftinguou per grandezza, per colore, per sapore, e anoora pegli acini, e per la qualità dei vini. Dove hanoo colore porporino, dove rispleodon per color* di rose, e dove brillano per verde. Le bianche e le nere sono conosciate da ognuno. Ingrossano a guisa di poppe l’ uve chiamate in Greco buma ste, cioè poppe di vacca. I dattili fisnnno lunghi acini. Usa anco la natura uoa certa lascìvia, che nelle pergole grandi sieno acini piccoli, dolci e soavi. Chiamanti queste ove leptoraghe. Alcune altre durano tutto il verno stando appiccate. Al cune altre si conservano per la lor propria vita, chiuse in peotole di terra, e ricoperte, e atirate con vinaccia, che lor goccioli intorno. Il fumo fabbrile ancora arreca grazia all1 ave, come fa ai vini, e a queste tali uve Γ autorità di Tiberio imperadore diede singoiar gloria nelle fornaci di Africa. Innanzi a lui erano in riputazione 1* uve di Rezia, e 1* uve del territorio di Verona. Alcune uve hanno preso il nome dalla pazienza, e chiamansi passale. Mettonsi P uve ancora nel mosto, e s* nbbriacano del lor vino. Alcune colle nel mosto indolciscono : alcone durano sulla vite tanto che vengon le nuove trasparenti come ve tro. L1 austerità della pece infusa nel picciuolo contribuisce agli acini quella medesima durezza, che è nelle botti e nell1 anfore. E già si trovan viti, che per sè sentono della pece nel vino, quali son quelle che nobilitano il territorio di Vien na ; e, non è molto, son renate in pregio qudla che producono il vino Arverno, il Sequano e I1 Elvico. Questi vini non erano conosciuti al tempo di Virgilio, il quale mori novanta auni sono. Ma che diremo noi, che le viti negli eserciti hanno governo e imperio d’ ogni cosa ? La vite è insegna del centurione: con essa i guidatoridegK ordini a poco a poco diventano primipili, i aoli a cui sono commesse le insegne delle aquile, a que sto è un premio straordinario : ne* delitti onora anche il gastigo, perchè il solo Romano può es sere battuto con la vite. E similmente le vigne, macchiue così chiamate, iaaegnarono il modo di combattere le terre. E nelle medicine ancora hanno così gran riputazione, che coi vini loro guariscono infinite malattie. N o v a h t o r a specie 01 VITI.
IV. a. Genera vitium numero comprehendi IV. a. Democrito solo si pensò già di poter posse unus existimavit Democritus, cuncla sibi contare tulle le sorti delle vili, e si vantò di coGraeciae cognita professus. Ceteri innumera atco noscere tutte quelle della Grecia. Altri hanno
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XIV.
que infinite esae prodiderunt, quod verius appa rebit ex vinis. Nec omnia dicentur, sed maxime insignia : quippe quae totidem paene sunt, quoi agri. Quamobrem celeberrima· vitium, aut qui bas est aliqua proprietate miraculum, ostendisse satis erit. Principatus datur Amineis propter firmita tem, «enioque proficientem vini ejus utique vi tam. Quinque earura genera : ex iis germana minor acino, melius deflorescit, imbres tempesta· tesque tolerat ; non item major, sed io arbore, quam in jugo, minus obnoxia. Gemellarum, qui* bus boc nomen uvae semper geminae dedere, asperrimus sapor, sed vires praecipuae. Ex iis minor Austro laeditur, ceteris ventis alitar, ut iu Vesuvio monte, Surrentinisque collibus. Iu reli quis Italiae partibus non nisi arbori accomodata. Quintam genus lanatae, ne Seras miremur, aut Indos, adeo lanugo esm vestit: prima ex Amineis maturescit, ocyssimeque putrescit.
Proxima dignitas Nomentanis rubente mate ria : quapropter quidam rubellas appellavere vi neas. Hae roioas fertiles, vinaceis et faece niroia, contra pruinas fortissimae, siccitate magis qaam imbre, aestu qaam algore vexantur. Quamobrem in frigidis humidisque principatum obtinent. Fertilior quae minor acino, et folio scissa minus.
Apianis apes dedere cognomen , praecipue earum avidae. Ex eis dao genera, lanugine et ipsa pubescunt. Distant, quod altera celerias mature scit, qaaroqaam et altera properaote. Situs frigi dos non respuunt : et tamen nulla celerius imbre putrescunt. Vina primo dulcia austeritatem aonis accipiunt. Etruria nulla magis vite gaudet.
Et hactenus potissima nobilitas peculiaribus atqoe vernaculis Italiae. Ceterae advenere Chio, Thasove. Graecula non inferior Amineis bonitate, praetenera acino : et uva tam parva, ut nisi pin guissimo solo colere non prosit. Eugeniam Tau· rominitani colles cum generositatis cognomine, misere Albano tantum agro : quoniam translata atatim mutatur. Namque est aliquibus tantus lo corum amor, ut omnem in his gloriam suam re linquant, nec usquam traoseant totae. Quod et in Rhaetica Allobrogicaque, quam supra picatam appellavimus, eveuit, domi nobilibus, nec aguo-
avnlo a dira, che elle sono innnmerabili e infi nite, siccome più vero si vede nelle maniere de1 vini. Nè si parlerà di tutte, ma solamente delle più illustri, perciocché elle sono quasi al trettante quanti i terreni. E perciò basterà aver mostro le viti più famose, o quelle che hanno alcona proprietà maravigliosa. Il principato si dà alle viti Aminee per rispetto della fermezsa loro, e per la lunga vita che il lor vino ha in ogni luogo. Elle sono di cinque sorti. Fra queste la così detta germana mi nore di acino, meglio allega, e sopporta le piogge e i cattivi tempi. Non così fa la germana di acino maggiore, ma questa teme manco nell’albero, che da basso. Le gemelle, così chiamate perché hanno sempre l'uve accoppiate, sono di asprissimo sa pore, ma di maravigliosa forza. La minor di que ste riceve danno dal vento d’ Ostro, ma cogli al tri venti si nutrisce, come nel monte Vesuvio, e nei colli di Sorrento. Nell'allre parti d'Italia s'acoomoda solo agli alberi» La quinta sorte si chia ma lanata, perchè è tutta ricoperta
C. PLINII SECUNDI
scendis alibi. Fecunda· tamen, bonitatis vice co piam praestant: Eugenia ferventibus locis, Rhaetica temperatis, Allobrogica frigidis, gelu maturesceos, et colore nigra. Ex his, quas adhuc dixi mus, sed eliam e nigris vina vetustate iu album colorem transeunt. Reliquae ignobiles. Aliquando tamen coeli aut soli opera non fallunt vetustatem, siculi Fecenia, et cum ea florens Biturica, acino rarior, uumquam floris obnoxii, qaoniam ante·» cedunt, ventisque et imbribus resistunt : melio res tamen algentibus locis, quam calidis; huraidis, quam silientibus. Visula materia magis quam denso uvarum paria, impatiens variantis coeli, aed contra tenorem uonm algoris aeslusve con stans. Quae minor est ex eo genere, melior. In eligendo solo morosa, pingui putrescit, gracili omnino non provenit. Mediam temperiem deli cate quaerit, ob hoc Sabinis collibus familiaris. Uva ejus indecora visu, sapore jucunda: nisi ma tura protinus rapitur,eliam non putrescens cadit. Contra grandines eam tuetur foliorum amplitudo atque duritia. *
Insignes jam colore inter purpureas nigrasque medio helvolae, saepius varianti, et ob id varianae a quibosdam appellatae. Praefertur io his nigrior: nlraque alternis annis serlilis, sed melior v in o , quum parcior. Et preciae duo genera magnitu dine acini discernuntur, quibus materies plurima, nvaque ollis utilissima, folium apio simile. Basi licam Dyrrachini celebrant, Hispaniae cocolobin vocant. Rarior uva, aestus austrosque tolerat: capiti inimica, copia larga. Hispaniae duo genera ejus faciunt : unum oblongo acino, alterum ro tundo : novissimas vindemiant Quo dulcior co colobis, hoc melior. Sed et austera transit in dulcem vetustate : et quae dulcis fuil, in auste ritatem : lune Albanum, vinum aemulantur. Tra dunt vesicae vitiis utilissimum ex his potum. Al buelis summis arboribus fertilior est, visula imis. Quamobrem circa easdem satae diversilate natu rae locupletant. Inerticulam e nigris appellavere, justius sobriam dicturi, inveteralo praecipue com mendabilem vino, sed viribus innoxiam : siqui dem temulentiam sola uon facit.
intere altrove. Ciò avviene nella rite Rttìca e nella Savoina, la quale dì sopra chiamammo pi cata, le quali in quelle terre son nobili, e altrove non si conoscono pure. Però compensano la poca bontà con 1’ abbondanza del frutto. L’ Eugenia fa in luoghi caldi, la Retica ne* temperati, la Savoina uè* freddi : questa matura per lo gelo, ed è di cotor nero. I vini d! queste, che infi· qui abbiamo nominate, e delle nere ancora, per la vecchiezza diventano bianchi. L’ altre sono ignobili. Nondimeno talora per aiuto del terre no o deir aria si conservano a vecchiezza, sic come la Fecenia e la Biturica, che con essa fio risce. La Fecenia ha gli acini radi, e i suoi fiori mai non temono, perchè vanno innanzi, e resi stono al vento e alla pioggia : sono però migliori ne' luoghi freddi che ne* caldi, e negli umidi che ne' secchi. La vite detta visula è buona piò per lo suo legno, che non per abbondanza di frutto: non sopporta la mutazione dell' aria ; ma sia o freddo o caldo senza mutazione, nè l ' un nè Γ al tro teme. Quella che in questa specie è minore, è più buona. In eleggere il terreno è fastidiosa, perchè nel grasso marcisce, e nel molto sottile non fa frutto, ma come troppo vezzosa ricerca nna mediocrità temperata ; perciò è molto fami liare ne*colli Sabini. L'uva d’ essa è brutta a vedere, ma dilettevole al sapore ; e se qoando ella è matura non si coglie tosto, ancora che non marcisca, cade da sè stessa. Contra la gragnoola è difesa dalla grandezza e durezza delle sue foglie. Fra le vermiglie e le nere hanno un colore in quel mezzo le elvole, il qual colore perchè spes so varia, ha dato loro nome, si eh* elle son chia mate da alouni variane. Fra queste la nera è te nuta la migliore, e Fona e l’ altra fa frutto on anno sì e Γ altro no : ma è migliore per vino, quando ne fa manco. Sono doe sorti ancora dell’ uva detta precia, le quali si conoscono per la grandezza dell’ acino. Queste producono molti tralci : 1’ uva loro è utilissima a’ vasi : hanno la foglia simile alP appio. Quegli di Durazzo cele brano la basilica, la quale in lspagna si chiama cocolobi. L’ uva è mollo rada, e regge a* caldi e a* venti di mezzogiorno : fa male al capo ma proviene in gran dovizia. Gli Spagnooli ne ho· no due sorti : 1’ nna, che ha l* acino lunghetto, l1 altra tondo ; e son Γ ollime eh’ essi vendem miano. Quanto la cocolobi è più dolce, tanto i migliore. Però anche la brusca diventa dolce per la vecchiezza, e quella eh’ è già stata dolo·, di venta brusca ; e allora concorrono col vino Al* bano. Dicono che il ber vino di queste uve giova mollo al male della vescica. La vile albuela fa molto fruito negli alberi alti, e la visula ne’basù.
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HISTORIARUM MONDI LIB. XlV.
Fertililas commendat celerai, principemqoe lielvenacam. Duo ejas gonera : major, quam qui dam longam : minor, qaam emarcum appellant, non tam fecundam, aed gratiorem haustu. Discer nitur folio circinato : verum utraque gracilis. Furcas subdere his ncoessarium : alioqui nbertatam snarn non tolerant: maritimo adflatu gaadent, roscida odere. Nolla vitiam minas Italiam «■ut, rara, parva, putrescens in ea: vino qaoque, qood genuit, aestatem non exsuperans i nee «lia xoacro solo familiarior. Graecinus, qai alioqoi Cornelium Celsum transcripsit, arbitratam aon nataram ejos repugnare Italiae, aed eallaram, avide painitea evocantium. Ob id ferliKlatem «aam absumi, si non praepinguis soli ubertas la*seacentem sustineat. Carbunculari negatur : ma gna dote, si verum eat, aliqaa ia vite eoelo non esae jus.
Aestam feri spionia, quam quidam spineam vocant, auturonisque et imbribus pinguescit. Quinimmo nebulis nna alitur, ob id Ravennati agro peculiaris. Venicolam inter optime deflore scentes, et ollis aptissimam, Campani malunt scir culam vocare, alii stacolam : Tarracina namisianam, nullas vires proprias habentem, sed totam perinde ae solam valeat. Surrentinis tamen effi cacissima testis. Vesuvio tenus. Ibi enim Murgan tina e Sicilia potissima, quam Pompejanam aliqoi vocant, Latio demum feracem : sicut horconia in Campania, tantam vilitatis cibariae, sed ubertate .praecipua. Tolerat el annos merica, contra omne sidas firmissima, nigro «ciao, vinis in vetustate rubescentibus.
3. Et haetenus publica sunt ^genera : cetera regionum loeoramque, aut ex his inter se insita mixta. Siquidem Tascb peculiarie est tudernis, atqoe etiam ejus nominis Florentia. Est opima Aretio talpana, et etesiaca, et couseminia. Talpana nigra candidam faeit mastam. Ktesiaca fallax,
Peròeaseadoamendue piantale intorno a*medesi mi alberi, li riempiono per la di versila della natura loro. Una sorte di vile nera si chiama inerticula, la quale pià propriamente si potrebbe domandare sobria: questa è molto stimata, perché il suo vino si mantiene gran tempo, e non «noce punto alle forze, ed è il solo che non ubbriaca mai. Alcune #on lodate molto per fare di molta uva, e massimamente relvenaca,la «piale è di due sorti; la maggiore, che alcuni chiamano lunga, e la minore, che si chiama amarco, non tanto feconda, ma più dilettevole al gusto. Diseernesi per la foglia rifondata ) roé 1* una s P al» tra è sottile. Qoeste tali vili bisogna «estaoerle con le forche, altrimenti non potrebbono reg gere Γ abbondanza loro. Godono del vento ma rino, ma non amano le brinate. Ninna altra seri· di vite «ma manco P Italia di questa : quivi è rara, piccola, e marcisce: il lin o eh*«Ha vi fr, noa aggiugne alla state} nè verun* alfe* è più famigliare al terren magro. Greeino,# qua le trascrisse Cornelio Celso, tiene A e alla natala sua non sia contrario il suolo d* Italia, ma I t cultura di quegli che la lasciati» mettere troppi tralci ; e ehe perciò la sua fertilità si consumi, se la fecondità del terren grasso non la aitfta, mentre ella dee portare lo straccarico dei tral ci lasciatile nella potatura. Dicono eh* ella non incarbonchia. il che veramente è gran cosa, a* è vero che I*aria non abbia forza io alcuna vite. La spionia, la qoale alcuni chiamano spinea, sopporta il caldo, e ingrassa per 1* autunno e per le piogge. Anzi si nodrisce ancora nelle nebbie, e per ciò è peculiare del territorio di Raveona. La venlcala è una di quelle che ot timamente allegano, ed è ntìle a* vasi. Qaegli di Campagna la chiamano scircula, e alcuni sta cela. 1 Terracini hanno la numisiana, la quale non ha alcuna propria forza, ma è tale, quale il terreno dove ella ai pianta. Nondimeno in Surreoto i potentissima fino al monte Vesuvio. Quivi pure è la Margentina, ehe vien ottima di Sicilia, da alcuni chiamata Pompeiana, la quale finalmente fe molto fratto nelle campagne di Ro ma ; aiocome Γ oroonia la Terra di lavoro, utile solo per 1« sua abbondanza, m« non molto buo na a mangiare. Darà molti anni la nerica, ed è fermissima contro le influenze di ogni stella : ha l’acino nero, e i vini suoi qaando aon vecchi ros seggiano. 3. Inaino a qui abbiamo ragionato delle sorti dell* ave comuni a tutti i paesi : le altre aon pro prie di certe contrade e situazioni, o che partecipan della natura di queste e di quelle per le piantagioni che se ne «on fatte. Perocché ai To scani è peculiare la tuderna, ed è queUa che con
C. PLINII SECONDI
qeae quo plus tulit, eo landibiliti f eradit : mirnmqne, fecunditate cessat. Consemini· nigra, vino minime durante, ova maxime :post xv dies, quam nlla alia,metitur: fertili», aed cibaria. Hu jus folia, sicut labruscae, prius quam decidant, sMifioiMO colore motantur. Evenit hoc et qui busdam aliis, pessimi generis argumento. Irtiola Umbriae, Mevanatique et Piceno agro peculiaris est, Amiternino pumula. Iisdem bannanica' fallax •at : amant tamen eam. Municipii uvam Pompeji nomine appellant, quamvis Clusinis copiosiorem. Municipii et Tibnrtes appellavere, quamvis olea gineam nuper invenerint a similitudine olivae. Novissime haec uvarum ad hoc lem pus reperta «st. Vinaoiolam soli noverant Sabini, et Laurenti. Nam Gauranas scio ■Falerno agro translatas vo tar» Falérnas, celerrime ubique degenerantes. Nec non Tarentinum genus aliqui fecere, prae* dulci uva. C asias, et buccouiatis, et larrupia, in ^hqjrinh collibus non ante demeianlur, quam gelaverit. Pharia gaedeot Pisae: Mutina Prusinia, φίβ*ο aciiio, iptra quadriennium albescente vino. Jlirum, ybtque cum sole circumagi uvam,, quae ob id streptya vpeatur. Et in Italia Gallicana pla cere, trans Alpes vero Picenam. Dixi* Virgilitu Tfeasias« et Mareotidas, et lageas; corapluresque externat, quae non reperiuntuc in Itati·.
Sed sunt etiamnum insignes uva, non vino, ambrosiaca, duracina, sine ullis vasis in vite ser vabilis : tanta est contra frigora, aestus, tempe statesene firmitas. Nec orthampelos indiget ar bore aut palis, ipsa se sustinens: non item dfcctylites digiUK gracilitate. Columbinae e racemosis simis: et magis purpureae cognomine bimammiae, quando non rècemos, ied uvas alias gerunt. Item tripedanea, cui nomen a mensura est. Item scirpula passo acino. Et Rhaetica in maritimis Alpi bus appellata, dissimilis laudatae illi. Namque baec brevis, conferta acino, degener vino, sed cule omnium tenuissima, nucleo quem chium vo cant, uno ac minimo, acinum praegrandem unum •llerumve habena. Est et toigfa aminei, cui Sy riacae nomeu imponunt Item Hispana ignobilium probatissima»
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nome loro è appellata Fiorenza. In Arezzo i otti ma Ia talpana, Ia etesiaca, e Ia conseminis. La latpana nera fa il mosto bianco. La elesiaca è fal lace, la quale quanto più porla, tanto dà più copia di vino ; ma, cosa meravigliosa, ella cessa per la fecondità. La conseminia è nera : il suo vino non dura pnnto ; bensì mollissimo Γ uva, la qnale raccogliesi quindici giorni dopo che ogni altra : è fertile, ma la sua uva è solo buona da mangiare. Le foglie di questa uva, come della labrusca, pri ma che calchino, si fanno di color rosso. Il me desimo avviene ancora a certe altre, il che è segno che sono di pessima sorte. La irtiola è peculiare dell' Umbria, del territorio di Mevagna e della Marca; siccome la pnronla di Amiterno. Nei me desimi laoghi è fallace la bannanica, ma nondi meno la vi si ama. A Pompei ci ha un1 uva, che si chiama col nome del municipio, la qoale a Chiusi è più copiosa. A Tivoli ancora n' hanno dello stesso tfome, benché nuovamente abbiano trovata la oleaginea, così detta per la somiglianza ohe ella bacon l'ulivo. Questa è l’olfima uva, chè si sia trovata ai nostri tempi. La viuaciola si trova solo nel paese dei Sabini e dei Laurenti. Le Gaurane trasportate dal territorio di Falerno si chi** mano Falerne, e subho tralignano in qualunque terreno sien poste. Alcuni ancora chiamano Tarentina una certa sorte d' uva mollo dolce. La capnia, la bucconiate, e la tarrepia ne'colli Turini non si vendemmiano, se prima non agghiaccia. Pisa ha l 'uva Faria, Modena la Prnsinia, che ha l'acino nero, il coi vino diventa bianco in quat tro anni. Molto maravigliosa è quell' uva, la quale s* aggira da per tutto col sole, detta per ciò me desimo streptos. Come anche é maraviglia che in Italia piaccia l'nva Francese, e di là dall' Alpi là Marchigiana. Virgilio fece menzione dell’ uve Tasie, delle Mareotide, e delle lagee ; e di molte straniere, le qoali non si trovano in Italia. Ma sono ancora oggi in prezzo per I’ uva, e non per lo vino, le vili che fanno la ambrosiaca, e la duracina, la quale si conserva sulla vite senta vaso alcuno ; tanta fortezza ha ella contra il fred do, il caldo, e il mal tempo. Nè quella vite, che si chiama ortampeh), ha bisogno di albero, o di pali, perchè ella si sostiene da sè stessa : non così positon fare le dattilite, le quali sono sottili come nn dito. Le viti colombine sono delle più race mose ; e più rosse sono quelle, che si chiamano bimammie, quando elle fanno non grappoli, ma altre uve. E similmente la tripedanea, la quale così si chiama dalla misura. E così la scripula, che ha l’ acino passo ; e quella che si chiama Re* tica nell'Alpi marittime, assai differente da quella, che è tanto lodata. Perciocché questa è breve, £1 gli acini stretti, e il vino che traligna, e ha ia
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HISTORIARDJB MDMIH LIB. XIV.
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taccia più sotlil· dell'altre, e il nocciolé, che chiamano chi·, ona e piooolissimo ; ed ha nno o due grani moli· grandi. Écci anco l'Aminea nera» eh· ai chiama Siriae·, e la Spago«eia usai stimata fra le ignobili. Io pergulis vero seruntur escariae appellatae, Per le pergole si piantano quelle, che si chia e duracinis, albae nigraeque : et bumasti totidem mano escarie, della specie delle duracine, bianche e nere : la bumaste di altrettanti colori, la Egia coloribua : ac nondum dictae Aegia, et Kbodia, et oncislis, velut a pondere acini, liem picina e la Rodia non ancora trattate, e la unciale così pmnium nigerrima: et coronario naturae lusu chiamata come dal peso dell* acino. Similmente la pieina, che è la più nera di tutte 1* altre ; e stephanitis, acinos foliis intercursantibus: et quae quella ancora, la quale perchè fa P nve in giro e forenses vocantur, celeres proventu, vendibiles aspectu, portatu faciles. Contra damnantur etiam in foggia di ghirlanda, di maniera che le foglie si frammettono tra gli acini, è chiamata Stefani te. visu cinerea, et rabuscula, et asinusca : minus ta men, cauda· vulpium imitata, alopecia. Alexan E similmente le forensi, le qoali sono primaticci^ e vendibili perchè son belle da vedere « facili drina appellatur vilis circa Phalacram brevis, ramis cubitalibus, acino nigro fabae magnitudine, da portare. All1 incontro dispiacciono molto · vederle la cinerea, la rabuscula, e l’ asinuisca ; nucleo molli et miuirao, obliquis racemis prae dulcibus, folio parvo et rotundo, sine divisuris. ma meno assai Γ alopece, così chiamata, perchè è Septimo hinc anno, iu Narbonensis provinciae simile alla coda dell· volpi. Presso a Falacra i Alba Helvia,in venta e»t vilis uuo die deflorescens: una vite, che si chiama Alessandrina, oorta, che ob id tutissima. Narbonicam vocant, quam nuuc non ha i rami più «he un braccio, «on l ' acino nero, grande quanto una fava : il nocciolo è te tota provincia conserit. nero e piocolo, l ' uva molto dolce, la foglia pioeoi· e tonda, e non intagliata. Già sono fette.anni» che iu Provenza si è trovata uoa sorte dt vite, che in nn dì sfiorisce, e perqnesto è'sicurissima. Chiamasi Narbonese, ed era tutta quella contrada la pianta. I r s ig m a c u l t o r a e v ib e a e u m .
D ei m o d i d i g o v k e k a ib u
v ig b i.
V. 4. 11-primo della famiglia de* Catoni, fa V. 4* Calonum ille primus, triumpho et cen moso per la censnra e pel trionfo, ma mollo sura super cetera insignis, magis tamen etiamnum più ancora per lo splendore delle lettere, e pei claritate literarum, praeceplisque omnium re precetti dsli al popolo Romano di tutte le cose rum expeteudarnm datis generi Romano, inter prima vero agrum colendi, illius aevi confessione che sono degne di esser desiderate, e masti rea optimus ac sine aemulo agricola, pauca attigit mente dell'agricoltura, nella qoale senza dubbio vitium genera, quarumdam ex iis jam etiam no e per giudizio di ognuno fa riputato eccellentissi mo, nominò ricune poche sorta di viti, e oerte minibus abolitis. Separatim toto traotaiu senten fra queste sensa nome, per averlo di già perduto. tia ejus indicanda est, ut in omni genere, nosca nt os quae faeriot celeberrima, anno sexcentesimo Noi citeremo la costui opinione a parte a parte Urbis, circa capias Carthaginem ac Corinthum , per tutto il trattato, acciocché si conosca quali quum supremum is diem obi it, et quantum postea furono le piò nominate nell' anno seicento dell· edificazion di Roma, intorno el tempo ehe Car ccxxx annis vita profecerit. tagine e Corinto furon prese, e eh* egli si morì, e quanto dipoi in ducente trenta anni abbia fatto profitto la vita. Egli scrisse dunque in qaesto modo dell· Ergo de vitibus uvisqae ita prodidit : « Qui locos vino optimns dicetur esse, el ostentos soli* viti e delle afe; u. In quel luogo, dote si dirà nascer buonissimo vino, e che sia volto al sole, bos, Amineum minoseulum, et geminaro euge pianterai Γ Aroinea minore, e 1* una e Γ altra nia!», helvinnm minoseulum conserit·: Qui loeus crassior aot nebulosior, Amineum majus, hot eugenia, e Γ elvina piccola. Dove il terreoo sarà molto grasso e nebbioso, porrai l’ Aminea mag Morgentinum, Apicium, Lucanam serito. Cetera· giore, o la Murgentina, l'Apicia, é la Lucana. vites miscellae maxime io qaemvis asrrumconveniwnl. In lora recl· condantur. Quas suspendas L’ altre sorti di viti, massimamente le miscelle,
C. PLUttI SECONDI
doracidai, amineas majores : rei ad fabrum fer* rarium pro pasùs hae recie servantur. n Nec sunt vetustiora de ilia re Latinae linguae praecepta : tam prope ab origine rerum sumus. Amineam proxime dictam, Varro scaatianam. vocat.
Ia nostra Aetate panca exempla consummatae hujus arlis fueré: verum eo minus omittenda, ut noscantur etiam praemia, quae in omni re maxi me spectantur. Summam ergo adeptus est gloriam Acilius Sthenelus, e plebe libertina, u ju gerum non amplius vineis excultis in Nomentano agro, atque cggc m nummum venumdatis. Magna fame et Veluleno Aegiaio perinde libertino fuit, In Campaniae rure Liternino, majorque etiam favore hominum, quoniam ipsam Africani cole bat exsilium. Sed maxima, ejusdem Stheneli ope ra, Rhemmio Palaemoni, alias grammatica arte celebri, in hisce xx annis mercato rus »c u num mum in eodem Nomentano decimi lapidis ab Drbe diverticulo. Est autem usquequaque nota vilitas marci* per omnia suburbana, ibi tamen maxima, quoniam et neglecta per indiligentiam praedfli paraverat, ac ne in pessimis qaidem eiegantioris soli. Saeo adgressas excolere, non vir tute «taimi, sed vinitate primo, quae nota mire in illo fuit, pastinatis de integro vineis cura Sthe neli, dum agricolam imitatur, ad vix credibile miraculum perduxit, intra octavam annum cccc u nummum emptori addicta pendente vindemia. Cacurritque nemo non ad spectandas uvarum in iis vineis struea, literis ejus aliioribus contra id pigra vicinitate sibi patrocinante : novissime An naeo Seneca, prinoipe tura eruditionis, ac poten tiae, quae postremo nimia fuit super ipsum, mi nime utique miratore inanium , tanto praedii ejus amore capto, ut non puderet inviso alias et ostentaturo tradere palmam eam, emptis qua druplicato vinei· illis intra deoimum fere curae Annum : digna opera, quae in Caecubis Setinis» que agris profieeret : quando et postea saepeou mero ^septenos culeos singula jugera, hoc est amphoras centenas quadragenas masti dedere. 4e ne qais victam in hoc antiquitatem arbitra retur, idem Cato denos culeos redire ex jugeri bus scripsit, efficacibus exemplis non maria plus temerato conferre mercatori, non in Rubram li tus Indiaunve merces petitas, quam sedulum ra ris larem*
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vengono in ogni luogo. Le uve loro conservanti bene neU'acquerello. Quelle, che tu vuoi appicca re sieno duraciue, o Aminee maggiori : ai Canno passe anche al fumo del fabbro ferraio. » Nè ci sono più antichi precetti della lingua latina in questa cosa ; tanto siamo presso alla origine «Hi· cose. L'Aminea, di cui poco diami abbiamo par lato, è chiamata da Varrone scantiana. All'età nostra sono pochi precetti di quest'arte già perfezionata; ma tanto meno sono da esser lasciati, acciocché si conoscano ancora t vanteg gi, i qaali in ogni cosa principalmente debbono esser considerati. Somma gloria »’ acquistò Aci lio Stenelo, uomo della plebe liberiina, il quale coltivò sì beoe le vigne in sessanta iugeri, e nou più, nel territorio Nomentano,che le vendè quat trocento sesterxii. Gran fama procacciossi ancora Vetuleno Egialo, libertino anch* egli, nella villa Lileroina in Campagna, e molto maggiore an cora perchè s'imbatteva dì coltivare U luogo pro prio dove Scipione Africano era stato confinalo. Ma somma fu la riputazione, che per opera del medesimo Stenelo si guadagnò Remmio Palemo· ne, che fu anche grammatico molto illustre, aven do egli in questi veuti anni guadagnato seicento mila sesterxii da una villa del medesimo Nomenta· no, dieci miglia discosto da Roma, e situata fuori di strada. E noto generalmente come vanno a pic ciolo prezxo le terre suburbane, e specialmente di quel territorio ; e già quelle ebe egli acqui stò erano Straccurale e neglette, e da non porsi neppur tra le peggiori d’ un paese oon troppo collo. Ei prese a coltivarle, uon per magnani mità, ma per vanezxa, la quale fa in lai maravi gliosa. Pastinò per intero le vigne, e usandovi quella diligente che Stendo agricoltore, le ri dusse a slato si maraviglioso da poterai appena credere, talché in termine di otto anni guadagnò della vendemmia quattrocento mila sesterxii. Tutti correvano a vedere la grindovtxia delle uve di codeste vigne, assai più rispettabili, che le sue lettere non erano, facendogli anco favore la viltà e dappocaggine de* suoi vicioi. Perciocché ultimamente Aneo Seneca, uomo lelteratiasimo, e di grandissima ripataxione, il quale non si so leva però maravigliare di ogni minima cosa, s 'innamorò talmente di quella possessione, che non si vergognò di vantarla per la più bella e la più cara oosa die egli avesse mai visto, com perandola ben quattro volte pià che ella noa era costata dieci anni innanxi che fosse mes sa a ordine: fatica degna da essere impiegala nelle vigue Cecube e Seiine, dove ogni ingero ha spesse volle fatto sette colei, cioè cento qua ranta anfore di vioo. Ma acciocché alcuno noe •rada che l' antichità in ciò sia alata vinta, il
IIISTOHURUM MONDI LIB. XIY.
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medesimo Catone scrìve die ciascun iugero fa· ceva dieci culei di vino, mostrando oon manifesti esempli, che più non guadagna il mercante, met tendosi a mille pericoli nell’andare a recar merci dal mar Rosso, o dal mar d’ India, di quel che si guadagna uno, che vuol ben lavorare un buon podere.
Q c A * TIRA AaTIQOISSIMA.
Q o a l i s is m o i v i m p i ò a s t i c b i .
# VI. Vino antiquissima claritas Maroneo, Thraciae maritima parte genito, ut suctor est Homerus. Neque enira fabulose, aut de origine va rie prodita consectamur, praeterquam Aristae um primum omnium in eadem gente mei miscuis se vino, suavitate praecipua utriusque naturae sponte provenientis. Maroneum vicies tanto ad d ilo aquae miscendum Homerus prodidit. Du rat etiam vis eadem in terra generi, rigorque in domitus. Quippe quum Mucianus ter consul ex bis qui nuperrime prodidere, sextarios singulos octogenis aquae misceri compere ri t praesens in eo tractu. Esse autem colore nigram, odoratam, vetustate pinguescere. Et Pramnio, quod idem Homerus celebravit, etiam nunc honos durat. Nasciiur Smyrnae regione, juxta delabrum matris «leuin. In reliquis claritas generi non fuit.
Alicui anno fuit omnium generum bonitas, L. Opimio consule, quum C. Gracchus tribunos plebem seditionibus agitans interemptus : ea coeli temperies fulsit, quam cocturam vocant; solis opere, natali Urbis ocxxxiu. Durantque adhuc vina ducentis fere annis, jam in speciem redacta mellis asperi : etenim haec natura vinis in vetu state est : nec potari per se qaeunt, si noa per· vincat aqua, usque in amaritudinem carie in domita. Sed ceteris vinis commendandis minima aliqaa mixtura medicamenta sunt : quod, ut ejus temporis aestimatione in singulas amphorae cen teni nummi statuantur. Ex his tamen, usura mul tiplicata semissibus, quae civilis ac modica est, ia Caji Caesaris Germanici filii principatu, anno c l x ungulas uncias vini constitisse nobili exem plo docuimus, referentes vitam Pomponii Secandi vatis, coenamqae quam principi iUi dedit. Tan tam pecuniarum detinent vini apothecae. Nec alia res majus incrementum sentii ad vicesimum annuin, majusve ab eo dispendium, non proficienle pretio. Raro quippe adhuc fuere, nee nisi m nepotatu, singulis testis millia nummum. Vieunenses soli picata sua, quorum geoera diximus, pluris permutasse, sed inter sese amore patrio
Anticamente era in gran riputazione il io VI. vin Maroneo, neto neUa parte marittima della Tracia, come scrive Omero, lo non andrò cer cando oose favolose e d* incerta origine, ma dirò apio die Aristeo fa il primo che mescolò il mele col vino, e ne trasse una diKcatissima soa vità, avendo trovalo che per natura si oonfanno bene insieme. Scrive anco Omero ohe il vin Ma roneo porta venti parti di acqua. Dura oggidì ancora la possanza e forza di quel vino. Percioc ché Muciano stato tre volte consolo, uno dei più nuovi scrittori, afferma essersi trovalo ia quel paese, e aver veduto che ogni sesterife di quel vino ne portava otto di acqua, e eh’ egli è nere di colore, odorato, e che ingrassa qoanto è più vecchio. 11 Pramnio anch’ egli celebrato pur da Omero, i ancora in riputazione. Nasce questo vino nel paese dì Smiroa appresso il tempio della dea Cibele. Gli altri vini non hanno avuto cre dito alcuno. tJn anno fu, che tutti i vini furon buoni; essendo consolo L. Opimio, quando Caio Gracco per la sedizione della legge agraria fu morto, perocché ci fu quella temperie di aria, che si chiama cottura, per opera del sole, l’ anno della edificazione di Roma seicento e trentatrì. Du rano ancora i vini, che hanno quasi dugento anni, ridoni a modo di on mele aspro; percioc ché i vini vecchi hanno questa natura, nè si posson bere senza acqua, perchè il sapore della vec chiezza, venuto quasi insino all’ amaro, non si può domare. Però con una minima mistura sono una medicina atta a far buoni gli altri vini; e però quando sono stimali di quel tempo, cia scuna anfora vale cento nummi. Questi crebbero ogui anno il sei per cento, che pure è cosa onesta e modica, tanto che nel principato di Caio Cesa re figliuolo di Germanico, nel qual tempo aveano quei vini cento sessanta anni di età, ogni an fora valeva mille e sessanta nummi, siccome ab biamo dimostrato nella vita del poeta Pomponio Secondo, parlando di quella cena eh’ ei diede all* imperatore : sì gran somma di denari occu pano i magazzini del vino. Nè alcona altra cosa sente maggiore acciesumculo insino in venti
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creduntor; Idque vinum frigidius reliquis exi stimator ia frigido poto.
D i NATU&A VIRI.
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anni, nè maggiore spesa da qoel tempo io là, noo facendo profitto il prexxo. Di rado insino a qui sono stale botte, che sieno valute più di mille nummi, se non venule di lontani paesi, i Vien nesi soli hanno venduto più i loro vini impeciali, dei quali abbiamo parlato, ma ciò hanno fatto tra loro per amore della patria. Questo vino è riputato più freddo che gli altri, quando si bee freddo. D i l l a ratu ba d b l
vitro.
VII. 5. La natura del vino è questa : ae si VII. 5. Vino natara est, hausto accendendi bee, di riardere le interiora, e di rinfrescare, calore viscera intus, foris infuso refrigerandi. Nec alienam fuerit commemorare hoc in loco, bagnando con esso le parti di fuora. Non è fuor quod Androcydes sapientia clarus ad Alexandrum di proposito raccontare in questo luogo quel che Androcide uomo molto savio scrisse ad Alessan Magnura scripsit, intemperantiam ejus cohibens: dro Magno, riprendendo 1« soa incontinenza : « Vinum polurus rex, memento te bibere san k Ricordati, o re, diss'egli, come beendo il vino, guinem terrae: cicuta hominnra veneuum est, tu bevi il sangue della terra ; e che siccome la cicutae vinum, wQuibus praeceptis si ille obtem peravisset , profecto amicos in temulentia non cicuta è veleno all’ uomo, così il vino alla den ta. » Ai quali precetti se egli aveste ubbidito, interemisset. Prorsus nt jure dici possit, neque veramente ubbriaco noo avrebbe ammazzato gli viribus corporis utilius aliud, neque aliud volu amici ; tanto che li può a buon diritto concbiuptatibus porniciosius, si modus absit. dere, che non c 'è cosa più utile alle forze del corpo, nè più dannosa ancora a' piaceri, quando e’ i* usa senza il debito modo. V is a
gene& osa i ~
ClRQUARTA SPECIE DI VIRI GEREBOSI.
VIII. 6. Genera autem vini alia aliis gratiora Vili. 6. E’ non è dubbio alcuno, che una sorte esse, quis dobitet ? aut uon ex eodem lacu aliud di vino piace più che l'altra, secondo i gusti delle praestantius altero germanitatem praecedere, sive persone ; e si vede ancora, che di uo medesimo testa, sive fortuito eventu? Quamobrem de prin tino l'u n vino è migliore che Γ altro, o per Io cipatu se quisque judicem statuat. Livia Augu vaso deve si mette, o per altro caso fortuito. E sta l x x x u annos vitae Pocino vino retulit acce però a conoscere il migliore ciascuno faccia ginptos, non alio usa. Gignitur in sinu Adriatici ma dice sè stesso. Livia moglie d’ Angasto diceva, ris, uon procul a Timavo fonte, saxeo colle, ma eh* ella era arrivala egli oltantadue anni detta ritimo ad flatu paucas coquenle amphoras : uec sua vita, per aver bevalo sempre non d*»ltro vino aliud aptius medicamentis judicatur. Hoc esae che del Fucino. Nasce questo vino là dove il ma crediderim, quod Graeci celebrantes miris lau re Adriatico fa un seno, poco lungi dal fante dibus, Praecianum appellaverunt ex Adriatico Timdvo, in nn poggio di masso, dove sofia il ainu. Divus Augustps Seliuura praetulit cunctis, vento di mare, il quale ne matura alcune poche et fere secuti principes, confessa propter expe botti : nè c’ è altro vino migliore per le medici rimenta, non temere cruditatibus noxiis ab ea ne. Questo crederò io che sia quel vino, che i saliva. Nascitur supra Forum Appii. Antea Cae Greci celebrandolo con meravigliose lodi chia cubo erat generositas celeberrima in palustribus mararono Preciano del golfo Adriatico. L'impepopuletis, sinu Amyclano: quod jam iolereidit, radore Augusto prepose a tutti gli altri vini il et incuria cotoni, looique angustia : magis tamen Setino. Quasi lotti gli altri principi dipoi sono fossa Neronie, quam a Bajano lacu Ostiam usque stati del medesimo parere, avendo con o scialo navigabilem inchoaverat. per esperienza, come egli non è punto duro a smaltire. Nasce questo tal vino sopra Fossa nuo va nella Campania. Dianzi era stato in gran ri putazione il Cecubo, il quale nasce in palestre suolo piantalo di pioppi sul golfo d* A micia ; un questo è già venuto meno per negligenza de' la-
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HISTORIARUM MONDI LIB. XIV.
Seconda nobilitas Falerno egro erat, et ex eo maxime Faustiano. Cura cultnraque id college* n i . Exolescit hoc quoque, copiae polius, quam bonitati, studentium. Falernus ager a ponte Campano lievi petentibus Urbanam coloniam Sulla na m nnper Capuae contributam incipit. Fau stiani» autem circiter quatnor milliaria vico pro pe Cedias, qai vicus · Sinuessa vi millibus abeat. Nec ulli iu vino major auctoritas : solo vinorum flamma accenditur. Tria ejus genera, austeram, dulce, tenue. Quidam ita distinguunt : superoi* collibus Gauranum gigni, mediis Faustianura, imis Falernam. Non omittendum autem nulli eoram quae celebreutur, jucundum saporem uvae esse.
Ad tertiam palmam varie venere Albana Urbi vicina, praedulcia, ac rara in austero. Item Sur rentina in vineis tantum nascentia, convalescen tibus maxime probata, propter tenuitatem salubritatemqoe. Tiberius Caesar dicebat u consen sisse medicos, ot nobilitatem Surrentino darent, alioqui esse generosum acetum. » Cajus Caesar, qui successit illi, u nobilem vappam.» Certant Massica aeque, ex monte Gauro, Puteolos Bajasque prospectantia. Nam Falerno contermina Sta* lana ad principatus venere non dubio: palamque fecere sua quibusque terris tempora esse, sicut rerum proventus occasusque. Juncta his praepo ni solebant Calena : et quae in vineis arbustisque nascuntur, Fundana. Alia ex vicinia Urbis Veli ternina , Privernatiaque. Nim quod Signiae na scitur, austeritate nimia continendae utile alvo, iuter medicamina numeratur.
Quarlutn curriculum publicis epulis obtinuere adivo Julio (is enim primus auctoritatem his tribuit, ut in epistolis ejus apparet) Mamertina, circa Messanam in Sicilia genita. Ex iis Putulana, ab auctore dieta, in loco proximo Italiae laudan tur praecipue. Est in eadem Sicilia, et Taurominitanis honos, lagenis pro Mamertino pleruinqae subditis.
voratori, e per la strettezza del luogo, ma molto più per rispetto d 'nna fossa navigabile, che Ne rone aveva incominciato a fare dal lago di Baia fino ad Ostia. La seconda nobiltà si dava al vino nato nel territorio Falerno, e massimamente al Faustiano, li quale ancora oggi si stima assai poco, per ri spetto che più s 'attende a farne molto, che a farlo buono. Il territorio Falerno comincia dal ponte di Capova in sulla man manca a ehi va alla colonia di Siila, da lui, non ha molto, me nala a Capo va. 11 Faustiano è intorno a quattro miglia loutano dal villaggio eh'è presso a Cedia, e lontano da Sinuessa sei miglia. Nè c’ è paese che abbia più fama di vino: la fiamma de’vini s’ac cende per lo terreno. Tre sorti ci sono di questo vino, brusco, dolce, e sottile. Alcuni lo distin guono in questo modo : in cima de' colli nasce il Ganrano, a mezza piaggia il Faustiano, a basso il Falerno. Questo s’ ha ben da sapere, come uiuna di quelle uve, che hanno nome di far tyou vioo, non ha buon sapore. Nel terzo grado d'onore sono l'uve Albane vici no a Roma, dolci e che dan poco nell'aspro. Simil mente le Surrentine, quelle dico, che solamente nascono nelle vigne: sono molto stimate per co loro che cominciano a sanare, perchè sono leg gieri e sane. Tiberio imperadore usava dire, <4 che i medici s' erano accordati a dar riputa zione al vin Surrentino, e che altrimenti egli era un finissimo aceto. » Caio Cesare, che suc cesse a lui, lo chiamava nobil cercone. Combat tono oon questo i Massici del monte Gauro, di quella parte che guarda verso P o z z u q I o e Baia. Perchè i vini Statani vicini a Falerno senza dub bio hanno ottenuto il principato e il vanto, e. hanno fatto conoscere, come tutte le terre hanno i lor tempi di fertilità, secondo ch'è in ogni altra cosa dovizia o carestia. Solevansi preporre i vini Caleni, i quali son congiunti con questi, e i Fondani, che nascono nelle vigne e sugli arbuscelli. In vicinanza di Roma ci sono pure i vini di Veletri e di Piperno; perchè quello che nasce a Signia, per esser troppo brusco, è buono a sta gnare il flusso del corpo, e si conta fra le medi cine. 11 quarto grado d' eccellenza ne' pubblici conviti ebbero da Giulio Cesare (perciocché egli fu il primo che diede loro riputazione, come si vede nelle sue epistole) i vini Mamertiui, cioè che nascono intorno a Messina in Sicilia. Fra questi so d o i Putulani, così chiamati dall' autor loro, i quali quanto nascono più presso all* Ita lia, tanto più son lodali. Sono anco in credito i Taurominitani, i quali si fanno pure in Sicilia, dati spesso ne’ fiaschi per vini Mamertini.
C. PLINII SECONDI
Ex rei i qai· «utera « supero mari Praetutia atqoe Ancon· nascentia, et qoae a palma una forte enata Palmeniia appellavere. In mediterraneo ▼ero Caeseoatia ac Maecenatiana. Io Veronensi item Rbaetioa, Falernis tantum posthabita a Virgilio. Mox ab ìntimo sinu maris, Adriana. Ab iofero aotem Latioiensia, Graviscana, Statooiensia. Etruriae palaMm U n i habet, Liguriae Ge noa. Inter Pyrenaeum Alpesqoe Massilia femino sapore, quando «t eondieodis aliis pingoias gignit, quod vocant succosum. Baeterrarum intra Gallias conaislit auctoritas. De reliqais in Narbonensi geniti· asseverare non est: quoniam officinam ejus rei fecere tingentes fumo, utioamque non el herbis, ae medicaminibus noxiis! Qoippe etiam aloen mercantur, qua saporem ooloremque adul terant.
Iterum et longioqoiora Italiae ab Ausonio mari, noa careot gloria, Tarentina, et Serviliana, et Consentiae genita, et Tempsae, ac Babiae, Lucanaque antecedentibus Thnrinis. Omnium vero eorum maxime illustrata Messalae potu et salute, I«agarina, non procol Grumento nascenti·. Cam pania nuper excitavit novis nominibus auctorita tem, sive eura, aive caso, ad quartum a Neapoli lapidem Trebellieis : jaxta Capoam Caolini», et io suo agro Trebulanis: alioqui semper inter plebeja et Trifolinis gloriata. Nam Pompejanis summum deflero annorum incrementum est, nihil senecta conferente. Dolore etiam capitom in sex tam horam diei sequentis infesta deprehendun tur. Qaibus exemplis, nisi fiillor, manifestum est, patriam terramque referre, non uvam : et super vacuam generum contectationem in numerum, quum eadem vitis aliud aliis in locis polleat. ΕΠspaniarom Laletana copia nobilitantur : elegantia vero Tarraconensia, atqae Laaronensia : «t Ba learica ex insulis, conferuntur Italiae primis. Nec ignoro, multa praetermissa plerosqoe existimatu ros, quaudo suum euique placet, et quocumque eatur. Bibula eadem reperitur : u Divi Augusti judiciorum ao palati peritissimo»! e libertis, cen suram vini in epulas ejus facientem, dixisse hospi ti «le indigena vino, novum quidem sibi gustum esse eum, atque non ex nobilibus, sed Caesarem nou aliud poturum. » Nec negaverim et alia di gna esse fama : sed de quibus consensus aevi judicaverint» haec sunt.
Del mar di sopra sono lodati i Prelniii, e qoei che nascono in Ancona, e qaegli che si chiamano Palmesi, forse perchì si fanno d'uva chiamati palma. In fra terra sono i vini Cesenati e i Me· cenaiiaoi. Nel Veronese sono i Retici, i quali da Virgilio sono messi addietro solo a' Falerni. Di poi sono ottimi i vini Adriani nell' Intimo golfo di questo mare. Del mar di sotto son· i Lati· ni4si, i Graviscani e gli Statoniesi. In Toscssm hanno il vanto qnei di Luni, e io Liguria i Ge novesi. Tra il Pireaeo e Γ Alpi quei di Morsi! ia sono di due sapori, dove c'è no vino pià grosso, atto a condire gli altri, il quale chiamano sugo so. Il vino di Beterra in Francia è in gran riputaiione. Degli altri nati in Provenza non si può dire nulla di certo, perché gli conciano col fa rno , e Dio volesse pure che non gli acconcias sero oon erbe, e altre cose nocive ! Perciocché essi in ciò adoperano Ano all' aloe, e cou esso falsificano il sapore e il oolore. Ne* luoghi ancora più lontani d ' Italia presta il mare Ausonio nascono vini, i quali hanno la gloria loro, siccome sodo i Tarentini, i Servi, ria ni, i Consentini, i vini di Tempsa c di Babia, e I Lucani, a'quali però sogliono preferirsi i Ta nni. Ma sopraltntti gli altri sono illustrati, per averne bevuto oon soa salote Mestala, i vini Lagarini, i quali nascono poco lontano «fa G iu mento. La Campagna ha testi accresciuto auto rità a* suoi, o per diligenza, o per caso : di questi nasoono quattro miglia presso a Napoli i Trebel lici ; presso a Capova i Caolini, e nel sno terri torio i Trebulani, non che i Trifolini, i quali sono sempre stati lodati fra i plebei. Perciocché i Pompeiani di dieci anni sooo in supremo gra do, e la vecchiezza non accresce lor nulla. Tro vasi ancora che flinno dolere il capo nella sesta ora del seguente giorno. Per li quali esempH, s 'io non m 'inganno, si conosce che il terreno e il paese, non l'uva, fa la differenta ne*vini, e però è soverchia la diligeoza in eleggere diverse sorti di viti, veggendosi che una medesima vite in di versi luoghi fa varii effetti. I vini Laletani di Spagna sono assai riputati per rispetto dell' ab bondanza loro : i Tarraconesi e i Laoronesi per la lor leggiadria : quei di Materica e Minorica si possono paragonare co*primi d'Italia. Io so bene che molti stimeranno eh* io n'abbia lasciali addietro assai, perchè a ciascun piace 9 tuo, e dovunque si va, si trova la medesima favola, u che un liberto d’Aogosto imperadore, peritis simo giudice e censore della gola, il qoale n e W vili dell'imperadore soleva dar giudicio de' via», e in essi esercitava la sua censura, disse a non so chi, cai aveva invitato Angusto, che il vino di quel paese era a lui di nuovo gusto, ma non però
Ιίδ .
HISTORIARUM MUNDI LIB. XIV.
tria
<1« «lederlo tra gli eccellenti, e che lattaria Ce sare oon avea da bere altro vino. « Non posso negare ancora, che non vi sieno degli altri visti degni di fama, ma que*ti son quegli che i tempi di mauo-in mano hanno giadicato per buoni. VlHA
TEAHSKA&IlfA XXXVtll.
T&BRTOTTO DI VISI DI OLTftEMAftE.
IX. 7. Nunc simili modo (ransmarina dicemus. IX. 7. Nel mede «imo modo ragioneremo ora de’ vini di oltra mare. In suprema gloria, dopo In suraraa gloria post Homerica illa, de quibos quei d* Omero, de' quali abbiamo ragionato di supra diximus, fuere Thasium Chiumque: ex sopra, furono i vini di Taso e di Chio; e di Chio Chio (|u(k1Arvìsium vocant. His addidit Lesbium specialmente quel che si chiama Arvisie. A questi Erasislrali maximi medici auctoritas, circiter aggiunse il Lesbio Γ autorità d' Erasistrato, me ccoci» annum Urbis Romae. Nunc gratia ante dico grandissimo, il quale fu intorno a quattro omnia est Clazomenio, postquam parcius mari cento cinquanta anni dopo Γ edificazione di Ro condiunt. Lesbium sponte suae naturae mare ma. Ora sopra tutti gli altri ha credilo il Clazo sapit. Nec Tmolili per se gratia, ut τίηο: sed menio, poi che lo condiscono meno con Γ acqua cujus dulci admixto, reliquorum duritia suavita salsa. 11 Lesbio sa di mare per sua natura. Nè il tem accipiat, simul et aetatem, quoniam vetustio Tmolito ha per sè riputazione come vino; ma ra protinus videntur. Ab his dignatio est Sicyo mescolando U dolcezza d’ esso con la durezza di nio, Cyprio, Telmesico, Tripolitico, Berytio, Ty certi altri, questi pigliauo soavità ed età insieme, rio, Sebennytico. In Aegypto hoc nascitur tribus perchè subito paiono più vecchi. Dopo questi generibus uvarum ibi nobile, Thasia, aethalo, peuce. Post haec auctoritas hippodamantio, My sono i viui Sicionii, i Cipriolti, i Telmesici, quei di Tripoli, di Berato, di Tiro, e di Sebennito. stico, caniharitae, protropo Gnidio, CutacecauQuesto uasce in Egitto, ed è vin generoso : si fa raeoitae, Petritae, Myconio. Nam Mesogiien capi di tre sorti d'uve, cioè d'uva Tasia, di et·lo e di tis dolores facerfe compertum est ; nec Ephesium peuce. Dopo questi è in autorità il vino ippodasalubre esse : quoniam mari et deliralo condiatur. mantio, il Mistico, il cantatila, il protropo Gni Apamenum mulso praecipue convenire dicitur, sicut Praetutium iu Italia. Est enim haec pro dio, il Calacecaumenita, il Petrita e il Miconio. prietas generum, ut dulcia utique iuter se noa Perciocché s'è trovato che il Mesogito fa dolere congruant. Exolevit el protagiun, quod Italicis il capo, e che 1' Efesio non è punto sano, perchè proximum fecerant Asclepiadis scholae. Apollor Γ acconciano cou V acqua salsa e col vin cotto. dorus medicus, in volumine, quo suasit Ptole Dicono che quello d’ Apamea si coafa mollo col maeo regi quae vina biberet, Italicis etiam tuna inulso, come il vino Pretuzio in Italia ; perchè è iguotis, laudavit in Ponto Nasperceniten, mox proprietà dei dolci di non si confare mai troppo insieme. Non è più iu uso ancora il protagio, il Orelicum, Oeneaten, Leucadium, Ambracioten, et qaod cunctis praetulit Peparethium: sed minoris quale le scuole d' Asclepiade avevano messo in credilo come quelli d 'Italia. Apollodoro medico, lamae esse dixit, quoniam ante sex annos noe placeret. in un suo certo libro, nel quale egli persuase al re Tolomeo quali vini ei dovesse bere, non essendo ancora conosciuti quei d 'Italia, lodò il Kaspercenilo di Ponto, poi I' Orelico, Γ Eneate, il Leu cadio, Γ Ambraciotto, e il Peparezio, eh' egli pre pose a tutti. Disse però eh* «gli era di minor fama, perchè ei non piaceva dopo i sei anni. Vim
SALSI GEftEAA VII.
Serra ni viai
s a ls i.
X. 8. Hactenus bonitas vini uationihus debe X. 8. Insino a qui s' è ragionato della bontà del vino, di cui siamo debitori alle nazioni. Ap tur. Apud Graecos jure clarissimum nomen ac* presso i Greci meritamente s’ acquistò chiarissi «epit, quod appellaverunt bion, ad plurimos va mo nome un vino, che essi chiamarono bion, letudinum usus excogitatura, ut docebimus in trovato utilissimo a molle infermità, siccome mo parie medicinae. Fit autem hoc modo : uvae streremo nella parte della medicina. Fassi in ■ paulluin ante maturitatem decerptae, siccantur questo modo : le ure colle un poco prima che acri sole, ter die versatae per triduum : quarto P mbiu I. N.
C. PLINII SECUNDI exprimuntur, «Jeìn in cadis sole inveterantor. Cui marinam aquam largiorem miscent (a servi furto origine orta, sic mensuram explentis), idqoe translatum in album musium, leucocoum appel latur. In aliis autem gentibus simili modo facium telhalsssoroenon vocant. Thalassilen autem vasis musti dejectis iu mare, quo genere praecox fit vetustas. Nec non apud uos quoque Coum vinum ex Italico faciendi ralionem Calo demonstravit, super celera iu sole quadriennio maluraudum praecipiens. Rhodium Coo simile est. Phorineum salsius Coo. Omnia transmarina septem vel in sex aunis ad vetustatem mediani pervenire exi stimantur.
D c lc i u m
genera
x v m . D e pa s s o , k t b e p s b m a t b .
sien mature, si seccano a un sol gagliardo, e si rivoltano tre volte il dì per Ire giorni : il quarte» si premono, dipoi si mettono a invecchiare nei vasi al sole. Con esso mettono poi piò acqua salsa, essendo nato il principio di ciò dal furio di un servo, il quale riempiva la misura con quest' aequa. Sì fallo vino trasferito in mosto bianco si chiama leucocoo. Questo medesimo, fatto in altri lunghi, si domanda felalassomenon. Fanno anco quello, che si chiama talassite, mettendo i vasi del mosto in mare, perchè di tal modo più tosto invecchia. Presso di noi ancora dimostrò Catooe il modo di fare il vino Coo di vino Italiano, so pra Γ altre cose insegnando che si materasse al sole per quattro anni. Il vin Rediolto è simile al Coo. Il Forineo è piò salso del Coo. Tutti i vini d’ oltremare in sei o sette anni si lieoe che sien giunti alla meli della lor vecchiezza. DlCIOTTO DI VIRI DOLCI. D e l VIR PASSO, Β DBLLA SAPA.
9. Ogni vino dolce ha manco odore ; e XI. 9. Vinum omne dulce minus odoralum : XI. quo tenuius, eo odoratius. Colores vinis quatuor: quanto è men dolce, tanto ha odor maggiore. I vini hanno quattro colori, bianco, bioudo, ver albus, fulvus, sanguineus, niger. Piylhium et raemiglio e nero. Il psitioe il raelaropsitio sono sorli lampsjrlhium passi genera sunt, suum saporem, non vini referentia : Scybelites vero musti, in di vin cotto, che hanno il sapor loro, e non qoel del vino. Il Scibelile che nasce in Galazia, e ΓΑ Galatia nascens, et Aluntium in Sicilia. Nam si lunzio che nasce in Sicilia, han sapore di mosto. raeum, quod alii hepsema, nostri sapam appellant, Perciocché il sireo, che alcuni chiamanoepsema, e ingenii, non naturae opus est, musto usque ad tertiam partem mensurae decocto : quod ubi fa i nostri sapa, è opera d'ingegno, e non dì nalura, cium ad dimidiam est, defrutum vocamus : omnia cuocendosi il mosto sin che è consumalo il terrò della sua quantità; il quale quando si è fallo bollire in adulterium mellis excogitata. Sed priora uva fino alla metà, lo chiamiamo defrulo : tutte cose lerraque constant. Passura a Cretico Cilicium probatur, et Africum, et in Italia, finilimisque trovate per contraffare il mele. Nondimeno i vini provinciis. Fieri certum est ex uva, quam Graeci detti di sopra hanno la la qualità del sapore dalla slicham vocant, nos apianum ; item scirpula, diu natura dell’ uva e del terreno , non dall' indu tius in vile sole adustis, aut ferventi oleo. Qui stria degli uomini. De'vini fatti d 'a ve passe, dopo il Cretico è riputalo il Cilicio e 1' Africo, e dam e quacumque dulci, dum praecocta alba, faciunt: siccantes sole, donec paullo amplius di quel che si fa in Italia e nelle province vicine. midium poudus supersit, tusasque leniter expri Si fa d' uva, che i Greci chiamano stica, e noi munt. Deinde quantum expressere, adjiciunt vi apiana; similmente della uva scirpula, lungamen naceis aquae puteanae, ut el secundarium passam te lasciata ricuocere al sole, o nell' olio caldo. Al* faciant. Diligentiores eodem toodo siccatis acinos cuni lo fanno dì qualunque uva dolce, pur ette sn eximunt, ac sine sarmenlis madefactos vino ex cotta e bianca, seccandola al sole insino a che cellenti, donec intumescant, premunt: et hoc resti poco piò della metà del peso, e pesta len genus aule celera laudant : ac simili modo aqua tamente la premono. Dipoi quanto n' hanno pre muto, tanlo v' aggiungono sopra la vinaccia «li addita, sccuodariuin faciuut. acqua di pozzo, per farne il secondo via pasto. Quei che sono piò diligenti, avendo nel medesi mo modo seccale Γ uve al sole ne cavano gli aci ni, e senza raspo bagnandoli con buonissimo vioo, fino a che rigonfino, poscia gli premono : questo è il modo più lodevole ; e similmente aggiugneodovi dell' jicqaa, fanno il secoudo.
HISTOB1AROM MONDI LIB. XIV.
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Medium ioler dulcia vinumque est, qaod Graeci aigleucos vocant, hoc est, semper mustum. Id evenit cor·, quoniam fervere prohibetur: sic appellaot rausti in vina transitum. Lrgo mergunt e lacu protinas io aqua cados, donec bruma transeat, et consaetndo fiat algendi. Est etiam num aliud genus ejus per se, quod vocat dulce Narbonensis provincia, et in ea maxime Vocontii. Adservatur ejus gratia uva diulius in vile, pedi culo intorlo. Ab aliis ipse palmes inciditur in medullam, ab aliis uva torretur iu tegulis : omnia ex Helvenaca vite. His adjiciunt aliqui quod ▼ocant diachyton, uvis in sole sicca li·, loco clauso per dies septem, in cralibus, lo!idem pedes a terra alte, noclibus a rore defensis, octavo die calca lis : ita fieri optimi odoris sapo> risque. Dulci e genere est et melitites. Disisi a mulso, quod fit e musio, cum quinque congiis austeri mosti, congio mellis et salis cyatho suf fervefactis, austerum. Sed inler haec genera potaom ponere debeo et protropnm : ita appellalnr a quibusdam muilum sponle defluens, anteqnam calcentur uvae. Hoc protinus diffusum lagenis suis defervere passi, postea in sole qua draginta diebus torrent aestatis seculae, ipso Canis orlu.
S e c o n d a m i vim
Tra i vini di sapor dolce ve n'ha anodi mez zo, che i Greci chiamano aigleuco, cioè sempre mosto. Questo si fa con arie, vietandolo della bollitura, che così si chiama il passaggio di mosto in vino. Subilo dunque eh' è pigiato, lo cavano de' lini, e affondano i vasi nell' acqua fin che pasti il verno, e abbia presa la consuetudine di starsi raffreddalo. Écci anco un' altra sorte di esso che. in Provenza, e massimamente nel paese de' Vocouzii, si chiama dolce. A questo effetto si conserva lungamente sulla vile l'u v a , col pic ciuolo de' grappoli torlo. Alcuni inlaccano il tralcio slesso fino alla midolla, altri abbronzano I' uva su tegoli ; e tulli qaesti vini si fanno della vile Elvenaca. A questi alcuni aggiungono quello che si chiama diachito, seccando 1' uve al sole in un luogo chiuso per selle giorui, in graticci alti, da lerra altrettanti piedi, per difenderle la notte dalla rugiada: l'ottavo giorno le pigiano ; e così si fa d' ottimo odore e sapore. Dolce è ancora il melitite. Questo è differente dal mulso, perchè si fa di mosto, posto a bollire con cinque congii di mosto brusco, e con un congio di mele, e un .cia to di sale ; e così diventa brusco. Sia fra queste sorle di bevande si debbe porre ancora il protro po ; così chiamano alcuni il mosto, che per sè medesimo esce dell'uve, innanzi che si pigino. Lo lasciano bollire nelle sue botti, dipoi lo pon gono a seccare quaranta giorni al sole la stale seguente nel nascere della Canicola. T r b specie di
gebera i i i .
via
s e c o n d a r io .
XII. 10. Non possunt jure dici vina, quae X1J. io. Non si possono ragionevolmente chia Graeci denteria appellant, Calo et nos loram, mar vini quei che i Greci chiamano deuteri, e maceratis aqua vinaceis: sed tamen inter vina Catone e noi Iora, quando si mette Γ acqua nella operaria numerantur. Tria eorum genera. Deci vinaccia\ nondimeno si mettono fra i vini ope rati. Essi sono di ire sorti. La prima è che si metta ma parte aquae addita, quae musii expressa sit, tanta acqua, che sia la decima parte del vino che et ita nocte ac die madefactis vinaceis, rursusque n’ è cavato, e bagnata così un dì e una notte la praelo subjectis. Alteram, quomodo Graeci facti vinaccia, dipoi si rimetta allo strettoio. L'altra è, tavere, Ieri ia parte ejus quod expressum sil, addita aquae, expressoque decoclo ad tertias siccome i Greci usarono di fare, che si metta il terzo d 'acqua di quello che ne fu spremuto , e partes. Terliam est, faecibus vini expressum, qaod faecatam Cato appellat. Nalli ex his pias, così si faccia bollire finché si riduce a tre parli. 11 terzo è quello che si preme delle feccie del vi qaam anno, usus. no, il quale Catone chiama fecato. Nessun di que sti vini dura più che un anno. Q d m
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COEPERIHT VINA GB·EROSA IN ITALIA.
XUl. i t . Veram inler baec subit mentem, qnom sint genera nobilia, qoae proprie vini intelligi possint, l x x x fere in toto orbe, duas partes, ex hoc numero Italiae esse, longe prople· rea ante conctas terras. Et bino deinde altius cara serpit, non a primordio hanc gratiam faisse :
C be
t a r d i b b r b h o i vini r i p u t a z i o n e in I t a l i a .
XIII. i i . Vienmi alla mente che, conciosiachè le specie nobili di quello che si può chiamar vino,sieno ottanta in tulio il mondo, le due parli di questo uamero sono proprie d 'Italia, perchè è in questo più diligente, che tutti gli altri paesi. E per questo più dispiace che non alien-
C. PLINII SECUNDI auctoritatem post sexcentesimum Urbis annum coepisse.
desse a ciò fino da' suoi principii, perchè conatodò ad aver tale riputazione soltanto dopo sei secoli dalla fondazione di Roma.
D b t in i o b s e b v a t io x b a R o m u l o r b g b p o s it a .
D e l l ' o ss e b v a zio n b d b' t ir i i r t i m a t a DAL BB K OBOLO.
XIV. ia. I sacrificii istituiti da Romolo, i qoali XIV. ta. Romulum lacie non vino, libasse, s 'usaoo ancora oggi, ne chiariscono com'egli indicio su ni sacra ah eo instituta, quae hodie usava le sue libagioni di latte, non già di vioo. Il custodiunt morem. Numae regis Postumia lex re Numa fece la legge Postumia, che noa si ba est : « Vino rogum ne respergito.·» Quod sanxisse gnasse il fuoco, dove *' ardouo i morti, col vioo; iHum propter inopiam rei nemo dubitet. Eadem e non è dubbio alcuno, di'egli ordinasse ciò per lege, ex imputata vite libari viua diis, nefas la carestia che v’ era allora di vino. Per la mede statuit, ratione excogitata, ut putare cogerentur, sima legge era vietalo che non si sacrificasse agli alias aTatores, et pigri circa pericula arbusti. M. dei vin» di vile non potai» il che egli ordinò, Varro auctor est, Mezentium Etruriae regem acciocché i lavoratori fossero costretti a potare; auxilium Rutulis contra Latinos tulisse vini perciocché esercilandosi «gliuo nello arare, erano mercede, quod tum in Latino agro fuisset.
i 3. Non licebat id feminis Romae bibere. In venimus inter exempla, Egnatii Mecenii uxorem, qood vinum bibisset, e dolio, interfectam fusti a marito, eumque caedis a Romulo absolutum. FabUis Pictor in Annalibus suis scripsit : «.Matro nam, quod loculos, in quibus erant claves vina riae cellae, resignavisset, n suis inedia mori coactam, n Calo, » ideo propinquos feminis oscu lum dare, ul scirent an temetum olerent, n Hoc tura nomen vino eral : unde et temulentia appel lata. Cn. Domitius judex prouunliavit, mulierem videri plus bibisse, quam valetudinis causa, viro insciente, et dole mulctavit. Diuque ejus rei magna parsimonia fuit. L. Papirius imperator adversas Samnites dimicaturus vulura fecii, si vicisset, Jovi pocillum vini. Denique inter dona sextarios laciis datos invenimus, nusquam vini. Idem Calo, quum in Hispaniam navigaret, unde eum triumpho redtil : u Non alio·!, inquit, vioum bibi, quam remiges : n in lanium dissimilis istis, qui eliam convivis alia, quam sibimetipsis, mini strant, aut procedente men»a subjiciunt.
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pigri nel governo degli alberi. Scrive M. Varrone, che Mezenzio re di Toscana diode soccorso a'Rululi conira i Latini per prezzo dì vioo., il quale era allora nel paese de' l«alini. ■ 3. Le donne in Roma non potevano ber vino. Tro viamo fra gli esempli, come la moglie d'Egoazio Meceuio fu morta cou un pezzo di legno dal marito, perchè avea beuto vino, e ch’ei fu assolto di quello omicidio da Romolo. Fabio Pittore scri ve nelle sue cronache, che una matroua fu fatta morir dì fame da' suoi, perchè ella aperse una cassa, dov’ erano le chiavi della cella vinaria. E Calone dice, che i parenti usavano di baciar le lor donne, per conoscere s’ elle sapevano di vino, il quale si chiamava allora temeto ; onde anco l ' ubbriachezza si chiamò lemuleoza. Gneo Domizio giudicò una donna, la quale pareva aver be vuto piti vino, dì nascoso al marito, che noo ri chiedeva il bisogno della sanila, e privolla della dole. Per lungo tempo il vino fu usalo molto sobriamenle. L. Papirio capitan geuerale contrai Sanuiti, lece voto, se e' vioceva, di voler sacrili· care una piccola tazza di vino a Giove. E final mente troviamo esser più volta stale donate mi sure grandi di latle, e non mai di vino. II mede simo Calone, navigando in lspagna, onde egli ritornò col trionfo, disse, come egli non aveva mai bevuto altro vino, che di quello della ciurma; tanto era dissimile dai presenti, che ne' conviti danno ancora altro vino a'convitali da quello che lolgouo per sè tiessi, · nel proeesso del man giare lo scambiano. Q o a l i v i m osaasbbo g l i a r t i c b i .
XV. Lautissima apud priscos vina erant, royr- XV. Usavano gli Mkliehi alcani vini delicatis rhae odore condita, ut apparet in Plauti fabula, simi, i quali avevano odoro di mirra, come si vede nella commedia di Plaolo, intitolata Persa, quae Persa inscribitor, quamquam io ea, et
i » 89
HISTORIARUM MUNDI LIB. XIV.
iaDO
calamum addi jubet. Ideo quidam aromatite delectatos maxime oredunh Sed Fabius Dowen^ nus his versibus decernit.
benché egli comandi che vi si melta il calamo ancora; e perciò alcuni credono ch'eglino si dilettassero molto di spexierie. Ma Fabio Dos senno i u questi T e r s i scrive :
Mittebam vinum pekhrum, roerrhinajn.
lo mandai vin finissimo, e murrina. E n«lU commedia intitolata Aearisiione :
Et io Acharistione : Panem et polentam, vitium mnrrhinam.
Con la polenta, e eoi pan la murrina.
Scaevolam quoque, et Aelium, el Atejum Capi tonem in eadem sententia Coiste video, quoniam in Pseudoio sit :
Veggio anoora che Scevola, Elio, e lieto Capi tone furono della opinion medesima, perchè nella commedia dei Pseudoio si legge :
Quod si opus net, ut dolce promat indidero, ecquid, babet f
S’ egli è bisogno pur che dien vin dolce, Domandagli se n' hanno.
CHAR.
car
Rogas? Mwrhioam, paasom, defrutem, mella.....
Tu lo chiedi ? Murrina abbiam, passo, vin cotto e mele.
Quibus apparet non inter vina modo murrhinam, sed inler dulcia quoque nominatum.
Onde si vede che la murrina non solamente era nominata fra i vini, ma ancora fra i vioi dolci.
N o t a b i l i a c irc a a p b o th e c a *.
Db
v i r o O pim ian o.
.
N o t e v o l i c os e c i r c a l e c a n o v e . D e l v i n o O p im ia n o .
14. Che vi fossero già canove di vino, e XVI. i ή. Apothecas fuisse, et diffundi solita XVI. vina anno d c x x x i i i Urbis, apparet indubitato che i vini si mescesaero fino nell* anno seicento e trenlalrè dopo P edificazione di Roma, si dimo Opimiaoi vini argumento, j
Cinque di vin di Taso, e di Falerno Porterò ancor due gran barili pieni,
P. Licinius Crassus, et L. Julius Caesar censores n » o Urbi* conditae nctxv edixerunt, « ne quis ▼inum Graecorum ammeumque octonis aeris sin gula quadrantalia venderet, n Haec enim verba aunt. Tanta vero vino Graeco gratia erat, nt sin gulae poliones ia convictu darent er.
P. Lioinio Crasso, e L. Giulio Cesare censori P anno seicento settaolaoinque dopo la edifica zione di Roma, mandarono un bando, u che nes suno vendesse vin Greco e Amineo otto monete di rame il quadrantale, n E queste sono appunto le parole dell* editto. £ il vili Greeo era in tanta riputazione, che in un convito non se ne dava più che una volta per uomo.
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C. PLINII SECONDI
PRIMUM VIRI QUATUOR O I M I A POSITA.
1392
QOAHDO SI DIEDR LA M I I S VOLTA Q O ATTaO SOSTI di
XVII. Quibus vinis auctoritas fuerit saa in mensa, M. Varro his verbis tradit : u L. Lacullas puer apud patrem numquam lautum convivium vi Jit, in quo plus semel Graecum vinum daretur. lp»e quum rediit ex Asia, millia cadum ία con giarium divisit arti piius centum. C. Sentius, quem praetorem vidimus, Chium vinum domum suam illatum dicebal tum primum, quum sibi cardiaco medicus dedisset. Hortensios super decem millia cadnm heredi reliquit.» Hactenus Verro.
i 5. Quid? non et Caesar dictator triumphi sui coena vini Falerni amphoras, Chii cados in convivia distribuit? Idem Hispaniensi triumpho Chium et Falernam dedit. Epulo vero in lerlio consulatu suo, Falernum, Chium, Lesbium, Ma mertinam : quo primam tempore quatuor genera vioi apposita constat. Postea ergo alia omnia in nobilitatem venerunt, circiter septingentesimum Urbis aanum.
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LABRUSCA OSOS *. ET QDIS FRIGIDISSIMOS HATCRA
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cowvrro.
XVI I . Quai vini fossero in credito oelle mense scrive Varrone in queste parole. « L. Lucullo essendo in tenera età non vide mai alcuno splen dido convito fatto dal padre, dove si desse bere pià che una volta vin Greco. Ma egli quando ritornò di Asia distri boi per congiario più di centomila cadi di vino. Caio Sentio.il quale io vidi pretore, diceva che in casa sua oon era entrato mai via di Chio, se noa quando il medico gliene diede per guarirlo del mal cardìaco. Ortensio lasciò all’ erede suo piò di dieci mila cadi di vioo. » Queste son le parole di Varrone. i 5. Anche Cesare nella cena del suo trionfo distribuì delle anfore di vin Falerno, e dei cadi di viuo da Chio. 11 medesimo nel trionfo della Spagna dispensò vino da Chio e Falerno. E od convito fatto nel suo terzo consolato a tutto il popolo, diede vin Falerno, da Chio, da Melelioo e da Messina ; e fu la prima volta che ne cooviti si dessero quattro sorli dì vino. T u lli gli altri poi vennero in riputazione intorno a settecento anni dopo che Roma fu edificata. Viso
FATTO DI L A B I OSCA: Q UALSIA IL SOCCO* PIÒ
SOCCOS.
FRIGIDO PER SATURA.
XVIII. 16. Itaque non miror innumerabilia paene genera fictilii reperta multis ante saecalis, quae none dicemus, omnia ad medicinae usum pertinentia. Omphacium quo modo fieret, propter aogaenta diximus priore libro. Fit e labrusca, hoc est, vite silvestri, quod vocatur oenanthinam. Floree ejus libris duabus in musti cado macerati, posi xxx dies mutantur. Praeter hoc radix labru scae et acini coria perficiunt. Ii paullo postqaam defloruere, singulare remedium habent ad refri gerandos in morbis corporum ardores, gelidissi ma, ut ferunt, nalura. Par· eorum aestu moritur, priusquam reliqui, qui solstitiales dicuntor. Uni versi namquam maturescunt : et si prius, quam tota marcescat uva, iococta detur cibo gallinaceo generi, fastidium gignit uvaa appeleudi.
XV II I. 16. lo non mi maraviglio dunque, che già molti secoli e5 si sieno trovale infinite «orti di vini contraffalli!, de1 quali ragioneremo ora, appartenenti lutti all* uso «Iella medicina. Come si faccia l'onfacio per gli noguenti, già l'abbiamo ilello oel libro disopra. Fassi di labrusca, cioè di vite selvatica, quello che si domaoda enaalioo. Due libbre de’ suoi fiori, macerali in an cado di mosto, si versano in quel vino dopo trenta giorni. Oltra questo la radice della labrusca, e la boccia degli acini gli dauno perfezione. Questi, poi ebe sono sfiorili, si hanno per on singoiar riaaedio a rinfrescare le arsioni negli ammalati, essendo, come si dice, di freddissima natura. Una parte di essi caggiono prima che quegli che si chiamano solstiziali, e noo malorano mai tulli ; e se l'uva, prima che maturi a (Tallo, si dà colta oon carne di pollo, fa venire Γ ave a noia.
V ib i riC T iT ii g b m b a l x i v .
S e SSANTAQOATTRO SPECIE DI VINI CO R nAFPATTL
XIX. 11 primo de' vini contraflatli si la di XIX. Fictiliorum primam fit ex ipso' vioo, vino, che si chiama adinamo, in qnesto modoquod vocanl adynaraon, hoc modo : albi musti Veoti sestarii di mosto biauco, e la mela di acqaa, sextarii xx, aquae dimidium, fervet donec exco quatur aquae mensura. Alii marinae sextarios deono bollire fio che scemino a quanto fa l'acqas. Allri tengono al sole quaranta giorni dieci sesiarii decem, lantumdem pluviae, in sole quadraginta
HISTORIARUM MUNDI LIB. XIV
diebus torrent. Dant aegris, qoibos vini noxiam timent. Proximam At e milii «emine maturo, cum ipsa stipula, libram et quadrantem in congio» «luo* mosti, macerato, et post septimam mensem transfuso. Ex luto arbore, frutice, herba, dictam est uti qaaeque fierent. Kiuut el e pomis quae dicemus, interpretatio* nibus non nisi necessariis additis : priraamque e palmis, quo Parlhi et Indi atuatar, et Oriens totus: maturarum, quas vocant chydaeas, modio io aquae coogiis tribus maceralo, expressoqae. Sic fit et sycites e fico, quem alii palraiprimum, alii catorchilen vocant. Aut si dolce esse non libeat, pro aqua tantumdem vinaceorum adjici tor. E Cypria fico et acetoni praecellens, atque Alexandrina quoque melius. Vinum fit, et e sili qua Syriaca, et e piris, maloromque omnibas generibus. Sed e Punicis, qaod rhoilen vocant : et e cornis, mespilis, sorbis, moris siccis, naoleis |>ineis. Hi musto madidi exprimuolor: superiora per se milia. Myrliten Cato quemadmodum fieri docuerit, mox paullo iudicabiraus. Graeci vero et alio modo. Ramis teneris cum suis foliis in albo mosto «iecoctis, Iasis, libram in tribus mosti congiis defervefaciunt, donec duo supersint. Quod ita silvestris rayrli baccis facium est,myrtidanum vocatur : boc manus tingit.
Ex his quae in horiis gignuntur fit vinum e radice, asparago, conila, origano, apii semine, abrotono, mentastro, ruta, nepeta, serpyllo, mar rubio. Manipulos binos condunt in cadum musti, et sapae sextarium, et aquae marinae heminam. E napis fit, duum denariorum pondere in sexta rios binos musti addito : ilem e scillae radice. Inter flores ex rosae foliis lusis in linteolo in inustum collatis, cura pondusculo, ut sidat, x l pondere denariorum in sextarios vicenos musti, nec ante Ires menses vase aperto, liem e uardo Gallico, ct aliud e silvestri.
Aromalilen quoque invenio faclitalura lan ium non ungueulortim compositione, primo e myrrha, ol diximus, mox et nardo Celtico, calamo, aspalathu, offis in mustum aut dulce vinum dejectis. Alii de calamo, junco, costo, nardo Syriaco, amomo, casia,cinnamomo,croco,
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di acqua salsa, e altrettanti di acqua piovana, e dannolo agli ammalali, a’quali temono non faccia male il vino. Fassi ancora loglieudo una libbra e un quarto di semi di miglio maturo, co’ gambi, il quale si tiene a molle in doe congii di mosto, e dopo selle mesi si cola. Èssi dello ancora come si fa il vino del loto albero, arbusto, ed erba. Fessene ancora di fruita, delle quali diremo, aggiuntevi le spiegazioni più necessarie, e pri ma di quello di palme, che usano gl1 Indiani, i Parli, e tulio il Levante. Questo si fa, togliendo uo moggio delle malore, le quali si chiamano chidee ; e si macerano in Ire congii di acqua, e poi si preme. Cosi si la ancora il vino sicile dì fico, il quale alcuui chiamano palmiprimo, e alcuni catorchite. E chi lo voole che non sia dolce, in cambio d’ acqua vi mette altrettanta vinaccia. Del fico di Cipri si fa ancora buonissimo aceto, migliore dell* Alessandrino. Fassi viuo an cora di siliqua Siriaca, c di pere, e d' ogni sorte di mele. Ma di melagrane si fa un vino, che si chiama roile; e così ili corniole, di nespole, di sorbe, di more secche, e di pinocchi. Questi tenuti a molle nel mosto si premono : Pallre cose di sopra per sèmede»irae son mature. Mostreremo poco dipoi, come Catone voglia che si faccia il mirtile. I Greci lo fanno in un altro modo; per ciocché cuocono in raoslo bianco i rami teneri con le lor foglie : poscit» li pestano, e mettono una libbra di codesto liquido a bollire eoo Ire congii di mosto tanto che scemi il terzo. Quel che si fa in questo modo con coccole di mortine selvatica, si chiama mirtidano: esso tinge le mani. Ancora di quelle cose che nascono negli orti si fa vino, siccome sono radici, asparagi, saturea, origano, seme di appio, abrolono, mentastro, ruta, nepitella, sermollino, e marrobbio. Ne pestano due menale in un cado di mosto, e un sesiario di sapa, e una emina di acqua marina. Fassi di napi ancora mettendone il peso di due denari in due sesiarii di mosto: similmente si fa di radice di scilla. Fassi anche di fiori, come delle foglie di rosa peste, e messe in mosto in uu palinoli ciò con qualche peso, perchè slieno a fondo. Debbonccne porre in venti sesterni di mosto quaranta denari di peso, uè si vuole aprire il vaso innanzi a tre mesi. Di nardo Gallico ancora si fa uu vino, e uno altro del salva tico. lo trovo ancora essersi fatto vino aromatico, nè solo per fare ungueuli, prima di mirra, come dicemo, poi di nardo Celtico, di calamo, di aspalalo, disfacendo queste compositure in mosto, o in vin dolce. Fessene un’altra sorte, di calamo, dì giunco, di costo, di nardo Siriaco, di amomo,
C. P U N II SECUNDI
palma, asaro, similiter el off·. Apud alio» nardi, et melobalhri («libris in m u li orogioi duo» ad· dilis : qoali· nunc quoque fiunt pipere et mette addilo, quae alti coodila, alii piperata appellant, lnveoilur et nectarites ex herba, qoam alii medioam, alii symphyloo, alii Idaeam et Orestioo, alii nectaream vocant, radice ponderis x l deuariorum in aexlarios sex musii addita, similiter in linl#o.
Ex ceteris herbis fit absinthites in x l sextariis musii, absinthii Pontici libra decocta ad tertia* partes vel scopis absinlhii in vinom additi». Similiter hyssopites e Cilicio hyssopo, unciis tribus in duos coogiot musii coojectis, aut tusis in unum. Fiunt uirsque et alio modo, circa radices vitium salo. Sic et elleboritea fieri ex veratro nigro Cato docet. Sic fic el scommonite*. Mira vitium oatura saporem alieoum ia se tra hendi, qualem el salicum redoleat Palaviuorum in palustribus vindemiae. Sic et elleborum seritur in Thaso, aot cucumis silvester, aut scammonia : qaod vioam phthoriam vocant, quoniam abortus facit.
Fit et ex herbis, quarum nalurae suo loco dicentur. K stoechade, et radice geotiaoae, el tragorigano, et diclamuo, asaro, dauco, elelisphaco, panace, acoro, couyza, thymo, mandragora, junco. Vocarunt et scyzinura, et itaeomeliif, et leclisphagilen, quorum jam obliterala ratio esi.
Et fruticum vero e genere, cedri nlriusque, cupressi, laurus, juniperi, terebiuthi, in Gallia leolisci, baccas aut ligoum recens rousio deco quunt. Item chamelaeae, et chamaepilyos, et cbamaedryos lignum eodem modo, et ex flore, in congium musti decem denariorum pondere addito.
llxDaOM BLI, SIVB HELICBATOH.
di cassia, di cioBaroomo, di gruogo, di palma c di asaro. Altri lo fanno metiendo mezza libbra di uardo, e all re lianto di malobalro in due congii idi mosto j come si fa ancora oggi mettendovi pepe e mele ; i quali alcuni chiamano cooditi, e altri piperati. Trovasi aocora il oeiiarite fatto di un'erba ohe alenai chiamano eleuio, altri medica, altri «infilo, altri Idea e Orestio, e altri nettarea, melteado la radice di quaranta denari di pe*o ia sei se»tarii di mosto, similmente entro an panno· lino. Dell* altre erbe si fa Γ absiotile, cuocendo uoa libbra di assenzio Pontico ia qaarauta sestarii di mosto inaino alla terza parte, avvero mettendo le *cope «Idi’ asseozio nel vino. Fassi anco l ' i«so pite dell'issopo Cilicio, mettendone tre onde io due coagii di mosto, o pestandole iosieme. Faaoosi amendue aocora per altro modo, col seaiiaare intorno alie radici delle viti. Così insegna ancora Calooe a fare l ' ellebori te dell' elleboro nero. Così similmente si fa lo scammooile. Mara· vigliosa è la nalara delle vili, di tirare a sèil sapore altroi, siccome i vioi thè si fanno ae’ leoghi paludosi di Padova, i quali saono di salde. Così si semina an ora lo elleboro in Taso, oil cocomero sabatico, o la scammonea, che si chiana vino fiorio, perchè fa sconciare le donne. Fassi d 'alcune erbe ancora, delle qoali si parlerà al suo luogo. Di slecade, di radioe di genziana, di tragorigano, di dittamo, d’ asaro, di dauco, di elelisfaco, di panace, d’ acoro, di coniza, di limo, di mandragora, e di giunco. Si trovano ancora nominali certi vini, come lo sciiino, Γ ileomete, e il lellisfagite, de'quali s’ è già perduto il modo di fargli. Degli sterpi, fassi vino dell' uoo e l ' altro ce dro, di cipresso, d 'alloro, di ginepro, di tere binto, e di lentisco Gallico, cuocendo le coccole o il legno fresco nel mosto. Cuocesi aocora il legno della camelea, del camepilio, e del carne· di io, oel medesimo modo; e si (■anche del fiore, mettendone dieci denari di peso in un eoagio di moalo. D s l l ' i d b o n b l k o w k &o M B Lica a T o.
XX. 17. Fit vinum et ex aqua ac meile tan XX. 17. Fassi ancora vino d'acqua e di mele tum. Qaioqueonio ad hoc servari coelestem ju solamente,e a questo effe!lo fanno serbare l’acqua bent. Aliqui prudeoliores stalim ad lertias partes piovana cioque anni. Altri più prudenti subito decoquunt, et tertiam mellis veleris adjiciunt: la cuocono ti 11 che resti la terza parte, c ri met deinde x l diebus Canis ortu in sole habent· Alii tono uu terzo di mele vecchio. Poi la tengono diffusa ita decimo die obluraot. Hoc vocatur quaranta giorni al sole nel nascere della Caaieshydroimeli, et vetustate saporem vini adsequitur, la. Altri cosi temperata la turano il decimo gior nusquam laudatius, quam ia Phrygia. no. Qaesto si chiama idromele, e col tempo acquista il sapore del vino ; nè ia luogo alceoo si fa migliore che in Frigia. .
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HISTORIARUM MUNDI UB. XIV.
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OlTMEU.
D b l l ' o s s im b l k .
5ÉXI. Quin el acelum meile temperabatur : adeo nihil intealatum vitae fuil. Oxymeli boo vocarunt, mellis decem libris, aceti veteris hemi nis quiuqu?, salis marini libra, aquae pluviae sextariis quinque suffervefactis decies, mox elu triatis, atque ita inveteratis. Omnia ab Themisone summo auctore damnata ; et hercule coactus eo rum usus videri potest, nisi si quis naturae opus esse credit aromatilen, et ex unguentis vina com posita, aut ut biberentur genuisse eam frutices. Ista sunt cognitu jucunda, solertia humani animi omnia exquirente. Nihil quidem ex his anno durare, praeterquam quae vetustate ipsa «fieri diximus : et plura ne tricenis quidem diebus, nou erit dubium.
XXI. Teroperavasi ancora l'aceto col mele, di maniera che noti c’ è cosa alcuna, che non si lentasse. Questo si chiama ostimele. Pigliansi die ci libbre di mele, cinque emine d'aceto vecchio, una libbra di sai marino, cinque sesterni d'acqua piovana ; e lutto questo si fa lentamente bollire dieci volle, dipoi travasalo si lascia invecchiare. Queste cose son biasimate da Temisone, auto re molto deguo ; e certo che 1' uso loro può parere cosa sforzata, se già non vogliamo cre dere che sia opera di natura il vino fallo di spe zierie e d 'unguenti, e che gli alberi abbiano falle lai cose perchè noi le beviamo. Nondi meno sono cose dilettevoli da sapere, perchè 1' acutezza dell' umana mente ricerca tutto. Nes suno di questi vini dora piò che l'anno, ec cello quegli che si fanno perfetti per la vec chiaia : molli ve ne sono, che non passano il mese.
V iri
D o d i c i spjsciu d i
p r o d ig i o s i g b b e r a x u .
vini
p&odioiosi.
XXII. 18. Sono ancora prodigii nel vino. Di XXII. 18. Sunt et in vino prodigia. Dicitur cesi che in Arcadia si fa un vino, ehe fa le don in Arcadia fieri, quod fecunditatem feminis im ne feconde, e gli uomini rabbiosi. In Acaia, e portet, viris rabiem. At in Achaja maxime circa Caryniam abigi parium vino atque etiam si uvam massimamente intorno a Carinia, nasce on vino edant gravidae, quum differentia in gustatu non che fa sconciar le donne pregne, pur che man gino di quella uva, la quale nondimeno non ha sit. Troezeuium vinum qni bibunt, negantur differenza nel sapore. Dicesi che quei ebe beono generare. Thasos duo genera vini diversa facere proditur: unum quo somnus concilietur, alterum il vino da Trezene, nou possono ingenerare. vero quo fugetur. Apud eosdem vitis theriace Truovasi che l ' isola di Taso fa due sorti di vino, di cui Γ uno fa dormire, I' altro caccia il sonno. vocatur, cnjus el vinum el uva contra serpentium ictus medetor. Libanios thuris odore* ex qna diis Nel medesimo luogo è la vile, che si chiama te prolibant. £ diverso aspendios, damnata eris. riaca, il cui vino e ava medica il morso delle serpi. La vite della libanio ha odore d 'incenso, Ferunt eam nec ab alite ulla aUingi. Thasiam uvam Aegyptus vocat apud se praedulcem, quae e ne fauno sacrificio agli dei. Per lo contrario quella che nomasi aspendio è rifiutala ne'sacrifi solvit alvum. Est contra in Licia, quae solutam cii. Dicono che nessuno uccello becca di questa firmat. Aegyptus el ecbolada babel, abortus fa vite. Ha Γ Egitto 1' uva Tasia molto dolce, la cientem. Vina in apothecis Canis ortu mutantur quale muove il corpo. Al contrario un'altra sor quaedam, posleaque restituuntur sibi. Sic et mari te n' è in Licia, che Io ferma. In Egitto anoora navigatio, cujus jactatus his, quae duraverint, tantam vetustatis adjicere sentitur, qnaulum ha è 1' uva ecbolada, la quale fa sconciar le donne. Alcuni vini nelle canove nel nascer della Cani buerint. cola si mntano, e dipoi ritornano. Cosi fa il vi no navigato per mare, il cui travaglio a quelli che vi vengono aggiugne tanto di vecchiaia, quan to essi n' avevano. Q u i b u s v i r i s a d s a c r a u t i n o r s it v a s .
. Di
QUALI VIRI ROR SI POSSA PAX OSO RB1 SACB1F1ZU.
XX 11I. 19. Et quoniam religione vita constat, XX III . 19. E perchè la vita nostra consiste prolibare diis nefastum habetor vina, praeter nella religione, non è lecito sacrificare agli dei imputatae vilis, fulmine laetae, quamque juxta il vino di vite non potala, che sia stata tocca dal
ι3οο
C. PUNII SECONDI hominis mors laqueo pependerit, aul vulneratis pedibus conculcata, et quod circumcisis vinaceis profluxerit, aut superna deciduo immundiore lapsu aliquo polluta. Item Graeca, quoniam aquam habeant. Vitis ipsa quoque manditur, decoctis caulibus summi», qui et condiuntur in aceto ac muria.
folgore, nè di quella appresso alla quale sì sia impiccalo alcuno : nè anco si sacrificano loro vini, chc sieno siali pigiali da piedi feriti, nè che sieno usciti di uve tagliate, o sopra cui sia caduta qualche bruttura ; nè vini Greci, perchè hanno acqua. Mangiasi ancora la vite stessa, co cemio le cime de' tralci, i quali si condiscono con Γ aceto, e con salamoia.
Q o ib o s g b r b b ib u s m u s t a c o n d ia n t .
U l QUALI SOATI SI ACCORCINO 1 VIITI.
XXIV. Verum et de apparatu vini dixisse XXIV. Fia bene ancora dire alcuna cosa del conveniat, quum Graeci privalim ea praecepta l'apparalo del vino, poiché i Greci hanno dato di condiderint, artemque fecerint, sicut Euphronius, ciò particolari precetti e fattone arte, si come fu rono Eufronio, Aristomaco, Commiade e Ice et Aristomachus, et Comtniades, et Hicesius. Afri· ca gypso mitigat asperitatem, nec ιιοη aliquibus sio. L’ Africa col gesso mitiga l'asprezza del vi no, e in alcune sue parti con la calcina. La Gre sui partibus calce. Graecia argilla, aut marmore, aut sale, aut mari, lenitatem excilat : Italiae pars cia Tassotliglia con l'argilla, o col marmo, o col sale, o con l ' acqua salsa. Alcuna parte d'Ita aliqua rabulana pice : ac regina condire musta lia, e le province che le son vicine, conciano i vulgare est ei, provinciisque finitimis. Nonnus quam prioris vini faece, acetove condiunt. Nec mosti con la pece che lira al colore tanè, o coo la ragia, e in qualche luogo ancora cou la feccia non et ex ipso musio fiunt medicamina : decoqui tur, ut dulcescat portione virium. Nec durare dell’ anno passato, o con l'acelo. Fannosi ezian ultra annuum spatium tale prodilur. Aliquibus dio medicamenti d'esso mosto. Cuocesi, acciocché in locis decoquunt ad sapas musta, infusisque his indolcisca secondo la proporzione delle sue for ferociam frangunt. Et in hoc tamen genere, et ze ; e non si truova che questo tal viuo duri più io omni alio suhmioislrant vasa ipsa condimen che un anno. In alcuni luoghi cuocono il rnoslo finché diventi sapa, e cou esso mitigano la fero tis pidi : cujus faciendae ralio proximo dicetur cità del vino. Per questa sorte di vino, come volumine. per ogni altra, tolgono i vasi conci con la pece. La quale come si debba fare, mostreremo nel prossimo libro. De
pice, besinis.
D e l ls
pece, d e l l a b a g i a .
XXV. 20. Arborum succo manantium picem XXV. ao. Degli alberi onde stilla la pece e la ragia, alcuui nascono in Levante, e alcuni io resinaraque, aliae ortae in Oriente, aliae iu Eu Europa. L' Asia, la quale è in mezzo fra 1' ano e ropa ferunt. Quae iuterest Asia, utrimque quas* dam habet. In Oriente, opi imam lenuissimamque l ' altra, ne produce alcuni. In Levante ottima è terebinthi fundunt : deinde lentisci, quam et ma quella, che i terebinti fanno ; poi quella de'leulisci, che si chiama ancora mastice ; poi quella stichen vocant ; postea cupressi, acerrimam sa de' cipressi, la quale c molto agra. Tulli que»ti pore. Liquidam omnes, et tautum resinam : cras la fanno liquida, e solamente è ragia ; ma il ce siorem vero et ad pices faciendas cedrus. Arabica dro la fa molto più grossa, e buoua a far pece. resina alba est, acri odore, difficilis coquenti. La ragia Arabica è bianca, e perchè ha molto Judaea callosior, et terebinthina quoque odora· acre odore, è difficile a cuocersi. La Giudaica tior : Syriaca Allici mellis similitudinem habel. è più callosa, e quella del terebinto è anche piò Cypria antecedit omnes : est autem melleo colore, carnosa. Colophonia praeter celeras fulva: si te- odorifera. La Siriaca ha simiglianza di mele Ate niese. La Cipriolla è la migliore di tulle l 'altre: rator, alba fit, gravior odore : ob id non oluntur ea unguentarii. In Asia quae fit e picea, admo ha color di mele, ed è carnosa. La Colofonia è gialla più che l ' altre, e se si macina, ella diventa dum candida, spagas vocatur. Resina omnis disbianca : ha mollo grave odore, e però dai pro •olvitur oleo. Quidata et creta figlinarum hoc fumieri non è adoperata. Quella che nasce io fieri arbitrantur. Pudelque confiteri, maximum Asia dell'albero chiamalo picea, è mollo bianca, jam honorem ejus esse in evellendis virorum cor e si chiama spaga. Ogni ragia diventa liquida e pori pilis. | si risolve con l'olio. Alcuni tengono ancora, che
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HISTORIARUM MONDI μ β . XIV.
Ratio autem condiendi m u s la , ìd primo fer vore, qai uovem diebus quum plurimum peragi tur, adspersu picis, ut odor vino contingat, et saporis quaedam acumina. Vehementius id fieri arbitrantur crudo flore resinae, excitarique leni tatem. b diverso crapula compesci feritatem ni miam, fraogique virus: aut ubi pigra lenilas torpeat, virus addi. Liguriae maxime Circumpadanisque mustis crapulae utilitas discernitur hoc modo : pugnacibus mustis crapulae plus inditur, lenibus parcius. Sunt qui ex ulroque condiri velint : necnon alia aeque multiplici natura. Vi· liomque musto quibusdam in locis iterum spoule fervere: qua calamitate deperit sapor, vappaeque accipit nomen, probrosum eliam hominum, quum degeneravit aoimus. Aeeli eoim nequitiae inest virtus magnos ad usus, et sine queis vita mitior degi noq possit.
Cetero vinorum medicamhm tanta cura est, ut cinere apud quosdam, ceu gypso alibi, et qui bus diximas modis, instaurentur. Sed cinerem e vitis sarmentis, aut quercu praeferunt. Quin et marinam aquam ejusdem rei gralia ex alio peti jubent, servarique ab aequinoctio verno, aut cer te nocte solstitio, et Aquilone flante hauriri, vel, si circa vindemiam hauriatur, decoqui.
Pix io Italia ad vasa vino coudeudo maxime probatar Brutia. Fit e piceae resina, in Hispania autem e pinastris, minime laudata. Est enim re sina harum amara et arida, el gravi odore. Differeoliam rationemque faciendi proximo volumi· ne demonstrabimus inler arbores feras. Vilia, praeter supra dicta, acor aut fumidum virus: picis aatem adustio : experiinenium vero, si fragmenta subluceant, ac sub deote lentescant acore jucundo. Asia picem Idaeam maxime pro bat, Graecia Piericam, Virgilius Naryciam. Diligeo lior es admisceut nigram mastichen, quae in Ponto bituminis similis gignitur, et iris radicem, oleumque. Nam ceram accipientibus vasis com pertura est vina acescere. Sed transferre in ea vas·, in quibas acetum fuerit, utilius, quam in ea, iu quibas dulce aut mulsum. Cato jubet vina concinnari (boeenim utitur verbo) cineris lixivii
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qaesto medesimo si faccia con la creta, la qoale s'usa a fare i vasi ; ma mi vergogno bene a dire, che ella sia già stata tenuta in grande stima, per cavare i peli del corpo degli uomini. Couciansi i mosti cou ispruzzarvi la pece quando da prima bollono, il che dura qaasi nove dì, in modo che il vino pigli Γ odore, e un certo sapore acuto. Alcuni tengono che ciò piò ga gliardamente si facci· col fior crudo della ragia, e che così quella soavità si venga a destare. AlV incontro con la crapula, o fior della resina cot to, se gli raffrena la sua efferità e gagliardia ; o se questa gli manchi, gli si aggiuoge. Nei mosti della riviera di Genova, e di quei d’ intorno al Po, si discerne principalmeote in questo modo rutilila della crapula ne'raosti, perchè ai bruschi ne danno piò concia, e a quei di basso sapore uu poco meno. Sono alcuni, che vogliono che le concie si facciano e della crapula, e del fior della resina insieme; oltre a molle altre di diverse specie. Iu certi luoghi il mosto torna a bollire da »è, ma questo è difetto, perchè in tal modo viene a perdere il sapore, e piglia nome di vap pa, il qual nome è detto ancora con carico agli uomini quando tralignano da' lor costumi. Ma oel vin guasto che viene a farsi aceto, è gran virtù a molle cose, e senza questo uon si paò vi ver civilmente. Del resto, è tanta la cura nell’ acconciare i viui, che alcuni gli acconciano con la cenere, come altrove col gesso in quei modi che abbia mo detto. Però vogliono che la cenere sia di sarmenti di vili, o di quercia. Vogliono ancora che per questo effetto si tolga acqua mariqa dal fondo del mare nell' equinozio della primavera, e che conservisi ; o che s1 atliuga di notte nel solstizio, e quando trae vento di tramontana, e intorno alla vendemmia, e che si cuoca. Per acconciare i vasi da mettervi dentro il vino, è mollo lodala la pece di Calabria in Italia. Fassi di ragia deli' albero detto picea ; ma quel la, che si fa in lspagna di pìcea selvatica, non è punto buona ; perciocché la ragia d 'essa è amara e arida, e ha troppo odore. Mostreremo la diffe renza e il modo di farla, iu quest' altro libro, quando si ragionerà degli alberi salvatichi. 1 di fetti, olirà i sopraddetti, sono P acetosità, la fu mosità, o l'adustiooe della pece ; e la pruova è, se rompendola io pezzi riluce,e se ella si strugge sot to il deote con soave acetosità. In Asia è stimata molto la pece d 'Ida, in Grecia la Pierica, e Vir gilio loda la Naricia. 1 più diligenti vi mescolano mastice nera, la quale nasce in Ponto simile al bitume, e la radice e 1' olio dell' erba che si chiama iri ; perchè se si mette cera nei vasi, si truova che il vino acelisce. Egli è ben (pollo
C. PLINII SECONDI cum defruto cocti pari· quadragesima, io coleum: vel talia seaquilibra, inierim et (uso marmore. Facit et sulphuris mentionem, retioae vero io novissimis. Saper omnia addi matorescenle jam vino jobet mustam, qaod ille toriivum appellet, ■os intelligimos novissime expressum. Et adjici mus tingendi gratia colores, ut pigmeolom ali quod vini, atque ita pinguius fieri. Tot veneficiis placere cogitur: et miramur noxium esse. Io vitium inclinantis experimentum est» laminae plumbea· mutatus in eo colos.
De a c e t o
: d e fa e c e .
XXVI. Propriom autem inier liquores vino, mucescere,aut in acetum verti: exslantqne me dicinae volumina. Et faex vini siccata recipit ignes, ac sine alimento per se flagrat. Cinis ejus nitri nataram habet, easdemqoe vires, hoc am plius, quo pinguior sentitur. De
vasis v i r a b i i s : d e c e l l i s .
XXVII. ai. Magna et collecto jam vino dif ferentia in cella. Circa Alpts ligneis vasis con dunt, circulisqoe cingunt, a t q u e etiam hieme gelida ignibus rigorem arcent. Mirum dictu, sed iliquando visum : rbptis vasis stetere glaciatae moles, prodigii modo, quoniam v in i natura non gelascit, alias ad frigas slupens tantum. Mitiores plagae doliis condunt, infodiuntque terrae tota, aut ad portionem sito s, liem coelum praebent: alibi vero impositis tectis arcent : Iradunturque et haec praecepta: latus cellae vinariae, aut certe fenestras obverti in Aquilonem oportere, vel utiqae in exortam aequinoctialem. Sterquilinia et arboram radices procul abesse, omuiaque odoris evitandi, faeillimo in vina transitu : ficos U tiq u e et caprificos. Doliis etiam intervalla dari ; ne inter sese vitia serpant, contagione vini seraper ocissima. Quiit et figuras referre. Ventruosa ac patula minus utilia. Picari oportere protinus * Canis ortu, postea perfundi marina aqua aut salsa, dein cinere sarmenti adspergi, vel argilla, abstersa myrrha suffiri, ipsasque saepius cellas. Imbecilla vina demissis iri terram doliis servanda, valida expositis. Numquam implenda ; et qood supersit, passo aat defruto pernngendum, ad mixto croco, pice veteri, cum sapa : sic opercula
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meglio mettere vino in quei vasi, dove sia stato acelo, che in quegli dov’ è stalo vin dolce, o me lato. Catone vuole che i vini si concinnino (per ciocché egli usa questa parola) pigliando la qua rantesima parte di cenere di bucato mettendolo a bollire col defruto, e una mezza libbra di pu legio, o di sale, e alcuna volta marmo pesto. In ultimo fa menzione dello zolfo e della ragia: soprattutto quando il vino già è maturo, vuole che si metta il mosto, eh' egli chiama torlìvo, « che noi intendiamo Γ ultimo che sia premuto. Si usa per dar colore al vino, e perchè così riesca pià grasso. Con lanti falsificamenti si contraffa il vino, e poi ci maravigliamo, ch' e' faccia altrui male. A volere conoscere s’egli inclina al difetto, si fa questa pruova : si piglia una piastra di piombo, e vi si mette dentro ; se muta il color d 'esso, segno è eh1 ei tira a difetto. D e l l ' aceto : de ll a f e c c i a .
XXVI. E proprio del vino, fra i licori, di ventar mucido, e farsi aceto ; e sonci scritti dei libri a farlo tornare come egli era prima. La leccia del vin secca arde senza altro aiuto. La sua cenere ha nalura di nitro, e le medesime forze, e tanto più quanto si sente più grassa. D e * vasi da viro : d e l l b ca r tise .
XXV II . ai. Gr«n differenza ancora è, poi che il vino è già raccolto nelle cantine. Presso le Al pi mettono i vini in vasi di legno, accerchiati ; e di verno col fuoco fanno che non agghiac cino. E cosa maravigliosa da dire, ma pur a'è talora vista, che rotti i vasi, il vino s'è ridet to in una massa di ghiaccio come per prodi gio, perchè U natura del vino non è d 'agghiac ciare,'ma solo sbalordire per freddo. Nei pae si più temperali mettono il vino nei dogli, e gli sutterran tulli, o quaulo richiede il silo del luogo; ma in modo che pigliuo dell'aria. Altrove gli ripongono sollo i tetti, e di ciò si danno am maestramenti, che il lato delle canove del vioo, o le finestre sian volte a tramontana, o a levante equinoziale; che sien luro discosto i luoghi de gli sterchi, e le radici degli alberi, e tutte le «ose che hanno cattivo odore, il quale agevolissimamente passa ne'vini; e soprattutto alieno discosto a ' ficai domestici e salvatici)!. Debbe essere spa zio ancora fra l ' una botte e l ' altra, acciocché i difetti non s'appicchino,esaendo velocissima sem pre la contagione nel vino. Dicono ancora che la forma dei vasi imporla assai ; perchè quei vasi che hanno troppo gran corpo, e aou molto aper ti, nou son tenuti per buoni. Bisogna impeciar-
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XIV.
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doliorum medicanda, addila mastiche ac piee. Brame aperiri vetant, nisi aereno die. Velant, Austro flante, lunave plena. Flos vini candidas probatar : rabens trisie signum esi, si non is vioi colos sil. Item vasa incalescentia, opercalave sudantia. Qaod celeriter florere coeperit, odoremqae trahere, non fore dialiuum. Ipsa quoque defruta ao sapas, qaum sit coelum «ine luna, hoc est, in sideris ejus coitu, neque alio die coqui jubent : praeterea plumbeis vasis, noo aereis, nucibusque juglandibus additis: eas enim famum excipere. Campaniae nobilissima exposita sub dio in cadis verberari sole, Inna, imbre, veniis sptissimum videtor.
gli subito dopo eh'è nata la Canicola, dipoi ba gnargli d1 acqua marina, o insalata, dipoi spar gervi cenere di sarmenti, o argilla, o profumar oou mirra non solamente i vasi, ma la cella an cora. I vini deboli si conservano, mettendo i do gli sotto terra, i possenti si tengono sopra terra. Non s1 hanno mai a riempiere, c qoel che riman vóto, ungasi con vin cotto, mescolandovi gruogo, e pece vecchia con sapa, e così si medicano i coperchi dei dogli, aggiungendovi mastice e pe ce. Non vogliono che a* aprano il verno, se non qaando è sereno; nè qoando trae vento d'ostro, o che la luna è piena. 11 fior del vino qaando è bianco, è tenuto buono ; quando rosseggia, è cattivo, se però non è tale ancora il color del vino. È cattivo segno ancora, se i vasi si riscal dano, o se i coperchi sudauo. 11 vino, che prestamen te incomincia a fiorire, e a pigliare odore, non può durar molto. Vogliono ancora che il vin cotto e la sapa non si cooca, se non quando la luna non si vede, per esser coogiunta col sole, e che si cuoca io vasi di piombo, e non di rame, mettendovi dentro noci, perchè elle levauo il fumo. I vini nobilissimi di Terra di Lavoro si mettono allo scoperto nelle bolli, acciocché sie no percossi dal aole, dalla luna, dalle piogge, e dai venti ; e ciò hanno per ottima cosa.
Da b b b i b t a t b .
D b l l a u b b b ia c h b z z a .
X X V 11I. aa. Ac si quis diligentias reputat, nulla parte operosior vita est, ceu non saluberri mum ad potura aquae liquorem, natura dederit, quo cetera omnia animantia utuntur. At nos vi num bibere el jumenta cogimus: lantoqae opere, lento labore el impendio condat, quod hominis foenletn raulet, ac furorem gignat, millibus sce lerum huic dedilis: lanie dulcedine, ut magna pars non aliud vilae praemium iuielligat. Quiu immo ut plus capiamus, » a c c » frangimus vires : elalia irritamenta excogitantur : ac bibendi eliam causa venena conficiuolur, aliis cicutam praesu* mentibus, ul bibere mors cogat, aliis pumicis fa· riuam, et quae referendo pudet docere. Cautissi mos ex bis balineis coqui vitiemus, exanimesque efferri. Jam vero alios lectum exspectare non posse, inanio vero uec tunicam, nudos ibi prolinoa anhelos ingentia vasa corripere, velut ad ostentationem virium, ac plene infundere, ut sta tica vomant, rursusque hauriant, idque iterum tertiumque : tamquam ad perdenda vina geniti, et tamquam effundi illa non possint, nisi per bu* manum corpus. Ad hoc perlinent peregrinae exer* citationes, et volutatio in coeno, ac pectorosa cerviois repandae osteotatio. Per omaia baee praedicatur silis quaeri. Jam taro qoae vasa adal·
in XXVili. aa. Ora se noi vorremo considerare diligentemente, in nessuna altra cosa è più occu pala la vita nostra, come se 1» natura non ci avesse dato l'acqua utilissimo licore per bere, la quale è usala anche dagli altri animali. Eppor noi diamo ancora il vino a bere alle bestie ; e tanta fatica e tanta spesa si mette in cosa, che fa uscire di men te, e genera furore, e ne spìnge a mille ragioni di scellerità ; con tanta dolcezza, che gran parte di uomini stima il vino la più cara co»a che possa avere la vita umana. E per pigliarne più, se gli scema la forza c ol sacco o colatoio, e si va ricer cando altri incitamenti: per cagion di bere fan no»! ancora veleni, e alcuni pigliano innanzi la cicuta, acciocché per non morirne siano costretti a bere: altri farina di pomici, e altre cose, le quali io non vorrei dire per n o n insegnarle. Noi veggiamo i più accorti patire la ebrietà ne' bagni, e tanto sudarvi, da esserne porlati via mezzo morti. Alcuni altri nou possono aspettare il letto, nè anco pure la veste, che quivi ignudi e ansando ne tracannano gran vasi quasi come in quel modo volessero far coooscere le forze loro, e Leono a no tratto, per aver di subito a recere, e dipoi ribere più volte, come se fossero nati sol per consumare il vino, e come t esso vino noo si potesse versare se non
C. PLINII SECONDI
teriis c ie liltf tamquam per a* panini doceat libidines temulentia. Ita vioa ex libidine hau riuntur, atque etiam praemio invitatur ebrietas, et si dii· placet, eroilur. Alius, ut quaulum bibe rit tantum edat, pretium vinolentiae lege accipit. Alius quaulum alea quaesierit, laulum bibit.Tunc avidi matronam oculi licentur, graves produnt marito : tunc animi secreta proferuutur. Alii te stamenta sua nuncupant : alii mortifera loquun tur, rediturasque per jugulum voces non conti nent, quam mullis ita interemptis. Vulgoque veritas jam adtributa vino est. Interea ut optime cedat, solem orientem non vident, ac minus diu bibunt. Hiuc pallor, et genae pendulae, oculo rum ulcera, tremulae manus, effundentes plena vasa, et (quae sit poena praeiens) furiales somni, el inquies nocturna, praemiumque summum ebrietatis libido portentosa, ac jucundum uefas. Postera die ex ore halitus cadi, ac fere rerum oraoium oblivio, morsque memoriae. Rapere se ita vitam praedicant, quum priorem diem quoti die perdant, immo vero et venientem.
'l iberio Claudio principe ante hos annos x l institutum, ut jejuni biberint, potusque vini an tecederei cibos : externis et hoc artibus, ac me dicorum piacili* novitate aliqua se»e c o m m e n dantium. Gloriam hac virtute Parthi quaerunt, famam apud Graecos Alcibiades meruit, apud nos cognomen etiam Novellius Torquatus Mediola nensis, ad proconsulatum usque e praetura hono ribus gestis, tribus congiis (unde et cognomen illi fuil) epolis uuo impetu, speclaule miraculi' gralia Tiberio Claudio priucipe, in senecla jam severo, alque etiam saevo alias, sed ipsa juveula ad merum prouior fuerat. Eaque commendatione credidere L. Pisonem Urbis Romae curae ab eo delectura, quod biduo duabusque noctibus per potationem continuasset apud ipsum jam prin cipem. Nec alio magis Drusus Caesar regenerasse patrem Tiberium ferebatur. Torqualo rara gloria (quando et haec ars suis legibus constai) non la basse sermone, nonjevalura vomitione, non allera corporis parie, dum biberet: malulinas obisse vigilias, plurimum hausisse uno potu : plurimum praeterea aliis minoribus addidisse : optima fide non respirasse in hauriendo, neque exspuisse:
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nel corpo ornano. A-qoesto fine unno «sereflazioni straniere, e rivotgonsi nella polvere, e distendono il petto piegando giù il collo. Per tutti questi esercizii dicono di procacciar la sete. Già nelle tazze sono scolpiti gli adulterii, come se l'ubbriachezia per sè steasa non invitasse alla lussuria. Così i visi si beono per lussuri·, e Γ ubbriachezxa a* invita cou ricompensa, e ancora, se a dio piace, ά coo pera. V' ha chi, secondo le convenzioni dell1 ub riachezza, ne vien prezzolalo perchè unto mangi quanto ha cioncato. Un altro tanto bee, quanto egli ha vinto nel giuoco de'dadi. Allora con gran desiderio gli occhi vagheggiano le donne di altri, lauto che uè danno sospicione al marito : allora i segreti dell’ animo si vengono a scoprire. Altri fa testamento : altri parla cose mortifere, e non sa ritenere le parole, che dovrebbero tornar giù per la gola ; e per questa via molli ne sono siali morti. Già cumuuemenle s’ usa dire, che nel viuo sla la verità. Intanto, perchè vada lor bene, non veg gono mai levare il sole, e speodono a bere il più della notte, che non del dì. Di qui viene la palli dezza, gli occhi cispi, scerpellini, e pieni d'umori, le mani tremanti, che rovesciano i vasi pieni. 1 sonni (e questa è una pena coulinua) sono pieni di furie, e la notte senza riposo. E il maggior pre mio dell' avvinazzarsi è una lussuria mostruosa, e ima piacevole scelleratezza. L'allro giorno Palilo pule, e la memoria è quasi spenta, lo qnesto modo dicono che furano la vita, e non s 'accor gono i meschini, che più (osto perdono quel giorno, e l'allro ancora che segue. Al tempo di Tiberio Claudio già quaranta anni sono, fu ordinato che si beesse a digiuno, e che il bere andasse innanzi al mangiare; arte forestiera, avvalorala dalla approvazione dei me dici, i quali volevano acquistarsi grazia col trovar nuove cose. 1 Parli con questa virlù si procaccia no gloria. Alcibiade fra i Greci se ne acquistò £sma; e appresso di noi ne guadagnò aucora il sopran nome Novellio Torqualo Milauese, il quale dalla pretura passò per tulle le cariche insino al pro consolalo, avendo bevulo tre congii ovvero tren ta libbre di vino a un trailo in presenza di Ti berio, il quale stava a veder ciò, come per mira colo, perchè fin da giovanezza era slato grande mente inclinalo al vino, benché già in vecchiaia fosse molto severo, e sempre crudele. Per questo medesimo conio fu credulo -ancora che Tiberio creasse Lucio Pisoue prefetto di Roma, perchè egli aveva continuato di bere due dì e due notti appresso di lui già f a llo imperadore. Nè per altra cosa più si stimava che Druso Cesare avesse ri generato Tiberio suo padre. Rara fu veramente la gloria di Torquato ( poiché quest' arte ancora ha le sue leggi ) che egli mentre beeva non per-
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nihilqne ad elidendum in pavimentis sonum ex vino reliquisse, diligenti scilo legura conlra bi bendi fallacias. Tergili a Ciceroni M. F. binos congios simul haurire solitum ipsi objicit ; Marcoque Agrippae a temulento scyphum impactum. Etenim haec sunt ebrietatis opera. Sed nimirum hanc gloriam auferre Cicero voluit interfectori patris sui M. Antonio. Is enim ante eum avidissi me adpreheuderat hanc palmam, edito eliam volumine de sua ebrietate : quo patrocinari sibi ausus, adprobavit plane (ut equidem arbitror) quanta mala per temulentiam terrarum orbi in tulisset. Exiguo tempore ante proelium Actia cum id volumen evomuit : quo facite intelligatur ebrius jam sanguine civium, et tanto inagis eum sitiens. Namque et haec neceisitas vitium comi tatur, ut bibendi cousueludo augeat aviditatem. Scilumque est Scytharum legati, u quanlo plus biberint, lanto magis silire Parlhos. *
Ex
AQUA ET FRUGIBUS VIRI VIM Π Β Β Ι.
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desse punto nel favellare, e non si scaricasse nè per vomito, nè per altra parte del corpo; che s’an dasse alla scolta avanti giorno, e beesse assai per volta, e non raccogliesse l'alito nel bere,, nou ispulasse, e non lasciasse nella lazza un culaccino da gettar sul pavimento a scoppiettare; legge senza dubbio prudentemente ordinala coulra ogni fallacia de' bevitori. Tergilla rinfacciò a Ci cerone figliuolo di M. Tullio, che egli beesse a un trailo due congii di vino, e che essendo egli cotto percolesse M. Agrippa con una lazza. E certo queste sono opere dell' ubbriachezza. Ma Cicerone volle torre quella gloria a M. Antonio, che avea fallo ammazzar suo padre. Perciocché M. Antonio avea desiderato questa fama, e già avea scritto un libro della sua ubbriachezza, nel quale volendo difendersi, dimostrò, a mio pare re, quanlo male per lo suo ubbriacarsi egli avea iatlo al mondo. Egli divulgò quel libro poco innanzi alla battaglia Aziaca, onde facilmente si vide, come egli era già ebbro del sangue de' citta dini, e tuttavia n' aveva più sete che mai. Per ciocché questo di necessità ne segue, che l'abito del bere n'accresce In voglia. Fu arguto mollo quel motto deirambasciador degli Scili, che i Parti quanto più avevauo bevuto, lanto più ave vano sete. C hp. c o s
a c q u a b b i a d a si p a r s o b b v a n o b . e n s PAION VIRO.
I popoli di Ponente hanoo anch'eglino XXIX. Est el Occidentis populis sua ebrietas, XXIX. fruge madida : pluribus modis per Gallias Hispa- questo vizio,perchè s'ubbriacanodibiademacere. Fassi questa bevanda in Ispagna e in Francia coii niasque, nominibus aliis, sed ratione eadem. diversi nomi, ma in un medesimo modo. In IspaHispaniae jam cl vetustatem ferre ea genera do cuerunt. Aegyptus quoque e fruge sibi potus gua hanno già imparalo, in che modo questa be vanda possa invecchiare come il vino. L* Egitto similes excogitavit : uullaque in parte mundi anch'egli ha trovalo il modo di fare simili be cessat ebrietas : merus quippe hauriunt lales suc vande di biade; tanto che non è alcuna parte cos, nec diluendo, ut vina, mitigant. At hercules del mondo, dove gli uomini non s'ubbriachino; illic tellus fruges parere videbatur. Heu, mira perchè beono quei sughi puri senz' acqua, nè vitiorum solertia, inventum est quemadmodum gli annacquano come i vini. E veramente pareva aqua quoque inebriaret. Duo sunt liquores cor poribus humanis gratissimi, intus vini, foris olei, che la lerra quivi partorisse le biade. O quanto è maravigliosa la diligenza dei vizii, che si sia arborum e genere ambo praecipui, sed olei ne trovato ancora, come 1' acqua ubbriachi. Sonci cessarius. Nec segniter vita in eo elaboravit. Quan due licori gratissimi ai corpi umani, quello del to tamen in potu ingeniosior apparebit, ad bi vino di dentro, quel dell'olio di fuori, e ambedue bendum generibus ceulum nonaginta quinque (si species vero aeslimenlur, paene duplici nu sono i principali che nascano degli alberi; sebbe ne l ' olio è più necessario. E- certo che la indu mero) excogitatis, tantoque paucioribus olei: stria dell' uomo in ciò s 'è molto affaticata. Non de quo iu sequeuli volumine dicemus. dimeno è stata assai più ingegnosa uel bere, es sendosi trovate cento novantacinque sorti di vino; e se si ricercheranno le specie, si vedrà che se ne sono investigate il doppio più, ma tanto man co di olio; del qual si ragionerà nel seguente libro.
C. PLINII SECUNDI
HISTORIARUM MUNDI L IB E R NATURAE
XV
FRUGIFERARUM
ARBORUM.
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D t OLEA : Q0AMD1D APCD GflAECOS TANTOS· FOBRlT.
D e l l 1 o liv o : fin o a qu and o
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Q c a n d o p r i u d m in I t a l i a , H i s p a n ia , A f r ic a ,
som G b e c i . Q u a n d o cominciò s p a b g e r s i p e r
ESSE COEPERIT.
l ’ It a lia , la
i· Olfim
I. Theophrastus e celeberrimis Grae corum auctoribus. Urbis Romae anoo circiter c c c c x l negavit nisi intra x l millia passuum a mari nasci: Fenestella vero omnino non fuisse in Italia, Hispania, atque Africa, Tarquinio Pri sco regnante, ab annis populi Romani c l x x u i , quae nunc pervenit trans Alpes quoque, ek in Gallia* Hispaniasque mediae. Urbis quidem anno quingentesimo quinto, Appio Claudio Caeci ne pote, L. Junio coss. olei librae duodenis assibus veniere. Et mox anno d c l x x x M. Sejus L. F. aedilis curulis olei dtnas librae singulis assibus praestitit populo Romano per totum annum. Minus ea miretur, qui sciat post annos xxu Cn. Pompeji tu consulatu oleum provinciis Italiam misisse. Hesiodus quoque in primis cultum agro rum docendam arbitratus vitam, negavit oleae satorem fructum ex ea percepisse quemqnam : tara larda lune res erat. At nunc etiam in plan tariis serunt, translalarumque allero anno decer puntur baccae.
Spagba, l ’ A fric a .
I. t. Teofrasto, nno dd piò illustri autori Greci, intorno all’ anno quattrocento quaranta dell’ edificazione di Roma, disse che I* ulivo non nasceva discosto del mare più che quaranta mi glia ; e Fenestella dice, come non eraoo ulivi in Itali», in Ispagna, nè in Africa, quando regnava Tarquinio Prisco, centoiettantatrè anni dal prin cipio di Roma, i quali ora sono passati fin di li dall’ Alpi, e in Francia, e fino in mezzo della Spagna. Perciocché negli anni cinquecento cin que dell’ edificazione di Roma, essendo consoli Appio Claudio, nipote d’ Appio Cieco, e L. Giu nto, la libbra dell’ olio si vendeva dodici assi. E poi Panno seicento ottanta M. Seio figliuolo di Lucio edile curule diede al popolo Romano per tutto l’ anno dieci libbre d’ olio per ciascun asse. Ma molto meno si raaraviglierà di queste cose chi saprà, come dopo ventidue anni, nel quarto consolato di Pompeo Magno l’ Italia mandò l’ o lio nelle province. Esiodo anch* egli insegnando V agricoltura, disse, che nessuno che piantasse ulivo, colse mai frutto d’ esso ; così tardi cre scevano allora gli ulivi. Ma al presente gli semi nano ancora ne*semenzai, e trapiantali l’ allro anno ne colgono l’ ulive.
C. PLINII SECONDI
Q oae b a t u b a e o l iv a e , b t o l b i in c ip ie v t is .
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D e l l a « α τ ο ι λ d e l l ’ o liv a , b d e l l * o lio DA PBIBCIPIO.
II. Fabianas negat provenire in frigidissimi· II. Dice Fabiano, che Γ olivo noo alligna io oleati», neqoe in calidissimis. Genera earum tria looghi molto freddi, nè in mollo caldi anoora. «lixii Virgilio*, orchites, el radios, et pausias * Dice Virgilio che ve ne sono di tra sorti, orchite, nèc desiderare re»Iros, ant falces, ullamve caram. radio e pausia, e che non hanno bisogno di ra Sine dubio et in iis solum maxime, coelnmque strelli, di falci, nè d 'alcuna altra cara. E senza dubbio in essi importa grandemente il terreno. refert. Verumtamen et tondentor, quum et vites: aiqne etiam interradi gaadent. Noodimartco si potano anch' essi, qaando le viti, e amano d' esser diradati. Seguita dipoi la vendemmia loro, e voolsi an Consequens earum vindemia est, arsqne vel major, olei musta temperandi. Ex eadem quippe cora maggior arte a temperare Γ olio, che non si voglia ai mosti; poiché è certo,che d'uoa oliva me oliva differant sacci. Primam omniam c cruda, a'que nondum inchoatae maturitatis : hoc sapore desima si fan snghi di diversi sapori. Prima di tutte è P oliva acerba, e che non ha cominciato praestantissimam. Qain et ex eo prima unda ancora a maturare ; e questa è d* ottimo sapore. praeli laodatissima, ac deinde per diminutiones: sive (nl naper inveniam est) exilibus regulis Anzi il primo olio che esce dello infrantoio, è lo datissimo, poi quello che si estrae (come testò s 'è pede incluso. Quanto maturior bacca, tanto pin ritrovato) col racchiudere in piccoli cestelli di vi guior saccus, minusque gratus. Opiima autem mini la sanza dopo la infrazione. Quanto 1' oliva aetas ad decerpendum, inter copiam houitalemque incipiente bacca nigrescere. Nostri vocaut è più matura, tanto il sago è pià grasso, e manco drupas, Graeci vero drypetas. Cetero distat, an grato. Però il miglior tempo di corle, quando soo buone e abbondanti, è allora che coro lodano a maturitas illa in torcularibus fiat, an ramis: rigua faerit arbor, an suo tantum bacca succo, neri re. 1 nostri le chiamano drupe, e i Greci dri pete. Ha bene è differenza s 'elle si fanno mature nihilque aliud quam rore coeli biberit. nello infrantoio, o sai rami ; se Γ albero era ba gnalo, o se Γ uliva aveva solamente il soo sugo, e non bevve niente altro che rugiada. D b o l e o : h a t io x e s , b t b o n it a s o l e i .
D e l l 'o l i o : d e l sascbbe b d e l l a b o r ì m u ' o l i o .
a. La vecchiezza arreca tedioaU'olio,all'op 111. a. Vetustas oleo taedium ad fert, non item Ili posto che al vino ; ed ha assai eli, qaando egli è ul vino: plurimumque aetatis annuo est, provida d' un anoo; e certo la natura è stata in ciò molto ( si libeat intelligere ) natura, quippe temulentiae nasceolibus vinis uti necesse non est : quin immo provvida, perchè non è necessario usare i vini, i invitat ad servandum blanda inveterati caries : quali soo nati per ubbriacare ; ed aozi la vec chiezza loro, per la quale diventano migliori, oleo noluit parci, fecitque ea necessitale promi· scuoia et vulgo. Principatum in hoc quoque c' invila a serbargli : ma non volle essa che l'olio si serbasse, e fecelo nel primo anno vecchio, e bono obtinuit Italia toto orbe, maxime agro comune a ogni qualità di persone. I/ Italia in Venafrano, ejusque parte quae Licinianum fun dit oleum : unde et Liciniae gloria praecipua questo bene tiene il principato, come nel vioo, olivae. Unguenta hanc palmam dedere, accom e massimamente nel territorio di Venafro, in modato ipsis odore. Dedit et palatum, delicatiore quella parte d'esso, dorè si fa I 'olio Liciniano; senieolia. De celero baccas Liciniae nulla avis onde Γ ulive Licinie sono pure iu gran riputa· appetii. Reliquum certamen iuter Islriae terram zione. Hanno dato all' olio questo vanto i pro fumi, perchè ha odore che mollo lor conviene. et Baelicae par est. Vicina bonilas provinciis, excepto Africae frugifero solo. Cereri totum id Diedeglieoe ancora il palato, giudicandolo essere natura concessit : oleum ac viuum noo invidit d' oltirao sapore. Nondimeuo nessuno uccello tanlum ; salisque gloriae iu messibus fecit. Reli becca l'ulive Licinie. Dopo queste, la contesa è fra qua erroris plena, quem in uulla parie vitae nu- l'ulive d'islria e di Granala. Vicino a loro è l'olio delle province, fuor che il paese di Africa, dove ìuerosiorciu esse docebimus. nascono assai biade. Quivi la natura ha dato lutto il vanto a Cerere, ma uon ba voluto compiacere dell' olio e del viuo a qua* paesi, avcudo lor nelle
IllSTORIARUM MONDI LIB. XV.
3. Olivae constant nucleo, oleo, carne, amurca: sanie· haec est ejus amara. Fit ex aquis, ideo siccitatibus roiuima : riguis, copiosa. Suos quidem olivae succus oleum est, idque praecipue ex immaturis intelligimus, sicut de omphado docuimus. Augetur oleum ad Arcluri exortum ·. d. xvi. kalendas Octobris: postea nodei increscant et caro. Qaam sitienti imbres copiosi accessere, vitiatur oleum in amurcam. Hujus color olivam eogit nigrescere : ideoque recipiente nigritia, minimum amurcae : ante eam nihil. Et error hominum falsos, existimantium maturitatis initium, quod «st vitii proximum. Deinde, quod oleum crescere olivae carne arbi trantur, qoum soccos omnis in corpus abeat, lignumque intus grandescat. Ergo tara maxime rigantor. Quod ubi cora, multisve imbribus acoidit, oleum absumitor, nisi ooosecuta serenita te, quae corpus extenuet. Omnino eoim, ot Theophrasto placet, est old caosa calor : qoare et in torcularibus, et jam in edlis molto igne quaeritar. Tertia est culpa in parsimonia, quoniam propter impendium decerpendi exspectatur, nt decidat oliva. Qui medium temperamentum in hoc servant, pertids decutiunt, cum injuria ar borum, sequentisque anni damno. Quippe olivaulibas lex antiquissima fait : « Oleam ne stringito, neve verberato.» Qui cautissime agunt, arondine levi icto, nee adversos percutiunt ramos. Sic quoque alternare (ructus cogitur decussis germiuibus. Nec minus, si exspectetur ut cadat : hae rendo enim ultra suum tempus, absumunt venieutibus alimentum, et detinent locum. Argu mentum est, quod nisi ante Favonium collectae, novas vires resumunt, et difficilius cadunt*
O
l iv a b v m g u b i a
xv.
biade conceduto abbastanza di gloria. L’altre cose intorno le uli ve sono piene di errore, il quale diraostreremoche in nessuna parte del vitto è maggiore. S. L’ ulive hanno nocciolo, olio, carne, e morchia : questa è ona putredine amara dell' uliva. Nasce d’ acqua, e per questo ai tempi secchi è poca, ai piovosi è molla. 11 sugo dell' uliva è P olio, e questo s’ intende massimamente nelle ulive acerbe, come dicemmo ddP onfecio. Cre-* sce P olio dopo il nascimento della stella di Ar turo, fino ai sedid di Settembre; dipoi crescono i nocdoli e la carne. Qaando vengon le piogge, e P'nlfve sono assetate e risecche, l'olio diventa morchia. 11 color di essa fa che P uliva diventa nera ; e però quando comincia la nerezza è poca morchia, e prima non v1 è punto. Laonde le per sone s' ingannano, credendo che quello sia prin cipio di maturare, che anzi è principio di difetto. Errano ancora stimando che P olio cresca per la carne dell' oliva, perciocché tatto il sago diveuta corpo, e il noedolo ingrandisce, · però allora mol to si bagnano. La qual cosa quando o per opera del coltivatore o per pioggia è intervenuta, l'olio si consuma, se non vien dietro il sereno che assotti gli il oorpo. Perché dell'olio, oome dice Teofrasto, è in tntto causa il calore, e però negli infranto! e nd magazzini si cerca per molto fuoco» 11 ter zo danno avviene dalla masserizia, perché per non (spendere in corie, s 'aspetta che l ' ulive caggiano da loro stesse. Quegli, che in d ò vogliono usare la via di mezzo, le battono oon le pertiche, ma fan danno agli alberi, e alP anno ehe viene. E però i cultori dell'ulive hanno questa antichis sima legge : u. Guarda che non tagli e non batta l ' ulivo. » Coloro che v' usano diligenza e accor tezza, battono leggermente con canne, senza rom perne i rami ; altrimenti sono cagione, che l'uli vo fa di due anni una volta, perchè fanno cadere i germogli. Il medesimo avviene aspettando che P olive caschino da loro stesse. Perchè sopra stando elleno nell* albero pià che il tempo loro, tolgono il nutrimento alP olive che hanno a ve nire, ed occupano il loro luogo. Laonde s'elle non si colgono innanzi che tiri il vento Favonio, ripigliano nuove forze, ed è piò difficile che caschino. Qoraoia
s fb c w ni u liv b .
IV. Prima ergo ab autumno colligitor, vitio IV. Le prime adonque si raccolgono dopo il operae, n»n naturae, pausia,cui plurimum carnis: prindpio dell' autunno, per difetto d'arte e non per natura, e queste sono : la pausia che ha molla mox orchites, cui olei: post radius. Has enim carne, poi l’ orchite, che ha l ' olio, ultimamente ocissime occupata·, quia suut tenerrimae,amurca qudla che si appella radio. Perdocchè queste eogit decidere. Differuntur vero etiam iu Martium essendo tenerissime, sono prestissimamenle sor mentem callosae, cou ira humorem pugnaces, ob prese e falle cadere dalla morchia. Indugiano idque utinimae, Licinia, Cominia, Contis, Sergia,
€. PUNII SECONDI
quan Sabini regiam τοαηΙ, non ante Favonii idfliloiD nigresoeules, hoc est tu <1. vi. idee Fcbr. Tunc arbilrantur eas maturescere : et quoniam probatissimum ex ii* fiat oleum, accedere etiam ratio pravitati videtur. Feruntque frigore sterili tatem fieri, sìcot copiam maturitate; quum sit iila bonitas non temporis, sed generis, tarde potrescentium in amurcam. Similis error colle ctam servandi in tabulatis, nec priusquam sudet premendi : quum omni mora oleum decrescat, amurca augeatur. Itaque vulgo non amplius senas libeas singulis modiis exprimi dicuot. Amurcae mensuram nemo agii, quanto ea copiosior reperialur in eodem genere diebus adjedti».
Omnino in vita ertor est publicus, tumore olivae crescere oleum existimantium: praesertim quum magnitudine copiam olei non constare, indicio sint quae regiae vocantur, ab aliis majo rinae, ab aliis phauliae, grandissimae, alioqui minimo sooeo. Et in Aegypto carnosissimis olei exiguum. Decapoli Tero Syriae perquam parvae, neccappari majores, carne tamen commendantur. Quam ob causam Italicis transmarinae praefe rantur in cibis, quum oleo vineantur : et in ipsa Italia ceteris Picenae, et Sidicinae. Sale illae privatim condiuntur, el ul reliquae, amurca, sapa ve: pecoon aliquae oleo suo sine arcessita commen datione. Muriae innatant colymbades: franguntur eaedem, herbarumque viridium sapore coudiuntur. Fiunt et praecoces ferventi aqua perfusae, quamlibet immaturae. Mirumque. dulcem succum olivas bibere^ et alieno sapore infici. Purpureae sunt et ia iis, ut uvis, in nigrum colorem trans euntibus, pausiae. Sunt et soperbae, praeter jam dicta genera. Suat et praedulces, per se tantum siccatae, uviique passis dulciores, admodum rarae in Africa, et circa Emeritam Lusitaniae. Oleum ipsum sale vindicatur a pinguitudinis vilio. Cor tice oleae conciso odorem accipit, medicati : alias, ut vino, palati gratia nulla est. Nec lam numerosa differentia: tribus ut plurimum bonitatibus distat. Odor in tenui argutior, cl is tamen eliam iu optimo brevis.
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fino a Marzo qoelle che sono callose, e resistono ali' umidità, e per questo son minute, come a dire la Licinia, la Cominia, la Conzia, la Sergia, che i Sabini chiamano regia, le quali non anneri scono innanzi che spiri il vento Favonio, d a i intorno agli otto di Febbraio. Allora si tiene che elle sieno mature ; e perchè di loro si & buonissi mo olio, pare che anche l'effetto approvi la torta opinione degli uomini. Dicono che il freddo fa sle-, rilità, come la maturità fa dovizia, essendo qudla booti non del tempo, ma del genere di quelle, che tardamente, marciscono per morchia. Simile errore si fa a serbarle colte in palco, e non le pre mere prima che sudino, perchè per ogni indugio l'olio scema e la morchia cresce. Dioono dunque, che per ogoi moggio non se ne cava più che sei libbre. Niuno considera la misura della morchia, e quanto se ne trovi maggior quantità nel mede· siaao geoere, se vi s1 aggiungono aleoni giorni. Comunemente s’ ingannano tutti coloro che credono, che per gonfiare delle ulive Γ olio cresoa ; massimamente vergendosi che le ulive per essere più grosse non fanno pià olio, siccome sono quelle, che si chiamano reggie, da alcaoi maiorine, da altri faulie,le quali, come che sieo gran dissime, hanno però pochissimo sugo. Anche iu Egitto qoelle che sono pià carnose fanno poco olio. In Decapoli di Siria alcnne che sono molto pìccole, nè punto maggiori dei capperi, hanoo però di molla carne. E per questa cagione le ulive di olire mare sono · riputale migliori d · mangiare che le Italiane, le quali fanno più e mi gliore olio. Tali sono ancora in Italia quelle ddla Marca di Ancona e le Sidicine. Quelle privata mente si conciano col sale, come l’ altre con la morchia o con la sapa ; ed alcune altre con l'olio loro senta alcuna arte piacciono. Le colimbadesi pongooo nella murta, e anche si fendono e si conciano col sapore di erbe verdi. Fa un osi ancora le primaticce bagnandole con acqua bollila, an cora che elle non sieno punto ras tu re. Ed è gran maraviglia, che le ulive beano il sugo dolce, e piglino sapore d 'altre cose. Sonvi anco dell' ulive purpuree, che, come le ove, trapassano in color nero, e queste sono le paosie. Olire le già delle sorti, ci sono le superhe. Sonveue delle molto dolci, seccate solamente da sè stesse senza condi tura, mollo più dolci che Pure passe, assai rare io Africa, e intorno a Emerita città di Portogallo. Ι.'οlio si libera col sale dal difetto della grassezza. Ta gliata la buccia dell'uliva piglia odore saporito, ma non dà alcun gusto al palalo, come il viuo. Nè molla è la loro differenza, che per lo più non se ne tro vano d 'altra bontà che delle tre preCate. L'olio sottile ha odore più posseule, e ottimo ancef* n'ha ben poco.
HISTORIARUM MtJRDI UB. XV.
» * ΒΑΤΟΒΑ O t t i.
D e l l a h a to ba d e l l ’ o l io .
V. 4· L* nalura dell' olio è di riscaldare il V. 4· Oleo natara tepefacere corpo*, et contra corpo e di fortificarlo conira il freddo, e di rin algores munire: cideraque fervores capitis refri frescare anco il bollore del capo. I Greci, padri gerare. Usam ejas a«l lusoriam vertere Graed, viliorum omniam genitores, in gymnaeiis publi di lutti i vizii, rivoltarono l'uso di esso all· lus cando. Notum esi, magistratus honoris ejus, suria, pubblicandolo nei ginnasii. Trovasi per cosa octogenis sestertiis strigmenta olei vendidisse* certa, come i magistrati sopra i ginnasti vende Oleae honorem Romana majestas magnum prae rono ottanta sesterni gli strigmenti dell* olio, buit, turmas «quitura id ibus Juliis ex ea corocioè quella sporchezza dell1 olio, che si tirava giù pando : item minoribos triumphis ovantes. Athe dai lottatori che si ungevano. La grandetza dei nae quoque victores olea coronant, Graeci vero Romani diede gran riputazione all’ ulivo, coro oleastro Oljrmpiae. nando di esso le compagnie dei cevali^ri ai qoin·· did di Luglio, e qaegli ancora, eh· avevano i trionfi minori, i qaali si chiamavaoo ovazioni In Atene similmente i vindlori si coronano di ulivo, e i Gred nei giuochi Olimpia di ulivo salvalico· C o r.tU X A O l B A U W : d s b b b v a it d is o l i v i s . Q d o k o d o f a c u n d o · s it o l b o · .
D b l l a c o l t d b a d e l l * u l iv b : d e l modo d i SBBBABLB.
CoMB »’ ABBIA
A FAB l ’ OLIO.
VI. 5. Nunc dicentur Catonis placita de olivis. VI. 5. Ora ragioneremo dei precetti di Catone intorno agli ulivi. Egli vuole che nel terreno ) In calido et pingui solo radium majorero, Salentinam, orchitem, pausiam, Sergianam, Cominiacaldo e grasso si pianti il radio maggiore, la Sanaui, albiceram seri jubet : adjicitque singulari lentina,la orchite, la paasia, la Sergiana, la Cominiana e Γ albicere, e con singolare accortezza vi prudentia, quara earum in Rnitimis locis optimam aggiugne quale di esse sia ottima nei luoghi vi esse dicant. In (rigido autem et macro, Liciniam. dni. La Licinia vuole il terren freddo e magro, Pingui enim ant ferventi vitiari ejus oleum, perciocché nd grasso e caldo l*olio di essa si arboremque ipsam fertilitate consumi : musco guasta, e l’ albero islesso per la fertilità si viene praetere· rubro infestari. Spectare oliveta in a consumare, ed olirà di ciò riceve molestia dal Favoniom loco exposito aolibus censet : nec alio muschio rosso. Vuole eziandio che gli uliveti sieno ullo modo laudat. in luogo solatio, e volli verso il vento Favonio. 6. Condi olivas optime, orchitea, et pansias, 6. Diee che il miglior modo di conservar le vel virides in muria, vel fractas in lentiseo. ulive orchite e 1« pausie è metterle verdi nella Oleum quam acerbissima oliva optimum. fieri. salamoia, o rotte nel lentisco ; e quanto l ' uliva è Cetero quam primum e terra colligendam : si in più acerba, tanto fa migliore olio. L’ uliva si dee quinata sit, lavandam : siccari triduo satis esse. Si raccorre tosto da terra, e s'ella è imbrattata, si dee gelent frigora, quarto die premendam ; hanc et lavarla. Basta tre dì a seccarle. Se sono ghiacci, si premano il quarto giorno, e s’ iusali no. L'olio sale adspergi. Oleum in tabulato minui, deteriusmesso in serbo scema e diventa peggiore, e simil· que fieri: item et in amurca, el fracibus: hae sunt carnes, et inde faeces. Quare saepius die mente nella morchia, e nei frammenti che sono capulandum : praeterea iu conchas, et plumbeas le polpe, e dipoi le feccie ; e però spesse volle il cortinas : aere vitiari. Ferventibus omuia ea fieri dì si debbe travasare in conche, e in vasoi di piombo : nel rame si goasla.Tutle queste cose son dausisque torcularibus, et quam minime ventila rle: ideo nec ligna ibi caedi oportere: qua de da farsi negli infrantoi caldi e chiusi, e non nei causa e nucleis ipsarum ignis aptissimus. Et « ventilati. E però non bisogna neppur che quivi si cortinis in labra fundeudum, ut fraces et amurca taglino le legne; poiché dei soli uocciuoli loro si fa liquentur. Ob id crebrius vasa mutanda, fiscinas buonissimo fuoco. Dalle delle conche si mettano «pongia tergendas, ut quam maxime pura since in vasi larghi, acciocché i frammenti e la morchia ritas constet. Pustea inveuturo, ut lavarentur si vengano a disfare. Perciò i vasi s’ hanno spesso utique ferventi aqua : protinus prnelo subjice a mutare, e a nettare le gabbie o ceste con la rentur solidae, ita enim amurca exprimitur : mox spugna, acciocché l’ olio sia più schietto e più trapetis fractae prementur iterum. Premi plus pulito. Fu poi trovalo che I’ nlive si lavassero quam centenos modios, nou probant. Factus con acqua calda, e subito si mettessero sode sollo
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C. PLIRn SECONDI
tS»4
vocatur. Qnoil vero posi molam primam est, flos. Factus Ires gemino foro a quaternis hominibus nocte ac die premi justum est.
il torchio, perciocché a questo modo ne vien fuora la morchia) dipoi rotte si prem esaero ne gli in frantoi. Non approvano che se ne premano pià che cento moggi, che chiamasi fattura. Quello, che è dopo la mola, è il fiore ; ed è cosa certa, che in on dì e in una notte, quattro nomini uè fanno a doppio foro tre fatture.
Olbi ricT iT ii g iu b b a
Q d a x a v t 1 o t t o s p b c ib m o l i o f i t t i z i o . D e l l ' a l -
x lv ik .
C ia
a m o ·, s i t i c b o -
TOH, SIVB TB1XIS, SITB RUSAMUV.
ΒΒΒΟ a CI, Ο CBOTOMB, Ο TB1SSI, O SESAMO.
VII. ·). Non erat tum fictitium oleam : ideo* VII. 7. Non era allora I* olio fittizio, oode io tengo che Catone per questo non ne ragionasse que arbitror de ea oihil a Catone dictum : nunc punto. Ora ce ne sono di pià sorti ; ma prima ra ejus fenera plura. Primumque persequemur ea, gioneremo di quegli che si fonno degli alberi, o qua· ex arboribus fiunt, et inter illas ante omnes innanzi a tutti gli altri dell'olivo selvatico. Quest· •x oleastro. Teooe id, multoque amarius, quam è sottile, e molto pià amaro che qoello dell* olivo, deae : tantam ad medicamentum utile. Similli e solamente utile per medicina. Molto simile a mum huic eat ex chamdaea, frutice saxoso, non questo ì quello che ai fa di camelea, che è Puliva altiore palmo, foliis oleastri, baccisque. Proxi terragnola, arbusto che non è p«à alto d’ un pal mum fit et · cici, arbore in Aegypto copiosa : mo, con foglie e coccole di olivo selvatico. Un al alii crotonem, alii trixin, alii sesamum silvestre tro se ne fa ancora del cici, che é albero copioso appellant : ibique non pridem. Et in Hispania in Egitto : alcuni il chiamano crotone, alcuni repente provenit altitudine oleae, caule ferulaceo, trias·, e altri sesamo selvatico ; quivi non era per folio vitinm, semine uvarum gracilium pallida· rumque. Nostri eam ricioura vocant a similitudine lo passato. In Ispagoa viene in un tratto all* al tezza di nn ulivo, e ha il gambo come la ferula, la feminis. Coquitur id in aqua, innatansque oleum foglia di vite, e il seme di ave sottili e pallide. 1 tollitur. At in Aegypto, ubi abundat, sine igne nostri la chiamano ricino dalla somiglianza del et aqua sale adspersum exprimitur, cibis foedum, seme. Questo si cuoce nell' acqua, e Polio che lucernis utile. Amygdalinum, quod aliqui meton* esce, andando a galla si toglie. Ma in Egitto, pium vocant, ex amaris nucibus arefactis, et in dove egli abbonda, senza fuoco e acqua si cava offam contusis, adspersis aqua iterumque tusis, fuori, spargendovi sopra del sale : è cattivo a exprimitur. Fit et e lauro, admixto druparum oleo. Quidamque e baccis exprimunt tantum : mangiare, ma buono per le Incerale. Fassi l'olio alii foliis modo : aliqui folio et cortice baccarum : mandorlino, il quale alcuni chiamano melopio, di mandorle amare secche e peste; le quali si ridu nec non styracem addunt, alioique odores. Opti cono in paste sparse con I* acqua, e di nuovo pe ma laurus ad id latifolia, silvestris, nigra baccis. ste. Fassi anco olio di alloro, mescolandovi olio Simile est e myrto nigra : et haec latifolia melior. di uliva drupa. Alcuni lo cavano solamente dalle Tunduntur baccae adtpersae calida aqua, mox decoquontur. Alii foliorum mollissima decoquunt coccole, altri dalle foglie, alcuni dalle foglie e dalla in oleo, et exprimunt. Alii dejecta ea in oleum buccia delle coccole, ma vi aggiungono lo storace prius sole maturant. Eadem ratio et in sativa e altri odori. Ottimo a far quest*olio è l'alloro myrto: sed praefertur silvestris minore semine, selvatico, che ha le foglie larghe, e le coccole nere. quam quidam oxymyrsinen vocant, alii chamaeFessene ancora di mortioe nera, e quella che ha myrsinen : aliqui acoron a similitudine : est enim le foglie larghe, è migliore. Pestausi le coccole brevis, fruticosa. Fit et e citro, cupresso : nucibus bagnate eoo acqua calda, poi si cuocono. Alcuni juglandibns, quod caryinon vocant : malis cedri, cuocono le foglie più tenere nell* olio, e le pre quod pisselaeon. Ex grano quoque Gnidio, pur mono. Altri le mettono nell* olio, m aturate prina gato semine et tuso. Item lentisco : nam et cypri al sole. Il medesimo si Ci della mortine domestica, num, et e glande Aegyptia ut fieret odorum caus«, ma migliore ì la selvatica, che ha minore il seme, dictum est. Indi ex castaneis, et sesama, atque da alcuni chiamato ossiinirsine,da altri chamemir· oryza facere dicuntur : Ichihyophagi, e piscibus. sine, e da certi acaron dalla somiglianza, poiché Inopia cogit aliquando luminum causa et e pla è corta e cespugliosa. Anche di cedro, di ciprer tani baccis fieri, aqua et sale maceratis. Et oenan* so e di noci si fa un olio, che si chiama cariinoo; Ihinom fit de ip«a oenanthe, ul dicturn est in e dei pomi del cedro, quello che si domanda pisunguentis. Gleucino mustuin iucoquitur vaporo seleone. Fas»ene del granello Gnidio purgalo «M Ionio : ab aliis sina igue circumdatis viuaccis die- seme e pesto ; e similmeate di lenti··». Dctt* olia
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HISTORIARUM MUNDI U B. XV.
bus xxii bis singulis permixtura : consuraiturque muatuin oleo. Aliqui non sampsuchum lantura •dmìicenl, sed etiam pretiosiora odoramenta. Nara in gymnasiis quoque conditur odoribus, sed vilissimis.
Fil et de aspalalho, calamo, balsamo, iri, car* damomo, meliloto, nardo Gallico, panace, sam psucho, helenio, cinnamomi radice, omnium sue» eia in oleo maceratis expressisque. Sic et rhodi· num e rosis : juncinam e junco, quod est rosaceo simillimum : item hyoscyamo, lupinis et narcisso. Plurimum antem in Aegypto e raphani semine, •at gramine herba, quod chorlinon vocant. Item sesama, et urtica, quod cnedinura appellant. E lilio et alibi fit sub dio, sole, Inna, pruina mace ratum. Suis herbis componunt inter Cappado ciam el Galatiam, quod Selgiticum vocant, nervis admodum utile : sicut in Italia Iguvini. E piee fit, quod pissinum appellant, quum coquitur, velleribus supra halitum ejus expansis, atque ita expressis: probatum maxime e Brulia : est enim pinguissima et resinosissima. Color oleo fulvus. S|K>nte nascitur in Syriae muritimis, quod elaeoroeli vocant. Manat ex arboribus pingue, crassius meile, resina tenuios, sapore dulci, et hoc medi cis. Veteri quoque oleo usus est ad quaedam ge nera morborum. Existimatur etebori vindicando a carie utile esse. Certe simulacrum Salami Ro mae inlus oleo repletum est.
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a m oeca.
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ciprino· di quello di ghianda Egiziaca, che si fa per averne odore, s’ è già ragionato. Dicesi che gli Indiani usano fare olio di castagne, di sesama e di riso ; gli Ittiofagi, popoli così chiamati perchè vivono di pesci, ne fanno di pesci. Per carestia se ne fa anco talora di coccole di platano, macerate nell1 acqua e sale, e questo è buono per far lume. Fassi Polio enanlino dell'enanle, come già si è ' detto ragionando dei profumi. Col gleucino si cuoce il mosto · fuoco lento : da alcani si fa senza fuoco, mettendo intorno le vinacce per ventidue giorni,· mescolandole ogni di due volle, perchè così il mosto si consuma nelP olio. Alcani vi mescolano non solamente la persa, ma ancora degli altri piò preziosi odori. Pure nei ginnasii si acconcia con odori, ma vilissimi. Fassi parimente olio di aspalalo, di calamo, di balsamo, di iri, di cardamomo, di meliloto, di nardo Gallico, di panace, di sunsuco, di elenio, di radice di cinnamomo, macerandosi tutti questi su»hi nell1 olio, e premendosi. Fassi anco P olio rodino di rose, e il giuncino di giunco, il quale è mollo simile a quello di rose ; e così di fasciamo, di lupini e di narcisso. Fessene assaissimo io Egitto di seme di rafano, o di erba gramigna, che quivi si chiama cortioo. Di sesama e di ortica si fa un olio, che si chiama cnedino. Fassene in alcuni luoghi di gigli, macerandolo alP aria, al •ole, alla luna e alla brina. La Cappadocia e la Galazia di loro erbe fanno olio, che si chiama Selgitico, molto utile ai nervi ; siccome in Italia, gl' Iguvini dell' Umbria. Di pece fassi l ' olio che si domanda pissino, aopra il cui fumo, quando ai cuoce, si distende sopra la lana, che poi si preme} e a ciò fare è ottima la lana di Calabria, perchè ò mollo grassa e piena di ragia. Il color dell* olio ò giallo. Nasce da sè medesimo nei luoghi marittimi di Siria quello che si chiama eleoroeli. Questo stilla pingue dagli alberi, più grosso che il mele, più sottile che la ragia, di sapor dolce, e che serve alle medicine. L'olio vecchio ancora è utile a molli mali, e tiensi che conservi P avorio dai tarli. Certo che la statua di Saturuo in Roma ò piena di olio. D e l l a m oechia.
8. Catone celebrò sopra ogni cosa la VIII. 8. Super omnia vero celebravit amur VIII. cam laudibus Cato, Dolia olearia cadosque illa morchia : vuole, che con essa s ' imbiutino i do imbui, ne bibant oleuto. Amurca subigi areas gli e gli orci, acciocché non beano l ' olio. Cou terendis messibus, ut formicae rimaeque absint. la morchia si debbono appianare l'aie, dove baìtonsi i grani, perchè nou vi sieno uè formiche Quin et lutum parietum, ac tectoria, et pavimenta horreorum frumenti, vestiarium etiam contra te nè fessi. Vuole auco, che gli iutouichi delle mu redines, ac noxia animalia, amurca adspergi : ra, e i pavimenti dei granai, e dei luoghi dove sentina lYuguiu perfuudi : morbis quadrupedum, stauno i pauui, s’ uugauo di morchia con tra le arborum quoque illa medendum,efficaci ad ulcera liguuole e altri auiiuali uocìvij che con essa si
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C. PLINII SECUNDI interiora humani quoque oris. Lora etiam ac coria omni·, et calciamiua, axesque, decocta ungi,atque aeramenta contra aeruginem, colorisque gra tia elegantioris: et lotam suppellectitem ligneam, ac vasa fictilia, in queis ficum aridam libeat adservare: aut si folia baccaeque in virgis myrti: •liudve id genus simile. Postremo tigna macerala amurca, nullius fumi taedio ardere. Oleam si lambendo capra lingua contigerit, depaveritque primo terminatu, sterilescere, auctor est U. Var ro. Et hacteuus de olea, atque oleo.
GfcSEBA POMOBU·, ET NATURAS. NUCUM PINEARUM
bagnino i semi delle biade, e si medichino le infermità degli animali quadrupedi, e degli al beri ; e che ella sia ottimo rimedio a guarire le ulcere di dentro delta bocca dell1 uomo. Dice similmente che con essa cotta s’ ungono lutti i coiami, e gli assi dei oarri, e tutte te cose di rame, acciocché elle abbiauo miglior colore, e lutti gB arnesi di legname, e i vasi di lerra, dove si serhauo i fichi secchi, o se si vogliono conservar le foglie e coccole nelle verghe di mortine, o altra cosa simile. Dice finalmente, che le Itgoe macerale nella morchia ardono tenia far punto di fumo. Scrive Varrone, che se la capra rode o lecca 1’ ulivo nel suo primo germogliare, lo fa sterile. Ma basti aver detto fin qui dell* ulivo e dell'olio. S p e c ie
e n a t u r e d e * p o m i.
di noci
GENERA IV.
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IX. 9. Reliqui arborum fructus vix specie IX. 9.1 frutti degli alberi appena si possono 'figor;iv*, non mnd» «aporibus, succisque tolias contare per ispecie ο figure, oon che per saporì permixtis alque iusilis, enumerari queuut. e sughi tante volle mescolali e inserti. 10. Grandissimus piueis nucibus, altissimeque 10. Il pino fa molto grandi e molto elevali da suspensus. Intus exiles nucleos lacunatis includil terra i suoi frutti, ovvero le pine, le qoali hanno loris, vestitos alia ferruginis tunica, mira naturae dentro i pinocchi piccoli, rinchiusi come ia pic cura molliter semina collocandi. Harum genus cole fotse, e vestiti d* un’ altra tonaca come di •Herum Terentinae,digilis fragili putamine,avium- color di ferro, per la maravigliosa cura che ha que ftirlo in arbore, Tertium sapplniae, e picea avuto la natura di governar dilicalamenle i semi. sativa, nucleorum cute verius quam putamine, Le spine della seconda specie si domandano Teadeo molli, ut simul mandatur. Quartum pityida renlinr, i cui pinocchi sono sì teneri, che s\ rom vocant e pinastris, singularis remedK adversus pono con le dita, e perciò gli uccelli oe beccano tussim. In meile decoctos oucleos Taurini aqui a lor piacere. La terza sorte i il sappinio, che celos vocant. Pinea corona victores apud Isthmum nasce dall* albero chiamato picea domestica, ed corouautur. ha il guscio tanto tenero, che si mangia insieme col fruito. La quarta specie si chiama pitiida : nasce nei pini salvatichi, ed è otlimo rimedio con tra la tosse. I Taurini chiamano aquiceli I pinoc chi colli nel mele. Coronanti di pino quei che vinoooo nell* Istmo. CuTONEORUM GENERA IV. STRUTHIORUM GENERA IV.
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u a t t r o s o r t i d i m ble c o t o g n e
: q o a ttro
DI STRUTEE.
X. 11. His proxima amplitudine mala, quae X. il. Vicine a queste di grandezza sono le mele, che noi chiamiamo cotogne, e i Greci civocamus cotonea, et Graeci cydogia, ex Creta donie, portale dall’isola di Candì*. Queste frutta insula advecta. Incurvatos trahunt ramos, prohisono lauto gravi, che tirano giù i rami, e noa bentque crescere parentem. Plura eorum genera: lasciauo crescere la madre loro. Sono dì molle chrysomela, iucisuris distiucla, colorem ad aurum iitcliualo. Quae candidiora, nostratia cognomina sorti. Alcune si chiamano chrisomele, distinte per intagliature, col colore che lira all* oro. ta, odoris prestantissimi. Est et Neapolitanis Quelle che son più bianche si chiamano nostrali, suus honos. Minora ex eodem geuere struthea, e hanno eccellentissimo odore. Le Napoletane odoralius vibrant, serotino proventu, praecoci anch’ esse sono in riputazione. Le minori della vero mustea. Strutheis autem cotonea insita suum medesima sorte si chiamano .strulee, le quali penus fecerej Mulvianum : quae sola ex his vel gellauo grande odore, e sono serotine : prima- ^ cruda mauJuulur. O il.u u jam et viroruin satu-
HISTORIARUM MUNDI LIB. XV.
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tntoriis cubilibus iudosa, simulacris nooiium consciis imposita. Sunt praeterea parva silvestria, a strutheis odora tiuioaa, in sepibus nascentia.
Peesicorom
o b r b e a v i.
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ticce son quelle che si chiamano mustee. Se le cotogue »*innestano sull· strulee, (anno una spe cie, che si chiama Mulviana, le quali sole di que sti frulli si mangiano aneora crude. £ già tutte si tengono nelle camere, dove si dà udienza a qaegli che vengono a salutare, e sono posle ne’simulacri consapevoli delle notti. Sonci ancora delle strutee piccole selvatiche di grandissimo odore, le quali nascono nelle siepi. Sei
sp e c ie d i p e s c h e . #
XI. Mala appellamus, quamquam diversi ge XI. Chiamiamo ancora mele, benché di di neris, Persica, et granala, quae in Panicis arbori versa specie, le pesche e le melagrane, delle qua bus novem generum dicla sunt. His acimu sub li abbiamo parlato «ielle nove sorti degli alberi cortice intus : illis lignum in corpore. Nec non et Puuici. Queste hanno Γ acino dentro la cortec quaedam e piris libralia appellala, amplitudinem cia, e quelle haono il nocciolo in corpo. Soaci «ibi ponderis nomine asserunt. ancora certe pere che si chiamano librali per lo peso e grandezza loro. ia. Sed Persicorum palma duracinis. Natio ia. Fra latte le sorli delle pesche, le doranum habent cognomen Gallica et Asiatica. Posi cine h»uno il vanto. Sono due specie d 'esse, le aolumnura maturescunt, aestate praecocia, intra quali hanno preso il uome da' paesi, cioè le Gal xxx aoaoi reperta, et primo denariis singula ve liche e le Asiatiche. Maturano dopo Γ autunno : nam data. Supernatia e Sabinis veniunt, popularia da trenta anni in qua si sono trovate le prima undique. Pomum innocuum expetitur aegri»; ticce, le quali maturano la stale, e da prineipio preliumque jam «ingulis triceni nummi fuere, si son vendute un danaro l ' ana. Le pesche *unullius tnajore : quod miremur, quia non aliud pernale vengono dal paese dei Sabini, e le popo fugacius. Longissima namque decerpto bidui lari da ogni luogo. Questa fratta non è ponto mora esi : cogitque le venumdari. nociva, e però si dà fino agli ammalali : s 'è già venduta trenta danari l ' una, nè altra si vendè mai tanto ; ed è gran maraviglia, non easendoci frutto che duri manco, perchè quando è oolta, non dura più che due giorni, onde Matrigne a lirsi vendere. P a viro sra o n i u x u .
D o d ic i
s p e c i s d i su s ik b .
XII. iS. Ingens postea turba prunorum : ver XII. i 3. Écci poi gran moltitudine di susine: di diversi colori, nere, e bianche. Una sorte si sicolor, nigra, candida, hordearia appellata, a comitatu frugis ejus. Alia eodem colore seriora chiama ordearia, perchè matura quaudo l ' orzo. majoraque, asinina cognominala a vilitale. Sunt Uu'allra del medesimo colore più tardiva e mag giore, chiamasi asinina dalla villa soa. Sooo anco et nigra, ac laudatiora cerina, alque purpurea. ra delle nere, del colore della cera molto lodate, Neeoon ab externa geote Armeniaca, quae soJa et odore commendantur. Peculiaris impudentia est e delle vermiglie. Sonci le Armeniache, così chiamate per esser venule di quel paese, le quali nucibus insitorum, quae faciem parentis succumque adoptionis exhibeat, appellala ab utroque sono iu riputazione solamente per Γ odor loro. nueipruna. Et haec autem, et Persica, el cerina, C' è anco una susina che vien dal susino anne stato al noce: questa ritiene la forma della noce, ac silvestria, ul uvae, cadis condita, usque ad •lia nascentia a«l*tem aibi prorogant: reliquorum ma il sapor suo, e perciò è detta uocesusina. velocita» cito milMceniium transvolat. Nuper in Questa, e la persica, e la cerina, e la salvalica si ripongono l’ autunno, come l’ uve, e durano fin Baetica malina appellari coeperant malie insita, et •Ita amygdalina amygdalis. His intus in ligno ché naseon l'altre. Quelle che maturano (osto, vanno anco tosto via. Non ha mollo, che io Gra nuelenaamygdalae est: atoaliud pomum inge nata son venute certe susine chiamate meline, niosius geminatum · est. In peregrinis arboribus dicta sunt Damascena, a Syriae Damasco cogno esaendo annestate nei meli, e alcune allre man minata, jam pridem in llalia oascenlia, grandiore dorli oc, annestate sui mandorli. Queste hanno
C. PLfNII SECUNDI quamquam ligoo, el exiliore carne, nec umquara in rngas siccata, quoniam soles sui desunt. Simul dici possunt populares eorum myxae, quae ct ipsae nunc coeperunt Romae nasci insitae sorbii.
dentro nel legno il nocciolo di mandorla, ni al cuno altro fruito è più ingegnosamente raddop piato. Tra gli alberi forestieri abbiamo ragionalo dei Damasceni, coù delti da Damasco di Siria, che pià buon tempo è nascono in Italia, ancora che abbiano gran nocciolo, e poca carne, nè mai secchino in grinze, perchè non hanno il sol co cente di quella regione. Possono ancora fra que ste chiamarsi popolari le misse, le quali anch'es se hanno cominciato a nascere in Roma, e s’ an nestano ne1 sorbi.
De P b r s e a .
D i l l a pesca di P e r s ia .
XIII. In totum quidem -Persica peregrina XIII. Ben si conosce dal nome stesso, come eliam Asiae Graeciaeque esse, ex nomine ipso la pesCa è forestiera anche all’ Asia, e alla Gre apparet, atque ex Perside advecta. Sed pruna cia, e eh* ella fu portala di Persia. Ma bene è silvestria ubique nasci certnm est. Quo magis cosa certa, come in ogni luogo nascono susini salvatichi. E però mi maraviglio molto, come miror, hujus pomi mentionem a Catone non ha bitam, praesertim quum condenda demonstraret Catone non abbia fallo menzione di questo frui to , massimamente mostrando egli coree alcuni quaedam et silvestria. Nam Persicae arbores sero, frutti salvatichi si debbano serbare. Perciocché i et curo difficultate transiere, ut quae i» Rhodo nihil ferant, quod primam ab Aegypto earnm peschi mollo lardi e con difficolti sono stali trasportati, siccome quegli che non fanno frut fuerat hospitium. Falsum esi, venenala cumcrta1eia tu in Persis gigni, et poenarum causa a regi to alcuno in Rodi, dove, uscendo essi di Egit bus translata in Aegyplura, terra mitigata. I <1 to, era stalo il primo loro alloggiamento. Non è enim de Persea diligentiores tradunt, quae in vero che le pesche nascano velenose in Persia, e iolum alia est, myxis rubentibus similes, nec che i re di Persia le mandassero in Egitto per gastigo, nè ch'elle si mitigassero quivi per aver ‘extra Orientem nasci voluti. Eam quoque erudi tores negaverunt ex Perside propter supplicia cambialo paese ; perchè gli scrittori più diligenti translatam, sed a Perseo Memphi salam. Et od id hanno inteso ciò della persea, la quale è un' al tra cosa, simile a’ missi rossi, nè volle mai alli Alexandrum illa coronari victores ibi instituisse, 10 honorem atavi sui : semper autem folia habet gnare fuori d’ Oriente. Dicono ancora i dotti, et poma, subnascenlibus aliis. Sed prana quoque eh' ella non fu porlata di Persia per supplicio, ma piantata da Perseo in Menfi. E per questo ojnaia post Calonem coepisse manifestum est. Alessandro ordinò che i vincitori quivi fossero incoronali di quest' albero in onore del suo ar cavolo. Questo albero ha sempre foglie e frutti, nascendone tuttavia degli altri. Ma bene è cosa chiara, che tulle le susine cominciarono essere dopo Catone. M a lo b c m
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BXTEBNA POMA VENERINT IN I t A LIA V, ET UNDE.
T r e n t a s p e c ie d i m e l e . I n q c a l t e m p o c ia s c u n a d i QOESTR SPBCIB s ’ iNTBODCSSB IN ITALIA, · o'oB D B .
XIV. 14. Maiorara plura sunt genera. De XIV. 14. Le mele sono di più sorti. De'eedri citreis cum sua arbore diximus. Medica autem abbiamo ragionalo con I' albero loro. I Greci Graeci vocant patriae nomine. Aeque peregrina chiamarono mele Mediche quelle che vengono sunt zizipha, el luberes, quae et ipsa non pridem della Media. Sono forestiere ancora quelle che si chiamano zizife, e tubere, le quali non hi -venere in Italiam : haec ex Africa, illa ex Syri·. Sex. Papinius, quem consulem vidimus, primos mollo tempo che vennero in Italia. Queste T e n ' ulraque attulit, divi Augusti novissimis tempo nero d 'Africa, e quelle di Siria. Sesto Papinìo, ribus, in castris sala, baccis similiora quam malis, il quale noi vedemmo consolo, fu il primo ehe sed aggeribus praecipue decora, quoniam et in portò Γ una e Γ altra in Italia negli ultimi tempi tecla jam silvae scandunt. Tuberum duo genera : dell' imperadore Augusto, piantandole nel cam po. Le zizife somigliano più coccole che mele, candidum, et a colore syricum dictom. Paene
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MSTORIARUM MUNDI LIB. XV.
peregrina sant in o d o Italiae agro Veronensi na scentia, qaae lanata appellantor. Lanugo ea ob ducit, strutheis quidem Persicisque plurima : his tainen peculiare nomen dedit, nulla alia commen datione insignibus.
Q oae novissim a .
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e son belle negli argini, perchè serbansi ai bo schetti de* privati, dove crescono insino a' tetti. I tuberi sono di due sorti, il bianco, e quello che dal colore rossiccio si chiama sirico. Quasi forestiere sono certe mele, che nascono solo nel territorio di Verona, le quali si chiamano lanate, perchè son coperte «li lana, siccome sono le mele strulee, e le pesche, le quali non hauno altro che il nome «he le favorisce. Q
u a l i p iù d i fa b sc o .
Ma perchè non debb' io ancora parti XV. Reliqua cur pigeat nominatim indicare, XV. colarmente ragionar delfaltre, avendo elleno ac quum conditoribus suis aeternam propigaverint memoriam, tamquam ob egregium aliquod io vita quistata memoria eterna a chi le hanno condotte, factum ? Nisi fallor apparebit ex eo ingenium in come s’essi avessero fallo qualche onorata praova iu vita loro ? S’ io uon ra1 inganno, si conoscerà serendi : uihilque tam parvum esse, qaod noo gloriam parere possit. Ergo habent originem a di quindi lo ingegno dello innestare, e come Matio, Gestioqoe, et Manlio, item Scandio : qui nou c' è cosa si piccola, che noo possa acquistar bus cotoneo insito ab Appio e Claudia gente, gloria. Hanno dunque origiue da&lalio, da Gtsiio, da Manlio e da Scandio : quelle che furono an Appiana sunt cognominata. Odor est liis Coloneo nestate alle cotogne da Appio della famiglia rum, magnitudo quae Scandianis, color rubens. de' Claudii, presero il nome di mele Appiane. Ac ne quis id ambitu valuisse claritatis et familiae Queste lumno odor· di cotogne, e sono grandi patet, sunt et Seeptiana ab inventore libertino, insignia rotunditate. Cato adjicit Quiriaaa, et quanto le Scaudiaoe,e di color rosso. E acciocché alcun nou pensi che la nobiltà della famiglia aia qaae tradit in doliis condi, Scanliaua. Omnium cagione d’ aver messo questi nomi, ci sono ancor· antera nuperrime adoptata sunt parva, gratissimi le mele Scepiiane, così delle da Scepzio già sta saporis, quate Pelisi· nominantur. Patrias no lo servo, e dipoi fallo franco, le quali son molto bilitavere Amerina, et Graecula. Celera e causis ri tonde. Catone v' aggiugne le Quiriane, e le traxere nomen : germanitatis, cohaerentia et ge· mella, numquam singula in feta : coloris, syrica : Scauziane, le quali vuole che si ripongano nei dogli. Ultimamente si sono innestate certe mele cognationis, melapia. Mastea, a celeritate raitesceodi : qoae nunc melimela dicuntur, a sapore piccole, di gratissimo sapore, le quali si chiama no Petisie. Le Amerine e le Grecale haoao nobi melleo. Orbiculata, a figura orbis in rotundita litato le patrie loro. L 'altre hanno preso il no tem circumacti. Haec in Epiro primam prove me da diverse cagioni : alcune sono state chia nisse «rgumeoto suat Graeci, qui Epirotica vo mate gemelle, perchè nascono accoppiate. Alcun· cant. Mammatum effigie orthomaslia. A condi* tione castrali seminis, quae spadonia appellant siriche dal colore, e altre roelapie perchè tengono della pera e della mela. Mustee dalla prestezza del Belgae. Melofoliis folium unum, aliquando et ge? maturare; e quelle che ora si domandano meli minum erumpit e latere medio. Celerrime in ra mele, dal sapore che hanno di mele. Alcune sono gas marcescunt pannucea. Stolide taroent pul monea. Est quibosdara sanguineas color, origine dette orbiculate, per esser molto tonde. Queste si tiene che la prima volta nascessero nell'Epiro, ex mori insitu traots. Cunctis vero, quae luerunt perciocché i Greci le chiamarono Epirotiche. Le a sole, partes rabent. Sant et parva gratia sapo ortomastiche sou così dette perchè hanno forma ris atque eliam acutiora odore, silvestria. Id pe culiare improbitatis et acerbitatis convicium, et di poppe. Sonci alcune mele, che i Fiamminghi vis tanta* ut aciem gladii perstringat. Dat et chiamano spadonie, perchè hanno castrato il seme. Le roelofogtie son così dette perchè hanno una fo farina vilissimis nomen, quamquam primis ad glia sola, e talora due in mezzo al corpo loro. Le ventu, decerpique properantibus. pannucie diventano vizze subito ebe son mata re. Le pulmonee pazzamente rigonfiano. Alcune sono di color sanguigno, per essere annestate sul moro. Tutte le mele rosseggiano da quella parte che han volta al sole. Sonci mele salvatiche, di po co grato sapore, e d'odore acuto ; li che è proprio segno della malvagità e acerbità loro; e sono sì
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C. PUNII SECUNDI
aspre, che guastano il taglio del coltrilo. Quelle che si dicon farinacee son vilissime, ma però le prime a maturare, e ad esser colte. Q
PlROBCM GBREHA XL».
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XVI. i 5. Eadem cama in piris laxatur super XVI. 15. Per questa medesima cagione alcune biae cognomine. Parva haec, sed ocissiraa. Cun pere si chiamano superbe, le quali sono piccole, ctis autem Crustumia gratissima. Proxima iis Fa ma matnran tosto. Le Crusturaiue sono molto più lerna, a polu, quoniam lania vis succi abundat graie che tutte I’ altre. Uopo queste sono in ripu tazione le Falerne, così chiamate d«il bere, perchè (lacie hoc* vocalttr) : in itaque alia colore n'gro hanno di mollo sugo ( questo si chiama latte) :e donantur Syriae. Reliquorum nomina aliter in aliia alque aliis locis appellantur. Sed confessis fra esse ve ite sono alcune di color nero, che si Urbis vocabulis auctores suos uubilitavere Decidomaudàno Sirie. 1 nomi dell'allre suuo diversi roiana, et ex eo tractum quod Pseudodecimiasecondo la diversità dei luoghi. Nobilitarono i num vocant. Dolabelliana longissimi pediculi. loro autori cou pigliar nomi di cittadini le lleciPomponiana cognomine mammosa, Liceriana, miane, dalle quali venne poi il nome alle pus Seviaua, et quae ex iis naia suul, Turraniana, dodecimiane : le Dolabelliane, le quali soo certe longitudine pediculi distantia. Favoniana rubra, pere che hanno lunghissimo picciuolo, le Pom paullo superbis majora. Lateriaua, Aniciana post poniane per soprannome mammose : le Liceriaoe autumnalia acidulo sapore jucunda. Tiberiana le Seviane, e le Turraniane, che sono ual« «li que appellantur, quae maxime Tiberio principi pia· ste, e sono differenti per la lunghezza del pic cuere : colorantur magis sole, grandescontque : ciuolo. Le Favoniaoe son rosse, e poco maggiori alioqui eadem essent quae Liceriana. Patriae no delle superbo. Le Lateriane, e le Aniciane che mina habeat, serissima omnium Amerina, Picen vengono dopo l ' autunno, gioconde per lo sapore agretto che hanno. Tiberiane si chiamano quella tina^ Numantina, Alexandrina, Numidiana, Grae ca, et in his Tarentina: Signina, quae alii a sorte di pere, le quali piacquero mollo a Tiberio eoiore testacea appellant : sicut onychina, pur imperatore, e se per lo sole non si colorisscr più,e purea. Ab odore, myrapia, laurea, nardina. A non diventassero maggiori, sarebbono Licersene. tempore, hordearia : a collo, ampullacea : a corio Hanno il nome della patria le pere Amerine piò laueo, brula. Gentilitatis, cucurbitina : acidula, serotine di tulle l’ altre, le Picenlioe, le Numan succi. Incerta nominum causa est barbaricis, Vetine, le Alessandrine, le Numidiane, le Greche e nereisque, quae colorala dicunt : regiis, quae le 1 arealine : le Signine, le qaali alcuni chiama nteimo pediculo sessilia : patriciis, voconiis, vi no testacee dal colore; e le onichine, che sono ridibus oblongisque. Praeterea dixit volema Vir* purpuree. Dall' odore hanno preso il nome le gilius, a Catone sumpta, qui et semenliva, et mirapie, le lauree e le nardine. Dal tempo le or«Malea nominat. dearie : dal collo le ampullacee : dalla cute lanca le brulé. Le cucurbitane dalla soaiigliaou, e le acidule hanno preso il nome «lai sugo. Non hanno certa cagione del nèon loro le barbariche c le Veneree, le quali si chiamano colorale ; nè le re gie ancora, le quali hanno piccolo picciuolo. Souci ancora le pere patricie, le vocouie, le verdi e lunghe. Virgilio prese le volerne d · Ottone, il quale nomina ancora le sementive e le nwatee. D i m i foftim t a ai b t a u , c t k i l o d k d i i c x
p ia tio n e .
D b l l a d iy b b m t a D a' m s t l , b
m l l 'u t u iio m
DB 1 FOLGOBt.
XVII. Pars haec titae jampridem pervenit ad X VII. Iu questa parie l'ingegno è già uu tempo cotmen, expertis cuncta hominibus. Quippe quum venuto in colmo, avendo gli uomini follo pruova Virgili as insitam nacibos arbutum, malis piata- di tutte le cose. Perciocché Virgilio dice che il nam, cerasis ulmom dicat. Nec qaidquam am corbezzolo s' è innestalo sul noce, il platano sul plius excogitari potest. Nullam certe pomum melo, e Γ olmo sul ciriegio. Oramai non si poò novum dia jam invenitur. Neque omnia insita trovare più altro di nuovo : ed è certo che da misceri fas est, sicut nec spinas inseri, quando gran tempo in qua non si dà fruito di specie non
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H1ST0R1ABUM MONDI LIB. XV. folgora eipiiH non qoeunl facile: quotque ge nera, iosita fuerunt, tot fulgura uno iclu pròooniiaalur.
Turbinatior piris figura. In ii» serotina ad hiemera upque ad me Irem pendent gelu mature· scenti*, Graeca, ampoHacea, laurea : sicot in ma li· Amerina* Soandiana. Conduntur Tero pira, ut uvae, ae totidem modi* : neque aliud in cadis, praeterquam pruna. Pomis proprietas, pirisque ▼ini : similiterque iu aegrie raedentes cavent : ac vino et aqua coquuntur, alque pulmentarii vicem implent : qood nou alia praeter cotonea, et struthia. ,
De
p o m is s e b v a n d is , b t o v is .
XVIII. 16. In universum vero de pomis ser vandis praecipitur : pomaria in loco frigido ac ■ifceo coutabulari : septeratrioualibus fenestris se reno die pal'ere : austros specularibus arcere, aquilonis quoque adflatu poma deturpante ru gis. Colligi ma>a post aequinoctium autumnale, neqae ante xvi lunam, neque ante primam ho ram. Cadiva separari: stramentis, storeis, pa leis ve subeterni. Rara componi, ut limites pervii spiritum aequalem accipiant. Amerina maxime durare, melimela minime.
17. Cotoneis in concluso spiramentum omne adimendum, aut incoqui meile ea, immergive oportere. Punica aqua marina fervente indurari : mox triduo sole siccata, ita ne nocturno rore conliogantur, suspendi : et quum Iibeal uli, aqua dulci perlui. M. Varro et iu doliis arenae servari jubet : el-iiamatura obrui terra in ollis fundo effracto, sed spirilu excluso, ac surculo pice illi to : sia etiam crescere amplitudine majore, quain possint iu arbore. Celera mala foliis Bculnis, praeterquam cadivis, singula convolvi : cilisque vitilibus condi, vel creta figlinarum illini.
Pira in vasis fictilibus picatis inversis obrui iuter scrobes. Tarentina serissime legi. Aniciana servari et in passo. Sorba quoque el scrobibus, gypsato operata, duum pedum terra superin-
eooosciula. Nè tutti gK alberi si possono mescolar per innesto, come non si può sneo annestavo il pruno, poiché diffìcilmente si possono espiare i folgori ; e quanti generi furono annestati, tanti folgori si pr ottundano io un colpo. Hanno le pere la figura più tonda, pendendo neir appuntato. Fra queste le seroline staono sul pero lino al verno, maturando per lo gelo, com anco le Greche, I’ ampullacee e le lauree ; e frale mele le Amerine e le Scandiane. Conservami le pere come Γ uve, e per altrettanti modi ; nè altro fruito si roelle nei vasi, fuorché le susine. Le mele e le pere hanno proprietà di vino, e sì del* 1' une che dell’ altre i medici ne astengono gli ammalati : cuoconsi uel vin» e nell1 aeqoa, e sono in luogo di minestra ; il che noo si fa delle altre, salvo la cotogna e la atrutea. D sl
c o s s e b v a s l e m e le e l s
ove.
XVIII. 16. A conservare le mele#dassi qoesto universale ammaestri*mento, ehe il luogo dove si mellooo sia freddo e secco, e coperto di tavola, e che da tramontana le finestre stieno aperte, quan do il dì è sereno, e che non v' entri il vento da metzpgiornn, ancora che I· tramontana faccia avvizzire le mele. Debbonù corre le mele dopo l'equinozio dell'autunno, nè prima che a sedici dì della luna, nè innanxi la prima ora. Le cadute si mettono di per tp sopra stramazzi, stuoie o paglia, e inettousi rade, acciocché gli spazii la sciali piglino Γ uria eguale. Le Amarine dorano assai, e le melimele poco. 17. Le cotogne stieno rinrhinse sì che elle non abbiano spiraglio alcuno ; ovver bisogna cuocerle nel mele, o tuffìirvele dentro. Le mela grane iudurano con P acqua marina bollita : di poi stieno tre giurai al sole, e tengansi appiccate in nmdn che imn abbiano la rugiada della notte. Quando poi si vogliono adoperare, lavansi con acqua dolce. M. Varrone vuole rhe elle si con servino ancora ne’ dogli con Γ arena, e che quelle che non son mature, si mettano sotto terra io una pentola che abbi» rotto il fondo, ma però che Γ aria nou v* entri, e il picciuolo si» impeciato ( perciocché a questo modo ancora crescono in maggiore grandezza, che elle non farebbono solΓ albero. L’ altre mele si rivolgono nelle fogKe del tic©, che non sieno cadute, ciascuna di per sè, e ripoogonsi in ceste, o veramente s’ imbietaoo con terra da stoviglie. Le pere si mettono in fosse io vasi di terra volti sottosopra e impeciali. Le Tareolrae si ri* colgono tardi Le Aoiciane si conservano anche nel via cotto. Le sorbe si atei tono in fosse in vasi
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C. F U M I SECONDI
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a alcuni fichi Caloidici, i qoali fanno Ire vehe Panno, la Taranto solo nascono fichi dolcissimi, i quali sì chiamano οηφ. Catone ragiona in questo modo dei fichi : Calo «le ficis ila memorat : u Ficos mariscas ia loco cretoso aul aperto aerilo. In loco autem «, Pianterai i fichi roarischi in luogo magro e volto al sole. In luogo multo grasso, o concio col gras crassiore aal stercoratu Africanas, et Uerculaneas, Saguntinas, hibernas, Telanas al res pediculo lon sume, pianterai i fichi Africani, gli Erculauei, i Saguuiini, i vernerecci, i Tetani neri, che hanno go. * Postea tot subiere nomina atque genera, ut il picciuol lungo, n Sono verniti poi tanti altri vel hoc solum aestimantibus appareat, mutatam nomi e sorti di fichi, che questo solo ci può bene esse vitam. Sunt el hibernae, quibusdam pro far conoscere, che la vita sia mutata. Sono ancora vinciis, siculi Moesiae, sed artis, uon naturae. de' fichi vernerecci in certi paesi, siccome sono i Parvarum genus arborum posi auluranum fimo Mesti,ma piuttosto son opera di arte, che di natara. contengunl : deprehensasque in hieme grossos, quae mitiore caelo refo*sae cum arbore, atque ' Sonci degli alberi piccoli, che dopo l'autunno si cnoprono di lilame, e in quel tempo hanno fichi in lucem remissae, novos soles, aliosque, quam quibus vixere, avide, Uroquam iterum natae, , acerbi. Dipoi a primavera, quando Γ aria è ad aticipiuut: et cum ventealium flore maturescunt, dolcita, gli diseuoprono, ed essi come se di nuovo alieno praecoces anno, in tractu vel gelidissimo. fossero nati, ricevono il sole nuovo e di terso da quello, nel quale essi nacquero ; e così iu leaspo non suo, qaando gli altri gettano i fiori, essi son già maturati, ancorché il paese sia freddo. De
f ic is h is t o r ic a .
C b r h i s t o r ic i s o p r a 1 f i c h i .
XX. Sed a Calotte appellata jam tum Africa XX. Ma perchè Catone fa menzione del fioo Africano, e' mi fa ricordare, come egli se ne servì a na, admonet et Africae, ad ingens documentum danno dei Cartaginesi. Perchè avendo egli preso ■eo eo pomo. Namque perniciali odio Carthaginis grande odio conlra Cartagine, e desiderando flagrans, nepolumque securitatis anxius, quum mollo di provvedere alla sicurezza di coloro che clamaret omni senatu Carlhagineaa delendam, attulit quodam die iu curiam praecocem ex ea avevano a nascere dopo lui, ed essendo egli in senato, per persuadere che Cartsgine si dovesse provincia ficum : ostendensque patribus : u In disfare, portò un giorno un fico fresco primatic terrogo vos, inquit, quando haac pomum dem cio, che era venuto di quel paese. E mostrandolo ptam putetis ex arbore ? « Quum inler omnes ai senatori, disse loro : κ lo saprei volentieri da recentem esse constarci: u'Atqui tertium,inqoit, voi di quanti dì credete che questo fico sia stalo 'ante diem scitote decerptam Carthagine : lam prope a muris habemus boetem. n Slalimque colto dall' albero ?» E accordandosi tutti, che il sumptum est Punicum tertium bellum, qno Car fico fosse molto fresco, disse : u Sappiate, signori, thago deleta est : quamquam Caioue anno se che oggi è il terzo giorno che qaesto fico era a quente rapto. Quid priinum in eo miremur ? Cartagine ; così presso alle mura di Roma abbia curatta ingenii, an occasionem fortuitam, celeritamo il nimico, n Per la qual cosa subito si feTim temque cursus, an vehementiam viri? Super presa della terza guerra Cartaginese, oella quale omnia «st, quo nihil equidem duco mirabilius, Cartagine fu disfatta, ancorché 1' anno segoente tantam illam urbem, et de terrarum orbe per Catoue morisse. Cbe cosa dunque giudicheremo •cxx annos aemulam, uuius pomi argumento ever più degna di maraviglia in lui, o la prontezza sam : quod non Trebia, aut Trasymenus, non dello ingegno, ο Γ occasione forluita ? o la velo Cannae busto iusignes Romani nominis perficere cità del navigare, o la veemeuza di tale uomo ? lo potuere : non castra Punica ad tertium lapidem sopra'ogni altra cosa reputo gran maraviglia, cbe vallala, portaeque Collinae adequitans ipse Han così gran città, la quale cento venti anni aveva combattuto Γ imperio del mondo, ruinasse per nibal. Tanto propius Carthaginem pomo Cato mezzo d 'un frullo; quello che non poterono admovit. fare Trebbia, Trasimeno, nè Caune, nobilitali per la uccisione di tanti Romani ; non i campi Cartaginesi posii tre miglia presso a Roma ; nè metto A'nnibale, il quale cavalcò fin sulla porla Collina. Taoto più appresso a Cartagine s' accostò Catone con un fruito.
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HIST0R1AR0M MUNDI UB. XV.
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Colilor fieus arbor io fora ipso ac oomitio Romae nata, sacro fulguribus ibi condì ds : migisque ob memoriam ejus, qnae notrix fuit Ro muli ao Remi.oonditoris, ruminalis appellata» quoniam «ob ea inventa esi lopa iofantibas prae bens rumen (ita vocabant mammam) : miraculo es aere justa dicato, tainqoam in comitium sponle transisset, Atto Navio augure. Illic aie> scit : rarsosque cura sacerdotum seritor. Fuit et ante Saturni aedem, Orbis anno c c l x , sublata, sacro a Vestalibus facto, quum Silvani simula crum subverteret. Eadem fortuito satu vivit in medio foro, ‘qua sidentia imperii fondamenta ostento fatali Curtius maximis bonis, hoc est, virtute ac pietate, ac morte praeclara expleverat. Aeque fortuita eodem loco est vilis atqoe olea, umbrae gratia, sedulitate plebeja satae. Ara inde sublata gladiatorio manere divi Julii, quod no* vissime pognavit in foro.
£ onoralo Γ albero del fico nato a Roma nel foro, e io quel luogo del comizio ch’è saoro pegli avaozi delle folgori sotterratevi ; ma molto pià per la memoria di qoel fico che fu chiamalo balio di Romolo e di Remo, perchè sotto esso fu trovaia la lupa, che dava a questi fanciulli ramen (cosi si chiamava la poppa). V’è appresso dedicato il miracolo scolpilo in brooio, come se quel fico fosse volontariamente passato nel comizio al tem po dell1augure Atto Navio. Quando si secca, di nuovo si piaota per cura dei sacerdoti. Fu ancora on fico ionfinsi al tempio di Sataroo l’ aono dageolo sessanta dopo l’ edificazione di Roma, le vatone via, dopo an sacrificio fattovi dalle ver gini Vestali, perchè roioava il simulacro di Sil vano. 11 medesimo fico piantato a caso vive ia mezzo il foro, là dove Curzio per fatai portento riempiè oon grandissimi beni, cioè con virtù, con pietà, con onorata morte la voragine, che pareva volesse sprofoodare i foodamenti dell* impero. NelP istesso laogo è una vite e an ulivo aato a caso, e conservato diligentemente dalla plebe per hre ombra. Fu di qnei luogo levato un altare negli spettacoli gladiatorii dell’ imperator Giolio, i quali gladiatori farono gli ultimi che combatte rono nel foro.
D b CAPH1FICATIONB.
D e l l a c a px if ic a z io u b .
XXI. 19. Admirabilis est pomi hujusee festi XXI. 19. Maravigliosa è la prestezza di que sto fratto, perchè esso solo fra tutti gli altri si natio, unius in cnnetis, ad maturitatem properan tia naturae. Caprificas vocatur e silvestri genere affretta di metatarsi non per altra arte, che di ficus numquam maturescens, sed quod ipsa aon natura. Caprifico si chiama il fico salvatieo, il qoale non matura mai, ma dà ad altri quello che habet, aliis tribuens : quoniam est nataralis cau sarum transitu·, atque e putrescentibus identi esso eon ba ; perchè è naturale il trasferirei una dem generator aliqaid. Ergo calices parit : hi causa odi’ altra, e dalle cose putrefatte di quaofraudati alimento in matre, putri ejus tabe, ad do io qaando se ne genera alcao' altra. Egli fa cognatam volant : roorsuqoe fieorura crebro, hoc dooqae le zanzare, le quali non avendo alimento est, avidiore pasta aperientes ora earum, atqoe nella madre, per la putredine eh* essa ha, volano ita penetrantes, intus solem primo secnm indu al fico dimestico di loi parente, e spesso mordendo cant, oerealesque aoras immittant foribus ada i fichi, ovvero ingordamente pascendosi, aprono pertis. Mox lacteum hamorem. hoo est, infantiam le bocche d* essi, e così peoetrando mettono den pomi, absumunt : quod fit et sponte. Ideoque tro seco il sole, e fanoo entrar per le aperture ficetis caprificas praemittitor ad rationem venti, Γ aria che gli matura. Consumano poi il latte, nt flatns evolantes in ficos ferat, lude repertore, eh1 è la fanciullezza del frutto, il che si fa ancora a t illatae quoqoe altande, et inter se colligatae per opera di natura. E perciò ai ficheti si pone in injicerentur fico : quod ia macro solo et Aquilo nanzi oo caprifico da quella parte che suole esser nio non desiderator: quoniam sponle arescunt domioata dal vento, acciocché le zaozare in vo loci sita, rimisqae eadem, qoae culicum opera, lando ne sieno spinte sai fichi. Per questo s’ è caasa perficit (necooo abi multus pulvis: quod trovato di pigliar le zanzare acche d’ altronde, e evenit maxime frequenti via adposita : namque legate porle soi fichi, i qoali si vool che matarino; et pulveri vis siccaodi, succumqoe lactis absor la qual cosa non accade che si faccia nel terrea bendi ) : quae ratio, pulvere et caprificatione boc magro, e volto a tramontana, perciocché da loro quoque praestat, ne decidant absumpto humore stessi si seceano per la qualità del laogo, e per le tenero, et cum quadam fragilitate ponderoso. fessure che faano il medesimo effetto, che le zan zare: qoesto interviene similmente dov'èdì molta polvere, a! fichi che sono presso « qualche via
C. PUNII SECONDI
Ficu mollis omnibus laetus: n tlarii fran to li intas: suocus maturescentibus belò, percoctis mellis. Seaescuat io arbore, anusque distillasi gummium lacryma. Siccas hooos buuliUi «errai kt capai*, E buso insula praestantissimas, uapliuimasque, mox ia Marrucinis. At ubi copia abundat, implentor orcae in Atia, cadi aot in Ruspina Africae orbe : panisque simul el obsonii vicem siccatae implent: utpole qaum Calo cibaria raris qperariis. justa ceu lege sanciens, minui jubeat per fici maturitatem. Cam recenti fico salitis vice quei vesci, nuper excogitatum est. Ex hoc genere sunt, ut diximus, cottana, et caricae, quaeque conscendenti navim adversas Parthos omen fecere M· Crasso, venales praedicantis vooe, oaonaeae. Oroaia haec in Albense rus e Syria intulit L. Vitellius, qai postea censor fuit, qunra legatus in ea provincia esset, novissimis Tiberii Caesaris temporibus.
M b sp il o b u v g b k b b a . m .
XXU. ao. Malorum pirorumqùe geu eri adiramerentur jure mespila atque sorba. Mespilis tria genera, aulhedon, setania*. tertium degenerat, ^nlbedoui tamen similius, quod Gallicum vocant. Setauiae majus pomum candidi usque, acini mol liore ligno: ceteris minus pomum, sed odore praestantius, et quod diutius servetur. Arbor ipsa de amplissimis. Folia, antequam decidant, rubescunt : radices multae atque altae, et ideo inexstirpabiles. Non fuit haec arbor in Italia Catonis aevo.
SOBBOBUU GEEBBA. IV.
frequentata ;
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XXII. ao. Le nespole e le sorbe sì possono ragionevolmente annoverare fra le mele e le pere. Le nespole sono di tre sorti, 1' antedone, e la se tania : la terza traligna, benché sia più simile alΓ antedone, e chiamasi Gallica. La aetaain è mag giore e più bianca, e ha gli acini e il legno più tenero. L 'altre hanno minor frutto, ma più odo roso , e durano più. L’ albero è de' graadissUai. Le foglie, innanzi che cagliano, diventano rosse: hanno molte radici, e sparte, e per questo non si possono svellere. Questo albero non era in Italia al tempo di Catone. Qnm »
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XXIII. a i. Sorbis quadruplex differentia. Aliis XXIII. ai. Le sorbo sono di quattro sorti; enim eorum rotunditas mali, aliis turbinatio piri, perciocché alarne d 'esse sono tonde come male, fliis ovata species, ceu malorum aliquibus : haec alcune agnsae come pere, e altro ovata, coma soo obnoxia acori. Odore et suavitate rotunda prae certe mela; qoeste rinforzano tooio. La tonda cellunt: ceteris vini sapor: generosissima, quibus sono piè odorose a piò dilicate che lo altre. L'aitre hanno sapor di vino. Eccellentissime sono «irca pediculos tenera folia. Quartum genu» tor minale appellant, remedio tantum probabile, quelle cbe hanno le foglie tenera intorno il pie-
HISTORIARUM MONI» UB. XV. •ssiduum provento, Tnihimumque pómo, arbore ■dissimile, foliis paene pistoni. Non fenint anta triaautum ex uH· genere. Ceto et torba condì •apelrédit.
Nucon c u i i i ix.
i39o
duolo. La quarta sorte ai chiama torminale: qnéste si ritengono buone per medidna ; proven gono in quantità e son di piccolissimo fratto. L’ albero ì disfereoziato, ed ha foglie come di platano. Nessona di queste sorti fa fratto innanxi il tetto anno. Catone vuote ehe le sorbe si con servino nella sapa.
U rn a
di soci.
XXIV. m . Ab bit locare amplitudine vindicaXXIV. aa. Dopo qaeste s 'hanno acquistato Terunt,quae cessere auctoritati, nuces juglandes: il laogo per la grandezza loro le noci, le quali quamquam et ipsae nuptialium Fescenoinorata son da meno quanto a riputazione, benché ancora comites, multum pineis minores universitate* esse nelle nozze entrino tra le Fescennine lascivie, eaedemque portione ampliores nucleo. Nec non e benché sieno molto minori, che le pine in uni et honor his natorae peculiaris, gemino protectis versità, ma in proporzione maggiori di nocciolo. operimento, pulvinati primum calycis, mox li Hanno qoeste ancora peculiare onore di natura, gnei putaminis. Quae causa eas nuptiis fecit perché hanno due coverte, la prima come di calice religiosae, tot modis fetu munito : qnod est veri piumato, l’ altra un guscio di legno. E perchè in similius, quam quia cadendo tripudium sonivium tanti modi è fortificato il parto loro, viene lor laciant. Et has e Perside a regibus translatas, (ributta virtù religiosa nelle nozze, régiooe pià indicio sunt Graaca nomina. Optimum quippe verisimile, ehe perchè cadendo faedano strepito earum Persicum atque Basilicon vocant. Et haec e suono. Che poi qoeste fossero trasportate di fuere prima nomioa. Caryon a capitis gravedine, Persia dai re, ne fanno segoo i nomi Greci. Per propter odoris gravitatem convenit dictum. Tiil·* ciocché essi chiamano la miglior sorte Persica, e gontur cortice earum lanae, et rufatur capillus Basilica. E qoesti furono i primi nomi. Fu anche primam prodeuntibus nuculis : id compertum in detta carion per lo doloreche arreca al eapo con la fectis tractatu manibus. Pinguescunt vetustate. gravezza dell4odor suo. Tingonsi con la corteccia loro le lane, e col mallo di essenoci si fanno rasse gni i capegli. S’ è trovato che le mani si sporcane col maneggiarle. Ingrassano per la vecchiaia. La differenza loro è solo nel gascio, o duro o Sola dififerentia generum in putamine duao fragile, sottile o grosso, grinzoso o pulito. Questo fragilive, et tenui ac cfaaao, loculoso et simplici. Sol uro hoc pomum natura compactili operimento frutto solo fn dalla natura rinchiuso in un guscio elausit. Namque sunt bifida» putaminum carinae, commesso di due pezzi. Perciocché i gusci sono co nucleorumque alia quadripartita distinctio, lignea me due navicelle, e il nocciolo di dentro è compar tito in quattro, framettendosi tra le parti sue una intercorsanle membrana. Ceteris quidquid est, aolidum est, ut in avellanis, et ipso nucum genere, pdlidna di legno. Gli altri frutti di gusdo son tutti qoas antea Abellinas patrio nomine appellabant. di un pezzo, come le avellane, che pur vanno nd In Asiam Graeciamque e Ponto venere, et ideo genere delle noci, le quali innanzi col Uome della Ponticae nuces voesntulr. Has quoque mollis pro patria loro si domandavano Abelline. Queste in tegit burba. Sed putamini nudeisque solida ro Grecia e in Asia vennero di Ponto, e peirciò si tunditas inest. Eae et torrentur. Umbilicos illis chiamano noci Pontiche. Queste sono coperte intus in ventre medio. Tertia ab his natara amyg ancora da una tenera barba, ma il gusdo e il dalis, tenuiore, sed simili juglandium summo nocciolo è tondo. Esse anco arrostisconsi. Hanno operimento: item secando putaminis. Nudeus il bellico dentro a mezzo il ventre. La terza na 'dissimilis latitudine, et acriore callo. Haec arbor tura è quella delle mandorle, le quali hanno la 'an foerit in Italia Catonis aetate, dubitatur : quo coverta di sopra sottile, simile a quella delle no niam Graecas nominat, quas quidam et in juglan ci, e il secondo gusdo di membrana. Il nocciolo è dium genere servant. Adjicit praeterea avellanas, disiimile, più largo e più sodo. Noo si sa se que et galbas, Praenestioas, quas maxime laudat, et sto albero fosse in Itàlia ài tempo di Catone, per conditas ollis in terra servari virides tradit.Nunc chè ei fa menzione delle Greche, le quali alcuni Thasiae, et Albenses edebrautur, et Taréntinarum mettono nd nomero delle noci. Oltra di ciò agduo genera : fragUì putamine : ac duro, qnae giugne le avellane, le galbe, e le Prenesrine, le annt et amplissimae, et minime rotundae. Prae quali loda grandemente, e diee che sotterrandole terea rooHutoae putamen rumpentes. Saot qai in pentole di terra, si mantengono verdi. Ora
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ι35*
C. PLINH SECUNDI
honoris nomen iuterprelantur, el Jovis glandem eu* dicant Noper consularem virum aadivi bife ra· et juglandes noce* habere ae profitentem. De pistadis et ipsi retulimus. Et haec aotem idem Vi tellius in Italiam primus intulit eodem tempore: aimnlqoe in Hispaniam Flaccus Pompejos eques Romanos, qui cnm eo militabat.
son eelebrate le Tasie,' le Albensi, t due speci· ancora delle Tarentine, che hanno il guscio te nero : duro lo hanno quelle che eon pià grandi e non tonde. Sonci anco le mollusche, le qaali da sè rompono il guscio. Sono di quei, che ne interpretano il nome onorevolmente, e dicono che iuglande vuol dire ghiande di Giove. Non è molto, ch'io intesi da uno ch'è stato consolo, com'egli ha noci, che fanno frutto due volte l 'anno. De' pistacchi abbiamo ragionato altrove. II primo che portasse in Italia aOche qnetti nel tempo stesso, si fu ViteUio ; e in Ispagna Fiacco Pompeo cavalier Romano, il quale militava oea esso lui.
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D ic io t t o Di castaqbb .
XXV. a3. Nuces vocamus et castaneas, quam XXV. a3. Chiamiamo noci ancora le castagne, quam aecomodatiores glandium generi. Armatum benché più accomodatamente si dovessero met iis echinato calyce Talium, quod inchoatum glan tere nel numero delle ghiande. Armanai di ric dibus. Mirumqoe, vilissima esse quae tanta oc cio, ovvero d 'ona boccia a ponte sembiante a cultaverit cura naturae. Trini quibosdam partus riccio, la qoale nelle ghiande v* è appena. Ed è ex uno calice, cortexque lentus. Proxima vero maraviglia, come elle sieno vilissime, avendole corpori membrana, et in his, et in nucibus sapo la natura ascose con lenta cura. Sono tre alcu rem, ni detrahatur, infestat. Torrere has in cibis ne volte In un ricrìo, ed hanno guscio pieghe gratius. Moluntur etiam, et praestant jejunio fe vole. Presso il corpo hanno un pannicolo, il quale minarum quamdam imaginem panis. Serdibus se non A leva, guasta il sapore, come nelle doc». eae provenere primum. Idto apud Graeeos Sar Le castagne arrostite sono dbo molto grato. Fes dianos balanos appellant: nam Dios balanum sene ancora farina, e molte donne ne mangiano postea imposuere excellentioribus satu factis.Nunc in cambio dì pane. Questo frutto venne prima plura earum genera. Tarentinae faciles, nec ope da Sardi, e perdò i Gred le chiamano ghiande rosae cibo, planae figura. Rotundior, quae bala- Sardiane ; e solo più tardi s* impose il nome di aitis vocatur, purgabilis maxime, et sponte pro ghiande di Giove a quelle, che per innesto erano siliens. Para et plana est ex eis et Saiariana : Ta divenute migliori. Ora oe ne sono di molle sorti. rentina minus tractabilis: laudatior Corelliana,et Le Tarentine son maneggevoli, e senia fatica se ex ea facta, quo dicemus in insilis modo, Ete- ne fa cibo: sono di figura piana. Piò tonda è reiana, quam rnbens cortex praefert triangulis, quella, che si chiama balanite, la quale ai può fa el popularibus nigris, quae coctivae vocantur. cilmente purgare, e per sé medesima esce della Patria laudatissimis Tarentum, et in Campania buccia. Para e piana è la Saiariana: la Tarentina Neapolis. Ceterae suum pabulo gignuntur, scru è manco trattabile : piò lodala è la Corelliana, e pulosa corticis intra nucleos quoque ferrumi quella che nasce di essa, come diremo nel trat natione. tato de'nesti, e che è delta Etereiana. la quale per la sua corteccia rossa si prepone alle triangolari, non che alle volgari nere, le quali ai chiamano cottive. Le migliori castagne nascooo a Taranto, e nelle terre di Napoli. L'altre sono posto di porci, ed han boccia scabrosa, la qoale si attacca alla castagna. S iliqua · .
D b llb
siu q u b .
XXVI. «4* Haud procul abesse videantur et XXVI. >4· Noo son gran fatto differenti dalle praedulces siliquae, nisi quod in iis cortex ipse castagne le silique dold, se non che in queste si manditur. Digitorum omnis longitudo illis, et mangia ancora la corteoda. Esse sono lunghe interim (ideata, pollicari latitudine. Glandes inler quanto le dila degli uomini, e son talora Calcate
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XV.
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poma numerari noa ponunt : quamobrem in vaa (tatara dùentor.
e larghe cóme il dito grosso. Le ghiande non si possono annoverare tra i pomi, e però ne parle remo al suo luo luogo.
D b cabbosh poma. D b n oti*.
D b * pomi c a r n o s i. D b l u a o a s .
XXVII. ReHqoa carnosi sant generis: eaqoe XXVII. Gli altri sono carnosi, e sono diffe renti per le coccole e per la carne. Altra carne baccis atqna carnibus distant. Alia acinis caro, alia morii, alia unedonibus: et alia acinis ìnter hanno gli acini, *altra le more* altra le corbez catem succumque, alia myxis, ali» baccis, at oli· zole, altra gli acini tra la pelle e il sago, altra le miste, ahra (e catosalss eomè le alive. Le more fi». Morie snccus* in carne vinosas : trini colore·, candidai primo* mox rabens, mataris niger· In hanno il sugo vinoso nella carne. Sono di tire novissimis florent, inler prima maturescant. Tin colori, il primo è bianco, il secondo rosso, e quando son mature nero. Le more sono delle ul gant manas sacco matara, eloant acerba. Minitime a fiorire* e delle prime a maturarsi. Quantotum in bae arbore ingenia profecerant, neo fiominibus, nec insitis* nec alio modo, qaam pomi 4» soa malore, tingono le maoi col sugo ; e qoaad· soao acerbe, le lavano. In questo albero magnitudine. Differunt mora Ostiensia, et Tuscu lana Romae. Nascuntur et in rabis, maltam dif gl’ ingegni hanno poco profittato, nè con nomi, ferente cillo. nè con nesti, nè hanno trovato di piò che di po terne aumentare la grandezza del frutto. In Roma si fa differeoza tra la more di Ostia e le Τα «coltane. Nascono ancora ne' rovi, molto differenti di callo. D b uftBDon.
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XXVIII. Aliud corpus est terrestribus fragii, XXVIII. Altro corpo hanno le fragole terre stri, e altro lo corbezzole della specie asedesima, aliod congeneri eorara anedoui : qaod . solam H qual solo frutto è simile al frutto di terra, ov pomum simile frodai terrae gignitur. Arboyipsa fruticosa. Fractas aano maturescit: pariterque vero alla detta fragola. Questo albero è cespu glioso. Il fratto suo si matura in un anno, e pa floret subuascens, et prior coquitur. Mas sit, aa femina sterilis, inter auctores non consta t. Po rimente fiorisce quello che è nato poi, e maturasi mum inhonoram, at cai nlmen ex argameato il primo. Gli autori non sanno, se quel eh' è ste fit, a nam tantam edendi. Daobos tamen hoc uo- rile è il maschio, o la fem mina. 11 frutto è diso minibus appellant Graeci, comaron et roemecylon: norato, il che dimostra bene il suo nome di une qao apparet totidem esse genera. Et apud nos alio done, cioè che un solo se ne mangi. Nondimeno nomine arbutos vocator. Juba aoctor est, quini Greci lo chiamano in due modi, cioè comaro e qoagenum Cubitorum altitudine in Arabia esse memecilo. Di qui si conosce che ne sono due eas. sorli. Noi per altro vocabolo lo chiamiamo arbu to. Scrive Giuba, che in Arahia sono corbezzoli alti cinque braeda. Acnroatm
ratu bab .
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h atdba d eg li a cibi .
X XIX. Acinorum qooqae magna est diffe XXIX. Gran differenza è negli acini ancora : rentia. Primam inter uvas ipsas callo, teneritate, prima tra esse uve per lo callo, tenerezza, gros 'crassitudine, interiore ligno, aliis parvo, et aliis sezza, e pel granello legnoso, coi altre viti haano piccolo, altre doppio, e qoeste fanno poco vioo. etiam gemino, qoi minime feraces masti. Pluri mam vero differunt ederae sambociqae acini : et Molto sono differenti gli acini dell'elera e del figura etiam Panici, angulosi quippe soli. Nec sambuco, e per la figura qaegli delle melagrane, catis olla singulis, praeter communem, quae est i quali sono anguiosi. Questi non hanno boccia candida. Totisque saccus et caro est, iis praeci alcuna, fuor che la cornane, la quale è bianca. pue, qaibus parvolam inest ligni. Tutti hanno sago e carne, massimamente qaegli che hanno piccol nocciolo. Magna et baccis differentia. Aliae namque Gran differenza ancora è nelle coccole, per sunt olivis, lanris : et alio modo loto, cornis: alio ciocché d 'un modo Γ hanno gli alivi e gli allori, myrtis, lentisco. Aquifolio enim ac spinae sine «l'un modo il loto e il corniolo, e d 'un altro la
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C. PUNII SECUNDI
suceo t m e d i t i etiamnum genere inter haocas acinosqee cerasi ti pomuro hi· primo «adidam, el fere omnibus bacds. Hot aliis virescit, Qt oli· vis, lauri* : rabet vero mori·, cerati·, corni·. Deio
C u ito lu i o u n i i%>
mortine e il lentisco. L ' aquifolio « k spina bea no le coccole senza sugo : il cirìegi· è in meta» tra le coccole e gli acini. Il oolore in presso che tutte le coccole è prima bianco. Dipoi in altre diventa verde, come nell’ ulivo e neU>Uoro ; ma nelle more, ciriegle e corniole rosseggia. Dipoi ù i i nero nelle more, nelle ciriegie a neUe uliva. Novi
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XXX. a5 . Cerali anle vietori aen Mithridati* XXX. aS. Non furono eiriegi in Italia annali· ■cara L. IjOcuIU non faere in Italia, ad Urbi· an· «I la vittoria, che L. Lncullo ebbe oontra Mitri· date. Egli fn il primo, cbe gli portò di Poni» « ο · d c l x x x . I· primum vexit e Ponto : anni·» que cxx Iran· Oceanum iu Britanniam nsque seicento ottanta anni dopo la edificazione di fitt pervenere. Eadem, ni diximus, in Aegypto nulla ine, e di là a cento venti anni passarono oltre cura potuere gigai. Cerasorem Apromana mari aaare fino in Inghilterra. In Egitto, come dicem mo, per diligenza che vi si mettesse, non pote tine ruhent : nigerrima sunt Lutatia: Caeciliane vero rotunda. Juniani· grata· sapor, sed paene rono mai vivere. Le ciriegie Aproniane sone molto rosse : le Lutazie son nerissime': le Ceri· taotom sub arbore sua, adeo teneris, ut gestatum w » tolerent. Principatus duraftinis, quae Plinia» liane son tonde. Le Giuntane sono di grato sa pore, ma sotto l’ albero soo, perchè tanto soo na Campanili appellat : in Belgica vero LunUait In ripis etiam Rheni, tertios iis colos e. nigro ae tenere, che non si possono pur portare. Il prin rubenti viridique, similis maturescentibus scra cipato ottengono le duracine, le quali in Terra per. Minus quinquennium est, quod prodiere, di lavoro si chiamano Pliniade; e in Fiandra le quae vocant laurea, non ingratae amaritudinis, Lusitaoie. Sulle rive del Reno hanno un terzo insitae in lauro. Soni et Macedonia parVae ar colore fatto di nero, rosso e verde, e pare che boris, raroque tria cubita «xcedentis : et minore non sieno mature, ma sempre per maturare. etiamnum frutice, chamaecerasi. Inter prima hoc Maneo di cinque anni sono, che comparvero le lau e pomis colono gratiam annuam refert. Septem· ree, cioè innestate nell' alloro, e sono graie per trione frigidisque gaudet : aiccalur etiam sole, an certo amarognolo che rintengoao dell'alloro» conditurque, ul oliva, cadis. Sonci ancora le ciriegie dette Macedoniche : no· soono di albero piccolo, e rade volte p ii alto ehe tre braccia $ e d 'no minore ancora nascono quelle che si chiamano camecerase. Questo è de' primi frutti che dì profitto l* anno al wo lavoratore. Ama i luoghi freddi, e settentriona li. Seccasi1al sole, e si conserva, come Γ uliva, ne' vasi. C o m ia : LBBTisa.
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c o & r i o lo : d e l l e i t t i s c o .
XXXI. a6. Quae cura et oornU, atque etiam XXXI. a6. Mettesi aocora gran cnra e dili lentisco adhibetur, ne quid non hominis ventri genza nel corniolo e nel lentisco, acciocché noe natum esse videatur. Miscentur sapores, et alio ci sia oosa alcuna, la quale non paia esser nata alius placere cogitur. Miscentur vero et terrae pel corpo dell' uomo. Mescolanti insieme i sapo coelique tractos. In alio cibi genere India advo ri, e cosi Γ uno è sforzato a piacere per rispetta cator, in alio Aegyptus, Creta, Cyrene singulae- dell'altro, e mescolaosi conducendogli di divenà que terrae. Nec cessat iu veneficiis vita, dum paesi. Perchè allra sorte di sapore ai cava d 'In modo omnia devoret. Planius hoc fiet io herba dia, altra d'Egitto, di Creta, di Cirene, e di cia scuna contrada. Nè anco la vita oostra si guarda rum natura. dalle coie velenose, por eh' ella divori ogni cosa. Di questo si ragionerà più diffosameote netta natura dell' erbe.
HISTORIARUM MUNDI MB. XV. S ocoom » B i i n u n u i s u i.
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T u n o soan
d i sughi.
XXXII. »7.-lBterim qoàe «mi coitomunla et X X X U .a;. Tredici » truovache sono le sórti pomi· omitibuaque succi*, saporùm genera m i «lei Sapori comuni a' fratti, e a tutti i sogbi reperiuntar : dulcis, tua vis, pinguis, amaros, dolce, soave, grasso, amaro, austero, agro, acolo, i austeras, acer, acatos, acerbas, addo·, tabo·. acerbo» acetoso, salso. Olirà di questo ne sono \ tre sorti di mirabil natura. Una, nella quale pari Praeter haec, tria sani genera mirabili masime mente si sentono più sapori, siccome sono i vini. natara. Unam, in qao ploras paviter sentiantur Perciocché in essi è l’ austero, I' acato, il dol sapores, ut vinis. Namque in hia et austeras, et aeutas, et dulcia, et suavia : omnes alieni. Alteram ce e il soave, ta lli sapori alieni. Écci un' al-1 est genus, in quo «it et alienas quidem, sed et tra specie, che ha il sapore alieno, ma ancora oa i certo suo proprio, come è il latte. Perciocché: suas qaidam ac peculiaris, ut in laete. Siquidem egli ha aon so che, che ragionevolmente non «i ioest ei, quod tamen j are dici daloe, et pingue, pud dir doloe e gratto e soave, ma ona caria ' et suave non posset, obtiueote lenitate, qoae ipsa «Occedit in saporis vicero. Nullus hie aquis, delieatessa, la quale soecede in laogo di sapore^ I/ acqua non ha sapore alcuno, nè anco sugo, ne soccus quidem, ot tamen eo ipso Aat aliquis, nondimeno per ciò medesimo essa vuoisi avere! ae suam geno· CuiaL Sentiri quidem aqoae sa* porem illuni Micoamve, vitium est. Magnum «his per uq sugo che forma uoa specie al tutto prò· omnibus io odore momentani, el magna oognatio, pria. Perdocdbè il sentirei che l’ aoqua abbia sa qai ipse nullus est aquis : aut si sentitur, omnino pore o sogo alcuno, è difetto. Tutte queste cose, vitium est. Mirum, tria naturae praecipua ele haooo relatione e somjgliansa grande D ell'odore,, menta sine sapore esae, «ine odore, «ine socco : il quale uon è punto nell' aequa ; o se si sente, è difetto. Ed è gran maraviglia, che tre priodpali aquas, aera, igoea, elementi della natura sieno sensa sapore, sensa odore e sensa sugo : l ' aoqua, 1' aria e il fuooo.
De c o L o a s succi, s t
od o se.
D b l qoloes
a odore d* l
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28. Hanno sugo vinoso la pera,la mo XXXIII. 28. Ergo succorum vinosi piro, XXXIII. ra e la mortine, e quel che pare gran maraviglia, moro, myrto minime (quod miremur) uvia. At pingue· olivae, lauro, nuci juglandi,, amygdalis : l ' ove ne hanno pochissimo. Sogo grasso ha la dulces uvis, ficis, patpais : aquosus proni·; Magna oliva, l'alloro, la noce e le mandorle: dolce l ' uve, i fichi e le palme : aquoso le susioe. Gran (Jifferenlia et ia colore succi. Sanguineus moris, cerasis, corius, uvis nigris. Idem albis candidus. differenta è aneora nel colore del sogo. Sangui Lactem· io capite ficis, in corpore non itera : spur gno è quello delle more, delle .ciriegie, delle mena mali·: nullus Perside, quum praesertim corniole e dell* ove aere} e bianco quello delle duracina -succo abuudent : .sed quia ejus ullum bianche. Il capo dei fichi ha «ago di latte, ma dixerit oolorem f Sua et in odore miraeula. Mali· non gii il corpo : le mele hanno «Ugo schiumoso, acutus, ,Per*ids dilutus, dulcibus nullus : nam et le pesche non haoeo sugo veruno, ancora che le viuuM) tale sine odore : tenue odoratius : multo- duracine ne abbian molto ; ma ehi dirà che que que celerius talia ad usuro veniuot, quam pinguia. sto sago abbia colore alenilo ? L 'odore ancora Qoae odorata, non ead/em in gusto tenera : quia esso ha le sue maraviglie. Le mele l'anno acuto, le pesche leggero: i frutti dold non ne hanno nns sunt pariter odor et sapor. Quamobrem ci treis odor acerrimus, sapor asperrimus: quadam niuno ; e però oè anche il vin dolce ha punto di odore : il sottile è più odorifero ; e molto più tenus e l cotoneis : nullusque odor ficis. presto le cose tali vengono iu uso, che le gras*e non Canno. Quelle che sono odorifere, non sono gioconde al gusto, perchè non van dei pari l ' Od dere e il sapore. Però i cedri hanno odore agro, e sapore mollo aspro, e le cotogne anch'esse fino a un certo grado : i fichi non hanno odor veruno.
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C. PUMI SECUNDI P o iw r a
R A v n a v itu m i.
XXX.IV. Et hacteno· tiot «pecte· ac gea era pomorum, natura· arctius oolligi par est. Al ia siliqoie gignuntor, ipsi· dnlciba·, semenque complexi· amaram : qaam in plariba· Maini pla ceant, in siliqua damnentur. Alia bacois, qaaram inlai lignum, et extra caro, at oliri·, cerasi·. Ali quorum iota· baccae, fori· lignum, ut his qaae in Aegypto diximas gigni. Qaae baccia natura, eadem et pomis. Aliorum iatu· corpus, et foris lignam, ut nucum. Aliis foris corpus, intus Ii» guum, at Persici· el prnni· j vitiumque cinctam fraeta, qaam fructas alibi maniatar vitio. Puta mine clauduntor nuoes, corio castaneae. Detra hitur hoc iis : at in mespilis maoditar. Crosta tegantur glande· : cate arae, oorio et membraoa Punica. Carne et sncoo mora ooostant, cate et •acco cerati. Qaaedam statim a ligno recedunt, ut nuce·, et palmae. Qaaedam adhaerent, at oli vae, lauriqae. Qaorumdam generi utraque est natura, ut Persicis. Etenim duracini· adhaeret corpus, e lignoqne «velli nequit : qaum in ceteri· facile separetur. Quibusdam nec Intus, nec extra lignum, ut in palmarum genere. Aliquorum li gnum ipsam in ani et pomi vice, at generi amyg dalae, qaam in Aegypto gigni diximus. Quo rumdam extra, gemina geminantor vitia, ut in castaneis, amygdalis, nocibutqae juglandibas. Qaorumdam natara trigemina est : corpus, de* inde lignurai, rarsuiqae semen ia ligno, ut Persi cis. Quaedam inter ae densa, ut uvae, sorba : qaae ramos circumdata ex omni parte uvarum modo degravant. Alia rara, ut in Persicis. Qaaedam alvo continentur ut granata. Dependent alia pe diculi·, ut pira. Alia raeemis, at uvae, palmae. Alia et pediculis et racemis, at ederae, sambuci. Alia ramo adhaereat, at in laaro. Qaaedam utro que modo, ut olivae. Nam et breves pediculi et longi. Quaedam vasculis constant, at Punica et mespila, lotosque in Aegypto et Eaphrate.
Jam vero diverta gratia et commendatio. Car ne palmae placent, crusta Thebaicae, succo uvae, et caryotae: callo pira ac mala,corpore melimela, mora cartilagine, nuclei grano. Quaedam iu Ae-
Divaass u r o u m vomi. XXXIV. Questo baiti quanto alle aorli dei pomi, perciocché Ba bene ragionarne un poco più ristretto deUe nature loro. Alcuni naaooao entro a baccelli, i quali sono dolci, e il seme lo ro è amaro, e benché di molte eoee piaooia il se-, me, non piaoe quello ddla carruba. Di altra na tura sono le ooocole, le quali hanno 1* osso di dentro, eia carne di faora, oome Fulive e le ciriegie. Alcuni hanno le ooeoole di dentro, e di fuora il legno, siccome quelli eh1 io diati che nascono in Egitto. Di quella natura ohe so d o le coccole, della medesima sodo i pomi. Alcool hanno il oorpo di dentro, e di faora il legno, come le noci. Alcuni di fuora il corpo, e di den tro il legno, oome le pesche e le ausine; cioè a dire, in alcuoi la bruttura cinta dal frutto, in altri il fratto ricoperto dalla bruttura. Le noci aono co perte di guscio, le castagne 4 t cuoio. -Questo si cava loro, ma nelle nespole si mangia. Le ghiande hanno cortecoia, F uve pelle : le melagrane cuoio e pannicolo. Le more banno carne e sugo, le ci riegie pelle e sugo. Alcune subito ·! spiccano dal legno, come le noci e le palme. Alcune s’ attac cano, come F olive e gli allori. Alcune sono delF una e dell' altra natura, come le pesche. Per ciocché nelle duracine ·* attacca il corpo, e non si può levar dal legno ; dove nell’ altre agevol mente si spicca. Alcune nè di fuori nè di dentro hanno legno, come aono una sorte di palme. W alcuni s 'usa il legno in lungo di pomo, come nella mandorla, la qoale dicemmo chè nasce in Egitto. Alcuni frutti hanno di (bori doppia brut tura, ovvero scorsa, slocome sono castagne, man dorle e noci. Alcuni hanno triplice natura, co me le pesche, prima corpo, poi legno e dipoi il seme nel legno. Alcnni nascono folti e spessì, come F ove, non che le sorbe, le qoali, cirtjoodati i rami da Ofni parte a modo di uva, gli ag gravano e incurvano. Altri nascono rari,come la pesche. Certi si ritengono nel ventre, come le melagrane. Alcuni stanno attaccati coi picciuoli, come le pere. Alconi pei grappoli, come aono P uve e le palme ; e altri pe1 picciooli e rrappoli, come F ellera e il sambuco. Altri stanno attac cati al ramo, come F alloro. Alcuni nell' uno e l 'altro modo, come F ulive ; perehè hanno i pic ciuoli e corti e lunghi. Certi stanno come in vasi, come le melagrane, le nespole^ e i loti in Egit to e nell’ Eufrate. Inoltre non una medesima cosa piace in cia scuno. Perciocché le palme piacciono per la car ne, le Tebaiche per la corteccia. F uve e le ca rio Ile pel sugo ; nelle pare e nelle mele il callo,
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HISTORIARUM MDNDI L1R. XV.
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gyplo cote, al cartcae. Detrahitur haec ficis vi rentibus, ut putamen : eadem in siccis maxime placet. In papyris et ferulis, spinaque alba, caulis ipse pomum «st. Sant et ficulni caules. In fruticoso genere, cu in caule capparis: in siliquis vero quod manditur, quid nisi ligrtum est ? non omittenda seminia earum proprietate.: nam neque corpus, nee lignum, nec cartilago dici potcsl, neque aliud uomen inveniet.
il corpo nelle melimele, nelle more la cartila gine. Di alcune piace la pelle, come della carice in Egitto. Questa si cava a' fichi freschi, come guscio, e ne* secchi piace mollo. Ne' papiri, fe rule e spine bianche esso gambo è il frutto. Son ci ancora i gambi di fico. Nel genere degli arbu sti, il cappero piace col gambo ; ma nelle carru be che altro si maogia, se non il legno ? Nè per ciò s' ha da tacere la proprietà del seme loro ; perciocché esso non si può chiamare nè corpo, uè legno, nè cartilagine, nè d'altro nome.
Myrtus.
D el m ir t o .
XXXV. 39. Saccorum natura praecipuam ad mirationem in myrto habet, quando ex nna omnium olei vinique bina genera fiuul. Item myriidanum, ut diximus. Et alius usus baccae fait apud antiquos, antequam piper reperirelur, illius obtinens vicem: quodam etiam generoai obsoni» nomine inde tracto, quod etiam nunc vnyrtalum vocatur. Eademque origine aprorum aapor commendatur, plerumque ad intinctus ad ditis myrtis.
XXXV. ai). La nalura de' sughi è di gran maraviglia nel mirto, perchè di esso solo si Can no due sorti di olio e di vino. Fassene ancora il mirtidano, come abbiara detto altrove. Usossi anco iu un altro modo la coccola dagli antichi, prima ohe si trovasse il peppe, e serviva in luogo di esso, e faceanseue uua nobil vivanda, la quale opgi ancora si chiama mirtalo. Di quindi ebbe origine on intingolo mollo saporito che si fa della carne de' cinghiali, dove le più volle si mede della mortella.
H ist o rica db m y r t o .
C SH H I STORICI SOPRA IL MIRTO.
XXXVI. Arbor ipsa in Europae citeriore coelo, quod a Cerauniis montibus incipit, prinaaro Circejis in Elpenoris tumulo visa traditur : Graecomqueei nomen remanet, qoo peregrinam este apparet. Fuit ubi nunc Roma est, jam Ium quuro conderetuis: quippe ita traditur, myrlea verbena Romanos Sabinosque, quum propter rapta· virginea dimicare voluissent, depositis ar mi* purgatos in eo loco, qui nunc signa Veneris Cluacinae habet. Cluere enim antiqui purgare dicebant. Et in ea quoque arbore suffimenti geuus habetur. Ideo Ium elecla, quoniam conjunctioni, et hoic arbori Venus praeest. Haud scio, an pri ma omnium in locis publicis Romae sata, fatidico quidem el memorabili augurio. Inter antiquissi ma namque delubra habeiur Quirini, hoc esi, ipsius RomuK : in eo sacrae fuere myrli duae ante aedem ipsam per longum tempus, altera pa tricia appellala, alleva plebeja. Patricia mullis annis praevaluit, exuberans ac laeta, quaradiu •enatus quoque floruit, illa ingens : plebeja retor rida ac squalid*. Quae po»leaquam evaluit, tiavescenle patricia, Marsico bello, languida auclorilas patrum facta est,ac paullatim in sterilita lem emar cuit majestas. Quin et ara vetus fuil Veneri Myrleae, quam nuuc Murciam vocant.
XXXVI. Questo albero la prima volta fu ve duto a Circeo nella sepoltura di Elpenore in parte di Europa non molto lontana, là dove sor gono i monti della Chimera: ritiene ancora il nome Greco, onde ben *i conosce come egli è albero forestiero. Uno ne fu dove è oggi Ro ma, allora che ella s'edificava. Perciocché con le vermene del mirto, secondo che si dice, i Ro mani e i Sabini si pacificarono insieme, avendo poste giù Tarmi che avean preso per le fanciulle rapile, e, purgatisi in quel luogo, dove è ora la statua di Venere Cluacina ; perciocché gli antichi dicevano cluere per purgare. Di questo albero si fa ancora un cerio profumo. Onde in quella occasio ne fu eletta la mortine perchè ella è sacra a Vene re* ebe pure presiede alla congiunzione. Non so se questo sia il primo albero,che fosse piantato a Ro ma in luoghi pubblici per un certo fatidico e nota bile augurio. Perciocché si truova, come fra gli antichissimi tempii di Quirino, cioè di Romolo, furono consacrati due mirti innanzi al (empio islesso per lungo lempo, l'uno chiamalo patrizio, l'altro plebeo. Il patrizio durò per molti anni, fiorito e lieto, dove l'altro andava tuttavia man cando: e mentre che il senato stelle in ripulatione, esso fu sempre verde, e il plebeo mezzo seco e bruti·· : dipoi cominciò a essere il contra rio nella guerra Marsica, nella quale I' autorità del senato venne in dcclinazione. Ci fd anco un
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C. PLINII SECUNDI
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altare arttloo «leditelo a Ventre Mirtea, Ia quale ora si chiama Murcia. G
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XI.
X X X VÌI. Calo tria genera myrli prodidit, nigraro, candidam, conjugulam, (urtassi* a corijuglis, et illo Cluacinae genere. Nuhcel alia di stinctio, salitae, aut silvestris : eliti utruque lati foliae. In silvestri, propria oxymyrslne. Salita rum genera topiarii faciunt : Tarentinam, folio minuto : nostratem, patulo : hexasticham densissi mo, senis foliorum versibus. Haec non est in usu: ramosa ulraque alia. Conjugulam existimo nunc nostratem dici. Myrtus odoratissima in Aegypto. Cato docuit vinum fieri e nigra, siccata usque in ariditatem in umbra, atque ita miisio indita. St non siccentur baccae, oleum gigni. Poatea com pertum, et e* alba viuum fieri albudi, duobus «extiriis myrti tusae, in tini tribus heminis ma» aeratae, exprtssaeqoe. Folia et per se siccantur in fariOam, ad ulcerum remedia in eorpore huAarto, leniter mordaci pulvere, ac refrigerandis sudoribus. Quinimmo oleo quoque (mirum dicln) inest quidam vini sapor, simulque pinguis liquor, praecipua vi ad corrigenda vina, saccis ante per fusis. Retinet quippe faecem, nec praeter purum liquotem transire patitur, datqne se cotnitem praefcipua commendatione liquato. Virgae qno*· qaé ejus gestatae modo viatori prosunt in longo itinere pediti. Quin et virgei anuli expertes ferri inguinum tumori medentur.
Usos Rom ae m
o v a t io n r .
XXXVili. BeHicis quoque se rebtto fnsetuit : triumphansque de Sabinis Poshwnius Tubertus in contulalu (qui primo* omnium ovans ingressas Urbem est), quoniam rem leviter sine cruore ges serat myrto Veneris Vletricis coronatus mceièit, optabilemque arborem etiam hostibus fecit. Haec postei ovantfaro fuit corona, excepto M. Crasso, qui de fngitivis et Spartaco laurea (coronatus iercessil. Masurius indor est,turri* quoque trium* phantes Wyrtea corona usos. L. Piso tradit, Pa pirium Maioneta, qui primus in monte Albano triumphavit de Corsis, myrlo coronatum ludos Circensi·5 spedire solituiu. Avtis maternos Afri* cami sequentis hic fuit. Marcus Valerius duabus
U sD IC i SPfiCIB DI M U T I.
XXXVII. Catone Mette tre sorti di mirto, il nero, il bianco, e il cottiugolo, dello forse eotì da1 coniti gii, ed è della specie Cluacina detta di sopra. Ora si fa un* altra distinzione, cioè salta tici) e domestico, e nell'una e l'altra sorte v'è la latifoglia, cioè quello che ha le foglie larghe. Tra i salvatichi è propria la ossimirsioa. Dei domestici fanno più specie coloro, che acconciano i giar dini. 44 Tarentino ha le foglie minule, il nostro le foglie aperte, Γ essastico le foglie folte a sei ordini. Questo non è in uso : amendne gli altri sono ramosi. Il coniugolo tengo io che sia quel lo, che oggi si chiama nostrale. 11 mirto d'Egitto ha grandissimo odore. Catone insegnò a far tino delle coccole del nero, seccandole al rezzo in6n eh* esse diventino aride, e dipoi metteodble nei ifcntso : Se le coccole non seccano, si fa olio. S*e trota 16 poi, chi di quelle del bianco ancora si fa vio bianco, togliendo due sestarii di mirto pesto, die si mette in macero in tre emine di vino* e poi si preme. Fassi polvere ancora delle foglie, la qoale leggermente mordendo sana nel corpo umano le ùlcere, e rinfresca i sudori. Ma ehe più ? P olio aneora ha un certo «por di v ìd o , e on Iicor gratto molto possente * correggere il vioo^ aven done prima imbiutalo i colatoi; perchè ritie ne la feccia, e noti lascia pissar fuori altro che H Iicor puro, e lassi compagno a quello che esce, che ne acquista ottima qualità. I<( bacchet te ancora di mirto portate in mano giovano a ehi cammini a piedi per lungo viaggio. E di piò le audii di queste verghe filile senza ferro gio vino all* enfiato deir inguinaglia. R om a
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o v a z io n e .
XXXV 11I. Questo albero ancora s 'è intro messo nelle cose di guerra : perocché trionfando dei Sabini Postumio Tuberto consolo, il qoale fu H primo che entrasse orando in Roma, per ciocché egli atea avolo qnella vittoria senza san gue, entrò coronato del mirto di Venere vind* trice, e fece che questo albero fosse da esser de sideralo ancora dai ttimici. Questa fu poi la co rona di coloro che ovatano, eccetto M. Crasso, Il quale s 'incoronò pur di alloro, arendo avuto villoria dei servi fuggitivi, e di Spartaco. Scrive Masurio, che quegli ancora che trionfavano sol carro, usarano corona di mirto. L. Pisone scrìve, come Papirio Mesone, il quale primo nel monte
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IIISTORIARUM MONDI UB. XV.
coronis ulebalor, Imre· el myrlea, qai ri hoe τοτβηΐ.
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t a u u i e jo s xm .
XXXIX. 3o. U o n » triumphis proprie dicatur, vel gratissima domibas, janitrix Caesarum pontificumque: solaci domo» exornat, et ante liraina excabat. Duo ejus genera tradii Calo: Delphicam et Cypriam. Pompejus Lenaeus*adjecit quam maslacem appellavit, quondam musta ceis sabjicerelur. Uanc esse folio maximo, flacci· doque et albicante t Delphicam aequali colore, viridiorem, maximis baceis atque e viridi ruben· li bus. Hac victores Delphis corooari, et trium phantes Remae. Cypriam esse folio brevi, nigro, per margines imbricato, crispam. Postea accesse re genera. Tinas: hanc silvestrem laerum aliqui iirielligunt, nonnulli sui generis arborem, ftiffert color : est enim ei caerulea bacca. 4coes$it et regia, qnae coepit Augusta appellari, amplissime et arbore et folio, baccis gustata qaoqne non asperis. Aliqoi negant eoandem esse, et siram genas regiae faciunt, longioribos foliis latioribus* qae. Iidem in alip genere baccaliain appellant hanc qoae vulgatissima est, baccarumqoe fertilis sima- Sterilem ver· earnm (quod maxime miror) triumphalem, eaqae dieuut Iriamphanles uti : nisi id a divo Augusto ooepit, ot docebimus, ex ea lauru, quae ei missa e coelo est, minima alti tudine, folio crispo ac brevi, ioventu rara. Aece· «Iit io topiario opere laxa, excreseente in medio folio parvolo, veloti lacinia folii. El sine ea spa donia, mira opacitatis patientia : itaque quantalibet sub umbra solum implet.
Est et chamaedsphne silvestris frales. Est et Alexandrina, quam aliqui Idaeam, alii hypogtou lion, alii daphnilin, alii carpophyllon, alii hypela.len vocant. Ramos spargit a radice dodrantales, coronarii eperts, folio acutiore qoam myrti, mol liore et candidiore, et majore : semine inter folia rubro. Ptnrima in Ida, et eirca Heracleam Penti, nec nisi in montuosis. Id qaoque, qaod daphneides vocatur, genos, in nominum ambitu est. Alii
Albano trionfò dei Corsi, solea slare ineoronato di mirto a vedere i giuochi Circensi. Questo fn avolo materno dell’ Africano minore. M. Valerio usò due ooronc, Tana d'alloro e l'altra di mirto, perchè ooù avea fallo voto. D ell’
a i . i. o e o
:
t r e d ic i s p e c ie d i esso .
XXXIX. 3o. I,' alloro è propriamente dedi cato a’ trionfi : esso solo adorna le porte de* Ce sari, e de' pontefici, riesce gratissimo in ogni casa, e sta vegliatala tonanti agli asci. Catone ne metle due sorli : il Delfico e il Ciprio. Pompeo Leneo ve n'aggiuuse un altro,che egli ohiamò mu stace, perchè si mette sotto a'moslaceiuoli, i quali sono una certa vivanda di farina e di vin·. Qae sto ha le foglie molto grandi, tenere e bianohe. 11 Delfico è di colore eguale, più verde, di gran dissime coccole, le qaali rosseggiano sol verde. Di questo s'incoronavaoo i vincitori in Delfo, e i trionfanti in Roma. Il Cipriollo ha la foglia cor ta e uer», ed ha i margini in forme di embrici, ed è crespo. V' hanno poi aggiunto altre sorli, siccome è il lino : questo vogliono alcuni che sia l 'alloro salvalico, s alcuni altri an albero del sue genere. Solo è differente di colore, percioc ché e' ia la oocqoI· roasa. ficei Γ alloro regio, il quale dbminoiò a chiamarsi Augusto, grandis simo d 'albero e di foglie, e di coccole non molto aspre « gustarsi. Aloani dioono ehe qaesto albe ro è d' altra specie che non l ' alloro regio, il quale ha una specie sua propria, ed ha foglie più lunghe e più larghe ; e a quello, che pare è vulgatissimo, e fa dovizia di coccole, daqno nel suo genere il nome di baccalio. Dicono, con mia molta maraviglie, che 1* alloro ehe non fa cocco* le, è il trionfale, usato da quelli che trionfeggiano ; quando aon volessero accennar quello che cominciò usare l’ imperatore Augusto, come di mostreremo, di quell' alloro, che gli fu maculalo dal cielo, il quale è piccolissimo, di foglie crespe e corte, e truovasi di rado. Éccene un’ altra sor te, per adornarne i giardini, che si chiama lasso, di foglia piccola, che scema nel mezzo, come frappe di foglia. V' è inoltre 1' alloro spadonio, di maravigliosa densità, perchè empie il terreno coo quanta ombra si voglia. Ée
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enim Pelasgam, alii eupetalon, alii stephanou Alexandri vocant. Et hic frulex est ramosus, crassiore ac molliore, quam laurus, folio : cujus gustato accenditur os atque guttur, baeois e nigro rufis. Notatum antiquis, nullum genus laurus in Corsica fuisse: quod nunc salum et ibi proveuit.
H i s t o r ic a
de lauro.
XL. Ipsa pacifera, ut quam praetendi eliam inler armatos hostes quielis sit iudiciuin. Roma nis praecipue laetitiae vicloriarumque nuntia ad ditur litteris, el raililura lanceis, pilisque. Fasces imperatorum decorat. Ex his in gremio Jovis optimi maximique deponitur, quoties laetitiam nova victoria allolit. Idque pon quia perpetuo viret, nec quia pacifera est (praeferenda ei utro que olea), aed quia spectatissima in tnoule Par nasso : ideoque eliam grata Apollini, adsuetis eo dona mittere jam el regibus Romanis, teste L. Bruto. Fortassis eliam in argumentum, quoniam ibi libertatem publicam is meruisset, lauriferam tellurem illam osculatus ex responso» El quia manu satarum recepta rumque in doinos, lui miae sola uon icilur. Ob has causas equidem credide rim, honorem ei habitum in triumphis polius, quam quia suffimentum sit caedis hostium et purgatio, ut tradit Masurius. Adeoque in profa nis usibus pollui laurum et oleam fas non esi, nt ne propitiandis quidem numinibus accendi ex his allaria arae ve debeant. Laurus quidem mani festo abdicat ignes crepitu, et quadam detesta tione : interaneorum etiam vitia et nervorum ligno torquente. Tiberium principem tonante coelo coronari ea solitum ferunt contra fulminum metus.
Sunt et circa divum Augustum eventa ejus digna memoratu. Namque Liviae Drusillae, quae postea Augusta matrimonii noraen accepit, qnum pacta esset illa Caesari, gallinam conspicui can doris sedenti aquil^ ex alto abjecit in gremium illaesam : intrepideque miranti accessit miracu lum, quoniam teneret rostro laureum ramum onustum suis baccis. Conservari alitem et sobolem jussere aruspices, ramumqueeura seri ac rite custodiri. Quod factum est in villa Caesarum, fluvio Tiberii imposita juxla nonum lapidem
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e non nasoe se uon ne1 luoghi montuosi. Anche quello che si chiama dafnoide, ha di molli nomi; perciocché alcuni lo chiamano Pelasgo, altri eupetalo, altri Stefano, cioè corona, d’ Alessandro. Anch' esso questo sterpo è ramoso, e fa foglie più grosse e più morbide che l'alloro; e assag giandolo accende la bocca e la gola : ha coccole nere, che pendouo in rosso. Gli antichi osserva rono che in Corsica non era uiuna aorte di al loro ; ma oggi piantalo vi alligna beue. Cebdi
s t o r ic i s o p r a l ' a l l u s o .
XL. L'alloro è albero pacifico, di maniera cbe quaudu si mostra aneora fra1 uimici armati, è se
guo di quiete. 1 ftumaui l'hanno per messaggero d'allegrezza e di vittoria : ponsi alle lettere di ordiuanza, alle lance e giavellotti de'soldati. Ador ila i fasci degl' imperadori. Pon»i in grembo di Giove ultimo e massimo, ogni volta che qualche vittoria porta grande allegrezza. E ciò, uon p e r chè sempre sia verde, o perchè sia seguo di pace (che per queste ragioni è da preferire 1' olir»}, ma pereiocch' c bellissimo sul monte Parnaso, e perciò grato ad Apulline, a cui i re Romani usavauo inaudare i lor doni involti iu esso, come n’ è lesliraooe L. Bruto. Forse anco è onorato in Roma in seguo della libertà pubblica che quivi Bruto acquistò, baciando quella terra lauri/èra secondo la risposta deU'oracq^b; e ancora per chè questo albero solo, piantato nelle ortaglie do mestiche, non è percosso dal folgore. Per queste cagioni crederò io piuttosto, che sia onorato ne' trionfi, che perchè sia profumo atto a pur gare I' uccision de' nemici, come scrive Stasano. Ed è lauto vietato che l ' alloro e 1' ulivo non si invilisca ue'servigli profani, che pur d'essi non si possono accendere gli altari o le are per pla care gli dei. Olirà di ciò 1' alloro cou lo scoppio scaccia il fuoco, e quasi con uu certo abboni mento, il che è felice presagio: il suo legno stive ancora a medicare i mali delle interiora e de'nervi. Dicono cbe Tiberio imperadore, quando to nava, soleva incoronarsi d 'alloro contra la pau ra delle saette. Intervenne ancora al tempo di Augusto cosa degna di memoria. Perciocché un'aquila, la qua le avea ghermita uua gallina bianca, da alto la giltò senza alcuna offesa, e lasciolla cadere in grembo a Livia Drusilla, quando non era a Ce sare se non promessa, e la quale dipoi preso il nome del matrimonio, fu chiamata Augusta. E mentre eh' ella sicuramente stava guardando, vi s 'aggiunse un altro mnacolo, perchè questa gal lina aveva nel becco un ramo d 'alloro, carico delle sue coccole. Allora gl’ indovini comanda-
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HISTORIARUM MUNDI UB. XV.
Flaminia via, qaae ob id vocatur : ad Gallinas : mireque silva provenit. £x ea trinmphans poslea Caesar laurum in mano tenuit, coronarnque ca pite gessit: ac deinde imperatores Caesares cun cti. Traditusqoe raos est ramos, quos tenuerunt, serendi, et durant silvae nominibus suis discretae, fortassis ideo mutatis triumphalibus. Unius arbo. rum Latina lingua nomen imponitur viris. Unios folia distinguantur appellatione: lauream enim vocamus. Durat et in Urbe impositum loco, quan do Loretunj in Aventino vocutur, ubi silva lauri fuit. Eadem purificationibus adhibetur: testalumque sit obiter et ramo eam seri, quotiiam dubitavere Democritus atque Theophrastus.Nunc dicemus silvestrium natura*.
•rono, che si conservasse la gallina e i polli che nascevano d 'essa, e che il ramo si piantasse, e fos se ben custodito. II che fu fatto nella villa de1 Ce sari, dove si pose in ripa al fiume Tiberio nove miglia presso a Roma, nella via Flaminia, la qual per questo si chiama, alle Galline; e maraviglio samente crebbe iu selva. Cesare poi trionfando tenue in mano un ramo di alloro di quella selva, e una ghirlanda; il che dopo lui fecero tatti gli al tri iraperadori. Di più si prese per usanza di pian tar quei rami, che esxi tenevano in mano; e du rano ancora oggi le selve oste di ciascun ramo da per sè co' suoi nomi, e per questo forse furo no mutati i trionfali allori. Questo albero è solo, a cui la lingua Latina ha posto nome d’ uomo, e la foglia di questo solo si distingue per nome, perchè la chiamiamo laurea. Dura ancora in Ro ma il nome posto al luogo, perchè in sul monte Aventino si chiama Loreto qoel silo dove fu sel va di tale albero. Usasi ancora l ' alloro celle pu rificazioni , e voglio ancora affermare così di passaggio, come l'alloro si pianta anche per ramo, perchè di ciò dubitarono Democrito e Teofrasto. Ragioneremo ora della nalura degli alberi salva· fichi.
C. PUMI SECUNDI
HISTORIARUM MUNDI LIBER XVI S IL V E S T R IU M ARBORU M
NATURAE
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Gt u r r e s
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A B io te ..
1. Γ rocniferaearbores,quaequeraitioribus succis voluptatem primae cibis attulerant, et necessario alimento delicias miscere docuerant, sive illae ultros aire ab homine didicere blando· sapores adoptione et connubio, idque manus eliam feris volucribusque dedimus, intra praedictas constant. Proximum erat narrare glandiferas quoque, quae primae vicium mortalium aluerunt, nutrices ino pis «c ferae sortis, ni praeverti cogeret admiraiio usu comperta, quaenam qaalisque esset vita, sine arbore ulla, s ù m frutice viventium.
i . Diximus et io Oriente quidem juxta Ocea num complures ea in necessitale gentes. Sunt vero in septemtrione visae uobis Chaucorum, qui majores minoretque appellantur. Vasto ibi mea tu, bis diernra noctiumque singularum interval lis, effusus in immensum agitur Oceanus, aeter nam operiens rerum naturae controversiam : dubiumque terrae sil, an pars id maris. Illic misera gens tumulos obtinet alios, aut tribunalia structa manibus ad experimenta altissimi aestus,
P opoli
sen za a l » e e i .
I. vJl» alberi fruttiferi, e quegli, i qoali con pià piacevoli sughi da principio apportarono diletto, e insegnarono a mescolar le delizie eoo l'alimento necessario, o sia che da per sè, o sia che dall* uo mo acquistassero dilettevoli sapori per innesta mento o per contatto d'altre specie (alla quale soavità di sapori abbiamo anche avvezzate le Bere e gli uccelli), questi tali, dico, consistono fra i predetti. Resta a ragionare degli alberi che producono le ghiaude, i quali furono i primi che diedero il vivere alle persone, e furono uulriui de'poveri e selvaggi nostri progenitori *, mala maraviglia ci sforza, prima che le cose tro vale dall' uso, a considerare come e quale sa rebbe la vita umana senza alcun albero e senza piante. i.N oi abbiamo già detto come in Levante, lungo il mare, sono di molli popoli, i quali non hanno alberi; ed io stesso ho veduto ancora sotto la tramontana i popoli Cauchi, i quali si chiamano maggiori e minori, che pur ne Canno senza. Quivi l ' Oceano allargandosi molto, con intervalli di due giorni e due notti, si diffonde, coprendo una irameusa estensione che tien sempre occulta la sua nulura, di maniera che si sta in dubbio, s' ella c parte di terra o di mare. Quivi quelle misere
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casis ila impositis : navigautibus similes, quum integant aquae circumdata : naufragi· vero, quum recesserint : fugienlesque cum mari pisces circa laguria venantur. Non pecudem his habere, non lacte ali, ut finitimis, ne cum feris quidem dimi care contiugit, omni procul abacto frutice. Ulva et palustri junco funes nectunt ad ffractexenda piscibus retia : caplumque mauibus lutura ventis magis, quam sole siccantes : terra cibos, el rigen tia septemtrione viscera sua urunt. Potus non nisi ex imbre servato scrobibus in vestibulo domus. Et hae gentes, si vincantur hodie a popu lo Romano, servirese dicunt! Ita est prolecto: multis fortuna parcit in poenam.
M i r a c o l a 11» s b p t b m t e i o h a l i r b g i o h b a b b o r d i · .
»^76
genti si stanno in sui iwnlicellì rilevali, o nc'bauchi falli a mano con pìccole casette sovrappostevi per guarentirsi dalle altissime onde del mare: simili a naviganti, quando le acque ricuoprooo ogui dintorno, e a naufraghi, quando esse decre scono; e ii»torno i loro stessi ingerii pigliano i pesci che danno addietro col mave. Costoro noa hannO' bestiame, non vivono di latte, corae i lor vicini, nè vanno a caccia di fiere, perchè noo hanno alberi nè sterpi. Fanno funi di stramba e di giunchi per pigliare i pesci, e quello che pigliano di terroso seccano più al vento, che al sole : la terra e i freddi di tramontana riardono loro i cibi le vìjtere. Essi non beono altro che acqua piovana, che serbano in fosse fatte dinanzi alle case : eppor questi meschini, se oggi fossero vinti dal popola Romano, si dorrebbono d 'esser servi. E così è veramente, che la fortuna perdona a* molti per più loro gastigo. M A RA VIG LIE BEGLI
ALBERI DB* PAESI
SETTSa-
T R IO H A U .
Un'altra maraviglia è nelle selve, percioc II. Aliud e silvis miraculum : totam reliquam II. ché esse rieropioifo tulio il resto di Lamagna, e Germaniam replent, adduntque frigori umbras: allissiroae tamen haud procul supra dictis Chau aggiungono Γ ombre al freddo ; e poco lontano cis, circa duos praecipue lacus. Litora ipsa obti- ai sopraddetti Cauchi, massimamente intorno a uent quercus, maxima aviditate miscendi : suffos- due laghi, sono altissime. Le maremme son tulle saeque fluctibus, aut propulsae flatibus, vastas arborate di querce, che vi nascono a gran folla ; complexu radicum insulas securo auferunt : alque le quali talvolla cavate sotlo dall'onde del Mare, o crollale da' venti, con le radici loro tirano seco ita libratae stantes navigant, ingentium ramorum armamentis, saepe territis classibus nostris, quum gran tratto di terreno : e così stando sospese velut industria fluctibus agerentur in proras navigano con gli armeggi de' lor grandi rami. stantium noctu, inopesque remedii illae, proelinm Spesso spaventarono le nostre armale, venendo lor sopra ne* riposi notturni come fossero spinte navale adversus arbores inirent. in prova dall'onde contra le prode de’ lor navili, di modo che elle scarse di rimedio dovevano ve nire a battaglia navale coittra quegli alberi. 2. In quel medesimo 'paese di tramontana, la 3. In eadem septemtrionali plaga Hercyniae grandetta de' roveri della selva Ercinia antichis silvae roborum vastitas intacta aevis, et congenita sima, e nata qoasi insieme col mondo, mostra 1« mundo, prope immortali sorte miracula excedit. sue rarissime maraviglie. E per lasciar l'altre Ut alia omittantur fide caritura, constant attolli colles occursantium ioter te radicum repercussa : cose, che non sarebbon credule, trovasi che i poggi si vengono a innalzare dal cozzamenlo che aut abi secuta tellus non sit, arcus ad ramos fatino le radici Ira loro, o dove la terra non s 'ie usque,et ipsos in'er se rixantes, curvari portaram na Iza con esse, ma si fende, si veggono rilevarsi patentium modo, ut turmas equitum transmit alto e intrecciarsi insieme, e piegarsi a guisa di tant. porte aperte, sì che vi passan sotte le bande intere di cavalli. 3 . Gli alberi, che fanno ghiande sono stati 3. Glandiferi maxime generis omnes, qaibas perpetuamente onorati, e avuti in pregio dal po honos apud Romanos perpetuas. polo Romano.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVI. D·
GLANDIFERIS : DB CIVICA CORONI.
Di
quelli
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f o r t a n g h ia n d e
: d ella- corona
c iv il e .
111. 4· Hinc civicae coronae, militum viriatis III. 4 · Di questi alberi si fanno le corone civili, chiarissimo ornamento del valor de'sol insigne clarissimum : jam pridem vero et clemen dati, e da mollo tempo testimonio ancora dalla tiae imperatorum, postquam, civilium bellorum profano, meritum coepit videri, civem non occi clemenza degl1 iinperadori, dappoi che, sendo dere. Cedunt his murales, vallaresque, et aureae, venuto a noia il vituperio delle guerre civili, co quamquam pretio antecedente*.Cedunt el rostra minciò a esser merito il non uccidere cittadini. tae, quamvis in duobus maxime ad hoc aevi Cedono a queste le corone murali, le quali si celebres: M. Varrone e 'piraticis bellis, dante solevano dare a coloro, che erano i primi a salire Magno Pompejo : itemqne M. Agrippa, tribnente sulle mura, le vallari che si davano a chi era il primo a montar sul vallo, cioè steccalo de’ nimici, Caesare e Siculis, quae et ipsa piratica fuere. Antea rostra navium tribunali praefixa fori decus e qoelle d’ oro ancora, benché elle sieao di mag gior pregio. Cedono le rostrate, benché insino a erant, veluti populo Koraano ipsi corona imposi· questo tempo elle sieno state molto onorate in ta : postquam vero tribuniciis seditionibus calcari due persone : cioè in Marco Varrone, a cui Pom ac pollui coepere, postquam vires ex publico jn peo Magno la diede nella guerra de1 eorsali, e privatum agi, singulisque civium quaeri, sacro in Marco Agrippa, a cui la diede Augusto nella sancta omnia profana facere, tura a pedibus guerra Siciliana, la quale fu fatta anch’ essa con eorum subiere in capita civium rostra. Dedit tra i corsali. Dianzi i rostri delle navi attaccati h»nc Augustas coronam Agrippae: sed civicam al tribunale erano ornamento del foro, quasi cbe a genere humano accepit ipse. 10 stesso popolo Romano ne fosse incoronato. Ma poiché per le sedizioni de' tribuni incomin ciarono a essere contaminati e calpesti, e i citta dini cominciarono a voler piuttosto acquistar le forze per sè, che pel comune, e misero in iscom* piglio latte le cose sante, allora i rostri, da' piedi de'cittadini salirono sai capo loro. Augusto diede questa corona ad Agrippa ; ma egli ebbe la civica da lutto il genere umano. Db c o r o n a r g h o rig in e .
D ell' o r ig in e d b l l b c o ro n e .
IV. Antiquitus quidem nulla, nisi deo, daba* IV. Anticamente non si dava corona se non agli dei : per questo Omero la diede solamente tur : ob id Homerus coelo tantum eas, et proelio universo tribuit: viritim vero ne in certamine al cielo e alla battaglia universale, ma in partico quidem ulli. Fcruntque primum omnium Libe lare a nessuno, neppure per premio di valore. Dicesi che il primo che portò corona fu Bacco, rum patrem imposuisse capiti suo ex edera. Postea deorum honori sacrificantes sumpsere, 11 qual la portò di edera. Dipoi quelli, che sacri ficano agli dei, la portarono anch' essi, e inghir viclimis simul coronatis. Novissime et iu sacris landarono aucora le vittime.Ultimamenle si sono certaminibus usurpatae : in quibus hodieque non poste in uso negli abbaltimenti sacri, nei quali victori d»tur,sed patriam ab eo coronari pronao· oggi aon si dà la corona al vincitore, ma si dice liatur. Inde notaro, nt et triumphaturis confer rentur in templis dicandae : mox ut et ludis che la patria è incoronata da lui. Di qui è nato che anco coloro, che son per trionfare, le portano darentur. Longum est, nec insti tifati operis, disserere quisnam Romanorum primus acceperit : per dedicarle ne' tempii, e dipoi per mostrarle negli spettacoli. Luogo sarebbe, e fuor di propo iieque enim alias noverant, quam bellicas. Quod sito, il dire qual primo dei Romaui fosse onoralo certum est, uni gentium huic plura sunt genera, quam cunctis. di alcuna sorte ili coroni·, perciò che essi non conobbero altre corone, che quelle di guerra. Ma bene è vero che questa nazion sola nc ebbe in uso più sorli che tutte l ' altre.
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C. PLINII SECONDI Q ot
f r o n d e a c o x o n a d o m a t i.
V.Romulus frondea coronavit Hostum Hosti lium, quod Fidenam primus irrupisiet. Aut hic Tulli Hostilii regis fuit. P. Decium patrem, Iri* bunum militum, froodea donavit exercitus ab eo servatus, imperatore Cornelio Cosso consule, Samnitium bello. Civica iligna primo fuit, postea magis placuit ex esculo Jovi sacra. Variatumque et cum quercu est, ac data ubique, quae fuerat, custodito tantam honore glandis. Additae leges arctae, et ideo superbae, quasque conferre libeat cum illa Graecorum summa, quae sub ipso Jove datur, cuique muros patria gaudens rumpit : u Civem servare, hostem occidere : utque eum locum, in quo sit actum, hostis oblineateo die : ut servatus fateatur ; alias testes nil prosunt. Ut civis fuerit : auxilia, quamvis rege servato, decus id non dant. Neo crescit honos idem imperatore conservato, quoniam conditores in quocumque cive summum esse voluere. Accepta licet uti per· petuo. Ludos ineunti semper adsurgi, etiam ab senatu, in moro est. Sedendi jus in proximo senatui. Vacatio munerum omnium ipsi, patrique, et avo paterno. « Quatuordecim eas accepit Siccius Dentatus, ut retulimus suo loco : sex Capitolinus. Is quidem el de duce Servilio. Afri canus de patre accipere noluit apud Trebisro. O mores aeternos, qui tanta opera honore solo donaverint: et quum reliquas coronas auro com mendarent, salutem civis in pretio esse noluerint: clare professi, ne servari quidem hominem fas esse lucri causa !
G l a n d iu m
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q uei ch e fu r o n o d o n a ti d i cob on a d i fio n d i.
V. Romolo incoronò di corona di foglie Osto Ostilio, perchè egli fu il primo, che entrò ia Fidena. Costui fu avolo del re Tulio Ostilio. L’ esercito di Cornelio Cosso consolo, D e ll a guer ra dei Sanniti, cinse di corona di froodi Publio Decio il padre, tribuno de'soldali, per essere sialo salvato da lui. La corona civica prima si fece di leccio, dipoi piacque piuttosto farla dell' ischio dedicato a Giove. Tolsero ancora alcuna T o lt a la quercia, per farla di quell'albero che era io paese ; ma uon vi lasciavano su le ghiande, per l ' onore che loro portavano. Furono poi decre tate certe restrizioni, e perciò più ragguardevoli divennero le corone, tanto che si possono aggua gliare a quella pregevolissima dei Greci, che da vasi in nome dello stesso Giove, e per cui davasi passaggio all' incoronato tra le mura, che apposi tamente si fendevano : « Vuoisi che altri salvi il cittadino, uccidendo il nemico : che quel giorno si mantenga in quello stesso luogo del nemico, dove ha fallo tal prova : che ne faccia confessione quegli che fu salvato, perocché i testimoni altri menti non valgono : che sia cittadino, perchè an cora che si salvasse la vita a on re ausiliario, noo se ue acquista tale onore. Nè onor maggiore si acquista per ben che si salvasse il capitano, per ciocché i facitori delle leggi hanno voluto che Γ esjere cittadino sia il supremo grado. Colui che ha acquistata la corona civica la può sempre usare. Quando egli entra a vedere i giuochi, fino il senato stesso ha per usanza di levarsi e fargli ouore. Egli può sedere appresso il senato, e non pur esso, ma il padre e l ' avolo paterno sono esenti da ogni cosa che si avesse a fare pel co mune. » Quattordici di queste corone guadagnò Siccio Dentato, siccome abbiamo dello a soo luo go, e sei Capitolino, il qual n' ebbe una per aver salvato il capitano Servilio. L'Africano nella rotta di Trebbia non la volle, benché egli avesse sal vato suo padre. O costumi eterni, i quali non voi* sero che tanto beneficio avesse altro premio che l'onore, e benché l'altre corone si facessero di oro, non però volsero che la salute del ciitaJioo si acquistasse per prezzo; facendo conoscere come era cosa vile, satvar la vila a un uomo per isperanza di guadagno ! T
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VI. 5. Glandes opes esse nunc quoque mul« VI. 5. Veggiamo che ancora all' età nostra le tarum gentium, etiam pace gaudentium constat. ghiande sono le ricchezze di molte aazioni, che Necnon et inopia frugum arefactis molitur farina, vivono in pace. Oltra di ciò per carestia di biade spissalurque in panis usum. Quin et hodieque si fa pane di farioa di ghiande secche ; ed oggi
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVI.
per Hispanias, secundis mensis glans inseritur. Dalcior eadem iu cinere tosta. Cautum e·! prae terea lege xii tabularum, uut glandem in alienum fondnm procidentem lieeret colligere, « Genera earum malta. Distant fructu, situ, sexu, sapore. Namque alia fageae glandi figura, alia queruae, et alia ilignae : atque inter se quoque gene rum singulorum differentiae. Praeterea sunt aliquae placidiores, quae culta obtinent. Jam eliam in montuosis, planisque distant ; sicut et sexu mares ac feminae : item sapore. Dulcissima omnium fagi, ut qua obsessos etiam homines durasse in oppido Chio tradat Cornelius Alexan der. Genera distinguere non dator nominibus, quae sunt alia alibi. Quippe quum robur quercumque vulgo nasci videamus, esculum non ubique. Quarlam vero generis ejusdem, quae cerrus vocatur, ne Italiae quidem majore cx parte ootam esse. Distinguemus ergo proprietate, naturaque : et ubi res coget, eliam Graecis nominibus.
De
vago.
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ancora in Ispagna le ghiande si mettono in tavola per frotte. Ma molto pià dolei sono arrostite nella cenere. Ordinarono le leggi delle dodici (avole, che ognuno potesse raccorre le sue ghiao de, le quali fosiero cadute nel campo altrui. Esse sono di molte sorli ; perchè sono differenti di fruito, di sito, di sesso, e di sapore. Perciocché altrimenti son falle quelle del faggio, altrimenti quelle della quercia, altrimenti quelle del leccio; e fra sè stesse ancora ciascuna specie ha qualche differenza. Oltra di ciò ve ne sono alcune salva» li che, alcune più dimestiche, secondo che elle sono in luoghi lavorati. Sono aoco differenti nei luoghi montuosi, e ne’ piani, e Ira esse vi sono i maschi e le femmine. C1è differenza anehe di sapore. Dolci più cbe tutte 1*altre sono quelle del faggio, delle quali, secondo che scrive Corne lio Alessandro, gli uomini di Chio assediati vis sero un gran pezzo. Non possiamo dare a ciascuna sorte il suo proprio nome, perciò che hanno di versi nomi secondo i luoghi. Yeggiamo e h e il rovere e la quercia nascon per tatto, ma non l'ischio. La quarta della medesima specie, che si chiama cerro, non è pur conoscinta nella mag gior parie d’ Italia. Distingueremo dunque se c o n d o la proprietà e la natura, e dove sarà biso gno, ancora useremo i nomi Greci. D el
p a g g io .
6. La ghianda del faggio simile a noc VII. G. Fagi glans nucleis similis, triangula VII. ciolo, si rinchiude in una pelle triangolare. Ha la cule iocludilur. Folium tenue, atque e levissimis, foglia sottile, leggerissima e simile all' oppio, la populo simile, celerrime flavescens: et inedia parte plerumque gignens superne parvulam bac qual tosto ingialla, e massimamente uel mezzo, facendo disopra una piccola coccola verde e ap ca m viridem, cacumine aculeatam. Fagi glans puntata. La ghianda del fiiggio piace molto ai muribus gratissima est, el ideo animalis ejus nna topi, e per ciò tale animale viene insieme con proventus : glires quoque saginat: expetitur et lurdis. Arborum fertilitas omnium fere alternat, essa. Ingrassa anco i ghiri, e similmente è bra mata da’ tordi. Quasi tulli gli alberi fanno frutto sed maxime fagi. nn anno, e l’ altro no, e massimamente i faggi· De
k e l i q d i s g la m d ib c i : d e c a e b o a e .
V ili. Glandem, quae proprie intelligitur, fuerunt robur, quercus, esculnt, cerrus, ilex, suber. Continetor hispido calyce, per genera plns rainns culem compicciente. Folia, praeler ilicem, gravia, carnosa, procera, sinuosa lateribus, nec, quum cadunt, flavescentia, ut fagi : pro differen tia generom breviora, vel longiora. Ilicis duo genera. Ex iis in Italia folio non multum ab oleis distant, smilaces a quibusdam Graecis dictae. In provinciis snnt aquifoliae. Ilicis glans utriusque brevior et gracilior, quam Homerus acylon
D e l l e a l t e e g h ia n d e : d e l c a e b o r e .
V ili. Quella, che proprio si chiama ghianda, nasce nel rovero, nella quercia, nell* ischio, nel cerro, nel leccio, e nel suvero. Hanno tutte un vaso, o vuoi dire buccia ispida, dove elle son poste dentro, la quale più o meno le stringe, secondo le specie. Le foglie, eccetto che nell’ elee, son gravi, carnose, grandi, sinnose nell’ estremità laterali, che qaando cascan non ingiallano, come quelle del faggio ; e son più lunghe o piò brevi, secondo la differenza dalle speeie. Due sono le sorti dei lecci. Qoelli che ne sono in Italia, son
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C. PLINII SECUNDI
appellat, eoque nomine a glaude distinguit. Ma sculas ilices negant ferre.
Glans optima in quercu, atque grandissima : mox esculo : nam roboris parva : cerro tristis, horrida, echinato calyce, ceu castaneae. Sed et in querna, alia dulcior, molliorque feminae : mari spissior. Maxime autem probantur latifoliae ex argumento dictae. Distant inter se magnitudine, ct cutis tenuitate. Item quod aliis subesi tunica rubigine scabra, aliis protinus candidum corpus. Probatur el ea, cujus in balano utrimque ex Ion* gitudiue, extrema lapidescit duritia : melior, cui in cortice, quam cui in corpore : ulrumque non aisi mari. Praeterea aliis ovata, aliis rotunda, aliis acutior figura. Sicut et colos nigrior, candidiorve, qui praefertur. Amaritudo iu extremita tibus, mediae dulces. Quin et pediculi brevitas proceritasque differentiam habet.
In ipsis vero arboribus, quae maximam fect, hemeris vocatur, brevior, et in orbem comosa , i alasque ramorum crebro cavata. Fortius lignum quercus habet et iucorruplius : ramosa el ipsa: procerior tamen, et crassior caudice. Excelsissi ma autem aegilops, incultis amica. Ab hac pro xima latifoliae proceritas, sed minus ulilis aedi ficiis, atque carboni : dolata vitiis obnoxia est : quamobrem solida utuntur: carbo in aerariorum tantum officinis compendio : quoniam desinente flatu protinus emoriens, saepius recoquitur : ce lero plurimis scintillis. Idem e novellis melior. Acervi confertis taleis recentibus luto caminan tur : accensaque slrue coniis pungitur durescens calyx, atque ila sudorem emiltit.
Pessima et carboui el materiae haliphloeos dici a, cui crassissimos cortex alque caudex , et plerumque cavus fungosusque. Nec alia pulresril ex hoc genere, e li am quum vivit. Quin et fulmine saepissime icitur, quamvis altitudine non excellal: ideo ligno ejos nec ad sacrificia uti fas habe tur. luilem raro glans, et quum tulit, amara,
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poco differenti nella foglia dagli ulivi, chiamali da alcuni Greci smilaci, e nelle province aquifoglie. La ghianda dell' uno e l'allro leccio è più corta e più »otlile, la quale Omero chiama scilo, e con questo nome la disliugue dalla ghiaoda propriameulc della. Dicono che il leccio maschi· uou fa ghiande. La quercia fa ultime e grandissime ghiande, dipoi il leccio; quella del rovero è piccola. Quella del cerro è rmtis e aspra, e ha la sua buccia come il riccio della castagna. Però anche uella quercia quella della femmina è più dolce e più tenera: quella del maschio più spessa e più soda. Ma so prattutto piace quella della latifoglia, così delia dalla »ua forma. Sono tra loro differenti nella grandezza e sottigliezza del guscio; e perchè an cora alcune sotto il guscio hauno li buccia ruggiausa e ruvida, e alcune sol lesso hauuo il corpo bianco. Piace quella ancora, le cui parti etireoM iu luughe£Z4 sono dure quasi come pietra : ma i migliore assai quella, che ha tal durezza uel gu scio, che quella, che P ha nel corpo ; ma 1' una e l'altra cosa nou l’ ha se uon il maschio. Oltra di ciò alcune ghiande sono di forma ovata, alcune «li tonda, alcune d' aguzza. E similmente c' è diffe renza nel colore, perchè Puna è più nera, e Paltra più bianca; e questa è tenutala migliore.L’amaro è nella estremità ; uel mezzo il dolce. Écci anoo differenza nel picciuolo, più lungo o più corto. Quanto poi agli alberi, quello che fa più frut to, è chiamato emeri : questo è molto corto, e ha la chioma tonda, e l ' ale dei rami iu molti luoghi incavate. La quercia ha ieguo |>iù forte, e manco corruttibile : essa pure è ramosa , e più lunga, e di gambo più grosso. Altissima è quella, che si chiama egilope, la quale è amica dei luo ghi incolli. Dopo questa, graude è la latifoglia, ma è meno utile per costruire o per far carbone: lavorala che sia, dà fuur di molti difetti : il per chè si adopera rozza com* è: se ne usa il carboue solamente utile fabbriche dei meUlli, perchè è di manco spesa : perciocché cessando il Gaio del maniaco, subito si spegne, ma puossi adoperar più volle : però fa di molle scintille. A questo son migliori le giovani. Si mettono iu catasta le talee fre>ce, e s'in Ionicano di fango a oso di for nace ; e quando la calaste è accesa si punzecchia cou pertiche la iucrostatura, perchè u' esca fuori il vapore che trasuda. Tristissima da far carbone e legname è quella che si chiama alifleo, la quale ha la corteccia e il gambo grossissimo, e per lo più cavo e fungoso; ed essa sola iu questo genere s 'infracida, anche quando vive. Spesissime volle ancora è percossa dal folgore, benché nou sia molto alla : « perciò il legno suo non si può usar nei sacrificii. Bade
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVI.
quam praeter suet nullum attingatanimal : ac ne hae quidem, si aliad pabulum habeant. Hoc quo que iuter reliqua neglectae religionis est, quod emortuo carbone saorifioatur.
Glans fagea suem hilarem facit* earnern co quibilem, ac levem et utilem stuinacho : iligna, suem augustam, nitidam, strigosam, ponderosam: qoerua, diffusam : gravissima et ipsa glandium , atque dulcissima. Proximam huic cerream tradit Nigidius, nec ex alia solidiorem carnem, sed du ram. lligua teulari sues, nisi paullatim detur. Banc novissimam cadere. Fungosam carnem fieri esculo, robore, subere.
D
b
volte produce ghiande, le quali sono amare; tanto che non ne mangia altro animale fuor che il porco, e neppur esso la tocca, se egli ha altra cosa da mangiare. Auche questa adunque va Ira quelle cose che non s’ adoperano per non fare sfregio alla religione, dacché il suo carbone uon resterebbe acceso quanto domanda il sacrificio. La ghianda del faggio fa il porco grasso, e la carne più facile a cuocersi, ed è leggera a smalti re: quella dell'elce fa il porco riluceute, setoluto, e ponderoso : quella della quercia lo fa di cor po disteso: essa è la più pesante e la più dolce di tutte le altre ghiande. Scrive Nigidio, che quella del cerro i poco meno buona di questa ; né altra ghianda ha carne più soda; però é dura. Questa è l ' ultima a cadere. Quella dell' elee nuoce ai porci, se nou si dà loro poco a poco. L'ischio, il rovero e il sovero ianno la carne fungosa.
GALLA.
D
ella
galla.
IX. Quae glandem ferunt, omnes el gallam , IX. Tutti gli alberi cbe fanno ghiande, fanno altcrnisque annis glandem. Sed gallam hemeris ancora galla, e le ghiande uu anuo si, e l'altro uo. optimam, et curiis perficiendis aptissimam. Simi Ma l ' emeri fa buonissima galla, e molto a propo lem huic latifolia,sed laeviorem, mulloque miuus sito per conciare le cuoia. Simile a questa è quella probatam. Fert et nigrant. Duo euim geuerasnnt. che uasce nella latifoglia, ma è più leggera e Haec tingendis utilior. molto manco lodata. Questa produce aneora la ueia, perciocché ve ne sono di due sortile questa é più utile a tingere. 7. Naici tur autem galla sole de Geminis exe7. Nasce la galla quando il sole esce dei Ge unte, erumpens noctu semper universa. Crescit mini : nasce di notte, e sempre tutta a un tratto. uiio die candidior. Et si aestu excepta est, arescit Cresce iu uu giorno mollo bianca, rua s’ ella è protinus, neque ad justum iucremenlum perve tocca dal c a ld o , subilo secca, e uon aggiugne al nit : hoc est, ut uucleum labae magnitudine ha suo giusto accrescimento, che è quando il suo beat. Nigra diutius viret: cre»cilque, ut inter* nocciolo é grande quanto una fava. La nera luudura mali compleat magnitudinem. Optima Com ganiente verdeggi··, e cresce in modo, che lalora magena, deterrima ex robore. Siguuiu ejus,'quod è grande come una mela. Ottima è la Commage cavernae traoslucenl. na, e tristissima quella del rovero. 11 segno suo è , se Iralucono gl' incavi dell' albero dov’ essa nasce. Q
u a m m o i .t a ρ ε α κ τ α κ g l a n d b m f e b a n t ba b d k h
ABBOEES.
Q
u a n t e a l t r e c o se ,
o l t b e le g h ia n d e ,
FANNO QUESTI STESSI ALBERI.
X. Robur, praeter fructum, plurima et alia X. Il rovero olirà il frullo fa di molle altre cose, perciocché produce galla di due sorti, e gignit. Namque fert et gallae utrumque genus, certe bacche che somigliali more, se non fossero el quaedam veluli inora, ui distarent arida du ritie : plerumque tauri caput imitantia, quibus differenti perchè sou secche e dure : le più volte fructus inest nucleis olivae similis. Nascuutur in sou serabiauii a capo di toro; in esse sta il frutto eo et pilulae, nucibus uou absimiles, intus ha simile ai noccioli dell' uliva. Nascono in esso ao bentes floccos molles, lucernarute luminibus cora certe palloltoliue simili alle noci, le quali hauno deutro alcuni bioccoli leqeri, buoni per aptos. Nam et sine oleo flagrant, sicuti galla ni far lumi di lucerne; perciocché ardono senza gra. Fert et aliam iuutilem pilulam cum capillo, w rao tamen tempore melligeni succi. Gignunt olio, come fa la galla nera. Produce ancora un'al et alae ramorum ejus pilulas, corpore, non pedi tra palla con capelli, la quale però non è punto culo, adhaerentes : candicantes umbilicis : cetera utile, eccetto che di primarera ha sapor di m ^
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C. PLINII SECUNDI nigra varietale dispersa. Media cocci colorem ha bent. Aperti» amara inanitas est. Aliquando et pumices gigoil : necooo et e foliis convolutas pi· lulas : et in folio rubeole aquosos nucleos, candi cantes ac translucidos, quamdiu molles sint, in quibus et culices uascniilur : maturescunt in mo dum gallae.
le. L 'ali dei rami suoi fanno dell'altre palle, che son loro attaccate col corpo, e non per picciuo lo, bianche nel bellico, e uel resto macchiale di nero. Le parli di mezzo hanoo color di grana. Aperte sooo vane e amare. Fa talora anco delle pomici, e alcune pallottoline rinvolte nelle foglie; e nella foglia rossa hanno certi noccioli acquosi che biancheggiano, e sono trasparenti, mentre che sono molli, nei quali nascono le zanzare: questi induriscono a modo di galla.
C achbys.
D e l l e c a c r is .
XI. 8. Ferunt robora et cachryn (ita vocatur XI. 8. Fauno ancora i roveri una pallottola, pilula iu medicina urendi vim habens). Gignitur che si chiama cacri, la quale in medicina ha fona et in abiele, larice, picea, tilia, nuce, platano, d 'incendere. Questa nasce anco nell' abete, nel postquam folia cecidere, hieme durans. Continet larice, nella picea, uel liglio, nella noce, e nel nucleum pineis similem : is crescil hierae, aperi platano, e dura il verno poi che le foglie son ca tur vere pilula tota : cadit, quum folia coepare dute. Ua questa palla dentro a sè pinocchi simili crescere. Tam multifera suut, tot res praeier alle pine. Cresce il verno, e a primavera s'apre glandem pariuiil robora. Sed el bolelos, suillostutta da sè; poi casca quando le foglie comincia que, gulae novissima irritamenta, qoae circa ra no a crescere: laute cose portano i roveri, -e tante dices gignuntur : quercus probatissimos : robur cose fanuo olirà le ghiande. Di più fanno anche autem, et cupressus, et pinus noxio». Robora fe uovoli e porciui, recentissimo solletico della gola, runt el viscum, el mella, ut auctor est Hesiodus. i quali nascono intorno alle radici. La quercia Conslalque rores melleos, e coelo, ut diximus, gli fa buonissimi, ma il rovero, il cipresso e il cadenles, non aliis magis insidere frondibus. Cre piuo gli iauno maletìchi. Il rovero fa ancora il mati quoque roboris cinerem nilrosuin esse cer visco e Π mele, corbe scrive Esiodo. Trovasi che tum est. la rugiada di mele, la quale, come io dissi altro ve, casca dal cielo, si ferma più su qoesto albero, che sopra alcuno altro. E si ha per cosa chiara che la cenere del rovero arso è nitrosa.
Cocco·.
D
el
cocco.
XII. Omnes tamen has ejus doles ilex solo XII. Ala nondimeno tutte queste doli son vio le dal leccio col solo cocco. Questo è uu granello provocai corco. Granum hoc, primoque ceu sca del piccolo leccio acquifoglio, che da principio è bies fruticis, parvae aquifoliae ilicis: cuscubura vocant: pensionem alleram tribuli pauperibus come la scabbia dell' arbusto : chiamasi coscuglio : questo provento dà a' poveri di Spagna un Hispaniae donat. Usum ejus gratiorem in conchy altro mezzo di poter pagare il tribulo. Del grato lii mentione tradidimus. Gignitur el iu Galalia, uso di questo cocco abbiamo ragionato altrove, Africa, Pisidia, Cilicia : pessimum in Sardiuia. facendo menzione delle porpore. Nasce ancora iu Galazia. in Africa, in Pisidia, iu Cilicia, e peggior di tutti in Sardigna. A g a r ic o * .
D bll'
a g a r ic o .
X lll. Galliarnm glandiferae maxime arbores XIII. In Francia gli alberi che fanno ghiande, fanno ancora l ' agarico. Qoesto è uu fungo biao* agaricum ferunt. Esi autem fungus candidus, co, odorifero, buono nelle medicine, il quale na odoratus, antidotis efficax, iu summis arboribus nascens, nocte relucens. Signum hoc ejus, quo in sce in cima agli alberi, e riluce la notte. E questo tenebris decerpitur. E glandiferis sola quae vo è il segno da poterlo corre al buio. Di tutti gli cator aegilops, fert panos areutes, muscoso villo alberi che producon ghiande, solo quello che si canos, non io cortice modo, verum et e ramis chiama egilope produce alcuni tumori, a guisa dependentes cubitali magnitudine, odoratos, nt di pannocchia, aridi, biancheggianti per vello si mile al muschio, i quali non solamente nascono diximus inter unguenta.
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVI.
Suberi minima arbor, glans pessima, rara : cortex tantum in fructu,praecrassus ac renascens, atque eliam in denos pedes undique explanatus. Usus ejus ancoralibus maxime navium, piscantiamque tragulis, et cadorum obturamentis: prae terea iu hiberno feminarum calceatu. Quamohrem non infacete Graeci corticis arborem appel lant. Sunt et qui feminam ilicem vocent : atque uhi non nascitur ilex, pro ea subere utantur, in carpentariis praecipue fabricis, ut circa Elin et Lacedaemonem. Nec iu Italia tola nascitur, aut in Gallia omnino.
Q CABUM
AEBOEU* COXTICES 1R USU.
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nella scorza, ma stanno attaccati ancora a' rami, grandi un bracciu, e odoriferi, come dicemmo tra’ profumi. Il sovero è un albero molto piccolo, che fa la ghianda tristissima e rada, il cui frutto solo è la cortecciM, la qnale * grossa e tuttavia rinasce, e spianasi in modo che fa ben dieci piedi per ogni verso. Usasi molto nell' ancore da navi, e nelle reli da pescare, e a turare i vasi, e oltra ciò nelle pianelle che le donne portano il verno ; e però facetamente i Greci lo chiamano albero di cor teccia. Alcuni a ciò usano il leccio femmina, e dove e* non nasce, usano io quello scambio il suvero, massimamente i legnaiuoli, come intorno a Elide e Lacedemone. Questo albero non na sce in tutta Italia, e in Francia mai. Di
q u a l i a lb e k i s i u sa l a
scohza.
9. La scorza del faggio, del tiglio, delXIV. 9. Cortex el fagis, tiliae, abieti, piceae, XIV. Γ abete,'e della picea è mollo adoperata da* con in magno usu agrestium. Vasa, corbesque, ac pa tadini, i qoali ne fanno vasi, corbelli, e certe altre len liora quaedam messibns convehendis vindeceste più larghe da portar la ricolta e la ven miisque faciunt, atque praetexta tuguriorum. demmia, e ne cuoprono ancora le loro capanne. Scribit in recenti ad duces explorator, inciden· Le spie e le scorte degli eserciti scrivono al loro literas a succo. Nec non in quodam usu sacrorum religiosus est fagi cortex. Sed non durat ar capilano in queste scorze fresche. Adoperasi la scorza del faggio anche iu cerli bisogni.de1 sacri bor ipsa. ficii ; m» V albero spogliato di essa non dura molto. Db
s c a k d c lis .
D elle
scardole.
XV. l O . S c a u d u l a e e robore aptissimae, mox XV. 1o. Le B e a n d o le , ovvero asserelli son buonis e glandiferis aliis, fagoque : facillimae ex omni sime di rovero,epoi di lotti gli nitri alberi che fan no ghiande, come pure del faggio: sono agevolissi bus quae resinam ferunt: sed minime dnrant, me quelle di tutti gli alberi che fanno ragia, ma praeterquam e pino. Scandula contectam fuisse non duran punto, fuorché di pino. Scrive Cornelio Romam, ad Pyrrhi usque bellum, annis c c g c l x x , Nipote, che Roma stelle coperta di tali schegge, Cornelius Nepos auctor est. Silvarum certe distin guebatur insignibus. Fagutali Jovi eliam nunc, o asse, per ben quattrocento settanta anni, cioè fino alla guerra di Pirro. E certo eh' ella piglia ubi lucus fageus fuit: porta Querquetulana:colle va molle d e l l e sue insegne e distinzioni d a l l e sel in quem vimina petebantur, totque lucis, qui ve. Ne fa fede Giove Fagutalo, al qoale è tuttavia busdam et geminis. Q. Hortensius dictator,'quum sacrato un faggio dove ne fu già una selva : la plebs secessisset in Janiculum, legem in Esculeto porla Querquetulana: il colle, dove il popolo an tulil, ut «. quod ea jnssisset, omnes Quirites te dava per le vermene, e tanti boschi sacri, e alcuni neret. « anche doppii.Q. Ortensio dittatore, essendosi ri tirala la plebe nel Gianicolo, fece una legge nel bosco degl' ischii, che i Romani fossero obbligati a fare lutto quello eh' ella comandasse. De
p ir o .
Del
uro.
Il pino e I* abete, perchè non nasceva XVI. Peregrinae tum videbantur, quoniam XVI. no appresso le mura, parevano allora forestieri, non erant suburbanae, pinus atque abies, omoesque quae picem gignnnt, de quibus nunc dice e così tutti gli altri che fanno pece, dei quali ra gioneremo ora, acciocché si sappia tutto il modo mus, simul ut lota condicendi vina origo cogno-
C. PLINII SECUNDI
»39*
•calor. Qnaedam ferunl io Asia, aut Oriento, e praedictis picem. In Europa sex genera cognata rum arborum feruut. Ex iis pinu* atque pinaster folium habent capillamenti modo praetenue, lon gum que, et mucrone aco lesi uro. Pinus fert mi nimum resinae, interdum el nucibus ipsis, de quibus dictum esi, vixque nt adscribatur generi.
De
pin a s t r o .
XVII. Pinaster nihil aliud est, qoam pinus silvestris, mira altitudine, et a medio ramosa, sicut pinus in vertice. Copiosiorem dat haec resi nam, quo dicemus modo. Gignitor et in planis. Easdem arbores alio nomine esse per oram Ita liae, quos tibulos vocant, plerique arbitrantor, sed graciles succinclioresque,el enodes, liburni carum ad usus, paene sine resina.
Ds
PICEA : ABIETE.
XVIII. Pirea montes amat,atque frigora: feralis arbor, et funebri indicio ad fores posita, ac ro gis virens : jam tamen et in domos recepta, ton sili facilitale. Haec plurimam resinam fundit, in terveniente candida gemma , tam simili thuris, ut mixta visu discerni non queat : unde fraus Seplasiae. Omnibus his generibus folia brevi sela et crassiore, duraque, ceu cupressis. Piceae rami paene statim ab radice modici, velut brachia, la teribus inhaerent. Similiter abieti, expetitae na vigiis. Silas in exeelso montium, ceu maria fu geret : nec forma alia. Materies vero praecipua trabibus, et plurimis vitae operibos. Resina ei vitium, unde fructus unus piceae: exiguuroque sudat aliquando coulactu solis. E diverso mate ries, quae abieti pulcherrima piceae ad fissiles scandulas, cupasque, et panca alia secamenta.
De l a b i c e
: te d a .
d' acconciare i vini. Alcuni de1 già detti alberi in Asia e nelle parti di Lavante fanno pece. In Eu ropa sono di sei sorti, connaturali Ira loro, che fanno ragia. Fra questi il pino e il pino salvalico hanno la foglia a guisa di capelli, cioè snolto sot tile , lunga e appuntata. Il pino fa pochitsiiaa ragia, e talora la f
XVII. Il pinastro altro non è, che il pino saivalico, di mirabile altezza, e nel mezzo raaaoso, siccome il pino nella cima. Questo fa di molta ra gia, nel modo che diremo. Nasce ancora'ne* piani. Molti tengono che questi alberi sieno quei medesi mi che nelle maremme d1 Italia con altro nome si chiamano tibuli, ma sono sottili, ristretti e sema nocchi, e buoni a far certa sorte di navi, che si chiamano libnrniche, e sono quasi senza.ragia. D e l l a pic ba : d b l l ' a b b t s .
XVIII. La picea è un albero, che ama i luoghi monluosi e freddi : pousi agli usci delle case per segno mortuario, e meitesi verde tra le legne, dove ardono i corpi morti : liensi aneora negli orti, perchè si può ridurre in ogni forma. Questo albero fa assaissima ragia con sì biauca lagrima, che mescolala con l’ incenso, non si discerne da quello : di qui tanta frode nel mercato Seplasio. In tutte queste specie le foglie sono come se tole corte, grosse, e dure come di cipresso. La picea comincia avere i rami quasi in selle radici, piccoli, e che crescono su pei fianchi della pianta a guisa di braccia. Ciò avviene anche deir abete, che è buono per far navili. Qnesto albero sta nei monti alti, come s’ egli fuggisse il mare, e eon la sna forma sembra che nou voglia ricevere al tro umore. Il suo leguo però è buono a far travi, e a molte altre cose. La ragia gli è per difetto, benché essa è il solo frullo della picea, e talora ne fa poco, quando egli è tocco dal sole. Per lo contrario, il legno che fa Γ abete, è bellissimo ; qoel della picea è soia mente buono a fare asse da coprir tetti, e a tafferie, e a poche altre cose. D el l a b ic e : d e l l a
ted a .
XIX. Quinto generi situs idem, eadem facies: XIX. La Quinta specie ama il medesimo sito, larix vocatur. Materies praestantior longe, incor e ha la medesima forma, e chiamasi larice : il suo legno è buonissimo, e incorruttibile, e oon manca rupta vis, muri contumax : rubens praeterea, el mai: oltra di cioè rosso, e ha grandissimo odore. odore acrior. Plusculum huic erumpit liquoris, Questo fa un poco più di ragia, di colore di mele melleo oolore, atque lentiore, numquam dure· soenti*. e viscosa, e che mai si rassoda.
U1STORIARDM MONDI LIB. XVI. Sextum penus esi teda proprie dicta, abundantior socco qnara reliqua, parciorc liquidioreqne qnara in picea : fla mmi» ac lamini sacro· rura etiam grata. Hae, mare* dani taxat, ferant et eara, quam Graeci sycen vocant, odoris gra-i \ issimi. Laricis morbus eit, at teda fiat. Omnia autem haec genera accensa, fuligine immodica, carbonem repente exspunnt caro «ra ptionis crepito, ejacolanturqae longe: excepta larice, qoae uec ardet, nec carbonem facit, nee alio modo ignis vi consumi tur, qoam lapides. Omnia ea perpetuo virent, nec facile discernan tur in fronde, etiam a peritis: tanta nataliam mixtura est. Sed picea minos alta quam larix. Illa crassior, leviorque corlice, folio villosior, pinguior, et densior, molliorqae flexu. At piceae rariora siccioraque folia, et tenaiora, ac magi* algentia : totaque horridior est, et perfusa resina. Lignarn abieti similius. Larix astis radicibus non repullulat, picea repullulat, ut io Lesbo accidit, incenso nemore Pyrrhaeo..
Alia etiamuum generibus ipsis }n sexu differ ren lia. Mas brevior et durior: femina procerior, pinguioribus foliis et simplicibus atque non ri gentibus. Lignum maribus duram, et in fabrili opere contortum : feminae mollius, publico dis crimine in securibus. Hae in quocumque genere deprehendunt marem : quippe respuuntur, el fragosius sidant, aegrius revelluntur. Ipsa ma teries retorrida, et nigrior maribus radix. Circa Idam in Troade et alia differentia est> montanae, marilimaeqne. Nam in Macedonia et Arcadia, circaque Elin, permutant nomina, nec constat auctoribus, qaod caiqae generi adtribuant: nos ista Romano disoernimus judicio. Abies e cunctis amplissima est, et femina etiam prolixior: mate rie mollior otiliorque, arbore rotundior, folio pinnato densa, ut imbres non transmittat, atque hilarior in totum. E ramis generum horum pa nicularum modo nucamenta squamatim compa cta dependent, praeterquam larici. Haec abietis masculae, primori parte nucleos babent: non item feminae. Piceae .vero totis paniculis, mino ribus gracilioribnsque, minimos ac nigros. Pro pter quod Graeci phthirophoron eam appellant. In eadem nucamenta compressiora maribus suat, ac minus resina roscida.
La sesta specie è la leda la quale ha più sugo che Γ altre, e manco che la pìcea, ma più liquido: è grata per far fiamma e lume ne' sacrificii. Solo i maschi di questi alberi fanno ragia, e (anno anche quell' altra, cbe i Greci chiamano sice, di gravissimo odore. 11 vizio del larice è, ch'egli diventi teda. Tutti questi accesi eoo mollo forno, subito fcnno il carbone, e con isooppio lo gettino di lontano, in fuor che il larice, il quale non arde, nè fa carbone, nè in altro modo è consumalo dat fìtoco, che si sia la pietra. Essi tolti stanno sem pre verdi, e difficilmente si conoscono nelle fo glie neppur da persone pratiche ; tanto son egli no quasi d* ona istessa natura. Però la picea non è tanto alta, quanto il larice. Quella è più groisa, e ha corteccia più pulita, e ha la foglia più pilo sa, più grassa, più folta, e più pieghevole. Ma In picea ha le foglie più rare, più secche, più sottili e più fredde, ed è tutta più aspra, e piena di ra gia. Il legno suo è piottosto simile all’ abete. Il larice, arse le sae radici, non rimette, ma la picea si, come avvenne in Lesbo, essendo arso il bosco Pireo. Écci anco un' altra differenza fra loro, perché il maschio è più corto e piò doro ; la femmina più lunga, e ha le foglie più grasse, semplici, e non aspre. I maschi hanno il legno duro, che non risponde per dritta vena ai lavori del falegname : qoello della femmina è più dilicato, come se ne fa chiaramente prova con le scori, le qoali in ogni specie di legno danno a conoscere qaale sia il ma schio; perocché ne* primucolpi ne sono respinte: qaando s' appiccano, danno gran fragore, e si ca vano a fatica. Il legno dei maschi è molto più ri secco, e la radine più nera. Intorno al monte Ida nel paese di Troia c' è un’ altra differenza, dal marittimo al montuoso; perciocché in Macedo nia, in Arcadia, e circa Elide, mutano i nomi, sì che gli aotori non sanno discernere che nome diano pioltoslo all' uno, che all' altro : noi gli distingoiamo secondo le differenze Romane. L’a bete fra tutti gli alberi è grandissimo, e la fem mina ancora è più lunga che il maschio : il legno sno è più tenero e più utile, l ' albero più tondo, la foglia appuntata, e si folta, che la pioggia non passa, ed è al tulio più lieta. Da* rami di questi alberi, infuorchè dal larice, pendono certe pine in guisa di pannocchie, totle squagliose. Que ste negli alberi maschi hanno i pinocchi nella prima parie, ma non così nelle femmine. La picea ha queste pannocchie minori, e più sottili, e t pinocchi neri e piccolissimi ; e perciò i Greci la ohiamano ftiroforo. I medesimi alberi maschi han no quelle pine più ristrette, e manco rugiadose per la ragia.
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C. PLINII SECONDI Db
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XX. Similis his etiamnum aspectu est, ne quid XX. Simile « questi è ancora, acciocché nou praelereatur, taxas, minime vireo», gracilisqae si lasci addietro nulla, il tasso, il quale è ben poco et tristis, ao dir·, ooito socco, ex omoibos sola verde, sottile, maninconico, aspro, e senza aieoa baccifera. Mas noxio fructa. Letale qoippe baccis, sugo; edè il solo fra lutti gli altri detti disopra,eh· in Hispania praecipue, venenum inest. Vasa etiam fa coccole. 11 maschio le & nocive, massimamente viatori· ex ea vinis io Gallia facta, mortifera in Ispagna, dove son velenose. In Francia s'è fuisse compertam est. Hanc Sextius smilacem a trovato che i vasi da portar vioo per viaggio (atti Graecis vocari dixit: et esse io Arcadia tam prae» del tasso rendono il vioo mortifero. Dice Sestio aratis veneni, ot qui obdormiant sub ea, cibomve che i Greci chiamano qaesto albero smilace, e che capiant, moriantur. Sunt qui et taxica bine ap in Arcadia è talmente velenoso, che coloro che pellata dicant venena, quae nunc toxica dicimus, dormono, o mangiano sotto esso, si muoiono. Al quibus sagittae tingantur. Repertum, innoxiam cuni dicono che i veleni, die ora chiamiamo tosBeri, si in i psan» arborem clavus aereus adigalur. sichi, onde si tingono le saette, si domandarono tassiehi da questo albero. Truovasi che qoesto albero non è piò nocivo, se si ficca in esso un chiodo di rame. Q u ib u s m o d is f i a t n i l i q u i d a .
Qcom od o
CBDB1GM FIAT.
l a c n m od i si f a l a p e c b l i q u i d a : I I CHE IL CBDBIO.
XXI. i i . Pix liquida in Europa e teda co» XXL 11. La pece liquida della teda in Europa qui tur, navalibus muniendis, multosqae alios ad si cuoce per bisogno di rimpalmare le navi, e di usus. Lignum ejus concisum, furnis undique igni molle altre cote. Tritasi il legno suo, e minuzza extra circumdato, fervet. Primus sudor aquae to si mette ne'forni con intornovi il fuoco. Il modo fluit canali : boc in Syria cedrium voca* primo sudore, il quale n' esce, si racoglie a guisa tur: cui tanta vis est, ut in Aegypto corpora ho di acqua per canale : questo in Siria si chiama minum defunctorum eo perfusa serventur. cedrio, il quale è di tanta forza, ebe iu Egitto bagnando con esso i corpi morti vengono a con servarsi. Q
u ib u s m o d is sp is sa p i x p i a t .
I n CHB MODI LA PICB SPASSA.
Il secondo licore, che è piè .grosso, XXII. Sequens liquor, crassior jam , picem XXII. fundit. Haec vursus in cortinas aereas conjecta, manda fuor la pece, la quale poi rannata in vasi aceto spissatur: et coagulata Bruliae cognomen di rame si rassoda con l ' aceto, e com’ è rappre accepit, doliis dumtaxat vasieque ceteris utilis, sa, si chiama Bruzia, utile solamente a* dogli, e lentore »h alia pice differens : item colore ruti altri vasi, essendo differente dall'altra pece per la viscosità, pel color rosso che ha, e perch' ella lante, et quod pinguior est reliqua. Omnia illa fiunt e picea, resina ferventibus cocta Iapidibus, è piò grassa. Tutte queste cose si fanno di pieea, in alveis validi roboris: aut si alvei non sint, coltane la ragia oon pietre calde, in vasi awlto struis congerie, velut in carbonis usu. Haec in forti; e se non sono vasi, in on monte di legne, come ·' avessero a far carboni. Questa macinata τ ία ρ ι additur, farinae modo tuea, nigrior colo· re. Eadem resina si cura aqua levius decoquatur a uso di farina si mette n d vino, e gii dà color più nero. La medesima ragia se leggermente si coleturque, rufo colore lentescit, ac stillalitia vo catur. Seponuntur autem ad id fere vitia resinae cuoce oon l ' acqua e si cola, piglia color rossi cortexque. Alia temperies ad crapplam. Namque goo, e si fa viscosa, e chiamasi stillaticela. A ciò ■flos crudus resinae, cum multa assula tenui bre» fare si separa per lo più la ragia guasta « la oorvique avulsus, conciditur ad cribri minuta, deinde teccia. Diverso è il preparato per far la crapula, ferventi aqua, donec coquatur, perfunditur. Hu ovvero ragia cotta, perchè il fior crudo della ra jus expressum pingue, praecipua resina fit, atque gia spiccato con molte bacchette corte e sottili, si trita in modo che si possa vagliare; dipoi sì rara, uec uisi paucis in locis Subalpinae Italiae, conveniens medicis. Resinae albae cougium in bagna con acqua calda, fin che è colto. Il grassa duobus aquae pluviae coquunt. Alii utilius putant che n' esce si preme, e si fa ragia finissima e rara.
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVI. sine «qui coqaere lento igne lota die, ulique vase aeri* albi. Item terebinthinam ia sartagine re ferventi, banc ceteris praeferentes. Proxima ex lentisco.
Q oibos κ ι η ι z o m ssa .
ma cola in poccbissimi luoghi d* Italia sotto le Alpi,ed è a proposito pei medici. Un congio di ra gia bianca si cuoce in dae d 'acqua piovana. Aicani tengono ehe sia meglio cuocerla senza acqua a fuoco lento per tutto un giorno, e in an vaso di rame bianco. Cuocono similmente la tremen tina, ponendola in una padella a frigere, e vo gliono eh’ ella sia la migliore dell’ altre. Dopo questa è quella di lentisco. In c u
l a a a o u z o m ssa .
XX11I. ia. Noo omittendum, «pad eosdem XXIII. ia. Hassi anco da sapere, come appresso zopissam vocari derasam navibus uurilimis pi i medesimi zopissa si chiama la pece rasa via con la cem cam cera, nihil non experiente vita, multo eera dalle navi marittime; poiché l’ingegno ama efficaciorem ad omni·, qoibns pices resina«que no ha fatta esperienza di tutte le cote ; e questa prosunt, videlicet adjecto salis callo. è molto piò possente a tatti gli osi, a’ quali giova la pece e 1« ragia, perché ha già ricevuto dal sale la virtù di astringere e riseccare. Aperitur picea e parte solari, non plaga, sed La picea s'apre dalla.parte del sole, non per vulnere ablati corticis, qnum plurimum bipedali percossa, ma con levate nna striscia della corleohialu, at a (ecra cubito quum minimam absit. oia, larga al più due piedi, tanto che ella sia lon Nec corpori ipsi parcitur, ut in ceteris, quoniam tana un braccio almeno da terra. Nè si lascia di intaccare trami stessi,siccome negli altri alberi, assola in fructu est. Verum haec terrae proxima poiché ogni assicella dà il suo fratto. Però quella laadatur : altior amaritudiuem adfert. Postea hu eh’ è vicina a terra, è lodata ; e quella eh’ è più mor oumis e tota confluit in nlcas : ite» in teda. Quum id maoare desiit, simili modo ex alia parte alta, è amara. Dipoi tutto l’ amore di tatto l’ al bero scende nella ferita: il medesimo avvien nella aperitur, ao deinde alia. Postea tota arbor succi ditur, et medulla ejas uritar. Sic et in Syria te teda. Quando l’ albero non getta più amore, si* rebintho detrahunt corlices, ibi quidem et e ra* milmenle si rompe dall’altra parte, e così via via. mi», ac radicibus, quum resina damuetur ex his Finalmente si taglia tutto l’ albero, e la su· mi partibus. In Macedonia laricem masculam urunt, dolla s’arde. Così anche in Siria si leva la corteccia feminee radices tantam. Theopompus scripsit, in al terebinto, e oon pure dal solo fusto, ma ezian Applloniatarum agro picem fossilem, uon dete dio dalle rame e dalle radici, beuohè la ragia di esse riorem Macedonica, iu veniri. Pix optima ubique è men buona. In Macedonia ardono il lariee ma ex apricis Aquilonis silu. Ex opaicis horridior, schio, e della femmina solamente le radici. Scrive virusque praeferens. Frigida hieitoe, deterior, ac Teopompo, che nel territorio d’ Apollonia si cava minas copiosa, el dedolor. Quidam arbitrantur della pece di sotto terra, la quale è b u o u a q u a n t o in moeUmsii copia praestantiorem ac eoiore, et quella di Macedonia. La pece è ottima nei luoghi dulciorem fieri, odorem quoque gratiorem, dum solatii, da quella parte, ch’è volta verso tramonta resina sit : decoctam autem minus pieis reddere, na. Nei luoghi ombrosi è più aspra, e ritiene di ve quoniam iu serum abeat : tenuioresque esse ipsas leno. Quando il verno va freddo, è manco buona, arbores, quam in planis : sed has et illas sereni manco copiosa, e più scolorita. Alcuni tengono tate steriliores. Fruetum quaedam proximo anno che ne’ luoghi montuosi ella venga in più dovi ah incisu largiuntur, aliae secundo, quaedam ter zia, più colorita, più dolce, e più grata d’ odo tio. Expletur autem plaga resina, non cortice, re, mentre ch’ è ragia; maqnando è ciotta, dieono nec cicatrice, qoae in hac arbore non coit. ch’ ella fa manco peee, perchè se ne va in fumo| e che gli alberi qnivi son più sottili, che ne1pianfc però sì questi che quelli quando è sereno sona più sterili. Alcuni fanno frutto dopo il primo anno che sono intaccati, alcuni dopo il secondo, e alcuni dopo il terzo*. La ferita si riempie di rà gia ; non timette scorsa, nè fa margine, perchè non risalda. Fra queste speoie di alberi, alenai ne fanno Inler haec genera proprium quidam fieoere •appium, quoniam ex cognatione earum seritur, on' altra del sappio, perchè è dell· famiglia loro,
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C. PLINII SECUNDI
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qualis dieta est in oacleis : ejusqae arbori· imas partes tedas vocant, quum sit illa arbor uil iliud, quam picea, feritatis paullum mitigatae satu ; sapiuus autem materies caesarum e genere sit, si culi docebimus.
Qoaaoak a I b o a u m F b a x ih i
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come toccammo parlando de* noccioli : nc chia mano tede le parti sue più basse ; ma- veru n ealc quest* albero non e altro che picea, che m itigò la sua sai valichen* nel trapiantarsi ; mentre il vero sapino va tra i legnami da taglio, come di mostreremo. D e g l i a l b e r i , i l ch i l b g b o k i b p r e z z o . Q d ATTRO SPECIE DI FRASSIBI.
XXIV. i 3. Materiae enim causa reliquas ar XXIV. i 3%La natura ha fotti gli alberi sola bores natura genuit, copiosissimamque fraxinum. mente per 1' utilità del legno, e il frassino n’ è Procera baec ac teres : pinnata el ipsa folio: mulcopiosissimo. Questo è grande e tondo ; ha le fo tumque Homeri praeconio, et Achillis hasta no glie a guisa di penne, ed è mollo nobilitato per bilitata. Materies est ad plurima utilis. Ea qui la penna d* Omero, e per la lancia di Achille. Il dem, quae fit in Ida Troadis, in tantum cedro legno suo è utile a molte cose* e quello che nasce similis, ut ementes fallat, cortice ablato. Graeci iu Ida di Troade è tanto simile al cedro, ehe leva duo genera ejus fecere : longam* enodem : alte tone la corteccia, inganna i comperalori. I Greci ram brevem, duriorem, fuscioremque, laureis n' hanno fatto due sorti : 1* uno è lungo, e senza foliis* Bumeliam vocant iu Macedonia amplissi nocchi ; Γ altro corto, piè duro, più nero, e ha mam, leotissimamque. Alii situ divisere. Campe le foglie d* alloro. In Macedonia ehiamano b * · strem enim esse crispam, montanam spissam. Folia m«lia,cioè gran frassino,quello che è molto groaearum jumentis mortifera, ceteris ruminantium so, e facilmente si spiega. Altri gli hanno divisi innocua, Graeci prodidere. In Italia* nec jumen secondo il luogo, poiché il Faggio nei piani è cre tis nocent. Contra serpentes vero succo expresso spo, e nei mooti è di legname sodo e spesso. Scri ad polum, et imposita ulceribus, opifera, ac nihil vono i Greci che le foglie loro sono mortifere aeque, re periuntur. Tantaque est vis, ut ne ma a*cavalli,asini, muli, mentre agli altri animali tutinas quidem, occidentesve umbra·, quum sunt che rugumano non fanno mal veruno. In Italia longissimae, serpens arboris ejus adliugat, adeo non nuocono nè anco ai detti giumenti, io t i il ipsam procul fugiat. Experti prodimus : si fron sugo loro è utilissimo a berlo contra i morsi delle de ea gyroque claudatur ignis et serpens, in serpi, e a porlo ancora in sulle ulcere ; nè c ' è ignes potius, quam in fraxinum fugere serpen cosa, che giovi altrettanto. Ed è tanta la forza lo tem. Mira naturae benignius, prius quam hae ro, che ogui serpe li fugge, nè mai s*appresta al· prodeant, florere fraxiuum, nec ante condilas 1’ ombre loro, che la sera e .la mattina sono lun lolia dimittere. ghissime. E questo affermo, perchè Io ho pro valo io.Se delle frondi sue si fa un cerchio, e visi mette dentro il fuoco e la serpe, ella si getterà piuttosto uel fuoco, che nel frassino. Certo aaara· vigliosa è la benignità della natura, la quale U che il frassino fiorisce innanzi che le se rp i* ·» » fuori, e non lascia le foglie, se non quando «Ut tornano nelle caverne. T il ia e gbh bra u .
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XXV. 14. In tilia mas et femina differunt XXV. 14. De'tigli *00» per ogni modo dife> omni modo. Namque et materies mari dura, rurenti il maschio e la femmina ; perciocché il legao fiorque, ac nodosa, et odoratior. Cortex quoque del maschio è duro, e più grosso, e nodoso, e più crassior, ac detractus inflexibilis. Nec semen fert, odorifero. Ha la corteccia piè grossa, e cavala aut florem, ut femina, quae crassior arbore, dall1 albero non si può piegare. Non fa seme, materie candida praecellensque est. Mirum in nè fiore, come la femmina, la quale è più grana hac arbore, fructum a nullo animalium adtingi : d* albero, e di leguo bianco e buonissimo. Cou •foliorum corlicisque succum esse duleem. Inter maravigliosa è di questo albero, che uiuno ani corticem ac lignum tenues tunicae multiplici male tocca del suo frutto, eziandio che il sugo membrana, e quibus vincula, tiliae vocantur : delle foglie e della scorza sia dolce. Fra la seoru ieuuissimac earum philyrae, coronaram lemniscis e il lega» sono sottilissime coperte cou molle pel·
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HISTORI ARDUI MUNDI LIB. XVI.
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celebres^antiquorum honore. Materies teredinem non seutit» proceritate perquam modica» verum, utili**
licine, donde bto preso il nome qoelle che ai chiamano legature di tiglio. Queste pelliciae sono sottilissime: gli antichi le usavanoper nastri nelle corone, e perciò acquietarono celebrila. Il legno del tiglio uon inferi* t non l ' allunga molto, ma è utile.
Acaais c s n u i
D ie c i so &t i d ' acexo .
XXVI. i 5 » Acer ejosdem fere amplitudinis, XXVI. i 5. L* acero è quasi della medesima operum elegantia ac subtilitate citro secundum. grandezza, secondo dopo il cedro per fare lavori Plura ejus genera. Album quod praecipui cando belli e sottili. Soncene di molte sorli. 11 bianco, ri** vocatur Gallicum iu Transpadana llalia* transcbe è di notabil bianchezza, si chiama Gallico : que Alpes naecens. Alterum genus crispo macula nasce in Italia di là dal Po, e olirà I' Alpi. Eoce rum discursu, qui quum excellentior fuit, a simi ne un' altra sorte lutto piccato a righe tortuose, litudine caudae pavonum nomen accepit,in Istria* il quale quando fu più fago, dalla somiglianza Rhaeliaque praecipuum. E viliore geuere crassi che egli ha con la coda de' pavoni, prese quel no venium vocatur. Graeci situ discernunt. Campe me : è ottimo in Istria e in Rezia. Quello che si stre enim candidum esse, neo crispum, quod chiama crassivenio è di specie vulgare. I Greci glinon vocant c montanum vero crispius, duriusgli distinguono da' looghi. Dicono che quello dei que : etiamnum e mascula crispius ad lanUora piani i bianco e non crespo, e lo domandano gliopera. Tertium genus xygiam, rubentem» issili no ; quello de' monti più crespo e più duro : il ligno, oortice livido et scabro. Boo alii generis maschio ancora ogjtidl si preferisce, siccome più prop«M M«emalunt, et latine carpinum appellant. crespo, per fare lavori più delicati. La terza sorte si chiama zigio: è rosso, di legno fendibile, di scor ta livida e rozza. Alcoui voglion piuttosto che qaesto sia un legno di specie propria,e latinamen te lo chiamano carpiuo. Bauscux :
m o llusco *
: s t a pb y l o d e h o &on .
D el
bbosco ,
noLtosco,
sT a fil o d e h d r o .
XXVII. 16. Pulcherrimum vero est bruscum» XX VII. 16. Bellissimo è il brusco, ma molto multoque excellentius etiamnum molluscum. Tupiù* eccellente ancora è il mollusco. Amendue i»«r.qtrnmque arboris ejus: bruscum intortius questi alberi hanno nocchi : il brusco ha crespe crispum : molluscum simplicius sparsum. El si più tortoose, e il mollusco ha le sue veue più magnitudinem mensarum caperet, haud dubie semplici e più distese ; e s 'egli fosse sì grande, praeferretur citro. Vnne intra pugillares, leetoche se ne potesse far tavole, senza dubbio sareb rnmque silicios, aut laminas raro usu spectalur. be più in pregio ehe il cedro. Ora si usa, benchi E brusco fiunt et mensae nigrescentes. Repentur di rado, a far tavolelle da scrivere, e ornamenti da letti, e assioelle. Di brusco si fanno ancora ta e t in alno tuber : tanto delerius, quanto ab acere alnus ipsa distat. Aceris mares prius florent. vole, ehe pendono in nero. Trnovasi ancora nell'alno, ovvero ontano, un bottuolo; tanto peg Etiamnum in siccis nalae praeferuntur aquaticis, giore , quanto l ' ontano e differente dall' acero. licut et fraxini. Est, et trans Alpes arbor, similli ma aceri al^o materia, quae vocatur staphyloden L'acero maschio fiorisce prima; e quegli che dron. Fert siliquasKet m iis nu
gehbba
111.
XXV 11L In primis vero materies honorata buxo est, raro crispanti, nec nisi radice : celero Jcnis quies materiae, silentio quodam, et durilie,
Tbb
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bosso .
XXVIU. Il bosso va tra i legni più onorati:è poco crespo e solo nelle radici : il suo legno è pigro e quasi che tordo, ma è pregevole per soli·
C. PLINII SECONDI ac pallore commeadabilis : ia ipsa vero arbore topiario opere. Tria ejas genera : Gallicum, quod in meta· emittitur* amplitudinemqae procerio rem. Oleastrum in omni u»u damnatum* gravem praefert odorem. Tertium genua nostrate voeant : silvestre, ut credo* mitigatum «ala : diffusius, et densitate parietum virens semper* ac tonsile. Buxus Pyrenaeis, ac Cytoriis montibus plurima, et Berecyntio tractu : crassissima in Corsica* flore non spernendo : quae causa amaritudinis mellis. Semen illius cunctis animantibus invisum. Haec io Olympo Macedoniae gracilior* sed brevis. Amat frigida, aprica. In igni quoque duritia, quae ferro : nec flamma, nec carbone utilis.
diti e pallidezza ; e dovunque si pianti si può ri durre ad ogui figura. Ve n' è di tre sorti : il Gal lico, che si distende iu lunghezza e in grandezza. La seconda sorte si chiama oleastro, il quale oon s’adopera in cosa alcuna, perchè ha cattivo odore. 11 terzo si domanda nostrale : è salvalico * per quanto io stimo, ma si domestica col trapiantarlo: sta molto disteso, e perciò è buona a vestir le mura : è sempre verde, e si tosa come aggrada. Sono mòlli bossi sui monti Pirenei, sai monte Citoro, e in Berecinto. In Corsica sono g rowìaà mi, dove fanno fiori non ispregevoli ; e ciò è la cagione, ehe il mele vi è smaro. Il seme suo i avuto a noia da lutti gli animali. Questo nel mon te Olimpo di Macedonia è molto abitile, aaa corto. Ama i luoghi freddi, ma aperti. Nel fuoco ancora ha la medesima durezza ehe il ferro* e non è buono nè per far fiamma, nè per carbone. Q u a t t r o s p b c u di
UUIOBCM G H I t i IV.
olm o.
XXIX. 17. Inter bas atque frugiferas, materie XXIX. 17. Fra qoesti e gli alberi fruttiferi è viliumque amicitia, accipitur almus. Graeci duo posto P olmo, per rispello del legno suo, e «Μ ejus genera novere : montuosam, quae sit am Ι* amicizia eh' egli ha con le viti. 1 Greci n'hanno plior : campestrem, quae fruticosa. Italia Atinias di due sorti ; il montuoso, eh' è il più grande, e vocat excelsissimas, et ex iis siccanas praefert, quel dei piani* che ha più dell' arbuseello. L'Ita quae non sint riguae. Alterum genus Gallicas. lia chiama gli altissimi olmi attinie* e dì questi Tertium nostrate, densiore folio, et ab eodem stima più quei che son secchi di natura* i quali pediculo numerosiore. Quartum silvestre. Aiioiae non si adacquano. L* altra sorte è il Gallico. La non ferunt samaram : ita vocatur ulmi semen : terza è de1 nostrali, le cui foglie sono assai spesse* omnesque radicum plsntis proveniunt : reliquae e pendono iu molte da un picciuolo medesimo. semine. La quarta sorte è il salvalico. Le attinie non Can no samara ; così si appella il seme dell' olmo : queste provengono tutte del germoglio ddle ra dici materne: quegli altri dal seme. [ARBORUM STATURA P tR SITOS : QUAB MORTASAR ; q u a r c a m pr st r r s .
N atura
d r g l i a l b e r i se c o n d o i l o o o b i
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quali
MONTANI, QOALI CAMPESTRI.
XXX. 18. Nunc celeberrimis arborum dictis* XXX. 18. Ora che »’ è ragionato degli alberi quaedam in universum de cunctis indicanda sunt. più eccellenti, s' hanno da dire alcune cose ia Montes amant cedrus, larix, teda, «t ceterae, e universale di tolti. Amano i mouli il cedro, il quibus resina gignitur. Item aquifolia* buxus, larice, la teda, e gli altri alberi che Tanno la ra ilex, juniperus, terebinthus, populus, ornus, gia. Similmente l'aquifoglia, il bosso, il leccio, cornus, carpinus. Est et in Apennino frutex, qui il ginepro, il terebinto* il pioppo* l ' orno, il cor vocatur oetinus, ad lineamenta modo conchylii niolo, non che il carpino. Sull’ Apennino ancora colore insignis. Montes el valles diligit abies, nasce un arbuseello, che si chiama colino* buono robur, castaneae, tilia, ilex, ooruus. Aquosis solo a dar tintore per lo color che lascia di por montibus gaudent acer, fraxinus, sorbus, lilia, pora. Amano i monti e le valli l ' abete, il rovero, cerasus. Non temere in montibus visae sont il castagno, il tiglio, il leccio e il corniolo. Amano prunus, Punicae, oleastri, juglans, morus, sam i monti acquosi Γ acero, il frassino, il sorbo, il buci. Descendunt et in pian», cornos, corylus, tiglio e il ciriegio. Fanuo anco bene au' monti i f quercus, ornus, acer, fraxinus, fagus, carpinus. •usini* i melagrani, gli ulivi salvatichi, i noci, i Subeunt et in montuosa, ulmos, malus, pirus, mori e i sambnehi. Stanno bene ancora nei piani laurus, myrtus, sanguinei frutices, ilex , lin- il corniolo, il nocciuolo, la quercia, Torno* Tace gueadisque vestibus naseeates genistae. Gaudet rò, il frassino, il leggio, il carpino. Fanno stmil-
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HISTORIARUM MUNDI ΓΛΒ. XVI.
frigidis sorbui, et magia eliam betulla. Gallica baec arbor mirabili caodore atqoe tenuitate, terribilis magistratu·» virgis. Eadem circoli· flexilis, i lem corbium cbslts. Bitumen n ea Gal liae excoquunt. Io eosdem silas oomitatnr et spioa, nuptiarum facibus auspicatissime, quouiam inde fecerint pastore» qui rapuerunt Sabinas, ut aoctor est Masurio*. None fecibus carpinus et corylus familiarisii mie.
Qu
ì i s ic c a r e a e :
ιΑόβ
mente nei monti l'olmo, il melo, il pero, Γ alloro, la mortine, il sanguine, il leccio, e la ginestra, buona per tignere i panni. Ama i luoghi freddi il sorbo, e molto pià aneora la betulla. Questo è un albero della Gallia, bianchissimo e molto sot tile, e terribile per le verghe ebe i ras giàtrati fanno d 'esso. II medesimo è pieghevole per far cerchi e fianchi di eorbelli. In Gdlia lo cuocono, e ne fanno bitume. Nei medesimi siti ci ha pure la spina, della qoale si fanno faoelline di buonis simo augurio per le none, perciocché di questa le feoero i pastori, i quali rapirono le Sabine, come scrive Masorio. Ora il carpino e il noooiuol» s’ adoperan molto a far queste fecellioe. D i QUELLI CHB BOB ΑΜΑΒΟ ACQUE, DI QUBLL1 CHB SÌ,
q uae a q u a tic a · : qoae
DI QUBLLt CHB SOB COMORI ALL1 UMIDO E ALLO
com m unbs.
ASCIUTTO.
XXXI. Aqnas odere cupressi, joglandes, ca XXXI. Hanno a noia l’ ftcque i cipressi, i staneae, laburnnm. Alpina et baec arbor, nec noci, i castagni, il laburno cioè avorno, il quale volpo nota, dura ac candica malerie, co jus florem nasce anch' egli sull' Alpi, e non è noto al vulgo. Ha legno duro e bianco : il suo fiore lungo un cubitalem longitudine apei eon adtingnnt. Odit et qoae appellator Jovis barba, in opere topiario braccio uon è tocco dalle pecchie. Ha in odio ancora Tacque quello che si chiama barba di tonsilis, et in rotunditatem spissa, argenteo folio. Giove, alto a ridursi in varie forme tendendolo: Non nisi in aquosi· proveniunt salices* alni, po è rotondo e folto, e ha foglia come d'argento. puli, siler, ligustra tesseris utilissima. Item laci Non nascono se non in looghi acquosi i salci, gli nia, Italiae in ancopiis sata: Gallia vero etiam purpurae tingendae causa ad serviliorum vestes. ontani, i pioppi, il silaro e i ligustri utilissimi Qaaecomque communia sunt montibns planis» per le tessere militari. Similmente i vaeinit, i que. majora ftont, aspectoqne pulchriora in cam quali in Italia si piantano dove s* ha da uccellare : pestribus i meliora materie, crispioraque in mon in Gallia però ne fenno color rosso da tingere le vesti de' servidori. Tolti gli alberi, che sono 00tibus : exceptis malis, pirisque. mnni’ a' menti e a* piani, diventaoo maggiori e piò belli a vedere ne' oarapi aperti : ma son mi gliori di legno e più erespi ne1 monti, fborchè i meli e i peri.
Divino g b n e r u m .
D iv is io n e
d b l l b s o s t i d i g l i a l b e r i.
XXXII. 19. Praeterea arborom aliis decidunt XXXII. 19. Oltra di ciò sono alcuni alberi, e cui cascan le foglie, e alcuni che le tengon sera· folia : aliae sempiterna eoma virent. Qnam diffe rentiam anteceda! necesse est prior. Snnt enim pre. Ma è necessario che prima noi parliamo di arborum quaedam urbaniores, quas his placet qoesti secondi. Sonvi adottque alcuni alberi sal vatichi affatto, alcuni più civili, i quali ne piace nominibus distingoere. Hae miles, qoae fructu, aut aliqua dote, ombrarurave officio humanius distinguere qui co' lor nomi. Qoesti che ne sono cortesi o per frntlo, o per altro vantaggio, o per juvant, non improbe dicantur urbanae. ombra, meritamente si possono chiamar civili.
Quracs
f o l i a non d e c id a n t.
De
ehododebdro.
QuiBD S BOB OUB1A POLIA CADABT.
QviBUS
IB
LOCIS BULLI ARBORUM.
XXXIJI. ao. Harum generi non decidunt : oleae, tauro, palmae, myrto, cupresso, pinis, ederae, rhododendro, et (quamvis herba dicatur)
Di q u e l l i ,
Del r o d o Dì QUELLI, A CUI BOB TUTTE CADONO LB
a cu i bob ca d o n o l b f o g li e .
DSBDBO.
FOGLIE. 7 b QUALI SITI BOB SIACI ALBERO VBEUBO.
XXXIII. 30. A questi tali alberi non caggiono le foglie : sono l ' ulivo, l'alloro, la palma, la mor tine, il cipresso, il pino, 1* ellera, il rododendro,
€. PUNII SECONDI sahinac. Rhododendron, ut nomine apparet, a Graecis venii. Alii nerion vocarunt, al ii rhodo daphnen, sempiternam fronde, rosae similitudine, caulibus fruticosum. Jumentis caprisqueet ovibus venenum est. Idem homini contra serpentium venena remedio.
e Ia sabina ( quantunque la si ponga fra V erbe). Il rododendro, eome si vede dal nome, viene dai Greci. Alcuni Γ hanno «Mainato nerio, aleni rododafne : ha sempre lai foglia, eh' è simile alfa rosa, ed è cespuglioso. Questo è veleno a' giu menti, alle capre e alle pecore, ma agli nomici è rimedio contra il veleno delle serpi. ii. Silvestrium generis folla non decidunt ai. Degli alberi salvatichi non perdono la abieti, larici, pinastro, junipero, cedro, terebin- foglie l'abete, il larice, il pin selvatico, 9 ginepro, iho, buxo, ilioi, aquifolio, suberi, taxo,*tamarici. il cedro, il terebinto, il bosso, il leccio, 1' aquiInter utraque genera sunt adrachne in Graecia, foglio, il sovero, il tasso, nè la tamarige. Fra et ubique unedo. Reliqu* enim folia decidunt his, l'una e l'altra specie sono in Grecia Tadracne, e da per lutto il corbezzolo. Perciocché a questi praeterqoam in cacuminibus. Non decidont au tem et in fruticum genera cuidam rubo, et caggiono tutte l ' altre foglie, fuorché in sulla calamo. In Thurino agro, ubi Sybaris fuit, ex cima. Fra gli sterpi, quegli che non lasciano le ipsa urbe prospiciebatur qtnvcus nna, numquam foglie, sono il rovo e il calamo. Nel territorio folia dimittens, nec ante mediam aestatem germi Turino, dove fu già la oittà di Sibari, si vedeva nans. Idque mirum est, Graecis auctoribus pro da essa città ona quercia, la quale mai non per ditum, apud nos postea sileri. Nara loc6rum tanta deva le foglie, e non germinava innanzi mezza vis est, ut circa Memphim Aegypti, et in Ele state. Ed è maraviglia, come avendolo scritto phantine Thebaidis nulli arbori decidant, ne gli autori Greci, i nostri poscia non ne dicessero nulla. Ma tanta è la forza de' luoghi, che intorno vitibus quidem. a' Menfi d 'Egitto, e iu Elefantina di Tebaide nessuno albero perde le foglie, nè anco le viti. D
e
ftATURA FOLIORUM CADENTIUM.
D ella
n a t u r a d e l l e f o g l i* c h e o a d o n o .
XXXIV. 2a. Ceterae omnes extra praedictas XXXIV. aa. Tutti gli alberi, infoorchè t pre (etenim enumerare longum), folia deperdunt: detti (perciocchétroppo lungo sarebbe a volergli observatumque non arescere, nisi tenuia , et lata, contar tutti), perdono le foglie; e s'è osservato, et mollia. Quae vero non decidant, callo crassa, che non seccano se non le fogli· sentili, larghe e et angusta esse. Falsa definitio est, non deoidera tenere. Quelle che non caggiono, hanno il callo his, quarum succus pinguior sit. Quis enim potest grosso, e sono strette. Nè punto è vero qnei ehe in ilice intelligere? Decidere Timaeus ma thema·-· alcuni dicono, che quegli alberi, i qaali hanno ticus sole Scorpionem transeunte, sideris vi,-et il sugo molto grasso, non perdono le foglie. Per quodam Veneno aeris, putat. Cur ergo non eadem chè ohi può intender ciò nel leccio ? Pensa Timeo causa adversum omnes polleat, jure miremur. matematico, che le foglie caggiano agli alberi Cudunt plurimis autumno. Qnaedam tardius a-' quando il sole passa per lo Scorpione, per la In mittunt,atque in hiemesprorogant moras. Neque fluenza che quella costellazione ha, che pare che interest maturius germinasse : ulpotequum quae impregni l’aria di veleno. Ragionevolmente dun que ci possiamo maravigliare, come la medesima dam primae germinent, et inter novissimos nu dentur : nt amygdalae, fraxini, sambuci. Morus cagione non vaglia contra tutti. Caggiono le foglie autem novissima germinat, cum primis folia alla maggior parte degli alberi nell' autanno, e dimittit. Magna et in hoc vis soli. Prius decidunt alcuni le perdono più tardi, e indugiano .fino il in siccis macrisque : et vetustae prius arbori : verno ; nè la differenza sla in ciò, che qoelU le multis etiam, antequam maturescat fructus. In hanno messe piò tosto, perciocché alcani alberi serotina ficu, et hiberna piro, et malo granato germogliano prima che gli altri, e pur sono degli est pomum tantum aspici iu matre. Neque his ultimi che lasciano le foglie, come i mandorli, i antem, quae semper retinent comas, eadem folia frassini, e i sambuchi. Invece il moro è l'ultimo durant: sed sobnascenlibus aliis, tum arescunt a germogliare, e dei primi a perdere le foglie, la vetera : qood evenit circa solstitia maxime. questo ancora gran forza ha il terreno, percioc ché prima caggiono nei terreni secchi e magri, e prima agli alberi vecchi, e a molti ancora innanti che il frutto maturi. Nel fico serotino, nel per» vernereceio e nel melagrano solamente si vede il frutto quando essi alberi sono ancora senza foglie.
i4«9
HISTORIARUM MUNDI, L1B. XVI.
1410
Nè ία quegli ancora, che stanno sempre verdi, durano le medesime foglie, ma nascendo delle altre, le vecchie si seccano; e ciò avviene U’ in torno a mezza state. QuiBDS FOUOIUM VARII QOLORBS : QUORUM FOLIORUM
Di q u b l l b
FIGURAR MUTBHTUB. PoPULURUM GERBRA 111.
c h b b a s s o p iù c o l o r i : d i q d e l l k c h b
MOTARO FIGURA. T r B SPECIB DI OPPIO.
XXXV. Foliorum unitas in suo cuique genere XXXV. Grandissima è la unione delle foglie permane!, praeterquam populo, ederat, crotoai, in ciascun albero, fuorché nell* oppio, nell* ellera quam el cici diximus vocari. e nel crotone, il quale dicemmo anco che si cbiama ricino. aJ. Populi tria genera : alba, ao nigra, et qaae a3 . Tre sono le sorte dell*oppio: biaooo, Libyca appellatur, minima folio, ac nigerrima, nero, e quello che si chiama Libico, il quale ha fuogisque enascentibua laudatissima. Alba folio le foglie piccole e nerissime, ed è stimato molto bicolor, superne candicans, inferiore parte viridi. pei funghi che produce. Il bianco ha le foglie di Huic nigraeque, et crotoni, folia in juvenia eirci· due colori, di sopra bianco, verde nella parte di natae rotunditatis suot: vetustiora in angulos sotto. Questo e il nero, come il crotone, qaando exeunt. £ contrario ederae aogulosa rotundan^ soo giovani hanno le foglie perfettamente tonde* tor. Populorum foliis grandissima lanugo evolat : quando son vecchi le hanno appuntale in triancandidae, traditae folio numerosiore, candida, et golo. Per lo contrario, Pel Iera prima le fa ango ut villi. Folia granatis et amygdalis rubentia. lari, e poi ri tonde. Le foglie dell'oppio hanno ben grossa lanugine cbe il vento lor crolla via : il bianco, che diceai esser più fronzuto, Pha bianca e a guisa di velli. Le foglie del melagrano e del mandorlo pendono in roseo. QUAK FOLIA VBRSEarua OMR1BUS ARIUS.
XXX VI. Mirum in primia id, quod ulmo, tiliaeque, et ole*e, et popalo albae, et salici eveuit. Circumaguntur enim folia e a r u m post solsti tium : uec alio argumento certius intelligitur tidus confectum. 24. Est et publica omoium foliorum inipsii differentia. Namque pars inferior a terra herbido viret colore. Ab eadem laeviora, nervos, callum· que, et articulos iu superiore habent parte : iq· cisuras vero subter, ut manus humana. Oleat superne candidiora, et minus laevia : item ederae. Sed omuium folia quotidie ad solem oscitant, interiores partes tepefieri volentia. Superior pars omnium bnugiuem quantulamcumque habet, quae in aliis gentium lana est.
FOLIORUM £ F ALMIS CORA, ET USU).
Q
u a l i f o g l ib si r i v o l t a h o o g b i a m o
.
XXXVI. È gran maraviglia quello che inter viene alP olmo, al tiglio, alPulivo, all’oppio bian co 0 al salcio, perchè le foglie loro si rivoltano dopo mezza state, nè con altro segno più certo si conosce che il solstizio sia passato. 34. Tutte le foglie ancora hanno una visibile differenza tra loro ; perciocché la parte di sopra verdeggia, e ha colore come d’ erba. Quella parte stessa è più liscia: i nervi, i calli e le giunture sono nella parte di sotto : nel di sopra veggonsi le riciditure, come nella roano delP uomo. Le foglie dell1ulivo di sotto biancheggiano e son meno liscie : così quelle delP ellera. Le foglie di tutti gli alberi ogni dì s’ aprono al sole, come se desi derassero di riscaldare le parli di dentro. La parte prona di tutlequanle le foglie ha no certo poco di lanugine, la qoale alcune genti usano per lana.
Cura
d e l l e f o g l ie d e l l a
palm a , e a ch e s i
ADOPBRiaO.
X X X VII. In Oriente funes validos e palmae XXXVII. Abbiamo detto altrove, come in foliis fieri dictum est, eosque iu humore utiliore· Levante si fauno fortissime funi di foglia di pal esse. Et apud nos fere palmis a messe decerpun·» ma, le quali son più utili nell' umido. Anche ap presso di noi si spiccano dalle palme circa il tem tur. Ex his meliora, quae sese non diviserint. Siccantur sub lecto quaterni* diebus: mox in sole po della mietitura. Di queste sono migliori quelle
C. FL 1 M 1 SECUNDI expanduntur, et noctibus relicta, donec candore inarescant, postea in opera finduntur.
F
o LIORUN
MIRABILIA.
che non si dividono. Seccaosi al rezzo ia quattro dì, poi si distendono al sole, e lasciansi ancora la notte infinchè imbiancano e seccansi, dipoi si dividono, e si adoperano. M a r a v ig l io s b
cose d b l l b f o g l i e .
XXXVIII. Larghissime foglie hanno il fico, XXXV111. Latissima fico, viti, platano: angu sta myrto, Punicae, oleae : capillata pino, cedro : la vite, il platano: strette la mortine, il melagrane aculeata aquifolio, et ilicum generi: nam junipero e Γ ulivo : capillMe il pino ed il cedro : appun tate Γ acquifoglio e i lecci d' ogni specie : il gi spina pro folio est: carnosa cupresso, tamarici: crassissima alno: longa arundini, salici: palmae nepro ha lo spino in luogo di foglie : carnose etiam duplicia : circinata piro, mucronata malo, sono quelle del cipresso e della lamerigia : grosse angulosa ederae, divisa platano : insecta pectinum sono quelle dell' ontano : lunghe quelle della •nodo piceae, abieti : sinuosa loto ambitu robori : cauna e del salcio : composte come di due son spinosa cote rubo. Mordacia soni quibosdam, ut quelle della palma : tonde quelle del pero, agozze urticis. Pungentia pino, piceae, abieti, larici, ce quelle del melo, angolari qoelle dell' ellera, di vise quelle del platano : la picea e l ' abete hanno dro, aquifoliis. Pediculo brevi oleae, el ilici: longo vitibus: tremulo populis, et iisdem solis je foglie a guisa di pettini : il rovero le ha pie ghevoli d'ogni intorno : il rovo le ha con la pelle inter se crepitantia. Jam et in pomo ipso, mali quodam in geuere, parva mediis emicatil folia, spinosa. Alcuni 1' hanno mordaci, come l'ortica. interim et gemina. Praeterea aliis circa ramos, Pungenti Γ hanno il pino, la picea, P abete, il larice, il cedro e l ' acquifoglio. L’ ulivo e Γ elee aliis et in cacumine ramorum: robori, el in cau dice ipso. Jam densa, ac rara, semperqoe lata han corti picciuoli : le viti lunghi, Γ oppio tre rariora. Disposita myrto, concava buxo, inordi manti, e tra loro strepitosi, il che è proprio di nata pomis. Plura eodem pediculo exeuntia malis lui solo. Del mezzo di certe mele esce una piccola pirisque. Ramulosa ulmo et cytiso. Qnibus adji foglia, e alcuna volta due. In alcuni alberi na cit Calo decidua, populea quernaque, animalibus scono intorno ai rami, in alconi altri nella cima jubens dari non perarida; bubus quidem et di essi, e il rovero le mette ancora nel pedale. ficulnea, ilignaque, et ederacea. Dantur et ex Alcune sono folte, alcune rade, e sempre le rade arundine, ac lauro. Decidunt sorbo universa, son più larghe. La mortine ha le foglie disposte celeris paullatim. Et de foliis hactenus. con cerio ordine, il bosso concave, il meli disor dinate. 1 meli e i peri n' hauno molte insieme, chc escono di un medesimo picciuolo. L* olmo e il citiso hanno le foglie ramose. A queste aggiugne Catone quelle che cascano dagli oppi» e dalle quercie, e vuole che elle si dieno alle bestie, ma non .secche affatto: a'buoi anche le foglie del fico, dell' elee e dell' ellera. Dannosi loro eneo quelle della canna e dell'alloro. AI sorbo cag giono tutte le foglie a un tratto, agli altri a poco a poco. E questo basti aver detto delle foglie. O bdo r a t u r a b in s a t i» .
D e ll' o r d ir e di s a t u r a n e l l e p ia s t e .
XXXIX. a5. L 'ordine di natura ogni auno XXXIX. 25. Ordo aulem naturae annuus ita se habet. Primus est conceptus, flare incipiente sia io questo modo. Prima è la concezione, quan vento Favonio, circiter fere sextum Idus Februa do comincia a trarre.il vento Favonio, quasi iotorno agli otto di Febbraio, perchè per questo rii. Hoc maritantur vivescentia e terra : quippe quum etiam equae in Hispania, ul diximus. Hic vento le cose che han vita dalla terra souo stimo est genitalis spiritus mundi, a fovendo dictus, ut late e invitate a concepire ; siccome anche le ca quidam existimavere. Flat ab occasu aequino valle Spagnnole, delle quali s 'è dello. Questo è ctiali, ver inchoans. Catulitionem rustici vocant, to spirito generativo del mondo, così detto, come gestiente natura semina accipere, eoque animam 'alcuni vogliono, perchè fove, cioè riscalda e ri ioferente omnibus satis. Concipiunt variis diebus, crea. Soffia da ponente equinoziale, e dà princi et pro sua quaeque natura. Alia protinus, ul pio alla primavera. 1 contadini lo chiamano calu-
ι4·3
HISTOR1ARUA1 MUNDI LIB. XVI.
animalia : tardili» aliqua, et dialius gravida par tu* gerunt : qood germinatio ideo vocator. Parioot vero quom florent,flosqoe ille ruptis constat utriculis. Educalio io pomo est : hoc, et germi natio, laboraro.
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a b b o b b s rcm q uam f l o b b a b t .
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lizione, perchè la natura desidera ricevere i semi, ed esso dà l' anima vegetativa a tutte le piante. Concepono le cose, e impregnano in varii giorni, e ciascun·· secondo la sua propria natara. Alcu ne subito, coinè gli animali; alcune altre più lardi, e più luogo tempo portano il parlo, il che si chiama germinare e germogliare. Partoriscou poi quando fioriscono, perchè il fiore esce delle boccie, come del corpo alla madre. L' allevamen to nella pianta concorre nel frullo : questo e la germinazione sono i travagli di essa.
Di q u e g l i
a lb b b i c b e « a i s o r fio b isc o ro . D b * GIRBFEI.
XL. Flos est pleoi veris indicium, et anni reoascealis, flos gaudium arboram. Tane se no vas aliasqoe qaam sunt ostendant: tunc variis colorum pictoris iu certamen usque luxuriant Sed hoc negatum plerisque. No» enim omnes florent: et sani tristes quaedam, quaeque noo sentiant gaudia anoorum. Nam neque ilex, picea, larix, pinas ullo flore exhilarantor, oaialesve pomorum recursus anouos versicolori nuntio promittunt: nec fici, atque caprifici. Protinus enim fructom flores gignuot. In ficis mirabiles suoi et abortos, qui nuroquam maturescunt. Nec juniperi florent. Quidam earum duo genera tra dunt: alteram florere, nec ferre : quae vero non floreat, ferre protinus baccis nascentibus, quae biennio haereant. Sed id falsum: oronibusque iis dora facies semper. Sic et hominum multis for tuna sine flore est.
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corcbpto abbobou.
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g e b n in a t io r e
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XL. 11 fiore è indicio di piena primavera, e dell' anno cbe rinasce ; il fiore è Γ allegrezza de gli alberi. Aliatasi mostrano essi nuovi, e altri da quel cbe aono : allora son rigogliosi e quasi, ga reggiano ira loro di farsi più belli eoa varia tinlura e colorito. Ma ciò non è concesso a molti. Perciocché tutti non fioriscooo, e alcuni soo raaninooniebi, e pare che nou sentano 1* allegrezza deir aono. E di vero, il leccio, la picea, il larice e il pino uou si rallegrano con alcoo fiore, nè prenunziano cou alcun indizio di altro colore l ' annuale ri lor no de’ loro frulli, come nè anco i fichi ’e caprifichi ; perciocché per fiore subito {inno il frutto. 1 fichi faono mirabili sconciature, le quali non maturano mai. Nè i ginepri fiori scono, benché aluuui dicono esservi ginepro di due sorti ; Γ uno che fiorisce e non fa fruito, Γ altro che non Gorisce e fa le coccole, le quali tiene dae anni. Ma questo è falso, perchè tutti questi alberi slauoo sempre mauinconichi a un modo. Così anco la fortuoa di molli uomini è senza fiore. D k ix a
c o n c e z io n e d e g ù
a l b b b i.
D e lla
DB PABTD.
GEBHIRAZIORB : DEL ΡΑΒΤΟ.
XLI. Omnes aatem germinant, etiam qui oott florent, magna et lotorum differentia. Quippe quum ex eodem geoere quae sunt in palustribus, priora germinent: mox campestria, novissima ia silvis. Per se autem tardius piri silvestres, quam cetera. Primo Favonio cornus, proxima laurus, paulloqae ante aequinoctium tilia, acer. Inter pri mas vero populos, ulmos, salix, alnus, nuces. Festinat et platano*. Ceterae vero coepturc, aqui foliam, terebinthos, paliarus, castanei, glandes. Serotino autem germine malus, tardissimo suber. Quibusdam geminatur germinatio, nimia soli ubertate, aut invitantis coeli voluptate: quod magis ia herbis segetum evenit. Ia arboribus tamen nimia germinatio elassescit.
XLI. Tutti gli alberi germogliaoo, anebe que gli che non fioriscooo, ma tuttavia grande è la differenza de'luoghi. Perciocché di un medesimo genere qoei che son nei luoghi paludosi, sono i primi a germogliare, dipoi quei delle campagne, gli ultimi quei dei boschi. Per sè soo più tardi di ogni altro albero i peri salvalichi. Al primo soffiar di Favooio germoglia il corniolo, dipoi Γ alloro, e poco innanzi all' equinozio il tiglio e l'acero. Fra i, primi l'oppio, l'olmo, il salcio, l ' ontano e il noce. Affrettasi ancora il platano. Gli altri al comiociar della primavera, come l 'acquifoglio, il terebinto, il paliuro, il castagno e le ghiande. Il melo è serotino a germogliare, · il-suiero tardissimo. Alcuni germogliano dae vol-
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C. PLINII SECONDI
Suut aliae naturales quibusdam, praeterque terna·, quae >uis constant sideribus, quorum ralio aplias reddetur lerlio ab hoc volumine. Hiberna Aquilae exortu, aestiva Canis ortu, lertia Arcturi. Has duas quidam omnibus arboribus communes putant : sentiri autem maxime in fico, ▼ile, Punicis: causam adferenles, quoniam iu Thessalia Macedouiaque plurima tum ficus exeat. Maxime tamen in Aegypto app»iel haec ralio. Et reliquae quidem arbores, ut primum coepere, eontinuaut germinationem : robur, et abies, el larix intermittunt tripartito, ac terna germina edunt: ideo et ter squama· corticum spargunt : quod omnibus arboribus in germinaiioue evenit, quoniam praegnantium rumpitur cortex. Est autem prima earum incipiente vere, circiter x* diebus. Iterum germinant transeunte Gemiuos •ole. Sic fit, ut prima cacumina impelli secutis appateal,geniculato incremento. Tertia est earum* dem ad solstitium brevissima, uec diutini septenis diebus. Clareque et lune aernilur excrescentium cacuminum articulatio. Vitia sola bis parturit: quum primum emittit uvam : iterum quum di* gerit. Eorum quae non florent, parius lanium esi et mahiriUs.Quaedam atatim in germinatione florent, properantque in eo: sed maturescunt Iarde, ut viles. Serotino quaedam germinatu florent maturanlque celeriter, sicut morus, quae novissima urbanarum germinai, nec nisi exacto (rigore: ob id dicta sapientissima arborum. Sed quum coepit, in tantum universa germinatio erumpit, ut una nocte peragat, etiam cum sire· pitu.
QUO OftDIKK FLORBAirr.
XLII. Ex his, quae hieme Aquila exoriente (Ut diximus) concipiunt, floret prima omnium amygdala mense Januario : Martio vero pomum ittalurfct. Ab ea proxime floreut Armeniaca, dein tuberes, et praecoces j illae peregrinae, hae coa ctae. Ordiue autem naturae, silvestrium primae sambucus, cui medulla plurima: et cui oolla,
te Tanno, quando il terreno è mollo grasso, o quando la clemenza dell’ aria a ciò gT invita ; ma queito avvien piuttosto nell1 erba delle biade. Nondimeno il troppo germogliare stanca gli al beri. Alcuni alberi naturalmente germogliano oltra la primavera, secondo il corso di certe loro stel le, di che più accomodatamente ragioneremo uel terzo libro dopo questo. Il germinare veruereccio si fa nel nascere dell' Aquila, quel della stale nel natcimenlo «Iella Canicola, il terio quando nasce Arturo. Alcuni ten#ouo che qneiii doe tempi sieno comuni a lutti gli alberi, e che ciò principalmente si senta nel fico, nella vite, e uei melegraui, rendeudo per ragione, che iu Te*saglia e in Macedonia nascono allora molli fichi. Ma soprattutto iu Egitto si truova esser vera questa ragione. Gli altri alberi, »ì tosto che han no incomincialo, continuano di germogliare: il rovero, T abete e il larice intermettono tre volle, e fanno Ire germinazioni, e per questo spargoao Ire volle la scorza loro di squame ; il che avvie ne a lutti gli alberi, quando essi germogliano, perchè per esser pregni di umore rompono U scorta. La prima loro germinazione è al princi pio della primavera, e dura intorno a quindici giorni. Germogliano un' altra volta, quando il sole passa nel segno de’ Gemini ; e per questo avviene, che aprendosi la punta della prima mes sa, rimane un nodello tra quella e la seconda. La terza messa è brevissima nel solstizio, e noo dar* pià che selle giorni ; e allora chiaramente si veg gono i nodelli^ >quali sono tra uua messa e Γ al tra. La vile *ola partorisce due volle : prima, quando ella mette l'uva; dipoi, quando la di spone. Quegli che non fioriscono, non hanno che parto e maturità. Alcune piante subito germo gliando fioriscono, ma lardi maturano, come le viti. Alcune sono serotine a germogliare e fiorire, e maturano tosto, come fa il moro, il quale degli alberi degli orli è l’ ultimo che metta ; e ciò non la, se prima uou è passalo il freddo ; e perciò è chiamalo il più savio albero che sia. Ma quaud· oomincia, talmente germoglia per tutto, che ia uua notte ha messo in ogni parte ; e ciò fa n»m senza qualche strepilo. Co*
CHB OADI9B FIO&UCABO.
XLll. Di quegli che germogliano di verno, e intorno al nascere dell’ Aquila, conte dicemmo il primo che fiorisca è il mandorlo, il quale fio risce di Genuaio, e di Marzo matura il frutte· Dopo questo fiorisce V Armeniaco, dipoi i nocipersici e quelli che di questa specie son prima ticci : quegli forestieri» e questi readuU tali per
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVI.
•4*7
corno· mascula. Urbanarum, malo·: p t r T o q t ie posi, ul timul videri poesit, pi ras, el ceraeus, el pronus. Sequi tur laurus, illamquc cupressus: dein Punica, fici. At vilti el oleae florentibus jam iis germinant. Concipiunt Vergiliarum exortu. Hoc sidus illarum est. Floret autem solstitio viti·, et qua· paullo serius incipit, olea. Deflorescunt omnia septenis diebus, oon celerius: quaedam tardius, sed nulla pluribus bis septenis. Omnia et iotr· vin idos Julii Etesiarum praecursu.
Quo
QUAEQUB TEMPORE FERANT. D
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CORNO.
1418
cultura ed industria. Tra gli alberi salvatichi, per ordine di natura, il primo che fiorisca è il sam buco, il quale ha molla midolla ; e il corniolo maschio, che non n* ha ponto. Degli alberi do mestichi, il melo, e poco dipoi, laolochè si pos soa dir contemporanei, il pero, il ciriego e il su sino. Seguila l ' alloro, e dopo qoello il cipresso, dipoi il melagrano e il fico. Le viti e gli ulivi mettono quando questi già fioriscono. Concepono quando nascono le Vergilie ; e queste sono le loro stelle. Però la vite fiorisce nel solstitio, e poco dipoi P ulivo. Tutti questi sfioriscono in sette giorni, e non prima : alcuno sta più, ma niuno passa quattordici giorni ; e tutti innanti agli olio di Luglio, quando già hanno regnato 1' Etesie, cioè i venti da terra. In
c h e t b m p o c ia s c u n a l b e r o p r o d u c b .
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c o r n io l o .
XLIII. Nec statini Trucius sequilur in ili· quibus. a6. Cornus enim circa solslilia reddit primo candidum, poslea sanguineum. Ex eo genere femina post autumaum fert baccas acerba», et ingustabiles ruuelis animantibus: ligno quoque ftsugosa et inutilis, quum mas e fortissimis quo· que sit: tanta diffcreutia ab eodem genere fit. Sed el terebinthos messibus reddit semen, et •«•er, et fraxinus: nuces, cimala, et pira praeter quam hiberna, aut praecocia, autumno. Glandi* ferae aerius eiiamnuin, Vergiliarum occasu : esculus tantum autumno. Incipiente aulem hie me quaedam genera mali, pirique,et suber. Abies flores croci colore ciroa solstitium, semen reddit post Vergiliarum occasum. Pinus aulem et picea praeveniunt germinatione quindecim fere diebu*. Semen vero post Vergiliae el ipsae reddunt.
A n n ife r a s .
In t r i e n n i u m
f e r r n i es.
XL 1II. Iu alcuni alberi il fruito oon segue di subito. 36. I l corniolo intorno a l solstizio prima fa frutto bianco, poi sanguigno. La femmina di que sto genere dopo l'autunno mette le coccole acer be, (alche nessuno animale ne può assaggiare : il soo legno è fungoso e disutile, ancorché il ma schio sia legno fortissimo; tanta differenza è in nn geurre istesso. Il terebinto auch'egli matura il seme suo al tempo della mietitura, e Γ acero, e il frassino : i noci, i meli e i peri, fuorché i venerecci, o i primaticci, maturano I* autunno. Quei che fanno le ghiande, più lardi ancora, nel tramontar delle Vergilie: Pischio solamente nell ' antuuno. Nel comiuciar del verno alcune sorti di meli, di peri, e il sovero. L'abete ii i fiori del colore del zafferano intorno al solstizio, e ma tura il seme dopo il tramontar delle Vergilie, cioè circa i uove di Dicembre. Il pino però e la picea anticipali d’ un quindici giorni in circa !a loro germinazione, e maturano il seme similmen te dopo il tramonto delle Vergilie. Di
q u e l l i c h b f r u t t a n o og ni anno
:
DI QUELLI CHE OGNI TRE.
XLIV. Citreae, el juniperus, et ilex, anniferae habentur: novusque fruclus in his cum annotino pendet. In maxima tamen admiratione pinus est : habet fructum maturescentem : habet proximo aeno ad meluriialem venlurufo, ac deinde tertio. Nec ulla arborum avidius ee promittit. Quo fUesae ex ea nux decerpitur, eodem maturescit •lia : et sic dispensatur, ut nullo non meaee ma* t arescant. Quae m ia arbore ipea divisere, ateniae vooaoluri laedunlque ceterae, nisi detrahantur.
XL 1V. Il cedro, il ginepro e il leccio portano il fruito per luito I' anno ; e il nuovo pende con quello deU* anno addietro. Quello però che dà grandissima maraviglia è il pino, perciocché egli ha il frullo che matura, ha quello che viene a maturarsi P anuo prossimo, « quello del terzo anno ancora. Nè alcuoo altro albero più prodiga· mente fa 1« sue messe. In quel mese che da esse si colgono le pine, iu quell' istesso ne matura dell' altre, e cosi si comparte, che n' ha delle ma ture il’ ogni mese. Quelle eh· s'aprouo in sull'al-
il
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C. PLINt! SECONDI
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bero, ti chiamano «tante « e queste offendono Γ ah re, a' elle non aon colle. QOAB FRUCTOM S O I F M i R T : QOAB IBFKL1COS
Di QOELLI CHB MAI S O ·
BX1STIMBBT0R.
XLV. Fruclum arborum solae nullum ferunt, hoc est ne semen quidem, tamarix scopis tantam nascens, populus, alnus, ulmus Aliuia, alaternus, cni folia inter ilicem et olivam. Infelices autem existimantur, damnataeque religione, quae neqne seruntur umquam, neque fructum ferunt. Cremutius auctor est, uuraquam virere arborem, ex qua Phyllis se suspenderit. Quae guaimi gignunt, posi germinationem aperiuntur: gurami vero non nisi fructu detraclo spissatur.
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o a e f a c il l im e p e r d a n t f r u c t u m , a c t f l o r e m .
FROTTABO: QUALI SI STIM1BO
INFELICI.
XLV. Soli questi alberi non fanno fratto al· ' cuno, roa nè anco seme, cioè la tamtiigia, che nasce solamente con le scope, l’ oppio, Γ ontano, Γ olmo, l* attinia, I* alaterno, il quale ha la foglia fra il leccio e l’ ulivo. Infelici sono stimali, e dan nali per religione quegli alberi, i quali mai non si piantano, nè fanno mai frutto. Scrìve Cremu tio, che l'albero a cui Filli s'appiccò, uoo verdeggia mai. Quegli che fanno gomma, s 'aprono dopo che hanno germoglialo, e la gomma noa si rassoda, se nou poi che il fruito è collo. D i QOBLLI CHB ASSAI FACILMENTE PERDOΒΟ IL FRUTTO, O IL FIORB.
XLV 1. Novellae arbores careni fructu quam· diu crescunt. Perdunl facillime ante maturitatem, palma, ficus, amygdala, malus, pirus : item Puuica, quae eliam roribus nimiis et pruinis florem amittit. Qna de causa inflecluut ramos ejus, ne subrecti humorem infestum excipiant, atque coutineanl. Pirus et amygdala, etiamsi non pluat, sed fiat Austriuum coelum,aut nubilum, amittunt florem et primos fructus, si, quum defloruere, tales dies fuerint. Ocissime autem salix amillit semen, antequam omnino maturitatem sentiat, ob id dicta Huinero frugiperda: secula aetas sue· Iere suo iuterpretala esi hauc senleutiam, quando semen salicis mulieri sterilitatis medicamentum esse constai. Sed iu huc quoque providens natu ra, facile nascenti, el depacto surculo, iucuriosius semen dedit. Una tamen proditur ad maturitatem perferre solita, in Creta insula, ipso descensu Jovis speluncae, torvum ligneumque, magnitudine ciceris.
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uab obi bob fbba bt.
XLVII. Fiunt vero quaedam loci vitio infru ctuosa, sicut iu Paro silva caedua, quae nihil fert. Persicae arbores in Rhodo florent lautum. Fit haec differentia el ex sexu: in iisque mares non ferunt, àliqui hoc permutautes, mares esse, quae ferant, tradunt. Facit et densitas sterilitatem.
XLVI. Gli alberi nuovi, tio che crescono noe fanno frullo. Facilissimaroepte perdono il fratto inuauzi che sia maturo, la palma, il 6co, il man dorlo, il melo, il pero, e il melagrano ancora, il quale per le troppe rugiade e brine perde il fio re. E perciò piegauo i rami suoi, acciocché stan do ritti nou veugano a pigliare e ritenere il cat tivo umore. 11 pero e il roaudorlo, ancora che non piova, se tragga vento dì mezzogiorno, o sia nugolo, perdono il fiore, e i primi frulli an cora, se quando sfiorirono furono giorni tali. Pre stissimo il salcio perde il seme avanti che matari punio, e perciò Omero lo chiama perdisene: 1’ età, eh’ è seguita poi, ha interpretalo scellera tamente questo detto, sapendosi che il seme del salcio è rimedio conir· la sterilità nelle doooe. Ma in queslo ancora la natura fu mollo accorta, per. chè diede al «alcio, che facilmente nasce e alligna, il seme che tosto si perde. Dicesi nondimeno che si truova un salcio, il quale è usato di fare e con durre il seme, ed è in Candia, nello scendere della spelonca di Giove ; e tal seme è legnoso, grande quanto un cece. Q
o a li a l b e r i ib qu a i l o o g a i b o b p r o d p c a b o .
XLV 11. Alcuni alberi ancora oon fanno frat to per difetto del l u o g o , aiccome nell' isola di Paro una selva da taglio, che uon fa frullo aleano. 1 peschi in Rodi non fanno altro che il fiore. Fassi anco differenza tra 1' albero maschio e b femmina, perciocché tra questi il maschio non fa nulla. Alcuni dicono il contrario, cioè che il ma schio è quello che fa il frutto. La spessezza aneo ra fa sterilità.
HISTORIARUM MONDI LIB. XVI. Q DOMODO FBBA.HT.
COMR PRODUCA a o .
XLVIIl. Gignentium autem quaedam ek late ribus ramorum, et cacuminibus ferant: ut pirus. Punica, ficus, myrtus: celero eadem natura, quae frugibus. Namque et in eis spica in cacumine nascilnr, legumina in lateribus. Palma sola (ut dictam est) in spathis Itabel fructum, racemis propendentem.
XLV 11I. Alcuni alberi, di quei che fanno frul lo, lo producono ne1 lati dei rami, e nelle cime, come il pero, il melagrano, il fic» e il mirto. Gli altri hanno la natura delle biade, perciocché esse aucora fanno la spiga sulla cima, e le civaie ne'lati. Sola la palma, come s' è dello, ha il frullo nelle spazzole, pendente iu grappoli.
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u ib u s f r u c t u s , a h t b q u a m f o l i a , b a s c a h t u r .
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q u e l l i a c u i bascb i l f r u t t o p r i v a d b l l b
VOGLIE.
XLIX. Reliquis sub folio poraam, ut prote gatur, excepta fico, cui folium maximum umbrosissimumque, et ideo supra id pomum : ei demum serius folium oascitur, quam pomum. Insigne proditur in quodam genere Ciliciae, Cypri, Hel ladis, ficos sub folio, groisos vero posi folium nasci. Ficus et praecoces habet, quas Athenis prodromos vocant. In Laconico genere maxime sunt.
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1«. 27. Sunt et biferae iu eisdem. In Cea insula caprifici triferae sunt. Primo fetu sequens evoca tur, sequenti tertius : hoc fici caprificantur. Et caprifici autem ab adversis foliis nascuntur. Bife rae el in malis ac piris quaedam, sicut et prae coces. Malns silvestris bifera. Sequens ejus fruclus post Arcturum in apricis maxime. Vites quidem ut triferae sunt, quas ob id insanas vocant: quo niam in iis alia maturescunt, alia turgescunt, alia floreut. M. Varro auctor est. vitem fuisse Smyrnae apud mare biferam, et malum iu agro Cousentino. Hoc antera evenit perpetuo in Tacapensi Africae agro, de quo plura alias: ea est soli ferti litas. Trifera est et cupressus. Namque baccae ejus colliguntur mense Januario, el Majo, cl Septembri ; lernasque earum gerit magnitudines.
bst vero el in ipsis arboribus etiam onustis peculiaris differentia. Summa sui parte fertiliores, arbutus, quercus: inferiore, juglandes, fici ma riscae. Omnes, quo tnafis senescuul, hoc maturius ferunt, et in apricis locis, neu pingui terra. Silve striora omoia tardiora. Quaedam ex iis omnino
XLIX. Gli altri hanno il fruito sotto la fo glia, perchè stia coperto, eccetto il fico, il quale ha la foglia grandissima, e ombrosissima, e per ciò n'ha il frullo sopra, e fa piò tosto il frullo, che la foglia. Narrasi una maraviglia di certa sorte di fico eh' è in Cilicia, in Cipro e lo Grecia, che fa i fichi sotto le foglie, le quali nascono prima di essi. Tra i fichi aucora ce ne sono di prima ticci, i quali in Alene si chiamano prodromi ; e quesli massimamente vanuo Ira i fichi Laconici. Di q u r l l i
cbb fr u tta n o du e volte l ’ arso, o t b e .
L. 37. Sonci ancora de' fichi, che fanno due vòlle per ogni anno. Nell'isola Cea i fichi saltalichi fanno I r e vòlle Panno, perchè al primo parto succede il secondo, e dopo il secondo il lerzo. A questo modo i fichi domestichi insalvatichisco no, e i caprifichi nascono ancora delle foglie op poste. Sonoci ancora meli e peri, i quali fanno due volle Panno, come ancora i primaticci. Il melo selvatico fa due volte P anno : il suo secon do frutto viene dopo il nascimento d' Arturo, massimamente ne' luoghi solatii. Trovansi simitraenle delle vili, le quali fanno tre volte Panno, e perciò si chiamano pazze, perchè in esse alcune uve maturano, alcune ingrossano, e alcune fiori scono. Scrive M. Varrone, come a Smirna sul mare fu già una vite che faceva due volte, e nel territorio di Cosenza un melo. Ciò avviene già di continuo nel paese Tacapense d' Africa, di cui ragioneremo un* altra volta più a lungo ; tanta è la fertilità di quel terreno. Il cipresso anch* egli fa per Ire volte, perciocché le coccole sue si rac colgono di Gennaio, di Maggio e di Settembre, e sono di tre sorti di grandezza. C' è anco una differenza particolare negli al beri di moltu frullo. Il corbezzolo e la quercia fan sempre pià frutti in snlla cima : il n«»ce, il fico e la marisca da basso. Tutti gli alberi quanto più invecchiano, lauto più tosto producono il frutto, e ue1 luoghi solatii, e nel terreo magro.
C. PLINII SECUNDI nec roaltirescuul. Item qoae subarantur, aut quae ablaqueantur, celeriora neglectis: haec et ferti liora.
Q
u a e c e l e b r in e s b s e s c a r t , q u a e t a r d is s im e .
Φ4
Gli alberi salvatiohi sono tutti pià tardivi a ma turare il frutto. Alcuni d 'assi aeppur lo matu rano. Quegli coi s'ara sotto, o che s'aunaffiioo, vengono assai più tosto, che quegli che ai straccurauo : questi sono anco più fertili. D egù
a l b e r i c h e a m a i t o s t o ir v e c c h i a b o
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QUELLI CHB ASMI TARDI.
LI. Est eliaronuin aetatis differentia. Amyg dala enim et pirus in senecta fertilissimae: ul et glandiferae, et quoddam genus ficorum. Ceterae in juventa tardiusque maturantes: quod maxime nolatur iu vitibus. Vetustioribus enim vinum melius: novellis copiosius. Celerrime vero sene scit, et iu senecta deteriorem fructum gignit ntalus: namque et minora poma proveniunt, et vermiculis obnoxia. Quin et io ipsa arbore na scuntur. Ficos sola ex omnium arborum felu, maturitatis causas medicatur : jam quidem ex por tentis, quoniam majora sunt pretia praeposteris. Omnia autem celerius senescunt praefecunda. Quin et protinus moriuntur «liqua, coelo fecuotditatem omnem eblandito: quod maxime vitibus evenit.
28. Contra morus tardissime senescit, fructu minime laborans. Tarde et quorum crispa mate ries : ut acer, palma, populus. Et subarata ocius senescunh
29. Silvestria autem tardissime. Alque io lo tum, omnis cura fertilitatem adjicit, fertilitas seneciam : Ideo et praeflorent talia, et praeger· minant, atque in totum praecocia fiunt: quoniam omnis infirmitas coelo magis obuoxia est.
Iti
q u ib u s f l o r a r e r u m c e s e r à g i g b a b t u r .
LI. È anco differenza nell* eia, perciocché il mandorlo e il pero nella vecchiaia loro sono pii fertili, siccome gli alberi, che fanno ghiande, e una certa sorte di fi--hi. Gli altri son più fertili nella giovanezza, e maturano più tardi ; il che si vede massimamente esser vero nelle vili ; per chè le vecchie fanno miglior vino, e le giovani ne fanuo più. 11 melo iuvecchia tosto, e quando egli è vecchio fa peggior frutto, perch' egli & le mele minori e verminose. 1 vermini nascono an cor· in esso albero. Solo il fico fra tulli gli altri alberi si fa maturare con artificio, ed è cosa ino· slruosa che i primaticci sieno teouti in pregi· più degli altri. Tutti gli alberi più fertili invec· chiano più tosto. E alcuni ancora subito muoio no, quando il clima li fa dare iu troppo rigo glio e fecoudità, e ciò specialmente interviene alle viti. 28. Per lo cootrario il moro iuvecchia molto tardi, nou essendo affaticalo molto dai /ratti. Tardi invecchiano ancora quegli alberi, che hanno il legno crespo, siccome è l’ acero, la pal ma e 1’ oppio. Anche quegli, che sono arati da basso, invecchiano prestissimo. >9. I salvatichi invecchiano tardissimo. Ge neralmente ogui cultura mena fertilità, e la fer tilità fa invecchiare ; e per ciò veggiamo die tali alberi fioriscono e mettono assai prima, e sono affatto primaticci, perchè qoasi ogni infermità procede del clima. D i QOELLI CHB GENERABO PIÙ COSE. C
r ATBGO.
C rataegon.
Lll. Mullae vero plura gignunt, ut diximus in glandiferis: inter quas laurus uva· suas: raaximeque sterilis, quae non gignit aliud: ob id a quibusdam mas existimatur. Ferunt el avellanae julos compaclili callo, ad nihil uliles.
30. Plurima vero buxus. Nam et semen nium, et granum, quod crataegum vocant : et a septem· trione viscum, a meridie bypbear : de quibus plura mox paullo. Interdumque pariter res qua· ternas habeut.
Lll. Sonci molli alberi che generano più co»e, come dicemmo parlando di quelli che fan no le ghiande : Γ alloro uou produce che le sue uve, ed è communemenle sterile, siccume quello che non fa niente altro ; e perciò da alcuni è stimato maschio. 1 nocciuuli aucora fanno i lor fiocchi, che non son buoni a nulla. So. 11 bosso produce molte cose, perciocché egli fa il eoo seme, e un granello, che si chiama cralego: da Irainoutau* (a il visco, da mezzo giorno lo ifear ; delle quali cose parleremo a lungo poco più di sotto. Talora anco producono quattro cose ad uu tempo.
HISTORIARUM MUNDI Life. XVI. DlFFERRHTIAB ARBOBBtf PKB CORPORA BT RAVOS.
DiFFERBH IB DEGLI ALBERI QUARTO A CORPO B ▲ HAMI.
L 1II. Arbores qaaedam simplices, quibas a radice caudex tfnus : et rami frequente·,ut olirae, fico, Titi. Quaedam frutico·! generis, ut paliurus, myrtus: item nux avellana: quin immo melior est, et copiosior fructu, in plures dispersa ramos. !n quibusdam omnino nullus, ut in suo genere boxo, loto transmarinae. Quaedam bifurcae, at que etiam in quinas partes diffusae. Quaedam dividuae, nee ramosae, ut sambuci. Qaaedam individuae, ramosae, ut piceae. Quibusdam ra morum ordo, sicut piceae, abieti. Alias incondi tus, ut robori, malo, piro. Et abieli quidem subrecta divisura, ramique io coelum tendente·, non in latera proui. Mirum, cacuminibus eorum decisis moritur: tolis vero detruncatis durat. Et si iofra, quam rami fuere, 'praecidatur, quod superest, vivit : si vero cacumen tantum auferator, tota moritor. Alia «b radice brachiata, ut ulmos. Alia in eacumioe ramosa, ut pinus, loto·, •ίτβ faba Graaca : quam Romae a suavitate fractus silvestri· qaidem, sed cerasorum paene natura, loton appellant. Praecipua domibus expetitor ramorum petulantia, brevi caudice latissima exspatianliom umbras, et in vicinas domos saepe transilientium. Nulli opacitas brevior: Becaufert solem hieme, decidentibus foliis. Nulli oortex jucundior, aut oculos excipiens blandius. Nolli rami longiore·- validioresqoe, aut plures, nt dixisse totidem arbores liceat. Cortice pelle lin gant, radice lanas. Malis proprium genus : fera rum enim rostra reddunt, adhaerentibus· vni maximo miuoribusv
D i RAMIS* L 1V. Ramorum aliqui caeci, qui non germi nant : quod natura fit,si non evaluere: aut poena, quum deputatos eicatrix hebetavit. Qoae dividois in ramo natara est, haee viti io oculo,- «modini in geniculo. Omnium terrae proxima orassiora. In longitudinem excrescunt abies, larix, palma, impressus, ulmus, et si qua unistirpia. Ramoaarum «eraaua aliam in x l cubitorum trabe·, aequali per totam duum cubitorum crassitudine reperì tur.
LUI. Alcuni alberi sono semplici, cioè hanno un pedale solo con di molli rami, come Pulivo, il fico e la vite. Alcuni sono cespugliosi, come il paliuro, la mortine, e il nocciolo, il qoale tanto è migliore e più copioso, quanto io più rami si spande. Alcuni non si dividono in rami, come il boss?, e il loto oltramarioo. Alcuni hanno due forche, e sono anco divisi in cinque parli. Alcuni son divisi, ma non però ramosi, come 11 sambu co. Alcuni individui, -ma ramosi, come la picea. Alcuni hanno ordine neVami, come sono la picea e Γ abete. Alcuni non Γ hanno, come il melo e il pero. L* abete ha la divisione diritta ; i rami ne vanno in allo, e non chinatisi da' lati. Cosa me ravigliosa è di questo albero, che tagliandogli le vette de’ rami, si secca, e troncandoli tulli, non secca altrimenti. E se si taglia sotto i rami, quello che rimène, vive : ma se gli si leva solamente la cima, tutto muore. Alcuni alberi dalle radici han no i rami, come Γ olmo. Alcuni sono ramosi in cima, come il pino, il loto, ovvero fava Greca, la qoale io Roma per la soavità del frutto, selvatico eerto, ma quasi della natura de1 ciriegi, si chia ma loto. Questo albero è molto desiderato nei giardini, perchè da corto gambo distende lunghi rami, i quali formo grande ombra, e spesse volte passano fin negli orli vicini. Nessuno altro al bero ha più brere ombra, nè toglie il sole il ver no, perehè gli cascano le foglie. Ninno ha seorza più gioconda, nè che più diletti all* occhio. Nes suno ha rami nè più forti, nè più a novero, di maniera ohe ai può dire che piuttosto sieno al trettanti alberi. Con la scorza sua si tingooo le pelli, oon la radioe le lane. Le mele hanno il lor proprio genere, perchè esse rassomigliano i griffi delle fiere, accostandosi i minori a un maggiore. Da* t m L 1V. Alconi rami son ciechi, ì quali non ger mogliano ; e ciò si fa per natura, quando son fiacchi per mancansa d’umore; o per lesione,quan do la ferita della potatura gli ha stupiditi. Quello che nel mettere fanno gli alberi di rami divisi, 10 fa la vite nell* occhio, e la canna nel suo nodo. Tolti gli alberi Ticini a terra son più grossi. Cre scono in lunghezza, l ' abete, il larice, la palma, 11 cipresso, 1* olmo, e tutti quegli, che vanno su diritti in un pedale. Degli alberi ramosi «i trova il ciriegio, il quale fa travi looghe fino a quaran ta braccia, e larghe due per tutta la lunghezza loro.
C. PLWìU SECOflW 3 i. Quaedam statim io ramo· sparguntur, ut mali. Db c o it ic s , LV. Cortex aliis tenuis, ut lauro, tiliae : aliis erassus, ut robori. Aliis laevis, ut malo, fico. Idem scaber robori, palmae. Omnibus iu senecla rugosior. Quibusdam rumpitur spunte, ut viti. Quibusdam etiam cadit, ut malo, uuedoui: car nosus, suberi, populo: membranaoeus, ut vili, arundini: libris similis,ceraso: multiplex tunicis, ut vitibus, tiliae, abieti. Quibusdam simplex, ut fico, arundini.
Db b a d ic ib p s , LV 1. Magna et radicum differentia, Copiosa· fico, robori, platano: breves et angustae, malo: singulares abieti, larici. Singulis enim innitantur, quamquam minutis in latera disperde. Crassiores lauro et inaequales : item oleae, cui et ramos··. At robori carposa·, Robora suas ia profuudum agunt. Si Virgilio quidem credimus, esculus, quantum corpore eminet, tantum radice descen dit. Oleae, malisque, et cupressis, per summa cespitum. Aliis recto meatu, ut laaro, oleae : aliis flexuoso, ut fico, Minutis baec capillamentis hir suta, ut abies, multaeque silvestrium : e quibus montani praetenuia fila decerpentes, speetabiles lagenas, et alia vasa nectant. Quidam uon altius descenderp radices, quam solis «alor tepefaciat, idque natu fa loci tenuioris crassiorisve, dixere, jquod falsum arbitror. Apud auctores certe inv·* ni tur, abietis planta quum transferretur, v ii eo» bitorura in altitudine: nee totam refossam, aed abruptam. Maxima spatio atque plenitudine et citri est. Ab ea platani, roboris, et glandiferarum. Quarumdam radix vivacior superficie, ut lauri. Itaque quum truoeo inaruit, recisa etiam laetius fruticat. Quidam brevitate radicum celerius se nescere arbores putant: quod coarguunt firi, quarum radices longissimae, et senectus ocissima. Falsum arbitror et quod aliqui prodidere, radices arborum vetustate minui. Visa etenim est «n^nu quercus eversa vi tempestatis, et jugerum «oli amplexa,
Φ*
3 i. Alconi subito si spargono ia rami, come i meli, D blla
sgozza .
LV. Alcuni hanno la scorza sottile, coma Γ alloro e il tiglio : alcuni 1* anno grossa, cosa· il rovero : altri liscia, come il melo e il tico : «Itti ruvida, come il rovero e la palma. Tutti, quando son vecchi, 1' haooo più crespa. A oerli si rompe da sè medeoina, come alla vile: ad alcuoi anco ra cade, come al melo e al corbezzolo : carnosa l’ hanno il severo e l’ oppio : la vite e la canna l’ hanno a guisa di membrana o pannicolo : il driegio ba la. scorza quasi oome gli altri aUwri baono la buccia di dentro : la vite, il tiglio e l'a bete hanno di molte bucci·. Alcuni Γ hanno sem plice, come il fico e la canna. D bllb
u m c i<
LVL Gran differenza ancora è adl« radiò, perctooehè copio·· l’ hanno il fieo^ il rovero e il (datano t brevi e strette il aselo : ana cadic· han no l ' abete · il larice, bea ohe n* abbiano alcene piccole da lato. L’ alloro l ' ha molto grosse, e di· seguali, come anche 1’ ulivo, il quale però le ha ramose. Il rovero le ba carnoso,· k manda soolto al basso. E se vogltaoao credere a VirgsBa, risch i· quanto è sopra terra, taoto manda sotto le eoe radici. Gli ulivi, i meli, ì cipressi fanno radici cospagliate verso la superficie della le m . Alenai vanno ritti oon la -radice, come fanno 1* olivo e I* alloro : aleuni la piegano in piò modi, come il fio·. Alcuni le fanaa irsute a guisa di capelli, oo me 1* abete e molti alberi salvatici», delle qual i montanari fanno certi loro bei vasi da vioo o da altro. Alcuni non vanno più abbasso con la radice di quello eh* entri il caldo del sole, e per questo alcuni dicono che la natura de* luoghi le fi più grosse, o più sottili | il che credo che sia falso. Trovasi appresso agli autori, che un abete trapiantato si cavò con la radice looga sette braoeia, e non pur intera, ma rotto. Grande spa zio occupa ancora la radice del cedro, · dopo esse quella del platano, del rovere, e degli altri alberi eh· fanno gbiaodè. Alcuni hanuo le radici molto vivasi in superficie, siccome' I’ alloro. £ però qaaodo il tronco secco si taglia, rimetto piò follo cespuglio. Alcani dicono che la brevità delle !► dici fa invecchiare l’ albero tosto, aaa eiò si nosoe eas^r. falso ne* fichi, i qaali hanno le «odiai lunghissime, e pure invecchiano assai tosto. Ten go per falso ancora quello che alcani dicono, che le radici degli alberi scemino per la vecchiaia. Perciocché s 'è veduta una antichissima quercu
msiOHlARDM MUNDI Ufi. XVI.
i*3o
gettata a terra dalla tempesta occupare con le radici un iugero di terreno. A bb o bb s QO«ft s p o i m b b su b b b x b b iiit .
LV 11. Prostratas restituì plerumque, et qoa* dam lerrae cicatrice vivescere, volgare est. Et familiarissimam hoc platani*, qaae plorimnm ventorom concipiunt propter densitatem ramo· rem: quibos arapatali·, levatae onere in* sua scrobe reponuntor. Factomqne jam est boc in juglandibus, oleisque, ae mullis aliis. Sa. Est in exemplis, et sine tempestate, ullave caos· a lia qaam prodigit, cecidisse molias, ac sor sponte resarrexisse. Faetnm hoc popoli Romani Quiritibus ostentam Cimbrieis beUis Nuceriae in loco Junonis, almo, postqaam etiam cacumen ampatatara erat, quoniam in aram ipsam proeumbebat, restitela sponte, ita at protinos flore ret: · quo deinde tempore majesta» popoli Ro mani resurrexit, quae ante vastata cladibns fuerat. Memorator hoe idem fa c tu m et in Philippia, salice procidua atqoe detruncata: et Stagiris inUlaseo popolo alba: omnia faosti ominis. Sed maxime mirum, Antandri platanus ètiam circumdolatis laleriboa restibilia aponte faeta, vitaeque reddita longitudine quindecim cubito ruo», crassitudine quataor ulnarum.
Q o tn tn
sso d is s p o r t e k a s c u r t v b a b b o b b s .
m r F K B R R T iA i, Rotr
N atoba·
o m r ia u b iq o b g e r b e a u t is .
D i a l b b b i c h e d a sè b izza b o itsi su .
LV1I. Alcuna volta gli alberi gettati a terra da* venti si rimettono, e come se la terra risal dasse loro la ferita, continuano a vivere : questo avviene di frequente a' platani, che per la spes sezza de* rami ricevono di molto vento ; onde si mozzano de* rami loro, e si rimettono ancora nella fossa. Fassi qnesto medesimo ne* noci, negli alivi, e in molti altri alberi. Sa. Truovasi scritto nelle storie, come molti alberi senza furia di venti, o alcona altra cagione, se non di prodigio, sono caduti, e da loro stessi' rizzaronsi. Questo augurio intervenne al popolo Romano nella guerra de* Cimbri, a Nocera nei bosco di Ginnone, dove un olmo rovinato, al quale, perchè sporgeva sopra 1* altare, era stata tagliata la cima, subito si rizzò da sè stesso, e fiorì. Da quel tempo in poi la maestà del popolo Romano ai relevò, la qual dianzi era stata per le sconfitte molto travagliata e afflitta. Questo me desimo ancora avvenne nelle campagne Filippi che di nn salcio caduto e tagliato, e di un oppio Manco nel Museo di Stagira ; e tntti questi farorio segni di felice augurio. Ma fu cosa molto maravigliosa in Antandro, dove nn platano, il qoale era già stato piallato, riprese vita da sè, e ripigliò i suoi annuali incrementi. Era qaesto platano lungo quindici braccia, e grosso quanto quattro nomini possono abbracciare. Cosa ITASCARO SPORTAlTBAVEtfTB O ti ALBBBI. DlFTEBBITZE DELLA HATUBA, CHB HOS GEBTBBA DA PEB TUTTO OGftl COSA.
I jVJII. Arbores, qaas naturae debeamas, tri bas modis nascantur : sponte, sol semine, aut abi radice. Cura numerosior exsistit, de qua sao dicemas volumine; nunc enim totus sermo dei natara est, multis modis mirisque memorabili. Naniqoe non omnia in omnibus locis nasci docui mus, nec translata vivere. Hoc alias fastidio, aliasi conia(M cia, saepias imbecillitale eoram quaei transforantor evenit: alias eoelo invidente, aliasi solo re p u ta n te .
LVIII. Gli alberi naturalmente nascono ia nno de1 tre modi : o da sè stessi, o per seme, o dalla radice. Quegli, che nascono per diligenza e cura umana, sono di più numero; ma ne par leremo nel suo particolar volume. Perciocché ora tutto il ragionamento nostro è della natura, la quale è memorabile per molti e maravigliosi m odi. Perciocché noi abbiamo gii mostro, come noe ogni pianta nasce in tatti i luoghi, e che aleane se sono trasportate, non d vivono. E ciò avviene, ò per fastidio, o per contumacia, e spesso per debolezza di quelle che al trasferiscono, o perchè il clima non le comporta, o perchè il terreno con trasta loro.
C. PLINII SECUNDI U b i q u a b n o n s a sc a h t c r .
Q cam cosa is quai luoghi · ο· ια κ α ιο .
LIX. Fastidii baliamum alibi natd : nata Assyria malus alibi ferre : nec non et palma nasci ubique,aut nata parere: vel qnura promisit etiam, ostendilque, ea educare, quae tamquam invita peperii. Non habet vires frutex cinnami in Syriae vicina perveniendi. Non feront amomi nardique deliciae, ne in Arabia quidem ex India, et nave peregrinari. Tentavit enim Seleucus rex. Illud maxime miraro, ipsas arbores plerumque exorari ut vivant, atque transmigrent : aliquando et a solo impetrari, ut alienas alat, advenasque nulriat: coelum nullo modo flecti. Vivit in Italia piperis arbor : casiae vero eliara iu septemtrionali plaga : vixit in Lydia thuris. Sed unde sorbentes succum omnem ex iis soles, conquentesque lacrymam ?
LIX. II balsamo non nasce se Don in a a luogo, e così fa il melo d1 Assiria : nè anche la palma vuol nascere per tutto, o poiché v1 è nata, all»· gnarvi ; nè anco vuole allevar quei fr a tti, che quasi contra sua voglia v’ ha partoriti. Lo sterpo del cinnaramo non ha forza di far bene ne' luo ghi vicini alla Siria· Non sopportano le delizie del D a rd o e dell' amomo di venire par per nave di India in Arabia, come si provò di fare il re Seleuco. Ma questo è ben cosa maravigliosa, che i preghi nostri possano impetrare da loro che vivano e si lascino trasportare altrove ; e talom s 'impetra dal terreno, che audrisca gli strani, e allievi i forestieri ; mentre il clima per nessan modo si può pregare. Vive in Italia l'albero del pepe, e la cassi» anche in paese settentrionale; Visse anco in Lidia l’ incenso ; ma ebbe esso qaei soli che ne ascingano tatto 1' umore e ne cuooano la goccia ? Gran maraviglia è pure, che la natura di essi alberi si mali e d 'improvviso invigorisca. Ella diede il cedro alle parli calde ; eppure eì nasce eciandio nei monti di Lioia e di Frigia. Ella aveva fatto il freddo nimico all1 alloro, ma nondimeno non è luogo, dove ne naaca piò, che nel monte Olimpo. 11 re Mitridate, e molti altri del pacaa ti affaticarono, per rispetto de' sacrificii, d’ aver degli allori e delle mortine nella d u i di Panlicapeo intorno al Bosforo Cimmerio, eppure non poterono ; e nondimeno vi sono melagrani, fichi, meli, e peri eccellentissimi. Però non vi aono abeti, pini, nè picee, i quali alberi nascono in luoghi freddi. Ma che accade andare in Ponto ? Appresso a Roma stessa i castagni e i ciriegi diffi cilmente vivono, ma vivono i peschi in Tusco lato : difficilmente ancora quivi si annestano i mandorli, mentre a Terracioa ne aono le selve intere.
Illud proxime mirum, mutari naturam in iis·· dem, atque improviso valere. Cedrum aestuosis partibus dederat : et in Lyciis Phrygiisqne monti bus nascitur. Frigus inimicam lauro fecerat : sed in Olympo copiosior nulla est. Circa Bosporum Cimmerium in Panticapaeo urbe omni modo laboravit Mithridates res, et ceteri incolae, sacro rum certe causa, laurum myrtumque habere : oon contigit, quum teporis arbores abundent ibi, ^unicae, ficique, jam mali et piri laudatissimae. Frigidas eodem tracia non genuit arbores, pinum, abietem, piceam. Et quid attinet iu Pontum abire? Juxta Bomam ipsam castaneae cerasique aegre proveniunt: Persica in Tusculano, nec non nuces Graecae cum taedio inserantur, Tarracina silvis scalente earum.
De CUPfcESSlà
Di i cim asi.
. LX. 33. Cupressus advena, et difficillime pascentium fuil, nt de qua verbosius saepiusque, quam de omnibus aliis, prodiderit Cato. Natu morosa, fructu supervacua, baccis torva, folio amara, odore violenta, ac ne umbra quidem gratiosa, materie rara, ut paene fruticosi generis, Diti sacre, et ideo fuuebri signo ad domos posita. Femina sterilis diu. Metae demum aspectu non repudiata, distinguendis tantum pinorum ordi nibus : nnnc vero tonsilis facta in densitate parie tum coercitaque gracilitate perpetuo tenera. Trahitur etiam in picturas operis topiarii, veua-
LX. 33.II cipresso fu albero forestiero,e si avea tra quelli che diffidlmente allignano; di lui molto più diffusamente e più spesso che degli altri alberi, scrisse Calone. Questo albero è tedioso p bissano a nascere, inutile nel frutto, spiacevole nelle coccole, amaro nelle foglie, violento ndl'odore, e neppur grazioso per fare ombra, e rade Tolte cresce tanto, che il suo legname si possa adope· rare : è consacrato a Plotone, e perdo ai mette innanzi agli usd delle case per seguo funebre. Il cipresso femmina è lungo tempo sterile; però per 1« saa forma chiusa e apponiate come bsca,
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tu·, dassesve, et Imagine*' rernm tenni folio, brevique, et virenti «eraper veslieo». Duo genera earum : mete in fastigmm convolata, quae et femina appellatur. Mas «pargit extra se ramos, deputaturque et accipit vitem. Utraque autem immittitur in perticas, asseresve, amputatione ramorum, qui xm anno denariis singulis veneunt. Quaestuosissima in salus ratione silva : vulgoque, dotem filiarum antiqui plantaria appellabant. Huic patria intula Creta, quum Calo Tarentinam eam appellet : credo, quod primum eo venerit. Et in Aenaria succisa regerminat. Sed in Creta, quocumque in loco lerram moverit quispiam, vi naturali haec giguitur, prolinusque emicat : illa vero etiam non appellato solo, ac «ponte, raaximeque in Idaei· raoutibus, et quos Albos vocant, summisque jugis, unde nives numquam absunt, plurima, quod miremur : alibi non nisi in tepore proveniens, et nutricem magnopere fastidiens.
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s'interpone per belletzs tra t filari dei pini. Ora si usa tondere e disporre t coprir le pareti, e con ducasi in modo, che ne figurano caecae,e navi, e altre cose ; e ciò è molto agevole a latrai» per rii spetto delle sue foglie sottili e sempre verdi. Sono di due ragioni : la femmina, che cresce su con rami chiusi, ed i appuntata a guisa di meta. 11 maschio distende i rami, si pota, e riceve la vite. DeU1 uno e Γ altro si Da pertiche e asse, taglian done i rami, le quali il lerto decimo anno si ven dono un danaro Γ una. Le selve di questi alberi •ono di gran guadagno, e gli antichi usavano dirle dote delle figlinole. La patria di questo al bero Cu Γ isola di Candia, ancora cbe Catone la chiami Tarentina, forse perchè la prima volta venne quivi. Nell' isola d* Ischia, quando egli k tagliato, rimette dal piè. In Candia, in quaiun-, que luogo la terra si lavora, se non vi si mette, altra cosa, nascono cipressi, e anche senta cbe si lavori nascono da lor medesimi, e massimamente» ne' monti Idei, e in quelli che chiamauo Albi, e, negli alti gioghi, dove di continuo sta la neve ; il che par maraviglia, non usando di nascer questo albero se non ne’ luoghi temperati, ed essendo molto fastidioso nell' accomodar» al terreno. G omb
d a l l a t b b b a ba sc o b o sp b ss o c o sb k u o v b ,
CHB SBUCA BOB
LXI. Nec terrae tantum natura circa has referi, aut perpetua coeli, verum et quaedam temporaria vis imhrium. Aquae plerumque semi na adierunt : et eerto fluunt genere, aliquando etiam incognito : quod accidit Cyrenaicae regioni, quum primum ibi laserpilium natum est : ut in herbarum natura dicemus. Nata est et silva urbi ei proxima, imbre piceo crassoque, circiter urbis Romae annum ccccxxx.
D b sa b b a : g b r b e a b jo s x x .
LXII. 3 4 · Edera jam dicitur in Asia nasci t negaverat Theophrastus: nec in India* nisi in monte Mero. Quin et Harpalum omni modo Ubotasse, q| sereret eam in Medis, frustra: Alexandrum vero ob raritatem ita coronato exer citu, victorem ex India rediisse, exemplo Liberi patris : cnjns dei et nunc adornat thyrsos, galeas· qoe. eliam ac scuta, in Thraciae populis; in solequsibus sacris. Inimica arbori, salisque omni bus: sepulcra, rausos rumpens: serpertium frigori gratissima, at mirwn sil ullum honoren bibi* tui» «i.
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BEABO STATB.
LXI. Nò solamente bisogna a qoesti alberi la conveoieata del terreno e del clima, ma ancora una certa temporaria copia dì piogge. Per lo più ne trasportano i semi le aeque, le quali vi ven gono d 'una certa loro specie, che sovente non si conosce ; il ehe avvenne al paese Cirenaico « qoando la prima volta vi nacque V erba chiamala laserpitio, della quale ragioneremo nel trattato deU'erbe. Vieino a Cirene nacque anoora una sel va per cagione d’ una pioggia grassa e come di pece, aeH' anno quattrocento trenta dopo la edi ficatone di Roma. D s L l ' BLLBBA
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LX 1I. 34· Dìcesi che Γ ellera già nasce in Asia, dove Teofrasto scrìsse che ella non vi naseea, come nè anche in India, se non nel monte Mero. Dice anoora che Arpalo si affaticò assai, ma sem pre in vano, per piantarla in Madia, e che Alesi sandro vincitore ritornò d 'India con l’ esercito incoronato, di questa, per la rarità sua, seguitando in ciò l ' esempio di Baceo : al presente i Traci ne cnoprooo gli elmi, gli sendi, e i tirsi di tguel dio, ne'sacrificii solenni. L ' ellera è.nimica a tutti gli al|teri e piante : rompe le sepolture f
le maga, cd è mollo gratinila natura fredda delle
c ; P tm n
secondi f serpi ; di maniera felle è dà marfevfglUrst conte
- Deo geeera ejus prima, at reliquarem, mas et femioa. Major traditor mas corpore, et folio deriore etiam ac pinguiore, et flore ad purpuram eccedente. Utriiwqne autem flo· simili· est rosae «I vestri, niti qood earet odore. Spectes borotn fenerem tres. Est enim candida, et nigra edera, tertiaqoe qnae vocator helix. Etiamnam b»e speeies divideetur in alias: quoniam est aliqua fracte tantam candida, alia et folio: fractam qaoqae candidom ferentiom aliis densas acino*, et grandior, racemi· m orbem circitmactis, qui vocantor corymbi. Item selenitium, cujas est minor acinas, sparsior racemos. Simili modo in nigra. Alicui et semen nigraro, alii crocatam : cajus eoron»# poetae oluntor, foliis minos nigris i qaam quidam Nysiani, alii Bacchicam vocant: maximis inter nigras corymbis. Quidam apod Graeco· etiamnum duo genera Hujus faciunt, a Colore acinorum : erythranum, et chrysocarpem»
Plurimas aatem habet differentias helix, quo niam folio maxime distat. Parva sunt et angulosa, concinnioraque^ quum reltqnoruan generum sirat plicia sint. Distat et longitudine internodiorum : praecipue tamen sterilitate, quoniam fructum non gignit. Quidam hoc aetatis esse, non generis existimant : primoqoe helicem esse, fieri ederam velostate. Horum error manifestus intelligitur : qnoniam helici· plera genera reperiuntur, sed tria maxime insignia : herbacea ae virens, quae phirima est : altera candido folio : tertia, ver. «colori, quae Thracia vocatur. Etiamnum her baceae tenuiora folia, et in ordinem digesta, densioraqee. In alio genere diversa omnia. Et tn versicolori alia teenioribus foliis, et aimttker ordinatis densiori busqee est : alteri generi negle cta haec omnia. Majore quoque aut minora sunt folia, macularuraqoe habilu distant : et in can didis alia sunt candidiora. Adolescit in longitudi nem maxime herbacea.
Arbores aatem necat candida: omnemque succum auferendo tanta crassitudine augetor, nt Ipsa atbor liat: Signa ejus folia maxima atque latissima* mammas erigentis, quae sool ceteris infllekae : raceoli stantes, ac subrecti. Et quam quam omnium edefarnnvgeneri radicosa brachia; baie femen ntarfme ramosa ae robusta : ab- ei higrae. Sed proprium albae quod inter medi· foM« emittit brachia, utrimque semper «topi**
le sia fatto alcuno onore. Le principali sono di due sorti, maschio e femmina, come anche tutte le altre : il maschio è maggiore di corpo, e ha la foglia pià dura e più grassa, e il fiore tiene alquanto del color porpo rino. II fiore dell* uno e Γ altro è simile alla rosa selvatica, se non che non ha odore. Le specie di questo genere son tre, perciò che v"è citerà bian ca, e nera, e la terza che si chiama elice. Queste specie ancora si dividono in altre, perché ve n'è alcuna bianca solamente nel frollo, alcuna eh1 è bianca anche nella foglia : di quelle che fanno il frutto bianco, alcune hanno i grappoli folli, mag giori e tondi, che chiamansi corimbi. L'altra specie si chiama selenizio, il qoale ha minore acino, e grappolo pià sparso. Il medesimo è nella nera. Alcuna ha il seme nero, alciina dì colore di groogo : quella di cui i poeti si Cenno le corone, ha le foglie manco nere: alcuni la chiamano Nisia, altri Bacchica, e questa fra le nere ha grandissimi co rimbi. Certi ancora appresso i Greci fanno dee generi di questa, pel colore degli acini ; Fona che si chiama eritrano, e P altra che crisocarpo. Qoella che si chiama elice ha molte differente, perchè è molto diversa nelle foglie. Sono piccole, accantonate e piè assettate, dove quelle degli altri generi sono semplici. È differente anìora nella lunghezza da un nodo alP altro, ma spe cialmente per la Sterilità, perchè non f» fretto. Alcuni tengono che ciò proeeda dalT età, e non dal genere, e dicono che prima è essa dice, dipoi si fa ellera per la vecchiaia. Ma P errore di costo ro manifestamente si conosce, perchè si traevano molte sorti delP elice, delle quali tre sono le pi* notabili. L’ erbacea e verde, che è in gran copia : P altra che ha la foglia bianca; la terza di pià co lori, la quale si chiama Tracia. L* erbacea ancora ha le foglie pià sottili, pià ordinate, e pià folte. Nell* altra sorte tutte queste cose sono diverse. E in quella di pià colori, P una ha le foglie più sottili, e similmente ordinate, e più spesse : ndP altra tutta queste cose sono confuse. Le foglie ancora sono maggiori e minori, e differenti se condo ebe hanno macchie diverse t ed ancora tra le bianche alcoee sono pià bianche* L’ erba cea cresce molto in lunghezza. La bianca ammezza gli alberi, e assorbendole tutto' il sugo, diventa tanto grosse, eh’ essa pare si fa albero. 1 segni suoi sono lefoglie grandissi me e larghissime, e i germi, non chinati «orna nelle «(tre, ma ritti alP insà, quali por sono i lor grappoli; E benetiè ogni sorte d*ellera abbia le braccia*piene d i piccole radici, nondimeno questa ha lo braccia motto rimoaee robuste1: dopo que lla è la nera. Però ì proprio della bianaa-mette*
eleo# : hoc el lo mqHi, quamvis ambire non possìl, ltaqne etiam pluribus locis intercida., vivil U a e o daratqge : el totidem ioilia radicum habet, quotbrachia, qaibati incolumis et solida arbore* sugit hac strangulat. Est <1 in fraclu differeulia albae nigraeque ederae : quoniam alus lanla ama ritudo «cìqì, ut aves non attingant. Est et rigens edera, quae sine adminiculo stat, sola omnium generum ob id vocata cissos. E diverso u n f u m piai h*mi rcgfns chatnaecissoi.
re rami di meno «Ile foglie, e abbvaooùnr sempre gli alberi dall* una parte e dall’ altra ; il ohe la pur nelle mura, benché non le possa ciroonr dare. Onde benché in molti luoghi si tagli* por vive, e ha lanti principii di radici, quante ha braccia, con le quali senta sentirne offesa succi· e strangola gli alberi. Olirà di ciò l ' ellera biane· e la ner« hanno differenta nel fruito, perchè altre 1' han dolce, «lire tanto amaro, cbe gli uccelli non ne beccano. Écci ancora Γ ellera, la quale per sè stessa sta ritta, e per questo è chiamata cissos. N* è un* altra per contrario, la quale non va se non per terra, detta camecissos.
$ m il a x .
Smilacb.
LXI 11. 35 . Simili» est ederae,e CUici· primum quidem profecta, sed in Graeci» frequentior, quam vocant smilacem, densis geniculata, cauli» bus, spino#ii frutectosa ramis, folio ederaceot parvo, ηφη aqgijloso, a pediculo « n itltolf pam> jm q o s , floro candido, olente lilium. Fert raeemo· iabrmcae mfdo, noo ederae, colore rubro, com plexa acinis majoribus nucleos ternos, minoribus aingulos, nigros durosque : infausta omnibus sa cris et coronis : quoniam sit lugubris, virgine ejus nominis, propter amorem juvenis Croci, mutat· in hunc fruticem. Id vulgus ignorane, plerumque festa s«a polluit, ederam existimando: aicut io poetis» aut libero patre, aut Sileno, quis omnioo nescit quibus corooentur. E smilace fiunt ^codicilli : propriumque materiae est, ut admota Buribus lenem sonum reddat. Edera· mira prodi tur natura ad experienda vina : si vas ftat · ligno .ejus, vina transfluere, «c remanere aquam, si qoa fuerit mixta.
LXJ1I. 85. Simile all’ ellera è la «aUa·*, Ia quale venne prima di Cilicia, ma in Grecia è i? più doviti» : ella ha di molti gambi, è spinosa · cespugliosa,, ed ha foglia d’ ellera, piccola e non cantonata. 11 suo fiore è bianco, e ha odore di giglio. Fa i suoi grappoli a guisa di labrusca, · uon d’ ellera, di color roaso : negli acini magT giori ha tre noccioli, ne* minori uno, neri e duri. È di cattivo augurio in tolli i sacrificii e in tutte le corone, perchè è Jugubre, atteso che già una fanciulla di questo nome, per troppo amore che ella portava a on giovane chiamato Croco, si converti in questo sterpo. Ma il vulgo, che non «a questo, con lamina spesso le sue feste, cogliendo questa in oambio di ellera, come intervieiw nel coronare i poeti, o Bacco, o Sileno,, perchè non sa di qoale vadano incoronati. Della smilace si fanno tavolette da scrivere, ed è proprio di que sto legno, che accostandolo all* orecchio, fa sen tire legger soono. L* ellera si dice ch'è di mirabil natura a far pruova de* vini, perchè facendo on vaso d* elle··, · mettendovi dentro il vino inac qualo, il vino trapela e n'esce, e Pacqua rimane;
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c a l a m i s : a j u u id in v m
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STERH ACQUATICI : DE* CALAMI : VEVTOTT0
G U I S A XXVU1.
SPECIE DI CASRB.
LX 1V. 36. Inter ea, que· frigidis gaudent, et •quatioos frutiees dixisse conveniat. Principatum in his tenebunt arundines, belli paeiaque expe rimenti» necessariae^ atque etiam deliciis gralaia. Tegulo.earam domus suas septentrionales populi operiunt, durantque aevis tecta alta. Et in reliquo -ueroorfoe cantera» levissime suspendunt. Charti*qne serviunt calami, Aegyptii maxime, cognatio» ne quadam papyri. Probatiores tamen Gnidii, «I qui in Asia circa Aoaiticum koum nascuo^nr· Nostratibus fungosioc subest natura, cartilagine bibuja, qaae oavo corpore intus, superne teoui i— rescit ligno i fatili* ffMMQta acia;
LX1V. 36. Fra quelle piante che amano à luoghi freddi, abbiamo a ragionare degli slerpi acquatici. Fra questi terranno il principato le canne, necessarie negli usi che se ne fanno sia pace, sia in guerra, e grate ancora fra le delitie. 1 popoli settentrionali cuoprouo con esse le case loro, e gli alti lor tetti durano di molti anni. Nelle altre parti del mondo ne fanno leggerissime volle e pergola, 1 calami servono alle carte,'mas simamente quelli d* Egitto* per certa vicinam* che hanno col papirp. Sono nondimeno i migliori quei cbe nascono in Guido» e in Asia intorno f i l#go Aaailico. I nostrali sono più f i l o s i , e han-
6 . PLINII SÉOTflDI genicolate. Cécero gracilitas nodis distincta, leni fastigio tenaatur io cacatoio·, craisiore paniealae ooma, neque hac supervacua. Autenim prò ploro a •trita cauponarum replet: aat obi lignosiore callo indaruit, sicut in Belgi·, contusa, et interjecta navium commissuris, ferruminat textos, glatino tenacior, rimisque explendis fidelior pice.
Db SAGITTABUS^' BT
SCUFTOBI 1S CALAMIS.
LXV. Calamis Orienti· populi bella confi ciunt : calamis spicola addunt irrevocabili hamo noxia. Mortem adceleraot pinna addita calami·. Fitqoe et ex ipto telum aliod fracto in vulneri bus. His armis solem ipsam obumbrant. Propter boc maxime sereoos dies optant : odere veotos et imbres, qoi inter illos pacem esse cogunt. Ac •i qui» Aethiopis, Aegyptum, Arabas, Indos, Scythas, Bactros, Sarmatarum tot gentes et Orientis, omniaque Parthorum rego· diligentius compu tet, aequa ferme pars hominum in toto mundo calamis superata degit. Praecipuos hic osus in Creta bellatores suos praecipitavit Sed in hoc qooqoe, ut ceteris io rebns, vicit Italia : quaodo nullas sagittis aptior calamus, quam in Hheno Bononiensi amne, coi et plurima inest medulla, pondusqoe volucre: et oootra flato· qooque per vicax libra. Quippe non eadem gratia Belgicis. Baec et Creticis commendatioribus : qoamqoam praeferantur indi, qoorom alia quibusdam vide tor natura, qnando et hailurom vicem praebent additis cospidibas. Arundinis qaidem Indicae ar borei amplitodo : quales volgo in templis vide mus. Differre mares ac feminas in his quoque Indi tradoot. Spissius mari corpus, feminae capa cius. Navigioromqoe etiam vicem praestant (si credimos) singola ioternodia. Circa Acesinem amnem maxime nascuntur.
Arando omnis ex ona stirpe numerosa, atqoe etiam recisa fecundius resorgit. Radix natura vi vax, genicolata et ipsa. Folia lodicis tantum bre via. Omnibus vero a nodo orsa complexa tenOes per ambitam inducant tanieav atqoe a medio
itfo
no cartilagine sugante, la quile nei corpo già concavo s 'attacca alle pareti interne, e nella som mità va asciugando {«dorandosi in tenue legoo: quando si feode ha sempre filo agosto ; ed è no doso. Sottile com? è, ha' dai nodelli intersecati i bucciuoli : nella cima »’ assottiglia più o termini in grossa paunoocbia : nè questa anoora è super flua, perehè o gli osti ne riempiono i lotti io cambio di pioma ; o qaando ha più doro callo, la pestano, come si fa in Fiandra, e apn ecsa tarano le fessure delle navi, perchè fa un contesto piò tenace che la colla, ed è più valorosa della pece nel riempiere i fessi. D b ' cALAHI P i FAB FBBCCB, V »1 QUELLI DA SCBIVBBE.
LXV. In Levante gaerreggiano coi calami, aggiuogeodovi puntè che non si possono trar fuora essendo aoocinate; e cosi affrettano la mor to oon sovrapporre a’ calami qaella specie di penna. 'Qaando esso si spettò nel ferire, resta ancora tagliente per ferire di nuovo. Con la inol· titudine di queste irmi oscurano il sole a spa vento de* lor nemioi ; e per questo desiderano i di aereni, e hanno io odio i venti, e le piogge, i qoali costringono che fra loro sia pace. £ se al cuno diligentemente vorrà considerare gli Etio pi, 1* Egitto, gli Arabi, gl* Indi, gli Sciti, i Battrt, tante genti de* Sarmati e di Levante, e tutti i regoi dei fa rti, vedrà ohe la metà degli uotéini ilei mondo è vinta dai calami. In Candì· fa que sta asanta principalmente che ha fatto m inarci suoi guerrieri, fila iu questo aneora, come nelPal tre cose, l'Italia resta di «opra, perciocché ninno altro calamo è migliore a far saette, di quello che nasce nel Beno, fiume di Bologna, perché egli ha molta midolla, e peso che può resistere cen tra il veoto. Laddove quei che nascono in Fiaodra, non haooo la medesima proprietà. A qoesti son simili qoelli di Candia che hanno più ripu tazione, quantunque gl* Indiani sieno messi in nanzi, i quali ad alcuni paiono di un* altra na tura, perciocché mettendovi in cima il ferro, gK adoperano in oambio di aste. Sono le canne in India grandi come gli alberi, quali per tutto ne veggiamo nei tempii. Dioooo ancora gli Indiani, che iu queste è differenza tra i maschi « le fcaamine, e ehe il maschio ha corpo pià denso, e la femmina più capace; talché d' un bocciolo di essa (s* egli è cosa da credere) si Ciana barchetta. Na scono per lo pià intorno al fiume Aoeaine. Ogoi canna da nn cespo moltiplica in Molte, e ·* ella vien tagliata, rimette molto più che pri ma. La radice è di natara vivace, e ancora essa ha di molti nodelli. Le Indiane hanoo le foglie pià córte, le
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HISTORIABUM MUNDI LIB. XVI.
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internodio quum plurimam «lesinant vestire, procurobuntque. Latera arundini calamoque in rotunditate bina, super nodos alterno semper in guine, ut alterum ad dextra fiat, alterum supe riore geniculo ad laeva per vices. Inde exeunt aliquando rami, qui sunt calami tenues.
braceiano la canna fino a mezzo il bueciuolo, e quando lasciano di vestirla, pendono all’ ingiù. La canna e il calamo hanno come due fianchi spor genti, che son la parte ima delle foglie accer chienti il fusto, e sopra al nodo un germine, scam biando in forma che nell* uo nodo aia dalla parte destra, e nell'altro dalla sinistra. Di quivi talora escono rami, i quali sono calami sottili.
D b nsT C L A fom iis. D b O b c h o u b r ia a b u r d ib b , b t
D t QUELLI DA FAB SUFOLI. D b LLA CANNA O b COMBUIA,
AUCCPATOB1A, ET PISCATOBIA.
DI QtfBLLA DA UOCBLLABB, DI QUELLA DA PBSCABB.
LXV1. Plura autem genera. Alia spissior, densiorque geniculis, brevibus internodiis. Alia ra rior, majoribus: leuuiorque et ipsa. Calamus ve ro alios totns concavus, quem syringiam vocant, utilissimas fistulis, quoniam nihil est ei cartila ginis atqoe carnis. Orchomenius est conlinoo foramine pervius, qoem auleticam vocant : hie tibiis utilior, fistulis ille. Et alius crassiore ligno, et tenui foramine, liunc tolu·» fungosa replet medulla. Alios brevior, alios procerior, exilior, erassiorque. Fruticosissimus, qui vocatur donax, non nisi in aquaticis natus: quoniam et baee differentia est : mullam praelata arundine, quae in siccis proveniat. Soum genus sagittario cala mo, ut diximus : sed Cretico longissimi* inter nodiis, obseqoen lique, quo libeat flecti, calefa c to . Differentias faciunt et folia no» multitudine, verum robore et colore. Varia Laconicis, et ab Sma parte deosiora, qaales in totum circa stagna gigni putant, dissimiles amuicis, longisque vestiri tunicis, spatiosius a nodo scandente coroplexn. £st et obliqua arundo, non in excelsitatem naacens, sed juxta terram fruticis modo se spar gens, soavissima in teneritate animalibus. Voca tu r a quibusdam elegia. Est et in Italia naseens adarca nomine, palustris, cortice lantnm sub ipsa coma, utilissima dentibus, quoniam vis ea dem et quae sinapi.
De Orchomenii lacus arundinetis accuratius diei cogit admiratio antiqua. Characiam voca bant crassiorem firmioremqoe, plotian vero sub tiliorem1: hane in insulis fluitantibus natam, il lam in ripis exspatiantis lacus. Tertia arundo est tibialis calami, quem aalelicon dicebant: nono hic anno nascebatur. Nam et lacus incrementa hoc temporis spatio servabat : prodigiosus, m
LXVI. Sono di più sorti di canne ; perciocché alcuna ha i nodelli più spessi, e i bucciuoli corti ; alcuna gli ha più radi e maggiori, ed essa è più sottile. Ma dei calami alcuno è tatto voto, e que sto si chiama siriug», baono a fare sampogne, perchè non ha nè pannicolo, nè carne. Il calamo Orcomtnio è per tutto egualmente forato, e chia mali auletico : qnesto è bu^no a far sufoli, come quell'altro a far sampogne. Écci di nn1 altra sorte di calamo, che ha il legno più grosso, e per ciò più ristretti» di foro, e tutto pieno di midolla fungosa: alcun altro più corto, alcuno più lungo, più sottile o più grosso. Mollo germoglioso è quello che si chiama donax, il quale non nasce ye non nei luoghi acquatici : perciocché v' è que sta differenza ancora, essendo molto più stimate le canne che nascono ne1 luoghi secchi. Éeci ona propria sorte di calami, che è buona a far saette, come dicemmo, ma quel che nasce in Candia ha i bucciuoli lunghissimi, e riscaldato si lascia pie gare, come l’ nom vuole. Fanno differenza anco le foglie, non per moltitudine, ma per durezza e colore. 1 calami Laconici le hanno picchiettate, e nell'ima parte più folle, qaali stimano ehe nascano intorno agli stagni, diversi da quei che nascono ne* fiumi : sono vestili di lunghe foglie, le quali abbracciano il fusto per più lungo spazio sopra il nodello. Écci ona sorte di canne obblique, le quali non crescono molto in alto, ma a guisa di sterpo ii distendono per terra ; e questa canna per la sua tenerezza piace grandemente agli ani mali. Da alcuni si chiama elegia. Nasce ancora in Italia una canna, che si chiama adarca, palustre, che non ha se Aon la scorza appresso la pannoc chia, utilissima ai denti perchè ha la medesima forza che la senape. Dei canneti del lago Orcomenio P antica ma raviglia ci sforza a parlar più diligentemente. Caracia si chiamava la canna più grossa e più soda, e plozia la più sottile : questa dicono esser nata nell' isole che stavano a nuoto, e quella sulle rive di spazioso lago. La terza sorte è il calamo buono a fare sufoli, il quale si chiama anletioo. Questo nasceva ad ogni nono anno, perchè ere·
C. PLINII StCDKDl
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quando amplitudinem biennio extendisset: quod notatura ipud Chaeroniam infausto Athenien sium* et apuJ Lebaida saepe notatur influente Cephisso. Quum igilor anno permansit inunda tio, proficiunt in aucopatoriara quoque amplitudinem: vocabantur xeugitae. Contra borayciae* maturius reciproco, graciles : feminarum* latiore folio atque candidiore* modica lanugine : aot omnino nulla, spadonum nomine insiguibus. Hinc eraot armamenta ad inclusos cantus : non silen do et reliquo curae miraculo* ut venia sit* ar gento jam potius cani. Caedi solebant tempesti vae usque ad Autigenidem tibicinem* quum ad huc simplici musica uterentur* sub Arcturo : sic praeparatae aliquot post annos utile esse incipie bant. Tunc quoque multa domandae exercita tione* et canere tibiae ipsae docendae* compri mentibus se ligulis* quod erat illis theatrorum moribus utilius. Postquam varietas accessit, et cantus qnoque Inxuria* caedi ante solstitia coe ptae* et fieri utiles in Irimatu* apertioribus ea rum ligulis ad flectendos sonos* quae inde sunt el hodie. Sed tum ex sua quamque tantum arun dine congruere persuasum erat: el eam* quae radicem antecesserat* laevae tibiae convenire : quae cacumen * dextrae : immensum qnantum praelatis, quas ipse Cephissus abluisset. Nun^ sacrificae Tuscorum e buxo, ludicrae vero loto, ossibusque asininis, et argento fiunt. Aucupato ria arundo a Panhormo laudatissima : piscatoria Abaritana ex Africa.
Db v i b i t o b i a
a io s d ir i.
LXV11. Aruudinis Italiae usus ad viueas ma· xime. Caloseri eam jubelin humidis agris, bi palio subacto prius solo* oculis disposilia inter vallo ternorum pedum. Simul el corrudam* uude asparagi fiant: coucordaie enim amicitiam.
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scerà in quel tempo ancora il lago, ed era gran prodigio, se talvolta per troppe piogge rimane· pieno anche Γ anno seguente ; il che fa osser vato nella infelice giornata, che gli Ateniesi perderono a Cherooia, e spesse altre volle presso Lebaida per lo scaricar visi del fiume Cefiso. Quando dunque la inondazione durò od anno* le canne crescono in tanta lunghezza* che sou buone per uccellare: chiamavansi zeugite. Per contrario* se le acque tornano più tosto «1 luogo loro, si chiamano bombi eie, e sono sottili. Le femmine hanno più larga foglia e più bianca, e poca lana; e se non ue hanuo punto, sou notabili per essere chiamale spadoni. Di quindi facevansi gli stranienti ovvero sufoli pei canti da teatro o da stanza ; ma non è da tacere quel che v’ ha di maraviglia pur nella preparazio ne della canna da sufoli* acciocché si perdoni a chi vuole piuttosto sonare eon l’ argento. Il tempo conveniente a tagliar queste canne, fino all* età d'Antigene sonatore, quando s'usava anco ra la musica semplice* era intorno al nascimento d* Arturo ; e così preparate cominciavano a esser buone alcuni anni dipoi. Ma allor pure si doma vano oon molto esercizio* e gli stessi sufoli si facevano canori col serrarsi delle lingueUe fra sè ; il che era più utile a quelle usanze dei teatri. Ma poiché ne venne la varietà* e la lascivia del canto* si sono incominciate a tagliare inoanzi al solstizio* e a far buone il terzo anno* perché erano più aperte le linguelle loro a inflettere i suoni : tali si usano ancora oggi. Ma allora si te nera che ciascuna fosse buona solamente della sua canna* e che il bucciuolo vicino alla radice convenisse al sufolo sinistro* ovvero che si tene va con la mauciua e si soffiava col lato sinistro della bocca, e il vicino alla vetta al suiolo de stro ; ed è maraviglia dire quauto erano più stimale quelle cbe bagnava il fiume Cefiso. Oggi quelle che i Toscani usano ue' sacrificii, sono dì bosso; quelle che s'usano ne'giuochi, sono di loto* o d 'osso d' asiuo, o di argeulo. La canna da uccellare nasce ottima a Palermo, e quella da pescare vieueda Abarila citlà d 'Africa. D ella
u su a
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v ig b b .
LXV 11. In Italia le canne si adoperano mollo nelle vigue, e Catone vuole eh' elle si pongano uei luoghi umidi, ma che prima ai svolga il ter reno cou la vauga, e che fra uu occhio e l ' altro sia Γ intervallo di tre piedi, e che insieme si metta la corruda* della quale uascouo gli sparagi, perchè naturalmcute »i coufauuo tra loro.
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UlìtTOUIARUM MUNDI LID. XVI.
37. Salicem vero circa : qua nulla aquatica rum ulilidr, licet populi vitibus pliceant, et C*ecuba educent : licei alni sepibus muoiaiil, con* iraque erumpentium amnium impelus, riparum maro in tutela ruris excubent in aqua satae, caesaeque densius innumero herede propini.
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37. Intorno vuoisi porre il salcio, che è il più utile di ttilti gli alberi d^acqas, benché gli oppi! piacciano molto alle viti, e sostengano il Cecubo,* benché gli ontani facciano siepi, e pian* tali in acqua quasi muro difendano le campa gne dalla furia de' fiumi, ed essendo tagliati ri mettano in maggior numero.
D « SALICE : GEN U A BJUS V ili.
D el s a l c i o : o t t o s p e c ie d i e s s o .
Γ*ΧVIII. Salicim stalìm plura genera. Nam que el io proceritatem magnam emittunt jugis vinearum perticas, pariuntque ballheo corticis vincala : et aliae virgas sequacia ad vincturas lentitiae. Alia· praetenues viminibus texendis spectabili subtilitate. Rursus aliae firmiores cor bi bu*., ac plurimae agricolarum supellectili: can didiores ablato cortice, tenique tractatu, mollio ribus vasis, quam ut e corio fiant: atque etiam supinarum in delicias cathedrarum aptissimae. Caedua salici fertilitas, densior tonsura, ex brevi puguo verius, quam ramo : nou, ul remur. in uovisaiiuis curanda arbore. Nullius quippe tatior est reditus, tniaorisve impendii, aat tempestatum securior.
LXV 1I1. Il salcio è di più sorti. Akani infatti crescono in allo, e fanno pali e pertiche alili alle viti, e cintole e legature, che si fanno della cor teccia loro : altri producono verghe buone a le gare per la loro somma flessibilità. Alcani fanno vermene sotliliuime per fare lessali di mirabile sottigliezza : alcuni grosse per far corde, e simili cose per bisogno dei contadini, le qaali scortec ciate son più bianche, e più lisce a toccare, e per far vasi più maneggevoli che se si facessero di cuoio, buonissime aucora a far seggiole deliziose. 11 salcio è albero mollo fertile, come quello che tosalo me Ile più rami dalla troncatura, che lime più sembianza di pugno o moncherino, che di vero ramo : laonde, a mio parere, non è da metter tra le ultime la sua coltivazione. N èv’ è nessun nitro albero di reodila più sicura, e di manco sposa, nè più sicuro dalle tempeste.
Q O A B PBAETEa S A LIC E» ALLIGANDO UT1LIA.
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SOR BUONE A F A · LEGATURE.
L X 1X. Terlium locum ei in aestimatione ra ris Calo adtribuit, prioremque quam olivetis, quamque frumento, aut pratis : nec quia desint alia vincala. Siquidem et genistae, et populi, et ulrai, et «anguinei frutice», et betullae, et arundo fissa, et arandinum folia, ut in Liguria, et viiis ipsa, reemsque aculeis rubi alligant, et intorta corylu f. Mirumque contuso ligno alicui majores ad vincula esse vires. Salici tamen praecipua dot. F in d itu r Graeca rubens : candidior Amerina, sed paullo fragilior, ideo solido ligat nexa. In Aain tria genera observaut. Nigram, utiliorem vim inibus : candidam, agricolarum usibus : ter tiam , qnae brevissima est, helicem vocant. Apud oos quoque multi totidem generibus nomina im p o n u n t : vimineam vocant, eamdemque purpu ream . Alteram nitelinam a colore, qaae ait te n u ior. Tertiam Gallicam, quae tenuissima.
LXIX. Catone gli assegna il terzo luogo nell ' agricoltura, e lo mette innanzi agli uliveti, a! grano, e ai prati ; nè già perchè manchino altre cose da legare, perciocché e le ginestre, e gli oppii, e gli olmi, e il sanguine, e la belolla, e la canna fessa, e le foglie delle canne, come nella riviera di Genova,e la vile stessa,e i rovi rimondati dalle lor punte, e i noccioli ritorti, son lutti buoni da le gare. Ed è cosa maravigliosa, come qualche legno, pesto che sia, ha maggior forza a legare ; non dimeno questa è peculiar dote del salcio. Fcndesi il salcio Greco, il quale è rosso : quel d’ Amelia è più bianco, e alquanto più fragile, e perciò lega più sodo. In Asia hanno Ire sorte di salcio. Il nero dicono essere utile per far vimini; il bian co per bisogno dei cootadini ; il terzo, eh1è cor· tissimo, chiamano elice. Molti ancora appresto di noi pongono i nomi ad altrettante specie: l ' uno chiamano vimine e porporino ; l ' altro ni telino dal colore eh* egli ha ; e questo è molto sottile ; il terzo Gallico, il quale è sottilissimo.
0 . PU N II SECUNDI
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Db SClBFIS, CA1TOBL1S,
CAUSIS, TSG0L1S.
D e ’ GlUHCttl, CARDELE, C I M I , COPEBCBl CHE I · H I FAVBO.
LXX. Neo in fruticum, nec in veprium cauliumve, neqoe ia herbarum, aut alio ullo, quam sao genere, numerentur jure scirpi fragiles palustresque, ad legulum, tegetesque : e quibus detracto cortice, candelae luminibus el faueribus serviunt. Firmior quibusdam in locis eorum ri gor. Namque iis velificaut non iu Pado tantum nautici, verum el in mari piscator Africus, prae postero more vela intra malos suspendens. Et mapalia sua Mauri legunt : proximeque aestiman* Ii hoc videantur esse, quo inferiore Nili part^ papjri sunt, usu.
De
sa m bu cis
:
d b io b is .
LXX1. Sed frutectosi generis sunt inler aqualices el rubi, atque sambuci fungosi generis: ali ter lamen, quam ferulae : quippe plus ligni uti que sambuco. Ex qua magis canoram bucciuam lubaroquc credit pastor, ibi caesa, ubi gallorum cantum frulex ille non exaudiat. Rubi mora ferunt ; et alio geuere similitudinem rosae, qui vocalur cyuosbatos. Tertium genui Idaeum vo cant Graeci a loco. Tenuius est quam cetera, minoribusqne spini», et minus aduncis. Flos ejus contra lippitudines illinitur ex meile : et igni sacro. Contra stomachi quoque vitia bibitur ex aqua. Sambuci acinos habeut nigros atqoe par vos, humoris lenti, inficiendo maxime capillo : qui et ipsi aqua decocti mandantur.
D
e a b b o e o m socc is .
LXXII. 38. Humor et cortici arborum est, qui sanguis earum intelligi debet, non idem omnibus. Ficis lacteus : huic ad caseos figuran dos coaguli vis. Cerasis gumminosus, nimis sali vosos : lentus ac piuguis malis, vitibus ac piris aquosus. Vivaciora, quibus lentior. Atque in lo tum corpori arborum, ul reliquorum animalium, culis, sanguis, caro, nervi, veuae, ossa, medullae, pro cale cortex. Mirum: is in moro medicis succam quaerentibus, vere, hora diei secunda, lapi de incussus manat : altius fractus siccus videtur. Proximi plerisque adipe» : ii vocantur a colore elburnum: mollis ac pessima pars ligni, eliam in robore facile putresoens, teredini obnoxia : quare semper amputabitur. Subest huic caro, cui ossa : id est, materiae optimum. Alternant fructus, quibus siccius lignum, ut olea : magis qoam qui-
LXX. I giunchi di palude non sì possono do mandare ne' slerpr, ne' pruui, nè pur erbe, poi ché fanno specie da per sè : sono utili a fare stuoie e coperture, e «bucciali servono di candele per le lumiere e pei mortorii. In alcuni luoghi, perchè sono alquanto piò fotti, si adoperano per sostenere le vele, non solamente in Po, ma dai pescatori d' Africa aucora in mare, dove alΓ opposto che facciam noi, appiccano le vele tra gli alberi. In Barberia ue cuoprono le capanne; e chi vorrà ben considerare, troverà che questi giunchi prestano gli stessi usi che il papiro nella bassa parte del Nilo. D e'
sa h bo c h i
:
d e * b o v i.
LXXI. Fra gli alberi d* acqua cespugliosi sooo i roghi, e i sambuchi tra i fungosi, ma però altrimenli cbe le ferule, perchè il sambuco ha più legno. Il pastore ne fa tromba, o corno, e lieae che sia più sonoro quando è tagliato ia luogo, dove tal albero non possa sentire il canlo del gallo. 1 roghi fanuo le more, e un1 altra sorte di pruuo, che si chiama cinobatos, fa rose. Ij lena sorte è chiamala dai Greci Ideo dal luogo: queslo è più sottile, e di minori spini, e meno allucinati li suo fiore giova contra la cispa degli occhi, me scolandolo col mele,nouchecoulrail fuoco sacro. Beesi ancora cotto nell' acqua contro i dolori dello stomaco. I sambuchi hauuo gli acini neri e piccoli, di amor viscoso, buoni per tiguere i ca pelli; e questi ancorasi mangiano cotti uell' acqua. D b’
su g h i d ig l i
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LXX 1I. 38. Le scorze degli alberi hauoo sa go, il qual s’ inteude che sia il saugue loro, ma però non l*>tti Γ hanno ad un medesimo modo. Quello dei fichi è come latte, e ha forza di pre same per fare il cacio. I ciriegi Γattuo gommo», gli olmi salivoso : i meli grasso e viscoso : le vili e i pe· i acquoso. Sono più vivaci gli alberi, che Phauno più visooso. Anche in tutto il corpo degli alberi, come degli altri animali, v' ha pelle, san gue, carne, nervi, vene, ossa e midolle ; per le pelle serve la corteccia. Maraviglia è net mora, che quando i medici vogliono il sugo suo, lo intaccauo con una pietra, iuturno alle due ore di giorno di primavera, ed ei lo distilla ; ma se si lacesse più profonda in laccatura, non trasuda punto, che par che sia secco. L'adipe delPalbero alla mag gior parte è molto in pelle, e dal coloie si chiama
HISTORIARUM MUNDI UB. XVI.
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bus carnosam, ul ceraia*. Neo omnibus adipe· carnesve largae, aienti nee animalium acerrimi·. Neutram habeat buxos, cornus, olea : nec me dullam miniranraqne etiam sanguinis : sicut ossa non babent sorba, carnem sambuci (et pluri mam ambae medullam ) : nec arundines majore ex parte.
D·
iis o im
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s t p u l p is .
L X X 11I. Io quarumdam arboram carnibus pulpae venaeque suoi. Discrimen earum facile. Venae latiores eandidioresqae pulpae fissilibus Insunt. Ideo fit, ut aure ad caput trabis quam libet praelongae admota, ictus ab altero capite vel graphii sentiatur, penetrante reciis meatibus sono. Unde deprehenditur, an torta sit mate ries nodisque concisa. Quibus sunt tubera, sic sunt in carue glandia. In iis nec vena, nec pulpa, quodam callo carnis iti se convoluto. Hoc pre tiosissimum in citro, et acere. Cetera mensarum genera listis arboribus circinantur in pulpam : alioqui fragilis esset veua in orbem arboris caesa. Fagis pectines transversi in pulpa. Apud anti quos inde et vatis honos. Manius Curius juravit se ex praeda nihil attigisse, praeter guttum fa ginura, quo sacrificaret. Lignum in longitudinem fluctuatur : ut quae pars fuit ab radice, validius sidai. Quibusdam pulpa sine venis, mero slami ne et tenui coustat. Haec maxime fissilia. Alia frangi celeriora, quam findi, quibas pulpa non est : ut oleae, viles. Al e contrario totum e carne corpus fico. Tota ossea esi ilex, cornus, robur, eytiuss, morus, ebenus, lotos, el quae sine me dulla case diximus.
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alburno: è morbido, e la pessima parte del legno, il qaale nel rovero ancora facilmente s* Infracida, e intarla ; però sempre si debbe tagliare. Sotto questo è la carne, e sotto la carne I’ ossa, cioè il meglio del legno. Quegli che hanno il legno pià secco, fanno fruito un anno sì, e Γ altro no, co me fa Pulivo, più che non fanno quegli che 1' hanno carnoso, come è il ciriegio. Nè tutti gli alberi hanno il grasso e la carne in abbondanza, come nè anco gli animali più robusti. Nè Puno nè P altra hanno il bosso, il corniolo e P olivo, i quali non hanno ancora midolli·, e poco sangue. 1 sorbi non hanno ossa, i sambuchi non carne (benché gli ani e gli altri han molta midolla); nè ancora la maggior parte delle canne. D b llb p o l p e b v b sb d b g l i a lb b b i.
LXX 11I. Alcuni alberi nelle lor carni han polpa e vene. Quali le abbiano, facilmente si co nosce. Tutti quelli ehe si fendono han vene motto larghe e polpe biancheggianti. Di qni viene, che accostando 1' orecchio al capo di una trave, sia lunga quanto esser si voglia, si sente il colpo dato nelP altro capo, perciocché il suono passa per quei diritti meati. Di qui si viene a co noscere, se quel legno è torto, e intersecato da no di. Alcuni alberi hanno nocchi, siccome gangole di animale : questi non hanno uè vena nè polpa, ma una cerla carne callosa ravviluppata in sè stessa. Questa è preziosissima cosa nel cedro e nell' acer<>. Degli altri alberi che si segano per fare i tondi delle tavole, se ne piglia la polpa in lunghezza; perchè altrimenti la vena sarebbe fra gile, se 1' albero si tagliasse orizzontalmente. Del faggio si fan pettini, prendendo la polpa per lo tra verso; e così gli antichi ne facevano anco bellissimi va»i. Man io Curio giurò di unii aver tocco nulla della preda che s 'era fetta, fnor che un vaso di faggio pei sacrificii. Il legno va ondeggiando per la sua lunghezza, di maniera che la parte più vi cina alla radice è più ferma. Alcuni hanno polpa senza vene, la quale è di stame puro e sottile. Questi molto facilmente si fendono. Alcuni altri che non han polpa sono più presti a rompersi, che a fendersi, come gli ulivi e le vili. Ma per eoutrario il fico ha tutto il corpo carnoso. Tatti ossei sono il leccio, il corniolo,il rovero, il citiso, il moro, P ebeno, il loto, e quegli che noi dicem mo che non hanno midolla. Gli altri hanno color nero. Il corniolo è gial Ceteris nigricans color. Fulva cornus, in veuabulis nitet, incisuris nodata propter decorem. lo ; gli spiedi che se ne fanno, risplendono, i quali per più bellezza si fregiano d'intagli. Il Cedrus, et larix, et juniperus rubent cedro, il larice, e il ginepro rosseggiano. 39. Larix femina habet, qaam Graeci vocant 39. Nel larice femmina, la parte più densa, che aegida, mellei eoiori·. Inventum est pictorum i Greci chiamano egida, è di colore di miele. Di
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C. PUNII SECUNDI
tabellis immortale, nullisque fissile rimls, hoc lignum. Proximum medullae est. In abiele leuson Graeci vocant. Cedri quoque durissima, quae medullae proxima , ul in corpore ossa, deraso modo limo. Et sambuci interiora mire firma tra duntur. Namque qui venabula ex ea faciunt, praeierunt omuibus; constat enim ex cute et os sibus.
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a e b o b ib c s
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questo legno i pittori fatino tavolette, le quali durano senza fine, e non si fendou mai. K il le gno più vicino alla midolla, e i Greci nell' abete lo chiamano lenson. Il cedro ancora è durissimo presso alla midolla, come Tossa nel corpo; ma vuoisi radere obbliquamente. Anche II sambuco dicesi esser molto sodo nelle parti interne; pe rocché gli spiedi che se ne fami», si preferiscou· a tutti, siccome quelli che son di pelle e d'osso. D e g li
albbbi
da t a g l ia *
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LXXIV. Quegli che s'hanno a scortecciare per usargli tondi nei tempii e per altri bisogni, si debbono tagliare «|uaudo germogliano ; altri menti non si può levare loro la buccia, e nascevi sol lo il tarlo, e il legno diventa nero. Le travi, e quei legni che s 'acconciano con la scure, si ta gliamo da metto Dicembre infinchè comincia il vento Favonio ; e se pur siamo sforzati farlo pri ma, nel tramoutar di Arturo, e innanzi a esso od tramontar della Lira, e per ultimo nel solstizio. Dei giorni di queste stelle ai ragionerà al sue luogo. Comunemente si tiene che gli alberi, i qaali Vulgo satis putant observare, ne qua dedo landa arbos sternatur ante editos s iio s fructus. s’ anno a piallare, n o n sieno da tagliarsi prima Kobur vere caesum , teredinem sentit : bruma che abbiano fatti i lo r fi ulti. 11 rovero tagliato autem, neque vitiatur, neque pandatur, alias la primavera, intarla; perchè non ai guasti aè si apra, vuoisi tagliarlo di vern<>, altrimenti si con obnoxium eliam ut torqueat sese findatqae: quod torce e si fende; il che interviene nei snvero, in subere tempestive quoque caeso evenit. Infi nitum refert et lunaris ratio : nec nisi a vicesima ancora che ei sia tagliato a teiop··. I giorni della luna importano assaissimo ; nè vogliono che si in tricesimam caedi vulunl. luter omnes vero convenit, utilissime in coitu ejus sterni, quem tagli, se non dal veutesimo giorno di essa lìoo diem alii interlunii, alii silentis lunae appellant. al trentesimo. Però tutti s' accordano, che sia Sic certe Tiberius Caesar concremato ponte Nau buonissimo tagliare i legni quel di che la looa si machiario, larices ad resti tuendum caedi in Rhae- congiunge c o l sole, il qual dì alcuni chiamano in terlunio, altri di luna silente. E cerio ehe Tiberis tia praefinivit. Quidam dicunt, ut in coitu et sub terra sit luna : quod fieri non potest nisi noctu. imperadore, essendo arso il ponte Neumaehiarìa, At si competant coitus in novissimum diem bru ossia fatto per combattimenti navali, volle che ia tal dì si tagliassero i larici di Rezia per rifarlo. Al mae , illa sit aeterna materies : proxime, curo supra dictis sideribus. Quidam et Cunis ortum cuni diconoche si debbono tagliare nella eongiuoaddunt, et sic caesas materies in forum Angu zione della luna, ma che ella sia sotterra ; il che stum. Nec novellae autem ad materiem, nec ve non si può fare se uon di notte. Ma a* egli avvieee teres utilissimae. Circumcisas quoque ad medul che la congiunzione sia Γ ultimo dì della brama, lam aliqui non inutiliter relinquunt, nt omnis quel legname sarà senza fiue. Alcuni a' soprad humor stantibus defluat. Mirum apud antiquos detti dì delle stelle aggiungono il nascimento primo Punico bello classem Duillii imperatoris della Canicola, nel qual tempo dicono che si ta ab arbore excisa l x die navigasse. Contra vero gliò il legname pel loro di Augusto. Gli alberi giovani non sono molto buoni per far legname, Hieronem regem ccxx naves effectas diebus x l v tradit L. Piso. Secundo quoque Punico bello, come nè anche i vecchi s o iio i più utili. Alenai tagliano gli alberi intorno (ino alla midolla* · la Scipionis classis x l die a securi navigavit. Tan tum tempestivitas eliam iu rapida celeritate pollet! sciatigli così ritti acciocché n' esca fuori ogai umor soverchio. Cosa meravigliosa è che la flotta di Duillio, nella prima guerra Cartaginese, na vigò il sessantesimo giorno, da che il legname era stato taglialo. Scrive Lucio Pisone che da-
LXXIV. Caedi tempestivum quae decorti centur, ut tereles, ad templa c e ie r a q u e usus cotinnii, quum germioani, alias cortice inextrica bili, et carie subnascente ei, inateriaque nigrescente. Tigna et quibus aufert securis corticem, a bruma ad Favonium : aut si praevenire coga mur, Arcturi occasu, et ante eum Fidiculae : no vissima ratione, solstitio. Dies siderum horum reddetur suo loco.
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HISIOBIAHUM MUNDI LIB. XVI.
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gento venti navi contra G erone re di Sicilia fa rono fatte iu quarantacinque giorni. Oltra di ciò la flotta di Scipione, nella seconda guerra Car taginese, navigò in quaranta dì, da che fu al terrato il legname nella selva ; lauto è utile il tempo del tagliare, eziandio nella fretta ! C a t o n is
e a d b re p l a c it a .
LXXV. C a lu bomitium i u i d i d u i in ornui usu, de materiis haec adjicil : u Prelum e tapino alra polissimura facili» : ulnaenra , pineam , nuceam, kano atque aliam maleriam omuem quum effo dies, luna decrescente eximito post meridiem, sine veulo Austro. Tuuc ei il tempestiva, quum semen suum maturiim crii. Cavetoque ne per rorem Ira Ita», sul doles. » Idemque mox : <* Nisi iuierineslri, lunaque drmidiala, ue tangas mate riem. Tunc ne effodias aut praecidas ab* terra. Diebus septem proximis, quibus luna plena fue rit, optime exiiuitur. Omuiuo caveto ne quam materiam doles, neve caedas, neve tangas, nisi siccaiu : neve gelidam , neve rorulentam. » Ti berius idem et iu capillo tondendo servavit in terlunia. M. Varro adversus delluvia praecepit observauduin id a pleniluniis.
D
b
MAGNITUDINE ARBORUM. D b NATURA MATERIARUM : DB SAP1BO.
L X X VI. Larici el magis abieii succisis, humor diu defluii. Hae omnium arborum allissimae ac tectissimae. Navium malis antenuisqoe propter Jevilateiu praefertur abirs. Communia his piuoque, u l quadripat litos venuram cursus bifidosqiie habeant, vel omnino simplices. Ad fabrorum intestina opera medulla aeclilis: optima quadi ip a rlilis materies, el raoilior quam ceterae. Iniet taci us in cortice protinus peritis. Abietis quae j>ars a terra fuil, enodis est: haec, qua diximus ratione, fluviato decorticatur, atque ita sapinus vo ca tu r: superior pars nodosa, duriorque, fu sterna. in ipsis auteui arboribus robustiores Aquiloiiiae partes. El iu lotum deteriores ex huiui «Jis opacisque: spissiores ex apricis, ac diuturu«e. ltle o Romae iuferuas abies supernati prae fertur. lis i per geulium quoque regioues iu iis d iflereulia. Alpibus, Apeuuinoque laudatissimae: iu G allia, Jura, ac munte Vogeso^ ia Corsica, B ith yn ia, Poulo, Macedonia. Deterior Aenealica, e l A r c a d i c a . Pessimae Parnassia, el Euboica, «juouiani ramosae ibi el coulortae, pulreaceulesq u e facile. Al cedrus iu Creta, Africa, Syria lau da tiasiroa.' Cedri oleo peruncta materies, nec ti-
PBBCBTTI DI C a TOSB S0PBA1L TAGLIO DBOf.l ALBERI.
XXV. Calone uomo singolare io ogni cosa, aggiunge quello de' legnami: u Farai lo strettoio di sapino nero ; e quando taglierai olmo, piuo, nuce, o altro legname qualuuque, cavalo a luna sceiua dopo mezzodì, e senza venlo di Ostro. Al lora sarà il tempo da tagliare 1' albero, quando il suo seme sarà maturo. Guardali che non lo traini ancora segnato di rugiada, o che non lo pialli. » E poco dopo dice : u Non toccare il le gname, se non quando ia luna non ai vede ed è dimezzala: allora uou lo sverre, e non lo tagliare da terra. Ne' prossimi selle dì, quando la lima sia piena, lo lo puoi cavare utilmente. Guardati al tulio di non tagliare, nè toccar punto il legname che vuoi piallare, se prima ei non sia riseccalo ; 0 i'r«li è gelato o rugiadoso. » Tiberio anche per tagliare i capelli attendeva l'interlunio. Marco Varrone contra a' flussi vuole che si osservi il dì dopo che la luua è piena. D blla
grandezza
degli
a l b e r i.
D ella
natura
d b ’ l e g n a m i: d e l s a p in o .
LXX VI. Intaccando il larice e Γ abete, u* esce assai tempo l’ umore, e più dall'abete. Questi sono 1 più lunghi e più diritti alberi. Ma per gli alberi e per l ' an leu ne delle navi piuttosto si toglie 1' abele, perchè egli è più leggeri. Questi e il piuo hanno il discorso delle vene parlilo in quattro, u iu due, o in uuo. La midolla loro è buona a se gare : i legnaiuoli ne fanno di preziosi lavori. Il legname diviso per quattro vene, è migliore e più tenero degli altri ; e chi n' ha pratica, Io couosce alla scorza. Nell1 abete la parte che è di verso terra, uon ha nodi, e scortecciata nel modo che abbiam detto, si chiama sapiuo. La parie di so pra è nocchiosa, e più dura, e chiamasi fuslerua. Negli alberi stessi le parli volte verso tramontana sono più dure, e generalmente son peggiori nei luoghi umidi e ombrosi, ma ne’ solatii, più dure voli e più sode. E perciò in Roma gli alberi volli al mare di sotto, ovvero di Toscana, son riputali migliori di quei, che son volti al mare di sopra, ovvero Adriatico. C 'è dilTereuza ancora iu essi secoudo i paesi. Nell' Alpi e sull’ Apeuuino sono mollo buoni ; co»ì iu Francia, sul Mongiuevera e sul Vauge, iu Corsica, in Bilioia» iu Poulo e in
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C. PUNII SECUNDI
ueam, nec cariero sentii. Junipero eadem tirio·, quae cedro. Vasta haec in Hispania, maximeque Vaccaei» : medulla ejus ubicumque solidior etiam, quam cedrus. Publicum omnium vilium vocant spiras, ubi convolvere se venae atque uodi. In veniuntur in quibusdam, sicut in marmore, cen tra, i» est, duritia clavo similis, inimica serris. El quaedam forte accidunt, lapide coraprebeoso aut recepto in corpus, aut al Ieri us arboris ramo.
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Macedonia. Men buoni sono gli Eneatici e gli Ar cadici. Pessimi poi sono uel Parnaso e in Eubea, perchè vi sono torli, e pieni di rami, e marciscoe facilmente. Ottimo il cedro è in Candia, io Afri ca e in Siria. Se il cedro è unto eoo olio, non in tarla. Il ginepro ha la medesima virtù che il ce dro, ed è grande iu Ispagua, e specialmente nelle terre de' Vaccei. La sua midolla in ogni paese è loda anche più che il cedro. Il difetto a tulli co nouue si chiama spira, quando ai avviluppano io* sierae le vene e i nocchi. Trovausi 11» alcuni al beri, come ocl marmo, certe d o rm e simili a uso agulo mollo niraiche alle seghe. Queste talora a\vengono accidentalmente, qoaud» un albero abbia preso e incorporato qualche pietruna, ov vero un ramo di un altro albero. In Megara sulla piazza stette lungo tempo on Megaris diu slelil oleaster in foro, cui viri fortes adfixerant arma, quae cortice ambiente ulivo selvatico, al quale gli uomini valorosi aveva aetas longa occultaverat. Fuitque arbor illa fa no appiccate l ' anni loro, e la corteccia per {spa zio di lempo le aveva sormontale e ricoperte. talis excidio urbi» praemonitae oraculo, quum arbor arma peperisset : quod succiaae accidit, Fu questo albero fatale alla sua patri·, dicendo ocreis galeisque intus reperti». Ferunt lapides 1' oraculo, che quella città avea a rovinare, quan ila iu ventos, ad couliueiidos partus esse remedio. do un albero partorisse armi; e ciò avvenne, perchè sendo tagliato questo albero, vi si trova rono dentro schinieri ed elmetti. Dicooo che le pietre ritrovate negli alberi sono buooe a far ritenere il parto. Far lutti gli altri alberi iusino a questa 4o. Amplissima arborum ad hoc aevi existi 4o. età veduti a Roma, grandissimo si tiene cbe fosse matur Romae vis», quam propter miraculum Ti quello, il quale trasportato col reslo del legname, berius Caesar in eodem ponte Naumachiario ex fu posto per maraviglia da Tiberio imperadore posuerat adveclam cura reliqua materie : duravit ad Neronis principis amphitheatrum. Fuit aulem nel già detto ponte Naumachiario, e che dorò Irabs e larice, longa pedes cxx, bipedali crassi fino all1 anfiteatro di Nerone. Questa fa una tra tudine aequalis. Quo iulelligebalur vix credibilis ve di larice lunga cento veuti piedi, e grossa reliqua allitudo, fastigium ad cacumen aestimau- egualmente per lutto due piedi. Onde si cono tibus. Fuit memoria nostra et in porticibus Se sceva, come ella era- di uoa incredibil lunghezza ptorum a M. Agrippa relicta, aeque miraculi cau- a chi computava il reslo insino alla vetta. A*no stri tempi fu uu'allra Irave minore dieci piedi, sf, quae diribilorio superfuerat, xx pedibus bre lasciala da M. Agrippa per miraculo ne'portici vior, sesquipedali crassitudine. Abies admiratio dei Setti, grossa un piede e mezzo. Molto mera nis praecipuae visa est in navi, quae ex Aegypto viglioso ancora fu un abete nella nave, che per Caji principis jussu, obeliscum iu Vaticano circo statutum, quatuorque truucos lapidis ejusdem commissione di Caio Cesare condusse di Egitto quell' obelisco, il quale fu poslo nel circo Vati ad sustinendum eum adduxh : qua nave nihil ad cano, con quattro piedestalli della medesima pie mirabilius tisum in mari certam esi: cxx mmo tra, che sostenessero Γ obelisco : della qval nave dium lentis pro saburra ei fuere. Longitudo spa tium obtinuit magna ex parie 0»liensis portu» è cerio che la più maravigliosa non fu giammai latere laevo. Ibi namque demersa esi a Claudio veduta in mare. Ques'a nave portò allora cento venti mila moggia di lenii per zavorra. La sua principe, cum Iribus molibus, lurriom altitudi lunghezza in grau parie occopò lo spazio del ne in ea exaedificati* ob iter Puteolano pulvere porto d' Ostia dal lato · auco ; perciocché Clau advecto. Arboris ejus crassitudo quatuor ho minum ulnas complectentium implebat. Vulgo- dio imperatore la vi fece affondare per fonda mento a tre moli che v'edificò sopra, alte sic que auditur τχχχ nummum el pluris malos venuradari ad eos o s u s , rates vero connecli x l H-S come torri, e fatte di polvere Pozzolana, per faro ai navicatili. Era grosso quell* albero quan plerasque. At in Aegyplo el Syria reges inopia abielis cedro ad classe· feruntur usi. Maxima ea to quattro uomini potrebbono abbracciare. Diin Cypro traditur, ad andecircmem Demetrii cesi comunemente cbe ogni albero di nave si
Il ISTÒRIA RUM MUNDI LIB. XVI. succi», centum triginta pedom, crassitudinis reru ad trium homioum complexu a». Germaniae praedones «iuguli» arboribus cavatis navigant, quarum quaedam et triginta bomines feruul.
Spississima, ex omni materie, ideo et gravis sima, judicatur ebenus,et. buxus, graciles nalura: neutra iu aquis fluitat, nec suber, si dematur cor tex : nec larix. Ex reliqais siccissima lotos, qoae Romae ita appellatur. Deinde robos exalburna tum : et huic nigricaos color, magisque eliara cy tiso, quae proxime accedere ebenora videtor; quamquam uon desini, qui Syriacas terebinthos nigriores adfirment. Celebratur et Thericlee no mine, calices ex terebintho solitus facere torno, per quem probatur materies. Omnium haec sola angi vult, meliorque oleo fit. Colos mire adulte ratur juglande ac piro silvestri tinctis, atque in medicamine decoctis. Omnibus, qoae diximus, spissa firmitas. Ab bis proxima est coruus; quam quam non potest videri materies propter exili tatem, aed lignum nou alio paene, quam ad ra dios rotarum, utile: aut si quid cuneandum sit in ligno, clavisve figendum, ceo ferreis. Ilex itero, et oleaster, el olea, atque caslanea, carpinus, po pulei. Haec et crispa aceris modo, si ulla mate ries idonea esset ramis saepe deputatis: castratio illa est, adimitqoe vires. De celero plerisque eo rum, sed utique robori, tanta durilia est, ut te rebrari nisi madefactum non queat, et ne sic qui dem adactus avelli clavas. E diverso clavnm non tenet cedrus. Mollissima tilia : eadem videtur et calidisaiina : argumentum adierunt, quod citissi me ascias reluudat. Calidae et morus, laurus, edera, et omnes e quibas igniaria fiunt.
vende ottanta nummi, e più, e che un fodero le più volte si vende ben qoaranta sesterxii. Di cesi di più, che in Egitto e in Siria i re per carestia d 'abete si sono serviti del cedro a fa re le loro armale. Tagliossene uno per una ga lea dì Demetrio da undici banchi lungo cento trenta piedi, e grosso quanto tre uomini possono abbracciare. Gli assassini di Lamagna fanno navi di un legno solo, il quale scavano ; e alcune di esse portano trenta persone. L ' ebeno e il bosso «ou legname molto sodo, e perciò pesantissimo : sono di nalura sottili, e non islanuo a galla nell' acqua ; come nè anco il suvero, se gli si leva la corteccia, nè il la rice. 11 più secco di ta t t i gli altri alberi è quello che a Roma si domanda loto. Dipoi il rovero, col sia levata la parte bianca di sotto la scorza : aoche questo ha colore che pende in nero ; mi piò il citiso, il quale s'accosta molto all*ebeno; ancora che alcuni dicano che i terebinti di Siria sono molto più neri. E inolio celebralo un cerio Tericle, pei calici di terebiuto che soleva fare al tornio, per lo quale si conosce il legname. Solo qoesto albero vuole essere unto, e con Γ olio si fa migliore, il suo colore si contraffa .mirabil mente col· uoce e col pero salvalico, tinti e colli in una certa mistura. Tutti questi che abbiamo dello, sono mollo solidi e (orti. Dopo questi è il corniolo; quantunque il suo legname non può essere posto in mostra per rispetto della sua sotti gliezza ; tanto che non è quasi buono ad altro, che a far i raggi delle ruole, o conii da mettere in alcun altro legno, o chiodi da conficcare all’ uso di quei di ferro. Sono altrettali, il leccio, Γ ulivo salvalico e il domestico, il castagno, il carpino e l ' oppio. Questo anehe è crespo siccome Γ acero : ma il legn am e, qualunque sia, è poco buono, se spesso Γ.albero si tronca de' suoi rami ; perchè ciò è come una castratura che lo infievolisce. Nel resto molti di loro, e massimamente il rovero, sono tanto duri, che noo si posson forare, se non bagnati ; ma nè anco così si può cavare il chiodo, se egli è passalo addentro. Per lo coulrario il ce dro non riliene il chiodo. 11 tiglio è mollo tenero, e secondo che si dice, è caldissimo ancora ; di che ne danno questo segno, che tosto ingrossa il ta glio dell'ascia. Caldi pur sono il moro, P alloro, l 'ellera, e tutti quegli, di cui si fa battifuoco.
lOMABIA B LIGIO.
D bl lb o m o , o i m s i o b s t a f u o c o .
LXX.VII. Exploratorum hoc usus in castris, paslonamqae reperii, quoniam ad excudendum ignem non semper lapidis occasio est. Teritor ergo lignum ligno, iguemque concipit adlritu, excipiente materia aridi fomitis, fungi vel folio-
LXX VII. Hauno trovalo ciò coloro, che fanoo le guardie negli eseroili, e i pastori, i quali per chè non hanno sempre l ' occasione delle pietre focaie, stropicciano l’ un legno con l'allro e con quel fregare vengono. destando il fuoco, il quale
C. P U M I SECUNDI rum facillimo conceptu. Sed nihil edera praestan tius quae teratur, lauro quae Ierat. Probatur et vitis silvestri», alia quam labrusca, et ipsa edera· modo arborei* scandetis. Frigidissima qaaecumque aquatica: lentissima autem, el ideo scuti· fscieudis aptissima* quorum plaga contrahit se protinus, dafiditque suora vuluus, el ob id cootvraacius transmittit ferrum: in quo suot genere fici, salis, tilia, bdolla, sambucus, populus utraijue. Levissima ex bis ficus cl salia, ideoque uti lissimae. Omnes aulem ad «istas, quaeque flexili crate cooslaoL Habent et candorem, rigoremque, et in sculpturis facili la lem. Est lentitia platano, sed madida, sicut alno. Siccior eadem ulmo, fraxi· no, moro: ceraso, sed ponderosior. Rigorem fortissime servat ulmus: ob id cardinibus, crassa· mentisque portarum utilissima, quoniam minime torquetur : permutanda tantum sic, ut cacumen ab inferiore sit cardina, radix superior.
Palmae est mollis, et suberis materie· : spissae et malas, pirusque: neo non acer, sed fragile: «t quaecamque crispa. In omnibas silvestria et (na scala differentias cujaaque generis augent. Bt ia fecaoda firmiora fertilibus, nisi qno in genere mores ferunt, sicut cupressus, et cornus.
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facilasente s 'apprende in malaria aecca dilango o di foglie. Ma non c* è aaeglio deir dieta, ad essere stropicciata, oè dell* alloro a stropicci·re. Approvasi ancora per ciò uua vite selvatica, cke non è 1' abrostine, la quale saglie aoch* essa sai· l’ albero, come fa I1ellera. Ogni albero acquatico è frigidissimo, e molto agevole a piegarsi ; e per ciò buonissimo a fare scudi, perchè come è per cosso, subito si rilà e ripiglia il suo essere, e coaie è ferito, si rinchiude di bel uuovo ; onde noo dà che difficilmente passaggio alle arcai. Di quest· surlesouo il fico, il salcio, il tiglio, la betulla, Π sambuca, e Γ uno e l ' altro oppio. Leggerissimi sono alcuni di questi, come il fico e il salcio, e perciò utilissimi. Son poi tutti pieghevoli, e buoni a far fiscelle e altri vasi iatessoti. Haooo anche bianchezza, durezza, e soo facili a soolpire. Il platano è pieghevole, m a bagnalo, come Γ ο ο ι μ ο . E più secco Γ olmo, il frassino, il moro, e anche il cùriegio, ina questo è più pesaole. L* olmo noe non si torce punto, « perciò è buono a fare or dinali, e imposte di porlo; «olo s 'ba da por cam obesi pedale stia di sopra, « la vetta di sotto. È molle il legname della palma e del severo : deuso quel del meloe del pero, e anche quel ddPaoero,che però è più fragile t molle è poreogai legname crespo. In ogoi albero fmdifferenza Tes ser selvatico, e taasebio: gK sterili sono più sodi che i fèrtili, fuorché di quelle specie, di cui i ma schi producono, sieoooie sono il ap re··· e il corniolo. Q
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FENDABO.
LXX. V 111. Cariem vdustatemque uoa sentinat cupressus, cedrus, ebenus, lotos, buxus, taxus, juuiperus, oleaster,et olea: ex reliquis tardissime larix, robor, subsr, castanea, jnglaos. Rimam fisauramque non capit sponte cedrus, cupressus, olea, buxos.
IlisToBicA
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mrBToiTATB a&miiaDM.
LXX1X. Maxime aeterna putant ebenum, et copressum,cedrumqoe claro de omnibus materiis judici· ia templo Ephesiae Dianae : nt pote quum tota Asia «istruente quadringenti· annis peractum ait,convenit teclum ejus esse e cedrinis trabibus. De ipso simulacro deae ambigitur : ceteri ex. ebe no esse tradunt. Mucianus ter consul, ex his qui proxime viso eo scripsere, vitigineum, et num· quam mutatum seplies restitato templo. ttanc materiam elegisse Pandemico : eliam nomen arti ficis nuncupans: qood equidem miror, quam aotiqutovem Minerva quoque, uon modo Libero
LXX V ili. Noo intarlano, e noo invecchiano mai il cipresso, il cedro, Γ ebeno, il loto, il bosso, il lasso, il ginepro, Γ ulivo nlratico, oè il dome stico. Degli altri tardissimo intarlano il larice, il rovero, il suvero, il castagno e il noce. Kos si fendouo naturalmente Mstdij», il espressa, Poli vo, uè il bosso. CbHRI STOBICl SOLLA FBBFET01TÀ DEI I J 6 H B I
LXX 1X. Tiensi cbe sieno durevoli senza fiae Γ ebeno, il cipresso e il cedro, vedendosene chiaro argomento nel tempio di Diana Efesia, S quale col concorso di tutta Γ Asia fu edificalo in quattrocento anni. 11 tetto d 'esso, per parer di ognuno, è di travi di cedro. Della statua della dea si sta io dubbio : tutti gli scrittori dicono eh1ella è d’ ebeno, ma Mudano alalo tre valla consolo, ua« di quegli «he avendola vodota di fresco n' hanno scritto, dioe eh' è di vite, a che oco tutto ohe il tempio ai sia rifatto boa antte volte, non *’ è però mai malata» « che qoaslo k -
HISTORIARUM MONDI LIB. XVI. patre, vetustatem ei tribuat. Adjicit mullis fora minibus nardo rigari, at medicat» humor alat, teneatque juoclaras, quas et ipsas esse modico ad modum miror. Valvas em e cupresso, et j m qua* dringeatis prope ansis dorare materiem omnem novae similem. Id quoque notandum, valvas in dialisi· compage quadriennio faisse. Cupressus in eas electa, quoniam praeter eetera uno io ge nere materia· nitor maxime valeat aeternus. Noooe simulacrum Vejovis io aroe e cupresso durai, a coadita Orbe d c l x i anoo dieatnm? Me> inorabile et Oticae templum Apollinis, ubi Numi dicarum cedrorum trabes durant, ita nt positae fuere prima orbis t j a t origine, annis κ ιχ χ τ ιη . Et i» Hispania Sagunti ajant templum Dianae a Zacyntho advectae cum eoodi lori bos, annis docentis ante excidium Trojae, ot auetor est Bocchos, infraqoe oppidum ipsam id haberi. Cui peperei! religione indoctos Hannibal, juniperi trabi boa etiam anno dorantibos. Super omnia memoratur aedes in Aulide ejusdem deae, seculis aliquot anteTrojanum bellum exaedificata : qoonam gesiere materiae adeo lia obliterata, in pie ne·» dis» poiest, u lique quae odore praecellant, ea aetendtate praestate.
A praedietis morus proxime tandatur, qoae vetustate etiam nigrescit. Et quaedam tamen m aliis dintnrniora sunt usibns quam alia. Ulmus in perflatu firma, robur defossura, et in aquis quercus obrute. Eadem snpra terram rimosa fecit opera, torquendo sese. Larix in hem ore praecipe·, et alnus nigra. · Robur marina aqua corrumpitur. Non improbatur et fvgos in aqua, et juglans :'hae qaidem in his, qoae defodiuntur, vel principales, liem juniperus : eadem et subdi»· libut aptissima. Fagus et cerrus celeriter maroeseunt. Esculus quoque humoris impatiens.Contra adacta ha terram in palustribus alnus aeterna, onerisque quantilibet patiens : cerasus firma : almos et fraxinus leotae, sed fàcile pandantur: flexiles tamen, slantesque a circumcisura siccatae fideliores. Laricem in maritimis navibus obno xiam teredini tradunt : oraoiaque, praeterquam oleastrum et otesm. Quaedam enim in mari, quaedam in terra vitiis opportuniora.
gname fu eletto per ciò fare da Pandemione, in· dicando anche il nomed*ll*artefice: ma io molto mi'maraviglio, eh’ esso le attribuisca maggiore antichi ti, ebe noa solo a Bacco, ma ancora a Mi nerva. Àggiugne, che per melli buchi si bagna col nardo, acciocché tale umore nutrisea e ritenga le congiunture, le qaali non fo gran maraviglia che ci sieno. Dice che le porte son di cipresso, e che già quasi quattrocento anni son durate come nuove. E ciò anco è da considerare, che queste porte stettero ben quattro anni in mastice, per ché se ne saldassero le commessure. Fu eletto il espresso per esse, perchè non è alcun altre legna me, che conservi più tempo lo splendore e pu litezza sa». Or non dura ella ancora la statua di Giove infante di cipresso io Capitolio, dedieata nei principio di Roma, onde son oggi cinquecento sessanta» anno? Maravigliosa cosa è ancora il tempio d’ Apolline in D tki, dove durano te travi dei cedri di Numidia, cosi come eHe Inrono poste nella prima origine di qoella città, già mille cento settantotto anni. E · Sagunto in lspagna dieono essere il tempio di Diana portata quivi dell* isola di Zante dalla colonia che fondò qaella terra, du gento anni innanzi la mina di Troia, secondo che seri ve Bocco. Questo tempio è sotto la città,al quale mosso da religione non fé* guasto altrimenti An nibale : le travi di ginepro vi durano ancora oggi. Ma soprattutto è in fama il tempio della medesi ma dea in AoUde, edificato alami seooli innanzi alla guerra Troiana, di legname che oggi più non si conosce. Or si può dire generalmente, che gli alberi pià odorosi sono anche i piò durevoli. Dopo questi molto è loJato il moro, il quale per vecchiezza diventa nero. Alcani ia certe ope re dorano molto piò ebe gli altri. L1 olmo resista a* venti, e il rovero dura sotterrato. La quercia afioadata nell* aequa dura asaai, e foor dell' acqua si in d e e si ritorce; Il larice e Γ ootaao nero da ràno assai nelT omido. Il rovero si guasta nelΓ acqua marina. Il faggio e il noce aaeh* essi stan no bene eolio acqao, e sono de' principali chè si aiettono sotto terra; e cosà il ginepro, il qoale è però buono anco allo scoperto. Il faggio e il ceht> infracidano tosto. L 'ischio anch' esso ha lyacqua nemica. Per opposito Γ oaUno sotterrata in laogo paludose dura senza termine, e regge qualsivo glia pesa: il eiviegio anoh'esso afforza : 1* olmo · il frassino diventan pieghevoli e atti a fendersi $ però restan pieghievoli del pori a più corrispon dono al lavoro, se tagliati si lasciano ritti perché n* esca foori ogni umore. Dicesi che il larioe nelle navi è molto soggetto al tarlo, come tolti gli altri legni, fuor che Γ ulivo selvatico e il domestico. Perciocché alcuni alberi pià facilmente ai gua stano in mare, e alconi in terra.
C. PUN II SECUNDI T krbdisom genera. LXXX. 4 »· Infestantium quatuor genera. Te redines capile ad portionem grandissimo: rodunt dentibus. Hae tantum iu mari sentiuntur: nec aliam putant teredinem proprie dici. Terrestres, lineas vocant : culicibus tero similes, thripas. Quartum estel e vermiculorum genere: et eorum alii putrescente succo ipsa materie: alii pariuntur, sicul in arboribus, ex eo qui ceraste» vocatur. Quum tanlnm eroscrii, ut circumagat se, generat alium. Haec nasci prohibet in aliis amaritudo, ut cupresso; io aliis duritia, ut buxo. Tradunt et abietem circa germinationes decorticatam, qua diximus luna, aquis non corrumpi. Alexandri Magni comites prodideruut, in Tylo Rubri maris insula arbores esse, ex quibus naves fierent : quas cc aunis durantes invenias: et si mergeren tur, incorruptas. In eadem esse fruticem baculis lanium idoneae crassitudinis, varium tigrium maculis, ponderosum : et quum in spissiora deci* dat, vitri modo fragilem.
Db
m a t b r iis a r c h it b c t o r ic a .
LXXX 1. 4 >· Apud nos materiae finduntur aliquae sponte : ob id architecti eas fimo illitas siccari jubeat, ut adflatus non noceant. Pondus sustinere validae, abies, larix, eliam in transver sam positae. Robur et olea iucurvanlur, ceduutque ponderi. Illae reniluuLur, nec temere rum puntur : priosque carie, quam viribus deficiant. Ei palmae arbor valida ; in diversnm enim cur vatur, et populus. Cetera omnia inferiora pan dantur: palma e contrario fornicatim. Pinus et cupressus adversus cariem tineasque firmissimae. Facile pande lar juglans. fiuul enim et ex ea trabes. Frangi se praenuntiat strepitu: quod in Anlandro accidit, qaum e baluets territi sono profugerunt. Pinas, piceae, alni, ad aquarum ductus ia tabos cavaatar. Obrutae terra plurimis durant annis. Eaedem si non integantur, cito senescunt: mirum in modum fortiores, si humor extra quoque supersit.
'464 D b i .l b
s p e c ie d b ’ t a r l i .
LXXX. 4 ·· Quattro sono le sorti degli ani mali, che guastano gli alberi: il tarlo ovvero te redine; ha granitissimo capo in proporzione del corpo, e rode co'denti. Questo solo si sente in mare, e liensi comunemente che questo sia pro prio la teredine. Souci poi le tignoole terrestri, e le Iripe, simili alle zantare. Il quarto è uoa sorte di vermiui, de1 qaali alcuni nascono del sugo dello stesso legname fradicioso, ali ri nascono di quel verme che si chiama cerasta, il quale quando ha Unto roso l'albero che si possa muo vere, ne produce un altro. L 'amaritudine in al cuni alberi è cagione che questi animala»! non vi fiossou nascere, come nel cipresso ; e in alami la durezza, come nel bosso. Dicano ancora che l'abete scprlecciato al tempo che germ oglia, in quel |Minlo di luua che già dicemmo, non si può guastar nell*acqua. 1 soldati di Alessandro magno dissero, come ia Tilo, isola del mar Rosso, sono alberi di cui si faano navigli, i quali trovasi che sono durali per dagento anni, e affondando noo si sono mai guasti. Quivi è ancora ano sterpo che non ingrossa più che un bastone, pesante, e inda· natalo come le tigri, il quale se cade sopra cose dure, si rompe come vetro. D e'
legnam i d ' a r c h it e t t o .
LXXX 1. 4 >- Appresso di noi alcuni legnami si fendono da sè stessi, e per questo gli architetti li fanno seccare coprendoli di fango, a c c io c c h é i veoti non nuocano loro. L 'abete e il larice soo buoni a sostener peso, ancorché sieno posti attra verso. Il rovero e l'ulivo si piegano, e c e d o n o al peso. Quegli resistono, nè si rompouo: periscono per tarlo, prima che per mancamento di rigore. Anche la palma è albero posseule, perché si ri piega al contrario che gli altri: così fa aucora l'oppio. Gli altri alberi si curvanu per di sotto; la palma per opposto si curva iu arco. Il pino e il cipresso non sono offesi dalle liguuole. Il noce facilmente s'apre, giacché anche d ' e s s o si fan Iravi, e con lo strepito annunzia la sua frallura; il che avvenne iu Anlandro, dove alcuui sbi gottiti dallo scoppio fuggirouo fuor dei bagno. 1 pini, le picee e gli ontani si cavano, e votano per far doccie e coodutli, e durauo sotterra molli anni. Se uon si cuoprono tosto, marciscono ; e mirabilmente si f«n piò forti, se 1' umore li loco anche di fuori-
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HISTORIARUM MUNDI UB. XVI. D e w a tb iiia , f ì b i i i m .
Di
146 G
q o b l l i da fa lego a n e .
LXXX 11. Firmissima »11 reehim abies. Kidem valvarum paginis, et a«l quaecumque libeat inte stina opera aplissima, sive Graeco, sive Campano, sive Siculo fabricae artis genere spectabilis: ra mentorum crinibus, pampinato semper orbe se volvens ad incilalos runcinae raplos. Eadem et c»rribu< maxime sociabilis glutino, in tantum, ul findatur ante, qua solida est.
LXXX 1I. L'àbete messo in opera diritto# saldissimo. È mollo ben alto a fare le stanghe degli uscii, e ogni altro lavoro uell* interno delle case, e riesce bellissimo lavoralo all'usanza Greca, o Campana, o Siciliana ; e sempre la sua raschia tura si volge in anelli sotto al veloce trailo della pialla. È ancora molto acconcio a congiugnersi col mastice nei carri, di maniera che piuttosto si fende altrove, che non si spicca nella congiuntura.
D b GLOTIHAlfDA MATBBIA.
C o k e s ' 1s c o l l i i l l e g r a h e .
LXXX 1II. 43. Magna antem et glutini ralio, propter ea quae sectilibus laminis, ac in alio ge nere operiuntur. Stamineam in hoc usu probant veoam, et vocant ferulaceam, argumento simili tudinis, quoniam laciniose crispa, in omni genere. Et glutinum abdicant quaedam el inter se et cum aliis insociabilia glutino, sicut robnr:
LXXX 1II. 43. Molte sono le maniere di ado perare il mastice, ovvero colla, in quelle manifat ture che si coprono di assicelle, anche- d*altra materia che non di legno, siccome sono le piastre di testuggine. A ciò adoperano la vena staminea, che si appella ferulacea per la sua somiglianza^ poi ché è crespa a mo' di frangia in ogni sua* specie. Sono alcuni alberi, che non ritengono la colla e non s 'appiccano Ira loro, uè con altri, come il rovero ; e per solito non si congiuugono se non quegli appunto, che sono simili di natura, come si proverebbe indarno di congiungere il legno con hi pietra. 11 sorbo, il oarpino, il bosso e il tiglio non s'appiccano al corniolo. Tutti gli alberi pieghevoli, che noi dicemmo lenii, sono facili a ogni lavoro, infuorchè il moro e il fico salvalico. Sono facili a segarsi quei ebe sono un poco umidi ; perciocché i secchi cedono assai difficilmente alla sega : i verdi, fuorché il rovero e il bosso, molto oslinataiuenle resistono, e riempiendo i denti delle seghe im pediscono il lavoro; e perciò conviene rimondare la sega «lalla sua raditura ad oggi Iralta. 11 frassi no è ubbidientissimo in ogni opera, e per aste è migliore assai che il nocciuolo, più leggeri che il corniolo, e più pieghevole che il sorbo. L'olmo Gallico, di che pur si fanno ruote di carri, sareb be pieghevole quanto la vile, se il peso non l ' im pedisse.
D b r.ANiivts s u c r iu * o s .
D b ' LBGRAHr DA SBGAKB IH A3SK.
LXXXIV. Facilia el fagus, quamquam fragilis et tenera. Eadem sedilibus laminis in lenui flexi lis, capsisque ac scriniis sola utilis. Secatur ii» laminas praetenues el ilex, colore quoque -non ingrata : sed maxime fida iis quae terantur, ut rotarum axibus: ad quos leniore fraxinus ulilis, sicut duritia ilex, el utroque legitur, ulmus. Sunt vero et parvi usus fabrilium ministeriorum iusigoes. Ideoque proditum terebris vaginas ex olea stro, buxo, ilice, «Imo, fraxino, utilissima» fieri.
LXXXIV. Il faggio è facile anch'egli, benché fragile e tenero : è anco pieghevole, segato in assicelle, ed è solamente utile p;r casse e forzieri. L'elce parimente si sega in asseregli mollo sonili, ed è di colore non iugralo : ma soprai tu Ito resi ste contro Γ attrito, se di esso si fanno gli assi delle ruote, ai quali è ulile il frassino per la sua lentezza, come è l'elce per U sua .durezza :.ma per aver I' uua e l'altra si adopera L'olmo. Sonci ancora altri lavori dalegnaiuolo, piccoli ma no-
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C. PLICHI SBCDKU1 Ex iisdem malleos, majoresque e pinn el ilice. Est hìs aulem major ad firmi talem cansa tempe stivae caesurae, qoam immaturae : quippe quum te ole«, durissimo ligno, cardines in foribus diu tius immoti, plautae modo germinaverint. Cato vecles aquifolios, laureos, ulmeos fieri jubet. Hy ginus manubria rasticis carpi nea, iligoa, cerrea.
Qine in laminas secantur, qoorumque opetiraento vestialur alia maleries, praecipua sunt citrum, terebinthus, aceris genera, buxum, pal ma, aquifolium, ilex, sambuci radix, populus. Dat et alnus, ut dictum est, tuber sectile, sicut citrum, acerque. Nec aliarum tubera in pretio. Media per* arborum crispior, et quo propior ra dici, minoribus magisque flexilibus maculis. Haec prima origo luxuriae, arborem ali» integi, el viliores ligno pretiosiores cortice iìeri. Ut una arbor saepias veniret, excogitatae sunt el ligni bracteae. Nec satis: coepere tingi animalium oornua, dentes secari : lignuroqae ebore distin gui, mox operiri. Placait deiude materiem et in mari qtoaeri. Testudo in hoc seeta. Nnperqoe portentosis ingeniis principatu Neroni· inventum, ut pigmentis perderet se, plurisqae veniret imi tala lignum. Sic lectis pretia quaeruntur: sic terebinthum vinci jubent, sic cilram pretiosius fiari, sio acer decipi. Modo luxuria non fuerat contenta ligno: jera lignum enim e testudine fecit.
A eboeum
d o b a r t iu m
v etusta » .
Ab
A fr ic a n o
PEIOER SATA. 1« r a i l RoMA D AMOROM ARBOR.
labili. Onde trovasi che si fanno i manichi de’sacchiellini di olivastro, di bosso, di laccio, di olmo e di frassino. De* medesimi si fan magli ; maggiori però sod quelli che si. faano di pino e di leccio. E a voler far queste eose più forti, bisogna ebe i legnami sieno tegliati, non acerbi, ma pià tasto ei lor tempi debiti} perché dell'ulivo, legno durissimo, durano assai i cardinali delle porte, par che le piante abbiano germogliato. Catone vuole che le stanghe si facciano di acquifoglio, di olmo, e di alloro. Igino vuole che i manichi degli utensili rurali si facciano di carpino, di leccio e ili cerro. * Di quelli che si segano in asserelli, e del coi coprrraenlo si veste un'altre materia, sono buonis simi il cedro, il terebinto, l'acero d'ogni specie, il bosso, la palma, l ' acquifoglio, l ' elee, la radice del sambuco, a Γ oppio. Produce l ' ontano, come si è detto, certi rigonfiamenti che si segano, come il cedro e l'aeero: nè altri gonfiamenti deie piante sono ponto stimati. La perla di Reetto degli alberi è più crespa, e quanto è più vicina elle re dice, he macchie più pieghevoli, e piè pic cole. Questa fu la prima origine della splendideEza, che l 'uno albero fosse coperto dell' altro, e che qne' legni, che sono di materia piò vile, ή facessero più pretiosi con la coperta d 'nitro le gno ; e Acciocché an albero si vendesse in pià volle s1è trovalo il segare il legno in piatire. Ma questo noo è abbastanza ; che si è cominciato a tinger le corna degli animali, e segarne i dent»,·· fornire il legno con l'avorio, e di poi coprirlo tallo. Piacque ancora cereame materia in mare ; e per ciò la testuggine fu segata. E nuovamente nell'im perio di Nerone si è trovato eoa mostruose in venzioni, come si svisasse con belletti e tinture, e si vendesse più caro, ridotta simile al legno. Così si cerca prezzo ai letti, così si vuole cbe il terebinto vince il colore della testuggine, che il cedro ne sia più prezioso, e che l ' acero sia con trafi ito. Poco fa la splendidezza non era contenta del legno, ed ora fa legno di testuggine. D
eli/ et à d e g l i a l b b e i.
Di
a l b e r i p ia n t a t i dal
MAGGIORE AvmCARO. A l »E E · U t ROMA CHE AVEA CINQUECENTO ANNI.
LXXXV. 44 ’ Viti arborum quarumdam im mensa credi potest, si quis profande mundi et saltas inueeessos cogitet. Verum ex his qaas me moria hominum custodit, durant in Liternino Africani prioris mana satae olivae. Item myrtus eodem loco conspieuse magnitndinis. Subest spe cus, in qno manes ejus custodire draco traditur. Romae vero lolos in Lueinee eres, anno qui fuit sine raegislratibns c c c l x x i x Urbis, aede condii·,
LXXXV. 44· vi1* «*i certi alberi si può creder che sia lunghissima, chi vorrà considerare i luoghi ripostissimi che vi sono al mondo, e le selve «love non si può ire. Ma di questi ehe la memoria degli uomini custodisce, durano ancora oggi in Lilerno gli ulivi piantali di mano del maggiore Africano, dove pere è ma mirto di me ravigliosa grandezza. Quivi sotto « nna spdonea, dove si dice che sta un dragone, il quale ha in
HISTORIARUM MONDI UB. XVI. incertum ipsa quanto vetustior. Esse quidem vetustiorem n oD «itM ium ,t|m n abeotuooLuciaa n o m in e t u r : {nee tr o u c circiter anuum o c c cl habet. Antiquior illa est, seti incerta ejus aetas, qaae capitiate dicatur, quoniam Vestalium virgi nale capiUas ad eam Jefertor.
Ab U r b e
guardia l* anima di lui. In Roma nella piazza del tempio di lancina, edificalo nell*anno che fa senza magistrati, trecento setttntanove dopo la edifica zione di Roma, c’ è uu loto che viveva pure al tempo di questa fabbrica, nè si · · quanto innanzi fosse piantato. Ma non è dubbio alcuno, èh'egli è pià aulico assai, perciocché dal bosco che quivi fu, prese il nome la detta Lucina, e questo avvenite già d'intorno a quattrocento cinquanta anni. Molto ptà antico di esso, ma di più incerta età, è quello che si chiama capillato, perchè a quello li porta la chioma dette vergini Vestali, quaudo per la loro consacrazione la si recidono. A l BBRI, LA COI VITA RISALE U RO ALLA Ft>M>AZI01ft
c o n d ita arb o b b s.
m R oma.
LXXXV 1. Verum ellera l o t o s in Vulcanali, quod Ramulus c o n s t i t u i t e x v i c t o r i a d e d e c u m i s , a e q u fc e v a Orbi i n t e l l i g i t u T , u t a u c t o r e s t Masu r i u s . Radices ejus i n f o r u m usque Caesari* p e r s t a t i o n e s m u n i c i p i o r u m p e n e t r a n t . Fuit c u m «a c u p r e s s u s « e q d v t i s ; circa s u p r e m a Neronis prin c i p is p r o l a p s a a t q u e n e g l e c t a .
V b t c s t i o b e s U rfb t e
LXXX VI. Un tltro luto è nel Vulcanale, pian tato quivi da Romolo per la vittoria delle decid ine, e «redesi che sia del medesimo tempo che Ih città, come scrive Masurio. Le sue radici arriva no fino alla piaiza di Cesare, passando per le stanze de* giovani municipali. Fu con esso un cipresso di pari età, il quale negli ultimi auui di Nerone ruiuò, e andò male. » A lberi
s c b o r b a n is .
b e' so b b u k g h i ancora p iù a n t ic h i.
LXXXV 1I. Vetustior autem Urbe in Vaticano Hex, in qua titulus aereis literis Etruscis, reli gione arborem jam tura dignam fuisse significat. Tiburles quoque originem multo ante urbem Romam habent. Apud eos exstaot ilices tres, etiam Tiburto conditore eorum vetustiores,-apud quas inaugnralus traditur. Fuisse autem eum tradunt fi Irem Amphiarai, qui apud Thebas obierit «na aetale ante Iliacum bellum.
LXXX VII Nel Vaticano è uu leccio assai più aulico di Roma, nel quale è un’iscrizione di rame in lettere Toscane, che dimostra, come qnesto •Iberoper religione era molto onorato fino a quel tempo. Tivoli ancora ha l'origiue sua molto in nanzi di Roma, eppur quivi sono tre lecci più antichi aucora di Tiburto, che edificò quella citlà, perchè si dice ch'egli presso quegli alberi prese gli augurii e fu incoronato. Dicono ehe egli fu figliuolo di Anfiarao, il qual mori sotto Tebe, uu’ elà iunauzi alla guerra di Troia.
Ab
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b e l l i T r o ja n i: ab I lii a p p e lla tio n e a rb o re s
PRIMO ANNO DELLA GUERRA TROIANA ’. D* ALTRI
a p u d T r o i a · a n tiq u io re s b e ll o T ro ja n o .
CHB BARBO NOME DA 1 (4 0 . ALBERI M ESSO TROIA PIÙ ANTICHI DELLA GUERRA TROIANA.
LXXXVIII. Sunt auctores et Delphicam pla tanum Agamemnonis manu satam : et alteram ia Caphyis Arcadiae luco. Sutot hodie ex adverso llteftsium urbis, juxta Hellespontum, iu Protesilai sepolcro arbores, quae omeri bos aevis quum in tantum aderevere, ut IKum aspiciant, inarescunt, rurstrsque adolescunt. Juxta urbem autem quer cus, in Hi tumulo tunc satae dicantur, quum coepit Ilium vocari.
LXXXVIII. Sonoalcuui autori che dicono, eome in Delfo è uh platano piantato per mano di Agamennoue, e nn altro in Callo bosco di Ar cadia. Sono oggi dirimpetto alla d ttà di Troia, presso all* Ellesponto, nel sepolcro di Protesilao aleniti alberi, i quali ad ogni grau tempo, dappoi che sono cresciuti tanto che veggono Troia, si seccane, e di nuovo T Ì f t g i o v a n i s e o a o \ « preavo alla città è uua quercia nella sepoltura d’ Ilo, ia quale dicono ehe fu piantata allora che si comin ciò a chiamare Ilio.
«4?»
G. PLINII SECUNDI
I t e m A i g u a b H b ic o li s a t a b . Ab A p o l u r b s a t a b . A b b o b a b tiq u io b qoam A tb b k a b .
LXXXIX. Ar |tis olea eliaronum dum re dici· lu r, ad quam lo iu vaccam mutatam Argus alligaverit. In Ponlo circa Heracleam arae sunt Jovis Stralli cognomine : ibi quercus duae ab Hercule salae. In eodem traclu purius Amyci est Bebryce rege interfecto clarus. Ejus tumulus a supremo die lauro legitur, quam insanam vocant: quoniam si quid ex ea decerptum iuferatur na vibus, jurgia fiant, donec abjiciatur. Regionem Aulocrenen diximus, per quam ab A pamia in Phrygiam itur : ibi plalauus osleuditur, ex qua pependerit Marsyas vicius ab Apolline, quae jam lura ma«nitudine electa est. Nec non palma Deli ab ejusdem dei aelale couspicilur. Olympiae oleaster, ex quo primus Hercules coroaalus esi, et ounc custoditur religiose. Athenis quoque olea durare tradilur in ccrtamiue edita a Minerva.
Q
D’ a l b b b i
A bbobbs
e x e v k r t u b o b il e s .
ib A b g o p i a n t a t i
TATI DA ÀPOLLO.
D' u b o
Di q u e g l i
: m fia b -
a lb e r i ch e d o r a r poco.
XC. Per contrario brevissima vita hanno i melagrani, i fichi e i meli, e fra questi vivono manco i primaticci che i serotini, i dolci che gli acuti ; e dei melagraui quei che son più dolci. 11 medesimo è utile vili, e massimamente nelle più fertili. Scrive Greciuo, che uua vite durò sessanta anni. Vedesi ancora che gli alberi aquatici man cano più tosto. Invecchiano mollo presto, ma rimettono dalle radici, l1 alloro, il melo e il me lagrano. Ben sono di lunghissima vita gli ulivi, poiché, secondo che gli autori s 'accordano, vi vono per insino a dugento anni. Di
q u e l l i c b e a c q u is t a r o n o o r o r e p e r q u a l che
XCI. Est in suburbano Tusculani agri colle, qui Corne appellatur, lucua antiqua religione Dianae sacratus » l>atio, velut arte tonsili coma tagei nemori».· Iu hoc arborem eximiam aelale nostra adamavit Passieuus Crispus bis consul, orator : Agrippinae matrimonio et Nerone privi gno clarior postea : osculari complecliqae eam solitus, modo cubare sub ea, viaumque illi adfuudere. Viciua luco «st ilex, et ipsa nobilis xxxiv pedum ambitu caudicis, x arborea milieu» siugulas magnitudinis viaeudae : silvamque sola facit.
da b t c u u
p iù a r tic o c i c A tb b b .
LXXXIX. Dioesi che in Argo oggi aocora e un ulivo, al quale Argo legò lo mutata in vacca. In Ponto intorno ad Eraclea sono altari di Gio ve cognominato Strazio, dove pure due querae piaulale da Ercole. Nel medesimo paese è il porto, illustre per la morte che al re fiebrice diede Ami co. La sua sepoltura è coperta infino dal di della sua morie, da un alloro che si chiama furioso, perchè se da esso è colta alcuna cosa, subito uascono brighe fin ch'ella è gettala via. Noi abbia mo partalo del paese di Aulocrene, per lo quale si va d' Apamia in Frigia : quivi è un platano, ai quale fu impiccato Marsia vinto da Apollioe, elet to a ciò, perchè fino da allora egli era di conve niente graudezta. Vedesi aucora una palma ia Deio dell* età del medesimo dio. L’ ulivo salvalico d 'Olimpia, del quale il primo cbe s 'incoro nasse fu Ercole, oggi ancora religiosamente si guarda. In Alene dura ancora no « I m o , il quale si dice eh* è quello cbe.fu -fallo nascere da Mi nerva, quando ella venne a contesa con Nelluno.
uae g b n b b a arborum m im m e d u r e n t .
XC. E diverso brevissima vita est Punicia, fico, malis: ex his, praecocibus brevior quam serotinis, dulcibus quam aculis : et dulciori in Punicis, liem in vilibus, praecipueque fertiliori bus. Graecinus auctor esl,sexugenis anntrdura* se vites. Videntur el aquaticae celeriu* interire. Senecunt quidem velociter, sed e radicibus re pullulant, laurus, et mali, et Puuicae. Firmissi mae ergo ad vivendum oleae, ut quas durare aiuiis cc inler auctores conveniat.
i47a
fa tto .
XCI. In una villa del Tuaculano, ucl colle che si chiama Come, è uu bosco per aulica religione consacralo a Diana da lutto il Lazio, il quale pare che per industria uniasta abbia la chioma tosata a somiglianza dei faggi, iu questo bosco è un bel* lissimo moro, di coi fu innamorato Γ oratore Passieno Crispo slalp duevolle canaolo, il quale fu patrigno di Neroee, perchè ebbe per moglie Agrippina. Costui non solamente v» alava sol lo all’ ombra, ma li» baciava e abbracciava, e iaaffiavalo col vino. Presso al bosco è un leacio, il cui pedale gira Irentaqualtr· piedi ; etto n' ha pro dotto dieci altri, ciascuno di notabile grandezza, tanto che ei solo compone un· selva.
HISTORIARUM MUNDI LIB. I T I . Q oae «boem nascendi suam n o e habbant : q uae
D i ALCONB COSE CUB NON BARRO (ITO VBOPBIO A
m ABBOBIBD3 VITANT, SBC IS TBBBA BAtCI POS
NASCBBB : ALCONB VIVONO NEGLI ALBBBt, B NOV
SINT. G m u b a babum ix . C a d t t a s : p o l t p o d io n :
POSSONO RASCBBB IR TBBBA. NoVBSPBCIB DI QUB-
riÀ O M S : H1PPOPHAKSTOH.
STE. EBBA CADITA: POLIPODIO j PAUHOj IPPOFBSTO.
XCII. Edera necari arbores cerlnm est. Simile qaidoam el in viseo : tametsi tardiorem earum tojuriim arbitrantur: namque et boc praeter fruetus agnoscitur oon in novissimis mirabile. Qnaedam enim in terra gigni non possunt, et in arboribus nascuntur. Namque quum suam sedem non habeant, in aliena vivunt, sicut viscum. Eat et in Syria herba quae vocatur cadytas, non tantum arboribus, sed ip s is etiam spinis circumvolvens s e s e : item circa Tempe Thessalica, quae polypodion vocatur, «t quae doiichos, ac serpyl lum. Oleastro quoque deputato quod gignalur, veeant phaunos. Quod vero in spina fullonia hippophaeston, capitulis inanibus, foliis parvis, radice alba, cujus succus ad detractiones iu comitiali morbo ultissimns habetur.
VlsCI TBlA GENERA. De VISCI BT SIMILIUM MATUBA*
XCII. È certa cosa che Γ ellera uccide gli al beri : il medesimo effetto fa il visco, ma in più lungo tempo ; perciocché anche in questo, oltre il frutto, v' ha un che di mirabile. E di vero, al cune cose sono, che non possono nascere in terra, e nascono negli alberi, poiché non avendo pro pria stanza, vivono in estrania, come il visco. Iu Siria ancora è un'erba, che si chiama cadila, la quale s'avviluppa non solamente intorno agli alberi, ma ancora alle spiue ; e intorno a Tempo di Tessaglia ve n’ è un'altra, che si dice polipodio, e un* altra che nomasi dolico, e serpillo. Quella che nasce nell' ulivo salvalico scapezzalo, é detta faunos, e qoella che nasce nei purghi, si chiama ippofeslon : fa piccoli gambi e vóti, piccole foglie e radice bianca : il suo sugo è ottimo a far e le diversioni nel morbo caduoo. T h e s p e c ie d i v is c o . D e l l a r a t u b a d e l
v is c o
E SIMILI.
XCIII. Visci tria g e n e r a . Naraqne in abiete ac larice stelin dicit Euboea nasci, hyphear àreadia. Viscum autem in quercu, robore, pruno silvestri, terebintho, nec aliis arboribus adnasei, plerique. Copiosissimum In quercn, quod dry os hyphear vocant. In omni arbore, excepta ilice et qnerott, differentiam facit odor virusque, et folium non jucundi odoris, utroque viici amaro et lento. Hyphear ed saginanda pecora utilius. Vitia modo p o r g a t primo: dein pinguefacit, quae suffecere ^argationi. Quibus sit aliqua tabes intus, negant durare. Ea medendi ratio, aeslatis quadragenis diebus. Adjiciunt discrimen, visco in hi» quae folia ammittant, et ipsi decidere : eon Ira inhae rere «ito in aeterna fronde. Omnino autem s i l t m a o llo modo nascitur, nee nisi per alvum •vhitn redditum, maxime palumbi* ae turdis. Baec est aatur·* a t nisi maturatum in ventre anriuia, non proveniat. Altitudo «jus non excedit cubitalem, aemper frutectosi ao viridis. Ma· forferaina sterilis. Aliquando non fert.
XCI1I. Tre sorti sono di visco. Perciocché in Eubea nell' abete e nel larice nasce lo steli, e in Arcadia lo ifear. Il viseo non nasce se non nella quercia, nel rovero, nel pruno salvalico e nel tere binto. Copiosissimo é quello della quercia, e si domanda drios ifear. In ogni albero, fuorché net1*elee e nella quercia, fa differenza l'odore, il sentore, e la foglia di sapor mal grato, che netl ' uno e nell' altro è amara e viscosa. Lo ifear i molto utile a ingrassare i bestiami : prima gli purga, poi ingrassa quegli che ressero alla pur gazione. Ma quei che hanno alcuna malattia den tro, non possobo du ravvi. Questo modo di medi rare dura quaranta giorni di stale. Aggiungono aneora questa differenza, che il visco nato fra quegli alberi che perdono le foglie, le perde an ch’ esso, e per contrario avviene che le ritenga se nasce fra alberi di perpetua fronde. Seminato non nasce a patto veruno, né in alcuno altro modo se oon iemali!to pel corpo degli uccelli, e massimamente de* colombi e dei tordi. Questa è la sua nalura, che non proviene, se aon maturato nel corpo degli uccelli. L 'altezza sua non passa un braccio, e sempre con molle messe é verde. Il maschio é fertile, la femmina sterile. Alcuna volta non produce.
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C. PLINII J5ECDNDI HISTOB. MUNDI LIB. XVI. D*
De
D e l f a b e i l v isco .
VISCO FACIBRDO.
XC 1V. Viscum confit ex acinis qni colligantur -messium tempere immatori : nam si accessere •Imbres,amplitudine qaidem angentur, visco vero marcescunt. Siccantur deiode, ek aridi tunduntur, 4e conditi ia aqua putrescunt duodeni· fere Jiebas- Uoumqoe boc rerum putrescendo gnliim «ofemt: inde in profluente, rursus malleo tusi, amissis corticibus, interiore carne lentescunt. Hoc esi viscum pennis avium tactu ligandis, oleo -tpbactfim, qaam libeat ia si dias moliri.
XCIV. Fassi il visco degli acini che ή raccol gono acerbi a d tempo della mietUor·, perchè se sopravvengono le piogge crescono sì, ma marci scono il visco. Seccansi poi, e secchi si pestano, e dipoi si macerano nell* acqua per died, o dodici giorni. Questa è la sola cosa, che acquisti pregio dall' infracidare. Mettonsi poi di nuovo gli adai in acqua corrente, e con un mazzo si pestano, e spogliali che sieno della boccia si fauoo di dentro a poco a poco tenaci. Questo i il visco, die col toccare lega le penne degli uccelli, che però si concia con olio di noce, quando si vogliano pigliare.
v i s c o B isT o m ic* .
XCV.Non est omittenda in ac re et Galliarom admiratio. Nihil habent Druidae (ila suos appel lant magos ) visco, et arbore, in qua gignatar ( si modo sit robur ), sacratius. Jam per se robo* jrum eligunt lucos, nec ulla sacra sine ea fronde conficiant, U t inde appellati quoque interpreta tione Graeca possint Druidae videri. Enimvero fnidquid adnaseatar illis, e coelo missum putant, signnmque esse electa· ab ipso deo arboris. Est autem id rarum admodum invento, et repertum asgna religione petitur : et ante omnia sexta luna, qaae principia mensium anaorumque his iacit, et secoli post tricesimum annnra,quia jam virium abunde habeat, nec sit sui dimidia. Omnia sanantem appellantes suo vocabulo, sacrificiis epulisque rite sub arbore praeparatis, duos ad movent candidi coloris tauros, quorum corona tunc primam vineiantar. Sacerdos candida veste -cultos arborem aeandit : falce aurea demetit : «andido id excipitor sago. Tora deinde victimas immolant, precantes n t s o o m donum deus pro sperum faciat his qaibus dederit. Fecanditatera e o p o to dari cuicomqpe animaliam sterili arbi trantur: contra venena omnia esse remedio.Tanta ,gentium in rebus frivolis plerumque religio eat I
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C enni s t o r i c i s o p r a i l v i s c o .
XCV. Io qoesta cosa non è da lasciarsi a die· una maraviglia di Francia. 1 Druidi, che «w chiamano essi i lor magi e sacerdoti, non hanoo cosa p<ù sacra che il visco e l’ albero dove ei nasce, purché ei sia rovero. A ciò prescelgono i boschi sacri di roveri, nè fanno sacrificio alcuno senza quella foglia, di maniera che per questa cosa ancora.si può credere che sieno chiamati Druidi, secondo la interpretazione Greca ; perchè lutto quello che vi nasce sopra stimano ohe sia man· dato dal cielo, e che ciò sia on segno ddl*albero eletto dallo stesso dio. Però i molto raro questo albero a esser trovato, e trovato ch'egli è, si tiene in gran religione, e massimamente nel «est· dì della luna, il quale è per loro il princìpio dei mesi e degli anni, e del secolo, che si compie nel trentesimo anno ; e questo è perchè già la Iona incomincia quel di ad aver forza, e non è aocora mezza. Chiamante iu lingua loro, quella che sana tutte le cose. Apparecchiato dunque il sacrificio e le vivande per ordine sotto l ' albero, tolpona doe tori bianchi, le cui corna si comiadno allora per la prima volta a legare. Dipoi il sacerdote vestito di bianco saglie in soli' albero, e miete il visco con una falce d'oro, il qual visco è ricavato di sotto in un bianco tappeto. Allora sacrificane i tori pregando il dio che faccia il dono pro spero a ohi lo ba dato. £ così tengono che becodosi questo visco, ogni animale sterile diverti fecondo, e che sia rimedio contra tulli i veleai. Tanta religione molte volte hanno le peraoue in cose ancora leggere e ride voli ! Irò
C. PLINII SECUNDI HISTORIARUM MUNDI LIBER XVII SATIVARUM ARBORUM
NATURAE
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A b b o r d i*
p r e t ia h ir a b il ia ·
]. i. l ì «lura arborum, lerra marique sponte mu provenientium, dieta eat. Restat earum, quae arte el humanis ingeoiis fiunt verius, qaam nascan tur. Sed prius mirari succurrit qua retulimu» penaria pro indiviso possessas a ferie, depugnante cura iis homine circa caducos fractus, circa pen dentes vero et cum alitibus, io tanta deliciarum pretia venisse, clarissimo (at eqaidem arbitror) exemplo L. Crassi, atqoe Cn. Domitii Ahenobarbi. Crassos orator fuit in primis nominis Romani : domos ei magnifica : sed aliquaoto praestantior in eedem Palatio, Q. Catuli, qni Cimbros coafc C· Macio fudit. Multo vero pulcherrima consensa omnium aetate ea io colle Viminali, C. Aquilii, equitis Romani, clarioris illa etiam, qoam jaris civilis scientia, quum lamen objecta Crasso saa esi. Nobilissimarum geutiam ambo, Crassas atqoe Domitius, censuram post contutatos simul gesse re, anno conditae Urbis d c lx ii, frequentem jorgiis propter dissimilitudinem morum. Tum Co. Domitius, at erat vehemens natara, praeterea accensus odio, quod ex aemulatione avidissimam est, icraviter increpuit tanti censorem habitare, pro domo ejus sestertium sexagies identidem promitteos. Et Crassas, 01 praesens iogenio semper, et faceto lepore solers, u addicere se respon dit, exceptis sex acboribus. » Ac ne uao quidem
M ir a b il i
p r e g i d e g l i a l b e r i.
1 .1 . abbiamo ragionato ddla natura, degli alberi, che da loro stessi nascono io terra e in mare. Rimane ora « parlare di quegli, ehe. per artificio e per amano ingegoo più veramen te si può dire ehe si facciano, che non ohe nascane. Ma prima non posso far che io non mi maravi gli, per qual mai carestia aoi abbiamo tolto alle fiereJe piante da lor possedete con esse poi in comune, combattendo con loro l ' nomo pei fratti che cascaao, e per qoetli che stanno sull' albero, eòa gli uccelli, e sieno venate io Unto pregio, come ne dà chiarissima prova (per quel ch’ j · stimo) il fatto di Lucio Crasso e Gneo Doaùzio Enobarbo. Fu Crasso oratore Romano, e un dei primi, ed ebbe una magnifica casa ; ma -molta pià bella fa quella nel medesimo eolie'Palati no di quel Quinto Catolo, il quale insieme eoa Caio Mario ruppe i Cimbri. Ma bellissima a già·* dicio d 'ognuno a quella età fa quella di Gaio Aquilio cavalier Romano sol eolia Viminale, per la qeale, pià che non per la seienxa di ragion ci vile, era egli famoso ; e noodimeno a Crasso fa rinfacciata la saa. Di aobilissiate famiglie eraoo ambedue, Crasso e Domizìo, e furono insiemé censori, dopo che consoli Tanno seicento sesaan* tadue dopo I* edificali ono di Roma, il qual aa* gùlrsto fecero mal d ' pccordf insieme, par hi
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C. PLINII SECUNDI
denario, ai adimerentur, croptim volente Domi tio, Crassus: u Li trumae igilar ego sum, inqait, quaeso, Domili, exempto gravis, et ab ipsa mea censura notandus, qui io domo, qoae mihi bereditale obvenit, comiter babitem: an tu, qui se stertio sexagies sex arboree aestimes? » Eae fuere loti, patula ramorum opacitate lascivae, Caecina Largo e proceribus crebro io juventa nostra eas in domo sua ostentante. Duraverunlque, quoniam et de longissimo aevo arborum diximus, ad Ne ronis principis incendia, quibus cremavil Urbem, annis c l x x x . Postea cultu virides juvenesque, ni princeps ille adcelerasset etiam arborum mortem.
Ac ne quis vilem de celero Crassi domum, nihilque in ea jurganle Domitio fuisse dicendum praeter arbores judicet, jam columnas quatuor Hymettii marmoris, aedilitatis gratia ad scena m ornandam advectas, in atrio ejus domus statuerat, quum in publico nondum essent ullae marmo reae. Tara recens est opulentia : tantoque tunc plus honoris arbores domibus ad ferebant, ut sine illis ne inimicitiarum quidem pretium servaverit Domitius. ,
Foere ab iis et cognomina antiquis: Fronditio militi illi, qui preclara facinora, Vulturnum transnatans, fronde capili imposita, adversus Hannibalem edidit: Stolonum Liciniae genii: ila appellatur in ipsis arboribus fruticatio inutilis: mde et pampinatio inventa primo Stoloni dedit nomen. Fuit et arborum cara legibos priscis: eautumque est xu tabulis, ut u qui injuria ceci disset alienas, lueret io singulas aeris xxv.» Quid existimamus, venturasne eas credidisse ad snpra dictam aestimationem illos, qui frugiferas tanti taxaverant? Nee minus miraculum in pomo est, maliarum circa suburbana fructu annuo addicto binis millibus nummum: majore singularum re ditu, quam erat apud antiquos praediorum» Ob hoeiftaila, et arborum quoque adulteria excogi* tata -seni, ut nec poma pauperibus nascerentur.
iffi.
differenza de' oostumi loro. Allora Gn. Domizio essendo di terribil natura, e olirà di ciò acceso d’ odio, il quale la emulazione suol fare ingor dissimo, gravemente riprese, che on censore abi tasse in casa di tanto pregio, benché di quando in quando lo sollecitava à vendergliela,offerendo gli io prezzo sei milioni di sesterni minori. Dove Crasso, siccome quegli, che fu sempre pronto d1 ingegno, astuto e faceto, rispose « che gliene avrebbe data per quel pregio, fuorché sei albe ri. » E dicendo Domizio, che cavatone quegli alberi, non Γ avrebbe pur compera per un de na io, soggiunse Crasso: a Sono io dunque, o Domizio, di cattivo esempio, e da esser notalo della mia censura, che abili nella casa che mi è tocca per erediti, o to, che siimi sei alberi sei milioni di sesterzii ? » Quegli alberi erano loti, che con rami lunghi e ombrosi s’ allargavano molto : e mostrommegli spesso, quando io era giovane, nella sua casa Cecioa Largo, uno dei primi nomini di Roma. Questi alberi durarono, giacché io anche degli alberi di lunghissima vila bo già parlalo, fino all' incendio di Nerone im peradore, quando egli arse Roma, cioè cento ot tanta anni dopo. Dipoi rinverzirono, e sarebber tornati vegeti ancora, se quel principe non aves se anco affrettata la morie degli alberi. E acciocché alcuno forse non creda, che ìa casa di Crasso fosse perciò vile nel resto, e che Domizio, tranne gli alberi, non avesse altro da rimproverare a Crasso, egli aveva posto nel suo atrio quattro colonne di marmo Imeziio, le quali erano stale condotte per ornar la scena nella sua edilità, mentre in quel tempo non era anoora io pubblico alcuna colonna di marmo. Tanto fresca é questa sontuosità, e tanto maggior dignità da vano gli alberi alle case, che senza quelli Domizio non volle acquistare un*abitazione che appa gava ia sua stessa nimicizia. Gli antichi acquistarono soprannome anche dagli alberi. Frondizio archiamo quel soldato, che passò il fiume Vulturno con le frondi in capo, e che fece così onorate prodezze contra Annibale. Nella famiglia dei Licinii fu il nome degli Sto loni : stolone si chiama lo inutile fruttificare e germogliare degli alberi ; ma per aver trovalo lo spampanare, ne venne il nome al primo Stolo ne. Le leggi antiche ancora ebbero cura degli albe* ri, e fu ordinato per le dodici tavole, che « chi per ingiuria tagliava gli alberi altrui, per ciascuno albero pagasse venticinque sicli di rame. » Cre* diamo noi dunque che quegli antichi pensassero che questi alberi venissero a quella stima, che es si li tassarono? Nè punto è minor maraviglia nel frutto, perciocché nelle ville vicine alla città sono molli alberi lali, che do' frutti dell' uno pigliano
i4*«.
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVII.
Nunc ergo dioeraus, qoo maxime modo tantam ex his vectigal contingat, veram colendi rationem abselotamque proditori. El ideo non volgala Iractabunos, nec quae conitere animadvertimus, sed incerta atqoe dubia, in qaibus maxime falli* tnr vita. Nam diligeotiam in supervacuis adfectare, ooo nostrum esi. Ante omnia in universam, et quae ad cunela arborum genera pertinent in commone* de coelo terraqoe dicemus.
CoXLI NATU® A AD ARBORES :
ogni anno due migliaia di nummi. Onde mag gior rendita oggi ha nn di essi, che anticamente non rendeva tutto il podere. Per qoesto sono stati trovati i nesli, e gli adulterii degli alberi, acciocchì neppnr i fruiti nascessero pei poveri. Diremo dunque in che modo tanta rendita si pigli di qnesli, e insegneremo la vera e perfetta regola di governargli. E perciò non ragioneremo di cose vulgate, nè di quelle che son chiare ad ognuno, ma delle incerte e dubbiose, nelle quali grandemente s ' inganna la vita umana. Percioc ché noi non vogliamo affettar diligenza in cose vane. Prima dunque tratteremo universalmente di qnei che s' appartiene a tulli gli alberi in co·» mone, e dell' aria e della terra.
QUAM PARTEM COELI
SPECTABE VINEAE DEBEANT.
II. a. Aquilone maxime gaudent, densiores ab adflato ejus laelioresque, et materiae firmio ris. Qua in re plerique falluntor, quum in vineis pedamenta non sint a vento eo opponenda, el id taotura a septerolrione servandum. Quin iramo tempestiva frigora plurimum arborum firmitati eonferunt, et sic optime germinant: alioqui, si blandiantur Austri, defatiscenles, ac magis etiam in flore. Nam si, quum defloruere, protinus se quuntur imbres, in tolun» poma depereunt: adeo ut amygdalae et piri, etiam si omnino nubilum fu it, Austrinusve flatus, amittant fetus. Circa Yergilias quidem ploere inimicissimam vili el oleae : quoniam tunc coitus est earum : hoc est ittnd «yualriduum oleis decretorium, hic artico· lo · Austrinus nubili spurci, quod diximus. Fru ges quoque pejus maturescunt Austrinis diebus, •ed celerius. Ula sunt noxia frigora, quae seplemtrionibus, aut praeposteris finnt boris. Hiemem qaidem aquiloniam esse omnibus satis utilissi mam. Imbres vero tone expetendi evidens caosa est* qnoniam arbores fetu exinanitas, et foliorum qooq ae amissione languidas, naturale est avide esurire. Cibus aulern earum imber. Quare tepi dam e ss e hiemem, ut absumpto partu arborum, sequatur protinus conceptus, id est, germinatio, ac deinde alia florescendi exinanitio, inutilissi mam experimentis creditur. Quin immo si plures ita continuentur anni, etiam ipsae moriantur ar bores, quando nemini dobia poena est ia lame la borantium . Ergo qui dixit hiemes serenas optan das, oon pro arboribus vola fecit. Nec per solsti tia im bres vitibus conducunt. Hiberno quidem p o lv ere laetiores fieri messes, luxnrianlis ingenii f e r t i li tale dictum est. Alioqui vota arbornm frngu raque communia sont, nives diutinas sedere. Causa « non solum qnia animam terrae evane•ce n lem exhalatione includant et comprimant,
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n a t u b a d e l c ie l o q u a n t o a g l i a l b e b i: a q u a l
PARTE DEL CIELO DEBBANO ESSEB VOLTE LE V1GBB.
II. a. Gli alberi ameno molto il vento aquilo nare, perchè al soffiar di esso si fanno più folli, e più (ertili, e di legno più sodo. Nella qual cosa molli s1 ingannano, perciocché nelle vigne i pali non si debbono porre incontra a quel vento, e ciò solamente s’ ha da osservare rispello alle vigne volle a seltenlrione. Anzi i freddi ne* tem pi loro conferiscono assai alta fortezza degli al beri, e così germogliano benìssimo ; all ri men ti se i venti di mezzo giorno gli vanno addol cendo, fioriscono innanzi tempo, e rimangono vani ; perchè se quando sono sfiorili, subito seguono le piogge, perdono affatto i frutti ; tan to che i mandorli e i peri ancora, se si fa nu golo, o trae vento di mezzo giorno, perdono i frulli. 11 piovere intorno al nascimento delle Vergilie è molto contrario alle viti e agli ulivi, perché allora concepono. Questi sono i quattro giorni che decidono del frutto degli olivi : que sto è il m o m e n t o che Γ Ostro e il nugolo soa nocivi, come abbiamo dello. Le biade ancora maturano peggio, quando regna Ostro, ma più tosto. Nocivi son quei freddi, che vengono da tramontana, o non sono alle ore convenienti. Utilissimo è a tutte le piante, che il verno sia aquilonare ; e che in qnei tempo ancora le piog ge sieno mollo benefiche, n1 è evidente la ra gione, perciocché gli alberi vóti dal parto de’ frutti, e languidi per aver perduto le foglie, è cosa naturale che abbiano fame. Ora il cibo loro è la pioggia. Laonde si vede per esperienza, che egli è mollo dannoso che il verno sia tiepido, tanto che finito il parlo degli alberi, subilo segna la concezione, cioè la germinazione, e nn'altra eva cuazione per lo fiorire. Anzi s’ egli avviene che passino molli anni di questo modo, gli alberi si seccano : ben sei sanno coloro che perciò sostengooo inopia. Colui dunque ebe disse ehe il ver-
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C. PLINII SECUNM
retroque agunt io vire· frugum elque radices : veruna quod et liquorem «eusim praebent, pu rum praeterea levissimumqne, quando nix aqua rum coelestium spuma est. Ergo humor ex his uon universus ingurgitans diluensque, sed quo modo sititur distillane, velat ez ubere alit omnia quae non inundat. Tellus quoque illo modo fer· spenteseli, et succi plena, ac laclescculibus satis non effeta ; quum tempus aperit, tepidis arridet horis. Ita maxime frumenta pinguescunt, prae terquam ubi calidus semper aer est, ut io Ae gypto. Continuatio enim et ipsa consuetudo, idem quod modus aliubi efficit ; plurimumque prodest, ubicumque non esse quod noceat. Iu majore parte orbis, quum praecoces excurrere germi* nationes, evocatae indulgentia coeli, secutis fri goribus exuruntur. Qua de causa serotinae hie mes noxiae, silvestribus quoque: quae magis eliam dolent urgente umbra sua, nec atljuvante medicina : quando vestire teneras intorto stra mento in silvestribus non est. Ergo tempestivae aquae hibernis primom imbribus, deinde germipalionem antecedentibus. Tertium tempus est, quum educant poma : nec protinus, sed jam va lido fetu. Quae fructus suos diutios cootinent, longioresque desiderant cibos, his et serotinae aquae utiles: ut vili, oleae, Puuicis. Hae jam pluviae generis cujusque arboribus diverso modo desiderantur, aliis alio tempore maturantibus. Quapropter eisdem imbribus aliqua laedi videas, aliqua juvari, eliam in eodem genere, sicut in piris: alio die hiberna quaerunt pluvias, alio vero praecocia, ut pariter quidem omnia deside rent. Hibernum tempus est ante germinationem, quae Aquilonem Austro utiliorem facit. Ratio eadem mediterranea maritimis praefert: sunt enim plerumque frigidiora : et montuosa planis, et nocturnos imbres diurnis. Magis fruuulur aquis sata, non staiim auferente eas sole.
no ai dovèa desiderar sereno, non già pegli al beri bramò cielo propitio. Non sono-anco gio vevoli le pogge alle viti nel solstitio, · il dire cbe per ia polvere del verno le biade diventiao più fertili, noo inferisce altro che nna fertilità lussuriente, ma vana. 11 desiderio cornane degli alberi e delle biade è che le nevi durin molto ; la cagione è, non solo perchè riteogouo e rinchiuggono l’ anima ddla terra, la qoale per esa lazione verrebbe meno, e la rispingono nelle ra dici, e ad afforzare i concetti delle biade ; aia perchè somministrano · poco a poco Γ amore, puro e leggerissimo, perchi la neve è schiuma delle acque del cielo. L'umor loro adunque, die non vi grooda tutto ad un tratto nè dilava la terra, ma vi gocciola siccome da poppe, secondo il bisogno del terreno, nutrisce le piante senza troppo inondarle. La terra in quel modo si fer menta, e piena di sugo, e non paolo το Latasi nell' allattare i seminati, quaodo la atagione si apre comincia a ridere per primavera. Così iag rassano molto i grani, furchè dove 1’ aria e sempre calda, come in Egitto. Perchè la eoatinuazione e Γ usanza fa quivi il medesiaaos ehe altrove il modo ; e assai giova in ogni luogo, ehe non vi sia cosa che nnoca. Nella aeaggior parte del mondo, quando per la dolcezza delΓ aria gli alberi mettono ionanzi iempo, essendo vóti si riardono, se seguono i freddi. E perà I veroi serotini nuonono ancora aVe selve, le quali maggiormente si dolgono, essendo oppreaae dal l'ombra loro, senza alcuna medicina che le aiuti; perciocché nelle sdve gli alberi teoeri non si possou vestire con paglia o eoo latrarne. Sono dunque a tempo le piogge del verno, dipoi qoelle che vengono innanzi che l’ albero germogli. 11 terzo tempo è, quando essi nntrisoooo i fratti già cresciuti. Quegli che tengono assai il fretto, e desiderano cibi più lunghi, amano l’acque aerotine, siccome sono le viti, gli olmi, e i melagrani. Queste piogge adunque sono desiderate dagli al·* beri tutti, ma in tempi diversi, secondo che com portano le specie loro, perchè essi maturano in diversi tempi. Però le medesime piogge ad alenai sono olili, ad alcuni nooive anche nella medesima specie, come a dire ni peri, i qoali vogliono tatù parimente la pioggia, ma in altro dì la vogU oao i primaticci, in altro i serotini. Il tempo inver nale è innanzi la messa degli alberi, alla qoale è più utile il vento di tramontana che l ' Ostro. La medesima ragione mette innanzi i venti mediterranei a' marittimi, perchi il più delle volte sono più freddi ; siccome i montnoai a* piani, e le piogge della notte a quelle dd giorno ; perchè i seminati godono più dell' aoque, le quali non così tosto sono asciugate dal sole.
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HISTORIARUM MUNDI UB. XVU.
Connexa et sita· vinearum, arbustocnmqne ratio est, quas in orae debeant ^celare. Virgilius ad occasus seri damnavit. Aliqui sic maluere, quam in exortu. A. pluribus meridiem probari adverto : nec arbitror perpetuum quidqoam in hoc praecipi posse. Ad soli naturam, ad lod in genium, ad coeli cujusquo mores dirigenda so* lerlia est. Jn Africa meridiem vineas spectare, viti inutile, colono insalubre est, qnoniam ipsa meridianae subjacet plagae: quapropter qni ibi in occasum aut septemtriones conseret, optime inHcebit solum coelo. Quum Virgilius occasus improbet, nec de septemtrione relinqui dubitatio videtur. Atqui io Cisalpina Italia magna ex parte pineis ita positis, compertum est esse fertiliores.
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Bassi a osservare eziandio verso che parte del mondo debbono esser volle le vigne, e i po sticci degli alberi. Virgilio non vuole che sieno volle a ponente. Altri amano meglio esso ponente che il levante. La maggior parie approva il mez zodì ; ma io credo che in ciò non si possa dare sta bile precetto, perchè bisogna che la industria nostra s 'accomodi alla natura del terreno, del paese e dell’aria. In Africa non monta che le vigne sien volle a mezzo giorno, perchè ciò, olire che è inutile alla vite, è insalubre al lavoratore, per ciocché essa è già sotto mezzogiorno : però chi pianterà quivi a ponente, o a tramontana, me scolerà benissimo la terra con Γ aria ; e benché Virgilio biasimi il ponente, non però pare che resti dubbio circa la tramontana. Ad ogni modo l 'esperienza ha mostro, che le vigne così poste io gran parte della Lombardia sono fertilissime. Multum rationis obtinent et veoti. In NarboMollo s* ha da considerare ancora la qualità pensi provincia atqne Liguria, et parte Etruriae, de* venti. Tiensi per gofferia in Provenza, in ri contra Circium serere imperitia existimatur: viera di Genova, e in parte di Toscana piantare leomdemque obliquum accipere, providentia. Is contra il vento Circio ; e per contrario stimasi provvidenza ricever qoel vento per traverso j namque aestates ibi temperat: sed tanta plerum perchè quivi fa la state temperala, ma spesso dà que violentia, ut auferat tecla. in tanta violenza, che ne porta via Ano a* tetti. 3. Quidum coelum terrae parere cogunt: nt 3. Alcuni vogliono che 1* aria ubbidisca alla terra, cioè che quelle cose, che si piantano in quae in siccis serantur,orientem ac septemtrione· luoghi secchi, sien volte a levante e a tramon «pectent : quae in humidis, meridiem. Necnon ex tana ; quelle, che nascono in luoghi umidi, guar ipsi· vilibus causas mutuantur, in frigidis prae dino a mezzogiorno. Siroilméule, rispetto alle coces serendo, ut maturitas antecedat algorem. viti, traggon partito dalla nalura loro, piantando Quae poma vitesque rores oderint, contra orto·, le primaliccie in luoghi freddi, acciocché elle u t slatino auferat sol : quae ament, ad occasus, vel etiam ad septemtriones, ut diutius eo fruan- maturino prima che venga freddo. A levante tur. Ceteri fere raliouem naturae secuti, in Aqui* piantano i fratti e le vili, che temono le rugia Ionem obversas vitea et arbores poni suasere : de, acciocché il sole tosto le consumi ; e quelle .odoratiorem etiam fieri talem fructum Demo· ehe le amano, le pongono a ponente, ovverà ancora a tramontana, acciocché più a lungo le «ritus potat. godano. Gli altri seguendo la ragione della na tura consigliarono che le viti e gli alberi si met tessero verso tramontana ; e Democrito tiene che tal frutto abbia molto maggior odore. 4. Aquilonis silum, ventorumque reliquorum, 4 . Del silo di d'Aquilone, e degli altri venti, abbiamo già ragionalo nel secondo libro, e pa diximus secundo volumine, dicem usque proxi recchie cose del cielo ragioneremo nel libro se mo plura coelestia. Inierim manifestum videtur Mlnbritatis argumentum, quoniam in meridiem guente. Ma frattanto si han chiarissime prove etiam spectantium semper ante decidant folia. della postura più salubre alle piante, perciocché quelle che guardano a mezzogiorno sono sempre le prime a perdere le foglie. Il simile avviene ancora ne luoghi marittimi. Similis et in maritimis causa. Quibusdam lo In alcuni luoghi i venti marini fan danno, ma cis addata· maris noxii, io plurimis iidem uti4 es: quibusdam satis e longinquo aspicere maria nella maggior parte sono ntili: ad alcuni è giove jucundum : propius admoveri satis halitum, inu· vole vedere il mare di lontano; e sentir da pres so Palilo marino a molti altri è nocevole. Dicasi tile. Similis et fluminum stagnorumque ratio. Nebulis adurunt, aut aestuantia refrigerant. Opa il medesimo de* finmi e degli stagni, perciocché questi o riardono con le nebbie, ovvero rinfre citate, atque etiam rigore gaudent, quae dixiscano con le acque il troppo asciutto. Gli alberi .mus. Quare experimentis optime creditur.
C. PLINII SECONDI che dicemmo, «mano Γ ombra ed anche il fred do : perciò il migliore è affidarsi all' esperienia. Q
u a l is t u r a
o p t im a .
IH. A coelo proximum est terree dixisse ra tionem, haud faciliore tractatu : quippe non ea dem arboribus convenit et frugibus plerumque: uec pulla, qualem habet Campania, ubique opii· ma vilibus: aut quae tenues exhalat nebulas: nec rubrica multis laudala. Crelara ia Albensium Pompejanorum agro, et argillam, cunctis ad vi neas geueribus anteponunt, quamquam praepin gues, quod excipitur in eo genere. Invicem sa bulum album ia Ticineusi, mullisque in locis nigrum, itemque rubrum, etiam pingui terrae permixtum, infecundam est.
Argumenta quoque jadicantium saepe fallun t. Non utique laetum solum est, in quo proeerae arbores nitent, praeterquam illis arboribus. Quid enim abiete procerius? aut quae vixisse possit alia in loco eodem? Nec luxuriosa pabula pingais soli semper indicium habent : nam quid lauda tius Germaniae pabulis ? et tamen statim subest arena tenuissimo cespitum corio. Nec semper aquosa est terra, cni proceritas herbarum : non hercules magis, quam pinguis, adhaerens digitis, quod in argillis arguitur. Scrobes quidem re gesta in eos nulla complet, ut densa atque rara ad hunc modum deprehendi possit: ferroque omnis rubiginem obducit. Nec gravis aut levior justo deprehenditur pondere : qood enim pondus terrae justum inlelligi polest ? Nec fluminibus ad gesta semper laudabilis, quando senescant sata quaedam aqua. Sed neque illa quae laudator, diu, praeterquam salici utilis sentitur, luter argumen ta stipulae crassitudo est, tanta alioqui iu Laborino Campaniae nobili campo, ut ligni vice utan tur : sed idem solum ubicumque arduum opere, difficile cultu, bonis suis acrius paene quam vi tiis posset, adfligit agricolam. Et carbunculus terra, quae ita vocatur, emendari vile macra pu tatur. Nam tofus soaber, natura friabilis, expe titur quoque ab auctoribus. Virgilius et quae filicem ferat, non improbat vitibus. Salsaeque terrae mulla melius creduntur, luliora a vitiis innascentium animalium. Nec colles opere nudan tur, si quis perite fodiat. Nec campi omnes minus soles atque perflatus, quam opus sit, accipiunt. Et quasdam pruinis ac nebulis pasci diximus vi tes. Omaiura rerum sunt quaedam in alto secre ta, et suo cuique corde pervidenda.
Q
o a l b s ia o t t i m a
T ana.
111. Dopo l ' aria si considera la qoalitt dd terreno, che non è ponto più facil trattato, per chè le piò T o l t e nna medesima terra non con viene agli alberi e alle biade ; nè in ogni lato è utile la lerra nera alle viti, come in Campagna, o quella, che getta vapori sottili : nè anche la rossa è mollo lodata. La terra cretosa nd con tado d' Alba- Pompeiana, e 1' argillosa, quanto alle vigne, sono anteposte a tuite I' altre terre, benché sieoo grasse, il che non conferisce a quel genere di piante. 11 sabbiou bianco nel territorio di Pavia, e iu molli altri luoghi il nero, e il ros so a n c o r a , mescolato con terra grassa, è infe condo. Spesse volte ancora i segni ingannano colora, che ne giudicano. Non ogni terreno è fertile, dove sono alberi grandi, se non appunto per quelli. Perciocché qual albero è piò alto che Γ abete? e nondimeno quale altro albero vivrebbe nel aw· desimo luogo? Nè anco ta pasciona abbondante è sempre segno di lerren grasso, perchè quale al tra cosa è più lodata,cbe i pascoli di Lamagna? e nondimeno sotto la sottilissima superficie del la terra, nella quale sono i cesti di erba, si traova la rena. Nè sempre la terra, dove sono l'erbe alte, è copiosa di acque: nè sempre grassa quella, che si attacca alle dita ; il che si ripruova nell’ar gilla, perchè non riempie la fossa donde è ascita, di maniera che a qaesto modo si possa cono scere s' è folta, o rara : ciascuna però fa raggine nel ferro. Nè si conosce per peso s* ella è grave o leggera, perchè qual giusto peso può convenire alla terra ? Nè anco è sempre buona quella, di' è raunata da’ Burnì, perchè certi seminati talor invecchiano per rispetto dell'acqua. Ma nè quel la, eh' è lodala, è utile a lungo andare, se non at salcio. Uno de' buoni segni è la grossezza della paglia, la qual io terra di Lavoro è si grande, che s’ adopera in cambio di iegne; però questo terreno per tutto è difficile a lavorare, diffialea coltivare, e affatica chi lo lavora molto piè co'sooi beni, che non farebbe co'difetli. Tiensi che anche il rarhoncolo, una terra così chiamata, si corregga con la vite magra. Perchè il tufo ruvido, che per natura si dissolve, è accettato ancora dagli auto ri. Virgilio non biasima per le le riti nepprt quella terra, cbe preduce felce. Molle cose si se minano meglio nella lerra salsa, e son più sicara dai guasti degli animali nascentivi. Nè i poggi rimangono inutili, se son lavorati con diligenza. Nè lutti i pìaui ricevono manco i soli e i venti
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVII.
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di quello che bisogna. Noi abbiamo aneo detto» che alcune viti si pascono di nebbia e di rugiada. Già tulle le cose hanno certi segreti, che ciascuno li debbe prevedere col proprio ingegno. Nondimeno spesso si mutano qoelle cose, le Quid quod mutantur saepe judicatA quoque quali si sono giudicale, e di lungo tempo cono ac dia comperla ? In Thessalia circa Larisam sciute. Iu Tessaglia intorno a Larissa quel paese emisso lacu frigidior facta ea regio eat, oleaeque desierunt, quae prius fuerant. Item «ite· aduri, diventò più freddo, e gli ulivi che prima v’erano, quod non antea. Aenos sensit admoto Hebro. Et andarono mancando via via, come vi fu condotto circa Philippos cultura siccata regio mutavit coeli un certo laguroe. Del pari la città di Eoo nella habitum. At iu Syracusano agro advena cultor, Tracia vide seccare le viti quando se le avvicinò il elapidato solo, perdidit fruges luto, donec re fiume Ebfo, che mai prima non era avvenuto. In gessit lapides. In Syria levem tenni sulco impri- torno alle campagne di Filippi il paese privalo di munt vomerem, qnia subest saxum exorens aesta coltura mutò il temperamento dell'aria. A Siracusa te semina. Jam in quibusdam locis similes aestus pervennero nuovi lavoratori, i quali nettarono i immodici, el frigorum effectus. Est fertilis Thra campi da1 sassi ; ma quel terreno non produsse cia frugum, rigore : aestibus, Africa et Aegyptus. più le biade, se prima b o i » riposero i sassi. Io In Chalcia Rhodiorum insula locos qoidam est Siria fanno poco addentro il solco, perchè di in tantam feeandos, ut suo tempore satum de sotto è sasso, che la state abbrucia i semi. In al* metant hordeum, sublatumque protinus serant, cuni paesi fanno il medesimo effetto i troppi cal et cura aliis frugibus metant. Glareosum oleis di, e i troppi freddi. La Tracia è doviziosa di so lora aptissimum in Venafrano, pinguissimum biade, per rispetto dell’ asprezza del freddo ; · in Baetica. Pucina vina·in saxo coquuntor. Cae- P Africa e lo Egitto per molto caldo. In Calcia cubae vites in Pomptinis paludibus madent. Tan- isola di Rodi è on loogo tanto fecondo, che alla ta est argumentorum, ac soli varietas, ac diffe- stagione vi mietono l ' orzo, e subito ve lo rise rentia! Caesar Vospicus, quam causam apud minano, e mietonlo oon l'altro grano. Il terreno ceusores ageret, u campos Roseae dixit Italia· ghiaioso a Venafro è ottimo per gli ulivi, egual· sumen esse, in quibus perticas pridie relietas mente che il terreno grassissimo in Granata di gramen operiret :» sed non nisi ad pabulum pro Spagna. 1 vini Pucini nascono sui sassi : » vini bantur. Non taraeu indociles natura nos esse vo Cecubi nelle paludi Pontine. Tanta è la varietà luit, et vitia confessa fecit, etiam obi bona certa e differenta dei terreni ! Cesare Vopisco difen non fecerat. Quamobrem priraora crimina di dendo una sua causa dinanzi ai censori, disse, camus. « che le campagne Rosee erano la grascia d'Ita lia, nelle quali piantando una pertica, 1* altro di l ' erbe con la loro altezza la ricoprivano. » Ma qoesti terreni non son baooi se non per pascoli. La natura però non ci voMe lasciare senza istru zione, e ci ha fatto oond&oere i difetti, dove an cora ella non avea fatto certi i vantaggi. E però ragioniamo prima dei difetti. Il terreno amaro, ovver magro, ή conosce 5. Terram amaram, site macram, si quis 5. probare velit, demonstrant eas atrae degeneres- dall’ erbe nere e tralignate, e quelle cbe sono que herbae : frigidam autem, retorride nata. Item abbronzate daooo segno di terren freddo. Le uliginosam, tristia : rubricam oculi, argillamque, squallide dimostrano la terra uliginosa : la rossa operi difficillimas, quaeque raitros ac vomeres e l ' argillosa si oonoscoao eon gli oecht. Queste ingeotibus glebis onerent : quamquam non quod sono molto difficili da lavorare, e sempre appic operi, hoc et fructui sit adversum. Item e con cano zolle grandi all* aratro, e agli altri ferra trario cineraceam, et sabulum album. Nam sterilis menti, benché spesso non nuoce al frutto quello densa callo facile deprehenditur, vel uno icta che nuoce a!P opera. II contrario è nel terreno cuspidis. Cato breviter atque ex suo more vitia cenerognolo, e nel sabbione bianco ; perciocché determinat : u Terram cariosam cave neve plau quella terra che ha il callo spesso e rassodato, stro, neve pecore impellas, » Qoid putamus hac facilmente si conosce a an colpo solo di pania. appellatione ab eo tantopere reformidari, nt paene Catone brevemente, secondo suo costume, dà a vestigiis quoque interdicat? Redigamus ad ligni conoscere i difetti dei terreni. « Guardati, dice cariem, et inveniemus illa, qoae in tantum abo egli, che tu non muova con carro, nè con bestie la terra intarlata. » Ma ehe vogliamo noi dire minatur, vitia, aridae, fistulosae, scabrae, cane·
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C. PLINII 'SECUNDI
acentis, exesae, et pumicosae. Plus dixit una significatiooe, quam possit ulla copia sermonis enarrari. Est enim interpreta lione vitiorum quae dam, non aetate (quae nulla in ea intelligi polesl), sed natura sua, anus terra : et ideo infecunda ad omnia, atque imbecilla.
Idem agrum optimum judicat ad radicem montium planilie in meridiem excurrente, qui est tolius Italiae situs : terram vero teneram quae vocelur pulla. Erit igilur baec optima et operi, et salis. Intelligere modo libeat dictam mira si gnificatione teneram : et quidquid optari debet, in eo vocabulo invenietur. Illa temperatae uber tatis, illa mollis facilisque culturae, nec madida, nec sitiens. Illa post vomerem nitescens : qualem fons ingeniorum Homerus in armis a deo coelatam dixit, addiditque miraculum nigrescentis, quamvis fieret in anro. Illa quam recentem ex quirunt improbae alites, vomerem comitantes, corvique aratoris vestigia ipsa rodentes.
Reddatur hoc in loco luxuriae quoque sen tentia et aliqua in proposituro. Cerle Cicero, lux doctrinarum altera : « Meliora, inquit, unguenta sunt, quae terram, quam quae crocum sapiunt, r» Hoc enim maluit dixisse, quam redolent, lia est profecto : illa erit oplima, quae unguenta sapiat. Quod si admonendi sumus, qualis sit terrae odor ille qui quaeritur, contingit saepe etiam quie scente ea sub occasum Solis, in quo loco arens coelestis dejecerit capila sua : et quum a siccitate continua immaduit imbre: tunc emittit illum suum halitum divinum ex sole conceptum, cui comparari suavitas nulla possit. Is esse odor in commola debebit, repertusque neminem fallet : ac de terra odor oplime judicabit. Talis fere est in novalibus caesa vetere silva, quae consensu laudatur.
Et in frugibus quidem ferendis eadem terra utilior inlelligitur, qnolies intermissa cultura quievit: quod in vineis non fit. Eoque diligentius eligenda esi, ne vera exsistat opinio eorum, qoi jam llaliae terram existimavere lassam. Operis
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che egli .intenda con questa parola, se non vuoi pure che vi ii ponga il piede? Ritorniamo al tarlo del legno, e intenderemo che questi sono vizii ili terreno arido, spugnoso, ruvido, consu mato, e quasi come pomice. Più disse egli in uni parola, che con gran quantità di parole non si potrebbe esprimere. Perciocché, per iapiegarne il difetto, v' ha qualche terreno, che, non per elà (giacché ne ha nulla) ma per sua natura è come vecchio, perciò debole e del tutto infe condo. Il medesimo dimostra il campo easer fertile appresso alle radici dei monti, quando il piano è volto a mezzogiorno, siccome è la postura di lutla Italia ; e la terra tenera, la qual si chiama pulla, cioè nera. Questa dunque fìa ottima, sia per lavorarla, sia per seminarvi. Si esamini ora quale sia questa terra da lui sì propriamente ap pellata tenera, e in quel vocabolo si troverà tul io quello, che desiderar si deve. Essa di tempe rata fertilità, essa morbida e facile · lavorarti, nè molle, né troppo asciutta. Essa dopo il vomere risplende, quale Omero, fonte degl' ingegni, dis se essere scolpita nell' armi da Vulcano, il qoale vi aggiunse il miracolo, che ella si faceva piò nera, benché fosse nell’ oro : essa è quella terra, che ricercano gli uccelli, seguitando sempre il vomero, e i corvi che bezzicano quasi i piedi dell’ aratore. Dicati in questo luogo ancora che s 'intenda per terra lussuriente, e alcune altre cose a pro posito. Veramente Cicerone, altro lume e splen dore delle dollrine, «. disse, che sono migliori gU unguenti che sanno di terra, che quelli che sanno di zafferano; * con che ei volle dire che rendono odore, benché adoperasse piuttosto quelPaltra vo ce; e così è veramente : ottima sarà quella terra,che abbia odore di unguenti. E se noi vorremo saper qual sia questo odore, che si ricerca della terra, è appunto quello che si sente spesso sai tramontare del sole, quando essa riposa, in quel luogo dove l'arco baleno gillò i capi suoi, e quaodo dopo nn continuo secco fu bagnala dalle piogge, perchè allora manda fuora quel suo alito divino, con cetto dal sole, al quale non si può agguagliar suavilà alcuna. Questo dovrà esser 1' odore nella terra smossa, e quando si trova, non ingannerà alcuno ; e così 1' odore ottimamente darà giudi cio dell· terra. Qoesto tale odore si sente presso che sempre nei lavorecci, dove si è tagliato un bosco antico, che da lutti è teouto per benissimo La medesima terra si tiene che sia migliore anche per seminarvi biade, ogni volta che si è lasciata riposare; il che non interviene rispetto alle vigne. E tanto più diligentemente s 'ha da eleggere, acciocché non sia vera la opiniose di
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVII.
quidem facultas in aliis generibus constant et coelo : nec potest arari post imbres aliqua, uber tatis T itio lentescens. Contra, in Byzacio Africae illum cenlena quinquagena fruge fertilem cam pum, nullis, quum siccus est, arabilem tauris, post imbres vili asello, et a parie altera jugi, anu vomerem trahente, vidimus scindi. Terram enim terra emendari (ut aliqui praecipiunt) super le* nuem pingui injecta, aut gracili bibulaque super hnmidam ac praepinguem, dementia operae est. Quid potest sperare qui talem colit f
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GENEBA VIII.
a l l ia b ja c t a n t
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coloro, i quali s 'hanno dato a credere che il terreno d' Italia sia stracco. La opportunità del lavorare aocora le altre sorti di terra dipende dal cielo, nè alcuna se ne può arare dopo la pioggia, perchè per troppa fertilità diventa vi scosa. Per lo contrario in Bizacio di Àfrica, quel campo fertile di biade che fa cento cin quanta per uno, quando è secco non si può ara re da'lori, mentre dopo le piogge I* abbiamo ve duto arare da on vile asinelio, e dall’ altra parte del giogo da una vecchierella che tira. Emendar poi la lerra con la terra, come vogliono alcuni, e sopra la sottile metter la grassa, o sopra l 'umi da la magra e arida, è cosa da stolti. E che cosa può sperarne chi lavora lai terreno ? O tto
s p e c ie d i t e b e a , d i c h b la
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e e c ia b l a
a l l ia si v a b ta .
IV. 6. Alia est ratio, quam Britannia et Gallia IV. 6. Altro modo è quello, che la Inghilter invenere alendi eam ipsa: quod genus vocant ra e la Francia trovarono per nutrimento, coi margam. Spissior ubertas in ea intelligitur. Est essi chiamano marga. Essa porta maggiore ferti anlero quidam terrae adeps, ac velut glandia in lità. E ona certa lerra adiposa, la quale si rasso corporibus, ibi densante se pinguitudinis nucleo. da in pallottole somiglianti alle gangole de' no stri corpi. 7. Non omisere et hoc Graeci : quid enim in* 7. Hanno,trattato i Greci ancora di questa tcntatum illis? Leucargillon vocant candidam cosa ; e che cosa è rimasta addietro, ch'essi non argillam, qua in Megarico agro utuntur, sed tan abbiano tentata? Essi chiamano leucargillon l'ar gilla bianca, la quale usano nel territorio di Me tum in umida frigidaque lerra. gara, ma solamente nella lerra umida e frigida. Di quelle terre che arricchiscono la Francia Illam GalliasBritanniasque locupletantem cum cura dici convenit. Duo genera fuerant. Plura e l ' Inghilterra vuoisi parlare con pià diligenza. nuper exerceri coepta proficientibus ingeniis. Ett Erano prima due sorti, ma da poco in qua se ne enim alba, rufa, columbina, argillacea, tofacea, cominciarono a esercitar piò, essendosi col tempo arenacea.Natura duplex: aspera,aut pinguis. Ex maggiormente affinali gl'ingegni. N’ è di bian perimenta utriusque io manus : usnsque geminus, ca, rossa, colombina, argillosa, tufosa e are aut ul fruges lanium alant, aut edant et pabulum. nosa. La lor natura è doppia, aspra, o grassa. Fruges alit tofacea, albaque, si inter fontes re* Gli esperimenti d’ amendue sono in pronto, e perla eat ad infinitum fertilis, verum aspera tra 1’ uso è doppio ; o che nutriscono solamente ctatu, et si nimia injecta est, exurit solum. Pro biade, o biade e fieni. Le biade nutrisce la tu xima est rufa, quae vocatur acaunumarga, inter fosa e la bianca, la quale si sla tra i fonti : è mixto lapide terrae minulae, arenosae. Lapis fertile in infinito, ma aspra a maneggiarsi; e se conditur in ipso campo : primisque annis stipula gettasene troppo nei campi essa li riarde. Vicina difficulter caeditor propter lapides. Impendio a questa è la rossa, la quale si chiama acaunutamen minimo levitate, dimidio minoris quam roarga, la quale ha sassi mescolati con terra are ceterae, invehitur. Inspergitur rara : sale eam nosa e minuta. Le pietre si affondano nel campo misceri putant. Utrumque hoc genus semel inje stesso e il primo anno difficilmente la paglia si ctum in quinquaginta annos valet, et frugum et recide, per rispetto delle pietre. Nondimeno per chè tal lerra è la metà più leggeri, con pochis pabuli ubertate. sima spesa si porta ne' campi. Quella si sparge rara, e vuoisi che sia mescolala col sale. Amendue queste specie gettate una volta butano per cinquanta anni, per fertilità di biade e di pa sture. 8. Di quelle terre, che si conoscono esser 8. Quae pingues esse sentiuntur, ex his prae cipua alba. Plora ejus genera. Mordacissimum, grasse, la bianca è delle principali, e ce ne sono
C. PLINII 5ECUND1 quod sopra diximus. Ai Ieram genus albae cretae argentaria est. Petitur ex alto, in centeno* pedes actis plerumque puteis; ore angustatur: intus, ut in metallis, spallante veua. Hac maxime Bri tannia utitur. Durant annis l x x x . Neque est exemplum ullius qui bis in vita hanc eidem inje cerit. Tertiam genus candidae, glyssomargam vacant. Est aulem creta fullonia mixta pingui terra, pabuli qaam frugum fertilior, ita ut messe sublata aute seroeu leni alleram laetissimum secetur. Dum in fruge est, nullum aliud gramen emittit. Durat xxx annis : densior justo Signini modo strangolai solum. Columbiuam Galliae suo nom ineeglecopalara appellant: glebis excilatur lapidum modo : sole et gelatione ita solvitur, ut tenuissimas bracteas faciat. Haec ex aequo fertilis. Arenacea utuntur, si alia non sil : in nliginosis vero, el si alia sit. Ubios gentium solos novimus, qui fertilissimum agrum colentes, quacumque terra infra tres pedes effossa, et pedali crassitodineinjecta laetificent. Sed ea non diutius annis x prodest. Aedui et Pictones calce uberrimos fecere agros: quae sane el oleis, el vitibus utilissima reperitur. Omnis autem marga arato injicienda est, ul medicamentum rapiatur : et fimi desiderat aliquantulum, quae primo plus aspera, et quae in herbas non eflundilur : alioqui novitate, quae cumque fuerit, solum laedet, ne sic quidem pri mo post aono fertilis. Interest et qoali solo quae ratur. Sicca enim humido melior, arido pinguis. Temperato alterutra, creta vel columbina, con veni!.
De
c ih e ris usu.
più sorti. Mordacissima è quella che dicemmo di sopra. Altra è la creta bianca che si chiama ar gentaria. Cavasi di profondo, andando sotto fioo a cento braccia : la bocca della cava ai fa stretta, e dentro s 'allarga secondo che richiede la vena, come nei metalli. Questa »’ usa molto in Inghil terra, e dura' ottanta anni ; aè si trova memoria di niono che due volle ia sua vita abbia sparto questa lerra sul medesimo terreno. La tersa sor te della bianca si chiama glissomarga. Questa è creta da purgo mescolata con terra grassa, assai più fertile di pasture, che di biade ; di maniera che falla la mietitura innanzi all' altra sementa vi si sega abbondantissima. Mentre che porla le biade, uon manda fuora alcun’ altra erba. Dura trenta anni, e dove è più densa del dovere sof foca il suolo, altrettanto cbe fanno i calcinacci di terrazzo ruinalo. La Francia chiama con suona rne eglecopala la colombina. Fa colle come pie tre, e risolvesi per sole e per gelo, di maniera che si riduce in sottilissime piastre. Questa è del pari fertile. Usano Γ arenacea, quando altra noa ve u' è ; e ne’ lunghi uliginosi, ancora cbe ve oc sia dell'altra. Soli i popoli Ubii ho conosci a ti, i quali fauno fertilissimo suolo con qualunque ter ra cavata sotto Ire braccia, e gettala sol caaspo all' altezza d 'un piede. Ma quella non giova più che dieci anni. 1 popoli Edui e i Piltooi fecero i campi fertilissimi con la calcina, la quale vera mente si Iruova utilissima anche agli alivi e alle vili. Ogni roarga si debbe mettere nel campo arato, acciocché il terreno possa tirare a sè la medicina : desidera alquanto di lelame quella che prima è più aspra, e quella che non si empie d’ erba ; altrimenti, qualunque ella si sia, per la novità uuoce al terreno, e non è ubertosa neppur dopo il primo anno. Imporla anche osser vare in quale terreno si voglia mettere, perché la secca è migliore nell’ umido, la grassa nell’ari do. La creta e la colombina, temperate che sieno, si couvengono a ciascun terreoo. D
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d ella cenere.
V. 9. Transpadanis cineris usus adeo placet, V. 9. Quegli di là dal Po usano sì volentieri -ut anteponant fimo jumentorum : quod quia le la cenere, che la stimano molto aaeglio che il li vissimum est, ob id exurunt. Utroque tamen pa tanie delle bestie, il quale essi ardono per esser riter non utuntor in eodem arvo, nec in arbustis leggerissimo. Nondimeno non usano l'ano e l'al eioere, nec quasdam ad fruges, ut diximus. Sunt tro nel medesimo campo, nè usano la cenere pequi pulvere quoque uvas ali judioent, pubesoeogli arboscelli nè per certe biade, oome abbia·» tcsqoe pulvereo!, et vilium arboruraque radicidetto. 'Alcuni credono ancora che le uve si nu bos adspergant. Quod cerlura est Narbonensi triscano di polvere, e così mentre ch’ elle cre provinciae, et vindemias certius sic eo coqqi, quia scono, le impolverano, aspergendone pare k plus-polvi» ibi, quam sol, conferì. radici delle vili e degli alberi. Ciò si tien per ve ro in Provenza, ed è certo che le veudemmie per la polvere si maturano meglio, perchè qosvi più conferisce la pplvcte, che |1
HISTORIARUM mondi u b . x v h .
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FIMO.
Vi. Fimi plere» differentiae : ipse rea antiqua. Jam apud Homerum regios tenes agrum ila suis manibus laetificans repentur. Aageas rex in Grae cia excogitatae traditur : divulgasse vero Hercu lea in Italia, qaae regi suo Sterculo Fanni filio ob hoc inventum immortalitatem tribuit. M. Varro principatum dat turdorum fimo ex avia riis ; quod etiam pahulo boum suumque magni ficat : ueqae alio cibo celerius pinguescere adseverat. De nostris moribus bene sperare est, si tanta apud majores fuere aviaria, ut ex his agri stercorarentur.Proximum Colameli· columbariis, mox gallinariis fecit, natantium ali Ium damna to. Ceteri auctores consensa humanas dapes ad hoc io primis advocaut. Alii ex his praeferunt hominum polus, in coriariorum officinis pilo ma defacto. Alii per sese, aqua iterum, largiusque etiam, quam quum bibitur, admixta. Quippe pios jam ibi mali domandum est, quum ad virus illud vini homo accesserit. Haec sunt certamina, quibus invicem ad tellurem quoque alendam ulunlur homines. Proxime spurcitias suum lau dant. Columella solus damnat. Alii cujuscuroque quadrupedis ex cytiso : aliqui columbaria prae ferunt. Proximum deinde caprarum est, ab hoc ovium, deinde boum, novissimum jumentorum. Hae fuere apnd priscos differenti*e, simulque praecepta (ut iuvenio) re tali utendi, quando et hic vetustas utilior: visumqae jam est apnd quosdain provincialium, io tantam abundanle geniali copia pecudum, farinae vice cribris auperiojici, foelore aspectuque, temporis viribus, in quamdam etiam gratiam mutalo. Nuper reper tum, oleas gaudere maxime cinere e calcariis fornacibus.
Varro praeceptis adijcit, « equino, quod sit levissimum, segetes aleodas : prata vero gravio re, et quod ex hordeo fiat, muliasque gignat her bas. n Qai dani etiam bubulo jumentorum prae ferunt, ovilluinque caprino : omnibus vero asi ninum, quoniam lentissime mandunt. E oonIra vio «sus adversus utrumque pronuntiat. Inter oaanea autem constat nihil eese utilius lupini se gete, priusquam siliquatur, aratro vel bidentihos veraa, maoipmUsve dtsellae, circa radiet*
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VI. Molte differente ci sono del lilame, e Ia cosa è antica ; perchè si truova in Omero, come uu vecchio servitor di I*aerte ne ingrassava il campo con le sue roani. Dicesi che questa fu inven zione del re Aogea in Greoia, la quale da Ercole fu poi divulgata in Italia; il che al re Sterouto figliuola di Fauno, come ne foas'egli stato l’ in ventore, partorì immortalità. M. Varrone de'ser batoi degli uccelli dà il principato al litame dei tordi, e lo magnifica ancora siccome pasco de'buoi e de' porci, e afferma che non è cibo che gl1 in grassi più tosto di questo. Certo si può sperar bene de'nostri costumi, se gli antichi ebbero tanti serbatoi da uccelli, che d' essi si potessero ingrassare i campi. Columella mette nel secondo luogo quello delle colombaie, e nel terzo quello de’ pollai, l ' uno detto colombina, e Γ altro pol lina ; ma biasima quello degli uccelli d’ acqua. Gli altri autori concordemente preferiscono ad ogni altro lilame gli escrementi dell'uomo. Altri di esai ne stimano più Γ urina che sia stata nella coneia dei cuoiami. Alcuni la pigliano schietta, e vi rimetton su dell'acqua più largameote che quando si bee ; come se si dovesse domar più qaella schifezza, che quando I' uomo vuol bere quel veleno del vino. Queste sono le gare usate dagli uomini per nutrir la terra. Dopo qoeste alcuni commendano lo sterco del porco. Colu mella solo lo biasima. Alcuni preferiscono quello di ciascuno animale quadrupede, preso dal citi so. Alcuni usano piuttosto la colombina, dipoi quello delle capre, dopo questo quello delle pe core, e in ultimo quello da' giumenti. Queste, siccome io Iruovo, furono le differenze e i pre cetti appresso degli antichi, nell' usar tal cosa, poiché ancora in ciò l'auticbità fu più valorosa ; ed è già parso a certi provinciali, abbondando molto il gregge pecoriuo, spargerne oo'vagli, come si fa della farina, essendosi mutato il puz- · zo e l'aspetto con l'andare del tempo ancora in certa grazia. Non è molto tempo, che s'è trova to, come gli ulivi ingrassano grandemente eon la cenere delle fornaci. Varrone aggiugue ai precetti, u che le biade si debbono ingrassare col lilame dei cavalli, per ch'egli è leggerissimo, e i prati con un altro più grave, e che ue venga dell' orzo, e produca di molte erbe. » Certi ancora mettono innanxi quel lo dei giumenti a quello dei buoi, e quello delle pecore a quello delle capre, e quello degli asini a tutti gli altri, perchè essi mangiano adagio. Ma l ' usauza mostra il contrario dell' neo e deir Γ altro. Bensì lutU s 'accordano, -che non vi sin
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C. PLIN1I SECONDI
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arborum «c vilium obrulis. Elium ubi oon sit pecus, culmo ipso, vel etiam filice, stercorare arbitrantur.
Cato: u Stercus unde fìat, stramenta, lupi num, paleas, fabalia, ac frondes «ligoas, quernasque. £ segete evellito ebulum, cicutam, et cireum salicta herbam mactam, ulvamque: ea sub sternito ovibus, frondemque putidam. Vinea si macra erit, sarmenta sua comburilo, et indidem inarato. Itemque ubi saturus eris frumentum, oves ibi delectato. »
Q uA B SATA UBEBIORBM TERRAM FACIANT
QUAB
meglio, che it legume lupino, prima che faccia ί bacelli, voltato sotto con l’ aratro o con le zappe, o fatto in covoni e sotterrato alle radici degli alberi e delle vili. £ dove non è bestiame, sti mano cbe la paglia stessa e la felce ingrassioo. tt A fare grassume, dice Catone, è buono lo strame, il lupino, la paglia, i favuli, e le foglie del leccio» e della quercia. Svegli dalle biade P «buio, la cicuta, l ' erba che crebbe iotorno i salceti, e l’ erba sala ; e mettine sotto al bestiame con foglie infracidiate. Se la vignj s 'è latta ma gra, abbrucia quivi dei suoi sarmenti, e ara ocl medesimo luogo. E dove tu hai a seminar grano, pascivi le pecore. » Q
ua c i p i a n t b r e n d a n o l a t e r r a p i ù
VII. Nec non et satis quibusdam ipsis pasci terram dicit. Segetem stercorant frupes : lupi num, faba, vicia. Sicut e contrario cicer, quia vellitur, et quia salsura est: hordeum, fenum graecum, ervum : haec omnia segetem exurunt, et omnia qnae velluntor : nucleos iu segetem ne indideris. Virgilius et lino segetem exuri, el ave na, et papavere arbitratur.
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o ib o s m o d is f im o u t e n d u m .
VIII. Fimeta sub dio concavo loco, et qui humorem colligat, stramento intecta, ne ili sole arescant, palo e robore depacto fieri jubent: ita fore ne innascantur his serpentes. Fimum misce re terrae, plurimum refert Favonio Hante, ac luna sitienle. Id plerique prave intelligunt a Fa vonii orlu faciendum, ac Februario mense lan ium : quum id pleraque sala aliis postnlent men sibus. Quocumque tempore facere libeat, curandum ut ab occasu aequinoctiali flanle vento fiat, luuaque decrescente ac sicca. Mirum in modom augetur ubertas effeclusqoe ejas observatione tali.
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u ib u s m o d i · a r b o r b s f e r a n t .
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QUALI LA BRUCINO.
URANT.
VII. Egli medesimo dice, cbe ancora per alco na sementa la terra si pasce. S'ingrassano le bia
Vili. I li lami »i debbono mettere allo scoperto in luogo concavo, che possa raccogliere umidore, e coprire di paglia, acciocché il sole non gli riar da, ficcandovi un palo di rovere, il che impedisce che vi nascano serpi. È molto utile mescolare il litame con la terra, quando soffia il vento Favonio, e la luna non mena pioggia.Ciò malamente aleooi intendono doversi fare dal nascere di Favonio, e solo nel mese di Febbraio; perciocché molte altre sementi richieggono che questo si faccia in altri mesi. In qualunque tempo si faccia, si dee fare quando venia da ponente equinoziale, e la luna va scemando senza pioggia. Ed è certo che con tale osservatone molto mirabilmente s'accrese la fecondità e l ' effetto suo. In
chb m odi g l i a l b e r i pro d u ca n o.
io. Poiché diffusamente s'è ragionai· IX. io. Abunde praedicta ratione coeli ac IX. della qualità dd cielo e ddla terra, tra tte re m o terrae, nunc de his arboribus dicimus, quae cura hominum atque arte proveniunt. Nec pauciora ora di quegli alberi, i quali crescono per cura e prope sunt genera : taro benigne naturae gratiam diligenza degli uomini. Nè sono quasi punto me retulimus. Aut enim semine proveniunt, aut plan no le sorli di questi; tanto benignamenle dd no tis radici·, aut propagine, aut avulsione, aut sur stro lato rimeritiamo la natura. Nascono gli alberi culo, aut iosito et consecto arboris trunco. Nam o per seme, o per piante di radice, o per propa folia palmarum apad Babylonios seri, atque ita gine, o per divdto, o per m ana, o per in n e sto , o
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XV1L
arborem provenir·, Trogsm credidisse demiror. Quaedaiu autem pluribus generibus s e r u n lu r , quaedam omnibus.
S k h ir k
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per tronco d'albero tagliato e messo in terra. Ma ben mi maraviglio, come Trogo creda che in Babilonia seminandosi le foglie delle palme, ne nasca quel albero. Certi alberi si acquistano per molti di questi modi, e alcuni per tulli. Di
q u b l m c b s n a sc o n o d i s b m e .
X. Ac pleraque ex his ipsa nalura docuit, et X. Molli di questi modi la natura islessa gli ha insegnati, e prima a seminare il seme, perchè in primis semen serere, quum decidens exceptum·' que terra viresceret. Sed quaedam non aliter si vide che caduto e ricevuto dalla terra, prendea proveniunt, ul castaneae, juglandes; caeduis dum vita. Alcuni provengono non altrimenti, come i taxat exceptis. Et semine autem, quamquam dis castagni e i noci, fuor solamente quegli che ripul simili, ea quoque, quae et aliis modis seruntur : lulano dalle radici de*- tronchi recisi. Nascono di ut vites, el mala, atque pira. Namque iis pro seme, benché diverso, quegli eziandio che si pro semine nucleus, non ut supra diclis fructus ipse. ducono pur per altro modo, sicome vili, peri e Et mespila semine nasci possunt. Omnia baec meli ; perciocché il seme di questi sono i noccioli, ovvero le granella, e non il frutto, come ne’ delti larda provenlu, ac degenerantia, et insito resti· di sopra. Le nespole possono nascere di seme. luenda. Inlerdum etiaiu castaneae. Tulli questi vengono lardi, e tralignano, e voglionsi restituire con lo innestare ; il che alcuna volta si fa ancora ai castagni. Q
ua b h u m q u a m d s g s r s b e n t .
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q o b l u chb h a i
non d e g b n b b a n o .
XI. Quibusdam natura contra omnino non XI. Per contrario, certi hanno per nalura al lutlo di non tralignare in qualunque modo si degenerandi, quoquo modo serantur: ut cupres sis, palmis, lauris. Namque et laurus pluribus piantino, come il cipresso, la palma e I' alloro. Perciocché Γ alloro si pianta in più modi, e già modis seritur. Genera ejus diximus. Ex his Au gusta, et baccalis, et tinus, simili modo seruntur. diffusameute abbiamo ragionato delle sue sorti ; Baccae mense Jauuario, aquilouis adflatu sicca ma I’ Augusto, il baccale e il lino si piantano nel tae leguqlur, expaudunturque rarae, ne calefiant dello modo. Colponsi le coccole del mese di Gen acervo. Postea quidam fimo ad salum praepara naio, quando soffia il vento di tramontana , che tas, orina madefaciunt. Alii in qualo pedibus in le mecca, acciocché essendo ammassate non si profluente deculcant, donec auferatur culis. Alio riscaldino. Dipoi certi avendole preparate a se qui oligo infestat, nec patitur nasci. In sulco minar col concime, le bagnano con la urina. Al r e p a s t i n a t o palmi altitudine vicenae fere scerve tri le calcano in una cesta in un fiume corrente llici mense Martio : eaedem et propagine serun fin che elle levino la buccia. Altrimenti quel mu tur : triumphalisque talea tantum. Myrti genera cido le noia, nè le lascia nascere. Pongnnlea venti om nia iu Campania baccis seruntur, Romae pro a venti incirca in on solco cavato addentro un pagine Tarentina. Democritus et alio modo seri palmo, nel mese di Marzo. Questi medesimi an docet, grandissimis baccarum tusis leviter, ne cora si piantano per propagine, e il trionfale solo grana frangaulur, eaque inlrila reste circumlini, con tronco. Tutte le sorti dei mirti si piantano atque ila seri : parietem fore densitatis, ex quo in Campagna con le coccole: a Roma con la pro virgulae differantur. Sic et spinas sepis causa pagine Tarentina. Democrito insegna pianiarsi s e r u n t , tomice moris spinarum circumlita. Pilas per un altro modo, cioè, che le coccole maggiori antera laurus et myrti iuopia a trimatu tempe si vogliono leggermente pestare, in modo che i granelli non si rompano, e col sugo loro impia stivum est traosferre. strarne una resta, e così seminarsi : di questo mo do 1* alloro si fa denso come un muro, e dà molti piantoni da trasporre. Così si seminano ancora i pruni per far le siepi, impiastrando una fune con le more de1 pruni. Il tempo convenevole di tra piantar l’ alloro e il mirto è dopo tre anni. Fra qaegli che si pongono col seme, Magone Inter ea quae semine seruntur, Mago in nuci- I b«s operosus est. Amygdala iu argilla molli me- ! discorre molto de' noci. Ei vuole che le mandorle
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C. PUNII SECUMDf
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ridiem spectante seri jubet. G»udere et dura, calidaque lerra : in pìngui aut humida mori, ac sterilescere. Serendas quara maxime falcatas, et e novella, fimoque diluto maceratas per triduum, aut pridiequam serautur, aqua mulsa. Mucrone defigi, aciem Uteris in aquilonem spedare : ter nas simul serendas triangula ratione, palmo inter se distantes : denis diebus adaquari, donec gran descant. Juglandes nuces porrectae seruntur com missuris jacentibus. Pineae nucleis septenis fere in ollas perforatas additis : aùt ut lauras, qaae baccis seritur. Citrea grano et propagine : sorba semine, et a radice plania, et avulsione prove niunt. Sed ilia iu calidis : sorbe et in frigidis et humidis.
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l a n t i s n a s c e n t ia .
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si mettano in terrà argillosa guardi a meno giorno. Dice che amano anche H term o duro e caldo, ma che nel grasso e umido ai muo iono, o divengono sterili. Voglionsi seminer quel le che son più curve, e d'albero giovane, ma cerale per tre giorni con litame s t e m p e r a lo ; o prima che si seminino porle nell’ acqua melata, e ficcarle con la punta, sì che il filo del lato loro guardi a tramontana. Debbonsi piantar· ire insieme come in triangolo, lontane un palmo l’ una dall'altra; e per dieci giorni annaffiare, fin che elle erescano. Le noci si seminano per lungo, di irfaniera che le congiunture si stieao a à giacere. Le pine si seminano eon sette pioocefci messi in una pentola forata, o come l'a llo r o , che si semina con le coccole. 1 cifri v e n g o n o col gra nello, e con la propagine : i sorbi col acme, eco· le piante tolte dalla radice, e con le piante svelte. Ma quelle in luoghi caldi, i sorbi in freddi · umidi. Di
QUELLI CHB SASCOItO DALLE P IA S TE .
La natara ha mostro anoora come si fac Xll. Natura et plantaria demonstravit, mul Xll. tarum radicibus pullulante tobole densa, et pa ciano i seminarii, perchè delie radici di molli alberi sorgono su molli rampolli, producendoli Ia rtente matre, quas enecet. Ejus quippe umbra turba indigesta premitur: ut in lauris, Punicis, madre e poi uccidendoli ; perocché eoo Γ ombra sua nuooe a tutta la pullulazione disordinata, come cerasis, prunis. Paucorum in hoc genere rami fanno gli allori, i melagrani, i platani, i ctriegi e i perenni soboli, ut ulmorum, palraarumque. Nul lis vero tales pulluli proveniunt, nisi quarum susini. 1 rami di pochi alberi in questo geoere con servano la lor messa, come i rami degli olmi edAle radices amore solis atque imbris in summa tel lure spatiantur. Omnia ea non statim moris est psime. Però niuno di questi fa messa, se oon in sua locari, sed prius nutrivi dari, atque in quegli, le cui radici per desiderio del sole e della pioggia si allargano nella superficie della terra. seminariis adolescere, iterumque migrare. Qai transitus mirum in modum mitigat etiam sil Tutti questi non s' usa di porgli subito dove hanno a slare, ma prima ai pongono ad allevare vestres: sive arborum quoque, ut hominum na tura, novitatis ac peregrinationis avida est : sive e crescere in certi seminarii, come si dessero a balia, per dipoi trapiantarli. Il qual trasloco di diseedentes virus relinquunt, mansuescuutque mestica grandemente i salvatichi ancora ; o per tractatu, ceu ferae, dum radici avellitur planta. chè la natura degli alberi è pure come quella degli uomini, bramosa della novità, e del tramutarsi, ovvero perchè partendosi del luogo, lasciano il selvaticume, e s’ addimesticano coll’ essere spesso tocchi, come le fiere, quando la pianta si spica dalla radice. A vulsio n e iu ic b h t ia : a s u a e o r o .
Eh QUELLI CHE SI SPICCAMO DALLA V A D U : DI QUELLI C V MBTTON DA SOHCOLO.
Un' altra simil sorte ne ha insegnato la XIII. Et alind genus simile natura monstra XIII. vit, avuliique arboribus stolones vixere. Qno in natura, perchè svelle dagli alberi quelle messe, che genere et cum perna sua avelluntur, partemque vengono fuori ne'tronchi, vissero pur bene. Queste aliquam e mtlris quoque corpore auferunt secum si spiccano ancora col suo pedale, e por Un seco fimbriato corpore. Hoc mudo plantantur Puoi~ nella frattura alcuna parte della madre sicché 3 ose, coryli, mali, sorbi, mespili, fraxini, fici, in pedale ne par fimbriato. A questo modo si pian tano i melagrani, i nocdooli, i meli, i sorbi, » primisque vites. Cotonenm ita satum degenerat.
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H1ST0H1AUUM MUNDI LIB. XVII.
Ex eodem inveniam est surculo» abscissos serere. Hoc primo sepis causa factum, sambucis, cotoueo, et rubis depactis: mox et culturae, ut popu lis, alnis, salici, quae vel inverso surculo serilur. Jam eae ibi disponuntur, ubi libeat esse eas. •Quamobrem seminarii curam ante conveuit dici, quam tran sea tur ad alia genera.
nespoli, i frassini, i fichi, e loprat tatto le vili. 1 cotogni piantati in questa maniera tralignano. Del medesimo modo si è trovato di piaetare i polloni svelti dall'albero. Questo prima si fece de'sambu chi, de'cotogni, e de'proni piantati per farne sie pi : degli oppii, degli outaoi, e del salcio, il quale si pianta pur con la punta volta in giù per ridurlo a piacere. Questi si piantano appunto dove si voole che stieno. Però bisogna parlar della cura del seminario, prima che si passi ad altri generi.
Db im iim iu .
Da'sEMinaRu.
Perciocché a questo principalmente bi XIV. Namque ad id praecipuum eligi solum XIV. sogna eleggere il le rre n O | atteso che spesso con refert, quoniam nutricem indulgentiorem esse, viene che la bàlia sia più amorevole, ebe la ma quam matrem, saepe convenit. Sit ergo siccam, dre. Sia dunque il terreno asciutto, sugoso, ca succosumque, bipalio subactum, advenis hospi vato con la vanga, e che facilmente riceva le tale, «t quam simillimam terrae, in quam trans piaute forestiere, e molto simile alla terra, dove ferendae sint. Ante omnia elapidatam, munitumque ad incursura etiam gallinacei generis : quam s’ ba a trasporre la pianta. Sopra ogni altra cosa minime rimosum, ne penetrans sol exurat fibras: sia purgato da’ sassi, e serrato in modo, che an intervallo sesquipedum seri : nam si inter se con cora non vi possano entrare i polli ; e non abbia crepature, acciocché trapelandovi il sole non ar-« tingant, praeter alia vitia, verminosa fiuut: ideo da le radici. Fra l ' una e P altra pianta vi sia spa sarriri convenit saepius, herbasque evelli. Prae zio di un piede e mezzo, perciocché se si tocchino terea semina ipsa fruticantia supputare, ac fal cem pati consaescere. 1' una l ' altra, oltre agli altri difetti diventano verminose : onde vi sarchieremo spesso, e ver remo Γ erbe, e poteremo le superfluità, acciocché comincino avfezzarsi a patir la falce. Catone vuole che si coprano con graticci so Cato et furcis crates imponi jubet, altitudine stenuti da forche dell'altezza di un uomo, perchè hominis, ad solem recipiendom : atque integi vi trapeli il sole; o con canne, quando bisogna che culmo ad frigora arcenda : sic pirorum malo· sien difese dal freddo: in queslomodo si nadrisco· rumque semina nutriri, sic pineas nuces, sic cu pressos semine satas et ipsas. Minimis id granis no i semi de'peri, dei meli, de' pini,e anche de' ci constat, ut vix perspici quaedam possint: non pressi, che hanno i semi sì minuti che a mala pena omittendo naturae miraculo, e tam parvo gigni si possono vedere. E senza dubbio è gran maravi arbores : tanto majore tritici et hordei grano : glia di natura, come di un seme assai più piccolo ne quis fabam reputet. Quid simile originis suae che nou è quello del grano e dell'orzo, per oon par habent malorum pirorumque semina ? His prin lare della fava, nascano alberi sì grandi. E quanto cipiis respuentem secures materiam nasci, indo non si somigliano i semi de' meli e de' peri ? Ep mita ponderibus immensis praela, arbores velis, pur da qu e'piccoli elementi nascono alberi sì turribus murieque impellendis arietes ? Haec est duri, che non ricevooo la scure, che reggono im naturae vis, baec potentia. Super omnia erit, e mensi pesi, che in mare sostengono le antenne, e. lacryma nasci aliquid, ut suo loco dicemus. Ergo nelle guerre servono di arieti, che gettano a terra e cupresso femina (mas enim, ut diximus, non le mura e le torri; tanta è la forza e la potenza di gignit) pilulae collectae, quibus docui mensibus, natura ! Ma sopra tutto fa maraviglia che di una siccantur sole : ruptaeque emittunt seraeo, for lagrima nasca qualche cosa, come diremo al suo micis mire expetitum : ampliato etiaio miraculo, luogo. Colte adunque le coccole del cipresso fem tantoli animalis cibo absumi natalem tantarum mina, perciocché il maschio, come dicemmo, non arboram. Seritur mense Aprili, area aequata cy le produce, le seccheremo al sole ne' mesi già lindris, aut volgiolis, densam : terraque cribris detti, perchè fendutesi gettino il seme, deside supercernkur pollicis crassitudine. Contra im rato grandemente dalle formiche. E questo ac mane pondus attollere se non valet, torquetur- cresce la maraviglia, che così piccolo animale con que sab terra. Ob boc pavitar vestigiis. Leniter sumi il seme, il quale ha da produrre un albero rigata r a solis occasu in trinis diebus, ut aequa così grande, in Aprile pianasi il terreno con ci liter bibat, donec erumpant. Differuntur post lindri, o mazzeranghe, poi vi si semina tosto, e vi
C. PLINII SECUNDI annum dodrantali filo, custodita temperie, ut viridi coelo serantur, ac sine aura. Miruraque dicto, periculum eo tantum die est, si roravit quantulumcumque imbrem, aut si adflavit. De reliquo tutae sunt perpetua securitate, aquasque odere.
Et zizipha grano seruntur mense Aprili. Tu beres melius inseruntor in pruno silvestri, et malo cotoueo, et in calabrice : ea est spina silve stris. Quaecumque optime et myxas recipit, uti liter et sorbos. i i . Plantas ex seminario transferre in aliud, priusquam suo loco ponantur, operose praecipi arbitror, licet translatione folia latiora fieri spondeant.
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u l m is s b b b r d i s .
si vaglia la terra sopra'tanto che ella alzi un dito grosso, altrimenti il seme. trovando il terreno sodo, qoando nasce si ritorce in già. Laonde si appiana solamente co’ piedi. Annaffiaci tre giorni nel tramontare del sole leggermente, in modo che bea ugualmente per ogni verso, fino « Unto che i semi nascano.L'anno seguente si trapianUoo, distanti l'un dall'altro un palmo, ed eleggesi il tempo temperato, e sereno, e senza vento. Ed è gran maraviglia che quel dì solo sono in pericolo per ogni minima pioggia, e ogoi minimo Tento, e dipoi sono sempre sicuri, · hanno in odio Tacque. Le giuggiuole si pongono eoi nocciolo nel mese di Aprile: il noce persico si annesU meglio nel susino selvatico, nel melo cotogno, e nella cala brice; questa è la spina selvatica. Ogni susino riceve benissimo i meliachi, e i aorbi. i i . Io stimo che non porti altro che fatica il trasporre le piante di uno scassio in un altro, pri ma che si trasferiscano nel luogo dove hanno da stare, benché nel trasporle le foglie diventino maggiori. D
e i. p ia b t a b e
g l i o l m i.
La samara, seme degli olm i, si coglie XV. Ulmorum, priusquam foliis vestiantur, XV. quando comincia a ingiallire intorno alle caleede samara colligenda est circa Martias kalendas, quum flavescere incipit. Deinde biduo in umbra di Marzo, prima che l ' olmo si vesU di foglie. siccata serenda, densa In refracto, terra super Dipoi due dì seccala all' ombra, si semina folta nella terra ben trita, e di sopra col raglio vi si minutatim cribrata, crassitudine quae in cupres sis. Pluviae si non adjuvent, rigandum. Deferen gelU la terra alta, quauto dicemmo ne1cipressi. Se non piove si annaffia. Dopo l'anno si traspon dae ex arearum venis post annum in ulmaria, intervallo pedali in quamque partem. Maritas gono negli olmarii discosto un piè l'un dall'altro. Gli olmi mariti delle viti si piantano meglio l'auulmos autumno serere utilius, quia carent semi ne : nam eae e plantis seruntur. In arbustum tunuo, perché mancano di seme. Presso a Roma, quinquennes sub Urbe transferunt, aul (ut qui dove hanno a sostenere le viti, si traspongono di busdam placet) quae vicenum pedum esse coe cinque anni, ovvero, come vogliono alcuni, quan perunt. Sulco, qui novenarius dicitur, altitudine do essi cominciano esser di venti piedi, in ao pedum trium, pari latitudine, et eo amplius circa solco, che si chiama novenario, alto tre piedi, e positas, pedes terni undique e solido adagge largo altrettanto : questo poi si riempie per ogni rantur. Arulas id vocant in Campania. Intervalla Terso a tre piedi di altezza, e più intorno le pian ex loci natura sumuntur. Rariores serendas in te medesime. Questi rialti in Campagna si chia campestribus convenit. Populos et fraxinos, quia mano arole. Lo spazio si lascia secondo la qualità del luogo. Più rade si debbono pianUr ne' luo festinantius germinant, disponi quoque maturius convenit, boc est, ab idibus Februariis, plaotis ghi piani. E perchè i frassini e gli oppii mettono et tpsas nascentes. In disponendis arboribus, ar- più presto, bisogna ancora che più presto si tra bnstisque ac vineis, quincunciaiis ordinum ratio piantino ; cioè dopo i tredici , di Febbraio. Nd vulgata et necessaria, non perflatu modo utilis , porre gli alberi e le vili l ' ordine necessario ed usato è, che i filari corrispondano sempre alla verum et aspectu graia, quoquo modo inlueare, in ordinem se jporrigente versu. Populis eadem letlera che pei Romani importa il cinque, peroc ratio semine, qua ulmos serendi : Iransfereudi ché di qeeslo modo gli alberi non solo sono util mente ventilati, ma fanno ancora piaaevole vista, quoque e'seminariis eadem et iilvii. perchè da qualunque parte si mirino, veggonsi i filari prolungarsi per ordine. Gli oppii si pianta no per seme, come gli olmi, e auch’ essi poi u trapiantano.
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVII. Db
s c b o b ib u s .
D elle
fo sse .
XVI. Ante omnia igitur in similem transferri XVI. La prima diligenza è ebe tu gli trapianti terram, aut meliorem oportet. Nec e tepidis aat in terra simile, o miglior di quella donde tu gli praecocibus in frigidos aut serotinos silus, ut ne hai cavati : nè li trasportare da luoghi solatii, que ex his in illos. Praefodere scrobes ante (si caldi e primaticci, a luoghi bacii, freddi e sero fieri posset ) tanto prius, donec pingui cespite tini, nè anco da questi in quegli. Se si può, farai obducantur. Mago ante annum jubet, ut solem le fosse tanto innanti, che si ricuoprano di erba. phiviasque' combibant, aut si id conditio largita Magone vuole che si facciano un anno innanzi, non sit, ignes in medio fieri ante menses duos, acciocché le possano succhiare le piogge e i caldi, nec nisi post imbres in his seri. Altitudinem eo e se non si può, vuol che vi si faccia due mesi rum. in argilloso, p t duro solo, trium cubitorum fuoco nel mezzo, nè vi si pianti se non dopo la esse in quamque partem : in pronis palmo am pioggia. La profondità di esse nel terreno argil plius ; et ubique caminata fossura ore compres loso, o duro, vuole che sia tre cubiti per ogni siore sint. Nigra vero terra duo cubita, et pal verso, e nel terreno declive un palmo più, e che mum, quadratis angulis. Eadem mensura Graeci le pareli della fossa vengano in su arcuate, tanto auctores consentiunt, uon alliores quino semi che la bocca ne sia più ristretta che il fondo. Nella pede esse debere, nec laliores duobus pedibus. terra nera sia di due cubiti e nn palmo, e con Nusquam vero sesquipede minus altos, quamvis angoli quadrati. Nella medesima misura si accor to fcipmdo solo ad vicina aquae perveniant dano gli scrittori Greci, che non debbono essere nè più alte di due piedi e mezzo, nè più larghe di due. Noo vogliono essere in veron luogo man co profonde che un piede e mezzo ; quantunque nel terreno umido quasi tocchino Γ acqua. Catone dice, che se il laogo è acquoso, deb Cato : u Si locus aquosus sit, inquit, latos pedes ternos iu faucibus, imosque palmum et bono esser larghe tre piedi.in booca, e in fondo un piede e un palmo, e l'altezza di quattro piedi. pedem , altitudine quatuor pedum : eos lapide consterni, aut, si non sit, perticis salignis viridi (Nel Ìoudo mettonsi delle pietre, e se non ne fos bus: si neque eae sint, sarmentis : ita ut in alti sero, pertiche di salcio verdi ; e se neppur queste tudinem semipedem trahantur, w Nobis adjicien ci fossero, tanti sermenti che vi sieno alti un mez dum videlur ex praedicta arborum nalura, ut zo piede, lo però aggiungo che la natara dei detti altius demittantur ea quae somma tellure gau alberi vuole che si mettano più a fondo quelli dent, tamqoam fraxinos, olea. Haec et similia che amano la superficie della terra, siccome sono qoaternos pedes oportet demitti. Ceteris sat est, gli ulivi e i frassini. Questi dunque e simili altri alberi bisogna metterli sotto quattro piedi: gli si altitudinis pedes lernos effecerint. Excide, in altri basterà che sieno sotto tre piedi. Il capitano quit, radicem istam, Papirius Corsor imperator. Ad terrorem Praenestinorum praetoris, destringi Papirio Cursore, quando a spavento del pretor secures jussit. Est innoxium abradi partes, qoae di Preneste ordinò al littore di approntar la scu re ; tronca, disse, codesta radice. Non fa punto se nudaverint. Testas, aliqui lapides rotuodos subjici malunt, qoi et colineant humorem, et danno il troncar quelle parti che si scuoprono della terra. Alcuni vogliono che sia meglio met transmittant : non item planos facere, et a ter reno arcere radicem existimantes. Glarea substra tere in fondo sassi ritondi, perchè ritengano 1' umido, e facciano che la lerra scoli ; il che ta inter ofamqoe sententiam fuerit. noo fanno i sassi piani, i quali non lasciano pe netrare la radice. Mettervi della ghiaia, è tra il prò e il contra. Alcani vogliono che l ' albero non si trapian Arborem nec mioorem bima, nec majorem ti, che abbia manco di due anni, oè più di tre : trima transferri quidam praecipiant : alii, qoam altri vogliono che abbia un ano·. Catone voole aonum impleat. .Cato crassiorem qoinque digitis. che sia più grosso di cinqoe dita. Egli non avrebbe Non omisisset idem, si attineret, meridianam coeli partem signare in cortice, ul translata in iisdem omesso, se avesse credoto importante, d'indicare che s 'abbia a segnar la corteccia eh' era volta a etadsuetis statueretur horis: neaqoiloniae me ridianis oppositae solibus finderentur, et algerent ! mezzo giorno, perchè l'albero trasporto rimanga volto in quel medesimo modo eh' era prima, ac meridianae aqoilonibos. Qood e diverso adfectant etiam qoidam in vtte, ficoqne, pernotantes ciocché le parli avvezze a tramontana non si ve-
C. PLINII SECUNDI in contrariam. Densiores enim folio iU fieri, ma· gisqne protegere fructum, et minus «mittere : ficumque sic etiam scansilem fieri. Plerique id demum cavent, ut plaga deputati cacuminis me ridiem spectet, ignari fissuris nimii vaporis op poni. Id quidem in horam diei quinlara vel octa vam spectare maluerim. Aeque latet non negligendum, ne radices mora inarescant, neve a septemtrionibus, aot ab ea parie coeli usqua ad exor tum brumalem vento flante effodiantur arbores, aut cerle non adversae iis veniis radices prae beantur: propter quod emoriontor, ignaris cau sae agricolis.
Cato omnes ventos, et imbrem quoque in tota translatione damnat. Et ad haec proderit quam plurimum terrae, in qoa vixerint, radicibus co haerere, ac totas cespite circumligari : quum ob id Cato in corbibus transferri jubeat, procul du bio utilissime. Idem summam terram contentus est subdi. Quidam Punicis mali· substrato lapide non rum^i pomum in arboribus tradunt. Radices inflexas pooi melius. Arborem ipsam ita locari, ut media sit totius scrobis, necessariam. Ficus, si in scilla (bulborum hoc genus est)seratnr, ocis sime ferre traditor pomum, neque vermiculationi obnoxium : quo vitio carent reliqaa poma simi liter sata. Radicum ejus magnam adhibendam curam, ut exemptas appareat, non evulsas, quis dubitet? Qua ratione et reliqua confessa omitti mus : siculi terram circa radices fistucata spis sandam, quod Cato primum in ea re esse censet : plagam quoque a trunco oblini fimo, et foliis prae ligari praecipiens.
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IHTBBVALL1S AEBOHDM.
XVli. ia. Hujus loci pars est ad intervalla perlinens. Quidam Punicas, et myrtos, et lauros densiores seri jusserunt, in pedibus tamen nove nis. Malos amplius panilo, vel magis etiam piros, magiique amygdalas, et ficus : quod oplime dijadicabit ramorum amplitudinis ratio, locorumque, et umbrae cojusque arboris : quoniam has quo que observari oporlel. Breves sunt, quamvis ma gnarum arborum, quae in orbem ramos circinent, ut in malis, pirisque. Eaedem enormes cerasis, lauris.
Dissero a fendere per lo sole, e quelle di mezzodì non patissero freddo, poste a tramontana. Ma alcuni studiosamente fanno il contrario nella vile e nel fico, percbè poste a quel modo, fanno più folle foglie, proteggono più il fratto, e meno ne perdono ; e il fico a quel modo medesimo me glio si può montare. Alcuni badano che il ta glio della cima recisa guardi a mezzo giorno, e non veggono cbe per troppo calore l’ oppongono alle fessure. Ma io vorrei piuttosto eh' ella fosse volta alla quinta o l’ ottava ora del giorno. Basti anco da por cura che le radici non si secchino per troppo iodogio, e che qspodo trae i) vento di tramontana, o quelli che s o d o fra la tramon tana e il levante brumale, gli alberi non si cavino, o almanco che le radici loro eoo si mettano in contra a questi venti ; perciocché essi perciò pe riscono, senza che i contadini ne sappiano la ca gione. Catone biasima lutti i venti, e la pioggia an cora, in tutto il tempo del trapiantare. Gioverà molto che le radici si levino con la terra dove son vìssute, e si leghino con tutto il cespuglio: perciò vuol Catone ch'elle si trasportino in corbe, che senza dubbio è utilissima cosa, e che mettasi lor sotto la terra eh’ è stata in superfìcie. Alcuni dicono che mettendo un sasso sotto la radice del melagrano, i frulli non s' aprono in sull' albero. È meglio porre le radici piegate, ma è necessario por l ' albero in mezzo della fossa. Se il fico si pianta fra la scilla (questa è una sorte di scalo gni), dicono cbe produce tosto il fruito, e non è sottoposto a vermini, il qual vizio non hanno tutti gli altri frutti piantati in quel modo. E d 'aver cura ancora che le radici paiano piutto sto cavate che svelte. Questo sei sa ognuno. Laon de ometto anche le altre cose concedute da tutti, come è, che la lerra si pesti bene intorno alle radici ; il cbe Catone stima in questo esser ia principal cosa, insegnando eziandio che il ta glio si impiastri di terra molle, e leghisi eoa le foglie. D
e l l e d is t a r z b d b g l i a l b b b i.
XVII. ia. Qui vuoisi considerar lo spazio, cbe si dee lasciare tra l'un albero e l'altro. Alcuni vogliono che i melagrani, i mirti e gli allori si piantino spessi, ma che però fra l'uno e Γ altro vi sia spazio di nova piedi. 1 meli vogliono un po co più spazio, ma più i peri, e più ancora i man dorli, e i fichi, e ciò si giudicherà benissimo dal la grandezza de' rami, da' luoghi, e dalla qualità dell' ombre degli albeci ; perciocché questo an cora bisogna osservare. Brevi sono l ' ombre, an coraché sien alberi grandi, quando i rami si di-
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HISTORIARUM MUNDI LIfi. XVII. spongono in tondo, siccome fatino i meli e i peri. Il contrario è nei ciriegi e negli allori. Db
umbra .
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rll 1 om bra.
XVIII. Jam quaedam umbrarum proprietas. XVIII. Oltra di questo, non sono tutte l’ om Juglandium gravis et noxia, etiam capiti huma· bre d' una medesima natura. Il noce fa ombra d o , omnibiuque juxta satis. Necat germiua et grave, e nociva al capo dell* uomo, e a tutte le pinus: sed ventis utraque resistit, qua jam et piante vicine. Uccìde le messe aAcora quella del projectu vinearum ratione egent. Stillicidia pi pino; ma l'una e l'altra resiste a'venti : spa ziosa com' è, giova ad ombreggiare le viti. Le nna, quercus, ilicis, ponderosissima. Nullum cugocciole, che nella pioggia stillano i pini, le quer pressi,umbra minima, el in se convoluta. Ficorum ele e i lecci, sono gravissime. Non così il cipres levia, quamvis sparsa : ideoque iuter vineas seri non vetantur. Ulmorum leuis, etiam nutriens, so femmina : esso fa ombra piccolissima e densa. L’ ombra dei fico è leggeri, benché sparsa, e quacumque opacat. Attico haec quoque videtur perciò si comporta che si piantino tra le vigne. e gravissimis: nec dubito, si emittantur iu ramos. L'ombra degli olmi non é punto grave, anzi noConstrictae quidem ullius noxiam esse non ar bitror. Jucunda et platani, quamquam crassa : drisce ogni cosa eh' ella ricuopre.* Ma ad Attico questa ancora pare delle più nocive ; nè dubito, licet gramini credere non soli, haud alia laetius operiente toros. Populo nulla ludentibus foliis: se ne lasceremo spargere i rami : ma se la man terremo stretta, non credo che sia punto nociva. pingois aloo, sed pascens sata. Vitis sibi sufficit, Dilettevole é pur l'ombra del platano, ancor che mobili folio, jactatuque crebro solem umbra ella sia grossa ; e non è albero, sotto eui l ' erba temperans, eodem gravi protegens in imbre. più cresca. L' oppio non fa ombra, perchè le fo Omnium fere levis umbra, quorum pediculi lon· gt. Non fastidientia haec quoque scientia, atque glie sue non iatanno ferme. L 'ontano fa l 'ombra non in ultimis ponenda, quando quibusque satis grassa, ma nodrisce i seminati. La vite basta a sè stessa, perchè movendo le foglie, non difende umbra aut nutrix, aut noverca est. Juglandinm lutto il sole, ma lo tempera, e nella gran piog quidem, pinorumque, et picearum, el abietis, gia fa buona coperta. Quasi tulli quegli alberi, quaecumque attigere, nou dubie venenum est. le cui foglie hanno luugo picciuolo, fanno ombra leggeri. Non è da stimar poco, né da metter da sezzo il conoscere anche la proprietà delle ojnbre, poiché esse a tutti i seminati o son giovevoli, o son nocive. Certo quella del noce, del pino, del la picea, e dell' abete avvelena ogni cosa che tocca. Db
s t il l ic id i is-
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e l l b g b o r d a ib .
XIX. Stillicidii brevis definitio est. Omnium XIX. Delle grondaie o gocciole conchiudiamo questo, che ogni volla che le gocciole nou si quae projectu frondis ita defendantur, ut per ipsas uon defluant imbres, stilla saeva est. Ergo spargono tra l’albero, ma tutta l'acqna groudeggia di fuori, tali gronde soa nocive. Laonde è molto plurimum intererit hac inquisitione lerra in qua seremus, in quantum arbores quasque alat. Jam da considerare, nel ricercare lo spazio, il qual si dee lasciare fra uu albero e l'altro, quanto la ter per se colles minora quaerunt intervalla. Ventosis ra sia sufficiente a nutrire gli alberi che vi tra loeis crebriores seri conducit. Olea tamen maxi piantiamo. 1 cotti ricercano manco spazio, e mo intervallo, de qua Catonis Italica sententia «at : t· In xxv pedibus miuimum, plurimum xxx ne' luoghi ventosi gli alberi ύ possono piantare aeri, * Sed hoc variatur locorum natura. Non alia più folti. Però tra gli ulivi si dee lasciare molto major
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C. PUNII SECONDI
esse conveniet, adultas interlucare justo plus, et in senectam praecipitare, aut ( plerumque ipsis qui posuere, coarguentibus imperitiam suam) to tas excidere. Nihil est foedius agricolis, quam ge stae rei poenitentia, inulto jam ut praestet laxi tate delinquere.
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crescan t
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ch’ essi producono ogni anno. E perciò Magone vuol che sien lontani P un dall’ altro settanta' cinque piedi ; e nel terreno duro, magro e ven toso, almeno quarantacinque. Iu Granata vera mente fra gli ulivi si fanno grassissime ricolte; e però vergognosa è ia ignoranza dei lavoratori nel piantare gli alberi sì folti, che bisogni ta gliarne i rami più che non conviene, e Calgli to sto diventar vecchi, o tagliargli affatto ; confes sando il più delle volte la sciocchezza loro quegli stessi che gli piantarono. Nè c' è più bruti* con a’ contadini, che il pentirsi della cosa fatta, e però è manco male lasciar loro piuttosto troppo ampio spatio, che troppo ristretto. Di
q o e l l e p i a r t e c h b t a r d i c r e s c o n o : d i qu elle chb to sto .
XX. i 3. Quaedam autem natura tarde cres XX. i 3. Alcuni alberi di natura erescon tardi, cunt, et iu primis semine tantnm nascentia, et e massimamente quegli che nascono solo dì sene, longo aevo durantia. At quae cito occidunt, ve e che durano lungo tempo. Ma gli alberi che locia suot, ut ficus, Punica, prunus, malus, pirus, mnoion tosto, c r e s c o n o tosto ancora, siccome il myrius, salix: el tamen antecedunt divitiis. In fico, il melagrano, il susino, il melo, il pero, il trimatu enim ferre incipiunt, ostendentes et ante. mirto, il salcio ; e nondimeno vanno avanti eoo Ex his lentissima pirus. Ocissima otnnium cyprus le loro ricchezze, perchè in tre anni oominciaoo el pseudocyprus frutex. Protinus enim tloret, sea far fratto, e mostranlo anche prima. Fra questi menque profert. Omnia vero celerius adolescunt il pero è il più lento, e il più presto di tutti è il stolonibus ablatis, unamque in stirpem redactis cipiro, e il falso cipiro arbuscello, pereiocch’ egli alimentis. subito fiorisce, e fa il seme. Tutti gli alberi cre scono più tosto, levando loro i rampolli, e ridu cendo tutti gli alimenti a un gambo solo. P r o p a g in e
n a s c e n t ia .
XXI.Eadem natura etpropagines docuit. Rubi namque curvali gracilitate et simul proceritate nimia, defìguut rursus iu lerram capita, ilerumque nascuntur ex sese: repleturi omnia, ni re sistat cultura : prorsus ut possint videri homines terrae causa geniti : ita pessima atque exsecranda res, propaginem tamen docuit, ac viviradicem. Eadem aulem natura est ederis. Cato propagari praeter vitem tradit ficaia, oleam, Punicam, ma lorum genera omnia, laurum, prunos, myrtos, nuces avellanas, et Praenestinas, plalanum. Pro paginum duo genera : ramo ab arbore depresso in scrobem qua luor pedam quoquo, et post bien nium amputato flexu, plantaque translata post trimatum : quas si longius ferre libeat, in qualis slatina, aut vasis fictilibus defodere propagines aptissimum, ut in iis transferantur. Alterum ge nus luxuriosius, radices in ipsa arbore sollicitan do, trajectis per vasa fictilia vel qualos ramis, terraque circumfartis : atque hoc blandimento impetratis radicibus, inter poma ipsa et cacumi na (in summa elenim cacumina hoc modo pelun-
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pb o p a g ih i.
XXI. La medesima natara insegnò ancora a fare le propagini ; perchè i pruni inclinati per Ia sottigliezza, e per la troppa lunghezza ficcano di nuovo in terra i capi, e di nuovo nascono da loro stessi, e sarebbono per riempiere di loro ognicosa, se non gPimpedisse il lavoratore, in modo che pos sono parere gli uomini nati affatto per coltivare e purgare la terra. E così questa pessima e abborainevoi,cosa ha nondimeno insegnalo la propagi ne, e acquistar alberi con la radice. Della medesi ma natura è Pellera. Catone oltra la vile vuole dae si propagini ancora il fico, Polivo, il melagrano, tutte le sorti di meli, V alloro, i susini, i mirti, i nocciuoli e il platano. Sono propagini di doe sorti : Γ una si fa con piegare il ramo delP albe ro, e mettere il capo in una fossa di quattro pie di, frdopo due anni tagliarlo sulla piegato», e il terzo anno trasporlo ; e se si volesse portarlo di luoge, convien mettere subito la propagi uè io cesta o in vase di ferra, e così trasferirla. L ' al tra sorte è più- da lusso: si là col solleticare i rami in suH' albero a metter le radici, facendoli
HISTORIARUM MUNDI UB. XVII. tur) audaci ingenio arborem aliam longe a tel lure faciendi, eodem, quo supra, bieonii spatio abscissa propagine, et com qualis illis sala. Sabimalerba nropagine' seritur et avulsione. Tradunt faece vini,' aut e parietibus latere tuso mire ali. Iisdem nfodis rosmarinum seritur, et ramo, quo niam neutri semen. Rhododeodron propagine et sémine.
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: qoom odo irv b h ta s it.
passare per vasi di terra, o per ceste ripiene di lerra ben calcata ; e con questo allelamento si slimolano a fare le radici ; onde fra essi frutti e le cimeloro(perché a questo modo si ricercano tali propagini nelle vette) oon ardila invenzione si fa un altro albero discosto «la terra : tagliasi questa propagine iu capo a due unni, come quella di sopra^e si piaota con quelle cesie medesime. L'erba savina si piauta cou propagine, e con lo sverre. Dicono che Ira la feccia del vino, o tra i maltoui pesti maravigliosamente cresce. In questi modi medesimi si pianta il ramerino, e auche per ra mo, perchè nè questo, nè la savina ha seme. Il rododendro per propagine, e per seme. D b l l * i r r b s t a b b : com e s ia t b o v a t a q o b s ta ■A M E B A .
XXII. ιή. Semine quoque inserere natura XXII. 14. La natura insegnò ancora a inne docuit, raptim fvium fame devorato, solidoque, stare col seme, il* qoale essendo per la fame in et alvi tepore madido, cum fecundo fimi medi ghiottito intero dagli uccelli, e bagnato della tie camine abjecto ia mollibus arborum lecticis, et pidezza del corpo, insieme con lo stereo loro vien ventis iaepe translato in aliquas corticum, rimas : rigettalo io certe intaccature tenere degli alberi, unde vidimus cerasum in salice, platanum in e spesso anco da' venti è portato in qualche lor lauro, lauruui in ceraso,et baccas simul discolores. fesso ; onde abbiamo veduto un ciriegio sur un Tradunt et monedulam condentem semina in the salcio, on platano sur un alloro, e un alloro sur sauros cavernarum, ejusdem rei praebere causas. un ciriegio, e perciò coccole dì diverso colore in un albero solo. Dicono che le mulacchie ripo nendo i semi nelle buche degli alberi, sono ca gione di simili effetti. la o c o
l a t io .
XXIU. Hinc nata inoculatio, sutoriae simili fistula aperieudi in arbore oculum cortice èieiso, semenque includendi e^dem fistula sublatum ex alia. Iu ficis autem et malis haec fuit inoculatio .antiqua. Virgiliana quaerit sinum in nodo gem mae expulsi corticis, gemmamque ex alia arbore includit. Et hactenus natura ipsa docuit.
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la s iT io a c M .
XXIV. lusilionem autem casus, magister alius, et paene numerosior, ad hunc modum. Agricola sedulus casam sepis raunimeulo cingens, quo mi nus putrescerent sudes, limen subdidit ex edera. A t illae vivaci morso adprehensae, suam ex aliena fecere vitam, apparuitque truncum esse pro terra. Auferlur ergo serra aequaliter superficies : laevigatur falce truncus. Ratio postea duplex : et prim a inter corticem lignumque inserendi. Timebant prisci iruucum findere : mox inforare ausi me·
D
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i h r b s t a b b a o o c c h io .
XXIII. Di qui è venuto il nesto a occhi. Ta gliasi la corteccia nell'albero, e s'apre l'occhio con una lesina simile a quella del calzolaio, e donde quello si cava, si mette quello che col me desimo instroraento avrai spiccalo da un altro albero. Questo fu il modo antico nei fichi, e nei meli. Virgilio stabilisce il silo uel nodo, dove è I' occhio, levandone la corteccia, e quivi met tendo la gemma lolla da un altro albero. Questi modi lutti gli ha insegnati la nalura. D bllb
s f e c i* d i r e s t i.
XXIV. Il caso fu maestro d' un'altra sorte di neslo, ebe si fa più di frequente, e fu in questo modo. Un conladino attorniò la sua capanna con siepi per esser più sicuro, e fece la soglia d 'el lera, perchè le stanghe non marcissero. Ma queste con vivace morso attaccatesi all' ellera, fecer sua vila quella d 'altri, e videsi che un tronco d’ el lera serviva in cambio di terra. Segasi dunque egualmente il ramo, e dipoi si ripulisce con la roncola. Souo dipoi due modi d'innestare: il
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C. PUNII SECONDI
dio : ipsique in eo medullae calamum imprime bant, unum inserentes, neque enim plures capie bat medulla. Subtilior postea ratio vel seno· adji cit, mortalitati eorum et numero succurrere per suasa, per media trunco leniter fisso, cuueoque tenui fissuram costodtente, douec cuspidalim de cisus descendat in rimam calamus.
Multa in hoo servanda. Primum omnium, quae patiatur coilnm talem arbor, et cujos arbo ris calamus. Varie quoque et non iisdem in par tibus subest omnibus succus. Vitibus ficisque media sicciora, et e suraraa parte conceptus, ideo illinc surculi petuntur. Oleis circa media succus : inde et surculi : cacumina sitiunt. Facillime coa lescunt, quibus eadem corticis natura, quaeque pariter florentia ejusdem horae germinationem succorumque societatem habeift. Lenta enim res est, quoties humidis repugnant sioca, mollibus corticum dura. Reliqua observatio, ne fissura in nodo fiat: repudiat qoippe advenam inhospitalis duritia. Ut in parte nitidissima, ne longior mullo tribus digitis, ne obliqua, ne translucens. Virgilius ex cacumine inseri vetat. Certumque est, ab buraeris arborum orientem aestivum spectan tibus, surculos petendos, et e feracibus, et e ger mine novello, nisi vetustae arbori inserantur : ii enim robustiores esse debent. Praeterea ut praegnante», hoc est, germinatione turgentes, et qui parere illo speraverint anno. Bimi utique, nec tenuiores digito minimo. Inseruntur aulem et inversi, quum id agitur, ut minor altitudo in latitudinem se fundat. Ante omnia gemmautes nitere conveniet* nihil usquam ulcerosum esse, aut retorridum. Spei favet medulla calami com missurae, si in matre ligni corticisque jungatur. Id euira satius, quam foris cortici aequari. Cala mi exacutio medullam ne nudet. Tenui lamen fistula detegat, ut fastigatio laevi descendat cu neo, tribus non ampliore digitis. Quod facillime contingit, linctum aqua radentibus. Ne exacuatur in vento, nec cortex a ligno decedat alterutri. Calamus ad corticem usque suum deprimatur. Ne luxelur dum deprimitur : neve cortex repli cetur io rugas. Ideo lacrymantes calamos inseri non oportet, non hercule magis, quam aridos: quia illo modo labat umore nimio cortex : hoc, vitali delectu non hu mesci t, neque concorpora tur. Id etiam religionis servant: ut luna crescente, ut calamus utraque deprimatur manu. Et alioqui in boc opere duae simul manus miuus nituntur, necessario temperamento. Validius enim demissi tardius ferunt, fortius durant : contraria, ex di verto. Ne hiscat nimio·» rima, laxeque capiat ;
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primo d’ in uestare tra la corteccia e il lagno, perchè gli antichi uoa s’ assicuravano a fende re il legno. Presero poi ardire di forare il legno sul meuo, e mettere una sola marza nella mi dolla, perchè essa più non ue capiva. La ragione mostrò dipoi a fendere il legno per mezzo, e col conio tenere aperta la fessura, intanto cbe vi mettessero fino in sei marze con la parte infe riore appuntata, per provvedere col numero ehe P una ο P altra pigliasse. Qui sono da considerare. più cose. Prima, quale albero liceva il nesto, e di quale debba es sere la marza, perchè possaoo congiungersi. Ol tra di ciò gli alberi hanno il sugo non egual mente in tulle le lor parti, perciocché ndle vili e nei fichi le pani di mezzo sono più secche, e nelle cime è il sugo, e però di quindi si debbou torre le marze. Gli ulivi hanno il sugo più a mezzo P albero ; onde si tolgono le marze di qui, perchè le cime sono asciutte. Faeilmeale s1 appiccano e crescono quelli, le coi cortecce souo d’ uoa medesima natura, e qudli che fiori scono a un tempo, e ad uu tempo vengono iu sugo, perchè tardamente crescono ogni volta che le cortecce secche contrastano con Γ umide, e le dure con le tenere. L* altra osservazione è, che la fessura non si faccia sol nodo, perchè la sua durezza non riceve ia marza, e eh' ella aia io parte nettissima, nè mollo più lunga che tre dita, nè torta, oè rilucente. Virgilio noo vuole che s'iunesti della cima. Certo è che le marze si deb bono pigliare dalle spalle degli alberi, che son volle a levante di stale, e dagli alberi fenili, e dalle messe giovani, se già non si iunestano iu albero vecchio, perciocché allora le marze debbono esser più robuste. Oltra di* questo vuoisi che sieno come pregnanti,cioè gonfie per la germinazione,e che mostrino di essere per f«r frutto quelPauno^ e che sieno di due anni, ma non più sottili che il dito mignolo. Innestansi ancora capovolte, quando si vuole che si diffondano più in largo che iu alto. Sopra ogni altra cosa bisogna che le marze sieno nette, e che uon vi sia alcuua tacca, o aridità. Hassi a sperar bene, se la midolla della raurza si congiunge con quella della madre, e il legno di questa con la corteccia di quella ; per chè ciò torna meglio, che non pareggiare este riormente le sole due cortecce. Lo appuntar del* la marza non dee scoprire affitto la midolla. Nondimeno con sottile istromeoto deesi acoprir tanto che la punta leggermente discenda in co nio, non più che tre dita. Questo fadlaaente ύ ottiene, quando si rade la marza bagnata prìea nell’ acqua. Vuoisi appuntare quando non è ven to, e badar bene cbe la corteccia non si spieghi da verun lato. La marza si mette fino alia sai
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVII.
aat ue parada, et exprimat, aat compressam ne cet. Hoc maxime praecaventium, at praevalide accipientis tronoo in media fissura relinquatar. Quidam, vestigio fissurae falce in trancis facto, salice praeligant marginem ipsum. Postea cuneos figunt, continente vinculo libertatem dehiscendi. Quaedam in plantario insila eodem die transfe· rantur. Si crassior truncus inseratur, inter corti cem et Iignam inseri melius, caneo optime osseo, ne cortioe rumpatur laxato. Cerasi libro dempto finduntur.-Hae solae el post brumam inseruntur. Dempto libro habent veluli lanuginem, quae si comprehendit insitum, putrefacit. Incolume cu neo adaolum utilissime adstringitur. Inserere aptissimum quam proximum terrae, si patiatur nodorum truncique ratio. Eminere calami sex digitorum longitudine non amplius debent.
Cato argillae, vd crelae arenam, timumque admisceri, alque ita usque ad leniorem subigi jubet, idque interponi el circumlini. Ex iis quae commeutatus est, facile apparet illa aetate inter lignum et corticem, nec alio modo inserere solitos, aut ultra latitudinem duum digitorum calamos demittere. Inseri autem praecipit pira ac mala per ver, et post solstitium diebus l et post vindemiam. Oleas autem et ficos per ver tantum luna sitiente, hoc est, sicca. Praeterea post meridiem, ac sine vento Austro. Mirum quod non contentus insitum munisse, ut dictum est, et cespite ab imbre frigoribusque protexisse, ac mollibus bifidorum viminum fascibus, lingua bubula (herbae id genus est) insuper obtegi jubet, earaque illigari opertam stramentis. Nunc abunde arbitrantur paleato luto sarcire libros, duos di· gitoa insito exstanle. b u b u lu m
corteccia, e guardasi che non si sconci mentre che vi si mette, e che la corteccia non si ripieghi e faccia crespe ; e per questo bisogna, che le mane non sieno in sugo che lagriroi, come nè anche troppo aride, perchè in quel modo la boccia si spicca per troppo umore, e in qnesto non s'in corpora per mancamento di esso. Osservasi an cora per religione di premer la marza con am bedue le mani a luna crescente : per altro in questa operatione due mani Insieme non fan buono effetto, essendovi necessario uno sforzo moderato; perciocché se molto gagliardamente sono messe, fanno frutto pià tardi, e pià forte durano : il contrario avviene se si raettooo leg germente. Abbiasi cura massimamente, che il fesso non si apra di troppo, e che non riceva la marza troppo largamente j o non sia troppo ser rato, sicché stringendola fuor di modo la uccida. Ha
C. PLINI! SKCCNDI
Verno interentes tempus urget, incilantibus se gemmis, praeterquam iu olea, cujus diutissime oculi parturiunt, miniraumque succi habent sub cortice qui nimius insitis noeet. Punica Tero et ficum, quaeque alia sicca sunt, recrastinare mi nime utile. Pirum vel florentem inserere licet, et in Majum quoque mensem protendere insitio nem. Quod si longius adferantur pomorum cala· mi, rapo infixos optime custodire succum arbi trantur: servari inter duos imbrices juxta rivos, vel piscinas, utrimque lerra obstruotos.
i 5 . Vitium vero in scrobibus siccis stramento opertos, ac deinde terra obrutos, ut cacumine exsistant. De
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ms e r e n d a .
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si leghi ricoperta di paglia. Ma ora tengono ehe basti imbiutare di loto impagliato le oorteoce, e che la maria avanzi doe dita sopra Γ impiastratura. La primavera vuoiti tosto spacciare Γ inne statura, perchè le gemme mettono, fuorché nel· 1' ulivo, i cui occhi stanno longo tempo grossi, e hanno poco sago sotto la corteccia, il quale es sendo troppo nuoce ai nesti. Quanto al n ehgrano e al fico, benché sieno aridi, non è utile indugiare. 11 pero si può ancora annestare quan do fiorisce, e anoo si può prolungare il nesto fiuo al mese di Maggio. Se le marze si portano di lontano, tengono che il sugo si conservi be nissimo, ficcandole in una rapa. Conservami fra due tegoli, di qua e di là turati con la terra, ap presso a rivi, o peschiere. i 5. Quelle delle vili si pongono in fosse asciutte coperte di strame, e dipoi sopravi della lerra, tanto che paia fuori solamente la cima. D i n 1 ih b s t a b b
le v it i.
XXV. Cato vitem tribus modis inserit. Prae XXX. Catone annesta la vite in tre modi. sectam findi jubet per medullam, in eam surculos Per primo e' vuole che ella si fenda per midol exacutos (ut dictum est) addi, medullas jungi. la, e nella fessura si mettano le marze appun Altero, si inter sese vites contingant, utriu*que tate, come si è detto, e si congiungaoo le mi dolle. L ’ altro modo è, se le vili si tocchino fra in obliquum lalere contrario adraso junctis me dullis colligari. Tertium genus est, terebrare vi loro, rader l’ una e 1* altra da quel lato che si guardano, e congiunte le midolle legarle. Il ter tem in obliquum ad medullam, calamosque ad zo modo è forar la vile per traverso fino alla dere longos pedes bino*, atque ita ligatum insi tum, intrilaque illitam operire terra, calamis midolla, e aggiunger marze lunghe due piedi ; e subrectis. Nostra aetas correxit, ut Gallica utere così avendo legato il nesto. e impiastrato con ter tur terebra, quae excavat, nec urit: quoniam ra trita, tenerlo coperto con le marze diritte. Al adustio omnis hebetat : atque ut gemmascere in tempi nostri si usa un altro modo, cioècbe si faccia cipiens legatur calamus: nee pios quam binis ab il foro col socchiello Gallico, il quale fora e non riarde, perchè ogni arsura nuoce, e come inco insito emineret oculis, ulmeo vimine alligatus, mincia a mettere leghisi con vincigli di olmo la hinaque circumcideretur acie a duabus partibus, ut inde potius distillaret mucor, qui maxime viles marza, la quale non abbia più che due occhi, e infestat. Deinde quum evaluissent flagella pedes da due parli s 'intacchi con due tagli, acciocché binos, vinceum insiti incideretur, ubertati cras di là goccioli l’ umore, il quale fa molto danno alle vili. Dipoi quando il nesto ha messi tral situdine permissa. Vilibus inserendis tempus de dere ab aequinoctio autumno ad germinationis ci lunghi due piedi, tagliasene la legatura, ac initia. Sativae plautae silvestrium radicibus inse ciocché possa ingrossare e far frutto. È assegna runtur natura siccioribus. Si sativae silvestribus to il tempo di innestare le viti, dall' equinozio inserantur, degenerant in feritatem. Reliqua coelo dell'autunno fin che elle cominciano a mettere. constant. Ap.lissima insilis siccitas. Hujus enim Le piante domestiche si annestan delle selvatiche remedium adpositis fictilibus vasis modicus hu inserendo la marza nelle radici, per natnra più mor per cinerem distillans. Inoculatio rores amat seoche. Se le domestiche s 'innestano in saUe sel levet. vatiche, tralignano al selvatico. 11 resto si gover na secondo la qualità del clima. Giova assai il secco a' nesti, perchè in rimedio di ciò pongooo vasi di lerra, da' quali per la cenere ai stilli a poco a poco l ' umore. Ma lo innestar* a occhi ama le rugiade leggeri.
HISTORIARUM MUNDI UB. XVII. E h f l a s t b a t io .
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XXVI. 16. Il modo dell’ impiastrare par ehe XXVI. 16. Emplastratio et ipsa ex inoculatio· ne nata videri potest. Crasso autem maxime cor si sia preso dallo innestare a occhi, e ciò'si confa molto con la scorza grossa, siccome hanno i fichi. tici convenit, sicut est ficis. Ergo amputatis omni Potati dunque tatti i rami, acciocché non tirino bus ramis, ne succum avocent, nitidissima in parte, quaque praecipna cernatur hilaritas, exem a sé il sugo, nella piò oblia parte, e dove si vede più vigore, si leva uno scudicciuolo di corteccia, pta acutula (ita ne descendat ultra ferrem) cortici ma però in modo, che il ferro non passi troppo imprimitur ex alia cortex par, cura sui germinis mamma : sic compage densata, ut cicatrici locos addentro, e quivi si annesta la cortecoia di un non sit, et statim fìat unitas, neo humorem, nec altro albero, pari a qaella che s’è levala, la quale adflatom recipiens : nihilominns tamen et luto abbia Γ occhio del suo germine, e sia così ben munire, et vincnlo melius. Hoc geous non pridem rassodata, che non rimanga laogo a cicatrice e su repertum voluot, qui novis moribus favent. Sed bito si faccia la tintone, che non riceva nè amor id etiam apud veteres Graecos invenitur, et apud nè vento : ma però è molto bene impiastrar eon Catonem, qui oleam ficumque sic inseri jussit, terra, e poi legare. Questo modo di fare, coloro mensura etiam praefinita secundaro reliquam di- che favoriscono le maniere nuove, dicono ebe fa ligentiam saam : cortices scalpro excidi quatuor trovato di fresco. Ma ciò si traova aneora appresso digitorum longitudine, et trium latitudine, atque agli antichi Greci e a Catone, il quale vuole eh· ita coagmentari, et illa saa intrita oblini ; eadem il fico e l’ olivo s 'innestassero di questa maniera, ratione et in malo. e difinisce ancora la misura, secondo la osata sua diligenza ; cioè che con lo scarpello si dee taglia re la corteccia qoattro dita per lunghezza, e tre per larghezza, e dipoi inserirvi la corteccia d'altro albero, e impiastrarla coo la sua terra intrisa : io qaesto modo e' vaol ancora che si an nesti il melo. Certi a qaesto modo di innestare aggiunse Qaidatn buie generi miscoere fissuram in vi tibus, exempta eortici tessella, sorcolo a latere ro la fessura nelle viti, levatone il tessello della boccia, e messa la marza dal lato piano. Presso plano adigendo. Tot modis insitam arborem vidi Tivoli ho veduto un albero innestalo a più modi, mus joxta Tiburtes Tullias, omni genere pomo rum onostam, elio ramo nocibns, alio baccis, carico dì ogni sorte di fratti, che in un ramo aliunde vite, ficis, piris, Panicis, raaloramque avea noci, nell*altro olive, nell’ altro vite, fichi, generibus. Sed huic brevis fait vita. Nec tamen pere, melagrane, e più sorte di mele : ma questo omnem experimentis adseqai nataram posiamos. albero ebbe poca vita. Non però le nostre espe Quaedam enim nasci, nisi sponte nallo modo rienze si son potale essendere a tutta la natura, qaennt : eaqae immitibus tantam et desertis lo perchè alcool alberi oon possono nascere che da cis proveniant. Capacissima insitorum omnium sè stessi, e son qoelli che provengono in looducitur platanus, postea robor : verum utraque ghi aspri e diserti. Dicesi che il platano riceve sapores corrumpit. Quaedam omni genere inse benissimo tatti i nesti, e dopo esso il rovero ; ma runtur, ut ficus et Punicae. Vitis non recipit 1' ano e Γ altro eorrompooo i sapori. Certi si an emplastra, nee qaibas tennis, ac caducus, rimo- nestano con ogni sorte di alberi, come il fico e sosque cortex : neque inoeolationem siccae, aat il melagrano. La vite non riceve gl’ impiastri, nè bumoris exigai. Fertilissima otnninm inocolatio, alcono albero, il qoale abbia la corteccia sottile, postea emplastratio. Sed ntraqoe infirmissima. eadoca, e con fessore : nè gli alberi aridi ricevo· Et qnae eortice nitantur tantum, vel levi anra no 1 nesti a occhi. Lo innestare a occhi è il più ocissime deplantantor. Inserere firmissimum, et fertile di tntti, e poi qoello dell' impiastrare. Ma fecundius, quam serere. P ono e l'altro nesto è di pochissima vita, sicco me qaegli che si appoggiano solamente alla cor teccia, i quali per poco vento toslo son gittati a terra. Lo innestare è cosa di gran vigore, e piò feconda ehe il piantare. 17. Non è da lasciare addietro la rarità di nn 17. Non est omittenda raritas unius exempli. CorelKus, eques Rom. Ateste genitas, insevit esempio. Corellio cavalier Romano nato in Ate castaneam saomctipsam sarcalo ia Neapolitano ste, innestò un castagno con le sue medesime
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C. PLINII SECUNDI
agro. Sic facu est castanea, qua* ab eo noroen accepit inter Uedalas. Postea Etereius libertos CoreUianam ilerum insevit. Haec est inter eas differentia ; illa copiosior, haec Etereiana melior,
Ramo
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marze nel contado di Napoli. Con ne nacquero castagne mollo lodale, le qaali presero il nome da lai. Dipoi ELereioche era suo liberto, di duo * vo innestò il Corellian·. La differenza fra loro è che quello è più copioso, e lo Etereiano è mi gliore.
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XXVII. Reliqua genera casus ingenio suo XXVII. L’ altre sorti sono state trovale dal excogitavit, ac defractos serere ramos docoit, caso : fa esso che iosegnò a Innestare aocfce i ra qaam pali defixi radices cepissent. Multa sic se mi rotti, avendo i pali fitti in terra fatte le radi rantor, in primisque ficus, omnibus aliis roodis ci. Molti donque si piantano in lai modo, e mas nascens, praeterqae talea: oplime quidem, si simamente il fico, il quale nasce in tutti gli altri vastiore ramo pali modo exacato adigatur alte, modi, oltre che per piantone : si appicca benissi exiguo super terram relieto capile, eoque ipso mo, se togliendo uo gran ramo, e agoxzaodolo a arena cooperto. Ramo seruutur et Punica, pulii guisa di palo si ficca addentro, lasciato on pic laxato prias meatu : item myrtus. Omnium horum colo capo sopra la terra, e copertolo con Pareoa. longitudine triam pedum, crassitadioe minus 1 melagrani ancora si piantano col ramo, allar brachiali, cortice diligenter servato, tronco exa gando prima il foro con palo ; e cosi il mirto. cato Sieno tolti questi lunghi tre piedi, e grossi man co che un braccio, con la corteccia diligente mente conservata e con la punta da basso. Q
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XXV 1IL Myrtas et taleis teritor : moros talea tantam, quoniam in almo eam inseri religio ful gurum prohibet. Quapropler de talearum sata nunc dicendum est. Servandam in eo ante omnia, nt taleae ex feracibas fiant arboribus: ne curvae, neve scabrae, aot bifurcae : neve tenuiores, qoam nt manam impleant : ne minores pedalibus : ot illibato cortioe : atque ot seclnra inferior pona tur semper, et quod erit ab radice: adcomuleInrque germinatio terra, donec robur planta ca piat.
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XXVIII. Piantasi il mirto ancora co* piantoni : il moro soltanto coi piantoni, perchè la religione dei folgori proibisce piantarlo co' rami. E però ora s 'ha a ragionare dei por giù i piantoni. So pra ogni altra cosa in dò s' ha da osservar que sto, che i piantoni ai tolgano di alberi fertili, che non sieno torti, nè scabrosi, a i forcuti, nè sottili tanto che non empiano la mano, nè mi nori di un piede ; che la scorza non sia offesa, e che la tagliatura sempre si ponga di sotto, do vendo di qua far la radioe ; e che si rincalsino le messe con la lerra, infino a tanto cbe la pianta si fortifichi. CULTUBA DBGLI ULIVI.
XXIX. 18. Quae custodienda in olearum cura XXIX. 18. Quello che Catone volse che s'os servasse intorno alla cultura degli ulivi, si com Cato judicaverit, ipsios verbis optime praecipie prenderà benissimo per le sue parole, u 1 pian mus. u Taleae oleagineas quas in scrobe saturus toni d'olivo. » quali tu sei per piaulare nella eris, tripedaneas facito : diligenterque tractato, fossa, fa che sien lunghi Ire piedi ; e userai dili ne liber laboret, quum dolabis, aut secabis. Quas genza, che la buccia non riceva offesa, quando li in seminario saturus eris, pedales facito : eas sic inserito ; locus bipalio subactus sil, beneque glu segherai o taglierai con l'ascia. Quegli cbe tu vuoi piantare nello scassio, fa che sieno luughi tus. Quam taleam demittes, pede taleam oppri mito. Si parum descendat, malleo aut mateola un piede, e così gli pianterai : fa che il luogo sia adigito: caveloque, ne librum scindas, quum ben vangato e ben trito, e quando tu metti il adiges. Palo prius locum si feceris, quo taleam piantone, calcalo giù col piede, e se va poco sot demittas, ita melius vivet. Taleae ubi tripae to, caccialo col maglio, o col mazzapicchio ; ma su ut, tum deniqae corae sint, ubi liber se vertet. abbi cura che nel calcario la non rompa la buccia. Sì in scrobibus ant in sulcis seres,, ternas taleas Quando tu lo ficchi, farai il luogo col palo, prina
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVII. ponito : eatqitf djTiricM» «opra terram, ne pias quatuor digitos transversos qmiaeant, gemma vel oculo servato, » Diligenter eximere oleam opor tet, et radices quam plurimas cura terra lerre. Ubi radices Jbeue operueris, calcare bene ne quid noceat.
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EBCV SCBCCLABIUM PBETEUPOBA ARUI DIGESTIO.
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ehe tu vi metta il piantone, e così il piantone vi vrà meglio. Quando essi sono di tre anni, allora avrai ben cura dove la buccia si volga. Se ta pianti in fosse, o in solchi, porrai tre piantoni, e gli separerai sopra terra, si che non sopravanzino per traverso più che quattro dita, ma sempre con un occhio discoperto. * L’ ulivo si vuole cavare con diligenza, e portarne molte radici con la ler ra loro ; e poiché tu avrai ben coperte le radici, calcale bene acciocché nulla faccia lor danno. D el
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d e l l 'a i h o .
XXX. Si quis quaerat quod tempus oleae XXX. Se alcuno vorrà sapere il tempo di aereudae sit, agro sicco per semeotem, agro laeto piantar l’ ulivo, egli è qaando il campo si secca e per ver. Olivetum diebus xv ante aequiuoetiom le piante vanno in semenza, o quando il campo veroum incipito putare. Ex eo die dies xl recte s* allieta per la primavera. Comincierai a potar potabis. Id hoc modo putato. Qua locas recte gli ulivi quindici giorni innanzi l'equinozio del ferax erit, quae arida erunt, et si quid ventus la primavera, e potrai continuar benissimo per interfregerit, inde ea omnia eximito. Qua locus quaranta giorni. Poterai iu questo modo. Dove ferax‘non erit, id plus concidito, aratoque bene, H luogo è fertile, pota le piante che sono aride, •oodaloque, slirpesque leves facito. Circum oleas e se il vento n'avesse rotte alcune, levale tutte autumnitate ablaqueato, et stercus addito. Qui via. Dove non é luogo fertile, quivi pota più, e olivetum saepissime et altissime miscebit, is te ara bene, e dinoda, e rimonda il tronco. L'au nuissimas radices exarabit* Radices si sursum tunno fa delle fosse intorno agli alivi, e aggiaabibunt, crassiores fient, et eo in radices vires gnivi dello sterco. Chi lavorerò spesso, e arerà pleae abibunt. sotto I* uliveto, leverà via le radici più sottili. Se le radici verranoo allo insù, si faranno più grosse, e perciò le forze dell'ulivo andranno tutte alle'radici. Quae genera olearum, vel in quo genere ter Qaante sorte vi sieno di olivi, o in che sorte rae vivere et seri debeant, quoque spectare oli di terra debbano vivere e porsi, e verso dove gH veta, diximus in ratione olei. Mago iu colle et uliveti debbano esser posti, già l'abbiamo detto siccis, et argilla, inter autumnum et brumam seri dove si è trattato dell'olio. Magone volse che jussit. Iu crasso aat hurnido, aut subriguo, a gl'ulivi si piantassero in poggio, e in terreno messe ad brumam. Quod praecepisse eum Afri asciutto, e nella argilla, fra l'autunno e il verno; cae iutelligitur. Italia quidem nunc vere maxime ma in luogo grasso, o umido, o che sia adacqua terit. Sed .si et autumno libeat, post aequino to, dalla mietitura al verno ; il che tiensi che ctium x l diebus ad Vergiliarum occasum, qua egli abbia inteso che si faccia in Africa. Percioc tuor soli dies sunt, quibus seri noceat. Africae ché I' Italia u&a di far questo specialmente la pri peculiare quidem in oleastro est inserere. Qua mavera. E se pur si fa Γ autonno, si debbono dam aeternitate coosenescunt proxima adoptioni piantare quaranta giorni dopo l ' equinozio nel virga emissa, atque ita alia arbore ex eadem tramontar delle stelle Vergilie, e quattro dì soK juvenesccnte : ilerumque et quoties opus sit, ut vi sono, ne'quali non è buono piantare. In Afri tevis eadem oliveta constent. Inseritur autem ca s' usa innestare nell' ulivo salvalico Invec oleaster calamo, et inoculaliooe. chiano gli ulivi, ma in modo che par non invec chino mai, perché mettono noa verga novella quasi per innestamento, e così ringiovaniscono in novello albero ; il ehe fanno poi di nuovo, e quante volte bisogna, di maniera che i medesimi uliveti si mantengono lunghissimo tempo. L'uli vo salvalico s ' innesta con la marza, e ad occhio. Male si pon 1' ulivo donde sìa stala cavata la Olea, ubi quercus eBbssa sit, male ponilar: quercia, perché alcuni vermini, i quali si chiama quoniam vermes, qui raucae vocantur, in radice no rauche, nascono nella radice deHa quercia,· quercus nascuntur, et transeunt. Non inhumare passano nell' ulivo. S’ è trovalo mollo utile H taleas, aut siccare prius qaam serantor, utilius non sotterrare i piantoni, o seccarli prima che si comper lum. Vetus olivetum ab aequinoctio ver-
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C. PUNII SECUNDI
no intra Vergiliarum exortum interradi alterai· anni*, roelius invenlum : item m a sca ra circum dare radici. Circumfodi aulem omnibus anni* a solati lio duum cubitorum scrobe pedali altitudi ne : stercorari terlio anno.
Mago idem amygdalas ab occasu Arcturi ad brumam seri jubeL Pira non eodem tempore omnia, quoniam non aeque floreant. Eadem oblonga, aut rotonda, ab occasu Vergiliarum ad brumam. Reliqua genera media hieme ab oocasu Sagittae, subsolanum, aut septeintriones spectan tia. Laurum ab occasu Aquilae ad occasum Sa gittae. Coo nexa enim de tempore serendi aeque ratio est. Vere et autumno id magna es parte fieri decrevere. Est et alia hora circa Canis ortus, paucioribus nota, qooniam non omnibos locis pariter otilis intelligitur, sed haud omittenda nobis, non tractus alicujus rationem, verum na turae totius indagantibus. In Cyrenaica regione sub Etesiarum flatu conserunt: nec non et in Graecia : oleam maxime in Laconia. Cos insula et vites tunc serit : ceteri apud Graecos, inoculare et inserere non dubitant : sed arbores non se runt. Plortmomqne in eo locorum natura pollet Namque in Aegypto omni serunt mense, et ubi cumque imbres aestivi non sunt, ut in India et Aethiopia. Necessario post haec antumno serun tur arbores.
Ergo tria tempora eadem germinationis, ver, et Canis, Arclurique ortos. Neque enim anima lium tantum est ad coitus aviditas, sed multo major est terrae ac satorum omnium libido : qua tempestive uti, plurimum interest conceptus. Pe· coliare utique in insitis, quum sit mutua cupidi tas utrimque coeundi. Qui ver probant, ab aequi noctio statim admittant, praedicantes germina parturire, ideo faciles corticum esse complexus. Qoi praeferant autumnum, ab Arcturi ortu, quo niam statim radicem quamdam capiant, et ad ver parata veniant, atque non protinus germinatio auferat vires. Quaedam tamen statutum tempas anni habent ubique, ut cerasi et amygdalae circa brumam, serendi vel inserendi. De pluribus lo corum situs optime fodicabit. Frigida enim et aquosa verno conseri oportet, sicca et calida au tumno.
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piantino. Utilissimo pur •’è trovato essere,che I V liTeto vecchio si rada ad ogni terzo anno, dall' equinozio della primavera iofino al nascimento delle Vergilie, e che il muschio raso dagli oliti si metta intorno alle radici loro. Ogni anno vasi dee zap pare il terreno dopo il solstizio, infossandolo dae cubiti attorno alla profondità di un piede; e il terzo anno porti il concime. Magone vuole che i mandorli si piantino dal tramontare di Arturo fino al verno. Ma n o · tutti i peri in un medesimo tempo, perchè non fiori scono lotti a un tratto. I peri che fanno le pere lunghe o tonde, si debbono piantare dal tramon tare delle Vergilie insino alla bruma. Gli ulivi di altre sorti, di mezzo verno, dopo il tramonto della Saetta,e hanno ad esser Tolti verso il vento taaolano o tramontano. L'alloro dal tramontar del l'Aquila al tramontare della Saetta; perchè corri sponde al pari Γ ordine del tempo e del piantare. Che questo si faccia nella primavera e nelPautuano, accordano il più degli autori. Éoci anco no altro tempo intorno al nascimento della Cani cola, conosciuto da pochi, perciocché noo si tro va che sia egualmente utile in tutti i luoghi; ma non però noi dobbiamo trapassarlo, siccome que gli che non andiamo discorrendo sopra la qualità di un paese solo, ma piuttosto di tutta la natura. Nel paese Cirenaico gli piantano quando soffiano i venti chiamati Etesie, e similmente in Grecia, e massimamente Γ ulivo nel paese t ó Lacede moni. L* isola di Coo pianta allora anche le viti. Gli altri appresso «le’Greci non dubitano d' inne stare a occhio, e a marza, ma di quel tempo non piantano alberi. La natura de* luoghi può molto ia questo; perciocché in Egitto piantano d'agni mese, e dovunque non piove la state, come in India e in Etiopia. Necessariamente dopo il detto tempo si piantano gli alberi nell' autunno. Sono adonque tre tempi della germinazione, la primavera, il nascimento della Canioola, e det1* Artaro. Non sono i soli animali bramo» del coito, ma molto maggiore aneora è la lussarla della terra e delle piante; la quale se si usa a tempo debito giova assai al concetto. E questo veramente è peculiare de* nesti, perche P uno e l'altro d 'essi ha gran desiderio di congiugnersi insieme. Coloro che approvano la primavera, cominciano subito dopo 1' equinozio, dicendo che le piante mettono, e perciò sono facili gE abbracciamenti delle cortecce. Quegli cbe lodano pià Pautonno, cominciano quando nasce Arturo, perchè le piante mettouo tosto qualche radice, e vengono alla primavera già apparecchiate, e la messa non lieva loro subilo le forze. Nondimeno alcune piante hanno in ogni luogo certa · deter minata stagione delPanuo per esser piantate · *n-
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVII.
Communis qaidem Italiae ralio tempora ad hunc modum distribuit; moro ab idibas Februa riis in aequinoctium, piro autumnum : ila al brumam quindenis, nec minus, diebus antece dant. Malis aestivis, et cotoneis, item sorbis, pro nis, post mediam hiemem io idos Februarias. Siliquae Graecae et Persicis, ante brnraam per •alumnum. Nucibus, juglandi, el pineae, et avel lanae, et Graecae, atque castaneae, · kalendis Marti is ad idos easdem. Salici, genistae, circa Marlias kalendas. Hanc ia siccis semine, illam in bomidis virga seri, diximus. 19. Est etiam nqno nova inserendi ratio, ne quid acicas quidem praeteream, quod usquam in venerim, Colomellae excogitata, ot ad firma t ipse, qua vel diversae insociabileeque naturae arborum copulentur, ut fici atque oleae. Juxta hanc seri ficum jubet non ampliore intervallo, qaam ut contingi large possit ramo oleae quam maxime sequaci atque obedituro : cumque omni interim tempore edomari meditatione carvandi. Postea fico adepta vires ( quod eveqire trimae, «at o li que quinquenni solet), detruncata superficie, ipsumque deputatnm, et, ut dictum est, adraso cacumine, defigi in crure fici, custoditam vinea lis, ne curvatura fugiat. Ita quodam propaginum insitorumque temperamento, triennio communiter duas matres coalescere. Quarto anno abscissum totnm adoptantis esse, nondum vulgata ratione, aut mihi cert? satis comperi·.
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a b l a q u b a n d is , e t
a d c u m o l a b b is .
nestaie, come ciriegi e i mandorli intorno la bra ma. Di molle piante ottimo giudice sarà il luogo. Perciocché i luoghi freddi e acquidosi voglionsi inalberare la primavera,!secchi e caldi l’autonno. L*usaoxa comune d'Italia distribuisce i tempi in questo modo : hassi a piantare i mori da* tre dici di Febbraio fino all* equinozio ; i peri fino all* autunno, ma però innami la brama almeno quindici giorni. 1 meli staterecci, i cotogni, i sor bi, e i sasini da messo verno sino ai tredici di Febbraio. Leearrabe e i peschi Paatunno innanzi la bruma ; i noci, i pini, i nocciuoli e i castagni dalle calende di Marso fino ai qoindiei del nHedesirao: il salcio e la ginestra intorno alle calende di Marzo. La ginestra dioemmo che si semina col seme ne* luoghi asciutti, e il salcio si pianta per verga in luoghi umidi. 19. Écci anco on altro nuovo modo d* inne stare ( per non lasciare addietro cosa alcuna, cb* io sappia), ritrovato da Colomella, come af ferma egli stesso, per lo quale possiamo accom pagnare insieme gli alberi di diverse e contrarie nature, siccome sono fichi e ulivi. Egli vuole che appresso all1 ulivo si pianti il fico, in modo che lo possa ben toccare il ramo dell* ulivo, il quale facilmente vi si curva e obbedisce, e di tanto in tanto con tolta diligenza s'avvezzi a piegarsi. Poi qaando il fico ha acqoistate le forze, il che avviene quando egli ha tre o cioque anni, radi la cima dell*nlivo, e così raso ficcalo nella gamba del fico, e legalo bene, acciocché la curvatura non si parta. Questa adunque è una terza sorte tra la propagine e il nesto : tre anni si lascia cre scere 1* ulivo fra doe madri, e il quarto anno ta gliato rimane tatto nell* albero, il quale 1* ha adottato. Questa maniera non è ancora divulgata, o almeno a me non è mollo not·. D e l l o s c a lz a e b b a c c u m u la b x ib to b s o G LI ALBBE1.
X X X I. Cetero eadem illa de calidis frigidis- XXXI. Qoella medesima ragione detta di so que,et humidis et siccis sapra dicta ratio, et scro pra de* caldi e freddi, umidi e secchi, n* ba bes fodere monstravit In aqaosis enim neque insegnato ancora come ή debbono far le fosse. a lto ·, neque amplos facere expediet: aliter io Perciocché nei loogbi acquidosi le fosse non vo •estuoso solo et sicco, otqaam maxime accipient gliono essere alte, nè larghe; d*altra maniera aquam, contineantque. Haec et veteres arborea nel terreno caldo e secco, acciocché ricevano di colendi ratio est. Ferventibus enim locis adeamolta acqua, e la ritengano. Questa è la maniera m olant aestate radices operiuntqoe, ne solis ar da tenere nel governo anche degli alberi. Per dor exurat. Aliubi ablaqueant, perflatusque ad ciocché ne* luoghi caldi ragonano la siate le ra m it tu n t . lidem hieme cumulis a gelo vindicant. dici, e le cuoprono, acciocché il caldo del sole Contra illi hieme.aperiunt, humoremque sitien non le abbruci. Altrove fanno loro intorno fostibus quaerunt. Ubicumque circumfodiendi ar sieelle, acciocché il T e n to penetri ; e il verno bores ralio in circuilu pedes io orbem ternos : aecumalandovi la terra, gli difendono dal freddo. neque id in pratis, quando amore solis humoris- Per lo contrario discoprono le radici il verno, e que in somma tellure oberrant. Et de arboribus cercano dare umore a quegli che sono assetali.
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haec quidem froctus gratia serendis inserendisque ju universum sint dicla.
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SALICTO.
in ogni loogo s 'osa lavorare il terreno Intorno agli alberi tre piedi, e ciò ' non si fa ne' prati, perchè per amor del sole e dell' amore le radici scorrono nella superficie della terra. Basti aver detto questo in universale degli alberi circa il piantargli e innestargli per cagione de* fratti. D el s ì l c e t o .
XXXII. ao. Hinc restat earum ratio, qoae XXXII. ao. Rimane ora a parlar di qaegli ehe si piantano per altri; e massimamente per le vigne, propter alias seruntur, ac vineas maxime, caedoo ligno. Principatum in iis obtinent salices, qnara m e fan legname sol da taglio. Fra questi tengono i! primo luogo i salci, i quali si pongono in loogo satio fit loco madido : tamen refosso duos pedes molle, cavando però il terreno doe piedi e mezzo, et semipedem, talea sesquipedali, vel pertica , qoae olilior, quo plenior. Intervallo esse debent col piantone d'un piede e metto, ovvero pertica, la pedes seni. Trimae pedibus binis a terra pnta- quale quanto è più grossa, tanto è migliore.Deb bono esser discosto sei piedi Γ on dall'altro, è tione coercentur, ut se in latitudinem fundant, quando hanno tre annj, si deono recider due piedi ac sine scalis tqndeantur. Salix enim fecundior est, qoo terrae propior. Has quoque omnibus an alti da lerra, acciocché in qrtel modo sì vengano nis confodi jubent mense Aprili. Haec est vimi allargando,e si possono potare senza scale. Perdoenalium cultura. Perticalis el virga et lalea seritnr, chè il salcio è tanto più fecondo, quanto egli è piò fossura eadem. Perticas ex ea caedi justam est presso alla terra. Vogliono ancora che ogni anno del mese
XXXJll. Aruudo eliamnom dilutiore, quam hae, solo gaudet. Seritur bulbo radicis, quem alii oculum vocant, dodraotali scrobe, intervallo duam pedum et semipedis : reficiturque ex sese velere arundineto exstirpato, qood utilius reper tum, quam castrare, sicut antea. Namque inter se radices serpunt, mutuoque discurso necantor. Tempus conserendi, priusquam oculi arundinum intumescant, ante kalendas Martias. Crescit ad brumam mque; desiuitque, quum durescere in cipit : hoc signum tempestivam habet caesuram. Et hanc autem quoties et viueam fodiendam putaut. Seritur et transversa, non alte lerra condita: erumpuutque e singulis oculis totidem plantae. Seritur et deplantata pedali sulco : binis obru tis gemmis, nl tertius nodus terram attingat: prono cacumine, nc rores concipiat. Caeditur de
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cabneto.
XXXIII. Le canne poi amano più dei sala il terreno dilavato. Piantansi i bulbi delle lor radi ci, i qoali si appellano occhi, discosto un brac cio e mezzo l ' nn dall' altro ; ed anche si ri fanno da sè stessi, svegliendo il canneto vec chio : e oiò si trnova assai più utile, che B coltrarle, come si facea prima, perdocchè le ra dici s'intrecciano insieme, e l'una ammazza l'altra. Il tempo da piantare il canneto è innanzi alle ca lende di Marzo, prima che gli occhi delle canne cominrìno a ingrossare. La canna cresce fino s mezzo Dicembre, e resta di crescere quando eH> cominda a indurire. Questo è il segoo che sia tempo di tagliarla, e vogliono ch'ella si lavori appunto quando te vigne. Piantasi a traverso, e non molto sotto, e quanti sono gli occhi, tante sono le messe. Cavasi, e poi si ripianti in un
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVII. crescente lana. Vineis anno siccata utilior, qaam viridis.
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e c b t b b i s a d p b b t i c a s b t p a l o s c a b d o is .
solco d* un piè, sotterrando due occhi di maniera, che il terzo nodo tocchi la terra, e ne stia enrva la cima, acciocché non ritenga la rugiada. Ta gliasi a luna crescente, e per le viti è più olile secca, die verde. D bgli
a l t b i c h b si t a g l ia n o p b b f a b
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p b b t ic h h ·
p a l i.
11 castagno è messo innanzi a ogni, XXXIV. Castane· pedamentis omnibus prae XXXIV. fertur facilitate tractatus, perdurandi pervicacia, altro legname per sostener vili o altro, perchè fa regerminatione eaedna vel salice laetior. Qnaeril cilmente s 'acconcia, dura assai, e rimetta in mag·. solum facile, neo tamen arenosum : rnaiimeque gior copia che il salcio. Ama il terreno facile, noi» sabulum bumidum, aut carbunculum, vel tofi però arenoso, e massimamente il sabbione umido, etiam farinam, quamlibet opaeo, septemtrionali- o il carbuncolo, o anche farina di tufo, in qualsi que et praefrigido situ, vel etiam declivi. Recusat voglia sito freddo e volto a tramontana, o anoha eadem glaream, rubricam, eretam, omnemque declive. Rifiuta il terreno ghiaieto, rosso, cretoso, terrae fecenditatem. Seri nuce diximus, sed nisi e ogni grassezsa di terra. Dicemmo che il nooe si ex maximis non provenit, nec nisi quinis acerva- pianta, ma non nasce se non delle noci grosse, e che tim sa tir. Perfringi solum debet supra, ex No sieno semioale cinque per posta. Debbesi romper· vembri mense in Februarium: qoo solutae sponte il terreno di sopra da Novembre fino a Febbraio, cadant ex arbore, atque subnascuntur. Intervalla perchè allora aprendosi da lor medesime caggiono iint pedalia, undique sulco dodrantali. Ex boc dall’ albero, e nascono di sotto. Lo spazio sia per Seminario transferuntur in aliud, bipedali inter tutto d’un piede, e il solco di un palmo. Da que vallo, plus biennio. Sunt et propagines, nulli qui sto scassio si traspongono in un altro, con ispazie dem faciliores. Nudata enim radice, tota in sulco di dne piedi, e più dopo due anni. Nessuno al prosternitur. Tum ex cacumine supra terram re bero ha più facili propagini, perchè scoperta la licto renascitur, et alia ab radice. Sed translata radice, tutto l'albero si piega giù nel solco. Allora liescit hospitari, pavetque novitatem. Biennio una ne rinasce dalla cima lasciata sópra la terra, fere poslea prosilit. Ideo nucibus potius, quam e un'altra dalla radice. Ma quando è traposta, non viviradicibus, plantaria caedua implentur. Cul sa alloggiare io loogo d’ altri, e teme la novità. tura non alia, quam supradictis, fodiendis supMette quasi doe anni dopo. Perciò i boschetti da ta putandisque per biennium sequens : de cetero gliare per far pali s’ empiono piuttosto di noci, ipsa se colit, umbra stolones supervacuos ene- che di alberi di viva radiee. Non s'ha a fare altra cante. Caeditur intra septimum annum. Sufficiunt coltura, che le dette di aopra, cioè di zappare · pedamenta jugeri unius vicenis vinearum juge potare per doe anni ; del resto dia da sè medesima ribus, quando etiam ea bifida stirpe fiunt, dosi coltiva, perciocché Γ ombra sua ammazza tutte fantque ultra alteram silvae suae caesuram. le messe superflue. Tagliasi in sette anni, e nn in· gero di queste piante dè pali che bastano a venti iugeri di vigne, perchè ancora si fendono in dne, e durano fino all* altra tagliatura della sua selva.! 4 L* ischio si taglia anch’ esso, ma tre anni più ' Esculus similiter provenit, caesura triennio tardi, ed è manco fastidioso a nascere. In qualun aenior, minus morosa nasci. In quacumque terra teritur, hascilur e balano, sed non nisi esculi : que terra si «emina, nasce delle sue ghiande, le fccrobe dodrantali, intervallis duorum pedum : quali si pongono un palmo sotterra, distanti seritor leviter qualer anno. Hoc pedamentum mi uoa dall’ altra due piedi : si semina quattro volta lii me putrescit, caesumqne maxime fruticat. Prae 1*anno. Questo palo non marcisce ponto, e s'egli te r haec, sunt eaedua quae diximus, fraxinus, è bene offeso, tuttavia germoglia. Oltra questi che lauros, Persica, corylus, malus, sed tardius nas abbiam detto, si tagliano ancora U frassino, l’ al·· cuntur : terramque defixa vix tolerant, non mo· loro, il pesco, il nocdoolo, il melo, ma nascono piò d o humorem. Sambucus contra firmissima ad pa tardi, e fitti comportano a mala pena la terra, noa lu m taleis seritur, nt populus: nam de oepresso che l’ umore. Per lo contrario il palo del sambuco è fermissimo, e piantasi per piantoni, come 1’op-. aatis diximus. pio: del cipresso abbiamo ragionato abbastanza.
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GOVERNA*! L E V IG E E
E GLI ARBUSTI.
XXXV. ai. Et praedictis velat armamentis XXXV. 2i. Ora avendo noi ragionato dei vinearum, restat ipnrum natara, praecipua tra predetti, come armamenti delle vigne, rimane a denda cura. dire della natura e della prindpal c a r a d* esse. Vitiam furculis et quarumdam arborum, qui Le vermene delle viti, e di certi alberi, i qaali bus fungosior intus natura est, geniculati scapo- hanno il di dentro fungoso, appartano la midolla /um nodi intersepiunt medallam. Ferulae ipsae con alcuni nodi. Le ferule stesse, che son corte breves et ad summa breviores, articulis utique e sottili, e molto più verso la cima, dividono i duobus internodia includunt. Medulla, sive illa bncduoli per due giunture. La midolla, o se vitalis anima est, ante se tendit longitudinem im piuttosto è anima vitale, si distende innanxì, e spingesi in lunghezza, se il nodo le d i aperta la pellens, quamdiu nodi pervia patet fistola. Quum via; ma se esso la ottura affatto, la midolla quasi vero concreti ademere transitum, repercussa che ributtata, torna indietro ed erompe nella sua erumpit, ab ima sui parte, juxta priorem nodam parte più ima, ovvero appresso al primo nodo : alternis laterum semper inguinibus, at dictam est in arondine ac ferola : quorum dextram ab qaesto medesimo fa la midolla del buccinolo di imo intelligitnr articulo, laevum iu proximo, at sopra ; ma però di maniera che Γ una germoglia qoe ila per vices. Hoc vocatur in vite gemma , dal lato destro, e Γ altra a vioenda dal lato sini· quam ibi cespitem fecit. Ante vero quam faciat, stro, e cosi via via, siccome s 'è detto della canoa in concavo oculus : et in cacamine ipso, germen. e della ferula. Tale germoglio nella vite si chiana Sic palmites, nepotes, uvae, folia, paropini gi gemma, qaando vi fa cespo ; ma primo che lo gnuntor. Mirumque, firmiora esse in dextra parte faccia, nella parte concava si domanda occhio, e genita. nella punta germine. Così nascono i trald, i ni poti, Γανβ, le foglie e i paropani. E fa meraviglia come i detti germogli nati nella parte ritta son più gagliardi. Bisogna dunque, quando si piantano, segare Hos ergo in surculis nodos, qunm serantur, medios secare oportet, ita ne proflnat medulla. questi nodi per meno, acciocchì la midolla non E t in fico quidem dodrantales paxilli solo pate cada. Del fico si piantano paletti, aprendo prima il terreno, e mettendo sotto la parte che toccava facto serantor, sio at descendant qaae proxima P albero, tanto che dae occhi rimangano fuor arbori fuerint, dao ocnli extra terram emineant. Ocali autem in arborum surcalis proprie vocan «Iella terra. Occhi nelle vermene si chiamano tur, unde germinant. Hac de eaasa et in plantariis propriamente quelle gemme, donde mettono il germoglio. Per questa cagione ne' piantarii fan aliqaando eodem anno ferant, quos fuere laturi fructus in arbore: quum tempestive sati prae no talora fratto il medesimo anno, il qoale airebgnantes, inchoatos conceptus aliubi pariunt. Ita bono avuto a lare nell'albero. Quando ai spiccano già pregne, allora partoriscono nello acassio. I satas ficos, tertio anoo transferre facile. Hoc pro senescendi celeritate ad tribu tam huic arbori, ut fichi così piantati si possono poi trasporre il terzo unno. La natura ha concesso a questo albero, per ditissime proveniat. chè egli tosto invecchia, che faccia di copiosissuno i frutto. Molteplice è il piantar delle viti, e ricerca Vitium numerosior satus eit. Primum omnium nihil seritor ex his, nisi inutile, et deputatum in maggior diligenza. Per primo non si pianta nolla sarmento. Opputatur autem quidquid proximo di esse, se noo cosa disutile, e sermenti di pota tura. Però potasi quello, che poco dinanzi ha Iniit fractum. Solebat capitulatus utrimque e du ro sarculas seri: eoqae argomento malleolos vo fatto fratto. Solevasi piantare il magliuolo tolto catur etiam nane. Postea avelli cum sua calce del duro, e da ogoi parte capitato, e per qaesto coeptus est, ut in fico : neqne est aliud vivacius. ancora al preseote si chiama magliuolo, ossia mar Tertiam genas adjectam etiamnam expeditias tellino. Cominciossi poi a spiccarlo col suo zoc sine calce, propter qaod sagittae vocantur, qaam colo, come nel fico ; nè altro ce n' è più vivace. intorti pangaotur: iidem quum recisi nec intorti, Èssi aggiunto il terzo modo ancora più espeditivo senza zoccolo, onde'i magliuoli si chiamano trigemmes. Plures autem ex eodem surculo hoc modo fiaot. Serere e pampinariis sterile est, nec saette, qaando si ficcano ritorti. 1 medesimi qaaodo son riciii, e non ritorti, si chiamano trigeaassi. nisi fecundo oportet. Quae caros habet nodos,
HISTORIARUM MUNDI UB. XVII. ia fecunda judicator. At deoiitas gemmaram, fer tilità lis iadiciam est. Qoidam aeri vetant, nisi eo· qui floruerint, sarculos. Sagittas serere minus utile, quoniam in tranaferendo facile rumpitur quod intortum fuit. Seruntur pedali, oon brevio res, longitudine, quinque aexve nodorum. Pau ciores tribus gemmis in hac mensura esse non poterunt. Inseri eodem die, quo deputentur, uti lissimum. Si multo postea necessesit serere custo ditos uti praecepimus, caveri utique, ne extra terram positi sole inarescant, ventove aut frigore hebetentur. Qui diutius in sicco fuerint, prius quam serantur, in aqua pluribus diebus revi rescant.
E per questo modo se ne fanoo molli da an me desimo tralcio.. 11 piantare tralci pampioarii è cosa sterile : non bisogna torre se non di quel che fanno frutto. Quegli che hanno i nodi rari, sono tenati sterili ; ma gli occhi spessi sono segno di fertilità. Alcuni non vogliono che si piantino, sa non. quei tralci che hanno fiorito. È men utile piantare le saette, perchè nel trasporle facilmente si rompe ciò che è stato torto. Pongonsi non più corte che un piede, di cinque o di sei nodi; nè dovranno in questa misura aver manco di tre gemme. E utilissimo porgli il di che si potano ; e se bisogna indugiare, si debbono tener custo diti, come abbiamo insegnato, e aver cura che posti sopra la terra, non sieno risecchì dal sole, o non sieuo offesi dal vento e dal freddo. Quegli che lungamente^ sono stali in secco, prima che si piantino, per più giorni si tengono nell* acqua, acciocché rinverdiscano. Nel piantario o vigna deesi con la vanga ca Solum apricum et quam amplissimum in se minario, sive in vinea, bidente pastinari debet vare il terreno aperto ed esposto al sole per tre ternos pedes bipalio alio: marra rejici quaternum piedi in lungo, e gettarlo sopra con la marra a ricuocere e fermentare all'altezza di quattro pie pedum fermento, ita ut pedes binos fossa proce di, sicché la fossa abbia due piedi di fondo. La dat. Fossum pnrgari, et extendi, ne crudum re fossa vuoisi poi purgare e distendere, acciocché linquatur : verum et exigi mensura. Male pasti possa fermentare ancb’ essa, osservando però la natum deprehendunt scamna inaequalia. Metien da est et ea pars, quae interjacet pulvini. Surculi debita misura per lungo e per largo. Le pancate disegnali mostrano il terreno essersi mal cavato. sernnlnr et in scrobe et in sulco longiore, super Debbesi misurare ancora l1 aietta che è in mezzo quos tenerrima ingeritur lerra. Sed iu gracili solo frustratiti substrato pinguiore. Nec minus quam fra solco e solco. 1 magliuoli si pongono e in duos integi oportet, et proximam attingi terram: fossette, e in solco più lungo, e sopra vi si mette eodem paxillo deprimi et spissari. Interesse in tenerissima terra ; ma in terreno sottile e magro plantario sesquipedes inter bina semina in lati vuoisi metter sotto terreoo, più grasso. Non biso tudinem, in longitudinem semisses. Ita satos mal gna coprirne manco che due,.e toccare la pros leolos q u a r to et vicesimo mense recidere ad imum sima terra, e col medesimo palo premerla, e articulum, nisi ipsi parcatur. Oculorum inde ma spessarla. Ne* piantarii sia spazio da una pianta teria emicat, cum qua sexto ac tricesimo mense all* altra an piede e mezzo per larghezza, e per viviradix transfertur. lunghezza sei once. I magliuoli così posti si ta gliano in due anni fino all* ultimo occhio ; ma se si vuole guarenlar quest'occhio da offese, si taglia sopra il penultimo. Di qaindi escono, le mfetse, con le quali il terzo anno si traspone la vite già for nita di radici. Est et luxuriosa ratio vites serendi, ut qua V’ ba pure un* altra maniera di piantare la tuor malleoli vehementi vinculo colligentur in viti, ma questa è più da lusso. Si legano stretta parte luxuriosa : atque ita vel per ossa bobuli mente .quattro magliuoli là dove sono .più rigo cru ris, vel per colla fictilia trajecti, obruantur gliosi, e fattili passare per 1* osso di ooo stinco di binis eminentibus gemmis. Humescunt hoc modo, bae, o pel collo di an vaso di terra, s* affossano, recisique palmitem emittunt. Postea fistola fra· lasciando di sopra dae gemme per magliuolo. A eia radix libere capit vires,, uvaque fert omnium qaesto modo inumidiscono, e potati mandano corporum suorum acinos. In alio genere inventa fuora i tralci. Rotto poi. Tosso o. il vaso, la novitio finditor malleolus, medullaque erasa, in radice liberamente. piglia fona, e l’ uva viana ae colligantur ipsi caules, ita ut gemmis parcator cogli acini della grandezza propria in ogni specie. omni modo. Tum malleolus io terra fimo mixta Di fresco s* è ritrovato di fendere.il magliuolo, aerilar,et quum spargere coepit caules, decidi tur, e rasa la midolla, legarne insieme, i gambi* in foditurque. saepius. Talis uvae acinos nihil intus quella parte, in modo però che gli occhi noa
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C. PUNII SECONDI
ligoi habituros Columella promittit, quara vivere semina ips* perqoam miram sit, medulla adem pta. Nasci aureolos etiam quibus non sit artica· •latio arboris, non omittendum videtor. Naiaqoe buxi tenuissimis quinis senisve colligatis depacti proveniunt. Quondam in observatione erat, ut defringerentur ex imputata boxo, aliter vivere uon erediti: detraxere hoc experimenta.
Semioarii cnram sequitur Tinearum ratio. Quinque generum hae : sparsis per terram pal mitibus, aut per se vite subrecta, vel cum admi niculo sine jugo, aut pedatae simplici jugo, aut compluviatae quadruplici. Quae pedatae ratio 'erit, eadem intelligitur ejus qooqae, in qua sine adminiculo vitis per se stabit. Id enim non fit, ‘nisi pedamenti inopia. Simplici jogo constat porrecto ordine quem canteriom appellant. Me lior ea vino, quando sibi ipsa non obumbrat, adsidnoque sole coquitur, et adflatom magis sentit, et celerius rorem dimittit : pampinationi quoque et occationi omniqoe operi facilior. Super cetera defiorescit ntilius. Jugum fit pertica, ant arundine, aut crine, fonicolove, ut in Hispania, Brondisiiqoe. Compluviata copiosior vioo est, dicta a cavis aedium compluviis. Dividitur in quaternas partes totidem jugis. Hojus aerendi ratio dicetur, eadem valHnra in omni genere, io boc vero numerosior tantam.
ao. Hi· vero tribus «eritar modis : optime io peatioato, proxime sole», novissime in scrobe. De pastinatione dictam est. Sulco lalitado palae «alia est;scrobibus toreorum pedum io quamque -partem. Altitudo m quocumque geoere tripeda lis, ideo oee vitis minor transferri debet, exsta to ra etiamoom doabes gemmis. Emolliri terram jBsaotia io scrobe imo sulcis, fimoque misceri, lieoeasariom. Clivosa alliores poscunt scrobes, praeterea pulvinatis a devexitate labri·. Qui ex èi» longiores fient, ut vites binas occipiant e «diverse, alvei vocabuntur. Esse vitis radicem ia « d i o scrobe oportet : sed ipsam innixam solido in orientem aequinoctialem spectare : adminicula frima o calano aodpere.
vengano a guastarsi. U magliuolo allo» si pianta sella terra mescolata eoo lo stereo, o qoando comincia ad allargare i gambi, si tagli·* e tap pasi spesso. Dice Columella ehe i granelli di tali ove non avranno dentro noccioli; ancora che sia come un miracolo cbe tali piante vi vano, essendo levala lor la midolla. Non è da tacere che fanno radici anche le vermene diqoe* gli alberi che non hanno articolazione. Perchè pigliandone cinque o sei del bosso sottilissime, legate insieme e piantate, vivono. G ii tempo si credeva, che se non si spicassero dal bosso noo potato, non dovessero vivere altrimenti ; ma la prova chiari questo dubbio. Dopo aver parlato della piantagione delle viti, s'ha a dire delle maniere di tenerle, le quali soo cinque; o quando le viti spargono i tralci per terra, o quando per sè stesse si reggono, o quando elle sono palate di un sol palo senza traversa o giogo, o qoando elle hanno una traversa sola, o qnando elle I1 hanno quadruplicalo e vi si ripiegano di sopra a modo di pergola. Dna medesima forma ha qoella che è senza palo, e quella che ha il palo senza giogo, perchè manca di appoggio. Semplice giogo si fa, qoando le viti stanno per ordine disteso, che si chiama cantiere : qoeste fanno miglior vino, perchè non fanno ombra a sè stesse, e I* uva si ricuoce dal sole, e sente più tosto il moto dell* aria, e più tosto scoote giù la rugiada, ed è più facile ad essere spampanata, erpicata, e a ricevere ogni altra coltura ; e sopra ogni altra cosa sfioriscono megtio. Fasti il giogo o con pertica, o con canna, o con crini, o eoo funi, come veggiamo farsi in Ispagna e a Brindisi. Le compluviate fanno più vino, e sono cosi chiamate flalta forma delle case, le qusli hanno groodaie da ogni parte. Dividonsi in quattro parti sopra altretlaoti gioghi. Diremo la maniera di piantar qoeste vigne, maniera che ha a valere io ogni specie, ma che in questa è sol più varia. aa. Piantansi in tre modi: il miglior di tutti è nello scassio, dipoi nel solco, il terzo nelle fosse. Dello scassio già s 'è ragionato. Il solco basta che sia largo quanto la pala o badile : le fosse sieno tre piedi per ogni parte. L’ altezza in ogni sorte d 'affossamento dee esser di tre piedi, e perciò noo si debbe trasporre vite di minor misura, do vendone dalla terra sopravanzare doe oeehi. 11 fondo della fossa abbia il terreno smosso, e me scolato coi litanie. 1 poggi ricercano fosse piò profonde, il eoi orlo inferiore dee «sere coca· ammontieato, perchè il declivio non frani già. Le fosse acavate più in luogo, acciocché pigiato dna viti a rincontro, si chiameranno alvei. Bisogna che la radice della vite sia io m eno della fsasi, ■ma che casa appoggiatasi sol «odo «ia vqlta a le-
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HISTORIARUM MORDI-UB. XVII.
Vineae limitari decumano xvm peduaa latitu dinis ad contrarios vehiculorum transilui, aliisqae transversis limitibus denum padana distingui per media, jugera. Aut si major modus sit, lotidem pedum cardine, quot decumano, limitari. Seraper «ero quintanis semitari, hoc est, ot quinto quoque palo singulae jugo pagina* inda·' dantur.
S o l· spisso, non nisi repastinato, nee nisi viviradicem seri : tenero et soluto, tei malleolum, suloo, vel scrobe. Io colles sulcos agere transver sos, melius quam pastioare, ot defluvia palis eorom contineantur. Aquoso coelo, vel sieco aolo malleolos serere automoo, nisi ai tractus ratio mutavit. Siccos enim el calidos autumno poscit seri, humidus frigidosque etiam veris exito. In arido solo viviradix quoque frustra aeritor. Male #1 ία siecis malleolus, oisi post imbrem. A l io riguis, vd frondens vilis, et usque ad solstitium recte, ot io Hispania. Quiescere veotos satioois die utilissimam. Plerique Austros optant, Cato abdicat.
Iateresse, medio temperamento, io ter binas vites oportet pedes q o i o o s : minimam aateaa laeto solo pedes qoateroos: tenui,, plurimum octonos. Umbri et Marsi ad vicanas intermittunt arationis gratia io bis, qoae vocant porcule la. P io vio et caliginoso tracta rariores poni, sicco densiores congrait. Subtilitas parciowniae com pendia invenit, quum vioea io pastinato serilur, obiter seminariam faciendi, at et viviradix loco too, et malleolos, qui I r s o s f e r a lu r , inter vites e l ordines serator. Qoae ratio vn jogero circiter •edecsno millia viviradicem donat, loterest aotem bienniaro fructus, qao tardius in salo provenit, quam in translato. Vivivadix posila ia vinea post annum resecator osqoead terram, ut ooos taotom em ineat ooulus, adminiculo juxta adfixo, et fimo addito. Simili modo et secundo anne reciditur, v i r e s q o e concidit, et intra se pascit suffectaras oneri : alias festinatione periendi gracilis atqae ejuncida, ni cohibeatur caslifaiione tali, in fetum ex ea t tota. Nihil avidius oasdlor : ae nisi ad pariendam vires servenlur, tota fit letas.
vante equinoziale : debbe avere i primi pdi di caooe. Le vigoe nella via maestra da levante a ponente deooo avere diciotto piedi di larghezza, acciocché due carri incontrandosi vi possano passare, e nelle traverse per mezzo ai campi si debbono porre a distanza di dieci piedi ; o se pure è maggiore spazio di vigna, sieno a distanza dì tanti piedi, d# mezaodi a tramontana, di quanti nella via maestra da levante a ponente. Ad ogni quinto pdo sia spazio libero, cioè, sieno i pali aggiogati a cinque a cinque, con un tramezzo dopo ogni giogo. Nel terreno spesso non si dee piantare, s’ egli non è pastinato, nè vi s* ha a mettere magliuolo che non abbia radice. Ma se il terreno è tenero, o stritolato, pianterai il magliuolo nel solco, o nella fossa. Nei poggi torua meglio fare i solchi per traverso, che pastinare il terreno, acciocché quelle cose che menano l ' acque, sieno ritenute dai pali loro. Piaatinsi i magliuoli l’ autunno; quaodo l'aria è umida, o il terreno è secco, se già laqoalitidd paese non rìcercaaltrimeoti.Percioe^ chè il terreoo secco e caldo richiede di esser pian tato 1* autunno, e l’ umido e freddo all* uscir della primavera. Nd terreno secco si pianta invano an^ che queMa vile che è di viva radice ; e mde si pianta il magliuolo ne* luoghi secchi, se nòn dopo la pioggia. Ma nei laoghi acquosi aneora la vii· coo la fronde, e insioo al solstizio, si pianteci benissimo, eoaae io Ispsgaa. £ cosa atilissim#, che nel giorno ehe si piantano, non tiri ventò alcuno. Molti desiderano i venti di Ostr·, mà Catone non gli voole. Bisogna che lo spazio di mezzo fra le dae viti in suolo mediocre sia cinque piedi : ma nel ter* reno grasso quattro piedi almeno, e nd sottile otto al piò. In Umbria e a d paese dei Marsi la*· sciano spaxii di venti piedi, perchè vogliono pottervi arare, e li chiamano porculeti. Nei looght piovosi e nebbiosi si debbon porre più rare, e ne* secchi più spesse. La industria e la masserizia baa trovalo brevità, perciocché nd sito pastina to, dove si pianta la vigna, si fa aocora semina* rio, al fioe che la pianta M étta le sue radia ael proprio sao la o g o , e Ira 1*ordine ddle Viti si pooe il magliuolo, il qude poi si trasponga. Qoe sto modo di fare da io no iagero d* ia torno a sediei mila viti eoo le radici, e in due anni dà il frutto, il quale vien piè tardi di vjleche si pianta, che non di qoella che si traspone. La vite piantata con le radici odia vigna ia cap* dell* anno si taglia fino appresso terra, ai che paia fuori solo un occhio, piantandole appresso un palo, e dandole del litame. In simil modo si taglia aocora il secoodo anno : così piglia le forze, e dentro a sè le nodriece, perchè elle pos-
C. PLINII SECUNDI
Pedamenta optima, qaae diximas: aut ridicae e robore, oleaqne : aot si noo sint, pali e junipe ro, cupresso, laburno, sambuco. Reliquorum generum sudes omnibus annis reciduntur. Sala» berrima in jugo arando connexa fasciculis, darat quinis annis. Qaum breviores palmites sarmento jungantur inter se fanium modo, ex boo arcus faneta dicuntor.
Tertias vineae annas palmitem velocem roba· stamque emittit, et quem facit aetas vitem. Hic in jugam insilit. Quidam tunc ex caecant euro, supiua falce aaferendo oculos, at lougias evocent noxia injaria. Utilior enim cooauetudo parieadi, saliasqae pampinos adjugatae detergere, usque quo placeat roborari eam. Sunt qui vetant taogi proximo anno quam translata sit: oeqoe ante l x mensem falce curari : tunc autem ad tres gemmas recidi. Alii et proximo quidem anno recidunt, sed ut ternos quaternosve singulis annis adjiciant articulos, quarto demum perducant ad jugum. Id atrumqoe fractum tardam, praeterea retorri dam et nodosam reddit, pamilionam incremento. Optimam autem, matrem es|e firmam, postea feium audacem. Nec tutum est quod cicatricosum, 1 magno imperitiae errore. Quidqnid est tale, plagis nascitor, nou e matre. Totas enim habet illa vires dum roborator : et annuos accipit tota fetus, quam permissam faerit nasci. Nil natara portio nibus parit. Qnae quum excreverit, satis firma protinns io jugo oolloeari debebit : sin etiamnum infirmior erit, sub ipso jugo hospitari recisa. Viribus, non aetate decernitur. Temerarium est, ante crassitudinem pollicarem viti imperare.. Se quenti anno palmites serventur pro viribos matris unguli aut gemini. Iidem et secuto, si coget infir mitas, nutriantur : tertioque demum duo adji ciantur. Nec sunt plures quaternis umquam per mittendi. Breviterque, non indulgendam est, et semper inhibenda fecunditas. Ea est enim natura, ut parere malit, qaam vivere. Quidquid materiae •dimitur, fructui accedit. Illa semina mavalt, qaam fractam gigai, qaoniam fractus caduca res est. Sic perniciose luxuriat : nec ampliat se, sed egerit.
sano sopportare il peso della prodnxiona : altri menti per la fretta di far frutto invanisce, e se non si raffrena con tal castigo, se he va tutta in messe. Non nasce cosa alcuna pià ingorda ddla vite, e se non si riservano le sue forze per far frutto, diventa tutta pampan» e foglie. 1 migliori pali che si facciano, son quegli ebe abbiamo detto, o le pertiche di rovero e di olivo, o in. mancanza di qoeste, qodle di ginepro, di dpresso, di laburno e di sambuco. Le pertiche degli altri alberi si tagliano ogni anno. Utilissime nelle traverse son le canne, ma che aieno pià e legate insieme, perchi bastano fino a ciaqoe anni. Quando i tralci son corti, si legano insieme can un sarmento a gnisa di fune, e perdò tali archi si chiamano funeti. La vigna il terzo anno mette il tralcio gagliar do, e di rapido incremento, il quale col tempo si fa vite. Questo tralcio sale nel giogo. Alcaoi al lora gli tagliaoo via gli occhi eoo la ronca, acctoochè quella ingiuria Io froda arescere pià rigo glioso. Di fatto, perchè la vite ingagliardisca, la è molto atile il partorire ; ma è meglio levare i pampani a quella ehe è nel giogo, infino a che ή voglia fortificarla. Alcuni noo vogliono cbe ella si tocchi oel secondo anno che è trasposta, nè che vi si adoperi intorno la falce fin che ella non ha poco più di quattro anoi ; e allora le lasciano tre occhi. Alcuni altri la tagliano il secondo anno, ma io modo che ogni anno ▼’ aggiungono tre o quattro nodi, e finalmente il quarto anno U con ducono al giogo. Ambedue qaesti modi ottengono tardo il frutto, e oltra dò abbronzato e ronchioso, e la vite cresce nel modo che gli alberi nani. È molto meglio che la madre sia ferma e gagliarda, perché fa .poi il fratto rigoglioso. Non è molto sicaro il germoglio che viene da qualche cicatrice, e l’intaccare la vite a qaesto fioe è cosa da imperiti* nascendo qoel germoglio da aoa piaga, e noo dalle madre ; perdocchè dia ha tutta la eoa robastessa, mentre che si fortifica, e tutta eoncepe ogni anno il frutto, qualvolta non le si levano le gemme. Noo partorisce la oatora cosa alcuna pie porzioni. Quando sarà dunque cresciuta abba stanza ferma, subito si dovrà mettere nel giogo. E se pure ella ancora sarà poco gagliarda, stia* recisa sotto il giogo, perché se ne dee far giudicie dalle forse, e non dal tempo. E cosa temeraria lasdare che la vite lussureggi innanzi che dia sia grossa quanto è il dito pollice. L'anno se guente si debbono lasdare i trald aeeondo b forze della madre, o uno, o due ; e quei medesi mi trald lasdnsi craaoere il seoondo anno, se naa pare che la debolezza della vite ricerchi altri menti ; e alla fine il terzo anno aggionganseae due altri. Nè però se gliene hinuo mai da lasciare
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVII.
Dabit consilium et soli natura. In macro, etiamsi vires habebit, recisa iotra jugum moretur, e t omois felura sub eo exeat. Minimum id esse debebit intervallum ut attingat jugum,speretque, non teneat : adeo non recumbat in eo, nec deli cate se spargat. Ila temperetur hic modus, ut crescere etiamnum malit, quam parere.
Palmes duas tresve gemmas sub jugo habere debet, ex quibus materia nascatur : tunc per jugum mergi alligarique, ut sustineatur jugo, non pendeat. Vinculo mox adstrictus a tertia gemma alligari ; quoniam et sic coercetur impetus materiae, densioresque citra pampini exsultant : cacumen religari velant. Natura haeo est : dejecta pars, aut praeligata, fructum dat, plurimumque ipsa curvatura. Quod citra est, materiem mittit, offensante, credo, spiritu, et illa, quam diximus, medulla. Quae ita emicuerit materia, fructum dabit anno sequente,
Sic duo genera palmilnm : quod e duro exit, roateriamque in proximum anoum promittit, pampinarium vocatur: at obi supra cicatricem eat, fructuarium. Alterum ex anniculo palmite, aemperque fructuarium. Relinquitur sub jugo et qui vocatur custos. Hic est novellus palmes, non longior tribus gemmis, proximo anno materiam daturus, si vitis luxuria se consumpserit Et alius juxta eum, verrucae magnitudine, qui furunculus appellatur, si forte custos lallat.
Vitis anteqoam septimum annum a surculo compleat, evocata ad fructum evanescit, ac mo ritur. Nec veterem placet palmitem in longum, et ad quartum usque pedamentum emitti, quod alii dracones, alii juniculos vocant, ut faciant quae masculeta appellant. Quum induruit vitis, pessi mum in vinea traducere. Quinto anqo et ip
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più che quattro. A dir breve, non è da lasciar le ire come vogliono, ma sempre si dee raffre nare la fecondità loro ; perchi la lor natura i piuttosto di volere far fratto, che conservare la vita. Quanto si vien togliendo alla vite, altret tanto s 'aggiugne al fratto. Ella, piuttosto che il fruito, vuol partorire i rampolli che la propa ghino, perchi il frutto è cosa caduca. E cosi dan nosamente va lussuriando, e non *’ aggrandisce, ma si vota. Anche la natura del terreno in questo ci darà consiglio. Nel terren magro, eziandio se la vite avrà forze, si recida e non si lasci sormontare il giogo, acciocché tutta la messa esca sotto di quello. Però tale intervallo dee essere pochissimo, aoeiocchè la vite tocchi almeno il giogo, e si lu singhi di superarlo, se anche non dee giacervi sopra e dilatarvi morbidamente le sue propagini. Così però dee essere temperata, che voglia piut tosto crescere, che partorire. Il tralcio dee avere due o tre occhi disotto il giogo, de* quali escano altri sermenti. Quando gli ha messi, convien distenderli per lo giogo e legarli, acciocchì sopra quello si riposino e giù non pendano. La legatura si faccia dopo la terza gemma e si stringa ben forte, perchi a questo modo si raffrena l’ empito del mettere, e sono più folti e più vegeti i sermenti che vengono sotto alla legatura : le cime non si convengono legare. Tal vite ha natura si fatta, che dà il frutto nel sermento più basso, o in quello che ha innanzi a si il legame, e massimamente nella piegatura. Quello che è di mezzo, è legno sterile, forse, co me io credo, perchi Γ umore tì trova intoppo, non che la midolla, di cui s 'è ragionato. 1 ser menti sterili faranno frutto 1* anno seguente. Così sono due sorti di tralci : quello eh' esce dal duro, e promette sermenti per I* anno che viene, si chiama pampinario, o se i sópra la cica trice si chiama frottuario. L'altro nasce dal tral cio d1 un anno, ed i sempre frultuario. Lasciasi sotto al giogo anche quello che si chiama custo d e il quale i un tralcio novello di tre soli occhi, da doversi lasciare pel vegnente anno; se la vite per troppo mettere fosse consnmata. Se oe lascia anche un altro appresso quello, grande quanto un bitorzo, il quale si chiama furunculo, se per caso il custode mancasse. La Vite innanzi a sette anni da -che se n’ è piantato »1 tralcio, se i stimolata al frutto, svani sce e si secca. Ni mi piace che i tralci vecchi va dano per lo lungo insino al quarto palo, che alcuni chiamano dragoni, alcuni giuniculi, per far quegli che si chiamano masculeti. Quando la vite è indurata, è cosa molto malfatta distenderla ne' pali vicini che ne fossero senza. 1 tralci anche
C. PLINII SECUNDI materiae emittuntur, ae deinde e proximi·, prioresque amputantor. Semper custodem relinqui melius: sed is proximus vili esse debet, aea longior quam dictum est: et, si luxuriaverint palmites, intorqueri, ut quatuor materias, vel duas, si unijuga erit vinea, emittat
Si per se vitis ordinabitur sine pedamento, qualecurnque initio adminiculum desiderabit, dum stare condiscat et recta surgere. Cetera a primordio eadem. Dividi autem putatione pollices aequali examine undique, ne praegravet fructus parte aliqua, obiter idem deprimens prohibebit in excelsum emicare. Huic vineae trium pedum altitudo excelsior nutat : celeris · quinto, dum ne excedat hominis longitudinem justam, lis quoque quae sparguntur in terra, breves ad innitendum cannas circumdant, scrobibus per ambitura factis, ne vagi palmites inter se pugnenk qccursantes: majorquepars terrarum ita rapinam ip tellure vindemiam metit. Siquidem et in Africa, et in Aegypto, Syriaque, ac tota Asia, ct multis Ipcis Europae hic mos praevalet Ibi ergo juxta terram comprimi debet vitis, eodem modo et tempore nutrita radice, quo in jagala vinea : ut «emper pollices tantum relinquantur: fertili solo, cam tribus gemmis : graciliore, quinis: praestat* que multos esse, quam longos. Qoae de natura •oli diximus, tanto potentiora sentientur, quanto propior fuerit uva Urrae.
Genera separari, ac singulis conseri tractibus utilissimum. Mixtura enim generum etiam in tino, non modo in musto dtsoors: aut si miscean tur, aon alia, quam pariter maturescentia, jnngi neaessarium. Juga altiera, quo laetior ager, ct quo planior : item roscido, nebulose, minusque ventoso conveniant. Contra, humiliora gracili et irido, aestuoso, ventisqiie exposito. Juga ad pe damentum quam arctissimo nodo vinciri oportet, vitem levi contineri. Qnae genera vitium, et in qaali sole coeloquc essent conserenda, qonm enumeraremus naturas earum et vinorum, noi*· vioo».
De reliquo cultu vehementer ambigitur. Ple» rique aestate lota post singulus rores confodi
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essi si piegano il quinto anno,e ciascuno si lascia mettere,e dipoi i pià vicini, e i primi si tagliano. Lasciarvi il custode è sempre meglio, ma bisogaa che sia presso alla vite, ni più lungo che noi ab biamo detto ; e se i tralci avessero lussuriato, si potrà piegare, acciocché metta quattro sermen ti, o due, se la vigna sarà sostenuta da un solo giogo. Se la vite s’ assetterà da sè stessa senza pale, avrà nondimeno bisogno da prima di qualche sostegno, tanto ehe s'avvezzi a star su, e a crescere diritta. Gli altri principii sono i medesimi ; cioè' qoanto spetta a fosse, piantagione e somiglianti cose. Qaando simili viti si potano, bisogna bi lanciarle da ogni parte, acciocché il frutto poi non le aggravi più da una parte, che da un'altra, e impedisca a qaella parte che n 'è gravata di volgersi egnalmente all' insù. Sia Γ altezza di questa vile tre piedi, perchè altrimenti noo si reg* gerebbe : l ' altre sieno alte cinque, purché noa passino la statara d'un uomo. Anche a quelle viti che si spargono per terra, mettono qualche so stegno, facendo loro intorno fosse, acciocché i tralci distendendosi, non s'incontrino con qaegli dell'altre viti, e contrastino insieme : la maggior parte del mondo tiene le vigne basse in questo modo ; perchè in Africa, in Egitto, in Siria, per totta l'Asia, e in molti luoghi dell* E aropa è questa usanza. Quivi dunque ri debbe ritenere la vite presso a terra, e nutrirne la radice nel medesimo modo e tempo che nella vigna ehe ha i gioghi, di maniera che se le Uscino sempre i tralci più grossi nel terreno grasso con tre occhi, e nel magro con cinqne ; perchè è meglio che sieoo molli, anzi che lunghi. Quelle cose che noi ab biamo dette della natura del terreno, tanto piè visibilmente si conósceranno, quanto Γ uva sarà più presso alla terra. Le viti si debbono mettere a p p a rta te secondo le specie, e piantarsi da per sè, perchè la mesco lanza di diverse sorti noo si può accordare in sieme non solo nel mosto, ma nel vino ancora; o se pure si rimescolano, non si debbono metter insieme se non quelle, che matnrono a no mede simo tempo. 1 gioghi si convengono piò alti al terreno grasso e piano, come anche al rugiada», al nebbioso, e al manco esposto a venti: per lo eoa· trario nel terreno sottile, arido, caldo e vento** vogliono esser bassi. 1 gioghi debbonsi legare il t>alo streUissiraamente, ma non così la vile. Gi delle specie delle viti, e in qual terreno e aeff ciascuna d 'esse s 'avesse a porre, abbiamo gnato, quando ragionammo delle nature loro « dei vini. Nel resto del governo diversi sono i pareri Perciocché molti vogliamo che U vigtta si lavoa
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XV1L
jabent vineam. Alii velant gemmantem : decali enim oculos, traciaque intrantium deteri : et ob id arcendam procul omne quidem pecus, sed maxime lanatam, qaoniam facillime aaferat gem mas. Inimicos et pubescente nva rastros : satisqae esse vineam ter anno confodi, ab aequinoctio verno : ad Vergiliaram exortum, et Canis ortum, et nigrescente acino. Quidam ita determinant: veterem semel a vindemia ante brumam, quum alii ablaqueare et stercorare salia pulent. Iterum ab idibas Aprilia, antequam concipit, hoc est, in vi idus Majas. Deinde priua quam florere incipiat, et quum defloruerit, et variante se uva. Peritiores ad firmant, si justo saepius fodiatur, in tantum te nerascere acinos, ut rumpantur. Quae fodiantur, pute ferventes horas diei fodiendas convenit: siculi lutum neque arare, neque fodere. Fossione pulve rem excitatum contra soles nebulasque prodesse.
Pampinatio verna in confesso est, ab idibus Majis intra dies x ulique antequam florere inci piat : et eam infra jugum debere fieri. De sequente variani sententiae. Quam defloruerit,aliqui pam pinandum putant : alii sub ipsa maturitele. Sed de his Catouis praecepta decernent. Namque et putationum tradenda ratio est.
Protinus banc a vindemia, ubi coeli ftepor indulget, adoriuntur. Sed hoc fieri numquam debet ratione naturae ante Aquilae exortum, ut in siderum causis docebimus proximo volumine. Immo vero Favonio, quoniam anceps culpa sit praeproperae festinationis. Si saucias recenti me dicina mordeat quaedam hiemif ruminatio, cer tum est gemmas earum frigore hebetari, plrfgasque findi, et coeli vitio exuri oculos lacryma distillante. Nam gelu fragiles fieri quis nesciat? Operarum ista computatio est in latifundiis, non legitima naturae festinatio. Quo maturius putan tur aptis diebus, eo plus materiae fundunt : quo serias, eo fructum uberiorem. Quare macras prius conveoiat potare, validas novissime. Plagam omnem obliquaro fieri, ut facile decidant imbres : et ad terram verti quam levissima cicatrice acie falcis cxala, plagaque conlaevata.
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tutta la stale dopo ogni rugiada. Alcuni non vo gliono ch'ella si tocchi, com4 vien gemmando e germoglia, perchè gli occhi cascano, tocchi da chi v'entra; e per questo non vogliono cbe v' en tri mandra alcona, massimamente quelle che han no la lana, perchè facilmente levano via gli occhi. Tengono ancora, che le zappe sieno nimiche alla vite, qaando ella comincia a crescere, e che sia abbastanza che la vigna si lavori tre volte l'anno, dopo l ' equinozio di primavera, cioè presso al nascimento delle Vergilie, e dipoi quando nasce la Canicola, e la terza volta quando gli acini an neriscono. Alcuni vogliono piuttosto che la vigna vecchia si lavori uua volta dopo la vendemmia innanzi verno; benché altri tengano che basti scalzarla, e darle «lei litanie ; e dipoi dai tredici d' Aprile fino ai dieci di Maggio, o prima ch'ella concepisca; dipoi prima che ella cominci a fiorire, e quando è sfiorila, e quando 1' uva comincia a colorirsi. 1 più pratichi affermano, che se la vi gna si lavora più spesso che non si conviene, gli acini diventano tanto teneri, che si rompono. Le vigne che si lavorano s' hanno a lavorare innanzi all' ore calde del giorno, ma il loto non si vuole arare nè zappare. Dicono anco, che la polvere che si leva nel zappare, giova alle uve conlra il sole e contra la nebbia. Egli è parere d'ognnno, che la vigna si debba spampanare da' quindici di Maggio fra dieci di innanzi eh' ella fiorisca, e che ciò si faccia dal giogo in giù. Della seconda volta non s’ accor dano insieme, perchè alcuni vogliono che ciò si faccia quando la vigna è sfiorita, alcuni quando è sul maturare. Ma di ciò ci risolveranno i pre cetti di Catone ; perocché si ha da parlare anche circa la forma del potare. II potare, se il tepore dell'aria lo comporta, s 'incorninola dopo la vendemmia. Ma secondo la ragione della natura non si dovrebbe cominciare innanzi che nasca l'Aquila stella, come dimo streremo nel seguente libro, parlando delle cause delle stelle. Anzi piuttosto dovrebbesi in Favonio, perchè non fosse a dubitare che l'aver troppo affrettato fosse per produrre malo effetto. Se il verno già mitigato si torna inaspettatamente a incrudire, e perciò rimorde le vili già ferite per la recente potatura, certo è che le gemme loro perdono la forza per lo freddo, e le tagliatore si fendono, e gli occhi si bruciano per la lagrima che distilla. Perocché a cui non è notò che il gelo li rende fragili ? Questa fretta, non legittima ri guardo alla natura delle viti, nelle possessioni grandi vantaggia gli operai cbe non basterebbe ro al troppo lungo lavoro : nondimeno quanto più tosto si potano, ne' tempi convenienti, tanto meglio mettono, e quanto più tardi, più uve fan-
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C. PUNII SECUNDI
Reculi etileni semper inler duas gemmar, ne sil vulnus oculis in recisa parle. Nigram esse eam exislimaot, et donec ad sincera venia lar, reciden dam ; quoniam e vitioso materia nlilisnon exeat. Si macra vilis idoqeos palmites non habea», ad terram recidi eam, novosque elici utilissimum. In pampinatione non hos detrahere pampinos, qui cum uva sint : id etenim nves soppiantai, praeterquam in novella vinea. Inutiles judicantur in latere nati, non ab oculo : quippe etiam uva, quae nascatur e duro rigescente, ut nisi ferro detrahi nou possit. Pedamentum qaidem inter duas viles utilius putant statai : et facilius ahlaqneantar ita : melius· qu* est unijugae vineae, si lamen el ipsi jngo sint vires, nec flatu infesta regio. In qnadripartita quam proximum oneri adminiculum esse debet : ne tamen impedimentum sentiat ahlaqaeatio, cubito abesse non amplias : ablaqueari autem prius, quam putari, jubent.
Cato de omni cnllnra vitium ita praecipit: uQuam allissimam vioeam facito, alligatoqce recte, dum ne nimium constringas, hoc modo eam curato. Capila vitiam potata circumfodito, arare incipito. Ullro citroque sulcos perpetuos docilo. Viles teneras qnam primum propagato, veteres qnam minimum castrato. Potius, si opns erit, dejicito, biennioque post praecidito. Vitem novellam resecari tum erit tempus, ubi valebit. Si vinea ab vite calvata erit, sulcos interponito, ibique viviradicem serito. Umbram a sulcis re moveto, crebroqae fodito. In vinea vetere serito ocimum. Si macra erit, qood granum capit ne aerilo: et circum capita addito stercus, paleas, vinaceas, aat aliquid horumce.Uhi vinea frondere coeperit, pampinato. Vineas novellas alligato cre bro, ne caulis praefringatur. Et quae jam in perticam ibit, ejus pampinos teneros alligato leviter, porrigitoque. Ubi recte sleterint, ubi uva varia fieri coeperit, vites subligato, n
« Vilis insitio una est per ver, altera quum uva floret : ea optima est. Vineam veterem si in alium locum transferre voles, dumtaxat brachium crassum primam deputato. Binas gemmas nee amplius relinquito. Ex radicibus bene effodito. Et cave radices ne saucies. Ita uti fuerit, ponito in scrobe aat ia salto, operilòque, el bene oeeul-
no. Però bisogna potar prima le magre, e in ul timo le rigogliose. Ogni taglio si dee fare torlo, acciocché pià facilmente le piogge «corrano già, e volgerlo verso la terra con piccolissima taglia tura fatta con la ronca e ripulita all* intorno. Taglisi sempre fra i due occhi, acciocché nella parle ricisa il taglio non sia neirocchio. Stimano che tal parte sia nera, e che si debba tagliare insioo che si tniovi il legno sano, perchè legno vi lloso dà messe cattive. Se la vite magra non ha capi, fie bene tagliarla da' piedi, acciocché ella rimetta. Quando tn spampani, non levar quei tralci che hanno Γ uva, perchè ciò fa diffaltare le uve, fuorché nelle vili novelle. Inutili sono i tralci nati ne* fianchi, e non dell*occhio: perciocché ancora l*uva nata nel vecchio, è dura, nè si può spiccare se non col ferro. Alcuni tengono che sia meglio porre il palo fra due viti, che così più agevolmente si scattano; ed è meglio nella vigna di nn giogo, pare che esso stia forte, e il paese non sia travagliato dai venti. Nella vite divisa in quattro braccia il pelo debbe essere dove n* è maggiore il peso ; nondi meno acciocché non venga impedito lo scalzare, il palo dee porsi diicosto un braccio, e doo più. Vogliono ancora, chela vigna si scalzi prima che si poti. Catone intorno al lavorare delle viti di qoe sti precetti: u Riduci la vite molto alto, e legala di ritta; ma non la strignere troppo. Pota i capi delle viti, zappa intorno,e comincie ad arare. Di qaa e di là lira i solchi continuati. Propagina tosto I· viti tenere, e stralcia poro le vecchie ; e piuttosto bi sognando mettile giù, e dopo dae anni le taglia. Allora è tempo di tagliare la vite nuova, qaando ella è gagliarda. Se la Tigna sarà diradata di viti, favvi per entro delle fosse, e piantavi magliuoli con le rodici. Discosta 1* ombra dalle fosse, e la· voravi spes«o. Nella vigna vecchia seminerai «Wl’ ozzimo. S’ ella sarà magra, non vi seminare quello che fa il granello, e intorno ai capì metti lilame, paglia, vinaccia, e simili cose. Quando la vigna comincia a far le foglie, e lo la spam pana. Legherai spesso le vili novelle, icóocckt i tralci non si rompano; e leggermente lega i paropeni di quella, la qnale è già ita in sulla per tica, e distendigli. E quando saranno ben ritti, e 1* uva oominderà a prender colore, lega la vite di sotto, n u La vile s* annesta una volta di primavera, e un* altra quando l* uva fiorisce ; e qaesto è il miglior nesto. Se fa vorrai trasferire la vigna vecchia in altro luogo, pola solamente il bracci· grosso, e lasciale doe occhi, e non più. Cavale bene con le radici, e guarda che non le tagli ; e ponla nella fossa così come ella era, o nel soteo.
HISTORIARUM MUNDI LIB. XTII. cato. Eodemque modo vineam «talaito, alligato, flexatoque uti faerat,cr«broqae fodito.» Ocimum, quod ία vinea aeri jubet, antiqui uppellabant pabulum, umbrae patiens, quod celerrime pro veniat.
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e cuoprirla, e calcala bene ; e nel medesimo mo do rincalzala, legala, e allargala come ella era, e lavoravi spesso. « L ' ozzimo, che egli vuole che si semini nella vigna, è un*erba che gli anlicbi chiamano pabulo, la quale non teme Γ uggia, e prestissimo cresce. * 3 . Sequitur arbusti ratio* mirum in modum 23. Ora deesi toccare Γ usanza di mettere le damnata a Saserna patre filioque, celebrala Scrofae* viti sugli alberi, mollo biasimata da Saseroa pa vetustissimis po»t Catonem, peritissimisque : ac dre e figlio, ma lodata da Scrofa, che però non ne a Scrofa quidem, nisi Italiae, concessa : quum la fa comune altrimenti che alla sola Italia : que tam longo judicetur aevo* nobilia vina non nisi sti, dopo Catone, sono gli autori più antichi e più periti in fatto di coltivazione. E già io tanto in arbustis gigni, et in his quoque laudatiora summis, sicut uberiora imis: adeo excelsitate secolo s 'è potuto fare esperienza "che i migliori proficitur. Hac ratione et arbores religantur. viui naseouo appunto delle vili raccomandate agli Prima omnium ulmus, excepla propter nimiam alberi ; iu più copia, se gli alberi son bassi ; più frondem atinia. Deinde populus nigra eadem da generosi, se gli alberi sono alti ; tanto porla di causa, minus densa folio. Non spernunt plerique vantaggio 1’ altezza. Questa è la‘ sola circostanza et fraxinum, ficumque, eliam oleam, si non sit cbe gli alberi s 'abbiano a legare. Prima di ogni umbrosa ramis. Harum salus cullusque abunde altro si elegge Γ olmo, infuorebè P olmo attinia, tractatus est. Ante tricesimum sextum mensem che ba troppe foglie. Dipoi 1* oppio nero per attingi falce vetantur. Alterna servantur brachia: la medesima ragione, perchè ha poche figlie. alternis putantur annis : sexto aano maritantur. Molli uon rifiutano il frassino, il fico, e l'ulivo Transpadana Italia, praeter supra dictas, cornu, ancora, pure che egli non sia ombroso per troppi rami. Come questi si piantino e governino, ab populo, tilia, acere, orno, carpino, quercu, arbu stat agros : Venetia salice, propter uliginem soli. bastanza s'è ragionato altrove. Non vogliono che Et ulmus detruncata a medio in ramorum scamna si tocchino con la ronca, se non sono di tre anni : si potano un anno sì e I' altro no ; e recidonsi i digeritur, nulla fere xx pedum altiore arbore. rami lasciati loro nella potatura antecedente : il Tabulata earum ab octavo pede altitudinis dila sesto anno si maritano. L 'Italia oltra il Po, oltre tantur in collibus siccisque agris : a xii in cam· peslribus et humidis. Meridianam solem spectare gli alberi già detti, ina ne*campi il corniolo, palmae debent. Rami a projeetu digitorum modo Γ oppio, il tiglio, 1* acero, V orno, il carpino e la quercia. La Marca Trevigiana usa il salcio |κηγ subrigi, tonsili in his tenuium quoque virgultorispetto della umidezza del terreno. L* olmo sca rum barba, ne obumbrent. Intervallum juslura arborum, si aretur solum, quadrageni pedes in pezzato dal mezzo in su si comparte in ordini di terga frontemque, in latera viceni. Si non aretur, rami laterali; e quasi nessun albero usano più »llo hoc in omnes paries. Singulis denas saepe adnudi venti piedi. L' estensione*dei rami per largo triunt viles, damnato agricola minos ternis. comincia all* altezza di olio piedi ne’ poggi, e nei Maritare nisi validas, inimicum, enecanle veloci terreni asciutti ; e di dodici ne' piani, e nei luo vitium incremento. Serere tripedaneo scrobe ghi umidì. 1 capi delle viti debbono esser volli necessarium distantes inter sese arboremque sin a mezzo giorno. 1 rami già protesi in largo deb gulis pedibus. Nihil ibi malleolis atqoe pastina bono eriger le cime a guisa delle dita di mauo tioni, nulla fodiendi impendia : utpote quum concava, ed esser londuti de' loro sprocchelti, arbusti ratio hac peculiari dole praestet, quod io perchè non facciano soperchia ombria. Lo spazio eodem solo seri fruges et vitibus prodest. Super» giosto fra gli alberi, se il terreno s 'ara, sia di que, quod vindicans se altitado, non, ut in vinea, nanzi e dietro quaranta piedi, e da’ lati venti; ma ad arcendas animalium injurias pariete, vel sepe, se il terreno non s 'ara, sia venti per ogni parte. vel fossaram ulique impendio muniri se cogat. Spesse volle intorno a un albero allevano dieci viti, ed è biasimato il lavoratore, che ne alleva manco di tre. Non torna punto bene maritar gli alberi, se prima non son bene gagliardi, perchè le viti gli affogano. È necessario che le viti si piantino in fossa di tre piedi, e eh' esse sieno di scoste l ' nna dall' altra, e dall' albero, un piede. Quivi non magliuoli, non divelto, nè si spende a infossare, perciocché I' albero dà questo vantag gio, die seminare nel medesimo terreno le biadé
C. PLINII SECONDI
Ια arbusto e pri«lieiii sola viviradicum ralio, item propaginum, et ha«c gemina, ut diximas. Qualorum io ipse tabulato maxime probata, quo niam a pecore latissima est. Altera, deflexa vile vel palmite foxla suam arborem) aot circa proxi mam caelibem. Qaod supra terram est e matre, radi jubetur, ne fruticet. In terra non pauciores gemmae quatuor obruuntur ad radicem capien dam : extra in capite binae relinquuutur. Vitis io arbusto qualuor pedes in longo constat, omni sulco tres lato, alto duos cum semipede. Post an num propago inciditur ad medullam, ut paullatim radicibus suis adsuescat : caulis a capite ad duas gemmas reciditur : tertio tolu» mergus abscindi tur, reponiturque altius in terrram, ne ex reciso frondeat. Tolli viviradix a vindemia protinns debet.
Nuper repertum, draconem serere juxta ar borem: ita appellamus palmitem emeritum, pluribusque induraium annis. Hunc praecisum quam maxima amplitudine, iribus partibus longitudi nis deraso corlice, quatenus obruatur (nnde et rasilem vocant), deprimere sulco, reliqua parie ad arborem erecta : ocissimum in vite. Si gracilis sit vilis aut terra, usitatum est quam proxime solum decidi, donec firmetur radix : sicut neque roscidam seri, neque a septemlriouis flatu. Vites aquilonem spectare debent ipsae, palmiles autem earum meridiem. Non est festinandum ad putationem novellae : sed primo ia circulos materies colligeuda, nec nisi validae putatio admovenda : seriore fere anno ad fruclum arbusta vile, quam jugata. Sunt qui «maino putari vetant, priusquam arborum lon gitudinem aequaverit. Prima falce sex pedes a terra recidatur, flagello iafra relicto, et nasci coacto incurvatione materiae. Tres ei gemmae, non amplius, deputato supersint. Ex his emissi palmiles proximo anno imis iugerantur scamuis, ac per singulos annos ad superiora scandant, re licto semper duramento in singulis tabulatis, et emissario uno, qui subeat, usque qno placuerit. De celero putatione omni, flagella quae proxime tulerunt, recidantur : nova circumcisis undique capreolis spargantur in tabula lis. Vernacula pu te lio dejectis per ramos vilium criaibus circumvetiit arborem, crineeque ipsos uris : Gallica ia
torna utile alle viti. Le viti sagli alberi, guarentii· dall* altezza, hanno anche qaesto vantaggio, eh* non curano munirsi di mnro, di siepe, nè di fos sati contra le offese di veruno animale. Delle vili da albero ai traggono solamente i magliuoli con radice, e le due specie di propagini di cui $’ è ragionato. Qoella che si pone a radicar ne' vasi sopra i rami dell' albero, è più riputata, perchè non tocca dall* armento. L* altra ai fa pie gando in terra la vite o an sermento presso al sao albero, o al vicino non maritato : levansi alla madre gli occhi, che son fuor della terra, accioc ché non germogli. Sotto terra non si mettono meno di quattro occhi a far le radici, e di foori se ne lasciano due nella cima. Per far vite da al bero deesi curvare sotterra un tralcio di quattro piedi di lunghezza, in solco largo tre piedi e alto due e mezzo. Dopo 1* anno si taglia fino alla mi dolla nella parte esterna che si lega alla madre, acciocché a poco a poco s* avvezzi alle sue radiò, e della messa si taglia tutto il di più di dne occhi: nel terzo anno si taglia affatto, e ripiantasi piè sotto, perchè non frondeggi nella parte che fa recisa dalla madre : questo traspiantamento si dee fare subito dopo la vendemmia. Nuovamente s'è trovato di piantare appresso all* albero il dragone : cosi si chiama un tralcio indurato di più anni. Questo si taglia lunghissi mo : tre quarti della sua lunghezza si scorteccia no (onde e' si chiama anche rasile o liscio), e ti sotterrano nel solco : l ' altra parte si tien foori e s'addrizza all' albero : qaesto tralcio germoglia prestissimo. Se la vite è gracile, o il terreno è sottile, usasi di tagliarlo molto presso a terra, finché la radice si ferrai ; nè si dee piantar ru giadoso, nè dopo il vento di tramontana. Deb bono le vili esser volte a tramontana, e i capi loro a mezzogiorno. Non è d 'affrettarsi a polare la vite novella, ma da principio s'han da legare i sermenti in cer chio, e non potarla snella non sarà rigogliosa. Le viti di albero sono più tarde nn anno a £»r frutto, ohe non è la vite di palo. Alcuni non vo gliono ch'elle punto si potino, finché non ag giungano alla cima dell* albeto. La prima volta la vite si pola sei piedi sopra terra, lasciando di sotto un sermento, che si fa propagare curvan dolo verso l'albero suo. Esso non dee avere dopo la potatura che tre soli occhi. 1 tralci che escono da questi, l'anno che viene si mettano nella prima diramazione dell' albero, e dipoi ogni anno più su, lasciando sempre un braccio duro e annoso in ogni diramazione, e un tralcio che salga insino a quanto piacerà. Nel resto in ogni polazione si taglino i tralci chehan prodotto da ultimo : e i nuo vi capi,tagliandone da ogni parte i viticci, si disten-
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HISTORIARUM MUNDI UB. XVII.
traduce» porrigitur: Aemiliae viae in ridieta a linia rum ambilu, frondem earum fugient.
dano pe’ palchi dell1 albero. La potatione ordina ria, spargendo pei rami i crini delle viti, riveste l'albero, e i crini stessi di grappoli. In Gallia si ti rano i tralci dall'uno all'altro albero: nel tratto da Rimini a Placenta li distendono sopra a pa lanche in mezzo alle attinie, che per la densità delle lor foglie non piacciono ponto alle viti. Est quorumdam imperitia sub ramo vitem Sono alcuni ignoranti, che appiccano la vite vinculo suspendendi, suffocante injuria : conti· sotto il ramo con un legame ; ma non fanno che neri debet vimine, non arctari. Quin imrao affogarla, perchè la vite si debbe con la legatura etiam quibus salices supersunt, molliore boo ritenere, non distrignere» Ma Che più? anche vinculo facere malunt, herbaque, Siculi quam coloro che hanno salcio d 'avvantaggio, vogliono vocant ampelodesmop : Graecia vero universa piuttosto far ciò con un tenero legame, e con junco, cypero, ulva. Liberatam quoque vinculo nn' erba, che i Siciliani chiamano ampelodesper aliquot dies vagari, et inconditam spargi, mon ; ma tutta la Grecia osa giunco, cipero, e sa atque in terra, quam per totum annum specta·, la. Di più, scioltala del legaccio, la lasciano stare verit, recumbere. Namque ut veterina a jugo, et parecchi giorni sema altrimenti legarla, e disten canes a cursu volutatio juvat, ita tum et vitium dersi senza ordine in quel terreno, che guardò porrigi lumbos. Arbor quoque ipsa gaudet assi d ' alto per tutto l ' anno. Perchè siccome alle be duo levata onere, siiqilis respiranti. Nihilque est stie da soma cessando dal giogo, e a'cani ces in opere naturae, quod non exemplo dierum tendo dal corso, giova sdraiarli ravvoltolandosi, nocliumqne aliquas vices feriahira velit. Ob id così giova alle viti distendere i lombi loro. Gode protinus a vindemia putari, et lassas etiamnum Palbero incora d'essere alleggerito dal conti fructu edito, improbatur» Putatae rursus alligen nuo peso, e pare che in on cealo modo respiri. tur alio loco : namque orbitas vinculi sentiunt, Non v’ ha cosa nel magistero di natura, che, co vexatione non dnbia. me per noi il giorno è di travaglio e la notte di riposo, non voglia avere le sue pansé con nn* specie di alternativa. E per qdesto non è buono che le vili subito dopo la vendemmia sien pota te, essendo elleno ancora stanche dal peso, che hanno portato. Come sien potate, di nuovo si le ghino in on altro lor silo, perciocché senton be nissimo i segni della legatura, e non è dubbio al cuno che fa lor danno assai. Traduces Gallica cultura bini utrimque late 1 lavoratori della Gallia usano stendere dalla ribus, si pars quadrageno distet spatio: quaterni, vite all' albero due tralci da ambedue i lati, se ai viceno : inter se obvii miscentur, alliganlurque le viti sono distanti quaranta piedi, e se per ma una conciliati, virgultorum comitatu obiter rigo grezza di terreno distanno soli venti, stenderne rati qua deficiant : aut si brevitas non patiatur ben quattro : questi s 'incontrano iosieme, si raeipsorum, adalligato protenduntur in viduam ar schiano, si legano fra loro, e con le mutue lor borem unco. Traducem bimum praecidere sole messe si saldano dove sono più deboli ; o se la, bant. Oneratis enim vetustate melius donare brevità noi comporta, legati con uncini si disten tempus, ut transilem faciant, ni largiatur crassi dono fino all' albero che dee sostenerli. 11 tralcio tudo : alias utile loros futuri draconis pasci. da distendere s'usata potare di due anni nella madre, perchè se non era grosso abbastanza da poter essere disteso, il divenisse in quello spazio di tempo che se gli concedeva ; e d 'altra parte util cosa è che si dilazioni la potatura del tralcia che ha ad indurire, perchè vie più s'afforzi. Unum etiamnum genus est, medium inter Écci anco un' altra specie di mezzo fra que boc et propaginem, totas supplantandi in terram sto e la propagine, che si fa con sotterrare tutte le vites, cuneisque findendi et in sulcos plures si viti in terra, fendute con conii in tre o quat tro sezioni, e propagginarle in altrettanti sol mul ex una propagandi, gracilitate singularum chi, fortificando la sottigliezza di ciascuna con firmata circumligatis hastilibus, nec recisis qui vermene legate attorno, senza recidere la messa a lateribus excurrant pampinis. Novariensis agri cola traducum, turba non contentus, nec copia. che fanno dai lati. I contadini del paese di No-
C. PUNII SECONDI
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ramorura, imposi |ì* eliamnam patibulis palmite* circumvolvit. Itaqae praeter soli vitia, cultura quoque torva fiunt viaa. Alia colpa juxta Urbem Varracinis, quae alternis putantor anais, non quia id viti conducat, sed quia vilitate reditum impendia exsuperant. Medium temperamentum in Carsulano sequuntur : eariosasque tantum vitis partes, incipientesque inarescere deputando, ceteris ad uvam relictis, detracto onere superva cuo, pro nutrimento omni est raritas vulneris. Sed nisi pingui solo talis cultura degenerat in labruscam.
Arbusta arari qoam altissime desiderant, ta metsi frumenti ratio non exigit. Pampinari ea non est moris : et hoc compendium operae. De palantor cum vite pariter ioterlucata densi late ramorum qai sint supervacui, el absumaot ali menta. Plagas ad septemtriones, aot ad meridiem spectare vetuimus : melius, si neque in occaso solis. Diu dolent lalia quoque alcera, et difficile sanescunt, algendo nimis, aesluandove. Non ea dem in vite, qoae in arbastis, libertas : quoniam eerta latera est facilius abscondere, et detorquere, qon velis, pingas. In arborum tonsura supiniore velat calices faciendi, ne consistat humor.
Ns ovai u A iiu u ic s inrESTsrrca.
vara non contenti alla moltitudine de* tralci da stendere, nè alla copia de' rami, avvolgono anco ra i tralci a1bronconi postivi, e cosi olirà i di fetti del terreno, per tal modo di coltura i vini si fanno aspri. Fanno anco an altro errore ap presso a Roma nelle viti Varracine, le qoali po tano an anno sì, e l’altro· no, non perchè credano che ciò sia utile alle vite, ma perchè per la viltà del vino lespeseavanterebbono l'entrata. Nel pae se Carseolano tengono la via di mezzo, potando solo le parti della vite, che cominciano a intar lare e inaridire, e lasciando l ' altre parli a lare ove ; cosi ne levano il peso soverchio, e la rarità de1 tagli serve per nudrimento. Ma se il terreno non è grasso, la vite per tal cultura traligna in labrusca. Gli alberi, sui qaali si mandano le viti, ame no che vi si ari intorno profondamente anoora cbe le biade non ricerchino tanto. Non è costarne di spampanarli ; ma solo per risparmio di fatica. Potansi iosieme con la vite, diradando la den sità de' rami sove rchi, che coosomano l ' allinea to. Noi abbiamo già detto che le tagliatore non debbono esser volte a tramontana, nè a mezzo giorno ; ed è meglio ancora, eh* elle non guar dino a ponente, perchè così fatti tagli dolgouo lungo tempo, e difficilmente si saldano per ri spetto del troppo freddo, o del troppo caldo. Non s' usa nel potare le vili qoella medesima li bertà che nel polare gli alberi, poiché qui alarne parli vanno già nascoste, e le ferite si pouoao piegare a qual verso piò si vuole. Le tagliature si vogliono voltare io già, acdocchè non riten gono 1’ acqua. D el g
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DAGLI ACTUALI.
XXXVI. Viti adminicula addenda, quae scan dat adprehensa, si majora siot. »4 - Vitium generosarum pergulas qainquatribos palandas, et quarum servare ovas libeat, decrescente luna tradopt. Qaae vero interlunio sint putatae, nullis animalium obnoxias esse. Alia ratione plena luna noctu tondendas, quum sit ea in Leone, Scorpione, Sagittario, Tauro : atqoe in totam serendas plena, aut crescente utique, censeot. Sufficiant in Italia caltores deni in centena jogera vinearum.
Morbi
ααιοεο *.
XXXVI I. At abunde satu cultuque arborum tractato, quoniam de palmis ac cytiso in pere
XXXVI. Alla vite si debbono mettere isoslegni, su per li quali salga appigliandosi, se gli alberi sieno molto alti. 24. Le pergole dell'ave eccellenti si debbono potare intorno a' venti di Marzo, e quelle, delle quali tif vorrai serbar Γ uve, a luna scema. Dico no ancora, che quelle viti, che si potano nel far della luna, non sono infestate da verono animale. Si usa anche potarle di notte, a luna piena, quan do ella è in Lione, Scorpione, Sagittario, e Taaro ; e quanto al piantarle, vuoisi attendere la luna piena, o crescente, lo Italia dieci lavoratori bastano a cento iugeri di vigne. D elle
ικ ρ ε ε μ ιτ α d e g l i a l b c e i.
XXXVII. Ma essendosi abbastanza trattato della piantagione e cultura degli alberi, giacché
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVII.
griui* arboribus adfatim diximus, oe quid desit, indicanda reliqua Datura est, magnopere perti nens ad omnia ea. Infestantur namque et arbo res morbis. Quid enim genitum caret his malis? Et silvestrium quidem perniciosos negant esse, vexarique tantum grandine in germinatione aut flore. Aduri quoque fervore, aut flatu frigidiore, praepostero die: quoniam suo frigora etiam pro· sunl, ut diximus. Quid ergo? non et vites algore intereunt? Hoc quidem est, quo deprehendatur soli vitium, quoniam non evenit nisi in frigido. Ilaque per hiemes coeli rigorem probamns, non soli. Nec infirmissimae arbores gelu periclitan tur, sed maximae : vexatisque ita cacumina pri ma inarescunt, quoniam praestrictus gelu non potuit eo penenire humor,
Arborum quidam commones morbi, quidam privali generum. Communis vermiculatio est, si deratio, ac dolor membrorum, unde partium de bilitas: societate nominum quoque com homi· nam miseriis. Trunca dicimas certe corpora, et oculos germinum exuslos, ac mulla simili sorte. Ilaque laborant et fame, et cruditate, qoae fiunt humoris quantitate. Aliquae vero et obesitate: nt omnia quae resinam ferunt, nimia plngoitu· dine in ledam mutantur : et quum radices quo que pinguescere coepere, intereunt, ot animalia, nimio adipe: aliquando et pestilentia per genera, sicut inter homines, nunc servitia, nunc plebs urbana, vel rustica.
Vermiculantur magis minusve quaedam,omnes tamen fere : idqoe avet cavi corticis sono expe riuntur. Jam quidem et hoc in luxuria esse coe pit : praegraodesque roborum delicatiore sunt in cibo: cossos vocant : atque eliam farina sagi nati, hi quoque alliles fiunt. Maxime autem ar borum hoc sentiunt piri, mali, fici : minus, quae amarae sunt et odoratae. Eorum qui in ficis exsistunt, alii nascuntur ex ipsis : alios parit, qui vocatur cerastes : omnes tamen in ceraslen figu ran tur, sonumque edunt parvuli stridorii. El sorbus arbor infestatili' vermiculis rufis, et pilo ti*, atque ita emoritur. Mespilus quoque in sene cta obnoxia ei morbo «st.
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copiosamente ancora abbiamo pariato della pal ma e del citiso degli alberi forestieri, acciocché noo manchi cosa alcuna, »* hanno a trattare le altre proprietà che appartengono alla natura loro. Anche gli alberi adunque hanno le lor malattie. E qoal cosa è nel mondo che non patisca di que sti danni ? Tuttavia dicono che le infermità degli alberi salvatichi non sono dannose, e che essi solamente sono travagliali dalla gragnoola, quan do germogliano, ovvero quando fioriscono. Riar dono gli alberi por per caldo-, o per vento più freddo che non comporta la stagione, perché an cora i freddi moderati ai lor tempi giovano, come abbiam detto. Or non muoiono anco le vili per freddo? Laonde questo é appunto ciò che fa co noscere il difetto del terreno, perchè quella mor talità non avviene se non nel freddo. Di verno donqoe approviamo il freddo dell' aria, ma non qoello del paese. Nè solamente gli alberi debili periscono per freddo, ma i piò robusti ancora ; ed essendo eglino di questo modo travagliali, seccano le prime cime, perchè 1* umore non può •ggin£nerc fino ®quelluoj(o ristretto dal ghiaccio. Alcune infermità sono comuni a tutti gli al beri, alcune particolari a certe loro specie. Co mune è lo inverminare, lo assiderare, e il dolor delle membra, onde la debolezza delle parti loro chiamiamo ancora coi medesimi nomi che le mi serie degli uomini, e diciamo i corpi loro essere tronchi, e gli occhi delle messe riarsi, e molte altre simili cose. Inoltre alcuni di essi patiscono ancora fame, alcuni son» crudi, cioè non ismaltiscono, e ciò avviene secondo la quantità dell'umo re, che è in loro. Alcuni sono troppo grassi, sic come sono quegli che fanno la ragi», i quali per troppa grassezza si mutano in leda ; e quando anco le radici hanno cominciato a ingrassare, P albero perisce, siccome fanno gli animali pel troppo grasso. Alcuna volta ancora entra la pe stilenza fra gli alberi, come Ira gli uomini, che ora ne patiscono gli schiavi, ora i cittadini, e ora la gente di contado. Quasi lutti gli alberi patiscon di vermini,alcuni però piò, e alcuni meno : ciò ben conoscono gli uccelli dal suono che rende la corteccia loro, se il verme l’ ha incavata di dentro.Ma ancora in questo s'è cominciato già usare splendidezza e magniGcenza; perciocché si mangiano certi vermini dei roveri molto grandi,i quali si chiamano cossi, e s ' in grassano con la farina. Ma piò che lutti gli altri alberi patiscono dei vermini i peri, i meli, i fichi, e meno quegli che sono amari e hanno più odore. I vermini che sono nei fichi, parte nascono in essi, parte son generati da quello che sì chiaroa ceraste, ovvero forfecchia ; ma però tutti riesco no in forfecchia, e fanno un suono di pochissimo
C. PLINII SECUNDI
Sideratio lota e coelo constat. Quapropter et grando in his causis intelligi debet: et carbun culatio, et quod pruinarum injuria evenit. Haeo enim verno lepore invitatis, et erumpere auden tibus salis mollibus insideus, adurit lactescentes germinum oculos, quod in flore carbunculum vocant. Pruinae perniciosior nalura, quoniam lapsa persidet, gelalque, ac ne aura quidem olla depellitur, quia non fìt nisi immoto aere et sere no, Proprium tamen siderationis est, sub ortu Canis siccitatum vapor, quum insitae ac novellae arbores moriuntur, praecipue ficus, et vites. Olea praeler vermiculationem, quam aeque ao ficus senlit, clavum eliam patitur, sive fungum placet dici, vel patellam. Haec est solis exustio. Nocere tradit Calo et muscum rubrum. Nocet plerum que vilibus atque oleis et nimia fertilitas. Scabies oommuois omnium est. Impetigo, et quae adnaaci solent, cochleae, peculiaria ficorum vilia : neo ubique: soot enim quaedam aegritudines et lo corum.
Verum ut homini nervorum cruciatus, sic et arbori, ac duobus aeque modis. Aut enim in pe des, hoc est, radices, irrumpit vis morbi : aut in articulos, hoc est, cacuminum digitos, qui lon gissime a toto corpore exeunl. luarescunt ergo ; et sunt apud Graecos sua nomina utrique vitio. Undique primo dolor, mox et macie? earum par* tium fragilis, postremo tabes, morsque, non intranle succo, aut non perveniente ; maximeque id fici seuliunt. Caprificus omnibus immunis esi, quae adhuc diximus^ Scabies gignitur roribus lentis post Vergilias. Nam si rariores fuere, per fundunt arborem, non scalpunt scabie. Et grossi cadunt, si vel imbres nimii (nere. Alio modo ficui laborat radicibus madidis.
Vitibus praeler vermiculationem et sidera tionem morbus peculiaris articulatio, tribus de causis: una, vi leoipestatum germinibus ablalis: altera, ut notavit Theophrastus, iu supinum ex cisis : terlM , culturae imperitia laesis. Omnes euim carum injuriae iu articulis sealiuutur. Si-
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romore. 11 sorbo anch' egli patisce di certi ver mini rossi e pilosi, e così si muore. Π nespolo an cora nella sua vecchiaia è soggetto a questa in fermiti. ' L’ assiderare procede lutto dall'aria, e perciò ancora la gragnuola si debbe porre tra le canee di quesl'eflello, e così lo incarbonchiare, e quanto avviene per ingiuria delle brine. Perciocché que sto insinuandosi nelle messe tenerissime, che la primavera col suo tepore invitò a sbocciare, riarde gli occhi laltegglanti, il che nel fiore si chiama carbonchio. Ma più dannosa assai è la brina, perché ella si ferma, e congela, e non è sdossa per aura alcuna, perciocché non vien mai se non quando è l'aria serena, e senza vento. Nondi meno quel che proprio fa assiderare è il vapore che esala la siccità intorno al nascimento della Canicola, quando i nesti e gli alberi novelli muoiono, e massimameale i fichi, e le viti. L'oli vo, olirà i vermini che egli patisce oome il fieo, sente ancora il mal del chiovo, o vogliam dire fungo, o padella. Questa è un' adustione di sole. Dice Catone che anche il muschio rosso gli nuoce. Speise volte anche la troppa fertilità nuoee alle viti e agli ulivi. La scabbia, ovver rogna, è co mune a latti gli alberi. Le impetigini, o vogliam dire volatiohe, fan danno ai fichi, come pure cerle chiocciole, le qoali nascono in essi ; ma non in ogni loogo ; perciocché- aloone infermiti tono proprie dei luoghi. Or siccome all* oomo vengono dolori ài ner vi, così all* albero egualmente, e eiò in dne modi. Perciocché la violenza del male alcuna volta gli esce nei piedi, cioè nelle radici, o negli articoli, cioè ne* nodi delle cime, i qoali escono molto lontano dal rimanente del corpo. Questi adunque seccanti : i Greci hannp i nomi proprii d* amendue questi mali. Prima nasca il dolore per lotto, e dipoi la magrezza e fragilità di qoelle parti, e finalmente la corruzione e la morte, perchè il sugo non v’ entra o non si propaga ; e di questo male principalmente patisce il fico. Il fico salva* tioo non sente alcuna di queste infermità, che abbiam delto. La scabbia s* ingenera di rugiade lente dopo il nascimento delle Vergilie, le quali, s 'elle son molto rare, non ammalano già l'albero di scabbia, anzi ne lo detergono, se n'avesse principio. Anche il frutto de* fichi vien cadeado, se sono troppo piogge. Di nn* altra maniera il fico ammala per le radici bagnate. Le viti oltra lo inverminare, e lo assiderar»» hanno un* altra infermila particolare eh* è l ' ar ticolazione. per tre cagioni. La prima, quando per la furia de* temporali caggiono loro le messe : la seconda, come Teofrasto scrisse, quando elle aeoo tagliate orizzontai mente : la te rz a, quando la
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HISTORIARUM MONDI LIB. XVII.
derationis genus est in hit deflorescentibus, ro ratio : aut qaum adai, priusquai erescant, de* coqauntur io callam. Aegrolant et qaam alsere, laesi* «redine attonsarnm oculis. Et calore hoe evenit intempestivo: qaoniam omnia modo con stant, certoque temperamento. Fiunt et cnlpa vi le* colentium, quum praestringantur, at dictam est : aat circumfossor injurioso icta verberavit : vel etiam subarator imprudens laxavit radices, corpus ve desquamavit. Est et qaaedam contusio falci* hebetioris. Quibas omnibus causis diffid ilo* tolerant frigora aat aestus : qaoniam ia aleas penetrat omnis a foris injuria.
Infirmissima vero malus, maximeque qaae duld* est. Qnibusdam debilitas sterilitatem, non necem, adfert : ut si qnis pino cacumen auferat, vel palmae: sterilescunt enim, nec moriuntur. Aegrotant aliquando et poma ipsa per «e sine ar bore, si necessarii* temporibas imbres aat tepo res vel adflatus defuere, aut contra abundavere : decidant enim, aut deteriora fiunt. Pessimum est inter omnia, qaam deflorescentem vitem et oleam percussit imber, quoniam simul defluit fructus.
Snnt ex eadem causa nascente* et erucae, di ram animal, eroduntque frondem, aliae florem, olivarum quoque, ut in Mileto : ac de pastam ar borem turpi facie relinquunt. Nascitur hoc ma lam tepore humido, et lento. Fil aliud ex eo dem, ή sol acrior insecutu* inussit ipsam vitium, ideoqae matavit. Est etiamnum peculiare olivis et vitibus (ara neum vocant), quum veluti telae involvunt fru ctum, et absumunt. Adorant et flatas qaidam ea* maxime, sed et alios fractas. Vermiculatio nem et poma ipsa per se quibusdam annis sen tiunt, mala, pira, mespila, Punica. In oliva anci piti eventu, quando sub cute nati fructum adi munt : augent, si in ipso nacleo fuere erodentes eum. Gigni illos prohibent pia viae, quae fiunt post Arcturum : eaedem si Austrinae fuere, gene rant, in drupis quoque, quae maturescentes tum sunt praecipue caducae. Id riguis magis evenit, etiamsi non cecidere, fastidiendis. Sunt et culi cum genera aliquibus molesta, ut glandibus, fico, qai videntur ex hutnore nasci, tunc dulci subdi to corticibus. Et aegrotatio quidem fere in his est.
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ignoranza del lavorare Γ offende. Tutte queste incomodità patiscono elle ne' nodi. Écci un'altra sorte di assiderazione ovvero Γ irrugiadezza in quelle che sfioriscono, o quando gli acini, prima che sieno ingrossati, s 'incuocono e fanno callo. Ammalano ancora, quando elle infreddano, ov vero se dopo la potatura gli occhi sono incotti dal freddo. Ammalano però anche per caldo troppo affrettato, perchè tutte le cose vogliono moderazione e un certo che di mezzo. È colpa dd lavoratori, qaando elle sono troppo strette, come già *’ è detto, ovvero quando colui che vi pastina intorno, dà loro di mala percossa, o qaando aran dovi alla sbadata sloga loro le radid, e sbocciane il corpo. La falce ancora le ammacca, qnando ella ha il taglio grosso. Per tutte queste cagioni più diffidlmente sopportano il freddo, o il caldo, perchè ogoi ingiuria, che vien di foori, trapela nella piaga. Debolissimo aneora è il melo, e massimamente quello che è dolce. La debolezza ne fa alcuni ste rili, nè però gli uedde, siccome è, se alcuno leva la dma al pino, o alla palma, perchè essi diven tano sterili, e pur non muoiono. Ammalano anco talora i frutti da per sè senza l'albero, se ai tempi necessarii mancano loro o le piogge, o i caldi, o i venti; e per lo contrario, se n' hanno troppo ; perciocché essi frolli caggiono, o si fanno peg giori. Pessimo è piò che tutti gli altri difetti, quando la pioggia viene che l ' nlivo e la vite sfio riscono, perchè cade il fratto insieme col fiore. Per la medesima cagione ancora nascono bru chi, i quali rodono le foglie e i fiori, anebe degli ulivi ; il che è cosa molto brutta a vedere, come avviene in Mileto. Nasce qaesto animale per un certo tepore umido e lento. Di esso ne nasce poi nn altro, ogni volta che viene appresso nn sole ardente che asciuga 1* umidità , e la muta in seccore. È peculiare ancora alle viti e agli ulivi quello che si chiama ragno, quando certe cose a guisa di tde avviluppano il fruito, e lo consumano. Certi venti anco abbruciano motto le uve e le ulive, non che altri frutti ancora. Similmente i frutti inverminan da loro stessi in certi anni, siccome sono mele, pere, nespole , e melagrane. Nell* ulive eon vario saccesso , poiché quando i vermini nati entrano nell* uliva, disperdono il fratto, ma se stanno nel nocciolo, rodendolo ac crescono il frullo. Ora le piogge ebe vengono dopo Arturo non lasciano nascere qaesli anima letti, e se le medesime piogge vengono co' venti di mezzo giorno, gli fanno nascere ancora nelle drupe, ovvero che comindano a molar colore, poiché essendo nel maturare sono ancora pià ca duche. Ciò principalmente avviene nei luoghi
C. « INII SECUNDI
Qaaedam temporum cautae, aut locorum non proprie dicuntor morbi, qaoniam protinos ne cant : sicut tabes qnara invasit arborem, aut uredo, vel flatas alicojus regioni· proprias, at est io Apolia Atabulus, in -Enboea Olympias. Hic enim, si flavit circa bramam, frigore exarit arefaciens, ot nullis postea solibus recreari possint. Hoc genere convalles et adposita flaminibus laborant, praecipueqne vitis, olea, fiou·. Qaod qaam venit, detegitor statim io germina tione: in oliva tardius: sed in omnibas sigsom est reviviscendi, si folia amisere : alioqui, quos putes praevaluisse, emoriuntur. Noonomqaam inarescant folia, eademqae revivescanL Aliae io septeratrionalibus, ut Ponto, Phrygia, frigore aut gela laborant, si post bramam continuave re x l diebus. Et ibi aatem, et in reliquis parti· bus, si protinus editis fruotibus gelatio magna consecuta est, etiam paucis diebus necat.
Quae injuria hominum constant, secandas habent causas. Pix, òleum, adeps, inimica prae cipue novellis. Cortice in orbem detracto necan tur, excepto subere, quod sic etiam juvatur: crassescens enim praestringit et strangulat. Nec adrachne offenditur, si non simul incidatur et corpus. AKoquin et cerasus, et lilia, et vili» cor ticem mittunt, sed non vitalem, nec proximum corpori : veram eum, qui subnascente alio expel litur. Quarumdam natura rimosus cortex, ut platanis. Tiliae renascitur paullo minus quam totus. Ergo his, quarum cicatricem trahit, me dentur luto fimoque. Et aliquando prosunt, si non vehemenlior frigorum aut calorum vis secuta est. Quaedam tardius ita moriuntur, ut robora et qnercus. Refert et tempas anni. Abieti enim et pino si quis detraxerit, sole Taurum vel Geminos transeunte qaum germinant, statim moriuntur. Eamdera injuriam hieme passae diutius tolerant. Similiter ilex, et robor, et quercus. Qaae ai an gusta decorticatio fuit, nihil nocetor supra dictis. Infirmiores
aoquoai, dove te aneora non oadesterò, non soa più buone a nulla. Sono anco certe aorli di zaazale moleste ad alcuni alberi, come alla ghiadi, e al fico, le quali pare che nascano d' an ceto •mor dolce, ohe «ia sotto la corteccia. Qoeste per lo più sono le infermiti degli alberi. Alcune cagioni dei tempi o de' luoghi non si chiamano propriamente malattie, perchi subito uccidono, siccome quando vien eolF albero la pu trefazione, o Pinco!tura, o vento proprio d 'al cun paese, come è in Puglia l ' Atabulo, e ia groponte 1' Olimpia. Perchè se questo vento soffia intorno a mezzo verno, riarde gK alberi per lo freddo, e gli risecca, di maniera che non si posson poi riavere per sole alcuno. Qaesto danno patiscono le valli, e i luoghi posti appresso i fiumi, e massimamente le vili, gli olivi e i fichi. Quando ciò avviene, subito si scoopre nel germo gliare, però negli ulivi più tardi..Ma in tutti gli alberi è segno di riaversi, se hanno perdute k foglie; altrimenti quegli che to credi cbe si riab biano, se ne muoino. Talora le foglie seccano, e poi rinverdiscono. Alcuni alberi nelle parti set tentrionali, come in Ponto e in Frigia, petiscoaa per freddo, o per gelo, s 'egli vi continua qua ranta giorni dopo la bruma. E tanto qoivi, quan to nelle altre parti, se subito che i fratti son na ti, seguita un gran gelo, in pochi giorni ancora gli uccide. 1 danni, che nascono dalla ingiuria degli uo mini, vanno tra le seconde cause. La pece, l'olio, e il grasso aono molto contrarii agli alberi special mente novelli. Levandogli la scorza d 'intorno, l’ albero perisce, fuorché il severo, che ansi d ò ama, perocché quella ingrossando lo strigae e affoga. Non s’ offende nè I' albero che si chiama adracne, se non s 'intacca ancora il corpo. Per altro modo il ciriegio, il tiglio e la vite gettano la buccia, ma non già la vitale, nè quella die tocca il corpo, bensì quella ch'è sospinta da un'al tra, la quale le nasce sotto. Alcuni alberi hanno la corteccia piena di Cessure, come i platani. Al tiglio rinasce poco manco che tutta. Quegli alberi dunque, i quali rammarginano, si medicano con lerra e con belletta ; il che talora giova, qoando però non segua gran furia di freddo, o di caldo. Alcuui muoiono più tardi, siccome sono le q oercìee i roveri. C'è differenza anoora nella stagione del l'anno; perciocché se si sboccia il pino o l ' abete qaando il sole è in Tauro o in Gemini, nel qaal tempo cominciano a germogliare, subito si muoio no. Ma ricevendo essi la medesima ingiuria di ver no, più lungo tempo la sopportano. Similmente 9 leccio, il rovero e la quercia. Ma se lo sbucciato m poco,nonnuocelor punto, fuorché se saranno poco gagliardi, o in terren magro, perchè iu tal caso,an-
HJST0K1ARDM MONDI UB. XVII. re, «actor est Varrò, ut diximus. Quaedam hac injuria moriuntur: aliqua deteriora taotum fiunt, ut amygdalae : ex dulcibus enim transfigurantur in amara*. Aliqua vero etiam utiliora, at apud Chios pirus, qoam phocida appellant. Nam de truncatio diximus quibus prodesset. Intereunt pleraque et fissa stirpe, exceptis vite, malo, fico, Punica : quaedam vel ab ulcere taotum. Ficus hanc injuriam spemit, et omnia quae resinam gignunt. Radicibus amputatis mori, minime mi ram est. Pleraeque tamen nou omnibus, sed ma ximis, aut qnae sunt inter illas vitales abscissis moriuntur.
Necant invicem iuter sese umbra, vel densi· late, atque alimenti rapina. Necat et edera vin ciens. Nec viscum prodest : et eytisus necator eo qeod halimon vocant Graeei.Quorumdam natnra non necat quidem, sed laedit odore, aat succi mixtura : ut raphanus, et laurus, vitem. Olfactrix enim intelligitur, et tangi odore mirum in modnm : ideo quum juxta sit, averti et recedere, saporemque inimicum lugere. Hioc sumpsit Androcydes medicinam eon tra ebrietates, raphanus ut mandatur praeeipiens. Odit et caulem, et olus omne, odit et corylum, ni procul absint, tristis atque aegra. Nitrum quidem, et alumen, marina aqua calida, et fabae putamina, vel ervi, ultima venena sunt.
PaODIGIA EX ABBOBIBOS.
cora ohe sieno sbucciali solo da una partaci muoio no. Simile effetto ancora fo lo svettare nel cipresso, nella picea e nel cedro : perciocché questi alberi, levando loro la cima, o ardendola, si seccano, li medesimo effetto avviene se sono rosi dagli ani mali. Perciocché scrive Varrone, come abbiam detto altrove, che la capra solo che leochi l'ulivo, lo fa sterile. Altri pure si seccano per simile in giuria. Alcuni solo diventano peggiori, come ì mandorli ; perché di dolci eh’ erano prima, si fanoo amari. Alcuni però ne diventano più utili, come in Scio il pero, che si chiama focido. Lo scapezzargli abbiamo già detto a quali giovi. Pe riscono ancora molti alberi, essendosi fesso il gambo, eccetto la vite, il melo, il fico, e iJ melar grano. Certi seccano per una piaga sola. Il fico non teme questa ingiuria, nè tutti quegli che fan no ragia. Non è maraviglia che gli alberi si muo~ iano, quando sono tagliate loro le radici; e molli ancora muoiono, se bene oon tagliate tutte, ma le maggiori, o le vitali. Uccidonsi gli alberi Γ un Γ altro con l'ombra, o per la densità, o perchè tolgonsi il nudrimento. L ' ellera ancora abbracciando gli alberi gli ucci de. Nè giova loro il vischio; anzi il citiso è ucciso da quell
ALBBBl P&ODIGIOSI.
XXX V ili. 25. Fra i difetti degli alberi hanno XXXV 11I. a5. Inter vilia arborum est et pro luogo ancora i prodigii, perché noi troviamo che digiis locus. Invenimus enim sine foliis natas: vilem et malum Punicam stirpe fructum tulisse, alcuni alberi sono uati senza foglie* e che la vite non palmite, aut ramis: vitem, uvas sine foliis : e il melagrano hanno fatto fruito nel pedale senza oleas quoque amisisse folia boccia haerentibus. tralci o rami, e la vite Γ uva senza le foglie, e che Sunt et miracula fortuita. Nam et oliva io totum gli ulivi ancora hanno perdute le foglie, e rite ambusta revixit : et in Boeotia derosae a locustis nute l ' ulive. Sono ancora miracoli a caso, perchè ficus iterum germinavere. Mutantur arbores et on ulivo essendo arso affatto, rimise di nuovo; «olore, fiuntque ex nigris candidae, non semper e in Beozia i fichi rosi dai brachi germogliarono prodigiose : eae maxime quae ex semine nascun un’ altra volta. Mutansi gli alberi anche di colore* tur, ut populus alba in nigram transit. Quidam e diventano bianchi di neri; il ehe none tu Itavi· et sorbum, si in calidiora loca venerit, sterile prodigio, massimamente se sono iati di seme, scere putant. Prodigio autem fiunt ex dulcibus quale è l ' oppio bianco che diventa nero. Alcuni acerbaj poma, aut dulcia ex acerbis, e caprifico dicono che se i sorbi sono trapiantali in luoghi fici : aut contra : gravi ostento, quum in deletroppo caldi, nou fanno frutto. Bensì per prodi-
C. PLINII SECUNDI riora mutantur, ex olea in oleastrum, ex candida uva et fico, in nigras ; ut Laodiceae, Xerxis ad ventu platano in oleam mutata : qualibus ostentis Arislandri apud Graecos volumen scatet, ne in infinitum abeamus: apnd nos vero C. Epidii commentarii, in quibus arborea locutae quoque reperiuntur. Subsedit in Cumano arbor gravi ostento, paullo ante Pompeji Magni bella civilia, paucis ramis eminentibus. Inventum Sibyllinis libris internecionem hominum fore, tanloque eam roajorem, quanto proprius ab Urbe postea facta esset. Sunt prodigia, et quum alienis locis enascuntur, ut in capitibus statuarum, vel aris, et quum in arboribus ipsis alienae. Ficus in lauro nata est Cyzici ante obsidionem. Simili modo Trallibus palma in basi Caesaris dictatoris circa bella civilia ejus. Necoon et Romse in Capitolio in capite Jovis bello Persei enata palma victoriam triumphosque portendit : hac tempestatibus prostrata, eodem loco ficus enata est, M. Messa lae, C. Cassii censorum lustro. A quo tempore pudicitiam snbversam Piso gravis auctor prodidit.
Super omnia quae umquam audita sunt, erit prodigium in nostro aevo Neronis principis ruina factum in agro Marrucino, Vectii Marcelli e pri mis equestris ordinis oliveto universo viam pu blicaro transgresso, arvisque inde e contrario in locum oliveti profectis.
M e d ic in a e
abboboh.
XXXIX. 26. Nunc expositis arborum morbis, consentaneum est dicere et remedia. Ex his quae· dam sunt communia omnium, quaedam propria quarumdam. Communia : ablaqueatio, adcumulatio, adflari radices, aut cooperiri, riguis dato potu vel ablato, fimi succo refectis, putatione levatis onere. Item succo emisso quaedam veluti detractio sanguinis : circumrasio corticis : vitium extenuatio, et domitura palmitum : gemmarum, ή frigus retorridas hirtasque fecerit, repumicatio, et quaedam politura. Arborum iis aliae magis, aliae minas gaudent : veluti cupressus el aquam aspernatur et fimum, et circumfossuram, amputationemque, el omnia remedia odit : quin etiam
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gio i frutti dold diventano acerbi, e d’ acerbi dolci, e di fico selvatico si fa fico dimestico ; e così per contrario. Cattivo augurio è, quando si mutano in peggio ; corae se l’ ulivo dimestico in salvatichisce, e l ' uva bianca, o il fico diventa ne ro, siccome avvenne a Laodicea nella venuta di Serse, che un platano diventò ulivo. Di questi mostri è ripieno il libro d 'Arislandro scrittor Greco, per non andare in infinito: presso di noi ci sono i commentarii di C. Epidio, dove si truova ancora come gli alberi hanno favellalo. Nel ter ritorio dì Cuma per gran prodigio rientrò sotto terra un albero, di maniera che pochi rami se ne vedevano, e ciò fu poco tempo innanzi alle guer re civili di Pompeo Magno. Trovossi ne' libri Si billini, che ciò significava grande uccisione d'uo mini, e tanto maggiore, quanto più presso a Ro ma fosse poi falla. Sono prodigii ancora, quando gli alberi nascono fuor de’ luoghi usati, come nei capi delle statue, o negli altari, e quando un al bero nasce sopra un altro. Nacque un fico in sur un alloro innanzi 1*assedio della citlà di Cizieo. E similmente a Traili nacque una palma nella base della statua di Cesare dittatore circa il tempo delle sue guerre civili. A Roma nella guerra di Perseo re di Macedonia nacque due volte una palma in Capitolio sulla testa di Giove, la quale annunziava vittoria e trionfi ; ed essendo ella poi svelta dalla tempesta, vi nacque un fico, od latiro di M. Messala e di C. Cassio censori. Dopo il qual tempo scrive Pisone, autor grave, che la onestà delie donne mancò affatto. Grande sopra qualunque altro che mai s 'in tese fu il prodigio che a* tempi nostri nella ruina di Nerone imperadore avvenne nel contado Mar rucino, dove tutto un uliveto di Veziio Marcello, uno dei primi cavalieri di Roma, trapassò di là della via pubblica, e i campi eh1 erano dall'altra parte, passarono dove era Γ uliveto. RlM ED lI PE& l e 1HFEBVITÀ D E G Ù U I U L
XXXIX. 26. Avendo noi ragionato delle in fermità degli alberi, fia bene ancora che si parti dei rimedii loro. Di questi rimedii alcuni ve ne sono comuni a tutti gli alberi, e alcuni proprii di certi. Comuni rimedii sono, lo scalzargli, 1*ac cumularvi lerra, lo scoprire o coprir le radici, dare acqua ai secchi, o levarla a* troppo umidi, ristorargli col lilame, e col potargli alleggerirli di peso. Inoltre il farne uscire il soverchio sugo, come se si traesse loro sangue, il fendere la scorsa intorno : quanto alle viti, l'estenuarle con ampu tazione di tralci ; e se il freddo avrà riarsi, o ar ricciati gli occhi, strofinarli con pomice e ripulirli Degli alberi alcuni hanno più bisogno, e alcuni
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HISTORIARUM MUNDI UB. XVII.
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necator. B ignis et vitis, et Punicae praecipue aluntor. Ficus irbor ipea riguis alitur, pomum ▼ero ejus marcescit. Amygdalae si colantur ’fossione, florem amittunt. Nec insita· eircumfodere oportet, priusquam validae ferre coeperint poma. Plurimae autem amputari sibi volunt onerosa ao supervacua, sicut nos ungues et capillum. Reci duntur veteres totae, ac rursus a stolone aliquo resurgunt : sed non omnes, nec nisi quarum na· turam pati diximus.
rneao dì queste cose, siccome il cipresso, il quale non si cura nè d* acqua, nè di litanie, nè che gli sia lavorato intorno, nè d1 esser potato, ed ha a noia tutti i rimedii, tanto che anzi viene ucciso da essi. Le viti e i melagrani sono principalmente nodriti dall* acque. L* albero del fico piglia anche esso nodrimento dall'acqua, ma il fruito suo ne marcisce. I mandorli, se si scalzino, perdono il fiore. Non bisogna anco pastinare intorno agli alberi innestati, se prima non son gagliardi, e in cominciano a far frutto. Molti alberi vogliono esser potati nelle cime che gli aggravano, come tagliamo noi le ugue e i capelli. 1 vecchi si taglia ne affatto, e di nuovo rimettono da qualche ram pollo; ma non tutti, e se non quegli, la cui natura abbiamo detto che lo comporta.
Q COMODO ΒΙΟ AROVM.
C o n DEBBA SI ADACQUA**.
XL. Rigua aestivis vaporibus otilia, hieme inimica, autumno varia, et ex natura soli: quippe quum vindemiator Hispaniarum stagnante solo uvas demetat. Cetero majore in parte orbis etiam pluvias autumni aquas erivari convenit. Circa Canis ortum rigua maxime prosunt, ac ne tunc quidem nimia, quoniam inebrietatis radicibus nocent. Et aetas modum temperat. Novellae enim minus sitiont. Desiderant autem maxime rigari, quae adsuevere. Contra siccis locis genita non expetunt humorem, nisi necessarium.
XL. I luoghi acquosi sono utili ne*caldi della state, dannosi il verno, I* autunno varii, e ciò secondo la natura del terreno, perciocché in Itpagna l’ uve si vendemmiano ancorché il terreno sia coperto d* acqua. Ma nella maggior parte del mondo torna bene che si sviino in rivoli 1* acque, che piovono nell* autunno. I luoghi acquosi gio vano grandemente intorno al nascere della Cani cola, ma nè anco allora vogliono essere troppo acquosi, perchè nuocono ubbriacando agli alberi le radici. Anche la età loro n* esige la moderazio ne, perchè le piante giovani hanno manco sete. Ma sopra tutto amano d* esser annaffiali quegli, che di già vi sono avvezzi. All’ incontro quei che son nati in luoghi secchi, non desiderano umore, se non il necessario.
M ir a b il ia n a
b ig o is .
XLI. Asperiora vina rigari utique cupiunt in Sulmonensi Italiae agro, pago Fabiano, ubi et arva rigant ; mirumque, herbae aqua illa necan tur, fruges aluntur, et riguus pro sarculo est. In eodem agro bruma, tantu magis si nives jaceant, geletve, ne frigus vites adurat, circumfundunt riguis, quod ibi tepidare vocant : memorabili natura in amne solo. Sed idem aestate vix tole randi rigoris.
C a s t b a t io
abbobdm.
XLII. 37. Carbunculi ac robiginum remedia demonstrabimus volumine prosirao. Interim est
M a b a v ig l ib r a p p o r t o
a llo adacquabb.
XLI. Amano d* essere annaffiali i vini molto aspri nel contado di Sulmona in Italia, nella villa Fabiana, dove s*adacquanoancora le campagne; ed è gran maraviglia, che con quell* acqua Perbe si spengono, e le biade si nodriscouo, e così lo ada cquare serve io cambio di sarchiare. Nel medesi mo paese, di mezzo verno, e maggiormente se la neve è sopra la lerra, o se gela, acciocché il freddo non riarda le viti, le circondano di rigagnoli di acqua, il che si chiama quivi tiepidare, derivata da un fiume eh*è il solo che abbia sì maravigliosa natura d'esser tiepido il verno. Ma esso la state ha 1* acqua sì fredda, che a fatica si può sopportare. C astbatoba
o b o l i a l b b b i.
X U I. 27. 1 riraedii contra lo incarbonchiare gli abbiamo dimostri nel prossimo libro ; nondi-
G. P L IN II'SECONDI alantur. Salis vim e l cineres, sed leniorem, ha» bent : ideo fici adspergantur, rutaque, oe fiant verminosae, neve radices putrescant. Quin et v i· tium radicibus aquam salsam jubent adfundi, si sint lacrymosae : si vero fructus earum decidant, cinerem aceto adspergi, ipsasque illini, aut sandaracha, si putrescat uva. Si vero fertiles non sunt,aceto acri subacto cinere rifa r i atque oblini. Quod si fructum non maturent, prius inarescen tem, praecisarum ad radices plagam, fibrasque, aceto acri et urina vetusta madefacere, atque eo luto obruere, saepe fodere. Olearum , si parum promisere fructus, nudatas radices hiberno fri· gori o p p o n an t, eaque castigatione proficiunt. Om nia haec annua coeli ratione constant : et aliquando serius poscuntur, aliquando celerius. Necnon ignis aliquid prodeat, u t a ru n d in i. am busta namque densior mitiorque surgit.
Cato el medicamenta quaedam com ponit, mensurae quoque distinctione ad majorum a r borum radices amphoram, ad minorum urnam amurcae, et aquae portionem aequam, ablaquea tis prius radicibus paullalim adfundi jubeas. In olea hoc amplius, stramentis aniea circumpositis: Item fico. Hujus praecipue Tere terram adagge rari radicibus: ita futu ru m , ut non decidant grossi ; majorque fecunditas, nec scabra prove niat. Simili modo, ne convolvulus fiat in vinea , amurcae congios duos decoqui in crassitudinem mellis: rursusque cum bituminis tertia parte, et sulphuris quarta sub dio coqui, quoniam exar descat sub tecto. Hoc vites circa capita ac sub braohiis ungui: ita non fore convolvulum . Q ui dam contenti sunt fumo hujus mixturae suffire ▼ineas secundo flatu, continuo triduo. Plerique non minus adxilii et alimenti arbitrantur in uri na, quam Cato in amurca, addita modo aquae pari portione, quoniam per se noceat
Alii volucre appellant animal praerodens pu bescentes uvas : quod ne accidat, falces, quum sint exacutae, fibrina pelle detergent, atque ita pntant : sanguine ursino liniri volunt post p ala tionem easdem. Sunt arborum pestes et formicae. Has abigunt, rubrica ac pice liquida perunctis caudicibus : nec non et pisce suspenso juxta in nnum locum congregant: aut lupino trito cum oleo radices linunt.
e lentischi, che sì nodfiscono con acqua salata, l a cenere ha fo n a di sale, ma p iù leggieri, e per questo se ne mette a 1fichi e alla ru ta perchè non inverm inino, e le radici non marciscano. Voglio no ancora, che le radici delle viti s'inn affino eoo acqua salata s1elle sono lagrim ose ; e se il frutto loro cade, vuoisi asperger la cenere con aceto e impiastrarne le viti, o con la sandaraca, se l'uva infracida. Ma s ' elle non son fertili, p iglia aceto forte con cenere, e innaffiale, e im piastrale. Se non maturano il frutto innanzi che si secchi, ta gliale in sulle radici, e bagna la tagliatura e le radici piccole con aceto forte, e oon orin a vecchi», e ricuoprile con quel loto, e lavorale spesso. Se gli ulivi non fanno frutto, si suole scalzar loro il verno le radici, acciò che elle sentano il freddo, e di questa maniera si medicano. T u tte qoeste eoee si fan nell' anno, o piò tardi, o più tosto, secondo che l'a n n o va o più caldo o più freddo. Giova alcuna volta il fuoco, come alle canne, perciocché quando elle sono abbronzate crescono p iù folte, e meno selvatiche. Catone compone ancora certi medicamenti, e distingue la misura, dando alle radici degli alberi maggiori un' anfora di morchia, ai m in ori u n 'u r na con altrettanta acqua, ma vuole che prima si faccia la fossa intorno alle radici, e dipoi si metta a poco a poco. A ll' ulivo questo si fa di più, che intorno vi si mette paglia ; e cosi si fa al fico, al quale giova molto ammontargli la terra vecchia in sulle radici, perchè i fichi acerbi non cascano, e vengouo in maggior dovizia, e oon sono to n chiosi. Conlra a quei bruchi, che s ' avvolgono nella foglia, pigliano due congii di morchia cotta, tanto che torni spessa come il mele ; dipoi di nuovo con la terza parte di bitum e, e la quarta di zolfo, fanno bollire allo scoperto, perciocché al coperto arderebbe. Con questo ungono le viti intorno ai capi sotto le braccia, e così non nasco no tali vermini. Alcuni col fumo di questa m i stura profumano le viti tre gio rn i continui alla seconda del vento. Alcuni tengono che non giovi e nodrisca ponto meno l ' urina, di quello che dice Catone che faccia la morchia, pnre che vi s 'aggiunga egual parte di acqua, p erchè schietta farebbe danno. Alcuni chiamano volncre quell' anim ale, che rode 1* nve crescenti. A votem ele preservare, le potano con roncone che arrotano e p oi fregano con pelle di bevero : di più, fregano le viti stes~ se, poi eh' elle son potate, con sangue d ’ orso. Le formiche ancora sono molto dannose agli al beri ; e qoeste sì cacciano con senopia e pece, ungendone i gambi. Appiccano ancora un pesce da vicino, per deviarle tutte a quel lu ogo ; o tri tando lupini con olio, ungono le radici.
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HISTORIARUM MONDI LIB. XVII.
Mulli et t i l p i i amurca necant : contraque erucas, et mala ne putrescant, lacertae viridis felle tangi cacumina jubent. Privalim au lem con tra erucas ambiri arbores singulas a muliere in d ia li mensis, nudis p edibus, recincta. Item ne quod animal pastu malefico decerpat frondem, fimo boum diluto adspergi folia, quoties imber interfeniat, quoniam ita ablualur virus medica minis : mira quaedam excogitante solerli* huma* na. Quippe quum averti carmine grandines cre dant plerique : cujus verba inserere non equidem serio ausim, quamquam a Catone prodita, con tra luxa la membra, jungenda arundinum fissurae. Idem arbores religiosas lucosque succidi permi sit, sacrificio prius facto : co jus rei rationem p r ·· calionemque eodem volumine tradidit.
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Molti ammazzano le talpe con la morchia ; m contra i bruchi, e perchè le mele non marciscano, toccano le cime col fiele di lucertola verde. Ma particolarmente contra i bruchi fanno circon dare ciascun albero da una donna, che abbia il suo tempo, e sia scinta, e scalza dai piedi. E ac ciocché le bestie con velenoso morso non pasca no le frondi, imbrattano le foglie con bovina stemperata, qnante volte s' abbatte a piovere, perchè altrimenti P acqua dilava via la medici na ; e veramente è grande la industria umana, che rilruova rimedio a tante cose. Perchè alcuni tengono che coi versi si possano cessare le gragnuole; ma io non ardirei riferir le parole, ben ché elle sieno rapportate da Catone, che per far ritornare le membra uscite del luogo loro, si usa no pronunciare sulla fessura delle canne. Catone permette che si tagliano gli alberi e i boschi sa cri, avendo prima fatto sacrifìcio : il modo di farlo e le preghiere da usarvi son da lui riferite nel medesimo volume.
C. PLINII SECUNDI HISTORIARUM MUNDI L IB E R X V III N A T U R A E
F R U G U M
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ANTIQUORUM STUDIO· IN AGRICULTURA.
D b LLO STUDIO CHK POSERO GLI A8T1CH1 b e l l ’ a g r ic u l t u r a .
I. i. tr e g u e la natura delle biade, e degli 1. i . S e q u i t u r natura frugum , hortorumqne, ac orti, e de' fiori, e dell’ altre cose, le quali P amo flo r u m , quaeque alia praeler arbores «ut frutices revole terra oltra gli alberi e gli sterpi produce b e n ig n a lellure proveuiunt, vel per se tanlura con prestare immenso oggetto di contemplatio h e rb aru m immensa contemplatione, si quis aestine anche solo nelP erbe, se alcuno vorrà consi m e t Tarietalem, numerum, flores, odores, coloderare la varietà, il numero, i fiori, gli odori, i r e s q u e , et succos, ac vires earum, quas salutis aut colori, i sughi e. le virtù loro, le quali ella pro v o lu p ta tis hominum gratia gignit. Qua ia parte duce per salute o diletto degli uom in i. Nella p r im u m omnium patrocinari terrae, et adesse qual parte mi giova prima esser buon difensore c u n cto ru m parenti juvat, quamquam inter initia della terra, eh* è madre di ogni cosa, benché nel o p e r i s defensae. Quoniam tamen ipsa materia principio dell* opera io l ' abbia già difesa. O r a c c e n d it intus ad reputationem ejusdem patien perchè ciò che la natura produce di nocivo ne tis e t noxia, nostris eam criminibus urgemus, inette nelP animo odio inverso d i lei, mentre noi c u lp a m q u e nostram illi imputamus. G enuit ve abusiaqao di ciò eh 1essa produce, imputiamo a n e n a : ecquis invenit illa praeter hominem Γ Ca lei la colpa d ellf nostra malvagità. Essa produce v e r e a c refugere alitibus ferisque satis est. Atque i veleni ; ma chi li trovò, se non P uomo ? G li q u u m arbore exacuant lim entque cornua ele uccelli e le fiere non fan più che difendersi e p h a n t i , et uri, s u o rhinocerotes, et utroque apri d e n tiu m sicas, scianlque ad uocendum se prae fuggire. E benché gli elefanti e gli uri arrotino e limino sugli alberi le lor corna, e il rinoce p a r a r e animalia: quod tamen eorum tela sua, ronte sui sassi; benché il cinghiale «gozzi or e x c e p t o homiue, venenis tinguit ? Non et sagitsugli uni, or sugli altri le arme de’ suoi denti, ta s tinguim us, ac ferro ipsi nocentius aliquid ed ogni altro animale sappia prepararsi a nuo d a m u s . Nos et flnmioa inficimus, et rerum natu r a e elem euta. Ipsum quoque quo vivitur, aerem c ere; quale però di loro, dall'uom o in fuori, tinge le armi sue di veleno ? Siamo noi, che un in perniciem venim us. Neque est u t putemus giamo ancora le saette, e al ferro per sè fiero i g n o r a r i ea ab animalibus: quae praeparent con t r a serpentium dimiottiQoes, qote post proelium tggiugaijuno ancora cosa più nociva. Noi avve-
C. PLINII SECUNDI ad medendam excogitarent, indicavimus. Nec ab ullo praeter hominem, veneno pugnatur alietao. Fateam ur ergo cnlpam, ne his q o id e m , qaae nascuntur, contenti: etenim quanto plura eorum genera humana manu fiunt ! Quin et homines quidem u t veuena nascantur. Atra ceu serpen tium lingua vibrat, tabesque animi contacta adu rit, culpantium omnia, ac dirarum alitum m odo, tenebris quoque suis, et ipsarnm noctium quieti invidentium, gem itu, quae sola vox eorum est : u t inauspicatarum animantium vice obvii quoque vetent agere, aut prodesse vitae. Nec ullam aliud abominati spiritus praemium uovere, qoam odis se omnia. Vernm et in hoc eadem naturae ma jestas, taoto plures bonos gennit ac frugi, quan to fertilior in iis quae juvant alunlque, quorum aestimatione et gaudio nos quoque relictis exnstioni suae istis hominum rubis, pergemus exco lere vitam : eoque constantius, quo operae nobis major, quam fam ae, gratia expetitur. Quippe sermo circa rura est, agrestesque usus. sed quibus vita honosque apud priscos maximus fuerit.
Q oar prima
Romae
coaoiu
spicea.
leniamo lin o a' fiam i, e agli elem enti nella na tura ; e eon veniam one in rovina infino ali* aro, per la quale viviamo. Nè punto è da credere, che gli animali non sappiano i veleni, perchè e quali appresti di pugna facciano contra i serpeoti, e a quali rimedi! ricorrano dopo la battaglia, lo abbiamo detto di sopra. Nè v ’è alcuno animale, fuorché l’ uomo, il quale iu battaglia usi vde no non suo. Confessiamo aduuque la colpa es ser mtta nostra, perchè non contentandoci di quei veleni che nascono naturalmente, eoa le nostri mani ne facciamo degli altri in m olli no di. Anzi alcuni uomini nascono con le stesse pro prietà de' veleni. Costoro con orrib ile lingua, guizzante come quella dei serpi, e coi mali aflelti del cuore invelenito, veggono colpa p er tallo, c ogni cosa condannano, e a rito di crud eli uccelli, in certe ore lor tenebrose insidiano alla quiete notturna col gemito che lor serve di voce, per vietare altrui di operare ed esser utili, somiglianti ai bruii di cattivo angario. Nè altro guadagnano costoro io premio dell’ orrenda loro malvagità, che l'abito di odiare ogoi cosa. Nondim eno la medesima potenza della natura ha generati tanti più buoni ed onesti, quanto ella è più fertile in quelle cose, che giovaoo e ne van ta g g ia n o ; per l’ estimazione e allegrezza de’ qaali noi ancora lasciando travagliare qoesti meschini a e lli rab bia loro, continueremo in ornar la vita, e tanto più saldamente, quanto più noi cerchiamo mag gior frutto di opera cbe di fama. Perciocché noi trattiamo delle campagne e d e gli osi agresti, di qoelli cioè che tennero gli antichi, e che frulla rono loro sommo onore. D e lla
p r i v a co b o h a d i s p ig b e a
R om a.
II. a. Arvorum sacerdotes Romulus in p ri II. a. Romolo fu il prim o che ordioò in sa cerdoti A rvali i dodici figlinoli di Acca Lauren mis instituit, seque duodecimum fratrem appel tia, a* qoali, sendone m orto uno, s ' aggiunse egli lavit inter illos, ab Acca Laurentia natrice sua stesso per dodicesimo. La iosegna solenne ebe genitos, spicea corona, quae vitta alba colligare diede a questo sacerdotio fu ona corona di spi tur, in sacerdotio eis pro religiosissimo insigni data, quae prima apud Romanos fuit corona : ghe circondata di bianca fascia. Questa fa la pri honosque is non nisi vita finitor, et exsules eliam ma corona che s’ osò in Roma ; e taoto è P onore captosque comitator. Bina tunc* jugera populo eh* essa arreca, che non ha fine altro che con la Romano satis erant, nullique majorem modum vita, nè cessa neppure se altri fosse io esilia, o adtribuit : qao servos paullo ante principis Ne prigione appo i nem ici. Allora bastavano per ronis, contemptis hujus spatii viridariis, piscinas ognuno dne ingerì di terreno, nè m a g g io r mi juvat habere m ajores: gratumque, si non alisura Romolo assegnò mai a veruno : p er op p o sito i servi di Nerone non contenti di q uesto quem et culinas. spatio per un giardino, ne volsero on m aggiore pei vivai ; e anco ciò si sarebbe com p ortato, se alcuno non avesse fatto le cucine di m o llo mag giore ampiezza. Numa insegnò a riverire gli dei con le biade, Numa instituit deos froge colare, et mola e supplicar locoeoo una schiacciala salsa,e « n e o n , salsa supplicare, atqoe (ut anetor est Hemina) far
HISTORIARUM MUNDI LIB. XV III. torrere, qaoniara tostam cibo salubrius esset. Id uno modo consecutam, statuendo noo esse p a rum ad rem divinam, nisi tostura, ls et Forna calia instituit farris torrendi ferias, et aeque religiosas terminis agrorum. Hos enim deos tunc maxime noverant : Sejamque m Serendo, Sege stam a segetibus appellabant: quarum simulacra io Circo videmus. Tertiam ex his nominare sub tecto religio est. A c oe degustabant quidem no vas fruges aut vina, antequam sacerdotes primi tias libassent
come dice Em ina, abbrustolire il farro, perchè cosi abbrustolito era cibo più sano. E perchè ciò venisse in uso, fé* sspere non esser puro il sacri ficio del farro, se non abbrustolito. E gli o rd h ft ancora le ferie della dea Fornace, nelle quali si abbronzava il farro, e altre ferie sacre al dio T e rm in e , che presedeva a* confini dei campi. Perciocché qoegli antichi conoscevano allora prin cipalmente questi per d e i; e chiamavano Seia dal seminare, e Segesta dalle biade ; le cui statue tuttavia si veggon o nel circo. La terza dopo que ste è sacrilegio il nominarla sotto il tetto, e non uscir piuttosto nel cortile. Ma essi non assaggia vano pure le nuove biade, nè i vini, se prima 1 sacerdoti non avevano sacrificato le primizie.
D a ID G BIO .
D e l i .' i u g u l o .
III. 3. Jugerum vocabatur, quod uno jugo III. 3 . lo g e ro si chiamava qnanlo terreno un boum in die exarari posset. Actos, in quo boves p tio di buoi poteva arare in un giorno. A lto diagerentur cum aratro, uno impetu justo. Hie cevasi qaella tratta, per cui si guidavano i b u o i erat c x x pedum : duplicatusque in longitudinem in linea diritta. Questo era centoventi piedi, e il jugerum faciebat. Dona amplissima imperatorum doppio della sua lunghezza faceva un iugero. I ae fortium civium, quantum quis uno die pluri doni più splendidi che ottenevano i capitani d'ar m um circumaravisset. Item quartarii farris, aut mata o i cittadini valorosi consistevano o in tan hem inae, conferente populo. Cognomina etiam to terreno quanto alcuno in un giorno avesse prim a inde : Pilumni, qui pilum pistrinis inve potato arare, o nel ricevere dal popolo una quarnerat : Pisonis, a pisendb. Jam Fabiorum , Len teruola o una mina di farro. Dalle cose di cam tu loru m , Ciceroonm, ut quisque aliquod optime pagna ebbero origine i primi cognomi, come a genus sereret. Juniorum familiae Bubulcum no dire quel di Pilunno, così detto perchè inventò m inarunt, qui bubus optime utebatur. Quin et il pilo ovvero pestello da battere il grano ; e in sacris nihil religiosius confarreationis vinculo quel di Pisone, così detto dal verbo pisere, che vai erat : novaeque uuptae farreum praeferebant. pestare. Così pure il cognome de* Fabii, de' Len tuli, de'Ciceroni derivò da chi seppe meglio col tivare di tali civaie» Della famiglia de* G iunii fa appellato Bobulco on che seppe valersi meglio de* buoi. Nei sacrificii matrimoniali ancora la cosa più religiosa era la confarrazione, cioè met tere il farro a comune ; e innanzi alle spose nel far le nozze si portava il farreo, che era una vi vanda fatta di farro. C hi lavorava male il terreno era tassato d'in A g r u m male colere, censorium probrum judi famia dai censori ; e, come scrive Catone, gran c a b a tu r. Atque ( u t refert C ato) quem virum dissima lode si credei data a colui, il qoale fosse b o n u m colonum dixissent, amplissime laudasse stato chiamato buon coltivatore. E però anche ■ existim ab ao t. Hinc et locupletes dicebant, loci, ricchi si chiamavano lo cu p leti, qoasi pieni di h o c est, agri plenos. Pecunia ipsa a pecore ap luoghi, cioè di campi. La pecunia stessa prese il p e lla b a tu r. Eliam nunc in tabulis censoriis pas nome dalla pecora. O gg id ì pure nelle scrittore c u a d ic a n to r omnia, ex quibus popolus reditus dei censori, pascoli si chiamano tutti quei luo h a b e t, quia diu hoc solum vectigal fuerat. Mul ghi, de' quali il popolo ha l ' entrate, perciocché ta lio qu oque non nisi ovium boom qoe impendio per lungo tempo non v ' era stata altra gabella, d ic e b a tu r : non omittenda priscarum legum be che questa. L e m alte ancora, cioè le condannan ev o le n tia . Cautum quippe est, ne bovem, prius gioni, non erano se non di pecore e di b u o i; al q u am ovem , nomiuaret, qui indiceret mullam. quale proposito non deesi tacere la benivolenza delle leggi antiche ; perocché esse ordinavano che colai, che prooonziava la multa, non nomi nasse prima il bue, che le pecora.
G. PUNII SECONDI Ludos boom causa celebrantes, Bnbetios vo cabant. Servi a · rex, ovium boumqoe effigie p ri mas tes signavit. Frugem quidem aratro quaesi tam furtim noeta pavisse, ac secuisse, puberi m tabulis capital erat : suspensumque Cereri uecari jubebant, gravius quam in homicidio con victum : impubem praetoris arbitrata verberari, nox iamqae duplione decerni.
Jam distinctio honosque civitatis ipsius non «liunde erat. Rusticae tribas laudatissimae eo rum , qui rara haberent. Urbanae vero, in quas trausferri ignominia esset, desidiae probro. Ita que quatuor solae erant a partibus U rbis, iu queis habitabant, Subarrana, Palatia*, Collina, Esquilina. Nuodiois Urbem revisitabant, et ideo comitia nundinis habere non licebat, ne plebs rustica avocaretur. Quies somnusque ia stramen tis erat. Gloriam denique ipsqm a farria honore adoream appellabant. Equidem ipsa etiam ver ba priscae significationis adm iror. Ita enira «st io commcntariis pontificum ; u Augurio canari» agendo dies constituantur, priusquam frumeula vaginis exeant, et antequam in vaginas perve niant. »
Chiamavano Bupezii coloro che celebravano giuochi per cagiooa de' buoi. 11 re S e rv io fa il prim o che stampò la figura delle pecore e de'boo* nelle monete di rame. E ra pena la vita, se egli era uomo fatto, a ehi la notte di nascoso avesse fatte pascere, o segato alcuna biada, o altra cosa, ohe nascesse di terra arata. Era im piccato costai in vendetta di Cerere dea delle biade assai più aspramente, che s ' egli avesse commesso omidio. S 'e g lt non toccava ancora la pubertà era battalo secondo la votanti del pretore, c condanna lo nel doppio del danno. Nella citlà stessa gii onori e le distinzioni si desumevano di l i medesimo. L e trib ù rustiche più ragguardevoli erano composte d i quelli che coltivavano possessioni rurali; e qu elle della òt t i , nelle quali era vergogna trasferirsi, erano taftate di pigrizia. Erano donqae q o a ttro sole desunte da Roma, nominate dai lu ogh i cb e vi abi tavano, la Subarrana, la Palatina, la C o llin a , eia Esquilina. Veuivano i contadini nella ciltà alle nundine, cioè a' mercati ; e per ciò era ordinalo per legge, che i com m i non si facessero nelle nundine, acciocché i contadini non fossero levati dalle lo r faeende. A «solcarsi e d o rm ire osavano per letto lo straaae ; e finalmente la glo ria stessa chiamavano adorea per 1* onore in cb e tenevano il farro, da quella voce significato. E certam ente che io ammiro assai anehe l ' uso dell'antico par» lare, perchè così ai truova scritto nei commenta rii de' Pontefici : a Ordininsi alcuni gio rn i p er fare l ' augurio caoario, ovvero del cane rosso, innanzi che le biade escano delle spighe, e in nanzi che vi si ingenerino. »
Q u o t ie s b t q c i b o s t b m p o r i b u s ro B B r r j d h a
Q l’ARTK VOLTE e IB CHB TEMPI LB VETTOVAGLIE
VILITAS ABHOBAB.
VALSBEO POCO.
IV . A questi costumi dunque non solamente IV . E rgo bis moribus non modo sufficiebant erano abbastanza le biade d 'Ita lia senza die ne fruges, nulla provinciarum pascente Italiam, ve fossero fatte venir altronde, ma il prezao loro ram etiam aanonae vilitas incredibilis erat. Ma eziandio era sì poco, che a mala pena ai può cre nius Marcine aedilis plebis primum framentatn dere. Manio Marcio edile della plebe fa i l p óm o, populo in modios assibus do n avit L. Miuuciu* che donò il grano al popolo per nn asse U mog A ugurinus, qui Sp. Melium coarguerat, farri» gio. L . M inutio Augurino, il quale a veva acca pretium in trinis nundinis ad assem redegit un sato Spurio Melio, ridusse il pvegio d e l farro in decimas plebei tribunus : qua de causa stataa ei Ire mercati a quella moneta, che si chiam ava extra portam Trigeminam, a populo stipe col asse, essendo egli undicesimo tribuno della plebe; iate statata est. Trebius in aedilitate assibus po pulo framentum praestitit: quam ob causam et e però gli fu fatta una statua fuor d elle porta ei statuae io Capitolio ac Palatio dicatae sunt : Trigem ina alle spese del popolo. T re b io essendo ipse supremo die populi humeris portatas in edile diede il grano al popolo pel m edesimo pre gio ; per la qual cagione a lui ancora furono rogum est. Verum quo anno Maier deum adve falle statue uel Capitolio, e nel palazzo, e alla cta Romam e s t , majorera ea aestate messem, sua morte fu portato al rogo in sulle spalle del quam anlecedeutibus annis decem, factam esse popolo. Ma in quell' anno che la dea C ibele fu tradunt. M. Varro auctor est, qaum L. Metellus in triumpho plurimos duxit elephantos, assibus
condulla a Roma, dicouo essere stata m aggior la
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HISTORIARUM MUNDI MB. XVIII.
singulis faris modios fuisse : item Tini congios, ficiqu · siccae pondo x x x , olei p. x , carnis p. x u . Neo e latifundiis singulorum contingebat arcen tium vicinos ; quippe eliam lege Stolonis Licinii incluso modo quingentorum jugerum , et ipso saa lege damnato, quum substituta filii persona amplius possideret Luxuriantis jam rei publicae fuit ista mensura. Manii quidem Cnrii post trium phos imraensumque terrarum adjectum imperio, nota concio est : « Perniciosum intelligi civem, cui septem jugera non essent satis. « Haec aatem mensura plebei post exacto· reges adsignata est.
Quaenam ergo tantae ubertatis causa erat ? Ipsorum tane manibus imperatorum colebantur a g ri : u t fas est credere, gaudente terra vomere laureato et triumphali aratore : sive illi eadem c u ra semina tractabant, qua bella; eadem quedi lig e n t i· arva disponebant, qua castra : sive honest is reanibns omnia laetius proveniunt, quoniam et cario siu s fiunt. Serentem invenerunt dati ho nores Seranum , nnde cognomen. Aranti quatuor sua ju g era in Vaticano, qoae Prata Quintia ap p e lla n to r, Cincinnato viator attulit dictaturam, e t q u id e m ut traditur, nudo, plenoqoe pulveris etia m n u m ore. Cui viator, m Vela corpus, inquit, n t proferam senatus populique Romani manda ta . n T ale s Ium etiam viatores erani : quod ipsum n o m e n inditum est subinde et ex agris senatum d u c e s q u e arcessentibus. At nunc eadem illa vin c ti p ed es, damnatae manus, inscriptique vultus e x e r c e n t : non tamen surda tellure, quae parens a p p e lla tu r, colique dicitur et ipsa : honore his a ilsn m p to , nt non invita ea, et indignata, creda t u r id Beri. Sed nos miramur ergastulorum non e a d e m emolnmenla esse, quae fuerint impera to r u m .
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dovizia di quell» state, che non de’ dieci anni innanzi. Scrive M. Varrone, che al tempo di qual trionfo dove L . Metello condusse assaissimi eie· fatiti, il moggio del farro non valeva più che un asse, come anche il congio del vino, e trenta lib bre di fiehi secchi, e dieci libbre di olio, e dodici libbre di carne. Nè v’ erano già allora di quelle immènse possessioni che si dilatano col cacciarne i vicini ; perocché ancor per la legge di Licinio Stolone era stato provisto, che alcuno non aves se più che cinquecento iugeri di terra ; onde egli stesso fu condannato per la sua legge, per ché ne possedeva molto più sotto il nome del figliuolo. In questi limiti contenevasi la repub blica, qaando ella già cominciava a sguazza re. E già nota l’ orazione di Manio Curio, dopo i trionfi, e il grandissimo imperio eh' egli aveva acquistato al popolo Romano, dov’ei disse : u Po tersi chiamare scandaloso quel cittadino, a cui' sette iugeri di terra non fossero stati abbastan za, n E questa fa la misura assegnata alle plebe, poiché i re furono cacciati. Quale era dunque la cagione di tanta dovi zia ? Erano allora i campi lavorali dalle mani stesse de' comandanti degli eserciti, rallegran dosi, per quel che pare, la lerra dell* aratro lau realo, e dell' aratore trionfale ; ciò fosse pure perchè essi con la medesima cura maneggiavano i semi, che facevano la gaerra, con ristessa dili genza governavano i cam pi, che gli eserciti; ovvero perchè tutte le cose fatte dalle mani ono rate vengono assai meglio, perchè aoco più dili gentemente si fanno. Serano, quando gli fu of ferto il carico della guerra, fu trovato che e’ se minava, onde gliene venne il cognome. Mentre che Cincinnalo arava quattro suoi iugeri di terra in Vaticano, che si chiamavano i prati Quinzii, il messo del magistrato gli portò la dittatura, es sendo egli, per quello che si dice, ancora nudo, e col viso totto carico di polvere. A cui il messo disse : « Cuopriti il corpo, perchè io ho da farli un'ambasciata del senato e del popolo Romano. « Tali erano allora anche ai viatori, ovver messi;, chè questo nome fu posto loro, perch’ essi chia mavano il senato, e i capitani dai campi. Ma ora questi medesimi eampi sono lavorati da chi ha i piedi avvinti, condannate le mani, e stimatiz zato il viso : nè però la terra, che madre si n o mina, e dicesi, come gli dei, calta e onorata, non scema panto di sua virtù ; poiché contenta di quell* onore si può credere che si lasci senta mal grado e indegnazione governare da uomini sì fatti. Bensì noi ci maravigliamo, come gli schiavi non facoiano la medesima dovizia, che solevano, fare i comandanti prefati.
C. PLIN II SECUNDI
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QUELLI CBS P iò SI DISTINSERO IR DAR PRRCRTI DI AGRICULTURA.
V. Igitur de cultura agri praecipere prinoiV. F u dunque oosa da principi appresso gli pale fuit et apud exteros. Siquidem et reges fe stranieri ancora il dar precetti d* agriooltora. cere, Hiero, Philom etor, Attalus, Archelaus : et Così fecero infatti alcuni re, com e a d ire. Gi duces Xenophon, et Poenus etiam Mago : cui rone, Filom etore, Attalo e Archelao ; e dei capi quidem taotum honorem senatus noster habuit tani Senofonte, nén ehe Magone Cartaginese, a Carthagine capta, u t quum regulis Africae bi coi il nostro seneto dopo la presa d i Cartagine bliothecas donaret, unius ejus duodetriginta v o fece tanto onore, che dooaodo le lib r e r ie a* si himina ceuserel in Latinam iiuguam trausfereoda, gnorotti d ' Africa, fece tradurre d ' Africano ia quum jam M· C alo praecepta condidisset: periLatino il volume suo, c b ' i di v en to tto libri, lisque liaguae Punicae dandum negotium, in quo aocora che M. Catone avesse già a critto i suoi praecessit omnes vir clarissimae familiae D. Sila· precetti ; e volle che questa impresa ai desse a nus. Sapientes vero complures, quos sequeremur, uomini bene intendenti di quella lin g u a ; nella praetexuimus hoc in volumine, oon ingrate no quale opera il principal fa Decio S ila n o , uomo minando M. Varrone, qui octogesimum primum di nobilissima famiglia. I molti d o tti c h e noi se vil«e annum agens, de ea re prodeudum putavit. guiremo, gli abbiamo già m en zion ati oelT indice di questo volum e; qui però n om iniam o con pia cere M. Varrone, il quale essendo in età d 'ot tantun anno, si mite a scriver dell* agricoltura. 4. Apud Romanos m ulto serior vitium cultura 4. Appresso dei Romani oom inciò m olto tardi esse coepit. Prim oque, ut necesse erat, arva tao* la coltura delle viti ; i quali prim a, c o m e era bea lum coluere : quorum nobis ratio nuoc tractabi necessario, coltivarono i campi. L e maniera lo tu r non vulgari modo, verum, ut adhuc fecimus, ro fia ora trattata da noi eoa m odo non vol et vetustis et postea inveatis omni cura perquisi gare, ma come in fin qui abbiam o fistio, ricer tis, causaque rerum et ratione simul eruta. Dice cando le cose aotiohe, e le ricercate d i poi con mus et sidera, siderumque ipsorum terrestria ogoi cura, derivandone insieme la maniera e fa causa delle cose. Ragioneremo ancora delle stelle, sigua dabimus indubitata : quandoquidem qui adhuc ea diligentius tractavere, quibusvis potius, e daremo manifesti segni terreatri di esse stelle; quam agriculis, scripsisse possunt videri. perciocché quegli che iufino a qui hanno più diligentemente trattale queste c o s e , pare che piuttosto abbiano scritto p er altri qualunque, cbe pegli agricoltori, Q
u a e o i u s v a i d a ib a g r o p a e a k d o .
C u DERRASI OSSERVARE SRL PREPARAR I L CAMPO.
V I. Ac prim um omnium oraculis majore ex V I. Prima di tutto tratteremo la oosa per la parte agemus, quae non in alio vitae geoere plura maggior parie dietro g li oracoli, i quali sooo certiorave sunt. C u r enim non videantur oracu m olli più e più certi ancora in qaesto, che ia alcuno altro genere di vita. E perchè non par la, a certissimo die maximeque veridico usu ranno essi oracoli, procedendo eglino da certis profecta ? simo tempo, e da una esperienza m olto veridica? 5. Piglierem o principio da ciò che ne acrive S. Principium autem a Catone sumemus. C aloue : * G li uomini p iù forti, i soldati p iù va ««Fortissimi viri et milites atrenuissimi ex agricolia gignuntur, minimeque malecogitantes.Praelorosi e i buoni pensatori sorgono appunto di fra la gente di campagna. Non com perar poderi dium ne cupide emas. In re rustica operae ne troppo ingordamente. Ne 1bisogni dell* agricolparcas, in agro emendo miuime. Quod male lula non risparmiar fatica, nè risparmiar danaro emptum est, semper poenitet. Agrum paraturos ia comperare il campo. Di quello che a' è mal ante omnia intueri oportet aquam, viam, e l vi comperalo, altri sempre si pente. C olo ro che vo cinum. n Singula magnas interpretationes babent, uec dubias. Cato iu conterminis boc ampliua gliono comperare il campo, sopra o g n i coaa bi sogna cbe considerino bene la qualità delPacqaa, aestimari jubet, quo pacto n iteant; « l u bona la via, e la condizione del vicino, n Ciascuna di euim, inquit, regione bene nitent. » Atilius Re gulus, ille Punico bello bis consul, ajebat, u nequeste cose ba grande significato c non ponto
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII. que fecundissimis locis insalubrem agrum paparandum, neque effetis saluberrim am .» Salu britas loci non semper incolarum colore detegi tu r, quoniam adsueti etiam in pestilentibus durant. Praeterea sunt quaedam partibus anni salubria : nihil antem salutare est, nisi quod loto anno salubre. Malus est ager, cum quo dominos luctatur. Cato inter prima spectari jobet, u l so lum sua virtute valeat, qua dictam est positione : ut operariorum copia prope sit, oppidumque valiildtn : ut navigiorum evectas vel itinerum : ut bene aedifica lus et coitus, in quo falli plerosque video. Segnitiem enim prioris domini pro empto re esse arbitrantor. Nihil est damnosius deserto agro, ltaqae Cato, u de bono domino melius emi, nec temere contemnendam alienam disciplinam : agroque, ut homini, quamvis quaestuosus sit, si tamen et suApluosus, non multam superesse. n Ille in agro quaestuosissimam judicat vilem : noo frustra, qnoniam ante omnia de impensae ratione cavit. Proxime hortos riguos : nec id falso, si sub oppido sint. E t prata, antiqui parata dixere, ldemque Cato interrogatus, quis esset certissi mus quaestus, respondit, mSi bene pascas. « Quis proxim us? u Si mediocriter pascas, n Summa omniam in hoc spectando fuit, ut fructus is ma xime probaretur, qui qoam minimo impendio constaiu*us esset. Hoc ex locorum occasione aliter alibi decernitur. Eodemque pertinet, quod u agri colam vendacam esse oportere dixit. Fundum in adolescentia conserendum sine cunctatione, aedi ficandam non nisi consilo agro : tunc quoque cunctanter: » oplimumque est (ut vulgo dixere) u aliena insania froi, » sed ita, ut villarum tutela non sit oneri, u Eum tamen qui bene habitet, saepius ventilare in agrom : fronlemque domini p ias prodesse qaam occipitium , i> non men tiuntur.
dubbioso. Catone vuole di più rapporto ai vicini, che si consideri in che modo essi stieno bene ac comodati ; « perchè, dice, nel paese buono slan bene accomodali. « Regolo Atilio, che fu due volte consolo nella guerra Cartaginese, usava di re, m che non si doveva acquistar possessione, do ve fosse cattiva aria, ancora eh' ella fosse in luo ghi fertilissimi, nè ancora dove I' aria fosse sana e salutifera, e il terreno sterile. « La sanità del luogo non si conosce sempre »1 colore degli abi tatori, perciocché al tri è avvezzo ancora ne’ luo ghi pestilenti. O lirà ciò sono alcuni luoghi sani a certe stagioni dell’ anno, ma non si può dir sano, chi non è tale per l ' anno intero. Cattivo terreno è quello, col quale il padrone ha da com battere. Catone per la prima cosa vuole che s'avvertisca, che il terreno sia fertile per sè stesso, secondo quella posizione che s’ è detto ; e ch'egli abbia appresso copia d 'o p e re e qualche terra grossa ; eh’ egli abbia comodità di portare per acqaa, o per terra, e che sia bene edificato e la vorato ; nella qual cosa veggio che molti pigliano errore. Perciocch' essi si danno a credere che la dappocaggine del primo padrone faccia per il comperalore. Non c’ è cosa di m aggior danno, che comperar terreno mal lavorato. Consiglia donque Catone, u che si comperi da diligente pa drone, e che non si disprezzi la disciplina altrui : la possessione esser come l ' uomo ; benché ap porli guadagno, se nondimeno è di spesa, n oa reca molto di avanzo. » E gli tiene che la vite sia di grandissimo guadagno nel campo, e ciò non indarno ; perchè innanzi ad ogoi altra cosa ebbe riguardo alla spesa. Dopo queste mette gli orli che s ' annacquano, e dice il vero, massimamente qnando sono appresso alla città; non che i prati, i quali dagli antichi furono detti parati. Il me desimo Catooe essendo domandato qual fosse il guadagno più sicuro, rispose che le buone pa sture. E quale dipoi ? le pasture mediocri. Ma la somma di tulli t precetti sta in questo, che si p re ferisca massimamente quel genere di frutto che fosse per costar meno a chi lo coltiva. Ma tale pre ferenza vuol essere data a quel genere che meglio s’accomodi ai diversi terreni. A qaesto medesimo proposito fa ancora quello che disse inoltre, a che il lavoratore dee esser facile a vendere : che nella giovanezza bisogna piantare il podere senza dimo ra ; e che non vi si debbe edificare, se non vi s'è piantato, ed anco allora lentamente : » ed è cosa ottima, come comunemente s'usa dire, u go dere la pazzia degli altri, n ma però in modo, che la tutela della villa non sia a gravezza, u Nondi meno colui che abita bene dover ire spesso alla villa, e la fronte del padrone giovare assai più che la collottola ; « e in questo non mentono.
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C. P U N I 9ECUNOI Os
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si dbbba e d i f i c ì b e l a v i l l a .
VII. 6. Buona regola è, cbe la viUa non deri VII. 6. Modus hic probator, o t neque fundas deri piò terreni, ovvero non sia troppo piccola villam quaerat, neque villa fandum. Non ut fe in confronto loro, e per opposito c h e i terreni cerant juxta diversis eadem aetale exemplis L; non desiderino villa maggiore. Il che p er contra Lucullus, et Q. Scaevola, quum villa Scaevolae rio modo- non osservarono L. L u cu llo e Q . Sci fundas careret, villa Luculli agro. Quo in genere vola, v iva ti contemporaneamente, p o ich é il po censoria castigai io erat minos arare, quam ver* dere di Scevola non aveva villa, e la villa di Lu rere. Nec hoc sine arte quadam est. Novissimos cullo non avea podere. E perciò era tassato dai villam in Misenensi posuit C. Marius septies coa censori chi aveva più da spazzare, che da arare. lu i, sed perilia castrametandi, sic ut comparatos Questo però non si fa senza un certo artificio. ei ceteros etiam Sulla Felix caecos foisse diceret. Caio Mario, stato sette vo lle consolo, edificò ona villa nel Miseno, ma con quella re go la, che egli usava fare gli alloggiam enti dell’ esercito ; talché anche Siila il Felice disse essere siati càcchi tatti gli altri messi in paragone con lai. Non farai la tua villa appreaso a p aludi,, nè Convenit nee juxta paludes ponendam esse, di rincontro al fiume. O m ero a tutta ragione aeque adverso amne : qoamqnam Homerus omni dice, che i venti cbe ionaozi d ì v en go ao dei fiami, no e flumioe semper antelucanas anras insalubres sono sempre malsani. Dee esser volta a setten verissime tradidit. Speotare in aestuosis locis septemtriones debet, meridiem in frigidis: in trione ne' luoghi caldi, a m ezzodi n e' freddi, e al temperatis exortam aequinoctialem. A gri ipsivs levigate equinoziale ne' temperati. E benché par· bonitas, quibos argumentis judicanda sit, quam r i che noi abbiamo già ragionato abbastanza quam de terrae optimo genere disserentes abunde de' segni per conoscere un buon terreno, qoaado ne trattammo della qualità m igliore, ritocchere dixisse possumus videri, etiamnum tamen traditas notas subsignabimus, Catonis maxime verbis : mo qui i già delti segni, massimamente allegando Catone. L ’ ebbio, il susino selvatico, il prono Ebulum , vel pranus silvestris, vel robas, bolbus moraiuolo, i cipollini salvatichi, il trifoglio, l ’ er minutas, trifolium, herba pratensis, quercus, sil vestris pirus, raalusque, fraraentarii soli notae. ba pratese, la quercia, il pero sai va lico, e il melo Item nigra terra, et cinerei coloris. Omnis creta sono segai di terreno fertile « grano. E cosi la coquit, nisi permacra : sabulomque nisi id etiam terra nera, e di colore cenerognolo. O gn i creta perteone est : et m olto campestribus magis, qaam ■tatara, se non è molto magra. I) sabbione aneora, elivosis respondent eadem. se non è molto sottile; e tutte queste oose rispon Modam agri in primis servandam antiqai putavere : quippe ita censebant, w Satias esse minas serere, et melius arare : w qua in setoentia c t Virgilium fuisse video. Veram qoe confitentibus latifundia perdidere Italiam : jam vero et provinciae. Sex domini semissem Africae possi debant, quam interfecit eos Nero princeps : non fraudando magnitudine hac quoque sua Cn. Pom pejo, qui namquam agrum mercatas est conter minum. A gro empto domum vendendam, incle menter, atque non ex utilitate publici status Mago censui t, hoc exordio praecepta paodere ingressus, ut tamen appareat assiduitatem desideratam ab eo.
Dehinc peritia villicorum in cura habeoda est: mullaque de iis Cato praecepit. Nobis satis sit dixisse, quam proximum domino corde esse de bere, el tamen sibiraelipsi non videri. Coli rara
dono molto piò net piani, ohe n e’ poggi. Stimavanfo gli antichi che il pod ere dovesse aver mediocre estensione, giacché dicevano, «es ser meglio seminar poco, e arar bene: n delia qoale opinione veggo essere stato anche Virgilio. E a confessare il vero, le possessioni grandi hanno minata Γ Italia, e di già le p rovince ancora. Sei signori possedevano la metà d e ll' A frica, quando Nerone imperadore gli uccise; al quale proposito è da lodare auche questa m agnanim ità di Gneo Pompeo, che non comperò mai campo d i vicino. Magone fu di parere che fosse cosa c ru d e le , e contra r u tilila dello stato pubblico, vendere la casa quando s1 è comperato il p o d e r e , avendo con questo esordio cominciato a dar i suoi precetti» in modo però che si vede, come e g li ne accasava la frequenza. Hassi poi da aver cura che il fattore della villa sia intendente d'agricoltura, c intorno a qaesti lab Calone diede molli precetti. A uoi basterà aver dello, ch 'egli sia vicino al padrone di prudenza,
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HISTORIARUM ΜΟΝΟΙ U B . XVUI.
ab ergastulis pessimum est, et quidquid agitur a despexaulibus. Temerarium videatur unam vocem antiquorum posuisse, et fortassis incredibile pe nitus aestimetur : « Nihil minus expedire, quam agrum optime coiere, » L. Tarios Rufus infima natalium humilitate, consulatum militari indu stria meritus, antiquae alias parcimoniae, circiter inillies H-S liberalilate divi Augusti congestum, usque ad detrectationem heredis exhausit, agros in Piceno coemendo, colendoque iu gloriam. In ternecionem ergo famemque cessemus ΐ lm m o hercules, modum judicem rerum omnium utilis simum. Bene colere necessarium est: optime, damnosum, praeterquam so bole, suo colono, aul pascendis. A lioqui colente domino aliquas messes colligere non expedit, si oompntetur impendium Ceterae. Nec temere olivam : nec quasdam terrae diligenter colere, sicot in Sicilia, tradunt : itaque dccipi advenas.
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e nondimeno nun paia a sè stesso di esserlo. E g li è mollo mal fatto far lavorare le possessioni agli schiavi, o commettere altro a chi vi opera senza punto di speranza. Parrà forse temerario riferire un motto degli antichi, e sarà anche tenuto iocre dibile affatto; e questo è : a non esser cosa mnnco utile, che coltivar troppo spleudidamente il cam po. » Lucio Tario Rufo nato di vilissimo sangue, avendosi per industria militare ottenuto il con solato, uomo d ’ altronde parco all' antica, consu mò, perchè niuu retaggio ne riraanesseal figliuo lo, intorno a cento milioni di sesterxii che per la liberalità di Augusto aveva accumulalo, in compe rare di molle possessioni nella Marca di Ancona, e in farle lavorare più a gloria, che ad utilità. Ma che ? coltiverem o noi la ruina e la fame ? Veris simo è dunque che in ogni cosa utilissimo sia il giusto m e n u . 11 lavorar bene è cosa necessaria ; ma il lavorare a tulta splendidecza è di danno, se già il lavoratore non lo fa co’ figliuoli, o con altre persone, le quali in ogni modo egli ha da pascere. Altrim enti non mette conto ricogliere q u e 'fruiti, dove la spesa è più che il guadagno. Nè anco Γ uliva s’ ha da lavorare sconsigliatamente ; nè coltivare certe terre con troppa diligenza, come dicono in Sicilia ; perchè così ingannatisi i fo restieri. P r e c e t t i d e g l i a n t i c h i INTORNO a LAVORARE I
P b AECEPTA ANTIQUO&UU DB AGRO COLENDO.
V ili. Quonam igitur modo utilissime colun tu r a gri? ex oraculo scilicet, malis bonis. Sed defen di aequum est abavos, qui praeceptis suis prospexere vitae. Namque quum ilioerent malis, in telligere voluere vilissimos.Sammum providen tia e illorum fuit, ut quam minimum esset impen d ii. Praecipiebant enim ista, qui triumphales desias argenti libras in suppelleclile crimini d a b a n t : qui mortuo villico relinquere victorias, et re v erti io sua rura postulabant : qoorom heredia colenda suscipiebat respublica, exercitusqoe do ceb an t, senalu illis villicante.
Inde illa reliqua oracula : « Nequam agrico la m esse, quisquis emeret, quod praestare ei fun d u s posset. Malum pai rem familias, qnisquis in te r d iu faceret, quod noctu posset, nisi in lempe s t a le coeli. Pejorem , qui profestis diebus ageret, q u o d feriatis deberet. Pessimum, qui sereno die s u b tecto potius operaretur, quam in agro. «
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V i l i . Com e si lavoreranno dunque utilissimamente i caotpi ? certo secondo l ’ oracolo che dic$, quanto costano meuo, e tanto son più buoni» Ma bene è cosa onesta difendere gli antichi, i quali coi precetti loro provvidero alla vita. Per-: ciocché dicendo eglino c a ttiv i, vollero inten dere vilissim i; perchè gran provvidenza fu 1* loro, che la spesa fosse pochissima. Questi erano i precetti di quegli antichi, i quali imputavano a peccalo, che uno, il quale avesse trionfato, avesse in sua masserizia dieci libbre di argento ; i quali iupr(o che era il fattore, domandavano di lasciare la vittorie, e ritornarsi alle lor ville ; i cui piccoli poderi la repubblica faceva lavorare, quando essi diventavano capitani degli eserciti, e il senato se ne faoeva fattore. Di qui vengono qaegli altri oracoli : « Catti vo lavoratore è colai, che compera quello che gli può dare il podere; e cattivo quel padre di fami glia, il quale fa di giorno ciò che potria far di notte, se oon quando è cattiva temperie: ma peggiore è quello, che nei giorni di lavorare fa qìò, ohe può fare ne1 giorni di rip oso; e pessimo quel lo, che quando è buon tempo piuttosto lavora al coperto, che nel campo. »
C. PLINII SECONDI Nequeo mihi tem perare, quominus unum exemplum antiquitatis adferam, ex quo iulelligi possit, apud populum eliam de culturis agendi morem fuisse, qualiterque defendi soliti sint illi viri. C. Furius Cresinus e servitute liberatus, quum in parvo admodum agello largiores utullo fructus perciperet, quam ex amplissimis vicinitas, in invidia magna erat, ceu fruge* alienas pellice ret veneficiis. Quamobrem a Sp. Albino curuli die dicta, metuens damnationem, quum in suffra gium iribus oporteret ire, instrumentum rusti cum orane in forum attulit, et adduxit filiam va lidam, atque (ut ait Piso) bene curatam ac vesti tam, ferramenta egregie facta, graves ligones, vo meres ponderosos, boves saturos. Postea dixit : u Veneficia mea, Quirites, haec sunt : nec possum vobis ostendere, aut in forum adducere lucubra tiones meas, vigiliasque, et sudores, n Omnium sententiis absolutus itaque est. Profeclo, opera, non impensa, cultura constat. E t ideo majores fertilissimum in agro oculum domini esse di xerunt.
Reliqua praecepta reddentur suis locis, quae propria generum singulorum erunt. Inierim com munia, quae succurrunt, non omittemus. E t in primis Catonis humanissimum ulilissimuraque : u Id agendum, ut diligant vicini, n Causas reddit ille: nos existimamus nnlliesse dubias. Inter pri ma idem cavet, ne familiae malae sint. Nihil sero faciendum in agricultura omnes censent, ileruraque suo quaeque tempore facienda.Ex tertio prae cepto, praetermissa frustra revocari. De lerra cariosa exsecratio Catonis abunde indicata est. Quamquam praedicere non cessat is: quidquid per asellum fieri poteit, vilissime constat. Filix biennio moritur, si frondem agere non patiaris. Id efficacissime contingit, germinantis ramis ba culo decussis. Succns enim ex ipsa defluens, necat radices. Ajunt et circa solstitium avulsus non re nasci, nec arundine sectas, aut exaratas vomeri arundine imposita. Similiter et arundinem exa rari filice vomeri imposita praecipiunt. Juncosus ager verti pala debet : at in saxoso bidentibus. F ru t e t a igni optime tolluntur.Humidiorem agrum fossis concidi atque siccari, utilissimum est : fos sas aulem cretosis locis apertas relinqui : in solu· tiore lerra sepibus firmari, ne procidant: aut supinis lateribus procum bere: quasdam obcae· cari, et in alias dirigi majores pateutioresque : si sit occasio, silice vel glarea sterni. Ora aulem earum binis utrim que lapidibus statuminari, et alio superintegi. Silvae exstirpandae rationem
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Non mi posso tenere, che io non metta qni un esempio dell' antichità, acciocché si sappia cbe era usanza trattare dinanzi al popolo i processi in torno a cultura, e in che modo gli accusati si difen devano. C. Furio Cresino d isch ia vo che egli era. fatto franco, ricogliendo in nn campo m olto piccolo assai più che i suoi vicini nelle poasesaioni grandi, era m ollo odiato, come se per incanti e g li avesse tirata a sè le biade de’campi vicini. P e r la qual cosa essendo citato da Spurio A lbino edile curale, e accusato al popolo, e perciò tem endo di esser condannato, perciocché bisognava che le tribé mettessero il partito, oomparve in g iu d ià o , e portò quivi tutti i suoi ferram enti, co' quali egli lavorava, e menò una sua figlinola, molto robu sta, e (come dice Pisone) ben governata e vestita: ferramenti ben fatti, g ra v i m arroni, ponderasi vomeri, e buoi ben pasciuti ; e disse : u O citta dini Romani, i miei incantesimi sou qneali ; na non posso già, come io vi m ostro i m iei ferra menti, mostrarvi le vigilie, le fatiche, e i sudori miei, η C iò detto, fu assoluto con tu lli i suffragii. E veramente Γ agricoltura consiste n e ll' opera, e non nella spesa. E perciò i nostri antichi usavano dire, che l ' occhio del padrone era la grascia dd campo. Degli altri precetti ragioneremo al suo luogo, riferendogli iu quella sorte di cose, per cui fu rono dati. Al presente porrem o g li universali, e prima quello di Catone, il qual è umanissimo e utilissimo, cioè, che facciamo og n i cosa in modo, che i vicini ci vogliauo bene. Del che «gli n e ren de anche le cagioni, 1« quali io penso che sieno nota ad ognuno. Fra le prim e cose e* vuole che 1 servi nostri non sieno cattivi. È com une precetto di tu lli, che non et faccia nulla più lardi che eoa conviene, »,a sì ogni cosa a suo tem po. Il terzo precetto è, che le cose pretermesse è inutile che si rifacciano. Abbiam o d ello abbastanza, quanto Catone abbia a noia il terreno spugnoso, e quasi intarlalo ; benché egli uon mane* di ripeterlo: ciò cbe si può fare con I1 asinelio, è pochissima spesa. La felce muore in due anni, se non ae le lascia far la foglia ; il che si otlieue benissimo, se cou un bastone lu furai cascare i rami germ ogliali ; perciocché il sugo che ella perde ammazza le »ue radici. Dicono ancora, che s’ elle si sv d g o o o intorno il solstizio, non rinasoono, nè se aooo ta gliate cou la canna, o arate, m ettendo la causna sul vomero. Vogliono ancora che U canneto «Vari mettendo la felce sul vomero, a volere c h e la Idee uon vi nasca di m ezzo. Il campo pieno di gnauchi si dee volgere con la vanga, ma il m u o io si dee col beccastrino. 1 pruneti si levano benissimo col fuoco. 11 campo acquoso è cosa utilissima di viderlo e asciugarlo cou le fo sse . e lasciare le
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII.
Democritus prodidit, lupini fiore io tacco d ca te e uao die macereto, aparsisqae n i iià b o i.
G i m i FBUGOB.
IX. 7. K t quoniam praeparatas est ager, na tura nunc in dicabitar frugain. Sant autem dao prima earam genera. Frnmenta, a t triticum, hor deum: et legumina, at faba, eicer. Differentia vero notior qaam a t indicari deceat.
N atura,
p i i genera, p r o b r t i .
X. Frumenti ipeius lotidem genera, per tem pora satu divisa. Hiberna, quae circa Vergilia rum occasum sata terra per hiemem nutriantur, at triticum, far, hórdeam. Aestiva, qaae aestate' aate Vergiliarum exortam serantur, ut milium,' panicOm, sesama, hotm m am , irio, Italiae dumta x at ritu. Alioqui in Graecia el Atia omnia Ver giliarum occasu serantur. Qaaedant aatem utro qu e tempore in Italia. Ex his quaedam et terlio, ▼eris scilicet. A liqai verna, miliom, panicum, lentem , elcer, alicam appellant. Sementiva aatem, triticu m , hordeum, fabam, napum, rapam. E t in tritici genere pars aliqua pabuli est quadrupedum cauta sali, ut farrago : et in leguminibus, ut vicia. A t commune qaadrapedam hominumque asui, lupinam .
Legum ina ompia singulas habent radices, p ra e te r fabam, easque surcalosas, quia non in m a lta dividuntur : alliesimas aatem cicer. F ra n c a t a multis radicantur fibris, tine ramis. Erum p it si p r is a · satu hordeum die septimo : legumina q u a r to , vel quam tardissime, septimo : fbba a xv ad x x . Legumina in Aegyplo tertio die. E x hor d e o a lte ra m caput grani in radicem exit, alteram in h e rb a m , qaae et prior floret. Radicem crassior p a i s gran i fundit, tenyior florem. Ceteris semi ti i b u s eadem pars, et radicem, et florem.
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fosse aperte ne' luoghi cretosi. Nella terra che più si risolve, debbono le fosse essere circoadate da siepi : i fianchi loro, acciocché le acque non li dilavino giù, deono essere pietrosi e di dolce declivio. Alcune voglionsi privare di uscita, ac ciocché mettano in altre maggiori e più eapaci ; e se v ’ è Γ occasione, è molto utile ripianare Γ al veo 'con sassi e con ciottoli. G li sbocchi loro si debbono fortificare con doe pietre di qua e di là, e con un' altra coprire di sopra. Per estirpare ana boscaglia ne insegna il modo Democrito, vo lendo che si maceri il fiore del lupino nel sago della cicala per un dì, e che se ne spargano le radici. D bllb'
specie d b l l b
bia d b .
IX . η. O ra, poscia che si è ordinato il campo, si ragionerà della natura delle biade. D ae so no le prime sorti di esse : frumenti, come grano e orzo ; e legam i, come fava e eeee. La diffe renza loro é tanto chiara, che non accade par larne, per volerla mostrare. N a t u r a d b l f r c m e h t o sec o nd o s p b c ib .
X. Del frumento stesso sono altrettante sorti, divise secondo i tempi da seminare. I vernerecd, i qnali essendo seminati intorno al tramontare d d le Vergilie, nel verno son on od rili dalla terra, come il grano, il farro, e l’orzo. Gli eslivi,i quali si teminano la state innanzi il nascimento delle Vergilie, come il m iglio, il panico, il sesam o, I’ ormino, e Γ irio ; però secondo il costume di lU li a , perchè in Grecia e in Asia si seminano tutti nel tramontare delle Vergilie. In Italia al cani si sem in an o pur nell' uno e l ' altro tempo ; e parte di essi ancora nel tempo di mezzo, cioè nella primavera. Alcuni appellano vernerecci il miglio, il panico, la lente, i ceci e Γ alica ; e se mentivi il grano, l'orzo, la fava, il napo e 1« rapa. Nella specie del grano ve n' ha una parie che semina per pastura de' bestiami, come è la farra g in e ; e similmente fra i legumi la veccia.il lupi· pino però é oomune agli uomini e alle bestie. 1 legami in generale, fuorché la fava, non han no più ohe una radice, la quale mette sorcoli per chè non si dirama in altre radici, salvo poche fibre tenuissime : il cece I' ha profondissima. 1 Tramenìi hanno certe come venoline in laogo di radice, e perciò non raettou sorcoli. L ’orzo nasca in selle giorni, le civaie iu quattro, o al più tardi in selle : le fave da quindici a venti giorni. L e civaie in Egitto nascono in tre giorni. Nell' orzo l'u n capo del granello fa i* radice, e l'a ll r o fa l’ erba la quale prima fiorisce. Il grauo fa la ra-
C. PLINII SECUNDI
Frumen U hieme in herba «aat : verno tera· pore fastigantur iu t t i f w l i a , qaae *unt hiberui generis : at milium et pantcitiu in calimi a genicuUluoa,et conca t u o , sesania veru io feralaceum. Om aium satorum fructui, aut spicis con li ne lar, at trilici, hordei ; raunilurque vallo arietaram quadruplici : aot iocloditur siliquis, ut legumi num : aut vasculis, ut sesamae, ac papaveris. Mi lium et panicum tantum pro indiviso et parvis avibus expositum est. Indefensa quippe membra nis continentur. Panicum a paniculis dictam, ca cumine languide nutaute, paullatim e ite o a a to culmo paene in surculum, praedensis acervatur granis, cum loegissiraa pedali phoba. Milii comae granum complexae fimbriato capillo curvantur. Sunt et panico geoera : mammosa, e pano parvis racemata paniculis, et cacumine gemino. Q u ia e t colore distinguitur : candido, nigro, rufo, etiam pur pareo. Pania multifarie et e milio fit, e paaico raras. Sed nullam frumen tura ponderatius est, a at quod coquendo magis crescat: l x pondo panis a modio reducunt, modiumque pultis ex Iribus sextariis madidis. Milium intra hoe decem annos ex India in Italiam iuvectum est, nigrom colore, amplum grano, arundineum colmo. Ado lescit ad pedes altitudine septem, praegrandibus culmis : lobat vocant : omnium frugum fertilissi mum. E x uno grano sextarii terni gignantur. Seri debet in bamidis.
Frumen Ia qaaedam in tertio genu spicam incipiant concipere, qaaedam in qnarto, sed etiarmnam opcaltam. Genicula aatem aant tritico quaterna, farri sena, hordeo octona. Sed non ante supradiclum geniculorum numerum conceptos est spicae: qui ut spem sui fecit, quatuor aat quinque tardissime diebus florere incipiant : totidemqae aot paullo pluribus deflorescunt. Hor dea vero quum tardissime septem. Varro quater novenis diebus fruges absolvi tradit, et mense nono meli. Fabae in folia exeant, ac deinde canlent emit tunt, nuHis distinctam internodiis. Reliqaa le gumina surculosa sant. E x his ramosa, cioer, ervom , liens. -Qaorumdam caules sparguntor in terram, si non habeant adminiealum, ut pisorum. Q uod si oon habuere, deteriora fient. Legum i num unicaulia faba sola, onus et lupinis : ceteris
dice dal grosso, e il Aere d a l lo ttile . Negli altri semi una medesima parte fa la radine e i fiori. 1 grani il verno sooo in erba, e la primavera fanno le cime eon istoppie, se sono vernerecei; ma il miglio e il pauico fan gam bo con cavo e inter secato da nodi, e il sesamo som igliante a quello delle ferule. T utte le cose seminale tengono il frutto o nelle spighe, come il gran o e 1' orzo, le quali spighe sono difese da qu attro ordini di re ste; o nei baccelli, come sono le fa re e » eeci ; o in vasi, come il sesamo e il papavero. S olo il miglio e il panico indiffereu temente rim angono in pre da ancora a piccoli uccelli ; perocché uon hanno altra difesa che d’ un pannicolo. 11 panico coti chiamalo p e rla pannocchia che fa, la quale lauguidameote oodojeggia, assottiglia il suo fasto di mano io maoo finché uella cima è sottilissimo : la pannocchia è folla di grani, e incappella H fu sto luughisiim o a guisa di chiom a. Questa chioma medesima cbe contiene il grano, nel m iglio iocurva i suoi crioi a m o 'd i frangia. II paaico ha pur esso le sue specie: v 'h a ii m am m oso,il quale da una specie d’ enfiatura mette piccole pannoc chie, che si scevrano in due vette. O ltra di ciò si distingue al colore, perché c ' è panico bianco, nero, rosso, e porporino ancora. Si fa pace in molti modi eziandio di m iglio, ma d i panico pià d i rado. Ma nessun frum ento è p iò pesante, o che coceudolo più-cresca, perchè di un moggio si ca vano sessanta lib b re di pane ; e il moggio della polta è d i tre aestarii bagnati. Il miglio da dia ci anni io qua è stato porlato d 'India ia Italia, nero di colore, grosso d i granello, e d i gamba come La canna. Cresce fino a eette piedi di altez za, con gran cima : lo chiamano loba, ed è ferti lissimo più ehe latte le biade. Di un granello ne nascono ire aestarii ; ma dehbesi sem inare in luo ghi umidi. Certi frum enti cominciano la re la spiga nel terzo nodo, certi nel quarto, ma aneora ascosa. 11 gran o ha quattro nodi, il farro sei, e l ' o n s otto. Ma la spiga non nasce innanzi al aopraddello nnmero di nodi ; la quale com e ha data speranza di sè, quattro o cinque gio rn i al più tardi comincia a fiorire, e iu altrettan ti, o poco p iù , sfiorisce ; e l ’ orzo al più tardi in sette. Dice Varrone che in trenta sei gio rn i le biade hanno la loro perfezione, e che e lle si tagliane in nove mesi. L e fave eseono in foglie, e poi m andano inori il gam be senza nodo alcuno. L ’ a ltre civ a ie fan no più sorcolù Ramasi sono il oeoe, la rnviglis, e la lente. I gambi di alcuni si spandono p e r ter ra, se non hanno sostegno, come i p iselli ; anzi se non l ' anno, diventano p eggiori. D e lie civaie, la fava e il lupino hanno un sol g a m b o : g li altri
HISTORIARUM MONDI LIB. XV11I.
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ramosus praetenui surculo : omnibus vero fistu lo s u s .
Folium quaedam ab radice mittunt, quaedam a cacumine. Frumentum vero et hordeum, viciaque, et quidquid in stipala est, in cacumine uoum folium habet. Sed hordeo scabra sunt, celeris laevia. Multiplicia contra fabae, ciceri, piso. F ru menlis folium arundinaceum, fabae rotundum, et magnae leguminum parli. Loogiora ervilia·, et piso. Faseolis venosa ; sesamae, et irioni sangui nea. Cadunt folia lupino tantum, et papaveri. Le gumina diutius florént, et ex his ervum ac cicer : sed dialissime fa b a x l diebus. Non autem sin guli scapi lamdia, quoniam alio desinente alius incipit ; nea tota seges, sicut frumenti, pariUr. Siliquantur vero omnia diversis diebus, et ab ima prim um parte, paulUlim flore aubeunte.
Fru m enta, quum defloruere, crassescunt, maturanltarque quum plurimum diebus quadraginta: item fa ba : paucissimis cicer. Id enim a semente diebus x i . perficitur. Milium, et panicum, e l sesa ma, e l omnia aestiva, x l diebus maturantur a flore, magna terrae coelique differentia. In A egy pto enim hordeum sexto a satu mense, frumenla septimo metuntur. In Hellade, hordeum. In Pe» loponneso octavo, et frumenla etiamnum tardius. G ran a in stipula crinito textu spicantur. In faba legum inibusque, alternis lateribus siliquantur. F o rtio ra contra hiemes f rumenta, legumina in cibo.
T u u ica e frumento plures. Hordeum maxime n u d u m , el arinca, sed praecipite avena. Calamus a liio r frum ento, quam hordeo. Arista mordacior h o rd eo . In area exlcrunlur trilicum , el siligo, el h o rd eu m . Sic et seruntur pura, qualiler m olen tur, q u ia tosta non sunt, L· diverso far, milium, panicum , purgari, nisi tosta, uou possunt. Ilaqu e baec cum suis folliculis seruntur cruda. E t far in vagin u lis suis servaot ad salus, atque noo to rre n t. Db
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l'hanno diramalo in pi«ooK>germ ogli ; però tutti 1' han voto di dentro. Alcuni mettono la foglia dalla radice, alcuni dalla cima. Il grano, l ' orzo, la veccia, e tulio quello eh' è in isloppia, hanno una foglia iu sulla cima; ma l’orzo le ha ruvide, e gli altri delicate. La fava, il cece e il pisello ne han molte. Il grano ha fo. §lie di canna ; le fave, e grandissima parte delle civaie, le hanno rotonde. Le ruviglie e il pisello più lunghe. Il fagliuolo I' ha venose, il sesamo e l’ irione sauguigne. Le foglie caggiono solo al lupino e al papavero. Le civaie lungamente fio riscono, e fra queste più la ruviglia e il cece; e molto più lungamente la fava, fino in quaranta giorni. Ria non cosi lungamente in ciascuna boc cia, perchè quando Γ una finisce, oomiocia I' al* tra; nè parimente tulle le biade, come il grano. T utte fanno i haccelli in diverti giorni, e prima dalla parte hassa, salendo a poco a poco il fiore. I grani, quando sono sfiorili ingrassano, e per lo più si maturano in quaraola giorni : cosi fanno le fave. Il cece iu pochissimi giorni, perefeè poi eh' egli è seminalo, viene a perfezione in q u a ranta giorni. 11 miglio, il panico, il sesamo, e lutti quegli della stale, si maturano in quaranta dì dopo il fiore ; ma ne cagiona gran differenza la lerra e l'a ria . Perciocché in E g ilto l'o r z o sì miele il sesto mese poich' è seminalo, e il grana il setiimo, come in Grecia Γ orzo. Nella Morea l'ottavo, e il grano ancora più lardi. I grani nelle loro spighe sono intramezzati dai orini della stop pia. Le fave e i legumi fanno baccelli dall' una parte o dall' altra del gambo, ma a vicenda. 1 grani, il verno resistono di più, e i legumi diven tano cibo migliore. II grano ha più veste. L 'orzo è mollo ignudo, e cosi l'arinca, e molto più l'avena. Il grano ha fu sto più alto che l'orzo, ma l'orzo ha rette più mor daci. Nell' aia si battono il g r a n o , la segala e l ' orzo; cosi aocora si scmiuano puri, come si ma cinano, senza che sieno abbronzali. Ma il farro, il panico e il miglio non si possono purgare , se non si mettono nel forno caldo, però si seminano crudi con la loro veste. Anche il farro si conserva nelle sue guaine per seminare, e non s ' iucuoce. D e i . FA&ao·
X I. Leggerissimo Ora questi è Γ orzo : rade X I. Levissim um ex his hordeum, raro exce volte U m oggio passa quindici libbre, e la fav* d it x v lib ras, et faba x xn . Ponderosius far ma· ventidue. 11 farro pesa più, ma molto più il gra gisqu e eliam nnm triticum . F ar in A egyp to ex no. Il farro in E g ilto si fa di spelda ; e questa è o lyra con ficitu r. T ertium genus spicae hoc ibi una terza specie in quel paese. In Francia ancora eat. G a llia e quoque suum genus farris dedere : è un' altra sofie di fa r r o , che quivi sì chiama q u o d illic bracem vocant, apud nos sandalam, brace, appresso n o i sandalo, di bianchissimo grat n itidissim i grani. Et alia differentia est, quod u lilo. Écci no' altea d iffe re n ta , ohe questo fa fere qn alcrn ia libris p h s reddit pannis, qaam
C. PLINII SECUNDI far aliud. Populum Romanum farre tantam e frumento ccc anuis usum, Verrius tradit.
quasi quattro libbre di pane più d i e l’ altro far ro. Scrive Verrio cbe il popolo R o m an o p er tre cento anni non osò altro graoo, ch e Csrro.
O b t b it ig o .
D bl g i a r o .
XII. Sono più sorti di g r a n o , derivate dai XII. T rilici genera plora, quae fecere gentes. varii paesi. Però niuno è d* aggu agliarsi allo Ita Italico nullum equidem comparaverim candore liano, e per bianchezza, e per peso ; il che spe ac pondere, quo maxime discernitur : montanis cialmente si conosce, se si farà com p arazion e del modo comparetur Italiae agris externum, in qoo forestiero col nostro nato iu lu o g h i inoaluosi. principatum tenuit Boeotia, deinde Sicilia, mox Dei forestieri il primo ì qoello di B eo zia, dipoi Africa. Tertium pondus erat Thracio, Syrioqoe, quello di Sicilia, dipoi quel d ' A fr ic a . 11 terzo deinde et A egyp tio , athletarum cura decreto, peso lo avea quello di T r a d a e di Stria, e poi quorum capacitas jumentis similis, quem dixi quello d ’ Egitto, per giudizio d e g li atleti, la cui mus ordinem fecerat. Graecia et Ponticum lau ghiottornia simile a quella de1 giu m e n ti, ha dato davit, quod in Ilaliam non pervenit. E x omni cagione di farne le g ii dette d ifferen ze. La Gre eadem genere grani praetulit draconliam, Strancia loda quello Ài Ponto, che mai n on è venato gium, et Selenusium, argumento crassissimi ea· ia Italia. Essa preferì ancora ad o g n i a ltro genere lami : ita pingui solo haec genera adsigoabat. di grani il dragontio, lo Strangio e i l Seleneii®, Levissimum et maxime inane, seu tenuissimi ca per la grossezza d d gambo. Però assegnava que lami, in humidis seri jubebat, quoniam multo ste specie al terreno grasso, e v o le va c h e il leg egeret alimento. gerissimo, e molto vóto, o q u d lo c h e avesse sot tilissimi gam bi, si seminasse in lu o g h i umidi, perchè ha bisogno di m olto n u trim en to. Di questo modo si sentiva- risp etto al graoo Hae fuere sententiae A lexandro Magno re al tempo che regnava Alessandro M agn o , quando gnante, quum clarissima fuit Graecia, atque in la Grecia era chiarissima e potentissim a in tutto toto terrarum orbe potentissima : ita tamen, ut il mondo, di maniera però, che anche ta tu asi la ante mortem ejus annis fere c x t v Sophocles morte di quel re quasi cento quaranta cinque poeta in fabula T riptolem o frumentum Italicum anni, il poeta Sofocle nella favola di Trittolem o ante cuncta laudaverit, ad verbum translata seu· lodò il frumento d ' Italia innanzi a tutti gli altri ; lentia : le cui parole tradotte letteralmente suonano di questo modo: u E t fortunatam Italiam frumento canere candido, w
u Degna è di carme Ita lia , fortunata Per lo candido gran eh' ella produce. »
Quae Isut peculiaris hodieque Italico, est Q uo magis admiror, posteros Graecorum nullam men tionem hujus fecisse frumenti.
La qual lode oggi ancora è propria d d grano d ' Italis. E però tanto p iè mi maraviglio che i posteri dei G reci non abbiano fatta alcuna men zione di questo graoo. Ora fra tutti q u d li che son portati a Roma, il più leggeri è il Gallico, e quello eh* è p o r t a t o dal Chersoneso ; perciocché questi non passano venti libbre il moggio, chi ne vorrà pesar le gra nella. 11 Sardesco pesa più sei libb re, 1' Alessan drino la terza parte più; e questo medesimo pese ha il Siciliano. Il Beotico v1 aggiu gu e u a libbri intera; e ('Africano è più la sesta parte. Neiritalia di là dal P o so che il m oggio del farro pesa ven ticinque libbre ; intorno a Chiusi ventisei. Certe è legge di natura, che in qualsivoglia sorte di pane militare s'agg iu n ga la terza parte al pesa del grano ; siccome ottim o gran o dicono esser quello, che quando si stempera riceve nn coa gi·
Nune ex his generibus, quae Romae invehun tur, levissimum est Gallicum, atqne e Chersoneso advectum : quippe non excedunt in modium vi cenas libras, si quis granum ipsum ponderet. Adjicit Sardum selibras, Alexandrinum et trien tes: boc et Siculi pondus. Boeoticum totam li bram addit : Africum et dodrantes. In Transpa dana Italia scio vicenas quinas libraa farri s mo dios pendere : circe Clusium et senas. Lex certe naturae, nt in quocum que genere pani militari tertia portio ad grani pondus acoedat : sicut opti mum frumentum esse, quod in subactu congium aquae capiat. Quibusdam generibus per se pon dus, sicut Balearico: modio tritici panis pon-
HISTORIARUM MUNDI LIB. XV1I1. do x x s t reddit : quibusdam binis mixtis o t C yp rio et Alexandrino, xx prope libras non excedentibus. Cypriam fuscum est, panemque nigrum facit: itaque miscetor Alexandrinum can didum, reddunlquexxv pondo. Thebaicuro libras adjicit.
Marina aqua subigi, quod plerique maritimis in locis faciunt, occasione lucrandi salis, inutilis simum. Non alia de causa opportuniora morbis corpora exsistunt. Galliae et Hispaniae frumento in polnm resoluto, quibus diximus generibus, spuma ila coocreta prò fermento atuntur. Qua de causa levior illis, quam ceteris, panis e s t D ifferentia est et calami. Crassior qnippe me lioris est generis. Plurimis tunieis Thracium tri ticum vestitur, ob nimia frigora illi plagae exqui situm. Eadem causa et trimestre invenit, deti nentibus terras nivibus, quod tertio ferre a satu mense et in reliquo orbe metitur. Totis hoc Al pibus notum , et hiemalibus provinciis nullum hoc frum ento laetius. Unicalamum praeterea, nec usquam capax : serilurque non nisi tenui terra. Est et bimestre circa Thraciae A e o u m , quod quadragesimo die, quam satum est, maturescit : m irnm que, nulli frumento plus esse ponderis, et furfuribu s carere. U titur eo et Sicilia, et Achaja, montuosis utraque partibus. Euboea quoque cir ca Carystum . In tantum fallitur Columella, qui ne trimestris quidem proprium genus existima verit esse, quum sit antiquissimum. Graeci sele n ic o vocant. Tradunt in Bactris grana tantae m agnitudinis fie ri, ut singulas spicas nostras aeq uen t.
Ho bm o ; w m .
1618
d'acqua. Alcuni grani hanno il peso per sè, come quello dell1 isole Baleari, il cui moggio rende trentacinque libbre di pane. Alcuni in due me scolati, come il Cipriotto e lo Alessandrino, non passano quasi venti libbre. Il Cipriotto è bruno, e fa il pan nero : perciò vi si mescola I' Alessan drino bianco, e rendono venticinque libbre di pane. Il Tebaico v ' aggiugne una libbra. Molti impastano il pane con Γ acqua marina, per guadagnare il sale, il che è cosa non punto utile. Nè per altra cagione sono i corpi nostri più soggetti alle infermità. In Francia e in Ispagna risolvendo il grano in bevanda nei modi che abbiamo detto, quella schiuma così rassodata si usa per fermeuto. Per questa cagione essi fanno Il lor pane piò leggeri, che gli nitri. Écci differenza ancora ne' gambi ; perciocché il più grosso è di m iglior sorte. La natura vestì il grano,di Tracia di molte membrane, e ciò per rispetto de' freddi grandi di quel paese. Per que sta cagione ancora ci sono i grani trimestrali, che maturano in Iremesi, stando fino a quel tempo le nevi in terra ; il qual grano quasi in tre mesi da che è seminato, anche nell* altre parti del mondo si miete. Questa sorte dì grano s’ asa per tutte Γ Alpi ; e ne' paesi freddi niun altro grano £a meglio di questo. Oltra di ciò non fa p ià che un gambo, e non si semina se non in terreno leggeri. Nasce ancora intorno ad En o di Tracia grano bimestrale, che matura quaranta d ì poi eh* è se minato ; ed è maraviglia, che niuuo altro grano pesa più di questo, e non ha crusca. Si semina questo grano aocora io Sicilia e in Acaia, ma in luoghi montuosi ; e nella Eubea intorno a C ari sio. Columella l ’ inganna forte, stimando che il trimestrale, che è antichissimo, non facesse una spede separata. I G reci lo chiamano setanio. D i cesi che in Battra sono granella tanto g r a n d i, ehe ciascuna pareggia una delle nostre spighe.
Dell' o r z o :
d e l biso.
X lll. Il primo a seminarsi di tu lli i frumenti X lll. Primum ex omuibus frumentis seritur è l ' orzo. Assegneremo ancora i giorni del semi h ord eu m . Dabimus et dies serendo cnique gene nare a ciascuna sorte, poscia che avremo esposta ri, n atura singulorum exposita. Hordeum Indis la natura di ciascuno. In India è Γ orzo salivo, e savitum et silvestre, ex quo panis apud eos prae il salvalico ancora, del quale quivi si fa buonis cipuus. Italia maxime quidam oryza gaudent, ex simo pane. G li Italiani amano molto il riso, di qua ptisanam eonficiuot, quam reliqui mortales cui Canno decotto simile all' orzata, che gli altri ex h o rd eo . Oryzae folia carnosa porro similia, fanno d’ orzo. L e foglie del riso sono carnose, sed latiora : altitudo cubitalis, flos purpureus, simili a quelle del porro, ma più larghe ; la sua ra d ix gemmeae rotunditatis. altezza è un braccio, il fiore porporino, e la ra dice tonda siccome una perla.
C. PLINII SECUNDI
P olenta.
D ella
p o lb s t a .
X IV . L ' orzo s' usava n e 'cibi fino ab antico: XIV. Antiquissimum ia cibis hordeum, sicat ue fan fede Menandro, ricordandon e il costarne Atheniensium ritu Menandro auctore apparet : degli Ateniesi, non che il cognom e dei gladiatori, et gladiatorum cognomine, qui hordearii vocache si chiamavano ordearii. I G re ci p er faroe banlur. Polentam qooque Graeci non aliunde polenta antepongono 1' orzo ad ogni altra farioa. praeferunt. Pluribus fit haec modis. Graeci per Questa si fa in più modi. I medesimi G re ci seco· fusum aqua hordeum siccant nocte una, ac po no L'orzo bagnato con l'a c q u a in una n o tie, c stero die frigunt, deinde molis frangunt. Sunt l ' altro giorno lo frigono, e d ip oi lo macinaao. qui vehementius tostum rursus exigua aqua ad· Alcuni aono, i quali avendolo m olto ben secco ai spergant, et siccent prius, quam molant. Alii ve> fuoco, lo spruzzano con un poco d ’acqua, e prima ro virentibus spicis decussum hordeum recens di macinarlo lo seccano. Alcuni a ltri, quaodo le purgant, madidumque in pila tundunt, alque in spighe sono aocora verdi, ne cavano l'o rzo fre corbibus eluunt, ac siccatum sole rursus tundunt, sco e lo purgano da polvere e altre brattate e et purgatum molunt. Quocum que autem genere bagnato Io pestano in m o rta io , e dip oi postolo praeparato, vicenis hordei libris, teraas seminis nei corbegli il dilavano, e secco al sole n a' altra lini, et coriandri selibram, salisque acetabulo, volta lo pestano, e purgato lo macinano. Cornea· torrentes ante omnia miscent in mola. Q ui diu que sia preparato, iu venti libbre d 'o r s o ne tol tius volunt servare, cura polline ac furfuribus gono tre di seme di lino, e mezza d i coriandoli, snis condunt novis fictilibus. Italia sine perfu e due incirca di sale, e abbronzando prim a tulle sione tostum in subtilem farinam molit, iisdem queste cose, le mescolano nella macina. Qoegli additis, atque etiam milio. Paoera ex hordeo an ehe 1» vogliono conservare più lungam ente, met tiquis usitatum vita damnavit, quadrupedum que tono in vasi di terra nuovi la sua farina e la sua fere cibus est. crusca· L ' Italia senza bagnarlo altrim en ti, aieodolo secco al fuoco, lo macina in farina sottile e v' aggiugne le medesime cose, e il m iglio per soprappiù. 11 pan d ' orzo usato dagli antichi oggi più non s ' usa, ma si dà agli animali. P tisa r a .
X V . Ptisanae inde usus validissimus saluberrimusque tantopere probatur. U nam laudibus «jus volumen dicavit Hippocrates e clarissimis medicinae scientia. Ptisanae bonitas praecipua Uticensi. In Aegypto vero est, quae fit ex hor deo, cui sunt bini anguli. In Baetica et Africa genus, ex quo fiat, h o rd ei, glabrum appellat Turranius. Idem olyram et oryzam eamdem esse existimat. Ptisanae conficiendae vulgata ratio est.
T kago.
D ella
ohzata.
X V . L 'o rz a ta fatta d 'esso è cosa u ltlissu u , tante che Ippocrate, il quale fu m edico eccdien* tissimo, compose uu libro delle lodi d ' essa. 1« m igliore orzata cbe si faccia, è tenuta quella di Utica ; e in Egitto quella che si fa d e ll' orzo, che ba la spiga a doe ordini. In G ra n a la e io Africa si fa d ' una specie di orzo che T o rran io chiama glabro. E gli tiene eziandio., che l ' olirà e V orna, o riso, sieno una cosa istessa. Il m odo di fare la orzata è notissima. D bl
teago.
XV I. Simili ipodo ex tritici semine tragom fit, in Campania dumtaxat et Aegypto.
X V I. Nel medesimo m odo col seaae di grano si fa il trago, solamente in Cam pagna e in Egitto.
A m ylo.
D b l l ' a m id o .
X V II. Amylum vero ex omni tritico ac sili· g in e , sed optimum e trimestri. Inventio e jm Chio insnlae debetur: et hodie laudatissimum inde est : appellatum ab eo, quod sine mola fiat: proxim um trimestri, quod e minime ponderoso
X V II. L 'a m id o si fa d'ogn i grano e d i segala, ma il migliore è il trimestrale. Dicesi che se n e dee l ' invenzione all’ isola di Scio, donde anche oggi viene eccellentissimo : è così chiamato perchè si fa senza macina. Dopo il grano trimestrale, è mi-
i6ai
HISTORIARUM MONDI LIB. XVUL
tritico. Madescit dolci aqua ligneis vasis, ita o t iu tegalu r, quinquies in die molala. Meliu· si et n octu, ita ut mieoeator pariter. Em olli Ioni, pria» quam acescat, linteo aut sportis saccatum, tegu lae infunditor illitae fermento, atqoe ita in sole densatur. Post Chinm maxime Undator C reti c a m , mox Aegyptium. Probatur autem laevore, e t levitate : atqoe ut receos sil : jam et Catoni d ictam apud noe.
gliore quello che pesa meno. S ' immolla entro a vasi di legno in tanta acqua dolce, eh' ei ne resti so tto; ma vuoisi mutarla cinque volte il d ì:.m egKo se anche di notte ; però vuoisi mescere del pari. Cosi ammollito, prima che rinforzi si fa co lare per sacchi di tela o per isporte su tegoli im piastrati di fermeoto, e cosi si rassoda al sole. Dopo quello di Scio è lodato molto il Candiotto, e poi PEgizio. Stimasi piò se è dilicato e leggeri, 0 se è fresco, come già disse anche Catone fra i nostri.
HoBDXI B iT O t A .
N atoba
d e l i .' o b z o .
X V III. Hordei farina et ad medendam utun X V III. La farina d ’orzo s'usa per medicare an cora. E d è maraviglia,come per servigio delle be t u r . Mirumque, in asa jumentorum, ignibus du· stie indurato col fuoco, e poi macinato e fattone r a to , ac postea molito, offitque ha mana manu dem issis in alvum , majores vires, torosqoe cor schiacciate, e applicatele con la mano al ventre, faccia loro maggiori forze, e muscoli più robnsti. p o r is fieri. Spicae qoaedam binos ordines habent, qn aedam plores usque ad senos. Grano ipsi ali·· Alcune spighe hanno due ordini, alcune più fino q u o t differentiae, longius, leviosqoe, aut bre a sei. Anche nel granello stesso ci sono più dif ferenze, per essere più longo, più c o rto , più v iu s, aut rotundius, caudidius, nigrius, vel coi tondo, più bianco, più nero, o per tenere di por p urpura est: ultim o ad polentam, contra tempe porino; e finalmente per esser più o men buono a states candido maxima infirmitas. Hordeum fru far polenta ; al che poco risponde il bianco, per gu m omnium mollissimum est : seri non vnlt, chè pei cattivi tempi facilmente perisce. L ' orzo n isi in sicca et solota lerra, ac nisi laeta. Palea ex 1 mollissimo più ebe lotte Γ altre biade : non si optim is : stramento vero nollum comparatur. può seminare se non in terreno secco, e trito, e H ordeooi ex omni frumento minime calamito* ingrassato. La soa paglia va tra le migliori, e lo sum , quia ante tollitur quam triticum occupet strame noo ha un eguale. L ’ orzo è meno danegrubigo. Itaque sapientes agricolae triticum ciba giato che gli altri grani, perchè si miete prim a riis tantum serant, llordeum sarcalo seri di che il grano incarbonchi. Però i lavoratori ac cu n t, propierea celerrime re d it: ferlilissimnmcorti seminano il grano solamente per mangiare, q u e, qnod in Hispaniae Carthagine A prili mense e l ' orzo dicono che seminano in terra legger* collectum est : hoc seritur eodem mense in Cel mente mossa col sarchiello, e che perciò vien to tib e r ia , eodemqoe anno bis nascitur. Rspitnr sto. Fertilissimo è quello che in Cartagine di om ne a prima statim maturitate festinantius, Spagna si raccoglie del mese d ' Aprile. Qaesto quam cetera. Fragili eoirn stipula et tenuissima medesimo ia Celtiberia regione di Spagna si se palea granum con linetur. Meliorem etiam polen mina dello stesso mese, e nasce due volte in un tam fieri tradont, si non excocta m atorilale tol medesimo anno. Mietesi ogni orzo subito eh' è latur. nella prima maturità, e coo più prestezza che l'a ltre biade, perchè ha gambo fragile e tiene il granello in sottilissima paglia. Dicono ancora ehe fa m iglior polenta, se non si lascia maturare af fatto. D s AtlICA, BT BEL1QD1S IR OB1BRTB GERBB1BCS.
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b l l ' a b ih c a b
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a l t b e s o b t i d i g b a r o c h b so r o
in L
evarte.
X IX . 8. Non sono in ogni luogo l e medesime X IX . 8. Frnm enti genera non eadem ubiqne: sorti di grano, e dove e' sono, non hanno il me nec ubi eadem sunt, iisdem nominibus. Vulga desimo nome. Vulgatissimi sono il farro, che gli tissima far, quod adoreum veteres appellavere, antiehi chiamarono adoreo, la segala e il grano. siligo, triticum. Haec plorimis terris commania. Questi sono comuni a molti paesi. L ’arinca è prò* Arinca Galliarnm propria, copiosa et Italiae est. pria della Francia, e abbonda io Italia aneora. Ma A egypto autem ac Syriae, Cilidaeque et Asiae, in E gilto , in Siria, in Cicilia, in Asia e in Grecia ac Graeciae peculiares, zea, olyra, liphe. Aegy-
C. PLINII SECUNDI plus similaginem conficit e tritico suo, nequa quam Italicae parem. Q ui zea utuntur, non ha bent far. Est et baec Italiae iu Campania maxi me, semenque appellatur. Hoc habet nomen res praeclara, ut mox docebim us: propter quam Ho merus άξουςa d ix it: non ut aliqui arbitrautur, quoniam vitam donaret. Amylum quo que ex ea fit, priore crassius. Haec sola differen tia est. E x omni genere durissimum far, et contra hiemes firmissimum. Patitur frigidissimos locos, et minus subactos, vel aestuosos, sitientesque. Primus antiquis Latio cibus, magno argumento in adoreae donis, sicuti diximus. Pulte autem, non pane, vixisse longo tempore Romanos mani festum, quoniam inde et pulmentaria hodieque dicuntur. E l Eunius antiquissimus vates obsi dionis famem exprimens, ofTam eripuisse ploranlibus liberis patres commemorat. E t hodie sacra prisca, atque natalium, pulle fritilla confi ciuntur : videlurque lam puls ignota Graeciae fuisse, quam Italiae poleula.
D b s il ig in e ; d b s ih il a g ir b .
aono peculiari la zea, 1' oltra e la tife. L* Egitto fa la similagine del suo grano, che non è p o sto pari alla Italiana. Quegli eh* usano la xea, non hanno il farro. Questa ancora è in Cam pagna d* Italia, e chiamasi seme. T ale è ii nom e cb e ha una cosa sì eccellente, come m ostrerem o poi, per la quale Om ero disse la terra vivifica, ooa, come vogliono alcuni, perchè ella desse la vita. Fassi ancora d* essa Γ amido più sodo d i quel dello prima. V* è sola questa differenza. . D ' ogni sorte è durissimo il farro, e fermis simo conlra il verno. Egli com porta lu ogh i fred dissimi, e manco coltivati, o caldi, e asciatti. Questo fu il primo cibo degli antichi in Italia, del cbe ne dà certa prova il dono c b e se ne fa ceva a quelli che avevauo riportalo vittoria, sic come abbiamo detto. Ed è cosa chiara, c h e i Ro mani vissero lungo tempo non di' pane, ma di pulii gli», perchè d*indi aucora o g g i ritengono il nome loro i pulmentarii. E nnio poeta antichis simo, descrivendo la fame di un assedio, dice che i padri tolsero uua focaccia a ' figliuoli die piangevano. Ed oggi pure i sacrificii antichi, e i natalizi! si fanno con pultiglia di farina fritta ; e pare che la pultiglia fosse tanto incognita alla Grecia, quaulo la polenta all* Italia. D ella
s b g a ij l
:
d b l l a s im il a g im
.
XX. Niuu seme e più ingordo di qoello del XX. T ritici semine avidius nullum est, nec grano, nè cbe tiri s sè più nutrimento, lo chia quod plus alimenti trahat. Siliginem proprie di xerim tritici delicias : candor est, et sine virtute, merei la segala propriamente delizia del grano: è bianca, benché non ba la v irtù nè il peso del graet sine pondere, conveniens humidis tractibus, uo : vien bene ne*luoghi um idi, quali sono in Ita quales Italiae sunt, et Galliae Comatae. Sed et trans Alpes in Allobrogum tantum Remorumlia, e massimamente in Lombardia. Ma di là da!· Γ Alpi solamente nel paese degli A llobrogi e dei que.agro pertinax : in ceteris ibi partibus bien Remi fa mollo bene. Negli a ltri paesi dintorno nio in triticum transit. Remedium, ut gravissi in due auni diventa grano. Il rim edio è, cbe si ma quaeque grana ejus serantur. seminino tulle le sue grauella più grandi. 9. Di segala si fa dilicatissimo paoe, e per 9. E siligine lautissimus panis, pislrinarummano de* ciambellai molto lodale delicature. È qoe opera laudatissima. Praecellit in Italia, si eccellente in Italia, se si mescola quella di Cam Campana Pisis nalae misceatur. Rufior illa, at pagna con quella che uasce a Pisa. Q uella è più Pisana candidior, ponderosiorque cretacea. Ju stum est e grano Campanae, quam vocant castrarossigna, ma la Pisana è più bianca, e la creta tara, e modio redire sextarios quatuor siligiois, cea è più grave. E certo che del granello di q u d la di Cam pagna, la quale si chiama castrata, vel e gregali sine castratura sextarios quinque, praeterea floris semodium : et cibarii, quod se escono quattro sestarii di un m oggio, ma. della cundarium vocant, sextarios quatuor : furfuris, ordinaria senza castratura ciuque sestarii, e un sextarios totidem. E Pisana autem siliginis sex mezzo m oggio di fiore ; e della stacciatura, che tarios quinque : cetera paria sunt. Clusina, A resi chiama secondaria, quattro sestarii, e altret tanti di crusca. Della Pisana escono cin q u e sestalinaque etiamnum sextarios siliginis adsciscunt : in reliquis pares. Si vero pollinem facere libeat, rii di segala : le altre cose· son pari. Q u elle di xvi pondo panis redeunt, et cibarii tria, furfuChiusi e di Arezzo aggiungono un sesta rio di se rurnque semodius. Molae discrimine hoc constat. gala, e nel resto sono pari. E chi volesse Care fi oc Nam quae sicca moluntur, plus farinae reddunt: di farina, ne ricava sedici libbre di pene, e tee di quae salsa aqua sparsa, candidiorem medullam : stacciatura, e un mezzo m oggio di crusca. Qoe-
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII. verum pia* retinent in farfare. Farinam a far re dictam nomine ipso apparet. Siligineae farinae roodiu* Gallicae x x u libra· pani· reddit, Italicae doabos tribosve am plio· in artopticio pane. Nam faroaceis binas adjiciunt libras in quocom qoe genere.
sta differenza viene dalla màcina. Perciocché le biade che si macinano secche, fanno più farina : quelle che si spruzzano con acqua salsa, imbian cano di piò internamente, ma lasciano più farina tra la eroica. La farina é cori chiamata dal farro, siccome mostra il nome. Il moggio della Carina di segala di Fraocia rende venti due libbre di pane, qoella d’ Italia due o Ire libbre più, e qaesto è nel pane che »’ arrostisce, perciocché nel forno in qual si voglia sorte sono di più due libbre. io . La similagine si fa eccellentissima di gra io. Similago e tritico fit laodalissiraa. E x no. D ’ an m oggio di quel d ' Africa n'esce mezzo ▲frico ju«tum eat e modii· redire semodios, et m oggio, e cinque sestarii di polline, ebe così si pollini· sextarios qainque. Ita aatem appellant chiama nel grano quello che fiore nella segala. in tritico, qaod floreia in siligine. Hoc aerariae Questo adoperano le fabbriche di rame e di car officinae charlariaeque atunlnr. Praeterea secunta. Oltra di ciò quattro sestarii dì secondario, e darii sextarios quatuor, farfurum que tantundem. quattro di crusca. Del moggio della similagine Panes vero e modio similagini· cx x n , e flori· escono cento ventidue pani, e del moggio di fiore modio cxvii. Preliam huic annona media in mo cento diciassette. Quando la vettovaglia oon é dios farinae, x l asaes : similagini castratae octo molto cara, la farina vale quaranta assi il m og nis assibus amplius, siligini castratae dapium. Est gio, la similagine caitrata olio dì più, e la siligi et alia distinctio similaginis, tempore L. Pauli ne castrala il doppio. Ér.ci anco uu' altra distin nata, prima x v u pondo panis reddere visa, se zione della similagine, introdotta al tempo di cunda xvm , tertia x ix curo triente : et secondaLucio Paolo, perocché si trovò che la prima dà rii pauis quinas selibras, totidem cibarii, et fur furum sextarios sex. diciassette libbre di paue, la seconda diciottn, la terza diciannove e quattr' once ; di più, dne libbre e mezzo di pane secondario, altrettanto di quello di stracciatura, e sei sestarii di crnsca. La segala non si malora mai insieme, nè al Siligo numqaam maturescit pariter, nec alia cuna altra sorte di biade patisce manco dilazione segetum minus dilationem patitar, propter tene che questa, per rispetto della soa tenerezza, poi ritatem , iis quae maturuere, protioas granum ché le spighe che son mature lasciano sabito dim ilteolibua. Sed minus, quam celera frumen cadere il granello. Ma questo ha di più, che ella ta, in stipula periclitatur, quoniam semper re ctam habet spicam : nec rorem continet, qui ro meno che gli altri grani si guasta nei gam bi, perchè ha sempre la spiga diritta, e non ritiene biginem faciat.. la rugiada, che la faccia iucarbonchiare. Della arinca si fa dolcissimo pane : ella è più E x arinca dulcissimas panis: ipsa spissior, spessa che il farro, e di m aggiore spiga, e più qa a m far, et major spica, eadem et ponderosior. grave ancora. Raro è che il moggio del grano R a ro modius grani non xvi libras implet. Exte non sia sedici libbre. In Grecia difficilmeule si r it o r in Graecia difficulter : ob id jumentis dari monda ; e per questo Omero dice che ella si dà a b Homero dicla. Haec enim est, qnara olyram vocat. Eadem in Aegypto facilis, fertilisque. Far sine arista est : itero siligo, excepta quae Laconi ca appellatur. A djiciuntur his genera, broraos, siligo excep titia, et tragos, externa omnia ab Orieote inve cta , oryzae similia. Tiphe et ipsa ejusdem est gen eris, ex qaa fit in nostro orbe oryza., A pad G raecos est zea. T rad u n lq ae eam ac lip h en , q u u m sint degeneres, redire ad fram enlam , si pistae serantur : nec protinas, sed tertio anno.
alle bestie. Pei ciocché questa è quella, che ei chiama olirà. La medesima in Egitto è facile, e fertile. Il farro è senza reste, e la segala ancora, fuorché qoella che si domanda Laconica. Aggiungonsi a queste alcane altre sorti, sic come sono il bromo, la siligine eccettizia, il tra go, tutte specie straoiere, portale di Levante, e simili al riso. La life anche essa è della medesi ma sorte, della qoale ne' nostri paesi si fa il riso. In Grecia è la zea. Dicono che essa e la tife, per ché tralignano, diventano grano, se si seminano peste, e ciò non subito, ma il terzo anno.
C. PLINII SECUNDI
D · f e r t il it a t e t r it ic i ir A p r ic a .
D b l l a f e r t il it à d b l o b a r o ih A m i c a .
X X I. T ritico nihil est fartilius: hoc t i natu X X I. Non c’ i cosa piò fertile c h e il grano, e ra triboit, qaoniam eo maxime alebat hominem : ciò gli ha conoesso la natara, p erch è d'esso più ehe utpote quum e a o d io , ti sit aplana solam, quale di altro, si nutrivano gli u o m in i; perocché del in Byzacio Africae camp», centeni quinquageni m oggio di esso, se egli è posto in b u o n terreno, come in Bixacio paese di A frica, n ascono cento modii reddantur. Misit ex eo loco divo Augusto cinquanta moggia. Il fattore deU 'im p erado re An procurator ejus ex uno grano (vix credibile d i· gusto mandò di quel luogo a R om a p o c o meno di cto) cccc paucis minas germina, exstaotque de quattrocento gambi di nn solo g r a n e llo , (che ap ea re epislolae. Misit et Neroni similiter c c c l x pena è credibile a dire) ; e ancora o g g i si conser stipulas ex uno grano. Cum centesimo quidem vano le lettere per d ò scritte. M an dò similmente a et Leootini Siciliae campi fundunt, aliique, et tota Baetica, et in primis Aegyptus. Fertilissima Nerone trecento sessanta gambi di un so lo granello. 1 campi Leo otiai di C id lia, e a ltri a n co ra reodo tritici genera, ramosum, aut quod eentigraninm vocant. Inventos est jam et scapus unus centum no il cento per ano : cosi fa ancora la t t a la Gra nata, e massimamente Γ E g itto . L e spede p ii fabis onustas. fertili sono, il graoo ramoso, o q u e llo cb e si ap pella centigranio. S ’ è anche tr o v a to nn gambo che portava cento fave. D b SJISAMA ; DB BRYSIMO SIVB IRIOIIB ; DB HOBJfffrO.
D e l l a s e s a x a : d e l l * e r is im o ,
ovvano
ib io b e :
d e l l ' o r m ir o .
X X II.
X X II. Abbiamo detto che i fru m en ti di state Aestiva frumenta diximus, sesamam, sono il sesamo, il miglio e il panico. U sesamo viene d ' India : di es*o si fa anche olio. Il soo colore è bianco. Simile a questo i a Asia e in Grecia è lo erisimo ; e non differente sarebbe, se non fosse piè grasso, q n d lo cbe noi chiamiamo irione, il quale è da essere pini tosto annoverato tra le medicioe, cbe tra le biade. D ella medesi ma natnra è quello che i G reci chiam ano ormi· no ; però è simile al cimino, e si sem ina eon la sesama: di questo e dell* irio n e , qu an d o son verdi, nessuno animale ue mangia.
milium, panicum. Sesama ab Indis venit : ex ea e l oleum faciunt: color ejus eandidns. Huic si mile est in Asia Graeciaque erysimum ; i dem que erat, nisi pinguius esset, quod apuJ nos vocant irionem, medicaminibus adnumerandom potias, quam frugibus. Ejusdem naturae el horminum, a Graecis dictum, sed cumino simile, seritur cum sesama : hoc, et irione, nullum animal vescitur virentibus.
Db
p is t u h is .
D e l l e m a c ir b.
X X III. Il mondargli non è agevole in totti. X X 111. Pistura non omnium facilis : quippe La Toscana batte le spighe del fa rro abbrustoli Etruria spicam tarris tosti pisente pilo praefer to eon pestello ferrato, dove sia nna cannella rato, fistula serrata, et stella intus denticulata, ut dentata, come sega, e una stella c o ' d en ti, e se nisi intenti pisant, concidantur grana, ferrumque chi pesta n o n isti attento, in fran ge le granel frangatur. Major pars Italiae ruido utitur p ilo : la. La maggior parte di Italia usa il p e std lo ru rotis etiam quas aqua verset obiter, et molat. De vido, e le macine ad acqua. Il parere d i Magone, ipsa ratione pisendi Magonis proponetur senten rapporto a questo, è, che il graoo p rim a si dee tia : triticum ante perfundi aqua multa jubet, bagnare con molta acqua, poi c rive lla re , dipoi postea evalli, deinde sole siccatnm pilo repeti. steccato al sole rimetterlo nella pila. E c o si si fa Simili modo hordeum. Hujus sextarios xx spargi dell’ o rto , di cui venti sestarii si sp ru zzan o con duobus sextariis aquae. Lentem torrere prius, due sestarii dì acqua. Le lenti prim a leggerm ente deinde cum for furi bos leviter pisi. Aut addito s* arrostiscono, dipoi eon la crusca si pestano ; in sextarios xx lateris crudi frusto, et arenae ovvero in venti sestarii si ipette a n p ezzo di semodio. ma U on crudo, e un mezzo m oggio di te rr a . Erviliam iisdem modis, quibus lentem : sesa mam in calida maceratam exporrigi: deinde con-
Il medesimo fassi della ru v ig lia , che ddla lente. 11 sesamo si macera nell’ acqua cald a, e poi
HISTOftlARUM MUNDI LIB. XVIII.
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fricari, e l frigida mergi, ut pakae fluctuent, »leramque exporrigi io sole super lintea : quod nisi festina lo peragatur, luri do colore mucescere. Ut ipsa autem, quae evalluntur, variam pisturarum rationem habeat. Acus vocatur, qoum per se pisilnr spica, tantam sorificuni ad usus. Si vero in area teritur cum stipula, palea, ut majore in terrarum parte, ad pabula jumentorum. Milii, et panici, et sesamae purgamenta apludam vocant, et alibi aliis nominibus.
si distende, dipoi si stropiccia, e tuffasi nella fredda, acciocché le mondiglie jreogano a galla ; e di nuovo si distende al sole sulle lenzuola ; ma dove ciò non si fa tosto, muffa, e piglia color li vido. E qaegli stessi, che si vegliano, macinansi in più modi. Ago si chiama, quando si batte la sola spiga ; e qaesto solamente usano gli orefici. Ma se si batte nell* aia col gambo, si chiama pa glia, ed é nella m aggior parte del mondo buona per le bestie. La mondiglia del miglio, del panico, e del sesamo, si chiama apluda, e altrove ha altri nomi.
D b m ilio .
D e l m ig l io .
X X IV . Milio Campania praecipue gaudet, X X IV . In Terra di Lavoro osano molto il pullem qoe candidam ex eo facit. F it et paois miglio, e fannone bianche poltiglie. Fasseoe an cora pan dolce. I Sarto a ti popoli di Scizia usano praedulcis. Sarmatarum quoque gentes hac ma xim e pulte a lu o to r,e t cruda etiam fariua, equino questa medesima pulliglia, e mangiano ancora lacie, vel sanguine e cruris venis admixto. A ethio questa fariua eroda, mescolandola con il latte pes uou aliam frugem, quam milii hordeique, delle cavalle, o col sangue trailo delle vene delle novere. lor gambe. Gli Etiopi non conoscono aitra sorte di biade, che di miglio e di orzo. Db
p a n ic o .
D e l pa n ic o .
X X V . Alcune parti della Francia, e massimaXXV. Panico e l Gailise quidem, praecipue mente la Gaascogna, usa il panico. Il medesimo Aquitania ulilur. Sed et Circumpadana Italia a d · dita faba, sine qua nihil conficiunt. Ponticae gen -' ancora fa quella parte d’ Italia, che è intoroo al Po, ma vi aggiungono la fava, senza la quale non les nullum panico praeferunt cibum. Celero aestifanno cosa alcuna. Le genti di Poeto hanno il ▼a frumenta riguis magis etiam, qaam imbribus gaudent. Milium et paoicum aquis minime, quum panico per la miglior vivanda che sia. 1 frumenti della stale amano più i luoghi annaffiati, che le in folia exeunt. Vetant ea inter vites arboresve frugiferas seri, terram emacrari hoc sata existi piogge. Il miglio e il panico non vogliono acqua, mantes. qaando melton le foglie. Non vogliono anco es ser seminali Ira le vili e gli alberi fruttiferi, per ché si crede che dim agrino le terre. Db
f b b m b h yis .
D el lie v it o .
X X V I. n . Milii praecipuas ad fermenta usus, X X V i. i l . La farina del miglio è ottima a fare il lievito : impastasi col mosto, e dora un e mosto sobacti in annuam tempus. Simile fit ex anno. Fassi similmente di minata e ottima cru tritici ipsius furfuribus minutis et optimis, e m o sca di grano, impastata col mosto bianco, e sec sto albo triduo matorato sobactis, ac sole siccatis. ca al sole. Dipoi per fare il pane ne stemperano Jnde pastillos iu pane faciendo dilutos, com sii tortelli con la similagine del seme, e fanooli roilagine seminis fervefaciant, atque ita farioae bollire, e dipoi mescolano con la farina, tenendo miscent, sic optimum panem fieri arbilranles. che questo sia ottimo pane. 1 Greci in un m og G raeci in binos semodios farinae satis esse besses gio di farina mettono otto on d e di fermento ; ferm enti constituere. Et haec qaidem genera vin ma ciò si fa solo per la vendemmia. Ma per gli dem iis tantam fiunt. Q ao libeat vero tempore, altri tempi si fanno di orzo e di acqua fbcaccie e x aqua hordeoque bilibres offae ferventi foco, di doe libbre, e sol focolare caldo, in una teggia v e l fictili patina torrentur cinere et carbone,nsque di terra tra le brage si tengono tanto che arros d o m rabeaot. Postea operiantur io vasis, donec siscano; dipoi si cuoprono in vasi tanto che ina acescant : hinc fermentum diluitur. Quum fieret cetiscano; e di queste si fa fermento. Quando si a u tem panis hordeaceas, ervi aat cicerculae fari faceva già pan di orzo, lo lievitavano mescolan u a ipse fermentabatur : justum erat, duae librae i n quinque semodios. Nunc fermeotum fit ex
dovi farina di ruviglie, o di cicerchie ; e due lib-
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C. P L IN II SECONDI
ipsa («rioi, quae subigitur prius quam addatur sal, ad pullis modum decocta, e l relicta donec acescat. Vulgo ?ero nec suffervefaciuul, sed lan ium pridie adservata m ateri· utuntur. Palamque est naturam acore fermentari : sicut et validiora esse corpora, quae fermentato pane aluntur : quippe quum apud veteres ponderosissimo cui que tritico praecipua salubritas perhibita sit.
bre bastavano in due moggi « m ezzo. O ra il lie vito si fa della medesima farina, ch e s ' impasta, prima che vi si metta il sale, e cuocesi in modo d i pultiglia, e lasciasi stare tanto c b e diventi forte. Comunemente questa materia non si fa bollire, ma si usa serbala del dì in n an zi. Ed è cosa chiara, cbe la natura si ferm enta p er Γ ace tosità, e che que’ oorpi son più g a glia rd i, che ή nutriscono di pan lievitato, aneora c h e gli anti chi stimassero che il grano fosse tanto p iù sana, quanto pià pesava.
P a r is f a c i e r d i r a t i o , e t o r i g o .
D e l m o d o d i f a r e i l p a r s , i o r i g i b b d i esso.
X X V II. Panis ipsius varia genera persequi supervacuum videtur : alias ab obsoniis appellati, ut ostrearii : alias a deliciis, ut artolagani : alias a festinatione, u t speustici : nec non a coquendi ratione, ut furnacei, vel arloplicii, aut in clibanis cocti : non pf idem etiam e Partais invectus, quem aquaticum vocant, quoniam aqua trahitur a tenui et spongiosa inanitate, alii Parthicum . Summa laus siliginis bonitate et cribri tenuitate constat. Quidam ex ovis aut lacte subigunt : butyro vero gentes etiam pacatae, ad operis pistorii genera trauseunte c u ra . D urat sua Piceno in panis in ventione gratia, ex alicae materi*. Eum novem diebus macerant : decimo ad speciem traclae su bigunt uvae passae succo : postea in furnis, ollis inditum, quae rumpantur ibi, torrent : neque est ex eo cibus, nisi madefacio : quod fit lacte ma xime mulso.
Q c a r d o p is t o r u m in it io m R o m a e .
. X X V U l. Pistores Romae non fuere ad Persi cum usque bellum, annis ab Orbe condita super d l x x x . Ipsi pauem faciebant Qoirites, mulierumque id opus erat, sicut etiam nunc iu plurimis gentium. Artoptam Plautus appellat in fabula, qoam Aululariam, scripsit : magna ob id concer tatione eruditorum, an is versos poetae sit illius: certumque fit, Ateji Capitonis sententia, coquos tum panem lautioribus coquere solitos ; pistoresque tantum eos, qui far pisebant, nominatos. JNec coquos vero habebant in servitiis, eosqoe ex ma cello conducebant. C ribrorum genera Galli e selis equorum invenere, Hispani e lino excussoria et pollinaria, Aegyptus e papyro atque junco.
X X V II. Sono diverse sorti di pane, unto cbe sarebbe soverchio raccontarle, ben ch é talora pi glia il nome dalle vivande, com e ostreario, alta na volta dalle delizie, come artolagan o, alcuna volta dalla prestezza, come il pane speustico, e così dalla maniera del cuocere, come è il pane £ fornace, o l'artopticio, o il cotto nei forn i ; e noe è molto ancora che fu portato dal paese de* Par ti quello che si chiama acquatico, p erchè si di stende con l'acqua, e si fa sottile, vóto e spugooso, e alcuni lo chiamano Pertico. La suprem a sua lode consiste nella bontà della siligin e, e odia soltigliezza dello staccio. A lcuoi lo impastano con uova e con latte; e le genti pacifiche lo impastano col b u r r o , usurpandosi il mestiere de' ciambellai. Dura ancora in credito nella Mar ca di Anemia il pane di alica. Essi lo macera no per nove giorni, dipoi impastano con «ago d’ uva passa ; poi lo mettono nel forno in pento le, le quali si rompono quivi ; e così lo arrosti scono. Questo pane non si m a n g ia , se prima non s'im m o lla; e ciò si fa sop rattutto con latte melato. Q CARDO
PRIMA FORORO I PORRAI IR RoJU.
X X V ili. Non furono in Roma fornai fino al la guerra Persica, ciuquecento ottanta anni dopo cbe ella fu edificala. Gli stessi cittadin i Romani fa cevano il pane, ma era opera delle donne, come ancora oggi s'usa quasi in ogni paese. Plauto chia ma arlopta nella.commedia, che egli in tito lò Au lularia, un vaso, in che si coceva il pane artoptìcio ; e per questo gran differenza è tra g li uomini letterati, se questo sia verso di q u el poeta ; ed è certo, seeondo il parere di Ateio C ap iton e, che s' usava cuocere il paue solamente ai p ià deli cati, e quegli soli si chiamavano p istori, che pe stavano il farro. Non avevano neppure oaocfcs tra i servi loro, ma gli conducevano a presso dalla beccheria. In Francia trovarono Cace |K stacci da nettar la farina di setole di cavalli, e iu
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Ispagna (anno stacci di lino per purgare la farina, e altri per sceverarne il fiore; e in E gitto di pa p iro « di giunco. Db
a l ic a .
D a u .'
a c ic a .
X X IX . Sed inter prima dicalur et alicae ra X X IX . Ma ragioniamo uu poco dell’ alice, tio , praestanlissiraae saluberrimaeque, quae pal una delle biade più eccellenti e salubri, la quale ma fragum indubitata Italiam contingit. F it sine in Italia tiene senza contrasto il primo luogo ia fra tutte. Nasce ancora in E g itto , ma non è da dubio et in A egypto, sed admodum spernenda. farne stima. In Italia viene in più luoghi, e massi» In Italia vero pluribus locis, sicut Veronensi Piinamente nel Veronese, e nel Pisano ; nondime» sanoque agro : in Campania tamen laudatissima. no in Terra di lavoro viene eccellentissima. Q u i Campus est subjacens montibus nimbosis, tolis vi è una pianura sotlo certi m onli piovosi di qua quidem x l m passuum planitie. T erra ejus (ut proranta miglia. La superficie di essa (per dichia tinus soli natura dicatur) pulverea sumrta, infe rarne tosto la qualità) è polverosa, e di sotto è rior bibula, et pumicis vice fistulosa : montium spugnosa quasi come pomioe : onde anche il di» quoque culpa io bonum cedit. C rebros enim im bres percolat atque transm ittit: nec dilui aut fello dei monti le torna in bene, perchè si bee e succia Γ acque che vengono da essi, nè vuol* madere voluit propter facilitatem culturae. Ea esser bagnala nè lavata, tanto è facile a coltivarsi. dem acceptum humorem nullis fontibus reddit, Essa adunque noo rigetta per verno fonte l'um ore #ed temperat, et concoquens intra se vice succi beato, ma il contempera, e cuocendolo entro a sè continet. Seritur toto anno, panico semel, bis lo si ritiene per sugo. Questa terra seminasi tu lle far re. E l tamen vere segetes, quae interquievere, l’ anno, una volta di panico, e due volte d i farro. fundunt rosam odoratiorem saliva : adeo terra E nondimeno a primavere, in quello spazio che le non cessat parere. Unde vulgo dictura, u Plus apud Campanos unguenti, quam apud ceteros terre rimangono senza seme, vi nascono rose di mi» olei fieri. » Quantum autem universas terras gli or odore, che le piantale ; tanto coolinuamente campus Campanus antecedit, tantum ipsum pars ella produce.Oode è in voga un proverbio,ache in «jus, quae Laboriae vocantur, quem Phlegraeum T erra di Lavoro nasce più unguento, che olio al Graeci appellant. F iniuntur Laboriae via ab u tro trove. η Anzi quanto il paese di Campagna vince qu e latere consulari, quae a Puteolis, et q u a· a gli altri terreni, tanto questa parte vantaggia il r i· C um is Capuam ducit. maneule di quella contrada che chiamasi terra Laboria, e dai G reci Flegreo.Questa contrada mede sima è termiuata da due vie consolari: da ona parte è la via, che va da Pozzuolo a Capova, e dall*altra è quella, che va da Cuma pure a Capova. Alica fit e zea, quam semen appellavimus. L ’ alica si fa di zea, la quale chiamammo se T u n d itu r granum ejus in pila lign ea: ne lapidis me. Il suo granello si monda in ana pila di le duritia conterat. Nobilius, ut notum est, pilo, gno ; perciocché la durezza della pietra lo infran gerebbe. È splendidezza farlo mondare-con pe 'vinclorum poenali opera. Primori inest pyxis fer stello da quei che sono in ceppi, i quali si forza rea. Excussis inde tunicis, iterum iisdem arma no a far questo lavoro per castigo. Da prima è mentis nudata conciditur medulla. Ita fiunt alicae un bossolo di ferro. Levali dunque i gusci dal «ria genera : minimum, ac secundarium : gran granello, si rimette esso granello nella medesima dissimum vero aphaerema appellant. Nondum habent candorem suum quo praecellunt : jam pila a rompere cogli stessi argomenti. E così si tamen Alexandrinae praeferantur. Postea (mirum fauno tre so rli d* alica, cioè minima, seconda, e dictu), admiscetur creta, quae transit in corpus, massima, la quale si chiama aferema. Non ancora coloreroque, et teneritatem adfert. Invenitur haec però hanno il loro color bianco, per lo qual sono preposte, ma pure così vanno innanzi alla Ales in ter Puteolos et Neapolim, in colle Leucogaeo appellato. Exslalque divi Augusti decretum, quo sandrina. Dipoi vi mescolano la creta ; ed è cosa annua vicena millia Neapolitanis pro eo numerari maravigliosa, che questa s'incorpora con quella, jussit e fisoo suo, coloniam deducens Capuam. e le dà tenerezza, e ancora il colore biauco. Que* A d jeci tque causam ad ferendi, quoniam negassent sta si truova fra Pozzuolo e Napoli iu un poggio* Cam pani alicam confici sine eo metallo posse. In che si chiama Leucogeo. Ed oggi ancora si tro eodem reperitur et sulphur : emicantque fontes va un decreto dell* imperadore Augusto, dove ordinò che dei suoi deuari si contassero per que A ra x i oculorum claritati, et vulnerum medicinae, sto venti mila scudi ai Napoletani, mandando «lenliuraque firmitati.
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C. PLIN II SECUNDI
Alica adulterina fit maxime quidem e zea, qoae in Africa degen erat Latiores ejas spicae, ■igrioresque, et brevi stipola. Piaont cara arena, et tic quoque difficulter deterant utriculos, Atqoe dimidia nudi mensura. Posleaque gypsi pars quar ta inspargitor, atqoe ut cohaesit, farinario cribro aabcernunt. Quae in eo remansit, exceptitia ap pellatur, et grandissima est. Rnrsos qoae transit, arctiore cernitur, et aecundaria vocatur. Item cribraria, quae simili modo in tertio remansit cribro angustissimo, et tantum aranea transmittente. Alia ratio ubique adulterandi. Ex tritico candidissima et grandissima eligan t grana, ac semi cocta in ollis postea arefaciant sole ad initium, rorsosque leviter adspersa molis frangunt. E x Ma pulchrius,quara ex tritico, fit graneam, quamvis id alicae vitium sit. Candorem autem ei pro «reta lactis incocti mixtura confieri.
De
LKcoaniivs ; r u i .
ana colonia a Capova. V ' aggiunse anche la ca gione, perchè i Capovani avevano detto che l'alica non si poteva fare senza qaesto metallo. Nel medesimo luogo si traeva ancora il solfo; esonvi i fonti Arassi ottimi alla vista, a medicar la ferite, e a fermare i denti. I/ alica contraffatta si fa di «ea, la quale ia Africa traligna. L e sue spighe aono piò larghe, e più nere, e hanno gambo più corto. Si pesta eoa Γ arena, e pur così difficilmente se le rompono i gosci, e resta alla misura d* una metà più cbe sa fosse tutta sbucciata. Poi vi si sparge sopra la quarta parte di gesso, e qaando esso l ' ha impol verata, la vagliano con lo staccio.Qoella d ie rima ne, si chiama eccettizìa, ed è la più grossa. Questa si crivella on'altra volta in nno staccio p iù fìtto, e chiamasi secondaria ; e cribaria quella, ch e in **mil modo rimase nel terzo vaglio strettissimo, e che solamente lascia passare la arena. V 'h a an altro modo piò com une d i contrai· feria. T olgo n o le maggiori e p iò bian ch e gra nella del grano, e avendole m ezzo cotte nell· pentole, le seccano poi al sole ; e d ip o i di nuovo leggermente bagnandole le m acìnano.La zea fa piò bella pultiglia che il grano, ben ch é c iò sia difet to dell*alica; e il latte mescolato e incotto con essa, le dà biauebezza in luogo della creta. D b' l e g u m i : d r l l a f a v i .
XXX. ia. Segue la natura d e 'le g u m i, fra i XXX. ia . Sequitor natura leguminum inter quae maximus honos fabae : quippe ex qua len quali in grande onore sono le fave ; perciocché tatos f it etiam panis. Lom enlom appellatur ferina d'esse s'è già provato ancora far pane. Lomento si chiama la farina loro, e il peso s' a ggrava con ea, adgravalorqoe pondus illa, et omni legumine. essa e oon ogni legume. Vendesi ancora perpasco. Jam vero et pabulo venalis fabae multiplex usus La fava è buona in più modi a o g n i animale omnium quadrupedum generi, praecipue homini. quadrupede, ma molto più all' a o n o . Mescolasi Frum ento etiam miscetur apud plerasqne gentes, ancora col grano appresso a diverse nazioni, e et maxime panico solida, ac delicatius fracta. massimamente col panico, così soda, com e iafranQuin et prisco ritu fabata suae religionis diis in ta. Anzi «li antichi aucora usavano con essa far sacro est, praevalens pulmentari cibo, et hebetare le faverelle in sacrificio agli dei. È preferita nei aensns existimata, insomnia quoque facere. O b pulmentarii, e tiensi cbe ingrossi i sensi, e che haec Pythagoricae sententiae damoata : ut alii faccia sognare. Per questa ragione p er decreto di tradidere, quoniam mortuorum animae sint in Pitagora è vietata ; ovvero, com e hanno detto ea. Qua de causa parentando utique adsumitur. alcuni, perchè l ' anime dei m o rii stanno nelle V arro et ob haec flaminem ea non vesci tradit, fave. Per questo la usavano nei sacrificii, .che si et quoniam in flore ejus litterae lugubres repe fanno pei morti. Dice Varrone ancora, che per llantur. In eadem peculiaris religio : namque fa questo rispetto i sacerdoti non ne mangiavano, bam utique e frugibus referre mos est auspicii perchè nel fior delle fave sono certe lettere lut Causa, quae ideo referiva appellatur. E t auctio tuose. Nella fave ancora è peculiar re ligio n e, per nibus adhibere eam lucrosum putant. Sola certe chè s'usa portare a casa la fava su b ito che ella fruga m etiam exesa repletur cresceote luoa. ha fatto il grano per buono augu rio delle b iade; Aqoa marina, aliare salsa non percoqoitur. e per questo essa si chiama fava re friv a . Credesi aneora che sia goadagno averla nelle v en dite, chc si fauno a ll’ incanto. Certo essa sola fra Γ altre biade, ancora che sia mezzo ro sicch ia ta, a lana
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII.
S erilu r ante Vergiliarum occatum leguminum p rim a, u l antecedat hiemem. Virgiliua eam per ▼er teri jubet. Circumpadanae Italiae ritu. Sed raajor par» m ainai fabalia maturae sationis, quam trim estrem fructum. Ejus namque siliquae caulesque gratissimo suoi pabulo pecori. Aquas in flore maxime concupiscit : quum vero defloruit, exiguas desiderat. Solum, in quo sata est, laeti ficat stercoris vice. Ideo circa Macedoniam, Thessaliamque quum florere coepit, vertun t arva. '
Nascitur et sua sponte plerisque in locis, *ient septemtrionalis oceani insulis, quas ob id no stri Fabarias appellant : itera in Mauritania sil vestris passim, sed praedura, el quae percoqui non possit. Nascitur in A egypto spinoso caule : qua de causa crocodili timentes refugiunt. Longitudo •capo quatuor cubitorum esi, amplissima cras situdo : nec genicula babet, molli calamo : «m ile caput papaveri, colore roseo : in eo fabae non supra tricenas : folia ampla : fructus ipse amarus e l od ore: aed radix perquam lauta incolarum e ib i·, cruda, et omnino decocta, arundinum ra dicibus similis. Nascitur et in Syria, Ciliciaque, e l i a Torone Chalcidis lacu.
L s irr s : riso.
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crescente si riempie. Con aequa m a ria ·, o con altra acqua salsa non si cuoce. Questo è il primo legume che si «emina in nanzi che le Vergilie tramontino, acciocché esso preceda il verno. Virgilio vuole c h 'e lla si semi ni di primavera, secondo I* usanza dell1 Italia intoroo il Po. Ma la maggior parte vogliono piuttosto i favuli maturi, che il frutto in tre mesi ; perciocché i baccelli e i gambi sono gra tissimo cibo alle bestie. Amano molto Tacque, quando sono in fiore ; ma quando sono «fiorile, ne voglion poca. Ingrassano il terreno, dove son seminate, a uso di lilame. E però in Macedouia 9 in T essagli·, quando fioriscono, arano il campo, e le cacciano sotto. Nascono aocora da loro stesse in più luoghi, come nell1 isole del mar settentrionale, le quali sono perciò da^ ostri chiamale Fabarie. In Mau ritania anco nascono selvatiche, ma molto dure, che non si possono cuocere. Nascono similmente in E gitto co1 gambi spi nosi ; e perciò i crocodili le fuggono, per non farsi male agli occhi. Il gambo loro é alto quat tro cubiti e m ollo grosso, ma é senza nodi ed ha la mollexza del calamo. Il capo è simile al papa vero, di colore di rosa, e in esso le fave non più ebe trenta. L e foglie sono grandi : il fruito è amaro all1 odore : fa gran radici, simili alle can ne ; e qaesto é il cibo che molto amano i paesani, crudo, e colto. Nasce anco in Siria, in Cilicia e in Torone, Iago di Chalcide. D e l l a le n te : d e l p is e l l o .
X X X I. E x leguminibus autem Novembri se X X X I. Delle civaie seminatisi di Novembre runtur lens, et in Graecia pisum. Lens amat so le lenii, e in Grecia i piselli. La lente ama il ter reno sottile, pioltosto che grasso, e l’ aria asciut lum lenue magis, quam pingue, coelum nlique siccum. Duo genera e ju · in A egyplo : alleram ta. In E gitto ne sono di due sorti, l1 una tonda, e più nera, Γ altra di sua figura. Onde pel vario rotundius nigriusque, alterum sua figura. Unde a io che se ne fa, le fu imposto il nome di lentivario usu translatum est in lenticulas nomen. In* cola. Io truovo appresso gli autori, che chi no venio apud auctores, aequanimitatem fieri ve mangia acquista moderazione di animo. II pisello scentibus ea. Pisum in apricis seri debet, frigo si debbe seminare a solatio, perché egli non può rum impalienlissimum. Ideo in Italia,et in auste* patire punto il freddo. E perciò in Italia, e dove riore coelo non nisi verno tempore, terra facili l’ aria é più fredda, non lo seminano «e non nel ac solula. la prim avera, e in terreno facile, e ben trito. C i c e e is G I I I U .
D e l l e s p e c ie d e l c e c e .
X X X II. La nalura de) cece é di nascere con X X X II. Ciceris natura est gigni cum «altilala salsedine, e perciò abbrucia il terreno. Non si f ine : ideo solum uriU Nec nisi madefactam pri debbe seminare, se non é bagnalo la sera innanzi. die, seri debet. Differentiae plures, magnitudine, L e differenze del cece «on molte, per grandezza, figura, c o lo r·, sapore. Est enim arietino capiti simile, unde ita appellant, album nigrumque,. Est per figura, per colore, e per sapore. Éccene di et columbinum, quod alii Venerium vocant, can una sorte lim ile al capo del montone, onde «i didum , rotu n d um , leve, arietino mio a s , qaod chiama arielino : è bianco e nero. Écci anco il
C PLIN II'SE C C K D i religio pervigiliis adbibet. Est et cicercula mi nuti ciceris, inacquali*, anguiosi, veluti pisam. Dulcissimam antem id, qood ervo simillimam : firraiusqu· qaod nigrum et rufam , quam qaod album.
colombino, il quale alcuni chiam ano Venerio, bianco, tondo, leggeri, m inore di quello chea simile al capo di montone, il q u ale la religione osa. nelle lunghe vigilie. Écci la cicerchia, specie di cece minuto, la qnale ha gli a n g o li ineguali, come il pisello. Dolcissimo è qu ello c h e è staila alla raviglia ; e p iù durevole q u e l ch e è nero « rossigno, che il biaoco.
F as b ol i.
D b* f a g i d o li .
X X X III. Siliquae rotandae ciceri, ceteris le guminum longae, et ad figuram seminis latae :
civaie gli hanno luughi, e larghi secon d o la figura
piso cylindratae : faseolorum cam ipsis roanduntu r granis. Serere eos qua velis terra licet ab idibus Octobris in kalendas Novembres. Legumina, quum maturescere coeperun t, rapienda su n t, quoniam cito exsiliunt,lalenlque quum decidere, sicut et lupinum : quamquam prios de rapis di xisse conveniat.
Ds
h a p is .
X X X IV . i 3. In transcursu ea attigere nostri, paullo diligentias Graeci, el ipsi tamen inter hor tensia : si justus ordo fìat, a frumento protinus aat certe faba dicendis, quando alii usus praestantior ab his non est. Ante omnia namque cooclis animalibus nascuntur, ncc in novissimis sa tiant ruris alitum quoque genera, magisque si decoquantur aqua. Quadrupedes et fronde eorum gaudent. E t bomini non minor rapaciorum suis horis gratia, quam cymarum : flavidorum quo que, et in horreis enecatorum, vel major quam virentium . Ipsa vero durant et in sua terra ser vata : et postea passa, paene ad alium proventura, famemque sentiri prohibent. A vino, atque mes ae, tertius hic Transpadanis fructus. Terram noo morose eligit, paene ubi nihil aliud seri possit. Nebulis, et pruinis, ac frigore ultro alunlur, am plitudine admirabili. Vidi x l libras excedentia. In cibis quidem nostris pluribus modis commen dantur : duranlque ad a lia , sinapis acrimonia do m ita , eliam coloribus picta , praeter suum , aex atiis, purpureo quoque : neqoe aliud in ci bis tingi decet.
Genera éorum Graeci duo prim a feccre, ma sculum, femininnmque, et ea serendi modo ex eodem semine: densiore enim statu masculescere, item in terra difficili. Semen praestantius, quo
X X X III. I baccelli del cece son to n d i: Paltre del aerae. Quei del pisello han form a di cilindro. Quei de' fagiuoli, si mangiano in siem e coi grani. Essi possonsi seminare in q u alsivoglia terreno dai quindici di Ottobre fino alle calende di Novembre. Le civaie, quando cominciano a nt ut orarti, soao da levare, perchè i granelli escono tosto foor dd guscio, e caduti sì stanno occulti, com e ancora il lupino ; ma prima si conviene ra g io n a r delle rape. D
slle h ape.
X X X IV . ι 3. I nostri ne p a rla ro n o coai di passaggio, e i Greci on poco p iù diligentemente, ma però essi ancora fra le cose degli o r li ; mentre, se si vuol pigliar 1* ordine d ovu to, se ne dee trat tar sabito dopo il grano, o alm eno dopo fa fava, perchè dopo esse non c’ è cosa pià stile d e ll· rape. Perciocché innanzi a tutto, queste nascono per tutti gli animali : nè son d e gli aitim i cibi campestri che saziano m olte sorti d i uccelli, e massimamente se sì cuocono con l ' acqu a. I qoadrupedi ancora amano le lor foglie. E appresso gli uomini noo sono men gustose ai tem pi loro le foglie dèlie rape, che i talli, e qu elle delle ap passite e morte nei granai piaeeiono pià e ie quelle delle verdi. Esse durano conservate aacora nella lor terra, e dipoi passe quaai fin o alle noo ve, tanto che non lasciano sentire fame. Dopo il via» e le biade sono le rape il terzo ric o lto degli uo mini di là dal Po. Amano il terreoo senza aleon fastidio, e quasi dove niente altro ai può semi nare. Nutrisconsi di nebbie e di b rin e , e per Io freddo crescono in m irabil gran dezza. Io n* ho veduto, che passavano qoaranta lib b re . N ei nostri cibi s’ adoperano in piò m odi, e durano fino alΓ altre, domandole con l’ amaro della senape, di pinte ancora eoo sei altri colori oltra il lo r p ro prio, e ancora col verm iglio : è questa il so l· cibo che si usi tingere. I Greci delle prime ne Cecero du e sorti, cioè il maschio e la femmina, le qoali pigliano differenza dal modo di seminarle, con tuttoché nascano l*uao e l ’ altra del medesimo seme. Perciocché del k m
HISTORIARUM MONDI UB. XV11L
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subtilia·. Specie· vero omniam tres. Aut enim in latitudinem (ondi, «ut io rotunditatem globari. Tertiem speciem silvestrem appellavere, io lon gitudinem radice precorrente, raphani si ra ìli In d in e , et folio angoloso acabroque, socco acri: qoi circa meseem exceplns oculos p u rg e t, medealurque caligini, adm ixto lacte malieraro. Frigore dulciora fieri exisliraanlor et grandiora : tepore in folta exeuut. Palma in Nursino agro nascentibu·. T axatio in libra· sestertii singoli, et in penuria bini. Proxim a in Algido natia.
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n a v i ·.
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che si getti folto nascono i maschi, anche in terreno difficile. Il seme loro quanto è pià sottili*, tanto è m igliore. O r le specie lo ro souo tre ; perciocché 0 soo larghe e stiacciate, o tonde. La terza specie é detta selvatica : ha radici lunghe quasi come quella del rafano, e foglie can tonale e ruvidi, esugo agro, il quale pigliandosi intorno alla mie titura, purga gli occhi, e mescolato con latte dì donna é ottimo rim edio alle vertigin i. Diventano più dolci e maggiori per freddo ; e quando è tempo dolce, se ne vanno in foglie. Dassi il vanto alle rape di Norcia. Vagliono nn sesterzio la lib*· bra, e a tempo di carestia due. Dopo queste sono stimate qoelle che nascooo in Algido.
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n a v o n i.
XXXV. Napi vero Amiternini, qnorum ea XXXV. 1 navoni d’ Amiterno, i quali sono dem fere natara, gaodent aeqoe frigidi·. Serun quasi di una medesima nalura, amano anche essi tu r et ante kalenda· M artia·, in jugero sextarii 1 luoghi freddi. Seminami innanzi a'calendi di quatuor. Diligentiores qainto solco napum «eri Marzo, qnatlro setlarii per iugero. 1 più diligenti jub en t, rapa quarto, utram que stercorato. Rapa seminano il navone nel qainto solco, 1« rapa nel quarto, e a ll'a n o e all’ altro danno il lilame. La laetiora f ie r i, si cum palea seminentur. Serere rapa diventa più grossa, se si semina con la pa nudum τοΙαηΙ, precantem tibi et vicini· serere •e. S ato · utrique generi ju s ta s, inter duorum glia. V ogliono che chi le semina sia nudo, e pre nnminam dies festos, Neplani atque Vulcani. ghi di seminarle per ai e per li vicini. L ’ uno e F erun tq ue subtili observatione, qnota lana p r e 1* altro si semina bene fra le feste de’ dne del, cedente hieme nix prima ceciderit, si totidem cioè di N ettano e di Vulcano. E dicono dietro di luminum die intra praedictom temporis spatium ligente osservazione, che se si seminano nel dettò tempo in qnei giorno che avea la luna, quando serantar, mire provenire. S eran tu r et vere in c·» cadde la prima nevo nel verno che precesse, fan lidis atque humidis. no meraviglioso fro llo . Semtnansi ancora di pri mavera nei luoghi caldi e umidi. Db
lu p in o .
X X X V I . >4-Lupino est usu· proxim o·, quum ait homini, et quadrupedum generi ungula» ha b en ti, communi·. Remedium ejos, ne melentes fu gia t exsiliendo, ot ab imbre tollatur. Nec ullius, quae seruntor, natura adsensu terrae mirabilior eat. Prim um omoiom cum sole quotidie circoma(titur, horasque agricolis etiam nubilo demon strat. T e r praeterea floret: terram amat, terraqde op eriri non vult. E t anum hoc seritur non arato. Q u aerit m axim e sabulosa, et sioea, atque etiam •renosa. C oli utique non vult. Tellorem adeo amat, ut, quamvis frutectoso solo conjeclum in te r folia Tepresqoe, ad terram tamen radice perv e s u t · Pinguescere hoc salu arva vineasque dix i mus. Itaque adeo non eget fimo, ot optimi vicem repraesentet. Nibilqoe aliud nallo impendio con stat, ut qaod ne serendi quidem gratia opus sit adferre. Protinus seritor ex arvo : ac ne spargi qu idem postulat decidens sponle.
D el
l u p in o .
X X X V I. 14. Dopo la rapa s’ asa il topino, es sendo egli comune all’ uomo, e a’ qondrupedi che hanno ugna. 11 rimedio perché e’ non salti via qaando si miete, é che si colga dopo la pioggia. Né alcuna altra cosa che si semini ha più mirabil na tura di qaesta. per la concondia eh’ essa ha con la terra. Primamente e’ Iatto il d) si volge insieme còl sole, di maniera che ancora che sia nuvolo,1m o stra l’ ora a’ contadini. O lirà di ciò tre volle fio risce : ama la terra, ma da essa non voole esser coperto. Solo asso si semina in lerra non arata, dove ella é molto sabbiooosa e secca, e arenosa. Non vuole esser lavorato. Ama tanto la lerra, che gittato su’ proni distende talmente le radici, eh* le ficca nella terra. Noi abbiamo già d e llo , come questa sementa fa ingrassare i campi e le vigne : non solamente dunque non ba bisogno di lilame, ma vale essa medesima in cambio del lilame più possente. Ne c’ é altra cosa, che si setnini con manco spesa di questa, perciocché il tapino cadau n o Della mietitura nasce poi da se stesso. ·
C. PLIN II SECUNDI Prim am que omnium seritor, novissimum tol·* Klur : ulruraque Septembri fere mense : quin ei oo n antecessit hiemem, frigoribus obnoxium e s t Impune praeteres jacel, vel derelictum etiam, si non protinus secuti obrusut imbres, ab omnibus animalibus amaritudine sua tutum. Plerumque tamen levi suteo integunt. E x densiore terra ru bricam maxime amat. A d hanc alendam post tertium florem verti debet, in sabulo post secun dum. Cretosa tanluto, limosaque o d it, e t in iis non provenit. Maceratum calida aqua homini quoque in cibo est. Nam bovem unum modii sin guli satiant, validumque praestant : quando etiam impositum puerorum ventribus, pro remedio est. Condi in fumo maxime convenit, quoniam in humido vermiculi umbilicum ejus in steriliUUem castra ut. Si depastum sit iu fronde, inarari proti nus solum opus est.
V ia s .
E gli è il prim o che si semina, e r u l l i n o ehe si coglie; le quali due oose ai fanno presso che di Set tembre ; perchè se la semina oon p reviene il verno, il freddo gli fa danno. O ltre di ciò, comunque si lasci, anche abbandonato, non soffre p u nto, se di subito non rompano piogge, e per la sna amariladine non è pur tocco dagli anim ali. Nondimaaeo talora si ricuopre con un piccolo solco. D ei terre ni grossi egli ama più il rosso. P e r ingrassar doaque questo terreno, si debbe cacciare so tto dopa il terzo fiore, e nel sabbione d op o il secondo. E g li ha a noia solamente il terreno cretoso, e fan goso, e in simili luoghi non fa beue. Macerato nell1 acqua calda è cibo pegli uom ini. Un moggio di lupini saxia un bue, e tienlo ga glia rd o, e posto ancora sul corpo a' f a n c i u l l i , è rim ed io al dolore. Riponsi al fumo, perciocché nell* u m id o i vermi lo castrano, e lo fanno sterile. Se si dà a pascere in erbs, subito bisogna arare la terra. D slla
v e c c ia .
XXX.VII. ì S .I campi ancora ingrassano eoa la X X X V ll. i 5. E t vicia pinguescant a rv a , nec veccia, la quale non è però di molta fatica ai conta ipsa agricolis operosa : uno sulco sata, non sardini,perchè seminata io un solco, non si sarchia,ai ritur, non stercoratur, nec aliud qoam deoccatur. se le dà litame, nè si fs altro che coprirla erpi Sationis ejus tria tempora: circa occasum Arctu cando. Ella si semina di tre tem pi, uno circa il ri, ut Decembri mense pascat : tone optime se tramontare della stella d* A r t u r o , acciocché si ritur in semen. Aeque namque fert depasta. Se cunda satio mense Januario est : novissima Mar pasca di D icem bre: allora ottim am ente si semina tio : tum ad frondem utilissima. Siccitatem e t per sem e, perchè essendo pasciuta parimente omnibus, quae seruntur, maxime amat : non as produce. U seconda sementa è del mese d i Gen pernatur etiam umbrosa. E x semine ejus, si lecta naio ; Γ ultima di Marzo ; e allora è utilissima io matura est, palea celeris praefertur. Vitibus prae erba. Ella ama il secco molto p iò che tutte le altre rip it succum : languescuntque, si in arbusto se cose che si seminano, ma non rifiuta ancora Tosaratur. bra. S’ ella è colta matura, la paglia del suo seme si prepone all* altre. Leva il su go a lle viti, e le fa appassire se si semina fra esse. E it d m .
D il l a
io s ig u a
.
X l X V I i l . Nec ervi operosa cura est. Hoc am plius, quam vicia, runcatnr : et ipsum medioami· nis vim obtinens. Quippe per ervum divum A u gustum curatam , epistolis ipsius memoria exstat. Sufficiunt singulis boum jugis m odii quini sati. Martio mense satum, noxium esse bubus ajuot, item autam no gravedinosum : innoxium autem fieri primo vere satum.
X X X V ili. Non molto gran faticasi mette a n o ·· ra nella robiglia. Questa ha per di p ià della veccia, ehe si sveglie, ed i cosa m edicinale. C erto c o · la robiglia fu medicalo lo im p eradore A ngusto, come si legge nelle sue lettere. A nn paio d i hnei bastano cinque m oggi d ’ esse sem inati. Q oando ella è seminata di Marso, dicono che fa anale ai buoi, e nell’ autunno aneora cagiona g r a v o s a e dolor di capo | ma se si semina di prim avera, è utile.
Sil ic is .
D e l l a s ilic ia .
X X X IX . 16. E t silicia, hoc est, feonm graeeum, scarificatione seritur, noo altiore quatuor digitorum sulco, qoantoque pejus tractatur, tau*
X X X IX . 16. La silicia an cora, c io è i l Bea greco, si semina in un solco non p ià a lto cbe qoa tiro di la ; e quanto peggio si tratta, tanto
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HISTORIARUM MUNDI LJB. XVIII.
Ip provenit melius. R tra m dieta, esse aliquid coi prosit negligentia. ld «utero quod secale, ac farragù’appella tur, occari tantum desiderai.
Se c a l i ,
s iv e a s ia .
X L . Secale Taurini sub Alpibus asiana vocant, deterrimum, et tantum ad arcendam famem : fecuoda , sed gracili stipula, nigritia triste, sed pondere praecipuum. Admiscetur huie f a r , ut m itiget amaritudinem e ju s: et tamen sic quoque ingratissimum ventri est. Nascitur qualicumqoe solo cum centesimo grano : ipsumque pro laeta mine est. F abbago ;
cracca .
X L I. F trrago ex recrementis farris praedensa seritur, admixta aliquando et vicia. Eadem iu A frica fìt ex bordeo. Omnia haec pabularia: degeoeransqne ex leguminibus quae vocatur cracca: in tantum columbis graia, ut pastas ea negent fu gitiva s illius loci fieri.
De
uctmo
;
e b v ilia .
X L II. Apud anliquoseral pabuli geou s,q uo d C a to ocym am vocat, quo sistebant alvum bubus. Id erat e pabulis, segete viridi desecta, antequam gelaret. Sura Mamilius id aliter interpretatur, et tr a d it fabae modios decem, viciae duos, tantum · d e m erviliae in jugero autumno misceri et seri solitum . Melius et avena graeca, cui non cadit sem en, admixta. Hoc vocitatum ocimum, boum q u e causa seri solitum. Varro appellatum a cele r ita te proveniendi, e graeco quod vW m dicunt.
M kdica .
X L 11I. Medica externa cliam Graeciae e s t, u t a Medis advecta per bella Persarum , quae Da r iu s intulit : sed vel in primis dicenda, tanta dos e ju s est: quum ex uno satu amplius quam tricenis • u n is duret. Similis est trifolio :, caule, foliisque geniculata : quidquid in caule a d su rg it, folia con trahu n tu r. Unum de ea et cytiso volumen A m ph ilochu s fecit con fusuro. Solum, in quo sera t u r , elapidatum purgatumque subigitur autumno: m o x aratum et occatum integitur crate iterum mc tertium, quinis diebus interpositis, et fimo »d
1646
nasce meglio. B iile volte avviene che si trovi «osa, a cui la negligenza giovi. Ma quella, che sì chiama segala, e farragine, basta che sol» si ricuopra erpicandola. D e e l a SEGALA, OVVEBO ASIA.
X L . I popoli di T orin o nel Piemonte chiaman la segala asia, ch'é vilissima, e utile solamen te per cacciare la fame. È fertile, ma di gambo sottile. e molto nera, e pesantissima. Con essa si mescola il farro, per temperare la sua amaritu dine, e tuttavia così ancora è cibo poco piacevole. Nasce in ogni sorte di terreno, e rende cento per uno, e ingrassa il campo. D ella f a b b a g i b e : d b l l a c b a c c a .
X L I. Nasce la Carreggine di rimasugli di grano, e seminasi folla, e alcuna volta mescolala con la veccia. Talora in Africa si fa d’ orzo. Tutte queste si mangiano dalle bestie. V* ha un* altra cosa, ehe si chiama cracca, la quale è legume tralignato, tanto grata ai colombi, che mangiandone essi non si cacciano mai di quel luogo. D
ell'
oem o:
dblla
c ic e b c h ia .
X L II. G li antichi avevano una sorte di pasto» ra, che Calone chiama ocimo, col qnale ristagna vano il corpo ai buoi. Questa si mieteva v e r d e , innanzi che gelasse. Sura Mamilio interpreta ciò altrimenti, e dice che dieci m oggi di fave, e due di veccia, e due di robiglie si mescolano insieme, e nell' aulonno si seminano in un iugero. Meglio ancora si fa mescolandovi avena Greca, a cui non cade il seme. Queslo si chiama ocimo, e usasi se minare per conio de’ buoi. Dice Varrone eh' egli è così chiamato dalla prestexza del crescere, per ciocché «ìxfo in Greco significa veloce. D
blla
m e d ic a .
X L lU .L a medica é straniera anco alla Grecia* siccome q u e lla , che fu portata quivi da' Medi nelle guerre che recarono loro i Persiaai sotto Dario. I&ssa vuoisi annoverare Ire le prime ; tanto ecoellenle é la sua q u eliti ; perocché seminata solo.una Tolta dura più di trenta anni. È simile al trifoglio : nel gambo e nelle foglie é nodosa. Quando mette il gambo, fa le foglie ristrette. Anfiloco compose un libro d* essa e del citiso insie me. Il terreno dove si «emina, si porga da* sassi, e da altre cose, e s ' acconcia nell' autunno ; dipoi aralo e spianalo, di nuovo si ripiana con Γ erpice doe e tre v o lle , mettendovi cinque.giorni in
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€ . PLINII SECUNDI
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pruinis obnoxia. Opus est densitat· »eminis omnia occup ari, inlernascenlesque herbas excludi. Id praestant in jugera modia vicena. Movendam ne aduratur, terraque protinus integi debet. Si sit bumidum solum herbosumve, vincitur, et desci scit in pratam. Ideo protinus altitudine unciali herbis omnibus liberanda est, manu potius, qu;ina sarculo. Secatur incipiens florere, et quoties re floruit. Id sexies evenit per annos, quum m ini mum, quater. Iu seraeu maturescere prohibenda e«t, quia plbulum utilius est usque «d trimatum. Verno seri debet, liberarique ceteris herbis : ad trim atum , marris ad solum radi. Ita reliquae herbae intereunt sine ipsius damno, propter a l titudinem radicum. Si evicerint h e r b a e , reme dium unicum est aratio, saepius vertendo, donec omnes aliae radices intereant. Dari non ad satie tatem debet, ne deplere sanguinem ne cesse sit. E t viridis utilior est. Arescit surculose, ac postre mo in pulverem inutilem extenuatur. De cytiso, cui et ipsi principatus dator in pabulis, ad fatim diximus inter frutices. E t nuuc frugum omnium natura peragenda est : cujus in parte de morbis quoque dicatur.
M obbi f b o g o » ;
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X L 1V. 17. Prim am omnium frumenti vitium avena est : et hordeum in eara degenerat : sicnt ipsa frementi fit instar: quippe quum Germaniae populi serant eam, neque ali» pu lle vivant. Soli maxime coelique hnmore hoc evenit vitium. Sequeutem causam habet imbecillitas seminis, si diutius retentum est lerra, prius quam erumpat. Eadem est ratio, si cariosum fu it quum serere tur. Prima anlem statim eruptione agnoscitor: e x quo apparet iu radice esse causam. Est et aliud ex vicino avenae vitinm, quum amplitu dine inchoata granum, sed nondum matura, prius quam roboretur c o rp o s, adflalu noxio cassum et inane io spica evaaescil quodam abortivo.
Venti autem tribus temporibus nocent fru mento et hordeo : in flore, aut protinus quum defloruere, vel maturescere incipientibus. Tum enim exinaniuut grana : prioribus causis nasci prohibeat. Nocet et sol creber e nube. Nascuntor
mezzo, e spargendovi litame. V a o le i! letten e secco e sugoso, o tale che si possa annaffiarla. Fatta questa preparazione si semina d i Maggio, perchè teme le brine. Bisogna sem inarla folta, c cavarne tutte Γ erbe che vi nascouo : bisognano dunque venti moggi in un iu gero di terra. Sar chiasi il terreno, acciocché non la ria rd a , e tosta si dee coprir di lerra. Se il terreno è am id o , orvero erboso, tosto diventa prato : p e rò bisogna nettare la terra sino in un* oncia s o tto da o«ni erba, e piuttosto con mano, che c o l sarchiello. Segasi quando incomincia a fiorire, e dipoi quan do rifiorisce. Ciò avviene sei volte Γ anno, o al meno quattro. Abbiasi cura eh* ella non matari tanto «la mettere il seme, perchè fino al terzo an no è miglior pastura. 11 tempo di seminarla e da purgarla d
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X L 1V. 17. U primo vizio del frum en to è Γβvena ; e l'o r z o ancora tralignando diventa avena, come ancora essa diviene a guisa dì frumeato, perciocché i popoli di Lamagna la seminano, e non vivono d 'a ltra pultiglia. A vvieoe questo vi zio priucipalmente dall' umore del terreno e dalI' aria. Dipoi n' è cagione la debolezza del seme, quaitdo lungamente è ritenuta nella terra, prima eh' esca fuori ; o anche s ' egli fu intignato, quan do si seminò. Sì conosce subito c h 'e g li incomincia a venir fuori,on de si vede che il difetto viene dalla radice. Écci ancora un altro difetto nel grano vicino all* avena, quando il gran ello cominciate a crescere, ma non ancora m aturo, prim a che ì corpo si fortifichi, per alcuni venti nocivi diven ta nella spiga come una sconciatura. 1 venti naocooo io «re tem pi al gran o e alTae» to ; nel fiore, subito che sono sfioriti, o qnaiid» incominciano a maturare, perciocché allora i f i r nelli diventano vani, e non possono nascere im pediti dalle dette cagioni. N uoce ancora il so l· efct
HISTORIARUM MUNDI UB. XVIII. «t vermiculi ia nidice, quam sementem imbribus seculis, inclusit repentinus calor humorem. G i gnuntur et in grano, qoom spicae pluviis calor infervascit. E st et cantharis dictos scarabaeos parvus, frumenta erodens. Omnia ea animalia com cibo deficiunt. Oleum, pix, adeps, contraria
Est herba, quae cicer enecat et ervum, otrcumligando se : vocatur orobanche : triticum si mili modo aera : hordeum festuca, quae vocatur aegilops : lentem herba securidica, quam Graeci a similitudine pelecinon vocant. E t hae quidem complexu necant. Circa Philippos ateramon no minant in pingui solo herbam, qua faba necalar: teramon, qua in m a cro, quum udam quidam ventus adflavit. Aerae granum minimum èst in cortice aculeato. Quum est ia p a n e , celerrime vertigines facit : ajuntque in Asia et Graecia bal neatores, quum velint turbam pellere, carbonibus id semeo injicere. Nascitur et phalangion in ervo, bestiola aranei generis, si hiems aquosa sit. L i maces nascuntur in vicia: et aliquando e terra cochleae minutae, mirum in modum erodentes eam. E t morbi qaidem fere hi sunt.
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trapela iaterrottamente dalle nubi. Nascono si milmente vermicelli nella radice, quando dopo la semeota seguitarono piogge, e che on repeutino caldo rinchiuse l ’umore. Nascono ancora nel gra nello, quando il caldo dopo le piogge ribolle nella spiga. Écci pure un piccolo scarabeo, detto canta rella, che rode il grano.T utti questi animali man cano col cibo. L ’ oglio, la peee, il sevo sono con trari! al Semi, ed è d ' aver cura, che non si semi nino quando son tocchi da queste cose. La piog gia giova solo quando son in erba ; ma quando il grano e l’ orzo fioriscono, nuoce lo ro: alle civaie non nuoce, fuorché al cece. 1 grani qaando matu rano sono offesi dalla pioggia, e molto più l'orzo. Nasce ancora un* erba bianca, simile al panico, la quale occupa i campi, ed é mortifera ai bestia mi. Perciocché il loglio, i triboli, il cardo e le lappole, non manco che i pruni, si possono piut tosto mettere fra le infermità delle biade, che fra le pesti dell» terra medesima. Male, che proviene dall'aria alle biade e alle vigne, a non manco nocevole di alcuno altro, è lo incarbonchiare.Questo avviene spesso nei luoghi rugiadosi, e nelle valli, e dove i venti non hanno riuscita. Per lo contrario i luoghi ventosi e rilevati non patisco no qaesto difetto. Fra i vizii delle biade ancora é la lussuria, cioè quando ricaggiono aggravate dalla troppa fertilità. Ma il vizio comune a tutto le cose seminate, é il bruco, il quale offende an cora il cece, quando la pioggia dilavando la sua salsedine, lo fa più dolce. Écci un' erba, che soffoca il cece e la robiglia, avvolgendosi loro intorno, e chiamasi orobanche: così fa l'e rb a era al grano, e 1* erba festuca, che si chiama egilops, all'orzo ; e alla lente l'erba securidaca, la quale i Greci dalla somiglianza chia mano pelecinon ; e queste erbe affogano con lo abbracciare. Intorno alle campagne Filippiche è u n'erb a in terren grasso, che si chiama ateramon, la quale ammazza la fava, e u n 'altra chiamata teramon, che fa il medesimo effetto nel terren magro, quando essendo umida vi soffia sopra n a certo vento. La era ha il granello piccolo nella scorza appuntata. Quando ella é nel pane, fa pre stamente le vertigini, e dicono che in Asia e ia Grecia, quando i bagnatori voglion cacciare la turba, gettano di quel seme sui carboni. Nasce an cora nelle robiglie una besliuola, di specie di ragno, quando il verno va acquoso. Nella veccia nascono le lumache, e talora anco eséono dalla terra chiocciole minute, le quali la rodono molto. Queste sono quasi tutte le infermità.
C. PLIN II SECONDI
R k m ed ia .
X L V . Remedia eorum, quaecumque perliaeol «4 berbas, ia sarculo : et, quum seraea jactatur, cinere. Quae vero ia semine et circa radicem con sistant , praecedeale cara caventor. Vino ante semina perfasa minas aegrotare existimant. V ir gili us nitro et amurca perfuodi jubet fabam : sic eliam grandescere promittit. Quidam v e r o , si triduo ante satum uriaa et aqaa maceretur, prae cipue adolescere putant. T er quidem sarritaro modium fractae e modio solidae reddere. Reliqua semina cupressi foliis tusis si misceantur, non esse vermiculis obnoxia: nec si interlunio seran tor. M alti ad milii remedia, rubetam noctu arvo circumferri jubent, prius quam sarriatur, defodiqne in medio inclusam vase fictili : ila nec pas serem, nec vermes nocere : sed eruendam prius quam m etatur, alioqui amarum fieri. Quin el armo talpae contacta semina uberiora esse. De mocritus succo herbae, quae appellatur aizoon. in tepulis nascens tabulisve, latine vero sedum, aat digilellum, medicata seri jubet ouinia semina. Vulgo vero, si dulcedo noceat, et vermes radici bus inhaereant, remedium est, amurca pura, ac siue sale spargere, deinde sarrire ; si in articulum seges ire coeperit, ru n ca re, ne herbae vincant. Pestem a milio atque panico, sturnorum passerum ve agmina, scio abigi herba, cujus nomen ignotum est, in quatuor angulis segietis defossa, mirum dictu ' ut omnino na!Ia avis intret. Mu res abignntur cinere mustelae, vel felis diluto, ei semioe sparso vel decoctarum aqua. Sed redolet virus animalium eorum eliam in pane. Od id felle bubulo semina attingi utilius putant. Ru bigo quidem, maxima segetum pestis, lauri ramis in arvo defixis, transit ia ea folia ex arvis. Lu xu ria segetum castigatur deale pecoris in herba {dumtaxat: et depastae quidem, vel saepius, nul lam iu spica injuriam sentiant. Retonsarum eliam semel omnino certum est granum longius fierj, aed inane cassumque, ac satum npn nasci.
Babylone tamen bis secant, tertio depascunt: alioqui folia tantum fierent. Sic quoque cum quiuquagesimo fenore messes reddit exilitas soli : verum diligcntioribus cum centesimo. Neque est
Da’
H1MBDII LOBO.
X L V . L ' unico rimedio per le biade eoo Iro le male erbe è il sarchiello ; e la cenere, quaado se ne pone giù il seme. Le infermità che provengono dal seme e nella radice, si riparano col provve dervi innanzi alla semina. Essendo i semi spruz zali prima di vino, vogliou dire che ei aieno man co soggetti alle malattie. V irgilio v u o le chele fave si spargano col nitro e con la morchia, e afferma che così diventano grandi. A lc u n i dicooo che se tre giorni avanti ehe elle si seminino, si tengono a molle nella orina con l ' acqu a, grande* mente crescono, e tre volle zappale rendono nn m oggio della pesta, del moggio della soda ; e che se gli altri semi si mescolano con le foglie peste del cipresso, non saranno offesi dai verm in i ; nè anco se si seminano fra la luna vecchia e la nuo va. Molti nei rimedii del m iglio v o g lio n o che prima che si sarchi, si porti di notte in to rn o al campo una botta, e che si sotterri nel m ezzo in un vaso di terra, dicendo che così nè le passere, oè i vermini gli auocono; ma questa tal botta si dee cavare innanzi che il miglio si raccolga, altrimenti ei sarebbe amaro. Di pià, dicono che toccando i semi con la spalla della talpa, diventano più fer tili. Democrito vuole che lutti i semi si bagnino col sugo dell'erba, che si chiama aizoon, la quale nasce sui (etti. Comunemente, se la dolcezza nuo ce, e i vermini sono intorno alla radici, usano spargere la morchia pura senza sale, e dipoi «ar chi a re, e se le biade hanno fatto il nodo, mondare Γ erba con la mano, acciocché 1' erba non le sor monti. lo so che gli stornelli e le passere si cac ciano dal miglio e dal p a n ico , sotterrando in quattro canti del campo un’ erba, di cui oon sì sa il nome ; ed è cosa maravigliosa, che n inn o uccello vi entri. 1 topi si scacciano tem perando la cenere della donnola, o della faina, e ungendone i semi con Γ acqua, dove sieno colte ; ma il paoe ritiene poi dell’ odore di quegli animali, e perciò dicono esser molto meglio spargere nel seme del fiele di bue. Il carbonchiare è di gran danno alle biade ; ma ficcando rami di alloro pel cam po, tutto qu e sto male passa nelle foglie loro. La lussuria delle biade si reprime solamente a m ettere le bestie a pascervi quando ancora sono io erba, e così tron cale, aocora più volte, non sentono danno nella spiga. Quando le biade si ritosano anche uoa volta sola, fanno il granello più lungo, ma van o, il qu ale seminandosi non nasce. Però in Babilonia due volle le segan o, e la terza vi mettono dentro a pascere le bestie, a ltri menti si farebbe tutto foglie. E così d o v e il terreuu è grasso, la ricolla rende cinquanta p e r a n o ;
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HISTORIARUM MUND! LIB. XVIII.
cura difficilis: qaam dialissime adaqaari gaudent, ut praepinguis et densa ubertas diluatur. Limum autem non invehunt Euphrates Tigrisque, sicut in Aegypto Nilus. Nec lerra ipsa herbas gignit. Uber tatis tamen tantae sunt, ut sequente anno sponte restibilis fiat sege*, impressis vestigio seminibus : quae tanta soli di (Terentia admonet terrae genera in fruges describere.
Q ood m q u o q d b t e b b a e g e n b b b d e b e a t s e b i.
ma i diligenti Ia conducono a cento cinquanta. Nè ciò è difficile, perciocché vogliooo esser di continuo annaffiate, acciocché il troppo grasso venga a dilavarsi. L ' Eufrate · il T igri non con ducono belletta, come il Nilo in E g itto ; nè il terreno stesso genera erbe, e nondimeno aono tanto grassi, che P anno seguente da lor mede sti me rinascono le biade dai semi calpesti nei cam* pi ; la quale sì gran differenza di terreno m' av« verlisce che io descriva le sorti di esso secondo le biade. Di
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TEBBBNO.
X L V I. Igitur Catonis haec sententia est : u In agro crasso et lateo fram enlum seri : si vero oebulosus sit idem, raphanum, milium, panica m. In frigido et aqaoso prias serendam, postea in calido. In solo autem rubricoso, vel p a llo , vel arenoso, si non sit aqaosuro, lupinam. In creta et rubrica, et aquosiore agro, adoream. In sicco et non herboso, nec ombroso, triticum. In solo valido, fabam. Viciam vero qaam minime in ’ aquoso herbidoqae. Siliginem e l triticam m loco aperto editoqae, qai sole qaam dintissime tor reatur. Lentem in frutectoso et ru b rico so , qai non sit herbidas. Hordeam in novali, et in arvo, quod restibile possit fieri : trimestre, nbi semen tem mataram (acere non possis, et cnjas crassi tudo sit restibilis, n Subtilis et illa sententia : u Serenda ea in tenuiore terra, qaae non multo indigent succo, ut cytisus: et, cicere excepto, le gumina quae velluntur e terra, non subsecantor. Unde et legumina appellata, quia ita legantur. In pingui aatem quae cibi «unt majoris, ut olas, tritic u m , s ilig o , linam. Sic ergo tenae solam hordeo d abitur: minas enim alimenti radix po scit : lenior terra, densiorque tritico. In loco harnili far adoream, potius quam triticam, seretur: temperato, et triticum, et hordeum. Colles robastias, sed minas, reddant triticam. F ar et si ligo, et cretosam, et uliginosum solum sortiun tur. n
18. E t frugibus ostentam semel ( qaod eqoidem invenerim) accidit, P . Aelio, Cn. Cornelio coss. quo anno superatus est Hannibal : in arbo ribus enim tum nata prodantur frumenta.
X L V I . La sentenza danqae di Catone è que sta : u Nel terren forte e grasso si semina il grano: se egli è nebbioso, il rafano, il miglio e il panico. Deesi seminar prima nel terreno freddo e umido, dipoi nel caldo. Ma nel terreno rosso, o nero, o arenoso, se non è amido, si seminano i lupini. Nel cretoso e rosso, e dove è più acqua, il farro. Nel secco, e non erboso, nè ombroso, il grano. Nel terreno gagliardo, la fava. La veccia vuol terreno manco amido ed erboso che si possa. Là segala e il grano deono porsi in luogo aperto e ri levato, dove assai balta il sole. La lente in laogo cepuglioso e rossigoo che non abbia erbe. L 1 orzo in maggese, e in campo che si possa mettere a lavoro ogni anno : il grano timestrale in luogo che non possa far la semente matura, e la cui grossezza si possa seminare ogni anno. r> M ollò provvido è ancora quelP altro precetto, cioè, u quelle cose doversi seminare in terren sottile, le quali non hanno bisogno di molto sugo^ come il citiso e tulli i legumi, eccetto il cece, i quali non si recidono, ma si svelgono della terra con to lta la pianta. E cotali sono chiamati legumi, perchè si colgono di questo modo. Ma nel terre no grasso semina quelle cose che più s* usano in cibo, come sono erbaggi, grano, segala e lino. Così dunque il terreno sottile si darà all* orzo, perciocché la soa radice ha bisogoo di manco nutrimento, e la terra più leggeri e più densa al grano. In laogo basso si semina piuttosto il farro, che il grano : nel temperato il grano e l ' orzo. I poggi fanno il grano più gagliardo, ma oe fannomanco. 11 farro e la segala \ogliono il terrenò cretoso e umido. « 18. Nelle biade ancora avvenne una volta o a prodigio, secondo eh* io ho trovato, essendo con soli P. Elio, e Gn. Cornelio, Γ anno che Anoibalè fu vinto ; perchè si dice che allora nacque il grano sugli alberi.
C. PLINII SECUNDI
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DlVBBSITAS G M t l t W IV SAT10BIB0S.
D lVBASITA DI SBMlUABB VEA LB BAXIOai.
X L V II. E t quoniam de frngum terraeque ge neribus abunde diximus, nuuc de arandi ratione
X L V II. E perchè noi abbiamo ragionato ab» bastanza delle biade e della terra, ragioneremo ora della maniera dell1 arare, n om inand o innanzi a ogni altra cosa la facilità che v’ è io E g itto . Quivi il Nilo, in luogo di lavoratore* c o m io d a a traboc carsi, come n oi abbiamo detto, dop o il solstizio,
dicemus, ante omnia Aegypti facilitate comme morata. Nilus ibi coloni vice fungens, evagari in cipit, ut diximas, a solstitio, aut nova luna : ac prim o lente, deinde vehementius, quamdiu ia Leone sol est. Mox pigrescit in Virginem trans gresso, atque ia Libra residet. Si duodecim c a bila non excessit, fames certa est. Nec rainu·, si sedecim exsuperavit. Tanto enim tardias decedit, quanto abundantias crevit, et sementem arcet. V a lgo credebatur, ab ejus decessu serere solitos, m ox sues impellere vestigiis semina deprimentes in madido solo : et credo antiquitas factitatum. N a o c quoque non multo graviora opera t sed ta men inarari certum est abjecta prius semina in lim o digressi amnis, hoc est, Novembri mense incipiente : postea pauci rancant, quod botanis mon vocant. Reliqua pars non nisi cum falce arva visit panilo ante kalendas Aprilis. Peragitar au tem messis M a jo , stipula numquam cubitali : quippe sabulum subest; granumque limo tan tum continetur. Excellentius Thebaidis regioni frumentum, quoniam palustris Aegyptus. Similis ratio, sed felicitas major Babyloni ac Seleuciae, Euphrate atque T ig ri restagnantibus, quoniam rigandi modus ibi manu temperatur. Syria quo que tenui sulco arat, quum multifariam in Italia octoni boves ad singulos vomeres anhelent. In omni quidem parte culturae, sed in hac quidem maxime, valet oraculum illud, u Q uid quaeque regio patiatur. »
V ovebo*
GBBBBA.
X L V I 1I. Vomerum plura gener» : culter vo catur, inferius praedeusam, prius quam proscindatar, terram secans, futarisque sulcis vestigia praescribens incisuris, quas resupinus in a n o d o mordeat vomer. Alterum genus est vulgare, ro strati vectis. T ertium in solo facili, nec toto por rectum dentali, sed exigua cuspide in rostro. La ttar haec quarto generi, et acutior in mucronem fastigata, eodemqae gladio scindens so lu m , et acie laterum radices herbarum secans. Non pri-
o la laaa nuova, e prima lentamente, p oi con piò gagliardia, fin che il sole è in Lione. D ip o i quan do esso è entrato in V ergine, il N ilo comioda allentare, e nella Libra si ferma. S e il fiome uoa alza più che dodici cubili, è segno c e r to di care stia ; e similmente se passa i sedici ; perocché taoto più tardamente ritorna al suo letto, q u an to piò copiosamente uscì fuori) e non lascia seminare. Era opinione comune che quivi osassero semi nare poi che il fiume fosse scemato, e c h e sabiio vi spigaessero i porci, che coi piedi calcassero i semi oel terreno molle ; e credo che anticamente ciò si sia fatto. A l presente ancora p oco più di travaglio si pone : però è certo che si ara il seme gettato prima nella belletta lasciala d al Nilo ; e qaesto occorre al principio di N ovem b re. Dipoi alcuni pochi svelgono l’ erbe cattive, il che chia mano botanismon. G li altri non vi tornano se non con la falce, poco innanzi a' calendi d f Aprile. La ricolta si fa del mese di M aggio : la paglia non giunge a nn cubito di altezza, perdocchè v’ è sotto il sabbione, e il granello è solamente neUa belletta. Sfolto m igliori grani sono n el paese di Tebe, perchè l ' E gitto è pantanoso. Sim il ma niera, ma esito più felice è in Babilonia e in Seleacia, dove l ’ Eufrate e il T ig r i traboccano, perciocché quivi i lavoratori faano ch e il fiume bagna più e meno, secondo il bisogno. La Siria ancora fa piccolo solco nell' arare, e in certi luo ghi d 'Ita lia quattro paia di b a o i sudano alle volte sotto nn solo aratolo. In o g n i maniera di lavorare, e massimamente in q u este, vale quel motto : a metti cura a quel che rice rca la natara del luogo. » D e l l e m a r ib b b d b ' v o m b b i.
X L V III. Sono più sorti di vomeri. C u ltr o sì chiama quello, che taglia disotto il terren o denso prima che la superficie si rompa, e col suo taglio disegna Γ orme dei solchi cbe s ' hanno a fare, i quali poi il vomero supino nell' arare affonda ed allarga. V 'h a un'altra sorte di vom ero più v ol gare, che è una manovella rostrata. 11 te rzo s 'u s a uel terreno facile, e non ha tutto il d en tale di steso, ma piccola punta nel rostro. L a medesima punta ha la quarta sorte di vomero,ma p iù a g u zza,
HISTORIARUM MUNDI UB* XVIIF. dem inventura io Rhaetia Galliae, ul daas adde rent alii rotula*, quod genus vocant plaumorati. Cnspis effigiem palae habet. Serunt ita noa nisi culta terra, et fere nova. Latiludo vomeris cespi tes versat. Semen protinus injiciunt , cratesqire dentatas supertrahunt. Nec sarrienda sunt hoc modo sata. Sed protelis binis ternisque sic arant. tJno boum jugo censeri anno facilis 'soli quadragena jugera, difficilis tricena, justum est.
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R a t io ab a r d i.
X L 1X. 19. In arando magnopere servandum est Catonis oraculum: u Q u id est primum? agrum bene colere. Quid secundum? bene arare. Quid tertium ? stercorare. Sulco vario ne ares. T em pestive ares. » T epidioribus locis a brama proscin di arva op o rtet: frigidioribus ab aequinoctio verno. Gt maturius sicca regione, qoam humida. Maturius densa terra, quam aohita, pingui quam macra. Ubi siccae et graves aestates, terra cretosa aut gracilis, utilius inter solstitium et autumni aequinoctium aratur. Ubi leves aestus,frequeutes imbres, pingue herbosuraque solum, ibi mediis caloribus. Altum et grave solum etiam hieme m overi placet: tenue valde et aridum, paullo ante sationis tempus. «
Sunt et hic suae leges : u Lutosam terram ne tangito. Vi omni arato : prius quam ares, proscin dito. » Hoc utilitatem habet, quod inverso cespite herbarum radices necantur. Quidam utique ab aequinoctio veroo proscindi volunt. Quod vere sem el aratum est, a temporis argumento verva ctu m vocatur. Hoc in novali aeque necessarium eat. Novale est, qaod alternis annis seritur. A ra tu ro s boves qaam arctissime jungi op o rtet, ut capitibus sublatis a re o t: sic minime colla contu n dun t. Si inter arbores vitesque aretur, fiscellis capistrari, ne germinum tenera praecerpaot. Ser ri cula m insitivam p end ere, qua intercidantur radices. Hoc melius, quam convelli a ra tro , bovesq u e luctari. In arando versum p e ra g i, nec strig a re in actu spiritus. Justum est proscindi au lco dodrantali jugerum uno die, iterari sesqui ju g eru m , si sit facilitas soli : si minus, proscindi semissem , iterari assem, quando et animalium la b o r i oatura leges statuit. Omne arvum rectis su lc is, mox et obliquis subigi debet. In collibus transverso lanium monte aratur, sed modo in su-
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e tagliente in c im a , e col medesimo coltello taglia il terreno, e col taglio dai lati tronca le radici dell' erbe. Non ha molto tempo che s' ì trovato in Rezia di Francia di aggiungere due ru ote; e questo si chiama plaumorato. La punta ha figura di pala, ma non seminano così se non in terreno ben governato e quasi nuovo. La lar ghezza del vom ere arrovescia le zolle. Subito gettano il seme, e dipoi erpicano con erpice den tato ; ma t campi seminali in questo modo non si debbono sarchiare. Gli arano con due o tre paia di buoi. Un paio basta ad arare Γ anno quaranta iugeri di terra, se il terreno e facile ; e »' egli è difficile, trenta.
Der. modo
di a b a b e .
X L I X . 19. Nell’ arare è molto da osservarsi il precetto di Catoue : u Quale è la prima cosa ? coltivar bene il campo. Quale è la seconda? ararlo bene. Quale è i a terza? ingrassarlo. Abbi cura che i solchi sien pari. Ara al tempo debito, n Nei luoghi caldi bisogna rompere la lerra dopo mez zo Dccembre, e nei freddi dopo mezzo Marzo; e più tosto nel terreno secco che nell' umido, e nel duro ehe nel reniccio, e nel grasso che nei magro. D ove le siati sono secche e di arie grosse, e la terra cretosa o sottile, s ' ara mollo meglio fra il solstizio e l'eq u in o zio dell'aulu n uo. Dove i caldi sono leggeri, le piogge spesse, e il terreno grasso ed erboso, meglio è ararvi nei «aldi. Il terreno fondalo e grosso nel verno ancora fie bene som mo verlo, e quello e h 'è molto sottile e secco, poco innanzi il tempo della sementa. Anche riguardo a questo ci son leggi p rò· prie: « Non toccare la terra faogosa. Ara eoa ogni forza, e prima che Iu ari, dirompi. » Que sto giova assai, perchè volto sottosopra il cespu glio, le radici dell’ erbe s' ammazzano. Alcuni vogliono che il terreno si rompa dopo Γ equino zio della prim avera. Q u tllo eh* è stato aralo una volta la primavera, con denominazione presa dal tempo, si chiama vervatlo. Questo è necessario egualmente nel campo nuovo e riposalo. Novale è quello, che si semina di due anni Γ uno. 1 buoi si vogliono giugnere stretti, acciocché arino col capo alto, perchè a questo modo logorano man co il collo. Se si ara fra le viti e gli alberi, metti loro le gabbie, perchè essi uon rodano le tenere messe. Porla teco una seghetta appesa a ll'aratro da tagliare le radici, perchè questo è assai meglio che sverle con l'a ra tro stesso e faticare i buoi. Fornito il solco, ritorna solcaudo a dove bai co mincialo, nè consuma la Iena de'b uo i a raccava 1lare il solco medesimo. La misura comune è, che in un giorno si ari un iugero a solco di un pai-
C. PLIN II SECUNDI p e rio r*, modo in in ferio ra, roslranle vomere. Tantumque est laboris homini, ut etiam boum vice fungetur. C erte sine hoc animali montanae gentes sarculis arant.
A ra to r, nisi incnrvns, praevaricatur. Inde translatum hoc crimen in forum. Ibi itaque ca veatur, ubi inventum est. Purget vomerem su binde stimulus cuspidatus rallo. Scamna inter duos sulcos cruda ne relinquantur, glebae ne ex sultent. Male aratur arvum, quod salis frugibus occandum est. Id demum recte subactum e r it, ubi non intelligetur utro vomer ierit. In usu est collicias interponere, si ita locus poscat, ampliore sulco, quae in fossts aquam educant.
ao. Aratione per transversum iterata, occatio sequitur, ubi res poscit, crate vel rastro: et salo semine iteratio. Haec quoque ubi consueludo patitur, crate contenta, vel tabula aratro adnexa, quod vocant lirare, operiente semina : unde pri mum appellata deliratio est. Quarto seri sulco Yirgilius existimatur voluisse, quum dixit opti mam esse segetem, quae bis solem, bis frigora sensisset. Spissius solum, sicut plerumque in Ita lia, quinto sulco seri melius est, in Tuscis vero nono. At fabam et viciam non proscisso serere aine damno, compendiem operae est.
Non omittemus unam etiamnum arandi ratio nem, in Transpadana lid ia bellorum injuria ex cogitatam. Salassi quum subjectos Alpibus depo pularentur agros, panicum miliumque jam excre scens lentavere. Postquam respuebat natura, inararunt. At illae messes multiplicatae docuere, quod nunc vocant artrare, id est, aratrare, ut credo lune dictum. Hoc fit vel incipiente culmo, qunm jam is bina ternave emiserit folia. Nec re cens subtrahemus exemplum, in Treverico agro tertio ante hunc annum compertum. Nam quum hierae praegelida captae segetes essent,reseverunt, resarrienles campos mense Martio, uberriraasque messes habuerunt. Nunc reliqua cultura tr&dciur per genera frugum.
mo, e nella seconda arazione uno e m ezzo, se il terreno è facile; m a s ' egli è difficile, che sene ari un mezzo, e nella seconda arazione uno inte ro, perchè la natura ha ordinate le le g g i ancora alla fatica degli animali. Ogni campo si dee arare prima per diritto, e poi per traverso. Ne’ poggi s1 ara solamente per Io traverso del m onte, ma volgono il .vomero ora in su, e ora in giù , ed è tanta la fatica dell'uomo, ch'egli ha a fare ancora l'ufficio dei buoi. Gli uomini di m o n tag n a senza questo animale lavorano la terra con le tappe. L ' aratore, se non va chinato, lascia il pro prio solco, e trascorre nell' altro. D i quindi qae sto difetto è passato ancora ue' g iu d ic ii del foro. Fuggasi dunque esso prima là, d o v e fu trovato. Purghisi di continuo il vomero c o l punghelto che abbia la paletta. Non si lascino fra due solchi luoghi non arati, nè rimangano le z o lle intere. Male arato è il campo, il quale q u a n d o è semi nato bisogna che si triti. E d ' altra p a rte quello si potrà chiamar bene lavorato, nel qu ale non si conoscerà per dove il vomero sìa ilo . E g li è an che usanza lasciare tra il campo alcnn solco aper to, se cosi richiede il luogo, con più la r g o spazio, il quale conduca l'acq ua nelle fosse. 20. Poiché si sarà arato per traverso, segue il tritar le zolle, dove il bisogno Io ricerca, con lYrj pice o col rastrello, e seminato c h 'è il seme, tor nare a coprirlo. Anche questo, dove lo patisne 1' usanza, si fa con Γ erpice dentato, o con nna tavola congiunta all'aratro la quale copre \ semi, il che si chiama lirare, onde poi è nato il deli rare, c h 'è uscir del solco. Stimasi che fosse opi nione di Virgilio, che si seminasse nel quarto solco, quando disse che quella è ottima biada, la qual^ abbia sentito due volte il sole, e due volte il freddo. Il terreno mollo denso, com e il piò def le volte in Italia, è meglio seminarlo nel qnioto solco, e nella Toscana nel nono. Ma la fara e 1« veccia si possono seminare senza daono anche non rompendo il terreno ; il che leva la spesa. Non lascicremo addietro u n ' altra maniera d ' arare, trovata in Italia di là dal Po nelle rap presaglie di guerra. I popoli di Saluzzo saccheg giando i campi del Piemonte, tentarono di rapire il panico e il miglio, che già cresceva. E poiché videro di non poterlo avere, perchè (a natura noi comportava, lo ararono. Così quelle ricolle rad doppiate insegnarono quello che ora si chiama ar trare, e che allora, secondo che io credo, si dice va aratrare. Questo si fa, quando il gam b o c o mincia, e ha già messe due o tre foglie. Non ta cerò aucora un ritrovato che si fece tre anni sono nel paese di T reveri. Perchè essendosi perdete le biade per rispetto del verno m olto freddo, ri seminarono, risarchìandu i campi, nel mese «Η
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Marzo, ed ebbero grandissima ricolia. Ma tempo è di mostrare il resto d d la cultura secondo le sorti delle biade. D b occardo, b u s c a n d o , s a b b ie n d o , p b b g e r e b a fbugum.
Db
c b a tio n b .
Dell*b b p ic a b b ,
a b b o rc a b b , «a b c h ia b b , secord o
LB SPECIB BELL? BIADE. D E L L ’ ERPICE CON 1STJLI DI FEBEO.
L . a i. Siliginem, far, triticum, semen, h o r deum occa lo, sarrito, runcato, quibat diclum erit diebus. Singulae operae caique generi in ju gero sufficient. Sarculatio induratam hiberno rigore soli tristitiam laxat temporibus verni*, novosque soles adm illit. Qui sarriet, caveat ne frum enti radices suffodiat. T riticam , hordeum, semen, fabam bis sarrire melius. Runcatio, quum seges in articulo esi, evulsis inutilibus herbis, frugum radicem vindicat, segelemque discernit a cespite. Leguminum cicer eadem, quae far, de siderat. Faba runcari non gestit, quoniam evincit herbas. Lupinum runcatur tantum. Milium et pauicum occalur et sarritur, non iteratur, non runcatur. Silicia et faseoli occantur tantum. Sunt genera terrae, quarum ubertas pectinari segetenp in herba cogat (cratis et hoc genus, dentatae stilis ferreis) : eademque nihilominus et depascuntur. Q u ae depasla sunt, sarculo iterum excitari nece»· sariura. A t in Bactris, Africa, Cyrene, omnia haec eupervacna fecit indulgentia coeli, et a semente n o n nisi messibas in aream redeunt: quia sicci tas coercet herbas, fruges nocturno tactae ,rore nutriens. Virgilius alternis cessare arva suadet: e t hoc, si patiantur ruris spatia, utilissimum pro c u l dubio est. Quod si ne«ei conditio, far seren d u m , unde et lupinum, aut vicia, aut faba sublata sin t, et quae terram faciunl laetiorem. Ia priraisq u e et hoc notandum, quaedam propter alia seri o b ite r : sed parum provenire priori diximus volu m in e , ne eadem saepius dicantur: plurimum enim r e f e r t soli cujusque ralio.
De
sum m a f e h t il it a t b s o l i.
L l · 23 . Civitas Africae iu mediis areuis, peten t i b u s Syrtes Leptinque maguam, vocatur Tacape, f e lic i super omne miraculum riguo solo : leruis
L. 2 i. La segala, il farro, il grano, la spelta e J’ orzo coprirai, sarchierai, e netterai dall' erba, in quei giorni eh’ io ti dirò. In ciascuna di que ste cose basterà un' opera per iugero. 11 sarchiare discaccia quella certa tristizia del terreno che vi si mantenne per lo freddo del verno, e fa che il sole di primavera vi trapela. Abbia cara chi sar^ chia di non toccare le radici del grano. E bene sarchiare dne volle il grano, l'orzo, la spella e le fave. II roncare, quando le biade han fatto il nodo, e svegliere l’ erbe con roano, disiropeccia le radici delle biade slesse, e distingue la messe dai cespi inutili. 11 cece desidera quelle cose me desime che il farro. Le fave non hanno bisogno d ' esser roncate, perch’ elle vincono l'e rb e. 11 lupino vuole solamente esser roncalo. II miglio e il panico s'erpica, e si sarchia, ma non si ara la seconda volta, nè si ronca. 11 fien greco e i fagiuoli solamente vogliono esser erpicati. Sono alcuni terreni, la cui grassezza fa d i ' egli è bisogno che il seminato si pettini quando è iu erba. A quello effetto adoperano erpici con ùtili dentati di fer ro: nondimeno vi fanno anche pascere gli animali. Ma quando son pasciute, bisogna di nuovo solle varle col sarchiello. In Ballria, iu Africa e in Cireue tulle queste cose sono superflue per I' amo revolezza dell’aria. Quivi basta tornare solamen te al tempo della mietitura, perchè il secco spegne 1' erbe da sè, e la rugiada della notte nutri sce le biade. Virgilio persuade che i campi un anno si sementino, e uu anno si lascino riposare; il che senza dubbio è utilissima cosa, chi ha di molle possessioni. Ma se la condizione noi com porla, seminisi farro donde si souo levali il lu pino, o la veccia, o la fava, e quegli che ingras sano il terreno. E sopra lullo s' ha da considera· re che alcune cose si seminano iu seguilo ad altre, ma che non fanno buon effetto ; il che basti avere qui tocco, per nou ripetere quello che oe abbiamo dello nel libro dinauzi ; percioc ché assaissimo imporla la nalura di ciascun ter reno. D e l l a som m a f e b t i l i t a d e l s u o l o .
LI. aa. Tacape cillà di Africa ò uel mezzo delle arene, che souo fra le Sirti e la grande cit tà di L cp li, dove è uu lerreuo sopra ogni mara-
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C PLINII SECONDI
millibus passaum i a «A nnem pariem fons «bandai, largo· q u id e m , sed c e r lis horarom spa tiis dispensatur inter incolas. Palmae ibi prae grandi subdi lur olea, baie ficus, fico Punica, illi vitis: sub vite seritur frumentum, mox legumen, deinde olus, omnia eodem anno : omniaque aliena umbra aluntur. Quaterna cubita ejus soli in qua dratum, nec nt a porrectis metiantur digitis, sed in pugnum contractis, qnaternis denariis venam» dantur. Super omnia est, bifera vite, bis anno vindemiare. E l nisi multiplici partu exinaniatur nbertas, pereunt luxuria singuli fructas. Nunc vero loto anno raetilnr aliquid : constatque fer tilitati non oocurrere homines. Aquarum q u o q u e differentia magna riguis. Est in Narbonensi pro vincia nobilis fons. Sorge nomine esi: in eo ber* bae nascuntur in tantum expetitae bubus, nt mersis capilibus totis eas quaerant. Sed illas in •qu a nascentes certum est non nisi imbribus ali. E r g o suam quisque terram aquamque noverit. fe re
viglia fertilissimo : qnasi p er tre m ig lia per ogoi parte si dirama un fonte, copioso sì, ma che ia certi spaziì d ' ore si dispensa fra g li nom ini del paese per annaffiare. Quivi sotto u n a g ran palma si pianta ulivo, e sotto Γ u livo a n fic o , e sotto il fico un melagrano, e sotto il m e la g ra n o una vite. Sotto la vite si semina il grano, d ip o i le civaie, e finalmente gli erbaggi. T u tte q u este cose si rac colgono in an medesimo anno, e t o lt e sì natrì· scono delP ombra d’ altri. Q u attro c u b iti qua drati di questo terreno, i quali non si misurino con le dita distese, ma ritirate in p u g n o , si ven dono quattro danari. Ma sopra tutto è marsviglioso, perchè le viti danno la vendemm ia due volle T an n o; e se non si stancasse la sua fertilità per tanto molliplice prodotto, i f r a t ti perireb bero per troppo rigoglio. Ancora ai nostri di si fanno raccolte in lutto T an n o, senza ch e vi sia mestieio a'lavoratori di prom uoverne la fertili tà. Grande è ancora la differenza dell’ acqu e nel lo annaffiare. In Provenza è un fonte, che si chiama Sorge, nel quale nasoono erbe tan to gra te a’ buoi, che essi tuffandovi il capo con tutta avidità le cercano. Ma bene è vero che ancora che queste tali erbe sien nate nell' acque, non però si nutriscono se non delle piogge. Per la qual cosa ognun conosca i terreni, e T acqu e sue.
R at io
sa epius a nno se r e n d i .
~L.II. »3 . Si fuerit illa terra, quam appellavi mus teneram, poterit sublato hordeo milium seri: eo condito, rapa : his sublatis, hordeum vel triti cum, sicut in Campania : satisque talis terra ara tor, quum seritur. Alius ordo : ut ubi adoreum fuerit, cesset qualuor mensibus hibernis, et ver nam fabam rccipiat, ita ut ante hiemalem ne ces set. Nimis pinguis alternari potest ita, si frumento sublato, legumen tertio seratur. Gracilior, et in anoum tertium cesset. Frumentum quidam seri vetant, nisi in ea qaae proxim o auno quieverit.
S t e r c o r a t io .
LU I. Maximam hujus loci partem stercora tionis obtinet ratio, de qua el priore diximas vo lumine. Hoc tantum enim in confesso est, nisi stercorato seri nou oportere, quamquam et hic leges sunt propriae. Milium, panicum, rapa, na pus, nisi in stercorato non serantur. Non sterco rato frumentum putius quam hordeum serito.
D el
come seminare piò v o l t e l ’
in o .
LII. 23 . Se sarà quel terreno, che noi abbia mo chiamato tenero, levato l'o rzo potremo semi narvi il miglio, e levato questo seminarvi rape, e dopo queste anoora m ettervi orzo o grano, come si fa in Terra di Lavoro ; ma questo tal terreno vuol essere assai bene arato, quando si semina. On altro ordine è, che la lerra dove è stato il'farro, riposi quattro mesi di verno, e ri ceva la fava di primavera : ovvero seminavi le fave innanzi il verno, se tn non vuoi pure ch’ ella riposi. Quello che è troppo grasso si può alterna re cou seminarvi due volte il grano, e levalo que sto, porvi per terzo delle civaie. Il m agro fia bene che riposi sioo al terzo anno. Alouui vogliono che il grano si semini solamente in quella terra, che è riposala Γ anno innanzi.
Del
le ta m a re .
LU I. Gran parte di tutto questo consiste nel litanie, del quale avemo ragionalo nel libro di sopra. Ognuno tiene per fermo, ch e non si debba seminare senza litame, benché in c iò aucora sieoo le proprie leggi. Il miglio, il panico, le rape e i navoni non si seminano senza litam e. Nel campo non ingrassato semina piuttosto il g r a u o , che
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Item in novalibus, Umetti ia illis fabam seri voluat, e i i i d e n ubicem qoe qaam recentissime ster -1 corato solo. A alam o o aliqaid saturus* Septembri mense fimum inaret post imbrem. U tiqae si ver no erit sata rus, per hiemem fimam disponit. Jusi ani est vehes octodecim jugero tribui: disper gere aatem prius qaam arescat, aut jacto semine. Si haeo omissa sit stercora tio, sequens esi, prius quam sarriat, aviarii pulvere. Quod ut hanc qu o que curam determinemas, justam est singulas vehes fimi tricenis diebas provenire in singulas pecudes minores; in majores, denas : nisi contin gat hoe, male substravisse pecori coloaum appa reat. Sunt qai optime stercorari patent, sab dio retibus inclusa pecorum mansione. Ager si non stercoratur, alget : si nimiam stercoratas est, aduritur : saiiusque est id saepe, quam supra modum facere. Quo calidius solum est, eo miaus addi stercoris, ratio est.
SeUldOM PROBATIO.
L I V . 24. Semen optimum anniculum, bimum deterius, trimum pessimam, altra sterile. E t ia ano omniam definita genere ralio est : qaod in ima area subsedit, ad semen reservandum est. Id enim optimum, qnoniam gravissimam ; neque alio modo utilius discernitur. Quae spica per in tervalla semina h a b e b it, abjicietur. Optimum graaura qaod rabet, et dentibus fractum, eum· dem habet colorem : deterius, cai plbs id tus albt est. Certam terras alias plus semiais recipere, alias minas. Religiosamque inde prim am colo nis a nguriu m , quum avidius accip iat, esurire creditur, et comesse semen. Sationem locis h a · midis celerius fieri ratio est, ne semen imbre putrescat: siccis serius, ut pluviae seqaantar; ne dia jacens atqoe non concipiens, evanescat. Item· que festinata satione densum spargi femen, quia tarde concipiat : serotina raram, qaia densitate nimia necetur. Artis quoque cnjusdam est, aequa liter spargere. Manus utique congruere debet cum gradu, semperque cum dextro pede. Fit qaoque quornradam occulta ralioae, quod sors genialis atque fecunda est. Non transferendum est ex fri gidis locis semen in calida, neqae ex praecocibus in serotina : idque io contrariam praecepere qui dam falsa diligentia.
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l ' orzo. Similmente nelle maggiatiche, benché in queste vogliono che si seminino le fave, e così in ogni luogo, dove il lilame sia messo di nuovo. Quando In vorrai seminare alcuna cosa nell' au tunno, poni di Settembre il filarne dopo la pioggia. Quando alcuno ha da seminare la primavera, di sponga il litame fra il verno. P er ogni iugero di terra vogliono che si pongano diciassette traini di litame, il quale debbesi spargere innanzi che egli inaridisca, o che si'sia gittalo il seme. Se il litame non si dà in questo modo, resta che prima che si semini, 11 impolveri il serreno degli escrementi tolti dalle uccelliere. Ma per ultimare anoora qae sto ragionamento, contiene che in trenta giorni da ciascun bestiame minore si cavi on traino di litame, e da' maggiori dieci traini ; e se ciò non è, vedesi che il lavoratore ha fatto male i lètti sotto i bestiami. Alcuni tengono che i campi ab» bastanza l’ ingrassano lenendo i bestiami la notte per li campi circondati di reti. Il campo se uón s* ingrassa, tie n troppo freddo { e se gli dan troppo lilame, riarde ; ed i molto meglio fare ciò spesso, che farlo fuor di modo. Quanto il ter reno è piò caldo, ia ragion vuole che se gli di« maneo litame. D ella
s o r ta
nei sim .
LIV. >4- Ottimo è il seme dell'anno : di due anni è men buono, di Ire è cattivo affatto, di più è sterile. Quello però che dicesi di ana specie* dee dirsi di tutte, cioè che qaei seroe, il qaale nell'aia è di sotto, dee serbarsi per la piantagione, perciocch’ egli è piò grave, nè v ’ha altra maniera di riconoscerlo. Quella spiga, che fa le granella discoste l 'u n dall'altro, non si tolga. Ottimo è quel granello che rosseggia, e rotto coi denti ha il medesimo colore : men buono è quello che ha di dentro p ià bianco. E cosa certa, che una terra riceve più seme, u n ' altra meno. E di qai i lavo ratori hanno il primo augurio feligioso, perche qnando ella troppo ingordamente piglia il séme, si tiene che abbia feme, e ehe lo Mangi. La ragion vuole, che nei luoghi nmidi si semini prima, ac ciocché il seme non marcisca per la pioggia : nei luoghi secchi, più tardi, acciocché le piogge se guano dietro al seme ; altrimenti giacendo alla lunga senza concepire riuscirebbe vano. N *1 se minar primaticcio vuoisi gettare il seme spesso perchè concepe lardi ; e nel seminar se ro tin o , vuoisi gettar raro, perchè per la soverchia spes sezza si soffoca. È di qualche maestria ancora se minare egualmente. La mano si debbe accordare col passo, e sempre col piè ritto. Avviene ancora per occulta ragione di alcuni, che la sorte è ge niale · feconda. Il seme non è da trasferirà da
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C. PLINII'SKCUNUI
luoghi freddi a caldi, nè da prim aticci a serotini, aucora che alcuni abbiano ordin ato »1 contrario, ma però con falsa diligenza. Q u a r t u m bx q u o q o b g b n b b b f b u m b n t i m j u g b b o
Q DANTO
GB ANO d ’ OGNI SFBCU SIA D A ΒΜΠΝΑΒΒ
SEBBNDUW.
IN ON I O G U O .
LV . Serere in jugera temperalo solo justum e*t tritici aut siliginis modius v. fan is, aut semi n i·, (quod frumeoti geous ita appellamus), x ; hordei vi ; fabae quintam pariem amplius quam tritici : viciae x u ; ciceris et cicerculae, et pisi, m ; lapio i x ; lentis m , sed hanc cum fimo arido seri volunt : ervi vi, siliciae vi, faseolorum iv, pabu li xx, milii, panici, sextarios quatuor. Piogui solo plus, gracili miuus. Est et alia distinctio : in denso, aut cretoso, aut uliginoso solo, tritici aut siliginis modios sex : in solula terra, et sicca, e t laeta, quatuor. Macies enim soli, nisi rarum cul mum habeat, spicam minulam facit et inanem. Pinguia arva ex ano semine frulioem numero sum fundunt, densamque segetem e raro semiue emittunt. E rgo inter qualuor et sex modios pro natura soli, alii quinque non minus seri pluresve praecipiunt : item in consito, aut clivoao, ut in macro. Huc pertinet oraculum illud magnopere custodiendum : « Segetem ne defruges, » Adjecit iis Accius in Praxidico, u u t sereretur, quum lu na esset iu Ariete, Geminis, Leone, Libra, Aqua rio. * Zoroastres, u Sole duodecim paries Scor pionis transgresso, qqum |nqa esset in Tauro, »
LV . Per ogni ingero di te rren o tem peralo si possono seminare cinque moggi d i g r a n o , o di se gala, dieci di farro, o di seme (la q u a le è ona sorte di grauo, che così si chiama), sei d i o r z o : di fata la quinta parte più che di gran o : d i veccie do dici moggi: di ceci, di cicerchie e d i piselli, tre : di lupini dieci, di lenti Ire ; ma q u e sta vogliono che si semini con litame secco : d i robiglia sei : di silicia, cioè di fien greco, sei; di faginoliqsaltro, di pastura venti : di miglio e d i panico quat tro sesiarii. Nel terreno grasso p iù , n e l magro manco. Écci ancora un' altra distin zio n e . Nel ter reno denso, o cretoso, o umido, sei m o g g i di gra no, o di segala : nella lerra trita, secca e fertile, quattro ; perchè la magrezza del te rre n o , se noa ha i gambi rari, fa spiga minuta e van a. Ma i ter reni grassi da un graoello fanno gran cespuglio, e se il seme è rado, ne fanno pià. L a misura dun que del seme sarà tra quattro e sei m oggi secon do la qualità del terreno. Alcuni voglio n o che la misura non sia nè più nè meno che cinque ; e al trettanto se il terreno ha m o lli alberi, s' egli è in piaggia, o s’egli è magro.Ma soprattutto è da con siderare quell' oracolo, che dice, a non perdere la messa p er troppa sementa.» A questi precetti ag giunse Accio poela nel Prassidico, u che si semini quando la luna è in Ariete, in G em in i, in Liooe, in Libra e iu Aquario; « e Zoroastro, « qoando il sole avrà passato i dodici gradi di Scorpione* e che la luna sia in Tauro, w
Db
t b · p o h ib u s s b b b r d *.
L V l. Sequil#r huc dilata et maxima indi gens cura de tempore fruges serendi quaestio, magnaque ex parte ratione «f.derum connexa. Quamobrem sententiam omnium in primis ad id pertinentes exponemus. Hesiodus, qui princeps omnium de agricultura praecepit, unum tempus serendi tradidit a Vergiliarum occasu. Scribebat enim in Boeotia Helladis, ubi ila seri diximus. Inter diligentissimos convenit, ut in alitum quadrupedumque genitura, esse quosdam ad conce ptum impetus et terrae. Hoc Graeci ila definiunt: quum sit calida et humida. Virgilius triticum et far a Vergiliarum occasu seri juhet, hordeum inter aequinoctium autumni el brumam : viciam vero, faseolos et lentem, Boote occidente. Quo fit, ut horum siderum aliorumque exortus et oc-
Da’ t e m p i
d i s a m in a b e .
L V l. Ora è tempo di venire al ragionamento finora differito, circa al tempo di seminare le biade, ragionamento che vuole esser trattalo con somma diligenza, ed è per la m aggio r parte eoogiunto con la cognizione delle stelle. P erò espor remo prima tulle le opinioni, che appartengono a questo. Esiodo, il quale fu il primo che scrisse del l'agricoltura, dice che il tempo del seminare è do po il tramonto delle Vergilie. C ostu i scrisse in Beo zia, paese di Grecia, dove dicem m o che si semina di tal tempo. Gli altri scrittori più diligenti s 'a c cordano, che come nella generazione degli a ocelli e degli animali quadrupedi, così sieno certi mo vimenti della terra a concepire. Così i G reci spie gano il calore e l’ umidità che ha la terra nel tempo della concezione. V irgilio vuole che il
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casos digerendi sini in suos dies. Sunt qui et ante Vergiliarum occasum seri jubeant, dumta xat in arida terra, calidisque provinciis : custo diri enim semen, corrompente humore, et · pro ximo imbre uno die erumpere. Alii statim ab occasu Vergiliarum sequi imbres, a septimo fere die. Aliqni in frigidis ab aequinoctio autumni : in calidis serius, ne ante hiemem luxurient, l a ter otnaes autem convenit circa brumam seren dam non esse : magno argumento, quoniam hi berna semina, qaum ante brumam sala sint, septi mo die erumpant: si post brumam, vix quadra gesimo. Sunt qai properent, atque ita pronun tient, festinatam sementem saepe decipere, sero tinam semper. £ contrario alii, ?el vere potias serendum, quam malo aa turano ; «tque abi fuerit necesse, inter Favonium et vernum aequi· noetiam.
Q uidam omissa coelestis cara, ut in alili, tem poribus definiunt. V ere linam, et avenam, et pa paver : atque uti nane etiam Transpadani ser vant, usque in Quinquatrus : fabam, siliginem Novembri mense : far Septembri extremo usque in idas Octobris. Alii post hunc diem ia kalendas Novembris. Ita his nulla natarae cara e s t: illis nimia, et ideo caeca subtilitas : qaum res geratar inter rusticos, liiterarumque expertes non modo siderum. E t confitendum est, coelo m axime eonstare ea : quippe Virgilio jubente praedisci ventos ante omnia ac siderum mores, n eq ae aliter, quam navigantibus, servari. Spes ardua et immensa, misceri posse coelestem divi nitatem imperitiae: sed lentanda tam grandi vi tae emolumento. Prius tamen sideralis difficul tas, quam sensere etiam periti, subjicienda con templationi est: quo deinde laetior mens disce d a t a coelo, et facta sentiat, qnae fatara prae nosci non possint.
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grano e il farro si semiai dopo il tramontare delle Vergilie, « l'o r z o fra l'equ inozio dell'autunno e la bruma ; la veccia, i faginoli e la lente, tra montando Boote. Laonde i nascimenti e gli occasi di queste e delle altre stelle ή debbono distin guere ne' lor giorni. Alcuni vogliono che si semini eziandio innanzi al tramontar delle Vergilie, ma solo nel terreno secco, ea ne’ paesi caldi ; percioc ché il seme si conserva, dove non è umore che lo corrompa, e dopo la prima pioggia vien fuora in a n giorno. Alcani dicono che subito dopo il tram on tare delle Vergilie vengono le piogge, quasi dopo il settimo giorno. Alcani vogliono che nei luoghi freddi si semiai dopo Γ equinozio dell’ autunno ; ne' caldi più tardi, acciocché non crescano trop* po innanzi il verno. T atti però oonvengono in qaesto, che non si semini intorno la bruma, con graudeargom ento, perchè i semi vernerecci quan do son seminati innanzi la bruma, in sette giorn i escon fuori, e se dopo la bruma, appeoa in qua ranta. Sono alcuni che >' affrettano, e dicono che se la sementa affrettata spesso inganna, la serotina però sempre. Alcuni altri fanno il co n tra rio , e piuttosto vogliono seminare nella primavera, ehe nel cattivo autunno; e quando fia necessario, tra il nascere di Favonio e l'equinozio di primavera. Certi lasciando la osservazione del cielo, come inutile, ammettono per la semina la sola distinzion delle stagioni. La primavera seminano il lino, l'aven a e il papavero; e ciò fan n o, come ancora osservano quegli di là dal Po, fino a venti di Marzo ; la fava e la segala di Novembre ; il farro nella fine di Settembre fino a mezzo O tto bre. Alcani dopo qoesto giorno fino a' calendi di Novembre. Così questi non fanno alcun conto delta natura, e quegli per farne troppo cadono in vaue sottigliezze, mentre la cosa alfine si tratta fra contadini, che sono ignoranti,non che quanto alla cognizione delle stelle, ma ad ogni genere di studio. Nondimeno è da confessare che somma mente importa la cognizione defcielo, poiché V ir gilio innanzi a ogni altra cosa vuole c h e s is a p · piano i venti e i costumi delle stelle, e che a ' os servino, come fanno i marinari. Difficile vera mente e arduo a sperare è, che si possa mescolare la divinità celeste con la ignoranza ; tatlavolta non è da lasciarsi intentato, per lo grande a lile della vita. Prima però dobbiamo occuparci della osservazione delle stelle, benché, a d ir vero, ella sia cosa difficile, secondo che ne sentono gli stessi uomini periti ; acciocché dipoi la mente più lieta si parta dal cielo, e senta qaelle cose esser fatte, le quali non si possono saper prima.
*6?ι
C. P U N II SECUNDI
D ig e s t i o s id e r u m ih d i e s b t h o c t e s t e b b b s t b e s .
L V I 1. a 5 . Primum omnium dierum ipsorum •a n i solitque m olas prop« inexplicabilis ratio •sl. A d c c c l x v adjici nat etiamnum intercalario· die» noclieque quadrantes. Ita fit, ut tradi nou possint «erta siderum tempora. Accedit confessa rerum obscuritas, nunc praecurrente, nec paucis diebus, tempestatum significatum, quod μάζη Graeci vocant: nunc postveniente, quod ir/X*ί’μάζι* : et plerumque alias citius, alias tardios eoeli effectu ad terram deeiduo : vulgo se renitate reddita confectum sidus audimus. Prae terea quum omnia haec statis sideribus coeloque ad fixis constent, interveniunt motu stellarum grandines, imbres, et ipsi non levi effectu, ut docuimus, turbanlqoe conceptae spei ordinem, ldq ue ne nobis tanlum putemus accidere, «t reli qua fallit animalia sagaciora circa hoc, at quo vita eorum constet : aeativasqu· alites praeposteri aut praeproperi rigores secant, hibernas aestus. Ideo V irgilio· errantium q u o q e · siderum ratio nem ediscendam praecipit, admonens observaadu r. frigidae Saturai stella· transitum.
Sunt qui ceetissimem veris iudicium arbitren tur ob infirmitatem animalis, papilionis proven tum. Id eo ipso anno, quum commentaremur haec notatum est, proventum «orum ter repetito frigore exlio ctu m , advenasque volucras ad v i katendas Febrnarii spem veri· attulisse, mox sae vissima bieme eouflictalas.
Res anceps ; primum, omnium · coelo p«ti legem : deu»
COMPABTIMENTO DELLE STELLB IB
.«7* DÌ X SOTTI.
L V 1I. aS. Primamente è qua*i ioestiaaabile Ia ragione di tutti i giorni d e ll'a n n o , e del mote del so le , perciocché a trecento sessaotaciuqae giorni aggiungono ancora la quarta parte d ' no dì e d ' uoa notte, che chiamano in tercalare. Onde avviene d ie delle stelle noo si possono dare certi Umpi. Oltra di ciò manifestamente si vadeTote·rità delle cose, perciocché le stelle p rcou n zie dei tempi ora «tracorrono di rottili gio rn i innanzi* il cbe i Greci chiamano prochiroazio ; o r · vengono dipoi, il che da loro si chiama ep ich im a zin , e talora più lotto, · talora più lardi, seeood* c h e l'effetto del cielo è sentito dalla l«rra, onde volgarmente si suol dire, quando si è Callo sereno, c h e la sldla ha fatto il suo corso. O ltre di qu esto, avendo noi a osservare, circa tutte queste cose, le s te li· fise al cielo, intervengono per lo moto lo r o gragna·le e piogge, le quali, come abbiam o m o stro, pro ducono effetti che turbano Γ o rd in e d e lle cos ce Ita speranza, E perchè non c re d ia m o che ciò solamente avvenga a noi, gli altri a n im ali ancora, benché nel presentire le stelle sien o p iù sagaci di noi, come quelli che dietro a qu elle governano la vita loro, ne vanno spesse v o lle in gann ati, sic come veggiamo che gli uccelli staterecci muoiono per freddo che dava più dell* o rd in ario, o eh* vieo troppo tosto, e quelli di v ern o per eguali effetti del caldo. E però V irg ilio ci aveertisce a dover a v e r· ancora cogniaione dei pianeti; ricor dandoci che s ' osservi il corso della steUa fredda di Saturno, Sono alcuni che tengono certissim a segno della primavera la venula della farfalla, per essere «Uà animale molto debile con tra il freddo. Per questo Γ aono appunto eh* io scriv eva qoeste eose, si osservò che la venula l o r o , tornando ii freddo, tre volte fu spenta, e che g li uccelli fore stieri a' ventisette di Gennaio p ortarono speranza di primavera, ma furouo dipoi combattuti da cru delissimo verno. Cosa dubbiosa è, prima domandarsi Ugge dal cielo, e poi che ella s ' abbia a cercare e o a gli ar gomenti. U à sopra lulto porta g ra n varietà la convessità del mondo, e la forma della terra, di mauìera che la medesima stella si manifesta a chi in un tempo, e a chi in nn altro ; e per ciò n o · produce Γ effetto suo per lulto nei medesim i di. V ' hanno gli autori ancora aggiunta un' a ltra dif ficoltà, perchè addussero cose diverse, tanto qu an do fecero le loro osservazioni in paesi d iv e r s i, quanto quando lo fecero nel paese stesso. T re sono state le sette ; Γ Egizia, la Caldea e la G re ca. Appresso di noi Cesare dittatore a g g iu n s e a queste la quarta, ridocendo ciascun anno al c o n o
HISTORIARUM UCND1 LIB. XV111. ra annui mora ri, qai prias antecedebat. E t Sosigenes ipse trini* commentationibus, quamquam diligentior ceteris, non cessavit tamen addubita re, ipse semel corrigendo. Auctores prodidere ea, quos praetexuimus volumini huic, raro ollius •en lentia cura alio congruente. Minus hoc in re« liquis miram , qaos diversi excusaverint tractas* E o ru m qui in eadem regione dissedere, unam discordiam ponemus exempli gratia : occasum roatulioum Vergiliarum Hesiodus ( nam hujus quoque nomine exslal Astrologia) tradidit 6 e rif quum aequinoctium autumni confioerelur. T h a les vigesimo quinto die ab aequinoetio : Anaxi mander vigesimo nono : Euclemon x l t u i .
Nos sequemur observationem Caesaris : ma xim e haec erit Italiae ralio. Dicemus tamen et aliorum placita : quoniam non unios terrae, sed totiua naturae interpretes sumas : non auctori bus positis (id enira verbosum esi), sed regioni» bus : legentes lantum meminerint, brevitatis gra tia, quum Attica nominata faerit, simul intoUigere C jrd id is insulas : quam Macedonia, Ma· gnesiam, T hraciam : qaum A egyptus, Phoeni cen, Cyprum, Ciliciam : quum Boeotia, Locri dem , Ph ocid em , et fiuilimos semper iraclus: quum Hellespontus, Chersonesum, et continen tia usque Atho montem : quum Jonia, Asiam, et insulas Asiae : quum Peloponnesus, Achajam et ad Hesperum jaceoles terras. Chaldaei Assyriam et Babyloniam demon»trabunt. Alricam, Hispanias, G·Ilias sileri uon erit mirum. Nemo enim observavit ia. iis, qui siderum proderet exortas. Non tamen difficili ratione dignoscentur in illis quoque terris digestione circulorum, qoam in sexto volumine fecimus : qua cognatio ooeli, non gentium modo, verum arbiutn quoque singula rum inielligitur, nota ex his lerris, qnas nomi navimus, sumpta convesilate circuli pertinentis ad quas qoisque quaeret terras, et ad earum si* dem m exortus, per omnium circolorum pares umbras. Indicandum e l illud, tempestates ipsas srdores anos habere quadrinis annis : et easdem uon magna differentia reverti ratione solis:octo nis vero augeri easdem, centesima revolvente se luna.
del sole, servendosi in ciò di Sosigene perito di tal scienza. La qual ragione, dipoi trovato P er rore, fu corretta, in modo che per dodici anni continui non corresse il bisesto ; perchè l1 anno aveva incominciato ad aspettar le stelle, il quale prima andava innanzi. Sosigene anch* egli in tre suoi oomn»entiv benché e’ fosse pià diligente degli altri, nondimeno non cessò di dubitare, correggendosi sovente da sè stesso. Hanno osser vale queste cose gli autori che citai in fronte al preseute volume, ancora che rade volte Γ uno s'aocordi eon l'a ltro . Ma egli è manco m aravi glia in coloro, i quali si possono scusare per es sere stali in diversi paesi, lo per eagion di esem pio porrò una discordia sola di coloro che sono stali in un medesimo paese. Scrive Esiodo, il quale ha fatto un libro di Astrologia, che l 'o c caso mattutino delle Vergilie è nell' equinozio dell'autunno. Talete lo fa venticinque giorni do po 1' equinozio : Anasimandro ventinove : Eute mone q u a ra u f olio. Noi seguiremo Γ osservazione di Cesare, la quale s' accomoderà molto all' Italia. Ma tuttavia diremo ancora 1' opinione degli altri, per esser noi interpreti non di un paese solo, ma di tutta la natura ; non metiendo altrimenti gli autori, perchè sarebbe troppo lungo, ma i paesi, accioc ché il lettore sappia, quando avremo per brevità nominalo Attica, che s’ intendano ancora insie me con essa le isole Cicladi ; e quando noi dire mo Macedonia, s ' intenda parimente la Magne sia e la Tracia ) e quando sarà nominato 1' Egit to, s ' intenda Feuica, Cipri, e Cilieia ; quando diremo Beozia, intendasi Locride, Focide, e le «•ontrade vicine ; quando Ellesponto, s* intenda il Cheroneso e la lerra ferma **no al monte A lo ; quando la Ionia, s ' iuienda Γ Asia e le sne isole ; quando la Morea. s'ioien da Γ Achaia, e le terre poste a ponente. 1 Cai lei ti dimostreranno l'Assi■ia, e la Babilonia. Ma non sarà maraviglia che si passi con silenzio ΓAfrica, la Spagna e la F ra n cia ; perciocché uiuuo ha osservato in esse il na scimento delle stelle. Non sarà però mollo diffi cile a conoscerlo ancora in quei paesi per Γ o r dine de’ circoli, il quale io descrissi nel sesto li bro : per k quale si conosce non solo il cielo di tutti » popoli, ma aocora delle città particolari, noto da quelle terre eh' io nominai, pigliando la convessità del circolo appartenente a qualunque lerra che si cerchi, e al nascimento di quelle stel le per le om bre pari di tu lli i circoli. Hassi anco da saper qoesto, che i tempi hanno i laro ardori ogni qusttro anni, e che i medesimi ritornano n oa con gran differenza per cagione del sole ; e ebe i medesimi crescono ogni otto anni, ritor nando la centesima luna.
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C. P U N II SECONDI
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E x o r t o ·,
occasdsqos mdk U d m .
L V lll . Omnis autem ratio observata est tribus modis: exorta siderum, occasuque, et ipso rum te toporum cardinibus. E xo rtu · òcoasasqoe binis modis intelliguntur. A ut enim adventa so li» occultantur stellae ct conspici desinant, aat «jusdeiu abscessa proferunt se. Emersum hoc melius, qaam exortura consuetudo dixisset: et illud occultationem potius, quam oocaeum. Alio modo, quo die incipiunt apparere vel desinunt, oriente sole, aat occidente, matutini vespertinive cognominati, prout alterutri eorum mane vel crepusculo contingit. Dodrantes horarom quam miniatum intervalla ea desiderant ante solis o r tum, vel post occasuro, ut aspici possint. Praete rea bis quaedam exoriunlar et occidunt. Omnisque sermo de his est stellis, qaas adhaerere coelo diximus.
C a r d ib b s t e m p o r u m .
L I X . Cardo temporum quadripartita aoni distinctione constat, per incrementa lacis. Au getur haec a bruma, et aequatur noctibus vcrao aeqniooctio diebus xc, horis tribas. Deinde su perai noctes ad solstitium diebus x c n r , horis daodecim, usque ad aequinoctium autumni die bus xcii, horis duodecim. E l Ium aequata die procedit ex eo ad brumam diebus lx x x ix , horis tribus. Horae nunc in omni accessione aequi· noctiales, non cujuscamqoe diei significantur : omnesque eae differentiae fiunt iu octavis parti bus signorum. Bruma Capricorni, a. d. viu kaleodas Januarii fere : aequinoctium vernum, Arie tis: solstitium, Cancri: alterumqueaequinoctium, L ibrae: qui et ipsi dies raro non aliquos tem peratura significatus habenl.
R ursos hi cardines singulis etiamnom articu lis temporum dividuntur, per media omnes die rum spatia. Quoniam inter sobtilium et aequi noctium aotumni, Fidiculae occasus automnum inchoat die x l v i . A t ab aequinoctio eo ad bru m am , Vergiliarum matutinas occasus hiemem die x u i i . Inter brumam et aequinoctiom die i l v flatos Favonii vernum tempus. A b aequinoctio verno initium aestatis die x u i i Vergiliarum exor tu matutino. Nos incipiemus a sementibus fru menti, hoc e st, Vergiliarum occasu matutino. Nee deinde parvorum siderum mentione conci·1
N ascimento b d
occaso
o t ti.· s t i l l i .
L V 11I. Tutta questa ragio ne s’ osserva per tre modi ; pel nascere, e tram outar delle steBe, e per li cardini di essi tempi. I nascim enti e gli occasi s ' intendono in due m odi. Perciocché le stelle o s' ascondono per lo so p ra vv e n ire del so le, e lasciano di vedersi, o si d im o stra n o nel ««o partire ; il che si potrebbe c h ia m a r meglio aa emergere, ehe nn nascere ; e q u e i r a ltro pià to sto occultazione, che occaso. P e r a ltro «odo, quel giorno che cominciano a p p arire, o mancane, levando o Iramoolando il sole, si chiamano mat tutini o vespertini i nascimenti e g l i occasi, se condo che l'uno o l'J tr o avviene o d a mattlaa, o da sera. Si veggono tre quarti d 'o r a p e r lo meno innanzi il nascere del sole, e a ltre tta n to dopo il tramontare. Oltra di ciò certe stelle nascono e tramontano due volte. Ma tutto il n ostro ragio namento è di quelle stelle, le qu ali ab b ia m o detto che son fisse nel cielo. Db'
c a b d ir i d b * t e m p i.
L 1X . 11 cardine de' tempi co n siste nella di stinzione quadripartita dell' anno p e r lo accre scimento della luce. Questa cresce d o p o il m ene verno, e pareggia i dì alle n o lli nell'equinozio di primavera, cioè dopo novanta gio rn i e tre ore. Dipoi sapera le notti fino al solstizio eh' è dopo novanta tre dì e dodici ore, dal quale fino all ' equinozio dell* autunno c o rro n o novanladne dì e dodici ore. Allora pareggiato il dì, procede da esso fino a mezzo verno per ottantanove gior ni e tre ore. Qui intendiamo le d o d ici o r e equi noziali, e noo quelle di qualsivoglia di ; e talle queste differenze succedono n ell' ottavo grado delle loro costellazioni. Nel grado ottavo del Ca pricorno comincia la bruma, a ' venticinque di Decembre, o in quel torno : in qu e llo ddT Ariele l ' equinozio di primavera : in qu e llo del Cancro il solstizio : in qaello della L ib ra l ' altro equino zio ; e questi giorni cardinali di ra ro è che non portino qualche indizio di cattivi tempi. Qoeste quattro partizioni del tempo si sud dividono in altri spazii, che com pren don o presso che la metà de' giorni compresi in quella. E £ vero, Ira il sorlatizio e Γ equinozio d ' autunno il tramonto delie Lira d i principio all'au tu n n o nel giorno quarantasei. Ma da qaesto e q o in o tio alfa bruma il tramonto mattutino delle VergigK e d i principio al verno il giorno quarantatre. T ra la bruma e Γ equinozio il soffiar di F a v o n io dà principio alla primavera il gio rn o qoarantadaque dopo la bruma. Dall' equinozio d ì primave ra ba principio la state, il giorno quarantotto, col
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII.
«Unda ralio est, et difficultas re rana augenda, quam sidus.vehemens Orioois iisdcra diebus lon go decedat «patio.
nascere delle Vergilie la mattina. Noi oominciereroo dalle sementi del grano, cioè dall' occaso mattutino delle Vergilie. Nè s' ha da interrom pere Γ ordine preso da noi con far menzione delle stelle piccole, massimamente perchè accresceremmo la difficoltà delle cose, couciossiachè la terribile strila di Orioue nei medesimi dì con lungo intervallo si discosti.
QuAB SEMBRTIS H I I U M I TEMPORA·.
Q o a l i s ie r o i t e m p i p e b l e s e m e n t b » * m v e r h o .
L X . Semeotibus tempora plerique praesu munt, et ab undecimo die autumnalis aequino ctii (ruges serant, adveniente Coronae exortu, continuis diebus certo prope imbrium promisso. Xenopbon antequam deus signum dederit. Hoc Cicero Notembris imbre fieri interpretatus est : quum sit Tera ratio non prius serendi, quam fo lia coeperint decidere. Hoc ipso Vergiliarum oc casu fieri putant aliqui, a. d. m idus Novembris, u t diximus. Servantque id sidus eliam vestis in stitores, et est in coelo notatu facillimam. E rgo ex occasu ejus «le hieme augurantur, qaibus est cura insidiandi negotiatoris avaritiae. Nubilo oc casu pluviosam hiemem deuunliat : statimqoe augent lacernarum pretia : sereno asperam, et reliquarum vestium accendunt. Sed ille indocilis coeli agricola, hoc signum habeat inter suos ve pres, humamqtte suam aspiciens, quum folia vi derit decidua. Sic judicetur anni temperies, alibi tardius, alibi maturius. Ita enim sentitur, ut coeli locisque adficit natura ; idque in hac ralione praecellit, quod eadem et in mundo publica est, e t unicuique loco peculiaris. Miretur hoc, qui non m em iueril ipso brumali die pulegium in carna riis llorere : adeo nihil occultam esse natura vo luit. E t serendi igitur hoc dedit signum. Haec est vera interpretatio, argumentum naturae ae cum ad ferens. Quippe sic lerram peti suadet, pronaillitque quamdam stercoris vicem, et con lra rigores terram flatusque operiri a se nuntia^ ac mouel festinare.
LX. Molti anticipano il tempo della sementa, e dopo Γ undecimo dì dell'equinozio autunnale seminano le biade, perchè venendone il nasci mento della Corona, si ripromettono quasi che certa la pioggia per più giorni. Senofonte scrive che non si debba cominciare prima che D io dia il segno. Qnesto segno tien Cicerone che sia la pioggia di Novembre, perciocché è conveniente che non si semini prima che le foglie comincino a cadere. Alcuni stimano che ciò avvenga nello stesso tramontare delle Vergilie, circa gli undici di Novembre, come dicemmo. Questa stella è osservata ancora dai venditori de'panui ; ed è facile a vederla in cielo. Dall' occaso suo dunque pigliano augurio del verno quei che vogliono porre insidie e aguati all' avarizia de' mercatanti. Se Γ occaso suo è nubiloso, significa il verno do ver essere piovoso, e di subito crescono i pregi alle vesti dette lacerne: se egli è sereno, significa che il verno sarà aspro, e rincarano l ' altre ve sti. Ma quel contadino che non può imparare i segni del cielo, ne pigli augurio dai suoi spini, e dalla sua terra , quando vede che le foglie caggiono. Così si giudica la temperatura dell'ao no iu alcnn luogo più tardi, e in alcun più tosto. Perciocché così si senle come influisca la na tura del luogo e del cielo, la quale è comune nel mondo, e particolare in ogni luogo. Maravi glisi di ciò chi uon si ricorda che nel dì della bruma il puleggio fiorisce nelle dispense da car naggi ; tanto ha voluto la natura che niuna cosa ne fosse occulta. Del seminare adunque ha dato ancora questo segno ; il quale è lanto più certo, quanto che è dimostralo dalla natura stessa. Pe rocché ella così ne persuade che commettiamo il seme alla terra, promettendone un fomite che equivale al litame, e annunzia eh' essa ricopre e munisce la terra contro i freddi ed i veuti ; ma ci avverte che affrettiamo.
Q o a e i .e g u m i h o m e t p a p a v e b i s s e r b h d i .
Q o a l i p e r s e m in a r e i l e g u m i e i p a p a v e r i .
LX I. Varro in fabae utique satu hanc obser vationem custodiri praecepit. Alii plena luna se rendam. Lentem vero a vicesima quinta ad tri cesimam Viciam quoque iisdem lanae diebua;
L X I. Varrone vuole ehe nel seminare le fave s'osscrvi il già dello. Altri vogliono ch'elle si se minino a luna piena, ma le lenti dai venticinque dì.d^lla lana a' Irepla ; nei medesimi giorni deli*
C. PLINII SECUNDI
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ita demnm «in· limacibns fore. Quidam pabuli causa sic «eri jnbeot, m h ì b ì s ta le m Tera. Est el alia Manifestior ratio, mirabiliore n a ta n e provideolia, in qaa Ciceronis a*a laotiana ipsios verb i· subsignabimus :
lana «noera Ia veccia ; perchè a q aesto modo sa
Jaro rero semper viridis, semperque gravala L eo li se us, triplici solila est grandescere feto : T er fruges fuodeos, tria tempora monstrat arandi.
11 sempre verde, e o g oo r carco lentisco, T re volte si soel far grande col frutto. E tre volle faceodo i fratti suoi. Mostra anoora d ' arar tre tempi bnoni.
E * his unam hoc erit, idem et lino ac papaveri ••rendo. C alo de papavere ita tradit. « Virgas el sarmeota, quae tibi osioni « p e r e n to !, in segete comburilo. Ubi eas combusseris, ibi papaver serito. » Silvestre in miro osa esi meile decoctum ad Csuciuro remedia : visque somnifera eliam salivo. Et hacleoos de hiberna semenle.
Di qaesti nno sarà quel medesimo che ti osserva per aeaainare il liso e il papavero. Catone d d papavero dice in questo modo, u Le verghe e i sarmenti, ehe avanzano il tao bisogno, ardigli io fasci» e dove gli avrai arsi, q u iv i seminerai il pa pavero. - Del papavero selvatico cotto col mele si fa grandissimo aso per rim edio della gola ; e come qaesto, ha forza di fiar dorm ire altrui anche il domestico. Basii il fin qui detto d d la sementa del verno.
R u n i v a c r o a g b b d a r u m , b t q u i » q u o q u e m ku sc
R s k i c a s i t u t t a l a c o l t u r a , r c h b d e b b a farsi
risu m a c r o
ofortbat.
L X U . 26. Veram ut pariter omnis coltu ra· quoddam breviarium peragator, eodem tempore convenit et arbores stercorare, adcumulare item vineas : saffici! io jugerum opera : et abi patie tur loci ratio, arbusta ac vineas palare, semina* riis solam bipalio praeparare, incilia aperire, aquam de agro pellere, torcular lavare et recon dere. A kalendis Novembris gallinis ova sabponere nolito, donec bram a conficiatur. In eum diem ternadeoa subjicito aestate lota, hieme pau ciora, noti tamen infra novena. Democritus ta lem foturam hiemem a rb itra ia r, qaali· foerit brumae dies, et circa eum terni : itero solstitio aestatem. Circa bramam plerisqae bis septem, baleyonam fetura, ventorum quiete, mollias ote* lum : sed et in his et in aliis oraoibas ex eventa significationum intelligi sidera debeb an t, non ad dies utique praefinito· exspectari tempesta tum vadimonia.
Q
o id b r u m a .
L X I I 1. Per brumam vitem ne colito. Vina tom defaecari, vel etiam diffundi Hygioas saadet, • confecta ea septimo die, o lique si septima lana competat. C erasrcirca brumam «eri. Boba» glan*
rà senta lumache. Alconi vogliono che si semini in qaesto modo, per pastura, ma nella pr imavera per seme. Écci aocora un' altra ragio ne più ma nifesta, con più maraviglio*· p revidenza di o t tura, nella qoale sottoscriveremo la sentenza di Cicerone con le sue medesime parole :
IBI CTASCUS SfBSB NBL CAMPO.
LX II. a6. Ma per replicare sotto brevità tolta la coltura, nel medesimo tempo conviene dare anoora il Klame agli alberi, e incalzar le vigne r per ogni io gero basta u n 'o p e r a ; e dove com porterà la natura del luogo, deoosi potare gli arbusti e te vigne, preparar con la vanga il ter reno pei seminar», aprir le fosse, scacciar Pacqaa del eampo, lavar il torchio e riporlo. Passate le calende di Novembre, non mettere P nova sotto k gallina finche non finisca la bram a. Da qoel gior no iuatn&i, per latta la stale, m ettine a covare tredici per gallina, di verno manco, ma non pe rò meno di nove. Democrito tiene che il verno abbia a e m r tale, qnate io il gio rn o della bra ma, e tre altri giorni iotoroo a esso, e cosi la stale secondo che fa il solstizio. Molli dicooo cbe quattordici giorni intorno la brum a, ne’ quali succede la figliatura degli alcioni, l'aere è molto dolce e i venti in bonaccia : ma sì iu qaesti, e à in latti gli altri intenderemo la forza «Ielle stelle dai loro effetti, e non aspetteremo i successi dei tempi a giorui prefiuiti. C hb
dbrba fars i r e l l a b r u m a .
LX1II. Non c o ltiv a r e le v iti n e l l * brame. Vuole Igino c h e i v in i si p u r g h i n o a l l o r a dalle feceie, e a o c o r a si tr a m u t i n o il s e d in o g i o r n o psi e h · la brama sarà M i r a t a , se s a r à il s e tt is n o di
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uid a b b c m a ir f a v o n io » .
L X 1V . A bruma in Favonium Caesari nobilia sidera significant, tertio kalendas Januarii matu tino Canis occidens. Quo die Atticae et finitimis regionibus Aquila vesperi occidere traditur. Pri die nonas Januarii Caesari Delphinus matutino exoritur, et postero die Fidicula, quo Aegypto Sagilta veiperi occidit. Itera ad vi idus Januarii ejusdem Delphini vespertino occasu continui dies hiemant Italiae, et quum sol in Aquarium senti tur transire, qood fere x v i kalendas Februarii e v e n it: vm kalendas stella regia appellata T u b e roni in pectore Leonis occidit matutino. E t pridie ponas Februarias Fidicula vesperi. Hujus tempo ris novissimis diebus nbicumque patietur coeli ratio, terram ad rosarum et vineae satura vertere bipalio oportet. Jugero operae l x sufficiunt. Fos sas purgare, aut novas facere. Antelucanis ferra menta acuere, manubria aptare, dolia quassa sar cire, ipsorumque tabulas scabendo purgare, aut novas facere.
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1 G8 »
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII.
dem tunc adspergi convenit in juga sio gula mo dios. Largior valetudinem infestat,et quocumque tempore detur, si minus x x x diebus continuis data sit, narrant verna scabie poenitere. Mate riei caedendae tempus hoc dedimus. Reliqua ope ra nocturna maxime vigilia constant, quum sint nocles taoto ampliores. Qualos, crates, fiscinas texere : faces incidere : ridicas praeparare inter diu x x x , palos l x . In lucubratione vespertina ridicas v, palos x , totidem antelucana.
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della Inna. 1 ciriegi si piantano intorno il mezzo verno ; e allora si danno le ghiande ai buoi ui* moggio per un paio. Se più se ne desse, farebbe lor male ; e in qualunque tempo si dieno, se si danno per manco d' un mese continuo, fa venir loro la rogna a primavera. Qoesto tempo è buo no ancora a tagliare i legnami. L 'a ltre faccende si fanno massimamente di nottetempo, essendo le notti tanto lunghe j come a dire, tessere gratic ci, oesti e corbegli, e fendere facelline : il gior no si preparan trenta pertiche, e sessanta pali : nella sera cinque pertiche e dieci pali, e altret tanti innanzi giorno.
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F a v o n io .
L X IV . Dalla brama insino al vento Favonio Cesare nota le stelle che nel nascere o tramontare fanno sentir la loro efficacia. La Canicola tramonta la mattina a' trenta di Decembre, nel qual giorno si dice che 1' Aquila tramonta la sera rispetto al paese d' Atene e alle contrade vieine. Ai qnallro di Gennaio Cesare nota da mattina il nascere del Delfino, e l ' altro dì la Lira, nel qual dì tramonta lasera il Sagittario, rispetto all’ Egitto. Simil mente agli otto di Gennaio nel tramontare del Delfino la sera, in Italia sono continui giorni di veruo, come pure quando si sente passare il sole in Aquario ; il che avviene iutorno a dicisselte di Genuaio. A' venticinque la stella chiamata da T u berone regia, la quale è nel petto del Leone, tra monta da mattina ; e a' quattro di Febbraio ò l'occaso vespertino della Lira. Negli ultimi giorni di qnesto tempo, dove la natura dell'aria lo comporterà, bisogna vangar la terra per piantare rosai e viti. Bastano sessanta opere per nn iugero. Allora le fosse si nettano, o se ne fanno delle nuo ve. Innanzi dì s' arruolano i ferramenti, s ' asset tano i manichi, si racconciano i vasi rotti, e pur ganti le loro lame pulendole, o fannosi delle nuove. C hb
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VBIMAVBBA.
L X V . A Favonio in aeqninoctinm vernum Caesari significat, xiv kalendas Martii Iriduura varie. E t vm kalendas hirundinis visu, et postero d ie Arcturi exoriu vespertino. Item tertio nonas M arlii Caesar Cancri exoriu id fieri observavit. M ajor pars auctorum Vindemitoris emersu, octa•vo idus Aquilonii piscis exoriu, et postero die O rionis. In Attica Milvum apparere observatur. C aesar et idus Martias ferales sibi adnotavit Scor p ion is occasu : xv vero kalendas Aprilis Italiae
L X V . Dopo Favonio nell'equinozio della pri mavera Cesare osserva a'quattordici di Febbraio Ire giorni variamente per ragione dell' anno bi sestile. A 'ven tid ue il comparire delle ron din i, e l ' altro giorno il nascere vespertino d ' Arturo. E gli ancora osservò succeder questo ai cinque di Marzo oel nascere del Cancro. La maggior parte degli autori osservano il già detto nell'apparire del Vendemmiatore, agli otto del detto mese, nel nascere del pesce Aquilonare, e nel seguente dì
C. PLINII SECUKDI Milvum ostendi: duodecimo kalendas Eq uam occidere m alatiao.
Hoc intervallum temporie vegetissimam a g r i· coli.·», meximeque operosam est, iu q a o praeci pue falluntur. Neque enim eo die vocantur ad munia, quo Favonius flare debeat, sed quo coe perit. Hoc acri intentione servandum est. Hoc illo mense signum deus habet, observatione minime fallaci aut dubia, si quis adtendat. Unde autem spiret is ventus, quaque parte veniat, diximus aecundo volumine, et dicemu* mox paullo ope rosius. Interim ab eo die (quisquis ille fuerit) quo flare coeperit, non utique vi idus Februarii, sed aive ante, quando praevernat, sive post, quando hiemat : post eam diem, inquam, innumera rusti eos cura distringat, et prima quaeque peragantur, φ ι·β differri nequeunt. Trimestria serantur. Vitei putentur, qua diximus, ratione. Oleae curentur. Poma serantnr, inseranturque. Vineae pastiuentur. Semina digerantur, instaurentur alia. Arun dines, salices, genistae serantur, caedanlnrque. Serantur vero ulmi, populi, platani, uti dictum est. Tum et segetes convenit purgare, garrire hibernas fruges, maximeque far. Lex certa iu eo, qaum qustoor fibrarum esse coeperit. Faba vero non antequam trium foliorum. Tunc quoque levi sarculo purgare verius, qnam fodere. Florentem tttique xv primi* diebus non attingere. Hordeum nisi siccum ue sarrito. Putationem aequinoctio peractam babeto. Vineae jugerum quaternae ope rae putant alligantque: in arbusto singnlae operae arbores x v . Eodem hoc tempore hortorum rosariorumque cara est, quae separa li m proximis vo luminibus dieetur : eodem et topiariorum. Tunc optime scrobes fiunt. T erra in futurum proscin ditur, Virgilio maxime auctore, ut glebas sol coquat. Utilior sententia, quae non nisi temperatara solum in medio vere arari jubet : quoniam iu pingui statini sulcos occupant herbae, gracili insecuti aestns exsiccant : tam namque saccum venturis seminibus aaferunt. Talia aalam no me lius arari certam est.
nel nascimento d ’ Orioue. Nel paese d ' Atene s’ osserva che · qaesto tempo il N ibbio apparisce. Cesare osservò che il dì quindici di Marzo gli era mortifero (e in tal giorno e' fu morto), per Poc caso dello Scorpione; ma che in Italia noo si vede il Nibbio se noo ai diciotto di Marzo, e che a' ventano è l ' occaso mattutino del Cavallo. Questo spazio di tempo è pieno di faccende pei contadini; ma essi in ciò grandemente s'ingan nano, perchè non sono già chiamati alle faccende quel giorno, nel quale Favonio doveva soffiare, ma sì quel giorno che ne cominciò ; il che dili gentemente s' ha da osservare. Ciò è il segno che Dio dà in tal mese, nè l'osservazione è punto fallace, o dubbiosa, se alcuoo vi vorrà por mente. Ma donde spiri questo vento, e da qual parte ei venga, 1' abbiamo detto nel secondo libro, e di remolo più diffusamente poco di sotto. Da qnei giorno dunqne, che egli comincierà a regnare (ita qnsle egli si voglia), benché non sieno gli otto di Febbraio, tanto se innanzi, per lo antici par della primavera, quanto se dopo, per lo durare del verno ; da qnei giorno, dissi, i contadini co mmineranno ad accollarsi d ' infinite faccende, e daranno principio a quelle, che non si possono prolungare. Semineranno il grano di tre mesi, altrimenti marzaiuolo. Poteranno le viti nel modo che abbiam detto. Assetteranno gli nlivi. Piante ranno e annesteranno i pomi. Faranno posticci di viti. Trasporranno gli alberi, i quali sono nel se minario, e rifaranno il seminario di ηαοτο. Pian teranno canne, salci e ginestre, e taglìerannole. Pianteranno ancora olmi, pioppi e platani, come s 'è detto. Allora bisogna anco nettar le biade vemerecce, e sarchiare, e massimamente il farro. Rapporto ad esso v ' ha nna certa legge, che non si sarchi fin eh' egli non ha qu attro foglie. Ne vuoisi por sarchiare la fava finché non n ’ ha tre. Allora conviene piuttosto nettare con un leggero sarchiello, che zappare. Ma quando ella fiorisce, non si debbe toccare ne' primi quindici giorni. Non sarchiar l ' orzo, se noo è secco. A vrai fornito di polare nell'equinozio. Quattro op ere potano e legano un iugero di vigna, e se sono sugli alberi, un'opera assetta quindici alberi. In questo mede simo tempo si lavorano gli orti e i rosai, de'quali separatamente ragioneremo nei seguenti libri ; e nel medesimo tempo ancora s'acconciano bossoli e ginepri in varie forme e figure. A llora si fanno benissimo le fosse. La terra si rom pe p e r la se menta avvenire, oome comanda V ir g ilio , perchè il sole ricuoca le zolle. Ma molto meglio intendo no coloro, che dioouo che a mezza prim avera uon si debbe lavorare se non il terreno temperato, perchè nel terren grasso Γ erbe subito occupai» t solchi, e nel m ig ro i caldi che vengono appresso,
HISTORIARUM SICNDl LIB. XVIII.
Cato verna opera « c definit : scrobes fieri, •eroinaria propagari : in locis crassis et huraidis ulmos, ficos, poroa, oleas seri : prata stercorari luna sitiente, quae rigua non eru nt: flatu F atoo ii defendi, purgari, 'herbas malas radicitus erui, ficus interpurgari, seminaria fieri, et velem sar ciri. Haec antequam vinea florere incipiat, lieroque piro fiorente arare incipiat toacra arenosaqoe.Postea uti qoaeque gravissima et aquosissima, ita postremo arato. Ergo haec aratio has habebit notas, leutisci primum fructum ostendentis, ac piri florentis. E r it et tertia in balborum satn, scillae. Item io coronameatoruai, narcissi ; nara* que el haec ter floreat, primoque flore primam arationem ostendunt, medio secuodam, tertio no vissimam, quando inler sese alia aliis notas praeb e a t. Ao oon in novissimis cavetur, ne fabis florentibus attingatur edera ; id enim noxiam el exitiale ei est tempus. Quaedam vero et sua< habent notas, siculi ficus. Quum folia pauca; iu cacumine acetabuli modo germinent, tunc maxi me serendae ficus.
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oid ab a e q u in o c t io .
L X V 1. Aequinoctium vernam a. d. vin kalendas Aprilis peragi videtur. A b eo ad Vergiliarum exorlum matutinum, Caesari significant kalendae Aprilis, m nonas Aprilis ia Attica Vergiliae ve speri occultaulur. Eaedem postridie in Boeotia : Caesari autem et Chaldaeis nonis: Aegypto Orioo e t gladius ejas incipiunt abscondi. Caesari sexto ■dus significator imber Librae occasu : xiv kalendas Maji Aegypto Sacolae occidunt vesperi, sidus vehemens, et terra roariqoe turbidum : sexto de cim o Atticae: xv Caesari, coatinuoqae triduo •ignificat. Assyriae autem x ii kaleodas. Hoc est v u lg o appellatum sidus Parilicium, qooniam xi halendas Maji urbis Romae natalis, quo fere sere n ita s redditor, darila 4em observationi d ed it: nim borum argumento Hyadas appellantibus Grae c i s has stellas. Quod nostri a similitudine cogoom inis Graeci propter sues impositum arbitrantes, im p eritia appellavere Suculas. Caesari et vm fcalendas notatur dies : v n kalendas Aegypto H oedi e xo riu ntor: vi kalendae Boeotiae et Atti ene Canis vesperi occultator. Fidicula mane ori·* t u r : « k a le u d u Assyriae O rion (otos abioeadilur*
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li riseccano, e perciò levano il sugo ai s«mi avve nire. T ali terreni adunque è molto meglio arar gli nell'autunno. Catone diffinisce m questo modo Γ opere di primavera. F a c c ia s i le fosse, « distendami i se minarii : ne' luoghi grassi e umidi si piantino gli olmi, i fichi, i meli e gli olivi ; e diasi il litame a luna asciutta alle praterie cbe non sono adacqua te: difendansi dal vento Favonio, nettinsi, e svelgausi con le radici l ' erbe cattive. Nettinsi i fichi fra i rami, levandone i soperchi : facciansi nuovi semi narii, e rifacciami i vecchi ; e tutto questo innanzi che la vigna cominci a fiorire. Qoando fiorisce il pero, comincisi arare i terreni magri e arenosi ; e dipoi i gravi e acquosi, i quali arerai sempre da sezso. 1 segni donque di questa aratione sa ranno, quando il leutisco mostrerà il primo fruito, e il pero fiorirà. T re segni pur ne dà la seilla nella specie de'b olb i, non meno che il narciso nella specie de' fiori da serto, poiché essa pure fiorisco tre volte, e nel primo fiore dimostra il primo tempo di arare, nel medio il secondo, nel terzo l ' ultimo ; poiché così avviene che alcune eose da* seguo ad alcune altre. D ebbisi anco avvertire «li non tooear l ' ellera, qaando le fave fioriscono, perciocché questo tempo T è molto nocivo e mor tale. Certe altre cose hanno i loro segni in sé, come il fico. Quando alcune poche foglie gli germogliano in vetta, atlora s ' hanno da piantare i fichi.
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dopo l ' bquibozio.
L X V I . L ' equinozio di primavera pare che finisca a' venticinque di Marzo. Da esso al nasci mento mattutino delle Vergilie, Cesare oss erv a il dì primo di Aprile. Nel paese d ' Atene ai tre di Aprile le Vergilie tramontano da sera, e in Beozia il giorno dipoi : ma Cesare e i Caldei ue assegnano il tramonto a 'cin qn e pur d ' A p rile ; nel qual tempo, rispetto a ll'E g itto , Orione e la sna spada cominciano a nascondersi. Cesare agli otto di Aprile annùnzi· pioggia per l’occaso della Libra. A 'dicio tlo di Aprite rispetto all* Egitto la Secale tramontano da sera, stella terribile, e in terra e in mare turbnleota : a' sedici rispetto al paese di Atene. Cesare ne assegna il tramonto ai dicissetle, e l'osserva per tre giorni c on tin u i; ma Γ Assiria lo assegna ai venti. Questa stella V o lg a rm e n te si chiama Parilicio, perciocché al veatano di Aprile è il dì natale anniversario d i R om a; a siccome in qaesto dì comunemente fa sereno, così se ne potè Aire al chiaro la osserva zione. 1 Greci appellano Iade le Sncnle per le piogge che recano. I Latini ingannati dalla sirai·* glianza d e l nome, credendo «he fossero così ehia->
C. PLINH SECUKDI i t au lem Caois : τ ι n on is Maji Caesari Suculae maturino exoriuntur, et t u i idus Capella pluvia lis. Aegyplo au lem eodem die Canis vesperi oc cultatur. Sic fere in τι idua Maji, qui est Vergi liarum exortus, decurrunt sidera.
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ln hoc temporie intervallo, x t diebus primis agricolae rapienda sant ea, quibus peragendis ante aequinoctium non suffecerit, dum sciat inde natam exprobrationem foedam, putantium viles, par imitationem cantas ali lis temporariae, quam cuculom T o c a n t. Dedecus enim habetur, opprobriumque meritum, falcem ab illa Tolucre ia Tite deprehendi, at ob id petulantiae sales etiam cum prim o vere Indantur. Auspicio tamen detestabiles videntur. Adeo minima quaeqae ia agro natura· libas trahantur argumentis. Extrem o aatem hoc tempore panici miliique salio e s t. Juslum est hoc aeri maturato hordeo : atque etiam in eodem arvo est signam illius maturitati, et horum sationi commane, lucentes vespere per arva cicindelae. Ita appellant rustici stellantes volatus, Graeci vero lampyridas, incredibili benignitate naturae.
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V x x g ilu h o m s x o k tc . D e f e r o .
male dalla Toce Greca che significa porco, le chia marono Sacule, quasi porcellette. Cesare nota eziandio il dì ventesimo quarto. A 1 rentisei, ri spetto all’ Egitto, nascono i Capretti: ai ventisette rispetto alla Beoxia e al paese d ’ Atene, il Cane va sotto la sera, e la mattina nasce la Lira. Ai ventisette, rispetto alP Assiria, O rion e to lto si nasconde, e a* ventinove il Cane : a' due di Maggio Cesare osserva da mattina il nascimento delle So. cule, e agli otto la Capretta p io T o s a . Ma rispetto alP Egitto, qnei medesimo giorno il Cane s’ ascon de la sera. Questo è presso a poco il corso delle stelle fino ai dieci di Maggio, nel qu al giorno nascono le Vergilie. Nei primi quiodici giorni di qaesto spazio di tempo hanno a studiare i contadini di far quelle cose, che non poterono innanzi all'equin ozio, par che sappiano come di qa i è nato il vituperoso costume di coloro, che potano le viti, per esser invitati a ciò dal canto dell’ uccello temporario, che ai chiama cuculo. È tenuto per ditonore e per vituperio,che qnesto uccello trovi ancora la ronca del potatore nella vite, e per qaesto sono stati trovati i motti pungenti di primavera. Ma nondi meno pare che sieno di cattivo augurio ; tanto è vero che tutte le minime cose del campo hanno le p ià piccole lor cause nella natura.In qaesto estre mo tempo si semina il paoico e il miglio. E c o n veniente che si semini essendo matarato Porzo ; e nel medesimo campo ancora è segno sì che questo è maturo, e sì che quelli si possono seminare, qaan do la sera si veggono le lucciole p e r li campì.Per chè così chiamano i contadini gli animaletti stellati che volano, qaali i Greci chiamano lampiride : ed è questa un1 incredibile b en ign iti della natura. C h e d o fo i l i u s c m e r t o d b l l b V b b g i u b . D b l f ib b o .
L X V II. 27. Jam Vergilias in eoe lo notabiles caterva fecerat: non taoien bis contenta, terre stre» fecit aliai, veluti vociferans : C ur coelum iutuearis, agricola? Cur sidera quaeras, rustice? Jam te breviore somno fessum premunt noctes. Ecce tibi inter herbas tuas apargo peculiares stel las, easque vespere et ab opere disjuogenli osten do : ac ne possis praeterire, miraculo sollicito. Videsne a t falgo r igni similis alarum compressu tegatur, secumque lucem habeat et nocte ? Dedi tibi herbas horarum indices : et ut ne sole quidem oculos tuos a terra avoces, heliolropium ac lupi num circumaguntur cum illo. C ur etiam nane aliius spectas, ipsumque coelum scrutaris? Habes ante pedes tuos ecce Vergilias. In certis eae diebus proveniunt, durantque foedere sideris hujusce : partumquo eas illius esso certum est. Proinde
L X V II. 37. Aveva la natura fatte le Vergilie in eielo notabili per la loro compagnia, ma non con tenta a ciò, ne fece altre terrestri, come se volesse gridare, e dire : Perchè guardi la il cielo, o con tadino ? perchè cerchi tu le stelle? G ià ti premo no le n olli stanco per troppo breve sonno. Ecco che io fra le tue erbe spargo stelle peculiari, e le ti mostro la sera, quando tu torni da la v o ra r e ; e acciocché tu non le possa trascurare, li sollecito cou maraviglia a guardarle. O r non ved i tu, corno ano splendore simile al fuoco si ricuopre dal ristrignimento dell’ ali, e riluce aneora la n o tte ? lo t ' ho dato P erbe dimostratrìci delle o re ; e acciocché per lo sole tu non lievi g li occhi tuoi dalla terra, io ti ho dato l’ eliotropio e il lupino* che girano con esso. Perchè dunque g u a rd i tu in alto, e spii nel cielo, avendo le Vergilie innanxi «
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HISTORIARUM MUNDI L1B. XVIII.
quisquis aestivos fractus ante illas severit, ipse frustrabitur sete. Hoc intervallo et apicula pro cedens fabam florere indicat : fabaque florescens eam evocat. Dabitur et aliud finiti frigoris indi cium. Q uam germinare videris morum, injuriam poste· frigoris timere nolito.
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tuoi piedi ? Queste vengono in certi giorni deter minati, e dorano quanto quelle del cielo, cume se avessero fatta colleganza fra loro ; ed è chiaro che da queste son prodotte le Vergilie terrestri. Però ognuno che innanzi a esse seminerà i frutti della state, rimarrà da sè medesimo ingannalo. In que sto spazio di tempo le pecchie uscendo alla pa stura, dimostrano che le fave fioriscono, perchè i fiori delle fave le chiamano. E per darli un altro segno che il freddo sia fioito, ogni volta che tu vedi che il gelso mette e germoglia, nou temerai più la ingiuria del freddo. Ergo opera, taleas olivarum ponere, ipsasque Lavora dunque, metti giù i piantoni degli ulivi, radi gti ulivi stessi, e annaffia i prati ne’ prioleas interradere, rigare prata aequinoctii diebus mi giorni dell1 equinozio. Quando l'erb a ha fallo primis. Quum herba creverit in festucam, arcere i festuchi, non dar più acqua, e spampana le aquas : viueam pampinare. Et huic lex sua, quum vigne. Ancora in questo v ’ è certa legge, che i pampini quatuor digitos longitudine expleverint. pampani sieno prima lunghi quattro dita. Un’opePampinat una opera jugerum. Segetes iterare. ra spampana un iugero. Si fa la seconda arazione. Sarritur vero diebus viginti. Ab aequinoctio sar Sarchiasi venti giorni. Stimasi che la sarchiatura tura nocere et vineae et segeti existimatur. E t dopo P equinozio nnoca alle vigne e alle biade. oves lavandi hoc idem tempus est. In questo medesimo tempo laverai le pecore. Dopo il nascimento delle Vergilie osserva A Vergiliaram exortn significant Caesari po Cesare il dì seguente gli occasi mattutini d 1 A r stridie Arcturi occasus raatutioi : tertio idus Maji turo : agli undici di Maggio il nascimento della Fidiculae exo rtas: xn kalendas Junii Capella ve Lira : a' ventuno di Maggio la Capra che s’ ascon speri occidens, et in Attica Canis, xi kalendas de la sera ; e il Cane, rispetto al paese d1 Atene. Caesari Orionis gladius occidere incipit: teriio A* ventidue osserva Cesare che comincia a tra nonas Junii Caesari et Assyriae Aquila vesperi montare la-spada d 'O r io n e : ai tre di G idgn o oritu r : septimo idns Arcturus matutino occidit, Cesare e Γ Assiria assegnano il nascer dell' Aquila Italiae sexto : et quarto idus Delphinos vesperi da sera : ai sette il tramonto di A rturo la mattina : e x o ritu r: seplimodecimo kalendas Julii gladius per Γ Italia agli otto, e a’ dieci il nascimento del Orionis oritur, qaod Aegypto post quatriduum. Delfino da sera : ai quindici di G iuguo il nasci Undecimo kalendas, ejusdem Orionis gladius mento della spada d ' Orione, il che si osserva ia Caesari occidere incipit : vtn kalendas Julii vero Egitto quattro dì poi. Ai ventuno del medesimo longissimos dies totios anui, et nox brevissime la spada d 'O rio n e comincia a tramontare, secon solstitium conficiunt. do Cesare. 11 più luogo dì dell’ anno, e la notte più breve eh’ è ai ventiquattro di Giugno, fanno il solstizio. In questo spazio di tempo le vigne si spampa In hoc temporis intervallo vineae pampinan nano, e la vigna vecchia »’ affossa uoa Volta, la tu r , curaturque ut vinea vetus semel fossa sit, bis nuova due. Le pecore si tosano, i lupini s’ arrove novella. Oves tondentur : lupinum stercorandi sciano per ingrassar il terreno, la terra si rompe, causa vertitur : terra proscinditur : vitia in pa b u lu m secatur : faba metitur, dein concutitur. le veccie si segano per pascolo, la fava sì miete, o poi si batte. 28. Prata circa kalendas Junii caeduntur, quo 2 8 .1 prati si segano intorno a'calendi di Giu r u m facillima agricolis cura ac minimi impendii, gno. Questa faccenda eh' è la più facile e di manco h a e c de se postulat dici. Relinqui debent in laeto spesa pei contadini, ricerca queste cose. I prati si debbouo fare in terren grasso, o umido, o alto s o lo vel hutnido, vel riguo, eaque aqua pluvia ad annaffiarsi, e con quell*acqua piovana che r ig a r i via publica. Utilissimum simul et herbae venga dalla via pubblica. Utilissimo ancora è per a ra r e , deinde cratire, serere florem ex fenilibus, Γ erba arare, dipoi erpicare, seminare il fiore a tq u e ex praesepibus feno dilapsum sp a rg ere, p riu s quam cratiantur. Nec primo anno r ig a r i, preso da’ fenili, e prima che si erpichi spargervi il fieno caduto dalle mangiatoie. Non s ' adacquino n e c pasci ante secunda fenisecia, ne herbae vel i prati il primo anno, uè si pascano innanzi la la n tu r , obtrituque hebetentur. Senescant prata, seconda segatura del fieno, acciocché l ' erbe non restituique debent faba in his sata, vel rapis, vel
C. PLIN II SECUNDI milio.Mox insequenle anno frumento, rursusque In prata tertio relinqui. Praeterea quoties secla sint, siciliri, hoc est,quae feniseces praeterierunt, secari. E si enim in primis inutile, enasci herbas sementaturas. Herba optima in prato trifolii, pro xima graminis, pessima mumrauli, siliquas etiam diras ferentis. Invisa et equisetis est, a similitu dine equinae setae. Secandi tem pus, quum spica deflorescere coepit, atque roborari: secandum, antequam inarescat. Cato u Fenum, in q u it, ne seroseces: p riusquam semen maturum sil, se'calo. n Quidam pridie r ig a n t, ubi sunt rigua. Noctibus roscidis secari melius. Quaedato partes Italiae post messem secant.
si svelgano,o calpestandole non si guastino. 1 prati invecchiano, e debbono rinovarsi seminando ia essi fave, o rape, o miglio. L 1 anno se go e ate τΐ ά semini grano, e il terso si lascino p e r erb a . Oltra di questo, ogni volta ehe essi son segati è bene sicilire, cioè segar P e rb e U sciale d a segatori Perciocché è loro di molto danno, c h e vi nascaao erbe, le quali abbiano a semenzire. O ttim a erba nel prato è il trifoglio, poi la gram ign a, e la peggiore di tutte è il nummolo, c h e prodace pur gagliuoli nocevolissimi. N o civ o ancora è l’ equiseto che somiglia le setole d i cavallo. 11 tempo di segare è quando la spiga coniaci* a sfiorire e a indurirsi, e risegare p rim a ebe essa inaridisca. Dice Catone : u. Non se g h e ra i lardi il fieno, ma segalo prima che il seme sia maturo.» Alcuni il giorno innanzi che segh in o adacquaao, dove si può adacquare. Ma egli è m eglio segit nelle notti rugiadose. Alcuni luoghi d i l a l i a usano segare dopo la mietitura.
apud
Fu questo ancora di m aggiore spesa appresto
priores. Creticis tantum transraarinisque cotibus notis, nec nisi oleo falcis aciem excitantibus. I c i tur cornu propter oleum ad crus ligato fenisex incedebat. Italia aquarias cotes dedit, limae vice imperantes ferro. Sed aquariae protinus virent. Falcium ipsarum duo genera : Italicum brevius, ac vel inter vepres quoque trattabile. GaHiarura latifundia majoris compendii, quippe medias cae dunt herbas, brevioresque praetereunt, llalus fe nisex dextra una manu secat. Justum est ana opera jugerum in die desecari : alligarique mani pulos mille ducentos, quaterna pondo. Sectum verti ad solem, nec nisi siccum construi oportet : nisi fuerit hoc observatura diligenter, exhalare matutino nebulam quamdam, raetasque mox sole accendi, et conflagrare certum est. Rursos rigari desecta oportet, nt secetnr autumnale fenum , quod vocant cordum. Interamnae in Umbria qaater anno secantur, etiam non rigua. T er vero plerisqae in locis : et postea in ipso pabulo non mi nus emolumenti est, quam a feno. Armentorum id cura, juraentorumque progeneratio suum cui que consilium dabit, optimo maxime quadrigarnm quaestu.
gli antichi, perchè non usavano p ie tre da armo· tar falci, se non di Candia e d’ oltre a mare, che
F u it hoc quoque majoris
impendii
SorsTiTiCM. L X V I I 1. Solstitium peragi in octava parie Cancri, et oclavo kalendas Julii dixim us. Magnas
non affilano il taglio alla falce se non con l’ olio; onde il segatore teneva legato alla gam ba nn cor no pien d ’ olio. L ’ Italia poi ha trovate le pietre, che arruolano con P acqua, le qu ali assolligtiaao il ferro quanto farebbe la lima. Ma la pietra che arruola con Γ acqua, subito verdeggia. Sooo due sorti di falci. L ’ Italiana è pià corta, e pootsi ado perar anco tra i pruni. In Francia s'usano mag giori, perchè hanno a segare m aggiori prati: tagliano P erbe per mezzo, e lasciano le piò corte. Il segatore Italiano sega solo con la man ritta. Una opera ordinariamente sega on iugero il gior no, e lega mille dngento fasci di quattro libbre P uno. Quando il fieno è segato, bisogna voltarla al sole, e non si può ammontare se prima eoo è secco; e se ciò non è diligentem ente osservalo, esala la mattina una certa nebbia, e poco dipoi le biche accese dal sole riardono. D op o la tagliatura bisogna adacquare i prati, acciocché si possa se gare il fieno delP autunno, il quale si chiama cordo. A Terni città delP Umbria si sega il fieno quattro volte Panno, ancora nei prati ebe n o · s ' adacquano. In generale si segano tre volte, e non è meno utile poi la pastora, che si sia il fieno. Questo è cura degli arm enti, e la p ro p ag a zione dei giumenti darà il suo consiglio · ciascu no, e massimamente pel lucroso gu ad ag n o delle mule da cocchi. S o l s t iz i o .
LX V 1II. Noi abbiamo detto, com e il solstizio fornisce negli otto gradi di Cancro» e ai v en ti-
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hic aaoi cardo, n i g n res mandi. Ia hoc osqoe a brani» dies creverunt, sex mensibus. A t sol ipse ad Aquilonem scandens, ac per ardua enisus ab ea mela incipit flecti, et digredi ad Austrum, aucturus noctes aliis sex mensibus, ablaturusque diei meusnram. Ex hoc deinde rapiendi convehendique fruclus alios atque alios tem p as, el praeparandi se contra saevam feramque hiemem : decebatque hoc discrimen indubitati» notis si gnasse naturam. Quam ob rem eas manibus ipsis agricolarum ingessit, vertiqne jussit ipsa die fo lia, et esse confecti sideris signam : nec silve strium arborum remotarumque, ne in saltus de vios motitesque eundum esset quaerentibus signa: non rursus urbanarum, et q u a · topiario tantam coluntur, quamquam el in his illa visantar. Vertit oleae ante pedes satae, vertit tiliae ad mille usus petendae : verlit popoli albae etiam vitibus nu ptae : u Adhuc parum est, iu q a it: almum vite dotatam habes: et hujus vertam. Pabulo folia ejus striogis, vitem deputas. Aspice, et tenes si dus. Alia parte coelum respiciunt, qnam qua spe· eia vere pridie. Salice omni» alligas, humillima arborum, ipse toto capite allior c et hojns circu magam. Q uid te rusticum quereris? Non stat per me, quominus coelnm intelligas, et coelestia scias. Dabo et auribus signom. Palumbam atiqae exaudi gemitui.Transisse solsiiliam caveto putes, nisi quum incubantem videris palumbum. »
A solstitio ad Fidiculae occasum sexto la len das Julii Caesari Orion e xo ritu r: zona autem ejus quarto nonas Assyriae : Aegypto vero procyon matutino aestuosus : quod sidus apud Ro manos non hahet nomen, nisi Caniculam hanc velim us inteillgi, hoc est, minorem canem , u! i a astris pingitur. Est autem magnopere perti nen s, sicut paullo mox docebimus. Tertio nonas Chaldaeis Corona occidit matutino, Atticae Orion to tu s eo die exoritor. Pridie idus Julii et Aegy p tiis Orion desinit exoriri : xvi kalendas Augusti Assyriae Procyon exoritur. Dein postridie fere u b iq u e , confessum inter omnes sidus indicans, q a o d Canis ortum vocamus, sole partem primam L e o n is ingresso. Hoc fit post solstitium x x m die. S en tiu n t id maria, et terrae,multae vero et ferae, u t suis locis diximus. Neque est minor ei vene r a tio , quam descriptis in deos stellis. Accendit e n e solem, et magnam aeslus obtinet causam, x n i C ie n d a s Augusti Aegypto Aquila occidit ina-
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quattro di Giugno. Questo è il gran rivolgimento dell* anno, e gran cosa nel mondo. Dalla bruma fino a questo tempo i giorni sono cresciuti per sei mesi. Ma il sole medesimo che fino allora di scese verso settentrione, quando giugne a questo termine, comincia a dar volta, e calare a mezzo dì, c far le notti maggiori, per altri sei mesi, e fare i giorni minori. Dopo questo viene il tempo di corre e ragunar fruiti d* ogni sorta, e di pre pararsi conlra il crude] v ern o ; e fu hen cosa convenevole che la natura mostrasse questa dif ferenza con segni manifesti, i quali essa pose a conoscenza de' contadini, volendo che in quel dì le foglie «i volgessero, e dessero segno che il sole ritorna. Nè ciò avviene negli alberi salvalicbi e lontani, acciocché non abbiamo a ire nelle foreste e ne’ monti per vederne i segni ; nè anco negli alberi domestici, o in quelli che coltiviamo per piacere, quantunque anche in questi n' apparisca l’ effetto: ma voltano le foglie gli ulivi piantati innanzi a’ tuoi piedi : volta le foglie il tiglio utile a mille cose, e Γ oppio bianco, ancora che egli sia maritato alle vili, u Questo ancora è poco, dice la natura ; tu hai legata la vite a ll'olm o: io vol terò le foglie anche di essa. T u raccogli le foglie per darle al bestiame, e raccogliendole ne poti le viti.Sol che to miri, te ne d*n segno. Esse risguardano il cielo con quella parte che noi guardavano il giorno innanzi. Col salcio leghi tutte l ' altre cose: esso è bassissimo, e minore di te ; e nondi meno io volterò le sue foglie. Perchè ti ramma richi di essere contadino? lo non t'im pedisco che tu intenda il cielo, e sappia le cose celesti. Ί 1 darò ancora un segno agli orecchi. T u odi i co lombi salvatichi : non credere che il solstizio sia passalo, se tu non gli vedi covare. « Dal solstizio insino al tramontare della Lira osserva Cesare il nascimento di Orione a' venti sette di Maggio : PAssiria ne osserva la fascia ai due di Giugno, e 1’ Egitto il procione da mattina tutto avvampato; la quale stella appresso iRomani non ha nome, salvo se non vogliamo credere che questa sia la Canicola, cioè il Can minore, come si dipinge fra le stelle. Ma quanto sia essa impor tante mostreremo poco dipoi. A ' tre di Giugno rispetto a' Caldei tramonta la Corona da mattina, e nel paese di Atene quel giorno nasce Orione in tero. Ai quattordici di Luglio 1' Egitto non vede più nascere Orione. Ai diciassette di Luglio per la Assiria nasce il procione. L* altro giorno quasi da per tutto apparisce, indicando prossimo il nasci mento del Cane, essendo il sole nel primo grado del Leone. Questo avviene ventitré giorni appunto dopo il solstizio. Sentono ciò il mare e la terra, e molte fiere, c o m e s 'è detto a 'su o i luoghi. Nè ponto minor riverenza si porta a questa stella, cbe
C. PLIN II SECUNDI lutino, Etesiaruiuqae prodromi ( U t u iu cipiu ut, quod Caesar x kalendas seulire lu iia m existima vit. Aquila Atticae maluliuo occidit: ut kalendas regia in pectore Leonis stella matutino Caesari im m ergitur: t u i idus Augusti Arcturus medias occidit : m idus Fidicula occasu suo autumnam inchoat, ut is aduotat : s*d ut v e r · ratio id fieri iuveoit, sexlo idus easdem.
In hoc temporis intervallo res somma vilium agitur, decretorio avis sidere illo, quod Canical«ra appellavimus. Unde carbunculare dicuntur, ut quodam uredinis carbone exustae. Non com · parantur huic malo grandines, procellae,nec quae que umqaam anoonac intulere caritatem. A gro rum quippe maU sunt illa : carbunculus autem regionum late patentium, non difficili remedio, nisi calumniari naturam rerum hom iues, quam sibi prodesse, mallent. Feruot Democritum, q a i priinus iu tellexit, ostenditque eam terris coeli societatem, spernentibqs hauc curam ejus opu-r Idutissimis cirium , praevisa olei caritate ex futuro Vergiliarum ortu, qua diximus ratione, ostendeinusque jam plenius, magoa tum vilitate propter spem olivae, coemisse in loto tractu omne oleum, mirantibus qui paupertatem et quietem doctrinarum ei sciebant iu primis cordi esse. Atque ut apparuit causa, et ingeus divitiarum cursus, resti tuisse mercedem anxiae et avidae dominorum poenitentiae, contentum i u probasse, opes sibi iu facili, quum vellet, fore. Hac poslea Sestius e Romanis sapientiae adsectatoribus Athenis fecil eadem ralioqe. T ao la litterarum oocasio est: quas equidem miscebo agrestibus negotiis, quam polero dilucide atque perspicue. Plerique dixere rorem inustum sole acri, frugibus rubiginis cau sam esse, et carbunculi vitibus : quod ex parte falsum a r b it r o r , omnemque uredinem frigore tantum constare, sole innoxio. Id manifAtum fiet adtendentibus. Nam primum omnium non hoc evenire, nisi noclibus et ante solis ardorem* de p reh en d itu r, totumque luqari ratione constat: quoniam talis injuria nou fit nisi interlunio, ple·? nave luna, hoc est, praevalente : utroque enim habitu plena est, ut saepius diximus : sed inlerluuio omne lumen, quod a sole accepit, coelo regerit. Differentia ulriusque habitus magna, sed manifesta : namque interlunio aestate calidissima est, hieme gelida. E diverso in plenilunio aestate frigidas facit noctes, hieme tepidas. Canea evi dens: sed alia re d d itu ra F ab ian o , Graecisque auctoribus. A ssiale euim interlunio uecesse est
a quelle ia cui raffiguriamo gli dei. E lla accende il so k , éd è cagio a· di gran caldo. A* venti di Lo glio iu Egitto l'Aquila fa il suo occaso mattutino, e allora cominciano i venti da terra; il ebe Cesare tenne che l ' llalia sentisse ai ventitré del mese. L ’ Aquila tramonta da mattina rispetto al paese di Atene. A* trenta U stella regìa, eh’ è nel petto del Leone, s'asconde, secondo Cesare, da mattina; e ai sei di Agosto meato A rturo tramonta : agli undici di Agosto 1« Lira col suo tramontare dà princìpio a ll’ autunno, secondo che egli nota; ma U vero computo trova ebe ciò si fa agli otto del mese. In questo spaxio di tempo le viti sono ia gran pericolo, essendo decisiva per le uve quella stella, che noi chiamammo Canicola. O nde si dicono iooarbonohiare, perchè vengono riarse oome da acceso carbone. Non son da paragonare a questa sciagura le gragnuole, nè le tempeste, oè qualun que altro infortunio che produoesse mai carestia. Perciocché queste sciagure danneggiano un nu mero di campi; ma l’ iucarbonchiare piglia gran dissimo paese : non però è diffidi cosa rim ediarvi, se gli uomini non volessero piuttosto calunniare la ualura, che giovare a sè stessi. Dicono c h e De mocrito, il quale fn il primo che intese e mostrò la relazione del cielo con la terra, mentre i più ricchi cilladiui si facevano beffe di questa cura e diligenza di lui, avendo prevista la carestia delf olio dal nascimento avvenire delle Vergilie, per quella ragiooe che già abbiamo detto, e più lar gamente ancora mostreremo, comperò tutto P o lio di qaei paese, che per la speranza che si avea di gran raocolta di olire, area bassissimo prezzo; talché fece maraTigliare m ollo di sè gli nomini, i quali saperano com'egli amara più I’ ozio e la dottrina, che il guadagno. Com e poi manifestossi la cagioue, e la ricchezza grande che egli aveva fatta, restituì il prezzo agli avari e ingordi ven ditori, i quali si pentivano aver venduto si vile, contentandosi di aver fatto lor con oscere, che agevolmente avrebbe potuto guadagnare, quan do avesse voluto. Questo medesimo fece poi Se stio Romano, uomo studioso e savio in Atene nell ' islesso modo ; tanto valgono all' occasione le lettere ; le quali io pure mi sforzerò di mescolare Ira i uegozii contadineschi, quanto io p iù chia ramente e più apertamente potrò fare. M olti di cono che la rugiada asciugata dal sole gagliardo è cagione di fare appassire le biade, e incarbouchiar le vili ; ma io credo che c iò in parte sia falso, e che ogai a b b ru ciam en e v e n g a solamenta dal freddo, senta che il sole n' abbia c o lp a al cuna. Ciò vedranno chiaro coloro, c h e vi porraa. no mente. Perciocché per la prima cosa truovasi che ciò non avviene se uon di u o tte , e innauù
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cara sole nobis proximo circolo carrai, igne e j u cominus recepto candens : eaderoque ia lerloa io •bsit h iero e, quando abscedit eksol. Itero pleni lunio aestivo procul abeat adversa soli : hieme autem ad nos per aestivum circulum accedat. E rgo per se roscida quoties alget, infinitum quan tum illo tempore cadentes proinas congelat.
CAUSAR STBKI LITATUM.
all'ardore del sole, e che tatto pende dalla lana* perchè tal danno non saccede che fra la lana vecchia e la nuova, o qaando ella è piena, cioè possentissima, poiché anche per questa voce s’ annuntia il suo p ien o, come spesso abbiamo deito. Ma qaando è fra vecchia · nuova, tutto il lame che ella riceve dal sole, lo rigetta al cielo. La differenza delP ano e P altro stato i grande, ma però manifesta. Perciocché la state, quaudo è fra vecchia e nuova, è caldissima, e il verno gela ta. P er lo contrario, qaando la laoa è piena la state fa le notti fresche, e il verno tiepide. La ca gione di ciò è chiara; però Fabiano e gli antori Greci ne danno un’altra. Perchè ia stale, quando è fra la vecchia e la ouova, è necessario che d ia corra col sole per lo circolo prossimo a noi, e sia calda per rispetto del fuoco pure allora da Ιοί ricevalo, e sia lontana di verno, quando è lo inter lunio, essendo lontano ancora il sole. Similmente di state, qaando la laoa è piena, ne va discosto, es sendo opposta al sole, e il verno s’ appressa a noi per lo circolo estivo. Essendo dunque la lana per sè medesima umida, qaando fa freddo con gela affatto le cadenti brine. C ag io h i d e l l a s t b b il it à .
L X IX . Ma innanzi ad ogni altra cosa noi dob biamo sapere come di due sorti sono le ingiurie procedenti dal cielo. Una che noi chiamiamo tea»pesta, per la qoale s’ intendono graguuole, pro celle e altre simili cose, le quali quando vengono, chiamaosi fo n a maggiore. Queste procedono da stelle orride, come spesse volle abbiamo detto, cioè da A rturo, Orione, e Capretti. La seconda ingiuria viene senza venti, e nel cielo tacito, e nelle notti serene, e non si sente qaando è ve» nula. Questa è pubblica, e molto differente dalla prima: alcuni la chiamano rubigine, altri uredine, e altri carbonchio; ma comunemente è detta sterilità. Di queste cose donqae ragio nerem o, poiché altri non n' ha parlato innanzi a noi , e prima n’ assegneremo le cagioni. 29. Duae sunt praeter lanarem , paucisque 39. Due sono le cagioni, oltra la luna, le quali coeli locis constant. Namque Vergiliae privatim sono in poechissimi luoghi del ciclo. Perciocché attinent ad fructus, ut quarum exortu aestas in le Vergilie particolarmente appartengono ai frat cipiat, occasu hiems, semestri spatio intra se meeti, perchè oel casam ento loro comincia la state, e nel tramontare il verno, p così in ispazio di sei ses vindemiasque et omninm maturitatem com mesi abbracciano la ricolta e la vendemmia, e la plexae. Est praeterea in coelo, qui vocatur lacteus maturità di tntti i frutti. Oltra di ciò in cielo è il circulus, eliam visu facilis. Hujas defluvio, velat circolo latteo, assai facile da conoscere. Dall* in e x ubere aliquo, sata concia lactescant, duorum flusso di questo, come da qualche poppa, tuiti i siderum observatione, Aquilae io seplemtriooali seminati ricevono il latte, nel comparire di doe parte, et in austrina Ganicolae, cujus mentionem stelle, cioè dell’ Aquila oella parte settentrionale, suo loco fecimus. Ipse circulus fertur per Sagit e della Canicola nell1 a astrale, di cui fecemmo tarium atque Gemiaos, solis centro bis aequino g ii menzione al suo Inogo. Passa questo circolo ctialem circulum secans, commissuras eoram ot^·
L X 1X. Ante omnia aatem dao genera este coelestis injuriae meminisse debemus. Unum quod tempestates vocamus, in quibus grandines, procellae, ceteraque similia intelliguntur : qaae qaum acciderint, vis major appellator. Haec ab horridis sideribus exeu nt, a t saepius dixim us, veluti Arcturo, Orione, Hoedis. Alia sunt illa , quae silente coelo serenisque noctibus fiunt, nullo senliente, nisi quam facta sant. Poblica haec, et magnae differentiae a prioribus, aliis rubigioem, aliis uredinem, aliis carbunculum appellantibus, omnibus vero sterilitatem. De his nunc dicemus, a nullo ante nos prodita, priusqae causas red demus.
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pel Sagittario e pei Gemini, tagliando due volte il circolo equinoziale nel centro del sole, tenendo le commissure loro di qua 1' Aquila e di là la Canicola. E perciò gli effetti di am endue appar tengono a tutte le terre fruttifere, perchè ioq oe sli luoghi soltanto convengono i centri del sole e della lerra ne' punti degli equinozii. Ne' gioroi dunque di queste stelle, se I' aere sereno e mite infonderà nella terra quel genitale sugo latteo, tutti i seminali abbundevolmente crescono. Se la luua, per la ragione che s' è della, sparse fredda rugiada, questa amaritudine mortifica i seminali, come l'amaro mescolato nel lalte ammazza la crea tura. La terra sente più o meno questa mala in fluenza, secondo che in qualunque punto con vesso concorrono ambedue queste cagioni. Perciò non si sente ella per lutto il mondo egualmente, come non succede allo stesso dì da per ta llo . Noi abbiamo detto che l ' Aquila nasce in Italia ai venti di Decembre. Innanzi a questo giorno non comporta la natura che de' seminali sì abbia certa speranza ; che se la luna s'ab batte esser fra vec chia e nuova, succede che i fru lli vernerecci e primaticci si guastaao tutti quanti. La vita degli amichi fu rozza, e senza lettere; Rudis fuit priscorum vita atque sine litteris ; nondimeno si vede che in essi non fu punto menu non minus tamen ingeniosam fuisse in illis o b ingegnosa la osservazione e la pratica, che ora servationem apparebit, quam nunc esse rationem. si sia la nostra scienza. Perciocché essi temeva T ria namque tempora frudibus m etuebant, no tre tempi pei frutti, e però ordinarono ferie e propter quod instituerunt ferias, diesque festos, feste, siccome furono i Rubigali, i Florali e i V i Rubigalia, Floralia, Viaalia. Rubigalia Numa con nali. Numa ordinò i sacrificii Rubigali P undeci stituit anno regni sui xi, quae nunc aguntur af mo anuo del suo regno, i quali si fanno ora ai d. septimum kalendas Maji, quoniam tane fere venticinque di Aprile, perchè quasi in quel tempo segetes rubigo occupat. Hoc tempus Varro de la rubigine occupa le biade. Varroue determina terminavit, sole Tauri partem decimam oblinente, questo tempo, quando il sole è nel decimo grado sicut tunc ferebat ratio. Sed vera causa est, quod di Tauro, secondo che portava il computo di al post dies unum et triginta ab aequinoctio verno, lora. Ma la vera causa è, che trenluu giorno dopo per id quatriduum, varia gentium observatione 1' equinozio della primavera per quattro giorni, in iv kalendas Maji, Canis occidit, siduset per se secondo la varia osservazione delle genti, in fino ai vehemens, et cui praeoccidere Caniculam necesse ventotlo di Aprile, tramonta il Cane, stella per >è sit. Itaque iidem Floralia quarto kalendas easdem terribile, e preceduta dalla Canicola già tramonta instituerunt, Urbis anno d x v i ex oraculis Sibyl la. Così dunque ordinarono i F lorali ai ventolto, lae, ut omnia bene deflorescerent. Hunc diem nell'anno cinquecento sedeci dopo I' edificazione Varro determinat, sole Tauri partem quartamdi Roma, secondo gli oracoli della Sibilla, accioc decimam obtinente. Ergo si in hoc quatriduum ché tutte le cose fiorissero bene· V a rroo e deter inciderit plenilunium, fruges et omuia quae flo mina questo dì, quando il sole è n e' quattordici rebunt, laedi necesse erit. Vinalia priora, quae gradi del Tauro. Se egli avverrà d u n qu e che in ante hos dies sunt ix kalendas Maji degustandis questi quattro dì la luna sia piena, le biade e tulle vinis instituta, nihil ad fructus attinent: nec quae quelle cose che fioriranno, ne fieno offese. 1 sa adhuc diximus, ad viles oleasque, quoniam ea crificii Viuali primi, che suno innanzi a questi il rum conceptus exortu Vergiliarum incipit a. d. dì ventitré di Aprile,furono ordinati per assaggia viidus Maji, ut docuimus. Aliud hoc quatriduum re i vini di sacrificio a Giove, non appartenendo est, quod neque rore sordere velint: exhorrent nulla ai fruiti : nè alle viti e agli u livi apparten eaim frigidum sidus Arcturi postridie occidens : gono pur quelle cose che iofino a q u i abbiamo et multo minus pleniluuium incidere. delle , perchè la concezione loro com in cia nel nascimento delle Vergilie a' dieci di M aggio.
tinente hinc Aqaila, illinc Canicula. Ideo effectos utriosqae ad omnes fragi fera 1 perlinent terras : quoniam in his tantum locis solis terraeqae cen tra congruant. Igitur borum siderum diebus, si paras atque mitis aer genitalem illum lacleumque saccum transmiserit in terras, laeta adoles cunt sata. Si luna, qua dictum est ratione, rosci dum frigus adsperserit, admixta amaritudo, ut in lacte, puerperium necat. Modus in terris hujus injuriae, quem fecit in quacumque convexitate comitatus utriusque causae. E t ideo non pariter in toto orbe sentitur, ut nec dies. Aquilam d ix i mus in Italia exoriri a. d. x u i kalendas Januarii. Nec patitur ratio naturae quidquam in satis ante eum diem spei esse certae. Si vero interlunium incidat, omnes hibernos fructus et praecoces laedi necesse esL
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iv nona* Jani! iterum Aquila exoritor vesperi, decretorio die florentibus oleis vitibnsque, si pleniluninm in eum incidat. Equidem et solsti tium v m kalendas Julii simili causa duxerim, et Canis ortum post dies a solstitio x x m , sed inter lunio accidente ; quoniam vapore constat culpa, aciniqne praecoquuntur in callum. Rursus pleni lunium n ocete, d. iv nonas Julii, qaum A egyplo Canicula exo ritar: vel certe x vi kalendas A ugu sti, quum Ilalise. Item x m kalendas Augusti , quum Aquila occidit, usque in x kalendas easdem. Extra has causas sunt Vinalia altera, qaae agun tur a. d. xi? kalendas Septembris. Varro a Fidicola incipiente occidere mane, determinat, quod volt initium autumni esse, et bunc diem feslura tempestatibus leniendis iosiitulum. Nunc F id i culam occidere a. d. vi idus Augusti servatur.
Intra haec constat coelestis sterilitas. Neque negaverim posse eam permutari arbitrio legen tium, locorum aestimantium naturas. Sed a nobis rationem demonstratam esse sali* est : reliqua observatione cujusqae constabunt. Alterutrum quidem fore in causa, hoc est, plenilunium aut interlunium, non erit dubium. Et in hoc mirari benignitatem naturae succurrit : jam primum hanc injuriam omnibus aunis accidere nou posse, propter statos siderum cursus : nec nisi paucis noctibus anni : idque quando futurum sit, facile nosci. A c ne per omnes meuses timeretur, earum quoque lege divisuro, aestate interlunia praeter quam biduo secura esse, hieme plenilunia : nec nisi aestivis brevissimisque noctibus metui, die bus non idem valere. Praeterea tam facile intel ligi, ut formica minimum animal interlunio quie scat, plenilunio etiam noctibus operetur. Avem parram oriente S irio , ipso die non apparere, donec occidat. E diverso chlorionlem prodire ipso die solstitii. Neutrum vero lunae statum noxium esse, ne noctibus quidem, nisi serenis, et omni aura quiescente : quoniam neque in nube, neque in flatu cadant rores: sic quoque non sine remedio.
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come abbiamo dimostro. In questi altri quattro giorni non vogliono aver ru gia d a , perchè te mono la stella fredda di Arturo, la qoale tramonta il giorno dipoi, e molto manco la Iona piena. Ai due di Giugno nasce di nuovo l’ Aquila in sulla sera, giorno decisivo alle viti e agli ulivi che fioriscono, se in esso cade la luna piena. Dirò pure essere egualmente decisivo il solstizio, il quale è ai ventiquattro di Giugno, e il nascimento del Cane, il quale è ventitré giorni dopo il sol stizio, se però vi cade lo interlunio, perchè 1« colpa viene Jal caldo, e gli acini si ricuocono e diventano callosi. Di nuovo la luna piena nuoce a1 quattro di Luglio, quando la Canicola nasee in Egilto, o a' dicissette, quando nasce in Italia. Così aocora ai venti del medesimo, quando Γ A quila tramonta, fino ai ventitré del mese. Non son queste le cause della istituzione degli altri Vinali, 1 quali fanno ai venti di Agosto. Varrooe gli mette quando comincia la Lira a tramontare da mattina, il che vuole che sia il principio dell'aotunno; e questo giorno è stalo ordinato che sia festa per placar le tempeste. Ora s ' osserva che la Lira tramonta agli otto di Agosto. Da queste cose dipende la steriliti che procede dal cielo. Non nego però che essa si possa trovar differente dalle persone che l'avran n o qui letta, se vogliano considerar le nature dei luoghi. Ma basta per noi di averne mostro l'ordine : le altre cose staranno secondo l'osservazione di ciascuno. Quello che ci ha di certo è, che i tristi effetti prefali son prodotti dall* una o I' altra delle due cause, o dalla Iona piena, o dalla luna tra vecchi* e nuova. Anche in questo possiamo considerare la mirabile benignità della nalura ; perciocché questo danno non può intervenire ogni a n n o , p e r ii corsi ordinati delle stelle, nè se non per poche notti, che facilmente si conosce quando ha da essere. E acciocché non se ne temesse in tulli i mesi, ella ha posto legge che uella state gl' interlunii, fuor che due giorni, fossero sicari, e di verno i plenilunii ; e non si temesse, se non nelle nolli brevissime di stale, perchè n e 'g io rn i non influiscono. 11 che tanto più facilmente s'inlende, perchè la formica, animale piccolissimo, neU'interlunio si riposa, e nel plenilunio opera la nolteancora. L'uccello chiamalo parra quel gior no che nasce la Canicola s ' asconde, e non compa risce più fin ch 'ella nop tramonta. Per lo con trario il clorioute esce fuori il dì del solstizio. Ma nè 1' uno nè l'a ltro stato della luna è nocevole, neppur nelle n o tti, se non quando sono serene e che non è punto di vento, perchè quan do è nugolo, se anche non tira vento, non cag giono le rugiade. Così anche quando può nuocere vi ha riparo.
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C. P U N II SECUNDI
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R e m e d ia .
R im b o ii .
L X X . Sarm enta, aut palearum acervos, et evalsas herbas fruticesque, per vineas caraposque, quum timebis, incendito : fumus medebitur. Hic t paleis et contra nebulas auxiliator, ubi nebulae nocent. Qaidam tres cancros vivos creraari jubent in arbustis, ut carbunculi non noceant. Alii siluri carnem leviter uri a vento, ut per totam vineam fumus dispergatur.
LX X . Qu«pdo tu temerai di qualche disor dine, tu potrai ardere sarmenti, o monti di pa glie, ed erbe svelte, e cespugli per le vign e e per li cam p i, e il fumo lo r o ' medicherà a tutto. 11 fumo della paglia giova ancora conti*· le nebbie, dov1 elle facessero danno. Alcuni insegnano cbe a* ardano tre granchi vivi fra le v iti appoggiate agli alberi, a volere ch 'e lle non inoarbonchino. Altri riardono lentamente la carne del pesce si luro al vento, acciocché il fumo ti sparga per tetta la vigna. Scrive Varrone, che se nel tram o n ta r Mia Lira, c h 'è il principio d e ll'a u tu n n o , si consacra uva dipinta fra le viti, i mali tem pi fan poca danno. Archibio scrisse ad A n tioco -re di Siria, cbe u se si sotterra n«l mexxo d elle biade eoa botta in un vaso nuovo di te r r a , i meli leepi non sono per far danno. »
Varro auctor est, si Fidiculae occasu, quod est initium autumni, uva picta consecretur inter v ite s, minus nocere tempestates. Archibius ad Antiochum Syriae regem scripsit : u Si fictili novo obruatur rubeta rana in media segete, non esse noxias tempestates, n
Q oae ▲
s o l s t it io f ie r i o p o k t e a t .
L X X I. Opera rustica hujus intervalli, terram iterare, arbores circumfodere : ubi aestuosa regio p oscat, adcumulare. Germ inantia, nisi in solo luxurioso, fodienda non sunt. Seminaria purgari sarculo. Messem hordeaceam fa c e re . Aream ad messem creta preparare, Catonis sententia amurca temperatam, Virgilii operosius. Majore ex parte aequant tantum ,et fimo bubulo dilutiore illinunt. Id satis ad pulveris remedium videtur.
Db
messibus .
L X X U . 3o. Messis ipsius ratio varia. Gallia» rum latifundiis valli praegrandes dentibus in margine infestis, duabus rotis per segetem im pelluntur, jumento in contrarium juncto: ita di reptae ia vallum cadunt spicae. Stipulae alibi mediae felce praeciduntur, atque inter duas mer gites «pica distringitur. Alibi ab radice vellunt: quique id faciunt, proscindi ab se obiter agrum interpretantur, quum extrahant succum. Diffe rentia haec : ubi stipula domos contegunt, quam longissimam servaut. Ubi feni inopia est, stra mento paleam quaerunt. Panici culmo non te gunt. Milii culmum fere inurunt. Hordei stipulam bubus gratissimam servant. Panicum et milium siogulatim pectine manuali legunt Galliae.
Chb
d ebba f a b s i d o po i l s o l s t iz io .
L X X 1. Le opere dei contadini in questo spa zio di tempo sono, rinovar l'a ra z io n e , lavorava intorno agli alberi, e accumulare la terre ai pe dali, dove il paese caldo lo ricerchi, non lavoran do punto intorno alle piante che germogliano^ ae uon in terreno molto grasso : nettare i seminarii col sarchiello, mietere l’ orzo, e acconciar Γ aia per la ricolta con la creta, o secondo V opintoae di Catone, con la morchia, perchè il modo inse gnato da Virgilio domanda troppa fatica. La mag gior parte solamente spianano P aia, e la impia strano con frterco di bue stemperato ; il che par che basti per rimedio alla polvere. D e l l e messi.
L X X 1I. 3 o. Vario è il modo di mietere. Nette gremii campagne di Francia operano pali ben grandi, forniti nell' estremità di de n ti looghi e incisivi ; i qoali da' giumenti che spingono io cambio di tirare son cacciali fra le biade sopra due ruote : cosi le spighe addeotale e recise ca dono sui pali stessi. Altrove col pennato si tagliano le paglie a mezzo, e dipoi si recide il c o v o o e tra la paglia e la spiga. In alcun luogo le svelgono dalla radice, e q u e 'che ciò fanno pensano cosi mietendo rompere la le r r a , mentre in v e c e ne cavano via il sugo. Écci questa diffe re n ra , cbe dove cuoprono le case con la paglia, la c o o a e rvano lunghissima ; e dove è carestia di fie n o , o sa no la paglia in luogo di strame. Non c o o p r o o e mai le case co* gambi del panico, e a r d o n o per
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVUI.
Minii ipsa alibi tribulis io «re«, «libi e q a n rum gressibus exteritur, alibi per licis flagellatur. Triticum , quo serius metitur, copiosius invenitur: qo o celerius vero, hoc speciosius ac robustius. L e x aptissima antequam granum indurescat, et q u am jam traxerit colorem. Oraculum vero, bi duo celerius messem facere potius, quam biduo serias. Siliginis et tritici etiam ratio iu area horre o q u ·. F ar, quia difficulter excutitor, convenit cum palea sua condi : et stipula tantum, et aristis liberator.
Palea plores gentiom pro feno utuntur. Melior ea, quae tenuior, m in u tiorqoe, et polveri pro p io r : ideo optima e milio, proxima ex hordeo, pessima ex tritico, praeterquam jumentis opere laborantibus. Culm um saxosis locis qoom inaruit, baculo fraogunt, substratu animalium. Si palea defecit, et culmus teritur. Ralio haec: maturius desectos, muria dio respersus, dehinc siccatus in manipulos convolvitur, atqoe ita pro feno bubus d a ta r. Sunt q a i accendant in arvo et stipolas, m agno Virgilii praeconio. Somma autem ejus ratio, ut herbarum semen exurant. Ritus diver sitatem magnitudo facit messiom, et caritas ope rariorum .
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lo più quei del miglio. La paglia dell1 orzo si conserva, per essere ella gratissima a* buoi. La Francia ricoglie il panico e il miglio a gambo a gambo col rastrello manuale. La ricolta stessa dove sì balte con le treggie, e dove col passarvi sopra delle cavalle, e in qual che luogo coi coreggiati. II grano quanto pià tardi si miete, tanto pià copioso si truova ; ma quanto pià presto, è pià bello e più forte. Il me glio che si possa fare è mietere il grano innanzi eh' egli indurisca, e qaando di già ha preso il colore ; e non è dubbio alcuno che piuttosto si debbe mietere doe giorni prima, che due d i di poi. Questo giova ancora alla segala e al grano nell1 aia e nel granaio. Il fa r r o , perchè difficil mente si eava delle spighe, conviene che si ri ponga con la sua paglia, levategli solamente le reste, e il velo della paglia. Molti paesi usano la paglia in cambio del fieno. Quella che è più sottile e più minuta e più vicina alla polvere è la migliore, e per ciò ottima è di miglio, dipoi d ' orzo, e pessima quella di grano, eccetto che alle bestie, le quali sono in continua fatica. Quando nei luoghi sassosi il gambo è secco, lo frangono eoo bastone per far letto alle bestie. C hi difetta di paglia pesta ezian dio i gambi. Il modo è questo : si tagliano per tempo, e si aspergono di morchia, poi seccati si aduuano in manipoli, e così si danno a' buoi in vece di fieno. Alcuni ardono oe' campi ancora le seccie; il che Virgilio molto loda. Questo si fa per ardere il seme dell' erbe. La grandezza della ricolta e i pochi mietitori fan diverse usanze.
D a FBDUBITO SBBVAtTDO.
D e l c on ser var e i l rau xBS T o.
L X X H I.C o n n ex ae st ratio frumenti servandi. H orrea operose tripedali crassitudine, pariele la te r itio , exaedificari jubeul aliqui. Praeterea sapern e impleri, nec adflatus admittere, aut fe nestras habere ullas. A lii ab exoriu tantum aestiv o , aut septerolriooe, eaque sine calce coustrui, quon iam sit frumento inimioissiroa : nam qoae d e amurca praeceperint, indicavimos. Alibi con tra suspendunt granaria lignea columnis, et per f la r i undique malunt, atque etiam a fundo. Alii om n ino pendente tabulato extenuari granum arbitra n tu r; e ts i tegulis subjaceat,confervescere. M u lti ventilari quoque Vetant : curculionem enim n o n descendere infra quatuor digitos, nec amplius periclitari. Columella et Favonium ventum coufe r r e frumento praecipit : quod miror equidem, siccissimum alioqui. Sunt qui rubeta rana in li m in e horrei pede e longioribus suspensa, inve h e r e jubeaot. Nobis referre plurimum tempesti v i u s condendi videbitur. Nam si parum tostum
L X X 1II. A questa cura è congiunta quella di conservar le biade. Alcuni vogliooo che H moro del granaio sia di mattoni, e grosso tre piedi, e sia senza usci o finestre ; ma coperto di so p ra , acciocché non v' entri alcuo vento. Alcuni fanno le finestre o da levante estivo, o da tramontana, e murano senza calcina, perciocch' ella è inimi cissima al grano. Quello che molti dicono della morchia, già l’ abbiamo dimostro. Alcool fanne i granai di legnami alti da terra sulle colonne, e vogliono che sentano il vento da ogni p a rte , e ancora di sotto. Altri si credono che il tavolato sovrapposto scemi il granello, e che ribollisca, se la coperta di sopra è di tegoli. Molli non voglio oo che il grano si muova per ventilarlo, dicendo che le tignuole non vanno più sotto che quattro dita, e sol quello è in pericolo. Columella scrive che il vento Favonio giova molto al grano, di che molto mi maraviglio, essendo egli secco affat to. Alcnoi poogono neUa soglia del granaio noa
C. PLINII SECUNDI
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atque robastam collectum sit, aol calidum con ditura, inimica io Diaci neeesse eat.
Diotornilalis causae plurea. Aat in ipaioa grani corio, qoum est uumeroaiua, ut milio : tot aucci pinguedine, qui pro humore aufficit tantum, ut aeaamae : aut amaritodine, ut lupino et cicer culae. Io tritico maxime oaacuotor aoimalia , quooiam spissiiale ava concalescit, et furfure craaao veslilur. Tenuior hordeo palea, ezilia et legqmini : ideo non generant. Faba craaaioribua Ionicis operitur, ob hoc effervescit. Quidam ipsum triticum diuluroitatis gratia adsperguot amurca, mille modios quadrantali. Alii Chalcidica aut Ca rica creta, aut etiam absinthio. Eat et Olynthi, ac Cerinthi Euboeae lerra, quae corrumpi non sìnat. Nec fere condita in apica laedunlnr.
Utilissime tameo serrantur in scrobibus, quoa airoa T o c a n t, ut in Cappadocia, et in Thracia. In Hiapania et Africa, ante omnia ut aicco solo fiant, carant : mox ut palea aobsternatur. Praeterea cam epica sua conduntor, lia frumenta si nullns apiritua peneirel, certum est nihil maleficum na sci. Varro auctor est, aie condilum trilienra du rare annis quinquaginta, milium vero centum. Fabam et legumina in oleariis cadie oblita cinerr, loogo tempore servari. Mero fabam a Pyrrhi re gis aetate, io quodam apecu Ambraciae osque ad piraticum Pompeji Magni bellum durasse, annis circiter centum viginti.
Ciceri tanlora nullae bestiolae iu horreis in nascantur. Sunt qui arceis cineri substratis, et illitis acetum habentibus, leguminum acervos «uperingerant, ita non nasci maleficia credentes. A lii.qui in salsamentariis cadis gypso illinant: alii qui lentem aceto laserpitiato respergant, siccatamque oleo inungant. Sed brevissima obser vatio, quod vitiis carere velis, interlunio legere. Quare plurimam refert, condere quis malit, an vendere. Crescente enim lana fraraenta gran descant.
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t i r d b i u , b t a v t v h b i o pbkibd b .
LXXIV. 3t. Seqaitur ex divisione temporum •alumnas t Fidicajae occasa ad aequinoctium,
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botta appiccala per ano dei piedi pià langbi. A me pare che tutta la importanza stia in ciò, che il grano si riponga al tempo debito ; perciocché a' egli si ricoglie poco secco o robusto, o se *i ripone caldo, ingenera senza dubbio chi lo rode. Molte sono le cause ond’ ei dar· : o 1· scorza del granello, quando ne ha più, come il miglio; o la graasezza del sago, il quale fa che non inari disca, come ha la sesama ; o 1' amaritodine, come nel lupino e nella cicerchia. Nel grano pià die in ogoi altra biada nascono gli animali inaelti, per ciocché egli si riscalda per la sua spessezza, e ve· stesi di grossa forfora. L' orzo ba la paglia piò sottile, e sottile le civaie : per qaesto noo ne ge nerano. La fava ha pià grossa buccia, e perciò ribolle. Alcuni per fare bastar pià il grano, lo spargono con la morchia, e un quadrantale basta per mille moggi. Altri pigliano creta Calàdio, o Carica , ovvero ancora assenzio. E anco ia Olinto e in Cerinlo di Eubea uoa terra, che noo lo lascia guastare. I grani riposti ancora nelle spighe oon hao quasi danno alcuno. Nondimeno si conservano utilissimamenle nelle fosse, le qoali si chiamano siri, come io Cappadocia e in Tracia, lo Africa e in ISpagna aopra ogni altra cosa curano che sien fatte in terreno asciutto, e che vi si metta di sotto la pa glia, ponendolo poi giù con la spiga intatta ; e se sono ben turale, sì che Γ aria non »’ entri, nes suno animale nocivo vi nasce. Scrive Varrone che il grano riposto a questo modo darà cinquanta anni, e il miglio cento ; e che le fave e Ve civaie messe in vasi da olio, e turale con la cenere, si mantengono lungo tempo. Egli medesimo scrive che in una spelonca in Ambracia si conservarono le fave dnlPelà del re Pirro fino al tempo della guerra di Pompeo contra i corsali, nel qoal mezzo corsero da cento venti anni. Solo il cece non genera alcuna bestioola. Al cuni pongooo sotto al monte delle civaie vasi di aceto, con soltovi pur cenere, e così credono cbe non vi nasca alcuna bestiuola nociva. Alcaoi le mettono in vasi, dove sia stalo salsome, impia strati di gesso. Altri spruzzano la leote eoa l'ace to, che ha sugo di laserpizio, e seccata la ungono con P olio. Ala egli è molto meglio, e di mioor fatica, cogliere quello che tu noo vuoi che ai guasti, fra la laoa vecchia e la nuova. Laonde è differenza grande, che alcuno voglia serbare, o vendere, perchè a lana crescente i grani in grossano. D ella v e r d u m i* b d bllb o pb e b d i a d t p · · · .
LXXIV. 3i. Dopo le altre stagioni resta a di re dell’ autunno, cioè dal tram ontar d d la Lira
HISTORIARUM MUNDI LIB. XV111. ac deinde Vergiliarum oocasum, initinmque hie mis . Io his intervallis significant, pridie idus Augusti Alticae Equus oriens vesperi : Aegypto et Caesari Delphinos occidens, xi kalendas Sep tembris Caesari et Assyriae stella, qua« Vindemi tor appellalur, exoriri mane incipit, vindemiae maturitatem promittens. Ejus argumentum erant acini colore mutati. Assyriae v kalendas et Sagitta occidit, et Etesiae desinunt. Vindemitor Aegypto nonis exoritur. Atticae Arcturus roatatioo, et Sagitta occidit mane. Quinto idus Septembris, Caesari Capella oritur vesperi. Arcturus vero medias pridie idus, vehemenlissimo significata terra raarique per dies quinque. Ratio eju« haec traditor : si Delphino occidente imbres fuerint, non fuluros per Arcturum. Signum orientis ejus sideris servetnr hirundinum abitus : namque de prehensae intereunt. Sextodecimo kalendas Octo bris, Aegypto Spica, quam tenet Virgo, exoritar matutino, Etesiaeque desinunt. Hoc idem Caesari xiv kalendas, xm Assyriae significant : et xi ka lendas Caesari commissura Piscium occidens, ipsam que aequinoctii sidas viii kalendas Octo bris. Deinde consentiunt ( qaod est rarum ) Phi lippos, Calippus, Dosilheus, Parmeniscus, Conon, Criton, Democritus, Eudoxus, iv kalendas Octo bris Capellam matutino exoriri, et m kalendas Hoedos. Sexto nonas Octobris Atticae Corona exoritur mane. Asiae et Caesari v kalendas He niochus occidit matutino. Tertio kalendas Cae sari Corona exoriri incipit; et postridie occidunt Hoedi vesperi, vm idus Octobris Caesari fulgens in Corona stella oritur. Et 111 idus Vergiliae ves peri. Idibus Corona loia. Sexto kalendas Novem bris Suculae vesperi exoriuntur cura sole. Qnarto ftonas Arcturus occidit vesperi. Quinto idus No vembris gladius Orionis occidere incipit. Dein 111 idus Vergiliae occidunt.
In his temporum intervallis opera rustica , napos, raphanos serere, quibus diebus diximus. Vulgus agreste el rapa post ciconiae discessum male seri putal. Nos omnino post Vulcanalia, et praecocia cura panico. A Fidiculae autem occasu viciam, faseolos, pabulum : hoc silente luoa seri jubent. El frondis praeparandae tempus hoc est Unus frondator quatuor froadarias fiscinas com-
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fino all'equinozio, e dipoi fino al tramontar delle Vergilie, e al principio del verno. In questi in tervalli di tempo si dimostra a'dodici d’ Agosto il Cavallo, che rispetto al paese d 'Alene nasce sul far della sera ; mentre all’ Egilto e a Cesare si dimostra il tramonto del Delfino. A’ ventidue Cesare e Γ Assiria nolano la Stella delta Vendem miatore, la quale comincia a nascere la mattina, e promette la maturità della vendemmia. Di ciò saranno segno gli acini mutati di colore. A’ yenlotto rispetto all' Assiria tramonta il Sagittario, e restano i venti da terra delti Etesie. Il Vendem miatore nell' Egitto nasce a’einque di Settembre. Rispetto al paese di Alene Artnro tramonta la di mane, e il Sagittario la matlina. A' nove di Set tembre Cesare nota il nascimento della Capra la sera, e mezzo Arluro *’ dodici, con grandissima influenza in terra e in mare per cinque giorni. L'ordine di ciò si dice esser questo : se tramon tando il Delfino saranno piogge, non saranno nell'Arluro. Il segno del nascimento di qnesta stella sarà la partita delle rondini, perchè se ne sono sopraggiunte, muoiono. A' sedici di Settem bre in Egitto nasce da matlina la Spiga, cui liene la Vergine; allora i venti da terra restano. Il medesimo avviene in lulia a' dici olio, e in Asti ria a diciannove. A' ventuno Cesare nota il tra montar de’ Pesci congiunti, e la stella dell'equi nozio a' venliqualtro di Settembre. S'accordano poi insieme, eh'è cosa rara, Filippo, Calippo, Dosileo, Parmenisco, Conone, Critone, Demo crito ed Eudosso, che a' ventotlo di Settembre la Capra nasca la mattina, e a' ventinove i Capretti. A* due di Ottobre risp etto al paese di Alene la Corona nasce da mallina. Rispetto all' Asia e all ' Italia a'ventisette Iramonta Knioco la maltina. A' ventinove in Italia nota Cesare il nascimento •Iella Corona, e l'allro giorno il tramonto dei Capretti la sera. Agli otto di Ottobre nasce per l'Italia la stella splendente nella Corona, a'tre dici le Vergilie-la sera ; e .1' quindici tutta la Co rona. A' ventisene di Ottobre le Sucule nascono la sera, e a' trentuno rispetto all'Italia tramonta Arluro, e le Sucule nascono insieme col sole. Ai due di Novembre Arluro tramonta la sera. A 'no ve di Novembre comincia a tramontare la spada di Orione. Dipoi agli undici tramontano le Ver g ili. In questi tempi le faccende dei contadini sono, seminare navoni e rafani in quei dì che abbia mo delti. 1 conladini comunemente tengono che sia male seminar le rape dopo la partita delle ci cogne. Noi le piantiamo dopo le feste di Vulcano, e le prima!iccie insieme col panico. Dopo il tra montare della Lirasi seminano le veccie,i fagiuoli, e la pastura, la quale vogliono che si semini
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C. PLINII SECUNDI
plere in die justum habet. Si decrescente lune praeparetur, non putrescit : aridam colligi non oportet.
Vindemiam antiqui nuraqoam existimavere mataram ante aequinoctium : jam passim rapi cerno. Quaraobrem et hujas tempora notis argo* mentisque signentur. Leges ita se habent : « Uvam calidam ne legito, boc est, in ejus siccitate, ao nisi imber intervenerit. Hanc ne legito rorulen tam, hoc est, si ros nocturnus fuerit, nec prius, quam sole discutiatur. Vindemiare incipito, quam ad palmitem pampinas procumbere coeperit, aat qaum exemplo acino ex densitate intervallum noo compleri apparuerit, aciuam non augeri. » Acinos plurimos fert, si contingat crescente luna vindemiare. Pressura una culeos xx implere de bet. Hic est pes Justas. Ad totidem culeos et lacus, xx jugeribus anum sufficit torculum. Premunt aliqni singulis, utilius binis, licet magna sit va stitas singulis. Longitodo in his refert, non cras situdo: spatiosa melius premunt. Antiqui funibus, vitlisque loreis ea detrahebant, et vectibus. Intra centum annos inventa Graecanica, mali rugis per cochleas bullantibus, palis ad fixa arbori stella, a palis arcas lapidum atlollente secura arbore : quod maxime probaiur. Intra viginli duos hos annos inventum, parvis prelis, et minori torculari, aedificio breviore et malo in medio decreto, tym pana imposita vinaceis superne toto pondere urgere, et super prela coustruere congeriem.
Hoc et poma colligendi tempus, et observatio, quam aliquod maturitate, non tempestate, deci derit: hoc et faeces exprimendi : hoc et defrutum coquendi silente luna noclu : »ul si interdiu, ple na : celeris diebus aut ante exortura lunae, aut post occasura. Nec de novella vite, aut palustri, nec nisi e matura uva, nec nisi foliis despuman dam : quia si ligno contingatur vas, adustum ac fumosum fieri putant. Justum vindemiae tempus ab aequinoctio ad Vergiliarum occasum dies x l i v . Ab eodem die oraculum occurrit, frigidum picari pro nihilo dacenlium. Sed jam el kalendis Ja nuarii, defectu vasorum, vindemiantes vidi, piscinisque musta condi, aut vina effundi priora, ut dubia reciperentur. Hoc tam saepe proventu nimio evenit, quam saevitia insidiantiam caritati civili.Sed aequi patris familias modus est, an-
qoando la lane è sotto terra. Qnesto è il tempo aneora di preparare le foglie. Uno «foglia lore co munemente empie in nn giorno qoattro corbe dì foglia. Se le foglie si preparano a luna scema, non marciscono mai: non bisogna corre le secche. Gli antichi non credevano che la vendemmi* non fosse mai matara innanzi I' equinozio, ma oggi veggo che ella per tatto s 'affretta. Per la qual cosa fie bene determinare con certi segni e argomenti questo tempo. Le leggi della ven demia soo queste : « Non vendemmiare l’ ava calda, cioè, s 'ella non ha prima la pioggia : oon la vendemmiare anco rugiadosa, cioè, se prima il sole non rasciuga la rugiada. Cominderai a vendemmiare qaando il pampano co mi oderà a giacere in sul tralcio, o quando rimosso nn acino del grappolo molto spesso, quel luogo non si riempie degli acini vicini, perchè non ingrossa no. * Giova molto all* acino, s'egli sì vendemmia a luna crescente. Una pigiatore debbe empiere venti culei, e questa è giusta misura. Per altret tanti cnlei e laghi in venti iugeri basta ano stret toio. Alcuni stringono con uno, ma molto meglio è con due, quantunque ciascuno fosae molto grande. In questi importa la lunghezza, e non la grossezza : in questi che sono spaziosi si pigi* assai meglio. Gli antichi usavano funi, e fascie di cnoio, e pali. Da cento anni in qna si sono inven tati gli strettoi Greci, i qnsli premono nel mezzo con un troncone cavato a chiocciola, per li cui solchi esce gorgogliando il liquore: al troncone è affissa una stella di pali, e sopravi una gran massa di pietre che s'alza e abbassa con la stella medesima ; il qnsl modo è molto lodato. Da ven tidue anni in qua, con minori stanghe, e mino re strettoio, e più breve edifìcio, e con l’ albero pur in mezzo hanno trovato premere disopra le vinaccie, le qoali sieno nelle gabbie con grosso peso di pietre sovrapposte allo strettoio. Questo è il tempo ancora da raccorre le mele, e il segno è, quando esse cominciano a cadere per maturità, e non per tempesta. Allora leverai an cora le feccia, allora cocerai la sapa di notte a Iona scema, o se fia di giorno, a luna piena : negli altri giorni, o innanzi il nascere della lana, o dopo l ' occaso, lisso non vuol essere di vite nuo va, o palustre, se non d’ uva matura, nè si vuole schiumare, se non con le foglie, perchè se il vaso si tocca col legno, tengono che pigli sapore adu sto e fumoso. Il tempo giusto della vendemmia è dalP equinozio al tramontar delle Vergilie per quarantaquattro giorni. Da quet giorno io poi corre il proverbio, eh' è mollo mal Catto lasciar che la stagione s 'affreddi innanzi che sieno bea preparati i vasi da contenere il vino. Ma io ho già veduto per carestia di vasi vendemmiare in
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII.
nona cujusque anni uti. Id peraeque etiam lu crosissimum.
Reliqaa de finis affanni dicta snnt. Item vindemia facta olivam esse rapiendam, et quae ad oleuio pertineut, quaeque ad Vergiliarum oc casum agi debent.
L draiis
hatio .
LXXV. 32. His, quae sunt necessaria adjicien tur de luna, ventisque, et praesagiis, ut sit tota sideralis ratio perfecta. Namque Virgilius etiam in numeros lunae digerenda quaedam putavit , Democriti secutus ostentationem . Nos legum utilitas, quae in toto opere, in hac quoque movet parte.
Omnia qoae caeduntur, carpuntur, condun tur, innocentius decrescente luna, quam crescente fiunt, u Stercus, nisi decrescente luoa, ne tangito. Maxime intermenstrua dimidiaqoe stercorato. Verre*, juvencos, arietes, hoedos, decrescente luna castrato. Ova luna nova supponito. Scrobes luit» plena noctu facito. Arborum radices luna plena operito. Ilumidis Incis interlunio serito, et circa interlunium q u a t r i d u o , w Ventilar! quoque frumenta ac legumina, et condi circa extremam luuam jubent: seminaria, quum luna supra ter ram sit, fieri: calcari musta, quum luna sub ter ra: item materias caedi, quaeque alia suis locis diximus. Neque facilior est observatio ac jam dicta a nobis secundo volumine : sed quod intelligere vel rustici possiul, quoties ab occidente sole cernetur, prioribusque noctis horis lucebit, crescens erit, et oculis dimidiata judicabitur: quum vero occidente sole orietur ex adverso, ita ut pariter aspiciantur, tum erit pleniluuium. Quo ties ab ortu solis orietur, prioribusque noctis horis detrahet lumen, et in diurnas extendet, «Iccresceus erit, iteruraque dimidia. Iu coitu vero ( quod interlunium vocant) quum apparere deaicrit. Supra terras autem erit, quaiudiu et sol, interlunio, et prima tota die: secunda, horae unius dextante sicilico: ac deinde tertia usque ad quinUm Jecimaiu, multiplicatis horarum iis dem portionibus: quintadecima lota supra terras uuclu erit, eademque sub terris tota die. Sexta-
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calende di Gennaio, e riporre i mosti nelle piscine, o cavare dei vasi i vini di prima, per mettervi i dubbii. E ciò avviene spesso, tanto per la troppa dovizia del vino, quanto per la malignità di co loro, che fanno venire in pruova la carestia. Ma il ragionevole padre di famiglia si dee contentar di usare la vettovaglia anno per anno ; chè ciò gli è anche di grandissimo guadagno. L'altre cose dei vini si son dette abbastanza ; come anche s'è detto il doversi corre le ulive dopo fatta la vendemmia, e quelle cose che ap partengono all* olio, e quelle che si debbono fare fino al tramontare delle Vergilie. D
e l i * h a g io se d e l l a l u » a.
LXXV. 3a. Λ queste cose che si son dette, aggiugneremo quelle che son necessarie a sapere rapporto alla luna, e a' venti, e a' presagii, accioc ché nulla manchi al trattato sulla debita osserva zione delle «Ielle; perocché pensò anch'egli Vir gilio, che alcune cose s 'abbiano da fare a numeri di luna, seguendo la dimostrazione di Democrito. Quanto a me, questa stessa utilità de' precetti che in tutta l'opera mi ha mosso, mi muove ancora in questa parte. Tutte le cose, le quali si tagliano, si colgono, e si ripongono, con men danno si fanoo a luna scema, che a luna crescente, u Non toccare il lita me se non a luna scema. Verri, giovenchi, mon toni e capretti castra a luna scema. Porrai l’ uova a covare a luna nuova. Fa le fosse la notte a luna piena. Cuopri le radici degli alberi a luna piena. Nei luoghi umidi semina fra la luna vecchia e la nuova, e per quattro giorni,o in quel torno. « II grano e le civaie si vogliono ventilare, e riporre al fin della luna. Facciansi i seminarii quando la luna è sopra lerra, e pigisi il mosto quando ella è sotto. Taglisi il legname, e l'altre cose, come abbiamo detto al suo luogo. Non c' è più facile osservazione, che quella che dicemmo nel secondo libro; ma acciocché i contadiui ancora la possano intendere, ogni volta che la luna si vede dove il sole tramonta, e riluce nelle prime ore della notte, allora è crescente, benché apparisca dimez zata. Ma se ella nasce da levante, quaudo il sole se ne va sotto, coti che si vegga e l'uno e l'altra, allora sarà luna piena. Quando ella nasce dopo la levata del sole, e non riluce nelle prime ore della notte, ma produce il lume nel dì, allora scema, e di nuovo diventa mezza. Sarà poi congiunta col sole (il che si chiama interlunio), quaudo ella noa si vede più. Sarà sopra terra fino a tanto che il sole, nell' interlunio, e per tutto il primo dì : uel secondo, cinquantini minuto di ora all* incirca mcuo, e dipoi il terzo, c gli altri tino al quiulo-
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C. PUNII SECUNDI
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decima ad pvtiue horae noelarnae dextaDtem sicilicum sub lerra aget, easdemque portiones ho· rarnm per siogulos dies adjiciet usque ad inler· lunium. Ei quantum primis partibas noclis de traxerit* qaod sub lerris agai, tantundem novis simis ex die adjiciet sapra terram. Allerois aolem mensibus xxx implebit numeros, allerois vero detrahet singulos. Haec erit ratio lunaris.
Y ta T o a cM
b a t io .
LXXVI. 33. Tentorum pauli o scrnpnlosior. Observato solis orto qoocumqoe libeat die, stan tibus hora diei sexta, sic ut ortum eam a sinistro humero habeant, contra mediam faciem meridies, a vertice seplemtrio erit. Qui ita limes per agrum currit, cardo appellatur. Circumagi deinde me lius est, ut umbram suam q u i s q u e cernat: alio· qui post hominem erit. Ergo permutatis lateribus, ui ortus illius diei a dextro humero fiat, occasus a sinistro, tunc erit hora sexta, quum minima umhra contra medium fiet hominem. Per hujus mediam longitudinem duci sarculo sulcum : vel cinere lineam, verbi gratia, pedam viginti con veniet: mediamque mensuram, hoc est, in deci mo pede, circumscribi circulo parvo, qui vocetur nmbilicus. Qaae pars fuerit a vertice umbrae, haec erit ventus septeratrionalis. Illo libi, puta tor, arborum plagae ne spectent, neve arbusta vineaeve, nisi in Africa, Cyrenis, Aegyplo. Illinc ilante ne arato, quaeqae alia praecipimus. Quae pars lineae fuerit a pedibus umbrae, meridiem spectans, haec ventura Austrum dabit, quem a Graecis N^tum diximus vocari. Illinc flatu ve niente, materiam vinearaque, agricola, ne tractes. Humidus aut aestuosus Italiae est. Africae qui dem incendia cura serenitate adfert. In hunc Ilar liae palmites specient, sed non plagae arborum vitiumve. Hunc oliveti metator Vergiliarum qua triduo, hunc caveat insitor calamis, gemmisqne inoculator. De ipsa regionis ejus hora praemo nuisse conveniet. Frondem media die, arborator, ne caedito. Quum meridiem adesse senties, pastor, aestate contrahente se umbra, pecudem a sole in opafca cogito. Quum aestate pasces, in occiden tem specta ante meridiem, post meridiem in orientem: aliter noxium, sicut hierae et vere, si in rorulentum duceres. Ne contra septemtriooem paveris supradictura. Clodunt ita, lippiuntve ab adflatu, et alvo cila pereunt. Qui feminas concipi voles, iu hunc ventum spectantes iniri cogito.
decimo, moltiplicando la medesima porzione deU P ore. La quintadecima è lotta sopra la lerra di notte, e di di lotta sottesso. La sestadecima sarà cioquantun minuto meno la prima ora di notte, e arrogerà ogni dì le medesime porzioni dell'ore fino allo interlunio. E quanto torrà alle prime parti della notte stando sotterra, altrettanto ag giornerà all’ ultime del dì standone sopra. E scambiando ona volta farà trenta dì, e un* altra ventino ve. E questa fia la ragione della luna.
D ella
b a g io k b d e i v e s t ì .
LXXVJ. 33. La ragione dei venti è un poco più malagevole. Osservato il levar del sole ia qualsivoglia .giorno, quegli che staranno nella sesta ora del giorno in modo che abbiano il na scer suo da man manca,avranno di faccia mezzodì, e di dietro settentrione. Il limile o via che così corre pel campo, si chiama cardine. Dipoi è ben volgerti al contrario, acciocché ciascuno vegga la sua ombra ; altrimenti sarà dietro all'uomo. Cam biati dunque i lati, in modo che il nascere di quel dì si faccia da man ritta, e Γ occaso da man man ca, allora sarà P ora sesta quando P ombra si fari piccolissima davanti all' uomo, che diventa medio tra quella ed il sole. Per mezzo dunque di questa longitudine si fa nn solco col sarchiello, o una linea con la cenere, la quale, per cagione d’ esem pio, si sia venti piedi ; e nel mezzo della misura, cioè nel decimo piede, si descrive intorno un p\ccol cerchio, che si chiama umbilico. Quella parie che corrisponde alla cima dell’ ombra sarà vento di tramontana. Adunque, tu che poli, fa chele tagliature non rìsguardino là, nè aocora gli ar busti, nè le vigne, se non in Africa, in Cirene e in Egitto. Quando il vento viene di là, non arare, nè fare ninna di quelle altre cose che t'abbiamo ordinato. Quella parte della linea, che fu da’ pie di dell' ombra, risguardando a mezzodì, darà il vento d'Ostro, il quale dicemmo che da’ Greci è chiamato Nolo. Qaando soffia questo vento, non trattare legname, nè vigna. In Italia è umido, o caldo. In Africa porta seco arsura e tempo sereno. A questo vento stanno ben volli i tralci in Itali·, ma non le tagliature degli alberi, nè delle vili. Questo riguardi chi pianta gli uliveti nei quattro dì delle Vergilie : a questo abbia enra chi annesta a marze, o ad occhi. Ma convieue anche star bene avvisali dell'ora meridiana, ch'è importantissi ma. Chi fa frondi, non tagli la fronde nel mezzo giorno. Quando il pastore sentirà essere mezzo giorno, allorché la state l ' ombra si accorcia, spinga il bestiame dal sole in luoghi freschi. Quando pascerai la state, fa che la greggia si» volta a ponente iuuautia mezzodì, dopo mezto-
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII.
1716
dì a levante: al Iri mea ti è nocive, come se di verno, o di primavera t u menasti i bestiami a paschi rugiadosi. Nè pascerai verso tramontana detta di sopra ; perchè così facendo, le bestie chiuggono gli occhi, e diventano cispe da quel soffiare, e muoiono di flusso di corpo. Ma se tu vuoi che ingravidino di femmine, falle montare volte a questo vento. L t w t a t io
AtiRoatJii.
LXXV 1I. 34- Diximus at in media linea desi*· gnaretar umbilicus. Per hune mediam transversa currat alia. Haec erit ab exorta aequinoctiali ad occasuro aequinoctialem: et limes qui ita secabit agrum, decumanas vocabitur. Ducantnr deinde aliae duae lineae in decusses obliquae, ita ut a septem trionis dextra laevaque ad Austri dextram laevamqoe descendant. Omnes per eumdem cur rant umbilicum, omnes inter se pares sini, omniam intervalla paria. Quae ratio semel in quoque agro intunda erit: vel si saepius libeat uti e ligno facienda, regulis paribus in tympanum exiguum, sed circinatam adactis. Ratione qua doceo, occnrrendum ingeniis quoque imperito rum est. Meridiem exculi placet, quoniam semper est idem : sol aulem quotidie ex alio coeli mo mento, quam pridie, oritur: ne quis forte ad exortum capiendam putet lineam.
Del
t e r m in a r e d s ' c a m p i.
LXX VII. 34^ Noi abbiamo detto ehe nella linea di mezzo si disegnasse 1’ umbilico o gnomo ne. Un'altra linea corra a traverso per questo mezzo. Questa sarà da levante equinoziale fino a ponente equinoziale, e il termine, che così di vide il campo, si chiamerò deoumano.Tirinsi poi due altre linee oblique in risecAmenti a modo di dieci, di maniera che dalla destra e sinistra di settentrione discendano alla destra e sinistra di Ostro. Corrano tutte per lo medesimo umbilico, e tutte sieno pari tra loro, ed eguali gl'intervalli di tutte. Questa divisione si debbe fare an tratto in ciascun campo, o se più spesso vuoi usarla, si debbe fare uno strumento di legno, ovvero tavola piana e ben compassata ; e tirare le linee a se si* con la regola che s 'è detto. Con questo ripiego che io insegno è da supplire agl'ingegni rozzi degl' imperili. Bisogna che si ricerchi il mezzodì, perchè questo è sempre il medesimo, mentre non nascendo mai il sole nel medesimo luogo Γ un dì che l'altro, non si pnò pigliare la misura da qaella parte eh' ei nasce. Ita coeli exacta parte, qnod fuerit lineae ca Trovata dunque così la parte del cielo, i l put septemlrioni proximum a parte exortiva sol capo della linea, che è vicino al settentrione dalla stitialem habebit exortum, hoc est, longissimi parie di levante, avrà il levante solstiziale, cioè' diei, ventumque Aquilonem, Boream Graecis di più lunghi dì, e il vento Aquilone, chiamato dictum. In hunc ponito arbores vitesque. Sed dai Greci Borea. Verso questo metterai gli alberi hoc flante ne arato : frugem ne serito : semen ne e le viti. Ma quando egli trae, non arare, e non jacito. Praestringit enim atque percellit hic radi piantare, e non gittare seme, perch'egli risecca ces arborum, quas positurus adferes. Praedoctus le radici degli alberi, i quali tu V uoi piantare ; esto : alia robustis prosunt, alia infantibus. Nec ma abbi a mente, che altro giova alle piante ro sum oblitus, in hac parte ventura Graecis poni, buste, altro alle novelline. Io mi ricordo ancora quem Caeciara vocant. Sed idem Aristoteles, vir che i Greci in questa parte pongono nn vento,’ immensae subtilitatis, qui id ipsum fecit, ratio che chiamano Cecia. Ma il medesimo Aristotele, nem convexitatis mundi reddit, qua contrarius uomo di sottilissimo ineegno, il qoale questo Aquilo Africo flat. Nec tamen eum toto anno in medesimo fece, dice che la con vessi là del mondo praedictis timet agricola. Mollitur sidere aeslate- è causa per cui Aquilone spira opposto al vento media, mulatqae nomen. Etesias vocatur. Ergo d' Africa : nondimeno il contadino non in tutta quum frigidum senties, eaveto : ac quacumque l'anno lo teme riguardo alle cose prefate. Per Aquilo praedicitur, tanto perniciosior septemciocché la siale egli è mitigato dal calore della trio est. I11 hunc Asiae, Graeciae, Hispauiae, ma Canicola, e mutando nome è ehiamato Etesie. ritimae Italiae, Campaniae, Apuliae arbusla viQuando dunque tu lo senti freddo, guardatene : e da qualunque parte è detto Aquilone, tanto è neaeque spectent. Qui mares concipi voles, in più perniciosa la tramontana. A qaesto sono volto hunc pascito, ut sic ineuntem ineat. Ex adverso le T ig n e e gli arbusti d’ Asia, di Grecia, di SpaAquilonis ab occasa bramali Africus flabit, quem
1720
C. PUNII SECONDI
ι 7*α
tiru ci I>ib« vocant. Iri hunc a coi tu quom se pecua circumegerit, feminas conceptas esse scilo.
Terlis a septemlriooe linea, quam per lati tudinem umbrae duximus, et decumanam το ca vimus, exortum habebit aequinoctialem, ventumque Subsolanam, Graecis Apelioteu dictum. In hunc salubribus locis villae vineaeque spectent. Ipse leniter pluvius : tamen esi siccior Favonius, ex adverto ejus ab aeqoinoctiali occam, Zephy rus Graecis nominalo·. In honc spectare oliveta Cato jussit. Hic ver inchoat, aperitque terras tenui frigore salaber. Hic vites putandi, frugesque curandi, arbores serendi, poma inserendi, oleas tractandi jus dabit, adilataque nutritiam cxercebit. Quarta a septemtrione linea, eadem Austro ab exorliva parte proxima, brumalem habebit exortum, ventumque Vulturnum, Eorum Grae cis diclum, sicciorem et ipsam, tepidioremque. In hunc apiaria et vineae llaliae, Galliarumque, spectare debent. Ex adverso Volturni flabit Co rus, ab occasu solstitiali et occidentali latere seplemtrionis, Graecis dictas Argestes, ex frigi dissimis el ipse, sicat omnes qui a septemtrionis parte spirant. Hic et grandines infert, cavendus et ipse, non secus ac septemtrio. Vulturnus si a serena coeli parte coeperit flare, non durabit in noctem: al Subsolanus in raajorem partem noctis extenditur. Quisquis erit ventus, si fervidus senlietur, pluribus diebus permanebit. Aquilonem praenuntiat terra siccescens repente, Austrum humescens rore occulto. P e o o b o s t ic a : ▲ s o l e .
LXXVIII. 35. Elenim praedicta ventorum ratione, ne saepius eadem dicantur, transire Con venit ad reliqua tempestatum praesagia, quoniam et hoc placuisse Virgilio magnopere video. Si quidem in ipsa messe saepe concurrere proelia ventorum dautnosa imperitis refert. Tradunt eumdem Democritum meleute Ira tre ejus Da mato ardeulissimo aestu orasse, ut reliquae se geti parcerei, raperetque deserta sub lectum, paucis mox horis saevo imbre vaticinatione adprobata. Quin iromo et arundinem non nisi impeudeute pluvia seri jubent, et fruges insecuturo imbre. Quamobrem et haec breviter attingemus, scrutati maxime perlinentia.
gna, e delle maremme d' Italia, di Campagna, e di Puglia. Se vorrai far nascere maschi, volgi la greggia a pascere verso questo vento, e cosi la fa montare. All’ incontro d'Aquilone. dalla parie delP occaso brumale, è Africo, il quale da' Greci è chiamato Liba ; e quando il maschio smontando dal coito si volge a qaesto vento, sappi ch'egli ha ingravidato di femmina. La terxa linea di settentrione, la quale è ri tratta per la larghezza, e chiamasi decumana, avrà levante equinoziale, e il vento Subsolano, il quale i Greci chiamano Apeliote. Ne' luoghi sani le ville e le vigne hanno a essere volte a questo vento. Questo fa piogge leggeri : nondimeno è più secco Favonio, che gli sta d’ incontro dall ' occaso equinoziale, e da' Greci è dello Zefiro. A questo vento vuole Catooe che sieno volli gli uliveti. Egli dà principio alla primavera, e apra la terre, salubre per la sua moderata frescura. Esso dà copia di potar le viti, di nettar le biade, di piantare, d* innestare gli alberi e dì curare le ulive, e col suo soffio arreca nalrimenlo. La quarta linea dal settentrione, vicina a Ostro dalla parte di levante, ha il levante bra male, e il vento Vulturno, chiamato da'Greci Euro, il quale è anch'esso alquanto asciutto e tepido. A questo debbono esser volle le case delle pecchie, e le vigne d’ Italia e di Francia. All'in contro di Volturno è Coro dall'occidente solsliziale, e dalla parte occidentale di settentrione, chiamato da’ Greci Argeste, il quale è aoch' esso freddissimo, siccome sooo tutti quegli che ven gono da tramontana. Se Vulturno comincia a trarre dalla parte serena del cielo, non durerà fino a notte ; ma Subsolano darà la maggior parte della notte. Ogni vento che trarrà, se fia caldo, durerà pià giorni. Quando la terra si ra sciuga, prenunzia Aquilone ; se insensibilmente inumidisce, prenunzia Ostro. PaoifosTici
d a l so l
e.
LXXVIII. 35. Mostrata che abbiamo la ragio ne de' venti, tratteremo degli altri segni e pre sagii de* tempii, perchè io veggo che ciò mollo piacque anche a Virgilio, dicendo egli come spes se volte in sulla ricolta è accaduta agl' im p e riti subita procella. Dicono che mietendo Da ma so fratello di Democrito iu tempo molto caldo, De mocrito lo pregò che lasciasse di mietere, e subito portasse al coperto quel ch'era mietalo ; e poche ore dopo venne una crudel pioggia, la quale ap provò le sue parole. Vogliono ancora che i can neti non si pongano, nè le biade si seminino, se non quando è per piovere. E però brevemente ragioneremo di questi pronosticù
HISTORIARUM MUNDI MB. XVM. Prinoumqoe a sole captano» praesagia. Paru· orens, atque non fervens, serenum diem nuntiaU at hibernam pallidas grandinem. Si et occidit pridie serenus, f t oritor, tanto certior fides serenil a lis. Concavus orieos pluvias praedicit : idem ventos, quum ante exorientem eum nubes robe· scunt: quod si et nigrae rubentibus intervene rint, et pluvias. Quam orientis atqae occidentis radii rubent, coire pluvias. Si circa occidentem rubesennt nubes, serenitatem fu lorae diei spon dent. Si in exortu spargentur parlim ad Aostrum, parlim ad Aquilonem, pura circa eum serenitas sit licet, pluviam tamen ventosqne significabunt. Si in orto aut in occasu contracti cernentur radii, imbrem. Si in oceasu ejus plaet, aat rsdii in se nubem trahent, asperam in proximum diem tem pestatem significabant. Qaam oriente radii non illostres eminebant, quamvis circumdati nube non sint, pluviam portendent. Si ante exortum nubes globabantur, hiemem asperam denuntia bunt. Si ab orta repellentur, et ad occasam abi bunt, serenitatem. Si nabes solem circumcludent, quanto minus laminis relinquent, tanto turbidior tempestas erit : si vero etiam dnplex orbis fuerit, eo atrocior. Qaod si in exorta fiet, ita at rube scant nubes, maxima ostendetur tempestas. Si non ambibunt, sed incumbent, a quocumque vento fuerint, eum portendent. Si a meridie, et imbrem. Si oriens cingetur orbe, ex qna parte is se aperit, exspectetur ventos. Si totas deflaxerit aequaliter, sereoilalem dabit. Si in exorta longe radios per nubes porriget, et medias erit inanis, pluviam significabit. Si ante ortum radii se osten dent, aquam et ventura. Si circa occidentem can didus circulus erit, noclis levem tempestatem : si nebula, vehemenliorem ; si candente sole, ventum: si ater circulus fuerit, ex qua regione is ruperit se, ventum magnum.
A
lu & a .
LXX 1X. Proxima sint jure Innae praesagia. Quartam eam maxime observat Aegyptus. Si splendens exorta pnro ui lore fulsit, serenitatem : si rubicunda, ventos : si nigra, pluvias porten dere creditur. In quinta cornua ejns obtusa, plaviam: erecta et infesta ventos semper significant: quarta tamen maxime. Cornu ejusseptemtrionale acuminatum atque rigidum, illum praesagit ven
tum ; inferius, Austrum : utraque recta, noctem
1753
Prima coro'meleremo dal sole. Quando e' ua#ce paro e non caldo, significa che q«tl giorno fia sereno : se sarà pallido, pronostica gragnuola. Se la-sera dinanzi tramonta, e il dì poi nasce sereno, tanto è più certo pronostico di serenità. Quando nascendo è concavo, minaccia pioggia. Se innauzi eh’ egli nasca i nuvoli rosseggiano, significa ven to ; e se Co' rossi si mescolano i neri, sarà vento e pioggia. Se i raggi suoi e qaando. nasce e quando tramonta rosseggiano, saranno piogge. Se intorno il tramontare i nuvoli arrossiscono, Γ altro di fia sereno; ma se nel nascimento suo i nuvoli si spargeranno parte a Ostro, e partea tramontana, benché d1 intorno a esso sia pure sereno, signifi cano pioggia e venti. Se o nel tramontare, o nel nascere avrà i suoi raggi corti, pronostica pioggia. Se nel tramontar piove, o i suoi raggi tirano a sè i nugoli, il dì segueole minaccia aspro tempo rale. Se quando nasce i snoi raggi non saranno chiarì, benché non sieno circondati da nuvoli, portende pioggia. Se innanzi eh1 egli nasca i nu voli s’ inviluppano, minacciano aspra tempesta. Se saranno cacciati dal levante, e andranno al ponente, promette sereno. Se le nuvole circon deranno il sole, quanto manco lame lasceranno, tanto sarà più torbida tempesta ; e se quel cer chio sia doppio, sarà ancora più terribile : che se oel suo nascere avverrà che le nngole rosseg gino, si dimostrerà gravissima tempesta. Se non gireranno, ma si poseranno, dimostrano aver a venire quel vento, presso al quale si riducono : se presso al mezzodì, annunziano ancora pioggia. Se nascendo il sole sarà cinto da un cerchio, da qaella parte donde s'apre, aspettisi vento; ma se sparisce tntto, aspettisi egualmente sereno. Se nascendo distende i raggi per le nugole discosto, e il mezzo ne fia senza, significa pioggia. Se in nanzi che e' nasca si dimostreranno i suoi raggi, significa pioggia e vento. Se intorno al ponent^ sarà bianco il cerchio, significa lieve tempesta della notte: se nebbia, più terribile. Se il sole sarà caldo, significa vento. Se il cerchio fia nero, da qaella parte da che si rompe, significa gran vento. D a l la l u n a .
TiXXIX. Prossimi sono a questi i pronostici della luna. L'Egitto osierva mollo il quarto dì di essa. S* ella nasce risplendendo con pura chiarez za, significa sereno; se rossa, venti; se nera, pioggia. Il quinto, s' ella ha i suoi corni ottusi, significa pioggia. Se gli ha eretti e appuntati sem pre, significa venti, e massimamente il quarto dì. Se ha il corno suo settentrionale bene appuntalo e rigido, predice vento di settentrione; se l’ altro,
C. PLINII SECONDI ventosam. Si qnartam orbis rotilo» cingit, ventos et imbres praemonebit. Apud Varronem il· est : Si qaarto die Inna' erit directa, magnam tempestatem in mari prae· sagiet, nisi si coronam circa se habebit, et eam sinceram : qnoniam illo modo non ante plenam lunam hiematuram ostendit. Si plenilunio per dimidium pura erit, dies serenos significabit : si rutila, ventos : nigrescens, imbres. Si caligo orbis nubem incluserit, ventos, qua se ruperit: si gemini orbes cinxerint, majorem tempestatem. Et magis, si Ires erunt, aut nigri, interrupti atque distracti. Nascens luna, si cornu superiore oba trato surget, pluvias decrescens dabit : si inferio re, ante plenilunium: si in media nigritia illa fuerit, imbrem in plenilunio. Si plena circa se habebit orbem, ex qua parte is maxime splende bit, ex ea ventum ostendet. Si in ortu cornua crassiora fuerint, horridam tempestatem. Si ante quartam non apparuerit, vento Favonio fla nte, hiemalis toto mense erit. Si sextadecima vehe mentius flammea apparuerit, asperas tempestates praesagiet. Sunt et ip«ius luiiae octo articuli, quo ties in angulos solis incidit, plerisque inter eos tantum observantibus praesagia ejos, hoc est, tertia, septima, undecima, quintadecima, nonadecima, vigesima terlia, vigesimaseptima, et inter lunium.
A STILLIS. LXXX. Tertio loco stellarum observationem esse oportet, Discurrere eae videntur interdum, ventique protinus sequuntur, in quorum parte ita praesagivere. Coelum quum aequaliter totum erit splendidum, articulis temporum, quos pro posuimus, autumnum serenum praesagibunt, et frigidum. Si ver et aestas non sine riguo aliqno transierint, autumnum serenum et densum, rainusque ventosum facient. Autumni serenitas ven tosam hiemem facit. Quum repente stellarum fulgor obscuratur, et id neque nubilo, neque ca ligine, pluvia aut graves denuntiantur tempesta tes. Si volitare plures stellae videbuntur, quo feruntur albescentes, ventos ex iis partibus nun tiabunt. Aut si cursitabunt, certos: si id in plu ribus partibus fiet, inconstantes ventos effundent. Si stellarum errantium aliquam orbes incluserint, imbres. Sunt in signo Cancri duae stellae parvae, Aselli appellatae, exiguum inter illas spatium obiinente nubecula, quam Praeiepia appellant. Haec quum coelo sereuo apparere dejierit, atrox
significa Ostro ; se ametidue rilevati, significa Ia notte ventosa. Se il qoarto dì sarà cìnta da un cerchio rosseggiante, mioaccia venti e pioggia. Varrone scrive così : Se il quarto fioro» la lana sarà diritta, minaccia gran fortuna in mare, se già non avesse ona corona chiara intorno a sè, perchè in tal modo dimostra che non ha ad essere tempesta innanxi alla lana piena. Se qaando la luna è tonda, sarà pura per la metà, significherà i di sereni ; se rosseggiante, venti ; se nera, piog ge. Se il suo discor fosse intenebrato da nabc, spirerà vento da quella parte, da cui essa si rom pe : se attorniato da due cerchi, verrà procella maggiore ; e molto pià se saranno tre, o negri, o interrotti. Se la luna nascendo verrà sa col cera® di sopra nereggiante, darà piogge scem an d o;e con quel di sotto, innanzi al plenilunio : se qudb nerezza fia nel mezzo, significa pioggia nel qointodecirao dì. Se piena avrà intorno un cerchio, dimostra vento da quella parte, dove più rispkaderà. Se nel suo nascimento avrà le oorna moli» grandi, minaccia aspra tempesta. Se innaozi il quarto dì non apparve, e tira vento Favoan, pioverà tutto quel mese. Se nel sedicesimo dt sarà molto infiammata, predice aspro tempo. Ha la luna anch' essa otto punti di tempo, e sooo qnei, ne' quali ricade negli angoli del sole. Alcani ne osservaoo i pronostici solamente in qoesti punti di tempo, che sono il terso dì di essa, il settimo, l'undecimo, il quindicesimo, il dicsaaao» vesimo, il veolitresimo, il ventisettesimo, e to interlunio.
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STXLLS.
LXXX. La terza oiservaxione bisogna ehe vm quella delle stelle. Esse alcuna volta pare cto scorrano, e subito seguono venti in quella parie» che hanoo dimostro. Qaando il cielo sarà edil mente tutto splendido, per gli articoli dc'ietapi che abbiamo proposto, prediranno Γ aatanno se reno e freddo. Se la primavera e la state saranno passate non senza alcuna umidità, faranno l ' au tunno sereno, e denso, e manco ventoso. L* aoluono sereno fa il verno ventoso. Quaudo in nn subito lo splendore delle stelle s 'oscura, e ciò aè per nugolo, nè per caligiue, minaccia pioggia, o gravi tempeste. Se parrà che più stelle volino, da quelle parli dove vanno, «ignificano v e n ti;· se parrà che corseggino, significano venti certi. Se ciò faranno in più parti, significano venti in costanti. Se alcuno de' pianeti avrà intorno a sè cerchio, significa pioggia. Sono nel segno dd Caocro due stelle piccole chiamate Asine Ili, e Ira loro è breve spazio occupato da un certo albore, a modo di nuvola, la quale chiamauo m<0|Ut«à
HISTORIARUM MUNDI LIB. XVIII. hiems sequitur. Si alteram «aram Aquiloniam caligo abstulit, Auster saevit: «i Austrinam, Aquilo. Arcu» quom sunt duplices, pluvias nuuliaot: a pluviis, serenitatem noo perinde certam: circoli novi circa sidera aliqua, pluviam.
A
D
TOHJTBIBOS.
LXXXI. Quum aestate vehementias toauit quum fulsit, ventos ex ea parte denuntiat: coutra si minus tonuit, imbrem. Quum sereno coelo ful getrae erunt et tonitrua, abhiemabit. Atrocissime autem, qaum ex omnibus quatuor partibus coeli fulgurabit. Quum ab Aquilone tantum, iu poste rum diem aquam portendit. Quum a septemlrione, ventum eum. Quum ab Austro, vel Coro, aut Favonio, nocte sereua fulguraverit, ventura et imbrem ex iisdem regionibus demonstrabit. To nitrua matutiua ventum significaut, imbrem me· ridiaoa.
A
D
A b IGNIBCS TEBBESTBIBUS.
LXXXIV. Ab his terreni ignes proxime si gnificant: pallidi namque, mormurantesque, tem pestatum nuntii sentiuntur: pluviae etiam in lucernis fungi. Si flexuose volitet flamma, ven-
a l l b n o b i.
LXXX1I. Quando essendo sereno i ο a voli co minciano a moversi, s’hanno ad aspettar venti da quella. parte : se si raguoano in uu medesimo luogo, appressandosi il sole, si dissolveranno. Se ciò sarà da tramontana, significa vento: se da mezzodì, pioggia. Se nel tramontare del soie s* al zeranno in su dall'una e l’ altra parie, sigoifican tempesta. Se i nuvoli saranno molto neri in levan te, significan pioggia la notte : se io ponente, significan pioggia il giorno poi. Se da levante si spargeranno molti nuvoli, come velli di lana, pio verà fra Ire giorni. Quando le nuvole si posano in cima de' monti, fia tempesta. E se le cime dei monti si rischiareranno, fia sereno. Quando il nu volo sarà bianco, il cbe chiamano tempesta bian ca, minaccia gragnuola. Nel cielo sereno una nuvoletta, benché piccola, darà vento tempestoso.
A BEBULIS. LXXXIII. Nebulae e montihus descendentes, ant coelo cadentes, vel iu vallibus sidentes, sere nitatem promittunt
ai t o o r i.
LXXXI. Quando la siate tonerà più forte, che non balenerà, saranno venti da quella parte. Se £a il contrario, saranno piogge. Quando ba lena e tona per sereuo, significa vento e pioggia; e sarà tempesta più terribile, quaudo balenerà e tonerà da tulle le quattro parli. Se ciò fosse da dove spira Aquilone, Faltro giorno pioverà: sa da tramontana, sarà vento. Quando nella notte serena balenerà da Ostro, o da Coro, o da Favo nio, significa vento e pioggia dalle medesime parti. 1 tuoni da mattina significano venti: que gli da mezzodì pioggia,
IICBIBOS.
LXXX 1I. Nubes quam sereno coelo feruntur, a quacumque parte id fiet, exspectentur venti : si eodem loco globabuntur, adpropinquante sole discutientur. Et hoc si ab Aquilone fìat, ventos : si ab Austro, imbres portendeut. Sole occidente »i ex utraque parte ejus coejum petent, tempe statem significabunt. Vehementius atrae ab orien te, in nocteiu aquam minantur : ab occidente, iu posterum diem. Si nubes, ut vellera lanae, spargeulur multae ab oriente, aquam in triduum praesagient. Quum iu cacuminibus montium uuLes consident, hiemabit. Si cacumina pura fient, disserenabit. Nube gravida candidante, quod vo cant tempestatem albam, grando imminebit.Coelo quamvis sereno, nubecula qoaiqyis parva flatum procellosum dabit.
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Se questa, qoando è sereno, noo si vede, sarà crudel lempesta. Se alcuna caligine ci toglie 1’ una delle dette stelle, Ia settentrionale, sarà vento di Ostro; ce ci torrà l’ australe, sarà vento di tra montana. Quando sono due archi, significano pioggia, « dopo le piogge sereno, ma non così certo. Nuovi cerchi iutorno ad alcuna stella si gnificano pioggia.
D
al l e b e b b ib .
LXXX1U. Se le nebbie calano da' monti, o caggiono dall’ aria, o si fermano nelle valli, pro mettono sereno. D
ai fo o ch i t e b b b s t b i.
LXXXIV. Dopo queste si traggon pronoslici dai fuochi terreni ; perciocché quando essi sooo pallidi, o mormoranti, si hanno per nuozii di tempeste. 1 fuugbi o faville in cima ai lucignoli
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c . p u n ii
tum. Et lumina qaum ex Kle flamini elidunt, aut vix accenduntur. Item quum in eo pendentes coacervantur scintillae : vel quum tollentibus ollas carbo adhaerescit : aut quum contectus ignis e se favillam discutit, scintillamve emittit : vel quum ciuis in foco concrescit, et quum carbo vehementer perlucet.
SECUNDI
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delle Incerne sono segno di pioggia. Se la fiamma si piega in molte parti, significa T e n to ; cotae ancora i lumi, quando da loro stessi mandaao fuora fiamma o con diflìcnltà s*accendono, non che quando in essi si ragunaoo scintille pendenti; 0 quando levando le pentole dal fuoco, vi riman gono appiccati i carboni ; o quando il fuoco co perto scuote da sè la favilla, e schizza ; o quando la cenere cresce nel focolare, e quando il carbone molto riluce.
A » AQClS.
LXXXV. Est et aquarum significatio. Mare si tranquillum in portu a cursu stabit, et mur muraverit iutra se, ventura praedicit. Si identi dem, et hiemem, et imbrem. Lilora ripaeque si resonabunt tranquillo, asperam tempestatem: item maris ipsius tranquillo sonitus, spumaeve dispersae, aut aquae bullantes. Pulmones marini in pelagro, plurium dierum hiemem portendunt. Saepe et silentio intumescit, flatuque altius solito jam iutra se esse ventos fatetur.
Ab
a n im a l ib u s
;
ab a q u a t i l ib u s ; a v o l u c r ib u s,
LXXXVII. Praesagiunt et animalia. Delphini tranquillo mari lascivientes^ flatum, ex qua ve niunt parte: itera spargentes aquam turbato, tranquillitatem. Loligo volitans, conchae adhae rescentes, echini adfigentes sese, aut arena sabur rantes, tempestatis signa sunt. Ranae quoque ultra solitum vocales. Et fulicae matutino clangore. Item mergi, anatesqne, pennas rostro purgantes, ventum : ceteraeque aquaticae aves concursan tes : grues in mediterranea festinantes: mergi maria aut stagna fugientes. Grues silentio per sublime volantes, serenitatem : sic noctua in im bre garrula : at sereno, tempestatem: corvique singultu quodam latrantes, seque concutientes, si continuabunt, ventos : si vero carptim vocem resorbebunt, veutosum imbrem. Graculi sero a
alle acque.
LXXXV. Écci anco il significato delle acque. Se il mare sta tranquillo nel porto e si ferma
ips is t e m p e s t a t ib u s.
LXXXVI. Equidem et montium sonitus, n e· morumque mugitus praedicunt: et siue aura, quae sentiatur, folia ludentia. Lanugo populi, aut spinae, volitans; aquisque pluma innatans. Atque etiam in campis tempestatem venturam praece dens suus fragor : coeli quidem murmur non dubiam habet significationem.
Ab
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D
alle
s te s s e te m p e s te .
LXXXVI. Certo anco il suono de’ monti, e le mugghia delle selve predicono vento: e qoaado le foglie si muovono, senza sentire pure un pic colo soffio ; e quando la lana, eh’ è nell' oppio o nella spina, se ne vola via ; e quando le penne aso lano nell’ acque. Nelle pianure ancora si sante un certo suonp, che presagisce tempesta, e anche un mormorio nell'aria, il quale non è dubbio pronostico. D
agli a m m a l i
:
d a i pesci
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d a g l i c c c su j.
LXXXVII. Hanno anco gli animali presagio del buon o mal tempo avvenire. Quando i delfiai vanno scherzando sull'acqua calma annunziano il vento da quella parte che vengono : e quando spar gono l ' acqua, sendo il mar turbato, prenunziano calma vicina. Prenunziano tempestala loligine vo lante, le conchiglie clic s'appigliano, e gli echini, ovvero ricci marini, quando si cacciano nella re na e vi si ricuoprono; e i ranocchi quando eaalauo più dell'usato; e quando le folaghe cantano da mallina. Significano vento gli smerghi, e )t anitre, quando si nettano le penne col beco»; « quando gli altri uccelli d'acqua combattono In loro ; e quando i gru volano fra lerra; e qnaol* gli smeghi fuggono il mare, o lo stagno. Quando i ^ru voUuu aito, c cheli, sì-uitìcau seicuo : cv-u
ijaj)
HISTORIARUM RlUNDl LIB. X V ili.
pabulis recedentes, hiemem. Et albae aves, qaam congregabuntur. Et qaum terrestres volucres contra aquam clangores dabunt, perfundentes aese: sed maxime cornix. Hirundo tam juxta aquam volitans, ut penua saepe percutiat: quae que in arboribus habitant, fugitantes in nidis suis : et anseres continuo clangore intempestivi. Ardea in mediis arenis tristis.
A
QUADRUPEDIBUS.
LXXXV 11I. Nec mirum, aquaticas, aut in lotum volucres praesagia aéris sentire. Pecora exsultantia, et iudecora lascivia ludentia, earadem significationem habent. Et boves coelum olfactan tes, seque lambentes contra pilum. Turpesque porci alienos sibi manipulos feui lacerantes: se· (Miilerque et contra industriam suam absconditae formicae, vel concursantes aut ova progereutes. liem vermes terreni erumpentes.
Ab b e a b i s . LXXXIX. Trifolium quoque inhorrescere, et folia contra tempestatem subrigere certum esi.
A
c ib is .
XC. Necnon el in conviviis mensisque nostris, vasa quibus esculentum additur, sudorem repo sitoriis linquentia, diras tempestales praenuntiant.
1730
la civetta è garrula qaando sente la pioggia ; e s’è tale a sereno, prenunzia terapestanza. Qaando i corbi con un certo singhiozzo abbaiano, %si di battono alla lunga, significan vento; ma se dan voci interrotte e qaasi affogate tra le fauci, porleodono pioggia con vento. Significan tempesta le mulacchie quando tornano tardi di pastura ; e similmente gli uccelli bianchì, quaodo si ragaaano ; e quando gli uccelli di terra fanno stre pito inverso Γ acque, bagnandosi, e massimamente la cornacchia ; e la rodine quando volando rasenta tanto I' acqua, che la percuote con le ale, e quando gli uccelli, che abitano negli alberi, rifuggono ne'lor nidi ; e quando le oche fuor di tèmpo fanno continuo strepito ; e quando 1' uc cello, che si chiama Ardea, nel mezzo dell* arene sta manincooioso. D ai q u a d r u p e d i .
LXXXVI li. Nè maraviglia è che gli acquati ci, o qual sì voglia altro uccello senta i prouo?tici dell* aria ; perciocché molli animali inetta mente saltando, e scherzando danno la medesima significazione. Fan pronostico i buoi fiutando P aria e leccandosi contra pelo ; e i lordi porci lacerando i covoni di fieno che ritrovano, e le formiche quando lentamente, e contra il solito della industria loro, nascose tra sè si scontrano, ovvero cavano fuor 1* uova. E così i lombrici uscendo foor della terra. D a lle
zbbb.
LXXX 1X. Egli è certo anco che'il trifoglio inasprisce, e le sue foglie si rizzano quando e' s'ac corge di tempesta. D ai
c ib i.
XC. Ne* conviti ancora e alle tavole nostre, i vasi, dove si mettono le vivande, sudano ; il qnal sudore anuunzia gravi temporali.
C. PLINII SECUNDI
HISTORIARUM MUNDI LIBER XIX LINI NATURA, ET CULTUS HORTENSIORUM
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Livi
iìt o ii,
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m ir a c o la .
I. d id e r o n qaoqae tempestatamqae ratio, vel imperiti· facili atque indubitato modo moostrala est: vereque intelligentibas noo mino· conferttnt rora deprehendendo coelo, quam sideralis scien tia agro colendo. Proximam multi hortorum caram fecere: ne bit non protinus transire ad ista tempestivum vi detur. Miramurque quosdam scientiae gratia, eru ditionis suae gloriam ex his petentes tam mnlta praeleriisse, nulla meotiooe habita tot rerum sponte cura ve proveoientiom, praesertim quum plerisque earum, pretio usuque vitae, major etiam qoam frugibus, perhibeatur auctoritas.
Atqoe at a confessis ordiamur utilitatibus, qaaeque non solum terras omnes, veram etiam qnaria replerere; seritur, ac dici neque inter fru ges, neque inler hortensia potest, linum. Sed io qua non occurret vitae parte, qaodve miraculam majas, herbam esse quae admoveat Aegyptum Italiae : in tentam, at Galerius a freto Siciliae Alexandriana septima die pervenerit, Babilius se· ita , ambo praefecti : aestate vero proxima Vale riae Marianua ex praetoriis senatoribus, a Puteolis nono die lenissimo flata ? herbam esse, qaae Ga des ad Herculis columou aeplimo die Oitiam
M i r a i i m b a v ig lib d b l lib o .
I. lnfino a qui eon modo beile, e chiaro per gli ignoraoti ancora, abbiamo dimostrato la ra gione delle stelle ; ma a coloro che intendono, non giovano manco le ville per conoscere il cielo, ehe la scienza delle stelle nel lavorare il campo. Molti hanno fatto vicina a queste la cara de gli orti ; ma a me non pare che così subito sia da passare a questi. E maravigliomi, come alcuni che professaoo questa scienza cercando da tali eoe· gloria della lor dottrina, abbiamo tante cote tra-» lasciate, senza aver fatta alcuna mentione dell# moltisaime, le quali vengono da per si, o per cara che vi si mette, massimamente essendo assai # di quelle, le quali per prezzo e oso di vita aono in maggiore estimazione che le biade. Ma per cominciare da quelle utilità, le quali ognun confessa, ed hanno ripieno non solp 1« terra, ma il mare ; il lino è una pianta che si se mina, nè si conta fra le biade, nè fra gli ortaggi. Ma quale pnò esser maggior miracolo che un'er ba sia quella, la qoale faccia sì vicino Γ Egitto all' Italia, che Galerio dallo stretto di Sicilia in sette giorni sia ito io Alessandria, e Babilio ip sei, i quali erano amendne perfetti, e cbe la state passata Valerio Mariano stato pretore e senatore sia passalo da Potzoolo io nove giorni oon legger vento ? Olir· di ciq questa medesima erba
C. PLINII SECUNDI
π35
ad ferat, et citeriorem Hispaniam quarto, provin colonne d 'Ercole in selle giorni conduce a Otlia, in quattro in Ispagm, in tre in Provenza, e io ciam Narbonensem tertio, Africam altero : qaod due in Africa ; il che avvenne pur con pochissimo etiam mollissimo flatu contigit C. Flavio legato Vibii Crispi proconsulis? Audax vita, scelerum vento a C. Fiacco legalo di Vibio Crispo pro plena ! aliquid aeri, ut ventos procella sque reci consolo. Oh troppo audace vita, e piena d'ogoi piat: et parum esse fluctibus solis vehi. Jam vero scelleratezza ! la qaale semina cosa, che riceve i venti e le tempeste, come se poco fosse, che le nec vela satis esse majora navigiis. Sed quamvis amplitudini antennarum singulae arbores suffi sole onde ci portassero. Ma non basta ueppureche le vele sieno maggiori che i navili ; e benché alciant, super eas tamen addi velorum alia vela, l’ ampiezza, dell1 antenne un albero basii, sopra praeterque alia in proris, et alia in puppibus pandi, ac tot modis provocari mortem. Denique . quelle nondimeno si pongono le vele delle vele, tam parvo semine nasci, quod orbem terrarum e, olirà queste, altre vele sono a prua, e altre a poppa ; in tauli modi si va cercando la morte ! ultro cilroque portet, tam gracili avena, tam non alte a tellure tolli : neque id viribus suis necti, sed Finalmente di Così picdol seme nasce cosa, che porta il mondo or qua or là ; e ciò fa an gambo fractum tusumque et in mollitiam lanae coaclom, ben piccolo, e sì poco levalo da terra, e non già injuria naturae ac summa audacia, eo pervenire. Kulla exsecratio sufficit contra inventorem di per sue forze, parciocch'egli ti frange, e si pesta, riducendosi in lana morbida con ingiuria della Da ctum suo loco a nobis: cui satis non fuil homi tura, e con singolare aaJacia dell'uomo. Nessuna nem in lerra mori, nisi periret et insepultus. At nos priore libro imbres et flalus cavendos, fra maledizione basta conira il sno inventore, che noi gum causa victusque, praemonebamus. Ecce se abbiamo già nominato al suo luogo, a coi oon ritur hominis manu, metitur ejusdem hominis parve bastare che l ' uomo morisse in terra, s*egK non moriva anco senza esser sepolto. Noi nel li ingenio, quod venlos io mari oplet. Praeterea ut bro disopra avvertimmo gli uomini, che si guar sciamus favisse poenas, nihil gignitur facilius: ut dassero dalle piogge e da' venti per cagione delle senliamns nolente id fieri natura, urit agrum, deterioreraque etiam terram facit. biade e del vitto ; eppure con la mano dell' no mo si semina, e con Io ingegno dell' uomo si miete cosa, che in mare desidera il vento. Olirà di ciò, perchè sappiamo che esso è pronto ai no stri danni, nessuna cosa si genera piò fàcilmente del lino, e acciocché intendiamo che qneslo ή fa conira la volontà della natura, esso riarde il cam po e to fa pià sterile che mai. Q uom odo s b ra tc h , e t cene& i
citrs
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LEHTU x x v u .
II. i. Seritur sabulosis maxime, nnoque sulco : nec magis festinat aliad. Vere satum aestate vel litur : et hanc quoque terrae injuriam facit. Igno scat tamen aliquis Aegypto serenti, at Arabixe . Indiaeque raerees importeti itane et Galliae cen sentur hòc reditu, montesque mari opposilós esse non est salis, et a latere Oceani obstare ipsum qaod vocant inane? Cadurci, Caleti, Ruteni, Bi turiges, ultimique hominam existimati Morini, immo vero Galliae universae vela texunt. Jam quidem et transrhenani hostes: nec pulchirorem 'aliam vestem eorum feminae novere. Qua admo nitione succurrit, quod M. Varro tradit, in Sera torum familia genlilitium esse, feminas linea Sreste non uti. In Germania autem defossi alqué sub terra id opas agunt. SimiKler etiam in Italia, ‘regione Alliana, inter Padana Ticinumque amnes, ubi a Selabi tertia in Europa lino palma: secun dam enim in vicino Attianis capcsjunl Relovina,
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ESSO.
II. i. Il lino si semina ne'luoghi sabbiano*, e con nn solco ; nè ci è cosa che venga più tosto. Seminalo nella primavera, si svelle la state : i« sì breve tempo danneggia il suolo con torgli Tu more. Ma nondimeno alcuno può perdonare al> l ' Egitto, se lo semina, perciocché eoa questo ar reca le mercanzie d' Arabia e d ' India : ma ooa così alla Gatlia, la quale non contenta d'avere le montagne opposte al mare, e dal lato delP Ocea no spazii vani, semina il lino per solcare anch’essa le onde. I popoli di Caors, di Calesse, di Rodes, di Burges, e i Morini riputali gli ultimi nomini del mondo, and (alla la Francia tesse le vele ; e quegli ancor*, che sono di là dal Reno. Nè altro più bel panno conoscono le loro donne. Il ehe mi riduce a mente ciò che scrive M. Vairone, che nella famiglia de' Sereni le donne per costu me gentilizio non osano vestimenti di Koo. li Larasgna esercitano qoeslà «rie sotterra. Stasi-
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HlSTOMARtJM MONDI ·Μβ. XIX.
et in Aemilia via'FaventTna. Candore Alliani* semper cradis Paventine praeferuntur: Retovinis tenuitas summa densitasque, caixlor aeque ul Faventinis, sed lanugo nulla, quod apud alias gratiam, apud alios offensionem habet. Nervo sitas filo aequalior paene quam araneis, tinnitus* que, quam dente libeat experiri: ideo duplex* quam ceteris, pretium.
Et Hispania citerior habet splendorem lini praecipuum, torrentis in quo politur natura, qui adibit Tarraconem. Et tenuitas mira, ibi primum carbasis repertis. Non dudum ex eadem Hispania Zoelicum venit io Italiam, plagis utilissimum. Civitas ea Gallaeciae et Oceano propinqua. Est tua glori· el Cumano in Campania, ad piscium et alitum cftpturam. Eadem et plagis materia. Nc que enim minores cunctis animalibus insidias, quam nobismetipsis lino tendimus. Sed Cumanae plagae concidunt apros, et hi casses vel ferri aciem vincunt. Vidiransque jam tantae tenuitatis, ut anulum hominis cum epidromis transirent, ono portante multitudinem qua saltus cingerentur (nec id maxime mirum, sed singula earum st»* mina centeno quinqusgeno filo constare): sicat paulto ante Julio Lnpo, qni in praefectura Aegy pti obiit. Mirentur hoc ignorantes in Aegyplii quondam regis, quem Amasim vocant, thorace, io Rhodiorum insula ostendi in tempio Minervae, c c c l x v filis singula fila constare : qood ae exper turo nuper Romae prodidit Mocianus ter consul, parvasque jam reliquias ejas sa peresse hac expe* rien tiara injuria. Italia et Pelignis etiamnum lini» honorem habet, sed fullonum tantam in usu ; nullum est candidius, lanaeve similius: sicut io culcitis praecipuam gloriam Cadurci obtinent. Galliarora hoc, et' tomenta pariter, inventum. Italiae quidem mos eliam nunc durai iu appel» Utione atramenìi.
Aegyptio lino minimum firmitatis, plurimum lu c r i. Quatuor ibi genera : Taniticnm ac Pelu sia c u m , Bulicato, Tentyriticum, cam regionum oozuinibus, iu quibus nascantur. Superior pars A egyp ti in Arabiam vergens gignit fruticem, q u em aliqoi gossipion vocant. plures xylon, et id e o lina inde lacta xylina. Parvas est, similemq u e harbalae nucit defert fruclum, cujus ex iu-
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mtnie iu Italia iu quel di Allia tla i fiumi Ho e Ticino, dove dopo quello di Setabi il lino ha il terzo vanto in Europa; perciocché il secondo grado hanno i lini chiamati Retovini, nel paese vicino agli Alliani; e in Romagna ilini Faentini, i quali per rispetto della loro bianchezza sono messi innanzi a quelli degli Alliani, che Sona sempre crudi. I lini Retovini sono molto sottili; e folti, e bianchi come i Faentini, ma non hanno lanugine; la qual cosa a chi piace,e a chi no. 11 filo ha una nervosità eguale, e forse più, che le tele de' regnateli, e risuona, quando si tenta col den te; e per questo è di doppio prezzo che gli altri. Anche la Spagna citeriore ha un lino, che riluce molto, per la natura d' un fiume, dov'egli si pulisce, il quale bagna Tarraòona. E molto sottile ; e quivi furono prima trovati i carbasi, che son vele sottilissime. Non è gran tempo, che della medesima Spagna venne il lino Zoelico in Itali·, utilissimo' per far reti. Questa è città di Callida, e posta sblla marina. QueHo da Cum· in Ter tra di lavoro è' ottimo per far reti da pesci e da uccelli, e anco reti da cuccia. Perciocché noi non facciamo minori eguali col lino agli altri animali, ehe a noi stessi. Ma le reti Cumane reci dono i cinghiali, e vincono il taglio del ferro; Già ne abbiamo vedute di tanto sottili, che con l’ armadara sono passate per un anello d'uo*» mo; e un solo ne portava tante, che tutto uti bosco si circondava con esse. Nè ciò fu gran ma raviglia, ma sì bene che le cordelle loro fosserò di cento cinquanta fila, come ebbe Giulio Lupo, il quale morì governatóre d’ Egitto. Ma maraviglinsi di questo coloro, che non sanno che nell’ isoli di Rodi nel tempio di Minerva si mostra la coratza d* Ataaii re d’ Egittb, le cui fila sono di trecento seltantacinque fili minori. Il che dicè d'avere nuovamente veduto in Roma Mncianro stato tre volte consolo; e afferma ehe la detta corazza è già tetta logora, per tanti che la toccai rono per volerne avere certezza. In Italia sono ancora molto stimati ilini Abruzzesi, ma solar mente per uso de*purgatori. Non c 'è lino più bianco, nè più simile alla lana, di questo : sic come quello da Caors è molto lodato nelle col trici. Questo s’ è trovato in Fradicia, e similmen te le cimature. In Italia dura aucora 1' usanza di chiamarlo stramento. ' ' 11 lino d'Egitto è poco durabile, ma di molto guadagno. Quivi ne sono di quattro sorti : ilTanitico e Pelosiaco, il Bulico e Tentfrilico, che piglian nome dai paesi, dove e1 nascono. La parte diso pra dall’ Egitto che confina con Γ Arabia produ ce uno sterpo,‘ il quale alcuni chiamano gossi pio, molti silo,-e perciò siline le tele che si fanno «f taso, Questo flcrp? è piccete, c fa un fi uti?
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C. PUNII SECONDI
leriore bombyce lanego n«lar. Nec ulta aaok ei* candore molli tiara praeferenda. TeiUf inde sa cerdotibus Aegypti gratissimae. Quarlum geoas Orchomenium appellant. Fit e palustri Telai arundine, dumtaxat panicula ejus. Asia e genista faci! lina ad relia praecipua,io piscando durantia, frutice madefacto denis diebus. Aethiopes lodiqae e malis, Arabes cucurbitis, in arboribus, ut dixi mus, genitis.
Q co m o d o p e s f i c i à t c b .
«74«
simila alie nocciuote, il quale dentro ba uo bigatto che fa certa lanugine, Ia quale ai fila ; nè » truova cosa più bianca, nè pià morbida di qeesla. Di ciò i sacerdoti d' Egitto si (anno gratissi me resti. La quarta specie ai chiama Orcoaaeoio. Fassi delle pannocchie d' una certa pianta che nasce ne' paludi, simile alle canne. In Asia si fanno lini di ginestre, ottimi per reti da pescare, dopo aver tenute le ginestre in macero dieci gior ni. In Etiopia e in India fanno i lini di meli; e in Arabia di zucche nate negli alberi, come ab biamo detto. C o u si
COBDCCK.
UI. Appresso di noi si conosce il lino qesodo III. Apud uoa maturila· ejos duobua argot egli è maturo a due segni, quando il seme ri mentis intelligitur, intumescente semine, aut co lore flav?scente. Tum evulsum, et in fasciculo# gonfia, o quando ingialla. Allora ai svelle, e fat tine fascetli manuali, seccasi al sole con le radici manuales colligatum, siccatur io sole, pendens in su per un giorno ; poi altri cinque giorni sta conversis superne radicibus uno die, mox quia* volto al contrario, di maniera che le vette stieno que aliis, in cootrarium inter se versis fascium cacuminibus, ot semen ia medium cadat. Ipter insieme, e il seme caggia nel mezzo. Usasi par medicamina huic vis, et in quodam rustico ac medicina, e tra i contadini per cibo dolcissimo praedulci Italiae Transpadanae cibo, aed jam pri in Italia di li dal Po : ma già buon tempo è che dem sacrorum tantam gratia. Deinde poat mes Γ usano solo ne’ sacrificii. Poi che il grano è mie tuto, i gambi del lino si mettono in macero ndsem triticeam virgae ipsae merguntur in aquam Γ acqua riscaldata dal sole, e tf ngonsi sotto con solibus tepefactam, pondere aliquo depressae: nulli enim levitas major. Maceratas indicio es| qualche peso ; perchè non v* è cosa pià leggieri. roembraua laxatior. Iterumque inversae, ut prioa, 11 segno che sia macero è quando la buccia si sole siccantor : mox arefactae in saxo tunduntur spicca. Poi di nuovo rivolti, eome prima, ai sec itupario malleo. Quod proximum cortici fuit, cano al sole, e secchi si battono sulla pietra eoi atupa appellatur, deterioris lini, lucernarum fere mazzo. Quello ebe è presso alla scorza, ύ chiama luminibus aptior. Et ipsa tamen pectitur ferreis stoppia ; ed è men buooo, e solo atto a' lami del hamis, donec omnis membrana decorticetur. Me le lueerne. Nondimeno anch* essa ai «anm oa emt dullae numerosior distinctio, candore, mollitia. pettini di ferro, fin che tutta la buccia si aeorti» Linumque nere et viris decorum eat. Cortices chi. La midolla ha più numerosa distinzione, quoque decossi clibanis et furnis praebent usum· per bianehazta, e per morbidessa. Filar il liao Ars depectendi digerendique: justum e quinqua non si disdice anco agli uomloi. Le lische sono genis fascium libris quinasdeuaa carminari. Ite utili al forno. L'arte di pettinare il lino è, che rum deinde in filo politur, illisum crebro in silice di cinquanta libbre torni quindici : un'altra voi· ex aqua : texluraque rursas tunditur elavas, sem ta poi ai ripulisca nel filo percotee doto molte per injuria melina. spesso ralla pietra ; e ooperto di nuovo si ball· con mazzeranghe : quanto più si batte, tanto di* venta migliore. Db
ubo
ApaasTiBo.
D el
l ir o a s b e s t ik o .
Èssi trovato uoa sorte di lino,che non arde IV. Inventum jam est etiam, quod ignibus IV. non 'absumeretur. Vivum id vocant, ardentesque nel fuoco. Queste si chiama vivo ; e io ho vedu in focis conviviorum ex eo vidimus mappas, tor> to tovaglie fatte di questo Hno, levate da' conviti didus exustis, splendescentes igni magis, quam e gittate nel fuoco ardere le macchie, ed case ri possent aquis. Regum inde funebres tanicae, cor maner salve, e pià biaaehe, che se fossero alale pori· favillam ab reliquo aeparant cinere. Nasci messe in bucato. Di qoesto lino fannoai le veste tor in desertis adustfoque sole Indiae, uhi non a* re morti, perchè quando i corpi loro ardona, tali veste gli separano dall1 altra cenere. Nate· caduat imbres, inter diras serpentes : adsuescitque viver· ardendo, rarum tnteain» diCficib ne' deserit d’ India ani dal sole, e pieni di sec-
HISTORIARUM texta ptapler bretiletem. Rufus de cetero colo·, splendescit igni. Qoam ìotcoIi b ««t, aaqtiat pretia excellentiam margaritarum. Vocator au tem a Gsaecis asbestinum es argomento neturae. Aoaxiiaus auctor
Proximas byssino, mulierum maxime deliciis circa Elim in Achaja geoito : quaternis denariis scripula ejas permutata quondam, at auri, reperio. Linteorum lanugo, e telis naviam maritima· rum maxime,in magno usu medicinae est: et cinis apodii vim habet. Est et inter papavera genus quoddam, quo candorem lintea praecipuam trahant
LINDI LIB. XIX.
i 74a
penti, dove non piove, e avvezzasi a vivere ar dendo. Troovatf di rado, e difficilmente si tesse, per essere niolto corto. E di color rosso, e diven ta Iacido pel fuoeo. Quello che si truova pareg gia il pregio delle perle fine. I Greci lo chiamano asbestino, perch' egli è inestinguibile ; cbe cosi è la saa natara. Scrive Anessilao, che se un albero a* involge con on lenzuolo di questo lino, si ta glia, senza cbe se ne sentano colpi. Questo lino adunque ha il vanto sopra lutti gli «Uri lini del mondo. Dopo questo è il bissino, il quale nasce nella Morea, appresso la città di Eli, per pompa delle doone; e trovo già che un gambo di questo i vaiato quattro danari, come se fosse stato oro. Truo vasi ona certa laoa massimamente celle vele de* navili, molto alile nelle medicine, la cui ce nere ha la stesfa forza di quella ceoere della for nace, ehe si stacca de' mori. Écci anco fra i pa paveri una certa aorte, la quale fa molto bianche le Ienauola.
QuANDO L U C II TINGI COEPTUM.
Q
u a ndo si
p&iacipiò
t in o b e e i l l ib o .
V. Tentatum est tingi linam quoque, et ve* V. Essi provato ancora a tingere i panni lini, e stiam insaniam accipere, in Alexandri Magni pripigliare la pazzia delle vesti, primamente oell’arjnum classibos,lndo amne navigantis, qaam duces mate d’ Alessandro Magno, navigando pel fiume ejus ac praefecti in certamine quodam variassent Indo, qaando i suoi capitani In una certa batta insignia naviam : stupaeruntqae li tora, flatu ver glia variarono le insegne delle navi, tanto che » sicoloria implecte. Velo purpureo ad Actium cam lidi stupirono, veggendo spiegale at vento gran M. Antonio Cleopatra venit, eodemque effugit. noraero di vele di diverso colore. Veooe CleopaB oc fuit imperatoriae aavis insigne. ra con M. Antonio ad Atzio con vele roste, e con le medesime si fuggì. E questa fu la insegna della nave imperatoria. Q
u a n d o p e im c m in t h k a t b i s v b l a .
Q
u a n d o s i cominciò o s a e b vjlle d i l in o s b ’ t b a t b i .
VI. Pòstea in theatris taotum umbram fecere: VI. Dipoi ne1 teatri feeero solamente ombra ; quod primus omniam invenit Q. Catolas, quam il che fa invenzione di Quinto Catulo, quando Capitolium dedicaret. Carbasina deinde vela pri egli dedicò il Capitolio. Il .primo poi* che con m u s in theatro duxisse traditor Leotolas Spinter ducesse vele carbasiae nel teatro, si diee ehe fu Apollinaribus ladis. Mox Caesar dictator totam Lentulo Spintere ne* giuochi d'Apolline. Dipoi foram Romaonm intexit, viemqoe sacram ab domo Cesare dittatore coperse lutto il foro Romano, a •na et clivum usque in Capitolium, qaod manere la via sacra, da casa sua fino alla salita del Capi ipso gladiatorio mirabilius visam tradant. Deinde tolio; e dicooo ehe ciò parve asmi maggior ma·* e t aine ludis Marcellas Octavia sorore Angusti raviglia, che lo spettacolo de’ gladiatori. Poscia geaitoi, io aedilitate sua, avunculo xi cousule, a. Marcello figliuolo
*743
C. P U N II SECUNl)!
ni naufragiis ί Thoracibus lineis paucol Umen pugnasse, teslis est Homerus. Hinc fuisse el naviura.>armamenta apud eumdem interpretantur «rudiliores : quoniam quuta «parla dixil, signifir qaverit sala.
D k SPARTI
NATOflA.
a» di color rosso per coprire i corriti* e difenda da| tolei loro pavimenti a musaico. Tuttavia il color bianoo fu aiai sempre Miti posto, quale si iefrge pare in Omero emersi osato netta guem di Troia. Perchè iofatti noo debbe egli trovarsi nelle battaglie, trovandosi De'oanfragii? benché seeondo Omero pochi vi combattessero eoa te corazze di lino. Tengono ancora gli uomini più ‘lolli, che pur di lino fossero gli armeggi delle navi appresso il medesimo Omero ; perciocché quaudo e' disse sparto, intese del seminalo. D blla.
radura d e l l o s p a r t o
.
VII. 2. Sparli quidem asus multa post secala VII. a. L1 uso dello sparto s 'è comincnlo do coeplua est; nec ante Poe norum arma, qoae p ri po molti secoli ; nè itìnanzi alle prime guerre. le mum Hispaniae i ntolerant Herba et haeo sponte quali i Cartaginesi fecero alla Spagna. Questa è nascens, et quae non queat seri, juncti sque pro un* erba che nasce da sè stessa, nè ai paò semi prie aridi soli, uni terrae dato vitio. Namque id nare; ed è propriamente giunco di terreno arida, che solamente proviene ne* viziosi sili della Spimalum telluris est : nec aliud ibi seri aut nasci gna ; perciocché è proprio un vizio del terreno; potest. In Africa exiguum et inutile gignitur. uè altro si può seminare, nè altro nasce dot’ es Carthaginiensis Hispaniae citerioris portio, nec linee tota, sed quatenus parit, ■ montes quoque so è. Nasce in Africa, ma piccolo e disutile. Iu .sparto operit. Hinc strata rusticis eorum, hinc Cartagine di Spagna, e non per tutto, ma sollaoto
Con· si
COSMICA.
V ili. Svèlto e ridotto in fasci sta due penti in monte senza essere smidollato. Il Urz» a sparge al sole e seccasi ; e poi di nuovo sa ae h covoni, e ripodsi ai coperto. Dipoi ύ a&aceaa meglio con P acqua marina, o cou la dolce an cora, dove nou è delia marina, a risecco al sole si bagna un'altra volta. Ma se la necessità li strigne, bagnalo con l'acqua calda, quand· ha le foglie ; e se secco sta ritto, lo puoi adoperare senza più. Ma acciocché sia ntile. si bette, e a d i’ acqua, e massimamente in mare, resiste sena fine. Nell'asciutto dicono essere migliori le funi di canape. Lo sparlo si nutrisce ancora tn&b* nell* acqua, quasi per -volere compensare la sete, ch'egli ha patita del suo nascimento. La natara sua è rinovabile, e da capo, per quanto si voglw vecchio, si mescola col nuovo. Ha ctfaùderi o h la raeute chi vorrà couoscere quanto utile a maraviglia iu le m e in n u t e , e agl* ìiu k v ? 1
HISTORIARUM MUNDI LIB. XIX.
'7 4 5
longiludioem esae reperienlur. Longius vehi im pendia prohibeat.
Q
Q o i u o PB1MOS DSUS BIOS.
IX. Juaco Graecos ad funes usos nomini cre damus, quo herbam eam appellunt : poatea palmarum foliis, philoraqoe, manifestum est : et inde translatam a Poenis sparli usam, perquam simile veri est.
De B& iopH oao
u a n d o si c o m inc iò o s a b b .
IX. 11 nome ci mostra come ì Greci facevanole funi di giaoco, perchè la voce scheno, che per ciò essi asano, significa giunco : poi di foglie di palma e di membrana d 'albero ; ed è da credere che imparassero poscia da’ Cartaginesi a farle di sparto. D bl b u l b o b b i o f o b o .
b o lb o .
X. Theophrastus auctor est, esse balbi geous circa ripas amnium nascens, cujus inter summam corticem, eamque pariem qoa vescuntur, esse laneam naturam, ex qua impilia vestesqae quae dam conficiantur.Sed neque regionem, in qua fiat, neque qoidquam diligentius, praeterquam eriophoron id appellari, in exemplaribus, quae qui dem invenerim, tradit : aeque omnioo ullam mentionem habet, cuncta cura magna persecatus cccxc aunie ante nos, ut jam et alio loco diximus; quo apparet, post id temporis spatium in usum venisse sparlam. Q
o ae s ir b b a d ic b n a s c a h t d b b t
v iv a n t
NASCANTOft BT SBBI NOR POSSIRT.
•»4«
delle navi, e alla macchine degli edificii, e agli altri bisogni della vita. A tatti questi usi boato» ano spazio di manco di tr«aia miglia per lar ghezza dal lito di Cartagine nuova, e per la» ghezza meco di cento, perchè condurlo più di lontano non franca la spesa.
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qoae
X. Scrive Teafrasto, come lungo le rive dei fiumi nasce una sorte di cipolle, le quali tra la prima buccia e la parte che si mangia, hanno una certa laua, della quale già $' usavano fare calzari e vestimenti. Ma ne' libri di lui eh' io ho letto, non trovai nè io cbe paese si facesse questo, nè altra ooaa, se non che si chiamava erioforo : nè fa menzione alcuna dello aparto, ancora eh' egli con gran diligenza abbia ricerco ogni cosa tre cento novanta anni innanzi a noi, come abbiamo già detto altrove. £ perciò si vede ehe l'«so dello sparlo cominciò dopo qoel tempo. Dellb
p ia n t b
c h e n a sco no
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v iv o n o s e n z a b a -
DlCB : DI QOELLE CHB NASCONO B NON SI POSSONO SBMINABB.
E perchè noi abbiamo comincialo da'mi· XI. Et quoniam a miraculis rerum coepimus, XI. seqaemur eorum ordinem, in quibus vel maxi- racoli delle cose, seguiremo a dire di essi per mum est, aliquid uasci aut vivere sine ulla radice. ordine ; fra i quali èaommo qoello che alcuna co Tubera haec vocantur, uodique terra circumdala, sa nasca o viva senza ninna radice. Tali son quelli nullisque fibris nixa, aut saltem capillamentis, nec che si chiamano tuberi, cioè tartufi, circondali utique exluberante loco in quo gignuntur, aut per tutto dalla terra, senza veruna barbolina, rimas agente : neque ipsa terrae cohaerent. Cor alla quale s 'appoggino, nè capellamenlo veruno : tice eliam includuntur, ut plane nec terram esse non rigonfia il luogo, dove si generano, nè si fende, nè essi sono appiccali alla terra. Sono possimus dicere, nec aliud quam terrae callum. Siccis haec fere et sabulosis locis, frutectosisque ancora rinchiusi da corteccia, in modo che del tutto noo possiamo dire che siano terra, nè al nascuntor. Exoedunt saepe magnitudinem mali cotonei, eliam librali pondere. Doo eorum gene cuna altra cosa, se non se callo di lerra. Nascono in luoghi secchi, sabbionosi, e pieni di sterpi. ra: arenosa dentibus inimica, et altera sincera. Distinguntur et colore, rufo, nigroque, et intus Passano spesso la grandezza d 'una mela cotogna, candido : laudblistima Africae. Crescant, anne e giungono anche al peso d 'una libbra. Essi so vitium id terrae (aeque enim aliud intelligi potest) no di due sorli ; arenosi che son nemici a' denti, ea protinas globetar magnitudine, qua futurum ed altri che uo. Distinguonsi ancora per color rosso, e nero, e bianco deolro, e sono eccellen est ; et vivanlne, an non, baud facile arbitror tisiimi in Africa. Se crescano di lor natura, o se intelligi posse. Putrescendi eoim ratio communi* pur ciò sia difello della lerra (perchè non si può est iis cum ligno. Lartio Licinio praetorio viro intendere altro), e poi subito si facciano in palla, jura reddenti in Hispania Carthagine, paucis hia
C. PLINII SECONDI anni· scimus accidisse, mordenti tuber, ot de prehensus iulus denarius primos denles inflecte ret : quo manifestum erit, terrae naturam in se globari. Quod certum est ex iis quae nascantur, et seri non possint.
secondo la grandezza che ha uno ad avere, e se vivano, o no, credo che malagevolmente sì p o aa sapere. Certo è che s 'infracidano come il legna Pochi anni sono, avvenne a Laraio Licinio pre tore, il quale rendeva ragione in Cartagine di Spagna, che mordendo egli un tartufo, si guadò i denti dinanzi, essendovi dentro una moneta; onde è manifesto che son piuttosto lerra che di sua natura si fa globosa ; il che si vede indubi tato in quelle cose cbe nascono, e non si posnno seminare. Misi,
MlSY, ITO», GERAHIOH.
X 1L 3. Simile est et quod in Cyreoaioa pro vincia vocant misy, praecipuum suavitate odoris ac saporis, sed carnosius : et quod in Thracia iton, et quod in Graecia geranion.
XII. 3. Simile è quel bulbo, che nella provin cia di Cirene chiamano misi, cosa rara per soa vità d’ odore, e di sapore, ma molto carnoso: esso in Tracia si domanda itone, e in Greci» ge ranio.
De t u b e r i b u s . XIII. De tuberibus haec traduntur peculiari ter ; quum fuerint imbres autumnales, ac toni trua crebra, tunc nasci, et maxime e tonitribus : nec ultra annum durare: tenerrima autem verno esse. Quibusdam locis accepta riguis feruntur : sicut Mitylenis negant nasci, nisi exundatione fluminum invecto semine ab Tiaris. Est aulem is locos, in quo plurima nascuntur. Atiae nobilissi ma circa Lampsacum, et Alopeconnesum : Grae ciae vero, circa Elin.
D b’ t a r t u
D e LASERPITIO, ET LASERE : MASPBTCM.
XV. Ab his proximum dicetur auctoritate clarissimum laserpitium,quod Graeci silphion vo cant, in Cyrenaica provincia repertum : cujus suc cum vocant laser : magnificum in usu medicamentisque, et ad pondus argenti denarii pensum. Mul tis jam annis in ea terra non invenitur, quoniam publicani, qui pascua conducunt, majus ita lu crum sentieutes, depopulantur pecorum pabulo. Unus omnino caulis nostra repertus memoria, Neroni principi missus est. Si quando incidit pe cus in spem nascentis, hoc deprehenditur signo : ove, quum comederit, dormiente protinus, capra sternutante. Diuque jam non aliud ad nos invehi tur laser, quam quod in Perside, aut Media, et
fi.
XIII. De’ tarlufi si dicono peculiarmente que ste cose. Essi nascono allora qoando vengono le piogge dell* autunno e spessi tuoni, e massima mente percausa di questi : non durano piò che iìn anno, tna di primavera sono tenerissimi, lo alcuni luoghi amano le posture anoacqoabili, co me in Mitilene, dove non nascono se non qoan do i fiumi traboccano, e portano seco il seme da Tiari. Questo è luogo dove molli ne n a s c o n o , lo Asia sono nobilissimi intorno a Lampsaco, e Alopeconneso ; e in Grecia intorno a Elide. D elle
P e z ic a b .
XIV. Sunt et in fungorum genere a Graecis dicli pezicae, qui sine radice aot pediculo na scuntur.
ito h b , g e r a b i o .
v e s c ie .
XIV. Sono ancora nel numero de’ funghi le vescie, che i Greci chiamano pezici, i quali na scono senza radice o picciuolo. D el
l a s b r p iz i o b d e l l a s e r o : d b l maspeto .
XV. Dopo questi è in grandissima riputa zione il laserpizio, che i Greci chiamano silfio, trovato nella provincia di Cirene ; il cui sago è chiamato lasero, eccellente in medicina e ad al tri usi, e si pesa in ragione d'un denaio d'argen to la libbra. Già molti anni sono eh’ egli non si trova in quel paese, perciocché i pubblicani cbe compran le pasture, trovando di fare maggior guadagno da esse, lo lascian distruggere dal bestia me. Un gambo solo n’ è stato trovato a' tempi nostri, che fu mandalo a Nerone imperadore. Conosceii quando Panimale lo truova, eh’ egli è sul nascere, a questo segno ; perciocché quando la pecora Γ ha mangiato, subito s'addormenta, « 1*
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XIX.
Armenia nascitur large, sed malto iofra Cyrenai cum : id quoque adulteratum gammi, sacopeuio, aat faba fracta. Quo minus omittendum videtur, C. Valerio, M. Herennio coss. Cyrenis advecta Romam pnblice laserpitii poudo xxx ; Caesarem vero dictatorem initio belli civilis, inter aurum argentumque protulisse ex aerario laserpitii pon do exi. Id apud auctores Graeciae evidenlissimos invenimus nalum imbre piceo repente madefacta tellure, circa Hesperidum bortos Syrtimque ma· jorem, septem annis ante oppidum Cyrenarum, quod conditum est Urbis nostrae anno cxun. Vim autem illam per quatuor millia stadiùm Africae valuisse. In ea laserpitium gigni solitum, rem feram ac contumacem, et si colerelur, in de serta fugientem : radice mulla crassaque, caule ferulaceo, aut simili crassitudine.Hujus folia mas petum vocabant, apio maxime similia. Semen erat foliaceum, foliam ipsum vero deciduum.Vesci pecora solita, primoquepurgari, mox pinguescere, carne mirabilem in modum jucunda. Post folia amissa, caule ipso et homines vescebantur deco cto, asso, elixoque: eorum quoque corpora x l primis diebus purgante a vitiis omnibus. Succus duobus modis capiebatur : e radice, atque caule. Et haec duo erani nomina : rbizias, atque caulias vilior illo ac putrescens. Radici corlex niger. Ad mercis adulteria, succum ipsum in vasa coujectum, admixto furfure, subinde concutiendo ad maturitatem perducebant; ni ita fecisseut, putre scentem. Argumentum erat maturitatis, color, siccitasque sudore finito. Alii traduiit laserpitii radicem fuisse majorem cubitali, tuberque iu ea supra terram. Hoc inciso, profluere solitum suc cum, ceu lactis, supereuato caule, quem tnagydarin vocarunt. Folia aurei coloris pro semine fuis se, cadentia a Canis ortu, Austro flanle. Ex his laserpitium nasci solitum, annuo spatio et radice et caule consummantibus sese. Hoc et circumfodi solitum prodidere. Nec purgari pecora, sed aegra sanari, aut prolinns mori, quod in paucis accidere. Persico silphio prior opinio congruit.
capra starnutisce. Ed è già lungo tempo, che a noi non è portato altro lasero, fuorché quello, che doviziosamente nasce in Persia, o in Media, ο ία Armenia, ma molto più vile che quello di Cireue, il quale anch’ esso è falsificalo con gom ma o con sagopenio, o con fava infranta. E però non è da passare, come essendo consoli Caio Va lerio, e Marco Erennio, da Cireoe furon portate a Roma in pubblico trenta libbre di laserpizio. E Cesare dittatore ne' principii della guerra ci vile fra l'oro e l’ argento cavò dell'erario cento undici libbre di laserpizio. Appresso chiarissimi autori Greci troviamo quello esser nato nella terra bagnata da subila pioggia di pece, circa gli orti delle Esperidi e la Sirte maggiore, sette anni innanzi alla città di Cirene, la quale fu edificata 1' anno centoquaranta tré della città nostra. Que sta iufluenza si distese in Africa per cinquecento miglia. In essa è solito nascere il laserpizio, oosa fiera e contumace ; e se si coltivasse fugge ne’diserli : ha molla e grossa radice, con gambo di ferula, ma differente di grossezza. La foglia sua si chiamava maspeto, molto simile all’ appio. Il seme era come foglia, e la foglia stessa cadeva nella primavera. 1 bestiami erano usati di pa scerlo, e prima purgava, dipoi ingrassava, facen do la carne mirabilmente gioconda. Dopo la ca duta delle foglie gli uomini mangiavano il gam bo collo arrosto e lesso : esso purgava i corpi loro i primi quaranta giorni da tutti i cattivi umori. Il sugo si pigliava in due modi, dalla ra dice e dal gambo, e perciò aveva due nomi ; rizia, e caulia ; questo però era più vile di quel lo, e si guastava. La corteccia della radice è nera. Si falsificava per vendita mettendone in vasi il sugo mescolalo con la crusca, cui di continuo sbattendo conducevano alla maturità : se non avessero fallo così, si putrefaceva. 11 segno della maturità era il colore, e la secchezza che acqui stava via via che avesse cessato di svaporare. Alcuni dicono che la radice del laserpizio era maggiore d ' un cubito, ed avea un rigonfia mento sopra la terra ; e che tagliato questo era solito colare sugo come latte, e disopra nasceva un gambo, il quale chiamarono magidari. Aveva foglie di colore d' oro in luogo di seme, le qua li cadevano dopo il nascimento della Canico la, quando soffiava Ostro, e di quelle nasceva il laserpizio,e per ispazio d'un anno la radice e il tor so si consumavano. Scrivono eh’ esso comportava la cultura, e d'essere intorno affossato. Non pur gava altrimenti il bestiame, ma guariva le bestie maiale, o subilo le ammazzava ; il che interveni va a poche. La narrazione di prima conviene al silfio di Persia.
C. PLINII SECUNDI
ι ? |ι H ifiT D M II.
M a g id a · ! .
XVI. Alterino genas ejos est, quod roagydaris vocatur, tenerius et minos vehemens, sine succo : quod circa Syriam nascitur, non proveniens iu Cyrenaica regione. Gignilur et in Parnasso monte copiosius, quibosdam laserpitium vocantibus : per quae omnia adulteratur rei saluberrimae utiItssimaeqae auctoritas. Probatio sinceri prima, in colore modice rufo, et qoum frangitur, candido intos, mox translucente: gotta, aqua salivaque liquescit. Usus in multis medicaminibus.
XVI. Ve n5 ha un' altra aorte, cbe ή efciami magidari, piò tenero e manco possente, e sona sugo, il quale nasce in Siria, e noa alligo· io Ci rene. Nasce ancora do vitiosam ente ia Parnaso, · da alcuni è chiamato laserpizio, falsificando per queste qualità del magidari la ri putatione di quella si salutifera e utile pianta. Conoeeesi il vero prima al colore, eh' è un poco r o so , e quan do si rompe è bianco dentro: dipoi traioce, pai fa gocciola d 'acqua trasparente, e si disfa eoo la saliva. Usasi in molte medicine.
Da a cB iA . XVII. Sunt etiamnum duo genera, non nisi sordido nota vulgo, quum quaestu multum pol leant. In primis rubia tingendis lanis et coriis necessaria. Laudatissima Italica, et maxime subur bana: et omnes paene provinciae scatent ea. Sponte provenit, seriturque similitudine erviliae. Verum spinosus ei caulis: geniculatus hic est,quinis circa articulos in orbe foliis. Semen ejus rubram est. Quos in medicina usus habeat, suo dicemus loco.
D
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RADIC0LA.
XVIII. At quae vocatur radicula, lavandis demum lanis succum habet : mirum quantum conferens candori mollitiaeque. Nascitur sativa ubique, sed sponte praecipua in Asia Syriaque, saxosis et asperis locis. Trans Euphratem tamen laudatissima, caule ferulaceo, tenui, et ipso cibis indigenarum expetito, et unguentis, quidquid sit cum quo decoquatur: folio oleae. Struthion Graeci vocant : floret aestate, graia aspectu : re tata sine odore, spinosa, et caule lanuginoso. Se men ei nullum, radix magna, quae conditur ad quem dictum est usum.
H obtorum
g b a t ia .
XIX. 4 · Ab his superest reverti ad hortorum curam, et suapte natura memorandam, et quoniam antiquitas nihil prius mirata est, quam Hes peridum hortos, ac regom Adonis et Alcinoi : itemque pensiles, sive illos Semiramis, sive Assy riae rex Cyrus fecit, de quorum opere alio volu mine dicemus. Romani quidem reges ipsi colue re. Quippe etiam Superbus Tarquinius nnntium illum saevum atque sanguinarium filio remisit
D ella
h o b b ia .
XVII. Soocene doe altre sorti ancora, le q u i non sono conosciute se non dal volgo rotto, per chè danno assai guadagno. Prima la robbia. li quale è necessaria a tignere le lane e i caoi. Ec cellentissima è nell' Italia, e massimamente intor no a Roma, e quasi tutti i paesi ne fanno domù. Nasce da sè stessa, e seminasi com eta robiglia; ma il suo gambo è spinoso, e ha i nodi, e into r a o ad essi ha cinque foglie in tondo. Il seme sao è rosso. Quel eh' ella serva nelle medicine, lo di remo al suo luogo. D
ella b a d ic c l a .
X Vili. Quella, che si chiama radicula, ha sugo alto a lavar le lane ; ed è m a r a Tiglioso a dire quanto le fa bianche e morbide. Ella si può piaa lare, per tulio, ma da sè stessa nasce massimamente ia Asia e in Siria, in luoghi sassosi e aspri Di là dall'Eufrate è molto lodata : ba il gambo sottile come la ferula, e i paesani Γ osano per cibo grato, e tinge tutto quello con cui si cacce, e ha foglia d 'ulivo. 1 Greci la chiamano ilrtrtion: fiorisce la stale, ed è vaga a vedere, na senza odore, spinosa, e col gambo lanuginoso. Ella non ha niun seme : ha gran radice, la quale si condi sce per l'uso che abbiamo detto. D ella
cuba d e g l i o s t i .
XIX. 4. Dopo tulio ciò rimane cbe noi lornumo alla cura degli orli, la quale e per sua natara è memoranda, e perchè l ' antichità non ebbe di che più maravigliarsi, che degli orti delle Espe ridi, e dei re Adone e Alcinoo, e degli orli pen sili, i quali furono falli o da Semiramide, o da Ciro re d'Assiiia, dell'opere de'qaali ragio neremo io altro libro. 1 re Romani di lor pro pria mano lavorarono gli orli. Poiché anche Tat-
ι?53
HISTORIARUM MUNDI LIB. XIX.
ex horto. Ια χιι tabulis leguaa nostrarum noe* quam nominatur villa, semper in significatione ea bortus : in horto vero heredium. Quam rem comitata est et religio quaedam : hortoque et foco tantum contra invidentium effascinationes, dicari videmus in remedio salyrica signa, quamquam bortos tnlelae Veneris adsignante Plauto. Jam quidem hortorum nomine in ipsa urbe delicias, agros, villasque possideat. Primus hoc instituit Athenis Epicurus, otii magister. Usque ad eum, moris non fuerat in oppidis habitari rura. Romae quidem per se hortus ager pauperis erat.
Ex horto plebei macellum, quanto innooenliore victu ! Mergi eoim, credo, in profunda sa· tius est,et ostrearum genera naufragio exquiri,aves ultra Phasidem amnem peti, et fabuloso quidem terrore tutas, imrao sic pretiosiores, alias in Nu midiam atque Aethiopiae sepulcra : aut pugnare cum feris,Oaandiquecapientem quodmandatalius. At hercule quam vilia haec, quam parata volu ptati salietalique, nisi eadeiu, quae ubique, indi gnatio occurreret ! Ferendum sane fuerit exqui sita nasci poma, alia sapore, alia magnitudine, alia monstro, pauperibus interdicta : inveterari vina, saccisque castrari ; nec cuiquara adeo longam esse vitam, ut non ante se genita potet: e frugibus quoque quoddam alimentum sibi excogitasse lu xuriam, ac medullam tantum earum : superque pistrinarum operibus et caelaturis vivere, alio pane procerum, alio vulgi, tot generibos usque ad infimam plebem descendente annona. Etiamne in herbis discrimen inventum est, opesque diffe rentiam fecere in cibo, etiam uno asse venali f In his quoque aliqua sibi nasci tribus negaut, caule in tantum saginato, ut pauperis mensa non capiat. Silvestres fecerit natura corrudas, nt quisque demeteret passim : ecce altiles spectan tur asparagi : et Ravenna ternos libris rependit. Heu prodigia ventris! Mirum esset non licere pecori carduis vesci : non licet plebi. Aquae quo que separantur, et ipsa naturae elementa vi pe cuniae discreta sunt. Hi nives, illi glaciem potant, poentsque montium in voluptatem gulae ver tunt. Servatur algor aestibus, excogitalurqne ut alienis mensibus nix algeat. Decoquunt alii aquas: mox et illas hiemant. Nihil utique homini sic, quomodo rerum naturae placet. Etiamne herba aliqua divitiis tantum nascitur? Nemo Saeros Aveotiuosque montes, et iratae plebis secessus circumspexerit : mox enim certe aequabit, quos pecunia separaverit. Itaque hercule nullam ma celli vectigal majus fuit Romae, clamore plebis
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quinio Snperbo rimandò al figlinolo quel crudele e sanguinario messo dall1 orto. Nelle dodici tavole delle nostre leggi non si nomina mai villa, ma sempre in quel significato orto, e nel significato dell' orto, i piccoli poderi lasciati in eredità. Al che va accompagnata una certa religione, perché veggiamo che solamente negli orti e ne' focolari coutra il fascino degl* invidiosi non dedicate le statue di Priapo, benché Plauto assegni a Venere la tutela degli orti. E già alcuni sotto questo nome d'orti in Roma stessa hanno luoghi di pia* cere, possessioni e ville. Il primo che ordinò questo in Atene fu Epicuro, maestro dell* ozio : prima di lui non s’ era mai usato aver le ville deulro alle citlà. A Roma l'orto per sè era il campo d' on povero. 1 plebei avevano tutta la loro beccheria nel l'orlo; e quanto più costumata vita era la loro ! Or si ama meglio tuffarsi nel fondo del mare, e a forza di naufragii andare cercando diverse sorli d 'ostriche, e mandare fino olirà il fiume Fasi per gli uccelli, sicuri per favoloso spavento, anzi per questo più preziosi e più cari; ovvero fino in Numidia, e nelle sepolture d' Etiopia, o combat tere con le fiere; comese desiderassimo d 'esser mangiati da quelle fiere, le quali si pigliano per chè sieno mangiale da altri ? Ma quanto sono comuoi queste cose, e quanto conducenti al piacere e alla sazietà, se anche di qneste, come dell1 altre cose, non venisse fastidio! E certo si potrebbe sop portare che nascessero tanti fruiti esquisiti, diversi di grandezza e di sapore, o per un cerio prodigio, i quali sou vietali a1 poveri ; e cbe i viui si faces sero invecchiare, e si mitigassero per colatura da sacco, e che non ci fosse alcun sì vecchio, che non Leesse de1viui nati innanzi a lui ; e che delle biade ancora la morbidezza avesse trovalo un cerio alimento, il quale è solamente della midolla d 'esse ; e inoltre che si vivesse delle placente e delle cialde lavorale da'panati ieri, di maniera che alcuni vivono del pane de' nobili, alcuni di quello del vulgo, scendendo tuttavia la vettova glia per tante sorti fino alla più bassa plebe. Ma s ' è ancora trovalo differenza nell' erbe, e le ric chezze hanno fatta differenza in un cibo, che non vale più che un soldo; di maniera che alcune povere persone dicono che queste tali erbe non nascono per loro, perchè si ia tanto ingrassare il cavolo, che noi può sostenere la mensa del po veretto. La natura aveva (allo gli sparagi salva tichi e aspri, perchè ognuno ne potesse corre ; ma ecco che ora s'è trovato modo d1 ingrassargli, e Ravenna ne manda di quegli, che tre pesano uua libbra. O prodigii del ventre ! Sarebbe ma raviglia, se non fosse lecito al bestiame pascere i cardoni, e pur veggiamo che non è lecito all*
»755
C. PUNII SECONDI
incusantis «pud omnes principes, donec remissum est portorium mercis hujus: comperlumque ooo aliter quaestuosius ceusuro haberi aut tutius, ac minore fortunae jure, quum credatur pensio ea pauperum, ls io solo sponsor est, et sub dio re· di tus, supcrficiesque coelo quocumque gaudens.
Hortorum Calo praedicat caules. Hinc pri mam agricolae aestimabantur prisci, et sic statim faciebant judicium, nequam esse in domo ma trem familias (elenim haec cura teminae diceba tur) ubi indiligens esset hortus: quippe e carna rio, aut macello vivendam esse. Sed nec caules, ut nunc, maxime probabant, damnantes pulmen taria, quae egerent alio pulmentario: id erat oleo parcere; nam gari desideria etiam in exprobra tione erant. Horti maxime placebant, quia non egerent igni, parcerentque ligno, expedita res et parata semper : unde et acetaria appellantur, fa cilia concoqui, nec oneratura sensum cibo, et qaae minime accenderent desiderium pauis. Pars eorum ad condimenta pertinens fatetur domi ver suram fieri solitam : atque non Indicum piper quaesitam, quaeque trans maria petimus. Jam quoque in fenestris suis plebs urbana in imagine hortorum quotidiana oculis rura praebebant, an tequam praefigi prospectus omnes coegit multi* tudinis innumerae saeva latrocinatio. Quamob rem sit aliquis et his honos, neve auctoritatem rebus 'vilitas adimat, quum praesertim etiam co gnomina procerum inde nata videamus; Lactucinosque in Vnleria familia non puduisse appellari : et contingat aliqua gratia operae curaeque no strae, Virgilio quoque confesso, quam sit difficile verborum honorem tam parvis perhibere.
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plebe. Si separano eziandio le acque, e la forza del denaio fa differenza negli elementi della na tura. Questi beooo la neve, quegli il ghiaccio, e il fastidio de’ monti volgono in diletto di gola. Serbasi il freddo ne1 caldi, e traodasi modo che la neve riofresca fuor di stagione. Alcuni cuocono l’ acque, poi le fanno agghiacciare. E cosi Γ uomo uon ha nulla, secondo che piace alla natura. Or non c' è egli anco qualche erba, che nasce sola mente per li ricchi ? Nessuno guardi intorno nei monti Sacri e negli Avealioi,oè lì dorè si ritirò la plebe adirata, perchè ira poco diventeranno pari quegli che le ricchezze faceano differenti.Però nes suna gabella del macello fu maggiore a Roma per le grida della plebe, la quale se ne doleva con lotti i nobili, fino a tanto che tale gabella non fu le vala, e trovossi che in nissun altro modo si po teva lare nè più abbondante, nè più sicaro gua dagno, nè meno soggetto alla forlnoa, che eoo lo slimare che ciò sia gabella de’poveri.Qaesti hanno il mallevadore nel terreno, e l ' entrala e il frutto è al sole, e la superficie è esposta ad ogni qua lità d'aria. Catone loda i cavoli ortensi. Dalla cultura de gli orli si faceva stima degli agricoltori antichi, e subilo si giudicava che in ana casa, dove Γ orto era male a ordine, fosse cattiva e infingarda ma dre di famiglia (sendo che di ciò avevano cara le donne), perciò che per mancanza d'erbaggi do vevasi vivere di carnami. Anzi neppur i cavoli lodavan essi, come facciamo noi ora, perchè bia simavano quelle vivande,le quali avevano bisogno d'altre vivaudee condimenti. Questo era rispar mio di olio, ed era una vergogna desiderare delle cose salse. Gli erbaggi soprattutto piacevano, poi ché non avevano bisogno di fuoco,e risparmiavano le legne, ed eran cosaespedila,e sempre in panto; e perciò si chiamarono acetarii, facili a cuocersi, i quali non aggravavano il senso col cibo, e non ac cendevano il desiderio del paue. Gli erbaggi che servono ai coudimenti nou sono di gran vaiata, ma recano lo stesso piacere che quelli di più gran prezzo ; il perchè anticamente non si ricercava il pepe Indiano, nè l'altre cose oltre a mare. £ già nelle sue finestre la plebe della citlà teneva tale immagine d 'orti, che lutto il giorno si po teva vedere, innanzi che la crudele ladroncellerìa della innumerabile mollitudine costrignesse a perdersene tutta la vista. E perciò facciasi ancora qualche poco d'onore agli or ti,e benché sieno ami le cosa, non tolgasi loro affililo la riputazione,mas simamente che noi veggiamo ancora i cognomi dei nobili essere di qui venuti, poiché quelli della famiglia Valeria non si vergognarono esser chia mati Lallucini. Abbia anco alcuna grazia l'open e cura nostra, massimamente avendo detto Vir-
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HISTOKUROM MUNDI LIB. XIX.
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gilio quanto sia difficile lare onore di parole a cose tanto pìccole. D ig b s tio
terrab.
D
ispo sizio n e d e l t e r r b n o .
XX. Hortos villae jungendos non est dubium, XX. Egli non è dubbio alcuno che gli orli sì riguosque maxime habendos, si contigat, prae debbono congiugnere con la villa, e sopra tutto fluo amne : si minus e puteo rota, organìsve pneu si debbono potere innacquare, e se possibile è, maticis, vel tollenonum haustu rigaodos. Solum aver presso il fiume ; e se non si può altro, an proscindendum a Favonio : in autumnum prae nacquine! con F acqua del pozzo, la quale s’ at parandam est post xiv dies, iteranduraque ante tinga o con la ruota, o con man lice,o con mazzaca brumam. Octo jugerum operis palari jastum est, vallo. Deesi arare il terreno quando soffia il vento (imum tres pedes allecum terra misceri, areis di Favonio, e dopo quattordici giorni prepararlo stingui, easque resupinis pulvinornm toris, am per Faatunno,ed ararlo pur di nuovo innanzi alla biri singulas tramitum sulcis, qua detur accessus bruma. A lavorare un iugero con la vanga bi homini, scatebrisque decursus. sognano otto opere. Il li lame si mescola tre piedi sotto con la terra, e dislinguesi F orlo in piazze, che stieno come convesse, gonfie nel mez zo, e circondale da solchi con viottoli, per dove possa ir F uomo, e scorrere F acqua. Di
N ascen tiu m , p r a e t e r f r u g e s , b t fr u tic e s .
ciò chb nascb, o l t r e l e b ia d e b i f r u t t i .
XXI. Delle cose che nascono negli orti, d 'al XXI. In hortis nascentium alia bulbo com cune piace la cipolla, d 'alcune il capo, d1alcune mendantur, alia capite, alia caule, alia folio, alia il torso, d 'alcune la foglia, d 'alcune F uno e F al utroqne, alia semine, alia cortice, alia cote, aut tro, d’ alcune il seme, d’ alcune la buccia, d 'al cartilagine, alia cnrne, alia tunicis carnosis. cune la pelle, d 'alcune la cartilagine, d 'alcune la carne, d 'alcune le scorze caroose.
N
a t u r a , b t gknbha, e t h is t o r ia e
n a sce n tiu m
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N a t u r a , e specie, e s t o r i e d i v e r t i co se c h e n a
HORTIS RBRUM XX. I n OMNIBUS DICITOR QUOMODO
scono n e g li o r t i .
QUAEQUE SERANTUR.
SEMINI.
XXU. Aliorùm fructus in terra est, aliorum et extra, aliorum non nisi extra. Quaedam jacent crescunique, ut cucurbitae et cucumis. Eadem pendenl, quamquam graviora multo etiam iis quae in arboribus gignunlnr : sed cncumis carti lagine. Cortex huic uni maturitate transit in li gnum. Terra conduntur raphani, napique, et rapa : atque alio modo inulae, siser, pastinacae. Quaedam vocabimus ferulacea, ut anelhuro, mal vas. Namque tradunt auctores, io Arabias septi mo mense arborescere, bacutoromque usum prae bere extemplo. Sed el arbor est malva in Maure tania Lixi oppidi aestuario, ubi Hesperidom hor ti fuisse produntur cc passibus ab Oceano, juxta delubrum Herculis, antiquius Gaditano, ut ferunt. Jpsa altitudinis pedum xx, crassitudinis quam circumplecti nemo possil. In simili genere habe bitur el cannabis. Necnon et carnosa aliqaa ap pellabimus, ut spongias in humore pratorum ena· scenles. Fungorum enim callum, io ligni arbo-
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D o g n u n a si d i c e c o m e s i
XXII. Alcune fanno il frutto in terra, alcune ancora di fuori ; e alcune non se non di fuori. Al cune crescono giacendo, come le zucche e il coco mero. Queste anche stanno pendenti, benché sieno molto più gravi, che i fruiti nati sugli alberi : ma il cocomero ha cartilagine. La corteccia a questo solo, quando egli è malore, diventa legno. Sotto terra stanno rafani, navoni e rape, e in altro modo la enula, il sisero e le pasliuache. Al cune erbe sono ferulacee, come F aneto e Ir malva. Perocché scrivono gli autori, che io Ara bia le malve in sette mesi diventano alberi, e sì usano tosto in luogo di bastoni. Ma ancora in Barberia nelle lagune della città di Lisso la malva è albero, dove si dice che già furono gli orli del le Esperidi, dugenlo passi lontano dal mare, pres so al tempio d' Ercole, più antico che il Gadita no, secondo che dicono. Essa è alta venti piedi, e tanto grossa, che nessuno la può abbracciare, la simil genere si terrà ancora 1« canape. Chiame-
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C. PLINII SECONDI
rotnque nalura diximus, et alio genere tnbernm paullo ante.
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3
Q u a b CARTILAGINEI GENKH S : CUCUMERES : PEPOHR .
remo ancora alcune altre cose carnose, come le spugne, che nascono dell' uomore de' prati. Già il callo de' funghi lo dicemmo parlando della na tura del legoo e degli alberi, e nell' altro genere de' tartufi poco avanti. Di
q u e lle cbe
sono
c a r t i l a g i n o s e : co c o m eri, pepo».
XXUl. 5 . Cartilaginei generis, extraque ter ram est cacumis, mira voluptate Tiberio principi expetitus. Nullo quippe non die contigit ei, pen siles eorum hortos promoventibus in solem rotis olitoribns : rursasqae hibernis diebus intra spe cularium munimenta revocantibus. Quin lacte mulso semine eorum biduo macerato, apud anti quos Graeciae auctores scriptum est seri oportere, ut dulciores fiant. Crescunt qua cogantur forma. In Italia virides, et quam minimi : iu provinciis quam maximi : et cerini, aut nigri. Placent co piosissimi Africae, grandissimi Moesiae : quum magnitudine excessere, pepones vocantur. Vi vunt hausti in stomacho in posterum diem, neo perfici queunt in cibis, non insalubres tamen plu rimam. Natura oleum odere mire : nec minus aquas diligunt. Dejecti quoque ad eas modice distantes adrepunt : aut si quid obslet, versi pan dantor, curvanlurque : id vel un» nocte depre henditor, si vas com aqua subjiciatur a quatuor di gii orum intervallo, descendentibus ante poste ram diem : at si oleum eodem modo sit, in hamoi curvati·, lidera in fistula flore demisso, mira lon gitudine crescunt. Ecce quum maxime nova for ma eorum in Campania provenit mali cotonei effigie. Forte primo natura ita audio unum : mox semine ex illo genus factum : melopeponas vocant. Non pendent hi, sed humi rotundantur. Mirum in his, praeter figuram coloremque, et odorem, qaod maturitatem adepti, quamquam non pen dentes, slatini a pediculo reoedunt, Columella saom tradit commentum, ut loto anno contin gant. Fruticem robi quam vastissimum in apri cum locum transferre, et recidere, duura digito rum relicta stirpe, circa vernum aequinoctium : Ha in medulla rubi semine cucumeri* insito, terra mioata fimoqoe circumaggeratas resistere frigori radices. Cucumerum Graeci tria genera fecere : Laconicum, Scytalicum, Boeoticum. Ex bis tantam Laconicum aqoa gaudere.
Soat qui herba, quae rocalur culix nomine, trita, semen eorum maceratam «eri jabeant, at sine semine nascantur.
XXIH. 5. Di specie cartilaginosa, e fuor della terra, è il cocomero, ricercato eon gran diletto da Tiberio imperadore. Egli ne poteva avere ogni giorno, perch'erano in orli portatili eoa le mote, e gli ortolani gli cavavano fuora si sole, e il verno gli tiravano al coperto. Di pià gli au tori Greci scrivono che il seme loro si tiene ine giorni in macero nel latte melato, acciocché di ventino più dolci. Crescono in quella forma, che sono costretti a crescere. In Italia sono verdi e piccolissimi, nelle province grandissimi, gialli come la cera, o neri. In Africa piacciono copiosis simi, e grandissimi io Mesia; ma quando hanno passato una certa grandezza, si chiamano pepoai. Vivono nello stomaco fino all'altro giorno, nè si possono smaltire ; ma non però sono insalubri. Naturalmente hanno in odio l ' olio, e amano mol to 1' acqua. Distesi ohe siano, stando poco di scosto dall' acqaa, se le appressano, o se alcuna cosa s 'oppone, pendono e si curvano a qaella volta. Ciò si pruova essere vero in una sola notte, perché se si mette loro sotto un vaso con acqaa, discosto quattro dita, innanzi all1altro dì scen deranno a essa: ma se l'olio sta lor presso nel medesimo modo, si ripiegheranno a guisa d' ami. 1 medesimi, se il fiore si mette in un bacciuolo, crescono in maravigliosa lunghezza. Ed ecco di· in Campagna venne fuora una nuova foggia di essi, cioè con figura di mela cotogna. Odo tic prima ne oacque ano oosì a caso, dipoi da quel seme se ne fece il genere, e chiaroansi malopepoai. Questi non istanuo sospesi, ma in terra si lànno tondi. Ed è maraviglia in questi, oltra la figura, il colore e l ' odore, che quando son maturi, ben ché non pendano, subilo si partono dal picciuolo. Columella rapporta ana sua invenzione, acciocché ne sia per luito l ' anno. Egli toglie uno sterpo di prono, quanto si paò aver grande, e piantalo in luogo volto al sole iolorno all' eqainoaio della primavera, e dipoi lo taglia, lasciandone sola mente dae dila, e nella midolla mette il seme, e oon terra trita e grassume rincalza le radici, ac ciocché elle reggano al freddo. I Greci poligono tre sorti di cocomeri ; il Laconico, lo Scitalioo, e il Beotico. Di questi solo il Laconico ama l ' acqua. Alcani mettono il seme in macero con un' er ba trita, la quale chiamano calice, e poi lo pon gono, acciocché nasca sensa sene.
HISTORIARUM MUNDI LIB. XIX. CoCUBBITA.
D ella
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zucca.
XXIV. Similis et cucurbitis natura, dumtaxat XXIV. Di simii natnra ancora è la zucca, ma in nascendo. Aeque hiemem odere. Amant rigoa solamente nel nascere. Aoch’ essa teme il freddo. ac fimum. Seruntur ambo semine in terra sesquiAma l'acqua e il grassume. Araendue si seminano pedali fossura, inler aeqninociiom T e r n a m , et in fossa fonda nn piè e mezzo, dalla metà di Marzo solstitium: Palilibus lamen aptissime. Aliqui alla metà di Giugno; però il miglior tempo è ai malunt ex kalendis Martii cucurbitas, et non:s ventuno di Aprile nella festa di Pale.Alcuni dicono cucumeres, et per Quinquatrus serere, simili mo in calende di Marzo le zncche, e a' selle · a’ venti do reptantibus flagellis scandentes parietum aspe i cocomeri. Vanno ambedue impigliandosi eoi loe ra in tectam usque, natura sublimitatis avida. tralci per le scabrosità delle muraglie, e salgono Vires sine adminiculo standi non sunt, velocitas fino a*letti, essendo desiderosi molto d'ire ia pernix, levi umbra cameras ac pergulas operiens. alto. Non possono però reggersi senza appoggio : Inde haec duo prima genera: camerarium; et la zucca è veloce nel crescere, e con leggeri om plebejum, quod humi repit. In priore mire teooi bra cuopre pergole, e luoghi fatti in volta. Onde pediculo libratur pondus immobite aurae. Cu ne sono di due sorti, Γ ona chiamata camerari·, curbita quoque omni modo fastigatur, vaginis Γ altra plebea, la quale va per la terra. La came rari» libra immobilmente nell’ aria tutto il soo maxime vitilibus, conjecta in eas postqnam de peso per piccolissimo picciuolo. La zucca si tir· floruit : crescilque qua cogitur forma, plerumque et draconis intorti figura. Libertate vero pensili in punta a qual modo si voole con porla deotro concessa, jam visa est nnvem pedum longitudinis. a una vagina fatta di vimini subito ch'ella sfiori : Particulatim cucumis floret, sibi ipse superflore cresce nella forma che è costretta prendere, e scens, et sicciores locos patitur, candida lanugine talvolta di ritorto serpe. Che se si lascia pender obductus, magisque quum crescit. libera, a' allunga talora fino in nove piedi, sicco me se a’ è veduta alcuna. Il cocomero non fiorisce a un tratto, ma a parte a parte, fiorendo aopra a sè stesso. Sopporta i luoghi più secchi, e va co perto di bianca lana, massimamente mentre che egli è in crescere. La zucca è utile a molte cose : prima il gambo Cocurbilarum numerosior usus. Et primus quando è tenero si mangia : il resto è di natura caulis in cibo. Atqoe ex eo in totum natura di affetto diversa. Naovamente ne' bagni usano le versa. Nuper in balinearum usum venere urceorum vice, jam pridem vero etiam cadorum ad zucche in Inogo d 'orcioolo, e già buon pezzo se vina condenda. Cortex viridi tener: deraditur ne fanno vasi da vino. Ha tenera corteccia, che nondimeno si rade ne'cibi. In qualsivoglia modo nihilominus in cibis. Cibos salubres ac lenes plnribus modis existimant, qui perfici humano ven si mangino, son cibo sano e leggero, perché quantunque non si possano smaltire nel corpo deltre non queant, sed non intumescant. Semina l'uomo, però non rigonfiano. 1 semi che furono quae proxima collo fuerint, proceras pariunt: item ab imis, sed non comparandas supra dictis : vicini al collo, le fanno grandi, e così que' che quae in medio rotundas : qnae in lateribus, cras sono iu fondo, ma non già tanto quanto qne'di sas brevioresqne. Siccantur in umbra, et quum cima : quelli che furono nel mezzo le fanno rolibeat serere, in aqua macerantur. Cibis, quo tonde; e quelli che nei fianchi, più larghe che lunghe. Seccanti all'ombra, e quando si vogliono longiores tenuioresque, eo gratiores. Et ob id seminare, si macerano nell'acqua. Quanto elle salubriores, qoae pendendo crevere : minimumque seminis tales habent, duritia ejus in cibis sono più longhe e più sottili, tanto sono migliori da mangiare. E perciò sono più sane quelle, che gratiam terminante. Eas quae semini serventur, ante hiemem praecidi non est mos. Postea fumo sono cresciute pendendo; e tali hanno poco seme; la cui durezza fa men grate le zucchene'lorcibi. siccanior, condendis hortensiorum semiuibus ru sticae supellectili. Inventa est ratio, qua cibis Quelle che si serbano per seme, non si colgono innanzi il verno. Poi si seccano al fumo, e servo quoque servarentur : eodemque modo cucumis, no per vasi da riporre i semi degli erbaggi.Essi tro usque ad alios paene proventusiet id quidem in v a t o aneora il modo di serbarle per mangiare ; muria fit. Sed et scrobe, opaco io loco arena substrato, fenoque sicco opertos, ac deinde terra, come anche i cocomeri, quasi fin che vengano gli virides servari tradunt. Sunt et silvestres io utro altri. Ciò si fa ponendoli nella morchia, o anche in una fossa, in luogo fresco, e cosperso di rena. que genere, et omnibus fere hortensiis. Sed et
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his medica Un lura nalura esi. Quam ob rem dif ferentur in sua volumina.
e ricoprendoli di fieno «ecco, poi cou U tern; e dicono che in qoesto modo si conservano verdi. Sono li salvatichi nelP ano e Γ altro genere, come io quasi tolte le cose degli orti. Ma questi sola mente soo buoni nelle medicine ; e perciò se ne ragionerà al luogo loro.
D e b a p is : b a p is .
D elle bapb : db* m t o i i .
XXV. Reliqua cartilaginum naturae terra oc XXV. Le altre cose, che hanno natura di te cultantur omnia. In qoibos de rapis abonde di nerume, si occultano tutte sotterra. Fra queste xisse poteramus videri, nisi medici mascolini se ci parrebbe aver ragionato abbastanza delle rape, se i medici non avessero fatte f r · esse le tonde xus facerent in his rotunda, latiora vero et con· di specie mascolina, e le più larghe e concave di cava feminini, praeslantiora suavitate, et ad con diendum faciliora : quae saepius sata transeoot femminina, le quali son migliori d s mangiare, e in marem. Iidem naporum quinqoe genera fecere: più facili a condire, ma spesso seminate passano Corinthiam, Cleonaeum, Cleonaeum, Liothasium, in maschio. I medesimi ancora hanno fatto cin Boeoticum, et quod per se viride dixerunt. Ex iis que sorti di navoni : Corintio, Cleoneo, Lio Usto, in amplitudinem adolescit Corinthium, nuda fere Beotico, e quello che dissero per sè Terde. Di radice. Solum enim hoc genas so perne tendit, questi cresce in grandezza il Corintio, ed ha la non ot celera in terram. Liothasium quidam radice presso che nuda. Questa sola va all' insù, Thracium appellant, frigorum patientissimum. e non come gli altri per terra. Il Liolasio da alea· Ab eo Boeoticum dulce est, rotunditate etiam ni è chiamato Tracio, ed è pazientissimo dd fred brevi notabile, neque ut Cleonaeam praelongum. do. Dopo quello il Beotico è dolce, e notabile per In totum quidem, quorum tenuia folia, ipsi quo breve rotondità, nè lungo come è il Cleoneo. Io que dulciores: quorum scabra, et anxiosa, et somma tulli quegli che hanno le foglie più sottili, horrida, amariores. Est praeterea genas silvestre, sono ancora più dolci : quegli che le hanno ro ri cujus folia sunt erucae similia. Palma Romae de, anguiose e rozze sono più amari. Oltra di Amiterninis datur, inde Nursinis : tertia nostra· questi ce n' è una sorte di salvatichi, le coi foglie tibus. Celera de satu eorum in rapis dicta sunt. sono simili alla ruchetta. In Roma si dà il vaoto alle rape Amiternine, poi a quelle di Norcia, poi alle nostre. L ' altre cose circa la sementa loro si sono dette, ragionando delle rape. D
b b a p h a n is.
D b' b a f a h i.
XXVI. Cortice et cartilagine oonstant rapha XXVI. I rafani, ovver radici, hanno corteccia ni : mullisque eorum cortex crassior etiam, qaam e tenerume, e molti d1 essi hanno la scorza pia quibusdam arborum. Amaritudo plurima illis est, grossa ohe certi alberi ; e quanto essa è piè pros et pro crassitudine corticis. Cetera quoque ali sa, tanto più i rafani sono amari. Gli altri 1Jenna quando lignosa. Et vis mira colligendi spiritum, volta sono legnosi. Hanno mirabil fona a far laxandique ructum : ob id cibus illiberalis, uti· riavere il fiato, e allargare il rutto; e perciò è que si proxime olus mandatur : si vero cum oli cibo poco gentile, massiraameute se eoa esso si vis drupis, rarior ructus fit, miousque foetidas. mangiano erbe; ma se con Γ ulive. Canno piò Aegypto mire celebratur propter olei fertilitatem, radi rutti, e manco, puzzoleoti. In Egilto aono quod e semine ejus faciunt. Hoc maxime cupiant molto frequentati per la fertilità deli* olio cb« si serere, si liceat : quoniam et quaestus plus quam fa del lor seme. Oode più volentieri seminerei»· • frumento, et minus tributi est, nullumque co bon rafani, che grano, se fosse lor concesso, per chè guadagnano molto più, e pagano men trilla piosius oleum. to, e nessun olio vien loro più copioso. I Greci fanno tre sorti di rafani, secondo la Gener· raphani Graeci fecere tria, foliorum differentia, crispi, atque laevis, et tertium silve differenza della foglia crespa, o distesa : la lena stre. Atque huic laevia quidem, sed breviora ac sorte è salvalica, e questa ha le foglie pulite, ma rotunda, copiosaque ; atque fruticosa : sapor au più corte, e più tonde, copiose e ramose, i l sapo tem asper, et medicamenti instar ad eliciendas re è aspro, e serve come per medicina a m u o v e re alvos. Et in prioribus Umen differentia « semine il corpo. Le due prime sorti hanno alcuna dii-
HISTORIARUM MUNDI LIB. XIX. e«t : qaoniara aliqua pejas, aliqaa admodum exi guum Ierunt. Haec vilia non cadunt, itisi iu cri spa folia. Nostri alia fecere genera : Algidense a loco, longum atque translucidum. Alterum rapi figu ra, quod vocant Syriacam, suavissimum fere ac tenerrimam, hiemisque patiens. Praecipuum ta men est, quod e Syria non pridem advectum ap paret, quoniam apud «actores aon reperilur : id autem tota hieme durat. Eliamnura unum silve stre Graeci agrion vocant, Pontici arroon, alii leucen, nostri armoraciam, fronde copiosius quam corpore. In omnibus aulem probandis maxime spectantur caules : immitium enim rotundiores crassioresque, ac longis canalibus. Folia ipsa tri stiora, et angulis horrida.
Seri vult raphanus terra solata, humida. Fimum odit, palea contentus. Frigore adeo gau det, at in Germania infantium pueroram magni· tudinem aequet. Seritur post idus Febr. at ver nas sit : iterumque circa Vulcanalia, quae satio melior. Multi et Martio, et Aprili serunt, et Se ptembri. Incipiente incremento, confert alterna folia circumobruere, ipsos vero udcuraulare. Nam qui extra terram emersit, durus fit atque fungo sas. Aristomachus detrahi folia per hiemem ju bet, et,'ne lacanae stagnent, adcumulare : ita in aestatem grandescere. Quidam prodidere, si palo adacto caverna palea insternatur sex digitoram altitudine, deinde in semen fimamqae et terra congeratar, ad magnitudinem scrobis crescere. Praecipae tamen salsis alantur. Itaque etiam ta libus aquis irrigantur, et in Aegypto nitro spar guntor, abi sani suavitate praecipui. In totum quoque salsugine amaritudo eorum eximitar, fiantque coctis similes. Namqae et cocti dulce scant, et in naporum vicem transeant. Crados medici saadent, ad colligenda acria viscernm, dandos cam sale jejunis esse, atque ila vomitio nibus praeparant meatum. Tradunt et praecor diis necessariam hunc saccum : qaando phthisin cordi intus inhaerentem non alio potaisse depelli compertam sit ia Aegypto, regibas corpora mortuorum ad scrutandos morbos insecantibus. Atque, at est graeca vanitas, fertur in tempio Apollinis Delphis adeo ceteris cibis praelatas ra phanus, at ex auro dicaretur, beta et argepto, rapum e plorabo. Scires non ibi genitam Maniam Curium imperatorem, quem Samnitium legatis aurum repudiaturo adferentibus, rapum torren tem in foco inventum annales nostri prodidere. Scripsit et Moschion Graecas unam de raphano volumen. Utilissimi in cibis hiberno tempore exi stimantor: iidemquc dentibus semper inimici,
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fereoza nel seme, perchè alcuni lo fanno cattivo, altri oe fanno pochissimo. Questi vizii non caggiono se non in quelli, che hanno le foglie crespe. 1 nostri n’ hanno fatto altre sorti : l’ Alpidense, così chiamalo dal luogo dove e' nasce, lungo e lucido. Un'allra sorte ha forma di rapa : si chia ma Siriaco, soavissimo e tenerissimo, compor ta il verno. Nondimeno il migliore è quello che veone di Siria, e che dura tutto il verno. Si tiene ch'ei venisse da non molto, perchè non se ne Iruova fatta menzione dagli autori. Éccene anco an selvatico, che i Greci chiamano agrion, i Pontici armo, gli altri leuce,i nostri armoracia, più abbon dante di fronde che di corpo. Tutti si conoscono, se son buoni, a' torsi. Perciocché quegli che sono più aspri, sono più tondi e più grossi, e di lunghi canali. Le foglie sono più amare e più ravide nei cantoni. Vuole esser seminato il rafano in terreno trito e amido. Ha in odio il grassume, e contentasi della paglia. Ama talmente il freddo, che in Lamagna cresce quanto ò uu bambino. Seminasi dopo i tredici di Febbraio, acciocché venga nella prima vera ; e un’ altra volta intorno a’ venti di Marzo; e questa semiua è migliore. Molti li seminano di Marzo, d* Aprile, e di Settembre. Qaando co mincia a crescere, è bene sotterrargli intorno ora una foglia ora un' altra, e ad esso dar terra. Per ciocché quello eh1 esce fuor della terra diventa duro e fungoso. Aristoraaco vuole che di verno si levino via le foglie, e si rincalzino di lerra le bu che loro, acciocché Γ acqua non vi si fermi ; e così la state diventano grandi. Alcuni hanno detto che facendo una buca col piuolo, e ponendosi dentro paglia all'altezza di sei dita, e ammassan do poi nel seme il concime e la terra, ei cresco alla grandezza della fossa. Ma in ispezieltà cre scono grandemente nel salso. E per questo an cora s 'annaffiano con acque salse, e in Egitto si spargono di nitro, dove sono soavissimi in per fezione. 11 sale leva loro affatto l’ amaritudine, e diventano come cotti. Perciocché qaando son colli indolciscono, e diventano di natara di na voni. 1 medici lodano i rafani crudi a raccòrrò l’ agrezza delle inleriora, e dannosi col sale ai digiuni ; e così preparano la via al vomito. Di cono aocora, che questo sugo è necessario alle precordia, perciocché s’ è trovato in Egitto, fa cendo fare i re notoraia de’ corpi morti per ve dere l ' iufermità, che il male tisico, il quale si ferma dentro al cuore, in nessun altro modo si può sanare. Anzi dicono, secondo la vanità dei Greci, che nel tempio d’ Apolline in Delfo il ra fano è talmente stato messo innanzi agli altri cibi, ch’ egli quivi fa posto d’ oro, come la bietola d’ argento, e la rapa di piombo. N i q r ò i f ex
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quoniam atterant. Ebora certe poliant. Odiam kit eam vite maximam, refugitque jaxta satos.
P a s t in a c a .
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certo nacque Mareo Corio capitan di guerra, ϋ quale gli ambasciadori de'Sanniti, veouti ad of ferirgli oro, trovarono che mangiava rape arro stite nel fuoco, come si legge nelle nostre storie. Scrisse ancora Moschio Greco un libro del rafano. Sono stimali utilissimi da mangiare il verno ; ma sempre son nemici a’deoti, perchè gli consumano. Bene è vero ch« danno il liscio all* avorio. Essi haooo grandissimo odio con la vile, la quale gli fugge, s 'essi le son seminati appresso. D b lla
p a st isa c a .
XXVII. Lignosiora sant reliqua, in cartilagi- XXVII. L'altre cose poste da me fra qoelle che hanno tenerume, son più legnose. Ed è ma nam genere a nobis posita. Mlrumque, omnibus raviglie, come tutte abbian cosi gran sapore. Fra vehementiam saporii inesse. Ex iis pastinacae anum genas agreste spoote provenit: staphylinos queste uoa sorte di pastinaca selvatica nasce de sè, e chiamasi in greco stafilioo. Un' altra sorta graece dicitar. Alteram seritur radice vel semine, primo vere vel aatamno : ut Hygino placet, Fe si semina eoo la radice, o col seme al principio bruario, Angusto, Septembri, Octobri, solo quam della primevera, o nell'autunno ; o, come vuole altissime refosso. Annicula utilis esse incipit, bi Igino, di Febbraio, d 'Agosto, di Settembre e ma utilior, gratior aatamno, patinisque maxime, Ottobre, io terreno vangato molto ben sotto. Co et sic quoque viris illi intractabile est. Hibiscam mincia incapo dell*anno a esser buona, ma in • pastinaca gracilitate distat, damnatum in cibis, due anni è migliore, e più grata nell' autunno, sed mediciaae utile. Est et quartam genus in ea massime per la cucina, quanlunqne ancora così ha on sugo intrattabile. 11 pastricciano è diffe dem similitudine pastinacae, quam nostri Galli cam vocant, Graeci vero daucoo : cajas genera rente dalla pastinaca, per essere più sottile. È etiam quatuor feeere ; inler medica dicendam. poco stimato per mangiare, ma utile in medicioa. Écci una quarta specie simile a queste, da* nostri detta Gallica, da' Greci dauco; la quale anch'essa ha quattro specie, da doversi trattare fra Ve cose medicinali. Si u m .
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XXVIII. Siser et ipsam Tiberius princeps XXVIII. 11 sisero fu nobilitato ancora esso nobilitavit, flagitans omnibus annis e Germania. da Tiberio imperadore, il qual se lo faceva veni re ogni anno di Lamagna. Gelduba si chiame un Geldaba appellatur castellum Rheno impositum, castello posto sul Reno dove e' nasce ia suprema abi generositas praecipua. Ex quo apparet frigi eccellente. Onde si conosce, eh' egli amai luoghi dis locis convenire. Inest longitudine nervus, qui freddi. Ha per la lunghezza sua il tallo, che se decoctis extrahitur, amaritudinis tamen magna gli cava, quaodo egli è cotto, conservando tutta parte relicta: quae mulso in cibis temperata, via gran parte del suo amaro, che se si tempera etiam ia gratiam vertitur. Nervus idem et pasti nacae majori, dumtaxat anniculae. Siseris satus nel vino melato, riesce poi grato nel mangiare. Il medesimo tallo ha ancora la pastinaca maggio mensibus Februario, Martio, Aprili, Augusto, re, quando ella ha un anno. Il sisero si semina di Septembri, Octobri. Febbraio, di Marzo, d 'Aprile, «l’ Agosto, di Set tembre e d 'Ottobre. I so l a .
XXIX. Brevior his est, sed torosior, amariorque inula, per se stomacho inimicissima : ea dem dulcibus mixtis saluberrima. Pluribus modis austeritate victa gratiam invenit. Namque et in pollinem tunditur arida, tiquidoque dulci tem-
D e ll'
bso la.
XXIX. Più corta di queste, ma più grossa, e quasi piena di muscoli,e più amara è l’ella o eoula, per sè mollo nimica allo stomaco ; ma qoando è accompagnata con cose dolci è sanissima. La su· austeri li si vince in più modi, di maniera ch'cila
HISTORIARUM MUNDI LIB. XIX.
peratur: et decocta posca, aat adservata, Tel macerata pluribus raodis, ei tunc mixta defruto, aut subaeta nelle, uvisve passis, aut pinguibus caryotis. Alio rursas modo cotoneis roalis, vel sorbis, aat pruuis, aliquando pipere aol thymo variata, defectus praecipue stomachi excitat, il lustrala maxime Juliae Augustae quotidiano ci bo. Supervacuum ejos semen : quoniam oculis ex radice excisis, ut arundo, seritur. Et haec au tem, et siser, et pastinaca, utroque tempore, ve re et aulumno, magnis seminum intervallis : inula ne minns quam ternorum pedum, quoniam spaUose fruticat. Siser autem transferre melius.
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s c il l a , a &o .
XXX: Proxima his est bulboruió natura, quos Cato in primis serendos praecepit, celebrans Megaricos. Verum nobilissima est scilla, quam q u a m medicamini nata, acetoque exacuendo. Nec ulli amplitudo major, sient nec vis asperior. Duo genera medica: masculum albis foliis, femina nigris. Et tertium genus est cibis gratum: epimenidium vocator, angustius folio, ac minus aspero. Seminis plurimam omnibus. Celerius ta men proveniunt satae bulbis circa lalera natis. Et ut crescant, folia quae sunt his ampla, deflexa circa obruuntur : ita succum omnem in se trahunt capita. Sponte nascuntur copiosissime in Balea ribus Ebusoque insulis, ac per Hispanias. Unum de iis volumen condidit Pythagoras philosophus, colligens medicas vires, quas proximo reddemus libro. Reliqua bulborom genera differunt colore, magnitudine, suavitate. Quippe quum quidam crudi mandantur, ut in Chersoneso Taurica. Post hos in Africa nati maxime laudantur, mox Apu li. Genera Graeci haec fecere: bulbinen, setanion, pythion, acrocorion, aegilopa, sisyrinchion. In hoc mirum imas ejus radices crescere hieme : verno autem, quum apparuerit viola, minui et contraili, tum deinde bulbum pinguescere.
Est inter genera, et quod in Aegypto aron vocant, scillae proximum amplitudine, foliis la pathi, caule recto duum cubitorum, baculi cras situdine, radice mollioris naturae, quae edatur et cruda. Effoditanlor bulbi ante ver, aut dete riores illico fiunt. Signum maturitatis, folia ina-
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diventa piacevole. Perciocché qoando è secca si pesta col fiore della farina, e stemperasi con liquor dolce ; o cuocesi con la posca, o conservasi in essa, o si macera in più modi, mescolata col vin cotto, o doma col mele, o con uve passe, o con pin gui dattili. Altrimenti si mesce con mele cotogne, o sorbe, o susine: alcuna volta variata con pepe o con timo risveglia i mancamenti dello stomaco. Fu nobilitala molto da Giulia Augusta, la quale usava mangiarne ogni giorno. Il suo seme è super fluo, perchè si pianta come la canna, con gli oc chi tratti dalla radice. Questa e il sisero e la pa stinaca »i seminano nell’ uno e l ' altro tempo, cioè la primavera e P autunno, con i semi a grandi intervalli, e nessun mauco di tre piedi, perchè spasi osamente fruttifica. 11 sisero però è meglio trasporlo. D
b l l a c i p o l l a , d e l l a s c il l a , d b l l ’ a b o .
XXX. Quasi simile a queste è la natura delle cipolle maligie, le quali Catone raccomanda che si coltivino : ei ne celebra quelle di Megara. Ma no bilissima è la scilla,cioè cipolla grossa,benché naia per medicina, e per rinforzare l'aceto. Non ve n’è alcona altra maggiore, nè di più aspra forza. Due sono le sorti della medicinale : il maschio, che ha le foglie bianche, e la femmina, che nere : la terza sorle eh' è buona a mangiare, si chiama epimenidio, che ha stretta la foglia, e manco aspra. Hanno tulle di molte seme. Nondimeno vengono più presto, ponendo le cipolle nate loro intorno a'Iati. E acciocché crescano, le foglie, le quali esse hanno grandi e ripiegate, si sotterrano intorno; e cosi i capi tirano in sè tulio il sugo. Nascono da loro copiottssimamente nell’ isole di Maiolica, e di Minolica, e nell' isola di leviza, e per tutta la Spa gna. Pitagora filosofo compose un libro d’ esse, raccogliendo le loro forze medicinali, le quali noi mostreremo nel seguente libro. L'altre sorlidi cipolle son differenti di colore, di grandezza e di soavità. Perciocché alcune si mangiano crude, come nel Chersoneso Taurico. Dopo queste mollo lodate son quelle, che nascouo in Africa, poi le Pugliesi. I Greci n' hanno queste sorti : bulbine, setaoio, pitio,acrocorio, egilopa, sisirinchio. Nella scilla, che è da maravigliare, le radici crescono il verno; e la primavera, quando le viole cominciano a comparire, esse scemano e raccorciano, e allo ra la cipolla ingrossa. Tra queste in Egitto è una specie, che si chiama aron, simile alla scilla di grandezza : ha foglie di lapato, e gambo diritlo, alto due brac cia, e grosso quanto un bastone : ha radice mor bida, la quale si mangia ancora cruda. Cavansi le cipolle innanzi primavera, o subito diventano
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rescentia «b imo ; veluslioresqne improbant : item parvos et longo·. Contra rubicnndis rotundioribasque laus, et grandissimis. Amaritudo plerisque in vertice est. Media eoram dulcia. Bulbos non nasci, nisi e semine priores tradide runt. Sed et in Praenestinis campis sponte na scuntur, ao sine modo etiam in Remorum arvis.
D b o m sio m babu m b a d i c ib u s , f l o b i b o s , f o l i i s . Q
u ib u s b o b t b h s i o b u m f o l i a c a d a n t .
peggiori. Il segno eh’ elle sieno mature è qaando le foglie loro si seccano da basso. Sono tenute manco buone le troppo vecchie, e così le piccole e lunghe. All’ incontro le rosse, le tonde, e le grandi sono più stimate. La maggior parte hanno l’ amaro in cima, e nel messo son dolci. Gli an tichi tenevano che le cipolle non nascessero, se non di seme. Ma nelle campagne di Paleslrina e di Remi nascono da loro stesse. D elle
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XXXI. 6. Hortensiis omnibus fere singulae radices, ut raphano, betae, apio, malvae. Am plissima antem lapatho, ut quae deaceodat ad tria cubita. Silvestri minor et humida : effossa quoque dia vivit. Quibusdam tamen capillatae, ut apio, malvae : quibusdam surculosae, ut oci mo. Aliis carnosae, nt belae, aat magis etiamnum croco : aliquibus ex cortice et carne constant, nt raphano, rapis : quoromdam geniculatae sunt, ut graminis. Quae rectam non habent radicem, sta tini plurimis nascuntur capillamentis, ut atriplex, et blitum. Scilla autem, et bulbi, et caepe, et al lium, non nisi in rectnm radicantor. Sponte na scentium quaedam numerosiora sunt radice, qoam folio, ut aspalax, perdicium, crocum.
Florent confertim serpyllum, abrotonum, na· pi, raphani, menta, ruta : et cetera quidem quum coepere, deflorescunt : ocimum autem particulatim etab imo incipit: qua de causa diutissime floret. Hoc et io heliotropio herba evenit. Flos aliis candidos, aliis luteus, aliis purpureus. Folia cadunt a cacuminibus, origano, ioulae, et ali quando rnlae injuria laesae. Maxime concava sunt caepae, gelhyo.
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XXXII. Allium caepasque inter deos in jure jurando habet Aegyptus. Caepae genera apud Graeoos : Sardia, Samothracia, alsidena, setania, schista, Ascalonia, ab oppido Judaeae nominata. Omnibus etiam odor lacrymosus, et praecipue Cypriis, minime Gnidiis. Omnibus corpus lotum pinguitudinis earum cartilagine. £ cunctis seta nia minima, excepta Tusculana, sed dulcis. Schi sta autem et Ascalonia condiuntur. Schistam hierae cam coma sua relinqunnt, vere folia de trahant, et alia subnascuntur iisdem divisuris : unde et nomen. Hoc exemplo reliquis quoque
XXXI. 6. Qoasi tutte 1* erbe degli orli eoo hanno più che una radice, siccome è rafano, bie tola, appio e malva. Quella del lapato è grande, e va sotto tre baccia. Il selvatico Γ ha minore e più grossa, e cavata vive assai. Alcune erbe hanno le radici capillate, come l’ appio e la malva. Alcu ne l’ hanno ramose, come il basilico. Alcane car nose, come la bietola ; ma molto più il gruogo. Alcune l’ hanno di corteccia e di carne, cornei rafani e le rape. Alcune fatte a nodi, come la gra migna. Quelle che non hanno la radice diritta, sobito fanno molti capillamenti, come Γ atriplice e il blito ; ma la squilla, le maligie, le cipolle e gli agli non hanno radici se non diritte. Delle erbe che nascono da loro slesse, a lc u n e hanno più radici che foglie, come l’ aspalace, il perdicio, e il zafferanno. Fioriscooo in una volta il serpillo,V abrolino, i navoni, i rafani, la menta e la ruta : Γ altra quando cominciano, sfioriscono. 11 basilico fiori sce a parte a parte, incominciando da basso; e però fiorisce lungamente. Questo medesimo av viene nell’ erba elitropio. Alcune hanno il fior biaoco, alcune giallo, e alcune rosso. Le fogli· caggiono dalle cime, all’ origano, alla enuia, e talora anco alla ruta che sia slata offesa. Molto concave sono le cipolle e il getio. S p e c ie
d i c ipo l l e .
XXXII. L’ Egitto ha le cipolle e gli agli per dei nel giuramento. Hanno i Greci più sorti di cipolle, siccome sono : Sardia, Samotracia, alside na, setania, sohisla, e Ascalonia, così chiamata da una città della Giudea. Hanno tutte odore che muove le lagrime, e massimamente le Cipriotte ; ma non già quelle dì Gnido. Tutte hanno il corpo guarentito da grosso tenerume. La setania è la più piccola di tutte l’ altre, fuorché la Tusculana 5 ma è dolceXa schista, e la Ascalonia si condiscono. La schista si lascia il verno con la sua chioma : la primavera le si levano le foglie, e. ve ne nascono
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generibus delrahi jubent, at in capila crescant potius, quam io semina. Ascaloniarum propria nalura. Etenim velut steriles sunt ab radice, et ob id semine seri illas,non deponi, jussere Graeci. Praeterea serius circa ver, quum germinant, transferri : ita crassescere, et tunc properare praeteriti temporis perniiamone. Festinandum aatem in his est, quoniam maturae celeriter putrescunt. Si deponantur, caulem mitlunt et semen, ipsaeqne evanescunt. Est et colorum differentia. In Isso enim et Sardibus candidissimae proveniuut. Sunt in honore et Creticae, de quibus dubitant, an eaedem siut, quae Ascaloniae, quoniam satis ca pita crassescunt : depositis, caules et semina. Di stant sapore tantum dulci.
Apud nos duo prima genera. Unam condi mentariae, quam illi gethyon, nostri pallacanam ▼ocant. Seritor mensibus Martio, Aprili, Majo. Alterum capitatae, quae ab aequinoctio autumni, ▼el a Favonio. Genera ejus austeritatis ordine, Africana, Gallica, Tusculana, Ascalonia, Amiter nina. Optima autem, quae rotundissima. Item rufa acrior, quara eandida: sicca, quam viridis : et cruda, quam cocla: sicca, quam coudita. Seri tur Amilernina frigidis el baroidis locis, et sola allii modo capite, reliquae semine. Proxima qnae aestale nullum semen emittunt, sed capat lantuin, quod inarescit. Sequenti autem anno per mutata ratione semen gignitur, capat ipsum cor rumpitur. Ergo omnibus annis separatim semen caepae causa seritur, separatim caepae seminis. Servantur autem optime in paleis. Getbyum pae ne sine capite est, cervicis tantum longae, et ideo totum in fronde : saepiusque resecatur, ut por rum. Ideo et illud serunt, non deponunt. Cetero caepas ler fosso solo seri jubent, exstirpatis ra dicibus herbarum, in jugera denas libras. Inter misceri saturejam quoniam melius proveniat. Runcari praeterea, et sarriri, si non saepias, qua ter. Ascaloniam mense Februario serant nostri. Semen caeparum nigrescere incipiens, antequam marcescat, metunt.
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sotto dell' altre con le medesime divisure, e di qui s* hanno preso il uome. Dall* esempio di questa vogliono che ancora all* altre si levino le foglie, acciocché crescano in capo, piuttosto che in seme. Le Ascalonie, o scalogne, hanno propria natara, poiché aono come sterili dalle radici ; e perciò i Greci vogliono che non ai pongano, ma se ne sparga in terra il seme ; e poi a primavera qaan do germogliano si traspongano, perchè così ingrossano, e ristorano il tempo passato. È ne cessario affrettarsi con esse, perchè sì tosto che sono mature,s*infracidano. S'elle si traspongono, ▼anno in gambo e in seme, ed esse medesime invaniscono. Écci anco differenza di colori ; per ciocché io Samo e in Sardi vengono bianchissi-· me. Sono assai in pregio le Candiotte, delle quali si dubita s* elle sono le medesime che le scalogne, perchè ingrossano assai, quando son seminate, nel capo ; e quando trasposte, nel gambo e nel seme. Però son differenti nel sapor doloe che hanno. Appresso di noi sono due specie principali : 1* nna è condimentaria, la quale i Greci chiamano getio, e i nostri pallacana. Seminasi del mese di Marzo, d* Aprile, e di Maggio. I/ altra si chiama capitata, e seminasi dopo I*equinozio dell* autun no, o dopo Favonio. Le sue specie per ordine d*asprezza sono, Africana, Gallica, Tnscalana, Ascalnnita, Amiternina. Però le migliori sono le più tonde. I
C. PLINII SECUNDI Dk p o b b o ,
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XXX III. Bisogna ancora dire alcooa cosa dei XXXIII. El «le porro in hac cognatione dici porro in qoesto genere, massimamente avendo, conveniat, praesertim quam sectivo na per au ctoritatem dederit princeps Nero, vocis gratis, non è molto tempo, Nerone imperadore dato ri putazione al porro settivo, per far booua voce; ex oleo statis mensium omnium diebus, nihilque perchè certi giorni d 'ogni mese ne mangiava eoo aliud, ac ne pane quidem vescendo. Seritur se l ' olio, e niente altro, nè pane ancora. Seminasi mine ab aequinoctio au lura no : st seclivora facere libuit, densios. In eadem area secator, donec de eoi seme dopo I' equinozio dell' autunno, e se si ficiat, stercoraturque aemper. Si notritur in ca vool fare il porro seltivo, si semina pià spetto. pita, antequam secetur, quam increvit, in aliam Nel medesimo luogo si sega tanto che manchi; e aream transfertur, summis foliis leviter recisis sempre se gli dà grassume. Se vuoisi ingrossarlo ante medullaro : et capitibos retractis, taoioisve ne'capi, prima di segarlo si trasporta ben cre extremis. Antiqui silice vel tegula subjecta capita sciuto in altro sito, tagliando lievemente le cime dilatabant : hoc item in bulbis. Nunc aarculo delle foglie sopra la midolla, e liberando il capo leviter convelluntor radices, ut delumbatae alant, dai cipollini e dalle buccie di fuori. Gli antichi neqoe distrahant. Insigne, qood qoam fimo lae· mettendo lor sotto o pietra, o tegolo, facevano toque solo gaudeat, rigua odit ; et tamen pror allargare i capi : il medesimo facevano alle ci prietale quadam soli constant. Laudatissimos in polle. Ora col sarchiello leggermente si sbarbano Aegypto, mox Ostiae, atqoe Arioiae. Sectivi duo le radici, acciocché dilombate lo nntriscano, e non genera : herbaceum fòlio incisuris ejos evidenti lo tirino. Qaesto è cosa notabile, che bench'egli bus, quo ntontor medicamentarii. Alteram genus ami il concime, e il terren grasso, non perciò pallidioris folii, rotondiorisqoe, incisuris leviorivuole essere adacqnalo ; e nondimeno desidera ribns. Fama est, Melam equestris ordinis, reum una certa proprietà di terreno. Nascono i porri ex procuratiooe a Tiberio principe accersitom, eccellentissimi in Egitto, dipoi a Ostia e a Laric cia. Due sono le sorli del porro settivo, Γ erbaceo in snmma desperatione succo porri ad trium de con foglie che hanno manifeste risegature, il nariorum argenteorum pondo* haasto, confestim qoale s' usa nelle medicine. Un' altra sorte ha la exspirasse sine orociato. Ampliorem modum ne foglia piò pallida, e più tonda, e con più leggeri gant ooxinm esse. intagliature. Dicesi che Mela cavaliere, essendo stalo chiamalo da Tiberio imperadore a render conto del suo maneggio, trovandosi perciò in gran disperazione, con sugo di porri, che prese a peso di tre danari d'argento, mori subito senza tormento. Se fosse stalo maggior quantità, dico* no che non gli avrebbe fatto male. Db
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XXXIV. Alliam ad molta roris praecipoe me XXXIV. Dicono che l'aglio giova molto per medicine di contadini. Prima tolto il capo è ve dicamenta prode«se creditor. Tenuissimis,et qoae separantnr, in nniversum velainr membranis: stilo di sottilissime bnccie tra loro staccate, dipoi mox pluribos coagmentatur nucleis, et his sepa tatti gli spicchi sono vestili ciascuno di per sè. Esso è di forte sapore. Quanto gli spicchi son ratim vestilis. Asperi saporis : qoo plores nuclei più, tanto è più forte. Fa cattivo alito, cometa fn«re, hoc est asperios. Taediom hoic quoque cipolla ; ma non qaando è colto. La differenza halito, ot caepis : nullo m tamen coctis. Genernm delle sue specie è net tempo. Il primaticcio έ differentia in tempore: praecox matorescit sexa maturo in termine di due mesi. Altra differenza ginta diebus: tam in magtiilndine. Ulpicum quo è nella grandezza.I Greci chiamarono aglio Cipria· que in hoc genere Graeci appellavere allium Cy no Γ ulpico : allri lo chiamano antiscorodo, osato priam, alii antiscorodon, praecipoe Africae ce molto in Africa nelle vivande : questo è piò gran lebratam inter pulmentaria ruris, grandius allio. de dell' altro aglio. Mettendo l ' aglio trito nelTritum in oleo et aceto, mirum quantam incre lv acelo e nell'olio, maravigliosa cosa è quanta scat spuma. Qoidam ulpicum, et allium in plajio schiuma faccia. Alconi vogliono che l'aglio al* seri velent, castellatimqne grumulis imponi, di pico oon si semini ia piano, ma poogasi lontano stantibus inter se pedes ternos. Inler grana digiti
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interesse deb«nt : simal atque iria folia erupe runt, sarriri. Grandescunt, qno saepius sarriunlur. Maturescentium caule» depreasi in terram obruuntur: ita caveliir ne in frondem luxurient. In frigidis utilius vere seri, quam autumno. Ce tero, ut odore careant, omnia haee jubentur seri, quum luna sub terra sit : colligi, quum in coita. Sine his Menander e Graecis auctor est, allium edentibus, si radicem betae in pruna tostam auperederint, odorem extingui. Sunt qui et allinna ulpicum inter Compitalia ac Saturnalia seri aptis sime putent.
Alliura et semine provenit, sed tarde. Primo enim anno porri crassitudinem capite efficit: se· quenti dividilur, tertio coosuramalur : pulchrius· que tale existimant quidam. In semen exire non debet, sed intorqueri caulis salus gratia, uli ca put validi us fiat. Quod si diulus allium caepam· que inveterare libeat, aqua salsa tepida ungenda sunt. Ita diuturniora fient, melioraqne usui, sed in satu sterilia. Alii conienti sunt primo super prunaa suspendisse, abundeque ita profici arbi· trantur oe germinent : quod facere allium cae pam que extra terram quoque certum est, et cau· liculo acto evanescere. Aliqui el allium palea opti me servari putant. Allium est et in arvis sponte nascens, alum hoc vocant: quod adversus impro bitatem alitum depascentium semina coctum, no renasci possit, abjicitur : statimque, quae devo ravere aves, stupentes manu capiuntur: et si paullum commovere, sopitae. Est et silvestre, quod ursinum vocant, odore molli, capite prae tenui, foliis grandibus.
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QUAEQUE OIE NASCANTUR.
I’ un capo dall* altro tre piedi. Fra Γ un granello e l'altro debbe essere spazio, di quattro dita ; e quando egli ha messe tre foglie è da sarchiare. Qnanto pià spesso sono sarchiali tanto diventano maggiori. Quando maturano, se ne sotterra il gambo, perchè a questo modo il vigore non se ne va nelle foglie. Ne’ Inoghi freddi è meglio se minargli la primavera, cbe Γ autunno. Ma accioc ché tulle queste cose non abbiano odore, voglio no esser seminate quando la luna è sotterra, e raccolte quando è in coogionziooe. Scrive Me nandro autor Greco, che sema questo, se man giato Γ aglio, tn mangerai una radice di bietola arrostila sulla brage, cesserà ogoi cattivo odore. Alcuni tengono che la buoua posta e sementa degli agli ulpici sia Ira le feste Compitali, e quelle di Saturno. L'aglio nasce ancora di seme, ma tardi ; per ciocché il primo anno fa il capo grosso quanto on porro: il secondo si divide, il terso viene a perfeaione ; e certi tengono che questo tale sia migliore. Non deesi lasciarlo uscire in seme, rea sì torcere ne' gambi per cagione della sementa, acciocché il capo si faccia più possente. Se vorrai che Γ aglio e le cipolle durino assai, bagna i capi con aeqoa salsa tiepida. Cosi durano essi ben pià, e son migliori ; ma non nascono ponendogli, à i· cunisi contentano d’ appiccargli snl fuoco, e a questo modo non talliscono. Perciocché si vede ehe Γ aglio e la cipolla talliscono aocora che sieno fuor della terra, e come *on talliti avaniscono. Alcuni tengono che l ' aglio si conservi benissimo nella paglia. Écci un altro aglio, cbe nasce da sè stesso ne’ campi, e questo si chiama alo ; il quale si cuoce perchè non nasca, e dipoi si getta ne’ se minati contra gli uccelli cbe beccano il seme ; i quali subilo cbe l'hanno mangiato sbalordiscono di modo, che si lasciano pigliare con mano, e ogni poco che stanno, s 'addormentano. Écci anco l ' aglio selvatico, che si chiama orsino : ha molle odore, il capo molto sottile, e le foglie grandi. In
q u a n t i g io r n i nr n a sc a c ia s c u n a .
7. Fra Γ erbe, che si seminano negli XXXV. 7. In horto satorum celerrime nascun XXXV. tur ocimum, blitum, napus, eruca: tertio enim orli, naicon presiiisimo il basilico, il blito, il na die erumpunt: anethum quarto, lactuca quinto» vone e la ruchetta, i quali nascono iu tre giorni : raphanus sexto, cucumis et cucurbitae septimo, Γ aneto il quarto, la lattuga il quiuto, il rafano prior cucumis: uasturtiuin ac sinapi quinto, beta il sesto, il cocomero e la zucca il settimo, ma pri· ma il cocomero : il nasturzio e la senape il quinto, aestate sexto, bieme decimo: atriplex octavo, caepe xix aut vicesimo, gethyum decimo, aut la bietola di state il sesto, il verno il decimo, i'alriplice l’ ottavo, la cipolla in diciannove o duodecimo. Contumacius coriandrum. Cunila quidem, et origanum post xxx diem. Omnium venti giorni, il gelio in «licci o dodici : pià tardi autem difficillime apium : quadragesimo enim il coriandolo : la cunila e V origano dopo trenta dì. Il più difficile di (ulti è l'appio, perchè viene d ie quum celerrime, quinquagesimo majore ex parte emergit. in quaranta giorni, quando vien tosto, e le più volte nasce iu cinquanta.
C. PUNII SECONDI
*779
Aliquid et seminum aelas oon fert, quoniam receoliora maturius gignuntor, in porro, gethyo, cucumi, cucurbita: ex vetere autem celeri01 pro· veniunt apium, beta, cardamoni, cunila, origa num, coriandrum. Mirum in belae semine : non enim totum eodem anno gigoit, sed aliquid se quente, aliquid tertio. Itaque ex copia seminis modice nascitur. Quaedam anno tantum suo pa riunt, quaedam saepius, sicut apium, porrum, gethyum. Haec enim semel sata pluribus annis restibili fertilitate proveniunt.
S em ibch r a t u b a .
1760
Giova aocora alcuna cosa l'età de' aemi ; per chè il porro, il getio, il cocomero e la iucca na soono in roaneo tempo, quando sono più freschi. Ma l’ appio, la bietola, il cardarne, la cunila, Γ ori gano e il coriandolo nascono più tosto dd seme vecchio. Maraviglia è del seme della bietola, per chè noo nasce nel medesimo anno io tutto; ma ona parte nel secondo, e un' altra nel terzo. Per ciò della copia del seme ne nasce poco. Alcune erbe nascono solamente nell' anno loro, alcone pià volle, come I' appio, il porro e il getio ; per ciocché questi, ancora che non sieno seminati piè che una volta, rimettono pià volte. N ΑΤΟΚΑ
db'
SEMI.
Molte erbe hanno il seme tondo, al XXXVI. Semina plurimis rotunda, aliquibus XXXVI. cune loopo ; poche l'banno come le foglie e largo, oblonga, paucis foliacea et lata, ut atriplici. Qui busdam angusta et canaliculata, ut cumino. Diffe siccome Γ atriplice. Alcune hanno il seme stretto runt et colore, nigro candidoque: i tero duritia sur e accanatalo, come il cornino. Sono anco difleculacea. In folliculo sunt, raphano, sinapi, rapo. renti nel colore, perchè chi è nero e ehi bianco; Nudam semen apii,coriandri, anethi, funicoli, ca e nella durezza ancora. Il rafano, la senape e le mini. Cortice obducta bliti, betae, atriplicis, oci rape hauno il seme in baccellini. Nudo è il seme mi. At lactucis in lanugine. Nihil ocimo fecun dell'appio, del coriandolo, dell’ aneto, del finoc dius: cum maledictis ac probris serendum prae chio e del cornino. Il blito, la bietola, 1' atriplice e il basilico lo cuoprono di scorza. Le lattughe cipiunt; ut laetius proveniat, sato pavitur terra. Et cuminum qui serunt, precantur ne exeat. il tengono io lana. Non c' è cosa più fertile, che Quae in cortice sunt, difficillime inarescunt, mail basilico : dicono che se quando ei si semina ximeque ocimum et gilh : siccantur omnia, ac si bestemmiale gli si dice villania, fa meglio: sunt fecunda. Utique meliora nascuntur acerva seminalo ch'egli è, gli si calca la terra. Quegli che tam salo semine, qoam sparso. Ita certe porrum seminano il cornino, pregano eh’ e’ non oasca, per •t allium seruoi in laciniis colligatum. Apium chè faccia meglio. Il seme ch'è in corteccia, diffiertetiam paxillo caverna lacta, ac fimo ingesto. mcnte secca, e massimamente il basilico e W git; ma a volere che sien fecondi si vogliono seccare. Nascono migliori se si seminano tolti, piuttosto che radi. Certo i porri e gli agli si aeminaoo, legaudo il seme loro io pezze. All'appio (anno fossicelle col piuolo, e roeltouvi del lilame. Tutti nascono o di seme, o di pianta. Alcaei Nascuntur autem omnia aut semine, aut avul di seme e di festuchi, come lì ruta, 1' origano e sione. Quaedam seinioe et surculo, ut ruta, ori ganum, ocimum: praecidunt enim et boc, quum il basilico, perchè lo tagliano anch' esso qoaodo pervenit ad palmum altitudinis. Quaedam et ra egli è allo un palmo. Alenili nascono di radice e di seme, siccome gli agli, le cipolle, e gli scalo dice et semine, ut caepa, allium, bulbi, et si gni, e se alcuni altri vi sono d' uo anno, che la quorum radicem anniferorum relinquunt. Eorum vero quae a radice nascuntur, radix diuturna et scino radice. Quegli che nascono delle radici, hanno le radici che durano assai, e molto germofruticosa est, ut bulbi, gethyi, scillae. Fruticant gliose, siccome sono maligie, scalogni e squilla. alia et non capite, ut apium et bela. Caule reciso Alcone germogliano, e uon fanno capo, come fiere quidem omnia regerminant, exceptis quae non scabrum caulem habent : et in usum vero l ' appio e la bietola. Tagliando il torso quasi tolte Γ erbe rimettono, fuor che quelle ebe non hanno ocimum, rapbanus, lactuca. Hanc eliam suavio il torso ruvido : sono in uso il basilico, il rafano rem potant a regerminatione. Raphanus utique eia lattuga ; e questa ancora siimauo esser più jucundior detractis foliis antequam decaulescat. soave, quando è rimessa. Il rafano è più dilette Hoc et in rapis. Nam el eadem direptis foliis vole, levandogli le foglie innanzi che faccia il cooperta lerra crescunt, durantque in aestate. gambo. 11 medesimo avviene delle rape, percioc ché anch'elle levandosi loro le foglie,· rie o p re o dosi di terra, crescono e dorano la state.
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78 i
HISTORIARUM MONDI LIB. XIX.
QOOBOM SINGOLA GBRBEA, QOO&OM PLORA SIBT.
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o a l i p i a n t e hamko o h a so l a s p e c ie , q o a l i p i ò .
11 basilico, il lapato, il blito, il na XXXVII. Siogula genera sani ocimo, lapa XXXVII. tho, blito, nasturtio, erucae, atriplici, coriandro, sturzio, la raehetta, 1’ atriplice, il coriandolo e aoelho. Haec enim ubique eadem «aut, neque Γ aneto nou sono se non d 'una specie ; percioc ché essi in ogni luogo nascono a un modo, nè aliud alio melius usquam. Rulam furtivam lan Γ uno è migliore dell* altro in lnogo veruno. Di ium provenire fertilius putant, sicut apes furti cono cbe la ruta cresce meglio s’ella è nata furti vas pessime. Nascuntur etiam non sata, menta· vamente; al contrario che fanno le pecchie. Nasco strum, nepeta, intubum, pulegium. Contra plura genera sunt eorora quae diximus, dicemusque : no, ancora cbe uon sieno seminati, il mentastro, la nepitella, il radicchio e il puleggio. Per lo et io primis apio. contrario sono di più sorti quelle che abbiamo detto, e diremo; e l ' appio tra le prime. 8. Poiché quello che da sè nasce in luoghi ami* 8. Id enim quod sponte in humidis nascitur di, si chiama elioselino, che ha una foglia sola, e helioselinura vocatur, uno folio, nec hirsutum. non è irsuto. Lo ipposelino nasce ne* luoghi sec Rursus in siccis hipposelinum, pluribus foliis, simile helioselino. Tertium est, oreoielioum, ci chi : ha più foglie, e somiglia lo elioselino. Il terzo cutae foliis, radice tenui, semine aueihi, minu è l ' oreoselioo, con foglie di cicala, con sottile radice, con seme di aneto, eolament&più minato. tiore tantum. Et sativi autem differentiae in folio denso, crispo, aut rariore et leviore : item caule Quello che si semina è differenzialo nella foglia, folta, crespa, o più rara e più liscia ; non che tenuiore aut crassiore. Et caulis aliorum candi nel gambo più sottile, o più grosso. Alconi hanno dus est, aliorum purpureus, aliorum varius. il gambo bianco, alcuni rosso, altri vario. N a t o b a b t g b b e b a , b t b is to b ia b m h o h t o s a t a b o · B E B O · XXIII.
Da
LACTOCA ; GENEBA BJOS.
XXX VIII. Lactucae Graeci tria fecere genera: unum lati caulis, adeo ut ostiola olitoria ex his factitari prodiderint. Folium his paullo majus her baceo, et angustissimum, ut alibi consumpto in cremento. Alterum rotundi caulis : tertium ses sile, quod Laconicon vocant. Alii colore, et tem pore satus, genera discrevere. Esse enim nigras, quarum semen mense Januario seratur : nlbas, quarum Martio i rubeo tes, quarum Aprili; et omnium earum plautas post biuos menses deferri. Diligentiores plura genera faciunt; purpureas, crispas, Cappadocas, Graecas. Longioris has folii, caulisque lati: praeterea longi et angusti, intubi similis. Pessimum aulem genus cum exprobra· tione amariludiuis appellavere picrida. Est eliam· num alia distinctio atrae, quae meconis voca tur, a copia laciis soporiferi, quamquam omnes somnum parere creduntur. Apud antiqnos Ita liae boc solum genus earum fuit, et ideo lactu cae nomen adeptae. Purpuream maximae radicis, Caecilianam vocant. Rotundam vero ac minima radice, latis foliis, astylida : quidamque eunuchion, quoniain haec maxime refragetur Veneri. Est quidem natara omnibus refrigeratrix, et ideo aestate gratae stomacho fastidium auferunt, cibique appetentiam faciunt. Divus cerle Augustus lactuca conservatus in aegritudine fertur pruden tia Musae medici, quum prioris Cametii religio
N atoba,
s p e c i e b s t o x ie d i v b b t i t r £ p i a s t i d a
obto.
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spe c ie d i b ssa .
X XX Vili. I Greci fanno tre sorti di lattuga ; una di così gran torso, che dicono che di eaei fanno alcuni vasetti da olio. Le foglie di qaeate sono poco maggiori che l’ altre, e strettissime, perchè lo accrescimento si consuma nel torso.. La seconda sorte ha il torso tondo. La terza 1*ha basso, il quale chiamano Laconico. Alcuni distinguono i generi dal colore e dal tempo del semi nare ; e dicono che le nere si seminano di Gen naio, le bianche di Marzo, e le rosse d' Aprile ; e cbe le piante di tutte queste sono differenti dopo due mesi. 1 più diligenti ne fanno più sorti, rosse, crespe, Cappadoci, Greche. Queste hanno più lunghe le foglie, e il torso largo, lungo e stretto, simile alla endivia. Una sorte, la quale è la peg giore, chiamano picrida per tacciarne l'amarezza. Écci anco un' altra distinzione della nera, la quale si chiama meconi dalla copia del latte che mette sonno, ancora che si creda che tutte partoriscano souno. Gli antichi d’ Italia non avevano che que sta sola loro specie, e perciò le diedero nome di lattuga. La rossa, che ha grandissima radice, si chiama Ceciliana. La tonda, la quale ha piccola radice, e foglie larghe, chiamasi astilida ; e da alcuni eunuchio, perch'ella raffrena molto la lussuria. Perciocché naturalmente tutte le lattu ghe sono rinfrescative* e perciò essendo la stale graie allo stomaco, levano il fastidio, e fanno
C. PUN II SECONDI nimia eam negarci : in tantum recepì* commen dation·, ul «OTari et u n in alicnot mense· ea* oiymelile reperluin ait. Sanguinem quoque au gere credantur. Est etiamnum, quae vocatur ca prina lactuca, de qiu dice ai us inter medicas. El •ecce quum maiime coepil irrepere sativis admo dum (irobata, quae Cilicia vocalur, folio Cappa dociae, nisi crispum latiosque esael.
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D ella
ib t o b is .
XXXIX. Ncque ex eodem genere possunt dici, ncque ex alio intubi, hiemia palieutiores, virusque praeferentes, sed caule non minus grati. Sejronlur terno plantae eorum : ultimo vere trans ferantur. Est el erraticum intubum, quod iu Aegyplo cichorium vocant, de quo plura alias. Inventum omnes thyrsos, vel folia lactucarum, prorogare urceis conditos, ac recentes in palinis coquere.
Seruntur lactucae anno loto laetis el riguis, atercoralisque, binis mensibus inter semen, planlamque, et inaturitalem. Legitimum tamen, a bruma semeu jacere, plantam Favonio transfer re: aut semeu Favonio, planlam aequinoctio Vtrno. Albae ioaxime hiemem tolerant. Humore omnia hortensia gaudeut, et stercore praecipue lactucae, et magis intubi. Seri etiam radices illi tas fimo interest, et repleri ablaqueata humo. Quidam et aliter amplitudinem augent: tecisis, quum ad semipedem excreverint, firaoque suillo recenti illilis. Candorem vero puianl contingere iis dumtaxat quae sint semiuis albi, si arena de litore a primo incremento congeratur in medias, atque increscentia folia coulni ipsas religentur.
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veuire voglia di mangiare. Dìcesi che 1' impera dore Augusto essendo ammalalo ai guarì con la lattuga, per opera del medico Musa; laddove Ca melie che il curava per iiinanzi, per rispetto della religione gli avea vietalo dì mangiarne; onde è ve nula in tanta riputazione, che »' è trovato modo di conservarla fuor di sua stagione nello ossi mele. Dicesi inoltre che la lattuga accresce il saugue. Écci anco uua sorte di lattuga, che si chiama ca prina, della quale parleremo fra Γ erbe medici nali. Ma ecco vhe cominciò » venire in uso, ed è molto appetita fra le seminative quella ebe si chiama Cilicia, con le foglie come le Cappadoci, s’ ella nou fosse più crespa e più larga.
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XL. Beta hortensiorum levissima est. Ejus quoque a colore duo genera Graeci faciunt, ni grum, el candidius, quod praeferunt, parcissimi seminis : appellanlque Siculum, caudoris sane discrimine praeferentes et lactucae. Nostri betae ‘genera faciunt, \crnum et aulumuale, a tempo-
c ic o b ia .
XXXIX. Noo si possono dire della medesima sorte, nè d’ altra, i radicchi : questi sou più pa zienti del verno, e mandano fuori sentore, ma non son maneo grati pel gambo. Le piante loro si seminano la primavera, e alla fine della pri mavera si traspongono. Eoe» anco una sorte di radicchio erratico, il quale in Egitto si chiama cicoria, di cui ragioneremo un' altra volta più a lungo. Essi trovato di conservare tutti i torsi, o foglie di lattughe, mettendoli negli orci, e fre schi cuocendoli uetle pentole. Semiuansi le lattughe tutto Γ anuo ue’ luoghi grassi, acquidosi e ingrassali, e occupao due meli fra il seme, la piauta e la maturità. Nondimeno Va propria stagione di seminarle è dopo mezzo Di cembre, e trasferire la pianta al soffiare di Favonio; o porre il seme al soffiare di Fa νφηίο, e trasferire la pianta uell' equinozio di primavera. Le bianche sopportano meglio il freddo. Tutte le cose degli orli amano l'acqua e il litame, massimamente le lattughe, ma molto più il radicchio. Giova aneora, quando si traspongono, tuffar le barbe nel litame, e lasciarvi fossette, le quali dipoi sì riempiono di lerra. Alcuni le fanno crescere ricidendolr, quan do elle son cresciute un mezzo piè, e le rinvolgono nello sterco porcino fresco. Alcuni tengono che solamenlcquelle lattughe sieno bianche, le quali son nate di seme bianco, se si ammassa veua di lido nel mezzo d'esse al primo lor creseiinento, e rilegatisi le foglie contra sè medesime. D ella
b ie t o l a
:
q c a t t &o s p e c i e d i e s s a .
XL. La bietola è più morbida, che altra erba d'orto. Di questa i Greci fanno due specie, cioè nera e bianca, la quale stimano più : ha pochis simo seme, è chiamata Siciliana, e per rispetto della bianchezza è messa innanzi alla lattuga. 1 nostri fanno due sorti di bietola, una di prima-
HISTORIARUM ΜΟΝΟΙ LIB. XIX. ribas M i a s , quamquam el Juuio seritur. Trans» feruotar aatem i a plaola hae quoque, et oblini fimo radice· suat, locuroque similiter madidum amant. Usua iis et curo lente ac faba, idemque qui oleris: et praecipuus, nt lenitas excitetur acrimonia sinapi·. Medici uocenliorem quam olus, e s s e judicavere. Quamobrem adpositas non memini: degustare eliam religio est, ut validis potius in cibo sint. Gemiua iis satura, et oleri·, et capite ipso esiliente, bulbi : species summa iu latitudine. Ea contingit, ut in helucis, quum coeperint colorem trahere, imposilo levi pondere. Neque alii hortensiorum latitudo major. Iu binos pede· aliquando te pandunt, mallum et soli natura conferente. Hae quidem in Circe· jensi agro amplissimae proveniunt. Sunt qai be tas Punica malo fiorente optime seri existiment: transferri aulem, quum quinque foliorum esse coeperint. Mira differentia, si vera est, candidis solvi alvos modice, nigris inhiberi. Et quum brassica corrumpatur in dolio vini sapor, odore betae foliis demersis restitui.
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XLI. Olus caulesque, quibus nunc principatus hortorum, apud Graecos iu honore fuisse non reperio. Sed Cato brassicae miras canit lau des, quas io medendi loco reddemus. Genera ejus facit tria: unam exteotis folii',caule magno: alteram crispo (olio, quam apianam vocat : ter tiam minutis caulibus, lenem, teneram, minimeque probat. Brassica loto anno seritur, quoniam et toto secatur. Utilissime tamen ab aequinoctio autumni : transferlurque, quum quinque folio rum est. Cymas · prima sectione praestat proxi mo Tere. Hic est quidam ipsorum caulium deli catior teneriorque cauliculus, Apicii luxuriae, et per eum Druso Caesari fastiditus, non sine ca stigatione Tiberii patris. Post cymam ex eadem brassica contingunt aestivi aulumnalesque cauli culi, mox hiberni, iterumque cymae, nullo aeque genere multifero, donec «ua fertilitate consuma tur. Tertia circa solstitium : ex qua si humidior locus est, aestate : si siccior, aulumno plantatur. Humor fimusque si defuere, major saporis gra-
■7 8 6
vera, P altra d 'autunno, cosi chiausate da1 tempi della lor semina, benché ti seminino anche di Giugno. Anche queste si traspongono conia pianta, e amano di essere impiastrate nelle radici col lilame, e similmente di esser collocate in luogo umido. Di esse si fa uso insieme con le lenti e le fave, quell' uso stesso che delle lor foglie, e mas simamente si mesebian con la senapa, acciocché la oostei agrezza le faocia meno insipide. 1 medici hanno deciso che sieao più nocive delle lor foglie. Il perchè non ricordo di avermene mai veduto presentare alla mensa : anzi d 'assaggiarle ognuno si fa coscienza, quantunque se ne satolli la gente robusta e grossolana. Sono di doppia natura, cioè di foglie, e di ciò che sotterra riesce in bulbo. Qnanto essi bulbi sono più larghi, tanto son te nuti più bell*. Per otleuer questo, come nelle lat tughe, quando cominciano a pigliar colore, si pone lor sopra uu peso leggeri. Non è altra coea negli orti che più si dilati in larghezza. Alcuna volta s 'aprono in due piedi, conferendo lor molto la uatura del terreno. In quel di citlà Vecchia vengono grandissime. Alcuni tengono ehe la sta gione di semiuar le bietole sia appunto quando fiorisce il melagrano, e trapiantarle quando co minciano a essere di cinque foglie. E maravigliosa differenza, s’ella è vera, che le bianche a poco a poco muovouo il corpo, e le uere lo stringono. Se il cavolo corrompe il sapor dal vino nella botte, si restituisce per l'odore della bietola, oon tuffarvi le foglie. Del
cavolo
:
s p e c i e p i es s o .
XL 1. lo non truovo essere stali in onore ap presso de' Greci gli erbaggi, i quali ottengono ora il principato negli orli. Ma Calone ne dà al cavolo grandissime lodi, le quali noi conteremo nel luogo delle medicine. Egli ne mette tre sorti: uua che fa le foglie distese, e grande il gambo ; l ' altra con la foglia crespa, la quale chiama apia na : la terza ha i torsi minuti, è tenera e morbida, ma nou l'approva. 11 «avolosi semiua lutto l'an no, perchè tutto l'anno si coglie. Nondimeno la migliore stagione è dopo l'equinozio dell*au tunno : lra»ponsi quando è di cinque foglie. Fa le pipile o broccoli di prima ricolta nella pros sima primavera. Questo è la parte più-delicata /e più tenera del torso: uondimeno il fastidio in che Γ ebbe il dilicato Apicio lo pose in fastidio ancora a Druso Cesare, non senza riprensione di Tiberio suo padre.Dopo le pipite dette, dal medetimo torso nascono masse tenere di state e d 'autnnuo,poi ancora di verno, e a primavera di nuovo nascono le cime: non c'è cosa più fertile,la quale iu
»7*7
C. PLINII SECONDI
lia esi : si abundavere, laetior fertilitas. Fimam asioinum maxime convenit.
Esi haec quoque res inter opera ganeae: quapropter non pigebit verbosius persequi. Prae cipuas fit caulis sapore ac magnitudine, primam omniam ai in repastinalo seras: dein si terram fugientes caaliculos seces, a lermqae ad tollentes se proceri late luxurioM exaggerando aliam adcu· mules, ila ne plus qoam cacumen emineat. Tritianum hoc genus vocstar, bis coropalabili im pendio, taedioqae. Cetera genera complura sunt. Cumanam ses sili folio, capite patulam. Aricinam altitudine non excelsius, folio numerosius, quam tenuia». Hoc atilissiraum existimatur, quia sub omnibus paene folii· fruticat cauliculis peculiaribus. Pom pejanam procerius, caule ab radice tenui, intra folia crassescit. Rariora haec anguslioraque : sed teneritas in dote, si frigora non tolerat: qaibas etiam aluntur Brutiani, praegrandes folii·, caule lenues, sapore acuti. Sabellico usqne in admira tionem crispa sunt folia, quorum crassitudo cau lem ipsam extenuat: sed dulcissimi perhiben tur ex omnibus. Nuper subiere Lacuturres ex convalle Aricina, ubi quondam fuil lacus, torris· que quae remanet: capite praegrandes, folio in numeri : alii in orbem porrecti, alii io latitudi nem torosi. Nec plus ullis capitis posi Trilianum, cui pedale aliquando conspicitur, et cyma nullis serior. Cuicumque autem generi pruinae pluri mam suavitatis couferunt : et nisi obliquo vul nere defendatur medulla, plurimom nocent. Se mini destinati non secantor. Est etiam eoa gratia nnmquam plantae habitum excellentibus: halmjridia vocant, quoniam nisi in maritimis uon pro veniunt, navigatione quoque longinqua viridi bus adservalis. Statini desecti ita ne humum at tingant, in cados olei quam proxime siccatos obluratosque conduntur, omni spiritu excluso. Sunt qai plantam in transferendo alga subdita pedi culo, nitrove trito, quod tribus digitis capiatar, celeriorem ad maturitatem fieri palent. Suat qui semeu trifolii nitramque simul Iritum adspergant foliis. Nitrum in coquendo etiam viriditaten\ custodit : aat Apiciana coctura, oleo ac sale, prius quam coquantur, maceratis. £st inter herbas genas inserendi, praecisis germinibus caulis, et in medullam semine ex aliis addito. Hoc et in cucumere silvestri. Nec non olas quoque silve stre est trium foliorum, divi Julii carminibus
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fine si consuma per la sua stessa fertilità. La lena specie vieue intorno al solstitio, della quale, se il luogo è umido, si fa piantagione la siale, e se asciallo, si fa l’ autunno. Se nasce in luogo asciutto e magro, è più saporito : se il terreno è grasso e umido, ne fa più dovizia. Il letame del* Γ asino molto gli conviene. Questo cavolo ancora è tra i ghiotti sapori della gola, e però non ci dovrà increscere par larne a dilungo. Il cavolo diventa eccellente di grandezza e di sapore, primieramente se st pone in terreno svelto ; dipoi se tu taglierai i torsi, i qaali foggouo la terra, e mentre con sommo rigo glio vengono su gli rincalzerai con altra terra, di modo che non escano fuora più che eon le vette. Questa sorte di cavolo si chiama Trisiano, per lo quale ne va doppia spesa e fastidio. L’ altre sorti sono assai. Il Cumano, che ha le foglie più larghe che alle, e il seno aperto : P Ari cino, il quale nou è molto allo, ma fa gran copia di foglie. Questo si stima utilissimo, perciocché quasi sotto tulle le foglie germoglia con peculiari torselli. Il Pompeiano è più lungo, il cai gambo sottile in su dalla radice, fra le foglie viene in grossando. Questi sono più rari e più stretti, ma la tenerezza è la bontà loro, se non han patito il freddo, dal quale però sono nodriti i Ca labresi, i qoali hanno le foglie grandi, il torso sottile, e il sapore acato. 11 Sabellico ha le fogìie crespe a maraviglia, la cui grossezza estenui il gambo stesso ; ma lienst che sieno pià dolci di tulli gli altri. Sono nuovamente venati dalla valle Aricina quegli che si chiamano Lacuturri, dove fa già un lago e ana torre, la quale oggi ancora è in piedi ; i quali cavoli sono grandi di capo, e bau d o di molle foglie : alcuni sono distesi in cerchio, alcuni muscolosi si stendono in lar ghezza. Non ce n' è nessuno, che abbia maggior capo che il Triziano, il quale è talora alto un piede ; e nessun altro fa più tardi le cintole. A ciascuna sorte di cavolo le brine dauoo gran soa vità ; e se non si difende la midolla cou alcune fessure torte, assai sono offesi. Quegli che sono riservati per seme, non si svettano. Alcuoi cavoli, per essere belli da vedere, piacciono assai, e si chiamano almiridi, perchè non nascono se non in luoghi marittimi, e si conservano ancora verdi portandogli mollo lontano per mare. Questi su bito che son colti, senza che tocchino altrimenti la terra, si mettono in vasi, dove sia stalo Γ olio di fresco, e turansi, che P aria non v'entri. A l cuni qaando traspongono i cavoli, mettono aotto le radici o alga, o nitro pesto, quanto se ne può pigliare con tre dita ; tenendo che così vengano più tosto maturi. Alcuni altri spargono sulle fo glie del cavolo seme di trifoglio, e nitro insieme
HISTORIARUM MUNDI LIB. XIX.
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praecipue jocitqae militaribus celebraturo : al ternis quippe versibus exprobravere lapsana se vixisse apud Dyrrachium, praeni iorum parcimo niam catillantes : est autem id cyma silvestris.
Db
a s v a b a g is ; d i c o b b u d a .
XLII. Omnium hortensiorum tantissima cura asparagis. De origine eorum in silvestribus euris abuode dictam, el quomodo eos juberet Cato in arundinetis seri. Est et aliud genus incultius asparago, milius corruda, passim etiam montibua nascens, referiis superioris Germaniae cam pis, non inficelo Tiberii Caesaris dicto, herbam ibi quamdam nasci simillimam asparago. Nam quod in Neside Campaniae insula sponle nasci tur, longe optimum existimatur. Hortensium se ritur spongiis: est enim plurimae radicis, altissi* meque germinat. Viret thyrso primum emicante: qui caulem educens, tempore ipso fastigatus in toros slriatur. Potesl et semine seri.
Nihil diligentius comprehendit Calo, novissimumque libri est, ut appareat repentinam ac novitiara viro auram fuisse. L<>cum subigi jubet humidum el crassum: semipedali undique inter valloseri, ne calcetur. Praeiere» ad lineam grana bina aut terna paxillo dentini : videlicet semine Ium tantum serebantur: id fieri secundum aequi noctium vernuui. Stercore saliari, crebro pur gari, caveri ne cum herbis evellatur asparagus. Primo anno stramento ab hieme protegi : vere aperiri, sarriri, runcari: tertio incendi verno. Quo maturius iucensus esi, hoc melius provenit. Itaque arundinetis maxime couveuit, quae festiliant incendi. Sarriri jubet idem, non antequam asparagus naius fueril, ne in sarriendo radices vexentur. Ex eo velli asparagum ab radice : nam ai defringatur, stirpescere, et intermori. Velli, donec in semen eat. Id aulem maturescere ad ver, incendique: ac rursus, quum apparuerit asparagus, sarriri ac stercorari. Ac post annos novero, quum jam velus sit, digeri subaclo solo alercoraloque. Tum spongiis seri, singulorum
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pesto. Il nitro ancora nel cuocere gli mantiene verdi ; ovvero, secondo che gli soleva cuocere Apicio, gli macerano con Γ olio e col sale, prima che si cuocano. Usasi ancora fra Γ erbe un modo d 'anuestarle : si tagliano i germogli del gambo, e nella midolla si mette seme d 'altre erbe. Questo medesimo si fa aoche nel cocomero silvestre. Écci ancora il cavolo salvalico di tre foglie, celebralo da* versi del divo Giulio, e molto più per alcuni molli e scherzi militari : poiché con certi versi a risposta Ì soldati lagnavano d' esser vissi di la psana sotto Durazzo, beffando così il mal premio che n'ebbero : la lapaaua è la cima del cavolo sal va tico. D
eg li sp a x a g ii
:
della
eoab o d a .
XL 1I. Ma fra lutti gli ortaggi delicatissima è la cura degli sparagli. Dell' origine loro abbiamo ragionalo a lungo quando trattammo dalle piante salvatich«>, e come Catone voleva che si seminas sero ne1 canneti. Écci un'altra sorte piò inculta che lo sparagio, e roen gustosa, detta corruda, che nasce per tutto ne’ monti, essendone pieni ancora i campi di Lamagna alla, come facelameule disse Tiberio imperadore, che quivi nasceva un'erba mollo simile allo sparagio. Perciocché quello che nasce da sè in Neùde isola di Campagna è tenuto mollo migliore. Quello degli orli si pianta con 1# sue spugne, perchè fa molte radici, e germoglia mollo alto. Verdeggia prima eoi torso che vien fuora, il quale allungando il gambo, tanto ch« s 'appunta isola i nodelli della sua cima. Puossi ancora seminare col seme. Catone di nessuna altra cosa più diligentemenle ragiona ; e siccome vi si occupa nell* ulti ma parte del suo libro, si vede ohe ciò fu Γ ulti ma cosa, di che egli in vita pensasse. Vuole egli dunque che lo sparagio si ponga in luogo umido e grasso, e che si semini discosto mezzo piè Γ un dall' altro, perchè non sia calpesto, luoltre che si pongano a corda col piuolo due o tre granella, perciocché allora s' usavano seminare solamente col seme ; e che ciò si faccia dopo Γ equinozio della primavera. Saziatisi di litame, e spesso si nettaoo, purché abbiasi cura di non isverre gli sparagli insieme con l'erbe. II primo anno si proteggono eon lo strame dal freddo : la primavera si scuoprono, si sarchiano, e si nettano : la terza primavera s 'ardooo. Quanto più tosto è acceso, lauto meglio viene. Convengono dunque molto bene co’canneli, i quali vogliono presto essere arsi. Il medesimo vuole che si sarchioo, ma non già prima che gli sparagli sien nati, acciocché nel sar chiare le radici non si venissero a guastare, e per queslo lo sparagio si sbarbasse dalla radice ; per-
C. PLINII SECUNDI
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pedam intervallo. Qain et ovillo fimo nominatira uti, qooniam aliati herbas creet.
Nec quidquam postea lentatam utilius appa ruit, nisi quod circa idus Februarii defosso semi ne acervatim parvulis scrobibus serunt, pluri mum maceratum fimo. Dein nexis inter se radi cibus spongias factas post aequinoctium autum ni disponunt pedalibus intervallis, fertilitate in denos annos durante. Nullum gratius his solum quam Ravennatium hortorum. Indicavimus et corradam. Hunc enim intelligo silvestrem asparagum, quem Graeci bor nieaum, aut myacanthon vocant, aliisve nomini bus. Invenio nasci et arietis cornibos lusis atqne defossis. De
chè se si rompe, di in germogli, e si muore. Però vuole che si svelga fin che e' va in scine, il qnak matura la primavera, e allora s'accende. Poi quan do gli sparagli mettono, di nuovo si sarchiano, c dasti loro il grassume. Dopo nove anni, quando saranno invecchiati, acconcerai la terra, e gli ri porrai con le spugne, lasciando tra Γ uno e l'al tro spazio d' uu piè ; ma sopra tutto dà loro il litame delle pecore, perchè f altro farebbe trop pa erba. Dopo Catone niun altro ha saputo trovare di meglio, se non che intorno a* tredici di Febbraio pongono il seme macero nel litame, di poi dopo F equinozio autunnale tolgono le spugne già fat te delie radici collegale insieme, e Iraspongoole, lasciando il già detto spazio ; e cosi sono fertili dieci anni. Non amano nessuno altro terreuo più che quello degli orli di Ravenna. Abbiamo anco dato a conoscere la corroda. Questo è lo sparagio selvatico, il quale i Greci ehiamano ormeno, ovvero miacanto, o con altri nomi. Trnovo aneora che gli sparagli nascono di eorna di montone peste e sotterrale. De'
c a e d u is .
XLIII. Poterant videri dicta omnia quae in prelio sunt, nisi restaret res maximi quaestus, non sine pudore dicenda. Certum est quippe carduos apud Carthaginem magnam, Cordubamque praecipue, sestertium sena millia e parvis reddere àreis : quoniam portenta quoque terra rum in ganeam vertimus, etiam ea quae refugiunl quadrupedes consciae. Carduos ergo duo bus modis serunt: autumno planta, et semine ante nonas Martias : piantaeque ex eo disponun tur ante idus Novembris, aut in locis frigidis circa Favonium. Stercorantur eliam, si diis pla cet, laeliusque proveniunt: coudiunlurque aceto meile diluto, addita laseris radice, el cumini, ne quis dies sine carduo sit.
D e BBLIQU1S IN UOBTO SATIS. OciMOM. ErOCA. N a s tu rtiu m .
XL 1V. Celera in transcursu dici possunt. Ocimum Palilibus optime seri ferunt : quidam et autumno: jnbentque, quum hieme seratur, aceto semen perfundi. Eruca quoque et naslnrtium, vel aestate, vel hieme facillime nascuntur. Eruca praecipue frigorum contemptrix, diver sae est, quam lactuca, naturae, concitatrix Vene ris: idcirco jungitur illi fere in cibis, ul nimio
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c a r d i.
XLIII. Infin qui pareva che noi avessimo par lato d 'ogni cosa, oh' è in prezzo, ma por ci ri mane ancora una cosa di gran guadagno, h qa»Ie non si può dire senza vergogna. Certo è ehe appresso a Cartagine la grande, e Cordova, » cardi di piccol luogo danno sei mila sesterzi! l'anno d'entrata, poiché noi adattiamo alla ancora i mostri della terra, e quelle erbe, le qatli sono avute a noia dalle brstie. 1 cardi dunque si seminano in due modi : l'autunno con la pùn ta, e col seme innanzi a' sette di Marzo : le piaate d'e»si si traspongono innanzi a' tredici di No vembre, o ne1 luoghi freddi quando comincia a regnare il vento Favonio. Potrai ancora, paren doti, dar loro il litame, e verranno meglio : si condiscono nell' aceto stemperato col male, *rgiugnendovi radice di lasere, e di cornino, per chè ogni giorno si possa avere de' cardi. D elle
a l t r e p ia n t e da o r t o , b a s il ic o ruchetta
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n a s t u r z io
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XLIV. Lealtrecosesi possono dire per trascor so. Dicesi che il basilico si semina benissimo per le feste di Pale, le quali si fanno a'veutuno d’Aprile. Alcuni dicono ancora per l'autunno; e vo gliono, quando e’ si seiniiM di veruo, che il seme si bagni d ' acelo. La ruchetta e il nasturzio na scono facilissiraaraenle la siate, o il verno. L· ruchetta teme poco il freddo, ed è di natara di-
HISTORIARUM MUNDI MB. XIX. frigori par fervor immixtus temperamentum aequet. Nasturtium nomen accepit a narium tormento. Et inde vigoris significatio proverbio id vocabulum usurpavit, vel uti torporem exci tantis. In Arabia mirae amplitudinis dicitur gigni.
De
bota.
XLV. Ruta quoque seritur Favonio, et ab aequinoctio autumni : odit hiemem, et humo· rem, ac fimum. Apricis gaudet et siccis, terra quam maxime lateraria. Cinere vult nutriri : hic et semini miscetur, ut careal erucis. Aucto ritas etiam peculiaris apud antiquos ei fuit. In venio mustum rutatum populo datum a Corne lio Cethego, in consulatu collega Quinti Flami nini, comitiis peractis. Amicitia est ei et cum (ico, in tantum, ut nusquam laetior proveniat, quam sub hac arbore. Seritur et surculo, melius in perforatam fabam indito, quae succo nutrit comprehendendo surculum. Seritur et a seipsa ; uamque incurvato cacumine alicujus rami, quum adligerit terram, statim radicatur. Eadem et ocimo natura, nisi quod difficilius crescit. Sed ‘ durata runcatur nou sine difficultate, pruritivis ulceribus, ni munitis manibus id fiat, oleo ve de fensis.'Conduntur au lem et ejus folia, servanturque fasciculis.
Db
a p io .
XLV1. Ab aequinoctio verno seritur apium, semine paullulum in pila pulsato. Crispias sic putant fieri, aut st satum calcetur cylindro pedibusve. Propriam ei, quod colorem mutat. Ho nos ipsi in Achaja, coronare victores sacri certa minis Nemeae.
Mek ta .
XLVII. Eodem tempore seritur menta pian· ia : vel si faondum germinant, spongia. Minus baec humido gaudet. Aestate viret, hieme flave scit. Genus ejus silvestre mentastrum est. Et hoc propagatur, ut vitis, vel si inversi rami serantor.
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versa dalla lattuga, poiché essa risveglia la lussu ria, e perciò s'*accompagna quasi sempre eoa la lattuga ne'cibi, acciocché mescolandosi una cosa molto calda con una fredda, si venga a fare an cibo temperato. 11 nasturzio acquistò qaesto no me dal tormento eh' egli dà al naso. Quindi per esprìmere questa saa forza gli fu posto un voca bolo che passò in proverbio a significare eh' ei genera pigrizia ed ignavia. Dicesi eh’ egli nasce molto grande in Arabia. D ella
bota.
XLV. La ruta anch'essa si semina quando regna il vento Favonio, e dopo l’ equinozio del l'autunno: ha in odio il verno, l ' umidore e il lilame. Ama i luoghi solatii e secchi, e special· mente la lerra da far mattoni. Vuole essere nu trita con la cenere, la quale si mescola anche col seme, acciocché non faccia brachi. Ella fu anco ra in grande autorità appresso agli antichi. Io truovo che Cornelio Cetego diede vino acconcio con la ruta al popolo, essendo egli consolo in compagnia di Quinzio Flaminino, dipoi che si eran tenuti i comizii. Ha grande amistà col fico, tanto ch'ella non vien meglio altrove, che sotto questo albero. Piantasi ancora con un ramoscel lo, e meglio, se si mette in una fava forata, per chè essa comprendendo il ramoscello lo nutrisce col suo sugo. Seminasi anco da sè stessa, perchi piegando la cima d 'alcuno de' suoi rami, subito che ha tocco la terra, mette le radici. Della me desima natura è il basilico, se non eh' egli più difficilmente cresce. Ma quando è indurita, non si netta dall' erbe, se non con difficullà, perchè fa venire le fessure nelle mani, se ciò non si fa con le mani coperte, o difese con l ' olio. Ripongonsi anche le sue foglie, e salvansi in fascelti. D bll'
a p p io .
XLVI. L'appio si semina dopo l’ equinozio della primavera, essendosi soppesto un poco il seme suo nel mortaio. Tengono che così e' venga più crespo ; o s 'è seminato, calcandolo col cilin dro o co' piedi. La proprietà sua è di matar co lore. Nella Morea ha esso l'onore d'incoronar di sè i vincitori de' giuochi Nemei. D ella
m brta.
XLVI 1. Nel medesimo tempo si mette la men ta con, la pianta ; e s'ella non germoglia ancora, con la spugna. Ama assai poco 1' umido. La state verzica, il verno ingialla. La sua specie selvatica è il mentastro, il quale si propagina come la vi-
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C. PLINII SECUNDI
Mentae nomen suavitas odoris apud Graecos mu tavit, qoam alioqui mintha vocaretur, unde no stri nomen declinaverunt. Grato menta mensas odore percurrit iu rusticis dapibus. Semel sata, diutina aestate durat. Congruit pulegio, cujas natura in carnariis reflorescens saepias dicla est. Haec quoque servantur simili genere, mentam dico, pulegiumque, el nepetam.
Condimentorum tamen omnium fastidiis cu minum amicissimum. Nascitur in summa tellure ▼ix haerens, et in sublime tendens. In putridis et calidis maxime locis, medio serendum vere. Alleram ejus genus silvestre quod rusticum vo* eant, alii Thebaicum : si tritum ex aqua potetur, in dolore stomachi prodest. In Carpetania nostri orbis maxime laudatur : alioqui Aethiopico Africoque palma esi. Quidam buie Aegyptium prae ferant.
O lusated · .
XLV 1II. Sed praecipue olusatrum mirae na turae est. Hipposelinum Graeci vocant, alii smyrnium. E lacryma caulis sui nascitor. Seritur et radice. Succum ejus colligunt, rayrrhae saporem habere dicuot. Auctorque est Theophrastus, myrrha sata natum. Hipposelinum veteres praece perant in locis incultis, lapidosis, juxta mace riam seri: nunc et repastinato seritur, et a Favo· nio post aequinoctium autumnum. Quippe quum capparis quoque seratur siccis maxime, area in defossam cavata, ripisque undique circumstructis lapide : alias evagatur per agros, ct cogit solum sterilescere. Floret aestate : viret usque ad Vergi liarum occasum, sabulosis familiarissimum. Vitia ejus, qaod trans maria nascitar, diximus inter peregrinos frntices.
C abbcm .
XL 1X. Peregrinam et Careum, gentis suae nomine appallatum, culinis principale. In quacamque terra seri vult, ratione eadem, qua olu satrum. Laudatissimum tamen in Caria, proxi mum Phrygia. LiGDSTicoai.
L. Ligusticum silvestre est in Liguriae suae montibus ; seritor ubique : suavius sativam, sed
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te, o si spianta rivolgendo i rami all*ingiù. La soavità deli' odore mutò il nome della meda appresso i Greci, dove ella si chiamava minta, onde i nostri antichi declinarono il nome. La menta dà molto gra|p sentore alla tavola nelle cene contadinesche. Seminata una volta, dura gran tempo. Contassi col puleggio, la cui nata ra ·' è detto essere di spesso rifiorire nelle di spense di carnaggio. Servansi nello stesso modo la menta, il puleggio e la nepitella, che souo ili specie simile. Nondimeno il cumino è amicissimo di lutti 1 condimenti che dan fastidio. Ei nasce nei/a su perfìcie della terra, di modo che appena vi s' at tacca, e va sempre iu alto. Ne' luoghi putridi e mollo caldi si semina da mezza primavera. Itece ne d' un' altra sorte che ai chiama rustico, e da alcuni Tebaico, il quale se pesto si bee con I'a~ equa, giova al dolore dello stomaco : questo è di specie salvatica. È stimalo molto quello de' no stri paesi, che nasce in Carpetania ; altrimenti il vanto si «là a quello d' Africa e d' Etiopia. Al cuni mettono 1' Egizio innanzi a questo. D ell'
olcsa str o .
XLV 11I. Ma principalmente Γ olusatro è A maravigliosa natura. 1 Greci lo chiamauo ipp°seiino, altri smirnio. Nasce della lagrima ch’ esce, del suo gambo. Ponsi ancora con la radice. Que gli che raccolgono il sugo d' esso, dicono cVe«U ha il sapore della mirra. Teofrasto scrive eh1 egli è nato di mirra. Gli antichi seminavano lo ippo· seiino in luoghi inculti e sassosi presso a' muri a secco. Oggi si semina anche in terreno svelto, c quando trae Favonio dopo Γ equinozio dell’ au tunno. 1 capperi si seminano in luoghi secchi, e si cingono intorno di macia di sassi, altrimenti si spargono per tutto il campo, e fanno sterile il terreno. Fioriscono la stale, e stanno verdi fino al tramontare delle Vergilie, e amano molto il sabbione. 1 vizii di quello che nasce oltre a mare gli dicemmo nel trattato degli sterpi forestieri. D
el cabro.
XLIX. Forestiero è anco il careo, così chia mato perchè nasce in Caria : è mollo adoperato nelle cucine. Viene in qualunque terreno, ma vuole esser seminato nel modo medesimo che 1’ olusatro. Eccellentissimo nondimeno è quello di Caria, e poi quello di Frìgia. D bl CA&ao
l ig c s t ic o .
L. Quello di Liguria è salvalico, che quiri nasce ne’ monti : seminasi per lutto, e in ogni
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HISTORIARUM MUNDI LIB. XIX.
sine viribus. Panacem aliqui vocant. Cratevas apud Graecos cunilam bubulam eo nomine ap pellat : ceteri fere conyzam, id est, cunilaginem : thymbram vero, quae eit cunila. Haec apud nos habet vocabulum et aliad, satureis dicta in con dimentario genere. Seritur mense Februario, origano aemula. Nusquam utmmque additur, quippe similis effectus. Sed cunilae Aegyptium origanum tantum praefertur.
L e p id iu m .
LI. Peregrinum fuit et lepidium. Seritur a Favonio : dein quum fruticavit, juxta terram praeciditur: tunc runcatur, stercoralurque : per biennium hoc. Postea iisdem fruticibus utuntur, si non saevitia hiemis ingravat, quando impatientissirnum est frigorum. Exit et in cubitalem altitudinem, foliis laurinis, sed mollibus : ususque ejus non sine lactc.
G
it h .
LU. Gith pistrinis, anisum el anethum culi nis et medicis nascuntur. Sacopenium et ipsum in his quidem, sed medicinae tantum.
P apaver.
LII1. Sunt quaedam comitantia aliorum satus, nt papaver. Namque cum brassica seritur, ac portulaca: et eruca cam lactuca. Papaveris sativi tria genera : candidum, cujus semen tostum in secunda mensa cum meile apud antiquos daba tur. Hoc et panis rustici crustae inspergitur, adfuso ovo inhaerens, ubi iuferiorem crustam apium gilhque cereali sapore condiunt. Alterum genus est papaveris nigrum, cujus scapo inciso lacteus succus excipitur. Terliura genus rhoeam vocant Graeci, id nostri erraticum. Sponle quidem, sed in arvis cum hordeo maxime nascilur, erucae simile, cubitali altitudine, flore rufo et proti nus deciduo : unde et nemen a Graecis accepit. De reliquis generibus papaveris sponte nascenlis dicemus in medicinae loco. Fuisse aulem in ho nore apud Romanos semper, indicio est Tarqui nius Superbus, qui legatis a filio missis decutiendo papavera in horto altissima, sanguinarium illud responsum hac facti ambage reddidit.
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luogo è più soave quello che si semina, ma non ha forza. Alconi lo chiamano panace. Crateya scrittor Greco chiama con tal nome la cunila bovina : gli altri lo chiamano coniza, ciò è cunilagine, e chiaman timbra la cunila. Questa appresso di noi ha eziandio un altro vocabolo, e chiamasi santo reggia in genere di conditura. Seminasi di Feb braio, ed è inimica dell'origano. Queste due conditure mai non si pongono insieme, perchè fanuo il medesimo effetto. Ma il solo origano d’ Egitto è messo innanzi alla cunila. D el
l b p id io .
LI. P'u similmente forestiera un'erba, che si chiama lepidio. Seminasi qaando trae Favonio : poi quando ha messo, si taglia rasente terra : al lora si netta dall’ erbe, e si fornisce di grassume ; e questo si fa per due anni. Dipoi ne osano, se Γ asprezza del verno non impedisce, perchè non regge al freddo. Cresce alto anche fino a nn braccio : ha le foglie simili all’ alloro, ma morbi de ; e usasi col latte. D
el o it .
LII. L 'erba git è buona per li fornai ; gli anici e gli aneti solo per le cucine, e pei medici. Il sagapeno anch’ esso nasce negli orli, ma sola mente per la medicina. D bl
pa fa v bb o .
LUI. Sono alcune erbe, che accompagnano l'altrui seme, come il papavero, perchè si semina col cavolo e la porcellana : come la ruchetta si semina con la lattuga. Di tre sorti è il papavero seminativo: il bianco, il coi seme arrostito si da va col mele nelle seconde tavole appresso gli an tichi. Spargesi ancora sulla corteccia del pane contadinesco, dove s’ appicca per uovo che vi si versa, e la corteccia di sotto si condisce con ap pio e con git. I/ altra sorte di papavero è nero, il cui capo taglialo fa sugo come latte. La terza specie è chiamala da’ Greci rea, e da' nostri er ratico. Nasce da sè stesso, e massime ne' campi insieme con l ' orzo : è simile alla ruchetta, alto un braccio ; ha il fior rosso, che di subito cade ; onde prese anche il norue da1 Greci. Dell’ altre sorti di papavero, che nasce da sè stesso, ragio neremo nel luogo della medicina. Ora, ch’ ei fos se sempre in onore appresso de’ Romani, lo mo strò Tarquiuio Superbo, il quale agli ambasciadori mandatigli dal figliuolo, facendosi vedere a diveltare i più alti papaveri nell'orlo, diede con Γ ambiguità del fatto quella sanguinosa risposta.
C. PLINII SECUNDI
>799 R e liq u a
sa t iv a a b q u ib o c t io a u t u m k i.
D elle
1800
a l t e e p i a n t e d a s e m i n a r s i k e l l ' eqo ik o zio , d ' au t c im o .
LIV. Rorsas alio comitatu aequinoctio au tumni seruntur coriandrum, anethum, atriplex, malva, lapathum, caerefolium, quod paederota Graeci vocant: et acerrimum sapore, ignei effe ctui, ac saluberrimum corpori, sinapi, nulla cul tura, melius tamen planta tralata. Quia e diverso vix est sato semel eo liberare locum, quoniam semen cadens protinus viret. Usus ejus etiam pro pulmentario iu patellis decocto, citra intelle ctum acrimoniae. Coquuntur et folia, sicut reli quorum olerum. Sunt autem trium generum : unum gracile, alterum simile rapi foliis, tertium erucae. Semen optimum Aegyptium. Athenien ses napy appellaverunt, alii thapsi, alii saurion.
LIV. Di conserva si seminano nell' equinozio dell'autunno ancora il coriandolo, l'aneto 1'atri plice, la malva, il lapalo, il cerefoglio che i Greci chiamano pederoto ; noo che il senape, che ha sapor fortissimo, effètto focoso, e salutifero al corpo : ad esso nou bisogna alcuna cultura, quan tunque quando la pianta è traposla, \eoga assai meglio. Ma per contrario appena è seminato una volta sola, il luogo più non si può liberare da esso, perchè il seme, che cade, subito nasce. Usasi ancora per vivanda colto nella padella, di nuote rà che appena si sente il suo forte. Cuocoosi an che le foglie sue, come degli altri erbaggi. Sono di tre sorti ; uno sottile ; l'altro simile alle foglie delle rape ; il terzo simile alla ruchetta. Ottimo seme è I' Egizio. Gli Ateniesi lo chiamano napi, alcuni lapsi, e altri saurion. D el
SERPYLLUM, BT SISYMBRIUM.
LV. Serpyllo et sisymbrio montes plerisque scatent, sicut in Thracia : utique deferunt ex his avulsos ramos, seruntque. Itera Sicyone ex suis montibus, et Athenis ex Hymetto. Simili modo et sisymbrium serunt. Laetissimum nascitur in puteorum parietibus, et circa piscinas ac stagna.
F
ebulacba qbbbba q u a tu o b .
C a bk a b is .
LV1. 9. Reliqua sunt ferulacei generis ceu feniculnm, anguibus (ut diximus) gratissimum, ad condienda plurima, quum inaruit: eique per quam similis thapsia, de qua diximus inter exter nos frutices. Deinde utilissima funibus cannabis seritur a Favonio. Quo densior est, eo tenuior. Semen ejus quam est maturum, ab aequinoctio autumni distinguitur, et sole, aut vento, aut fu mo siccatur. Ipsa cannabis vellilur post vinde miam, ac lucubrationibus decorticata purgatur. Optima Alabandica, plagarum praecipue usibus. Tria ejus ibi genera. Improbatur cortici proxi mum, aut medullae : laudatissima est e medio, quae mesa vocator : secunda mylasea. Quod ad proceritatem quidem attinet, rosea agri Sabini arborum altitudinem aequal. Ferulae duo gene ra in peregrinis fruticibus diximus. Semen ejus in Italia cibus est. Conditur quippe, duratque in urceis vel anui spatio. Duo ejus genera : caules, et racemi. Corymbiam haoc vocant, corymbosque quos condiunt.
se r m o l l ir o b d b l s i s u m r i o .
LV. Molti mouti son pieni di sermollioo. e di iisimbrio, come in Tracia : a moltiplicarli oe spiccano i rami, e li ripongono dovunque piace. Enne in Sicione, venuto da' suoi monti, e in Ate ne da Imetto. In simil modo seminano aocora il sisimbrio. Nasce bellissimo nelle muraglie dei pozzi, e intorno le peschiere e gli stogai. Q
u a t t r o s p e c ie d i f e r u l e .
C abspx.
LV 1. 9. L' altre sorti van tra le ferule, cose il finocchio, il quale, come ho già detto, è gra tissimo alle serpi, e quando egli è secco, è buono a condire più cose. Al finocchio è molto sìmile la lapsia, della quale s' è ragionato fra gli sterpi forestieri. Écci poi il canape utilissimo a far funi, il quale si semina dopo Favonio. Quanto è più spesso, tanto è più tenero. Il seme suo, quando egli è m»1uro, si ricoglie dopo l'equinozio del·· l ' autunno, e seccasi al sole, o al vento, o al fumo. Il canape si sveglie dopo la vendemmia, e nelle veglie che fan poi i contadini scorticandolo sì purga. L 'ultimo è 1' Alabandico, e massimamen te per far relì. Quivi sono tre sorti dì canape : non è tenuto buono quello eh* è presso alla cor teccia, o alla midolla : lodatissimo è quello di mezzo, che si chiama mesa. La specie mediocre si domanda milasea. Quanto alla grandezza, la rosea del territorio Sabino cresce all'altezza de gli alberi. Fra gli sterpi forestieri abbiamo ragio nalo di due sorti di ferula. Il seme suo si man gia in Italia. Riponsi, e dora negli orci per »■
ι8οι
HISTORIARUM MUNDI LIB. XIX.
1802
anno. S o d o di dae sorti : i gambi, e i racemi. Questa sì chiama corirabia, e corimbi quegli che si condiscono. MORBI BOBTEBSIoBUM.
D
LVU. io. Morbos horlensia quoque sentiunt, sicut reliqua terrae sata. Namque et ocimum se necta degenerat in serpyllum, et sisymbrium in mentam. Et ex semine brassicae veteris rapa fiunt, atque invicem. Et necatur cuminum ab haemodoro, nisi repurgetur. Est aulem unicaule, radi ce bolbo simili, non nisi in solo gracili nascens. Alias privatim cumini morbus scabies. Et oci mum sub Canis ortu pallescit. Omnia vero ac· ccssu mulieris menstrualis flavescunt. Bestiolarum quoque genera innascuntur. Napis culices, raphano erucae, et vermiculi : item lactucis et oleri : utrisque hoc amplius, limaces et cochleae. Porro vero privatim animalia, quae facillime stercore injecto capiuntur, condentia in id se. Ferroque non expedire tangi rotam, cunilam, mentam, ocimum, auctor est Sabinus Tiro in li bro Cepuricon, quem Maecenati dicavit.
R e m e d ia . Q
u ib us
m od is
f o r m ic a e
necentur.
elle in fe r m it à d b g l i o b t i.
LVII. 10. L’ erbe degli orli ancora hanno delle infermità, come l ' altre cose prodotte dalla lerra. Perciocché il basilico invecchiando trali gna in sermolliuo, e il sisirnbrio in menta. Il se me vecchio de' cavoli fa rape, e così per lo con trario. Il cornino va speulo dall’ «inodoro, se non si porga da esso. Fa un gambo solo : la radice è si mile alla cipolla, e non nasce se non in terreno gra cile. 11 cornino ha un’ altra infermità, ch’ è come specie di rogna. Il basilico intorno al nascimento della Canicola impallidisce. Tutte l’erbe, qaando s’appressa loro donna, che abbia il suo tempo, in giallano. Nascono in esse ancora molte sorti dì ver mini : ne'navoni le zanzare, nei rafani i tarli e al tri verminuzzi : così nelle lattughe e nel cavolo, e inoltre nell’ uno e nell’ altro nascono lumache e chiocciole. Nel porro si trovano animali, i quali facilmente si pigliano gettandovi dello sterco, perchè si ripongono in esso. Scrive Sabino Tiro ne in un libro, eh’ egli intitolò a Mecenate, che non è bene toccare col ferro la ruta, la conila, la menta, nè il basilico. Db’
r im e d ii.
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f o b m ic h b .
CoNTRA ERUCAS REMEDIA : CONTRA CULICBS.
RiMBDII CONTBO I BRUCHI, CONTRO LB ZAHZABB.
LYUI. Idem contra formicas, non minimum hortorum erilium, si non sint rigui, remedium monstravit, limum marinum, aut cinerem, obtu randis earum foraminibus. Sed efficacissime heliotropio herba necantur. Quidam et aquam di luto latere crudo inimicam eis putant.. Naporum medicina est, siliquas una seri : sicut olerum ci cer ; arcet euira erucas. Quo si omisso jam natae >int, remedium est absinthii succos decocti in spersus, et sedi, quam aizouro vocant: genus hoc herbae diximus. Semen olerum si succo ejas ma* defactum seratur, olera nulli animaliora obnoxia futura tradunt. In tolura vero nec erucas, si pa lo imponantur in hortis ossa capitis ex eqoino genere, feminae domtaxat. Adversus erucas et cancrum fluviatilem in medio horto snspensum auxiliari narrant. Sunt qui sanguineis virgis tan gant ea, quae nolunt his obnoxia esse. lufestant culices hortos riguos praecipue si sint arboscolae aliquae. Hi galbano accenso fogantur.
LVI 1I. Il medesimo insegnò uo rimedio per ammazzare le formiche, le quali fan danno gran dissimo agli o rli, se essi non s’ adacquano ; e questo rimedio è di turare ilor buchi o con mo la di mare, o con cenere. Ma molto meglio s’ uc cidono con I’ erba, che si chiama girasole. Alcu ni tengono che sia lor mollo nimica l’acqua, dove sia stemperato un matton crudo. La medicina de’ navoni è seminare con essi te silique ; come il cece è medicina de’ cavoli, perchè ne leva i brachi. E se, per non essersi ciò fatto, essi fos sero gii nati, si vogliono sprozzolare col sugo dell’ assenzio colto, e della sempreviva, eh’ è della aizoo. Se il seme di cavoli si semina bagnato nel sugo d’ essa, dicono che a veruuo dei detti animali non potrò andare soggetto ; e se negli orli si ficca sopra un palo il teschio d’ una cavalla, non vi nascono bruchi. Dicono ancora, che un granchio di fiome appiccato nel mezzo dell’ or to, è rimedio cootra i bruchi. Alconi osano toc care con verghe di sanguine quelle erbe, che non vogliono che sieno danneggiate da questi aniraaluzzi. Le zanzare ancora fan danno agli orti che s'adacquano, massimamente se vi sono arboscelli. Queste bestiuole si cacciano abbruciandovi gal bano.
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C. P.LiNll SECUNDI
1804
ii. Naro quod ad permutationem seminum 11. Quanto appartiene alla mutazione de’ se allinet, quibusdam ex iis firmitas major est, ut mi, alcuni d’ essi hanno maggior fermezza, come coriandro, betae, porro, nasturtio, sinapi, eru> il coriandolo, la bietola, il porro, il nasturzio, la cae, cunilae, et fere acribus. Infirmiora aulem senape, la ruchetta, la cunila, e quasi lutti gli sunt atriplici, ocimo, cucurbitae, cucumi : et agrumi. Più deboli sono Γ atriplice, il basilico, aestiva omnia hibernis magis durant; minime la zucca e ii cocomero ; e lutti gli staterecci du aulem gelhyuro. Sed ex his quae sunt fortissima, rano più che i vernerecci, eccetto il gelio. Ha di nullum ultra quadrimatum utile est, dumtaxat quegli che sono più forti, nessuno è buono più serendo. Culinis et ultra tempestiva sunt. che quattro anni, ma solo a seminare. In cibo però son buoni più a lungo. Q
u ib u s s a l p a e a q u a e p r o s i n t .
LIX. Peculiaris medicina raphano, betae, ru tae, cunilae, in salsis aquis, qi^ae el alioqui plu rimum suavitati et fertilitati conferunt. Ceteris dulcium aquarum rigua prosunt. Utilissimae ex iis, quae frigidissimae, et quae potu suavissimae. Mimis utiles e stagno, et quas elices inducunt, quouiara herbarum semina invehunt. Praecipue tamen imbres alunt. Nam et bestiolae innascentes necantur.
R a t io
r ig a n d i h o r to s.
LX. 12. His horae rigandi, maluliua atque vespera , ne infervescat aqua sole. Ocimo tan tum et meridiana : etiam salum celerrime erum pere palant, inler initia ferventi aqua adspersum. Omnia aulem translata meliora grandioraque fiunt, maxime porri, napique. In trauslatione et medicina est, desinuulque sentire injurias, ut gelhyum, porrum, raphani, apiain, lactucae, rapae, cucumis. Omnia aulem silvestria fere sunt et foliis minora, el caulibus, succo acriora : sicut cunila, origanum, ruta. Solum vero ex omnibus lapathum silvestre melius : hoc in salivis rumex vocatur, nasci turque f o r t i s s i m u m : traditur certe semel salum durare, nec vinci umquam a terra, maxime juxta aquam. Usus ejus c u m plisana tantum in cibis leviorem gralioremque saporem praestant. Silvestre ad multa medicamina utile est. Adeoque nihil omisit cura, ut carmine quo que comprehensum reperiam, in fabis caprini fimi singulis cavatis, si porri, erucae, lactucae, apii, intubi, uasturlii seroiua inclusa serantur, mire provenire. Quae sunt silvestria, eadem in salivis sieciora inlelligunlur, et acriora.
A QUALI PIANTE GIOVINO LE ACQCE SALSE.
LIX. La medicina propria del rafano, della bietola,della ruta e della cunila consiste nell'acque salse, le quali giovano mollo alla soavità, e alla fertilità loro. All’ altre torna meglio adacquarle con Γ aque dolci. Di queste utilissime sono le più fredde, e quelle che son migliori da bere. Manco utili sono quelle dello staguo, e quelle che con ducono i solchi, perchè ne portano i semi dell’ erba. Ma sopra tutto Γ acque piovane son buo ne, perchè elle ammazzano le besliuole che vi nascono. M odo
di adacq uare g l i o r t i.
LX. 12. L’ ore del dar I' acqua sono la matti na, e la sera, acciocché essa non ribolla per lo sole. Solo il basilico s’ annaffia ancora da mezzo giorno; il quale, quando è seminato, /engouo che nasca tosto, se da principio s’ innaffia con l’ acqua bollita. Ogoi cosa che si traspone,diven ta maggiore e migliore, massimamente i porri e i navoni. Il trasporre è ancora medicina per al cuni erbaggi, i quali per ciò non vanno più sog getti ad ingiuria, come il gelio, il porro, i raftni, l’ appio, le lattughe, le rape e il cocomero. Tutti i salvatichi per lo più hanno minori foglie e gam bi, e ’souo più agri di sngo, siccome è la cunila, 1’ origano e la ruta, eccetto che il lapato salvatico, eh* è migliore deli’ ortolano. Questo tra i do mestichi si chiama romice, e nasce fortissimo ; e dicono che una volta seminato, dura, nè mai è vinto dal terreno, massimamente appresso l’ ac qua. Usato nell’ acqua d'orzo solamente ne’ cibi, fa più leggeri e più soave sapore. Il sabatico è buono a molte medicine. E la diligenza dell'uo mo è stata tanto grande, che io truovo trattato ancora in versi, come forando i globelli dello sterco della capra, e mettendo in ciascuno il seme del porro, della ruchetta, della lattuga, dell’ ap pio, dell’ indivia e del nasturzio, vengono mara vigliosamente. Gli erbaggi salvatichi, come sien seminati, sono più secchi e piò agri.
HISTORIARUM MUNDI LIB. XIX.
De s u c c i s
b t s a p o rib u s h o rte n s io ru m .
LXI. Namque et succorum saporumque di cenda differenlia esi, vel major ij» his quam po mis. Suot autem acres cunilae, origani, nasturtii, sinapis. Amari, absinthii, centaurei. Aquatiles, cucumeris, cucurbitae, lactucae. Acuti, thymi, cunilae. Acuti et odorati, apii, anethi, feniculi. Salsus lantnm e saporibus non nascitur, aliquan do extra insidit pulveris modo , ut cicerculis tanlum.
De p i p e r i t i d e ,
e t l i b a n o t i d e , e t sm y b h io .
De' s i o h i e s a p o r i
1806
d e l l ' e r b e ii ' o r t o . ‘
LXI. Abbiamo a ragionare ancora della diffe renza de' sughi, e de' sapori, la quale è maggiore in queste erbe, che ne' frulli. Agri sono adunque la cunila, Γ ungano, il nasturzio e la senape. Amari l’ assenzio e la centaurea. Acquatili, il co comero, la zucca, e la lattuga. Acuti il limo e la cunila. Acuti e odorali, l’ appio, l’ aneto e il finocchio . Solo il sapor salso nou nasce ; ma talora s'appicca di fuori a modo di polvere, come nelle cicerchie. D ella
p e p b b u o l a , d e l l ib a n o t o ,
DBL CAVOLO SMIBNIO.
LX 1I. Atque ut inlelligalur vana, ceu ple rumque, vitae persuasio : panax piperis saporem reddit, et magis etiam siliquastrum, ob id pipe ritidis nomine accepto. Libanotis odoreiu thuris, smyrnium myrrhae. De panace abunde dictura est. Libanotis locis putribus el macris ac roscidis seritur semine. Radicem habet olusatri, nihil a thure differeulen). Usus ejus post annum storna· ch'o saluberrimus. Quidam eam nomine alio ros marinum appellant. Et smyrnium olus seritur iisdem locis, myrrharaque radice resipit. Eadern et siliquastro s m I i o . Reliqua a ceteris et odore et sapore differunt, at ane thura. Tantaque est di versitas atque vis, ut non solam aliud alio mu tetur, sed etiam in lotum auferatur. Apio exi munt coqui obsoniis acetum : eodem cellarii in saccis odorem vino gravem.
Et hactenus hortensia dicta sint, ciborum gratia dumtaxat. Maximum quidem opus in iis dem naturae restat ; quoniam proventus tantum adhuc, summasque quasdam tractavimus. Vera aatem cujusque natura uon nisi medico effectu pernosci potest, opus ingens occultumque divini tatis, el quo nullum reperiri possit majus. Ne sin gulis id rebas coutexeremus, justa fecit ratio, quum ad alios medendi desideria pertineret, lon gis utriusque dilationibus futuris, si miscuisse mus. Nunc suis quaeqne partibus constabunt, poteruntque b voleotibus jungi.
LX 11. E acciocché s 'intenda esser vana, come il più delle volle, la persuasione degli uomini, la panace ha sapor-di pepe, ma molto più il siliqua stro, che perciò s' ha preso il nome di peperuola. 11 libanoto ha odore d'incenso, lo smirnio di mirra. Della panace s 'è ragionalo abbastanza, li libanoto si semina col seme in luoghi putridi, magri e rugiadosi. Ha la radice dell' olusastro, non punlo differente dall' incenso. L' uso d 'esso dopo nn anno è attissimo allo stomaco. Alcuni per altro nome lo chiamano ramerino. Il cavolo smirnio si semina ne'medesimi luoghi, e sa di mirra nella radice. Così si semina ancora il sili quastro. Gli altri erbaggi sono differenti fra loro e d' odore, e di sapore, come Γ aneto. E lauta è la diversità e la forza, che non solamente Γ uno sa pore sì cambia nell' altro, ma ancora si leva af fatto. 1 cuochi levano l’ acetoso alle vivande con I' appio ; e del medesimo modo i vinattieri coi secchi danno grave odore al vino. In fino a qui s'è ragionato degli erbaggi, sola mente per cagione de'cibi. Ma mollo maggiore opera dèlia natura resta a dire rapporto a' mede simi, perchè infino a qui abbiamo solamente trat talo del provento loro, e di certe cose superficiali. Ma la vera natura di ciascuna non si può cono scere, se non negli effetti della medicina ; il che è opera grande e segreta della divinità, e di cui non se ne può trovare alcuna altra maggiore. E se io non ho dimostralo la medicina, a cui è alta ciascuna erba, il feci per giusta e savia ragione, tra perchè la cura della medicina s 'aspetta ad al tri, e perché se v' avessi sempre inserito di quella scienza, avrei protratto la mia materia fuori di modo. Stieno adunque separate le cose della na tura dalla medicina, che già coloro che volessero, le potranno anche copgiungere insieme.
ΙΊΝΕ DEL PRIMO VOLUME