Una introduzione a GCC per i compilatori GNU gcc e g++Full description
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Breve riassunto sulla sinistra hegeliana e su due esponenti di questa corrente: Strauss, con l'analisi agli scritti biblici, e Feuerbach. E' introdotto anche il pensiero marxista. A cura di Noemi ...
(Aristotele, Metafisica A 1, 980 a 21) «Omnes homines naturaliter scire desiderant, ut scribit Aristoteles, princeps Philosophorum, primo Metaphysicae, cuius causa potest reddi talis, quia omne ens naturaliter appetit suam perfectionem, & similiter conatur se assimilare primo enti, diuino & immortali, in quantum potest». (pref. a ed. di ‘problemata varia’, 1554)1
1. ‘Il libro intitolato il perché’2 La raccolta di Problemi che ci è giunta e che fa parte del Corpus Aristotelicum consta di trentotto sezioni di argomento vario; ogni sezione di lunghezza variabile è suddivisa in diverse questioni introdotte quasi sempre dalla formula dia; tiv, cui segue la risposta (h] o{ti), o le possibili risposte anch’esse in forma dubitativa. Essenzialmente, essi costituiscono un’opera enciclopedica in cui sono confluite le discussioni abituali e caratteristiche della scuola peripatetica, le ricerche, i principi e le teorie di Aristotele, di Ippocrate (Corpus Hippocraticum) e di Teofrasto. Ludovico Settala, nella prefazione alla sua edizione dei Problemi 3, lamenta lo scarso numero dei lettori di quest’opera (“PROBLEMATA ista quam pauci legunt, quam pauci intelligunt!”), che meriterebbe invece un’attenzione diversa: “hactenus ... amoenissimus hic, & fertilissimus quaestionum philosophicarum ager, velut sterile herediolum, pene incultus, & intactus remansit”. In realtà essa era allora abbastanza nota; il Settala scrive così forse per meglio giustificare il suo lavoro. Più a ragione, può lamentarsi dei ‘venticinque lettori’ chi in epoca più vicina a noi ha studiato i Problemi, l’opera più lunga del C. A., dopo le Ricerche sugli animali e la Metafisica. Il fatto che ci si sia occupati di meno dei Problemi (meno, ovviamente, in confronto con le opere più lette e commentate di
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Aristotele, fin dall’Antichità) non è in relazione con i dubbi sull’autenticità della raccolta, sollevati d’altra parte solo in epoca moderna, ma con le difficoltà di comprensione del testo e con l’uso di termini tecnici (difficoltà dichiarata più volte dai traduttori), con la mancanza di una struttura organica, con l’argomentazione limitata ai phainómena, alle cose e ai processi indagati nelle loro cause immediate, essenzialmente tenendo conto della causa efficiente, in base a principi e criteri solo applicati e non, essi stessi, discussi, diversamente da quanto avviene nell’Aristotele di cui interpreti e commentatori si sono da sempre maggiormente occupati. Tuttavia proprio lo schema adottato di domanda e risposta, anch’essa dubitativa, l’insistenza e l’indagine sulle cause inseriscono pienamente quest’opera nell’ambito della filosofia aristotelica, e ne fanno un documento del tipico modo in cui si è espressa la tendenza greca alla speculazione, e di un atteggiamento culturale per cui in Grecia si è visto nella curiosità e nella meraviglia lo stimolo necessario e preliminare di ogni ricerca4, stimolo che ha contribuito al raggiungimento di quei vertici che conosciamo dai dialoghi di Platone e dall’indagine di Aristotele. Il prevalente interesse, nella storia della filosofia occidentale, per i problemi ontologici e gnoseologici, e la separazione progressivamente più netta tra filosofia e medicina o scienza in genere hanno contribuito, in passato, a una minore conoscenza dei Problemi come è successo per altre opere minori del C. A. D’altra parte, periodi e ambienti culturali interessati alle res e alle scienze naturali hanno riproposto all’attenzione quest’opera, per il suo contenuto o anche solo per il suo ‘genere’, diffusissimo nell’Antichità e ripreso in epoca moderna, in vari modi e contesti, e con varia cornice (un simposio, una riunione, un dialogo reale o immaginario strutturato in domande e risposte). Esso ha offerto un fortunato schema scelto spesso per comunicare teorie e acquisizioni, per informare e per divulgare conoscenze di carattere enciclopedico ed eclettico, o solo per un dotto intrattenimento5. Alla corte siciliana dell’imperatore Federico II6, ai suoi interessi scientifici e a quelli della sua epoca, ci riconduce la traduzione dal greco da parte di Bartolomeo da Messina, su commissione di Manfredi che seguì anche in questo gli interessi culturali del padre. L’attività di Bartolomeo da Messina
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come traduttore delle opere aristoteliche è testimoniata da parecchi codici: di importanza primaria, anche per la storia dell’aristotelismo in Occidente, è il Patavinus Antonianus XVII, 370 del sec. XIV. L’Expositio Problematum di Pietro d’Abano, medico e cultore della scienza del suo tempo contemporaneo di Dante, incomiciata a Parigi e finita a Padova7, è stata più volte edita insieme con traduzioni latine8. Di età umanistica sono la traduzione poco nota di Giorgio da Trebisonda e quella molto più fortunata di Teodoro di Gaza, traduzione pubblicata più volte e inserita, tra l’altro, nel terzo volume dell’edizione del Bekker (1831). Siamo nella Roma di Nicolò V (che promosse molte traduzioni di autori greci in latino), dominata dall’attività culturale del Bessarione e di Lorenzo Valla. Giorgio da Trebisonda e Teodoro di Gaza tradussero per Nicolò V anche opere biologiche di Aristotele. La rivalità e l’astio tra i due divamparono anche per la traduzione dei Problemata che li mise più che mai a confronto, un confronto che appassionò molti personaggi del tempo, e che riguardava anche due modi diversi di intendere e di realizzare la traduzione di un’opera antica, e di carattere tecnico9. Teodoro di Gaza ebbe la meglio grazie anche al fatto che Giorgio da Trebisonda non godeva di molte simpatie, e all’appoggio del cardinale Bessarione: molte lodi gli vengono in genere tributate nelle prefazioni alle sue traduzioni10. Angelo Poliziano dedicò gli ultimi anni di insegnamento soprattutto alla lettura e alla spiegazione di opere di Aristotele e dei suoi commentatori; in precedenza aveva tradotto il primo libro dei Problemi attribuiti ad Alessandro di Afrodisia11. Lo studio di testi scientifici di varia natura, da parte del Poliziano, si inserisce nell’ambito del suo lavoro filologico e del suo sapere enciclopedico, pienamente condiviso da altri personaggi della cultura del suo tempo. Sono dunque ancora gli interessi scientifici ed eclettici di un’epoca o di un ambiente culturale a riproporre all’attenzione una raccolta di problemi di varia natura. La struttura dei suoi Miscellanea (divisi in capitoli con un titolo in testa, in cui si pone la questione da discutere) sono un’altra conferma della fortuna di questo genere, come si è accennato. I Problemi attribuiti ad Alessandro furono tradotti anche da Giorgio Valla12. Con il Seicento, l’imporsi del metodo sperimentale relega in secondo piano l’autorità di Aristotele; d’altra parte proprio
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l’attenzione alle res e al ‘libro della natura’ suscita l’interesse anche per i Problemi, più volte commentati. Tra Cinquecento e Seicento, in molti paesi d’Europa, sono numerose le riedizioni, anche a distanza di pochi anni, di traduzioni dei Problemi del C.A. e di altre vecchie o nuove raccolte di problemi e questioni, che hanno tuttavia nelle opere aristoteliche uno dei riferimenti principali13. Le raccolte sono sempre presentate come utile e necessaria fonte di conoscenza, soprattutto per filosofi e medici14; esse hanno rappresentato la base per l’informazione e sono confluite a loro volta in altre opere di carattere enciclopedico e di grande diffusione15. Molto della scienza antica, anche non peripatetica (si pensi per esempio anche all’influenza delle Naturales quaestiones di Seneca), finisce nella letteratura manualistica e nelle raccolte di problemi e questioni dal Medioevo in poi, nella tipica forma dei problemi aristotelici, ripetutamente influenti se non sempre nel contenuto quasi sempre nella struttura. Il medico milanese Ludovico Settala pubblica in un primo tempo un’edizione parziale dei Problemi, in seguito tutta l’opera con propria traduzione e un commento16. Giulio Guastavini scrive un commento, limitato alle prime dieci sezioni17; insieme viene stampato anche il testo con la traduzione di Teodoro di Gaza. L’introduzione è ricca di notizie e di riferimenti. Del Seicento è anche il commento di Silvestro Mauro18. Ai Problemi di Aristotele e di Alessandro di Afrodisia fa più volte riferimento (soprattutto quando le questioni sollevate sono simili) Alessandro Tassoni19. Non è un caso che siano stati soprattutto i medici ad occuparsi dei Problemi dato che molte sezioni dell’opera sono di argomento medico, e che soprattutto molte questioni sono impostate e risolte da un punto di vista medico e fisiologico, o facendo riferimento a teorie mediche. Nei Problemi è però anche evidente l’attenzione per gli aspetti che possiamo definire psicologici, e per fenomeni di varia natura, sui quali Barthélemy-Saint Hilaire si sofferma nelle note che accompagnano la sua traduzione, pubblicata nel 1891 dopo un lungo periodo di lavoro, a distanza di più di due secoli dall’opera del Settala. Nell’introduzione, egli invita il lettore a separare, nella valutazione e nel giudizio, le domande, che rivelano sagacità e spirito di osservazione, dalle risposte spesso errate o insufficienti, «quelquefois même ridicules» (p. XIV)20; invita inoltre a riflettere sul fatto che «ces théories, qui nous choquent tant,
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ont régné sans conteste jusqu’au XVIIe siècle; et il y a deux siècles tout au plus que la science moderne a secoué définitivement le joug, si utile au Moyen-âge». Oggi, il commento più esaustivo e ampio si deve a Hellmut Flashar, profondo conoscitore della medicina e in genere della scienza antica e dei suoi rapporti con la filosofia; esso è stato pubblicato per la quarta volta nel 1991. Le edizioni parziali di Gerardo Marenghi, e da ultimo l’edizione completa di Pierre Louis, già editore di opere biologiche e dei Meteorologica di Aristotele, in una diffusa collana, testimoniano la ripresa di un interesse per un’opera per troppo tempo dimenticata, se si eccettuano gli studi su alcune sezioni, e il lavoro filologico, le numerose congetture degli studiosi, lavoro che anche su questo testo è stato condotto con una certa continuità nel tempo. La scienza moderna è lontanissima dalle soluzioni proposte nei Problemi e ovviamente anche dall’ingenuità di alcune domande. In generale, il confronto tra la scienza antica e quella moderna ha senso in vista di un approfondimento e di un’indagine sulla storia delle idee, sulle concezioni e sugli interrogativi che hanno accompagnato l’evoluzione intellettuale dell’uomo. Ha invece meno senso se il confronto implica un giudizio di valore, o se intende sottolineare il passaggio da una concezione ‘falsa’ a una ‘vera’ (è comune convinzione degli scienziati che una teoria è vera fino a che nuove indagini e nuovi esperimenti non la rimettano in discussione; è di pochissimi la fiducia di poter formulare un giorno una teoria fisica unica e definitiva), e se si cercano specularità che non possono esistere tra ambiti e problemi che restano in ogni caso distinti, se non altro per il metodo e per i sistemi di riferimento, anche quando l’oggetto d’indagine sembra lo stesso. In particolare, per quanto riguarda i Problemi, il loro interesse non sta nelle soluzioni proposte, come già si è detto, né tanto meno nel metodo d’indagine, quanto nel fatto di essere anch’essi espressione di un atteggiamento che ha condizionato tutta la civiltà occidentale, contribuendo a contraddistinguerla da ogni altra, in modo netto. Si è detto polemicamente, nel dibattito attorno all’interpretazione freudiana del mito di Edipo, che edipica, relativamente al metodo, può essere definita piuttosto l’analisi, così qualificabile in riferimento al modo in cui lavora la mente di
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Edipo. Il suo heurískein (Soflocle, Edipo re, v. 440), ‘scoprire, trovare, risolvere’, è un’attività analitica che contraddistingue il mondo occidentale, e la cui sintesi è, dal punto di vista greco, nel logos: il dramma di Edipo mette in scena l’indagine e il metodo euristico della nostra cultura occidentale21. Chiedersi il ‘perché’ di tutto ciò che si osserva, anche di ciò che appare semplice e ovvio, dimostrare anche ciò che potrebbe essere sufficientemente chiaro di per sé (si pensi per es. alle dimostrazioni nella geometria euclidea), indagare le cause di ogni cosa, ricondurre tutto all’onnicomprensiva verità del logos, del ragionamento corretto, è una prerogativa della civiltà greca. Che altre civiltà possano avere talora anticipato e talora eguagliato i risultati cui sono pervenuti i Greci, in alcuni ambiti soprattutto tecnici o di pratica applicazione delle teorie, è una constatazione ovvia; ma una piramide egiziana e un tempio greco, o il sistema numerico dei Babilonesi e il numero dei Greci, o ancora la coppia oppositiva Yin/Yang e gli opposti di Eraclito sono espressioni, tra l’altro, di una ricerca, di una finalità e di un metodo profondamente diversi. Questo atteggiamento di indagine appare certo oltremodo semplificato nei Problemi dove lo schema della domanda e della risposta diventa anche un comodo espediente per presentare il sapere, la ricerca e i suoi risultati, in forma manualistica ed enciclopedica. Tuttavia la scelta di questo schema è significativa e indicativa di una tendenza e di un’impostazione più generali; quest’opera si presenta infatti come il frutto di discussioni di scuola (anche se non sempre possiamo coglierne il vivo riflesso), di un orientamento che potremmo definire pragmatico per cui la spiegazione scientifica, intesa appunto come risposta a una domanda, è condotta empiricamente su fenomeni e processi, soprattutto nell’ambito delle scienze naturali. Ma si dà forma di domanda e di risposta anche a un vario e vasto materiale che non era inizialmente così strutturato: oltre all’intento pratico, vi si riconosce anche l’inclinazione a presentare la ricerca nell’immediatezza del suo farsi o del suo proporsi, in accordo con il carattere insito nell’investigazione attraverso la domanda. La forma elementare in cui è presentata l’indagine, l’immediata aderenza alle cose e ai processi, gli esperimenti talora proposti e descritti, il prevalente carattere di appunti ci riconducono, come si è detto, all’origine dei Problemi nelle discussioni della scuola: essi testimoniano pienamente l’attività di ri-
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cerca, lo spirito del Peripato e l’evoluzione nell’uso di uno schema tradizionale: dalla dialettica e dalla logica alla ricerca sulle cose e sui fenomeni, così come accadono nella vita quotidiana e come l’uomo può osservarli, e anche verificarli, nella propria esperienza, nella costante interazione tra situazione fenomenica e cause fisiche. La teoria si trova così fusa nell’indagine sulle cause: si parte dal particolare e si resta in definitiva in esso, pur se il sistema di riferimento, il paradigma, i principi esplicativi sono più generali e assunti aprioristicamente. Mancando un’impostazione più propriamente filosofica e speculativa, l’indagine è solo implicitamente sostenuta dalla fondamentale idea secondo cui gli eventi sono parte di una regolarità naturale, dalla concezione causale per cui i fenomeni sono spiegati attraverso la connessione di causa ed effetto, dalle nozioni di necessità e possibilità, e raramente di finalità. L’indagine sulle cause naturali è per noi profondamente e intimamente legata alla costruzione dell’immagine scientifica del mondo; ma questo atteggiamento, questo modo di indagare la realtà delle cose e dei fenomeni non è e non è stato sempre di tutta l’umanità: sono stati i Greci a dare per primi un esempio di libera ricerca, anche indipendentemente dalla correttezza dei risultati raggiunti. Lo straordinario stimolo che da essi è venuto e l’eredità più vera della scienza antica possono essere efficacemente colti e compendiati dalle parole che leggiamo all’inizio del trattato ippocratico sulla Malattia sacra, cioè sull’epilessia ammantata di superstizioso terrore in tutte le società arcaiche: «a me non sembra affatto che sia più divina né più sacra delle altre malattie, essa ha come le altre una causa naturale e da essa deriva»; oppure dal verso delle Georgiche di Virgilio: «felix qui potuit rerum cognoscere causas» (II 490). Possiamo infine ricordare un passo dei Problemi in cui si allude alla consapevolezza (in altre opere più compiutamente espressa, in relazione alla maggiore specificità dell’argomento trattato) che i Greci avevano del proprio atteggiamento culturale e della natura di una ricerca continuamente volta a interrogare di nuovo sé stessa: «tiene svegli l’attività di pensiero in cui l’anima è occupata a indagare e a porsi domande, non quella in cui l’anima si limita a contemplare: nel primo caso essa è lasciata nell’incertezza, nell’altro no» (XVIII 7). Diversamente da altre raccolte di questioni, o di altre opere di carattere simile, nei Problemi mancano un’introduzione
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e un’ambientazione, non ci sono interventi né scambio di opinioni, valutate nella loro diversa fondatezza o nella loro maggiore verosimiglianza, ma solo, dove se ne dà l’occasione, un susseguirsi di possibili o probabili soluzioni, semplicemente elencate come alternativa. L’insieme assomiglia pertanto a un resoconto scheletrico (limitato alla domanda e alla risposta, senza i protagonisti) di quelle discussioni, di cui si è detto, nell’ambito del Peripato, delle lezioni durante le quali il maestro poneva dei quesiti ad allievi cui spettava la risposta. Meno frequentemente l’argomentazione si dilunga fino ad assumere l’aspetto di un piccolo trattato (vd. per es. la sez. XXX 1), o comunque di un’esposizione più articolata. Così è per esempio per le questioni di ottica (nel solco di una tradizione nota, ma anche con osservazioni interessanti su aspetti psicologici), questioni che possono avere in qualche caso un carattere documentario, dato il poco che ci è giunto della produzione tra Euclide e Tolomeo. Lo stesso vale per gli studi di medicina nell’ambito del Peripato, il cui contributo, testimoniato per noi dai Problemi (a parte i frammenti di Diocle), è consistito appunto in un collegamento tra la medicina ippocratica e le ricerche naturalistiche di Aristotele22. Ancora, degli studi sulla musica in ambito peripatetico resta in parte l’opera di Aristosseno; tuttavia nella sezione XIX dei Problemi è confluito materiale che noi non conosciamo da altra fonte, e questo vale anche per la sezione sulla melancolia (XXX 1). I Problemi costituiscono insomma un’importante testimonianza dell’evoluzione di una ricerca che per un attimo si ripiega su sé stessa, sembra guardare indietro. Si raccoglie il materiale già elaborato nella scuola ad uso della scuola stessa, ma con significative tendenze verso certi ambiti dell’indagine, con un accentuato interesse verso gli aspetti medici, fisiologici, e psicologici, con un prevalente atteggiamento pratico, con un dominante empirismo, con un emergente materialismo. L’orientamento specialistico rompe infine quello stretto rapporto tra la scienza naturale, empiricamente indagata, e la speculazione sui principi filosofici che possono sostenerla e indirizzarla; d’altra parte, attraverso la varietà dei temi proposti si prefigura il tentativo di promuovere un’unità della ricerca e della scienza, rinnovando quell’unità del sapere che aveva caratterizzato il mondo classico, seppure su basi e presupposti diversi, e con diverso orientamento e oggetto. La rapida evoluzione del Peripato, sulla scia peraltro di quella molteplicità
2. IL NOME «PROBLEMA» E LE RACCOLTE ANTICHE
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di interessi e di ricerche di cui Aristotele stesso era stato animatore e promotore, e che aveva stimolato nei suoi allievi, è ben evidente nei Problemi; essi conservano così lo spirito autentico del Peripato nella discussione tra maestro e allievo, e nella ricerca basata sull’osservazione e sull’indagine attraverso le cause. Ciò che appare e ciò che sembra non sono contrapposti a ciò che è, ma sono l’atteso risultato del processo di conoscenza attraverso i sensi, del verificarsi di certi fatti; per Aristotele la veridicità dei sensi è d’altra parte in relazione con la percezione del loro ‘sensibile proprio’. Dall’atteggiamento empirico dipende anche il carattere delle numerose osservazioni psicologiche contenute nei Problemi: impressioni e reazioni sono osservate così come si producono nei sensi (non indagate nella loro complessità), e quasi sempre collegate a una causa fisica. Anche il comportamento dell’uomo viene descritto e spiegato nelle cause fisiche e immediate che lo determinano, accentuando l’impostazione naturalistica che Aristotele aveva dato alla teoria dell’ethos.
2. Il nome ‘problema’, e le raccolte antiche La parola próblema significa propriamente ‘ciò che viene gettato, messo davanti’, e può indicare un promontorio, una sporgenza o prominenza; un ostacolo, un impedimento; un baluardo, un riparo, una difesa nel linguaggio militare, o uno schermo in senso translato. Nella geometria, il próble¯ma viene distinto dal theóre¯ma23, indica un compito da risolvere e implica l’indagine sulle cause; nella logica aristotelica è essenzialmente l’esposizione di un argomento su cui non esiste un accordo e su cui si articolano il dibattito e le conclusioni: Aristotele distingue tra problemi etici, fisici e logici. Particolarmente interessante, anche per un confronto con la distinzione, valida anche nell’epistemologia moderna, tra evidenza e spiegazione, è un passo dei Secondi Analitici (I 13, 78 b 32-14, 79 a 32): stabilite le differenze tra il sillogismo con cui si prova ‘che qualcosa è’ e il sillogismo con cui si mostra ‘il perché qualcosa sia’, si afferma che il sapere ‘che qualcosa è’ (to hóti) spetta all’osservatore degli eventi naturali, mentre il sapere ‘perché quel qualcosa sia’ (to dióti) è compito dell’esperto di matematica, di ottica, di geometria, caso per caso; il conside-
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rare ‘il perché’ è la peculiarità più significativa del sapere (kyriótaton ... tou eidénai to dióti theoréin)24. Nell’Antichità esisteva una vastissima produzione letteraria, scientifica e filosofica (in parte perduta) strutturata in domande e risposte; le domande potevano essere poste anche come parádoxa o come thaumásia, come interrogativo su fenomeni strani, inaspettati o sorprendenti. Oltre alle raccolte di ‘problemi’ e di ‘questioni’ che ci sono pervenute, altre opere, pur di carattere diverso, contengono al loro interno parti dedicate a problémata o aporémata e lysv eis su qualche specifico argomento. I Problemi omerici di Aristotele erano una raccolta dedicata all’esposizione di questioni filologiche e all’interpretazione di passi dei poemi, risolvendo le aporie25. La produzione strutturata per domande e risposte sembra sempre di più imporsi dall’Ellenismo in poi, per finalità pratiche e divulgative. Nelle raccolte dossografiche (cui Aristotele preparò la via), le doxai sono presentate spesso come risposta a domande del tipo tí esti, dià tí, póthen, pos, pósos, ei, con cui si definisce una cosa, si spiegano le differenze, la causa e l’origine, il come avvenga un processo, si riassumono le discussioni26. Le liste antiche delle opere di Aristotele ricordano dei Problemata a lui attribuiti. La loro esistenza è testimoniata anche da molti autori antichi greci e latini27, e da Aristotele stesso che vi fa riferimento più volte nelle sue opere. Il lavoro filologico e interpretativo sulle liste antiche; le diverse designazioni nei vari autori (Problémata, Problémata physiká, ProbléV klia, Problematikói [lógoi], Ta problémata ta katá mata enky méros, ed altre ) e l’ordinamento del materiale; il confronto tra le citazioni di problemi e del loro contenuto, fatte da altri e da Aristotele stesso, e il testo della raccolta che fa parte del C. A.; l’analisi dello stile e del lessico; le differenze e le contraddizioni con le teorie aristoteliche hanno portato gli studiosi a dubitare dell’autenticità dell’opera che ci è giunta. Ovviamente il problema è connesso con quello della tradizione del testo aristotelico, e con il carattere stesso dell’opera, che si presenta come una raccolta enciclopedica, soggetta a rimaneggiamenti, ad aggiunte, soppressioni, trasposizioni e sovrapposizioni, a interventi di ogni genere nei vari momenti, fino alla sua configurazione attuale, che si mantiene invece sostanzialmente invariata nella tradizione manoscritta, anche a causa del carattere tecnico dell’opera.
2. IL NOME «PROBLEMA» E LE RACCOLTE ANTICHE
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Hellmut Flashar ritiene che gli autentici Problemata di Aristotele siano andati perduti, e che la raccolta che possediamo sia databile al III secolo a. C. e si sia formata nella scuola peripatetica dopo Teofrasto28. La datazione, da parte di altri studiosi, è oscillata dal I sec. a. C. al VI d. C. Pierre Louis, riconoscendo l’impossibilità di raggiungere la certezza assoluta in questioni come queste, si limita a delle ipotesi: all’inizio c’è una raccolta di note redatte da Aristotele sotto forma di domanda e risposta; nel secolo successivo alla sua morte, si aggiunge un certo numero di «problèmes originaux»; infine, nel corso del II sec. d. C., si mette a punto una nuova edizione in cui alcuni testi sono aggiunti e altri tolti. Questa edizione sarebbe quella pervenuta, sostituendosi all’edizione di Andronico del I sec. a. C.29 Note raccolte di problemi sono anche le Quaestiones medicae et problemata physica di Cassio detto Iatrosofista30; altre vanno sotto il nome di Alessandro di Afrodisia31, il commentatore di Aristotele vissuto nell’ultima parte del II e nella prima del III secolo d. C. Gli sono in genere attribuite, con qualche riserva, le Quaestiones, che in parte hanno il carattere di problemi32. Le varie collezioni di problemata, che la tradizione semitica attribuisce quasi tutte ad Aristotele, erano note nella cultura siriaca, araba ed ebraica, in cui lo schema della domanda e della risposta ebbe molto successo in quasi tutti i campi della scienza33. Tra le opere conservate, in cui la struttura della domanda e della risposta è inserita in un contesto più articolato, ci sono le Quaestiones convivales di Plutarco. La cornice è il simposio34: i convitati stabiliscono un oggetto di discussione e si scambiano le loro conoscenze. Il tema da discutere viene proposto spesso attraverso una domanda introdotta dalla formula dià tí. Plutarco utilizza lo schema della domanda e della risposta anche nelle Quaestiones naturales, e nelle Quaestiones romanae e Quaestiones graecae. In queste ultime, animate dall’idea del confronto tra Greci e Romani, i problemi posti sono di carattere diverso: nascono essenzialmente da curiosità sollevate da alcune espressioni, da alcuni costumi, riti, istituzioni; l’opera è il frutto di un’erudizione antiquaria che si ricollega sia al genere letterario degli aitia sia alla forma dei problemi nati in scuole filosofiche35.
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Molto del materiale antico e degli studi sulla natura è confluito anche sotto forma di domanda e di risposta nella produzione del Medioevo e nella produzione seguente; i problemi peripatetici hanno influito sia sul contenuto sia sulla forma36. Alcune sezioni sono state studiate più di altre: le sezioni sulla musica e sulla medicina; la sezione sulla melancolia e quella sul colore della pelle37. Dell’attenzione di filologi, editori e traduttori si è in breve già detto. Come curiosità si può ricordare che Isaac Newton nel concludere il terzo libro dell’Ottica formula una serie di domande cui segue quasi sempre una breve trattazione; dopo il metodo analitico seguito nei primi due libri, egli lascia ad altri il compito di approfondire la ricerca delle altre cose che rimangono da scoprire sulla luce e i suoi effetti, ricerca che egli dichiara di aver solo cominciato. Possiamo cogliere in ciò un’altra testimonianza del ricorrente uso di questo fortunato schema anche nella scienza moderna. L’odierno dibattito epistemologico ripropone all’attenzione e alla riflessione non solo l’oggetto e il metodo di ricerca ma anche il modo di elaborare e comunicare i suoi risultati, e il concetto stesso di spiegazione. A un livello più divulgativo, e più vicino all’esperienza di gran parte di noi, si può semplicemente pensare ai numerosi titoli che appaiono in libreria («Perché accade quel che accade?» «I perché della paura»); è facile accorgersi come sia ancora vitale questo schema sia nella più scarna forma di domanda cui segue come risposta una spiegazione, sia nella più elaborata forma di dialogo tra due interlocutori, per scopi che possono diversificarsi.
3. Struttura e stile I Problemi si configurano come un’opera di ispirazione sostanzialmente unitaria, con un certo piano nell’organizzazione del vasto materiale, pur con ineguaglianze e incongruenze: si individuano gruppi di sezioni che discutono questioni mediche e fisiologiche, questioni di botanica, questioni fisiche e meteorologiche; altre trattano di odori piacevoli e spiacevoli, di esseri animati e cose inanimate, di qualità morali e intellettive, di parti del corpo; altre ancora sviluppano temi singoli: gli effetti del clima sul corpo umano, questioni di matematica, l’amore per il sapere, la musica.
3. STRUTTURA E STILE
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L’ordine e la distribuzione degli argomenti sembrano tuttavia piuttosto casuali; molteplici e varie sono le ripetizioni: può essere ripetuta solo la domanda, oppure anche la risposta. La ripetizione può essere ad verbum, parola per parola, o con variazioni più o meno estese sia nell’argomentazione sia nelle soluzioni proposte; in alcuni casi sembra di essere di fronte a redazioni diverse, di cui però non sempre ci si può servire per stabilire o intravedere strati compositivi, così da ricostruire la formazione dell’opera. Alcuni doppioni inoltre costituiscono redazioni parallele, che possono essere dipendenti, ma anche indipendenti l’una dall’altra. Le formule introduttive delle domande e delle risposte sono quasi sempre le stesse; occasionali variazioni possono essere dovute a un collegamento che si stabilisce con il problema precedente, a obiezioni o a generalizzazioni. Pochissimi sono i problemi che non cominciano con una domanda, o che non sono strutturati nel solito schema di domanda e risposta. Più domande possono succedersi all’interno della singola trattazione, man mano che si procede specificando la questione posta all’inizio. Anche le risposte sono normalmente introdotte allo stesso modo, con rare deviazioni; molto frequentemente si dà una doppia risposta o più di una; in alcuni casi non si dà una risposta, oppure questa non contiene in realtà una soluzione: si ripete, senza spiegare. La domanda è talora formulata come paradosso. L’argomentazione è in alcune parti più vivace: si corregge la domanda iniziale, si fanno nuove affermazioni e precisazioni, come succederebbe nel procedere di una viva discussione; in altre più piatta e stereotipata, più irrigidita. Così, il tema trattato è talora ben articolato, consequenziale, dettagliato, talora è insufficientemente sviluppato o condotto poco chiaramente o del tutto confusamente; il pensiero è espresso molto spesso in modo complicato, trascurato, troppo succinto, oscuro e impreciso per essere sicuramente interpretabile, e questo anche al di là dei danni testuali veri e propri, e dello stato lacunoso e incompleto in cui molti problemi sono pervenuti. Accade anche che le osservazioni si susseguano in modo disordinato e che non si riferiscano a ciò che immediatamente precede, ma alla domanda in genere. Molte affermazioni sono collocate in modo da sembrare mal connesse col resto dell’argomentazione, mentre avrebbero più senso altrove: talora si ha l’impressione che si tratti di note finite malamente nel testo.
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La trattazione può essere molto breve o più lunga, fino a risultare quasi una monografia; la spiegazione si basa come si è detto sulle cause efficienti immediate e su indizi addotti come conferma; ma spesso ‘ciò che prova’ e ‘ciò che viene provato’ sembrano quasi identificarsi: la dimostrazione finisce per essere una constatazione, e la spiegazione una descrizione. Nella risposta, ci si può anche limitare a una definizione o a un’analisi etimologica di un termine, secondo una tendenza ricorrente nella letteratura antica, e nei modi che sono propri di questa indagine ben oltre l’Antichità. Eventi e processi vengono osservati e spiegati deduttivamente a partire da concezioni e teorie note; le risposte alternative alla prima rappresentano le doxai, i punti di vista diversi, pur nell’unitarietà dell’impostazione. Spiegare, interpretare, comprendere sono termini che corrispondono a procedimenti e a stadi diversi nel fare la ricerca e nel presentarne i risultati; i Problemi offrono una spiegazione collegando un singolo fatto a una causa generalmente fisica. La frequente oscurità del discorso, la non linearità di certi collegamenti, e l’argomentazione non rigorosamente sistematica e con passaggi logici sottintesi, con sovrapposizioni di piani argomentativi diversi, tipica di gran parte della produzione scientifica antica, rendono difficile la lettura. Nei Problemi queste difficoltà sono maggiori del consueto, anche perché essi non sono l’opera composta ed elaborata da un solo autore in un limitato periodo di tempo, pur se trovano nella personalità di Aristotele il loro centro e la loro unità. La lingua è fondamentalmente aristotelica, ma con significative deviazioni. Accanto alle parole di uso corrente aristotelico, ci sono molte parole rare in Aristotele o nella lingua greca in genere, o mai attestate, i cosiddetti hapax legómena; oppure parole attestate solo tardi; formazioni nuove; accezioni diverse dei termini; espressioni non abituali in Aristotele; un particolare uso dei preverbi, delle particelle e di alcune preposizioni. Nel campo poco indagato del linguaggio scientifico e tecnico, la lingua dei Problemi offre abbondante materiale di indagine e richiederebbe un’attenzione particolare e specifica: la maggior parte degli hapax è costituita da termini tecnici o da verbi composti con più prefissi. Sembra esserci in generale un tentativo di ampliare in qualche modo il lessico o di utilizzare certe parole in modo speciale. Flashar connette que-
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sta tendenza con il modo di utilizzare le diverse fonti e di riproporne il contenuto; non si può dire in ogni caso che nell’uso dei termini tecnici si faccia un significativo passo avanti verso quel linguaggio tecnico più preciso e specifico, di cui anche Aristotele avverte la mancanza38. Certo non potremmo aspettarci una rigorosa definizione dei significati e una rigida ripartizione degli usi e delle accezioni, come accade oggi nell’uso dei termini tecnici di ciascuna disciplina (anche nel passaggio da una lingua all’altra, gli usi possono variare: di questo è avvertita e consapevole la comunità scientifica). D’altra parte la civiltà greca si è mostrata attenta al problema del significato, del rapporto tra il nome e la cosa o tra l’enunciato e la realtà, e ben cosciente della necessità di distinguere e differenziare gli intrinseci significati delle parole, e dell’importanza della ‘veste’ linguistica, decisivo medium del pensiero (o un altro aspetto di esso), e strumento per ‘creare’, per far scaturire il sapere. Può sorprendere dunque che, per esempio, uno stesso termine possa essere usato per indicare molti e vari processi, o che uno stesso processo possa essere descritto e spiegato ricorrendo a termini diversi. Con ciò non si vuole sottolineare una mancanza né tanto meno un’incongruenza o una sciatta approssimazione, e neppure entrare nel merito di un discorso lungo e molto complesso, che coinvolge molti settori della ricerca e che comprende più generalmente il vasto problema della diversa oggettivazione e categorizzazione. Si vuole invece semplicemente rilevare una tipica tendenza e richiamare l’attenzione sulla difficoltà della resa di termini riferiti a fenomeni e processi che un antico può assimilare o distinguere in relazione a una causa o a un meccanismo considerati comuni o analoghi, o diversi, in base a criteri e parametri non corrispondenti o sovrapponibili ovviamente ai nostri, e non sempre sicuramente individuabili. Il linguaggio più rigoroso della scienza moderna è il frutto sia di principi e di metodi di ricerca che hanno portato ai risultati che conosciamo, sia di un approfondimento dell’essenza e della funzionalità del linguaggio, che ha dato nel tempo il suo decisivo apporto al progressivo costituirsi di una classificazione e di una strutturazione del lessico, e all’imporsi dell’esigenza di una nomenclatura più coerente e controllata. Lo stile è asimmetrico: a volte pleonastico e prolisso, a volte sintetico ed ellittico, a volte maldestro e involuto; si indivi-
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duano inoltre stili (oltre che interessi) diversi. Nella sintassi si notano improvvisi cambiamenti di soggetto, frequenti passaggi dal singolare al plurale e viceversa, omissioni (soprattutto di participi), anacoluti. Oltre al ripetersi delle questioni poste e delle possibili soluzioni, come si è detto, sono frequenti anche le ripetizioni di singoli termini o di frasi, all’interno dello stesso problema, in modo un po’ goffo e impacciato; ciò si spiega anche con il caratteristico procedere passo per passo, tornando sul già detto o specificandolo. Nella traduzione, l’andamento argomentativo è stato reso in modo più intellegibile e fruibile per un lettore moderno, fin dove possibile. La scienza dei Problemi è diversissima dalla nostra: sono diverse le nozioni di anatomia, di fisiologia e di patologia, le concezioni che sono alla base dell’indagine sulla natura, come diverso è il modo di argomentare e di spiegare; una traduzione non può mirare a raggiungere una congruità e una coerenza che non esistono, né tanto meno proporsi come l’unica possibile: un margine di arbitrio e di incertezza sembra inevitabile; nelle note si è cercato di richiamare l’attenzione su alcuni dei passi più controversi. Le contraddizioni sono molteplici e di varia natura. Indipendentemente dalle divergenze rispetto alle dottrine aristoteliche, ci sono contraddizioni all’interno dell’opera e delle singole sezioni, non necessariamente indicative tuttavia di strati diversi nella composizione e nella formazione. La loro valutazione, ogni volta, deve tener conto del carattere dell’opera che raccoglie materiale disparato e diverse opinioni, senza preoccuparsi evidentemente di livellare i contrasti: in una discussione, un certo fenomeno può essere chiarito e spiegato in modo diverso, qualche volta anche opposto; questa sembra essere un’idea e una pratica ricorrente nei Problemi. Inoltre può essere differente il punto di vista da cui si guarda al problema o la finalità della dimostrazione; e questo vale in generale per la scienza antica: le premesse o i presupposti possono variare in quanto diversamente utili e funzionali nei diversi casi. L’intento dimostrativo di un assunto, o la ‘giustificazione’ di un fenomeno (‘salvare i fenomeni’), e l’attenzione al ragionamento in sé tendono a dominare e a prevalere sulla sperimentazione, o a precederla. I rimandi, tra i molti possibili, che si propongono nelle note non hanno tutti la stessa rilevanza e lo stesso significato. In
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alcuni casi, i passi citati possono essere fonti dirette o indirette; in altri invece la priorità cronologica spetta, o sembra spettare, ai Problemi: ogni volta va valutato il preciso rapporto, non sempre peraltro facile da accertare, anche per la varietà del modo di utilizzare le fonti, e talora per la frammentarietà della tradizione, o per la totale perdita di trattati di cui i Problemi conservano solo la traccia. Conseguentemente neanche la ricerca delle fonti è sempre di sicuro e valido aiuto per ricostruire il progredire dell’opera nel tempo. La maggior parte dei confronti, più stringenti o più generici, è utile per vedere come un vasto materiale di ricerca e di riflessione, nei vari ambiti, venga utilizzato e riproposto, o sia servito a sua volta per altre indagini, o abbia rappresentato un ricorrente tema di indagine, in modi e con finalità diverse. Com’è logico aspettarsi, le opere di Aristotele sono il punto di riferimento costante; il testo aristotelico può essere ripreso quasi verbalmente o solo vagamente. Il contenuto può essere riferito con esattezza, oppure abbreviato e smembrato in modo tale che non sia più riconoscibile l’idea essenziale, oppure travisato; ancora può essere acriticamente esposto un punto di vista che Aristotele ha invece severamente indagato. Lo stesso vale anche per le ricerche e le idee di Teofrasto, variamente ampliate o compendiate. Solo di rado si fa esplicito riferimento alle opinioni largamente condivise (éndoxa) o a precedenti teorie; più generalmente manca ogni indicazione della fonte. I rari riferimenti riguardano soprattutto i presocratici39. Le citazioni da Omero (il testo non corrisponde in genere esattamente a quello della nostra tradizione) e da Esiodo sono interessanti per il contributo che danno nel delineare il rapporto di Aristotele e della sua scuola con l’antica produzione poetica.
4. Contenuti e dottrine L’opera comincia significativamente con una sezione dedicata a questioni mediche e con la definizione della salute come equilibrio (I 3) e della malattia come risultato di un eccesso o di un difetto (I 1), di una rottura nell’equilibrio tra i contrari. L’indagine sulla salute dell’uomo è basata, in tutta l’opera, sulla dottrina ippocratica del calore e sulla teoria umorale, rimasta viva nella storia della medicina occidentale fino al-
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l’Ottocento: sangue, flegma, bile gialla e bile nera sono gli umori del corpo, la cui giusta proporzione assicura la salute. Nel gioco degli equilibri sono coinvolti l’intera natura e l’ambiente in cui l’uomo vive; così i cambiamenti delle stagioni, i venti, il clima, l’età, l’acqua, l’aria, il cibo, ogni variazione insomma che intervenga internamente o esternamente all’uomo, nel suo modo di comportarsi e di alimentarsi, influiscono positivamente o negativamente sul suo stato fisico e mentale. Queste idee, parzialmente esposte all’inizio e ricorrenti nel seguito, sono il frutto di una vasta e varia ricerca in ambito filosofico e medico; il loro valore euristico e dimostrativo è stato esaltato dall’indagine sulla natura e sull’azione dei contrari, cui Aristotele ha dato un contributo decisivo e determinante. In questo modo lo studio aristotelico della natura, la riflessione sugli elementi (fuoco, aria, acqua, terra), sulle qualità (caldo, freddo, umido, secco) e sulle trasformazioni che vi sono collegate si uniscono saldamente e strettamente con l’indagine dei medici sul corpo umano. Nei Problemi l’azione e il rapporto delle qualità contrarie caldo/freddo, secco/umido servono a spiegare gran parte dei fenomeni studiati. Nella scienza antica domina l’azione strutturante e modificante delle qualità, e degli elementi cui le qualità sono strettamente collegate; il freddo e il caldo sono in prevalenza delle qualità anziché gradazioni determinabili numericamente: la determinazione della quantità è in genere affidata alle coppie oppositive più/meno, molto/poco, eccesso/difetto; ma l’idea di una quantificazione dell’universo attraverso un numero era già viva e operante: la predilezione per il numero e ancora di più per la figura geometrica, intesi soprattutto come strumenti per capire la multiforme realtà, sono una prerogativa della cultura greca. Nel ricco panorama delle odierne frontiere della scienza, sembra ancora valida la connessione tra il mondo delle cose e delle forme e il mondo dei numeri, pur se essa si esplica in modo profondamente diverso. Come si vedrà, anche nei Problemi si riflette l’importanza del numero, e non è certo solo un caso che nel rispondere a un quesito che oppone uomini e animali, in quanto i primi sanno contare, gli altri no, si ricordi proprio Platone (XXX 6) che interpretò il cosmo mediante le scienze matematiche. Entro certi limiti, e con le dovute e ovvie differenze, anche per i Greci ‘il libro della natura è scritto in caratteri mate-
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matici’, secondo la nota formulazione di Galileo; ma le relazioni di qualità prevalsero nello studio del mondo sublunare, fino a che la nuova scienza naturale ancorò la fisica quantitativa alla matematica e la collegò con l’astronomia. I mutamenti, le variazioni e i movimenti (il concetto di kínesis e il concetto di metabolé sono intimamente connessi) costituiscono l’oggetto precipuo di osservazione e di indagine (anche in questo caso si nota la stretta connessione dell’indagine aristotelica sul movimento con l’indagine medica; in entrambe sono d’altra parte sottolineate l’immagine e l’idea della vita come movimento), e sono analizzati avendo come punto di riferimento tre teorie collegate alla concezione che vede nell’azione del caldo e del freddo la causa immediata dei fenomeni, teorie che sono di fatto una diversa espressione dell’unica e fondamentale teoria del calore: la pépsis, ‘pyr epì pyr’, l’antiperístasis.40 La prima teoria si riferisce a un processo che noi definiremmo chimico e che implica una trasformazione dovuta al calore; essa è ricorrente anche nel Corpus Hippocraticum, e nei Problemi serve a spiegare fenomeni molto diversi. La seconda è tratta da un detto proverbiale: il principio secondo cui il ‘fuoco grande attira il fuoco piccolo’, impedendo un aumento che si avrebbe se fuoco si aggiungesse a fuoco (‘un gran fuoco distrugge un fuoco piccolo’), è uno dei preferiti fra i principi interpretativi nei Problemi, formulato anche da Aristotele e da Teofrasto, ma da essi non utilizzato così di frequente. La terza teoria si riferisce a un fenomeno fisico, fondamentalmente alla reazione che si ha quando il freddo esterno investe un corpo caldo, determinando la concentrazione del calore che viene in questo modo mantenuto all’interno e quasi protetto dal freddo circostante. Il termine antiperístasis può avere fondamentalmente due significati in Aristotele e in Teofrasto, di cui nei Problemi ricorre prevalentemente quello ora ricordato. Nella scienza antica, fenomeni fisici, fenomeni chimici, immagini tratte dall’esperienza comune non sono sempre tenuti distinti (come lo sarebbero rigorosamente nella scienza moderna) nella loro diversa natura, nel loro diverso significato ai vari livelli della ricerca e dell’indagine. In particolare un singolo fenomeno o un’immagine può diventare esso stesso principio interpretativo della realtà, riconosciuto a tal punto valido che spesso è sufficiente solo accennarvi o sottintenderlo.
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Queste teorie non sono nuove, rispetto all’indagine precedente, e non introducono criteri interpretativi o mezzi esplicativi nuovi, ma vengono elaborate e utilizzate in modo da determinare una peculiare impostazione dell’opera. La loro ricorrenza e la preferenza a esse accordata nella spiegazione dei fenomeni si comprendono infatti meglio se si tiene presente anche l’accentuato materialismo dei Problemi e la tendenza all’esperienza, al riscontro e all’utilizzazione di certe conoscenze nella pratica, comuni peraltro nel Peripato. Del materialismo dei Problemi si è detto molto, anche in relazione alla possibilità di dedurne una loro collocazione cronologica e di vedervi il riflesso dell’opera e dell’indagine di Stratone di Lampsaco. In ogni caso, si deve tenere presente anche che il materialismo non è nei Problemi un principio criticamente posto e fondato, ma è solo una tendenza presente, essenzialmente e principalmente funzionale all’esclusivo oggetto della ricerca: cose e fenomeni. Il riferimento alle aporrhoái, agli efflussi, alle emanazioni è in diretto contrasto con la posizione di Aristotele che ha combattuto questa concezione soprattutto nell’analisi della percezione. Ancora in contrasto con Aristotele, la luce e i raggi del sole riempiono l’aria come se fossero corpi (XI 33; così, nel trattato sui Colori la luce è un concreto componente della mescolanza che dà origine ai colori – questo è uno dei punti di contatto tra i due trattati –; nella stessa sezione, XI 59, è il volume della voce a essere indicato come il risultato di una mescolanza); lo spazio vuoto diventa il presupposto o la condizione per il movimento (XXII 4); l’esistenza dei ‘pori’ è continuamente richiamata. Ma nei Problemi non è in discussione la natura della luce: nell’esempio richiamato, la corporeità della luce serve solo a spiegare la densità dell’aria in un momento della giornata, e le sue conseguenze sulla percezione dei suoni. Lo spazio non è vuoto nella maniera in cui lo ha immaginato Democrito; si concepiscono piuttosto degli spazi vuoti come in Stratone, dei vacua discontinui nella materia organica e inorganica, spazi che in alcuni casi possono spiegare il perché di certi fenomeni; anche Aristotele aveva parlato di ‘pori’, di passaggi e canali, preferibilmente però nello studio degli esseri viventi. Interessante è la tendenza ad accentuare in senso materialistico le forze che agiscono sul comportamento e sulle reazioni dell’uomo; ma nel contesto dei Problemi essa va di pari pas-
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so con un atteggiamento volto a considerare l’ethos nelle sue motivazioni fisiche e nelle sue manifestazioni quotidiane. La tendenza opposta, ma più sfumata (e certo più occasionale rispetto a quanto si è voluto credere in passato), consiste nel dare un significato diverso, quasi spirituale, a ciò che è puramente materiale (XXI 12). Più generalmente, il passaggio, il movimento (in certe direzioni dello spazio e in un certo tempo, seguendo l’ordine naturale o contro di esso) o l’immobilità, le qualità, la quantità e lo stato della materia (continuità o discontinuità, rarefazione o condensazione, liquefazione o raddensamento, per esempio) nei diversi processi sono altrettante variabili prese in considerazione, a seconda del grado di approfondimento. Accade, peraltro, che nell’argomentazione si tenga prevalentemente conto di uno solo di questi fattori, non tanto (o non solo) per trascuratezza o ignoranza di possibili concomitanze caso per caso, quanto per una diffusa tendenza a lavorare su un tema quasi delimitandolo e circoscrivendone la trattazione partendo da determinati presupposti e premesse.
5. Le trentotto sezioni I) Il contenuto è ben articolato e ordinato: la prima parte riguarda le malattie e le loro cause generali (1-29); la seconda i mezzi per curare (30-57). La diffusa concezione per cui la salute equivale a un equilibrio tra i contrari è ricorrente anche nella riflessione medica e filosofica: essa trova piena corrispondenza nella mesótes, concetto basilare dell’etica aristotelica. In questa sezione si descrivono la peculiare azione e gli effetti delle sostanze che possono essere considerate farmaci, e che si distinguono da altre, appunto per le loro caratteristiche (40-43, 47): i concetti espressi sono significativi nella storia della medicina. Altrettanto significativa è l’indicazione della peste come unica malattia che si trasmette per contatto (7). La porosità o la compattezza dei tessuti sono indicate molto frequentemente, qui e in altre parti dell’opera, come condizioni fisiche determinanti negli scambi all’interno del corpo, e tra interno e esterno, nel favorire la salute o scatenare la malattia, secondo un altro schema ricorrente in ambito filosofico e medico, per cui i processi fisiologici o patologici possono essere spiegati anche attraverso il movimento di ‘ciò che esce’ dal
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corpo e di ‘ciò che entra’ nel corpo. Il problema n. 21 è una delle tante testimonianze di una consuetudine largamente attestata nella letteratura greca: osservare il tempo e i suoi segni, e trarne indicazioni per l’andamento delle cose era una pratica diffusa anche in ambito peripatetico. L’importanza del rapporto tra quantità e qualità del cibo e attività fisica (46) è più volte sottolineata nel pensiero antico, soprattutto nei trattati medici. II) Qui manca un principio ordinatore tra i singoli problemi che riprendono spesso lo stesso tema, il sudore, senza che si possa intravedere un piano argomentativo. Il sudore è un residuo umido e salato la cui formazione, all’interno del corpo, e la cui eliminazione (attraverso i pori) sono sempre in relazione con le varie condizioni fisiche del corpo. È così che si dedica attenzione agli effetti dell’esercizio fisico, alla respirazione, al calore e all’umidità del corpo. Nella medicina ippocratica il sudore è un importante indizio dello stato di salute, un mezzo diagnostico. La sezione si apre con un problema la cui spiegazione si avvale del riferimento a un’esperienza comune e a un’immagine (cfr. 24; I 55; IV 8; 21; e ancora frequentemente in seguito), secondo uno stilema molto frequente in quest’opera. Il ricorso all’immagine, a ciò che è facilmente e comunemente percepibile dai sensi, vale più generalmente come riflesso del noto principio ópsis tôn adélon tà phainómena, per cui i fenomeni e i processi nascosti possono essere ‘visti’ e analogicamente spiegati sulla base di ciò che si osserva e che può valere come indizio ‘visibile’, utile nell’indagine, oltre che come esempio. Nella scienza greca inoltre (come in altri ambiti e in altre civiltà, e come nella scienza moderna seppure con consapevolezza, implicazioni e metodo profondamente diversi), l’immagine può avere una funzione euristica o compendiare una spiegazione. Nei Problemi, essa completa e arricchisce l’argomentazione in modo generalmente efficace e pertinente. III) Gli abusi del vino e i diversi effetti dell’ubriachezza costituiscono il tema. Si distinguono accuratamente le conseguenze dovute all’assunzione di vino puro o di vino tagliato in diversa proporzione con acqua, o di diversi tipi di vino. Il vino è legato nella cultura dei Greci a uno dei momenti più significativi della loro vita sociale: il simposio, qui e altrove esplicitamente richiamato (12). Delle sue caratteristiche e dei
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suoi effetti non si sono occupati pertanto solo i medici: in Alceo il vino è come un mezzo per vedere dentro l’uomo (fr. 333 L.-P.), si accompagna alla verità (fr. 366 L.-P.), è per eccellenza il rimedio alle sventure (fr. 335 L.-P.); nelle Leggi di Platone, il vino, che può indurre di per sé all’intemperanza, è anche un possibile rimedio per essa, un esercizio per la temperanza (II 672 d; 673 e; cfr. 666 a ss.; 671 a ss.). Per spiegare quanto succede agli ubriachi che hanno l’impressione di vedere doppio e di veder girare gli oggetti attorno a sé (9-10; 20; 30), si ricorre a nozioni di ottica geometrica; interessanti sono i collegamenti stabiliti tra tempo e percezione; tra spazio, movimento e percezione. Il riferimento al detto di Cheremone (16) e l’aneddoto su Satiro di Clazomene (27) completano l’indagine medica e fisica degli effetti del vino con più diretti riferimenti all’influenza sul carattere e con una vivace descrizione del comportamento e delle inclinazioni individuali, che costituiscono un costante oggetto di osservazione. IV) Frutto di vaste e varie conoscenze, la sezione si apre con osservazioni sulla posizione degli occhi in chi fa l’amore e in chi sta morendo; nel problema successivo si accenna a un loro ruolo nella procreazione; sul tema degli occhi si torna anche dopo (3 e 32), in accordo con una costante attenzione alla visione. Calore e umidità sono le qualità fisiche necessarie per fare l’amore (5); è sottolineata anche la funzione importante dello pneuma. Si indicano gli effetti del rapporto sessuale su varie parti del corpo; le condizioni che lo favoriscono o lo ostacolano; le reazioni e le sensazioni che possono derivarne; gli eccessi che possono accompagnarlo. Ci si sofferma sulla natura del desiderio che vi è collegato (26-27; cfr. 15), e sull’influenza del ricordo di precedenti esperienze (10; 26). Si dà una spiegazione fisiologica della sessualità attiva e passiva, cui si aggiunge l’affermazione che l’abitudine può essere altrettanto determinante quanto la condizione fisica, così da diventare una seconda natura; lascivia ed effeminatezza vi contribuiscono. La spiegazione fisica e anatomica della sessualità passiva si avvale significativamente della nozione di conformazione ‘contro natura’ (26). Questo passo è un interessante documento sul modo in cui è stata considerata l’omosessualità nel mondo greco. Nell’argomentazione vale fondamentalmente la coppia oppositiva natura/abitudine; mentre la trattazione sulla generazione spontanea si avvale soprattutto dell’apporto argomentativo della coppia oppositiva proprio/estraneo (13).
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V) Qui si leggono osservazioni disparate e più volte riprese sull’origine della fatica, sulle sue conseguenze, sulle parti del corpo dove essa si avverte di più, e sui rimedi. Molte questioni hanno solo un vago legame col tema della fatica, o nessun diretto rapporto; nel problema n. 7 si ha un esempio di domanda formulata come paradosso. Del vasto problema della relazione tra anima e corpo, ampiamente avvertito e trattato dai Greci, nei vari ambiti della loro produzione letteraria, filosofica e scientifica, si ha un’eco diretta, anche se fugace, in questa sezione dove si dice che l’anima controlla il corpo nel suo insieme, ma non le parti che siano sottoposte a un movimento (15); allo stesso modo i concetti espressi dai termini homalós e syvmmetros, e il loro collegamento, trovano applicazione, qui come in altre opere, nell’indagine sulla salute dell’uomo (22). Le osservazioni riguardanti l’impressione che si ricava dal sentire una voce debole o in lontananza (2), o l’aria che sfiora il corpo quando si corre (17), e in genere l’insistenza in tutta l’opera sul dokéin e sul pháinesthai richiamano la ricca riflessione greca sul rapporto tra percezione e realtà, colto e approfondito in modo diverso e con soluzioni diverse, ma in ogni caso con conseguenze storicamente significative sul credito accordato ai sensi nella successiva speculazione. Nei Problemi le sensazioni e le impressioni che ne provengono hanno una larga parte, in accordo con l’impostazione empirica dell’opera, impostazione che si unisce e si salda con un’attenzione ai fattori psicologici che di volta in volta possono influire. Così, in questa sezione, si dice che la mente trae deduzioni errate nel valutare la lunghezza di una strada se essa non ci è nota (25): il rapporto tra determinato e indeterminato, limitato e illimitato, finito e infinito, tradizionalmente indagato soprattutto nella filosofia, viene così visto nell’ambito di un processo in cui è decisivo l’avere o no conosciuto, cioè l’aver fatto esperienza, l’aver percorso quella strada. L’accento non è posto tuttavia sulla contrapposizione tra l’impressione che si ha e l’effettiva lunghezza della strada, sulla deduzione erronea, ma sull’impressione in sé, la sola che interessa in questo contesto e che determina la domanda. È uno dei passi più significativi per vedere come acquisizioni, teorie e principi noti (in questo caso il collegamento più immediato sembra essere l’indagine aristotelica sul tempo, dato il riferimento al ‘numero’) possano essere riproposti nei Problemi:
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quest’opera non esprime novità di rilievo nei contenuti, tranne qualche eccezione, ma costituisce un tentativo di avviare e di orientare la ricerca verso un’impostazione diversa, o interessi diversi, che in casi come questo sentiamo particolarmente vicini alla nostra sensibilità. VI) La trattazione è molto breve, pur se il tema è vasto nella letteratura medica: si descrivono e si analizzano le conseguenze delle diverse posizioni del corpo, rimanendo sempre nell’ambito strettamente medico e fisiologico. VII) Nel titolo tradizionale compaiono una parola e un concetto di fondamentale importanza: sympátheia. La concezione per cui le parti congeneri tendono a contrarre la stessa malattia appartiene al vasto ambito delle relazioni e delle influenze necessarie e inevitabili tra ciò che compone il tutto (macrocosmo e microcosmo), tra un corpo e l’altro, tra il corpo e le sue parti. Platone aveva ben espresso una interrelazione simile per esempio nella Repubblica (V 462 cd), parlando del coinvolgimento del tutto (corpo e anima) nel dolore di una parte (il dito). Occorreranno secoli prima che si giunga al concetto di malattia trasmessa per contagio da agenti patogeni, quali virus e batteri, concetto a cui si è arrivati gradualmente (a parte l’ausilio dei nuovi strumenti dell’età moderna), anche osservando la comparsa improvvisa e l’andamento delle epidemie che rimettevano in discussione il concetto di malattia endemica espresso per esempio nel trattato ippocratico Sulle arie, le acque e i luoghi, e collegato a un determinismo ambientale che coinvolge tutti gli aspetti della vita dell’uomo. Il ‘contagio’ di cui si parla nei Problemi non è da intendere nel senso strettamente tecnico che noi diamo a questa parola; non bisogna dimenticare infatti quali fossero essenzialmente le cause ritenute responsabili delle malattie (l’ambiente – il clima, le stagioni, i venti, l’acqua e l’aria; fattori storico-sociali e individuali – eredità e reazioni psichiche; il regime di vita e i traumi fisici) e il concetto stesso di malattia, profondamento diverso da quello che si è progressivamente imposto nel tempo, e che è oggi prevalente. È significativo che anche nei Problemi si parli di contagio soprattutto per alcune malattie come quelle dell’occhio (8), tipico ambito in cui si è espressa, nel tempo, una concezione magico-simpatica (si pensi per esempio al rapporto tra malocchio e trasmissione della malattia), che si è avvalsa di idee le-
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gate al potere e alle caratteristiche dell’occhio, e talora anche delle acquisizioni di teorie ottiche (raggio visuale). Il concetto di assimilazione (l’occhio si assimila all’oggetto percepito) accomuna l’oftalmia alle altre malattie nominate e definite contagiose in quanto caratterizzate da manifestazioni sulla superficie del corpo: sia il guardare l’occhio malato, sia la presenza di essudati, sia l’inspirare un respiro malato implicano in ogni caso un contatto che spiega il diffondersi della malattia. Nella letteratura, anche non medica, l’accenno al respiro malsano (o il soffermarsi su di esso) è ricorrente nella descrizione delle malattie dette in genere pestilenziali, che hanno colpito ripetutamente l’umanità e che hanno trovato in note e indimenticabili pagine una lucida e quasi distaccata o più partecipe descrizione: è soprattutto dal loro scatenarsi così distruttivo e improvviso (vd. per es. Tucidide II 47 e 48) che l’umanità è stata indotta a interrogarsi sulla possibilità del contagio, sulla sua origine e sulla sua natura. In questa sezione non si parla tuttavia solo della trasmissione di una malattia da una persona malata a una ancora sana, ma soprattutto dell’imitazione involontaria dei gesti e dei comportamenti degli altri. Anche in questo caso è interessante notare come le domande partano dall’osservazione di situazioni concrete, quotidiane, proprie dell’esperienza di ciascuno, e trovino una risposta essenzialmente attraverso meccanismi fisici e fisiologici; la tendenza ad accordare veridicità alle impressioni che ci vengono dai sensi fa sì che si presti particolare attenzione al loro importante condizionamento e coinvolgimento nelle diverse reazioni. Il quesito, apparentemente ingenuo, sul perché la malattia sia contagiosa e la salute no (4), rivela il tentativo di rendere conto di quella che potrebbe apparire un’eccezione nell’ambito delle relazioni simpatetiche: il concetto di kínesis e la distinzione tra azioni volontarie e involontarie riconducono il problema nell’ambito della speculazione tipicamente aristotelica. VIII) Gli effetti del freddo, frequentemente descritti nella letteratura medica, costituiscono il tema, svolto attraverso osservazioni e considerazioni di carattere fisico o psico-fisico. Della bulimia si dà una spiegazione eminentemente fisica (9); essa è oggetto di discussione anche nelle Questioni conviviali di Plutarco (vd. n. ad loc.), che ricorda un rito ancestrale chiamato «la messa al bando della bulimia» (boulímou exélasis),
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durante il quale i gesti della flagellazione rituale erano accompagnati dalle parole «fuori la bulimia, entrino la ricchezza e la salute». IX) Si esaminano da un punto di vista medico le conseguenze di colpi e ferite, e si indicano i possibili rimedi. X) Le idee espresse offrono abbondante materiale di confronto con le opere biologiche di Aristotele, in particolare con le Ricerche sugli animali, la Riproduzione degli animali e le Parti degli animali; non si tratta in ogni caso di un riassunto delle teorie aristoteliche. Pierre Louis (p. 149 ss. della sua edizione) pensa che questa sezione sia costituita essenzialmente dalle note raccolte da Aristotele in vista dei suoi studi sugli animali. Si succedono senza un preciso ordine questioni riguardanti l’anatomia e la fisiologia dell’uomo e degli animali, secondo un piano di studio comparato, tipicamente aristotelico, fondato anche sull’idea dell’unità del mondo animale, e delle creature viventi in genere. Di particolare interesse è il problema sulla formazione di esseri molto grandi o molto piccoli, quali nani e pigmei, dovuta alla ristrettezza dello spazio o alla scarsità del nutrimento (12). I termini ‘pigmeo’ (pugmai`o") e ‘nano’ (na`no") sembrano usati senza sostanziale diversità di significato; si distingue però tra esseri piccoli, ma ben proporzionati, e esseri incompleti di aspetto infantile; il ricorso, costante nei Problemi, a immagini e situazioni della vita quotidiana (l’allevamento dei cuccioli di cane, le figure disegnate nelle botteghe) crea quei parallelismi e quelle analogie utili alla spiegazione e alla dimostrazione, secondo un metodo argomentativo molto diffuso nella scienza antica. Il problema della generazione degli esseri viventi, uno dei problemi centrali del pensiero antico fin dai suoi inizi, è affrontato (13; cfr. 65) ricorrendo ai concetti di movimento e di cambiamento. Ancora nell’ambito della questione sulle origini, si inserisce il contrasto tra ciò che è domestico, evoluto, coltivato, buono e ciò che è selvatico, non evoluto, non coltivato, cattivo nel mondo animale e vegetale (45). L’attenzione è rivolta ora a un altro tema molto ricorrente nella riflessione antica: il tema dell’evoluzione. La teoria dell’origine e dello sviluppo degli esseri viventi si unisce nella filosofia aristotelica a quello dello scopo, del telos insito nel processo del divenire, che trova qui un vago riflesso solo nella distinzione tra una natura
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che opera e si manifesta all’inizio e una natura in cui culmina il processo di sviluppo. Altro tema significativo di questo problema (e ricorrente nella produzione antica) è il confronto tra ‘arte’ e natura. Di nascita, questa volta di esseri mostruosi, si occupa brevemente il problema n. 61: la spiegazione che se ne dà ricorda le relative teorie di Democrito e di Aristotele. Il principio dell’equilibrio e della compensazione è spesso presente nelle teorie biologiche di Aristotele; qui è applicato per esempio nella spiegazione del perché venga prodotta una diversa quantità di latte in alcuni animali e nella specie umana (6), e del perché l’uomo non abbia la criniera (25). La tradizionale distinzione tra il bello in sé e il bello che appare tale a noi, tra ciò che è bello e ciò che ci piace ed è utile (52) si avvale anche della diffusa concezione per cui il simile si accompagna per sua natura al simile. XI) La voce umana e l’acustica sono i temi di questa sezione. Ci si domanda così, senza seguire un ordine preciso, perché i sordi parlino col naso (2 e 4); perché l’uomo sia il solo animale che balbetta (55); quale sia l’influenza delle stagioni, dell’età e delle situazioni sul timbro e sulle caratteristiche della voce; in che cosa consista e come si formi il linguaggio (1; 27; 57). Ancora, le questioni riguardano i motivi della migliore o peggiore percezione delle voci e dei suoni; il prodursi di rumori, risonanze e eco. Fondamentale e ricorrente è il noto collegamento tra acutezza della voce e rapidità del movimento, tra gravità e lentezza; di particolare interesse sono il confronto stabilito tra la voce e il raggio visuale, tra un fenomeno acustico e uno visivo (45 e 58; cfr. 25), e i riferimenti al teatro e agli attori di professione (22; 25; cfr. 8). XII e XIII) Il formarsi e l’espandersi dei buoni e dei cattivi odori sono esaminati brevemente. In entrambe le sezioni sono riferite credenze che appartengono al genere dei mirabilia: gli alberi su cui cade l’arcobaleno diventano profumati (XII 3); la pantera è l’unico animale che emana un buon odore (XIII 4). Nel primo caso la trattazione si dilunga, perché ci si chiede se quello che si dice sia vero o falso. È significativa la conclusione che collega la credenza alla concomitanza di sensazioni olfattive e di percezioni visive. La descrizione dell’arcobaleno (nel mito, la dea Iride) e soprattutto l’indagine sulla sua formazione hanno avuto un posto importante nella lette-
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ratura e nella scienza greca; di questa indagine si ha qui un’eco quando si afferma che esso è dovuto alla riflessione del raggio visuale, e si accenna alla possibile comparsa di più archi. XIV) Il tema dell’influenza del clima e delle condizioni ambientali non solo sulla salute e sulla malattia degli esseri viventi, sulla costituzione fisica, ma anche sul carattere e sulla disposizione mentale degli uomini è molto ricorrente nell’Antichità, in vari ambiti; tra le fonti più note vi è il trattato ippocratico Sulle arie, le acque e i luoghi, trattato cui si è molto attinto anche in epoca moderna. Si analizzano gli effetti del clima sul modo di essere e di reagire degli uomini, sulla loro nascita, sull’intelligenza, sul colore degli occhi e della pelle, ma anche gli effetti sulle cose, e le caratteristiche dei diversi ambienti. L’interesse è essenzialmente medico e ambientale: le opposizioni (prima di tutte quella tra nord e sud, tra freddo e caldo) e le analogie hanno come sempre un valore euristico, cui talora si associa un giudizio di valore nella contrapposizione tra ciò che è ‘migliore’ o ‘peggiore’ sotto determinati aspetti. XV) A questioni di carattere matematico succedono questioni di astronomia; in una parte della tradizione, all’inizio del quinto problema si trova un nuovo titolo (‘i fenomeni celesti’, hósa perì ta ouránia); segno forse di una diversa ripartizione del materiale. La trattazione si avvale delle conoscenze ottiche. Matematica, astronomia, ottica sono ambiti di ricerca strettamente collegati nell’Antichità, come oggi d’altra parte, pur se nello studio dei fenomeni ottici l’impostazione esclusivamente o prevalentemente geometrica dell’Antichità è stata superata a partire dal Seicento avanzato. Interessante è la questione relativa al sistema decimale (3), che come è noto è solo uno dei sistemi di numerazione adottati nelle diverse civiltà, epoche e aree linguistiche, sistemi in cui si sono espressi la riflessione dell’uomo sul numero e il suo modo di stabilire confronti e corrispondenze tra le cose. Alle spiegazioni addotte per l’uso di questo sistema e attinte in gran parte alla tradizione pitagorica, si aggiunge la possibilità che esso scaturisca dalla disponibilità di dieci dita: oggi si riconosce a questi ‘oggetti’ per contare (dita delle mani e dita dei piedi) un’importante funzione nella pratica e nello sviluppo del conteggio. XVI) Osservazioni e curiosità su temi molto disparati e senza rapporto tra loro formano il contenuto di questa sezio-
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ne che ha un titolo molto generico. I vari fenomeni vengono studiati da un punto di vista essenzialmente fisico avvalendosi di nozioni geometriche. Nel primo problema si fa un fugace e generico riferimento a trattati di ottica; nel terzo (cfr. 12), si legge che la parte più pesante di un oggetto non può andare alla stessa velocità della più leggera, se è lanciata con la stessa forza: questa affermazione appare particolarmente significativa nella storia degli studi sul movimento e sulla caduta dei gravi. Aristotele, la sua scuola e i suoi commentatori, Galileo e Newton (si pensi per esempio, leggendo il problema appena richiamato, alla legge newtoniana d’inerzia) ne rappresentano tre momenti fondamentali e in qualche modo concatenati. XVII) Rispetto al titolo della precedente sezione (Cose inanimate), il titolo di questa (Esseri animati) appare ancora più casuale, se si considera l’argomento trattato: si è pensato che alla base della ripartizione possa esserci uno schema oppositivo inanimato/animato. Nel terzo problema di questa brevissima sezione si pone, con una formula non usuale, il quesito sull’uso e sull’accezione dei termini ‘anteriore’ e ‘posteriore’; in una visione ciclica della vita, dei fenomeni e degli eventi dell’universo, l’immagine del cerchio sulla cui circonferenza si confondono, per annullarsi, l’inizio, il mezzo e la fine (immagine e concezione ricorrenti nella letteratura greca) si ricollega al pensiero di Alcmeone, cui si fa esplicito riferimento. XVIII) Questioni relative alla lettura, alla retorica e all’oratoria, alla scelta di una professione formano l’oggetto di questa sezione, una delle poche in cui non prevalga l’indagine naturalistica. Tutte le questioni fanno riferimento a esperienze della vita quotidiana; la tendenza, frequente nei Problemi, a introdurre osservazioni e considerazioni di carattere psicologico appare qui ancora più evidente. XIX) Si tratta unicamente di questioni musicali: suoni acuti e gravi, note, intervalli, scale, voce e strumenti (nel titolo, il termine armonia non è da intendere nel senso moderno strettamente tecnico); numerosi sono i doppioni, di carattere però diverso rispetto a quelli ricorrenti altrove. Essa è stata studiata con più continuità nel tempo, sia per l’interesse suscitato dall’argomento e per l’importanza che la musica aveva nella vita quotidiana e nella cultura dei Greci, sia per le difficoltà di costituzione e di interpretazione del testo. Le questioni di acustica vengono affrontate essenzialmente da un punto di vista fisico, fisiologico e matematico; tuttavia la tendenza
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alle considerazioni di natura psicologica rimane una significativa costante e una caratteristica di questo importante scritto sulla musica. Ci si sofferma in particolare sull’estetica musicale e sulla teoria dell’ethos, fondamentale per capire il posto della musica antica anche nella riflessione filosofica; sulle consonanze; sulla scala musicale e sulle note; sulle particolarità dell’esecuzione vocale; sulla storia della musica; sulle armonie impiegate nella tragedia. L’incertezza sull’autore o gli autori, le incoerenze e le difficoltà del testo non diminuiscono il suo valore di documento (si vedano per esempio i problemi n. 15 e 30). «I Problemi pseudo aristotelici (XIX 15) lasciano ben individuare le nuove tendenze di un teatro di intrattenimento, sostanzialmente espressionistico ed incentrato soprattutto sul mimetismo musicale. L’autore, nel delineare il progressivo affermarsi del canto a solo sul canto del coro, ravvisa le ragioni del fenomeno nelle maggiori possibilità imitative di un canto astrofico rispetto alla struttura strofica del coro che tende a garantire con la sua uniformità ritmico-melodica anche l’uniformità dell’ethos»41. XX) L’argomento è di botanica, ma limitatamente a piccole piante e a ortaggi. Alcune questioni riguardano la struttura e la fisiologia dei vegetali, il loro ciclo vitale, l’influenza dell’ambiente sulla loro crescita, i semi e i bulbi; altre si soffermano sul modo di coltivarli e conservarli; altre sul loro posto nell’alimentazione, sulle loro proprietà medicinali e sulla loro efficacia contro il malocchio (34); sul loro gusto e sugli odori. Emergono un interesse pratico e una spiccata tendenza ad argomentare secondo coppie oppositive, tra cui culturalmente molto significative sono quelle tra cotto e crudo (4), coltivato e non coltivato (12). XXI) La stessa tendenza alla trattazione di questioni pratiche, e medico-dietetiche, contraddistingue questa sezione, interessante documento della vita quotidiana e delle abitudini alimentari. Si parla delle caratteristiche di due cereali, orzo e frumento, degli alimenti che se ne traggono, del modo di prepararli. Il problema n. 2 mette a confronto il valore dei cibi fatti con l’orzo, di fondamentale e primaria importanza in tempi più antichi, con quello dei cibi di farina di grano (questo confronto ricorre significativamente anche nelle altre questioni), e propone un punto di vista sul meccanismo dell’assorbimento e della nutrizione. Il rapporto col cibo, in relazio-
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ne al gusto e alla sazietà, oltre che alle sue proprietà nutritive (13 e 14), offre un esempio di come tradizionali distinzioni e acquisizioni si uniscano all’analisi di sensazioni, impressioni e atteggiamenti quotidiani osservati con particolare attenzione, e descritti anche ricorrendo a efficaci metafore. XXII) Intorno a osservazioni essenzialmente dietetiche si sviluppa il tema proposto. La frutta (fichi e noci in particolare) di cui ci si alimenta; la sazietà che si può provare mangiando certi cibi piuttosto che altri, le loro diverse qualità e la loro diversa conformità con la natura umana; la conservazione dei cibi; i diversi sapori riconducono ancora una volta ad aspetti della vita quotidiana, come nelle due sezioni precedenti. XXIII) Una pregnante metafora, il ‘sorriso’ delle onde, ricorre all’inizio: la metafora è stata intesa in senso visivo (in questo senso sembra interpretabile l’espressione pontíon ... kymáton /anérithmon gélasma nel Prometeo di Eschilo, 89 s.), con riferimento alla leggera ondulazione, allo scintillio e luccichio, all’incresparsi della superficie; oppure uditivo, con riferimento allo sciabordio dell’onda, al lieve rumore del suo infrangersi. Si parla del mare e delle qualità delle sue acque in confronto con altre, della formazione delle onde, del colore diverso che il mare o altri specchi d’acqua assumono relativamente a variabili ben note nelle trattazioni su questo argomento (movimento, densità e trasparenza dell’acqua, condizioni della superficie, riflessione della luce); di naufragi col tempo buono, della sabbia e del suolo spazzato dalle onde, della forma rotonda di conchiglie e pietre. Il problema n. 3 sul pescaggio delle navi è ricordato da Galileo Galilei: «cessi ... la falsa opinione in quelli che stimavano che un navilio meglio e più agevolmente fosse sostenuto in grandissima copia d’acqua che in minor quantità (fu ciò creduto da Aristotile ne’ Problemi, alla Sezzion 23, Probl. 2 [sic]), essendo, all’incontro, vero che è possibile che una nave così ben galleggi in dieci botti di acqua come nell’oceano» (Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono, 1612, vd. ed. a cura di Pacchi 1970 – sez. E –, p. 87 s.). In esso sembrano non trovare alcun riflesso le scoperte di Archimede sui corpi galleggianti. Di particolare interesse, nel problema n. 37, è il paragone fra i canali attraverso cui scorre l’acqua, nella terra, e le vene del corpo umano, secondo una concezione della terra come animale vivente, e una più generale tendenza del pensiero greco a considerare e a in-
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terpretare molti e diversi fenomeni dal punto di vista biologico. Questo «atteggiamento biologico» dei Greci verso il mondo della materia (Sambursky 1959 – sez. D –, p. 298) è in stretta relazione anche con la loro consapevolezza dell’unità tra l’uomo e l’universo. XXIV-XXV-XXVI) Acque calde e sorgenti termali formano il tema della sezione ventiquattresima, in cui osservazioni sulle qualità fisiche delle acque si accompagnano, come spesso accade, a considerazioni di carattere medico e ‘dietetico’, e a credenze popolari. Nella sezione seguente, si parla invece delle qualità e del movimento dell’aria, descrivendo esperienze o soffermandosi su particolari poco significativi; vi si accenna anche a una leggenda (2), spiegata attraverso fenomeni fisici, secondo la tipica tendenza del Peripato. La ventiseiesima conclude il gruppo delle sezioni di carattere ‘meteorologico’ (XXIII-XXVI), con la trattazione sui venti. L’origine e la formazione dei venti, il collegamento con il levarsi e il tramontare degli astri, i loro effetti sulle cose e sugli uomini, il loro nome e il loro valore di ‘segni’ costituiscono un ampio tema di osservazione e di indagine nella letteratura greca, anche in relazione alla loro influenza sulla salute dell’uomo, e ai problemi pratici della navigazione. In questa sezione si parla soprattutto delle regioni da cui soffiano e delle loro direzioni, delle stagioni in cui soffiano, di una serie di fenomeni a essi collegati. Si fa ampio riferimento ai proverbi, com’è naturale in una sezione in cui si riflettono anche le conoscenze e le esperienze accumulate da generazioni. Di rilievo è l’attenzione prestata alla diversa apparenza delle cose in certe condizioni atmosferiche (37; 53). XXVII) Le questioni trattano per la maggior parte della paura; alcune anche del suo contrario, cioè il coraggio. Il tema è affrontato da un punto di vista medico-fisiologico: la paura è connessa con un raffreddamento, il coraggio col calore. Solo un problema (5) ha un’impostazione etico-politica. XXVIII) Il comportamento dell’individuo capace o no di controllarsi in diverse situazioni è l’oggetto di questa sezione in cui prevale il punto di vista etico: solo in alcuni casi l’argomentazione è medico-fisiologica (1, 5 e 6). Come altrove, leggiamo che l’abitudine può diventare una seconda natura (1); le considerazioni riguardo al rapporto tra sensi e autocontrollo oppongono il senso del tatto e del gusto a quello della vista, dell’udito e dell’odorato (2 e 7), e riflettono anche l’apprezza-
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mento che i Greci hanno ripetutamente espresso per le sensazioni visive. XXIX) La giustizia e l’ingiustizia non sono trattate in senso più propriamente filosofico; l’interesse è concentrato invece su aspetti giuridici, sull’applicazione pratica del diritto e delle leggi, su fatti e scene della vita quotidiana. Alle considerazioni di carattere giuridico se ne aggiungono altre di carattere psicologico ed etico. Vengono inoltre espressi un precetto molto diffuso e un principio di fondamentale importanza nella prassi giuridica: rispettivamente, nella loro formulazione latina (tarda), ‘de mortuis nil nisi bene’ (9), ‘in dubio pro reo’ (13; cfr. 15). Nell’Antichità è stata espressa più volte la concezione secondo cui la tutela dell’innocente ha la priorità sulla punizione del colpevole. XXX) Vi è contenuta la famosa trattazione sulla ‘melancolia’; il tema è introdotto con una domanda, ma è sviluppato come una monografia in cui confluiscono, in un’originale sintesi, tradizione platonica (si pensi al Fedro – 244 a ss. e 265 a s. – e alla riflessione sui diversi aspetti, positivi e negativi della mania) e aristotelica, e concezioni medico-fisiologiche. Ogni personalità d’eccezione, nei vari campi, ha un temperamento ‘melancolico’, caratterizzato da una presenza in eccesso, cioè da una dominanza di bile nera nell’organismo, i cui effetti sono confrontabili con quelli del vino, con la differenza che l’effetto del vino è passeggero, mentre la krasis della bile nera (che può essere molto calda o molto fredda) è una condizione permanente. Non per una malattia, ma per una particolare costituzione naturale si può essere così predisposti a eccitazioni e a stimoli diversi nel corpo e nella mente. La trattazione sulla ‘melancolia’ si avvale della più generale teoria del calore e della mesótes «quale interazione controllata di energie opposte» (vd. Angelino/Salvaneschi 1981 – sez. E –, p. 35); vi è chiaramente espresso il pensiero che quantità e qualità della bile nera hanno un diretto influsso sull’ethos dell’uomo. «Cur melancholici ingeniosi sint» si domanda Marsilio Ficino facendo proprio riferimento ai Problemi (De triplici uita, 5): la letteratura è ricca di riflessioni e di considerazioni su questa correlazione, con riferimento alla fonte greca (o prescindendo da essa, o integrandola in vario modo), e riproponendo la varietà degli aspetti in essa tipicamente complementari, o discostandosi in parte da essa. La nozione dell’eccezionalità legata al temperamento ‘melancolico’ resta tuttavia co-
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stante: l’‘angelo’ di Albrecht Dürer (Melencolia I) torna a simboleggiarla figurativamente. Le altre questioni riguardano l’intelligenza dell’uomo e le sue capacità acquisite, le sue reazioni psicologiche in situazioni e in attività diverse, i compiti e le caratteristiche inerenti ad alcune professioni. Nel problema n. 6 troviamo ancora una volta un riflesso dell’importanza che il numero ha avuto nella cultura dei Greci; esso è ricordato da Pico della Mirandola (De hominis dignitate, ed. Garin 1985 – sez. E –, p. 51: «scrive Platone nell’Epinomide che fra tutte le arti e le scienze del contemplare, egregia e sommamente divina è la scienza del numerare. E domandandosi perché l’uomo sia il più sapiente degli animali risponde: perché sa numerare. Sentenza che anche Aristotele ricorda nei Problemi.»). L’ultima questione analizza il rapporto tra sonno, sogno, sensi e condizione dell’anima nei vari momenti del giorno, e termina con un nuovo accenno al particolare stato dei melancolici. XXXI-XXXVIII) Le ultime sezioni riguardano parti del corpo. Le questioni affrontate nella trentunesima non riguardano il processo della visione né l’anatomia dell’occhio, ma alcuni fenomeni percettivi e oftalmici. Le osservazioni sul movimento degli occhi, sul modo di guardare e di fissare (2, 7, 11, 17, e 24); il confronto tra presbiopia e miopia (25, cfr. 8, 15 e 16); l’affermazione secondo cui gli oggetti di colore verde hanno la prerogativa di non affaticare la vista, al contrario di altri colori (19), dimostrano in che modo e in che senso, e in quale direzione, venga estesa l’indagine ottica42. Anche nella sezione seguente le questioni non riguardano l’anatomia e la fisiologia dell’orecchio; l’interesse è in gran parte rivolto al rapporto tra il sentimento della vergogna e l’arrossamento delle orecchie, e agli espedienti cui ricorrono tuffatori e pescatori di spugne per evitare di danneggiarle. Questioni di carattere vario, curiosità e credenze formano l’oggetto della sezione dedicata al naso. Il problema n. 14, che spiega perché i sordi parlino col naso, descrive il prodursi della pronuncia nasale, ed è di qualche interesse, considerando che l’aspetto più propriamente fonetico del linguaggio non è stato dai Greci molto studiato o approfondito: in ogni caso non hanno dato in questo campo quel contributo veramente significativo che nell’Antichità ha dato piuttosto la cultura indiana. Nella sezione trentaquattresima che ha per tema la bocca, si parla di denti e di longevità, della lingua e del suo
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INTRODUZIONE
colore, e soprattutto della respirazione. L’interesse della sezione dedicata al tatto sta soprattutto nell’attenzione rivolta agli aspetti psicologici connessi con le impressioni dei sensi, con comuni reazioni al tatto. L’impressione per cui un oggetto tenuto tra le dita incrociate sembra doppio (10; cfr. sez. XXXI 11 e 17) è nota come ‘illusione di Aristotele’, ed è descritta ancora negli studi odierni di psicologia della percezione. Il primo problema della sezione seguente pone la domanda sul perché si facciano ritratti del viso, e si ricollega alle idee della letteratura fisiognomica. La penultima sezione tratta soprattutto di massaggi e frizioni; l’ultima sviluppa in modo unitario il tema del titolo, analizzando i diversi fattori che influiscono sul colorito della pelle.
* * * Desidero ringraziare il professor Giovanni Reale per aver accolto questo volume nella collana da lui diretta. Ringrazio inoltre i professori Marco Fantuzzi e Amneris Roselli per i consigli e i fruttuosi colloqui su alcuni passi. Al professor Pietro Janni che ha seguito questo lavoro esprimo la mia gratitudine per il prezioso aiuto. M.F.F.
NOTE ALL’INTRODUZIONE 1
Vd. n. 14. Vd. l’opera di Girolamo Manfredi: Libro intitulato il perché, tradotto di latino in italiano, dell’eccel. medico & astrologo M. Hieronimo de’ Manfredi. Et dall’istesso in assai luoghi dilucidato, & illustrato. Con mostrar le cagioni d’infinite cose, appartenenti alla sanità: con la dichiaratione delle virtù d’alcune herbe. Opera utilissima e necessariissima & di nuovo ristampata, e ripurgata da quelle cose, che hauessero potuto offendere il semplice animo del lettore, In Venetia 1588. Questa raccolta di problemi è stata ristampata più volte nel corso del Cinquecento, e anche in seguito; sulla prima edizione (Bologna 1474), sul contenuto e sul carattere di questa raccolta (erroneamente definita una traduzione), vd. Lawn 1963 (sez. C), in partic. pp. 97 e 112. 3 La Praefatio ad lectorem è datata Mediolani 1601; vd. n. 16. 4 Vd. per es. Pl. Theaet. 155 d (cfr. Hes. Th. 265 s.); Polit. 270 b; Arist. Metaph. A 2, 982 b 12 ss.; Rhet. I 11, 1371 a 31 ss. 5 Vd. per es.: Curiosi Problemi filosofici, scelti da quelli che Aristotele intitolò delle cose naturali e risoluti colle osservazioni e scoperte della meccanica e fisiologia moderna per uno scientifico intertenimento ..., Roma 1783 (dal Catalogue général des livres imprimés de la Bibliothèque Nationale, Paris 1900, vol. IV col. 87). 6 Vd. De Stefano 1990 (sez. C), p. 7: «Federico II imperatore, per l’appassionato fervore con il quale s’interessò a tutti i problemi del sapere scientifico e letterario, per l’accoglienza fatta alle nuove correnti del pensiero arabo-aristotelico, per la generosa protezione accordata ai dotti, ai letterati, ai poeti del suo tempo, fece della corte siciliana il più splendente focolare di cultura laica che si accendesse nell’Europa latina agli albori dell’età moderna». La traduzione dei Problemata da parte di Bartolomeo è «da porsi negli anni del regno di Manfredi (1258-1266)», vd. Franceschini 1935 (sez. C), p. 7, n. 4. 7 Pietro d’Abano insegnò nell’Università di Padova. Vd. M. E. Cosenza, Biographical and bibliographical dictionary of the Italian humanists and of the world of classical scholarship in Italy 1300-1800, Boston 1962, vol. III s. v. Petrus Paduanus; e l’edizione mantovana del 1475. 8 Vd. per es.: Aristotelis Problemata, latine, cum duplici translatione antiqua et noua Theodori Gazae et expositione Petri ab Apono, Venetiis 1501 (da Fabricius BG III p. 354); Problemata Aristotelis cum commento: et duplici translatione: antiqua videlicet & noua Theodori gazes thessalonicensis. Una cum Petri de apono doctissimis commentariis ... necnon magistri Petri de tussignano in eisdem copioso repertorio. Adiunctis insuper Alexandri aphrodisei: ac Plutarchi cheronei utilissimis problematibus ... Parrisijs 1520. 2
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NOTE ALL’INTRODUZIONE
9 Il primo dilemma cui da sempre si trova di fronte il traduttore, fare antico il moderno o moderno l’antico, è acuito dal fatto che i Problemi sono un trattato tecnico; anche di questo si era ben consapevoli. 10 Per la ricostruzione della vicenda e delle polemiche (che traspaiono anche dalle prefazioni alla traduzione di Teodoro di Gaza, in alcune edizioni), e per la traduzione di Giorgio da Trebisonda, vd. Fabricius BG XII p. 75; III p. 354; Monfasani 1984 (sez. C), in partic. pp. 9; 131 ss.; 320 s.; 411 ss.; 640 ss.; 667 ss.; 707. Vd. anche Angelo Poliziano Misc. I 90, in I. Maïer, ed., Opera omnia, Torino 1971, p. 301 ss. (rist. an. ed. Basileae 1553). In quest’epoca Ermolao Barbaro espresse l’intenzione di occuparsi di tutta la produzione aristotelica, ricordando anche i Problemi, e di tradurla per intero, vd. l’epistola CXV a Roberto Salviati, in V. Branca, ed., Ermolao Barbaro. Epistolae, orationes et carmina, Firenze 1943, II p. 33; cfr. ep. LXXII, I p. 92. 11 Vd. P. O. Kristeller, Catalogus translationum et commentariorum. Mediaeval and Renaissance Latin translations and commentaries, Washington 1960, I pp. 79; 82; 126-135; P. O. Kristeller/F. E. Cranz, Catalogus translationum et commentariorum, Washington 1971, II pp. 413; 418 s. (per il problema riguardante la traduzione delle Quaestiones naturales et morales); I. Maïer, Ange Politien. La formation d’un poète humaniste (1469-1480), Genève, 1966, in partic. pp. 372 ss. e 380 ss. 12 Vd. Kristeller, Catalogus ..., I p. 130 ss.; cfr. p. 126 ss. per le traduzioni di Pietro d’Abano e di Teodoro di Gaza. Frequentemente sono editi insieme con altre raccolte dello stesso genere, vd. per es.: Problemata Alexandri Aphrodisei Georgio Valla interprete. Problemata Aristotelis Theodorus Gaza e graeco transtulit. Problemata Plutarchi per Ioannem petrum Lucensem in latinum conuersa [s. a., s. l.]. Vd. anche: Georgius Valla ... de Corporis commodis et incommodis ... Problemata Aristotelis de re medica ... , Argentinae [s. a.]; Georgii Vallae ... de Natura oculorum. Item Aristotelis Problemata quae ad oculos pertinent, Argentinae [s. a.] (dal Catalogue ... de la Bibliothèque Nationale, Paris 1968, vol. CXCIX col. 157 s. e 160; cfr. col. 161). 13 Vd. Fabricius BG III p. 356; Birkenmajer 1932 (sez. C), p. 11. 14 Vd. per es. Problemata Aristotelis, ac philosophorum medicorumque complurium, ad uarias quaestiones cognoscendas, & ad naturalem Philosophiam discutiendam maxime spectantia ... Marci Antonii Zimarae Sanctipetrinatis Problemata his addita, una cum trecentis Aristotelis & Auerrois Propositionibus ... Alexandri Aphrodisei, super Quaestionibus nonnullis Physicis, Solutionum Liber, Angelo Politiano interprete ... [s. l.] 1554. Su Marco Antonio Zimara filosofo e medico, nato a San Pietro in Galatina (Lecce) nel 1460 e morto a Padova nel 1523, vd. M. E. Cosenza, Biographical and bibliographical dictionary of the Italian humanists and of the world of classical scholarship in Italy 1300-1800, Boston (Mass.) 1962, vol. IV s. v. Zimara; Antonaci 1971 (sez. C), in partic. p. 36 ss.: i Problemata dello Zimara hanno avuto diffusione fino al XVII secolo compreso, e hanno «seguìto per molto tempo la fortuna dei Problemata» del C. A., insieme con i quali sono stati spesso editi.
NOTE 9-20
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15 Vd. Lind 1968 (sez. C), p. 1 ss., che ha pubblicato una di queste raccolte, frutto del sapere antico e medievale, chiamata «Omnes homines», dall’incipit (vd. la citazione, scelta qui come motto dopo la celebre frase della Metafisica). Altri autori cui si attinge, oltre Aristotele, sono per esempio Ippocrate, Galeno e, con diversa frequenza, Avicenna, Averroè, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino. 16 Ludovici Septalii Patricii Mediolanensis, Protophysici Regii in Mediolanensi Dominio, et Politicae Scientiae in patria Professoris, in Aristotelis Problemata Commentaria ab eo latine facta. Opus hoc iam primum absolutum in lucem prodit, auctum tomo tertio numquam antea edito ... Lugduni 1632. Le edizioni precedenti sono del 1602 e del 1607. Scrisse anche un commento al De aere di Ippocrate. 17 Iulii Guastavinii Patricii Genuensis, et Medicinam, quam practicam appellant, primo loco in Pisano Gymnasio profitentis, Commentarii in priores decem Aristotelis Problematum sectiones: numquam antehac visi, nec in lucem dati, adiecto insuper Indice tam rerum, quam verborum copiosissimo. Ad Serenissimum Principem Cosmum Magni Ducis Etruriae Ferdinandi filium, Lugduni 1608. 18 Aristotelis Opera, quae extant omnia breui paraphrasi, ac litterae perpetuo inhaerente explanatione illustrata a P. Sylvestro Mauro Societatis Iesu. Tomus quintus continens Metaphysicam, seu Philosophiam transnaturalem, librum de Xenophane, Zenone, & Gorgia, & Problemata, Romae 1668. 19 De’ Pensieri Diversi di Alessandro Tassoni libri dieci. Corretti, ampliati, e arricchiti in questa ultima impressione per tutto dall’Auttore di nuoue curiosità. Ne’ quali per via di Quesiti con nuoui fondamenti, e ragioni si trattano le più curiose materie Naturali, Morali, Ciuili, Poetiche, Istoriche, e d’altre facoltà, che soglion venire in discorso fra Cauallieri, e Professori di Lettere ... In Venetia 1676. 20 Più duro era stato il giudizio di Arthur Schopenhauer nei Parerga und Paralipomena: dopo aver espresso la propria ammirazione per la civiltà greca e la consapevolezza del suo significato, egli afferma che nella scienza in genere i Greci sono inferiori e hanno poco da insegnare. Chi voglia rendersene conto legga i Problemi di Aristotele vero specimen ignorantiae veterum; le questioni in sé sono giuste e talora anche sottili, ma le soluzioni sono per la maggior parte ben misere (erbärmlich), perché nella spiegazione si ricorre solo e sempre al caldo e al freddo, al secco e all’umido (II 17, 191, p. 429 s., ed. Hübscher 1988 – sez. D). D’altra parte, egli ricorda altrove la sezione trentesima e la diciannovesima dei Problemi, parlando appunto del rapporto tra genio e melancolia, tra la musica e lo stato d’animo (Par. u. Paral. I, Aphor. 2, p. 346 s.; Die Welt als Wille und Vorstellung III 52, p. 307 e Ergänz. III 31, p. 438). Il suo giudizio è influenzato anche da un più generale atteggiamento che tendeva a privilegiare le attività letterarie e artistiche dei Greci come espressione del loro insuperabile senso estetico, a discapito della produzione più propriamente tecnica e scientifica. L’idea di una cultura greca come un’unità e l’esigenza di studiarla in tutte le sue manifestazioni non sono
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NOTE ALL’INTRODUZIONE
state sempre ben accolte. In Germania, fu Wilamowitz per esempio a promuovere uno studio allargato a tutti gli aspetti della cultura greca intesa come unità (vd. l’inizio della sua Geschichte der Philologie, e citazioni dai suoi discorsi in Canfora 1985, p. 638; Dräger 1999, p. 132 – sez. D). 21 L’affermazione secondo cui «l’analisi è edipica nel metodo», così come lo è Freud, e lo sono ogni atteggiamento e ogni discorso caratterizzati e determinati dal pensiero inquisitorio, ogni dialogo utilizzato per scoprire, ogni ricerca intesa come interrogazione, è di James Hillmann nel suo saggio Edipo rivisitato (Oedipus revisited, 1987) apparso insieme con due saggi su Edipo (Ödipus I, 1966 e Ödipus II, 1968) di Karl Kerényi nel volume Variazioni su Edipo, Milano 1992, in partic. p. 113 e ss. (tit. or.: Oedipus variations, Dallas 1991). Per esemplificare un vasto e controverso dibattito intorno alla base e alle radici dell’attività scientifica e filosofica, possiamo servirci di una frase di Karl Popper, generalizzandola: «noi non siamo studiosi di certe materie, bensì di problemi» (1972 – sez. D –, p. 118); nella varietà delle impostazioni, degli indirizzi e dei metodi di ricerca, la formulazione di ipotesi scientifiche, unitamente allo spirito di osservazione, alla curiosità e alla capacità di sorprendersi, di intuire e dedurre, può essere messa in relazione con l’esigenza di dare risposta a un problema. 22 Sul rapporto tra Aristotele e la medicina (nelle liste antiche delle opere di Aristotele sono compresi titoli che si riferiscono a ricerche sulla medicina), sono diverse e contrastanti le posizioni degli studiosi, posizioni che implicano anche una diversa valutazione dell’autenticità di alcune sezioni o parti dei Problemi. 23 Vd. Oenop. 41, A 12 (I p. 395 D.-K.; cfr. Pl. Theaet. 180 c; Resp. VII 530 b; 531 c. 24 Vd. anche Top. I 4, 101 b 16 ss.; 10, 104 a 3 ss.; 11, 104 b 1 ss.; 14, 105 b 19 ss.; An. pr. I 26, 42 b 27 ss.; An. post. II 1, 89 b 24 ss. (vi si elencano e si discutono quattro principali questioni da porre all’inizio di una ricerca: il ‘che cosa – to hóti –, il ‘perché’ – to dióti –, il ‘se esiste’ – ei ésti –, il ‘che cosa è’ – tí esti); 2, 90 a 1 ss.; Metaph. Z 17, 1041 a 10 ss. 25 «Probabilmente per un lungo periodo di tempo Aristotele aveva redatto per le sue lezioni un elenco di ‘difficoltà’ di interpretazione in Omero con le rispettive ‘soluzioni’; questo costume di zhthvmata probavllein può aver avuto successo nei simposi di circoli intellettuali ...», R. Pfeiffer, Storia della filologia classica dalle origini alla fine dell’età ellenistica, Napoli 1973, p. 133 ss. (tit. or.: History of classical scholarship from the beginnings to the end of the Hellenistic age, Oxford 1968). Vd. Rose 1967 (sez. C), 142-179 (pp. 120-137). Anche le frammentarie Questioni omeriche di Porfirio si presentano come un trattato esegetico con domande e soluzioni. 26 Per la relazione tra le dovxai e i problemi, per il carattere, la finalità e l’ordine delle domande in rapporto all’oggetto della ricerca e all’argomento, vd. Mansfeld 1993 (sez. C). 27 Vd. Fabricius BG III p. 252-255; Bojesen 1836 (sez. B), pp. 7 ss. e 11 ss.; Rose 1967 (sez. C), 209-245 (pp. 167-188); Gigon 1987 (sez. C), III 713-769 (pp. 756-776; cfr. p. 844 s.).
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28 Vd. Flashar 1991 (sez. B), pp. 356 ss. e 326. La datazione prescinde ovviamente da possibili aggiunte più tarde. In considerazione della lingua e del contenuto si possono confrontare i Problemi con altri trattati pseudoaristotelici come De spiritu, De audibilibus, De coloribus, Mirabiles auscultationes, Problemata mechanica (con questi ultimi hanno in comune anche la formula introduttiva dia; tiv); Flashar avanza l’ipotesi che questi trattati possano essere di poco anteriori ai Problemi (p. 358). Anche nel catalogo delle opere di Teofrasto (vd. Diog. L. V 45 e 48; cfr. Gal. De simpl. med. temp. ac fac. II 5, XI 474 K.) compaiono raccolte di problemi. 29 Vd. pp. XXIV s. e XXXIII dell’introduzione all’ed. del 1991 (cfr. p. 7 s.). Il II sec. d. C. è notoriamente un secolo importante nella storia della trasmissione dei testi antichi; inoltre il carattere miscellaneo ed eclettico dei Problemi ben si accordava con gli interessi di una cultura dominata dall’erudizione. 30 Il testo è pubblicato da J. L. Ideler, Physici et medici graeci minores, Amsterdam 1963, I pp. 144-167 (rist. ed. Berlin 1841). 31 Nell’editio princeps, l’Aldina del 1497, in cui i Problemata compaiono dopo quelli attribuiti ad Aristotele, viene edita la raccolta più breve composta dal primo e dal secondo libro; essa sarà ristampata da J. L. Ideler (Physici et medici graeci minores, Amsterdam 1963, I pp. 3-80; rist. ed. Berlin 1841). Il terzo e il quarto sono pubblicati da Bussemaker nell’edizione del 1857, vol. IV pp. 291-332, e poco più tardi da H. Usener (Alexandri Aphrodisiensis quae feruntur problematorum liber III et IV, Berlin 1859). Si ritiene che siano falsamente attribuiti ad Alessandro di Afrodisia; furono in ogni caso molto popolari. 32 Le Quaestiones furono edite prima da L. Spengel a Monaco nel 1842, e poi da I. Bruns nel Suppl. Arist. II 2 a Berlino nel 1892. Su altre raccolte antiche, vd. Flashar 1991, p. 359 ss. I rapporti tra queste raccolte (alcune delle quali hanno anche un’introduzione) e i problemi del C.A. sono stretti e sono stati ripetutamente indagati; molte sono le questioni che vi si trovano identiche o quasi. 33 Vd. Filius 1999 (sez. C), nell’introduzione; Daiber 1997 (sez. C), p. 33. 34 Il titolo greco è Symposiaká. Anche Aristosseno scrisse un’opera appartenente alla letteratura simposiale inaugurata dal Simposio di Platone (vd. i Syvmmikta sympotiká, frr. 122-127 W.). 35 Altri trattati di Plutarco prendono avvio dalla situazione tipica della domanda sollevata durante una riunione, un incontro, o traggono da domande, anche al di fuori dello schema del ‘perché’, nuovo materiale di discussione o di approfondimento. Vd. per es. De E apud Delphos 1, 385 A-B: «spesso in realtà, quando la questione era sorta fra i miei allievi, io l’avevo accantonata tranquillamente passando ad altro; ma ieri fui vinto dall’insistenza dei miei figli, che volevano compiacere ad alcuni stranieri in procinto di lasciare Delfi – e non sarebbe stato gentile da parte mia sottrarmi a persone tanto desiderose di ascoltare. Mi sedetti dunque presso il tempio, cominciando a parlare io stesso e a porre loro domande; ma il luogo e l’argomento stesso della discussione mi rammentarono
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NOTE ALL’INTRODUZIONE
ciò che un tempo, all’epoca della venuta di Nerone, avevamo sentito dire da Ammonio e da altri, che discutevano proprio lì del medesimo problema» (trad. di G. Lozza in Plutarco, Dialoghi delfici, Milano 1983, con intr. di Dario Del Corno, p. 136). 36 Per i numerosi esempi che si potrebbero fare, dall’Antichità al XX secolo, si rimanda all’articolo di Veit 1996; vd. anche Hörandner 1994 (sez. D). Per il periodo antico, medievale e rinascimentale, e oltre, vd. il ricco e documentato lavoro di Lawn 1963 (sez. C). 37 Vd. Schlechta 1938 (sez. E), pp. 30 ss. e 48 ss. 38 Vd. per es. Meteor. IV 2, 379 b 14 ss.; 3, 380 a 16 ss.; 381 b 5 s.; 380 b 28 ss.; II 4, 359 b 29 ss.; Hist. an. I 8, 491 b 9 ss. È legata a questa mancanza la difficoltà interpretativa cui si accenna per esempio nel nostro indice delle parole chiave, alla voce koilía: non esisteva un lessico tecnico fondato su conoscenze anatomiche, in questo caso, condivise e accettate da tutti. Il problema rientra in quello più ampio dell’organizzazione della ricerca e della comunicazione dei risultati nel mondo antico, e del rapporto tra la parola e la realtà cui essa viene applicata, rapporto variamente sentito e motivato. 39 È stato osservato che alcune teorie della scienza ellenistica non vi trovano riscontro, vd. Marenghi 1966 (sez. B), p. XVII; Flashar 1991, p. 357 n. 1. 40 Vd. anche l’indice delle parole chiave. 41 Gentili 1977 (sez. E), p. 13; vd. anche Gentili 1984, pp. 35 e 229: «il mimetismo del canto a solo, affidato ad una più ricca varietà ritmica e melodica ed a una più intensa espressività musicale, esigeva l’abilità tecnica di un nuovo tipo di attore professionista, virtuoso del canto». 42 Johannes Kepler ricorda Aristotele, parlando di presbiti e miopi: «sunt qui remota distincte vident, propinqua confuse, quos Aristoteles appellat presbuvta": sunt qui propinqua distincte, remota confuse, qui Aristoteli sunt muvwpe"» (Dioptrice, prop. LXIV, cfr. LXXII e LXXVIII).
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Aristotele nasce a Stagira. Il padre Nicomaco era medico. Anche la madre Festide proveniva da una famiglia di medici. È probabile che, essendo Nicomaco diventato medico alla corte dei Macedoni, Aristotele abbia vissuto, almeno per un certo periodo, a Pella, dove aveva sede la corte. Platone si reca in Italia Meridionale e a Siracusa presso Dionigi; l’Accademia fu, nel frattempo, forse diretta da Eudosso. Aristotele giunge ad Atene ed entra nell’Accademia, proprio nel momento in cui Platone era assente. Muore Platone, e alla direzione dell’Accademia gli succede il nipote Speusippo. Aristotele lascia Atene e si reca, probabilmente, prima ad Atarneo, invitato dal tiranno Ermia, e subito dopo ad Asso, città che il tiranno aveva donato ai platonici Erasto e Corisco, per le buone leggi che gli avevano preparato, e che avevano ottenuto grande successo. Aristotele dirige una scuola ad Asso, insieme a Senocrate, Erasto e Corisco. Aristotele dirige una scuola a Mitilene in Lesbo, dove conosce Teofrasto e inizia una stabile collaborazione con lui. Filippo il Macedone sceglie Aristotele come educatore del figlio Alessandro, per intercessione di Ermia. Ermia è fatto prigioniero e ucciso dai Persiani. Alessandro assume la reggenza, e di conseguenza interrompe i suoi studi. L’educazione impartita da Aristotele ad Alessandro dura quindi circa un triennio. Muore Speusippo, che era succeduto a Platone nella direzione dell’Accademia. A Speusippo succede Senocrate. Con lui Aristotele aveva già interrotto i rapporti, che diventeranno sempre piu polemici. Alessandro succede al padre Filippo.
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NOTIZIA BIOGRAFICA
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Alessandro distrugge Tebe e consolida la propria influenza su Atene. 335/334 Aristotele, avvalendosi della situazione politica a lui favorevole, ritorna in Atene e fonda la sua nuova Scuola, il Liceo, in antitesi con l’Accademia. Dal punto di vista giuridico solo con il successore Teofrasto il Liceo verrà formalmente riconosciuto, ma di fatto già con Aristotele la Scuola funziona regolarmente. 323 Muore Alessandro Magno e in Atene ha luogo una dura reazione antimacedone. 322 A motivo dei suoi legami con Alessandro, Aristotele, per sicurezza, deve fuggire da Atene, e recarsi a Calcide, dove aveva una casa materna. Pare che gli avversari minacciassero di intentargli (nascondendo i motivi politici sotto la maschera di motivi religiosi) un processo per “empietà” (analogo a quello che avevano intentato contro Socrate). 322 (ott.) Aristotele muore a Calcide, dopo pochi mesi dal suo arrivo, all’età di sessantadue anni. Per quanto concerne la cronologia delle opere di Aristotele non si può dire nulla con sicurezza. È possibile che alcune parti delle opere esoteriche (di Scuola) siano state composte anche già a partire dal periodo di Asso. Ma le ipotesi fatte non solo si sono rivelate mere congetture, ma anche in larga misura decettive. Le stesse opere essoteriche pubblicate da Aristotele, che si riteneva risalissero al periodo accademico, dal punto di vista cronologico risultano in realtà problematiche. È certo in ogni caso che Aristotele le ha sempre citate e si è riconosciuto sempre in esse, senza eccezioni, il che mette in forse la tesi che le vorrebbe tutte quante opere giovanili.
N.B. Il testo greco che viene riprodotto a fronte della traduzione è quello dell’edizione di riferimento di I. Bekker (Aristoteles graece ex recensione Immanuelis Bekkeri edidit Academia Regia Borussica, ap. G. Reimerum, Berolini 1831, vol. II, pp. 859-967), tranne in alcuni punti che sono elencati nella Nota critica, infra, pp. 517 ss.
Questioni di medicina [La malattia: causa generale e interventi dei medici; influenza delle stagioni e dei venti; la peste; cambiamento dell’acqua e dell’aria; metodi di cura e farmaci.] 1. Perché i grandi eccessi causano la malattia? Forse perché producono eccesso o difetto, e in questo consiste la malattia? 2. E perché spesso si guarisce dalla malattia quando ci si allontana molto dalla misura? Alcuni medici curano proprio in questo modo: con l’eccesso di vino, di acqua, di sale, di cibo o di digiuno. Forse perché la malattia è determinata da agenti contrari gli uni agli altri, così che ogni contrario riconduce l’altro alla misura?1 3. Perché i cambiamenti delle stagioni e i venti2 aggravano le malattie o le guariscono, le portano a una fase critica o le causano? Forse per il caldo, il freddo, l’umido o il secco delle varie stagioni, dal cui eccesso deriva la malattia, mentre la salute è equilibrio?3 Così, se per l’umidità o per un raffreddamento insorge la malattia, la stagione contraria la fa cessare. Ma se non segue subito una stagione contraria, il clima simile che si instaura aggrava le condizioni del malato e lo uccide. È anche per questo motivo che i cambiamenti delle stagioni fanno ammalare i sani, perché indeboliscono la costituzione, mentre un rafforzamento si ha con le stagioni propizie, l’età e il luogo. Perciò c’è bisogno di un’attenta guida, soprattutto nei periodi di mutamento. Anche nei casi particolari è valido il motivo di cui si è detto in generale parlando delle stagioni. I cambiamenti dei venti, delle età e dei luoghi corrispondono in certo modo ai cambiamenti di stagione, così che tutti questi cambiamenti aggravano o guariscono la malattia, la portano a una fase critica o la causano, proprio come fanno le stagioni e il sorgere degli astri, quali Orione, Arturo, le Pleiadi, il Cane4, proprio come accade col vento, la pioggia, il bello e il cattivo tempo, e la calura5.
4. Perché quando cambiano le stagioni non bisogna provocare il vomito? È per non creare uno scolvolgimento, nel momento in cui i residui si alterano a causa di quei cambiamenti? 5. Perché gli anemici6 e quelli che soffrono la fame hanno i piedi gonfi? Si tratta in entrambi i casi di deperimento? Chi soffre la fame deperisce perché non si nutre affatto, mentre gli anemici deperiscono perché non traggono alcun beneficio dal nutrimento che assumono. 6. Perché, se le malattie dovute alla bile insorgono in estate (le febbri ricorrono infatti soprattutto in estate), le manifestazioni acute7 di queste malattie sono invece più frequenti in inverno? Forse perché, associate alla febbre, sono acute per il fatto di essere violente, e la violenza è contro natura? Quando alcune parti del corpo diventano umide si ha infatti un’infiammazione calda, e l’infiammazione, che è un eccesso di calore, provoca la febbre. In estate, dunque, le malattie sono secche e calde, in inverno umide e calde, e acute di conseguenza: esse uccidono rapidamente il malato, perché la sovrabbondanza dei residui non permette la cozione. 7. Perché mai la peste è la sola malattia che si trasmette, molto più delle altre8, a quelli che sono vicini ai malati e li assistono? Forse perché è la sola malattia comune a tutti, e può per questo estendere l’affezione pestilenziale a tutti quelli che già da prima sono in precarie condizioni di salute? Accade infatti che restino contagiati rapidamente dall’ardore della malattia, trasmessa da chi viene assistito. 8. Perché, dopo un inverno in cui hanno soffiato venti del nord, se la primavera è piovosa e ventosa, con venti del sud, l’estate è malsana, favorendo febbri e oftalmie?9 Forse perché l’estate trova i corpi pieni di umidità estranea, come pure ne abbondano la terra e il luogo in cui si vive, assumendo le caratteristiche attribuite ai luoghi permanentemente malsani? In conseguenza, si hanno dapprima oftalmie, perché la sostanza residua nella testa si scioglie, poi febbri. È necessaria infatti questa riflessione: una stessa cosa può diventare molto calda o molto fredda, per esempio l’acqua o una pietra: l’una bolle e l’altra brucia di più. L’afa si forma nell’aria quando questa si riscalda per la sua densità10; anche nel corpo si produce allo stesso modo un calore soffocante: nel corpo il calore è la febbre, negli occhi le oftalmie. In generale, un cambiamento che sia violento danneggia il corpo, quando dopo una primavera
umida sopraggiunge all’improvviso un’estate calda e secca. Ancor maggiore è poi il danno se anche l’estate è piovosa, perché il sole trova materia da far ribollire nei corpi, al pari che nella terra e nell’aria: febbri e oftalmie ne sono la conseguenza. 9. Perché se l’inverno è dominato dai venti meridionali e piovoso, e la primavera invece secca e dominata dai venti di settentrione, sia la primavera sia l’estate sono insalubri? Forse perché in inverno a causa del tepore e dell’umidità c’è conformità di condizioni tra la stagione e il corpo, che è di necessità umido e non compatto? Trovandosi esso in questo stato, la primavera, fredda, lo irrigidisce e lo indurisce con la sua secchezza, tanto che le donne incinte in primavera finiscono per abortire a causa del calore e della necrosi causata dal freddo secco, perché l’umidità non viene escreta, e per il freddo in eccesso i feti sono deboli e immaturi. Talora è accaduto infatti che i bambini generati col tempo bello si formassero bene e fossero ben nutriti nel grembo materno. Poiché poi in primavera il flegma in eccesso non si è spurgato (cosa che accade quando fa caldo, mentre esso si rapprende per il freddo), e sopraggiungono l’estate e il caldo violento col suo potere di sciogliere, gli altri, se sono biliosi e secchi perché il loro corpo non è umido, ma ha una natura secca, hanno sì degli umori, ma in scarsa quantità, così che sono soggetti alle oftalmie secche. Se invece sono flegmatici, sono soggetti a raucedini e a catarri polmonari. Le donne soffrono di dissenteria per l’umidità e il freddo della loro natura, e i vecchi di apoplessia, quando tutta quanta l’umidità, disciolta, sopravviene e si condensa per la debolezza del calore innato. 10. Perché, se l’estate è secca e soffia vento dal nord, e l’autunno al contrario è umido con vento dal sud, in inverno si hanno mali di testa, raucedini e tossi, che finiscono in consunzione?11 Forse perché l’inverno trova una materia in grande quantità, così che con difficoltà fa condensare l’umidità e produce flegma? Quando c’è umidità nella testa, essa provoca pesantezza; se poi è molta e fredda, provoca cancrena; ma se non si condensa per la grande quantità, scorre verso la parte vicina: ecco allora le tossi, le raucedini e le consunzioni. 11. Perché i flegmatici e le donne traggono vantaggio da un’estate e da un autunno secchi e con venti del nord?12 Forse perché la natura, in entrambi i casi, eccede in una o altra direzione, così che la stagione, facendola tendere verso la di-
rezione contraria, la riporta a uno stato di equilibrio; così, subito stanno in buona salute (a meno che essi stessi non facciano qualche errore), e arrivano all’inverno senza umidità, con un calore utile per contrastare il freddo. 12. Perché i biliosi si ammalano se l’estate e l’autunno sono asciutti e con prevalenza di venti da nord?13 Forse perché il loro corpo e le stagioni tendono nello stesso senso, ed è perciò come aggiungere fuoco ad altro fuoco14. Infatti, quando i loro corpi si seccano, ciò che vi è in essi di più dolce15 trasuda via, e si riscaldano in eccesso, inevitabilmente insorgono allora oftalmie secche dovute alla consunzione16, e febbri acute, dovute alla bile non mescolata, perché gli umori che restano sono biliosi, e si riscaldano; talora anche accessi di follia, nelle persone in cui la bile nera è naturalmente presente: la bile nera prevale, dato che gli umori contrari sono disseccati. 13. Perché si dice che sia nocivo per la salute un cambiamento d’acqua, ma non un cambiamento d’aria?17 Forse perché l’acqua è un nutrimento18, e possiamo prenderla, berla, e poi andarcene, ma non è così per l’aria? Inoltre, ci sono molte specie di acqua19, diverse tra di loro, ma non ce ne sono di aria; così, anche questo è un motivo. Continuiamo infatti a respirare la stessa aria, o quasi, anche quando cambiamo località, ma troviamo acque diverse. Perciò è ragionevole pensare che il cambiamento dell’acqua sia nocivo. 14. Perché è più nocivo il cambiamento dell’acqua in confronto al cambiamento del cibo? Forse perché consumiamo l’acqua in maggiore quantità? Questo perché l’acqua si trova nei cibi, anche in quelli cotti, e soprattutto nelle bevande. 15. E perché il cambiamento nuoce alla salute?20 Forse perché tutti i cambiamenti, sia della stagione sia dell’età, comportano un movimento? Gli estremi, per esempio l’inizio e la fine, sono infatti soggetti al movimento. Così anche gli alimenti, che hanno caratteristiche diverse, si alterano reciprocamente: mentre alcuni sono già assimilati21, altri non lo sono ancora. Inoltre come è dannoso per la salute il cibo eterogeneo (dato che la sua digestione è disturbata e diversificata)22, lo stesso accade a chi usa un nutrimento liquido eterogeneo, perché cambia l’acqua. Questo nutrimento è più importante del nutrimento asciutto, perché è in quantità maggiore, e perché anche l’umido che proviene dagli alimenti solidi è nutrimento. 16. Perché il cambiamento dell’acqua fa aumentare i pidocchi23, in chi già li ha? Forse perché la mancata digestione
dell’elemento umido dovuta ai disordini provocati dalla varietà dell’acqua, in chi la cambia spesso, produce umidità soprattutto nella parte adatta? Il cervello è umido, e di conseguenza la testa è sempre la parte più umida. Ne è una dimostrazione la crescita dei peli24, che abbondano soprattutto nella testa. L’umidità di questa parte del corpo produce poi i pidocchi. Ciò si vede bene nei ragazzi, la cui testa è umida, e che soffrono spesso di raffreddori e di sanguinamenti dal naso: e questa è l’età in cui si hanno più pidocchi25. 17. Perché quelli che sono affetti da una lunga malattia muoiono soprattutto nel periodo che va dal tramonto delle Pleiadi fino a quando comincia a soffiare lo zefiro, e i vecchi più dei giovani? Forse per effetto di due cause molto letali: l’eccesso e il freddo? La vita infatti è calore, mentre questo periodo dell’anno è caratterizzato dall’eccesso e dal freddo: è freddo, e l’inverno è al suo culmine; poi viene la primavera. Oppure perché i malati che soffrono da lungo tempo sono come i vecchi? Avere una lunga malattia, infatti, è come essere ormai vecchi: il corpo dei vecchi come dei malati è secco e freddo26, a causa dell’età o della malattia. L’inverno e il gelo sono un eccesso di freddo e di secchezza, e basta che vi si aggiunga una piccola causa27 per creare squilibrio: l’inverno è come fuoco che si aggiunge al fuoco, ed è quindi letale. 18. Perché nelle regioni paludose le ferite alla testa guariscono rapidamente, quelle alle gambe invece con difficoltà?28 Forse perché l’umidità è pesante per il fatto che è terrosa, e ciò che è pesante tende ad andare in basso? Le parti alte restano così sgombre per questo spostamento verso il basso, mentre le parti basse si riempiono di molta materia residua che imputridisce facilmente. 19. Perché, quando d’inverno ha tirato vento da nord e in primavera da sud, e la primavera è stata piovosa, se poi l’estate è troppo secca, l’autunno è esiziale per tutti, specialmente per i bambini; mentre gli altri si ammalano di dissenterie e febbre quartana29, in questa stagione? Forse perché, quando d’estate piove poco, tutta l’umidità che si è accumulata durante la primavera umida, e che ribolle dentro di noi, si raffredda e smette di ribollire; ma se questo non accade, i bambini, che sono umidi e caldi per natura, sono sottoposti a un ribollimento eccessivo, in quanto non si raffreddano? I bambini che non si ammalano in estate, si ammalano in autunno, nella misura in cui c’è ribollimento. Se non uccidono subito, i residui