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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI Corso di laurea in Storia
LE ORIGINI FENICIE DI CADICE: IL CONTRIBUTO DEI NUOVI SCAVI
Tesi di laurea in Archeologia fenicio-punica
Relatore
Presentata da
Prof. Raimondo Secci
Serafino Rosso
Appello II Anno accademico 2015-2016
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INDICE Introduzione 1. I Fenici a Cadice: quadro storico e geografico
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1.1 . La fondazione di Gadir/Gadeira/Gades nelle fonti classiche
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1.2 . Il contesto topografico
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1.3 . L'urbanistica di Cadice: status quaestionis prima delle nuove scoperte 2. Gli scavi recenti
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2.1 . Il Teatro Comico
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2.2 . Calle Ancha, 29
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2.3 . Calle Hercules, 12
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2.4 . Castillo de San Sebastian
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2.5 . Cerro del Castillo
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3. Conclusioni: modi, tempi e strategie di popolamento Bibliografia
38 43
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INTRODUZIONE All'estremità nord-occidentale della città di Cadice, affacciato sull'oceano, si trova un parco, chiamato “Parque Genovés”. Oltre alla normale flora e fauna europea, la cosa che più mi ha colpito è stata la presenza di numerose specie di alberi sub-tropicali e tropicali, e dei simpatici pappagalli che volavano tra i loro rami. In effetti la mitezza del clima di questo luogo è davvero invidiabile, con temperature medie che oscillano tra i 13 °C di gennaio e i 25 °C di agosto 1 (per confronto le temperature medie di Bologna negli stessi mesi sono di 3 °C e 25 °C). Qui le condizioni geografiche e climatiche fanno sì che questo sia un perfetto luogo d'incontro tra l'Europa atlantica e il mondo mediterraneo. Il territorio nel quale si trova l'attuale città di Cadice è stato occupato dall'uomo fin dall'epoca preistorica, ma fu solo in un momento imprecisato all'inizio del I millennio a.C. che venne fondata una città, ad opera di un gruppo di coloni fenici cui non erano certamente sfuggite le condizioni vantaggiose del luogo. Con la fondazione di Gadir,2 si sviluppa nella Baia di Cadice un processo eccezionale, poiché la colonia tiria sarà destinata a convertirsi in breve tempo nella città più ricca e potente dell'estremo occidente, ponte tra Mediterraneo e Atlantico.
FIG. 1. Uno scorcio del Parque Genovés a Cadice (foto dell'autore).
Riguardo alla storia delle fasi più antiche della città però, rimangono ancora molti dubbi irrisolti. La discussione sull'ubicazione esatta della stessa e la sua articolazione con il territorio circostante, ad esempio, è stato e continua ad essere uno dei dibattiti scientifici più accesi per gli studiosi locali e per chiunque si occupi della civiltà fenicia. E' proprio riguardo a questo dibattito che gli interventi archeologici effettuati recentemente nel centro della città (ma anche nel vicino paese di Chiclana), hanno apportato contributi di fondamentale importanza. Questo lavoro si propone quindi di fornire una descrizione sintetica di queste nuove scoperte e, unendole alle informazione desunte dalle fonti classiche, arrivare a definire un quadro storico un po' più completo per le prime fasi della colonizzazione fenicia nella Baia di Cadice, all'interno del più ampio contesto della 1 Dati dell'Agencia Estatal de Meteorologia relativi al periodo 1981-2010, disponibili online sul sito www.aemet.es. 2 Antico nome fenicio della città. Cfr. infra: cap. 1.1.
4 Penisola Iberica.3 Per fare questo ci si è avvalsi dell'ampia letteratura disponibile, partendo dalle Storie di Erodoto per arrivare alle ultime pubblicazioni del 2014. Inoltre, seguendo l'antico consiglio di Polibio, chi scrive si è recato nei luoghi oggetto dell'indagine, ricavandone preziose informazioni e una più completa comprensione della topografia dell'area.4 Nel primo capitolo si è cercato di riassumere brevemente tutte le conoscenze storico-archeologiche riguardo al territorio della Baia di Cadice in epoca fenicia. Per farlo si è partiti innanzitutto da un'analisi il più possibile oggettiva delle informazioni ricavabili dalle fonti classiche: caso piuttosto raro per le città fenicie, ne possediamo in abbondanza, anche se i racconti apparentemente contrastanti dei vari autori antichi non sempre risultano di effettivo aiuto per la ricostruzione storica. Infatti un problema fondamentale di quest'area è quello della costante evoluzione geomorfologica cui è soggetto, che porta a continui cambiamenti nella topografia del paesaggio. Questo è evidente anche dalla lettura delle fonti, che in particolare posizionano l'isola di Erytheia di volta in volta in un luogo differente. Per questo chi scrive ritiene fondamentali i risultati degli studi geoarcheologici esposti nella seconda parte del primo capitolo, che sono riusciti a definire piuttosto precisamente l'aspetto della baia al momento dell'arrivo dei coloni. Una terza parte, poi, è dedicata a una veloce carrellata delle scoperte archeologiche più significative che si sono qui susseguite dalla fine dell'800 fino all'inizio del nuovo millennio.
FIG. 2. Vista aerea della città di Cadice e della baia omonima. In primo piano il Castillo de San Sebastian, sullo sfondo la zona di San Fernando.
Nel secondo capitolo si espongono i risultati degli scavi archeologici effettuati in anni recentissimi: vista l'intensa attività archeologica sviluppatasi ultimamente in tutta la zona, sono stati selezionati soltanto quelli che hanno fornito dati importanti riguardo all'organizzazione urbana nelle prime fasi della colonizzazione (IX-VI sec. a.C.). Il più importante è senza dubbio quello effettuato al di sotto del Teatro Cómico, nel centro della città vecchia. Il ritrovamento di resti di strutture abitative fenicie datate alla fine del IX sec. a.C., tra le 3 Senza mai dimenticare come questo processo debba necessariamente essere un continuo divenire, evitando sempre di fossilizzarsi sulle posizioni sostenute. Questo sia per la natura intrinseca del lavoro di storici e archeologi, sia, in questo caso particolare, per le poche informazioni che in effetti possediamo. Se possiamo essere sufficientemente certi che la colonia romana di Placentia fu fondata nel 218 a.C., lo stesso non si può dire per Gadir e probabilmente questa certezza non si avrà mai. 4 Desidero ringraziare in particolare Paloma Bueno Serrano, archeologa dell'Università di Cádiz che si è mostrata molto gentile e disponibile per guidarmi nella visita della zona archeologica del Cerro del Castillo, oltre a darmi molte informazioni riguardo agli altri scavi visitabili nell'area della Baia.
5 altre cose, consente di retrodatare la fondazione della città almeno a questo momento e di ipotizzare una localizzazione per l'area urbana nel periodo iniziale. Nello scavo di calle Ancha invece è stato portato alla luce quello che sembra essere un “pozzo sacro” o comunque un'area aperta legata ad attività cultuali, con un periodo di utilizzo concentrato nell'VIII sec. a.C. Insieme allo scavo di calle Hercules sembra inoltre definire un limite all'insediamento iniziale. In quest'ultimo è emersa una tomba a incinerazione risalente allo stesso periodo, forse facente parte di una necropoli arcaica. Si passa poi allo scavo effettuato nel Castillo de San Sebastian, luogo dove tradizionalmente viene ubicato il Kronion. Sebbene non abbia fornito prove schiaccianti in questo senso, l'evidenza di strutture non abitative datate alla fine del VII sec. a.C., lascia sicuramente aperta questa possibilità. Infine, in vari interventi archeologici realizzati nel Cerro del Castillo a Chiclana è stato scoperto un insediamento fortificato, anch'esso datato alla fine del VII sec. a.C., per la cui realizzazione parteciparono sia la popolazione locale che un contingente di coloni fenici. In conclusione, nel terzo capitolo, si è cercato di dare un'interpretazione uniforme all'insieme delle informazione esposte, inserendole anche nel più ampio quadro della colonizzazione fenicia nell'estremo occidente e dei rapporti con le popolazioni tartessiche. Senza la pretesa di risultare un'opera esaustiva relativa alla ricostruzione storica dell'espansione fenicia nel Mediterraneo occidentale, questo vuole essere un lavoro introduttivo alla questione (sulla quale esiste un'ampia letteratura), concentrandosi invece sulle importanti novità derivate dagli ultimi scavi archeologici e su come queste stiano cambiando la visione del popolamento fenicio arcaico nell'area della Baia di Cadice.
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Capitolo 1.
I FENICI A CADICE: QUADRO STORICO E GEOGRAFICO
1.1 . LA FONDAZIONE DI GADIR/GADEIRA/GADES NELLE FONTI CLASSICHE La prima menzione scritta riguardante la città di Cadice si trova in quello che viene considerato il primo storico greco: Erodoto. Nel libro IV delle sue Storie, al paragrafo 8, egli narra di come Eracle avesse rubato le vacche del gigante Gerione per compiere la decima delle sue famose fatiche. Nell'ambito di ciò scrive che «Gerione aveva la sua dimora nell'isola che i Greci chiamano Erytheia, situata di fronte a Gadeira,5 al di là delle colonne d'Eracle, nell'Oceano6» (Erod. IV, 8). Guardando una qualunque mappa attuale della zona di Cadice, però, si nota immediatamente che non ci sono isole nei dintorni7 (fig. 3).
FIG. 3. Mappa attuale della baia di Cadice e della zona circostante (Google Maps).
In effetti, uno dei problemi fondamentali della ricostruzione storica nella zona di Cadice risulta essere quello della ricostruzione del paesaggio antico, così come si presentava nella prima metà del I millennio avanti Cristo. La costa della baia di Cadice (e in generale la costa meridionale della Spagna) infatti, è cambiata radicalmente negli ultimi 2500 anni, forse anche come conseguenza dell'arrivo dei mercanti e dei coloni fenici.8 Il secondo autore (cronologicamente) che ci parla della città è un altro storico greco, Diodoro Siculo, vissuto però nel I sec. a.C., che descrive così la fondazione: «E dapprima, proprio sullo stretto presso le Colonne, fondarono una città sulla costa europea, e poiché essa occupava una penisola, la chiamarono Gadeira; vi costruirono molte opere adatte a quei luoghi, e anche un sontuoso tempio di Eracle, e introdussero sacrifici magnifici condotti secondo i costumi dei Fenici. Si dà il caso che questo santuario sia stato tenuto in assai 5 Cioè Cadice. Cfr. infra, p. 7. 6 Traduzione di A. Colonna e F. Bevilacqua in Le Storie, vol. I, Torino 2006, p. 653. 7 In realtà, un canale artificiale che collega la baia all'oceano nella zona di San Fernando (tra La Carraca e Sancti Petri) rende la penisola di Cadice a tutti gli effetti un'isola. 8 Vedi par. 1.2.
7 grande onore, sia allora che in tempi recenti fino alla nostra generazione.»9 (Diod. V 20,2). In primo luogo, si nota subito che secondo Diodoro la città sorge su una penisola, proprio come accade attualmente. In secondo luogo, viene menzionata l'importanza del tempio di Eracle (interpretazione greca del dio fenicio Melqart). L'autore non menziona, però, l'isola di Erytheia di cui parlava Erodoto. Il terzo autore che menziona la città di Cadice è Strabone, un altro autore greco vissuto a cavallo del cambio di era, che ci ha lasciato una descrizione più consistente, redatta a partire dai resoconti di tre viaggiatori greci del II sec. a.C.: Posidonio, Artemidoro e Polibio10: «Ma anche se i Gaditani sono così numerosi, occupano un'isola non più grande di 100 stadi in lunghezza, e in alcuni punti solo uno stadio in larghezza. 11 La città in cui vivevano al principio era invero molto piccola, ma Balbo di Gades, che ottenne gli onori di un trionfo, ne fondò un'altra per loro, che chiamarono “Nea”; e la città che è composta dalle due la chiamano “Didyme”, anche se non è più di 20 stadi di circonferenza, e nemmeno così affollata. Infatti solo in pochi stanno a casa nella città, perché in generale sono tutti in mare, anche se qualcuno vive sul continente di fronte all'isola, e anche, in particolare a causa dei suoi vantaggi naturali, sull'isoletta che si trova al largo di Gades; solo in pochi, comunque, vivono sia sull'isoletta che nella cittadina portuale che fu costruita per loro da Balbo sulla costa antistante del continente. La città di Gades è situata nella parte occidentale dell'isola; e vicino ad essa, all'estremità dell'isola e vicino all'isoletta, c'è il tempio di Crono; 12 ma il tempio di Eracle13 è situato dall'altra parte, affacciato ad est, proprio dove l'isola arriva più vicina alla terraferma, formando così uno stretto di solo uno stadio di larghezza. E loro dicono che il tempio è distante 12 miglia dalla città, facendo così combaciare il numero di miglia con quello delle Fatiche; in realtà la distanza è più grande e ammonta a quasi tutta la lunghezza dell'isola; e la lunghezza dell'isola è quella da ovest a est. Con Erytheia, in cui gli scrittori dei miti posizionano le avventure di Gerione, Ferecide 14 sembra intendere Gades. Altri, comunque, pensano che Erytheia sia l'isola che giace parallela a questa città ed è separata da uno stretto di uno stadio di larghezza...»15 (Strab. III 5, 3-4). La situazione diventa in questo caso più complicata perché Strabone ci dice che la città sorge su un'isola di forma stretta e allungata con l'abitato nella parte occidentale e il tempio di Eracle all'estremità orientale, affacciato sullo stretto che divide l'isola dal continente. Questa pare essere molto vicina però, sia alla terraferma che a un'altra isoletta (Erytheia), entrambe popolate da insediamenti satelliti. La descrizione di Strabone prosegue con il racconto sulla fondazione della città: «Sulla fondazione di Gadeira, ecco cosa dicono i gaditani: che un oracolo comandò ai tirii di fondare un insediamento nelle Colonne d'Eracle; quelli che erano stati inviati in esplorazione arrivarono fino allo stretto che si trova presso Calpe16 e credettero che i promontori che formano lo stretto fossero i confini della terra abitata e il termine delle imprese di Eracle; supponendo quindi che lì erano le colonne di cui aveva parlato l'oracolo, gettarono l'ancora in un luogo che si trovava prima delle Colonne, là dove si trova la città dei sassitani. 17 Ma, siccome in questo punto della costa offrirono un sacrificio agli dei e le vittime non furono propizie, tornarono indietro. Tempo dopo, gli inviati attraversarono lo stretto, arrivando fino a un isola consacrata a Eracle, situata vicino a Onoba,18 città dell'Iberia e a millecinquecento stadi oltre lo stretto; siccome credettero che fossero lì le Colonne, sacrificarono di nuovo agli dei; ma un'altra volta le vittime furono avverse e tornarono in patria. Nella terza spedizione fondarono Gadeira ed elevarono il santuario nella parte orientale dell'isola e la città nella parte occidentale»19 (Strab. III 5,5). Il principale autore latino che ci ha tramandato una descrizione di Cadice è invece Plinio il Vecchio, vissuto nel I sec. d.C. Così descrive la zona: «... Ma proprio all'estremità della Betica, a 25 miglia dall'imbocco dello stretto, c'è l'isola di Gades, lunga, come scrive Polibio, 12 miglia e larga 3. La sua distanza dal continente, nel punto più vicino, è minore di 700 piedi, ma nel resto arriva a più di 7 miglia; il suo perimetro è di 15 miglia. L'isola ospita una città con abitanti di cittadinanza romana, chiamati Augustani della città Giulia di Gades. Dal lato che guarda alla Spagna, a circa 100 passi, si trova un'altra isola, lunga un miglio e 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
Traduzione di G. Cordiano e M. Zorat in Biblioteca Storica, vol. II, Milano 2014, pp. 323-325. AUBET 2009, p. 269; MAYA et al. 2014, p. 158. Lo stadio era un'unità di misura in uso nell'antichità e corrispondeva a 185 metri. I Greci identificavano il dio fenicio Baal-Hammon con il dio greco Cronos. Eracle era la consueta interpretazione greca del dio fenicio Melqart. Ferecide di Atene, scrittore e storico del V sec. a.C., si occupò soprattutto di mitografia, costituendo insieme a Ecateo di Mileto, la base di partenza per molti autori successivi. Dei suoi scritti rimangono solo frammenti. Traduzione di H.L. Jones in Geography of Strabo, vol. II, London 1960. Antico nome di Gibilterra. L'antica Sexi, oggi Almuñecar. Attuale Huelva. Traduzione di M.E. Aubet in Tiro y las colonias fenicias de Occidente, Barcelona 2009, p. 270.
8 larga un miglio, in cui prima c'era la città di Gades. E' chiamata Erythea da Eforo e da Filistide, Aphrodisias da Timeo e da Sileno, e Iunonis dai nativi. Timeo afferma che l'isola più grande è detta da questi ultimi Kotinousa; ma la nostra gente la chiama Tarteso e i Cartaginesi Gadir.”…“Certi autori credono che vi abitasse Gerione, quello a cui Ercole avrebbe portato via le mandrie. Ma altri suppongono che l'isola fosse un'altra, al largo della Lusitania, e battezzano con lo stesso nome una certa isola di quelle parti.»20 (Nat. Hist. IV 119-120). Anche Plinio, quindi, afferma che la città si trova su un'isola, aggiungendo però che in precedenza era situata sull'isola più piccola, chiamata Erythea, Aphrodisias o Iunonis.21 A differenza di Strabone però, che poneva l'isoletta a Occidente di quella principale, Plinio la posiziona “dal lato che guarda alla Spagna” quindi probabilmente a Nord-Est.
FIG. 4. Ricostruzione tradizionale del antico arcipelago gaditano (ESCACENA 1985).
Il fatto che Gades si trovasse su un'isola è confermato anche da altri autori latini, come Velleio Paterculo (Hist. Rom. I 2,3) e Pomponio Mela (Cor., III 6,46). Quest'ultimo, essendo nato nella Hispania Betica, è inoltre probabilmente l'unico che descrive la zona avendola vista di persona. E' interessante quindi notare come egli descriva un'unica isola, corrispondente alla Kotinousa di Plinio e Strabone, e posizioni invece Erytheia in Lusitania. Di conseguenza sembra certo che in epoca romana l'insediamento principale fosse 20 Traduzione di A. Barchiesi, R. Centi, M. Corsaro, A. Marcone, G. Ranucci in Storia Naturale, vol. I, Einaudi, Torino 1982. 21 Secondo Avieno l'isola era consacrata alla Venus marina (OM 267-270). Tutte queste definizioni dovrebbero essere interpretazioni della dea fenicia Astarte.
9 sull'isola dalla forma allungata, chiamata Kotinousa, anche se esistevano sicuramente numerosi centri minori intorno a quello principale. Già 2000 anni fa, invece, c'era parecchia confusione su dove si fossero stabiliti i primi coloni fenici, circa un millennio prima, essendo le informazioni derivate soprattutto da racconti mitologici. In ogni caso, quello che invece nessuno metteva in dubbio era l'origine fenicia di Cadice, dimostrata anche dal nome, Gadir, poi ellenizzato in Gadeira e infine latinizzato in Gades. La questione toponomastica è molto spinosa per gli studioso moderni. Gadir viene interpretato come derivante dalla radice semitica “gdr”, cui viene solitamente attribuito il significato di “muro, luogo forticato, luogo chiuso” 22, stando quindi a significare che, almeno in origine, Gadir fosse una fortezza. La cosa è confermata anche dal poeta latino Avieno, vissuto nel IV sec. d.C., che la definisce Arx Gerontis o castello di Gerione (Ora Maritima v. 85). Il problema principale è che dal punto di vista archeologico la città non ha restituito nessun resto di fortificazione di alcun tipo. Non solo, ma le fonti classiche, escludendo Avieno, effettivamente non parlano di mura di fortificazione come caratteristica della città (al contrario di quanto succede per Tiro, per esempio). Un'altra informazione importante, è invece data dall'utilizzo di nomi plurali da parte di Greci e Romani per la città, cosa che testimonia ancora di più quella pluralità di insediamenti che emerge anche dalle descrizioni delle fonti. Nell'epoca moderna la città di Cadice sorge all'estremità di una penisola che si protende nell'Oceano Atlantico in direzione sud-est/nord-ovest e va a chiudere l'omonima baia. Come conseguenza in passato c'è stata una certa confusione tra gli studiosi che si sono occupati di ricostruire la storia più antica della città e soprattutto la posizione dei grandi templi descritti dalle fonti, di cui però non sono rimaste tracce visibili. Questo almeno fino all'avvio di una serie di studi paleogeografici in anni recenti, che hanno consentito di fare un po' di chiarezza sull'evoluzione topografica della zona e, unitamente al procedere degli scavi archeologici, hanno consentito di ricostruire con più precisione il paesaggio antico, anche se rimangono tuttora molte questioni irrisolte.
1.2 . IL CONTESTO TOPOGRAFICO Uno dei problemi fondamentali della ricostruzione archeologica nella zona di Cadice risulta essere quello della ricostruzione del paesaggio antico, così come si presentava nella prima metà del I millennio avanti Cristo. La costa della baia di Cadice (e in generale la costa meridionale della Spagna) infatti, è cambiata radicalmente negli ultimi 2500 anni. Modificazioni consistenti alla linea di costa si sono verificate anche solo negli ultimi 50 anni, in seguito alla costruzione di dighe sui maggiori fiumi della regione (Guadalquivir e Guadalete) e al boom di costruzioni, in molti casi direttamente sulle dune costiere, verificatosi negli anni 60-70 23. In particolare, ad esempio, la lingua di sabbia di Valdelagrana, situtata appena a sud della foce del Guadalete si è ritirata di ben 560 m nel periodo 1976-2000, con la perdita di oltre un milione di metri quadrati di spiaggia, dune e laguna costiera 24. Non devono affatto stupire, quindi, i cambiamenti, anche radicali, che sono avvenuti nel paesaggio costiero dall'arrivo dei primi coloni fenici fino adesso, o anche soltanto le discrepanze tra le stesse fonti classiche. La città di Cadice attualmente si trova al termine di una stretta penisola con orientamento sud-est/nord-ovest che si protende nell'Oceano Atlantico e va così a chiudere dal lato sud la baia di Cadice (figg. 2-3). I dati ricavati dalle fonti classiche sull'antica topografia dell'area sono stati confrontati con vari studi geomorfologici effettuati negli ultimi decenni, ma i risultati di questi studi non sono stati sempre concordanti. La questione più critica è quella del cosiddetto canale Bahia-Caleta. Il primo a identificare l'esistenza di questa antica via d'acqua fu F. Ponce Cordones 25, basandosi principalmente sugli studi riguardo l'evoluzione geologica della baia di Cadice fatti da J. Gavala.26 Secondo Ponce, ripreso poi da altri studiosi 27 che hanno contribuito ad affinare i dati, al momento dell'arrivo dei coloni fenici esisteva uno stretto braccio di mare che separava le due isole di Erytheia e Kotinousa, andando a formare un riparo naturale utilizzato come porto dai coloni. In pratica l'isola più piccola (Erytheia) era quella su cui si erano insediati inizialmente i 22 23 24 25 26 27
AUBET 2009, p. 269. GRACIA et al. 2006, pp. 5-6. MARTINEZ DEL POZO et al. 2001; GRACIA et al. 2006, p. 6. PONCE 1976. GAVALA 1928, non vidi. RAMIREZ 1982, pp. 72-82; ESCACENA 1985; PERDIGONES et al. 1990; AUBET 2009, pp. 271-279.
10 coloni come affermato da Plinio. Lo stretto sarebbe poi stato chiuso da un istmo, forse anche artificiale, che già in epoca romana univa le due isole in una sola, permettendo così la costruzione della città gemella di cui parla Strabone, e andando infine a formare un unico centro, come si evince dalla descrizione di Pomponio Mela. Questa teoria ha risolto molti problemi riguardo alla localizzazione delle isole descritte dalle fonti e alle discrepanze tra le stesse fonti, e si è quindi affermata in letteratura (figg. 4-5).
FIG. 5. Ricostruzione tradizionale della zona del centro storico di Cadice, con indicate le principali testimonianze archeologiche. I quadrati rappresentano le necropoli, i pallini i resti urbani, mentre gli asterischi le posizioni ipotetiche dei templi (ESCACENA 1985).
In realtà, però, già nel 1992 A. Alvarez, con un analisi brillante delle fonti, aveva messo in dubbio questa idea, facendo notare che Plinio posizionava l'isola di Erytheia a Nord-Est di Gades e non a Nord-Ovest. In più, sempre secondo Alvarez, il canale Bahia-Caleta non sarebbe stato di certo un buon porto, a causa delle correnti che si sarebbero sviluppate tra la baia e l'Oceano aperto. Di conseguenza prospettava che il canale fosse già chiuso da un istmo all'arrivo dei primi coloni, formando così due insenature, che in questo caso sì sarebbero state degli ottimi porti naturali (soprattutto quello che dà sulla baia). Riteneva altresì che l'informazione di Plinio fosse da ritenersi errata, anche perché contrastata da Erodoto.28 Per cercare di risolvere questa diatriba, a partire dalla fine degli anni novanta sono stati fatti numerosi studi geomorfologici, soprattutto ad opera di due gruppi di ricerca, uno sotto la direzione di O. Arteaga e un altro condotto da F.J. Gracia e C. Alonso. Il risultato di questi studi è che entrambi i gruppi sono giunti alla conclusione che le tre isole maggiori dell'arcipelago gaditano erano unite insieme prima di quanto si pensasse. In particolare dopo una campagna geoarcheologica effettuata nel 2001 nella zona del canale Bahia-Caleta è stato dimostrato che il processo di sedimentazione degli apporti alluvionali, iniziato naturalmente all'incirca nel 4000 a.C., aveva già creato un istmo che collegava le due isole entro il 1000 a.C. (fig. 6), cioè prima dell'arrivo dei coloni fenici.29 Un simile processo e con le stesse tempistiche accade anche al braccio di mare che divideva l'isola di Kotinousa da quella denominata usualmente Antipolis, il quale risulta trasformato in una zona paludosa al principio del primo millennio 30 (fig. 7). Il contrasto con il panorama ricavato dalle fonti classiche non è di facile soluzione, ma, almeno nel caso di Antipolis, è possibile che la separazione tra le due “isole” non fosse da intendere come formata da un braccio di mare, quanto piuttosto dalle citate paludi.31 I risultati di queste indagini appaiono abbastanza univoci, ma non sono 28 29 30 31
ALVAREZ 1992. ARTEAGA et al. 2001, pp. 379-382, fig. 4. ALONSO – GRACIA – BENAVENTE 2009, pp. 18-21, fig. 2. ALONSO – GRACIA – BENAVENTE 2009, pp. 22-23.
11 ancora riusciti a mettere tutti d'accordo 32, soprattutto perché non riescono a spiegare in maniera esauriente le descrizioni delle fonti.
FIG. 6. Ricostruzione della linea di costa nel centro storico della città di Cadice. In fondo grigio è indicata la forma attuale della penisola gaditana e le installazioni portuali. (ARTEAGA et al. 2001).
FIG. 7. Evoluzione paleogeografica schematica della baia di Cádice tra il 5.500 a.C. e il 500 a.C. (ALONSO – GRACIA – BENAVENTE 2009). 32 ZAMORA – SAEZ 2014, p. 256, nota 10.
12 Un'altra zona su cui si sono concentrati gli studi è quella dell'isolotto di Sancti Petri, situato a Sud-Est “dell'isola”33 di Cadice, di fronte alla Punta del Buqueron (da cui dista poche centinaia di metri), e sulla vicina spiaggia di Camposoto, in quanto non ci sono dubbi che questa sia la zona che le fonti indicano per la posizione del tempio di Eracle/Melqart. Questa zona, come tutta la costa atlantica in questa regione, è sottoposta a un evidente azione erosiva da parte dell'oceano e di conseguenza è abbastanza certo che anche il tempio sia stato spazzato via dal mare.34 Il ritrovamento subacqueo di alcune statuette bronzee in questo tratto di mare35 ha poi conferito ulteriore credito a questa ipotesi, e si è affermata l'idea che fosse proprio l'isolotto di Sancti Petri a costituire il promontorio sud-orientale dell'isola di Kotinousa su cui sorgeva l'Herakleion (fig. 8). I recenti studi geomorfologici hanno stabilito che in effetti in epoca pre-romana la linea di costa era situata almeno 200 m più a ovest, con una grande porzione di terra andata perduta al mare.36 Sembra, però, che l'isolotto di Sancti Petri fosse già separato dall'isola principale prima della colonizzazione fenicia,37 anche se, per la verità, questo cambia di poco l'interpretazione precedente.
FIG. 8. Statuette bronzee in stile egittizzante trovate nelle acque circostanti l'isola di Sancti Petri, possibilmente relazionate ad attività religiose arcaiche sviluppate nell'area – non in scala (ZAMORA – SAEZ 2014).
Gli stessi processi di erosione marina caratterizzano anche l'area dei due promontori occidentali che vanno a formare la piccola baia de La Caleta. In quello meridionale, chiamato Castillo de San Sebastian per la fortezza ivi presente, si ritiene fosse situato il Kronion, mentre quello settentrionale, chiamto Punta del Nao doveva ospitare un santuario di Astarte.38 Grazie a un illustrazione fatta dal pittore fiammingo Joris 33 34 35 36 37 38
Vedi nota 3. GARCIA Y BELLIDO 1963; MARIN – JIMENEZ 2011. PERDIGONES 1991. SAEZ – DIAZ 2012; ZAMORA – SAEZ 2014. ARTEAGA – SCHULZ – ROOS 2008. Oltre ad essere ottenute dall'interpretazione delle fonti, entrambe queste identificazioni sono sostenute dai frequenti ritrovamenti archeologici nelle acque circostanti, che si ripetono ormai da decenni: PEMAN 1959, non vidi; HIGUERAS –
13 Hoefnagel nella seconda metà del XVI secolo39 (fig. 9), sappiamo che quelle che al giorno d'oggi non sono molto più che due linee di scogli affioranti, all'inizio dell'età moderna erano due fertili strisce di terra coltivata. Nella punta di quella meridionale era inoltre presente una chiesa, che potrebbe rappresentare un tipico caso di riutilizzo di templi pagani, trasformati spesso in chiese con la diffusione del cristianesimo. E' evidente, quindi, quanto la ricostruzione archeologica possa essere difficile in una zona che ha subito trasformazioni topografiche di una certa consistenza nel corso dei secoli, spesso proprio nelle zone di maggiore interesse storico, come la zona dell'Herakleion. Si spiegano anche per questo motivo i notevoli cambiamenti nella ricostruzione storica che sono intervenuti dall'inizio degli studi ai giorni nostri e le diatribe tra gli studiosi che sorgono ad ogni nuovo ritrovamento.
FIG. 9. “Gades ab occidvis insulae partibus” (Joris Hoefnagel, 1564).
1.3 L'URBANISTICA DI CADICE: STATUS QUAESTIONIS FINO A 10 ANNI FA Anche se le prime notizie pervenuteci riguardo a ritrovamenti archeologici provengono dal XVII secolo,40 è a partire dal 1887 che possiamo parlare dei primi veri scavi archeologici nella città. A causa dei lavori per la Exposicion Maritima Nacional, infatti, venne scoperta una necropoli punica, detta di Punta de Vaca (o anche Puertas de Tierra) dal toponimo della zona, appena al di fuori delle mura della città vecchia. 41 I rinvenimenti furono numerosi, con vari insiemi di tombe a inumazione di tipo “de silleria”42 (fig. 10).
FIG. 10. Tombe a inumazione del tipo “de silleria” della necropoli di Cadice (V-IV sec. a.C.). 39 40 41 42
SAEZ 2013, con bibliografia precedente. Inserita nell'opera di Georg Braun, Civitates orbis terrarum. RAMIREZ 1982, lam. 2. RAMIREZ 1982, pp. 100-101, con bibliografia precedente. PERDIGONES et al. 1990, p.34, con bibliografia precedente. MUÑOZ 1983-84, pp. 47-54.
14 In uno di questi apparve il famoso sarcofago antropoide maschile (fig. 11), che insieme a numerosi altri reperti, convinse P. Quintero a iniziare nel 1911 uno scavo sistematico nella zona. 43 Da questo momento fino ad oggi i ritrovamenti si sono succeduti in sequenza, solitamente in seguito a scavi per lavori edilizi, ed hanno apportato un gran numero di dati, tra cui spicca l'utilizzo continuativo attraverso i secoli. Esiste quindi una fase fenicia (VII-VI sec. a.C.), con fosse di cremazione rettangolari, che testimoniano un rito di incinerazione primaria, con corredi vari (o anche assenti);44 una fase punica, in cui il rito diventa di inumazione con tombe di tipo “de silleria”, isolate o in gruppi; e infine una fase romana (in realtà la zona continuerà ad essere usata per le sepolture fino all'età moderna). 45 I continui ritrovamenti di oggetti anche di notevole valore, come un secondo sarcofago antropoide (questa volta femminile) nel 1980, 46 hanno contribuito a rendere famosa la necropoli anche al grande pubblico (fig. 11).
FIG. 11. Sarcofagi antropoidi dalla necropoli di Cadice (V sec. a.C.).
Per un caso fortuito, sempre nel 1887, vennero scoperti due basamenti di carattere monumentale nella Avanzada Isabel II del Castillo de San Sebastian (fig. 25), nell'ambito dei lavori di costruzione di alcune batterie di cannoni. Anche se le notizie sono piuttosto confuse, sappiamo che si trattava di due basamenti quadrangolari, costruiti con grossi blocchi di pietra squadrati 47 (fig. 12). Il più grande misurava circa 3x2,70 43 Su questa necropoli esiste una notevole bibliografia. Cfr.: QUINTERO 1934, non vidi; GARCIA Y BELLIDO 1952; MUÑOZ 1983-84, con bibliografia precedente. 44 PERDIGONES et al. 1990, p. 47. 45 PERDIGONES et al. 1990; BELIZON – BOTTO – LEGUPIN 2014, con bibliografia precedente. 46 BLANCO-CORZO 1981, pp. 236 ss. 47 Venne realizzata una relazione per la Real Academia de la Historia: VERA Y CHILIER 1888, non vidi; Per una visione
15 m (con un altezza di 50 cm), mentre il minore era un quadrato di 1,77x1,77 m (39 cm in'altezza). Avevano lo stesso orientamento e distavano circa 3 m uno dall'altro. Il ritrovamento di una moneta sotto uno dei blocchi, datata al II-I sec. a.C., ci fornisce un terminus post quem per la costruzione.48
FIG. 12. Planimetria dei basamenti monumentali trovati nella Avanzada Isabel II (VERA Y CHILIER 1888).
A questo rinvenimento si collega molto strettamente la scoperta, nel 1958, del famoso capitello protoeolico (Fig. 13), che pare sia stato trovato nella parte Sud delle scogliere che circondano il Castillo de San Sebastian.49 Il capitello, di pietra calcarea bianca, presenta quattro facce e misura 28 cm di altezza e 30 di larghezza, formando una via di mezzo tra i capitelli a volute ciprioti e quelli protoeolici greci; la cima arrotondata dimostra che non aveva una funzione architettonica, ma probabilmente era posizionato in cima ad una colonna.50 Oltre a rafforzare l'ipotesi dell'ubicazione del Kronion nella zona del Castillo de San Sebastian, questo pezzo è subito risultato fondamentale per proporre una cronologia antica per la fondazione di Gadir, essendo stato datato all'VIII-VII sec.51 sulla base degli esemplari simili rinvenuti in Oriente. 52 L'importanza del capitello risiede altresì nel fatto che, fino ad ora, risulta essere l'unico elemento di architettura monumentale religiosa trovato in tutte le colonie fenicie nella Penisola Iberica, 53 particolarità non trascurabile di questa regione. I ritrovamenti subacquei nelle acque che circondano la città non sono limitati al capitello protoeolico, ma sono stati nel tempo molto numerosi, per la maggior parte effettuati nella zona compresa tra spiaggia de La Caleta e la Punta del Nao. Tutte queste scoperte sono state collegate all'ipotesi che in questa zona si trovasse il tempio di Astarte, anche per il carattere degli oggetti recuperati. Tra questi un thymiaterion di terracotta donato al Museo di Cadice negli anni '60,54 diversi esemplari di anfora di piccole dimensioni55 e alcuni dippers e juglets,56 per citare solo gli esemplari più antichi (databili tra il VII e il VI sec. a.C.). aggiornata: MAYA et al. 2014, con bibliografia precedente. 48 RAMIREZ 1982, p. 172, nota 163. 49 Fin dall'inizio sono stati sollevati dei dubbi sull'effettiva provenienza del pezzo in questione. Cfr.: MARIN – JIMENEZ 2011, p. 121, con bibliografia precedente. 50 MARIN – JIMENEZ 2011, p. 121; MAYA et al. 2014, p. 162. 51 MUÑOZ 1995-96, p. 80. 52 LIPSCHITS 2011, con bibliografia precedente. 53 MAYA et al. 2014, p. 162. 54 In precedenza era parte di una collezione privata. Cfr.: JIMENEZ FLORES 2007. 55 MUÑOZ 1991, pp. 310-321, 332-333, figg. 3-8. 56 PEREZ HORMAECHE 1993, p. 266.
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FIG. 13. Capitello protoeolico trovato nelle vicinanze del Castillo de San Sebastian (MAYA et al. 2014).
Altre due scoperte subacquee (tra il 198557 e il 199458), in questo caso nel tratto di mare compreso tra la Punta del Boqueron e l'isolotto di Sancti Petri, sono, ad oggi, l'unica evidenza che sembrerebbe confermare l'ubicazione in questa zona del tempio di Melqart. Oltre ad alcuni pezzi ceramici di epoca arcaica (VIII-VI sec. a.C.), furono recuperate sei statuette bronzee in stile egittizzante, alcune del tipo “smiting god” (fig. 8), probabilmente relazionate con attività cultuali arcaiche.59 A poca distanza dalla città di Cadice, dall'altra parte della baia, tra il 1979 e il 1995 sono state effettuate varie campagne di scavo nella collina del Castillo de Doña Blanca (d'ora in avanti: CDB). Lo scavo ha portato in luce una parte di un grande insediamento fortificato (fig. 14), fondato in epoca arcaica da coloni fenici in prossimità della foce del fiume Guadalete. 60 Il nucleo primitivo dell'abitato si trova nel settore sudorientale della collina e corrisponde al denominato “barrio fenicio”, che si data a partire dal materiale ceramico nella prima metà dell'VIII sec. a.C. In seguito l'insediamento si estese su tutta l'altura fino a raggiungere entro il 730-720 a.C. una superficie compresa tra i 6 e i 7 ha, occupata ipoteticamente da 2000/2500 persone.61 In contemporanea si realizzarono le prime installazioni difensive: nel lato settentrionale, studiato in maggiore dettaglio, è stato documentato un tratto delle mura, che avevano un altezza di 5 m ed erano precedute da un fosso di 10 m di larghezza e 3 di profondità. 62 In questo periodo risaltano anche le prime tracce di attività metallurgica, che evidenziano il ruolo chiave giocato dal CDB nel commercio dell'argento, che arrivava qui dai giacimenti collocati più a monte nella valle del Guadalete (forse anche dal distretto minerario del Aznalcóllar), per poi proseguire verso Gadir.63 L'eccezionale scoperta di un cumulo di lingotti di litargirio (ossido di piombo) con un peso totale superiore ai 1000 kg ha suggerito che, oltre all'argento già lavorato, in questo luogo arrivava anche il minerale grezzo, che veniva poi lavorato in loco. Il piombo, infatti, è fondamentale nel processo di coppellazione, un'innovativa tecnica di fusione dell'argento introdotto nella Penisola Iberica dai Fenici. L'intenso traffico di metalli che aveva luogo nel CDB giustifica l'imponente sistema difensivo e la grandezza del porto, identificato da alcune foto aeree.64 La propensione al commercio marittimo del CDB è ben documentata grazie all'ingente quantità di materiale ceramico di importazione, che attesta l'esistenza di relazioni commerciali con molte aree del Mediterraneo.65 57 58 59 60 61 62 63 64 65
PERDIGONES 1991. SAEZ – MONTERO – DIAZ 2005. ZAMORA – SAEZ 2014, p. 257. Al giorno d'oggi la foce del fiume si trova qualche chilometro più a valle, a causa dei continui apporti alluvionali del Guadalete. Gli studi paleogeografici hanno dimostrato che nel I millennio a.C. il fiume formava un ampio estuario su cui si affacciava la collina del CDB. Cfr.: BOTTO 2014, con bibliografia precedente. RUIZ MATA 1999, p. 305. BOTTO 2014, pp. 267-268, con bibliografia precedente. HUNT ORTIZ 1995, p. 452. RUIZ MATA – PEREZ – GOMEZ FERNANDEZ 2014, p. 84, nota 21. RUIZ MATA – PEREZ 1995a.
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FIG. 14. Castillo de Doña Blanca: topografia dell'abitato con la situazione degli scavi (RUIZ MATA – PEREZ 1995).
Le importanti evidenze emerse dallo scavo del Castillo de Doña Blanca, confrontate con la totale assenza di resti architettonici di epoca fenicia nella zona di Cadice, avevano fatto emergere l'ipotesi che l'insediamento iniziale di Gadir fosse proprio quello continentale,66 come del resto sembrava far intendere anche la citazione di Erodoto, la più antica. Questo almeno fino ad alcuni recentissimi scavi archeologici effettuati nel centro storico della città, che hanno portato alla luce proprio le prove architettoniche di un insediamento arcaico insulare precedente a quello continentale.
66 RUIZ MATA 1999.
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Capitolo 2.
GLI SCAVI RECENTI
2.1 . TEATRO CÓMICO 2.1.0
Premessa
Lo scavo condotto nell'area del Teatro Cómico è probabilmente il più importante della città di Cadice. Sicuramente, al momento, risulta essere l'anello di collegamento tra tutti gli altri, se non altro perché è l'unico in cui si sia potuto scavare in estensione. Lo scavo è stato realizzato su una superficie di 472 m 2 nel terreno sotto al teatro stesso. Il teatro si trova nella zona conosciuta come Torre Tavira, al centro della città vecchia di Cadice, una zona leggermente sopraelevata (circa 14m s.l.m.) da cui si domina l'attuale penisola. Come si è già ampiamente dimostrato l'orografia della Baia di Cadice è radicalmente cambiata negli ultimi 3000 anni e il sito del Teatro Cómico non fa eccezione. I resti architettonici più antichi sono stati infatti localizzati a 6.47 m s.l.m. 67
FIG. 15. Ubicazione topografica del Teatro Cómico nel contesto dell'antico arcipelago gaditano (secondo GENER et al. 2014a).
Nelle vicinanze, inoltre, esistevano probabilmente due fonti di acqua potabile: una era costituita dal pozzo della Jara, localizzato a circa 200 metri di distanza68, l'altra dal ruscello della Zanja, che secondo le 67 Le informazioni sono tratte dalle pubblicazioni dagli archeologi che hanno condotto le campagne di scavo e studiato i materiali rinvenuti. Per lo scavo: ZAMORA et al. 2010, pp. 205-210; GENER et al. 2014a, pp. 18-37. Per lo studio del materiale ceramico: TORRES et al. 2014, pp. 51-81. 68 In uso dall'antichità al XVII secolo: RAMIREZ 1982, pp. 90, 196; RAMIREZ 2008, p.20.
19 ricostruzioni più recenti doveva avere la propria sorgente a poca distanza dall'attuale Teatro Cómico69. Era quindi un naturale luogo di insediamento, ed è infatti qui che sono stati rinvenuti i resti fenici più antichi finora documentati nella Baia di Cadice. Durante lo scavo sono stati individuati dieci diversi periodi di occupazione, dal Tardo Bronzo fino all'età contemporanea.70 Essendo il presente lavoro incentrato sulla presenza fenicia nell'area, analizzeremo soltanto i primi 3 periodi architettonici.
2.1.1
Periodo I: Tardo Bronzo/Fenicio (s. IX a.C., ante 820/800 a.C.)
A causa del buono stato di conservazione delle strutture del sovrastante Periodo II e della decisione di centrare su queste il progetto di valorizzazione del sito, non è stato possibile scavare in estensione questo livello. Ciononostante sono stati realizzati vari sondaggi che hanno identificato una tappa di occupazione in questo periodo. Il deposito archeologico è costituito da uno spesso strato di sabbia di origine eolica, nel quale sono stati localizzati alcuni resti strutturali.
FIG. 16. Struttura del Periodo I – Bronzo Finale/Fenicio (GENER et al. 2014).
Di questi l'unico riferibile a una vera e propria costruzione è un muro di forma ellittica (asse maggiore di 1.60 m) formata da una serie di pezzi di “piedra ostionera”71 di medie dimensioni inseriti verticalmente nel terreno e uniti con argilla (fig 16.a). All'interno della struttura il deposito era formato da tre strati chiaramente differenziati: quello inferiore costituito da piedra ostionera triturata (fig. 16.b3), nel mezzo una massa compatta color porpora formata da argilla e molluschi triturati (principalmente della specie Murex trunculariopsis trunculus, fig. 16.b2 e 16.c) e al di sopra uno strato sottile di argilla rossa alterata 69 RAMIREZ 1982, p. 92; RAMIREZ 2008, pp. 17-18, 36. Il ruscello proseguiva verso nord-ovest, poi deviava verso sud-ovest fino a sfociare nel canale Bahia-Caleta e con il suo corso andava quasi a dividere in due l'isola di Erytheia, divisione probabilmente mantenuta dai primi coloni fenici che sembra utilizzassero la parte nord dell'isola come necropoli, come risulta dallo scavo di Calle Hercules, 12: vedi par. 2.3 70 GENER et al. 2014a, pp. 15-16, tab. 1. 71 La piedra ostionera è una roccia sedimentaria formata dai depositi del Pliocene Superiore composta da lamellibranchi (ostriche ecc.) e pietre erose dal mare, principalmente quarzo e quarzite. E' classificata come una pietra semi-dura, di facile estrazione e lavorazione. Per la sua origine marina resiste con efficacia agli agenti atmosferici, cosa che la rende ideale per le costruzioni in zone costiere. Si trova in varie scogliere della costa della baia di Cadice (cfr. GUTIERREZ et al. 1991, pp. 101109; DOMINGUEZ-BELLA 2011, pp. 62-68).
20 termicamente da una fonte intensa di calore72 (fig. 16.b1). A 13.5 m a sud di questa struttura sono state documentate tre aree di combustione sovrapposte, separate tra loro da apporti di sabbia di origine eolica. Questo ha suggerito la possibilità che esistesse un sistema di segnalazione.73 Anche se le strutture documentate non rappresentano indizi di un profondo impatto coloniale fenicio, l'evidenza di un attività di estrazione della porpora e il ritrovamento di frammenti di ceramica a tornio fenicia di tipologia non identificabile, attestano una presenza fenicia in questo luogo (forse solo saltuaria, forse permanente).
2.1.2
Periodo II: Fenicio A (820/800-760/750 a.C.)
Al contrario dello strato inferiore e di quello superiore, questo periodo ha lasciato resti architettonici significativi. Le costruzioni si organizzano in tre gruppi strutturali, entro i quali si differenziano otto unità domestiche (fig. 17).74
FIG. 17. Distribuzione dei gruppi strutturali e unità domestiche del Periodo II - Fenicio A (GENER et al. 2014).
Il gruppo strutturale A è quello situato nell'angolo nord-ovest dell'area di scavo ed è composto da 3 muri che delimitano due stanze di una abitazione (U.d.1). L'ingresso dalla calle 1 conduce ad una stanza di grandi dimensioni (solo per metà compresa nell'area di scavo). Alla destra di questa si accede a quella che doveva essere la cucina, caratterizzata dalla presenza di un forno di tipo tannūr75. Il resto dell'abitazione si sviluppava probabilmente intorno alla stanza di ingresso.76 72 73 74 75
GENER et al. 2014a, p. 18, fig. 3. GENER et al. 2014a, pp. 17-18. GENER et al. 2014a, pp. 19-20, figg. 4-5. Forno “a cupola” tipico del Vicino Oriente, ancora oggi in uso in alcune regioni della Siria. Aveva due aperture, una alla sommità, da cui si introduceva il combustibile e il cibo da cuocere, e una piccola alla base, per facilitare l'ingresso dell'aria. Il combustibile era posizionato all'interno (alla base) mentre il recipiente con il prodotto da cuocere (soprattutto pane) veniva messo probabilmente direttamente sopra l'area di combustione. Veniva usato generalmente per la cottura del pane. Per l'uso del termine tannūr: EBELING – ROGEL 2015; DE CASTRO 2001. 76 GENER et al. 2014a, p. 32.
21 Il gruppo strutturale B si trova a sud della strada n°1 ed è composto da tre unità domestiche. La prima di queste (U.d.2) è costituita da un piccolo ingresso da cui si accede a destra alla cucina (col tipico tannūr) e sulla sinistra a due stanze, con uno schema generale che sembra molto simile alla casa precedente. Nell'U.d.3 è stata identificata una divisione in quattro ambienti, cui però non è stato possibile assegnare una funzione specifica, mentre l'U.d.4, trovandosi ai margini dello scavo, ha restituito soltanto due piccole stanze, ugualmente con funzione sconosciuta.77 Il gruppo strutturale C si trova nella parte est dello scavo, diviso da quello precedente dalla calle 2. All'interno di questo sono state identificate quattro unità abitative, tra cui l'U.d.5, ovvero l'unica dello scavo ad essersi conservata per intero. A pianta rettangolare, copre un'area di 60 m 2 e si divide in quattro stanze. A differenza delle abitazioni 1 e 2, questa ha l'ingresso dalla strada direttamente nella cucina, da cui poi si accede ad una seconda stanza collegata alle ultime due (tutte di funzione imprecisata). Le unità domestiche 6, 7 e 8, trovandosi ai margini dello scavo, sono state indagate solo per porzioni molto piccole e non hanno restituito informazioni rilevanti.78 Le uniche stanze a cui è stato possibile ascrivere una funzione specifica sono le cucine, identificate dal caratteristico tannūr. Questi forni furono progettati come una struttura fissa situata in un angolo della cucina di ogni casa, seguendo uno schema documentato anche a Morro de Mezquitilla 79, a Chorreras80 e a Tell Keisan81. Dai rinvenimenti risulta evidente che vennero effettuate varie ristrutturazioni: in particolare sono sicuramente attestate tre fasi differenti (fig. 18), che implicarono anche modifiche al tracciato viario per lavori di consolidamento del terreno. Fin dall'inizio (Fase 1, ca. 820-800 a.C.) la necessità di costruire in pendenza su un suolo sabbioso senza coesione, obbligò a modificare il terreno con la preparazione di terrazze. Per questo motivo venne costruito un muro di contenimento, di circa 80 cm di spessore, realizzato con piedra ostionera e argilla, collocando le pietre maggiori in entrambi i lati e le più piccole come riempimento. L'altezza di 1 m circa corrisponde alla differenza di quota delle due terrazze. Questo muro sembra essere il punto di partenza del processo di urbanizzazione, in quanto tutte le fasi seguenti si appoggiano su di esso. Di questa fase sono state documentate anche due unità domestiche nelle due terrazze venutesi a creare, rispettivamente l'U.d.2 nella terrazza superiore e l'U.d.3 in quella inferiore. Questa prima fase è stata datata solamente in termini di cronologia relativa sulla base del contesto architettonico, poiché non sono stati rinvenuti materiali datanti. Nella Fase 2 (800-780 a.C.) viene costruita l'unità domestica 1 e viene realizzata la prima pavimentazione della strada n°1. Questa venne effettuata con un sistema complesso, composto da tre livelli: uno inferiore di 30-40 cm di spessore composto da sabbia, uno di mezzo di 20-30 cm realizzato con piedra ostionera schiacciata e uno superiore di 15-20 cm formato da argilla rossa pestata mista a pezzetti di calcare. La strada ha una larghezza di circa 6 m, sufficiente per consentire il traffico di carri e bestiame. La strada n°2 invece è un viottolo pedonale di 1.50 m larghezza, con una pavimentazione più sottile della prima, non dovendo sopportare carichi così pesanti. Nella Fase 3 (780-750 a.C.) viene effettuata una ripavimentazione della strada utilizzando una tecnica simile a quella precedente. Questa azione provocò un innalzamento del livello della strada, obbligando all'aggiunta di uno scalino all'ingresso della unità 2. In questa fase inoltre, vengono costruite le unità 4, 5, 6, 7 e 8, andando a completare lo spazio urbano oggetto di questo scavo. In verità, questo non significa che in precedenza il suddetto spazio non fosse urbanizzato, ma semplicemente che non è stato possibile indagare gli strati inferiori senza smontare le strutture rinvenute. Infatti, dai limitati sondaggi effettuati, sono emersi fino a cinque livelli di pavimentazioni inferiori che testimoniano come in realtà l'intera area fosse occupata fin dalla prima fase.82 Dagli strati pertinenti al periodo II è stata recuperata una notevole quantità di ceramica. Di questa il 60-70% è materiale fenicio lavorato a tornio, mentre il 30-40% è di origine indigena fabbricata a mano, 83 seguendo una proporzione tipica delle fondazioni fenicie in epoca arcaica, in cui la partecipazione degli indigeni deve 77 78 79 80 81 82 83
GENER et al. 2014a, pp. 32-33. GENER et al. 2014a, p. 33. SCHUBART 2006, pp. 102-103. AUBET – MAASS-LINDEMANN – SCHUBART 1979, p.100. HUMBERT 1980, pp. 32-33. GENER et al. 2014a, pp. 36-37, fig. 25. TORRES et al. 2014, p. 51.
22 essere stata determinante per la sopravvivenza della colonia. 84 Tra il materiale recuperato si segnala una importante quantità di ceramica in Red Slip e alcuni pezzi con decorazione bicroma, tipologicamente contemporanei allo strato IV di Tiro. Dal punto di vista tipologico sono presenti anfore di varia provenienza, neck-ridge jars, oil bottles, dipper juglets e alcuni tipi di piatti e ciotole.85 Per quanto riguarda la ceramica a mano, invece, è quella tipica delle popolazioni Tartessiche del Sud-Ovest della Penisola Iberica, con le caratteristiche decorazione incise e reticolari. Da segnalare la presenza di ceramica di produzione nuragica tra cui varie anfore di tipo Sant'Imbenia86 e una brocca askoide.87 La quasi totatità del materiale ceramico proviene dai pavimenti di uso delle unità domestiche e delle vie, così come dai crolli dell'ultimo momento di questo periodo.88 Questo ha permesso, in alcuni casi, di recuperare pezzi quasi completi quando questi provenivano da dentro le case, molto più frammentati invece quelli provenienti dalle strade, essendo stati scartati come spazzatura ed esposti al passaggio di persone e animali.
FIG. 18. Evoluzione urbanistica del Periodo II. Fase 1: 820-800 a.C.; Fase 2: 800-780 a.C.; Fase 3: 780-760/750 a.C. (GENER et al. 2014). 84 Riguardo la presenza di ceramica a mano nelle colonie fenicie della Spagna meridionale e la loro interpretazione: MARTÍN RUIZ 1995-1996; DELGADO 2008. 85 TORRES et al. 2014, pp. 51-61, figg. 3-8. 86 Per il tipo esatto di queste anfore: OGGIANO 2000, pp. 235-258; GUIRGUIS 2010, pp. 177-179. 87 TORRES et al. 2014, pp. 61-63, figg. 9-11. 88 TORRES et al. 2014, p. 51.
23
2.1.3
Periodo III: Fenicio B (760/750-600/580 a.C.)
Intorno alla metà dell'VIII secolo a.C., l'insediamento viene abbandonato. Anche se non è possibile stabilire con sicurezza la causa concreta dell'abbandono, vari indizi suggeriscono una fuga precipitosa in seguito ad un evento catastrofico, forse un incendio. Il primo è dato dalla grande quantità di materiale ritrovato in situ, tra cui alcuni pezzi di notevole qualità e alcuni recipienti trovati all'interno dei forni. Un altro indizio importante è costituito dal ritrovamento di un cadavere sepolto sotto il crollo di una abitazione, che presentava fratture provocate da un forte impatto.89 In seguito all'evento straordinario la zona fu rapidamente ricostruita (terzo indizio di un abbandono forzato).90 I resti delle costruzioni precedenti furono rasi al suolo e riutilizzati per spianare il terreno: in particolare i detriti della terrazza superiore vennero utilizzati per riempire quella inferiore ed eliminare il dislivello, facendo così scomparire il terrazzamento precedente. 91 Al di sopra del piano così ottenuto vennero edificate nuove costruzioni, sostituendo però i muri di terra dei periodi precedenti con una tecnica differente: vennero infatti realizzati in muratura, utilizzando piedra ostionera e argilla rossa, secondo la tecnica del muro a telaio o opus Africanum.92 A causa dei lavori edilizi effettuati in epoche posteriori, che sono andati ad intaccare pesantemente questo strato, è stato possibile documentare solamente il gruppo strutturale nell'angolo nord-occidentale dell'area di scavo (fig. 19), senza riuscire a definire chiaramente una funzione per queste costruzioni.93
FIG. 19. Pianta del Periodo III- Fenicio B (GENER et al. 2014). 89 Lo studio del DNA mitocondriale suggerisce che l'origine etnica della linea materna di questo individuo fosse vicinoorientale: PALOMO – ARROYO 2011. 90 GENER et al. 2014a, pp. 37-38. 91 GENER et al. 2014a, p. 41, fig. 26. 92 La tecnica consiste nel posizionare dei pilastri litici con funzione statica a intervalli più o meno regolari all'interno del muro. In questo caso particolare i pilastri sono costituiti da un unico elemento litico inserito verticalmente e sembrano quindi corrispondere al tipo 1 della classificazione fatta recentemente da Camporeale (CAMPOREALE 2013). Questo rinvenimento arcaico inoltre, conferisce ulteriore credito all'ipotesi dell'origine fenicia di questa tecnica già supportata da alcuni dati precedenti: evidenze dell'uso di questa tecnica erano infatti state ritrovate a Cartagine (datate al VII sec. a.C.: NIEMEYER et al. 1998, p. 56) e a Nora (datate al VI sec. a.C.: BONETTO 2009, pp. 88-89, 120-121). 93 GENER et al. 2014a, p. 43, fig. 28.
24 Come per il periodo precedente l'abbandono di queste strutture fu dovuto ad un evento catastrofico, fatto evidenziato anche dai due cadaveri ritrovati in situ.94 Questi e il pavimento circostante sono stati trovati coperti di un strato fine di sabbia di origine eolica, tappezzata di macchie di cenere, che andavano aumentando in densità verso nord, rendendo molto probabile l'ipotesi che gli abitanti siano stati sorpresi da un incendio.95 Per quanto riguarda il materiale ceramico, è fabbricato principalmente al tornio (70%). Tra questo una larga parte è costituita da materiale di produzione fenicio-occidentale (ceramica in Red Slip, ceramica grigia, anfore, urne bicrome, dippers, oil bottles, lucerne, piatti, ciotole e numerosi pithoi), con qualche pezzo di importazione greca (almeno 4 coppe ioniche) e due frammenti di importazione etrusca (un frammento di anfora e uno di kantharos di bucchero nero). Questi in particolare hanno permesso una datazione piuttosto accurata per la fine di questo periodo.96
2.1.4
Periodi seguenti
Sono state anche rinvenute prove di un quarto periodo di occupazione fenicia dell'area, denominato Fenicio C, che copre la seconda metà del VI sec. a.C.. La maggior parte delle strutture di questo periodo furono distrutte per i lavori di costruzione in epoca romana. Sono stati comunque trovati alcuni brevi tratti di muro e resti di pavimenti di argilla pressata. I due muri, paralleli tra loro, vanno a delimitare una strada di 5 m di larghezza. A partire da questi dati, è stato possibile identificare un cambiamento sostanziale nel tracciato urbanistico, con un nuovo asse viario con orientamento esatta nord/sud che andò a sostituire l'antico asse nord-est/sud-ovest.97 Sopra questo livello si passa direttamente agli strati di occupazione romana, risalenti al II sec. a.C.. Per spiegare questo strano vuoto cronologico tra la fine del VI sec. e l'inizio del II sec. a.C. sono state avanzate due ipotesi distinte. La prima è che la stratigrafia di questo periodo sia stata completamente distrutta per i grandi movimenti di terra effettuati per costruire gli edifici industriali di epoca romana, comprese tre cisterne interrate e otto vasche per la salatura del pesce. Risulta comunque strano che non siano stati rinvenuti materiali databili a quel periodo. La seconda ipotesi invece è che in quel periodo si realizzò uno spostamento dell'abitato dall'isola di Erytheia alla vicina Kotinoussa.98 Questa ipotesi sembra essere confortata dai dati ottenuti dagli scavi effettuati in Calle Ancha 99 e in Marqués del Real Tesoro100, dove sembra confermarsi lo stesso vuoto stratigrafico. Inoltre si accorderebbe anche con la confusione degli autori classici riguardo alla posizione della città su cui tanto si dibatte da più di un secolo101.
2.2 CALLE ANCHA, N. 29 A circa 100 m a nord del Teatro Comico si trova il sito di Calle Ancha n. 29. L'importanza del luogo è data, tra le altre cose, dalla vicinanza al sito della Central Telefonica, dove nel 1928 venne rinvenuta una statuetta fenicia in bronzo con maschera d'oro, identificata con il dio Ptah, che, insieme a un gruppo di ceramiche oggi perdute, sembra appartenesse a una sepoltura.102 Nell'ambito dei lavori di demolizione e ricostruzione di un edificio in questo terreno, negli anni 2003-2004 furono effettuate due campagne di scavo.103 La prima consistette in realtà solo in un controllo dei movimenti di terra per la realizzazione dei cassoni di fondazione, in numero di otto. Nella seconda fase, invece, si realizzò uno scavo sistematico su un'area di 41 m2 (fig. 20). 104 94 Per lo studio antropologico degli individui: CALERO et al. 2012, pp. 1-7. 95 GENER et al. 2014a, pp. 39-41. 96 TORRES et al. 2014, pp. 63-77, figg. 13-22. 97 GENER et al. 2014a, p. 41 e p. 44, fig. 29. 98 GENER et al. 2014a, pp. 44-45. 99 Vedi cap. 2.2. 100BLANCO 2002, p. 14. 101Vedi cap. 1.3. 102QUINTERO 1929, non vidi; JIMENEZ AVILA 2002, pp. 288-289, 419-420. 103Le relazioni del direttore degli scavi (SIBÓN 2003; SIBÓN 2004) sono depositate presso la Delegacion Provincial de Cultura de Cádiz. Vista l'evidente difficoltà di reperimento delle stesse ci si è basati sullo studio elaborato a partire da queste: RUIZ MATA – PÉREZ – GÓMEZ FERNÁNDEZ 2014. 104RUIZ MATA – PÉREZ – GÓMEZ FERNÁNDEZ 2014, p. 85.
25
2.2.1
Lo scavo
La prima fase, pur non essendo certamente attuata nelle migliori condizioni, consentì di ricavare preziose informazioni per lo scavo manuale susseguente. Infatti, da questa stratigrafia di massima si notava, sotto a due livelli di epoca romana e coperto da una duna di origine eolica, uno strato consistente di epoca fenicia arcaica. Questo copriva una seconda duna di formazione eolica, in cui però si cominciò a localizzare una fossa.105 Nella seconda fase, lo scavo in estensione, si scese fino alla profondità di -4 m per le restrizione imposte dai permessi di scavo (anche se i livelli di epoca fenicia proseguivano oltre) e venne fondamentalmente confermata la sequenza stratigrafica emersa in precedenza. Per indagare la fossa sopra menzionata, però, venne effettuato un sondaggio di 3x1 m, da cui si capì che questa aveva un andamento circolare, con un diametro di circa 4 m, e che si estendeva quindi anche al di fuori del sondaggio. Si riscontrò, inoltre, un doppio scalino nel livello di roccia ostionera di origine terziaria e venne trovata una lastra di copertura lavorata nella stessa pietra, coperta da uno strato di argilla, che indusse a pensare a un pozzo scavato nella roccia. Di grande importanza per l'interpretazione del sito, il fatto che nel riempimento della fossa è stata trovata la maggior parte delle ceramiche rinvenute.106 Quindi, a partire da questo livello (-5,71 m dal suolo attuale), si cominciò lo scavo del pozzo, di circa 2 m di diametro e quasi 4 m di profondità (fig. 21). Questo era riempito quasi totalmente di terra, con scarso materiale ceramico. Importante segnalare, però, il ritrovamento in questo riempimento di una pietra lavorata di piccole dimensioni (12 cm di lunghezza), interpretata come “betilo o pietra sacra” nel rapporto di scavo.107
FIG. 20. L'area della calle Ancha e situazione dei sondaggi e degli scavi (RUIZ MATA – PEREZ – GOMEZ FERNANDEZ 2014). 105RUIZ MATA – PÉREZ – GÓMEZ FERNÁNDEZ 2014, pp. 85-88, fig. 3. 106RUIZ MATA – PÉREZ – GÓMEZ FERNÁNDEZ 2014, pp. 88-89, figg. 4-5a. 107 RUIZ MATA – PÉREZ – GÓMEZ FERNÁNDEZ 2014, pp. 89-90, fig. 5b.
26
2.2.3
Il materiale ceramico
Nonostante il piccolo spazio indagato, è stato recuperato un numero considerevole di frammenti ceramici, da cui sono stati identificati resti di 161 vasi differenti (134 realizzati a tornio e 25 di produzione autoctona a mano).108 Per quanto riguarda le forme fenicie, il gruppo più numeroso è quello dei piatti (52), tutti con bordi stretti (1.5-2.5 cm), fondi semplici e piani e uno strato sottile di Red Slip all'interno. Tra le forme aperte sono state rinvenute 14 coppe emisferiche dipinte, con decorazione bicroma di bande rosse e nere, o monocromatiche, con copertura interamente rossa all'interno. Presenti anche 13 coppe carenate, 6 ciotole di grande capacità (30-40 cm di diametro) e 6 lucerne. Tra le forme chiuse, in numero considerevole per uno spazio così ristretto, spiccano 8 oinochoai, solitamente comuni in ambienti funerari e rituali. Da segnalare anche la presenza di 27 anfore, delle quali 8 di provenienza sarda (di tipo Sant'Imbenia 109).110 In generale, l'analisi materiale fenicio e di quello autoctono (collocato dagli autori dello studio nelle Fasi I-II e II del Bronzo Finale)111 hanno consentito di inquadrare il periodo di utilizzo del sito nell'VIII sec. a.C.112
FIG. 21. Stratigrafia del fosso e del pozzo (RUIZ MATA – PEREZ – GOMEZ FERNANDEZ 2014)
2.2.2
L'interpretazione
Vista la vicinanza dello scavo al luogo del ritrovamento della divinità nella Central Telefonica, si credeva che la zona potesse avere una funzione sacra o corrispondente alla sepoltura di un personaggio illustre. Per questo, il pozzo suscitò subito grandi aspettative negli investigatori. Bisogna subito dire che la mancata possibilità di scavare tutta l'estensione della fossa rende abbastanza difficile l'interpretazione funzionale dell'insieme. Nonostante ciò, alcuni dati particolari sembrano condurre verso l'idea di utilizzo rituale del luogo. Il pozzo infatti non era certamente destinato all'ottenimento di acqua, in quanto non scende oltre lo 108 RUIZ MATA – PÉREZ – GÓMEZ FERNÁNDEZ 2014, p. 93. 109 OGGIANO 2000, pp. 235-258. 110 RUIZ MATA – PÉREZ – GÓMEZ FERNÁNDEZ 2014, pp. 93-104, figg. 7-20. 111 RUIZ MATA – PÉREZ – GÓMEZ FERNÁNDEZ 2014, p. 106. 112 RUIZ MATA – PÉREZ – GÓMEZ FERNÁNDEZ 2014, p. 108.
27 strato di roccia ostionera sotto al quale è localizzata la falda freatica. Un altro particolare è dato dal ritrovamento di varie corna caprine che presentavano le punte tagliate, che riconduce alla possibilità di banchetti funerari o rituali sacri.113 Unite al ritrovamento del probabile betilo sopra menzionato, queste informazioni suggeriscono quindi una funzione sacra per questo luogo, anche se difficile da definire. E' curioso che in tutta l'estensione dello scavo e nei sondaggi non è stata trovata nessuna traccia di un possibile muro. Questo sembra indicare il carattere aperto, non urbano della zona e va quindi a definire un limite all'insediamento arcaico sull'isola di Erytheia portato in luce dallo scavo del Teatro Comico.114
2.3 CALLE HERCULES, 12 2.3.1
Lo scavo della tomba a incinerazione
Nell'estate del 2010, durante un intervento di archeologia preventiva dovuto ai lavori di ristrutturazione di un edificio situato in Calle Hercules, 12 è stata rinvenuta una tomba di cremazione di epoca fenicia arcaica. Il terreno nel quale è stato effettuato l'intervento si trova nella zona nord della città, in quella che era l'antica isola di Erytheia, circa 300 metri a nord-ovest rispetto al Teatro Cómico. In questa zona, nonostante i numerosi scavi effettuati nel corso degli anni, non erano mai emerse in precedenza evidenze di occupazione di epoca fenicia (al contrario risultano abbondanti i ritrovamenti di vestigia di epoca romana, che hanno permesso di identificare tutta l'isola di Erytheia come distretto industriale nella fase romana 115). Importante notare l'esistenza di un paleocanale a poca distanza a sud questo terreno, nel quale scorreva fino al XVII sec. un torrente (chiamato nelle fonti di epoca moderna Arroyo de la Zanja) che sorgeva nella zona elevata di Torre Tavira e sfociava nella piccola baia detta La Caleta, andando così a creare uno sbarramento topografico tra la parti sud-est e nord-ovest dell'isola di Erytheia.116
FIG. 22. Pianta e sezione dell'interramento, nel quale si apprezza la distribuzione degli insiemi ceramici, della fauna e di alcuni legni carbonizzati (SAEZ – BELIZON 2014). 113 RUIZ MATA – PÉREZ – GÓMEZ FERNÁNDEZ 2014, p. 92. 114 Vedi cap. 2.1. 115 EXPOSITO 2004; BERNAL – DIAZ – LAVADO 2008. 116 Prove dell'esistenza di questo torrente anche in antichità sono inoltre emerse da alcuni interventi archeologici effettuati recentemente: cfr. UTRERA – PAJUELO 2007; PERDIGONES – MUÑOZ 1987.
28 La maggior parte della superficie della parcella indagata si è rivelata alterata da varie strutture negative (pozzi, fosse di estrazione di argilla) realizzate durante l'età moderna. Fortunatamente, però, nella zona nord-est del terreno gli archeologi hanno rinvenuto una tomba a incinerazione del tipo a fossa di epoca fenicia arcaica, incredibilmente conservata in mezzo alle strutture moderne117 (fig. 22). La fossa è stata scavata nel terreno naturale costituito da argilla rossa che copre la roccia base di tipo calcareo. Aveva dimensioni di circa 2x3 m e conservava appena 20-25 cm di spessore di riempimento, composto da resti di cenere nerastra e resti di legna carbonizzata di varie dimensioni, alcuni anche dalla forma di piccoli tronchi, frutto senza dubbio della combustione di una grande pira. 118 Anche se la stratigrafia situata in cima a questo livello era già stata alterata dalle attività moderne in buona parte dell'area, sembra che questi resti cremati e il corredo ceramico furono coperti in antico da uno strato di argilla rossa, forse la stessa che era stata estratta per scavare la fossa. Non si è potuto invece determinare se la tomba avesse una copertura più complessa, un tumulo o un qualche tipo di segnacolo, a causa delle già citate alterazioni.119
2.3.2
Il corredo ceramico
La ceramica documentata all'interno della fossa funeraria apporta dati decisivi rispetto al tipo di rituale sviluppato dopo la cremazione e alla datazione della struttura. Ripartiti in diversi gruppi nella parte occidentale della fossa, venne recuperato un insieme di 14 individui ceramici (fig. 23A e 23B) che, apparentemente, furono depositati all'interno della fossa in un momento immediatamente successivo alla cremazione del cadavere, quando la fossa ancora conteneva braci e cenere ad alta temperatura (5 di questi si trovavano nell'angolo sud-ovest della fossa). In tutti i casi pare che i vasi vennero disposti a faccia in su, in posizione funzionale abituale, forse contenendo le offerte alimentari, delle quali però non si sono conservate tracce. In generale, l'esposizione diretta alla legna carbonizzata all'interno della fossa influenzò notevolmente la conservazione di tutte queste ceramiche, alterando la colorazione delle paste e danneggiando significativamente le superfici e le decorazioni. Dal punto di vista tipologico, questo corredo era composto da pezzi pertinenti almeno a sei gruppi differenti, essenzialmente vincolati a forme aperte per la presentazione e il consumo di alimenti e al trasporto e utilizzo di sostanze oleose profumate, mostrando un'origine orientale del cerimoniale vincolato al processo di interramento.120
FIG. 23A. Materiale ceramico depositato all'interno della fossa funeraria (SAEZ – BELIZON 2014). 117 SÁEZ – BELIZÓN 2014, p. 181, fig. 3. 118 SÁEZ – BELIZÓN 2014, pp. 186-187, figg. 4-6. 119 SÁEZ – BELIZÓN 2014, pp. 185-187. 120 SÁEZ – BELIZÓN 2014, pp. 187-188.
29
FIG. 23B. Materiale ceramico depositato all'interno della fossa funeraria (SAEZ – BELIZON 2014).
Un gruppo consistente risulta essere quello costituito da sei esemplari classificabili come piatti senza bordo differenziato di scarsa profondità, probabilmente coperti di Red slip all'interno (sicuramente solo in due individui). Si tratta di piccoli pezzi (15-17 cm di diametro) che non hanno al momento paralleli nell'ambito gaditano.121 Risulta ancora più significativa la totale assenza di paralleli nelle più recenti opere di sintesi riguardo la tipologia della ceramica fenicia occidentale nelle prime fasi di insediamento coloniale.122 Oltre a questi pezzi è stata documentata la presenza di otto coppe carenate fabbricate al tornio, con bordi appuntiti svasati e senza piede. Anche se notevolmente danneggiati dall'esposizione alle braci, l'esame di alcuni pezzi ha rivelato che probabilmente erano in origine decorati con bande rosse sottili o ricoperti parzialmente di Red Slip.123 Come dichiarato dagli autori dello studio “formalmente questo gruppo di vasi carenati pare inserirsi nella tradizione della ceramica indigena regionale, essendo molto simili alle “casseruole” inserite nei tipi A.I.a A.II.a/b e B.I.a/b delle Fasi I-II di Ruiz Mata, 124 caratteristiche del periodo precoloniale e delle prime fasi di insediamento orientale nella zona.” 125 Tuttavia gli esemplari presenti in questa fossa di cremazione furono fabbricati a tornio e di conseguenza sembrano essere il risultato di quella interazione tra la tecnologia orientale e le forme tipiche della tradizione tartessica già rappresentata tra gli altri, dal caso paradigmatico del Tumulo 1 di Las Cumbres, definita “necropoli tartessica orientalizzante” e datata nell'VIII sec. a.C.126 Insieme a due delle coppe carenate è stato rinvenuto un frammento di ciotola con pareti di tendenza retta, piede appena differenziato e bordo arrotondato lievemente ingrossato all'interno (diam. 15 cm, prof. 5,5 cm).127 Questa ciotola conservava tracce evidenti di Red Slip, sia all'interno che sopra al bordo. Unito alla notevole fattura delle pareti, questo ha suggerito che si trattasse di un pezzo di qualità. Questo tipo di ciotole 121 SÁEZ – BELIZÓN 2014, pp. 188-189, fig. 9. 122 MAASS-LINDEMANN 1999; RAMON 2010. 123 SÁEZ – BELIZÓN 2014, pp. 189-190, fig. 9. 124 RUIZ MATA 1995, pp. 267-276, figg. 2, 6-7 e 16-20. 125 SÁEZ – BELIZÓN 2014, p. 190. Questa tipologia è documentata in numerosi giacimenti autoctoni e coloniali attivi in questo periodo come il Teatro Comico (GENER et al. 2012, p.152, fig. 7e), c/ Canovas del Castillo (CORDOBA - RUIZ MATA 2005, pp. 1304-1305, fig. 17), Pochito Chico (RUIZ GIL - LOPEZ 2001, pp. 131-132), Castillo de Doña Blanca (RUIZ MATA – PEREZ 1995a) e il Cerro del Castillo di Chiclana (BUENO – CERPA 2008, pp. 176-183, fig. 8-9). 126 RUIZ MATA – PEREZ 1995b; CORDOBA – RUIZ MATA 2000, p. 762. 127 SÁEZ – BELIZÓN 2014, p. 191.
30 sembra essere stato relativamente frequente sin dalle prime fasi della colonizzazione estremo-occidentale, come suggerito dalla loro presenza nel giacimento archeologico di Plaza de las Monjas, 12/ calle Méndez Nuñez, 7-13 di Huelva,128 con una produzione continuativa fino almeno all'epoca tardoarcaica, come testimoniato dai ritrovamenti negli scavi del Cerro del Castillo a Chiclana 129 e di Camposoto a San Fernando.130 Nella parte orientale della fossa sono stati documentati altri elementi ceramici in stato frammentario complementari ai precedenti, “i quali rafforzano la possibilità che prima della deposizione finale si realizzassero intorno alla tomba cerimonie tipicamente orientali, come il consumo rituale di vino e di sostanze profumate.”131 In particolare sono stati individuati frammenti pertinenti a un thymiaterion a doppia patera, ad una piccola ampolla e ad altre coppe carenate dello stesso tipo già descritto. 132 La piccola ampolla è stata identificata dagli autori dello scavo come una dipper juglet del tipo 1 di Tiro133, presente anche in altri giacimenti dell'area gaditana, come nel Periodo II del Teatro Comico 134, in c/ Canovas del Castillo135 e nel Tumulo 1 della necropoli di Las Cumbres.136 Questo pezzo risulta quindi molto importante ai fini della datazione, essendo gli altri contesti citati tutti datati all'VIII sec. a.C. Per quanto riguarda il thymiaterion, invece, si tratta di un esemplare quasi completo di bruciaprofumi a coppe sovrapposte formato da due ciotole carenate con bordi triangolari proiettati all'esterno, unite da un tronco centrale cavo con pareti convesse e relativamente sottili. La parte superiore conservava tracce di Red Slip nella parete esterna e in una stretta striscia all'interno. Dal punto di vista cronologico, esemplari di questo tipo coprono un arco di tempo assai ampio: sono infatti attestati sia a Tiro 137 che a Huelva138 dall'inizio del periodo coloniale e la loro produzione continua almeno fino in epoca tardoarcaica (ben documentata negli atelier di Camposoto nel V sec. a.C.139), mentre l'utilizzo per fini rituali forse continua anche in età punica, come sembrano suggerire i ritrovamenti subacquei nell'area de La Caleta.140 In ogni caso, secondo gli autori della pubblicazione, i paralleli più precisi sono quelli riguardanti i pezzi rinvenuti nel livello di occupazione dell'VIII sec. a.C. dello scavo di c/ Canovas del Castillo, 141 che presentano uguale morfometria e disposizione della decorazione,142 riportando anche in questo caso a una datazione arcaica. In definitiva, il materiale ceramico di questo scavo visto nel suo insieme trova i suoi migliori paralleli in quelli provenienti dal Castillo de Doña Blanca/Las Cumbres sulla terraferma e da c/ Canovas del Castillo in territorio insulare. Quindi “potrebbe inserirsi molto probabilmente nell' “orizzonte At1” definito recentemente,143 soprattutto a giudicare dalla presenza delle ciotole carenate, che situano il contesto in un momento coloniale già autoproduttore di ceramica all'interno del sec. VIII a.C.”144
2.3.3
Altri materiali
All'interno della fossa non è stato trovato solo materiale ceramico, ma anche numerosi resti di fauna, che hanno indotto a pensare alla realizzazione di sacrifici come parte del cerimoniale. Queste evidenze faunistiche erano concentrate nella parte occidentale della fossa insieme ad alcuni pezzi di legno carbonizzato di grandi dimensioni. L'analisi di questi resti ha mostrato la presenza predominante di ossa 128 GONZALEZ DE CANALES – SERRANO – LLOMPART 2004, p. 37, lam. III. 129 BUENO – CERPA 2008, figg. 14-15. 130 RAMON et al. 2007. 131 SÁEZ – BELIZÓN 2014, p. 192. 132 SÁEZ – BELIZÓN 2014, fig. 9. 133 BIKAI 1978, pp. 41-42, lam. XII.1-23. 134 TORRES et al. 2014, p. 61, fig. 8. 135 CORDOBA – RUIZ MATA 2005, p. 1283, fig. 8.5. 136 CORDOBA – RUIZ MATA 2000, p. 762, lam. 2.3 e 3.3. 137 BIKAI 1978, p. 25. 138 Rinvenuti nel deposito archeologico di Plaza de las Monjas,12/ calle Mendez Nuñez, 7-13. Cfr.: GONZALEZ DE CANALES – SERRANO – LLOMPART 2004, p. 80, lam. XV.24-28. 139 RAMON et al. 2007. 140 HIGUERAS – SAEZ 2013. 141 CORDOBA – RUIZ MATA 2005, p. 1283, fig. 7.1-4. 142 SÁEZ – BELIZÓN 2014, p. 193. 143 RAMON 2010, pp. 231-232, fig. 8. 144 SÁEZ – BELIZÓN 2014, p. 193.
31 bovine (Bos taurus), accompagnate però da resti di capra, pecora e coniglio (Oryctolagus cuniculus).145 Anche se questa combinazione di animali non è strana per il periodo e la zona in questione, 146 non sappiamo effettivamente come si svolgesse il rituale e quale fosse il significato di questo tipo di offerta. Oltre ai resti faunistici, un ritrovamento molto importante risulta essere quello di quattro placchette di avorio o osso (fig. 24), che non sono ancora state studiate approfonditamente poiché trovate in stato di conservazione piuttosto precario (attualmente in fase di restauro). 147 Dalle prime informazioni, comunque, si sa che le quattro placchette hanno una morfologia molto simile, con una struttura rettangolare (11x7 cm) di scarso spessore (0,4 cm). Le decorazioni osservate nei due esemplari meglio conservati consistono in linee incise che definiscono sette rettangoli concentrici, secondo uno schema semplice ma eseguito con grande perizia, senza imperfezioni visibili nel tracciato delle linee, peraltro molto sottili. La presenza di avori lavorati non era quasi stata documentata fino adesso nell'ambito gaditano, con un solo parallelo proveniente dal cosiddetto “barrio fenicio” del Castillo de Doña Blanca: si tratta di una piccola placca di osso, datata all'inizio del VII sec. a.C., che presenta una decorazione simile, anche se non uguale, a quelle di c/Hercules.148
FIG. 24. Placchette di avorio trovate all'interno della fossa (SAEZ – BELIZON 2014).
2.3.4
Le datazioni radiometriche
Per cercare di ottenere una datazione più accurata per il momento di realizzazione della cremazione sono state eseguite anche due analisi radiometriche. La prima è stata effettuata su un frammento di legno carbonizzato e ha fornito un intervallo calibrato tra il 758 e il 477 a.C. (con maggiori probabilità nel periodo 758-683 a.C.). Nella seconda, invece, è stata analizzata una delle ossa ritrovate nella fossa e l'intervallo calibrato risultante è tra 805 e 546 a.C. (con maggiori probabilità nel periodo 805-734 a.C.). Queste datazioni assolute, unite all'analisi dei resti materiali, consentono di collocare questo contesto nel corso dell'VIII sec. a.C., forse a metà o nella seconda parte della centuria, ma allo stato attuale delle conoscenze non permettono una datazione più accurata.
2.4 CASTILLO DE SAN SEBASTIAN L'isola di San Sebastian è il punto più occidentale della città di Cadice. Comunemente è conosciuta come il Castillo de San Sebastian, per via della grande fortezza costruita in epoca moderna che la occupa interamente. Attualmente vi si accede tramite un molo lapideo costruito sopra una scogliera, unica testimonianza rimasta della striscia di terra che, almeno fino alla metà del XVI secolo, univa l'isoletta al resto della città149 (fig. 9). 145 SÁEZ – BELIZÓN 2014, p. 193-194. 146 Per citare solo l'ambito funerario, resti dello stesso tipo sono stati trovati nelle fosse cerimoniali del Tumulo 1 di Las Cumbres: CORDOBA – RUIZ MATA 2000. 147 SÁEZ – BELIZÓN 2014, pp. 194-196, fig. 10 148 RUIZ MATA – PEREZ 1995a, pp. 62-63. 149 Siamo certi di questo anche grazie a due disegni fatti a metà '500 da Joris Hoefnagel (Gades ab Occiduis insulae partibus,
32
FIG. 25. Ubicazione topografica del Castillo de San Sebastian e la Avanzada Isabel II (MAYA et al. 2014).
L'erosione marina poi ha fatto il corso, ma da questo processo è stata risparmiata una piccola isola centrale, circondata da scogliere. Con la costruzione della fortificazione e del suo fosso perimetrale all'inizio del XVIII secolo, il luogo è stato diviso in due isolette: il vero e proprio Castillo de San Sebastian e la Avanzada Isabel II, collegate tra loro da un ponte. L'identificazione di questo luogo con la ubicazione del famoso Kronion risale molto indietro nel tempo: infatti, già nel 1610, Suarez de Salazar chiama la Punta de San Sebastian «cabo Cronio».150 Quest'idea si è mantenuta nel tempo anche senza prove archeologiche a suffragarla, tanto che è attualmente accettata dalla maggior parte degli studiosi.151
2.4.1
Lo scavo del 2009-2012
L'isola è rimasta zona militare fino ad anni recenti e di conseguenza non era mai stato possibile verificare mediante scavi stratigrafici la presenza di eventuali resti. La situazione, però, è cambiata di recente in occasione dei lavori di riqualificazione delle fortificazioni effettuati tra il 2009 e il 2012 nell'Avanzada Isabel II. L'attività archeologica principale è stata la realizzazione di sondaggi cronostratigrafici e lo scavo di alcune aree in relazione ai lavori edili. Al di sotto dei livelli moderni, le strutture e gli oggetti registrati sembrano indicare l'esistenza di un complesso edilizio, forse collegato a un santuario, e l'evidenza di una continuità d'uso dalla fine del VII sec. a.C. al II sec. d.C., con una riconoscibile divisione in tre periodi differenti.152 In questo lavoro si analizzerà soltanto il primo di questi periodi (fine VII/ inizio VI sec. a.C.), in quanto unico ad essere stato pubblicato finora. 1564) e Antonio van den Wyngaerde (GADES, 1567). Cfr.: MAYA et al. 2014, p.156, fig. 2. 150 SUAREZ DE SALAZAR 1610, pp. 10 e 49-50; MAYA et al. 2014, p. 158. 151 RAMIREZ 1982, pp. 111-112, nota 158; ESCACENA 1985, p. 46; MARIN – JIMENEZ 2009, pp. 373-394; AUBET 2009, p. 276. 152 MAYA et al. 2014, p. 177.
33
FIG. 26. Pianta e profilo stratigrafico del Periodo I o Fenicio (MAYA et al. 2014).
Dagli strati pertinenti a questo primo periodo (denominato dagli scavatori Periodo I o Fenicio) sono emersi due gruppi strutturali (A e B) separati da uno spazio di circa 10 m, interpretato come zona di transito per la mancanza di un qualunque tipo di pavimento (fig. 26). I muri di queste costruzioni hanno fondamenta costruite con “mattoni” di piedra ostionera153 tenuti insieme con argilla e inglobate in cassoni di fondazione scavati nell'argilla rossa naturale.154 Solo in due strutture (2029 e 1383) si conserva parte dell'alzato dei muri, che sembrano essere costruiti con la cosiddetta tecnica dell'opus Africanum, riscontrata in ambito gaditano anche nel Teatro Comico (Periodo III) 155 e nella Casa del Obispo (Periodo II) 156. Nelle stanze 3-7 del gruppo strutturale A, di piccole dimensioni, i pavimenti sono costituiti da piedra ostionera schiacciata, mentre nelle stanze 8 e 9, molto grandi, il materiale usato è una marna blu, chiamata comunemente argilla verde,157 utilizzata anche nel gruppo strutturale B. Tenendo conto della limitatezza dell'intervento, si è comunque dedotto che esiste uno spazio costruito con una superficie minima di 1100 m 2, che può tranquillamente arrivare a una stima di 1500 m 2. Il gruppo strutturale A, che copre una superficie minima di 600 m 2 (potrebbe comunque essere superiore ai 900 m 2), è formato da almeno nove stanze, la maggior parte parallele e di forma allungata. Il gruppo strutturale B, invece, mostra una pianta di tendenza quadrangolare, con una superficie minima di 400 m2.158
2.4.2
Il materiale ceramico
Associati alla fase di costruzione di queste strutture, sono stati trovati numerosi frammenti ceramici di epoca fenicia, tra i quali spicca un notevole gruppo di ceramica in Red Slip che si data tra la fine VII e l'inizio del VI sec. a.C. L'insieme, costituito da circa 196 frammenti, è equiparabile a quello recuperato dai livelli del Periodo III del Teatro Comico, il cui momento finale è ben datato tra il 620 e il 580 a.C., grazie alle importazioni greche ed etrusche ivi trovate.159 Tra i 110 frammenti di ceramica in Red Slip, ci sono soprattutto piatti, coppe carenate ed emisferiche, lucerne e quattro frammenti attribuiti a brocche con orlo a fungo: l'esistenza di questi pezzi suggerisce che 153 Vedi nota 37. 154 MAYA et al. 2014, p. 164. 155 Vedi cap. 2.1.3. 156 GENER et al. 2014b. 157 MAYA et al. 2014, pp. 164-165, nota 104. 158 MAYA et al. 2014, p. 165. 159 Vedi cap. 2.1.3.
34 potremmo essere di fronte a un ambito sacro e non domestico. Tra gli altri frammenti si trovano olle, coppe emisferiche, dippers e oil bottles, anfore, qualche vaso dipinto e infine solo 3 frammenti di ceramica modellata a mano:160 un numero molto basso, soprattutto in confronto all'abbondanza di questi pezzi in contesti domestici come il Teatro Comico. Tra i frammenti ceramici, inoltre, è stato scoperto un frammento di piatto in Red Slip con incisa una sequenza di tre segni chiaramente intenzionali (fig. 27). I caratteri visibili corrispondono chiaramente alle lettere fenicie shin, mem e nun, seguendo la lettura da destra a sinistra. Anche se la parte leggibile corrisponde alla parola fenicia “olio”, secondo l'autore dello studio J.-A. Zamora, è quasi certo che questa sia soltanto la parte finale della sequenza, dato che la prima lettera si trova in corrispondenza del punto di frattura.161 L'ipotesi interpretativa più probabile è che si tratti della parte finale di un antroponimo teoforo, un nome di persona fenicio il cui elemento finale era il dio Eshmun, come i conosciuti Bodeshmun o Abdeshmun.162 Nonostante i numerosi indizi rivelati da questo intervento archeologico, quindi, le attuali conoscenze non sono certo sufficienti a fare chiarezza sulla funzione di questa zona e sull'ubicazione esatta del famoso Kronion. In ogni caso, i rinvenimenti recenti uniti al capitello protoeolico, conferiscono comunque un certo credito alla possibilità che il Kronion si trovasse effettivamente in corrispondenza dell'attuale Castillo de San Sebastian. Non si deve inoltre scartare l'ipotesi formulata tempo addietro da D. Ruiz Mata che questa zona fosse in principio solo uno spazio sacro destinato al culto di Baal Hammon163 e che il tempio sia stato eretto soltanto in un periodo più tardo, magari all'epoca dei Barcidi come nel caso di Carthago Nova.164
FIG. 27. Frammento di piatto fenicio con iscrizione (MAYA et al. 2014).
2.5 CERRO DEL CASTILLO Il Cerro del Castillo è un colle che si eleva fino a 22 m s.l.m. nel centro storico della città di Chiclana de la Frontera (Cádiz). Attualmente situato sulla sponda sinistra del rio Iro, a pochi chilometri dal mare (fig. 28), secondo le ricostruzioni paleogeografiche165 in epoca fenicia il colle costituiva un promontorio che dominava l'antica linea di costa, proprio a fianco della foce del fiume. 166 Il luogo era quindi evidentemente strategico, anche perché il fiume formava un'ansa appena prima della foce, creando un luogo perfetto per mettere al riparo le barche. Alla scoperta nel settembre 2006 di un insediamento fortificato risalente al Bronzo Finale-Primo Ferro, sconosciuto fino a quel momento, hanno fatto seguito numerosi altri interventi effettuati fino al 2010 (fig. 29), che hanno apportato un notevole insieme di dati sulla stratigrafia e le strutture del sito. 160 MAYA et al. 2014, pp. 167-174, figg. 9-23. 161 MAYA et al. 2014, pp. 175-176, figg. 24-25. 162 Cfr. BENZ 1972, pp. 278-279. 163 RUIZ MATA 1999, pp. 299-301. 164 MARIN – JIMENEZ 2009, pp. 380-381. 165 ARTEAGA et al. 2001. 166 BUENO 2014, p. 225, figg. 3-4.
35
FIG. 28. Ubicazione del Cerro del Castillo, Chiclana (BUENO – CERPA 2008).
La 1a Fase dell'insediamento (VIII sec. a.C.) corrisponde al periodo del Bronzo Finale-Primo Ferro ed è costituita da un livello di terra scura mescolata con calce, carbone e pietre. 167 La cultura materiale presente in questi strati è rappresentata da qualche utensile litico in selce e diversi frammenti ceramici realizzati a mano, con solo due frammenti di ceramica fenicia, databili alla metà dell'VIII sec.168 La 2a Fase corrisponde ai livelli di occupazione che sono stati scavati immediatamente sotto il livello della Fase 3a. I materiali pertinenti a questa fase sono infatti risultati scarsi e poco concludenti, costituiti quasi esclusivamente da ceramica a mano di forme irregolari, con un solo frammento di ceramica orientale. 169 La Fase 2a risulta comunque di fondamentale importanza per la grande muraglia difensiva costruita in questo periodo (fig. 30). Si tratta di un'ampia struttura difensiva costruita con il sistema detto “a casematte”. Era formata da compartimenti o cassettoni che venivano creati costruendo due linee murarie parallele entro le quali si formava uno spazio quadrangolare, che posteriormente veniva riempito di terra, raggiungendo una larghezza di 4 m.170 Il muro esterno, con uno spessore di 1,80 m, è costruito con blocchi di pietra di grandi dimensioni, mentre quello interno è meno spesso (1,30 m) e fatto con blocchi di piccole o medie 167 BUENO – CERPA 2008, pp. 173-174. 168 BUENO 2014, pp. 236-237, figg. 27-28. 169 Identificato come piatto del Bichrome IV Ware, non è risultato molto utile per la datazione a causa del lungo arco cronologico in cui questo tipo è diffuso. Cfr.: SMITH 2009, p. 110. 170 BUENO 2014, p. 230, figg. 19-20.
36 dimensioni, tenuti insieme con argilla. Tra questi muri si trova uno spazio vuoto di circa 80 cm, interrotto a intervalli più o meno regolari da muri trasversali che fungono da rinforzi, andando a formare dei cassettoni (“casematte”) riempiti di sabbia. Nei tratti esumati l'altezza oscilla tra i 40 e i 60 cm, ma ci sono evidenti segni di spoliazione dovuti probabilmente al riutilizzo delle pietre nel corso delle epoche. 171 Nel corso dei vari interventi effettuati fino ad oggi sono stati rinvenuti circa 45 m lineari di questa fortificazione, senza torri, strutture annesse o passaggi. I paralleli migliori per questo sistema costruttivo si trovano in Oriente, per esempio nei giacimenti di Hazor,172 Khirbet Qeiyafa,173 e Megiddo.174 Il limite marcato dall'opera coincide con il lato dell'altura che dà verso la terraferma, mentre il resto del colle è circondato dal rio Iro, che costituisce una difesa naturale sufficiente. Dai dati finora posseduti è stata calcolata un estensione dell'area occupata in epoca arcaica di approssimativamente 7000 m2.175
FIG. 29. Mappa con le zone oggetto di scavi archeologici nel Cerro del Castillo (BUENO 2014)
Nella 3a Fase (fine VII-VI sec. a.C.) si assiste a una estensione dell'area dell'abitato, con muri e pavimenti realizzati al di sopra dei muri dell'epoca precedente, compresa la muraglia di fortificazione, che quindi aveva perduto la sua utilità. In questo livello sono state identificate varie stanze rettangolari di piccolemedie dimensioni, che probabilmente facevano parte di abitazioni. Infatti, la presenza di forni, focolari, utensili da cucina e per la conservazione induce a pensare a una zona residenziale. 176 Per quanto la ceramica 171 BUENO 2014, pp. 230-232. 172 BEN-TOR 2000, p. 13. 173 GARFINKEL – GANOR 2008, p. 5. 174 FRANKLIN 2005, pp. 310-322. 175 BUENO 2014, p. 231. 176 BUENO 2014, pp. 229-236.
37 a mano caratteristica del Bronzo Finale-Primo Ferro sia ancora presente, questa è la prima fase in cui la ceramiche fenicie a tornio diventano prevalenti. Queste sono presenti in quasi tutte le tipologie, compresa ceramica in Red Slip, ceramica dipinta e ceramica grigia orientalizzante.177
FIG. 30. Vista del tracciato della muraglia (BUENO – CERPA 2008).
Ai naviganti fenici venuti a insediarsi nella baia di Cadice non poteva certo sfuggire la posizione strategica occupata dal Cerro del Castillo, anche considerando che a quell'epoca il rio Iro costituiva una importante via d'accesso verso l'interno. Con l'insediamento dei coloni orientali insieme alla popolazione locale, si osserva una netta trasformazione nella forma dell'abitato: il segnale più importante è dato dalla muraglia di fortificazione, il cui sistema costruttivo tipicamente orientale indica chiaramente la presenza di lavoratori fenici in quella che si avvia a diventare una città. Non deve inoltre sfuggire la vicinanza del luogo a quella che era con molta probabilità la posizione del tempio di Melqart. In questo l'insediamento va a inserirsi nella politica di controllo della baia gaditana cominciata a partire dalla fondazione del famoso tempio.
177 BUENO 2014, pp. 238-245.
38
Capitolo 3.
CONCLUSIONI: MODI, TEMPI E STRATEGIE DI POPOLAMENTO
Sicuramente il sito archeologico più importante portato alla luce di recente nella città di Cadice è il giacimento del Teatro Comico (fig. 31). L'esistenza di un nucleo urbano di notevoli dimensioni con tre fasi edilizie nel periodo compreso tra l'820/800 e il 760/750 a.C. 178 rappresenta chiaramente l'evidenza più significativa derivata da questi scavi. A partire da questo, infatti, diventa evidente una priorità della zona insulare su quella continentale, che era stata messa in discussione a causa dell'importanza dei ritrovamenti effettuati nel sito continentale del Castillo de Doña Blanca e della precedente mancanza di evidenze di epoca arcaica in territorio insulare.179
FIG. 31. Ricostruzione 3D del Periodo II (820/800 – 760/750 a.C.) del Teatro Comico (ZAMORA et al. 2010).
178 Vedi cap. 2.1.2. 179 RUIZ MATA 1999, p. 311.
39 L'antichità dell'insediamento insulare è stata poi confermata dallo scavo realizzato in c/ Canovas del Castillo,180 che ha portato alla luce un'area periferica destinata probabilmente all'approvvigionamento di risorse ittiche, e da quello attuato in c/ Ancha, 29, 181 interpretato come uno spazio sacro aperto. Il carattere extraurbano (o suburbano) di questi siti non lontani dal Teatro Comico, fornisce una circoscrizione dell'insediamento iniziale all'area sud-occidentale della antica isola di Erytheia, soprattutto se si considera il carattere funerario del rinvenimento di c/ Hercules, 12,182 che, pur non avendo apportato dati importanti riguardo alla cronologia, consente di formulare nuove ipotesi finora non considerate dagli studi. Queste ruotano intorno alla possibilità dell'esistenza di una necropoli arcaica nell'area situata a nord-ovest dell'Arroyo de la Zanja, comprendendo un'area impossibile da definire senza ulteriori indagini. Non bisogna poi dimenticare che i più recenti modelli paleotopografici mostrano le due antiche isole di Erytheia e Kotinousa già unite da un istmo in quest'epoca:183 non è quindi impossibile ipotizzare che già l'insediamento iniziale si sviluppasse oltre quest'istmo, come potrebbero suggerire le investigazioni effettuate nella Casa del Obispo.184
FIG. 32. Schema paleogeografico della baia di Cadice tra i periodi Tardo-arcaico e Punico, indicante il modello insediativo. Basata sui dati archeologici disponibili e le interpretazioni più comuni delle fonti classiche (secondo ZAMORA – SAEZ 2014). 180 CORDOBA – RUIZ MATA 2005. 181 Vedi cap. 2.2. 182 Vedi cap. 2.3. 183 Vedi cap. 1.2. 184 GENER – PAJUELO 1999; PEREA et al. 2004; GENER et al. 2014b; GENER – JURADO – PAJUELO i.p.
40 Bisogna sottolineare come la comunità fenicia collocata sulle isole dovette sentire la necessità di fondare rapidamente un insediamento gemello in terraferma, per il quale scelsero la collina dell'attuale Castillo de Doña Blanca, abitato dell'inizio dell'VIII secolo e fortificato alla fine dello stesso. 185 Il sito rispondeva ai requisiti di avere una posizione dominante, facile da difendere, vicino al mare e con un porto sicuro, con un facile accesso verso l'interno grazie alla navigabilità del Guadalete. Da notare come il doppio insediamento, su un'isola e sulla terraferma antistante, riprendeva alla perfezione il modello della madrepatria orientale, con la città di Ushu (o Paleotiro) che era posizionata sulla costa di fronte all'isola di Tiro. Dalle investigazioni realizzate negli ultimi anni nel centro storico della città di Chiclana, sappiamo invece che poco più di un secolo dopo un altro nucleo di coloni fenici si sposta nell'insediamento autoctono del Cerro del Castillo. Anche se esistevano sicuramente relazioni commerciali precedenti, infatti, risale al VII sec. a.C. la costruzione di una muraglia difensiva realizzata con una tecnica costruttiva tipicamente orientale.186 A partire da questo momento la presenza di ceramica a tornio tipicamente fenicia si intensifica sempre più, mostrando sicuramente una presenza permanente di genti di origine orientale e, forse, un processo di “fenicizzazione” dell'insediamento. Quello che si evidenzia a partire da questi scavi è certamente la volontà di consolidamento della presenza fenicia nella baia di Cadice, che non si limitava a una singola città, ma, da un certo momento in avanti, diventa un impianto polinucleare che probabilmente gravitava intorno a famoso tempio di Melqart. E' ormai assodata l'importanza che questo tempio doveva avere per le colonie atlantiche, per il ruolo chiave di questa istituzione nella fondazione stessa delle colonie, nell'economia, nei rapporti con la lontana madrepatria (attraverso l'altrettanto famoso tempio a Tiro);187 oltre ad essere patrono dei naviganti, Melqart diventa a Gadir anche e soprattutto protettore dei coloni fenici che si stabiliscono nelle lontane coste atlantiche. 188 D'altro canto bisogna considerare che evidenze strutturali corrispondenti al tempio non sono state individuate, per cui la sua ubicazione nella zona di Sancti Petri è confermata soltanto da alcuni rinvenimenti subacquei, tra i quali le sei statuette maschili in bronzo. Il ritrovamento recente di un frammento di anfora inscritto sulla spiaggia di Camposoto,189 proprio di fronte all'isolotto di Sancti Petri, non aggiunge molto alle conoscenze precedenti, se non confermare i movimenti commerciali che avevano il tempio come terminale. La costellazione di insediamenti che si venne a formare nella baia di Cadice è quello che probabilmente videro i primi naviganti greci che superarono le Colonne d'Ercole. E' in questo senso che il nome plurale usato dalle fonti classiche per definire la colonia fenicia più importante della Penisola Iberica, “τά Γάδειρα”, assume finalmente un nuovo ed esauriente significato. Una delle implicazioni più importanti derivate da questi scavi è sicuramente la possibilità di retrodatare la fondazione di Gadir almeno alla fine del IX sec. a.C. Pur essendo lontana dalla data del 1104/1103 a.C. tramandata da Velleio Paterculo (Hist. Rom. I 2,3), questa nuova periodizzazione si inserisce appieno nell'ambito delle scoperte recenti nel sud della Penisola Iberica, per vari motivi. In primo luogo il Morro de Mezquitilla, situato sulla costa andalusa mediterranea: qui i ritrovamenti hanno permesso di identificare un abitato i cui momenti iniziali si datano nei primi anni dell'VIII sec. a.C. e forse già alla fine del IX. 190 Il contrasto con le fonti, che identificano senza dubbio Gadir come prima colonia fenicia nella Penisola era evidente, almeno fino alla pubblicazione dei risultati riportati in questo lavoro. In secondo luogo la fondazione della città era senza dubbio legata al commercio dei metalli che i Fenici intrattenevano già da tempo con le popolazioni tartessiche stanziate nella regione di Huelva. Proprio nel centro di Huelva lo scavo di calle Méndez Núñez 7‐13/Plaza de las Monjas 12 ha fornito prove di un “quartiere/emporio” sorto a fianco del villaggio indigeno e abitato stabilmente da un gruppo di Fenici, risalente almeno alla metà del IX sec. a.C.191 Secondo la descrizione degli archeologi che qui hanno scavato “prima della colonizzazione i Fenici avevano stabilito un formidabile emporio dove arrivavano i prodotti metallurgici dell'interno e, secondo quanto dimostrato, anche avorio, stagno e altre materie prime ottenute a media e lunga distanza, prima di essere riesportate in navi fenicie”. 192 Anche se il dibattito sull'importanza di questo “emporio” divide ancora gli studiosi, è innegabile che tracce di questo precedente insediamento sono già identificabili nel racconto di Strabone sulla fondazione di Gadir. In questo racconto i coloni si recavano in un viaggio 185 Vedi cap 1.3. 186 Vedi cap 2.5. 187 AUBET 2009, pp. 279-284. 188 MARIN CEBALLOS 2011, p. 538. 189 ZAMORA – SAEZ 2014. 190 SCHUBART 2006. 191 GONZALEZ DE CANALES – SERRANO – LLOMPART 2004. 192 GONZALEZ DE CANALES – SERRANO – LLOMPART 2010, p. 659.
41 precedente a Onoba, dove esisteva un santuario dedicato a Eracle (probabilmente Melqart). 193 La distanza di poche decine di anni che separa i rinvenimenti archeologici in questo caso pare combaciare perfettamente con la possibile interpretazione allegorica del mito di fondazione: i coloni ovviamente conoscevano le coste atlantiche della Spagna, poiché le percorrevano ormai da decenni per andare a commerciare con le popolazioni stanziate alla foce del Rio Tinto, dove qualcuno aveva anche deciso di stabilirsi. La grande ricchezza che derivava da questo commercio e l'espansione di questo anche ai bacini del Guadalquivir e del Guadalete convinse probabilmente la monarchia tiria, attraverso l'istituzione del tempio di Melqart, a fondare una vera e propria colonia che potesse fungere da punto di arrivo e di partenza per le flotte mercantili.
FIG. 33. Rotte di interscambio in epoca tartessica tra la costa e l'interno (SILLIERS 1990).
Senza dimenticare i risultati del riesame di un insieme ceramico fenicio proveniente dallo scavo condotto a Lixus negli anni '50, per cui è stata proposta una nuova datazione a partire dall'VIII sec. a.C., 194 tutti questi dati messi insieme portano a pensare che l'espansione commerciale e coloniale fenicia sia stata più precoce e penetrante di quello che si pensava. In questo si inseriscono i nuovi scavi effettuati a El Carambolo (nei pressi di Sevilla) che sembra abbiano dimostrato che il presunto villaggio indigeno è in realtà un santuario fenicio fondato all'inizio dell'VIII secolo.195 Un gruppo sempre più numeroso di studiosi sta quindi rivalutando l'impatto che le genti venute dall'Oriente ebbero sull'economia e sulla società tartessica con cui vennero a contatto. Di recente è stato ipotizzato che la grande domanda di metalli dei mercanti fenici sia stata la causa di “una serie di migrazioni verso i nuclei minerari e Huelva durante i primi secoli del primo millennio, poiché in nessun altra forma si spiega la loro esplosione demografica, coincidente con l'abbandono di numerosi villaggi abitati nel Bronzo Finale nella Sierra Onubense, nel Badajoz e nella regione portoghese dell'Alentejo”.196 Tutte queste ipotesi acquisiscono una forma più definita man mano che si susseguono i ritrovamenti fenici 193 Vedi cap. 1.1. 194 BELÉN et al. 1996. 195 BELÉN 2000, pp. 439-440. 196 GONZALEZ DE CANALES – SERRANO – LLOMPART 2010, p. 659.
42 databili a questo orizzonte cronologico, tra cui si inseriscono a pieno titolo quelli esposti in questo lavoro. E' evidente, quindi, come oltre ai notevoli risultati legati alla comprensione del popolamento locale, questi scavi aggiungono nuovi dettagli anche per la generale comprensione del fenomeno coloniale fenicio nell'estremo Occidente. E' chiaro altresì che in entrambi i casi il quadro non è né completo, né tantomeno sicuro. Per questo serviranno sicuramente numerosi altri scavi, con la possibilità che questi facciano solo aumentare i nostri dubbi, invece di risolverli.
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