Lorenzo Pasquinelli Università Vita e Salute San Raffaele Matricola: 004261
LA RELIGIONE FASCISTA Sommario
Sommario .......................................................................................................................................................... .......................................................................................................................................................... 1 ....................................................................................................................................... ............................................................................ ...... 1 INTRODUZIONE ................................................................. ............................................................................................... ................................ 3 LA SACRALIZZAZIONE DELLA POLITICA ............................................................... ................................................................................................................ ...................................................... 4 IL FASCISMO COME RELIGIONE .......................................................... ................................................................................................................................ .................................................................. 7 IL MITO DELLO STATO .............................................................. ............................................................................................................................... .................................................................. 8 IL MITO DELLA PATRIA ............................................................. ................................................................................................................. ...................................................... 9 IL MITO DEL FASCIO LITTORIO ........................................................... .................................................................................................................................... ........................................................................... .... 12 IL MITO DI ROMA ............................................................. ..................................................................................................................................... ............................................................... 13 13 IL MITO DEL DUCE ...................................................................... ......................................................................................................................................... .......................................................................... .... 16 CONCLUSIONE ...................................................................
INTRODUZIONE La questione dell‟ideologia fascista ha occupato le riflessioni degli intellettuali e degli storici fin da subito dopo la caduta del regime e ha portato a conclusioni diverse e a volte opposte. Questo in parte può essere dovuto al fatto che il concetto di ideologia è un concetto ambiguo, che assume significati diversi ogni volta che viene utilizzato, ma anche dal fatto che il fascismo non ha avuto un pensiero coerente e unitario, ma, con l‟eccezione l‟eccezione delle idee più generali, si è evoluto nel tempo e ha subito varie metamorfosi. Basti pensare che il movimento dei Fasci di Combattimento nacque come un anti-partito, che voleva distruggere lo Stato liberale, e solo due anni dopo divenne un partito e il suo leader divenne Presidente del Consiglio. I primi studi sul fascismo, appena finita la seconda guerra mondiale, si svolsero come un dibattito fra tre 1 interpretazioni diverse : quella liberale, quella radicale e quella marxista.
I liberali ritenevano, sotto l‟influenza di Benedetto Croce, che il fascismo fosse una manifestazione manifestazione di una malattia morale, esplosa agli inizi del Novecento a causa del diffondersi dell‟irrazionalismo dell‟irrazionalismo nella cultura europea. Il fascismo non era altro che un‟espressione di una fase negativa della storia.
1
A. Tarquini, Storia della cultura fascista, fascista, Bologna, Il Mulino, 2011
1
I radicali e i democratici, come Piero Gobetti, ritenevano, invece, il fascismo un fenomeno non originale e derivante dalle anomalie della storia italiana, dall‟esito di antichi problemi irrisolti e da uno sviluppo politico ed economico diverso da quello degli altri paesi europei. Per i comunisti e i socialisti, infine, il fascismo non era altro che un a manifestazione dell a lotta di classe: nulla di nuovo, quindi, era soltanto un conflitto tra forze reazionarie e proletariato. Come si può notare, queste interpretazioni non consideravano il fascismo come un movimento originale, che avesse una propria ideologia, ma lo ritenevano unanimemente un movimento <
> fondato sull‟attivismo e 2 sull‟irrazionalismo . 3
Il primo studioso che prese in considerazione l‟ideologia fascista concretamente fu Eugenio Garin , convinto che quella fascista fosse una cultura reazionaria di matrice cattolica e spiritualista. Garin subì l‟influenza dell‟intellettuale comunista Antonio Gramsci da cui trasse la convinzione che le ideologie hanno un proprio valore intrinseco e non sono delle mere sovrastrutture della realtà economica, e grazie a questo riuscì a sostenere che le ideologie non nascono da una elaborazione di concetti coerenti ma sono il tentativo di trasformare la realtà. 4
Un ulteriore passo avanti, fu compiuto da Augusto Del Noce che individuò nell‟attivismo e nella filosofia di Giovanni Gentile la matrice principale del fascismo. Ispirati dal filosofo siciliano i fascisti avevano maturato una concezione della politica intesa, non tanto come strumento per trasformare la realtà , ma come fede religiosa, come esperienza da vivere in modo integrale e assoluto. Per Del Noce il fascismo era figlio della secolarizzazione, che aveva portato a una concezione assoluta della politica, tentando di sostituire Dio. Qualunque pensiero rivoluzionario, in quest‟ottica, era il tentativo di creare una religione secolare, con la conseguenza che i regimi totalitari, rappresentavano l‟apoteosi della modernità, il suo esito più radicale. Ma la svolta vera e propria si ebbe nel 1975, quando lo storico George L. Mosse pubblicò <>. In questo lavoro elaborò il concetto di <> intendendola 5 come una religione laica e nazionalista, nata nella modernità a causa della secolarizzazione . Per sottrarsi all‟alienazione causata dall‟urbanizzazione, dall‟industrializzazione, dall‟erosione dei valori cristiani e da un mondo anonimo e omologante, la <> si era espressa, come ogni religione, attraverso una propria liturgia, accompagnata da un apparato di miti, riti e simboli. Mosse scoprì che furono i miti e i culti 6 dei primi movimenti di massa che diedero le basi al fascismo su cui operare ; furono questi, infatti, creando una partecipazione politica nuova, che permisero di intravvedere una valida alternativa alla democrazia parlamentare. Dallo storico tedesco prese le mosse Emilio Gentile che interpretò il fascismo come una religione politica, espressione di miti, riti e simboli. Ma quello descritto da Gentile7 è un fenomeno diverso rispetto alla <>. Quest‟ultima , infatti, riguarda principalmente l‟aspetto della produzione simbolica e rituale, l‟<>, intesa come modo per dare visibilità alle proprie idee politiche, attraverso la produzione di rituali e credenze. La storia ci ha insegnato che la <> non comporta in ogni caso l‟espressione di una sacralizzazione della politica , come conferma il caso del regime 2
N. Bobbio, Profilo ideologico del Novecento, Milano, Garzanti, 1990, p. 153, cit. in A. Tarquini, Storia della cultura fascista, 2011, p.12 3 E. Garin, Cronache di filosofia italiana 1900-1943, Bari, Laterza, 1955 4 A. Del Noce, Fascismo e antifascismo: errori della cultura, Leonardo, 1995 5 G. L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1975), Bologna, Il Mulino, 2009 6 Ivi. 7 E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Bari, Laterza, 2001
2
franchista in Spagna, che adescava le masse attraverso forme di rappresentazione liturgiche, sempre connesse alla tradizione cattolica, senza però la pretesa di elaborare e istituire un proprio autonomo sistema di 8 9 religione politica . Il fenomeno della sacralizzazione è un problema <> , che comporta da parte dei credenti una totale dedizione e devozione, paragonabile a una vera e propria <>.
Per concludere, credo che l‟ideologia fascista abbia assunto questo carattere camaleontico perché fosse sostanzialmente orientata alla pratica, cioè, alla trasformazione dello Stato italiano in un regime totalitario. Il 10 totalitarismo, infatti, come ha notato Emilio Gentile , va inteso come un <> costante, che cambia e si evolve nel tempo, che non si trova mai in natura nella sua forma pura. Per realizzare la <> era per i fascisti necessario creare una religione politica, ovvero un modo per coinvolgere le masse e per sfruttarle. In questo modo ideologia, religione e t otalitarismo, diventano la stessa cosa, sia nella teoria che nella pratica. In questo scritto, analizzerò il concetto di sacralizzazione della politica, lo individuerò nel contesto fascista, e di conseguenza analizzerò il mito dello Stato, che riassume in sé tutta l‟ideologia fascista,arrivando a coincidere con l‟idea di totalitarismo e la sua attuazione.
LA SACRALIZZAZIONE DELLA POLITICA La sacralizzazione della politica è un fenomeno che si manifesta nell‟epoca della modernità quando la dimensione politica ha cominciato ad acquisire una certa autonomia rispetto alla religione tradizionale. In questo modo la politica, per far fronte al <> prodotto dalla secolarizzazione, acquista una propria dimensione religiosa, composta da credenze, miti e simboli <> . 12
Si possono individuare due tipi ideali di sacralizzazione della politica , che come tali, non si trovano mai in natura, ma sono sempre presenti in forma parziale o mista. Da un lato possiamo trovare la religione civile, cioè la sacralizzazione di un sistema politico che garantisce e rispetta la libertà dell‟individuo, la pluralità di idee, la revocabilità dei governanti da parte dei governati, fondandosi sulla tolleranza. Dall‟altro lato abbiamo la religione politica, che è, invece, fon data sul monopolio irrevocabile del potere, sull‟intolleranza di idee diverse, e ha un carattere tendenzialmente integralista e totalitario, cioè vuole avere il controllo di ogni aspetto della vita individuale e collettiva. Tuttavia, esistono tre interpretazioni principali del fenomeno, che diventano utili per capire nella pratica che cosa comporta sacralizzare la politica e da che cosa tre origine. Secondo l‟interpretazione ciurmatorica, di cui Gaetano Mosca è uno dei principali esponenti, la religione della politica non è altro che un mero espediente demagogico per conquistare il consenso delle masse. Infatti, 13 come sostiene Guglielmo Ferrero la rappresentazione della politica attraverso miti, riti e simboli è una 8
E. Gentile, Le religioni della politica. Fra democrazia e totalitarismo, Bari, Laterza, 2001, p. 212 R. Moro, Religione e politica nell’età della secolarizzazione: riflessioni su di un recente volume di Emilio Gentile, in <>, 2, 1995, pp. 309-18 10 E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista , Carocci, 2008 11 E. Gentile, Le religioni della politica: fra democrazie e totalitarismi , p. xii 12 Ivi. 13 G. Ferrero, Potere. I geni invisibili della città, Marco, I Viaggi, 2005 9
3
forma di legittimazione del potere, e non è, come potrebbe apparire a prima vista, in nessun caso un fenomeno religioso o teologico, in senso proprio. In questo caso, quindi, la sacralizzazione della politica non nascerebbe da una spontanea manifestazione di fede, ma sarebbe, invece, una consapevole invenzione di miti e pratiche rituali, di natura essenzialmente strumentale, resa necessaria dall‟esigenza di trovare nuovi modi per fondare e preservare la legittimità del potere in una società di massa. Una posizione alternativa è l‟interpretazione fideistica che nasce dagli studi di Gustave Le Bon. Questa prospettiva è opposta a quella precedente, perché sostiene che i miti e i riti possono essere anche espressione spontanea delle masse, come prodotti del più imperioso degli istinti umani, cioè <> . Una religione politica, in questo caso, non è solo un artificio imposto dall‟alto, ma risponde al bisogno di fede delle masse in cerca di nuove credenze per avere un orientamento nella vita, come accade specialmente nei periodi di profondi sconvolgimenti e di decadenza delle antiche fedi.
Si collega in parte alla teoria fideistica, in quanto espressione di un‟esigenza umana collettiva, la teoria funzionalista della religione elaborata nel 1912 da Emile Durkheim. La religione, per il sociologo francese, consiste in <> . La religione è la condizione nella quale l‟individuo, in uno stato psicologico di <>, cioè di esaltazione e di entusiasmo, si trascende, immergendosi nella collettività a cui appartiene attraverso la fede nelle credenze comuni. Per Durkheim, la religione non esige la presenza di un essere soprannaturale, perché essa non è altro che l‟espressione della totalità della vita collettiva. Gli individui che costituiscono una comunità si sentono e rimangono uniti finché condividono un complesso di credenze e praticano i riti che esse prescrivono. La modernità, producendo una situazione di disgregazione, di incertezza, e di agitazione continua, avrebbe favorito la nascita di nuove religioni. Non c‟è società che non senta il bisogno, specialmente in periodi di crisi, di riaffermare e rinnovare, <>16. 17
Il fascismo fu il primo movimento del XX secolo che mostrò i caratteri di una religione politica , grazie all‟istituzione di credenze, miti, riti e simboli che divinizzavano lo Stato, e celebravano il Duce come un mito vivente. Il motivo di questo fenomeno era semplice, rifondare lo Stato, creando uno Stato totalitario abitato da persone, che educate ed <> dalla religione fascista, sarebbero diventate l‟<>.
IL FASCISMO COME RELIGIONE Il fascismo ha due caratteristiche fondamentali, che lo distinguono dagli altri regimi autoritari e mono partito, 18 che si riassumono nella “dialettica” tra mi to e organizzazione . Da un lato (1), è stato un partito milizia, che 14
G. Le Bon, Psychologie du socialisme (1895), Paris 1920, p. 95, cit. in E. Gentile, Le religioni della politica, p. 11 E. Durkheim, Les formes élémentaires de la vie religieuse (1912), Paris 1985, p. 65, cit. in E. Gentile, Le religioni della politica, p. 14 16 E. Durkheim, Les formes elementaires cit., pp. 609-610, cit. in E. Gentile, Le religioni della politica, p. 19 17 E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista 18 E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista 15
4
ha organizzato i suoi aderenti nello squadrismo, con una gerarchia e disciplina militare, trasferendo nella politica i metodi e gli atteggiamenti della guerra. Il fascismo ha conquistato il potere nonostante avesse il dichiarato scopo di distruggere la democrazia liberale e di affermare sia teoricamente che praticamente il primato della politica su ogni altro aspetto della vita individuale e collettiva. Voleva organizzare la società in modo totalitario, dove tutto fosse custodito nelle mani di un partito unico che si indentificava con lo Stato, l‟unico valore assoluto. Per fare questo era necessario trasformare il privato nel pubblico, sublimare ogni forma di individualità nella collettività, attraverso l‟organizzazione della vita delle persone dall‟alto, in quasi ogni suo aspetto, trovandosi, così, ad avere a che fare non più con persone ma con una folla.
Dall‟altro lato (2), il fascismo è stato anche il primo movimento politico del XX secolo a portare il pensiero mitico al potere, consacrandolo come espressione politica delle masse e fondamento morale per la loro organizzazione, e istituzionalizzandolo nelle credenze, nei riti e nei simboli di una religione politica19. Già Le Bon e Sorel considerarono mito e organizzazione come gli strumenti fondamentali della politica di massa, necessari per trasformare le masse e la loro potenza in un‟ordinata ed efficace arma politica, e come 20 si sa . Il fascismo sfruttò a pieno queste idee facendo propri i miti nati dall‟esperienza della guerra e dai movimenti nati dai reduci, integrandoli con altri miti che erano già diffusi nell‟opinione comune, come il mito della Patria o della Nazione, di origine risorgimentale, dando progressivamente forma ad una religione politica. Assimilò sincreticamente i materiali di altri movimenti che riteneva utili per sviluppare il proprio credo di riti e di simboli, non curandosi dell‟originalità di questi, ma soltanto della loro efficacia per l‟azione . Servivano come strumento per rafforzare il senso d‟identità del movimento, per lottare contro i <>, e per fare propaganda. Le masse erano considerate, alla stregua di Le Bon, come un materiale duttile , plasmabile sotto l‟azione di una guida, che le avrebbe trasformate in una nuova collettività organizzata e animata da un‟unica fede. Da sole non potevano organizzarsi né conquistare consapevolezza di sé, tuttavia si riteneva possibile educarle attraverso l‟azione costante e quotidiana del mito e dell‟organizzazione: <> . <> . 23
Per guidare le masse era necessario l‟utilizzo dei miti politici descritti da Sorel , cioè di quelle immagini e di quei simboli che sono capaci di suscitare emozioni, entusiasmo e volontà di agire, nelle masse. Per di più, l‟utilizzo di questi, non poteva essere sporadico o strumentalizzato soltanto nel momento del bisogno, perché <> .
19
Ivi. E. Gentile, L’origine dell’ideologia fascista (1973-1974), Bologna, Il Mulino, 2011 21 G. Bortolotto, Lo Stato e la dottrina corporativa, Bologna 1930, p. 35, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 147 22 E. Ludwig, Colloqui con Mussolini , Milano 1932, pp. 121-122, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 143 23 G. Sorel, Riflessioni sulla violenza, 1908 24 G. Le Bon, Aphorismes du temp presént , Paris 1919, p. 96, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 146 20
5
La religione fascista non fu, però, soltanto un sistema di credenze e riti utilitaristicamente imposto, dando così ragione all‟interpretazione ciurmatorica, ma ebbe anche delle caratteristiche teologiche vere e proprie. Infatti, riprendendo un modello utilizzato da Albert Mathiez per definire il carattere religioso dei culti della rivoluzione francese, possiamo affermare che ogni religione è un fenomeno sociale che ha origine da uno stato di entusiasmo collettivo e si basa su delle pratiche esteriori obbligatorie che conferiscono una certa sacralità ai simboli che rappresentano. A questa premessa funzionalista, lo storico aggiunge che <> .
L‟origine della religione fascista s‟inquadra perfettamente in questo modello, perché il fascismo ebbe origine da quello <> prodotto dalla guerra, che aveva dato vita a vari movimenti, come il combattentismo, l‟arditismo, il futurismo politico, il fiumanesimo, che si consideravano i portavoce della <> e cercavano di proseguire l‟impresa nella <>, combattendo contro i <> per creare la nuova Italia. Tutti questi movimenti erano accomunati, nel senso etimologico del termine, cioè formavano una comunità, da un‟esperienza comune, la guerra, e da una fede, la Patria <>; ma mancava una guida comune. Nato il culto, mancava la Chiesa. L‟occasione per <> si presentò presto, già nel 1922 con la <> e il tentativo di conquistare il potere. Da questo momento il fascismo accentuò sempre più il suo carattere di religione laica, sia nella definizione ideologica che nella pratica, e nello stesso tempo però cercò anche di servirsi della religione tradizionale per ottenere maggior consenso, presentandosi come restauratore dei valori della religione cattolica dopo un‟epoca di agnosticismo e di materialismo. Fin dal 1921, infatti, Mussolini abbandonò certi atteggiamenti anticlericali del primo fascismo, esaltando l‟impor tanza della religione cattolica; ma non per questo i fascisti smisero di parlare di una religione, anzi, non esitarono a confrontare il fascismo con il cattolicesimo. Non veniva affatto nascosto il tentativo di realizzare un‟organizzazione simile alla chiesa cattolica, eletta a 26 modello per la costruzione dello Stato totalitario . Il fascismo doveva trarre insegnamento dalla <>, la Chiesa <>. E come <> 27 il fascismo doveva <> . Per Scorza , il partito, attraverso le organizzazioni giovanili, doveva di ventare sempre più <> 28 sul modello della Compagnia di Gesù, consacrato al <> . Questa <> nei confronti del cattolicesimo è dimostrata, nella pratica, da vari riti della liturgia Cattolica che nel corso del Regime vennero istituzionalizzati e fascistizzati, come per esempio la <
A. Mathiez, Les origines des cultes révolutionnaires 1739-1792 (1904), Genève 1977, pp. 11-12, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 38 26 E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 108-111 27 C. Scorza, Odiare i nemici , in <>, 12 aprile 1931, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 109 28 ACS, SPD, CR, b. 31, fasc. 1, Relazione al duce sui Fasci giovanili di combattimento, 11 luglio 1931, cit. in, E. Gentile, Il culto del littorio, p. 109
6
fascista>>, istituito nel 1927. Era un rito simile alla cresima, con cui i giovani provenienti dall‟organizzazione giovanile, confermando la loro fede nel fascismo, venivano consacrati fascisti diventando membri del partito. Era una cerimonia solenne, nella quale ai giovani venivano consegnati la tessera del partito e un moschetto, la prima, simbolo della fede, e il secondo, simbolo della forza.
IL MITO DELLO STATO Il mito dello Stato riassume tutta la religione fascista, e come tale è un mito complesso e composito, sempre in evoluzione, che coincide con il progetto totalitario fascista, in quanto aveva la funzione di creare consenso e partecipazione, e, istituzionalizzandosi, divenne lo strumento che i fascisti utilizzarono per conquistare il controllo di ogni aspetto della vita degli italiani e della società. Già agli inizi del movimento, quando era ancora un gruppo di reduci e di giovani, accomunati da quella che 29 fu chiamata l‟<> , si iniziarono a vedere le prime manifestazioni del mito dello Stato e di quella che sarebbe poi diventata la religione fascista. Questi si sentivano gli eletti che avrebbero dovuto portare a termine la <>, combattendo contro la vecchia classe dirigente con l‟intento di trasferire nella politica il cameratismo e le abitudini acquisite in guerra. In questo clima di <>, che caratterizzò gli anni dello squadrismo, si originò un sentimento quasi religioso, come dimostrano le parole di Mussolini: <> […] Gettare le basi della grandezza italiana nel mondo, partendo dal concetto religioso dell‟italianità […] deve 30 diventare l‟impulso e la direttiva essenziale della nostra vita>> . Tra i fasci di combattimento sorsero 31 numerosi riti, nati sia per invenzione che per imitazione, ma generalmente in modo spontaneo e non diretto dall‟alto, con un esplicito richiamo al mito delle Guerra, e ai miti nati nel Risorgimento. I singoli gruppi creavano dei riti che poi per imitazione si trasferivano ad altri gruppi, fino a diventare un patrimonio comune. In questo modo fra il 1921 e il 1922 si diffuse la liturgia che andrà a formare il particolare stile di vita del partito-milizia: il saluto romano,il giuramento delle squadre, la venerazione dei simboli della nazione e della guerra, la benedizione dei gagliardetti, il culto della patria e dei caduti, la glorificazione dei <>, le cerimonie di massa 32. Qualsiasi cosa riguardasse i fasci di combattimento era sempre avvolto da un alone di sacralità e ritualizzato. Le spedizioni squadriste, per esempio, oltre l‟obbiettivo dell‟aggressione e dell‟annientamento, ebbero sempre un carattere simbolico. Il manganello e il fuoco rappresentavano la violenza purificatrice. Durante le missioni i fascisti cantavano l‟inno al <> esaltando la loro arma come se fosse un amuleto protettore delle squadre, giustiziere dei nemici e liberatore del sacro suolo della patria: <
Di nodosa quercia figlio / ver miracolo opri ognor, / se nell‟ora del periglio / batti i vili e gl‟impostor. 29
C. Bellieni, L’Associazione dei combattenti (Appunti per una storia politica dell’ultimo quinquennio) , in <>, 25 luglio 1924, cit. in Gentile, Le origini dell’ideologia fascista, p. 153 30 B. Mussolini, <> nel 1921, in <>, 8 dicembre 1920, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 39-40 31 E. Gentile, Il culto del littorio 32 Ivi.
7
Manganello, Manganello, / che rischiari ogni cervello, / sempre tu, sarai sol quello / che il fascista adorerà. […]
Tu dal Brennero al Suello, / dal Quarnaro al Ticino, / taumaturgo Manganello / più di Dante sei divino, […] Dove è nato Garibaldi, / dove è morto Corridoni, / disertori né ribaldi / non saranno mai padroni;
Cinquecentomila morti / ben c‟impongono il dovere, / di non tollerare i torti / che alla Patria fan un stranier. Manganello, Manganello / che rischiari ogni cervello, / ogni eroe dal suo avello / l‟opra tua benedirà>>33. Con il progressivo istituzionalizzarsi del mito dello Stato, e con ampliamento del consenso, il mito in questione si sviluppò e diventò più complesso. Infatti si potrebbe decostruire in diversi miti minori, come il mito della Patria, il mito del fascio Littorio, il mito di Roma e il mito del Duce, analizzabili separatamente.
IL MITO DELLA PATRIA La guerra, il sangue dei caduti, il sacrificio per la patria aveva rinnovato la sacralizzazione della nazione, della quale i fascisti si elessero difensori contro i <>, cioè i socialisti e i comunisti, perché con il loro ideale internazionalista avevano dissacrato la nazione, i cattolici, perché neutralisti e militanti nel Partito Popolare, i repubblicani, i governanti e la borghesia liberale, <> . Il primo culto a emergere in questo contesto fu quello dei caduti, che comportò il rapido diffondersi di cimiteri di guerra e di monumenti alla memoria. Il momento culminante di questo nuovo culto della patria furono le cerimonie per la scelta della salma del Milite Ignoto, il trasporto nella capitale e la tumulazione 35 nella tomba sotto l‟Altare della patria il 4 novembre 1921 . Qualche giorno dopo numerosi fascisti resero omaggio alla tomba del Milite Ignoto per celebrare la conclusione del loro congresso che aveva deciso la trasformazione del movimento in un partito. I fascisti si consideravano i principali artefici del ritorno della nazione alla <>. Questo culto acquisì subito un ruolo di grande importanza all‟interno della liturgia del partito, perché si sposava perfettamente con la visione eroica della vita fascista e i funerali dei fascisti uccisi divennero i riti emotivamente molto intensi e coinvolgenti. Un corteo composto da tutte le organizzazioni fasciste marciava al ritmo delle marce funebri finché non arrivava il momento dell‟appello, il culmine emotivo della cerimonia: uno dei capi delle squadre gridava il nome del caduto, e la folla inginocchiata rispondeva: <>. In questo modo quello della morte si trasformava in un rito di vita,diventando il rito fascista 36 per eccellenza, la testimonianza più alta della loro religiosità . Fino alla conquista del potere, la liturgia e la religione fascista rimanevano strettamente legate all‟esperienza 37 dello squadrismo e a quel senso di comunione che dilagava tra i militanti, senza però trovare un seguito di
33
A. Gravelli, I canti della rivoluzione, Roma 1928, pp. 84-86, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 43 E. Gentile, Le origini del l’ideologia fascista, p. 126 35 E. Gentile, Il culto del littorio 36 Ivi. 37 Ivi. 34
8
massa vero e proprio. Le cose cambiarono dopo la <>, quando a Mussolini fu consegnato l‟incarico di Presidente del Consiglio e di formare un governo di coalizione, in quanto cominciò un processo di istituzionalizzazione della liturgia fascista che correva parallelo all‟instaurazione del regime totalitario. Il governo Mussolini cominciò subito a prendere delle iniziative miranti a instaurare ufficialmente una liturgia di Stato, rinnovando il simbolismo statale e patriottico. Viene reinserito l‟uso delle uniformi per i membri del governo, si cerca di ridare solennità ai festeggiamenti degli anniversari nazionali, prescrivendo ai 38 comuni l‟obbligo di celebrare le feste laiche . Divenne obbligatorio, con un decreto del 24 settembre 1923, per uffici governativi e comuni, l‟esposizione della bandiera nazionale. Nello stesso anno diventò obbligatorio il rito del saluto al tricolore nelle scuole, ognuna delle quali doveva avere una bandiera. Al sabato, al termine delle lezioni e alla vigilia delle vacanze, gli scolari dovevano rendere omaggio al vessillo con il saluto romano, accompagnando questo rito con il canto degli inni patriottici, e spesso alla presenza di 39 reduci di guerra e mutilati . In poco tempo il culto del tricolore diventò un rito quasi quotidiano e dal 1923 vennero organizzate, specialmente a Roma, numerose <>, promosse dalle forze armate, dalle associazioni combattentistiche e dai fascisti. Fin dai primi tempi del governo fascista ci fu il tentativo di rinnovare e arricchire il calendario delle feste dello Stato fissandone le modalità di celebrazione. Alle feste dello Statuto, del 20 settembre e del 4 novembre, vennero aggiunte il 24 maggio, anniversario dell‟entrata in guerra, e il 21 aprile, Natale di Roma.
Il ruolo centrale, però, nell‟istituzione del culto della patria lo ebbe soprattutto la glorificazione della Grande guerra, con i riti per gli anniversari dell‟intervento e della vittoria. Il fascismo si impegnò a sviluppare il mito 40 della guerra trasfigurandolo in un‟epopea di eroismo e di martirio consacrata alla divinità della patria . Il sacrificio degli italiani in guerra aveva legittimato l‟aspirazione dell‟Italia a essere una grande potenza e i caduti, morti per la Patria vennero sempre di più santificati. Un decreto elevava a monumenti nazionali le località dei campi di battaglia e con l‟immagine della resurrezione, l‟Italia crocifissa a Caporetto che si risveglia ormai data per morta, si cercò di sottolineare il carattere mistico dell‟impresa italiana. Quello della 41 Guerra diventò il mito di fondazione dell‟universo simbolico fascista, sia per quanto riguarda gli aspetti rituali di quello che diventerà il culto del littorio, sia per quanto riguarda gli aspetti epici, che vennero sviluppati nella invenzione di una <>. Il mito della Patria diventa così uno strumento che il fascismo utilizzò per conquistare un consenso sempre più ampio e per assimilare i movimenti patriottici affini come il combattentismo, l‟arditismo e il fiumanesimo. Riuscì, restaurando il culto della Patria, a trovare addirittura il consenso della borghesia patriottica che, però, pensava che i fascisti avessero instaurato una religione civile, per un‟Italia unita e di cittadini liberi, riuscendo a realizzare le idee del Risorgimento, senza accorgersi, in realtà, che si trattava di una religione politica, <> .
IL MITO DEL FASCIO LITTORIO
38
Ivi. Ivi. 40 Ivi. 41 Ivi. 42 Ivi , p. 68 39
9
Lo sviluppo e l‟instaurazione della religione fascista avvenne attraverso tre processi fondamentali. In un primo momento, vennero rinnovati e reintrodotti simboli del passato, come nel caso del mito della Patria, che potevano essere accettati più facilmente dalle masse. In un secondo momento i <> miti vennero affiancati da quelli fascisti, preparando la terza fase, cioè la trasformazione delle credenze passate, ormai istituzionalizzate, in miti fascisti. In questo modo tutti erano obbligati a partecipare alla liturgia dello Stato, che ora coincideva perfettamente con quella fascista, e chi non si univa alla celebrazione del culto, mostrava disprezzo o indifferenza per i nuovi vessilli fascisti era punito e scomunicato. Infatti, l‟istituzione del culto della Patria, incentrato sulla glorificazione della guerra, servì a preparare l‟ambiente per i nstaurare il culto del Littorio come liturgia di Stato. Il fascio littorio, simbolo della massima autorità nell‟antica Roma, divenne il simbolo della rivoluzione fascista e della resurrezione della patria per opera del duce. Assunse il significato di unità, forza, disciplina, 43 di giustizia, e un significato religioso come simbolo della tradizione sacra della romanità . Il primo passo per la diffusione del vessillo fu quello di creare una moneta che da un lato presentava la figura del re, e dall‟altro la figura del fascio littorio. Furono coniati tagli di 1 e 2 lire, e successivamente 100 e 20 lire, un metodo infallibile per divulgare il nuovo simbolo, dato che queste monete di piccolo taglio giravano nelle mani di ognuno. Ma la consacrazione ufficiale della foggia romana avvenne con l‟ascesa del fascio nella simbologia dello Stato, che accompagnò la costruzione del r egime. Tra il 1925 e il 1926, Mussolini dispose che doveva essere collocato su tutti gli uffici ministeriali, governativi, anche provinciali, dichiarando il fascio emblema di Stato, perché nel fascio <> . Contemporaneamente fu bloccata la banalizzazione del simbolo, vietando la fabbricazione, la vendita e l‟uso di distintivi o insegne col fascio littorio senza una speciale 45 autorizzazione delle autorità del governo o del partito fascista . Nel 1927 fu decretato che il fascio doveva essere accollato a sinistra dello stemma dello Stato, rappresentato dallo scudo di Savoia, mentre nel 1929 il governo stabilì la foggia del nuovo stemma dello Stato, sostituendo con due fasci i leoni di sostegno allo scudo. Col passare del tempo, e il consolidarsi del regime, ci fu sempre un maggiore controllo da parte del PNF sulla liturgia fascista, che originariamente era stata in larga parte espressione spontanea soprattutto dello squadrismo e ne rifletteva le caratteristiche di spontaneità ribelle. La religione fascista prima della marcia su Roma non era ancora vincolata all‟obbedienza cieca e alla fede indiscussa in un capo. Ma una volta arrivato al potere, questa situazione diventava incompatibile con la concezione di Stato nuovo. Il ribellismo squadrista doveva essere placato e la spontaneità dei riti e dei simboli doveva cedere all‟istituzionalizzazione. Al <> della distruzione del vecchio ordine liberale, doveva ora 46 seguire il <> . Vennero, infatti, proibite le manifestazioni spontanee, e venne pubblicato nel 1929 il catechismo della <>, per eliminare ogni disputa interpretativa e fissare l‟ortodossia della fede fascista.
43
Ivi. R.d. 12 dicembre 1926 n. 2061, Atti parlamentari, Camera dei deputati , Legislatura XXVII, sessione 1924-27, Documenti. Disegni di Legge e relazioni, n. 1189-A- Cfr. ACS, PCM, Gabinetto, 1928-1930, fasc. 3.3.2 n. 1880 e Gabinetto, 1940-1943, fasc. 3.3.2 n. 552 45 R.d.l. 20 dicembre 1926, n. 2273. Cfr. Ministero dell’Interno, Disposizioni per l’uso dell’emblema del Fascio littorio, Roma 1927 46 E. Gentile, Il culto del littorio, p. 99 44
10
Come ogni religione, anche il fascismo inventò un calendario, istituì come inizio dell‟<> il primo anniversario del 28 ottobre, iniziando a datare da quel momento i documenti affiancando all‟anno cristiano, <>. Venne istituito un organico sistema di riti e feste collettive per il culto del fascio littorio, ma ai riti periodici delle feste dell‟Unità, della Monarchia e della Grande guerra, degli anniversari della rivoluzione e del Natale di Roma, di volta in volta si aggiungevano altre manifestazioni di massa, dalle sagre alle mostre, dalle parate alle grandi adunate organizzate in occasione di eventi straordinari, come per esempio le manifestazioni per la campagna d‟Etiopia o gli incontri del duce con la folla. Le forme essenziali dei riti del littorio, vedevano partecipare la grande massa del popolo, inquadrata nei Fasci, nella Milizia, nei sindacati, nelle organizzazioni giovanili, con la partecipazione dei decorati, dei mutilati e dei combattenti. La celebrazione aveva una severa impronta militare per dare a tutti <> . Dopo l‟omaggio ai caduti e alla rivoluzione, i cortei si recavano ad apporre il simbolo del fascio alle opere pubbliche compiute. Era d‟obbligo la severità e la sobrietà e pertanto erano banditi i banchetti e i ricevimenti fastosi. Anche la parte oratoria era limitata alla lettura simbolica del messaggio del duce senza abbandonarsi a discorsi eccessivamente retorici. I fascisti avevano l‟obbligo di indossare la camicia nera, e di sera di riunirsi nelle loro sedi per manifestazioni intime nel ricordo dei compagni caduti.
L‟orchestrazione della liturgia di massa non si limitava soltanto ai riti politici del regime, ma ne abbracciava tutte le manifestazioni organizzate della vita collettiva, come le sagre popolari, le manifestazioni sportive e le mostre. Il fascismo, infatti, si appropriò delle feste tradizionali inserendole nella propria liturgia, come fece per esempio con l‟epifania. Dal 1928 fu, così, istituita la <> per la quale il partito distribuiva doni ai bambini poveri e alla fine degli anni Trenta fu vietato lo scambio d‟auguri il primo dell‟anno, dato che l‟inizio dell‟<> era il 29 ottobre. Di simbolismo fascista furono permeate anche le sagre tradizionali della vita rurale come la <>, che divenne un‟occasione per esaltare la romanità del fascismo. Incoraggiando lo sport, inoltre, che mirava a <> , il fascismo cercava di attuare una mobilitazione 49 collettiva, fondamentale per realizzare il progetto totalitario, vincendo la mentalità dell‟isolamento privato , pur incoraggiando nello stesso tempo l‟agonismo sportivo come preparazione al conseguimento del primato nelle competizioni internazionali. Per il fascismo lo sport era <> che doveva praticare <> per <> . Come è evidente, nessuna manifestazione collettiva del regime si sottraeva al compito di essere veicolo di indottrinamento e di pratica del culto del littorio. Il regime cercò di intensificare sempre più il suo intervento plasmatore sulle masse, escogitando continuamente nuove forme di mobilitazione e di propaganda. Nel 1932 furono istituiti i <> dove gli oratori incaricati dal partito esponevano alle masse <>51, vantando i meriti della politica del regime, ascoltando i lamenti dei lavoratori per le ristrettezze economiche, e lasciando loro la promessa che avrebbero <
PNF, <>, n. 10, 9 ottobre IV (1926), cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 152-153 PNF, Atti 1931-1932, Roma 1932, circolare del 16 maggio 1932, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 159 49 P.L., La coscienza della collettività e lo sport , in <>, febbraio 1933, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 159 50 R. Nicolai, Sport , in PNF, Dizionario di politica, cit., vol. IV, p. 343, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 160 51 Entusiastica partecipazione di popolo ai raduni di propaganda, in <> 24 maggio 1932, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 167 48
11
52
varie necessità del paese>> . Nel 1935 venne istituito il <>, in relazione alla applicazione della settimana lavorativa di quaranta ore: il sabato pomeriggio libero doveva essere dedicato all‟educazione politica e all‟addestramento militare. In tal modo le due principali attività pedagogiche avevano il proprio giorno di celebrazione, assumendo un carattere sempre più religioso, che avrebbe portato alla costruzione 53 dell‟uomo nuovo, del cittadino-soldato, non più affetto dall‟analfabetismo fisico e politico .
IL MITO DI ROMA Il mito della romanità, al contrario di quello che si potrebbe pensare, non è presente dalla nascita del movimento fascista, ma viene prodotto, successivamente, dal l‟evoluzione del mito dello Stato, diventandone una componente fondamentale, necessaria per la legittimazione del progetto totalitario fascista e per istituire la nuova religione di Stato. Lo stesso termine fascismo, non nasce dal <>, ma da fascio, un nome nato dal dibattito politico ottocentesco, utilizzato dalla Sinistra per indicare l‟unione compatta dei 54 gruppi e movimenti a carattere rivoluzionario . Tuttavia il progetto pedagogico del totalitarismo si potrebbe riassumere nell‟aspirazione di trasformare gli 55 italiani in <> , per far rivivere lo <> , e per ricreare nello Stato quell‟<>, che aveva dato <> . 58
<> . Il coronamento di questo mito avvenne nel 1937, anno in cui fu realizzata una mostra per la celebrazione del bimillenario di Augusto, in coincidenza con la riapertura della mostra dedicata alla rivoluzione fascista, come a voler sottolineare la simbiosi tra romanità e fascismo. Si voleva celebrare l‟eternità e l‟ universalità di Roma, che <> di civiltà nel mondo 59 60 moderno . Il fascismo aveva l‟ambizione di <> la romanità, contestualizzandola e rendendola viva di nuovo. Questo atteggiamento non era un amore e rispetto archeologico per una originale identità del passato da recuperare e restaurare. <
52
ACS, MI, DGPS, cat. G1, b. 60, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 168 E. Gentile, Il culto del littorio 54 A. Tarquini, Storia della cultura fascista 55 E. Gentile, Il culto del littorio 56 F. Ciarlantini, Il Fascismo e la Romanità, in <>, 21 aprile 1938 , cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 130 57 E. Ciaceri, Paganesimo, in Dizionario di politica, cit., p. 340, in Gentile p 130, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 130 58 B. Mussolini, Passato e avvenire, in <>, 21 aprile 1922, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 130-131 59 La Mostra Augustea della Romanità, Roma 1937, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 131 60 E. Gentile, Il culto del littorio, p. 132 (l’autore riprende il pensiero di Bottai) 53
12
fascismo entro nuovi “spazi sacri”, misto di antico e moderno, per celebrare il culto del littorio nella città 61 eterna, presentando il fascismo erede e culmine della tradizione romana>> . Il fascismo, erede moderno della romanità, aspirava a conquistare, come la <> e la <>, l‟eternità, lasciando nella storia le vestigia della <>.
Importante per la diffusione del mito fu l‟istituzione del <>, festeggiato il 21 aprile per celebrare la giornata del lavoro in sostituzione alla festa del Primo maggio, e interpretata dai fascisti come uno strumento per entrare in comunione con la romanità. In questo modo si eliminava lo iato tra mitologia e 62 storia , creando un modello da seguire e una giustificazione per tutti gli atti umani. Infatti come nelle società arcaiche, il fascismo riteneva che il mito era espressione di <> . Per di più, Mussolini, dopo la nascita del PNF, per rafforzare la sua autorità sulle diverse correnti, modellò il 64 Partito sulle organizzazioni militari romane . Creò un partito armato, composto da principi, o camice nere, e triari, o riserve: nell‟esercito romano, infatti, i principi erano i combattenti di prima linea, mentre i triari erano le forze delle retrovie. Sempre su ispirazione dell‟esercito romano nel 1922 fu istituita l a milizia fascista, un corpo di polizia suddiviso in squadre. Ogni squadra era comandata da un ca posquadra e da due vice capisquadra, i decurioni; quattro squadre componevano una centuria, con a capo un centurione; mentre quattro centurie formavano una coorte, guidata da un seniore; infine più coorti davano vita a una legione, 65 comandata da un console .
Nel 1936, con la conquista dell‟Etiopia, il mito sembrava realizzato, l‟impero sembrava ormai tornato sui colli fatali di Roma.
IL MITO DEL DUCE Tutto l‟universo simbolico del regime fa perno sul mito del Duce, anche se la religione fascista è nata, come abbiamo già visto, da un‟esperienza collettiva di vari movimenti, che ha prodotto spontaneamente simboli e credenze che soltanto successivamente sono state istituzionalizzate e ufficializzate. Il culto del Duce ebbe una storia a sé, in quanto nacque, quando la religione fascista era già stata istituzionalizzata, anche se il mito 66 di Mussolini era diffuso da tempo. Infatti è necessario distinguere tra mito e culto del duce , perché se il culto della personalità si fonda sempre sul mito, non sempre il mito di una personalità è accompagnato da atti di devozione. In alcuni casi, come per Stalin e Hitler, mito e culto si sono sviluppati simultaneamente all‟interno dei loro movimenti e in funzione di questi. Nel caso di Mussolini, invece, il mito non ha soltanto 67 preceduto il culto, ma si è manifestato con diversi aspetti prima della nascita del fascismo . Ci sono stati diversi miti di Mussolini che si sono diffusi in periodi diversi della sua vita, che ebbero origine nell‟ambito di differenti ambienti politici e culturali. Ciascuno di questi miti favorì il sorgere attorno alla sua figura di un 61
Ivi. M. Eliade, Miti, sogni, misteri (1957), Torino, Lindau, 2007 63 Ivi , p. 17 64 A. Tarquini, Storia della cultura fascista 65 A. Giardina e A. Vauchez, Il mito di Roma. Da Carlo Magno a Mussolini , Bari, Laterza, 2000, cit. in A. Tarquini, Storia della cultura fascista, p. 131 66 E. Gentile, Il culto del littorio 67 Ivi. 62
13
aura carismatica, preparando le condizioni per la nascita del mito fascista di Mussolini e l‟istituzione di un culto della sua persona negli anni del regime. Mussolini cominciò a fare parlare di sé molto presto, quando ancora ventinovenne, da <> prese la guida del partito socialista nel congresso di Reggio Emilia del luglio 1912. Nacque così il mito socialista di Mussolini, in quanto diventò l‟idolo dei seguaci del partito, il modello del capo rivoluzionario, il simbolo del nuovo socialismo intransigente. Ma quando fu il momento di scegliere se entrare in guerra oppure no, Mussolini si schierò tra gli interventisti, tradendo il partito e le masse che avevano creduto in lui. Con questa scelta, perse la fiducia dei socialisti, ma subito divenne l‟eroe delle avanguardie politiche e culturali dell‟interventismo. Venne considerato come futuro rinnovatore nazionale dagli intellettuali che militavano nel composito fronte dell‟antigiolittismo, radunati attorno a <> di Prezzolini e all‟<> di Salvemini. Questo nuovo mito accompagnò Mussolini anche dopo la guerra, ma rimase limitato alle <> , come gli arditi, i futuristi, e i reduci interventisti con i quali diede vita al movimento fascista. In ogni caso, la maggior parte dei fascisti, almeno fino alla <>, non videro in Mussolini il capo carismatico che avrebbe compiuto e guidato la <>, ma posero la loro fiducia in Gabriele D‟Annunzio. Infatti, nella stessa organizzazione del movimento fascista, M ussolini, pur essendo l‟unica figura politica di rilievo nazionale e direttore di un influente quotidiano, era soltanto membro dell‟ufficio di propaganda e della commissione esecutiva. La sua autorità, pertanto, non era affatto indiscussa e venerata come quella di un capo carismatico. La sua figura si impose allora più per le sue doti politiche che per il riconoscimento in lui di particolari doti carismatiche. Egli, infatti, fu accettato come duce, soltanto dopo che fallì la rivolta antimussoliniana e il tentativo di portare alla guida del fascismo D‟Annunzio, quando i militanti del partito si resero conto che nessuno di loro poteva seriamente contendere a Mussolini la guida del movimento e preservarne allo stesso tempo l‟unità, in quanto lui era l‟unico in grado di tenere assieme l‟insieme dei potentati locali. La sua autorità, comunque, tra il 1923 e il 1925, venne messa in discussione più volte all‟interno del partito, ma queste crisi non fecero altro che favorire l‟ascesa del mito del Duce, esaltato, spontaneamente e strumentalmente, come unico fattore di coesione del fascismo e unico punto di riferimento al di sopra dei potentati locali. Tanto è vero che nelle rivalità fra i vari capi tutti si rifacevano all‟autorità di Mussolini per legittimare le proprie azioni, contribuendo così ad accrescerla.
Ma il mito del Duce accrebbe la sua forza con l‟i nstaurazione e la costruzione del regime fascista. La posizione del duce fu codificata negli ordinamenti del partito e dello Stato in forme che ne accentuarono progressivamente la superiorità come capo del fascismo. Nello statuto del 1926, la figura del duce appare per la prima volta nell‟ordinamento del partito, collocata al vertice della gerarchia del PNF come <>. Nello statuto del 1932, il duce venne innalzato al di sopra e collocato al di fuori della gerarchia, e in quello del 1938 fu formalmente definito <>. In più, nel 1938 fu pubblicato dal PNF il nuovo catechismo di dottrina fascista nel quale il duce era definito <>69. Si giunse così alla piena inserzione del mito mussoliniano nella struttura istituzionale dello 70 Stato Fascista, che venne ad assumere la particolare fisionomia di cesarismo totalitario , data l‟estensione e l‟intensità delle attribuzioni riservate a Mussolini, in quanto <> e <>, nella prassi, nella teologia e nella liturgia dello Stato fascista. 68
E. Gentile, Le origini dell’ideologia fascista Il primo libro del fascista, Roma 1938, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, pp. 239-240 70 E. Gentile, Partito, Stato e Duce nella mitologia e nella organizzazione del fascismo, in K. D. Bracher, L. Valiani (a cura di), Fascismo e nazionalsocialismo, Bologna 1986, pp. 265-294 69
14
Fu Augusto Turati, segretario del PNF dal 1926 al 1930, il fondatore del culto. Infatti, avviò il processo di mussolinizzazione del fascismo collocando il duce sull‟altare del culto littorio, offrendolo alla venerazione 71 delle masse fasciste . Ma la formalizzazione del culto del duce fu soprattutto opera di Starace, che moltiplicò le formule e i riti di devozione, dal modo in cui si doveva scrivere la parola <>, tutta in minuscolo, al cerimoniale che doveva accompagnare l‟apparizione pubblica di Mussolini, con il rito del <>. 72
L‟esaltazione della figura di Mussolini divenne la principale attività della <> , che lavorò a ritmo sempre più intenso per diffondere fra le masse il mito e il culto del duce, rendendo la sua immagine onnipresente, rappresentandolo come un <>. Egli veniva trasfigurato e rappresentato come la si ntesi superiore di ogni tipo di grandezza d‟uomo mai apparsi in qualsiasi epoca: statista, legislatore, filosofo, scrittore, artista, genio, profeta, messia, apostolo, maestro. Un grande uomo, destinato a essere ricordato per sempre, come Cesare e Augusto, Napoleone; con un intelligenza da far invidia a Socrate e Platone; avvolto da un alone rivoluzionario degno di Mazzini e Garibaldi; paragonato a Cristo, in quanto incarnazione di Dio, in quanto, come scriveva Asvero Gravelli, Dio e la storia significavano 73 Mussolini .Alle nuove generazione il duce veniva fatto apparire come un nume vivente, a cui si doveva donare la propria vita, anima e corpo. Nel 1930 sorse la scuola di <>, per iniziativa di giovani universitari che volevano dedicarsi interamente al culto di Mussolini. Svolgevano cicli di lezioni che si ispiravano al pensiero del duce, lo illustravano e lo sviluppavano nella elaborazione di una visione mistica della rivoluzione fascista, dei problemi della storia e della vita italiana. Qualsiasi cosa, anche sposarsi o procreare, era da loro sentito come un atto di obbedienza e devozione al duce.
Ma l‟affermazione del mito e il culto del duce non deve essere considerato solo dal punto di vista del suo 74 partito, ma bisogna tenere conto della distinzione tra le manifestazioni del culto propriamente fascista, riconducibile a motivazioni politiche e ideologiche, e le manifestazioni genericamente popolari, spesso spontanee, e prive di queste motivazioni. Dopo la conquista del potere, infatti, il mito di Mussolini trovò un ambiente favorevole per affermarsi e diffondersi anche al di fuori del suo partito, e in qualche caso contro di esso. La crisi italiana del dopoguerra aveva creato le condizioni psicologiche propizie per la nascita del culto popolare dell‟Uomo 75 provvidenziale . E quando giunse al potere molti videro in lui colui che avrebbe riportato l‟ordine e la pace dopo oltre un decennio di sconvolgimenti sociali e politici. Dall‟opinione pubblica borghese fu visto come il salvatore della patria e il restauratore dello Stato; ai ceti popolari, che non avevano subito la violenza squadrista, apparve come un figlio del popolo, che nonostante il potere, non ha dimenticato le proprie origini, 76 e quindi fu subito circondato da ingenua ammirazione, mista a fiducia e speranza nella sua opera benefica . Per di più, Mussolini fu il primo presidente del Consiglio a girare in lungo e in largo tutta Italia, andando anche in regioni e città mai state visitate, mostrandosi alla folla e parlando alle masse, stabilendo, così, un contatto diretto con la gente comune, priva di eccessive conoscenze politiche, generando quasi una sensazione fisica di vicinanza tra la politica e la gente comune, che pensò di essere, finalmente, ascoltata e esaudita dalla classe dirigente.
71
E. Gentile, Il culto del littorio P. V. Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, Bari, Laterza, 1975 73 Cit. in Hasler, Das Duce, cit., p. 485, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 242 74 R. De Felice, L. Goglia, Mussolini , cit. in E. Gentile, Il culto del littorio, p. 240 75 E. Gentile, Il culto del littorio, 76 Ivi. 72
15
L‟artificio della <> e l‟entusiasmo spontaneo cooperavano per produrre un sentimento di esaltazione collettiva. Il discorso del duce era sempre il momento culminante dell‟incontro con la folla, in quanto assumeva spesso il carattere di orazione rivelatrice della volontà del nume e di manifestazione oracolare della volontà della nazione. Il culto mussoliniano riscosse crescenti consensi tra e il fenomeno fu pressoché costante durante il regime, almeno fino alla seconda guerra mondiale, ma non ebbe, in definitiva, mai un‟estensione che comprendesse tutti i ceti sociali. Vi furono, infatti, settori della società dove questo mito ebbe minore o scarsa influenza. Per esempio i settori sociali che avevano vissuto un processo più marcato di secolarizzazione o quelli, specialmente ceti operai e contadini, che avevano subito le violenze squadriste ed erano più saldamente legati alla tradizione socialista, repubblicana o comunista, non parteciparono a questa esaltazione collettiva, nonostante rischiassero di essere puniti. Per questi ceti il mito di Mussolini riuscì a far breccia solo in un secondo momento, agendo soprattutto sulle generazioni più giovani, all e quali il regime dedicava particolare cura. Al contrario, nella media e nella piccola borghesia non politicizzata, nei ceti popolari più umili, specialmente rurali, privi di qualsiasi tradizione laica o politica, che non avevano subito la violenza squadrista, il culto del Duce si diffuse rapidamente, perché mise radici in una cultura ancora fortemente dominata da credenze religiose, persino superstiziose e magiche, che proiettavano su Mussolini forme di 77 devozione e di culto tipiche della religiosità cristiana, fino a paragonarlo a Cristo . 78 Le masse percepivano il mito del Duce come l‟immagine di un nume protettore , vedevano Mussolini come un uomo di sconfinata bontà, tanto che venne esaltato sempre di più, anche quando l‟invadenza del regime totalitario si fece più opprimente, anche quando crescevano le critiche ai gerarchi fascisti, che attuavano politiche sempre più soffocanti. Le masse riponevano, ora più che mai, la propria fiducia nel Duce, quale ultima speranza per un atto risanatore dei mali, anche quelli inflitti dal fascismo stesso, accompagnando questa fede a un‟attesa quasi miracolistica.
CONCLUSIONE Abbiamo visto come il fascismo abbia sviluppato una religione politica molto complessa che gli permettesse di realizzare le proprie ambizioni totalitarie. In questo modo, attraverso un controllo dall‟alto minuzioso, 79 accompagnato spesso da violenze, e l‟instaurazione di un culto al limite del ridicolo il fascismo riuscì nella sua impresa di educare le masse. Ma come abbiamo detto, questo addomesticamento non durava per sempre, bisognava mantenerlo attraverso il continuo uso di miti, fino ad arrivare a paragonare Mussolini a Cristo, in 80 quanto mito e idea fascista incarnata , in quanto salvatore della patria e uomo dalla bontà sconfinata. Ma un nume che si fosse rivelato fallibile, tradendo il suo popolo, e attirando su di esso <>, una guerra lunga e sanguinosa, la fame e la morte, << era destinato ad essere 81 detronizzato e dissacrato dai suoi stessi credenti con la stessa passione con la quale era stato adorato>> .
77
E. Gentile, Il culto del littorio Ivi. 79 Ivi. 80 G. Gentile, Origine e dottrina del fascismo, Roma 1934, riportato in id., Politica e cultura, vol. I, a cura di H. A. Cavallera, Firenze 1990, cit. in E. Gentile, Il culto del littorio 81 E. Gentile, Il culto del littorio, p. 265 78
16