Testi di Geronimo Stilton. Collaborazione editoriale di Michela Monticelli. Coordinamento editoriale di Patrizia Puricelli. Editing di Daniela Finistauri e Viviana Donella. Redazione e impaginazione di Elàstico, Milano. Coordinamento artistico di Tommaso Valsecchi. Illustrazioni di copertina di Iacopo Bruno. Illustrazioni interne di Danilo Barozzi. Sceneggiatura della graphic novel di Tommaso Valsecchi. Illustrazioni della graphic novel di Stefano Turconi. Mappe di Carlotta Casalino. Grafca di Michela Battaglin. Da un’idea di Elisabetta Dami. www.cronacheregnofantasia.it
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[email protected] ntyca.it Stilton è il nome di un amoso ormaggio prodotto in Inghilterra dalla fne del 17° secolo. Il nome Stilton è un marchio registrato. Stilton è il ormaggio preerito da Geronimo Stilton. Per maggiori inormazioni sul ormaggio Stilton visitate il sito www.stiltoncheese.com È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro, così come l’inserimento in circuiti inormatici, la trasmissione sotto qualsiasi orma e con qualunque mezzo elettronico, meccanico, attraverso otocopie, registrazione o altri metodi, senza il permesso scritto dei titolari del copyright.
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“Da tempo l’Isola dei Cavalieri attendeva che anime coraggiose spezzassero le catene di pietra della sua prigionia. Per questo tre eroi avevano solcato il cielo, mandati dalla Regina delle Fate: per restituire ai Cavalieri della Rosa la loro isola e al Regno della Fantasia i suoi più valorosi guerrieri. Nere tempeste avvolgevano quella terra antica, scossa da cupi tremori, e neri presagi di morte minacciavano l’Audace Ombroso dalla stella in fronte, la generosa Spica dagli occhi di cielo e il possente drago Codamozza dal ruggito di tuono. Presto l’Isola avrebbe visto compiersi il proprio destino per risorgere più forte di prima, grazie a un giovane cavaliere pronto a tracciare una nuova via. Ma furtive scie d’argento rigavano il mare e forze maligne dovevano ancora essere domate e per sempre distrutte.” Mago
Fabulus, Cronache del Regno della Fantasia , inroduzione al Libro Seso.
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ra noe onda. In qualche puno nel cielo d’Oriene la debole luce delle selle cominciava a flrare araverso le nubi, ma l’Isola dei Cavalieri era ancora avvola dall’oscurià della empesa. Solo a rai il bagliore improvviso dei ulmini illuminava l’oceano, rivelando per alcuni isani la sagoma degli scogli vicini alla riva. Il veno schiaeggiava le cose con il suo ululao rabbioso, invesendo le rocce quasi volesse rascinarle via con sé. Ombroso e Spica erano al riparo nella piccola casupola sulla scogliera dove Codamozza li aveva lasciai per volare verso la empesa, seguendo orse un suo arcano e miserioso isino. Nonosane il ragore dei uoni, la ragazza dormiva, avvola in una copera, menre Ombroso sava in piedi pi edi vicino alla fnesra, immerso in pensieri conusi, lo sguardo fsso all’orizzone. Aspeava. 19
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Da re giorni inuriava i nuriava la empesa e da re giorni lui e Spica erano bloccai lì. Sembrava che la pioggia e il veno ossero sai l’unica risposa al Richiamo dei Mari, la conchiglia magica che i ragazzi avevano ricevuo in dono da Marea, la aa proerice di quelle acque selvagge. Il Richiamo avrebbe dovuo indicare loro la via da seguire per recuperare il erzo e ulimo rammeno dello Scudo dei Cavalieri, ma appena Ombroso l’aveva suonao una erribile buera aveva sconvolo l’oceano: la risposa doveva quindi rovarsi ra quelle onde impeuose. Il giovane elo però non riusciva a capire quale osse. Aria e acqua ruggivano con ale violenza che a rai pareva volessero sradicare la casupola in cui lui e Spica si erano riugiai. Aspeare il riorno di Codamozza sava divenando sempre più difcile: il ragazzo seniva il empo gocciolare via rapido e non riusciva a soocare la preoccupazione. Dopo che lui e Spica avevano ricomposo i primi due rammeni dello Scudo, 20
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le piane erano ornae alla via, ma la erra remeva ancora soo i loro piedi pi edi come se qualcosa scuoesse le ondamena dell’Isola. Inolre le provvise di cibo cominciavano a scarseggiare. Più di uo, però, il ragazzo era ormenao dal pensiero di Codamozza. – Dove credi che sia andao? – domandò la voce assonnaa di Spica, cogliendolo alla sprovvisa. Ombroso coninuò a guardare uori dalla fnesra. – Non ne ho idea – rispose cupo. – Ma sono sicuro che ornerà. Ne era davvero cero, ma allo sesso empo aveva paura. Quando cercava di sabilire col drago quel conao menale a cui si era ano abiuao, riusciva a percepire la sua mene avvola dal veno e dall’oscurià e provava una grande euoria, misa a inquieudine. Così doveva senirsi Codamozza. Spica sregò la Piera di Fiamma donaa loro dalla aa Alabianca, proerice della Cià sull’Acqua, per ringraziarli di averla liberaa dall’incanesimo della srega Crameria. Subio si accese un uoco aao. La luce calda delle famme, mossa dai gelidi spieri che si insinuavano nelle essure della casupola, ece senire Ombroso ancora più lonano dall’oscurià in cui ora si rovava il suo edele drago. 21
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– Spero solo che non sia in pericolo. In quesi posi c’è un’amosera malvagia – disse l’elo, aggroando la rone. La ragazza gli si avvicinò. Un lampo improvviso illuminò l’oceano e, nello sesso isane, la sella sulla rone del ragazzo riulse di una luce inquiea. – Guarda laggiù, Spica... vedi qualcosa? Ombroso indicò un puno nell’oscurià della noe e aggiunse: – tui i ulmini sembrano cadere sempre nello sesso puno, come se ci osse qualcosa che li aira... sono ore che guardo verso nord-es. Lei scruò in quella direzione e srinse gli occhi cercando un indizio, ma in quel buio era impossibile disinguere qualsiasi cosa. D’un rao uno, due, re lampi squarciarono il cielo e un’ombra si disegnò per un brevissimo isane sopra le onde selvagge. Un’ombra nera e maesosa. Spica ebbe un’esclamazione di sorpresa e Ombroso sorrise. – L’hai visa? Lei annuì, avvicinandosi alla fnesra e aspeando che alri lampi rivelassero quella presenza. – Sembra... sembra una monagna! – sussurrò al colmo della 22
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meraviglia. – Ma non capisco! Non abbiamo viso niene inorno all’Isola quando siamo arrivai in volo. – Lo so. Ecco perché sono convino che quesa empesa sia un aiuo di Marea. Ha udio il Richiamo dei Mari e ora ci mosra la nosra prossima mea, il luogo dove cercare il erzo rammeno dello Scudo – sorrise Ombroso. – Forse è proprio quella monagna la ‘piera’ a cui si rieriva mio padre nel suo diario. Ricordi che cosa diceva? Spero che il Segreto dei Cavalieri sia custodito dalla pietra.
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Spica fssava la sagoma nera illuminaa a rai dai lampi: aveva quasi l’impressione che i ulmini, come lunghe dia nodose, si endessero a indicare proprio quell’isola miseriosa. – tuo padre parla di un ‘segreo’, quindi probabilmene quell’isola è in qualche modo occulaa, alrimeni le sreghe, una vola qui, l’avrebbero rovaa. Nemmeno noi l’abbiamo visa prima di quesa empesa. Il cielo cominciava a schiarirsi e la pioggia si sava diradando. tra non molo sarebbero poui uscire dal loro riugio. Ombroso era impaziene e imoroso al empo sesso. Per rovare il primo rammeno aveva pouo conare conare sui suggerimeni del diario di suo padre e sul poere dell’Anello di Luce che porava al dio. Poi Marea li aveva aiuai a recuperare il secondo. Ma ques’ulimo rammeno, come Floridiana gli aveva deo in sogno, sarebbe sao il più difcile da rovare. E la riuscia della missione dipendeva solo da lui. Con il cuore colmo di dubbi, il ragazzo rimase a fssare lo speacolo delle nubi nere che sbiadivano e si sflacciavano, sospine dai veni, lasciando il poso al delicao chiarore dell’alba. Il maino inondò di luce doraa l’Isola e la Ciadella 24
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dei Cavalieri, acendo scinillare le piere umide, menre sul villaggio e sulla oresa, più in basso, si alzava una nebbia densa. Menre fnalmene uscivano dalla casupola degli addesraori di draghi, Ombroso e Spica ebbero l’impressione di rovarsi su uno spunone di roccia sospeso in una disesa di nubi bianca e laiginosa. Guardando olre, dove poco prima erano sicuri di aver scoro un’isola, nell’aria ersa si vedeva solo l’azzurro infnio i nfnio del mare. – Ma... l’isola non c’è più! Com’è possibile? – esclamò sconvola Spica. – Non possiamo averla solo immaginaa. Non ui e due – rispose risoluo Ombroso. – Laggiù c’è una erra, in qualche modo invisibile. Marea ce l’ha mosraa. Ora dobbiamo solo rovare la maniera di raggiungerla. Così dicendo si avvicinò alla ragazza e le porse alcuni biscoi secchi. Menre anche lui ne sgranocchiava uno, guardò in basso: il sole e una lieve brezza savano diradando a poco a poco la nebbia, rivelando il mano verde della oresa. Un debole sorriso increspò le labbra del ragazzo. – C’è un vecchio seniero che scende verso la spiaggia. Proviamo a seguirlo – disse. I due ragazzi si misero in cammino fnché non 25
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raggiunsero la cosa. In quel puno il i l seniero piegava verso l’inerno e si inolrava nella oresa, ormai risvegliaa dal suo lungo sonno di piera. Gli alberi avevano resisio al poene veno di empesa e, a pare qualche ramo spezzao e qualche piera smossa, il seniero era libero, come se il empo non osse passao. In eei uo era rimaso immobile per lunghissimi l unghissimi anni. L’ulimo giorno che la oresa ricordava era sao un giorno di molo empo prima, un giorno di guerra. Da allora nessun rampicane era cresciuo e nessuna creaura aveva calpesao quel erreno. Ora l’Isola sava ornando alla via, ma era ancora in pare inrappolaa nel malefcio delle sreghe. Dovevano sare aeni: i serpeni d’argeno poevano annidarsi ovunque e il pericolo poeva nascondersi soo ogni piera e diero ogni angolo.
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