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Collana
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Colophon Titolo originale: The Temple and the Lodge © 1989 Michael Baigent and Richard Leigh Pubblicato per la prima volta nel 1989 da Jonathan Cape 20 Vauxhall Bridge Road London SW1V 2SA Traduzione di Maria Eugenia Morin Prima edizione ebook: maggio 2011 © 1998, 2011 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214 ISBN 978-88-541-3274-0 www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Gag srl
Frontespizio Michael Baigent / Richard Leigh
Origini e storia della Massoneria Il Tempio e la Loggia
Newton Compton editori
Dedica Viens au jardin Où le lapin Promène sa bouteille Que l'on sache à Sourire dans le neiges D'antan toujours Sans besoin de gesne; Carl'oeil d'or Des woïvres rouges Là revelera La place où se cachent Le mot oublié Et la pierre perdue Et le rejecton De l'acacia Qui rend temoignage Par ses racines Déracinées et crues*. Jehan l'Ascuiz
* Vieni nel giardino / dove il coniglio trascina / la sua età. / A sorrider s'impari / del bel tempo che fu, / senza timore; ché l'occhio d'oro / dei lupi rossi / qui rivelerà / il rifugio che occulta / la parola smarrita / e la pietra
perduta / e il germoglio / d'acacia, testimoni / le sue radici nude / e sradicate.
Introduzione
In Gran Bretagna, negli ultimi anni, la Massoneria è diventata uno degli argomenti di conversazione preferiti e l'oggetto di appassionati dibattiti. In verità, molestare i massoni promette di diventare un vero e proprio sport cruento qui da noi, un po' come molestare i preti in Irlanda. Con malcelato entusiasmo e un "Hallalì!" quasi percepibile, i giornali si gettano su ogni nuovo "scandalo massonico", ogni nuova accusa di "corruzione massonica". I sinodi ecclesiastici meditano sulla compatibilità fra Massoneria e cristianesimo. Per pungolare gli avversari politici, i consigli locali propongono mozioni miranti a costringere i frammassoni a dichiararsi. Nei partiti, la Massoneria compare con una frequenza superata, probabilmente, solo dai servizi segreti britannici e dalla CIA. Anche la televisione ha dato il suo contributo, conducendo in seconda serata almeno un simposio sull'argomento e riuscendo addirittura a penetrare con le sue telecamere nell'ultimo rifugio della bestia, la Grande Loggia. Non trovando un drago, i commentatori, più che sollevati,
sembravano delusi e irritati di essere stati in qualche modo frodati. Nel frattempo, naturalmente, la gente è rimasta affascinata. Bastava pronunciare la parola Massoneria in un pub, in un ristorante, nell'atrio di un albergo o in un altro luogo pubblico per vedere le teste drizzarsi di scatto, le facce voltarsi subito attente, gli orecchi tendersi ad origliare. Ogni nuovo exposé viene divorato con un'avidità, addirittura una goduria, riservata abitualmente alle indiscrezioni sulla famiglia reale, o ai pettegolezzi salaci. Questo libro non è un exposé. Non riguarda il ruolo o le attività, vere o immaginarie, della Massoneria nella società contemporanea; non vuol essere un'indagine sulle accuse non comprovate di cospirazione o di corruzione. Naturalmente, non è neppure un'apologia della Massoneria. Personalmente, non siamo massoni e non abbiamo alcun particolare interesse a discolpare l'istituzione dalle accuse che le vengono mosse. Il nostro orientamento è stato esclusivamente storico. Ci siamo sforzati di ricostruire gli antecedenti della Massoneria, di individuare le sue vere origini, di seguire la sua evoluzione e il suo sviluppo, di valutare la sua influenza sulla cultura britannica e americana durante i suoi anni di formazione, culminati con il tardo Settecento. Abbiamo anche provato a chiederci perché mai la Massoneria, vista oggi con tanto istintivo sospetto, derisione, ironia e condiscendenza, abbia goduto di tanto credito e ne goda ancora, malgrado i suoi detrattori. Tuttavia, strada facendo, siamo stati inevitabilmente costretti ad affrontare il genere di domande che aleggiano
nella mente del pubblico di oggi e vengono poste così spesso dai media. La Massoneria è corrotta? È, ipotesi ancora più sinistra, una vasta cospirazione internazionale tesa a uno scopo oscuro e nefando (se la segretezza è un barometro della malvagità)? È un mezzo per ottenere vantaggi, favori, influenza e potere, penetrando nel cuore di istituzioni quali la City e la polizia? Più importante di tutto, forse, è veramente nemica del cristianesimo? Simili domande non sono direttamente attinenti alle pagine che seguono, ma sono di comprensibile interesse generale. Non sarà, quindi, fuori luogo esporre qui le risposte che sono emerse nel corso delle nostre ricerche. Si è raggiunto un grado di saggezza per cui, invece di esclamare: «Et tu, Brute!», si annuisce tristemente dicendo: «Sì, è normale». Data la natura umana, sarebbe sorprendente se non vi fosse almeno un certo grado di corruzione nelle istituzioni pubbliche e private, e se un po' di questa corruzione non coinvolgesse la Massoneria. Tuttavia, ci sarebbe da obiettare che questa corruzione è meno indicativa della Massoneria in sé che dei modi in cui la Massoneria, come qualsiasi altra struttura analoga, può essere usata male. L'avidità, la sete di prestigio, il favoritismo e simili sono mali endemici nella società umana fin dalla nascita della civiltà. Hanno sfruttato e adoperato attraverso ogni canale disponibile: consanguineità, un passato comune, legami formati nella scuola o nelle forze armate, mutui interessi, semplice amicizia, oltre, naturalmente, alla razza, religione e affiliazione politica. La Massoneria è accusata, ad
esempio, di dispensare speciali favori ai propri adepti. Nell'Occidente cristiano, fino a pochissimo tempo fa, un uomo poteva aspettarsi dai suoi confratelli esattamente gli stessi speciali favori semplicemente in virtù della sua appartenenza alla "Massoneria" del cristianesimo: ossia, in virtù del fatto di non essere un indù, un musulmano, un buddista o un ebreo. La Massoneria è soltanto uno dei molti canali attraverso cui la corruzione e il favoritismo possono fiorire; ma se la Massoneria non esistesse, la corruzione e il favoritismo fiorirebbero ugualmente. Si possono trovare nelle scuole, nei reggimenti, nelle corporazioni, negli enti governativi, nei partiti politici, nelle sette e nelle chiese, in innumerevoli altre organizzazioni. Nessuna di queste è intrinsecamente reprensibile di per sé. Nessuno si sognerebbe di condannare un intero partito politico, o un'intera chiesa, perché alcuni dei suoi membri sono corrotti, o più ben disposti verso gli altri membri che verso gli estranei. Nessuno condannerebbe la famiglia come istituzione perché tende ad alimentare il nepotismo. Nel considerare l'aspetto morale della questione, è necessario avere qualche nozione di psicologia elementare e usare un po' di buon senso. Le istituzioni sono virtuose o colpevoli nella misura in cui lo sono gli individui che le compongono. Se un'istituzione può essere considerata intrinsecamente corrotta, lo può essere soltanto se trae profitto dalla corruzione dei suoi membri. Questo potrebbe applicarsi, diciamo, a una dittatura militare, a certi Stati totalitari o monopartitici, ma non certo alla Massoneria. Nessuno ha mai insinuato che la
Massoneria abbia tratto qualche guadagno dalle trasgressioni dei suoi fratelli. Al contrario, le trasgressioni di singoli massoni sono totalmente egoistiche e interessate. La Massoneria nel suo insieme è danneggiata da simili trasgressioni, come il cristianesimo da quelle dei suoi aderenti. Nella questione della corruzione, quindi, la Massoneria non è di per se stessa colpevole, ma, al contrario, un'altra vittima di uomini senza scrupoli che sono pronti a sfruttarla per i propri fini, al pari di qualsiasi altra cosa. Un interrogativo più valido è la compatibilità, o meno, della Massoneria con il cristianesimo. Per sua stessa natura, questo interrogativo implica almeno un tentativo di stabilire che cosa sia realmente la Massoneria, piuttosto che i modi in cui può essere sfruttata o abusata. Ma, in ultima analisi, anche questo è un falso quesito. Come ben si sa, la Massoneria non ha la pretesa di essere una religione, ma semplicemente di richiamarsi a certi princìpi o "verità", che possono in certo senso essere considerati "religiosi", o forse "spirituali". Può offrire una specie di metodologia, ma non pretende di offrire una teologia. Questa distinzione diventerà più chiara nelle pagine che seguono. Per il momento, basterà sottolineare due punti riguardanti l'attuale antipatia della Chiesa anglicana per la Massoneria. Tali punti vengono generalmente ignorati nell'odierna preoccupazione della Chiesa per la presenza di massoni nei suoi ranghi. Entrambi sono d'importanza cruciale. In primo luogo, la Massoneria e la Chiesa anglicana
hanno coabitato amichevolmente fin dall'inizio del XVII secolo. Anzi, hanno fatto di più: hanno lavorato in tandem. Alcuni dei più importanti ecclesiastici anglicani degli ultimi quattro secoli provenivano dalla loggia; alcuni dei più eloquenti e influenti massoni provenivano dal clero. Mai, prima degli ultimi dieci o quindici anni, la Chiesa ha inveito contro la Massoneria, né ravvisato alcuna incompatibilità fra la Massoneria e i propri princìpi teologici. La Massoneria non è cambiata. A sua volta la Chiesa sostiene di non essere cambiata, almeno nei suoi princìpi fondamentali. Perché, allora, se non c'è mai stato conflitto nel passato, dovrebbe esserci ora? La risposta a questa domanda, a nostro avviso, non risiede tanto nella Massoneria quanto negli atteggiamenti e nella mentalità di certi ecclesiastici contemporanei. Il secondo punto che merita considerazione è, semmai, ancora più decisivo. Il capo ufficiale della Chiesa anglicana è il sovrano britannico. Dopo la deposizione di Giacomo II nel 1688, il rango teologico o le "credenziali" del sovrano non sono mai stati messi in discussione. Eppure, fin dall'inizio del XVII secolo, la monarchia britannica è stata anche strettamente collegata con la Massoneria. Almeno sei re, oltre a numerosi principi del sangue e principi consorti, erano massoni. Sarebbe stato possibile se esistesse realmente un'incompatibilità teologica fra la Massoneria e la Chiesa? Sostenere che esiste tale incompatibilità equivale, in effetti, a impugnare l'integrità religiosa della monarchia. Infine, secondo noi, l'attuale controversia sulla
Massoneria è una tempesta in un bicchiere d'acqua, una quantità di argomenti falsi o inesistenti gonfiati molto più di quanto meritino. Verrebbe voglia di buttare lì una battuta e dire che la gente non ha niente di meglio da fare che inventare pretesti così labili per una controversia. Purtroppo, ha di meglio da fare. Certamente la Chiesa anglicana, con lo scisma incipiente nei suoi ranghi e una congregazione che va disastrosamente riducendosi, potrebbe impiegare la sua energia e le sue risorse in qualcosa di più costruttivo che orchestrare crociate contro un presunto nemico, che, in realtà, non è affatto tale. E mentre è quanto mai opportuno, anzi desiderabile, che i media scovino la corruzione, sarebbe molto più utile per tutti se fossero chiamati a rendere conto delle loro malefatte gli individui corrotti, anziché l'istituzione di cui si dà il caso facciano parte. Nel contempo, bisogna riconoscere che la Massoneria stessa ha fatto poco per migliorare la sua immagine agli occhi del pubblico. Anzi, con la sua ossessiva segretezza e il suo atteggiamento caparbiamente difensivo, non ha fatto altro che rafforzare la convinzione che abbia qualcosa da nascondere. Quanto poco abbia da nascondere in realtà apparirà chiaro nel corso di questo libro. Semmai, ha più di che essere orgogliosa di quanto non abbia da nascondere.
Preambolo
Alcuni anni fa, nella primavera del 1978, nel corso di una ricerca sui Cavalieri Templari per un documentario televisivo in progettazione, rimanemmo affascinati dalla storia dell'Ordine in Scozia. Rimanevano ben pochi documenti, ma la Scozia possedeva una profusione di leggende e tradizioni sui Templari superiore a quasi tutti gli altri luoghi. C'erano alcuni veri e propri misteri: enigmi insoluti che, in assenza di documenti attendibili, gli storici ortodossi hanno scarsamente tentato di sciogliere. Se potessimo svelare questi misteri, se potessimo trovare anche solo un nocciolo di verità nelle leggende e nelle tradizioni, le implicazioni sarebbero enormi, non soltanto per la storia dei Templari, ma andrebbero molto più in là. Una nostra conoscente si era trasferita recentemente ad Aberdeen con il marito. Tornati in visita a Londra, ci raccontarono una storia appresa da un uomo che aveva lavorato per un periodo in un albergo di un piccolo centro turistico, un'antica stazione termale vittoriana, sulla sponda
occidentale di Loch Awe negli Highlands dell'Argyll. Loch Awe è un grande lago interno a circa venticinque miglia da Oban. Il lago di per sé è lungo ventotto miglia e ha una larghezza variabile quasi ovunque da mezzo miglio a un miglio. È disseminato di isole di varie dimensioni (quasi due dozzine), alcune naturali, altre artificiali e un tempo collegate con la riva da passerelle di pietre e tronchi ora sommerse. Al pari di Loch Ness, si suppone che Loch Awe ospiti un mostro, il "Beathach Mór", descritto come una grande creatura simile a un serpente con una testa di cavallo e dodici zampe coperte di squame. In una di queste isole, secondo la storia udita dal nostro informatore, c'erano numerose tombe di Templari: più di quante sarebbe stato logico aspettarsi nel contesto della storia generalmente accettata, giacché non risulta che i Templari avessero operato nell'Argyll o negli Highlands occidentali. Nella stessa isola si supponeva inoltre che vi fossero le rovine di una Casa templare, che non figurava in alcuna delle nostre liste dei loro possedimenti. Come ci venne riferito, di ter za mano, il nome dell'isola suonava come "Innis Shield", ma non potevamo essere certi che fosse proprio quello e meno ancora della sua ortografia. Queste informazioni frammentarie, sebbene non confermate e di una vaghezza frustrante, erano quanto mai stimolanti. Al pari di molti ricercatori prima di noi, eravamo a conoscenza di nebulosi resoconti che parlavano di bande di Templari sopravvissuti alla persecuzione e allo scioglimento ufficiale del loro Ordine fra il 1307 e il 1314. Conoscevamo le storie secondo cui un gruppo di quei
Cavalieri, fuggendo dai loro torturatori sul continente e in Inghilterra, aveva perpetuato qualcosa delle istituzioni originarie. Ma sapevamo anche che gran parte di queste tradizioni proveniva dai frammassoni del XVIII secolo, che cercavano di crearsi una genealogia riallacciandosi direttamente ai Templari di quattro secoli prima. Di conseguenza, eravamo estremamente scettici. Sapevamo che non esisteva alcuna prova riconosciuta della sopravvivenza dei Templari in Scozia e che persino la Massoneria moderna tendeva, in generale, a respingere tutte le asserzioni contrarie come una pura invenzione e un pio desiderio. Eppure la storia dell'isola nel lago continuava a ossessionarci. Avevamo comunque programmato un viaggio di ricerca in Scozia quell'estate, sebbene molto più a est. Non sarebbe stato il caso di prendercela comoda e fare una deviazione verso ovest, non foss'altro per smentire la storia che avevamo udito e togliercela dalla testa una volta per tutte? Decidemmo quindi di prolungare il nostro viaggio di qualche giorno e tornare via Argyll. Arrivando a Loch Awe dal Nord, vedemmo subito all'estremità del lago, nascosto da folti abeti, Kilchurn, il grande castello quattrocentesco dei Campbell. Procedemmo lungo la sponda orientale e dopo una quindicina di miglia, apparve un'isola alla nostra destra, a circa cinquanta metri dalla riva. Su di essa sorgevano i ruderi del castello duecentesco di Innis Chonnell, che venne occupato, intorno al 1308, dall'intimo amico, alleato e cognato di Robert Bruce, sir Neil Campbell, e che
durante il successivo secolo e mezzo fu una delle sedi principali del clan Campbell. Poi, quando venne costruito un nuovo castello a Inverary, in fondo a Loch Fyne, Innis Chonnell fu trasformato in una prigione per i nemici dei Campbell ovvero dei conti di Argyll, com'erano divenuti nel frattempo. Un miglio a sud di Innis Chonnell c'era un'isola più piccola, appena visibile dalla strada in mezzo agli alberi e ai cespugli che bordavano la riva. Quando ci fermammo, scorgemmo sull'isoletta i resti di una struttura di qualche tipo e pietre che sembravano tombali. Dall'altro lato della strada c'era il villaggio di Portinnisherrich. L'isola stessa, secondo le carte che consultammo, veniva variamente denominata Innis Searraiche o Innis Sea-ramhach. Saltammo subito alla conclusione che era questa la "Innis Shield" che stavamo cercando. L'isola distava circa quaranta metri dalla riva, lungo cui erano ormeggiate numerose barche, quasi tutte palesemente in buono stato e usate regolarmente. Sperando di noleggiarne una e di remare fino all'isola, andammo ad informarci all'emporio di Portinnisherrich. Ma incontrammo una strana evasività. Sebbene il paesaggio fosse da cartolina illustrata e gli abitanti del luogo dovessero contare almeno in certa misura sul turismo, non ci fecero sentire affatto i benvenuti. Perché, ci fu chiesto cautamente, volevamo noleggiare una barca? Per esplorare l'isola, rispondemmo. Ci fu detto che non c'era alcuna barca disponibile; la gente non noleggiava le barche. Potevamo assoldare qualcuno, con barca e tutto,
per condurci fino all'isola? No, ci fu detto senza alcuna ulteriore spiegazione, non era possibile nemmeno quello. Frustrati e sempre più convinti che Innis Searraiche contenesse qualcosa d'importante, passeggiammo a piedi lungo la riva. Attraverso la striscia d'acqua intermedia, l'isola tentatrice ci chiamava, quasi a un tiro di sasso, eppure inaccessibile. Discutemmo sulla possibilità di andarci a nuoto e stavamo appunto considerando il fatto che l'acqua era probabilmente fredda quando, poco a nord del villaggio, incontrammo un'anziana coppia che aveva montato una tenda accanto a una roulotte. Dopo uno scambio di convenevoli, c'invitarono a prendere una tazza di tè. Risultò che anche loro erano di Londra. Tuttavia, venivano sempre in quello stesso posto ogni estate da circa quindici anni con la roulotte e si fermavano a pescare sulle rive di Loch Awe. Dentro la roulotte, dovemmo infilarci nello stretto spazio fra un tavolo e una lunga panca dove ci sedemmo. Da un lato, c'era un tavolo più piccolo, o una specie di ripiano, usato probabilmente per preparare il cibo. Su di esso giaceva un vecchio libro aperto a una pagina con quella che sembrava un'incisione di una tomba massonica: notammo infatti certi simboli massonici e un teschio e tibie incrociate. In seguito, ci rendemmo conto che quello che avevamo visto poteva essere un "tavolo da ricalco" massonico del tipo usato nel XVIII secolo. In ogni caso, indagammo in tono indifferente sulla prevalenza della Massoneria nella zona: al che il libro fu rapidamente chiuso con discrezione e la nostra domanda venne elusa con
un'alzata di spalle. Chiedemmo ai nostri ospiti se potevano dirci qualcosa riguardo all'isola. Non molto, risposero. Sì, c'erano dei ruderi di qualche tipo là fuori. E sì, c'erano alcune tombe, ma non molte. E non molto vecchie. Anzi, ci disse la coppia, la maggior parte delle tombe era piuttosto recente. Ma l'isola, dissero, sembrava avere effettivamente una speciale importanza. Non si azzardarono a ipotizzare quale potesse essere. Ogni tanto, riferirono, venivano portati corpi da molto lontano per essere sepolti lì: a volte arrivavano persino in aereo attraverso l'Atlantico dagli Stati Uniti. Chiaramente tutto questo non aveva niente a che fare con i Templari del XIII o XIV secolo. Nondimeno, era interessante. Naturalmente, poteva trattarsi di una semplice tradizione delle famiglie locali, i cui discendenti, secondo un rituale o un uso ormai stabilito, venivano sepolti nel suolo natio. D'altro canto, c'era la possibilità che vi fosse sotto qualcosa di più, qualcosa in rapporto forse con la Massoneria, che i nostri ospiti erano palesemente poco inclini a discutere. Avevano una loro barca che usavano per pescare. Chiedemmo se potevamo noleggiarla, o se potevano portarci fino all'isola. Da principio, si mostrarono un po' riluttanti, asserendo nuovamente che non avremmo trovato nulla d'interessante, ma infine, forse contagiato dalla nostra curiosità, l'uomo si offrì di portarci all'isola mentre sua moglie preparava un altro bricco di tè. L'isola si rivelò una delusione. Era estremamente
piccola, non più di trenta metri da un capo all'altro. Conteneva effettivamente i ruderi di una minuscola cappella, ma consistevano soltanto in qualche pezzo di muro sporgente pochi palmi da terra. Non c'era modo di stabilire se un tempo le poche rovine coperte di muschio fossero davvero una cappella dei Templari. Erano sicuramente troppo piccole per aver ospitato una comunità. Quanto alle tombe, la maggioranza era di data relativamente recente, come ci avevano detto. Le più antiche risalivano al 1732, le più recenti agli anni Sessanta. Ricorrevano alcuni cognomi: Jameson, McAllum, Sinclair. Su una lapide dell'epoca della prima guerra mondiale, c'erano una squadra e un compasso massonici. L'isola aveva ovviamente qualcosa a che fare con le famiglie locali, alcune delle quali, probabilmente per caso, erano legate alla Massoneria. Ma non c'era niente che si potesse collegare con i Templari, certamente niente che confermasse la storia di un loro cimitero. Ammesso che il luogo nascondesse qualche mistero, sembrava locale e di secondaria importanza. Delusi e frustrati, decidemmo di trovare un alloggio per la notte, riordinare le idee e, se possibile, capire come le informazioni che avevamo ricevuto potessero essere così palesemente inesatte. Proseguimmo lungo la riva orientale di Loch Awe, verso la strada che conduceva a Loch Fyne e poi a Glasgow. Ormai stava per fare buio. Ci fermammo in un villaggio chiamato Kilmartin oltre l'estremità meridionale del lago e chiedemmo dove potevamo trovare un posto per
dormire. Venimmo indirizzati ad una grande casa trasformata in albergo, poche miglia oltre la cittadina, vicino ad alcuni antichi tumuli celtici. Dopo aver fissato una stanza, tornammo a Kilmartin per bere qualcosa al pub. Sebbene più grande di Portinnisherrich, anche Kilmartin era poco più di un villaggio, con una stazione di servizio, un pub, un buon ristorante e un paio di dozzine di case tutte concentrate su un lato della strada. Dall'altro lato sorgeva una grande chiesa parrocchiale con un campanile. L'intero edificio era stato costruito, o ampiamente restaurato durante il secolo scorso. Non ci aspettavamo di scoprire niente d'importante a Kilmartin ed entrammo nel cimitero per pura curiosità. Invece lì, non su un'isola in un lago, ma nel cimitero di una chiesa parrocchiale, erano file e file ordinate di pietre tombali orizzontali, molto rovinate dalle intemperie. Ce n'erano più di ottanta. Alcune erano talmente affondate nel terreno che l'erba vi stava già crescendo sopra. Altre erano ancora intatte e spiccavano in mezzo alle lapidi verticali e alle tombe di famiglia più moderne. Molte pietre, specie quelle più recenti e meglio conservate, erano riccamente scolpite: motivi decorativi, emblemi di famiglia o di clan, un guazzabuglio di simboli massonici. Altre erano completamente levigate dal tempo. Ma a noi interessavano quelle che avevano come unica decorazione una semplice e austera spada diritta. Queste spade variavano di dimensioni e a volte di disegno, seppure leggermente. Secondo l'uso dell'epoca, la spada del morto veniva deposta sulla tomba e il suo
contorno veniva inciso nella pietra e poi cesellato. Quindi, l'intaglio rispecchiava esattamente le dimensioni, la forma e lo stile dell'arma originaria. Era questa nuda spada anonima che contrassegnava le pietre più antiche, quelle più consunte, patinate ed erose dalle intemperie. Su quelle più recenti, alla spada erano stati aggiunti nomi e date, poi motivi decorativi, emblemi di famiglia e di clan, simboli massonici. C'erano persino alcune tombe di donne. Sembrava proprio che avessimo trovato il cimitero dei Templari che stavamo cercando. La semplice esistenza delle file di tombe ben allineate a Kilmartin doveva sicuramente aver indotto altri visitatori a porsi delle domande. Chi erano i guerrieri sepolti lì? Perché ce n'erano tanti in un luogo così sperduto? Quali spiegazioni ne davano le autorità locali e gli studiosi di antichità? La targa nella chiesa faceva scarsa luce sulla questione. Diceva soltanto che le lastre di pietra più antiche risalivano al Trecento circa, le più recenti all'inizio del Settecento. «Quasi tutte», concludeva la targa, «sono opera di un gruppo di scultori che lavorava intorno a Loch Awe alla fine del XIV e XV secolo». Quale gruppo di scultori? Se si sapeva che avevano costituito un vero e proprio "gruppo" organizzato, come tutto faceva pensare, sicuramente si doveva sapere qualcosa di più su di loro. E non era piuttosto insolito per degli scultori di riunirsi in "gruppi", se non per uno scopo specifico o sotto una specifica egida: ad esempio, quella di una corte regale o aristocratica, o di un ordine religioso? In ogni caso, se la
targa era vaga su chi aveva scolpito le pietre, era ancora più vaga su chi vi era sepolto sotto. Non diceva nulla. Anche se i libri, i film e la storia romanzata possono dare un'altra impressione, le spade erano oggetti rari e costosi all'inizio del XIV secolo. Ogni guerriero non ne possedeva necessariamente una. Molti erano troppo poveri e dovevano usare asce o lance. Né, se per quello, esisteva una fiorente industria delle armi in Scozia a quell'epoca, e specialmente in questa parte della Scozia. Quasi tutte le lame allora in uso nel paese dovevano essere importate e questo le rendeva ancora più costose. Considerati tutti questi fatti, le tombe di Kilmartin non potevano essere quelle di semplici fantaccini, l'equivalente trecentesco della "carne da cannone". Al contrario, gli uomini commemorati dalle lapidi dovevano appartenere a una classe sociale abbastanza elevata: persone ricche, possidenti agiati, se non cavalieri a pieno titolo. Ma era plausibile che uomini ricchi e di classe sociale elevata venissero sepolti in tombe anonime? Molto più di oggi, le persone importanti nel XIV secolo si gloriavano della loro famiglia, dei loro antenati, del loro lignaggio; e questo era vero soprattutto in Scozia, dove le affiliazioni e i rapporti di clan avevano un peso particolare e dove veniva talvolta attribuita un'importanza ossessiva all'identità e alla discendenza. Simili cose venivano insistentemente sottolineate durante la vita e debitamente ricordate dopo la morte. Infine, perché a Kilmartin le tombe più antiche - quelle anonime, contrassegnate soltanto dalla spada - erano del
tutto prive di simboli cristiani, persino di un simbolo basilare come la croce? In un'epoca in cui l'egemonia della Chiesa sull'Europa occidentale era praticamente assoluta, soltanto le tombe con effìgi scolpite non venivano adornate con l'iconografia cristiana; e tali tombe si trovavano invariabilmente nelle chiese o nelle cappelle. Le tombe di Kilmartin, invece, erano situate all'aperto, erano prive di effigi e tuttavia erano prive di decorazioni religiose. L'elsa della spada stava forse a indicare una croce? O erano tombe di uomini considerati, in un senso o nell'altro, non proprio cristiani? Dal 1296 in poi, sir Neil Campbell, l'amico, alleato e poi cognato di Bruce, era stato balivo di Kilmartin e Loch Awe, e dato che una delle sue sedi era proprio Kilmartin, sarebbe stato logico supporre che le tombe più antiche fossero quelle degli uomini di sir Neil. Ma questo non varrebbe a spiegare il loro anonimato, né l'assenza di simboli cristiani. A meno che, naturalmente, gli uomini che servivano sotto di lui non fossero nativi del luogo, non fossero cristiani nel senso convenzionale del termine e avessero qualche ragione per mantenere l'anonimato, anche dopo morti. Nel corso della nostra ricerca avevamo esplorato quasi tutti i ruderi delle Case templari ancora esistenti in Inghilterra e molti di quelli situati in Francia, Spagna e Medio Oriente. Conoscevamo, quasi a sazietà, tutte le varietà di scultura templare, emblemi templari, ornamenti templari e, nei pochi luoghi dove si potevano ancora trovare, tombe templari. Tali tombe mostravano le stesse
caratteristiche di quelle di Kilmartin. Erano invariabilmente semplici, austere, prive di decorazioni. Spesso, ma non sempre, erano contrassegnate dalla semplice spada diritta. Erano sempre anonime. In realtà, era proprio il loro anonimato a distinguere le tombe dei Templari dai monumenti e dai sarcofaghi di altri nobili, ornati d'iscrizioni e decorazioni elaborate. I Templari erano, dopo tutto, un ordine monastico, una società di monaci guerrieri, di mistici soldati. Si presumeva che, sia pure in teoria, avessero rinunciato, almeno come individui, ai simboli e alle vanità del mondo materiale. Quando una persona entrava nel Tempio, rinunciava effettivamente alla propria identità e si assoggettava alla regola dell'Ordine. L'immagine nuda e disadorna della spada voleva essere una testimonianza della pietà ascetica e dell'abnegazione che regnavano fra i membri dell'Ordine. Gli storici, specialmente quelli massoni, avevano tentato lungamente di confermare o smentire una volta per tutte la teoria secondo cui i Templari erano sopravvissuti in Scozia dopo che l'Ordine era stato ufficialmente soppresso altrove. Ma questi storici si erano limitati a cercare (ed esaminare) documenti, non avevano svolto ricerche sul campo. Non stupisce il fatto che non trovassero alcuna prova conclusiva in un senso o nell'altro, giacché quasi tutta la relativa documentazione era andata perduta o distrutta, ovvero era stata soppressa, falsificata o deliberatamente screditata. D'altro canto, gli storici dell'Argyll, che conoscevano l'esistenza delle tombe a Kilmartin, non avevano avuto motivo di pensare ai Templari, giacché non
risultava che fossero stati attivi, e nemmeno presenti, nella regione. Per quanto riguardava le loro basi europee, i Templari erano più forti in Francia, Spagna, Germania, Italia e Inghilterra. I loro possedimenti ufficiali in Scozia erano, almeno secondo gli archivi facilmente accessibili, molto più a est, nei pressi di Edimburgo e Aberdeen. Non ci sarebbe stato motivo di supporre che un'enclave dell'Ordine fosse esistita nell'Argyll, a meno di non effettuare una ricerca specifica. Sembrava, quindi, che le tombe di Kilmartin avessero serbato il loro segreto, sfuggendo ai ricercatori storici di entrambi i campi: i cronisti dei Templari e della Massoneria da un lato e, dall'altro, i cronisti della regione circostante, che non avevano ragione neppure di pensare ai Templari. Inutile dire che eravamo molto eccitati dalla nostra scoperta. E ci appariva tanto più significativa in quanto sembrava che non riguardasse soltanto i Templari. A Kilmartin, un filo logico collegava apparentemente le tombe più antiche (le presunte tombe di Templari) con quelle più recenti, ornate con blasoni di famiglia, emblemi di clan e simboli massonici. Le più antiche sembravano sfumare gradatamente nelle più recenti, o piuttosto sembrava che le più recenti fossero derivate dalle più antiche attraverso un processo evolutivo di assimilazione e accrescimento. I motivi ornamentali erano essenzialmente gli stessi che diventavano semplicemente più elaborati con il passare degli anni; le decorazioni più recenti non rimpiazzavano la spada, ma si aggiungevano ad essa. Le tombe di Kilmartin sembravano una muta ma eloquente testimonianza di un
progressivo sviluppo: l'attestato di una storia che abbracciava quattro secoli, dall'inizio del Trecento all'inizio del Settecento. Quella sera, al pub, tentammo di decifrare la cronaca scolpita nelle pietre. Potevamo esserci realmente imbattuti in un'enclave di Templari fuggiaschi che, dopo lo scioglimento dell'Ordine, avevano trovato rifugio in quella che era allora la selvaggia regione dell' Argyll? Potevano aver accolto altri profughi dall'estero? L'Argyll, sebbene difficile da raggiungere via terra all'inizio del Trecento, era facilmente accessibile dal mare e i Templari possedevano una considerevole flotta che non fu mai trovata dai loro persecutori in Europa. Le verdi colline e le vallette boscose intorno a noi avevano forse ospitato un tempo un'intera comunità di Cavalieri dal bianco mantello, come una tribù perduta o una città perduta in un romanzo d'avventura; e l'Ordine si era forse perpetuato qui, con tutti i suoi rituali e le sue osservanze? Ma perché si perpetuasse oltre una singola generazione, i Cavalieri avrebbero dovuto secolarizzarsi, o almeno avrebbero dovuto abrogare il loro voto di castità e sposarsi. Questo faceva forse parte del processo che le tombe testimoniavano: il graduale matrimonio di Templari fuggiaschi con membri del sistema dei clan? E da quell'alleanza fra i Templari e i clan dell'Argyll poteva essere nato uno degli intricati viluppi che avevano portato più tardi alla Massoneria? A Kilmartin non potevamo forse trovarci di fronte a una concreta risposta a uno dei più complessi quesiti della storia europea: le origini e lo sviluppo della Massoneria stessa?
Non includemmo alcuna delle nostre scoperte nella sceneggiatura del film che, ormai, era già stata parzialmente scritta. Inoltre, il documentario era orientato principalmente verso i Templari della Terra Santa e della Francia. E se quello che avevamo scoperto in Scozia fosse risultato valido, avrebbe meritato, a nostro giudizio, un film a parte. Per il momento, tuttavia, avevamo soltanto una teoria plausibile che non eravamo in grado di confermare, in mancanza di una documentazione immediatamente accessibile. Nel frattempo erano intervenuti altri progetti, altri impegni e le nostre scoperte in Scozia vennero messe ancora più in disparte. Ma non le perdemmo mai di vista. Continuavano a ossessionarci e a catturare la nostra immaginazione. Durante i nove anni successivi, continuammo a raccogliere ulteriori informazioni, sia pure in modo saltuario. Consultammo l'opera di Marion Campbell, probabilmente la più importante storica locale della regione, e avviammo una corrispondenza personale con lei. Ci consigliò di andare cauti e non giungere a conclusioni premature, ma trovò interessante la nostra teoria. Se negli archivi non esisteva traccia di possedimenti terrieri dei Templari nell'Argyll, disse, questo indicava più probabilmente una mancanza di documentazione che un'assenza dei Templari. E riteneva effettivamente possibile che l'arrivo dei Templari nella regione servisse a spiegare l'improvvisa apparizione della spada anonima fra le decorazioni e i motivi celtici più
tradizionali e familiari.1 Consultammo anche le altre pubblicazioni esistenti sulle pietre di Kilmartin, dalle ricerche degli studiosi di antichità dell'Ottocento a un'opera più recente, pubblicata nel 1977 sotto gli auspici della Regia Commissione per i Monumenti Antichi e Storici della Scozia.2 Con nostro disappunto, quasi tutto questo materiale si concentrava principalmente sulle pietre più recenti e più riccamente decorate. Quelle più antiche, contrassegnate dalla semplice spada anonima, venivano largamente ignorate, non foss'altro perché non se ne sapeva nulla e nessuno aveva granché da dire in proposito. Nondimeno, alcuni fatti importanti emersero. Apprendemmo da Marion Campbell, ad esempio, che originariamente le pietre nel cimitero di Kilmartin non erano situate lì. Alcune erano all'interno della chiesa, o piuttosto all'interno di una chiesa molto più antica. Altre erano sparse in tutta la campagna circostante ed erano state trasferite nel cimitero soltanto in un secondo tempo. Apprendemmo anche che Kilmartin non era l'unico cimitero del genere nella regione. In realtà, ce n'erano ben sedici. Ma sembrava che a Kilmartin vi fosse la massima concentrazione di pietre antiche, contrassegnate dalla spada anonima. Si potevano trarre solo tre conclusioni sicure. La prima era che l'origine degli intagli, soprattutto di quelli più antichi, rimaneva un mistero. La seconda, su cui concordavano praticamente tutti, era che questi intagli più antichi datavano dall'inizio del XIV secolo: l'epoca di
Robert Bruce in Scozia e della soppressione dei Cavalieri Templari altrove in Europa. La terza conclusione era che le tombe con la spada anonima rappresentavano uno stile nuovo, un nuovo sviluppo nella regione che era apparso all'improvviso e inspiegabilmente, sebbene le comunità dei Templari altrove usassero quel disegno prima della sua improvvisa comparsa nell'Argyll. Lo avevamo già visto, in un contesto precedente alle pietre più antiche di Kilmartin, in un luogo vicino a noi come Tempie Garway, in Herefordshire, che era indiscutibilmente templare.3 In Incised Effigial Slabs in Latin Christendom* (1976), il defunto F.A. Greenhill pubblicò i risultati di una vita intera spesa a catalogare le tombe medievali in tutta Europa, dal Baltico al Mediterraneo, da Riga a Cipro. Fra le 4460 tombe elencate e descritte, ne trovò alcune senza iscrizioni, ma erano estremamente rare. Le pietre tombali militari erano ancora più rare. In Inghilterra, ad esempio, ne aveva trovate soltanto quattro, senza contare quella di Garway, di cui non era a conoscenza. In Irlanda ne aveva trovato una sola. In tutta la Scozia eccetto l'Argyll, ne aveva trovato ugualmente una. Nell'Argyll aveva trovato sessanta pietre tombali militari anonime. Era quindi chiaro che la concentrazione di pietre a Kilmartin e luoghi adiacenti era veramente unica. Quasi altrettanto unica era la straordinaria concentrazione di tombe massoniche. Un'altra importante fonte di prove per noi fu l'Associazione israeliana d'indagine archeologica, che aveva effettuato scavi nel vecchio castello templare di Athlit
in Terra Santa. 4 Athlit era stato costruito nel 1218 e definitivamente abbandonato nel 1291, insieme a tutti gli altri resti del regno crociato di Gerusalemme. Nel corso degli scavi si scoprì che il castello conteneva un cimitero con oltre cento tombe. La maggioranza, naturalmente, era molto rovinata dalle intemperie e gli intagli poco profondi, come le spade che avevamo trovato in Scozia, non erano sopravvissuti. Ma alcuni disegni scolpiti un po' più in profondità, sì, ed erano particolarmente interessanti. Uno era sulla pietra tombale di un comandante della marina templare, forse un ammiraglio, e consisteva in una grande ancora. Un'altra pietra, sebbene molto consunta, mostrava ancora una squadra e un piombino massonici. Un'altra ancora, che si riteneva fosse quella del Maestro dei muratori templari, recava una croce con decorazioni, una squadra e un maglio massonici. A parte due sole eccezioni, questi sono i più antichi esempi conosciuti di pietre tombali con emblemi massonici. Una delle eccezioni è a Reims e data dal 1263. L'altra, di età analoga, si trova anch'essa in Francia, nell'antica Casa templare di Bureles-Templiers nella Côte d'Or. Ecco, dunque, una serie di prove convincenti a sostegno della "cronaca di pietra" che avevamo tentato di decifrare a Kilmartin: una cronaca che, se l'avevamo decifrata correttamente, attestava un importante antico collegamento fra i Templari e quella che sarebbe poi divenuta la Massoneria. Nell'entusiasmo della scoperta, avevamo dimenticato lo scopo originario della nostra venuta nell' Argyll: la storia di
un cimitero templare su un'isola in Loch Awe. Avevamo supposto che la storia si fosse ingarbugliata e si riferisse in realtà a Kilmartin. Quello che ignoravamo al momento era che avevamo esplorato l'isola sbagliata. Nell'autunno del 1987 tornammo nell'Argyll e a Loch Awe. Intanto avevamo appreso che l'isola, motivo della nostra precedente visita, non era Innis Searraiche, ma Inishail, alcune miglia più a nord. (In effetti, l'avevamo passata la prima volta senza neppure accorgercene.) Ma se Inishail era l'isola "giusta", non si rivelò più fruttifera di quella "sbagliata" dov'eravamo stati nove anni prima, benché questa volta non avessimo difficoltà a noleggiare una barca. Trovammo effettivamente le rovine di una chiesa che risaliva all'epoca pertinente, l'inizio del Trecento, ma chiaramente la struttura non era templare. L'ultima funzione regolare, ci fu detto, vi era stata celebrata nel 1763 e alla fine del secolo la chiesa era già stata abbandonata. Quando la vedemmo, l'interno era un groviglio impenetrabile di erbacce e di rovi che coprivano varie pietre tombali irrimediabilmente consunte e spaccate, posate sul pavimento. All'esterno, c'erano altre pietre, le più antiche così affondate nel terreno e coperte di erbacce da essere appena visibili, mentre altre, più recenti, erano ancora in piedi. Fra le tombe più recenti c'erano quelle dell'undicesimo duca di Argyll, morto nel 1973, e del generale di brigata Reginald Fellowes, CBE, MC and Bar, legione d'onore, morto nel 1982. L'uomo che ci aveva noleggiato la barca raccontò che andava spesso a esplorare Inishail. Ci parlò di una pietra che aveva
appena scoperto e non era stata ancora catalogata dalla Regia Commissione. Sospettando che potessero essercene altre, sondammo il terreno con i nostri temperini e in effetti ne trovammo alcune, ma non ne ricavammo niente d'interessante. Se il luogo verrà mai ripulito a dovere, queste pietre tombali potrebbero rivelare ancora molte cose importanti. Tuttavia, la nostra perlustrazione amatoriale e probabilmente approssimativa non rivelò alcun indizio attinente ai Templari. Fu una delusione, ma almeno ora conoscevamo la verità sull'isola inafferrabile. Altrove, nei dintorni di Loch Awe, non trovammo nulla di più conclusivo di ciò che esisteva a Kilmartin: vestigia che molto probabilmente risalivano ai Templari, che potevamo plausibilmente attribuire a loro, ma senza averne la prova certa. Tuttavia, su una collina a sudest del lago, fra i ruderi della duecentesca chiesa di Kilneuair, trovammo qualcosa di curioso. In mezzo all'erba vi erano pietre tombali simili a quelle più tarde e riccamente decorate di Kilmartin. Su una di queste il disegno era sormontato da un'inconfondibile croce templare. Ma la croce non faceva parte della decorazione originale, meticolosamente cesellata. Era stata grossolanamente scolpita nella pietra come un graffito in epoca più tarda, forse addirittura nel Seicento o Settecento. Non si poteva addurre a prova della presenza dei Templari nella zona, ma indicava, tuttavia, che qualcuno da quelle parti, in un periodo successivo, si era interessato in qualche modo a loro. Proseguimmo verso sud-ovest, oltre l'imponente fortezza di Castle Sween sul fiordo omonimo. All'inizio del XIV
secolo, Loch Sween era stato un porto di grande importanza strategica sulla rotta delle navi che venivano dall'Ulster, passando dalle isole di Islay e Jura, e il suo castello, assediato ed espugnato da Bruce intorno al 13081309, era stato il principale caposaldo della regione. Il castello stesso, ritenuto il più antico castello di pietra nella terraferma scozzese, era chiaramente una cittadella marittima, con il proprio porto per le galee. Pietre cadute, alcune delle quali squadrate, indicavano dove erano situati un tempo un frangiflutti, un bacino intemo e un molo. Se, all'epoca della soppressione del loro Ordine, i Templari erano fuggiti dall'Europa in Scozia via mare, questo sarebbe stato forse il loro più probabile porto di sbarco. Al di là del castello si stendeva il mare e dall'altro lato del fiordo, a ovest, c'era l'isola di Jura, le sue colline ammantate di nuvole. Qui, sulla costa, sorgeva la duecentesca cappellina diroccata di Kilmory, che un tempo era stata la parrocchia del fiorente centro marittimo. Dentro e intorno alla cappella, c'era una quarantina di lastre tombali dello stesso tipo e periodo che avevamo imparato a riconoscere da Kilmartin. Ma c'erano altri due oggetti più significativi, che ci fornirono prove forse meno copiose di quanto avremmo desiderato, ma di un calibro sufficiente a confermare la nostra teoria. Le chiese templari avevano invariabilmente una croce scolpita sopra l'ingresso o eretta fuori. La croce, semplice o elaborata che fosse, aveva sempre un disegno particolare: a braccia uguali, più larghe in cima che in fondo. Dentro la cappella di Kilmory si ergeva proprio una
di queste croci, che risaliva a prima del Trecento. Se questa croce fosse stata trovata in qualsiasi altra località europea, nessuno avrebbe esitato a identificarla come templare e ad attribuirla alla cappella dell'Ordine. Inoltre, dentro la chiesa giaceva una lastra tombale del XIV secolo decorata con una galea veleggiante, una figura armata e un'altra croce templare, quest'ultima inserita in un disegno floreale. Ma c'era di più. Sulla stessa lastra tombale del Trecento c'era qualcosa che ci confermò che la nostra interpretazione della "cronaca di pietra" non soltanto era plausibile, ma esatta nelle sue linee generali. Sopra la testa della figura armata con la sua croce templare era scolpita una squadra massonica. Ora si poteva affermare con certezza che c'erano stati dei Templari sulle rive di Loch Sween e che Kilmory era stata quasi sicuramente una cappella templare: non costruita apposta per l'Ordine, ma comunque usata poi da loro. Date queste prove, non era soltanto possibile, ma probabile che le tombe a Kilmartin e altrove nella regione fossero effettivamente templari.
1 Lettera, 2 novembre 1978. 2 Stuart, Sculptured Stones of Scotland; Drummond, Sculptured Monuments in Iona and the West Highlands; Steer and Bannerman, Late Medieval Monumental Sculpture in the West Highlands; The Royal Commission on the Ancient and Historical Monuments of Scotland: Argyll
1971-84 3 Quando il Tempio era stato soppresso e i suoi possedimenti assegnati ai Cavalieri di San Giovanni, la chiesa circolare dei Templari a Garway era stata demolita, mentre le tombe dell'Ordine erano state deliberatamente sfregiate e dissacrate. (L'Ordine di San Giovanni aveva ugualmente distrutto la chiesa circolare dei Templari a Bristol, costruendo al suo posto, come a Garway, una cappella rettangolare tradizionale.) Tuttavia, una lastra di pietra, che recava incisa l'anonima spada diritta, era stata rimossa da terra e murata nel cornicione dell'edificio che aveva sostituito la chiesa originaria. Così era sopravvissuta, sfuggendo alla cancellazione - ad opera del tempo, della mano dell'uomo o di entrambi - che è il destino abituale delle lapidi funerarie templari. * Le lastre di pietra con effigi intagliate nel tardo cristianesimo. (n.d.t.) 4 Ronen and Olami, Atlit Map. La tomba del massone templare meglio conservata è esposta oggi nel Museo Rockefeller a Gerusalemme
Parte I Robert Bruce erede della Scozia celtica
1 Bruce e la sua lotta per il potere
Il 18 maggio 1291 Acri, l'ultimo bastione dei crociati occidentali in Terra Santa, fu espugnato dai saraceni e il Regno latino di Gerusalemme, nato dalla prima crociata quasi due secoli prima, crollò definitivamente e irrevocabilmente. Finì così il grande sogno europeo di un Medio Oriente cristiano. I famosi luoghi sacri delle Scritture, dall'Egitto attraverso la Palestina fino al Libano e alla Siria, sarebbero rimasti in mani islamiche, praticamente vietati ai cristiani fino all'epoca di Napoleone, circa cinque secoli dopo. Con la perdita della Terra Santa, i Cavalieri Templari persero non soltanto la loro principale sfera di operazioni militari, ma anche la loro ragion d'essere primaria, In termini militari, almeno, non potevano più giustificare la propria esistenza. Gli ordini militari-religiosi analoghi al loro avevano basi altrove e altre crociate da combattere. I Cavalieri Ospedalieri di San Giovanni si sarebbero insediati prima a Rodi, poi a Malta e avrebbero trascorso i tre secoli seguenti a contendere agli avversari il controllo del Mediterraneo per una cristianità sempre più mercantile. I Cavalieri Teutonici avevano già trovato la loro nuova vocazione nel Baltico, sterminando le tribù pagane locali e creando un principato cristiano, che si stendeva dalla Prussia, attraverso la Lituania, la Lettonia e l'Estonia, fino al golfo di Finlandia. Gli ordini spagnoli di Santiago, Calatrava e Alcantera dovevano ancora cacciare i Mori dalla penisola iberica, mentre i Cavalieri di Cristo
portoghesi si sarebbero dedicati sempre più all'esplorazione marittima. Soltanto i Templari - il più ricco, potente e prestigioso degli ordini - rimasero senza uno scopo e senza una patria. La loro ambizione di costituire un proprio principato in Linguadoca venne contrastata e non si realizzò mai. Il decennio e mezzo che seguì la caduta di Acri sarebbe stato un periodo di declino per il Tempio. Poi, all'alba di venerdì 13 ottobre 1307, Filippo IV di Francia ordinò l'arresto di tutti i Templari nei suoi domini. Durante i sette anni successivi, l'Inquisizione occupò il centro della scena per finire quello che il re francese aveva iniziato. In tutta Europa i Templari furono imprigionati, processati, interrogati, torturati e giustiziati. Nel 1312 l'Ordine del Tempio venne sciolto ufficialmente dal papa. Nel 1314 l'ultimo Gran Maestro dell'Ordine, Jacques de Molay, fu arso sul rogo e il Tempio cessò praticamente di esistere. La carriera di Robert Bruce abbraccia proprio questo periodo. Egli apparve per la prima volta in posizione preminente nel 1292, un anno dopo la caduta di Acri, quando divenne conte di Carrick. La sua vita raggiunse il culmine con la battaglia di Bannockburn nel 1314, circa tre mesi dopo la morte di Jacques de Molay. Nel 1306, un anno prima che iniziasse la persecuzione del Tempio, Bruce stesso era stato scomunicato e il suo contrasto con il papato sarebbe durato altri dodici anni. Poiché non veniva più riconosciuto dal papa, era impossibile per Roma trattare con lui o imporre la propria volontà nei suoi domini. In effetti, la bolla papale non valeva più in Scozia, o almeno nelle parti della Scozia controllate da Bruce che si trovavano, quindi, "oltre confine". E così, in quelle parti della Scozia, il decreto che aboliva il Tempio altrove in Europa non era valido, a stretta norma di legge. Se i Cavalieri dell'Ordine, in fuga dalla persecuzione nel continente, potevano sperare di trovare rifugio in qualche luogo, era sotto la protezione di Bruce. Un fiume di leggende e tradizioni arcaiche ha legato per secoli Bruce ai Templari, anche se il rapporto fra loro non è stato definito in maniera soddisfacente. Le tombe dell'Argyll fornivano prove convincenti a conferma di queste leggende e tradizioni: risalivano a quel periodo ed erano situate in una regione dove sarebbe stato naturale per i
Templari fuggiaschi cercare riparo. Inoltre, più si osserva Bruce da vicino, più diventa chiaro che lui e i Templari avevano molto in comune.
Il regno celtico di Scozia Bruce viene visto generalmente come la figura centrale nella lotta per l'indipendenza della Scozia medievale. Ma Bruce mirava a qualcosa di più, qualcosa di molto più radicale e molto più ambizioso che abbattere semplicemente il dominio inglese. Il suo obiettivo era nientemeno che la restaurazione di un regno puramente celtico, con specifiche istituzioni celtiche, che potevano persino includere il sacrificio umano rituale. Nell'Irlanda e nel Galles medievali, anche dove i sovrani normanni dell'Inghilterra non avevano imposto il loro dominio, non esisteva un'autorità centralizzata. Entrambi i paesi erano lacerati da lotte intestine fra una moltitudine di signorotti o capitribù locali e i loro clan. La Scozia era l'«unico reame celtico con istituzioni politiche indipendenti e ben definite all'inizio dell'"alto Medioevo"».1 In epoca romana, naturalmente, la Scozia era dominata dai Pitti, che continuarono a recitare un ruolo importante nella storia scozzese fino alla metà del IX secolo. Ma nel tardo V secolo, coloni celti venuti dall'Irlanda, in particolare dall'Ulster, avevano cominciato a insediarsi nell'Ovest del paese e a costituire quello che ora viene chiamato il regno di Dalriada. Uno dei suoi antichi capisaldi era Dunadd, a sole tre miglia da Kilmartin. Per 350 anni, il Dalriada a ovest e i Pitti altrove lottarono per la supremazia, conquistando ognuno a turno un temporaneo predominio per poi perderlo di nuovo. Sebbene fosse spesso violenta, la lotta non era sempre tale. Era anche culturale e dinastica e periodicamente si celebravano matrimoni ad alto livello fra i due popoli. Tuttavia, verso l'843, il Dalriada aveva praticamente trionfato. I Pitti vennero assorbiti più che sconfitti militarmente. La loro lingua e la loro cultura scomparvero completamente, seppure gradualmente, e la Scozia, sotto l'egida del re di Dalriada, Kenneth MacAlpin, divenne un regno celtico unificato. Verso l'850, Kenneth fu insediato a Scone come monarca di tutta la Scozia. Ci
sarebbero state ancora vicissitudini, intrighi e lotte intestine del genere immortalato da Shakespeare in Macbeth, ma sotto il discendente di Kenneth MacAlpin, Davide I, nacque finalmente il regno feudale di Scozia, nel 1124: un quarto di secolo dopo che i crociati occidentali avevano instaurato il Regno latino di Gerusalemme. Sebbene i Normanni si fossero avventurati per la prima volta in Scozia sotto Guglielmo il Rosso, figlio di Guglielmo il Conquistatore, non riuscirono a penetrarvi su vasta scala fino all'epoca di Davide. Egli stesso era in tutto e per tutto celtico, figlio del re celtico Malcom III. Durante il suo regno, tuttavia, un gran numero di cavalieri normanni, e anche fiamminghi, vennero ammessi nel paese. Così pure il monachesimo, principalmente sotto gli auspici dei cistercensi. Nondimeno, la Scozia rimase un regno interamente celtico e ci sono le prove che gran parte del pensiero celtico, sia pagano che cristiano, vi persistè a lungo dopo essere scomparso dall'Irlanda. Fra le istituzioni particolari create da Davide vi era la carica, divenuta poi ereditaria, del Regio Steward del reame, chiamato in seguito lo "Stewart", la carica da cui sarebbe derivata la dinastia Stuart. Lo Steward era una sorta di maggiordomo ereditario della Real Casa, o cancelliere ereditario di corte, molto simile al cosiddetto "Maggiordomo di palazzo" della Francia merovingia tre secoli prima. Esattamente come i Maggiordomi di palazzo finirono per soppiantare i Merovingi e formarono la dinastia Carolingia, così, in Scozia, gli Steward (sebbene più pacificamente) avrebbero soppiantato la dinastia di Davide. Il primo Steward, Walter fitz Alan, era di discendenza bretone celtica, figlio di un certo Alan fitz Flaad. Alan poteva forse discendere anche da un thane* scozzese, Banco di Lochaber, la cui leggenda trova posto nella tragedia di Shakespeare. Nella cerchia di re Davide vi era un cavaliere normanno, Robert de Brus. Davide gli conferì la Valle di Annan, che stava a guardia delle vie di accesso in Scozia attraverso Carlisle. Era anche intimo amico del re inglese, Enrico I, e possedeva vaste terre nello Yorkshire. È opinione generale che la famiglia di Robert fosse originaria di Brus o Bruis, ora Brix, poco a sud di Cherbourg. Più recentemente,
tuttavia, si è avanzata l'ipotesi che fosse in realtà di origine fiamminga e discendesse da Robert de Bruges, il ricco castellano di quella città vissuto tre quarti di secolo prima.2 Robert scomparve da Bruges nel 1053, l'anno in cui Matilde di Fiandra sposò Guglielmo, duca di Normandia. Poteva benissimo averla accompagnata in Francia e, tredici anni dopo, aver accompagnato suo marito nell'invasione dell'Inghilterra. Sebbene il Robert de Brus dell'epoca di re Davide fosse di stirpe normanna (e forse fiamminga), il suo bisnipote sposò la bisnipote di Davide, nipote dei re celtici Malcom IV e Guglielmo I. Il Robert Bruce che in seguito avrebbe avuto un ruolo così importante nella storia scozzese poteva quindi affermare a buon diritto di discendere in linea di sangue dall'antica casa reale celtica e, risalendo ancora più indietro, da Kenneth MacAlpin di Dalriada. E quando la figlia di Robert Bruce sposò Walter lo Steward, o Stewart, nacque la dinastia nota poi come gli Stuart. L'elemento celtico continuò a prevalere nella società scozzese fino alla fine del XIII secolo. Così, ad esempio, i nobili più influenti del reame erano i tredici conti, o thane, che traevano il loro lignaggio e la loro autorità direttamente dall'antico regno di Dalriada. Fra di essi, il più importante era il conte di Fife, che esercitava il diritto ereditario di porre il nuovo re sul trono durante la cerimonia dell'incoronazione. La cerimonia stessa si svolgeva tradizionalmente a Scone, sul fiume Tay, due miglia a nord di Perth, e il trono del regno era costruito intorno alla famosa Pietra di Scone, che si riteneva fosse stata portata lì da Kenneth MacAlpin nell'850. Scone stesso era stato un luogo sacro o semisacro fin dai tempi dei Pitti, prima ancora degli Scozzesi. Il suo punto centrale era il Colle della Fede, chiamato ora Moot Hill. Qui, con un rituale che risaliva a prima della storia scritta, il nuovo monarca veniva fatto sedere su una pietra e rivestito con i simboli della sua carica, che comprendevano probabilmente un bastone e un mantello. In tal modo il re veniva sposato al territorio, ai sudditi e alla dea terra stessa, spesso raffigurata in guisa di animale. Nella versione irlandese del rito, una giumenta veniva sacrificata e bollita nell'acqua in cui si bagnava il re appena insediato, e contemporaneamente beveva il brodo
e mangiava la carne dell'animale. Si riteneva così di assicurare la fertilità della terra e della popolazione. Nel XII secolo, sulla scia delle crociate, questo principio arcaico la responsabilità del sovrano per la fertilità della terra venne mescolato con l'ingarbugliata tradizione esoterica giudeo-cristiana e dette origine alla raccolta di poemi ora noti come i romanzi del Graal. Come vedremo, questi poemi avrebbero avuto un'attinenza molto specifica con la Scozia. L'incoronazione di Alessandro III nel 1249 fu un tipico esempio dei riti celtici prevalenti in Scozia molto tempo dopo che erano scomparsi altrove. Quando Alessandro fu insediato sul trono a Scone, un anziano bardo degli Highland recitò formalmente in gaelico la genealogia del nuovo monarca risalendo fino al "primo scozzese" attraverso il Dalriada. Com'era da aspettarsi nel caso di un sovrano celtico, Alessandro era sempre accompagnato da un arpista. Quando viaggiava, veniva preceduto, come imponeva la tradizione per un signore celtico, da sette donne che cantavano la sua gloria e il suo lignaggio: un'abitudine indubbiamente lusinghiera all'inizio, che dovette diventare rapidamente rumorosa e noiosa. Non stupisce che in un simile ambiente la Chiesa esercitasse un'influenza molto scarsa. Durante il IX secolo, la Scozia sembra aver offerto brevemente un rifugio ai gruppi scissionisti superstiti della Chiesa celtica irlandese. Sotto la guida di uno di questi gruppi, fu istituito il "celi De" o "Culdees", un sistema monastico che, tuttavia, non divenne mai influente come sull'altra sponda del mare d'Irlanda. Malgrado l'afflusso di cistercensi nel XII secolo, la Chiesa romana era praticamente scomparsa. In Lothian, ad esempio, nessun vescovado sarebbe stato fondato dopo il 950 circa. Né alcuna comunità religiosa sarebbe stata fondata in Strathclyde dopo quella data. Ma il regno celtico di Scozia, che aveva raggiunto la sua apoteosi con Alessandro III, sarebbe morto con lui. Nel marzo 1286, tornando da un consiglio a Edimburgo in una notte tempestosa, il re si separò dalla sua scorta e fu trovato l'indomani mattina con il collo spezzato. La sua morte non soltanto avrebbe scatenato una grave crisi interna e un'aspra lotta per la conquista del trono, ma avrebbe anche fornito all'Inghilterra una scusa per
intromettersi negli affari della Scozia in una misura senza precedenti.
La Scozia meridionale e centrale e l'Irlanda settentrionale al tempo di Robert Bruce.
Emerge Bruce Alessandro morì senza figli maschi. La sua unica figlia, Margherita, era sposata con il re di Norvegia e la Scozia non desiderava un sovrano norvegese. Di conseguenza, venne formato un governo provvisorio, composto da sei Guardiani della Pace: il conte di Fife come primus inter pares, il conte di Buchan, James lo Stewart, John Comyn e i vescovi di Glasgow e Saint Andrews. Fungendo da reggente, questo consiglio decise di conferire la corona alla figlia di Margherita di Norvegia, che si chiamava anch'essa Margherita e all'epoca era ancora in fasce. Venne stabilito che la bambina, raggiunta la maturità, avrebbe sposato il principe Edoardo, poi Edoardo II
d'Inghilterra. Ma nel 1290, durante il viaggio dalla Norvegia alla Scozia, la piccola Margherita morì e la questione della successione scozzese piombò nel caos. Oltre una dozzina di candidati si presentarono a reclamare il trono, compreso John Baliol e il nonno di Robert Bruce, noto come "il Contendente". Il rischio di una guerra civile era così grande che il vescovo di Saint Andrews invitò Edoardo I d'Inghilterra a fungere da arbitro. Così la monarchia normanna d'Inghilterra ricevette un mandato a intervenire negli affari del regno celtico di Scozia. Edoardo si affrettò a usare questo mandato a proprio vantaggio. Quando incontrò i pretendenti scozzesi nel 1291, procedette subito a rivendicare per sé la sovranità sulla Scozia. Malgrado le loro proteste, i lord scozzesi furono costretti con minacce e intimidazioni a riconoscere almeno in parte il rango che il re inglese si arrogava. Avendo estorto questo riconoscimento, Edoardo decretò che la successione doveva andare a John Baliol, che avanzava una pretesa legittima e venne debitamente incoronato a Scone. Immediatamente Edoardo rinnegò le sue promesse di rispettare l'indipendenza scozzese e pretese un'umiliante obbedienza e fedeltà dall'uomo che aveva posto sul trono. Nel 1294 le pretese del re inglese avevano ormai spinto gli scozzesi alla ribellione. Venne stretta un'alleanza con la Francia e Baliol, nel 1296, ripudiò la sua promessa di fedeltà a Edoardo. Ma ormai era troppo tardi: Edoardo aveva già messo a sacco Berwick ed era entrato con il suo esercito in Scozia. Gli scozzesi vennero sconfitti; Baliol, che si era arreso, venne pubblicamente umiliato e alla fine andò in esilio.
Con la Scozia ai suoi piedi, Edoardo intraprese una campagna sistematica per sradicare tutte le vestigia, politiche e religiose, del vecchio regno celtico. La Pietra di Scone, il più arcaico e sacro dei talismani celtici, fu oggetto di attenzione particolare. Su ordine di Edoardo, l'iscrizione venne cancellata e la pietra stessa prelevata da
Scone e portata a Londra.3 Il grande sigillo di Scozia venne spezzato e gli scrigni pieni di documenti reali furono confiscati. Edoardo si autonominò, in realtà, un difensore della fede ad hoc: l'archetipo del re cristiano che promulgava i precetti di Roma. Per dare più corpo a questa immagine, era utile enfatizzare gli aspetti pagani del vecchio regno celtico, che vennero raffigurati come eretici, se non pagani e satanici. Spargendo voci di stregoneria e necromanzia, Edoardo potè dimostrare che la sua crociata per l'annessione della Scozia aveva una giustificazione morale e teologica.4 Avendo soffocato ogni resistenza nel paese, Edoardo lasciò il governo nelle mani dell'uomo da lui stesso designato, il conte di Warenne. Questi disdegnò arrogantemente il suo ruolo e un anno dopo, nel 1297, William Wallace dette il segnale di un'insurrezione generale assassinando lo sceriffo di Lanark; procedette, quindi, con William Douglas, ad attaccare la magistratura filoinglese di Scone. L'insurrezione di Wallace avvenne in concomitanza con un'analoga attività svoltasi altrove sotto la guida del vescovo di Glasgow e di James lo Stewart. Fu su questo sfondo turbolento che emerse improvvisamente la figura di Robert Bruce, fomentando la ribellione nel sud. Bruce era già stato nominato conte di Carrick, uno dei feudi più vasti, potenti e profondamente celtici della regione occidentale nota come Galloway. I suoi seguaci e vassalli controllavano vaste estensioni di terra nell'Ulster, compreso tutto l'Antrim settentrionale, parte di quella che ora è la contea di Londonderry e l'isola Rathlin al largo della costa. I possedimenti di Bruce, a parte Carrick, comprendevano un terzo dei feudi di Huntingdon, Garioch e Dundee. Come abbiamo visto, Bruce era di sangue reale, giacché il suo bisnonno aveva sposato una discendente di Davide I. Verso la fine del 1297 Wallace riuscì a far eleggere William Lamberton, cancelliere della cattedrale di Glasgow, alla carica di vescovo di Saint Andrews, il principale vescovado della Scozia. Lamberton era un ardente patriota e si sperava, quindi, che la sua investitura rafforzasse la causa scozzese. S'imbarcò subito alla volta di Roma per ottenere la conferma del papa alla sua
elezione e perorare la causa dei suoi compagni d'armi presso il papato. Frattanto Wallace venne fatto cavaliere da un importante conte scozzese, forse lo stesso Bruce, e nel 1298 fu nominato unico Guardiano del regno. Nella primavera di quell'anno, tuttavia, la rivolta provocò un'altra invasione inglese su vasta scala. Tra il 19 e il 20 luglio 1298 l'esercito inglese formato da 2000 cavalieri e 12.000 fanti si accampò vicino a Falkirk, nei possedimenti templari di Tempie Liston (dove ora si trova l'aeroporto di Edimburgo). Le forze di Edoardo erano appoggiate da un contingente di Templari e, cosa abbastanza significativa, comprendevano due alti dignitari dell'Ordine, il Maestro d'Inghilterra e il Precettore di Scozia. A quell'epoca, il Tempio non aveva ancora subito la persecuzione e non aveva particolare motivo di sentirsi minacciato. Nondimeno, il suo allineamento con il re inglese era quanto mai irregolare, un'anomalia che gli storici non hanno spiegato in modo soddisfacente. Ai Templari era sempre stato severamente vietato di partecipare a guerre secolari, specialmente contro un monarca cristiano. La loro unica ragion d'essere era impegnarsi in un tipo di conflitto molto specifico, la crociata, che veniva scrupolosamente definita come ostilità contro gl'infedeli. Gli scozzesi non erano certo infedeli e la Scozia era sotto la protezione papale. In verità, il vescovo Lamberton era appena stato confermato personalmente nella sua carica da papa Bonifacio Vili. L'unica spiegazione possibile è che le antiche pratiche celtiche e/o pagane fra i ribelli scozzesi avessero sufficiente importanza per giustificare una specie di "minicrociata" e quindi il coinvolgimento dei Templari. Comunque fosse, nella battaglia di Falkirk, il 22 luglio 1298, gli scozzesi vennero decimati. Le perdite inglesi furono trascurabili. In effetti, soltanto due personaggi importanti rimasero uccisi nelle loro file: i due alti dignitari del Tempio. In seguito alla sua sconfitta a Falkirk, Wallace fu costretto a dimettersi dalla carica di Guardiano, ma questo non pose fine alla rivolta. Nell'autunno del 1298 i ribelli designarono John Comyn e Robert Bruce a governare congiuntamente come Guardiani e a continuare la lotta. Tuttavia, i due cominciarono ben presto a litigare fra loro e l'attrito non soltanto li distolse da un'azione concertata
contro l'Inghilterra, ma per poco non causò la morte di Bruce. Perciò, nel 1299, al suo ritorno da Roma, il vescovo Lamberton venne nominato terzo Guardiano per fungere da arbitro fra i suoi compatrioti. In realtà, Lamberton simpatizzava fortemente per Bruce e si trovò ben presto invischiato in una controversia personale con Comyn. Disgustato da tutta questa discordia, Bruce si dimise, lasciando temporaneamente la Scozia nelle mani di Comyn e Lamberton, e si accinse a consolidare la sua posizione con altri mezzi, fra cui due importanti alleanze dinastiche. Poco dopo il 1290 Bruce aveva sposato Isabella, figlia del conte di Mar, mentre sua sorella, Christina, aveva sposato il fratello di Isabella, erede del titolo. Dal matrimonio con Isabella di Mar, Bruce aveva avuto una figlia, Marjorie, che nel 1315 avrebbe sposato Walter, figlio di James lo Stewart. Ma nel 1302, essendo morta Isabella, Bruce decise, con impressionante rapidità e opportunismo, di stringere una temporanea alleanza con gli inglesi. Sposò Elisabetta de Burgh, figlia del conte di Ulster, un leale sostenitore del re inglese. Fin dai tempi del regno di Dalriada, esisteva uno stretto rapporto, sia culturale che politico, fra l'Ulster e la contea di Carrick dello stesso Bruce. Tale legame è individuabile ancora oggi nella frequenza con cui "Carrick" figura come prefisso nei toponimi dell'Irlanda del Nord. Sposando la figlia del conte di Ulster, Bruce potè riallacciare i vecchi legami di fedeltà fra il proprio feudo in Scozia e le terre irlandesi possedute dagli antichi signori di Carrick. Adesso era in condizione di ottenere appoggio e rinforzi considerevoli dall'altra sponda del mare d'Irlanda. E grazie agli alleati in Ulster, poteva tenere aperta una via marittima d'importanza cruciale per ricevere rifornimenti e materiale bellico. Nel frattempo, la rivolta continuava senza di lui. Nella battaglia di Roslin, nel 1303, Comyn sconfisse un piccolo contingente inglese. Ma fu un successo di breve durata giacché nel 1304 Edoardo invase nuovamente la. Scozia, costringendo Comyn a sottomettersi e giurare fedeltà alla corona inglese. Nel 1305, la causa dell'indipendenza scozzese subì un altro grave colpo con la cattura di Wallace. Con una barbarie inusitata anche nel Medioevo,
Wallace fu letteralmente massacrato. Venne trascinato da un cavallo per quattro miglia da Westminster a Smithfield, castrato, impiccato, tirato giù dal patibolo mentre era ancora vivo, sventrato e decapitato. Il suo corpo venne smembrato in quattro pezzi che furono esposti in luoghi diversi.
L'assassinio di John Comyn Wallace era morto e Comyn era tenuto saldamente in pugno dagli inglesi. Ma nel marzo 1304, un anno prima della cattura di Wallace, il padre di Bruce era morto e Robert gli era succeduto come pretendente al trono in linea diretta. Tre mesi dopo, in giugno, aveva concluso un accordo segreto con il vescovo Lamberton. I termini dell'accordo non vennero mai resi pubblici, o enunciati esplicitamente, ma, per usare le parole di uno dei biografi di Bruce, G.W.S. Barrow, «parlava di oscuri "rivali" e "pericoli"».5 Ora è opinione generale che l'accordo includesse piani per una Scozia celtica indipendente, che Bruce avrebbe governato come sovrano, con l'appoggio di Lamberton. Tuttavia, prima di poter attuare tale progetto, bisognava togliere di mezzo John Comyn. La famiglia Comyn, che comprendeva le contee di Buchan e Monteith, era molto antica e poteva rivaleggiare con i Bruce quanto a potere e prestigio. John Comyn stesso, capo del ramo principale della casata, era, fra gli altri suoi titoli, lord di Lochaber, Badendoch e Tynedale. Sebbene avesse litigato con Bruce e Lamberton, la sua integrità di patriota scozzese non era mai stata messa in dubbio prima. Tuttavia, con la sua sottomissione a Edoardo d'Inghilterra nel 1304, era diventato vulnerabile e aveva prestato il fianco a critiche giustificate. I successivi eventi lasciano perplessi: in parte non furono spiegati nemmeno allora; in parte sembra che siano stati deliberatamente soppressi. Quel che è certo è che il 10 febbraio 1306, nella chiesa dei Frati Grigi a Dumfries, Bruce assassinò di propria mano il suo avversario. Comyn venne trafitto con un pugnale davanti all'altare maggiore e lasciato morire dissanguato sul pavimento di pietra della chiesa. Secondo vari resoconti, non morì subito e fu
portato al sicuro dai monaci, che tentarono di curare le sue ferite. Bruce, saputo questo, tornò nella chiesa, lo trascinò di nuovo davanti all'altare, e lì lo trucidò.6 Quando lo zio di Comyn tentò d'intervenire, fu a sua volta abbattuto dal cognato di Bruce, Christopher Seton. Scrivendo sessantanove anni dopo l'evento, John Barbour, l'unico cronista importante dell'epoca e primo biografo di Bruce, si mantenne stranamente sul vago a questo riguardo: stranamente, perché Barbour, in genere, è molto meticoloso e annota con precisione nomi, date e statistiche. Si dilunga abbastanza nella descrizione dell'assassinio di per sé, ma non dice praticamente nulla sulle sue possibili cause. Avanza l'ipotesi che Bruce e Comyn avessero stretto un patto contro gli inglesi che Comyn aveva tentato di rinnegare; ipotizza inoltre che i due uomini si fossero incontrati, più o meno accidentalmente, nella chiesa e che l'omicidio fosse stato commesso d'impulso, in un improvviso accesso d'ira provocato da accuse di tradimento. Ma poi lui stesso ammette che esistono altre spiegazioni, pur evitando accuratamente di dire quali.7 Storici successivi riconoscono che la questione doveva essere più complessa di quel che appare, ma le spiegazioni che hanno suggerito non sono adeguate. Vi sono aspetti nell'assassinio di Comyn che la violazione di un patto o l'antipatia di lunga data fra lui e Bruce non bastano a spiegare interamente. In primo luogo, esistono prove convincenti che l'assassinio di Comyn non fu un atto impulsivo di collera. Al contrario, sembra che fosse stato accuratamente premeditato, forse addirittura provato prima. Sembra che Comyn fosse stato attirato nella chiesa deliberatamente. Inoltre, era venuto sicuramente con una scorta di soldati suoi che, ad eccezione dello zio, assistettero all'omicidio senza fare nulla. Né è possibile ignorare la scena dell'omicidio. Le chiese, dopo tutto, erano considerate luoghi sacri che offrivano diritto di asilo. Era severamente proibito spargere sangue in una chiesa e questo tabù veniva osservato con rispettosa reverenza dagli uomini più potenti dell'epoca. Anche nelle rare occasioni in cui venivano commessi omicidi nelle chiese - quello di Tommaso Becket, ad
esempio - venivano generalmente usati speciali accorgimenti per evitare spargimenti di sangue. Il fatto che Bruce avesse usato un'arma cruenta come un pugnale, avesse trascinato di nuovo Comyn davanti all'altare dopo che era stato soccorso dai monaci e poi non mostrasse rimorso o pentimento, fa pensare a qualcosa di più di uno scatto d'ira. Suggerisce anche una sfida esplicita, persino ostentata, non soltanto all'autorità inglese a cui Comyn aveva giurato fedeltà, ma anche a Roma. Ancor più di un ripudio di Edoardo, l'assassinio di Comyn sembra indicare un ripudio del papato. Inoltre, reca il marchio inconfondibile di un'uccisione rituale: l'uccisione quasi cerimoniale di un candidato al trono da parte di un altro candidato, in terra consacrata, secondo la tradizione pagana arcaica. Nessuno a quel tempo poteva ignorare il possente simbolismo insito nell'atto di Bruce: un simbolismo così possente da trascendere, addirittura, l'atto stesso. Il papa reagì com'era prevedibile: Bruce venne sommariamente scomunicato e lo sarebbe rimasto per oltre un decennio. Eppure, cosa abbastanza significativa, la sua scomunica non fece alcuna impressione sul clero scozzese. Lamberton non pronunciò una parola di critica nei confronti del suo amico e alleato. Né lo criticò il vescovo di Glasgow, Wishart, l'ecclesiastico secondo per importanza nel paese a quell'epoca, nella cui diocesi aveva avuto luogo l'assassinio. Semmai, entrambi i prelati sembrano aver previsto e approvato la condotta di Bruce. Per tornare a G.W.S. Barrow: «Non sembra avventato supporre che Wishart sapesse in anticipo quando approssimativamente sarebbe stato attuato il colpo».8 Morto Comyn, Bruce rivendicò immediatamente il trono. Lamberton lo appoggiò e così pure Wishart. In verità, Bruce. avendo eliminato il rivale, partì subito per Glasgow, dove Wishart lo ricevette per intavolare con lui discussioni ad alto livello. E quando Bruce intraprese una nuova campagna contro gli inglesi, sia Lamberton che Wishart, infischiandosene sfacciatamente di Roma, la esaltarono come una vera e propria crociata. Con questa benedizione ecclesiastica, Bruce andò alla conquista dei castelli che dominavano il Firth of Clyde e difendevano le vie di rifornimento verso l'Ulster e le Isole
occidentali. Come ad un segnale convenuto, il vescovo Wishart rispolverò i vecchi abiti e i paludamenti regali, oltre a uno stendardo con le armi dell'antica casa reale celtica. Frattanto, Lamberton, che avrebbe dovuto presiedere il consiglio inglese delegato a governare la Scozia con sede a Berwick, si eclissò. Ricomparve a Scone, dove, sei settimane dopo la morte di Comyn, incoronò formalmente Bruce, celebrò una messa per il nuovo monarca, gli rese omaggio e giurò fedeltà. Gli storici concordano che, a prescindere dalle circostanze legate all'assassinio di Comyn, questi eventi dovevano essere stati organizzati in precedenza. In realtà, vi furono due incoronazioni distinte e separate. Apparentemente la prima, di cui rimangono pochi dettagli, fu più o meno convenzionale ed ebbe luogo il 25 marzo 1306 nella chiesa abbaziale di Scone. Lamberton celebrò il rito, assistito da Wishart, dal vescovo Murray di Moray, dagli abati di Scone e Inchaffray, dai conti di Lennox, Monteith, Athol e probabilmente di Mar. La seconda incoronazione si svolse due giorni dopo e in tale occasione Bruce venne posto sul trono di Scone secondo l'antica usanza celtica. Tradizionalmente, avrebbe dovuto essere accompagnato al seggio regale dal nobile più importante del paese, il conte di Fife, che per secoli aveva svolto questo ruolo nelle incoronazioni dei re scozzesi. Questa volta, però, il conte di Fife era appena divenuto maggiorenne ed era totalmente dominato da Edoardo d'Inghilterra. Di conseguenza, la funzione del ragazzo venne svolta da sua sorella Isabella, moglie del conte di Buchan, uno dei cugini di Comyn, che venne a nord dai suoi possedimenti in Inghilterra apposta per partecipare alla cerimonia. In passato, gli storici sono stati propensi a considerare la carriera di Bruce e la sua campagna per l'indipendenza scozzese come essenzialmente politiche piuttosto che culturali. Di conseguenza, l'elemento celtico è stato largamente ignorato e Bruce è stato dipinto come un tipico potentato normanno dell'epoca: «Solo in tempi relativamente recenti il contributo della Scozia "celtica" alla lotta è stato giustamente valutato».9Ora, in effetti, appare evidente che il suo contributo fu determinante. In qualità di
capo specificamente celtico, teso a restaurare un antico regno celtico, Bruce non condusse una campagna puramente politica, ma anche culturale ed etnica. Così, ad esempio, nel 1307, quando Edoardo giaceva sul letto di morte, i propagandisti di Bruce diffusero storie di una presunta profezia di Merlino. Secondo tale profezia, i popoli celtici, alla morte di Edoardo, si sarebbero uniti, avrebbero ottenuto l'indipendenza, creato il proprio regno (esteso presumibilmente al di là del mare d'Irlanda) e sarebbero vissuti in pace tutti insieme.10 Tali profezie, tuttavia, erano decisamente premature. Sia l'Inghilterra che Roma reagirono prontamente all'incoronazione di Bruce; infatti, l'Inghilterra vedeva la restaurazione di una monarchia celtica come una minaccia politica e Roma come qualcosa di ancora più pericoloso: la possibile resurrezione in Scozia della vecchia Chiesa celtica, potenzialmente eretica, o, peggio ancora, un ritorno al paganesimo pre-cristiano. L'indifferenza generale con cui era stata accolta in Scozia la scomunica di Bruce era allarmante. Così pure la noncuranza con cui vennero accolti ulteriori fulmini papali. Era più difficile ignorare la reazione inglese. Ormai, l'appoggio di cui godeva Bruce era considerevole. Comprendeva, in aggiunta ai più eminenti conti di Scozia, famiglie importanti come i Fraser, gli Hay, i Campbell, i Montgomery, i Lindsay e i Seton, alcuni dei quali figureranno più avanti in questa storia. Ma tale appoggio non fu comunque sufficiente a bloccare l'avanzata dell'esercito inglese quando scese di nuovo in campo. Il 19 giugno 1306, nella battaglia di Methven, Edoardo colse di sorpresa gli scozzesi prima dell'alba e inflisse loro una sconfitta schiacciante. Il conte di Athol venne catturato e giustiziato, come pure Simon Fraser, Neil Bruce, Christopher Seton e suo fratello John. Nemmeno le signore associate alla causa di Bruce sfuggirono all'ira inglese. Isabella, contessa di Buchan, che aveva partecipato all'incoronazione celtica di Bruce, fu rinchiusa in una gabbia appesa a un muro esterno del castello di Berwick e tenuta lì per quattro anni, fino al 1310. La sorella di Bruce, Mary, fu imprigionata in una gabbia simile in una torre di Roxburgh Castle e venne liberata solo nel 1314. Marjorie,
la figlia dodicenne di Bruce, fu inizialmente condannata a essere rinchiusa in una terza gabbia, questa volta nella Torre di Londra, ma il buon senso o una qualche influenza prevalse e fu invece relegata in un convento. Per vari storici, il «carattere maniacale della vendetta di re Edoardo si è sempre manifestato soprattutto nel trattamento da lui riservato alle prigioniere di sesso femminile».11Ma bisogna ricordare la particolare posizione occupata dalle donne nelle società celtiche, come sacerdotesse, profetesse, depositarie e tramiti di linee di sangue regali. A Edoardo, le donne della cerchia di Bruce dovevano sembrare più simili alle streghe di Macbeth che alle castellane normanne. Sbaragliato il suo esercito, Bruce stesso fu costretto a fuggire e a cercare rifugio prima nelle montagne del Perthshire e poi nell'Argyll. Da lì fuggì nel Kintyre e poi per mare fino all'isola di Rathlin, al largo della costa dell'Ulster. Qui sappiamo che trascorse parte dell'inverno del 13061307, ma gli altri suoi movimenti e attività anteriori al febbraio 1307 sono incerti. Tuttavia, è ragionevole supporre che trascorresse almeno parte del tempo nell'Ulster propriamente detto, sfruttando la vecchia alleanza Ulster-Carrick e sollecitando l'appoggio irlandese. Riuscì sicuramente ad ottenerlo giacché, quando riapparve, era accompagnato da vari nobili irlandesi e dai loro seguaci. Bruce tornò a Carrick nel febbraio 1307 con rinforzi cospicui e riprese le operazioni contro gli inglesi. Contrariamente alle profezie, la morte di Edoardo in luglio non interruppe le ostilità molto a lungo. Per i sette anni successivi - l'esatto periodo durante il quale i Templari venivano perseguitati nel continente e in Inghilterra - la guerra in Scozia sarebbe continuata con brevi pause sporadiche. In una riunione del Parlamento di Saint Andrews nel 1309, Bruce venne ufficialmente designato re degli scozzesi. Da questo momento in poi, fu effettivamente il sovrano di tutta la Scozia e come tale fu riconosciuto dal suo popolo, dagli altri capi di Stato, da tutti tranne che dal papa che lo aveva scomunicato e dal nuovo re d'Inghilterra, Edoardo II. Quest'ultimo era deciso come suo padre a sottomettere gli scozzesi e ad annettere il loro
regno ai suoi domini. Nell'inverno del 1310-11 Edoardo lanciò una nuova offensiva. Dall'esperienza di Methven, Bruce aveva imparato a non affrontare l'avversario in una battaglia campale pianificata. Le sue truppe erano invariabilmente inferiori di numero e, in particolare, gli mancavano i cavalieri, le truppe a cavallo munite di armi e corazze pesanti che, andando alla carica nel momento critico, potevano aprirsi a forza un varco in mezzo ai più tenaci oppositori. Di conseguenza, preferì ricorrere a rapide incursioni, condotte da uomini protetti da corazze leggere e montati su cavalli leggeri ma veloci e maneggevoli: in pratica, la tattica usata dai saraceni in Terra Santa. Fece anche molto assegnamento su arcieri provetti. Nello stesso tempo, gli scozzesi cominciavano a dare prova di una resistenza molto più dura, di una disciplina molto più rigorosa e di un'abilità guerresca molto più sofisticata. Inoltre, nel gennaio 1310 ricevettero considerevoli carichi di armi, equipaggiamento e materiale dall'Irlanda. Questo traffico era ormai così esteso da indurre Edoardo a emanare un proclama irato: Il re ordina al Cancelliere e Tesoriere d'Irlanda di promulgare un editto in tutte le città e in tutti i porti [...] che vieta, sotto pena delle massime sanzioni, tutta l'esportazione di viveri, cavalli, armature e altri rifornimenti [...] agli insorti scozzesi, esportazione che viene effettuata da mercanti in Irlanda, secondo quanto egli ha appreso.12
Eppure, come gli storici perplessi hanno giustamente fatto notare, l'Irlanda non disponeva di un'industria militare su scala più vasta di quella scozzese. Tutte le armi e le armature presenti in Irlanda potevano provenire solo dal continente. Può darsi, naturalmente, che la maggiore efficienza dell'esercito scozzese fosse la naturale conseguenza del lungo conflitto per cui gli uomini divenivano progressivamente più temprati ed esperti. Ma può anche darsi che contingenti delle forze scozzesi venissero già istruiti e addestrati da profughi Templari che erano, dopo tutto, le soldatesche più disciplinate e professionali d'Europa a quell'epoca e che avrebbero potuto portare con loro dalla Terra Santa il genere di tattica saracena che ora
Bruce aveva adottato. Quanto alle armi che dal continente prendevano la via dell'Irlanda e da lì giungevano in Scozia, è difficile immaginare un canale più probabile per tale traffico del Tempio, le cui istallazioni in Irlanda, quando vennero razziate dalle autorità reali, risultarono, come vedremo, praticamente prive di armamenti.
Bannockburn e i Templari La battaglia di Bannockburn, che avrebbe avuto un'importanza decisiva per l'indipendenza scozzese, non fu il risultato di abili manovre strategiche, ma di un punto d'onore medievale quasi pittoresco. Verso la fine del 1313 una piccola guarnigione inglese si trovò cinta d'assedio dal fratello di Bruce, Edward, a Stirling Castle, la porta d'accesso agli Highlands e all'Argyll. L'assedio si prolungava indefinitamente e, non volendo sprecare risorse, Edward Bruce accettò le condizioni proposte dai difensori del castello: se, entro metà estate dell'anno successivo, nessun esercito inglese fosse apparso nel raggio di tre miglia da Stirling, la guarnigione si sarebbe arresa. Era il genere di sfida che re Edoardo d'Inghilterra non poteva onorevolmente rifiutare. E così Robert Bruce fu obbligato da suo fratello ad affrontare proprio il tipo di battaglia pianificata che aveva accuratamente evitato dopo Methven, nel 1306. Apparentemente obiettivo del sovrano inglese era liberare Stirling dall'assedio. Tuttavia, la stessa dimensione del suo esercito lasciava intendere che i suoi veri obiettivi erano assai più ambiziosi: annientare gli scozzesi, sconfiggere Bruce una volta per tutte e occupare militarmente la Scozia. I cronisti contemporanei parlano di un esercito inglese formato da 100.000 uomini. Si tratta ovviamente di un'esagerazione tipica della mentalità medievale. Nondimeno, i ruolini dell'epoca mostrano che Edoardo chiamò alle armi 21.640 fanti.13 Non tutti, naturalmente, sarebbero arrivati in Scozia, dopo l'inevitabile decimazione causata dalle diserzioni e dalle malattie. Ma quelli che vi arrivarono sarebbero stati integrati da circa 3000 cavalieri, ciascuno con il proprio seguito di uomini addestrati. Gli storici moderni
convengono che le forze inglesi dovevano contare almeno 20.000 uomini. Una simile cifra avrebbe assicurato loro una superiorità numerica di tre a uno: un rapporto che risulta anche dalle cronache del tempo. Si ritiene che gli scozzesi fossero da 7000 a 10.000, con circa 500 nobili a cavallo o cavalieri, muniti di armi e armature molto meno pesanti dei loro equivalenti inglesi. Si discute ancora sul luogo preciso della battaglia di Bannockburn, ma si sa che distava circa due miglia e mezzo da Stirling Castle. Lo scontro principale avvenne il 24 giugno 1314. La data è interessante, giacché il 24 giugno è la festa di san Giovanni, un giorno particolarmente significativo per i Templari. I dettagli di quello che avvenne esattamente a Bannockburn sono vaghi. Nessun resoconto di testimoni oculari è giunto fino a noi e le testimonianze di seconda o terza mano che ancora esistono sono distorte e confuse. Viene generalmente accettato che il giorno prima vi furono delle schermaglie e che Bruce, in una classica singoiar tenzone, uccise il cavaliere inglese Henry de Bohun. Quasi tutti gli storici convengono che l'esercito scozzese era composto quasi interamente da fanti armati di picche, lance e scuri. Convengono anche che nelle file scozzesi soltanto gli uomini a cavallo erano armati di spada e che Bruce ne aveva pochi: certamente inferiori di numero, peso di equipaggiamento e mole di cavalli rispetto ai cavalieri inglesi. Eppure, paradossalmente, il cronista inglese del XIV secolo John Barbour afferma che Bruce «...dai Lowlands poteva vantare una grande schiera di uomini con l'armatura».14 Dalle poche informazioni che rimangono sulla battaglia, sembra effettivamente che, a un certo punto, gli arcieri inglesi siano stati caricati da soldati a cavallo che, fino allora, erano stati tenuti di riserva come parte della divisione personale di Bruce. Ma quello che colpisce di più nelle cronache è l'intervento decisivo - quando tutte le unità scozzesi erano già impegnate e le sorti dell'intera battaglia erano in bilico - di quella che gli inglesi consideravano una "forza fresca" e che sbucò improvvisamente a bandiere spiegate dalle retrovie scozzesi. Secondo alcuni resoconti, questo contingente fresco era
formato da yeomen*, ragazzi, civili al seguito dell'esercito e altro personale non combattente che gli inglesi scambiarono per truppe regolari. Avevano presumibilmente eletto un comandante fra i loro stessi ranghi, ricavato bandiere improvvisate dalle lenzuola, si erano muniti di armi fabbricate da loro e, come una colonna di volontari, si erano gettati nella mischia. È una storia romantica e commovente che fa molto onore al patriottismo scozzese, ma non suona veritiera. Se l'intervento fosse stato realmente così spontaneo, così improvvisato e così inatteso, avrebbe colto di sorpresa tanto gli scozzesi quanto gli inglesi. Il fatto che non provocasse alcun scompiglio nei ranghi scozzesi lascia supporre che l'intervento fosse previsto. Né è facile immaginare i cavalieri inglesi, con le loro pesanti armature, in fuga davanti a un attacco di uomini appiedati, ammesso pure che scambiassero un'orda di contadini e di civili per soldati di professione. Tutto sembra indicare che l'intervento decisivo venne effettuato da una riserva di uomini a cavallo. Chi potevano essere questi ignoti cavalieri? L'improvvisa irruzione di una forza fresca, qualunque fosse la sua identità, dopo un giorno di combattimento che aveva sfinito sia l'esercito inglese sia quello scozzese, decise l'esito della battaglia. Nelle file inglesi si diffuse il panico. Re Edoardo, insieme con 500 cavalieri, fuggì improvvisamente dal campo. Demoralizzati, i fanti inglesi lo seguirono senza indugio e la ritirata si trasformò rapidamente in una vera e propria rotta: l'intero esercito inglese abbandonò i viveri, le salmerie, il denaro, il vasellame d'oro e d'argento, le armi, le armature e l'equipaggiamento. Ma, mentre alcune cronache parlano di un orrendo massacro, in realtà sembra che le perdite inglesi non fossero molto elevate. Dagli archivi risulta che furono uccisi soltanto un conte e trentotto baroni e cavalieri. Apparentemente la disfatta degli inglesi non fu causata dalla ferocia degli assalitori scozzesi, che erano riusciti a fronteggiare, ma dalla paura pura e semplice. È difficile credere che contadini e civili potessero incutere un simile terrore, ma un contingente di Templari, anche piccolo, certamente sì. Chiunque fossero i misteriosi
intrusi, dovettero risultare immediatamente riconoscibili: proprio come "Templari", con le loro barbe, i loro mantelli bianchi e/o il loro vessillo bianco e nero noto come il Beauséant ["Valgo per cento"]. Se fossero stati effettivamente riconosciuti come tali e se la notizia della loro presenza si fosse sparsa nelle file inglesi, il risultato sarebbe stato appunto quel tipo di panico. Ma perché i Templari non vengono menzionati nelle cronache, se ebbero un ruolo così importante a Bannockburn? In realtà, vi sarebbero state parecchie ragioni per una simile reticenza. Dal punto di vista inglese, quello che era accaduto era troppo ignominioso per parlarne e perciò i resoconti inglesi tacciono sulla battaglia. Quanto agli scozzesi, erano tutti tesi a dipingere Bannockburn come un trionfo della loro gente, della loro cultura, del loro nazionalismo; e questo trionfo sarebbe stato in certa misura offuscato da eventuali accenni a un intervento esterno. Inoltre, Bruce aveva ragioni politiche molto precise per celare la presenza di profughi Templari nei suoi domini. Sebbene fosse ancora scomunicato, nel 1314 era anche ansioso di avere l'appoggio della Chiesa e non poteva rischiare di inimicarsi ulteriormente il papato. Ancor meno poteva rischiare d'indurre il papa a predicare una grande crociata contro la Scozia. Qualcosa del genere era avvenuto in Linguadoca esattamente un secolo prima e le conseguenti razzie, durate una quarantina d'anni, erano ancora fresche nella memoria della gente. Per di più, il suo principale sostenitore europeo era Filippo IV di Francia, proprio l'uomo che per primo aveva fomentato la persecuzione dei Templari. Dopo la battaglia, uno speciale riconoscimento venne conferito a un vassallo di Bruce in particolare, Angus Og MacDonald: Si dice che il tradizionale diritto dei MacDonald di combattere nell'ala destra dell'esercito reale - un posto d'onore - sia stato concesso da Bruce ad Angus Og in riconoscimento della parte avuta da lui e dai suoi uomini nel successo di Bannockburn.15
Una parte del territorio intorno a Kilmartin, Loch Awe e Loch Sween era dominio reale sotto l'amministrazione del balivo, sir Neil Campbell, cognato di Bruce. Tutto il resto
apparteneva ai MacDonald. Eventuali Templari insediati nella regione avrebbero naturalmente combattuto sotto il comando nominale di Angus Og. Bannockburn fu una della mezza dozzina di battaglie decisive del Medioevo e probabilmente la più grande mai combattuta sul suolo britannico. Mise drasticamente fine alle mire inglesi sulla Scozia, che per i successivi 289 anni sarebbe rimasta un regno indipendente. Quando, all'inizio del XVII secolo, i due paesi vennero uniti sotto un unico sovrano, non fu per diritto di conquista, ma per eredità. Tuttavia, i rimanenti quindici anni di regno di Bruce sarebbero stati ancora tempestosi, malgrado Bannockburn. Siccome non aveva eredi maschi, era particolarmente difficile designare il suo successore. Nel 1315, circa dieci mesi dopo Bannockburn, venne finalmente scelto suo fratello, Edward. Un mese dopo, Edward Bruce s'imbarcò per l'Irlanda, dove a Dunkalk, nel maggio dell'anno seguente, fu incoronato re di quel paese. Sarebbe stato così in condizione di unire l'Irlanda e la Scozia, secondo l'antico sogno celtico. Tuttavia, nell'ottobre 1318, egli morì e la successione dei due troni rimase di nuovo vacante. In dicembre si stabilì che alla morte di Bruce il trono scozzese sarebbe passato a suo nipote, Robert, figlio di Marjorie Bruce e di Walter lo Stewart. Il 6 aprile 1320 fu emanato uno straordinario documento: la cosiddetta Declaration of Arbroath. Prese la forma di una lettera commissionata e sottoscritta da otto conti e trentuno altri nobili, fra cui i rappresentanti delle famiglie Seton, Sinclair e Graham. Questa lettera adombrava la leggendaria storia degli scozzesi dalle loro presunte origini nella Scizia e la loro conversione ad opera di sant'Andrea. Descriveva Robert Bruce come il loro liberatore e lo salutava (con paragoni biblici tradizionalmente cari ai Templari) come «un secondo Maccabbeo o Giosuè». Più importante, tuttavia, è la proclamazione dell'indipendenza della Scozia e la notevole e sofisticata modernità con cui viene definito il rapporto fra il re e il suo popolo: La divina provvidenza, il diritto di successione secondo le leggi e gli usi del regno [...] e il debito e legale consenso e assenso di tutto il popolo,
fanno di luì il nostro re e principe. A lui siamo obbligati e decisi ad aderire in tutte le cose, in considerazione del suo diritto e del suo proprio merito, essendo la persona che ha restituito sicurezza al popolo difendendo le sue libertà. Ma se, dopo tutto, questo principe abbandonerà questi princìpi che ha così nobilmente perseguito, e consentirà che noi o il nostro regno veniamo assoggettati al re o al popolo d'Inghilterra, ci adopreremo immediatamente per espellerlo come nostro nemico e come sovvertitore dei suoi e dei nostri diritti e designeremo un altro re che difenderà le nostre libertà.16
Bruce, in altre parole, non era re per "diritto divino", ma solo in rapporto al vincolo di assolvere i doveri inerenti al suo ufficio. Nel contesto dell'epoca era una definizione insolitamente progredita della sovranità. Nel 1322 Edoardo II lanciò senza troppo entusiasmo la sua ultima spedizione contro la Scozia. Finì nel nulla e Bruce compì una serie di incursioni nello Yorkshire a titolo di rappresaglia. Nel 1323 i due paesi conclusero una tregua che sarebbe dovuta durare tredici anni e invece ne durò appena quattro. Nel frattempo Bruce si era impegolato in un nuovo contrasto con il papato, allora alle prese con il proprio scisma, la cosiddetta "cattività avignonese". Da qualche tempo, Edoardo d'Inghilterra desiderava fortemente liberare la Chiesa scozzese dai suoi potenti vescovi nazionalisti: prelati come Lamberton di Saint Andrews, Wishart di Glasgow e William Sinclair di Dunkeld (fratello di sir Henry Sinclair di Rosslin, firmatario della Declaration of Arbroath ). A tale scopo il re inglese aveva chiesto insistentemente a successivi papi di non consacrare nuovi vescovi della Chiesa scozzese che fossero nativi del luogo. Trovò ascolto favorevole in Giovanni XXII, insediato ad Avignone. Bruce, tuttavia, si schierò con i propri vescovi sfidando i desideri del pontefice e nel 1318 venne nuovamente scomunicato insieme con James Douglas e con il conte di Moray. Un anno dopo, il papa ordinò ai vescovi di Saint Andrews, Dunkeld, Aberdeen e Moray di comparire dinanzi a lui e di spiegarsi. Lo ignorarono e nel giugno 1320 furono anch'essi scomunicati. Durante tutta questa contesa, il papa aveva persistito nel rifiuto di riconoscere Bruce come re, rivolgendosi puntigliosamente a lui soltanto come al «reggitore del regno di Scozia». Infine, nel 1324, papa Giovanni XXII cedette e Bruce venne riconosciuto sovrano
agli occhi della Chiesa. Nel 1329 Bruce morì e gli succedette, come egli stesso aveva stabilito, suo nipote Roberto II, il primo della dinastia Stuart. Prima di morire, aveva espresso il desiderio che il proprio cuore venisse asportato, rinchiuso in uno scrigno, portato a Gerusalemme e sepolto nella chiesa del Santo Sepolcro. Quindi, nel 1330, sir James Douglas, sir William Sinclair, sir William Keith e almeno altri due cavalieri s'imbarcarono per la Terra Santa. Douglas portava appeso al collo uno scrigno d'argento con dentro il cuore di Bruce. Il loro itinerario li condusse in Spagna, dove conobbero il re Alfonso XI di Castiglia e Léon e poi furono con lui nella sua campagna contro i Mori di Granada. Il 25 marzo 1330, nella battaglia di Tebas de Ardales, gli scozzesi, che cavalcavano alla testa delle truppe, vennero circondati. Secondo la cronaca del XIV secolo, Douglas si sfilò dal collo lo scrigno con il cuore di Bruce e lo scagliò contro gli attaccanti gridando: Cuore impavido, che sempre primo fosti, Avanti! com'è tuo costume. E io Ti seguirò, oppure morirò!17
Sorge il dubbio che Douglas, nel furore della mischia avesse il tempo o la voglia di comporre i suoi pensieri in versi. Tuttavia, avendo scagliato il cuore di Bruce contro il nemico, lui e i suoi compagni scozzesi lo seguirono, gettandosi a capofitto in mezzo agli avversari. Morirono tutti ad eccezione di sir William Keith, che si era fratturato un braccio prima della battaglia e perciò non vi prese parte. Si dice che recuperasse il cuore miracolosamente intatto nel suo scrigno e lo riportasse con sé in Scozia. Venne sepolto a Melrose Abbey, sotto la finestra orientale del coro. All'inizio del XIX secolo, la tomba di Bruce a Dunfermline Abbey fu aperta. Secondo le tradizioni popolari più diffuse all'epoca di sir Walter Scott, si trovarono le ossa delle gambe accuratamente incrociate subito sotto il teschio. In realtà non fu così; apparentemente il cadavere non mostrava nulla d'insolito.18 Ma le tradizioni sono indicative. È chiaro che qualcuno aveva un particolare interesse a collegare Bruce con il teschio e tibie incrociate della
Massoneria.
1 Duncan, Scotland: The Making of the Kingdom, p. 111. * Nobile, (n.d.t.) 2 Platts, Scottish Hazard, pp. 139-43. 3 L'iscrizione era riportata in latino come segue: «Ni fallat vatum Scoti hunc quocunque locatum/Invenient lapidem, regnare tenentur ibidem». («A meno che il profeta s'inganni, il Regno degli Scoti sopravviverà dovunque troveranno collocata questa pietra».). Cfr. Dart, West-monasterium, III, cap. 1, p. 12. 4 Edoardo stesso fu accusato di necromanzia dagli scozzesi: Dicevan gli uomini che in segreto nutriva Uno spirito che risposta a lui dava Ad ogni domanda che gli aggradava. Cfr. Barbour, The Bruce, p. 113. 5 Barrow, Robert the Bruce, p. 184. 6 Ivi, p. 208 (cita The Chronicle of Walter of Guisborough, p. 367). 7 Barbour, The Bruce, cìt., p. 66. Eppure, vi son uomini che dicono Il conflitto andò diversamente. Ma qualunque fu la causa della lite Egli morì per quella, io lo so bene 8 Barrow, op. cit., p. 210, nota 3. 9 Mackay, Atlit Map, p. 93. 10 Ivi, p. 102. 11 Barrow, op. cit., p. 229. 12 14 gennaio 1310, Berwick. Vedi Calendar of Documents Relating to Scotland, vol. III, p. 190. 13 Barrow, op. cit., p. 293. 14 Barrow, op. cit., p. 269. * Gli yeomen erano uomini liberi, ma non nobili che possedevano terreni e prestavano qualche ufficio. (n.d.t.) 15 MacDonald, The History of Argyll, p. 141. 16 Barrow, op. cit., p. 428 (cita una copia stampata nel 1688). 17 Barbour, op. cit., p. 468. 18 Rapporto di Henry Jardine in Transactions of the Society of Antiquaries of Scotland, vol. II, 1822, pp. 442-43.
Monaci militari: i Cavalieri Templari
Anche prima del loro scioglimento, i Cavalieri Templari erano avvolti in strani miti e leggende, oscure dicerie, sospetti e superstizioni. Nei secoli successivi alla loro soppressione, l'aureola mistica che li circondava crebbe e il mistero genuino fu sempre più avviluppato in un falso mistero. Durante il Settecento e l'Ottocento, come vedremo, la Massoneria tentava assiduamente di stabilire che l'origine di certi suoi riti risaliva ai Templari. Nello stesso periodo cominciarono ad apparire altre organizzazioni neo-templari che affermavano anch'esse di derivare dall'Ordine originario. Oggi esistono non meno di cinque organizzazioni che rivendicano una discendenza diretta di qualche tipo dai monaci-guerrieri medievali dal bianco mantello. E malgrado il cinismo e lo scetticismo del nostro tempo, anche per gli estranei c'è qualcosa di affascinante, persino di romantico, nei mistici-soldati di settecento anni fa, con la loro bandiera nera e bianca e la
caratteristica croce rossa svasata. Sono entrati a far parte del nostro folclore e della nostra tradizione; stimolano la fantasia non soltanto come crociati, ma come qualcosa di molto più enigmatico ed evocativo: come tessitori d'intrighi e negoziatori ad alto livello, come custodi di favolosi tesori, come stregoni e iniziati all'arcano, come depositari di una conoscenza segreta. Il tempo ha reso loro un servizio migliore di quanto essi stessi, nel pieno delle loro ultime tribolazioni, avrebbero mai potuto prevedere. Il tempo, tuttavia, ha anche nascosto l'identità e il carattere degli esseri umani dietro l'esotico velo romantico: gli esseri umani e la vera natura dell'istituzione da essi creata. Ad esempio, sussistono ancora interrogativi su quanto ortodosse o eretiche fossero realmente le credenze dei Templari. Sussistono interrogativi su quanto colpevoli fossero dei reati di cui erano accusati. Sussistono interrogativi sulle attività interne ad alto livello dell'Ordine, sui suoi grandiosi disegni segreti, sul suo progetto di creare uno Stato templare, sulla sua politica tesa a riconciliare il cristianesimo, il giudaismo e l'Islam. Sussistono interrogativi sulle influenze che modellarono l'Ordine, sul "contagio" dell'eresia dei Catari e sull'impatto delle forme più vecchie, non-paoline del pensiero cristiano incontrate dai Cavalieri in Terra Santa. Sussistono interrogativi su dove fosse finita la ricchezza accumulata da questi "soldati di Cristo" teoricamente poveri: una ricchezza che i re cercarono di rapinare e che scomparve senza lasciare traccia. Sussistono interrogativi sui rituali dei Templari e sul misterioso "idolo" che si supponeva
adorassero sotto l'enigmatico nome di "Baphomet". E sussistono interrogativi sulla presunta conoscenza segreta di cui si riteneva che almeno i ranghi più alti dell'Ordine fossero partecipi. Qual era la natura di tale conoscenza? Era veramente "occulta" e implicava pratiche magiche, riti osceni e blasfemi, come asseriva l'Inquisizione? Era politica e culturale, attinente, ad esempio, alle origini del cristianesimo? Era scientifica e tecnologica e abbracciava cose come le droghe, i veleni, la medicina, l'architettura, la cartografia, la navigazione e le vie commerciali? Quanto più da vicino si esaminano i Templari, tanto più questi interrogativi tendono a proliferare, anziché trovare risposta. Come abbiamo notato, la storia dei Templari coincide quasi esattamente con quella del regno celtico feudale di Scozia, dall'epoca di Davide I a quella di Bruce. A un esame superficiale sembrerebbe che vi fosse poco altro in comune fra la monarchia scozzese e l'Ordine militarereligioso creato in Terra Santa. Eppure esistono varie connessioni fra di loro, alcune dettate dalla geopolitica del mondo medievale, altre da fattori più vaghi che non sono mai stati indicati con precisione. Nel 1314 queste connessioni avrebbero reso del tutto possibile una presenza dei Templari a Bannockburn.
L'ascesa dei Templari Secondo la maggioranza delle fonti, i Cavalieri Templari - i Poveri Cavalieri del Tempio di Salomone - furono creati nel 1118, sebbene validi indizi inducano a credere che
esistessero già almeno quattro anni prima.1 Apparentemente la loro finalità era proteggere i pellegrini in Terra Santa. Tuttavia, i dati di fatto sembrano dimostrare che questo scopo dichiarato era una facciata e che i cavalieri erano impegnati in un disegno geopolitico molto più vasto e ambizioso che coinvolgeva l'Ordine cistercense, san Bernardo e il conte Hugues di Champagne, uno dei primi patroni e sostenitori sia dei cistercensi che dei Templari. Il conte divenne egli stesso un Templare nel 1124 e il primo Gran Maestro dell'Ordine fu uno dei suoi vassalli, Hugues de Payens. Uno dei membri fondatori fu lo zio di san Bernardo, André de Montbard. Fino al 1128 - quattro anni dopo che Davide I divenne re di Scozia - si diceva che i Templari contassero soltanto nove cavalieri, sebbene gli archivi mostrino parecchie altre reclute. Oltre a Hugues de Champagne, questi comprendevano Folco, conte d'Angiò, padre di Goffredo Plantageneto e nonno di Enrico II d'Inghilterra. Nondimeno, sembra che inizialmente il numero degli iscritti all'Ordine fosse relativamente modesto. Poi, al Concilio di Troyes svoltosi sotto gli auspici di san Bernardo, ai Templari fu data una regola monastica, equivalente, per così dire, a una costituzione ed ebbero così veste ufficiale. Rappresentavano un fenomeno nuovo: «Per la prima volta nella storia del cristianesimo, dei soldati sarebbero vissuti come monaci».2 Dal 1128 in poi, l'Ordine si ampliò con straordinaria velocità, ricevendo non soltanto un massiccio afflusso di
reclute, ma anche immense donazioni sia di denaro che di beni immobili. Nel giro di un anno, i Templari divennero proprietari di terre in Francia, Inghilterra, Scozia, Spagna e Portogallo. Nel giro di un decennio, i loro possedimenti si estesero all'Italia, Austria, Germania, Ungheria e Costantinopoli. Nel 1131, il re di Aragona lasciò loro in eredità un terzo dei suoi domini. A metà del XII secolo, il Tempio aveva già incominciato ad affermarsi come la singola istituzione più ricca e potente della cristianità, con la sola eccezione del papato. Negli anni immediatamente successivi al Concilio di Troyes, Hugues de Payens e altri membri fondatori dell'Ordine viaggiarono in lungo e in largo in Europa, promuovendo tutto, da loro stessi ai pregi dei feudi comuni in Palestina. Si sa che Hugues e almeno uno dei suoi compagni andarono sia in Inghilterra che in Scozia. Secondo la Cronaca anglosassone, quando Hugues visitò Enrico I: [...] il re lo ricevette con molto onore e gli diede ricchi doni d'oro e d'argento. E dopo lo inviò in Inghilterra; e lì venne ricevuto da tutti gli uomini dabbene che gli dettero doni e così pure in Scozia [...] Ed egli invitò la gente a venire a Gerusalemme; e vi andarono con lui e dopo di lui più persone di quante non vi fossero mai andate prima.3
Durante questa prima visita, Philip de Harcourt conferì all'Ordine il possedimento di Shipley in Essex. Si ritiene che quello di Dover (i ruderi della chiesa sono visibili ancora oggi) risalga alla stessa epoca.
Come Gran Maestro, Hugues de Payens procedette alla designazione di un maestro regionale per ciascuna delle "province" del Tempio, come venivano chiamate le enclavi di proprietà dell'Ordine in ogni paese. Il primo Maestro d'Inghilterra, di cui si sa ben poco, era un certo Hugh d'Argentein. Gli succedette prima un giovane cavaliere normanno, Osto de Saint Omer, che rimase in carica fino al 1153-54, poi Richard de Hastings. Sotto questi due maestri, i Templari in Inghilterra s'imbarcarono in una delle loro imprese più innovative: la traduzione di parte del Vecchio Testamento in volgare. Questa versione del Libro dei Giudici prese la forma di un romanzo cavalleresco: Giosuè e i suoi baldi cavalieri.4 I rapporti fra i Templari e i reggitori dei reami in cui possedevano terre erano di varia natura. In Francia, per esempio, le relazioni furono sempre difficili, anche nei momenti migliori. Viceversa, in Spagna, furono sempre ottime. Anche in Inghilterra l'Ordine ebbe per lo più un cordiale rapporto con la monarchia. Come abbiamo visto, Enrico I ricevette i primi Cavalieri a braccia aperte, mentre Stefano, che s'impadronì del potere nel 1135, era figlio del conte di Blois, uno dei capi della prima crociata, e quindi guardava con particolare favore alle attività dei Templari in Terra Santa. Sotto i suoi auspici, la rete di Case cominciò a diffondersi in tutta l'Inghilterra. Il conte di Derby donò Bisham; il conte di Warwick donò la terra per una Casa a Warwick stesso; Roger de Builli offrì il sito di Willoughton in Lincolnshire. La moglie di Stefano, Mathilda, fece donazione di tratti di territorio a Essex e Oxford, che
divennero rispettivamente Temple Cressing e Temple Cowley, due delle più importanti fra le prime Case. Durante il regno di Stefano, i Templari costruirono anche la loro prima installazione centrale in Inghilterra: il vecchio Tempio, situato a Holborn. Comprendeva gli edifici comunitari, una chiesa, un giardino, un orto e un cimitero, tutti circondati da un fossato e, si ritiene, da un muro. Le fondamenta erano nel luogo dove si trova attualmente la stazione della metropolitana a High Holborn. Tuttavia, questa non rimase la sede londinese dell'Ordine molto a lungo. Nel 1161, i Cavalieri si erano già insediati nel nuovo Tempio, il luogo che porta il loro nome ancora oggi e contiene non soltanto la loro chiesa rotonda originaria, ma anche parecchie tombe. Barram Novi Templi, o Temple Bar, all'incrocio fra Fleet Street e lo Strand, era il cancello d'ingresso nei possedimenti dell'Ordine. Al suo apogeo, il nuovo Tempio si estendeva da Aldwych su per lo Strand e fino a metà di Fleet Street, poi giù fino al Tamigi, dove aveva la propria banchina. Qui si riuniva una volta l'anno un capitolo generale a cui partecipavano il Maestro d'Inghilterra e tutti gli altri dignitari dell'Ordine in Gran Bretagna, compresi i Priori di Scozia e Irlanda. Enrico II mantenne lo stretto legame fra la monarchia inglese e il Tempio, che tentò con particolare impegno di riconciliare il sovrano e Thomas Becket. Ma fu sotto il figlio di Enrico, Riccardo Cuor di Leone, che tale legame divenne ancora più stretto. In verità, Riccardo era in così buoni termini con l'Ordine che viene spesso considerato
una specie di Templare onorario. Frequentava regolarmente i Cavalieri; viaggiava sulle loro navi, risiedeva nelle loro Case. Quando, essendosi inimicato gli altri potentati, dovette fuggire dalla Terra Santa, si travestì da Templare e fu scortato da autentici Templari. Era strettamente implicato nelle transazioni fra i Templari e i loro equivalenti islamici, gli Hashishim o Assassini. Vendette inoltre Cipro all'Ordine e in seguito l'isola divenne, per un periodo, la sua sede ufficiale. Allo stesso tempo, il Tempio era divenuto ormai abbastanza potente e influente da esigere rispetto e fedeltà da parte del fratello e grande rivale di Riccardo, re Giovanni. Al pari di Riccardo, Giovanni alloggiava regolarmente nella Casa di Londra, e ne fece la sua residenza alternativa durante gli ultimi quattro anni di regno (1212-16). Il Maestro d'Inghilterra, Aymeric de Saint Maur, era il più intimo consigliere di Giovanni e fu soprattutto grazie alla sua opera di persuasione che il re firmò la Magna Carta nel 1215. Quando Giovanni appose la sua firma al documento, Aymeric era al suo fianco e firmò anche lui. In seguito Aymeric fu uno degli esecutori testamentari del sovrano. Ufficialmente, la principale sfera di attività del Tempio era il Regno latino di Gerusalemme. L'Europa sarebbe dovuta essere soltanto una base d'appoggio, una fonte di uomini e materiale e un canale per il loro trasporto in Terra Santa. Certamente i Templari non persero mai di vista l'Outremer, la «terra di oltremare», come chiamavano il Medio Oriente. Le loro attività si estendevano almeno
dall'Egitto, se non da un po' più a ovest, fino a Costantinopoli. Ben poco di ciò che veniva deciso o che accadeva nei domini dei crociati non coinvolgeva i Templari. Allo stesso tempo, tuttavia, come indica il loro ruolo nella firma della Magna Carta, i cavalieri si trovarono ben presto profondamente implicati negli affari interni di quasi tutti i regni europei. In Inghilterra godevano di particolari privilegi e prerogative. Così, ad esempio, il Maestro del Tempio sedeva in Parlamento come primo barone del reame. Naturalmente, l'Ordine era anche esente da tasse e le sue Case e proprietà nelle principali città inglesi erano contrassegnate con la croce metallica che teneva lontani gli esattori. Esemplari di queste croci, provenienti dalla Via dei Templari a Leeds, si possono vedere oggi nel Museo dell'Ordine di San Giovanni a Clerkenwell. Entro queste enclavi, i cavalieri facevano a modo proprio. Offrivano diritto di asilo, come qualsiasi chiesa. Riunivano i propri tribunali per giudicare i crimini locali. Gestivano i propri mercati e le proprie fiere. Erano esenti dai pedaggi sulle strade, i ponti e i fiumi. I possedimenti dei Templari in Inghilterra erano vasti e si estendevano in lungo e in largo nel paese. Alcune, ma non certo tutte le antiche terre dell'Ordine si riconoscono oggi dal prefisso Tempio, come nel quartiere londinese di Tempie Fortune subito a nord di Golders Green. È opinione comune che dovunque appare questo prefisso nelle Isole Britanniche, vi fosse un tempo un'istallazione templare di qualche tipo. Oggi è impossibile compilare una lista definitiva di tutti i beni dell'Ordine, ma anche le stime
più prudenti mostrano un minimo di settantaquattro proprietà importanti, fra cui trenta grandi Case5 e letteralmente centinaia di proprietà più piccole: villaggi, frazioni, chiese e fattorie. Talvolta le attività commerciali dell'Ordine lo portavano persino a fondare le proprie città. Baldock, ad esempio, vicino a Letchworth in Hertforshire, fu fondata dai Templari intorno al 1148. Il suo nome deriva da Baghdad. Buona parte della moderna Bristol apparteneva un tempo ai Templari. In verità Bristol era uno dei principali porti dell'Ordine e le navi facevano regolarmente la spola fra quella città e La Rochelle, la più importante base dei Templari sull'Atlantico. I Registri di Enrico III citano i nomi di due navi templari: La Templere e Le Buscard6. Uno dei privilegi più proficui dei Cavalieri era quello di esportare la propria lana che, al pari del trasporto dei pellegrini, fruttava guadagni molto cospicui, come pure le terre dell'Ordine. Nel solo Yorkshire, durante il 1308, le proprietà dei Templari produssero un reddito di £ 1130. 7 (A quell'epoca, si poteva costruire un modesto castello con £ 500. Si potevano ingaggiare un cavaliere e uno scudiero per £ 55 l'anno, un arciere per £ 7. Un cavallo costava £ 9, per cui sarebbe costato meno cavalcare un arciere.) In Irlanda, la rete di possedimenti dei Templari era altrettanto estesa, ma meno ben documentata.8 C'erano almeno sei Case, una a Dublino, almeno tre sulla costa sud nelle contee di Waterford e Wexford. Come in Inghilterra, c'erano anche numerosi manieri, fattorie, chiese e castelli.
La comunità di Kilsaren nella contea di Louth, ad esempio, possedeva dodici chiese e riscuoteva le decime da altre otto. C'era almeno un maniero, Temple House, a Sligo, sulla costa occidentale. Come vedremo, la questione di altre istallazioni dei Templari nell'Irlanda occidentale è di cruciale importanza. Quanto alla Scozia, gli archivi sono particolarmente frammentari e inattendibili, in parte a causa dei disordini scoppiati nel regno alla fine del Duecento, in parte perché molto è stato apparentemente celato a ragion veduta. C'erano almeno due Case importanti.9 Una, Maryculter, era vicino ad Aberdeen. L'altra, Balantrodoch - che in gaelico significa 'Luogo dei guerrieri' - era più vasta e costituiva la principale base scozzese dell'Ordine. Situata nei pressi di Edimburgo, oggi si chiama Temple. L'elenco delle proprietà dei Templari in Scozia si basa, tuttavia, sulla testimonianza di un solo cavaliere, William de Middleton. Interrogato dall'Inquisizione, menzionò Maryculter e Balantrodoch come i due luoghi in cui aveva prestato servizio personalmente. Questo, naturalmente, non esclude la possibilità, anzi la probabilità che ve ne fossero altri dove lui non aveva prestato servizio; e, in ogni caso, aveva tutte le ragioni di essere «avaro di verità». In effetti, le cronache fanno riferimento a possedimenti templari a Berwick (allora parte della Scozia) e a Liston, vicino a Falkirk. Oltre all'Argyll, esiste la prova che i Templari possedevano beni in altre dieci località scozzesi, come minimo; ma non c'è modo di sapere se tali proprietà fossero grandi o piccole: se fossero Case, manieri o
semplici fattorie.
L'influenza finanziaria dei Templari In virtù dei suoi possedimenti, del numero dei suoi componenti, della sua abilità diplomatica e della sua perizia guerresca, il Tempio esercitava un'enorme influenza politica e militare. Ma non era meno influente in campo finanziario e operò profondi mutamenti nelle fondamenta economiche dell'epoca. Gli storici attribuiscono generalmente l'evoluzione e lo sviluppo delle istituzioni economiche dell'Europa occidentale agli usurai ebrei e alle grandi Case e consorzi commerciali italiani. In realtà, tuttavia, gli usurai ebrei ebbero un ruolo secondario in confronto a quello del Tempio; e il Tempio non solo precorse le Case italiane, ma istituì il meccanismo e le procedure che quelle Case dovevano poi emulare e adottare. In effetti, le origini del sistema bancario moderno possono essere attribuite all'Ordine del Tempio. Al culmine del loro potere, i Templari gestivano gran parte, se non tutto il capitale disponibile nell'Europa occidentale. Furono i primi a introdurre il concetto delle facilitazioni di credito, nonché della concessione di fondi per lo sviluppo e l'espansione commerciale. Svolgevano, di fatto, praticamente tutte le funzioni di una banca d'affari del XX secolo. In teoria, il diritto canonico proibiva ai cristiani di praticare l'usura, ossia di riscuotere interessi sui prestiti.
Sarebbe stato logico aspettarsi che questa proibizione venisse applicata con severità ancora maggiore da un'istituzione palesemente pia come il Tempio. Nondimeno, il Tempio prestava denaro e riscuoteva interessi su scala massiccia. In un caso provato, il tasso d'interesse convenuto sul ritardato pagamento del debito era il 60% annuo: 17% più di quanto potevano pretendere gli usurai ebrei. Il divieto del diritto canonico veniva eluso ricorrendo semplicemente alla semantica, all'eufemismo e alla circonlocuzione.10 Si possono soltanto avanzare ipotesi sui termini usati dei Templari per evitare di parlare apertamente di interesse, dal momento che pochi dei loro documenti sono sopravvissuti; ma i beneficiari dei prestiti templari, alle condizioni stabilite per il rimborso del debito, non erano tenuti a mantenere un uguale riserbo. Nel suo piano di rimborso al Tempio, Edoardo I, per citare soltanto uno dei molti possibili esempi, parla della quota di capitale e, specificatamente, dell'«interesse».11 In effetti, la Corona inglese era cronicamente in debito col Tempio. Il re Giovanni prendeva continuamente denaro in prestito dall'Ordine. Altrettanto fece Enrico III, che fra il 1260 e il 1266, essendo il Tesoro ormai depauperato dalle spedizioni militari, diede in pegno ai Templari persino i gioielli della Corona inglese e la regina Eleonora li portò personalmente alla sede dell'Ordine a Parigi. Negli anni precedenti all'ascesa al trono di Enrico, i Templari prestarono soldi anche al futuro Edoardo I. Durante il suo primo anno di regno, Edoardo rimborsò all'Ordine 2000
marchi su un debito complessivo di 28.189 lire sterline.12 Una delle più importanti attività finanziarie del Tempio era disporre pagamenti a distanza senza l'effettivo trasferimento di fondi. In un'epoca in cui i viaggi erano rischiosi, le strade non erano protette e le rapine erano un pericolo costante, gli uomini erano comprensibilmente riluttanti a viaggiare con preziosi addosso. Le leggende di Robin Hood sono un'eloquente testimonianza della minaccia che incombeva perennemente sui riechi mercanti, i commercianti e persino i nobili. Di conseguenza, il Tempio ideò le lettere di credito. Una persona depositava una certa somma, diciamo, presso il Tempio di Londra e riceveva una specie di buono. Poteva poi recarsi liberamente in altre parti della Gran Bretagna, in quasi tutto il continente, persino in Terra Santa. Arrivato a destinazione, doveva semplicemente presentare il buono e riceveva in cambio i contanti nella moneta desiderata. Era impossibile rubare o falsificare queste lettere di credito grazie a un elaborato sistema di codici noto soltanto ai Templari. Oltre a prestare soldi e fornire lettere di credito, i Templari fornivano anche depositi di sicurezza, tramite la rete delle loro Case. In Francia, il Tempio di Parigi era anche la più importante tesoreria reale, che ospitava le ricchezze dello Stato oltre a quelle dell'Ordine e il tesoriere dei Cavalieri era anche il tesoriere del re. Tutte le finanze della Corona francese erano così aggiogate al Tempio da cui dipendevano. In Inghilterra, l'influenza dell'Ordine non era altrettanto grande. Tuttavia, come abbiamo notato, i
gioielli della Corona, durante il regno del re Giovanni, erano custoditi nel Tempio di Londra che, sotto Enrico II, Giovanni, Enrico III ed Edoardo I, serviva come una delle quattro tesorerie reali. In Inghilterra, i Templari fungevano anche da esattori delle imposte. Non soltanto riscuotevano le tasse, le decime e le donazioni papali, ma anche le tasse e i proventi spettanti alla Corona e sembra che in tale veste fossero ancora più temibili del fisco odierno. Nel 1294 organizzarono la conversione dalla vecchia alla nuova moneta. Agivano spesso come amministratori fiduciari di fondi o proprietà affidati alla loro custodia, come commissionari e come esattori di debiti. Fungevano da mediatori nelle dispute concernenti pagamenti di riscatti, doti, pensioni e una moltitudine di altre transazioni. Al culmine del loro potere, i Templari venivano accusati di orgoglio, arroganza, spietatezza e condotta intemperante e dissoluta. «Bere come un Templare» era un paragone corrente nell'Inghilterra medievale; e malgrado il loro voto di castità, sembra che i cavalieri andassero a donne con lo stesso impegno con cui bevevano. Ma quale che fosse la loro condotta a questi riguardi, la loro reputazione di precisione, correttezza e integrità negli affari finanziari rimaneva immacolata. I contemporanei potevano trovarli poco simpatici, ma sapevano di poter contare su di loro. Ed erano particolarmente duri con i membri del loro Ordine che si dimostravano indegni. In una occasione, il priore del Tempio in Irlanda fu giudicato colpevole di appropriazione indebita. Venne imprigionato nella cella penitenziale della chiesa templare a Londra - una stanzetta
troppo piccola persino per sdraiarvisi, che si può vedere ancora oggi - e lasciato morire di fame. Si dice che impiegasse otto settimane per morire. Come le odierne banche svizzere, il Tempio custodiva numerosi fondi fiduciari a lungo termine appartenuti a persone defunte e/o espropriate. Non c'è da stupirsi che i monarchi e gli altri potentati tentassero occasionalmente di mettere le mani su tali risorse. Così, ad esempio, Enrico II, in una occasione, richiese ai Templari il denaro depositato presso di loro da un lord caduto in disgrazia. Gli fu detto che «non avrebbero consegnato a nessuno il denaro loro affidato senza il permesso di colui che lo aveva rimesso nelle loro mani per essere custodito nel Tempio».13 «Il successo più duraturo dei "poveri Cavalieri"... fu economico. Nessuna istituzione medievale contribuì maggiormente all'ascesa del capitalismo».14 Ma proprio la ricchezza che gestivano così efficientemente avrebbe fatto di loro un'esca irresistibile per un monarca temerario quanto avido.
1 Sembra che esistessero già nel 1114, anno in cui il vescovo di Chartres scrisse a proposito della «milice du Christ» (che imponeva la castità ai suoi membri) a Hugues, conte di Champagne, prima della sua partenza per la Terra Santa. Hugues figura nella lista dei membri dell'Ordine nel 1124, dopo la sua fondazione ufficiale. Vedi Baigent, Leigh and Lincoln, The Holy Blood and the Holy Grail, pp. 57-62. 2 Seward, The Monks of War, p. 37.
3 The Anglo-Saxon Chronicle, 1128 d.C., p. 202. 4 Cfr. Melville, La vie des templieres, pp. 93-96. 5 Knowles and Hadcock, Medieval Religious Houses: England and Wales, pp. 292-97. Questa è la lista standard, ma è incompleta; ad esempio, non comprende Bristol. Anche il reddito elencato è ingannevole poiché indica il valore dato dall'Ordine di San Giovanni nel 1338 e a quell'epoca numerose proprietà si erano molto deprezzate. 6 Close Rolls of Henry III, vol. I, p. 368 (1230) e p. 477 (1231). 7 Knowles and Hadcock, op. cit.. I Templari avevano almeno undici Case in Yorkshire e altri due manieri. Tutti questi avevano molte proprietà annesse. Temple Newson, ad esempio, possedeva altri beni vicino a quattro città e almeno quattro chiese. Vedi anche Martin, I Templari in Yorkshire. 8 Gwynn and Hadcock, Medieval Religious Houses: Ireland, pp. 327- 31. Sebbene questa sia la lista standard delle proprietà, non è da ritenersi definitiva. 9 Easson, Medieval Religious Houses: Scotland, pp. 131-32. Ancora una volta, questa è la lista standard, ma non è completa. 10 Ferris, Le relazioni finanziarie dei Cavalieri Templari con la Corona inglese, pp. 15-16. 11 Ivi, p. 16, nota 1 (cita Rymer, Foedera, vol. I, p. 514). Si riferisce al rimborso, nel 1274, di un prestito fatto a Edoardo I in Terra Santa. 12 Ivi, p. 10. 13 Addison, The History of the Knights Templars, p. 112. 14 Seward, op. cit., p. 213.
3 Arresti e torture
Nel 1306 il Tempio era ormai diventato un centro di particolare attenzione da parte del re Filippo IV di Francia, detto il Bello. Filippo era enormemente ambizioso. Aveva progetti grandiosi per il suo paese e poche remore a schiacciare qualunque persona o cosa gli sbarrasse la strada. Aveva già macchinato il rapimento e l'assassinio di un papa, Bonifacio VIII, ed è opinione diffusa che orchestrasse la morte, probabilmente a mezzo di veleno, del suo successore, Benedetto XI. Nel 1305 aveva insediato il proprio fantoccio sul trono papale: Bertrand de Goth, già arcivescovo di Bordeaux, che divenne papa Clemente V. Nel 1309 Filippo sradicò addirittura il papato da Roma e lo trapiantò sul suolo francese, ad Avignone, dove divenne, in pratica, una semplice appendice della Corona francese. Iniziò così la cosiddetta "cattività avignonese", uno scisma che avrebbe prodotto papi rivali e diviso la Chiesa cattolica per i sessantotto anni
successivi, fino al 1377. Con il papato ormai asservito ai suoi voleri, Filippo aveva lo spazio di manovra necessario per muovere all'attacco del Tempio. Aveva numerosi motivi per farlo, oltre a un risentimento personale verso i Cavalieri. Aveva chiesto di essere ammesso nell'Ordine come Templare onorario - il medesimo rango conferito in precedenza a Riccardo I - e aveva ricevuto un rifiuto insultante. Poi, nel 1306, una plebaglia in rivolta lo aveva costretto a cercare rifugio nel Tempio di Parigi, dove aveva visto con i propri occhi la sbalorditiva vastità delle ricchezze e delle risorse dell'Ordine. Filippo aveva un disperato bisogno di denaro e il tesoro dei Templari dovette fargli venire l'acquolina in bocca. Così, nell'atteggiamento del re verso i Cavalieri, l'avidità si mescolò pericolosamente con l'umiliazione e l'astio. Infine, i Templari rappresentavano - o così sembrava agli occhi di Filippo - una vera minaccia per la stabilità del suo regno. Nel 1291, come abbiamo visto, Acri, l'ultimo bastione dei crociati occidentali in Terra Santa, era caduto in mano ai saraceni e il Regno latino di Gerusalemme era andato irrimediabilmente perduto. Di conseguenza i Templari - la forza militare meglio addestrata, meglio equipaggiata e più professionale del mondo occidentale - erano rimasti senza una ragion d'essere e, cosa più pericolosa per Filippo, senza una sede. Avevano già installato una base provvisoria a Cipro, ma nutrivano progetti più ambiziosi. Non è sorprendente che sognassero un proprio Stato o principato, simile
all'Ordenstadt creato dall'Ordine a loro affine, i Cavalieri Teutonici, in Prussia e sul Baltico. Ma l'Ordenstadt era agli estremi confini dell'Europa cristiana, fuori portata del papato e dei potentati secolari. Inoltre, l'Ordenstadt si poteva razionalizzare e giustificare come un'altra forma di crociata: una crociata contro le tribù pagane dell'Europa nord-orientale, contro i prussiani e i baiti e i lituani, contro le città-stato ortodosse (e quindi eretiche) della Russia nord-occidentale come Pskov e Novgorod. I Templari, d'altro canto, che già esercitavano un'immensa influenza in Francia, meditavano di creare il proprio Ordenstadt nel cuore della cristianità europea: la Linguadoca che, durante il secolo precedente, era stata di fatto annessa dalla Corona francese.1 Per Filippo, la prospettiva di un principato dei Templari ai suoi confini meridionali - un principato che avrebbe inglobato un territorio su cui lui vantava pretese - poteva essere solo fonte di risentimento e di allarme. Il re progettò meticolosamente il suo stratagemma. Venne compilato un catalogo di accuse, in parte fornite dalle spie di Filippo che si erano infiltrate nell'Ordine e in parte attinte dalla volontaria confessione di un presunto cavaliere rinnegato. Armato di queste accuse, Filippo era libero di agire e quando assestò il colpo, fu improvviso, rapido e micidiale. Nel corso di un'operazione degna di un raid di una moderna polizia segreta, il re inviò ordini sigillati ai suoi siniscalchi e balivi in tutto il paese. Questi ordini dovevano essere aperti ovunque simultaneamente ed eseguiti subito. All'alba di venerdì 13 ottobre 1307, tutti i
Templari in Francia dovevano essere presi e arrestati dagli uomini del re, le loro Case poste sotto regio sequestro, i loro beni confiscati. Ma, mentre sembra che l'obiettivo di Filippo di cogliere i Cavalieri di sorpresa venisse raggiunto, il premio più allettante di tutti - le leggendarie ricchezze dell'Ordine - gli sfuggì. Non fu mai trovato e che fine facesse il favoloso tesoro dei Templari è rimasto un mistero. In realtà, è dubbio che il colpo a sorpresa di Filippo giungesse inatteso come lui, o successivi storici credevano. Vi sono parecchie prove indicanti che i Templari ricevettero qualche tipo di preavviso. Poco prima dell'incursione, ad esempio, il Gran Maestro Jacques de Molay radunò parecchi libri e regolamenti dell'Ordine e li fece bruciare. A un Cavaliere che si ritirò dal Tempio intorno a quest'epoca il tesoriere disse che era estremamente "saggio" giacché era imminente una qualche crisi. Un editto ufficiale fu inviato a tutte le Case francesi con l'ordine tassativo di non fornire alcuna informazione sui riti o i rituali dell'Ordine. In ogni caso, sia che i Templari fossero preavvisati, sia che intuissero semplicemente che cosa si stava preparando, presero sicuramente alcune precauzioni. In primo luogo, molti Cavalieri fuggirono e quelli che furono catturati, a quanto sembra, si sottomisero passivamente, come se avessero ricevuto un ordine preciso: non vi è alcuna notizia di Templari francesi che opponessero attivamente resistenza ai siniscalchi del re durante l'operazione. In secondo luogo, vi sono indicazioni di una
fuga organizzata da parte di un particolare gruppo di Cavalieri, praticamente tutti legati in qualche modo al tesoriere dell'Ordine.2 Tutto questo dimostra che i Cavalieri erano preparati e quindi non sorprende che il tesoro del Tempio sia scomparso, insieme a quasi tutti i documenti e gli archivi. Interrogato dall'Inquisizione, un Cavaliere accennò che il tesoro era stato portato via segretamente dalla Casa di Parigi poco prima degli arresti. Lo stesso testimone dichiarò che anche il precettore di Francia aveva lasciato la capitale con cinquanta cavalli e aveva preso il mare non si sa da dove - con diciotto galere, nessuna delle quali fu mai più vista.3 Vero o falso, l'intera flotta dei Templari apparentemente sfuggì alle grinfie del re. Non risulta che qualche nave dell'Ordine venisse catturata, né allora né mai. Al contrario, sembra che le navi svanissero nel nulla insieme al loro carico, quale che fosse. In Francia, i Templari arrestati furono processati e molti furono sottoposti a orrende torture. Le accuse divennero sempre più folli e strane confessioni furono estorte. Cupe dicerie cominciarono a circolare nel paese. Si diceva che i Templari adorassero un potere demoniaco chiamato "Baphomet", e nelle loro cerimonie segrete si prosternassero dinanzi a una testa maschile barbuta che parlava con loro e li investiva di virtù magiche. Si raccontava che testimoni non autorizzati di queste cerimonie erano scomparsi. E c'erano anche altre accuse, ancora più vaghe. I Templari venivano accusati
d'infanticidio, d'insegnare alle donne ad abortire, di baci osceni durante l'iniziazione di postulanti, di omosessualità. Ma un'accusa a loro rivolta spicca come la più bizzarra e inverosimile. Questi soldati di Cristo, che avevano combattuto e dato la vita a centinaia per la cristianità, venivano accusati di rinnegare ritualmente Cristo, di ripudiare, calpestare e sputare sulla Croce. Non è questa la sede adatta per accertare la validità o meno di queste accuse. Noi stessi le abbiamo esaminate dettagliatamente altrove.4 Così pure hanno fatto numerosi altri commentatori. In verità, interi libri sono stati scritti sui processi dei Templari e sulla questione della colpevolezza o innocenza dell'Ordine. Nel presente contesto, basterà semplicemente riconoscere che i Templari si erano quasi certamente "macchiati" di eterodossia religiosa, se non di vera e propria eresia. Tuttavia, quasi tutte le altre accuse mosse contro di loro erano molto probabilmente false, inventate di sana pianta o esagerate in modo abnorme. Di tutti i Cavalieri interrogati e sottoposti a tortura, ad esempio, soltanto due, secondo i documenti dell'Inquisizione, confessarono di essere omosessuali. Se l'omosessualità esisteva nell'Ordine, è improbabile che fosse più diffusa che in qualsiasi altra comunità maschile chiusa, militare o monastica. I processi iniziarono entro sei giorni dai primi arresti. Da principio, l'accusa contro il Tempio fu sostenuta dai legali del re. Ma Filippo aveva anche un papa a sua disposizione e costrinse rapidamente il suo burattino ad appoggiarlo con tutto l'augusto peso dell'autorità papale. La
persecuzione avviata dalla Corona francese si diffuse rapidamente fuori dalla Francia e fu portata avanti dall'Inquisizione. Sarebbe durata sette anni. Quello che oggi a noi sembra un frammento secondario e generalmente oscuro di storia medievale sarebbe divenuto la questione predominante del suo tempo e avrebbe drammaticamente eclissato eventi nella lontana Scozia, galvanizzato opinioni e reazioni in tutto il mondo cristiano, inviato tremori attraverso la cultura occidentale. Bisogna ricordare che il Tempio, con la sola eccezione del papato, era l'istituzione più importante, più potente, più prestigiosa, apparentemente più incrollabile del suo tempo. All'epoca dell'attacco di Filippo, l'Ordine aveva quasi due secoli di vita e veniva considerato uno dei pilastri centrali della cristianità occidentale. Alla maggioranza dei suoi contemporanei sembrava immutabile, duraturo e permanente come la Chiesa stessa. Il fatto che un simile edificio venisse demolito così sommariamente scosse le fondamenta su cui poggiavano gli assunti e le credenze di tutta un'epoca. Così, ad esempio, Dante nella Divina Commedia esprime il suo sdegno e la sua simpatia per i Bianchi Mantelli perseguitati. In effetti, la superstizione che considera il venerdì 13 un giorno sfortunato deriverebbe dal fatto che le prime incursioni di Filippo ebbero luogo venerdì 13 ottobre 1307. L'Ordine del Tempio venne ufficialmente sciolto per decreto papale il 22 marzo 1312, senza che venisse mai pronunciato un verdetto definitivo di colpevolezza o di
innocenza. In Francia, tuttavia, i Cavalieri sarebbero stati perseguitati per altri due anni. Finalmente, nel marzo 1314, Jacques de Molay, il Gran Maestro, e Geoffroi de Charnay, il precettore di Normandia, furono arsi vivi a fuoco lento nell'Ile de la Cité sulla Senna. Sul luogo è stata posta una lapide per commemorare l'evento.
L'Inquisizione Lo zelo con cui Filippo perseguitò i Templari è non poco sospetto. È comprensibile che cercasse di estirpare l'Ordine entro i propri domini, ma andare a scovare ogni Templare nella cristianità ha sicuramente qualcosa di ossessivo. Temeva la vendetta dell'Ordine? Difficilmente poteva essere spinto da fervore morale. Né è verosimile che un monarca che aveva fatto uccidere almeno un papa, e probabilmente un secondo, tenesse tanto alla purezza della fede. Quanto alla lealtà verso la Chiesa, quest'ultima era divenuta praticamente cosa sua. Non doveva esserle fedele. Era arbitro della propria lealtà. In ogni caso, Filippo assillò gli altri sovrani perché si unissero a lui nella persecuzione del Tempio. In questo suo sforzo, ottenne solo un successo parziale. Ad esempio, in Lorena, che a quel tempo faceva parte della Germania, i Templari erano appoggiati dal duca regnante. Alcuni vennero processati e rapidamente assolti. La maggioranza sembra aver obbedito al precettore, che presumibilmente ordinò ai Cavalieri di radersi la barba, indossare abiti secolari e mescolarsi con la popolazione locale che, cosa
abbastanza significativa, non li tradì. Nella Germania vera e propria, i Templari sfidarono apertamente i loro sedicenti giudici, presentandosi in tribunale armati di tutto punto e chiaramente pronti a difendersi. Intimiditi, i giudici li dichiararono subito innocenti e quando l'Ordine venne sciolto ufficialmente, molti Templari germanici trovarono accoglienza nell'Ordine di San Giovanni o nell'Ordine Teutonico. Anche in Spagna i Templari resisterono ai loro persecutori e trovarono asilo in altri Ordini, specialmente in quello di Calatrava. E venne creato un nuovo Ordine, Montesa, principalmente come rifugio per i Templari fuggiaschi. In Portogallo i Templari vennero discolpati al termine di un'inchiesta e modificarono semplicemente il loro nome, diventando i Cavalieri di Cristo. Sopravvissero sotto questa denominazione fino al Cinquecento inoltrato e le loro esplorazioni marittime lasciarono un segno indelebile nella storia. (Vasco de Gama era un Cavaliere di Cristo; il principe Enrico il Navigatore era un Gran Maestro dell'Ordine. Le navi dei Cavalieri di Cristo avevano come insegna la ben nota croce rossa patente dei Templari. E fu sotto la stessa croce che le tre caravelle di Colombo attraversarono l'Atlantico verso il Nuovo Mondo. Colombo stesso aveva sposato la figlia di un ex Gran Maestro dell'Ordine e aveva accesso alle carte e ai diari di suo suocero). Se Filippo trovò scarso appoggio nella persecuzione dei Templari in altre parti del Continente, aveva motivo di aspettarsi una maggiore collaborazione dall'Inghilterra.
Dopotutto, Edoardo II era suo genero. Ma all'inizio si mostrò riluttante. In verità, il sovrano inglese dichiara nelle sue lettere che non solo trovava incredibili le accuse contro i Templari, ma dubitava anche dell'integrità di coloro che le muovevano. Così, il 4 dicembre 1307, meno di un mese e mezzo dopo i primi arresti, scriveva ai re di Portogallo, Castiglia, Aragona e Sicilia: Egli [l'inviato di Filippo] ha osato rendere pubbliche dinanzi a noi... certe orribili e detestabili enormità ripugnanti alla fede cattolica, a carico dei suddetti fratelli, nel tentativo di persuaderci [che noi] dovremmo imprigionare tutti i fratelli...5
E concludeva chiedendo che il destinatario: [...] non porgesse orecchio alle calunnie di uomini malvagi, che sono animati, noi crediamo, non dallo zelo della rettitudine, ma da uno spirito di cupidigia e d'invidia [...].6
Tuttavia, dieci giorni dopo, Edoardo ricevette dal papa una bolla ufficiale che sanzionava e giustificava provvisoriamente gli arresti. Il re fu obbligato ad agire, ma lo fece pur sempre con marcata riluttanza e scarso fervore. Il 20 dicembre scrisse a tutti gli sceriffi in Inghilterra, disponendo che tre settimane dopo prendessero «dieci o dodici uomini fidati» e arrestassero tutti i membri del Tempio nei loro possedimenti. In presenza di almeno un testimone attendibile, doveva essere fatto un inventario di tutti i beni trovati negli edifici del Tempio. E i Templari
stessi dovevano essere imprigionati, ma non «in un carcere duro e abietto».7 I Templari inglesi furono rinchiusi nella Torre di Londra, oltre che nei castelli di York, Lincoln e Canterbury. L'azione contro di loro procedette molto a rilento. Così, ad esempio, il Maestro inglese, William de la More, fu arrestato il 9 gennaio 1308 e condotto nel castello di Canterbury, insieme ad altri due fratelli e mezzi sufficienti per assicurargli una vita comoda, se non lussuosa. Il 27 maggio venne rilasciato e due mesi dopo gli fu assegnato il reddito di sei possedimenti templari per il suo mantenimento. Soltanto in novembre, a seguito di rinnovate pressioni, fu riarrestato e sottoposto a una disciplina più dura. Ma, a quel punto, la maggioranza dei Templari inglesi aveva avuto ampia opportunità di fuggire, nascondendosi fra la popolazione civile, rifugiandosi in seno ad altri ordini o lasciando il paese. Nel settembre 1309 gli inquisitori papali giunsero in Inghilterra e i Templari che erano stati arrestati furono condotti a Londra, York o Lincoln per essere interrogati. Durante il mese seguente, Edoardo, come se ci avesse ripensato, scrisse ai suoi rappresentanti in Irlanda e in Scozia, ordinando che tutti i Templari non ancora arrestati venissero presi e rinchiusi nei castelli di Dublino ed Edimburgo.8 È quindi chiaro che moltissimi Templari erano ancora a piede libero e il re lo sapeva. Fra il 20 ottobre e il 18 novembre 1309 circa quarantasette Templari vennero interrogati a Londra in
base ad una lista di ottantasette accuse. Gli inquisitori non ottennero alcuna confessione a parte l'ammissione che i dignitari dell'Ordine rivendicavano il diritto d'impartire l'assoluzione dal peccato, come i preti. Frustrati, decisero di ricorrere alla tortura. In qualità di emissari itineranti del papa, non disponevano, naturalmente, di strumenti o uomini propri per applicare le torture e dovettero presentare formale richiesta alle autorità secolari, cosa che fecero nella seconda settimana di dicembre. Edoardo dette loro il permesso soltanto per «torture limitate», ma nemmeno con queste riuscirono a strappare qualche confessione. Il 14 dicembre 1309 - oltre due anni dopo i primi arresti in Francia e un anno dopo la richiesta di misure più severe in Inghilterra - Edoardo scrisse di nuovo ai suoi sceriffi. Aveva saputo, diceva, che i Templari «andavano ancora in giro in abito secolare, commettendo apostasia».9 Anche questa volta, tuttavia, né lui né i suoi funzionari procedettero con eccessivo vigore. Il 12 marzo 1310 Edoardo scrive allo sceriffo di York: «Poiché risulta al re che egli [lo sceriffo] permette ai Templari... di andare in giro ignorando l'ordine del re»,10 essi devono essere tenuti all'interno del castello. Pur tuttavia, il 4 gennaio 1311 Edoardo scrisse ancora una volta allo sceriffo di York, osservando che, malgrado tutti i precedenti ordini, ai Templari era ancora permesso di andare in giro. 11 Nel frattempo, mentre ci si preoccupava saltuariamente dei Templari già prigionieri, non veniva fatto nulla riguardo ai
numerosi cavalieri che erano sfuggiti all'arresto in Inghilterra. Sforzi più diligenti da parte dell'Inquisizione portarono alla scoperta e alla cattura di soli nove fuggiaschi. Il papa si lamentò con l'arcivescovo di Canterbury e con altri eminenti prelati che numerosi Templari si erano talmente integrati con la popolazione civile da sposarsi: cosa che non avrebbero potuto fare senza almeno un po' di collaborazione da parte delle autorità inglesi. A questo punto, la tortura veniva già applicata ai membri dell'Ordine che si trovavano in carcere. Nel giugno 1310, tuttavia, l'Inquisizione emanò un documento in cui esponeva minuziosamente il proprio insuccesso. Protestava di aver avuto difficoltà a far applicare la tortura in modo corretto ed efficace. Non sembrava connaturata nella giustizia inglese, lamentavano gli inquisitori; e sebbene il re avesse dato con riluttanza il suo consenso, i carcerieri avevano offerto solo una tiepida collaborazione. Venivano dati vari suggerimenti per rendere i processi più efficaci. Fra l'altro si raccomandava che i Templari arrestati venissero trasferiti in Francia, dove avrebbero potuto essere torturati «per bene» da uomini con l'esperienza e il gusto di simili passatempi. Il 6 agosto 1310 il papa scrisse una lettera di protesta che biasimava il re inglese per il suo rifiuto di permettere un'adeguata tortura. Infine Edoardo capitolò e dette ordine che i Templari nella Torre fossero portati dinanzi agli inquisitori per quella che veniva definita eufemisticamente «l'applicazione della legge ecclesiastica». Neppure
quest'ordine, tuttavia, sembra aver avuto successo, giacché il re dovette ripeterlo due volte in ottobre. Finalmente, nel giugno 1311, l'Inquisizione in Inghilterra fece il decisivo passo avanti che attendeva da tanto tempo. Ma, cosa abbastanza significativa, tale passo avanti non era dovuto all'ulteriore tortura dei Templari già in carcere, ma a un Templare fuggiasco catturato solo di recente a Salisbury, un certo Stephen de Stapelbrugge. Stephen fu il primo Templare in Inghilterra a confessare l'esistenza di pratiche eretiche all'interno dell'Ordine. Durante la sua iniziazione, raccontò, gli era stato mostrato un crocifisso e ordinato di negare che «Gesù era Dio e uomo e che Maria era sua madre».12 Poi, disse, gli era stato ordinato di sputare sulla croce. Stephen confessò anche molte altre colpe di cui venivano accusati i Templari. Gli «errori» dell'Ordine, dichiarò, erano nati nella regione di Agen in Francia. Quest'ultima asserzione rende un po' più plausibile la testimonianza di Stephen. Durante il XII e XIII secolo, Agen era stato uno dei focolai dell'eresia albigese o catara e i Catari erano sopravvissuti nei dintorni almeno fino al 1250. Ci sono prove schiaccianti che i Templari erano stati "infettati", per usare il termine clericale, dal pensiero cataro e avevano offerto persino asilo ai Catari che fuggivano dall'Inquisizione.13 In verità, uno dei più importanti e influenti Gran Maestri dell'Ordine, Bertrand de Blanchefort, veniva da una famiglia catara da lunga data. Inoltre, Agen si trovava nella provincia templare della Provenza. Fra il
1248 e il 1250 il Maestro di Provenza era un certo Roncelin de Fos. Poi, fra il 1251 e il 1253 Roncelin divenne Maestro d'Inghilterra. Nel 1260 fu di nuovo nominato Maestro di Provenza e mantenne la carica fino al 1278. È quindi più che possibile che Roncelin portasse in Inghilterra alcuni aspetti del pensiero eretico cataro dal loro luogo di origine in Francia. Questa ipotesi trova conferma nella testimonianza resa dinanzi all'Inquisizione da Geoffroy de Gonneville, precettore di Aquitania e Poitou. Secondo Geoffroy, individui anonimi asserivano che tutte le malvage e perverse regole e innovazioni erano state introdotte nel Tempio da un certo fratello Roncelin, già Maestro dell'Ordine.14 Il fratello Roncelin in questione non poteva essere altri che Roncelin de Fos. Forse un po' troppo convenientemente, la confessione di Stephen de Stapelbrugge fu subito seguita da quelle di Thomas Tocci de Thoroldeby e di John de Stoke che la confermarono. Secondo Thomas, un ex Maestro d'Inghilterra, Brian de Jay, aveva detto che «Cristo non era il vero Dio, ma un semplice uomo». La testimonianza di John de Stoke era particolarmente importante perché egli era stato in precedenza il tesoriere del Tempio a Londra, ossia il più alto dignitario non militare dell'Ordine in Inghilterra; e giacché il Tempio di Londra era anche un depositario reale, sia Edoardo I che Edorado II dovevano conoscere personalmente il tesoriere. Sarebbe stato il più elevato in grado fra i Templari in Inghilterra a confessare qualcosa. Nelle sue precedenti testimonianze, John de Stoke
aveva respinto tutte le accuse. Ora, invece, dichiarò che in occasione di una visita a Temple Garway in Herefordshire, il Gran Maestro Jacques de Molay aveva affermato che Gesù era «il figlio di una certa donna e poiché si proclamava il Figlio di Dio, era stato crocifisso».15 Secondo John de Stoke, il Gran Maestro gli aveva ordinato, in base a ciò, di rinnegare Gesù. Gli inquisitori gli chiesero in chi o in che cosa avrebbe dovuto credere. Il Gran Maestro gli aveva ingiunto, rispose John, di credere in «Dio grande e onnipotente, creatore del cielo e della terra, e non nella Crocefissione».16 Questo credo non è neppure cataro: infatti per i Catari Dio creatore era malvagio. Si potrebbe interpretare come giudaismo più o meno ortodosso o islamismo; e certamente, durante gli anni di attività in Terra Santa, il Tempio aveva assorbito buona parte del pensiero giudaico o islamico. L'Inquisizione si affrettò a sfruttare le confessioni di Stephen de Stapelbrugge, Thomas de Thoroldeby e John de Stoke. Nel giro di pochi mesi, la maggioranza dei Templari prigionieri in Inghilterra aveva fatto ammissioni sostanzialmente analoghe. Il 3 luglio 1311 quasi tutti si riconciliarono con la Chiesa, o confessando certi crimini specifici e abiurandoli, o recitando una formula di colpevolezza generica e accettando di fare penitenza. I procedimenti a questo punto si riducevano, in effetti, a una sorta di "patteggiamento", o addirittura a una "transazione extragiudiziale". In cambio della loro collaborazione, i Templari inglesi vennero trattati con indulgenza. Non vi
furono roghi in massa come in Francia. Invece, i "penitenti" vennero rinchiusi in monasteri per riabilitare le loro anime e furono versati fondi adeguati per il loro mantenimento. Vale la pena di notare, tuttavia, che quasi tutte le confessioni ottenute in Inghilterra erano di cavalieri infermi o anziani. L'Inghilterra, dopo tutto, non era in prima linea nell'attività militare né, per quanto concerneva l'Ordine, un importante centro politico o commerciale come la Francia. Rappresentava quindi una sorta di "casa di riposo". I veterani della Terra Santa vecchi o malati venivano, per così dire, "mandati in pensione" nelle Case inglesi a titolo di sinecure.17 All'epoca dei loro processi, parecchi erano troppo deboli per allontanarsi molto dal luogo dov'erano stati imprigionati. «Erano così vecchi e infermi che non potevano nemmeno stare in piedi»,18 riferisce un notaio che stilava gli atti processuali. Erano questi gli uomini che i funzionari di Edoardo arrestarono quando il re cedette finalmente alle pressioni a cui veniva sottoposto. Frattanto, come abbiamo notato, i Templari più giovani e attivi avevano avuto ampio tempo di fuggire. E, come vedremo, profughi da altri lidi erano andati ad ingrossare le loro file.
Fuga dalla persecuzione L'uomo medievale non condivideva la nostra passione per le statistiche, né la nostra precisione in quel campo. Quando i cronisti del tempo parlano di eserciti, ad esempio, buttano là stime grossolane, il più delle volte
esagerate a scopo propagandistico. Cifre dell'ordine delle migliaia e delle decine di migliaia vengono citate correntemente e spesso poco plausibilmente, con un esasperante sprezzo dell'esattezza e persino della credibilità. Di conseguenza, non esiste una valutazione attendibile o definitiva della forza numerica dei Templari in un dato momento della loro storia. Né, se per quello, è sopravvissuta alcuna lista completa (presumendo che ne sia mai esistita una al di fuori degli archivi dell'Ordine) dei possedimenti dei Templari in Gran Bretagna o altrove. Come abbiamo già osservato, i documenti e i registri ufficiali spesso omettono numerosi insediamenti - Case, manieri, tenute, fattorie e altre proprietà - che sappiamo da altre fonti essere appartenuti ai Templari. Così, ad esempio, i principali insediamenti dell'Ordine a Bristol e a Berwick, entrambi i quali comprendevano sicuramente banchine e altre attrezzature portuali, non compaiono in alcuna lista ufficiale. Secondo resoconti medievali, il Tempio, all'epoca della sua soppressione, contava molte migliaia di componenti in tutta Europa. Alcuni rapporti parlano addirittura di ventimila persone, sebbene è dubbio che fossero Cavalieri a pieno titolo, a parte una piccola percentuale. Allo stesso tempo, era prassi consolidata nel Medioevo che ogni Cavaliere avesse al proprio seguito uno scudiero e, in battaglia, almeno tre sergenti appiedati o uomini d'arme; e le cronache francesi indicano che quest'uso vigeva anche nel Tempio. Quindi, gran parte delle forze dell'Ordine dovevano consistere di combattenti che non
erano Cavalieri. Ma il Tempio, com'era prevedibile nel caso di un'istituzione del genere, disponeva anche di un immenso personale di supporto - burocrati, amministratori, impiegati, un cospicuo numero di cappellani, servitori, vassalli, artigiani, operai specializzati, muratori - e raramente è chiaro quanti di questi siano inclusi nei registri ufficiali giunti fino a noi. Vi sono anche altri campi in cui non esiste alcuna documentazione e anche una stima approssimativa è impossibile. Si sa, ad esempio, che i Templari possedevano una flotta considerevole mercantile e militare - che operava non soltanto nel Mediterraneo, ma anche in Atlantico. I resoconti medievali contengono numerosi riferimenti di sfuggita a porti, navi e attrezzature navali dei Templari. Vi sono persino documenti recanti le firme e i sigilli di ufficiali della marina templare. Eppure nessuna informazione dettagliata, di alcun genere, sull'attività marittima dei Templari è giunta fino a noi. Non esiste alcuna notizia sulla consistenza della flotta o su quale fine facesse dopo la soppressione dell'Ordine. Analogamente, una cronaca del tardo 1100 in Inghilterra parla di una donna ricevuta nel Tempio come sorella e sembra alludere molto chiaramente a una sorta di ala o appendice femminile dell'Ordine. Ma non si è mai trovata alcuna precisazione o alcun chiarimento al riguardo. Anche le informazioni che potevano essere contenute nei documenti ufficiali dell'Inquisizione sono scomparse o sono state soppresse da lungo tempo. Un accurato esame dei documenti inglesi e
dell'Inquisizione e uno studio dettagliato dell'opera di altri storici ci portano a concludere che nel 1307 il Tempio in Inghilterra contava circa 265 uomini. Di questi, fino a ventinove potevano essere Cavalieri a pieno titolo, fino a settantasette potevano essere sergenti e trentuno potevano essere cappellani. Se si omettono i cappellani e l'altro personale di supporto, il numero di Templari combattenti potrebbe andare da un minimo di trentadue a un massimo di 106. Soltanto dieci di questi furono sicuramente arrestati e schedati dall'Inquisizione, sebbene anche altri tre Templari prigionieri fossero probabilmente dei militari. Rimangono quindi circa novantatré Templari militari a piede libero: uomini che sfuggirono alle grinfie dell'Inquisizione e non furono mai trovati.19 Questa cifra non comprende i combattenti dell'Ordine che sfuggirono alla persecuzione in Scozia e in Irlanda. La popolazione dell'Europa medievale era una frazione di quella attuale e sebbene quei numeri, secondo i criteri moderni, sembrerebbero modesti, nel contesto dell'epoca dovevano apparire relativamente più alti. Bisogna ricordare, inoltre, che l'efficienza degli eserciti medievali, forse ancor più che in epoche successive, era determinata non dalla superiorità numerica, ma dall'addestramento. A Omdurman in Sudan nel 1898, 23.000 soldati britannici ed egiziani sconfissero oltre 50.000 dervisci, infliggendo al nemico pesanti perdite: circa 15.000 uomini contro meno di 500 dei loro. Nell'azione raccontata nel film Zulu, 139 soldati britannici a Rorke's Drift nel 1879 tennero a bada circa 4000 zulù, che persero circa 400 uomini contro
venticinque inglesi. All'assedio di Malta nel 1565, meno di mille Cavalieri di San Giovanni, insieme ai loro ausiliari, respinsero una forza turca di 30.000 uomini e inflissero 20.000 perdite. Le statistiche potrebbero essere ugualmente sbilanciate durante il Medioevo, quando la mole dei cavalli, il peso dell'armatura, la rigorosa disciplina e le tattiche sofisticate si dimostrarono fattori decisivi quanto lo sarebbe stata in seguito la potenza di fuoco. In Terra Santa durante le crociate, una forza di dodici Cavalieri con armatura completa, montati su cavalli pesanti lanciati al galoppo, avrebbe ottenuto l'effetto dei carri armati del XX secolo, disperdendo facilmente una forza di due o trecento saraceni. Una carica in massa di un centinaio di Cavalieri a cavallo poteva schiacciare due o tremila avversari. Di conseguenza, la prospettiva di circa novantatré Templari addestrati a piede libero in Gran Bretagna non poteva essere ignorata. Con la loro disciplina professionale, il loro armamento moderno e la loro abilità guerresca, avrebbero potuto facilmente decidere le sorti di una battaglia contro i soldati dilettanti e i contadini coscritti impegnati in quasi tutte le campagne europee. Una campagna del genere veniva condotta in Scozia proprio in quel momento.
1 Mazières, La venue et le séjour de templiers du Roussillon, pp. 235 e 245.
2 Hugues de Châlons, Pierre de Modies e Falco de Milly erano tutti imparentati fra loro. Hugues de Châlons, e probabilmente Pierre de Modies, erano nipoti del tesoriere dei Templari di Parigi, Hugues de Pairaud. Vedi Barber, The Trial of the Templars, pp. 66, 266, nota 8. 3 Barber, op. cit., p. 101 (cita Finke, Papsttum und Untergang des Templerordens, vol. II, p. 339). In questa testimonianza il precettore dei Templari afferma che Hugues de Châlons era fuggito con tutto il "tesoro" di Hugues de Pairaud. 4 Baigent, Leigh and Lincoln, The Holy Blood and the Holy Grail, pp.45 sgg. 5 Addison, The History of the Knights Templars, p. 206 6 Ibid. 7 Calendar of Close Rolls 1307-1313, 20 dicembre 1307, p. 14. 8 Ivi, pp. 179 e 181. 9 Ivi, p. 189. 10 Ivi, p. 206. 11 Ivi, p. 295. 12 Addison, op. cit., p. 263; vedi anche Barber, op. cit., p. 200. 13 Baigent, Leigh, Lincoln, op. cit., pp. 44-45. 14 Oursel, Le procès des templiers, p. 28. 15 Barber, op. cit., p. 202. 16 Ibid. 17 Ad esempio, c'era un ospedale per i Templari vecchi e infermi nella comunità di Denney in Cambridgeshire. Nel 1308, vi furono arrestati dieci o più Templari. 18 Addison, op. cit., p. 274. 19 In breve, la nostra tesi è questa: dato che gli arresti in Francia, a differenza di quelli in Inghilterra, furono improvvisi, presumiamo che la proporzione di Templari dei vari ranghi tratti in arresto riflettesse la proporzione esistente nell'Ordine in generale. Di quelli elencati nei rapporti
francesi, l' 11% erano Cavalieri, il 29% sergenti e il 12% cappellani. La proporzione di tre sergenti per ciascun Cavaliere rispecchia esattamente quella degli eserciti medievali. In Inghilterra, naturalmente, i Templari in servizio attivo ebbero tutto il tempo di fuggire, perciò la proporzione dei Cavalieri e sergenti arrestati era molto inferiore che in Francia, mentre quella dei cappellani (11%) era più o meno uguale. È chiaro, comunque, che molti riuscirono effettivamente a fuggire: in Inghilterra vi erano almeno settantaquattro grandi Case e possedimenti dell'Ordine, eppure soltanto quattordici precettori vennero arrestati, fra cui un solo Cavaliere. Nessun precettore fu preso nel grande centro di reclutamento di Faxfleet sull'Humber, né a Willoughton in Lincolnshire: una delle maggiori basi in Inghilterra. Né fu trovato alcun precettore a Wetherby, Temple Bruer o Foulbridge, tanto per citare qualche nome. In tutte queste basi dovevano esservi almeno due, ma più probabilmente fino a dodici fratelli residenti. Chiaramente la nostra stima che vi fossero novantatré Templari militarmente attivi ancora in libertà dopo gli arresti in Inghilterra dev'essere considerata prudente. A titolo indicativo, possiamo notare che il MS Waterman elenca, per il 1338, almeno cinquantacinque e forse sessanta Cavalieri e sergenti dell'Ordine di San Giovanni in Inghilterra e dobbiamo ricordare che quest'ultimo era più piccolo del Tempio. Non è credibile che i Templari fossero meno e quindi le stime correnti in letteratura che parlano di una decina o ventina di Templari in Inghilterra possono essere tranquillamente ignorate.
4 La scomparsa della flotta templare
Da principio Edoardo II era molto restio ad agire contro i Templari nei suoi domini. Quando le pressioni esterne esercitate da Filippo di Francia, dall'Inquisizione e dal papa - lo costrinsero infine ad agire, lo fece a rilento. La relativa inerzia con cui i Templari vennero perseguitati in Inghilterra prevalse anche in Scozia e in Irlanda. Qui i Templari possedevano almeno sedici proprietà, di cui almeno sei erano grandi Case. Si sa che inoltre possedevano almeno sei castelli e probabilmente altri sette. Secondo le nostre stime, per amministrare e presidiare tali possedimenti ci sarebbero voluti come minimo novanta uomini, di cui circa trentasei militari in servizio attivo. Il 3 febbraio 1308 - quasi quattro mesi dopo i primi arresti in Francia e un mese e mezzo dopo il primo arresto
in Inghilterra - iniziarono gli arresti in Irlanda. Complessivamente, furono catturati e portati a Dublino una trentina di membri dell'Ordine: circa un terzo del totale. Non sembra che venisse usata una particolare brutalità in Irlanda. Certamente non vi furono roghi, né esecuzioni. Il Maestro d'Irlanda venne rilasciato su cauzione e abbiamo motivo di credere che i suoi subordinati fossero trattati con relativa indulgenza. Non vi è notizia di Templari irlandesi inviati a fare penitenza nei monasteri. Quindi in Irlanda, nel 1314, praticamente tutti i componenti dell'Ordine dovevano essere a piede libero, alcuni perché sfuggiti agli arresti iniziali, altri perché rilasciati dopo l'interrogatorio. Dato il prolungato ritardo nel prendere provvedimenti contro di loro, i Templari irlandesi avrebbero avuto ampio tempo e modo di premunirsi e appare chiaro che lo fecero. Quando le loro terre vennero confiscate e i loro beni inventariati, non si trovarono praticamente armi di alcun tipo. Secondo uno storico, è «quanto mai sorprendente trovare le dimore di un ordine militare così poco fornite di armi».1 Nella Casa principale, a Clontarf, vi erano soltanto tre spade. A Kilclogan, soltanto due lance, un elmo di ferro e un arco. Eppure, in questo periodo Edoardo II si lamentava che armi irlandesi prendevano la via della Scozia e sicuramente l'attrezzatura militare non scarseggiava nel paese. Sembra quindi evidente che la maggioranza dei Templari irlandesi non soltanto sfuggì all'arresto, ma mise in salvo il grosso delle armi e dell'equipaggiamento.
I profughi templari Il 6 ottobre 1309 - due interi anni dopo i primi arresti in Francia - Edoardo ordinò ai suoi funzionari di «arrestare tutti i Templari ancora a piede libero in Scozia e di rinchiuderli in un carcere sicuro».2 In realtà, soltanto due vennero arrestati, sebbene uno fosse il Maestro di Scozia, Walter de Clifton. Ma nel 1309 Edoardo non era in condizione di far osservare i suoi decreti in Scozia, giacché quasi tutto il paese era ormai nelle mani di Bruce. Nel marzo di quell'anno, Bruce era stato dichiarato reggitore «per diritto di sangue» e con il «consenso del suddetto popolo venne scelto come sovrano». All'epoca del decreto di Edoardo, stava combattendo nell'Argyll. Alla fine dell'anno, avrebbe controllato due terzi della Scozia e gli inglesi sarebbero stati costretti a rifornire via mare le loro guarnigioni a Perth, Dundee e Banff. Impegnato nella sua guerriglia contro Edoardo, Bruce non avrebbe certo rispettato gli editti del sovrano inglese. Né, essendo stato scomunicato, avrebbe rispettato quelli del papa, che, come abbiamo visto, non sarebbero stati comunque applicabili in Scozia. Date le circostanze, Bruce avrebbe accolto con piacere un flusso di fuggiaschi che erano anche militari di professione. Ed essi sarebbero stati fin troppo lieti di ricambiare l'ospitalità schierandosi dalla sua parte. Non sappiamo quale sorte toccasse ai due Templari arrestati in Scozia. Probabilmente furono rimessi in libertà.
Sotto interrogatorio, comunque, attestarono che parecchi loro colleghi, compreso il precettore di Balantrodoch, «gettarono via i loro abiti» e fuggirono «oltremare».3 D'altro canto, il processo dei Templari in Scozia venne condotto nientemeno che dal vescovo Lamberton di Saint Andrews. Lamberton, come abbiamo visto, stava facendo un abile e complesso doppio gioco, ma i suoi impegni primari erano con Bruce. Era perfettamente capace di reclutare uomini per conto della persona che riconosceva come il legittimo sovrano del suo paese. I Templari potevano effettivamente essere fuggiti oltremare, ma potevano altrettanto facilmente aver circumnavigato la Scozia per unirsi all'esercito di Bruce nell'Argyll. Né dovevano necessariamente aver cercato scampo in mare. Non è detto che fossero soltanto i Templari scozzesi a ingrossare le file di Bruce. C'era anche, come abbiamo visto, un cospicuo numero di Cavalieri che erano sfuggiti agli arresti in Inghilterra. Dovevano pur andare da qualche parte. E sicuramente ragionevole supporre che almeno alcuni di loro prendessero la via della Scozia, come pure alcuni dei fratelli irlandesi. In effetti, un Templare inglese, durante l'interrogatorio, dichiarò esplicitamente che i suoi colleghi erano fuggiti in Scozia. La questione, in realtà, non è se, ma quanti Templari inglesi cercarono asilo nel Nord. Qualunque fosse il loro numero, che poteva arrivare fino a novantatré, venne molto probabilmente accresciuto dai fuggiaschi provenienti dalla Francia e da altri paesi del continente. Come abbiamo visto, i Templari in Francia furono avvisati dell'attacco in tempo per prendere almeno
alcuni provvedimenti. Così il tesoro della comunità di Parigi scomparve, come pure parecchi alti dignitari francesi dell'Ordine, che presumibilmente presero il mare a bordo di diciotto navi. Il fatto che il Gran Maestro e altri funzionari rimanessero non significa che fossero impreparati o colti alla sprovvista. Fa pensare semplicemente che sperassero, fino all'ultimo momento, di evitare la sorte che in conclusione li colpì: che sperassero, cioè, di difendere l'Ordine contro le accuse ad esso rivolte e di riportarlo al rango di cui godeva in precedenza. Bisogna ricordare che mentre l'assalto iniziale di Filippo contro i Templari in Francia fu rapido e improvviso, il processo che seguì durò a lungo. Dovevano passare cinque anni di dispute legali, trattative, intrighi, contrattazioni e indecisione generale prima che l'Ordine venisse ufficialmente sciolto, e sette anni prima che venisse giustiziato Jacques de Molay. Durante tutto questo tempo, moltissimi Templari continuarono a girare liberamente per l'Europa. Ebbero quindi ampia opportunità di elaborare piani, coordinare i propri sforzi, organizzare vie di fuga e trovare un rifugio. Secondo i documenti giunti fino a noi, c'erano come minimo 556 grandi Case templari in Francia, oltre ad innumerevoli possedimenti più piccoli. In quel paese l'Ordine contava almeno 3200 membri, di cui si calcola che 350 fossero Cavalieri e 930 sergenti per un totale di 1280 combattenti. Gli archivi dell'Inquisizione rivelano che, durante i procedimenti legali in Francia, furono arrestati 620 Templari; se si applica la stessa percentuale, circa 250 dovevano essere combattenti. Rimane così un minimo
di 1030 membri militari attivi dell'Ordine ancora a piede libero: Templari che non furono mai arrestati, mai presi, mai trovati. Un buon numero, naturalmente, sarebbe rimasto in Francia. Sebbene sia quasi certamente esagerato, un resoconto asserisce che a un certo punto le colline intorno a Lione nascondevano più di 1500 Templari fuggiaschi: una prospettiva deludente per gli inquisitori e per il re francese. Ma se molti Templari rimasero in Francia, un numero considerevole dovette cercare rifugio all'estero. Si sa, ad esempio, che poco dopo i primi arresti, Imbert Blanke, Maestro di Alvernia, venne in Inghilterra, apparentemente per consigliare i fratelli inglesi sulla condotta da tenere durante gli imminenti procedimenti legali. Alla fine, Imbert venne imprigionato in Inghilterra, ma in condizioni assai meno dure di quelle dei suoi colleghi francesi. Nell'aprile 1313 fu inviato dalla Torre di Londra all'arcivescovo di Canterbury per fare penitenza. Un mese dopo, Edoardo II gli assegnò una pensione per il suo mantenimento. Dovettero esservi molti Templari venuti in Inghilterra come Imbert, ma mai detenuti. Alcuni avrebbero attraversato direttamente la Manica. Altri, con molta probabilità, sarebbero passati attraverso le Fiandre che continuavano a vederli di buon occhio e mantenevano un costante traffico marittimo con le Isole Britanniche. A mano a mano che l'Inghilterra, durante i sette anni successivi, diventava un rifugio sempre meno sicuro, i fuggiaschi dal continente, insieme ai loro fratelli inglesi e irlandesi, avrebbero gravitato a nord dove, fuori portata del papato e
dell'Inquisizione, potevano sperare nell'immunità.
La flotta templare e le sue vie di fuga Qualsiasi esodo in massa di Cavalieri, specie se comprendeva anche il tesoro dell'Ordine, avrebbe quasi certamente coinvolto la flotta templare: quella flotta che sparì così misteriosamente e di cui si sa così poco. In verità, la flotta templare può essere la risposta a molti interrogativi sugli ultimi giorni dell'Ordine. Può anche indicare una possibile presenza dei Templari nell'Argyll. È un territorio praticamente inesplorato. Alla metà del Duecento la flotta templare era diventata non soltanto una necessità, ma un grande vantaggio. Per i Templari, come per l'Ordine ad essi affine, i Cavalieri di San Giovanni, era molto più conveniente trasportare uomini, cavalli e materiale in Terra Santa con le loro navi piuttosto che noleggiare bastimenti dai mercanti locali. Inoltre, la flotta poteva servire per trasportare altro personale ed equipaggiamento, nonché i pellegrini: un impiego che si rivelò una proficua fonte di reddito. A un certo punto, i Templari trasportavano 6000 pellegrini l'anno in Palestina dai loro porti in Spagna, Francia e Italia. Le loro navi venivano generalmente preferite ad altre perché viaggiavano con una scorta di galere armate. E poi l'Ordine «dava affidamento perché non vendeva mai i propri passeggeri come schiavi nei porti musulmani, a differenza di certi mercanti».4 E non dovendo pagare
imposte doganali, le navi del Tempio svolgevano anche un vasto traffico di tessuti, spezie, tinture, porcellane e vetri. Come abbiamo visto, i Templari erano autorizzati ad esportare la propria lana. Il commercio dell'Ordine era così attivo che gli armatori civili di Marsiglia, fin dal 1234, tentarono di bandirli dal loro porto. Da quell'anno in poi, sia i Templari che gli Ospedalieri erano ridotti a una sola nave che poteva compiere solo due viaggi l'anno; erano autorizzati a trasportare tutto il carico che la nave poteva contenere, ma non più di 1500 passeggeri. Tali misure, tuttavia, non limitarono le attività marittime dei due Ordini. Entrambi si servirono semplicemente di altri porti. Nel complesso, la flotta templare era destinata ad operare nel Mediterraneo, rifornendo la Terra Santa di uomini e mezzi e importando merci dal Medio Oriente in Europa. Ma operava al tempo stesso anche in Atlantico. Svolgeva un vasto commercio con le Isole Britanniche e, molto probabilmente, con le città baltiche della Lega Anseatica. Quindi le comunità dei Templari in Europa, specie in Inghilterra e in Irlanda, erano generalmente situate sulla costa o sui fiumi navigabili. Il loro principale porto marittimo sull'Atlantico era La Rochelle, che era anche ben collegato via terra con i porti del Mediterraneo. Le stoffe, ad esempio, potevano essere portate dalla Gran Bretagna a La Rochelle a bordo di navi templari, poi trasportate via terra fino a un porto mediterraneo come Collioure, quindi caricate di nuovo a bordo di navi templari e portate in Terra Santa. In questo modo era possibile
evitare di passare dallo stretto di Gibilterra, che comportava sempre un rischio perché era abitualmente controllato dai saraceni. È poco probabile che il personale del Tempio di Parigi, sfuggito alle grinfie di Filippo, cercasse scampo via terra giacché gli uomini del re pattugliavano quasi tutta la regione intorno a Parigi. (Due Templari che tentarono di fuggire a nord furono catturati a Chaumont, nell'alta Marna, proprio quando stavano per uscire dal territorio francese.) Raggiungere La Rochelle via terra sarebbe stato molto arduo, se non impossibile. Ma, se il principale porto templare era La Rochelle, sappiamo che l'Ordine manteneva una flotta di navi più piccole sulla Senna e che vi erano, in effetti, numerose Case e comunità templari disseminate lungo il fiume da Parigi alla costa: almeno dodici, compresa una a Rouen e una vicino a dove sorge l'attuale Le Havre. Inoltre, i Templari erano esenti da dazio e le loro navi non erano soggette a perquisizioni. Quindi, nei mesi immediatamente precedenti ai primi arresti, avrebbero potuto facilmente trasportare il personale e il tesoro lungo la Senna fino alla costa. Qui, gli uomini e il carico sarebbero stati trasferiti a bordo di navi più grandi in partenza da La Rochelle o qualsiasi altro porto. Anche dopo che gli arresti e la persecuzione erano iniziati, appare più probabile che i Templari cercassero scampo principalmente sui fiumi e sul mare piuttosto che via terra. Ma dove si sarebbe diretta la flotta templare, dopo essere salpata dai porti francesi? Bisogna ricordare che non esistono più documenti di alcun genere e questo è di
per sé indicativo. Se Filippo avesse preso, catturato o confiscato navi templari, ve ne sarebbe sicuramente traccia. Anche se la documentazione ufficiale fosse stata censurata o soppressa, la cosa si sarebbe risaputa. Sarebbe stato impossibile tenere segreta una simile mossa. Analogamente in Spagna e in Portogallo, uno sbarco dei Templari non poteva passare inosservato. D'accordo, i Templari provenienti dalla Francia sarebbero stati bene accolti dai loro fratelli spagnoli e portoghesi. Potevano aspettarsi un cordiale benvenuto in luoghi come Majorca, dove l'Ordine possedeva la città e il porto di Pollensa e molto altro territorio, e dove il re, Giacomo II, era loro amico. Ma a quell'epoca i porti della Spagna e del Portogallo erano importanti centri urbani e commerciali, con una economia fiorente e una vasta popolazione civile. Dato lo scalpore causato dai primi arresti in Francia, è poco credibile che le navi templari potessero approdare in una città come Palma senza lasciare alcuna traccia negli archivi storici. E i Templari stessi, naturalmente, non potevano permettersi di attirare l'attenzione. In realtà, esistevano solo tre destinazioni possibili per la fiotta templare. Una, suggerita talvolta dagli storici, poteva essere una qualche località del mondo islamico: nel Mediterraneo o sulla costa atlantica del Nord Africa. Ma le circostanze inducono a scartare questa possibilità. In primo luogo, i Templari, nel 1307, speravano ancora di riuscire a scagionarsi dalle accuse mosse contro di loro. Cercare rifugio fra gli "infedeli" equivaleva a riconoscersi
colpevoli di eresia e di slealtà. Inoltre, se la flotta templare si fosse messa sotto la protezione dell'Islam, è improbabile che i commentatori musulmani non ne avrebbero fatto menzione. Dopo tutto, sarebbe stato un grosso colpo propagandistico. In effetti, quando piccoli gruppi di Templari in Spagna e in Egitto cercarono rifugio lì e si convertirono, almeno nominalmente, all'islamismo, gli scrittori musulmani sfruttarono ampiamente la notizia. Difficilmente avrebbero taciuto se la flotta templare, magari insieme al tesoro dell'Ordine, fosse passata dalla loro parte. Talvolta viene avanzata l'ipotesi che la flotta templare avesse cercato scampo in Scandinavia. Come abbiamo notato, i due Templari interrogati in Scozia affermarono che i loro fratelli erano fuggiti per mare e questo ha indotto alcuni storici a supporre che fossero andati in Danimarca, Svezia o, più probabilmente, in Norvegia. Tale eventualità non può essere scartata del tutto, ma è molto improbabile. La popolazione della Scandinavia era minuscola a quell'epoca e sarebbe stato difficile passare inosservati in una zona abitata. I Templari non avevano Casa in quei paesi, nessuna base da cui operare, nessun legame commerciale o politico con le popolazioni o i governi. E dopo che l'Ordine venne ufficialmente sciolto nel 1310, avrebbero rischiato l'arresto e la persecuzione in Scandinavia come altrove. Anche in questo caso, poi, ci si aspetterebbe di trovare qualche traccia della loro presenza. Nondimeno, le rocche inespugnabili nelle desolate lande
norvegesi - non più inospitali, dopo tutto, delle regioni "colonizzate" dai Cavalieri Teutonici - avrebbero offerto un qualche rifugio. Potevano persino sembrare attraenti in mancanza di alternative. Ma c'era un'alternativa: la Scozia, un paese con cui i Templari mantenevano già rapporti cordiali, un paese il cui sovrano legalmente riconosciuto era stato scomunicato e, quel che più conta, un paese all'ansiosa ricerca di alleati, specialmente di combattenti ben addestrati. Se i Cavalieri avessero cercato di progettare o inventare un rifugio ideale, non avrebbero potuto trovare nulla di meglio. La flotta di Edoardo, di base sulla costa orientale dell'Inghilterra, bloccava completamente le rotte battute fra le Fiandre e i porti scozzesi come Aberdeen e Inverness. Le navi templari, risalendo a nord da La Rochelle o dalla foce della Senna, non avrebbero rischiato di passare dalla Manica e dal Mare del Nord. Né avrebbero attraversato il mare d'Irlanda, anch'esso bloccato dalle navi della marina inglese di base ad Ayr e a Carrickfergus nella baia di Belfast. Ma una rotta importante era aperta: quella che andava dalla costa settentrionale dell'Irlanda, compresa la foce del Foyle e Londonderry, fino ai domini di Bruce in Argyll, Kintyre e nello stretto di Jura. L'intimo amico e alleato di Bruce, Angus Og MacDonald di Islay, presidiava Islay, Jura e Colonsay e assicurava un collegamento diretto fra l'Ulster nord-occidentale e la Scozia sud-occidentale. Era appunto questa la via di comunicazione che veniva usata da qualche tempo per rifornire Bruce di armi e di equipaggiamento.
Se grandi contingenti di Templari provenienti dal continente e/o parti della flotta templare stessa trovarono rifugio in Scozia, poterono giungervi solo per questa via: dal Donegal, dal Foyle, dalla costa nord-occidentale dell'Ulster allo stretto di Jura e dintorni. Ma come poteva una flotta templare portarsi su questa rotta senza passare dal mare d'Irlanda col rischio di venire intercettata dalle navi inglesi? Oggi tendiamo a considerare l'Irlanda una delle Isole Britanniche, il cui centro più importante è Dublino e i cui porti principali, ad eccezione di un paio nel sud, si trovano sulla costa orientale, di fronte al mare d'Manda e alla "terraferma" britannica. È stato sicuramente così dal Seicento in poi, ma non era così nel Medioevo e nelle epoche precedenti. Ai tempi di Bruce, l'Irlanda non commerciava principalmente con l'Inghilterra ma con il continente. Di conseguenza, Dublino e gli altri porti orientali erano del tutto secondari in confronto ai principali porti meridionali nelle contee di Wexford, Waterford e Cork. Cosa ancora più importante, l'Irlanda occidentale, ora vista come un entroterra remoto, spoglio e spopolato, aveva due porti di proporzioni realmente considerevoli: Limerick e soprattutto Galway. Durante il Medioevo Limerick e Galway erano città fiorenti, che mantenevano un florido commercio non soltanto con la Francia, ma anche con la Spagna e con il Nord Africa. Di fatto, in alcune vecchie mappe l'Irlanda figura più vicina alla Spagna che all'Inghilterra. Le rotte commerciali che collegavano Galway alla Spagna e ai centri costieri francesi come Bordeaux e La Rochelle,
erano note e trafficate quanto qualsiasi altra rotta dell'epoca. Da Galway si proseguiva verso nord, costeggiando il Donegal, oltre la foce del Foyle e quella che oggi è Londonderry, fino alla costa occidentale della Scozia. Quasi sicuramente, le navi templari in fuga avrebbero seguito questa rotta. Era sicura, conveniente e familiare e la flotta inglese non poteva tagliarla in alcun modo. Come abbiamo notato, le moderne località con il prefisso "Temple" nelle Isole Britanniche vengono riconosciute dagli storici come antichi possedimenti templari. Come abbiamo inoltre notato, i Templari, data la loro considerevole attività marittima e commerciale, tendevano a costruire i loro insediamenti principali sulla costa o sui fiumi navigabili. Così, ad esempio, Maryculter in Scozia era sul Dee, Balantrodoch e Temple Liston sul Tyne, Westerdale sull'Esk, Faxfleet sull'Humber, e c'erano vaste installazioni portuali a Londra, Dover e Bristol. Gli archivi irlandesi sono assai più frammentari giacché molti sono andati sicuramente perduti o distrutti negli sconvolgimenti dei secoli successivi; e può darsi che nell'Irlanda occidentale, dove gran parte della popolazione parlava gaelico fino al XX secolo, il genere di documentazione trovato altrove non sia mai stato compilato. Comunque sia, gli archivi esistenti in Irlanda mostrano uno schema simile a quello prevalente altrove nelle Isole Britanniche, con le Case e gli insediamenti templari situati sulla costa o sui fiumi navigabili. Ma questi archivi mostrano che i possedimenti templari erano
concentrati lungo la costa orientale, dall'Ulster alla base principale di Clontarf a Dublino, giù giù attraverso Kilcloggan e Templebryan, fino a Cork. La principale eccezione di cui si ha notizia è Limerick, dove l'Ordine aveva pure cospicue proprietà. E l'occidente? Non se ne parla mai, perché apparentemente nessuno ne sa nulla. Noi, tuttavia, abbiamo scoperto almeno altre sette località sulla costa nord-occidentale dell'Irlanda che non sono menzionate in alcun registro, ma che da tutte le prove disponibili sembrano essere appartenute ai Templari. Nel moderno Donegal, c'è Templecrone vicino all'isola di Aran e Templecavan nella penisola di Malin. C'è Templemoyle vicino a Greencastle sul Foyle. Un po' all'interno della baia di Donegal ci sono Templehouse, Templerushin e Templecarne. Ancora più all'interno, c'è Templedouglas. E poteva esserci un insediamento dell'Ordine a Litford, in quella che oggi è la contea di Tyrone, subito a nord di Strabane. Nessuna di queste località sembra aver avuto una particolare importanza religiosa, cristiana o precristiana, che potrebbe spiegare il prefisso "Temple". In quasi tutte, vi sono cappelle diroccate di epoca medievale. Tutto indica che anch'esse erano antiche proprietà dei Templari. Non avrebbero figurato negli archivi perché erano così isolate da quelli che allora erano (e in alcuni casi sono tuttora) importanti centri abitati. In verità, le autorità ecclesiastiche e secolari dell'epoca - il papa ad Avignone, Filippo a Parigi ed Edoardo a Londra potevano addirittura ignorare la loro esistenza. Eppure
sarebbero state conformi al consueto modello edilizio dei Templari: avrebbero offerto preziosi scali marittimi e protetto le vie commerciali. Da tutto ciò appare molto probabile che la flotta templare, sfuggita alle grinfie del re francese, risalisse la costa occidentale dell'Irlanda e poi contornasse quella settentrionale. Molto probabilmente, fece parecchie soste lungo la via per caricare armi, equipaggiamento e forse altri fratelli fuggiaschi. Una volta arrivati vicino al Foyle, i profughi sarebbero stati al sicuro in un territorio presidiato dagli alleati di Bruce. E dal Foyle e dalla costa dell'Ulster occidentale, ci sarebbe stato un collegamento diretto con la rotta usata regolarmente per contrabbandare armi nell'Argyll sotto gli auspici e la protezione di Angus Og MacDonald. Così le navi, le armi e il materiale, i guerrieri templari e, forse, il tesoro dell'Ordine, avrebbero trovato la via della Scozia, fornendo rinforzi e risorse vitali alla causa di Bruce.
Leggende sulla sopravvivenza dei Templari Scrivendo a metà dell'Ottocento, uno storico dei Templari afferma con sicurezza forse un po' ingiustificata: Molti [Templari], tuttavia, erano ancora a piede libero, essendo riusciti a evitare la cattura cancellando tutti i segni della loro precedente professione e alcuni erano fuggiti sotto vari travestimenti nelle zone selvagge e montagnose del Galles, della Scozia e dell'Irlanda.5
Possibile rotta dei Templari. Via marittima sicura verso la Scozia 13071309.
Alla fine del secolo, un altro storico scrive: I Templari... trovarono forse rifugio nel piccolo esercito dello scomunicato re Roberto, il cui timore di offendere il monarca francese sarebbe stato sicuramente superato dal desiderio di reclutare alcuni esperti uomini d'arme.6
E uno storico moderno, scrivendo nel 1972, è ancora più preciso: Fuggirono tutti tranne due fratelli scozzesi; politici astuti, potrebbero benissimo aver trovato rifugio presso i guerriglieri di Bruce; certamente re Roberto non ratificò mai legalmente lo scioglimento del Tempio scozzese.7
Gli storici massonici e gli scrittori di orientamento massonico sono ancora più espliciti e più precisi nelle loro asserzioni. Così: ci dicono [...] che avendo abbandonato il Tempio, si schierarono sotto le insegne di Robert Bruce e combatterono con lui a Bannockburn... Bruce, in cambio dei loro preziosi servigi, costituì questi Templari in un nuovo sodalizio.8
E ancora: Nel 1309, quando iniziarono le persecuzioni, fu tenuta un'inquisizione a Holyrood e comparvero soltanto due cavalieri, poiché gli altri erano legittimamente impegnati a combattere, essendosi uniti all'esercito di Bruce che stava marciando contro gli inglesi.9
Non si sa con certezza se asserzioni del genere delle ultime due, derivate da fonti massoniche, si basino su informazioni verificabili o sulla leggenda. In ogni caso, è indiscutibile che le leggende sulla sopravvivenza dei Templari in Scozia abbondano. In realtà, ve ne sono almeno due gruppi distinti. Uno di questi venne diffuso per la prima volta, o almeno emerse tramite le attività di un importante massone del Settecento, il barone Karl von Hund, e il rito massonico da lui derivato: un rito noto come la Stretta Osservanza, che pretendeva di essere una "restaurazione" dell'Ordine del Tempio. Secondo la Stretta Osservanza, Pierre d'Aumont, precettore di Alvernia, insieme a sette cavalieri e altri due precettori, fuggì dalla Francia intorno al 1310, prima in Irlanda e due anni dopo in Scozia: più esattamente nell'isola di Mull. Lì, si dice che unissero le forze con altri Templari, presumibilmente profughi dall'Inghilterra e dalla Scozia, guidati da un precettore di nome George Harris, ex funzionario dell'Ordine a Caburn e Hampton Court; e sotto i comuni auspici di Harris e Pierre d'Aumont, fu presa la decisione di perpetuare l'istituzione. Una lista di Gran Maestri dei Templari, fornita dal barone von Hund, indica
Pierre d'Aumont come il successore di Jacques de Molay.10 Nella Parte III di questo libro esamineremo in dettaglio la plausibilità di queste asserzioni, come pure lo specifico contesto storico da cui sono derivate e in cui devono essere inquadrate. Valuteremo la credibilità dello stesso Hund e quella delle fonti da cui affermava di aver ottenuto le sue informazioni. Per il momento, basterà commentare alcuni dettagli contenuti nel resoconto della Stretta Osservanza. Sotto certi aspetti, comunque, i dettagli non sono soltanto inattendibili, ma sbagliati e lo si può dimostrare. Ad esempio, la Stretta Osservanza dichiara che Pierre d'Aumont era precettore di Alvernia. Ma, in realtà, il precettore di Alvernia non era Pierre d'Aumont, ma Imbert Blanke, che, come abbiamo visto, fuggì in Inghilterra nel 1306 e si fece arrestare. Inoltre, è quanto mai improbabile che i profughi templari avessero trovato asilo nell'isola di Mull. A quell'epoca, l'isola era occupata dal suo proprietario, Alexander McDougall di Lorn, uno degli alleati di Edoardo II e uno dei più accaniti avversari di Bruce. Anche dopo che Bruce lo aveva sconfitto, McDougall contava sicuramente numerosi simpatizzanti a Mull, che non gli avrebbero nascosto attività clandestine dei Templari nell'isola. D'altro canto, c'erano effettivamente due luoghi appartenenti agli alleati di Bruce dove i Templari fuggiaschi avrebbero potuto rifugiarsi, o, comunque, sostare senza rischi nei loro viaggi. Uno di questi offrì un
rifugio momentaneo allo stesso Bruce durante le fasi avverse delle sue campagne e vantava un castello solidamente presidiato che rimase immutabilmente fedele al sovrano. Ed entrambi questi luoghi erano strategicamente situati sulla rotta marittima di cruciale importanza fra l'Ulster e le basi di rifornimento di Bruce nell'Argyll. Erano il Mull di Kintyre e il Mull di Oa. Il resoconto della Stretta Osservanza può quindi essere errato in alcuni dettagli, ma è facile vedere come possono essere nate queste idee sbagliate. Lo stesso Hund ammette di aver udito il suo resoconto da informatori scozzesi. I dettagli potevano benissimo essere stati impasticciati nel corso di circa quattro secoli e mezzo. Un ulteriore pasticcio è stato fatto sicuramente nel trasmetterli e tradurli. Se un inglese moderno può confondere l'isola di Mull con il Mull di Kintyre o il Mull di Oa, una simile confusione è tanto più comprensibile da parte di un nobile tedesco del Settecento, che non conosceva affatto la geografia scozzese e si trovava di fronte a una massa di dati nemmeno nella sua lingua. Mentre il resoconto della Stretta Osservanza può, quindi, essere errato nei particolari, il suo tenore generale è quanto mai plausibile. Un dettaglio particolamente indicativo è l'asserzione che i Templari fuggiaschi andarono prima in Irlanda. Questo, come abbiamo visto, suona decisamente vero; e non ci sarebbe stato bisogno d'includerlo in una storia inventata. La seconda leggenda sulla sopravvivenza dei Templari apparve per la prima volta in Francia intorno al 1804, più di mezzo secolo dopo Hund. Sotto il regime napoleonico, un
certo Bernard-Raymond Fabré-Palaprat tirò fuori un documento che avrebbe recato la data del 1324, dieci anni dopo l'esecuzione di Jacques de Molay. Se questo documento è degno di fede, Jacques, poco prima di morire, lasciò istruzioni per la perpetuazione dell'Ordine. A succedergli come Gran Maestro, avrebbe designato uno dei Templari rimasti a Cipro, un cristiano nato in Palestina di nome Giovanni Marco Larmenio. Sulla base della cosiddetta Carta di Larmenio, Fabré-Palaprat creò (o rese pubblica) un'istituzione non-massonica, neo-cavalleresca, l'Antico e Sovrano Ordine Militare del Tempio di Gerusalemme, che esiste ancora oggi. Secondo dichiarazioni non confermate dei suoi attuali membri, la Carta di Larmenio, sebbene venisse resa pubblica per la prima volta nel 1804, era già in circolazione un secolo prima, nel 1705, e si dice che l'Ordine di Fabré-Palaprat faccia risalire la sua ricostituzione ad allora.11 Noi non siamo in grado di confermare o confutare la veridicità della Carta di Larmenio. Per i nostri scopi, il suo interesse risiede principalmente in una dichiarazione in essa contenuta: «Io, infine... dico e ordino che i Templari scozzesi disertori dell'Ordine, siano colpiti da anatema».12 Questa singola maledizione è interessante, anzi provocatoria e forse rivelatrice. Se la Carta di Larmenio è autentica e data realmente dal XIV secolo, la maledizione sembrerebbe confermare la sopravvivenza di Templari fuggiaschi in Scozia. Fa pensare inoltre che questi fuggiaschi assumessero una posizione contraria a
Larmenio e alla sua cerchia, che, si desume, cercarono di essere assolti da tutte le accuse e di riconciliarsi in qualche modo con la Chiesa. Ma se, com'è più probabile, la Carta di Larmenio è più recente - XVIII o XIX secolo suggerisce una violenta antipatia verso le asserzioni promulgate da Hund e dalla Massoneria di Stretta Osservanza. O verso qualche altra nota istituzione templare sopravvissuta in Scozia a quell'epoca. Qualunque sia la validità delle leggende, è indubbio, come abbiamo visto, che almeno alcuni Templari raggiunsero la Scozia, mentre altri, già nel paese, non furono mai presi. L'unico vero interrogativo è quanti rimanessero a piede libero. Tuttavia, in ultima analisi, nemmeno il numero esatto ha importanza. Il punto è che i Templari, molti o pochi che fossero, erano combattenti addestrati: i migliori del loro tempo, i maestri riconosciuti dell'arte guerresca. La Scozia era un regno che lottava disperatamente per la propria indipendenza, per la sopravvivenza della propria identità nazionale e culturale. Più ancora, era sotto interdizione papale e il suo re era scomunicato. In tali circostanze, Bruce avrebbe ovviamente accolto con gioia qualsiasi aiuto poteva ricevere; e l'aiuto che i Templari potevano offrire sarebbe stato più che benvenuto. Come veterani esperti, sarebbero stati preziosi per addestrare i soldati scozzesi, inculcare la disciplina, conferire professionalità a uomini opposti ad un nemico numericamente superiore e meglio equipaggiato. La loro perizia nella strategia e logistica più vasta sarebbe stata
vitale. Probabilmente non si saprà mai se formassero effettivamente la "forza fresca" che intervenne in modo così decisivo a Bannockburn. Ma non occorreva che quella forza fosse formata esclusivamente da loro. Un pugno di Templari sarebbe stato sufficiente per guidarla e avrebbe prodotto il medesimo effetto sull'esercito inglese.
1 Wood, I Templari in Irlanda, p. 348. 2 Bain, Calendar of Documents Relating to Scotland, p. 103. 3 Wilkins, Concilia magnae britanniae, vol. II; Testimonianza di Walter de Clifton, pp. 380- 81, e di William de Middleton, p. 381. 4 Seward, The Monks of War, p. 50. 5 Addison, The History of the Knights Templars, p. 213. 6 Aitken, I Cavalieri Templari in Scozia, p. 34. 7 Seward, op. cit., p. 205. 8 Haye, The Persecution of the Knights Templars, p. 114. 9 Bothwell-Gosse, The Knights Templars, p. 105. 10 La migliore analisi di von Hund e del sistema della "Stretta Osservanza" si trova in Le Forestier, La franc-maçonnerie templière et occultiste, vol. I, pp. 103-238. La leggenda di Mull è a pp. 160-61. La lista dei Gran Maestri dei Templari compilata da von Hund si trova in Thory, Acta latomorum, vol. I, pp. 282-83. 11 La storia della "Carta di Larmenio", insieme a una trascrizione e traduzione, si trova in Crowe, La "Charta Transmissionis" di Larmenio. I cosiddetti Statuti del 1705 furono stampati a Bruxelles, 1840, come Statuts des chevaliers de l'ordre du temple, dal Convent-Général de Versailles. 12 Crowe, op. cit., p. 189.
5 La Scozia celtica e le leggende del Graal
Se, negli anni successivi a Bannockburn, un'enclave di Templari si era stabilita effettivamente nell'Argyll e si era imparentata tramite matrimoni con il sistema dei clan, la regione doveva costituire un habitat naturale e quanto mai congeniale. Sotto certi aspetti, potrebbe aver rappresentato una specie di ritorno a casa. Naturalmente, i Templari erano "una leggenda vivente". Tuttavia, in Scozia e specialmente nell'Argyll, vi erano altri antecedenti leggendari con cui l'Ordine si sarebbe identificato agli occhi del popolino. In effetti, l'Argyll offriva un contesto di leggende in cui i Templari si sarebbero inseriti senza sforzo. Verso la fine del XII secolo, i primi cosiddetti romanzi del Graal apparvero in Europa. All'inzio del XIV secolo - cioè, all'epoca di Bruce e della soppressione del Tempio - quel
genere di romanzi era ancora molto in voga e aveva generato un'immensa raccolta di opere letterarie collaterali. Il concetto di cavalleria, come veniva esposto in quelle opere, stava raggiungendo il suo apice. I sovrani cristiani aspiravano ad uguagliare goffamente i nobili modelli di Parsifal, Galvano, Lancellotto e Galahad, o almeno cercavano di mostrare quell'immagine di se stessi ai loro sudditi. Così, ad esempio, Edoardo I si sforzò di dipingersi come un moderno Artù, fino al punto d'indire tornei della Tavola Rotonda. Così, alla vigilia di Bannockburn, mentre i due eserciti si schieravano per la battaglia, Bruce e il cavaliere inglese Henry de Bohun si affrontarono in singolar tenzone: il genere di duello personalizzato all'ultimo sangue tanto celebrato nei romanzi cavallereschi. I romanzi del Graal, sebbene condannati dalle autorità ecclesiastiche in altre parti d'Europa, ebbero particolare diffusione in Scozia. Bisogna ricordare che Bruce cercava di restaurare in quel paese un regno celtico le cui tradizioni risalivano al Dalriada attraverso Davide I. E i romanzi del Graal contenevano un importante elemento celtico, una raccolta di leggende e credenze popolari celtiche che non esisteva nella letteratura più tarda, proveniente dall'Inghilterra normanna o dal continente. Nella forma in cui li conosciamo oggi, i romanzi del Graal sono un genere letterario ibrido e peculiare che rispecchia un complicato processo di fertilizzazione incrociata. Come abbiamo dibattuto in un'opera precedente,1 contengono un'importante raccolta di materiale giudaico-cristiano
nascosto e camuffato sotto una elaborata forma drammatica. Ma questo materiale è stato impiantato in un corpo di leggende e saghe che è prettamente celtico. Molto prima che il Graal stesso apparisse nella letteratura, con il suo significato specificamente cristiano, vi erano poemi e racconti celtici che parlavano di cavalieri alla ricerca di un misterioso oggetto sacro dotato di poteri magici, di un remoto castello con un re storpio o impotente, di una terra arida e desolata che soffriva dello stesso degrado del suo signore. Così, alcuni studi recenti fanno un'accurata distinzione fra il "Graal cristiano" dei romanzi più tardi e meglio conosciuti e il "Graal pagano" dei loro precursori. E in effetti, fu la confusione fra il miracoloso calderone citato nelle opere più antiche e il Graal più nebuloso citato in quelle più recenti che portò a definirlo una tazza, una coppa, un calice o un recipiente, anziché collegarlo con il sang réal, il sangue reale, a cui in realtà si riferiva. Sulle fondamenta delle antiche saghe celtiche - le saghe del calderone e della terra desolata e del periglioso castello - fu quindi eretta una sovrastruttura giudaicocristiana per creare quelli che vengono ora chiamati i romanzi del Graal. E questa sovrastruttura, cosa abbastanza indicativa, viene ripetutamente associata con i Templari. Così, ad esempio, in Parzival, forse la singola storia più ampia e importante di tutte quelle del Graal, Wolfram von Eschenbach dipinge i Templari come «guardiani del Graal» e «della famiglia del Graal».
Wolfram sostiene anche di aver appreso la storia del Graal da un certo «Kyot de Provence», che si può identificare come Guiot de Provins, uno scrivano e propagandista templare.2 Ancora più indicativo è il fatto che il romanzo del Graal noto come II Perlesvaus, secondo per importanza soltanto alla versione di Wolfram, contenga chiare allusioni all'Ordine, non solamente nella sua descrizione di cavalieri con bianchi mantelli decorati di croci rosse che custodivano un sacro segreto, ma anche nel tenore stesso del suo pensiero e dei suoi valori. Il Perlesvaus mostra una meticolosa, dettagliata e precisa conoscenza delle armi e delle armature, delle tecniche di combattimento e delle caratteristiche delle ferite. È chiaramente opera di un combattente e non di un trovatore o di un romanziere. E l'influenza templare lo pervade al punto da indurre molti a credere che l'anonimo autore fosse egli stesso un Templare. In opere come Parzival di Wolfram e II Perlesvaus, il lettore si trova di fronte a un accrescimento sincretistico di due diverse tradizioni: una giudaicocristiana e una celtica. E l'"adesivo", per così dire, l'intelaiatura metaforica che tiene insieme le due componenti, è implicitamente o esplicitamente templare. All'epoca di Bruce, la tradizione celtica, la mistica del Graal e i valori dei Templari si erano ormai fusi in un unico amalgama che creava spesso confusione. È il caso, ad esempio, del ben noto "culto della testa": l'antica credenza celtica che la testa contenga l'anima e che le teste degli avversari sconfitti debbano quindi essere mozzate e
conservate. In effetti, la testa mozza è ora considerata come uno dei marchi caratteristici dell'antica cultura celtica. Figura in modo forse preminente nel mito di Bran il Beato, la cui testa, secondo la tradizione, venne sepolta come talismano protettivo fuori Londra, con la faccia rivolta verso la Francia. Non soltanto protesse effettivamente la città dagli attacchi, ma rese anche fertile la campagna circostante e tenne lontana la peste dall'intera Inghilterra. In altre parole, svolse funzioni straordinariamente simili a quelle del Graal nei romanzi più tardi. Ricompare in seguito come il cosiddetto "Uomo verde", il dio della vegetazione e nume tutelare della fertilità. Nello stesso periodo, i Templari avevano il proprio "culto della testa". Una delle accuse mosse di preferenza contro di loro, e di cui parecchi Cavalieri si dichiararono colpevoli, era quella di adorare una misteriosa testa mozza, denominata talvolta Baphomet. Inoltre, quando i funzionari del re francese fecero irruzione nel Tempio di Parigi il 13 ottobre 1307, fu trovato un reliquiario d'argento a forma di testa, contenente un teschio di donna. Recava una targhetta con la scritta «Caput LVIIlm»: «Testa 58m». 3 A prima vista potrebbe sembrare semplicemente una macabra coincidenza. Ma nella lista di accuse compilata dall'Inquisizione contro i Templari il 12 agosto 1308, figura quanto segue: Item, che in ogni provincia avevano idoli, cioè teste... Item, che adoravano questi idoli... Item, che dicevano che la testa poteva salvarli.
Item, che [poteva] produrre ricchezze... Item, che faceva fiorire gli alberi. Item, che [faceva] germogliare la terra...4
Queste caratteristiche sono precisamente - al punto da essere a volte citate testualmente - quelle attribuite dai romanzi del Graal e dalla tradizione celtica alla testa mozzata di Bran il Beato. È quindi chiaro che tanto i romanzi del Graal quanto i Templari, malgrado il loro primario orientamento cristiano, inglobarono residui della tradizione celtica d'importanza cruciale. Tali residui, per quanto sconcertanti e macabri possano apparire oggi, avrebbero toccato una corda atavica familiare nel regno celtico che Bruce stava tentando di restaurare. Così, sebbene fra i prototipi celtici dei romanzi del Graal non figurasse il Graal stesso, almeno sotto quel nome, erano sicuramente presenti altri componenti della storia successiva. Il Graal fece il suo debutto in un lungo poema narrativo intitolato Le Conte du Graal di Chrétien de Troyes, che scrisse nell'ultimo quarto del XII secolo. Parzival di Wolfram e l'anonimo Perlesvaus, datati circa un quarto di secolo più tardi, attingono a materiale e fonti d'informazione di cui apparentemente Chrétien non era a conoscenza; ma è pur sempre dal suo poema che queste opere, e tutti gli altri romanzi del Graal, alla fin fine, derivano in varia misura. Si sa poco di Chrétien e poco si può spigolare se non dalle dediche delle sue opere e dal loro contenuto. Quanto emerge è assai scarso, ma almeno sembrerebbe chiaro
che Chrétien lavorava sotto la tutela e il patrocinio di corti aristocratiche: ossia quelle dei conti di Champagne e di Fiandra. Queste corti erano strettamente legate fra loro e anche ad atteggiamenti religiosi eterodossi, compresa una ingarbugliata matassa di pensiero eretico cataro. Entrambe erano anche strettamente legate ai Templari. In effetti, circa tre quarti di secolo prima di Chrétien, il conte di Champagne era stato un personaggio chiave nella creazione dell'Ordine. Hugues de Payens, primo Gran Maestro del Tempio, era un fidato vassallo del conte di Champagne e apparentemente agiva sempre secondo le sue istruzioni. In seguito, il conte stesso, avendo ripudiato la moglie, fu accolto nell'Ordine, diventando così (per un curioso paradosso) vassallo del proprio vassallo. Molte delle prime opere di Chrétien sono dedicate a vari membri della corte di Champagne e in particolare alla contessa Marie. Ma la sua versione della storia del Graal, composta fra il 1184 e il 1190, è dedicata a Filippo di Alsazia, conte di Fiandra. Chrétien afferma esplicitamente che la storia gli fu raccontata originariamente da Filippo, che poi lo incaricò di tesservi intorno un romanzo come meglio poteva. Sfortunatamente, Chrétien morì prima di portare a termine il lavoro. Ma in ciò che esiste del poema, vi sono vari punti interessanti. Ad esempio, è in quell'opera che la capitale di Artù viene denominata per la prima volta Camelot. E Chrétien designa ripetutamente Parsifal con una formula che più tardi sarà adottata da Wolfram e da altri romanzieri e infine figurerà ampiamente nella
Massoneria di epoca più tarda: «il Figlio della Vedova». Questa formula aveva un significato recondito ancora leggibile al tempo di Chrétien, ma andato successivamente perduto. Per i nostri particolari scopi è importante soprattutto notare che Chrétien, negli elementi celtici del suo poema, attinge a una miniera d'informazioni diversa dalle normali fonti inglesi e gallesi. Non che le ignori, naturalmente. Al contrario, deve loro molto. Si basa ampiamente sulla Storia dei Re di Britannia di Geoffrey di Monmouth, un resoconto quasi leggendario scritto intorno al 1138 che portò per la prima volta Artù alla conoscenza del pubblico. Si basa anche molto su racconti arcaici quali Peredur e altre storie del Mabinogion gallese. Ma vi sono altri aspetti del poema di Chrétien che non devono nulla a quelle fonti tradizionali, aspetti che sono specificamente e unicamente scozzesi. In verità, è chiaro che Chrétien ha una fonte d'informazione indipendente riguardo alla Scozia; e gli esperti sono giunti alla conclusione che abbia tratto dalla Scozia alcuni elementi chiave della geografia e topografia del suo poema. Così, ad esempio, si potrebbe supporre di primo acchito che l'eroe di Chrétien, Perceval le Galois, fosse originario del Galles. Ma, in realtà, ai quei tempi, il termine "Gualeis" o "Galois" si riferiva ai nativi del Galloway in Scozia. I cavalieri del Graal, nel poema di Chrétien, difendono «les pors de Galvoie» - le porte di Galvoie - che è la terra di cui presidiano i confini. Gli studiosi dei romanzi del Graal sono concordi nell'affermare che Galvoie dev'essere il
Galloway.5 In Geoffrey di Monmouth, vi sono riferimenti a un «Castellum Puellarum» che, in alcuni romanzi più tardi, ma non nell'opera di Chrétien, diventa il famoso Castello Periglioso. Scrivendo nel 1338, il commentatore e traduttore Robert de Brunne dice che quel Castellum Puellarum è in realtà il vero castello di Caerlaverock nel Galloway. Come osserva un moderno biografo di Chrétien, Robert de Brunne «poteva benissimo ripetere una tradizione accreditata, giacché in gioventù, a Cambridge, aveva conosciuto il futuro re Robert de Bruce».6 In ogni caso, Caerlaverock distava soltanto una decina di miglia da Annan, sede dei Bruce, che erano stati fatti lord di Annandale da Davide I nel 1124. Si diceva spesso che i castelli di Annan e di Caerlaverock erano posti «a guardia della porta del Galloway». Sebbene Chrétien non parli specificamente del Castellum Puellarum o del Castello Periglioso, parla invece di una Roche de Canguin che, secondo almeno uno studioso, «deriva da un abbellimento di Caerlaverock».7 È abbastanza significativo che nel poema di Chrétien sia questo il luogo che «guarde le pors de Galvoie». Nello stesso poema la seconda residenza di Artù dopo Camelot è chiamata Cardoeil. Fino al 1157, la capitale della Scozia era Carlisle che, ai tempi della Cronaca Anglo-sassone, si chiamava Cardeol, divenuto poi Carduil. Chrétien menziona anche un sito religioso chiamato Mont Dolorosus. Si ritiene che fosse Melrose Abbey in
Northumberland, fondata nel 1136 e nota ai tempi di Chrétien come Mons Dolorosus. Era lì che, quasi due secoli dopo, sarebbe stato sepolto il cuore di Bruce. Da questa e molte altre prove analoghe risulta ovvio che Chrétien, nelle cui opere appare per la prima volta il Graal, vuole innestare il suo concetto specificamente cristiano del Graal stesso in un corpus di materiale molto più antico, che in alcuni casi si riferisce con molta precisione alla Scozia. Ma perché un romanziere che lavorava sotto il patrocinio delle corti di Champagne e di Fiandra avrebbe dovuto focalizzarsi in modo così chiaro e netto sui siti scozzesi quando la sovrastruttura giudaico-cristiana del suo poema derivava da fonti ben diverse? Chrétien sosteneva di aver appreso per sommi capi la storia del Graal da Filippo d'Alsazia, conte di Fiandra, che gli aveva detto di ricavarne ciò che poteva. E i contatti di Filippo con la Scozia erano numerosi e stretti. Come signore delle Fiandre, aveva vaste relazioni con la Scozia e una notevole conoscenza del paese, dei suoi abitanti e delle loro tradizioni. In verità, durante tutto il XII secolo, erano stati deliberatamente creati certi vincoli fra la Scozia e le Fiandre. Durante i regni di Davide I (1124-53) e di Malcom IV (1153-65), venne attuata una politica sistematica d'insediamento d'immigranti fiamminghi in Scozia. I nuovi arrivati furono installati in vaste enclavi organizzate nell'alto Lanarkshire, nell'alto Clydesdale, nel Lothian occidentale e nel Moray settentrionale. Secondo un commentatore, l'«insediamento fiammingo sembra un tentativo sistematico d'impiantare nell'alto Clydesdale e
Moray una nuova aristocrazia, a spese dell'aristocrazia e della chiesa locali».8 Come abbiamo visto, ora si ritiene che la famiglia di Bruce fosse di origine fiamminga anziché normanna. Lo stesso vale per altre illustri famiglie scozzesi come i Balliol, i Cameron, i Campbell, i Comyn, i Douglas, i Graham, gli Hamilton, i Lindsay, i Montgomery, i Seton e gli Stewart.9 Alcune di queste famiglie hanno già figurato nella nostra storia e, insieme ad altre, occuperanno un posto ancora più importante in seguito. Lo scopo dell'insediamento fiammingo in Scozia era apparentemente quello di edificare centri urbani nel paese. Le Fiandre erano già diventate una regione urbanizzata, con grandi città commerciali come Bruges e Gand a cavallo delle vie di comunicazione e di traffico mercantile con il Reno, la Senna e le Isole Britanniche. Comprendevano nel loro territorio anche Boulogne e Calais. La monarchia scozzese aveva bisogno del reddito derivante dalle entrate cittadine e guardava alle Fiandre come a un modello di sviluppo urbano. I coloni fiamminghi venivano quindi attivamente incoraggiati a trasferirsi nel paese e installare centri metropolitani secondo il loro modello. Erano i benvenuti anche per la loro grande esperienza in fatto di agricoltura, tessitura e commercio della lana. Il legame fra la Scozia e le Fiandre, iniziato con Davide I e Malcom IV, continuò durante tutto il regno del successore di Malcom, Guglielmo il Leone. Quando Guglielmo invase l'Inghilterra nel 1173, Filippo di Alsazia inviò un contingente
fiammingo di rinforzo. E nelle questioni militari, oltre che nello sviluppo urbano, gli scozzesi impararono dai fiamminghi. Nel 1302 gli abitanti della città fiamminga di Courtrai insorsero. Usando la cosiddetta formazione schilltrom uomini disposti in un quadrato con lunghe picche piantate nel terreno e rivolte in fuori - riuscirono a sconfiggere un grande e potente esercito francese. Per la prima volta nell'Europa occidentale, Courtrai infranse la potenza dei cavalieri con la corazza in sella ai loro destrieri, ritenuti fino allora invincibili. Bruce imparò la lezione ed era proprio la formazione schilltrom quella impiegata con tanto successo a Bannockburn, finché la misteriosa forza fresca non entrò in scena capovolgendo la situazione. Vi erano molti legami di sangue e influenza reciproca fra la Scozia e le Fiandre. Grazie all'influsso dei coloni fiamminghi, le città scozzesi assunsero determinate caratteristiche nettamente fiamminghe, mentre elementi dell'antica eredità celtica della Scozia trovarono la via delle Fiandre, dove affiorarono (fra le altre cose) nei romanzi del Graal. Quando stavano ormai diventando un genere letterario, quei romanzi furono riportati in Scozia, dove l'originaria componente celtica in essi contenuta sarebbe stata debitamente riconosciuta e apprezzata. Non è difficile immaginare quanto congeniale dovesse apparire la Scozia ai Templari esuli. Quello scenario delle avventure dei cavalieri del Graal e dei Templari romanzati era, per così dire, "fatto su misura" per loro. Presentandosi come i "veri" cavalieri del Graal, potevano aiutare Bruce
nelle sue campagne ed essere inoltre accolti come cavallereschi salvatori. Dove altro avrebbero potuto trovare un clima così ospitale i superstiti dell'Ordine che desideravano secolarizzarsi, integrarsi e perpetuarsi, ben isolati dai loro persecutori?
1 Baigent, Leigh and Lincoln, The Holy Blood and the Holy Grail, pp. 24576. 2 Ivi, p. 256. 3 Oursel, Le procès des templiers, p. 208. Il rapporto originale dell'Inquisizione indicava che la leggenda si riferiva alla «testa di una delle Undicimila Vergini». Tutto fa pensare che la m fosse in realtà il segno astrologico della Vergine, che è molto simile. 4 Barber, The Trial of the Templars, p. 249. 5 Cfr. Roach nella sua versione di Chrétien de Troyes, Le conte de graal, p. 306, e Ritchie, Chrétien de Troyes and Scotland, p. 18. 6 Ritchie, op. cit., p. 10. 7 Ivi, p. 23. 8 Duncan, Scotland: The Making of the Kingdom, p. 141. 9 Platts, Scottish Hazard, pp. 127-77.
Parte II La Scozia e una tradizione nascosta
6 L'eredità dei Templari in Scozia
Uno degli errori della cultura tradizionale è quello d'insistere in una rigorosa e artificiale distinzione fra "storia" e "mito". Secondo tale distinzione, la storia è unicamente un insieme di fatti documentati: dati che possono essere sottoposti a un'analisi quasi scientifica, superare tutta una serie di test e dimostrare in tal modo che qualcosa è realmente avvenuto. La storia, intesa così, è fatta di nomi, date, battaglie, trattati, movimenti politici, conferenze, rivoluzioni, mutamenti sociali e altri fenomeni obiettivamente discernibili. Il mito, d'altro canto, viene messo da parte come irrilevante o secondario rispetto alla storia. Il mito viene relegato nel regno della fantasia, della poesia e della novellistica. Il mito viene considerato come il falso abbellimento o la falsificazione dei fatti, una distorsione della storia, e quindi qualcosa da eliminare
senza pietà. Per svelare la verità del passato bisogna prima separare nettamente la storia dal mito, o almeno così si crede. Eppure, per coloro che crearono originariamente ciò che le epoche successive poterono chiamare "mito", non esisteva tale distinzione. Ai suoi tempi e per secoli e secoli, V Odissea di Omero, dedicata alle avventure probabilmente inventate di un uomo, era ritenuta storicamente autorevole non meno dell 'Iliade, dedicata a un presunto avvenimento reale, l'assedio di Troia. Oggi molti considerano mitici gli eventi del Vecchio Testamento come il passaggio del Mar Rosso o Dio che consegna a Mosè le Tavole della Legge, ma molti sono tuttora convinti che i medesimi eventi siano realmente accaduti. Nella tradizione celtica, le saghe riguardanti, ad esempio, Cuchullinn e i cavalieri del Ramo Rosso furono ritenute per secoli storicamente esatte; e ancora oggi, non c'è modo di sapere se siano veramente tali, se siano infiorettature più o meno rilevanti di eventi storici, o se siano inventate di sana pianta. Per citare un esempio più recente, oggi tutti riconoscono che il Selvaggio West degli Stati Uniti dell'Ottocento, come veniva raffigurato prima nei romanzi da quattro soldi e poi da Hollywood, era mitico. Eppure Jesse James, Billy the Kid, Wild Bill Hickok, Doc Holliday e i fratelli Earp sono realmente esistiti. La leggendaria sparatoria all'OK Corrai ebbe effettivamente luogo, se non proprio nella forma proposta abitualmente. Fino a poco tempo fa, i miti intessuti intorno a personaggi ed episodi del genere erano praticamente inseparabili dalla storia.
Così, al tempo del proibizionismo, uomini come Eliot Ness da un lato, John Dillinger e "Legs" Diamond dall'altro, immaginavano di replicare un dramma del West storicamente esatto fra coraggiosi tutori dell'ordine e romantici fuorilegge. E nel farlo, crearono una nuova storia intorno alla quale sarebbero stati intessuti nuovi miti. Nella misura in cui accendono la fantasia e rimangono vivi nell'immaginazione della gente, gli eventi e i personaggi storici sfumano impercettibilmente nel mito. In casi come quello di re Artù o di Robin Hood, il mito ha totalmente inglobato quel tanto di realtà storica che poteva esserci un tempo. Nel caso di Giovanna d'Arco, la realtà storica, sebbene non del tutto eclissata, è passata in secondo piano, mentre la ribalta è dominata dall'esagerazione, dall'infiorettatura e dalla pura invenzione. In casi più recenti - Che Guevara, ad esempio, John Kennedy o Marilyn Monroe, John Lennon o Elvis Presley - si può discernere la realtà storica fra gli elementi mitici, ma in defintiva non è possibile separarla da essi; e sono proprio gli elementi mitici a renderla interessante. Si può osservare - ed è stato osservato - che tutta la storia scritta o riportata è essenzialmente una forma di mito. Qualsiasi resoconto storico è orientato verso i bisogni, gli atteggiamenti e i valori dell'epoca in cui viene compilato e non di quella a cui si riferisce. Qualsiasi resoconto storico è necessariamente selettivo: include certi elementi e ne omette altri. Qualsiasi resoconto storico, non foss'altro in virtù della sua selettività, sottolinea certi fattori e ne trascura altri. In questa misura, è parziale e
nella misura in cui è parziale, falsifica inevitabilmente "ciò che è realmente accaduto". Se i media moderni non riescono a concordare sull'interpretazione di eventi accaduti appena ieri, il passato è soggetto a una libertà d'interpretazione molto maggiore. Per tali ragioni, i romanzieri del dopoguerra - da Carlos Fuentes e Gabriel Garcia Màrquez nell'America Latina a Graham Switt, Peter Ackroyd e Desmond Hogan in Inghilterra e Irlanda - hanno insistito su una revisione di ciò che intendiamo per "storia". Secondo quei romanzieri, la storia consiste non soltanto di dati esterni e dimostrabili, ma anche del contesto mentale in cui tali dati sono immersi e nell'ambito del quale vengono interpretati dalle successive generazioni. Secondo quei romanzieri, l'unica vera storia è la vita psichica di un popolo, una cultura, una civiltà, e questa include non soltanto i dati esterni, ma anche le fantasiose esagerazioni, infiorettature e interpretazioni del mito. Ivo Andric, il romanziere bosniaco che vinse il Premio Nobel nel 1961, insiste sulla necessità per lo storico di riconoscere il substrato di «verità delle menzogne». Le menzogne di un popolo o di una cultura, sostiene Andric - l'iperbole, l'esagerazione e l'abbellimento, persino la falsificazione e invenzione vera e propria - non sono puramente gratuite. Al contrario, testimoniano bisogni, desideri, carenze, ultracompensazioni e sogni reconditi; e in quella misura sono, proprio nella loro falsità, affermazioni non soltanto vere, ma anche rivelatrici e istruttive che contengono indizi essenziali per la comprensione. E nella misura in cui
servono a cristallizzare un'identità o un'autodefinizione collettiva, creano una nuova verità, o qualcosa che diventa vero. Un esempio semplice e, ahimè, fin troppo pertinente dovrebbe bastare a illustrare il tipo di processo descritto da Andric: il processo attraverso cui verità e menzogne, storia e mito s'intrecciano fino a creare una nuova realtà storica. Nel 1688, i cittadini protestanti di Lon donderry, più per panico che per vera necessità, sbarrarono le porte della città di fronte a un contingente di truppe cattoliche inviato da Giacomo II a presidiare il luogo. Quest'atto di ribellione causò una prevedibile reazione da parte del re e senza che nessuna delle due parti lo avesse voluto o progettato, Londonderry si trovò cinta d'assedio. Nel vasto ambito della storia europea, l'assedio di Londonderry fu una squallida scaramuccia, insignificante in confronto alle operazioni militari che, entro un decennio o giù di lì, sarebbero state effettuate nel continente. Fu anche irrilevante, non risolvette nulla e non decise nulla. Non fu dettato da alcuna necessità militare, non ne creò di nuove e non fu decisivo in alcun senso strettamente militare. Ma a un livello meno tangibile, fu davvero decisivo. Modellò e creò atteggiamenti, valori, orientamenti, che si tradussero successivamente in eventi. Per reazione non a quello che avvenne realmente a Londonderry, ma a quello che si credeva fosse successo, i modi di pensare di protestanti e cattolici in Irlanda si congelarono e fu in stretta conformità a questi modi di pensare che le due comunità agirono. Queste azioni
avrebbero determinato il corso della storia irlandese durante il secolo successivo. E quando, nel 1798, l'Irlanda cattolica insorse, la condotta e il corso di quella rivolta non furono condizionati dagli eventi dell'assedio di cento anni prima, ma dai miti che circondavano tali eventi. Così il mito generò nuova storia. E la storia - in questo caso, la ribellione del 1798 - generò nuovi miti suoi propri. Questi nuovi miti, a loro volta, produssero nuovi sviluppi nella cosiddetta storia che alimentarono, a loro volta, altri miti. Il processo è culminato nell'odierna Irlanda del Nord, dove il vero scontro non è tanto uno scontro di religioni quanto di miti contrastanti, di contrastanti interpretazioni della storia. La battaglia di Blenheim (1704, appena quindici anni dopo l'assedio di Londonderry) fu veramente importante e anche decisiva. Alterò l'equilibrio dei poteri in Europa e trasformò radicalmente il corso della storia europea. Ma Blenheim oggi vive nella mente della gente soprattutto come una maestosa dimora nell'Oxfordshire dove si dà il caso che sia nato Churchill. Invece, l'assedio di Londonderry e la ribellione del 1798 e tutte le altre pietre miliari in parte storiche e in parte mitiche della storia irlandese sono state ammassate alla rinfusa nel presente, dove vengono regolarmente celebrate, commemorate, replicate, ritualizzate e dove, di conseguenza, possono ancora modellare atteggiamenti e valori, determinare l'identità tribale e polarizzare le comunità. Tale è il potere del mito. E tale è l'impossibilità di separare il mito da quella che chiamiamo storia. La storia non consiste soltanto di fatti e di eventi.
Consiste anche di relazioni fra fatti ed eventi e dell'interpretazione, spesso fantasiosa, di tali relazioni. In ogni atto interpretativo entra necessariamente in gioco un elemento mitico. Perciò il mito non è più distinto dalla storia. Al contrario, ne diviene una parte inseparabile.
Sfruttamento del mito templare Fin dall'inizio, i Templari si ammantarono di mito, trassero profitto dal mito, sfruttarono il mito. La pura e semplice oscurità che circondava le loro origini misteriose permise loro di circondarsi di una mistica altrettanto potente. Tale mistica fu accentuata dal leale patrocinio non soltanto di nobili illustri, ma anche di romanzieri come Wolfram von Eschenbach e di luminari della Chiesa come san Bernardo. Fu abbastanza semplice per i Templari divenire "leggende viventi" nella mente dei loro contemporanei e non fecero nulla per scoraggiare tale processo. Al contrario, spesso lo incoraggiarono attivamente. Fra i testi biblici, invocavano continuamente Giosuè e i Maccabei, presentandosi come moderne incarnazioni dell'esercito che abbatté le mura di Gerico e quasi sconfisse Roma negli anni immediatamente precedenti all'era cristiana. Incoraggiarono la convinzione popolare che fossero in qualche modo collegati con i romanzi del Graal, in quanto "guardiani" di quel misterioso oggetto o entità noto come il Santo Graal. Nell'aura mistica che circondava l'Ordine del Tempio, si
fusero così vari echi e immagini. L'esercito di Giosuè, i Maccabei, i cavalieri del Graal si amalgamarono con altri antecedenti storici e/o leggendari: i pari di Carlomagno, i Cavalieri arturiani della Tavola Rotonda e, specialmente nelle Isole Britanniche, il Ramo Rosso dell'Ulster. Né la prodezza guerresca era l'unica virtù conferita ai Templari dalla mistica che li circondava. Nel Perlesvaus appaiono non soltanto come militari, ma anche come iniziati mistici di alto livello. Questo è indicativo, poiché i Templari erano fin troppo ansiosi di rafforzare l'immagine che la gente si era fatta di loro come maghi o stregoni, negromanti, alchimisti, saggi depositari di sublimi e arcani segreti. E in effetti, fu proprio questa immagine a ritorcersi contro di loro, fornendo ai loro nemici i mezzi per distruggerli. Tuttavia, anche dopo la fine dell'Ordine, il processo di mitizzazione continuò, fondendosi con la verità storica. Jacques de Molay, l'ultimo Gran Maestro, mentre veniva arso vivo a fuoco lento, scagliò veramente una maledizione contro il papa e il re francese, ordinando a entrambi di raggiungerlo di fronte al trono di Dio entro l'anno? Sia che lo facesse o no, entrambi morirono entro l'anno in circostanze decisamente sospette. Oggi è abbastanza facile ascrivere le loro morti a cavalieri profughi o a simpatizzanti che attinsero alla profonda conoscenza dell'Ordine nel campo dei veleni; ma la mente medievale era ben felice di vedere all'opera qualche potere occulto. La monarchia francese cominciò a considerarsi maledetta, con l'anatema di Jacques de Molay sempre sospeso sopra il suo capo come una spada di Damocle. E quella
maledizione sarebbe rimasta legata al trono francese, a prescindere dai cambi di dinastia. Così, nel 1793, quando Luigi XVI fu ghigliottinato, un altro evento storico s'intrecciò con il mito e la leggenda: si racconta che un massone francese balzasse sul patibolo, tuffasse la mano nel sangue del re, lo spruzzasse sulla folla e gridasse: «Jacques de Molay, sei vendicato!». Durante la loro esistenza, i Templari si avvolsero nella leggenda e nel mito. Dopo la loro scomparsa, dettero origine a nuove leggende, nuovi miti, che vennero poi tradotti da altri in fatti storici. Come vedremo, una traduzione particolarmente potente sarebbe stata la Massoneria. Ma vi furono altre precedenti manifestazioni del fenomeno: manifestazioni a cui la Massoneria stessa avrebbe attinto e in cui affondava le radici. In verità, l'Ordine del Tempio era stato appena distrutto ed eccolo risorgere di nuovo, come la fenice, dalle ceneri della sua stessa pira per assumere un nuovo aspetto mitico. Meno di un quarto di secolo dopo lo scioglimento del Tempio, cominciò ad apparire una miriade di ordini neotemplari e questa proliferazione sarebbe continuata ancora per secoli. Così, ad esempio, nel 1348, Edoardo III d'Inghilterra creò l'Ordine della Giarrettiera, composto da ventisei cavalieri divisi in due gruppi di tredici ciascuno. La Giarrettiera, naturalmente, esiste ancora oggi ed è l'ordine cavalieresco più importante del mondo. In Francia, nel 1352, Giovanni II creò un'istituzione quasi identica, l'Ordine della Stella. Tuttavia, ebbe vita assai più breve di quello della Giarrettiera poiché tutti i suoi membri vennero
annientati nel 1356 nella battaglia di Poitiers. Nel 1340 Filippo, duca di Borgogna, creò l'Ordine del Toson d'Oro. Nel 1469 Luigi IX di Francia creò l'Ordine di San Michele, che avrebbe contato fra i suoi membri personaggi come Claudio di Guisa, Carlo (Connestabile) di Borbone, Francesco di Lorena, Federico Gonzaga e Luigi di Nevers, oltre a comandanti e ufficiali di un'istituzione che presto avrà un posto di primo piano nella nostra storia: la Guardia scozzese. Tali ordini erano, naturalmente, molto inferiori di numero ai Templari e molto meno importanti. Non esercitarono mai un'influenza storica degna di nota. Non possedevano tene, priorie, proprietà di alcun genere, né redditi. Mancavano di autonomia essendo legati alla persona di questo o quel potentato o sovrano. Sebbene formati inizialmente di combattenti, non erano militari in senso stretto. Ad esempio, non fornivano alcun addestramento militare; non erano organizzati secondo una gerarchia militare; non funzionavano come unità o formazioni militari distinte, sul campo di battaglia o fuori. Insomma erano questioni di prestigio più che di vero potere, veicoli del patrocinio regale, dominio dei cortigiani; e la loro nomenclatura e i loro corredi militari divennero ben presto metaforici come quelli, diciamo, dell'Esercito della Salvezza. Ma nella loro fondazione, nei loro riti e rituali, nella mistica che cercavano di arrogarsi, guardavano al Tempio come modello. Questa particolare eredità del Tempio era soprattutto araldica, ma ve ne fu un'altra che non soltanto trasformò la
faccia del cattolicesimo europeo, ma lo proiettò al di là del mare: a ovest fino in America, a est fino in Giappone. Nel 1540 un ex militare di nome Ignazio Loyola, mortificato dall'avanzata del protestantesimo, resuscitò l'idea templare originaria del monaco-guerriero, il soldato di Cristo, e creò la propria soldatesca. Tuttavia, a differenza dei Templari, i soldati di Loyola non si sarebbero battuti con la spada (benché prontissimi a lasciare che altri la brandissero per conto loro), ma con la parola. Nacque così quella che Loyola chiamò la Compagnia di Gesù, finché il papa, rifuggendo dalle esplicite connotazioni militari del termine "Compagnia", insistè che venisse mutato in "Società". Nella loro struttura e organizzazione militaresca, nella loro vasta rete di "province", nella loro rigida disciplina, i gesuiti erano, per ammissione dello stesso Loyola, modellati sui Templari. In effetti, fungevano spesso da consiglieri militari ed esperti di approvvigionamenti, oltre che diplomatici e ambasciatori ad alto livello. Come i Templari, i gesuiti erano nominalmente soggetti solo alla Chiesa; ma come i Templari, facevano spesso a modo loro. Nel 1773, in circostanze simili alla soppressione del Tempio 461 anni prima, papa Clemente XIV soppresse i gesuiti «per motivi segreti». Naturalmente, nel 1814 vennero poi riesumati. Ma ancora oggi i gesuiti sono per molti versi un'istituzione autonoma e non di rado in contrasto con il papato a cui dovrebbe obbedienza. Gli ordini cavallereschi e i gesuiti erano, in modi diversi, eredi del Tempio che alla fine dimenticarono, o
deliberatamente ripudiarono, la loro origine. In Scozia, tuttavia, sarebbe sopravvissuta un'eredità più diretta e tangibile, debitamente riconosciuta come tale e trasmessa attraverso i canali più concreti del territorio e delle linee di sangue familiari. In primo luogo, la collusione, l'occultamento e i maneggi fecero sì che i possedimenti dell'Ordine in Scozia rimanessero intatti come un'unità distinta e separata, amministrata, almeno per un periodo, da Templari "spretati" e successivamente da alcuni dei loro discendenti. La proprietà templare in Scozia non sarebbe stata smembrata e spartita come altrove. Al contrario, sarebbe stata tenuta in custodia, come in attesa di restituirla ai suoi antichi proprietari. In secondo luogo, sarebbe emersa in Scozia una rete di famiglie legate fra loro che avrebbero costituito sia un serbatoio che un canale. Nella misura in cui una tradizione templare autentica sopravvisse in Scozia, fu sotto gli auspici di queste famiglie e della formazione militare che sponsorizzavano: la Guardia scozzese, forse l'istituzione neotemplare più genuina di tutte. Tramite la Guardia scozzese e tramite le famiglie che inviavano i loro figli in quel corpo scelto, una nuova energia sarebbe stata importata in Scozia dal continente. Questa energia espressa originariamente attraverso tutta una gamma di discipline "esoteriche", nonché attraverso l'arte muraria e l'architettura - si sarebbe amalgamata con il residuo di tradizione templare e vi avrebbe infuso nuova vita. E così, dalle pire del vecchio Ordine religioso- militare, sarebbe nata la Massoneria moderna.
Le terre dei Templari Nel 1312, un mese dopo lo scioglimento ufficiale dell'Ordine da parte del papa, tutte le terre, le Case e altre installazioni di proprietà dei Templari furono assegnate ai loro antichi alleati e rivali, i Cavalieri Ospedalieri di San Giovanni. In Terra Santa, gli Ospedalieri erano corrotti come i Templari e altrettanto inclini air intermediazione, all'intrigo, alle lotte faziose e al perseguimento dei propri interessi a spese del benessere del regno crociato. Come i Templari e, alla metà del Duecento, i Cavalieri Teutonici, gli Ospedalieri erano impegnati anche nella pratica bancaria, nel commercio, in una vasta gamma di altre attività che andavano molto oltre i loro compiti originari di monaci-guerrieri. In Europa, tuttavia, e specialmente nei loro rapporti con il papato, gli Ospedalieri si tenevano scrupolosamente fuori dai guai. Resistevano a qualunque "contagio" eretico, evitavano qualunque trasgressione che avrebbe potuto renderli passibili di persecuzione. Né rappresentavano una minaccia per alcun sovrano europeo. Indubbiamente, gli Ospedalieri erano arroganti e autocratici quanto i Templari e i Cavalieri Teutonici. Ma la loro attività ospedaliera e la loro costante fedeltà a Roma, compensavano abbondantemente le impressioni sfavorevoli che potevano suscitare. Di conseguenza, godevano di un rispetto nella mente del papa e della gente che altri ordini non avevano. In verità, negli anni precedenti al 1307, si parlò persino di «purificare» i Templari
amalgamandoli con gli Ospedalieri in un singolo ordine unificato. Fra il 1307 e il 1314, mentre erano in corso i processi dei Templari, i Cavalieri Teutonici incorsero in accuse analoghe e, temendo un'analoga azione giudiziaria, trasferirono il loro quartier generale da Venezia a Marienburg, nell'odierna Polonia, fuori dalla portata dell'autorità papale e secolare. E gli Ospedalieri si trovarono in ottima posizione per beneficiare delle disgrazie di entrambi gli ordini rivali. Nondimeno, l'acquisizione dei possedimenti templari da parte degli Ospedalieri non fu così semplice e lineare come si potrebbe pensare. In alcuni casi, ad esempio, trascorsero addirittura trent'anni prima che ottenessero effettivamente la proprietà loro assegnata; e nel frattempo la proprietà in questione era generalmente andata in rovina, non aveva più alcun valore e richiedeva un considerevole investimento di capitale per tornare ad essere proficua. In due occasioni - nel 1324 e di nuovo nel 1334 - i Priori di San Giovanni si rivolsero al Parlamento inglese perché confermasse il loro diritto alle terre dei Templari.1 Ma anche così ottennero il titolo del Tempio di Londra soltanto nel 1340. In varie occasioni, inoltre, gli Ospedalieri si trovarono in conflitto con signori secolari: uomini che, piuttosto che vederle passare nelle mani dell'Ordine di San Giovanni, tentavano di rivendicare le proprietà conferite al Tempio dai loro antenati un paio di secoli prima. In molti casi, questi magnati secolari, se non erano tanto potenti da vincere subito, almeno riuscivano a
prolungare la controversia portandola in tribunale. Questa era la situazione in Inghilterra. In Scozia, le questioni erano ancora più confuse e spesso deliberatamente celate. L'indicazione più chiara degli sviluppi in Scozia forse non sta in ciò che fu detto, ma in ciò che venne taciuto. Così, sei mesi dopo Bannockburn, Bruce emanò un documento che confermava tutti i possedimenti degli Ospedalieri nel regno.2 Non si faceva alcuna menzione di terre o proprietà dei Templari, sebbene tali terre e proprietà sarebbero dovute passare nelle mani degli Ospedalieri due anni prima. Veniva semplicemente confermato il possesso di ciò che già apparteneva all'Ordine di San Giovanni. E, particolare abbastanza interessante, né gli Ospedalieri, né la Corona, né i signori secolari tentarono di rivendicare i beni dei Templari. Di fatto, con una sola eccezione, non risulta che qualcuno li ottenesse o cercasse di ottenerli. Finché visse Bruce, tali beni furono circondati da un silenzio così assoluto da sembrare che non fossero mai esistiti. Nel 1338, nove anni dopo la morte di Bruce, il Gran Maestro degli Ospedalieri richiese una lista di tutte le proprietà del Tempio acquisite dal suo Ordine in tutto il mondo. Ogni Priore regionale o nazionale fu invitato a presentare un inventario dei possedimenti templari nella sua particolare sfera di autorità. Durante il secolo scorso, un documento che citava la risposta del Priore inglese fu trovato nella biblioteca dell'Ordine di San Giovanni alla Valletta. Dopo aver elencato un cospicuo numero di possedimenti templari acquisiti dagli Ospedalieri in
Inghilterra, il manoscritto dice: Della terra, edifici [...] chiese e tutte le altre proprietà che erano dei Templari in Scozia la risposta era niente di alcun valore [...] erano stati tutti distrutti, bruciati e ridotti in polvere a causa delle lunghe guerre che erano proseguite per molti anni.3
Quindi, nel 1338, gli Ospedalieri non avevano ancora messo le mani sulle proprietà templari in Scozia. D'altro canto, si stavano chiaramente commettendo irregolarità di qualche tipo. Se, infatti, le proprietà templari non figuravano in alcuna transazione degli Ospedalieri, della Corona scozzese o dei nobili secolari, alcune di esse venivano nondimeno vendute senza essere registrate negli archivi ufficiali. Così, ad esempio, risulta che prima del 1329 un funzionario dell'Ordine di San Giovanni, certo Rodulph Lindsay, vendette le terre templari di Tempie Liston.4 Tuttavia la transazione non è menzionata in alcun documento o archivio dell'Ordine. In base a quale autorità agiva, dunque, Lindsay? Di chi era l'agente? La transazione di Lindsay è solo una delle tante che hanno reso molto confusa, per gli storici successivi, l'intera questione delle tarre templari in Scozia durante quel periodo. Come risultato, non è possibile ottenere un quadro chiaro di alcun tipo: Non si sa come le proprietà dei Templari venissero cedute agli Ospedalieri; sembra che sia stato un processo disordinato e frammentario e vi sono prove che nel Trecento inoltrato gli Ospedalieri avevano ancora difficoltà a entrare in possesso di antiche proprietà
templari.5
Lo stesso scrittore conclude: «Non vi è periodo nella storia degli ordini militari in Scozia più oscuro del XIV secolo».6 Malgrado i punti oscuri, un certo disegno comunque emerge: dopo il 1338, gli Ospedalieri cominciarono ad acquisire possedimenti templari in Scozia, quantunque in maniera decisamente equivoca; prima del 1338, tuttavia, nessuna proprietà templare passò di mano, eppure, con l'eccezione citata prima, non esiste alcuna indicazione che subisse un'altra sorte. Per di più, le terre templari, quando gli Ospedalieri ne entrarono finalmente in possesso, furono tenute separate. Non vennero smembrate, incorporate nelle altre proprietà degli Ospedalieri e amministrate in conseguenza. Al contrario, godevano di una condizione speciale e venivano amministrate come unità autonome a sé stanti. Venivano trattate, in effetti, come se l'Ordine di San Giovanni non fosse il legittimo proprietario, ma le avesse semplicemente in custodia, in qualità di agente o amministratore. Alla fine del Cinquecento, non meno di 519 località in Scozia venivano ancora elencate dagli Ospedalieri come «Terrae Templariae»: parte, cioè, del patrimonio templare autonomo e amministrato separatamente! 7 In realtà, la sistemazione delle terre templari in Scozia implicava qualcosa di molto straordinario, qualcosa che è stato quasi del tutto trascurato dagli storici e che permise
al Tempio di conservare almeno una certa parvenza di vita postuma, per così dire. Per oltre due secoli in Scozia dall'inizio del Trecento alla metà del Cinquecento - sembra che i Templari si fossero effettivamente fusi con gli Ospedalieri. Perciò, durante il periodo in questione, vi sono frequenti riferimenti a un unico Ordine congiunto: 1'«Ordine dei Cavalieri di San Giovanni e del Tempio».8 È una situazione bizzarra che solleva interrogativi interessanti. Gli Ospedalieri prevedevano una futura resurrezione del Tempio e accettarono, forse in seguito a un accordo segreto, di custodire le proprietà dei Templari? O non potrebbe darsi invece che l'Ordine di San Giovanni in Scozia avesse accolto nelle sue file un numero di Templari fuggiaschi sufficiente per amministrare le loro terre? Entrambe le risposte sono possibili e l'una non esclude l'altra. Qualunque sia la verità, è chiaro che le terre templari godevano di una condizione unica che non è stata ufficialmente definita negli archivi storici. E continuarono a goderne. Nel 1346 un Maestro degli Ospedalieri, Alexander de Seton, presiedette la regolare seduta legale nell'ex Casa templare di Balantrodoch. A quest'epoca, il sito era finalmente passato nelle mani degli Ospedalieri. Nondimeno, era ancora amministrato separatamente e godeva di una condizione sua propria come parte del patrimonio templare. Due dei documenti controfirmati da Alexander de Seton sono giunti fino a noi.9 Indicano che, malgrado la data, trentaquattro anni dopo la soppressione dei Templari, esistevano ancora le «Corti del Tempio».
Tribunali dello stesso genere, recanti lo stesso nome, avrebbero continuato a esistere per due secoli. Ancora una volta, ci troviamo di fronte alla prova che l'Ordine di San Giovanni, pur avendo autorità sulle proprietà templari in Scozia, non potè, per ragioni mai indicate esplicitamente, assimilarle legalmente. Ancora una volta, ci troviamo di fronte all'ipotesi di un'invisibile presenza templare aleggiante sullo sfondo, in attesa di un'opportunità di imporsi nuovamente e reclamare legalmente la sua eredità. E tutta la Scozia - la monarchia, i ricchi proprietari terrieri, lo stesso Ordine di San Giovanni - sembra aver avuto parte nel segreto disegno.
Il Cavaliere inafferrabile: David Seton All'inizio dell'Ottocento, un noto avvocato genealogista e studioso di antichità di nome James Maidment scoprì un cartulario (una raccolta rilegata o arrotolata di atti e documenti vari) riguardante le «Terrae Templariae» in seno all'Ordine di San Giovanni fra il 1581 e il 1596. Oltre alle due note Case di Balantrodoch e Maryculter, questo documento ne elencava altre tre a Audlisten, Denny e Thankerton.10 Inoltre elencava più di 500 altre proprietà templari, da campi e campiceli!, mulini e fattorie, a castelli e quattro intere città. Spronato dalla sua scoperta, Maidment svolse altre ricerche. La sua tabella finale, trascritta in un manoscritto ora conservato nella Biblioteca nazionale di Scozia, elenca e nomina specificamente non
meno di 579 possedimenti templari! 11 Che sorte era toccata a queste terre? Che fine avevano fatto e perché i documenti relativi erano quasi tutti spariti dalla cronaca storica? Almeno alcune risposte a queste domande si possono trovare in seno a una famiglia che era fra le più importanti e influenti della Scozia all'epoca di Bruce: la famiglia Seton. Come abbiamo visto, sir Christopher Seton aveva sposato la sorella di Bruce. Era presente all'assassinio di John Comyn per mano di Bruce e lui stesso uccise lo zio di Comyn quando questi tentò d'intervenire. Era presente anche all'incoronazione di Bruce a Scone nel 1306. Successivamente, alla battaglia di Methven, venne catturato e giustiziato per ordine di Edoardo I. Analogo destino toccò a suo fratello, sir John Seton. Entrambi, in effetti, morirono a fianco del fratello di Bruce, Neil. Nel 1320 il figlio di Christopher Seton, Alexander, insieme ai rappresentanti di altre illustri famiglie scozzesi come i Sinclair, firmò la Declaration of Arhroath. Per altri quattrocento anni, i Seton avrebbero continuato ad occupare un posto importante negli affari della Scozia e nelle attività nazionaliste scozzesi. Perciò non vi è nulla di sorprendente, né di particolarmente vanitoso, nel fatto che un altro Seton, George, nel 1896, si accingesse a scrivere un'ampia cronaca dei suoi avi. In quest'opera monumentale intitolata Storia della famiglia Seton, l'autore elenca molti suoi antenati che portavano titoli varianti dall'insignificante all'illustre. Elenca anche numerosi altri Seton che non
figurano nei normali almanacchi nobiliari. Alcuni di loro erano umili artigiani e borghesi. In mezzo a questa intricata foresta di alberi genealogici, vi è un'annotazione particolarmente enigmatica e pertinente: 1560 ca. Quando i Cavalieri Templari furono privati del loro interesse patrimoniale per opera del loro Gran Maestro, sir James Sandilands, si ritirarono in massa con David Seton, Gran Priore di Scozia (nipote di lord Seton?) alla loro testa. Si allude a questa trascrizione in una curiosa poesia satirica di quel periodo, intitolata: La Santa Chiesa e i suoi Ladroni Vergogna dunque al traditore, che ci ha condotti a questo passo, Avido anche il Giuda briccone! Vergogna alla Chiesa che vendette Sacra terra a peso d'oro; Ma il Tempio non subì perdita alcuna Quando David Setoune portò la croce. David Seton morì all'estero nel 1581 e si dice che sia stato sepolto nella chiesa del convento scozzese a Ratisbona [ora Regensburg, vicino a Norimberga].12
È un brano quanto mai interessante, che allude esplicitamente al Tempio. E diventa ancora più interessante per via della sua data. Due secoli e mezzo dopo che i Templari erano stati ufficialmente soppressi, lascia intendere la poesia, erano ancora pienamente operanti in Scozia e stavano attraversando una nuova crisi. Ma chi era esattamente David Seton? E chi era, inoltre, sir
James Sandilands? Quest'ultimo, almeno, è facilmente rintracciabile. James Sandilands, primo barone Torphichen, nacque intorno al 1510, secondogenito di una famiglia di possidenti terrieri nel Midlothian. Suo padre era amico di John Knox, che, dopo il suo ritorno in Scozia da Ginevra nel 1555, risiedette nella tenuta della famiglia a Calder. Malgrado il legame che univa suo padre a un riformatore protestante, il giovane James Sandilands entrò nell'Ordine di San Giovanni poco prima del 1537. Nel 1540 chiese a Giacomo V un salvacondotto per recarsi a Malta e lì ottenere dal Gran Maestro la conferma ufficiale del suo diritto a succedere nella carica di precettore di Torphichen alla morte del titolare, Walter Lindsay. Il diritto di Sandilands alla successione fu debitamente confermato dal Gran Maestro degli Ospedalieri, Juan d'Omedes, nel 1541. Tornando in patria da Malta, l'ambizioso giovanotto fece tappa a Roma per far ratificare dal papa la sinecura che gli era stata appena promessa. Cinque anni dopo, nel 1546,Walter Lindsay morì. Nel 1547 il Maestro di Malta riconobbe ufficialmente Sandilands come Priore di Torphichen. Nel Parlamento scozzese divenne noto come lord Saint John e fece parte del Consiglio privato della Corona. Nel 1557 era di ritorno a Malta, impegnato in una lunga disputa, ovviamente piuttosto sciocca, con un presunto parente, anch'egli membro dell'Ordine, su una questione di nobiltà certificabile. A disdoro di entrambi, la lite culminò in una pubblica rissa e il presunto parente venne imprigionato.13
Nel 1558 Sandilands tornò in Scozia dove, insieme a suo padre, appoggiò la Riforma e si oppose attivamente alla Reggente, la regina Maria di Guisa (sorella maggiore di Francesco, duca di Guisa, e di Carlo, cardinale di Lorena) che, nel 1538, aveva sposato Giacomo V. Sul principio dovette apparire poco chiaro come e perché Sandilands potesse appoggiare la Riforma protestante contro una sovrana di sicura fede cattolica, pur rimanendo un membro assai eminente di un ordine militare cattolico. Riuscì, nondimeno, a conciliare queste lealtà contrastanti e i suoi motivi reconditi sarebbero ben presto divenuti scandalosamente palesi. Nel 1560, con un atto del Parlamento scozzese, l'autorità del papa nel paese venne abolita e i diritti dell'Ordine di San Giovanni alla «Precepterie di Torphephen [sic], Fratibus Hospitalis Hierosolimitani, Militibus Tempie Salomonis» furono annullati.14 Come Priore di San Giovanni, Sandilands fu perciò obbligato a cedere alla Corona le proprietà che amministrava per conto dell'Ordine. Non fece obiezioni. Invece, nel 1564, si presentò alla nuova sovrana, Maria regina di Scozia, come: [...] attuale possessore della Signorìa e delle Case di Torphephen [sic] che non furono mai soggette ad alcun Capitolo o Convento, eccettuati solo i Cavalieri di Gerusalemme e del Tempio di Salomone.15
Dietro pagamento di una somma forfettaria di 10.000 corone più un affitto annuale, Sandilands procedette quindi alla stipula di un contratto di locazione perpetua a suo
nome delle proprietà che aveva precedentemente amministrato per gli Ospedalieri. Come parte della transazione, ottenne anche il titolo ereditario di barone Torphichen. Così, con uno spirito imprenditoriale da far invidia a qualsiasi yuppie moderno, Sandilands raggirò abilmente gli Ospedalieri, disponendo illecitamente delle loro terre a proprio vantaggio e traendo un considerevole guadagno dall'affare. E quasi certamente a questa vicenda, o ad alcuni suoi aspetti, che si riferisce la poesia sopracitata, giacché i possedimenti amministrati da Sandilands non solo erano proprietà degli Ospedalieri, ma facevano anche parte del patrimonio templare. Nel 1567, Sandilands assistè all'incoronazione di Giacomo VI, poi Giacomo I d'Inghilterra. Nel 1579, egli morì. Suo erede fu il bisnipote nato nel 1574, che si chiamava anche lui James Sandilands e divenne il secondo barone Torphichen. Ma il giovane si trovò ben presto in difficoltà finanziarie e liquidò le terre che aveva ereditato. Nel 1604 erano ormai passate nelle mani di un certo Robert Williamson, che, undici anni dopo, le vendette a Thomas, lord Binning, poi conte di Haddington. Passarono quindi per varie mani finché, all'inizio dell'Ottocento, quelle rimaste furono acquistate da James Maidment. Se è relativamente facile rintracciare notizie su sir James Sandilands, per David Seton è molto più complicato. Non soltanto ci sono molti dubbi su chi fosse
esattamente, ma anche se sia realmente esistito.16 L'unica prova della sua esistenza è il brano della poesia citato prima, che indusse George Seton a dedicargli una nota dubbiosa a piè di pagina nella genealogia familiare del 1896. Eppure gli studiosi hanno preso la poesia abbastanza sul serio da accettarla come testimonianza di qualcosa che apparentemente la storia e le intromissioni umane hanno contribuito a nascondere. Come abbiamo visto, la famiglia Seton era fra le più illustri e influenti della storia scozzese e sarebbe rimasta tale per altri tre secoli. Quello che non è chiaro è dove precisamente il misterioso David Seton s'inserisce nel loro albero genealogico. Il genealogista del 1896 avanza l'ipotesi, abbastanza plausibile, che fosse il nipote di George, sesto lord Seton, che succedette al titolo nel 1513 e morì nel 1549.17 Sandilands, come abbiamo notato, era ostile a Maria di Guisa e al suo matrimonio con Giacomo V. Si opponeva all'alleanza dinastica che legava gli Stuart alla casa continentale di Lorena e al suo ramo cadetto, la casa di Guisa. George Seton militava in campo opposto. Nel 1527 aveva sposato una certa Elizabeth Hay che gli aveva dato due figli, il maggiore dei quali succedette al titolo e divenne il settimo lord Seton, amico intimo di Maria regina di Scozia. Ma nel 1539, George Seton si sposò una seconda volta. La sua nuova sposa era Marie du Plessis, che faceva parte dell'entourage venuto in Scozia con Maria di Guisa; e il matrimonio con lei poneva quindi Seton in intimi
rapporti con la corte reale. Da Marie du Plessis, Seton ebbe altri tre figli, Robert, James e Mary. Quest'ultima sarebbe diventata dama d'onore di Maria regina di Scozia e sarebbe stata citata nelle ballate e nella leggenda come una delle "tre Marie" che accompagnarono la regina in Francia nel 1558 per il suo matrimonio con il Delfino, divenuto poi Francesco II. Invece, di Robert e James Seton si sa ben poco, eccetto che il secondo morì intorno al 1562 e il primo era ancora vivo un anno dopo. Entrambi avrebbero avuto tempo di generare figli e i genealogisti hanno concluso che David Seton doveva essere figlio di uno dei due. Quindi il sesto lord Seton sarebbe stato suo nonno e il settimo lord suo zio. Se David Seton è così inafferrabile, da dove ha ricavato anche quelle poche informazioni il cronista della famiglia che scriveva nel 1896? Dapprima sapevamo di una sola fonte stampata più antica: lo storico dell'Ottocento Whitworth Porter, che aveva accesso agli archivi degli Ospedalieri alla Valletta. Scrivendo nel 1858, Porter si limita a dire che David Seton «sarebbe stato l'ultimo Priore di Scozia e si sarebbe ritirato con la maggior parte dei suoi fratelli scozzesi, intorno al 1572- 73».18 Aggiunge che Seton morì nel 1591, dieci anni dopo la data indicata dal genealogista del 1896, e fu sepolto nella chiesa delle Benedettine scozzesi a Ratisbona. Anche Porter cita la poesia La Santa Chiesa e i suoi Ladroni, con una variante nell'ultimo verso. Nella versione del 1896, questo verso diceva: «Ma il Tempio non subì perdita alcuna». Invece
Porter lo riporta così: «Ma V Ordine [corsivo degli autori] non subì perdita alcuna».19 Da ciò appare ovvio che alla fine dell'Ottocento questa era ancora una faccenda delicata. Il Tempio è inequivocabile. L'Ordine, invece, potrebbe indicare tanto gli Ospedalieri quanto i Templari e, nel contesto, sembrerebbe così. Il genealogista del 1896 aveva deliberatamente alterato il testo? E in tal caso, perché? Se c'è stata effettivamente qualche alterazione, sembrerebbe più probabile che si trovi nella versione più antica. Non ci sarebbe stato nulla da guadagnare mutando Ordine in Tempio. Ma l'inverso avrebbe assolto i Cavalieri di San Giovanni dal sospetto di dare asilo ai Templari in mezzo a loro. La questione sarebbe rimasta in sospeso se non fosse uscita fuori una versione ancora più antica della poesia, stampata nel 1843, quindici anni prima che la citasse Whitworth Porter. Tale versione non proviene dagli archivi della Valletta, ma da fonti scozzesi. Avremo occasione di esaminare queste fonti più avanti. Per il momento basti notare che il testo della poesia datato 1843 - il più antico conosciuto - cita il verso esattamente come lo avrebbe citato il genealogista dei Seton nel 1896: «Ma il Tempio non subì perdita alcuna».20
1 Addison, The History of the Knights Templars, pp. 285-86.
2 Cowan, Mackay and Macquarrie, The Knights of St John of Jerusalem in Scotland, pp. 47-48. 3 Larking, The Knights Hospitallers in England, p. 201. 4 Robertson, An Index drawn up about the year 1629, p. 11, n. 36. 5 Ivi, p. XXVI. 6 Ivi, p. XXX. 7 Maidment, Abstract of the Charters and Other Papers, elenca tre proprietà baronali precedentemente appartenute ai Templari e altre 514. Per due secoli il patrimonio indipendente costituito dalle «Terrae Templariae» fu mantenuto e amministrato dall'Ordine di San Giovanni, o dall'Ordine combinato di San Giovanni e del Tempio. Le proprietà venivano affittate e un funzionario appositamente designato fungeva da supervisore e riscuoteva gli affitti. Questo funzionario veniva generalmente chiamato il balivo del Tempio. Sembra che ogni regione della Scozia avesse il proprio balivo del Tempio, che riferiva al priore di San Giovanni a Torphichen. Così, ad esempio, un certo Alexander Spens viene chiamato il "balivo del Tempio" per il Fife nel 1490. Altri individui, denominati "balivi delle terre del Tempio", sono citati per le contee di Lennox, Angus e Gowrie, Berwick e Ayr. Cfr. Cowan, Mackay and Macquarrie, op. cit., p. LXVIII. 8 Vedi, ad esempio, Maidment, Templaria, cap. Carta concessa da re Giacomo IV di Scozia. L'uso è «Fratribus Hospitalis Hierosolimitani, Militibus Templi Salomonis...». Curiosamente, in questa carta, che è datata 1488, Giacomo IV riaffermava tutti gli antichi diritti e privilegi non soltanto dell'Ordine di San Giovanni, ma anche dei Templari. Questo prova che nel XV secolo i Templari esistevano ancora legalmente, almeno in qualche misura. 9 Archivio di Stato scozzese, RH6/114 e 115. Quest'ultimo è riportato in Cowan, Mackay and Macquarrie, op. cit., pp. 51-53. 10 Maidment, Abstract of the Charters, pp. 8-9. Le sei baronie elencate come in mano all'Ordine di San Giovanni erano: Torphichen, Thankerton, Denny, Auldliston, Ballintrado (Balantrodoch) e Maryculter. La prima, Torphichen, era l'unico possedimento dell'Ordine di San Giovanni in Scozia prima della soppressione del Tempio, mentre sappiamo che le
ultime tre erano dei Templari. È quindi ragionevole supporre che anche le rimanenti due facessero parte del loro patrimonio in Scozia. 11 Maidment, A Rental of all the annual rents and Temple lands. 12 Seton, A History of the Family of Seton, vol. II, p. 751. 13 Cowan, Mackay and Macquarrie, op. cit., p. LIV e pp. 184-85. Il parente, John James Sandilands, finì per trovarsi in grossi guai: nel 1564, quando era già stato privato dell'abito ed espulso dall'Ordine, insieme a due compagni rubò un calice, un reliquiario, un crocifisso e altri oggetti da una chiesa e li fuse. Confessò sotto tortura e fu apparentemente giustiziato quello stesso anno. Cfr. ivi, p. 190. 14 Maidment, Templaria, cap. Informazioni per John lord Torphichen, p. 3. 15 Ivi, p. 5. 16 Cowan, Mackay e Macquarrie, che hanno documentato ogni membro scozzese conosciuto dell'Ordine di San Giovanni, non menzionano David Seton. Né vi è alcuna traccia della sua esistenza negli archivi del monastero di Ratisbona (cfr. Dilworth, The Scots in Franconia). Il suo nome non compare neppure negli archivi maltesi pubblicati da J. Mizzi. Tuttavia, sembrano tutti d'accordo nel dire che bisogna concedere alla poesia il beneficio del dubbio. Nessuno ha insinuato che sia un falso o un'invenzione e il dottor Macquarrie, scrivendoci (14 febbraio 1988), ha detto che la poesia e l'accenno a David Seton lo avevano incuriosito e affascinato. Concludeva asserendo che poteva esserci qualcosa di vero nella storia, ma che non era riuscito a procedere oltre e sarebbe stato ben lieto di avere altre informazioni. 17 Seton, op. cit., vol. II, p. 751. 18 Porter, A History of the Knights of Malta, vol. II, pp. 303-304. 19 Ibid. 20 Statutes of the religious and military Order of the Temple, p. XV. Ricerche fatte negli archivi della Biblioteca Nazionale di Scozia, Biblioteca dell'Università di Aberdeen, Biblioteca dell'Università di Saint Andrews, Biblioteca dell'Università di Edimburgo e nel Reparto Manoscritti della Biblioteca Britannica non hanno finora portato alla luce una copia di questa poesia.
7 La Guardia scozzese
Chiunque fosse David Seton e qualunque fosse il destino dei Templari che si presumeva fossero fuggiti con lui, esisteva già, a quell'epoca, un altro luogo di raccolta per i nobili scozzesi che rivendicavano un'eredità templare. Esso può anche aver coinciso con l'inafferrabile quadro di Seton. Ma in ogni caso, avrebbe pur sempre preservato almeno alcune tradizioni templari e le avrebbe continuate, sia pure indirettamente, nelle successive derivazioni come la Massoneria. Benché prettamente scozzese, questo luogo di raccolta avrebbe avuto sede in Francia. Avrebbe così spianato la via agli ultimi Stuart che si rifugiarono in quel paese e al genere di Massoneria giacobita - una Massoneria con uno specifico orientamento templare - che si coagulò intorno a loro. Negli anni immediatamente successivi alla battaglia di Bannockburn del 1314, la Scozia e la Francia, unite dalla comune ostilità verso l'Inghilterra, strinsero ancora di più i
loro legami militari. Nel 1326, Bruce e Carlo IV di Francia firmarono un importante trattato che rinnovava la «vecchia alleanza». Questa alleanza sarebbe stata consolidata dalla guerra dei Cent'anni. Al punto più basso delle sue fortune, ad esempio, il Delfino, divenuto poi Carlo VII, progettò di fuggire in Scozia e lo avrebbe quasi certamente fatto se non fosse apparsa Giovanna d'Arco a mutare il corso degli eventi. Le truppe scozzesi ebbero un ruolo determinante in tutte le campagne di Giovanna, compresa la famosa liberazione di Orléans, cinta d'assedio; e in verità, lo stesso vescovo di Orléans a quel tempo era lo scozzese John Kirkmichael. Il grande stendardo di Giovanna - il famoso vessillo bianco intorno a cui si radunava il suo esercito - era stato dipinto da uno scozzese e i suoi comandanti a Orléans comprendevano sir John Stewart e due fratelli Douglas.1 Nel periodo immediatamente successivo alla stupefacente serie di vittorie di Giovanna, la Francia, sebbene trionfante, era esausta e in uno stato di confusione interna. L'ordine era ulteriormente minacciato da bande di mercenari smobilitati, soldati esperti senza una guerra da combattere. Privi di altri mezzi di sussistenza, molti di questi veterani si davano al brigantaggio e saccheggiavano il paese, minacciando di sconvolgere l'ordine sociale appena instaurato e ancora precario. Di conseguenza, l'ex Delfino, ora Carlo VII, procedette alla creazione di un esercito permanente. Frattanto, gli Ospedalieri avevano trasferito le loro risorse nelle operazioni marittime in Mediterraneo. Quello di Carlo
divenne così il primo esercito permanente in Europa dopo i Templari e il primo, dal tempo della Roma imperiale, ad essere legato a uno specifico Stato, o più esattamente a uno specifico trono. Il nuovo esercito francese creato da Carlo VII nel 1445 era formato da 15 compagnies d'ordonnance di 600 uomini ciascuna, per un totale di 9000 soldati. Fra queste, la Compagnia scozzese - la Compagnie des Gendarmes Ecossois - occupava il posto d'onore. Non aveva rivali nella sua condizione di élite indiscussa dell'esercito. Le veniva esplicitamente assegnato un rango superiore a quello di tutte le altre unità e formazioni militari e, ad esempio, sfilava per prima nelle parate. Anche il comandante della Compagnia scozzese aveva il rango di Primo Maestro di Campo della Cavalleria francese.2 Questo ingombrante appellativo non era solo onorario. Gli conferiva un'enorme autorità e influenza sul campo, a corte e in politica interna. Ma ancora prima che venissero creati l'esercito permanente e la Compagnia scozzese, era stato costituito un reparto militare scozzese ancora più scelto ed esclusivo. Nella sanguinosa battaglia di Verneuil del 1424, i contingenti scozzesi si erano distinti per il coraggio e lo spirito di sacrificio. In effetti, furono praticamente annientati insieme al loro comandante, John Stewart, conte di Buchan, e altri nobili quali Alexander Lindsay, sir William Seton e i conti di Douglas, Murray e Mar. Un anno dopo, in riconoscimento di questa azione, venne costituita un'unità speciale di scozzesi che doveva servire in permanenza
come guardia del corpo personale del re francese. Inizialmente era composta di tredici uomini d'arme e venti arcieri per un totale di trentatré elementi. Un distaccamento di questa unità era sempre in servizio presso il sovrano, fino al punto di dormire nella sua camera da letto.3 Il reparto scelto era diviso in due sottoformazioni, la Garde du Roi e la Garde du Corps du Roi: la Guardia del re e la Guardia del corpo del re. Collettivamente, erano note semplicemente come la Guardia scozzese. Nel 1445, quando venne costituito l'esercito permanente, il numero di uomini nella Guardia scozzese venne aumentato proporzionalmente: per multipli di tredici, particolare abbastanza significativo. Nel 1474 i numeri vennero fissati definitivamente: settantasette uomini più il loro comandante nella Guardia del re e venticinque uomini più il loro comandante nella Guardia del corpo del re.4 Con impressionante costanza, gli ufficiali e i comandanti della Guardia scozzese divennero anche membri dell'Ordine di San Michele, un ramo del quale fu istituito poi in Scozia. La Guardia scozzese era, in pratica, un'istituzione neotemplare, molto più degli ordini puramente cavallereschi come la Giarrettiera, la Stella e il Toson d'oro. Al pari dei Templari, la Guardia aveva compiti principalmente militari, politici e diplomatici. Al pari dei Templari, offriva sia un addestramento che una gerarchia militare, oltre a un'opportunità di "cimentarsi" in battaglia, guadagnare gli speroni e acquisire esperienza e abilità. Al pari dei Templari, la Guardia funzionava come una formazione
militare distinta, alla maniera di un odierno battaglione scelto. E sebbene non possedesse terre proprie e non rivaleggiasse mai numericamente con i Templari, la Guardia scozzese era abbastanza numerosa per avere un ruolo decisivo nel tipo di combattimento prevalente in Europa a quell'epoca. Differiva dai Templari soprattutto per l'assenza di un esplicito orientamento religioso e per la sua fedeltà alla Corona francese anziché al papa. Ma i vincoli religiosi dei Templari erano sempre stati eterodossi e la loro obbedienza al papa poco più che nominale. E anche la lealtà della Guardia scozzese verso la Corona francese era, come vedremo, un po' meno ardente di quanto sarebbe potuta essere. Al pari dei Templari, la Guardia avrebbe perseguito la propria politica, i propri disegni, in vista d'interessi molto diversi. Per quasi un secolo e mezzo, la Guardia scozzese godette di una condizione unica nelle vicende francesi. I suoi membri non operavano soltanto sul campo di battaglia, ma anche nell'arena politica, fungendo da cortigiani e consiglieri per gli affari interni, da emissari e ambasciatori nelle relazioni internazionali. I comandanti della Guardia generalmente svolgevano anche il ruolo di ciambellani reali e spesso occupavano varie altre cariche, sia onorarie che operative. Non deve sorprendere, quindi, che ricevessero salari altissimi per l'epoca. Nel 1461 un capitano della Guardia riceveva circa 167 livres tournois al mese, poco più di 2000 l'anno.5 Questa somma equivaleva quasi alla metà del reddito di una tenuta nobiliare. Gli ufficiali della Guardia potevano così mantenere uno stile di
vita molto agiato e di grande prestigio. Così come i Templari avevano reclutato adepti fra l'aristocrazia del loro tempo, la Guardia scozzese attingeva i suoi ufficiali e comandanti dalle più auguste e illustri famiglie della Scozia, i cui nomi avevano figurato in tutta la storia del paese e risuonano ancora oggi: Cockburn, Cunningham, Hamilton, Hay, Montgomery, Seton, Sinclair e Stuart (o Stewart). Fra il 1531 e il 1542, vi erano tre Stuart nella Guardia, fra cui il capitano dell'unità. Fra il 1551 e il 1553, vi erano ben cinque membri della famiglia Montgomery (sic) nella Guardia, fra cui il suo capitano, e quattro Sinclair. Nel 1587, al tempo dell'inafferabile David Seton, vi erano altri quattro Seton, tre Hamilton, due Douglas e un Sinclair. È chiaro che la Guardia scozzese aveva una speciale funzione non soltanto per il trono francese, ma anche per le famiglie che fornivano le sue reclute. In effetti, l'unità costituiva allo stesso tempo un rito di passaggio e un campo di addestramento per i giovani nobili scozzesi: uno speciale veicolo attraverso cui venivano iniziati alle arti marziali, alla politica, agli affari di corte, agli usi e costumi stranieri e, sembrerebbe, ad una specie di cerimonia ritualistica. In un'intervista personale, un membro dell'attuale famiglia Montgomery ci disse che lui e i suoi parenti andavano ancora orgogliosi del fatto che i loro antenati fossero affiliati alla Guardia scozzese. Ci informò anche che esisteva nella famiglia una specie di ordine privato, mezzo massonico e mezzo cavalleresco, a cui tutti i maschi della stirpe Montgomery avevano diritto di ammissione. Quest'ordine, che apparentemente risaliva
più o meno all'epoca della Guardia scozzese, veniva chiamato l'Ordine del Tempio.6 In teoria, come abbiamo visto, la Guardia scozzese doveva fedeltà al trono francese, o più precisamente alla dinastia Valois, che all'epoca sedeva sul trono. Ma all'epoca la legittimità dei Valois veniva anche vigorosamente contestata da vari altri potenti interessi. Primo fra questi era la casa di Lorena e il suo ramo cadetto, la casa di Guisa. In verità, gran parte della storia francese durante il XVI secolo ruotava intorno alla sanguinosa faida fra queste dinastie rivali. Le case di Guisa e Lorena erano spietatamente decise a deporre i Valois - con mezzi politici se possibile, con l'assassinio se necessario - e a insediarsi sul trono. Entro il 1610, ben cinque sovrani francesi sarebbero morti di morte violenta o presumibilmente avvelenati, e le fazioni di Guisa e Lorena sarebbero state a loro volta falcidiate dagli assassinii. La Guardia scozzese ebbe un ruolo ambiguo in questa lotta intestina. In realtà, era venuta a trovarsi in una posizione equivoca. Da un lato, doveva nominalmente fedeltà ai Valois, giacché costituiva la loro guardia del corpo personale e il nucleo del loro esercito. D'altro lato, non poteva non essere legata in qualche modo alle case di Guisa e Lorena. Nel 1538, come abbiamo notato, Maria di Guisa aveva sposato Giacomo V di Scozia, creando un vincolo dinastico di cruciale importanza fra le due rispettive case. Quando la figlia di Maria, la regina Maria di Scozia, salì al trono, la sovrana scozzese era quindi per metà
Stuart e per metà Guisa-Lorena; e a questo fatto gli aristocratici della Guardia scozzese non potevano certo restare indifferenti. Nel 1547, Enrico II, il Valois re di Francia, accrebbe il loro rango e i loro privilegi. Ciò nondimeno, agivano spesso (e non sempre in segreto) per conto dei Guisa-Lorena, rivali di Enrico. Nel 1548, ad esempio, la giovane Maria Stuart, che aveva allora sei anni, fu condotta in Francia con una scorta della Guardia scozzese. Dieci anni dopo, un distaccamento della Guardia era alla testa dell'esercito di Francesco, duca di Guisa, quando, nel corso di un'azione che fece di lui un eroe nazionale, strappò agli inglesi il porto di Calais, a lungo conteso. Fra le famiglie scozzesi che militarono nella Guardia vi erano, come abbiamo visto, i Montgomery. Nel 1549 c'erano contemporaneamente cinque Montgomery in servizio nell'unità. Fra il 1543 e il 1561, quasi un ventennio, la Guardia fu comandata prima da James de Montgomery, poi da Gabriel, poi di nuovo da James. Nel giugno 1559 accadde uno degli eventi più famosi e drammatici del XVI secolo, grazie al quale Gabriel de Montgomery iscrisse per sempre il suo nome, quello della sua famiglia e quello della Guardia nei libri di storia e, consapevolmente o meno, assestò un colpo d'importanza determinante per le case di Guisa e Lorena. Nell'ambito dei festeggiamenti per il matrimonio di due delle sue figlie, Enrico II di Francia aveva organizzato un torneo di gala, a cui avrebbero preso parte nobili di tutta Europa. Il re stesso era famoso per la sua passione per
giostre ed era ansioso di partecipare personalmente all'evento. La folla e i dignitari lo guardarono entrare in lizza. Torneò prima contro il duca di Savoia, poi contro Francesco, duca di Guisa. Il terzo combattimento dovette sembrare, agli spettatori, assolutamente privo di rischi. Opponeva il re al suo vecchio amico e manifesto leale servitore, Gabriel de Montgomery, capitano della Guardia scozzese. Giacché nessuno dei due avversari venne disarcionato, Henri giudicò insoddisfacente il primo scontro di lance. Malgrado le proteste del suo seguito, pretese un secondo combattimento e Montgomery acconsentì. I due uomini si caricarono di nuovo e questa volta le lance si spezzarono come previsto. Ma Montgomery «tralasciò di gettare via il troncone», che colpì l'elmo del re, sfondò la visiera e gli conficcò una scheggia di legno acuminata nella testa sopra l'occhio destro.7 Vi fu, naturalmente, costernazione generale. Una mezza dozzina di criminali vennero prontamente decapitati e sottoposti a lesioni analoghe, che i medici si affrettarono ad esaminare nel tentativo di trovare il metodo di cura migliore. I loro sforzi si rivelarono vani ed Enrico morì dopo undici giorni di agonia. Molti erano sospettosi, ma non si potè provare che l'azione di Montgomery non fosse accidentale ed egli non fu ufficialmente incolpato della morte del re. Tuttavia, il tatto lo spinse a dimettersi da capitano della Guardia scozzese e a ritirarsi nei suoi possedimenti in Normandia. Più tardi, in Inghilterra, si convertì al protestantesimo. Quando tornò in Francia, fu uno dei capi militari della fazione protestante durante le
guerre di religione. Preso prigoniero, venne giustiziato a Parigi nel 1574. La morte di Enrico II attirò più attenzione e commenti del normale, principalmente perché era stata prevista. Anzi, era stata prevista due volte: sette anni prima da Luca Gaurico, un prestigioso astrologo,8 e quattro anni prima da Nostradamus, che nel 1555 aveva pubblicato la prima delle sue famose raccolte di profezie, chiamata Le Centurie, che conteneva l'ambigua ma significativa quartina: Le lyon jeune le vieux surmontera; En champ bellique par singulier duelle; Dans cayge d'or les yeux lui crevera, Deux classes une puis mourir mort cruelle.9 Il giovane leone sottometterà il vecchio Sul campo bellico in singolar tenzone; In una gabbia d'oro [elmo] i suoi occhi trafiggerà, Due classi in una, poi una morte crudele.
Questi versi erano echeggiati nella mente di molte persone e aleggiavano sull'intero torneo. La morte di Enrico nella lizza sembrò convalidare la capacità di Nostradamus di "prevedere il futuro" e fece di lui il principale profeta d'Europa, non soltanto agli occhi dei contemporanei, ma anche dei posteri. Tuttavia noi, insieme a numerosi altri commentatori recenti, abbiamo concluso che la morte del re francese per mano di Gabriel de Montgomery non fu un incidente, ma parte di un piano accuratamente preparato.10 Alla luce delle prove
attualmente disponibili, sembra che la "profezia" di Nostradamus non fosse affatto una profezia, ma una specie di piano d'azione, forse una sorta di direttiva o di segnale in codice. Diretto a chi o proveniente da chi? Diretto a o proveniente dalle case di Guisa e Lorena, per conto delle quali ora sembra che Nostradamus agisse come agente clandestino. E se così fosse, Gabriel de Montgomery avrebbe cospirato con lui; o comunque, sarebbe stato lo strumento scelto dalla fazione dei GuisaLorena per attuare il loro disegno in maniera tale che nessuno potesse essere accusato d'intento criminale. Certamente la morte di Enrico non sarebbe potuta capitare più a proposito per gl'interessi dei Guisa-Lorena. Malgrado gli sforzi sempre più sfacciati di sfruttarla a loro favore, non riuscirono tuttavia a trarne il tornaconto che speravano. Durante il decennio successivo, in Francia regnò praticamente l'anarchia mentre le fazioni in lotta - i Valois e i Guisa-Lorena - cospiravano e manovravano per strapparsi il trono. Nel 1563 Francesco, duca di Guisa, fu assassinato. La Guardia scozzese appoggiò sempre più apertamente gli interessi degli Stuart, che coincidevano con quelli dei Guisa-Lorena; e quindi si attirò la crescente sfiducia dei sovrani Valois finché il nipote di Enrico II, Enrico III, rifiutò di provvedere al suo mantenimento. Sebbene venisse infine ricostituita, non raggiunse mai, neppure lontanamente, il suo antico rango. In Scozia e in Francia, tutto si sarebbe deciso allo stesso tempo. Nel 1587 la regina Maria di Scozia fu giustiziata dalla sua parente, Elisabetta I. Nel 1588, l'anno
dell'Armada spagnola, il nuovo duca di Guisa, figlio di Francesco, e suo fratello, il cardinale di Guisa, furono assassinati a Blois per ordine di Enrico III. Un anno dopo, Enrico fu assassinato a sua volta da sostenitori dei GuisaLorena che volevano vendicarli. Solo sotto Enrico IV, un monarca gradito a tutte le fazioni, venne restaurata una parvenza di ordine in Francia. Nel frattempo, però, le case di Guisa e Lorena avevano perso due generazioni di giovani dinamici, carismatici ma spietati. La dinastia Valois aveva avuto un destino ancora peggiore: si era completamemte estinta e non avrebbe mai più occupato il trono francese. Per i due secoli successivi, la Francia sarebbe stata governata dai Borbone. Quanto alla Guardia scozzese, anche quando venne ricostituita, era molto ridotta di numero e nel 1610 aveva ormai perso quasi tutti i suoi privilegi ed era diventata semplicemente uno dei reggimenti dell'esercito francese. Durante il secolo XVII, due terzi dei suoi componenti erano francesi, non scozzesi. Nondimeno, conservava ancora un residuo del suo antico prestigio. Nel 1612 era comandata dal duca di York, poi Carlo I d'Inghilterra. Particolare abbastanza interessante, i ruolini della Guardia per il 1624 mostrano tre Seton, uno dei quali si chiama David.11 Nel 1679 era diventato brigadiere. La Guardia scese in campo per l'ultima volta nel 1747, durante la guerra di successione austriaca, nella battaglia di Lauffeld. La Guardia scozzese, sebbene molto ridotta dagli eventi, costituiva, come abbiamo visto, qualcosa di simile
a un'istituzione neo-templare. I nobili che la componevano erano eredi delle tradizioni templari originarie. Fu tramite loro che queste tradizioni vennero riportate e impiantate in Francia dove avrebbero fruttificato un paio di secoli dopo. Al tempo stesso, il suo rapporto con le case di Guisa e Lorena la metteva a contatto con un altro insieme di tradizioni esoteriche francesi. Alcune di queste erano già ritornate in Scozia tramite il matrimonio di Marie di Guisa con Giacomo V; ma altre sarebbero state riportate lì dalle famiglie che formavano la Guardia scozzese. L'amalgama risultante avrebbe poi costituito i veri nuclei di un nuovo ordine: i liberi muratori o frammassoni.
1 Forbes-Leith, The Scots Men-at-Arms and Life-Guards in France, vol. I, pp. 35-46. 2 Daniel, Histoire de la milice françoise, vol. II, p. 170. 3 Forbes-Leith, op. cit., vol. II, p. 156. 4 Ivi, vol. II, p. 156. La suddivisione in gruppi di tredici era significativa in molte organizzazioni cavalleresche e religiose: la più nota delle prime è forse quella dei Cavalieri della Giarrettiera. Nella Guardia scozzese i venticinque uomini più il comandante equivalgono a due gruppi di tredici. I settantasette uomini della garde più il loro comandante formano sei gruppi di tredici. C'era un Capitano generale della Guardia che portava il totale del contingente a 105 effettivi. Questo organico venne mantenuto fino al 1568 quando cominciarono ad apparire di nuovo piccole varianti. 5 Ivi, vol. II, p. 27. La Guardia al completo costava alla Corona francese 25.691 livres l'anno: una cifra enorme. Cfr. ivi, vol. II, p. 30. 6 Comunicazione personale, 2 dicembre 1987.
7 Forbes-Leith, op. cit., vol. I, pp. 101-102. 8 Laver, Nostradamus, pp. 45-48. Vedi anche Cimber, Archives curieuses de l'histoire de France, 1 sér., tom 3, p. 295. Il 5 febbraio 1556 giunse un dispaccio da Roma contenente un oroscopo del re redatto da Luca Gaurico; era apparso precedentemente nel suo libro pubblicato nel 1552, ma non era stato preso sul serio fino all'incidente. 9 Nel 1555 Nostradamus pubblicò le prime tre centurie e parte della quarta. La quartina che dovrebbe riferirsi alla morte di Enrico II è la Centuria 1,35. Hutin (Les prophéties des Nostradamus, p. 124) cita la rara edizione del 1558, a cui noi ci siamo attenuti. 10 Baigent, Leigh and Lincoln, The Holy Blood and the Holy Grail, pp. 139 e 417, nota 6. 11 Forbes-Leith, op. cit., vol. II, p. 189.
8 Rosslyn
Circa tre miglia a sud di Edimburgo sorge il villaggio di Roslin. È formato da un'unica strada con una sfilata di case e negozi e, in fondo, due pub. Il villaggio inizia al limitare di una profonda gola boscosa, la valle del North Esk. A sette miglia di distanza, vicino al punto dove il North e il South Esk si congiungono, sorge l'antica comunità templare di Balantrodoch, ora chiamata semplicemente Temple. La valle del North Esk è un luogo misterioso e un po' spettrale. Scolpita in una grande roccia coperta di muschio, una selvaggia testa pagana fissa il passante. Più a valle, in una grotta dietro una cascata, c'è quella che sembra un'altra enorme testa con occhi cavernosi: forse una scultura consunta dalle intemperie, forse un prodotto degli elementi naturali. Il sentiero che si snoda attraverso la valle è intersecato da numerosi edifici di pietra in rovina e costeggia una parete rocciosa con una finestra di pietra squadrata. Dietro questa finestra vi è un vero e proprio
dedalo di gallerie, sufficiente per nascondere un considerevole numero di uomini e accessibile soltanto da un ingresso segreto: per raggiungerlo bisognava calarsi in un pozzo. Secondo la leggenda, Bruce si rifugiò qui durante una delle molte crisi che afflissero le sue campagne. Appollaiato proprio sull'orlo della forra vi è un strano edificio circondato da un'aura di mistero: la Cappella Rosslyn. A prima vista sembra una cattedrale in miniatura. Non che sia particolarmente piccola, ma è così sovraccarica, così grondante di sculture gotiche e di fregi intricati da sembrare in qualche modo un pezzo di una costruzione più grande: come un frammento di Chartres, trapiantato in cima a una collina scozzese. Ispira un senso di sontuosità amputata, come se i costruttori, dopo avervi profuso tutta la loro maestria e i materiali più costosi, si fossero fermati di colpo. Infatti, fu così. Finirono i soldi. Originariamente la Cappella Rosslyn doveva essere parte di un edificio molto più grande, la "Cappella della Madonna" di una vasta chiesa collegiata, una vera cattedrale su scala francese. Il progetto non fu mai realizzato per mancanza di fondi. Dalla parete ovest sporgono massicci blocchi di pietra, in attesa di altri che non giunsero mai. L'interno della cappella è una febbrile allucinazione di pietra, una sfrenata esplosione di immagini scolpite e di configurazioni geometriche ammonticchiate che si fondono, si sovrappongono le une alle altre. Abbondano gli elementi decorativi che anticipano quelli della Massoneria.
Sembra di essere di fronte a un compendio pietrificato di "esoterismo". Com'è da aspettarsi da un luogo del genere, la Cappella Rosslyn è al centro di segreti e di leggende. La più famosa riguarda lo straordinario pilastro all'estremità est dell'edificio, denominato ora "il Pilastro dell'Apprendista". Un resoconto stampato nel 1774 parla di: una tradizione tramandata nella famiglia dei Roslin di padre in figlio, secondo cui un modello di questo magnifico pilastro era stato mandato da Roma, o da un luogo straniero; il capomastro, vedendolo, non accettò ad alcun costo di scolpire un pilastro come quello finché non fosse andato a Roma, o in qualche luogo straniero, a ispezionare accuratamente il pilastro che era servito da modello; mentre si era assentato, qualunque fosse il motivo, un apprendista eseguì il pilastro com'è adesso; e il maestro, al suo ritorno, vedendo il pilastro così squisitamente rifinito, chiese chi l'avesse fatto; e, punto d'invidia, uccise l'apprendista.1
Sopra il portale ovest della cappella, c'è la testa scolpita di un giovane con uno squarcio sulla tempia sinistra. Si dice che sia l'apprendista assassinato. Di fronte a lui c'è la testa di un uomo barbuto, il maestro che lo uccise. Alla sua destra c'è un'altra testa, quella di una donna chiamata "la Madre Vedova". Risulta così chiaro che l'anonimo e precoce giovanotto era - per usare una frase familiare a tutti i massoni - il "Figlio di una Vedova". Come abbiamo notato, la stessa frase veniva usata per designare Parsifal o Parzival nei romanzi del Graal. Le connotazioni massoniche della cappella e il suo simbolismo non possono certo essere una coincidenza
giacché Rosslyn fu costruita dalla famiglia che, forse più di qualsiasi altra in Gran Bretagna, divenne poi associata con la Massoneria: i Saint-Clair o, come sono noti adesso, i Sinclair.
Sir William Sinclair e la Cappella Rosslyn Come abbiamo visto, le famiglie nobili come gli Hamilton, i Montgomery, i Seton e gli Stuart inviarono i loro figli a prestare servizio nella Guardia scozzese per diverse generazioni. Lo stesso fecero i Sinclair. Nel tardo Quattrocento, tre Sinclair prestavano servizio contemporaneamente nella Guardia. A metà del Cinquecento - il periodo di Gabriel de Montgomery - vi erano ben quattro Sinclair nell'unità. Complessivamente, fra il 1473 e la morte di Maria Stuarda nel 1587, i ruolini della Guardia attestano l'arruolamento di dieci membri del ramo scozzese della famiglia. E, naturalmente, c'era anche il ramo franco-normanno, i Saint-Clair-sur-Epte, che erano particolarmente attivi nella politica francese dell'epoca. Mentre alcuni membri della famiglia Sinclair intraprendevano la carriera diplomatica o militare nel continente, altri erano ugualmente impegnati in patria, come in verità lo erano stati fin dal tempo di Bruce. Nei primi anni del XIV secolo, William Sinclair era stato vescovo di Dunkeld. Insieme ai vescovi Wishart di Glasgow, Lamberton di Saint Andrews, Mark delle Isole e David di Moray, William Sinclair era stato uno dei cinque eminenti ecclesiastici scozzesi che avevano appoggiato
Bruce e la sua causa. Il nipote del vescovo, e suo omonimo, era stato uno dei più intimi amici e servitori di Bruce. Alla morte di Bruce, nel 1329, sir William Sinclair, insieme a sir James Douglas, si imbarcò con il cuore dell'amico defunto per la Terra Santa, ma la sua vita si spense in Spagna. Nel tardo Trecento, un secolo prima di Colombo, un altro Sinclair si sarebbe imbarcato in un'impresa ancora più audace. Intorno al 1395, sir Henry Sinclair, conte (o «principe», come viene talvolta denominato) di Orkney, insieme all'esploratore veneziano Antonio Zeno, tentò di attraversare l'Atlantico. Raggiunse sicuramente la Groenlandia, dove il fratello di Zeno, anche lui esploratore, asseriva di aver scoperto un monastero nel 1391; studi recenti indicano che poteva addirittura aver toccato quello che poi si sarebbe chiamato il Nuovo Mondo.2 Secondo alcuni resoconti, vi sono interessanti prove che era sua intenzione dirigersi in Messico.3 Se questo è vero, spiegherebbe perché, quando Cortés arrivò nel 1520, venne identificato dagli atzechi non soltanto con il dio Quetzalcoatl, ma anche con un uomo bianco dai capelli biondi e gli occhi azzurri che lo aveva presumibilmente preceduto molto tempo prima. Anche il nipote del "principe" Henry, sir William Sinclair, fu un uomo di mare. Marito della nipote di sir James Douglas e cognato dello stesso sir James, era stato nominato Grande Ammiraglio di Scozia nel 1436 e poi sarebbe divenuto anche Cancelliere. Ma la sua massima
fama, che lo avrebbe legato per sempre alla tradizione massonica e ad altre tradizioni esoteriche, risiedeva nel campo dell'architettura. Fu sotto gli auspici di sir William che, nel 1446, vennero gettate le fondamenta di una grande chiesa collegata a Rosslyn.4 Nel 1450 l'edificio venne formalmente dedicato a san Matteo ed ebbero inizio i lavori veri e propri. Mentre procedevano, un altro William Sinclair (probabilmente nipote del costruttore di Rosslyn) fu il primo membro della famiglia ad arruolarsi nella Guardia scozzese e a raggiungere un grado elevato in quell'unità. La costruzione della Cappella Rosslyn sarebbe durata quarant'anni. Venne infine terminata intorno al 1480 dal figlio di sir William, Oliver Sinclair, strettamente legato a lord George Seton, che gli giurò fedeltà per la vita. Oliver Sinclair non procedette mai alla costruzione del resto della chiesa, probabilmente perché, a quanto pare, le energie dei Sinclair erano ormai rivolte altrove. Il nipote di sir William, chiamato anche lui Oliver, era un ufficiale, intimo confidente e Maestro della Real Casa di Giacomo V. Nel 1542 comandava l'esercito scozzese a Solway Moss, dove fu catturato. Dietro promessa di aiutare la causa inglese, venne rilasciato, ma apparentemente non mantenne la parola data. Nel 1545 gli venne ordinato di tornare in prigione in Inghilterra, dopodiché scomparve dalla storia, dandosi probabilmente alla macchia in Scozia o forse fuggendo all'estero. Il fratello di Oliver, Henry Sinclair, era vescovo di Ross. Nel 1541 venne nominato abate di Kilwinning: un nome che più tardi avrebbe occupato un posto preminente nella
Massoneria. Nel 1561 fu chiamato a far parte del Consiglio privato della regina Maria di Scozia. Non stupisce il fatto che mantenesse intimi contatti con le fazioni dei Guisa e Lorena in Francia, trascorrendo molto del suo tempo a Parigi. Anche John, fratello minore di Henry e di Oliver, diventò vescovo. Anche lui fu consigliere della regina Maria di Scozia e nel 1565 celebrò il suo matrimonio con Henry Stuart, lord Darnley, a Holyrood. I Sinclair si trovarono quindi al centro delle vicende scozzesi nel XV e XVI secolo. Frequentavano gli stessi ambienti di famiglie quali i Seton e i Montgomery e come loro erano vicini alla monarchia Stuart, fornivano personale alla Guardia scozzese e mantenevano intimi legami con le fazioni dei Guisa e Lorena in Francia. Anzi, i loro legami con queste fazioni erano probabilmente ancora più stretti grazie al ramo francese della famiglia. Allo stesso tempo, e ancor più delle altre case scozzesi, i Sinclair si stavano già legando con quella che la Massoneria avrebbe poi considerato la sua ascendenza. Come abbiamo già detto, le fondamenta della Cappella Rosslyn furono gettate nel 1446 e la costruzione vera e propria iniziò quattro anni dopo. Questi sono fra i pochi fatti sicuri e confermati. Le nostre informazioni su quasi tutto il resto, sebbene abbastanza plausibili e certamente non smentite, derivano dalla tradizione posteriore: in alcuni casi di un secolo e mezzo e in altri casi di tre secoli o più. Secondo questa tradizione più tarda, sir William Sinclair, preparandosi a costruire la sua cappella, importò
scalpellini, muratori e altri artigiani dal continente.5 Si suppone che la stessa cittadina di Roslin fosse costruita per ospitare i nuovi arrivati. La tradizione dice anche che nel 1441 Giacomo II, re di Scozia, nominò Saint Clair patrono e protettore dei muratori scozzesi; che la carica era ereditaria; che dopo la sua morte, intorno al 1480, i suoi discendenti tennero riunioni annuali a Kilwinning... la nomina dei capi della corporazione rimaneva una prerogativa dei re di Scozia; che venne ignorata da Giacomo vi quando divenne re d'Inghilterra [...].6
È importante notare che in questo contesto Masonry* non sta a indicare la Massoneria come la conosciamo oggi bensì la corporazione o corporazioni di scalpellini e muratori di professione. Come vedremo, non tutti questi uomini erano semplici artigiani, manovali analfabeti e ignoranti. Ma non erano nemmeno filosofi mistici che, fra un progetto di costruzione e l'altro, si riunivano in conclavi segreti, conducevano iniziazioni clandestine con parole d'ordine ed eloquenti strette di mano, e discutevano dei misteri del cosmo. Nella terminologia che sarebbe sorta in seguito, questi uomini venivano considerati come persone che praticavano la «muratura operativa»: in altre parole, l'applicazione pratica della matematica e della geometria all'arte dell'architettura. Quindi la nomina di sir William Sinclair nel 1441 attesta semplicemente che aveva familiarità con l'arte della costruzione e forse con i princìpi matematici e geometrici associati con l'architettura. Ma questo di per sé è insolito.
Normalmente, un lord, un sovrano, una municipalità o qualche altro mecenate ingaggiava un'intera squadra di architetti e muratori, che svolgeva tutto il lavoro. Il capo di questa squadra, chiamato il Maestro dell'Opera, basava il suo progetto su una particolare geometria e tutta la successiva costruzione doveva essere in armonia con il progetto base. Il Maestro faceva tagliare delle sagome di legno su misura e gli scalpellini si attenevano a quei modelli. A Rosslyn, tuttavia, sembra che sir William Sinclair avesse disegnato lui stesso la cappella e fungesse personalmente da Maestro dell'Opera. All'inizio del Settecento, il figliastro di un successivo Sinclair (che aveva accesso a tutti i documenti e gli archivi di famiglia prima che andassero distrutti in un incendio nel 1722) scrive che: [sir William Sinclair] ebbe l'idea di costruire una casa per servire Dio, di lavorazione quanto mai bizzarra e, perché potesse essere eseguita con maggior gloria e splendore, fece venire artefici da altre regioni e reami stranieri [...] e allo scopo che il lavoro potesse essere ancora più raro, prima fece eseguire i disegni schematici su tavole della Terra d'Oriente e poi li fece intagliare dai carpentieri e infine li diede come modelli agli scalpellini perché li tagliassero uguali in pietra.7
Sembrerebbe quindi che sir William fosse assai più informato e tecnicamente esperto del tipico nobile del suo tempo; e che la sua nomina a «Patrono e protettore dei muratori scozzesi» non fosse solo onoraria. E quindi, come attestano successivi documenti, la carica, oltre che dal re, gli venne conferita (o almeno ratificata) anche dai muratori
stessi. Come afferma uno di quei documenti: «I signori di Roslin sono sempre stati patroni e protettori nostri e dei nostri privilegi».8 E una lettera datata fine Seicento dichiara: I signori di Roslin sono stati grandi architetti e patroni dell'edilizia per molte generazioni. Sono obbligati a ricevere la parola del Muratore [mason] che è un segnale segreto usato dai muratori in tutto il mondo per riconoscersi a vicenda.9
Nel 1475, mentre Rosslyn era ancora in costruzione, i muratori di Edimburgo furono autorizzati a formare una gilda con un proprio statuto e procedettero alla stesura delle regole del mestiere. Prendendo nome dal luogo dove lo statuto era stato ratificato, questa associazione medievale apparentemente normale divenne poi nota come la Corporazione della Cappella di Maria.10 Ma per normale che fosse, finì per acquistare una considerevole importanza per la futura Massoneria. Alla sua apparizione in Scozia, questa Massoneria ruotava inzialmente intorno a una loggia nota come "Loggia n. 1", denominata anche "Cappella di Maria". Seguirono altri statuti corporativi, ma il successivo documento pertinente compare oltre un secolo dopo. Nel 1583, William Schaw, un confidente di Giacomo VI (poi Giacomo I d'Inghilterra), ricevette dal re la carica di Maestro d'Opera e Sovrintendente generale dei Muratori. Una copia dei suoi statuti, datata 1598 e scritta di suo pugno, esiste ancora oggi nel più antico libro dei verbali
della Loggia n.1 a Edimburgo.11 La nomina di Schaw, naturalmente, non voleva sfidare né usurpare in alcun modo la posizione dei Sinclair. Quella era una questione interna fra i muratori stessi ed era già stata accettata come uno dei loro princìpi. La nomina di Schaw, d'altro canto, era una questione del tutto esterna, che faceva di lui un funzionario dell'apparato amministrativo reale, un po' come un Segretario permanente di oggi. Doveva agire, in effetti, come una sorta di collegamento o di ombudsman [difensore] fra i muratori e la Corona. Schaw rimase in carica fino al 1602. Poco prima o poco dopo quella data, venne emanato un altro importante documento, noto come la Carta Saint Clair. Il testo deplora che: «...la nostra intera corporazione è stata priva di un patrono e protettore e sovrintendente, il che ha generato molte false corruzioni e imperfezioni».12 Da questo sembrerebbe che i Sinclair, a qualunque rango ereditario appartenessero, fossero molli, negligenti o peggio. Eppure il documento prosegue riconfermando l'antica fedeltà e riconoscendo il William Sinclair dell'epoca e i suoi eredi, come sovrintendenti, patroni e giudici della corporazione e dei suoi membri. Le firme apposte in calce provengono da logge già esistenti a Edimburgo, Dunfermline, Saint Andrews e Haddington. Nel 1630 venne stilata una seconda Carta Saint Clair. Ripeteva i princìpi della precedente e li sviluppava. Le firme in calce testimoniano la nascita di nuove logge a
Dundee, Glasgow, Ayr e Stirling. 13 Vi sono quindi tangibili indicazioni di una loro crescente disseminazione e, al tempo stesso, di un processo di crescente accentramento. E naturalmente è anche significativa la conferma dell'antico vincolo fra l'arte muraria e i Sinclair, a prescindere dalla loro eventuale negligenza nel passato. Da ciò si può concludere soltanto che il legame della famiglia con quell'arte derivava o da ciò che allora era a conoscenza di tutti o da una tradizione così saldamente affermata e profondamente radicata da non poter essere modificata. Si può anche concludere che sia i muratori sia i Sinclair, all'inizio del Seicento, ritenessero opportuno rendere pubblica la loro affiliazione. La corporazione dei muratori aveva ormai acquisito un certo prestigio che era destinato ad aumentare, come avrebbe potuto intuire qualsiasi osservatore dell'epoca. Essere associati con essa, per ragioni che sarebbero state presto chiarite, conferiva un prestigio ancora maggiore. Eppure nessuno, nemmeno le altre illustri famiglie scozzesi, osò mai sfidare il diritto dei Sinclair o tentare di arrogarselo. I Seton, gli Hamilton, i Montgomery e le altre famiglie analoghe, compresi gli Stuart, avrebbero tutte stabilito vincoli profondi con quella che stava già emergendo come la Frammassoneria. In effetti, secondo un manoscritto datato 1658, un certo John Mylne, «Maestro della Loggia a Scone, e per espresso desiderio di Sua Maestà, iscrisse Giacomo VI come "uomo libero, muratore e compagno di mestiere"».14 Tuttavia, il posto d'onore continuava ad essere riservato ai
Sinclair.
Rosslyn e gli zingari I Sinclair non erano soltanto patroni e protettori ereditari dell'arte muraria. Durante il XVI secolo si erano anche affermati come patroni e protettori degli zingari, che «godettero del favore e della protezione della famiglia Roslin fino al primo quarto del XVII secolo».15 La legislazione contro gli zingari in Scozia era sempre stata molto severa e durante la Riforma lo divenne ancora di più. Nel 1574 il Parlamento scozzese decretò che tutti gli zingari catturati venissero frustati, marchiati sulla guancia o sull'orecchio, o che venisse loro mozzato l'orecchio destro.16 Altre leggi ancora più severe furono introdotte nel 1616. Alla fine del Seicento, gli zingari venivano deportati in massa in Virginia, alle Barbados e in Giamaica. Nel 1559, tuttavia, sir William Sinclair era presidente della Corte suprema di Scozia sotto la regina Maria. Sebbene i suoi sforzi, a quel che pare, avessero scarso successo, nondimeno egli si oppose alle misure allora vigenti contro gli zingari. Si dice che, avvalendosi del suo rango di magistrato, intervenisse in un'occasione critica e salvasse un certo zingaro dalla forca. Da allora in poi, gli zingari si recarono ogni anno nei possedimenti dei Sinclair, che offrivano loro un gradito rifugio. Ogni maggio e giugno si radunavano nei campi sotto Rosslyn Ca stle, dove eseguivano le loro rappresentazioni. Si dice anche
che sir William Sinclair mettesse a loro disposizione due torri del castello mentre si trovavano nei paraggi. Queste torri divennero note come «Robin Hood» e «Little John».17 Le denominazioni sono indicative, giacché Robin Hood and Little John era una rappresentazione di successo, eseguita a quell'epoca dagli zingari inglesi e scozzesi nel mese di maggio; e al pari degli zingari, era stata ufficialmente bandita dal Parlamento scozzese con decreto del 20 giugno 1555 in cui si stabiliva che «nessuno deve interpretare il ruolo di Robin Hood, Little John, l'Abate degli stolti o la Regina di Maggio».18 Agli zingari, naturalmente, erano state attribuite da lungo tempo doti divinatorie.Verso l'inizio del Seicento, questa chiaroveggenza venne attribuita in misura crescente anche ai massoni. Uno dei più antichi e famosi riferimenti alla Massoneria come la conosciamo oggi appare in una poesia scritta nel 1638 da Henry Adamson di Perth e intitolata La Trenodia delle Muse . Questa poesia contiene i versi spesso citati: Poiché fratelli della Rosacroce noi siamo; La parola massonica e la chiaroveggenza abbiamo, Le cose a venire ben predire possiamo...19
Questa è, sicuramente, la prima indicazione conosciuta che i massoni erano dotati di "poteri occulti". I poteri in questione sono indubbiamente zingareschi; e il comune denominatore fra gli zingari e la Massoneria era sir William Sinclair.
Più importante per l'evoluzione e lo sviluppo della Massoneria è, tuttavia, il fatto che gli zingari venivano a Rosslyn a dare le loro rappresentazioni. Veramente, una eminente autorità sull'argomento ha affermato che la troupe ricevuta ogni maggio e giugno a Rosslyn non era affatto composta da zingari, ma era «in realtà una compagnia di attori girovaghi».20 Sia che fossero zingari o no, rimane il fatto che mettevano in scena regolarmente, nella residenza del più alto magistrato scozzese, uno spettacolo bandito dalla legge. Perché era stato bandito? In parte, è ovvio, perché l'argomento stesso - il riconoscimento di un leggendario "fuorilegge" - veniva ritenuto "sovversivo". In parte perché l'austero protestantesimo calvinista allora promulgato in Scozia da John Knox - come i Puritani di Cromwell in Inghilterra un secolo dopo - considerava tutto il teatro "immorale". Ma la ragione principale risulta evidente dal testo del decreto con cui la rappresentazione veniva bandita. «Nessuno deve interpretare il ruolo di Robin Hood, Little John, l'Abate degli stolti o la Regina di Maggio». L'«Abate degli stolti» è, naturalmente, il Frate Tuck della leggenda; la «Regina di Maggio» è la figura nota più comunemente come Maid Marion. Ma entrambe queste figure erano originariamente molto diverse da ciò che hanno fatto di loro le tradizioni più tarde. In effetti, Robin Hood, durante tutto il Medioevo in Inghilterra e in Scozia, era solo secondariamente il "fuorilegge" della successiva storia. In primo luogo era una specie di "folletto" derivato fondamentalmente dall'antico dio della
fertilità o nume della vegetazione celtico e sassone, il cosiddetto "Uomo verde", mentre nel folclore popolare Robin Hood era interscambiabile con Green Robin (Robin il verde), Robin of the Greenwood (Robin del Boscoverde), Robin Goodfellow (Robin buon diavolo), il Puck shakespeariano del Sogno di una notte di mezz'estate, che, nel solstizio d'estate, vigila sulla fertilità, la sessualità e gli sponsali. La leggenda di Robin Hood forniva, in effetti, un comodo mezzo per reintrodurre i riti della fertilità dell'antico paganesimo in seno alla Britannia nominalmente cristiana. Ogni calendimaggio aveva luogo una festa di origine sfacciatamente pagana. Venivano celebrati rituali intorno al palo ornato di nastri e fiori, simbolo tradizionale dell'arcaica dea della sessualità e della fertilità. Il giorno di san Giovanni, ogni vergine del villaggio diventava, metaforicamente, la Regina di Maggio. Molte di loro venivano condotte nel «boscoverde» dove sarebbero state iniziate alla sessualità da un giovane che interpretava la parte di Robin Hood o Robin Goodfellow, mentre Frate Tuck, l'Abate degli stolti, celebrava un finto matrimonio e "benediceva" le coppie. In virtù di questa messa in scena, i confini fra la rappresentazione allegorica e il rituale della fertilità scomparivano. Calendimaggio diventava, in realtà, una giornata di orgia. Nove mesi dopo produceva, in tutte le Isole Britanniche, la sua messe annuale di bambini. Fu da questi "figli di Robin" che ebbero origine molti cognomi come Robinson o Robertson.
Nel contesto dell'epoca, quindi, uno spettacolo intitolato
Robin Hood and Little John - messo in scena ogni maggio e giugno a Rosslyn sia da zingari sia da una compagnia di attori girovaghi, che comprendeva un orgiastico Abate degli stolti e una Regina di Maggio simile a Venere - non sarebbe stato un dramma convenzionale come lo concepiamo oggi. Al contrario, sarebbe stato un rito pagano della fertilità, o una rappresentazione teatrale di quel rito, che i cristiani di ogni stampo - calvinisti o cattolici romani - potevano solo giudicare scandalosa e peccaminosa. Ma questo era ciò che il "teatro" significava o implicava abitualmente per la gente di campagna a quell'epoca. Non deve quindi stupire che i tetri, bigotti legislatori puritani della Scozia seicentesca e dell'Inghilterra settecentesca si mostrassero ipocritamente scandalizzati da quel "teatro". Quello che conta è che i Sinclair non soltanto approvarono, ma accolsero e protessero tali pratiche. E Rosslyn non soltanto forniva un ambiente ideale, ma poteva, a tutti gli effetti, essere stata disegnata proprio per quello scopo. Il tema dominante della cappella, che sottende tutta l'elaborata decorazione cristiana, è spudoratamente pagano e celtico. La figura che ricorre più spesso è l'Uomo verde: una testa umana con tralci di vite che escono dalla bocca e talvolta dagli orecchi e poi si diramano a dismisura sulle pareti, in un'aggrovigliata proliferazione. A dire il vero, l'Uomo verde è dovunque nella Cappella Rosslyn, sbircia da ogni angolo fra viticci simili a liane che lui stesso genera. La sua testa, sempre priva di
corpo, è simile alle teste che i Templari erano accusati di venerare, o alle teste mozzate dell'antica tradizione celtica, entrambe talismani di fertilità. Rosslyn evoca quindi sia i Templari sia l'arcaico regno celtico di Scozia che Bruce aveva tentato di restaurare. Nella Cappella Rosslyn confluirono vari elementi critici, provenienti in alcuni casi da fonti molto diverse. Residui del passato e tradizioni profondamente radicate vennero associati a sviluppi correnti, talvolta precocemente innovatori. Ad esempio, deve esserci stata una fruttuosa interazione fra i Sinclair, i muratori "operativi" che costruivano sotto i loro auspici e gli zingari o attori girovaghi che si esibivano sotto la loro protezione. La fusione di questi elementi fu un passo cruciale nella fusione finale della Massoneria. Ma altri elementi - ad esempio, l'antico retaggio cavalleresco dei Templari - dovevano ancora essere riassimilati. E alcuni elementi nuovi di enorme importanza dovevano ancora essere aggiunti. Come abbiamo visto, per la gente di campagna, l'idea di "teatro" era rappresentata da opere come Robin Hood and Little John. Tuttavia, nei centri urbani della Britannia c'era un altro genere di teatro più familiare a noi gente di oggi, che trovò più facilmente una legittima collocazione nella tradizione culturale. Si tratta del miracolo o mistero, che iniziò già nel XII secolo e raggiunse il suo massimo sviluppo durante il XIV e XV secolo. Derivato in sostanza dalla messa e da fonti liturgiche, il miracolo era una combinazione di dramma e di sacra rappresentazione.
Quasi tutti i miracoli erano inseriti in sequenze o cicli, quattro dei quali sopravvivono ancora oggi: quelli di York, Chester, Wakefield e un altro attribuito talvolta a Coventry. Muovendo dal sagrato della chiesa per sboccare nella piazza del mercato, questi cicli miravano, nei giorni di festa, a ricreare e ricostruire materiale biblico, coinvolgendo l'intera popolazione di una città. Episodi delle Sacre Scritture - ad esempio, l'assassinio di Abele, Noè e la sua arca, la Natività e persino la Crocifissione - venivano rappresentati in forma drammatica semplificata e facile da assimilare. Dio e Gesù spesso apparivano entrambi "in scena". Il Male - generalmente sotto forma di un diavolo pagliaccesco o di un buffone - veniva debitamente castigato. A volte venivano sollevate questioni d'attualità e satireggiate fonti di lagnanza contemporanee. Le rappresentazioni avevano luogo su grandi carri, simili ai moderni carri di carnevale, situati in vari punti della città e gli spettatori si spostavano da uno all'altro come avviene con le stazioni della Via crucis in chiesa. Gli attori erano i membri delle varie gilde: i conciatori, gli stuccatori, i maestri d'ascia, i rilegatori di libri, gli orafi, i mereiai, i macellai, gli osti - e ogni gilda aveva il compito di rappresentare uno specifico episodio biblico. In un importante articolo pubblicato nel 1974, il reverendo Neville Barker Cryer ha dimostrato come i miracoli fossero un'importante fonte dei rituali trovati in seguito nella Massoneria, dando forma e struttura drammatica a un materiale che altrimenti sarebbe stato
amorfo.21 Certamente le gilde dei muratori "operativi" erano particolarmente impegnate nella messa in scena dei miracoli. Poiché gran parte del loro lavoro era consistito nel costruire chiese, abbazie e altri edifici religiosi, erano le più vicine all'establishment ecclesiastico. Questo faceva sì che conoscessero meglio delle altre gilde le tecniche liturgiche di rappresentazione nonché certe raccolte di materiale biblico.22 E quando la Riforma ridusse il programma di edilizia religiosa, le gilde dei muratori ebbero una maggiore opportunità di perfezionarsi nel dramma rituale, sviluppando gradatamente i loro riti che divennero sempre più avulsi dal cattolicesimo tabù. Come abbiamo osservato, ogni gilda cittadina aveva tradizionalmente il compito di rappresentare in forma drammatica specifiche raccolte di materiale biblico, specifici incidenti ed episodi delle Sacre Scritture. In alcuni casi, l'assegnazione di un particolare soggetto a una particolare gilda era più o meno arbitraria. Sarebbe stato difficile, ad esempio, trovare nelle Scritture qualcosa che si riferisse unicamente, diciamo, ai guantai o gaunters. Invece vi erano certe narrazioni bibliche che si riferivano unicamente ai muratori. Inoltre, il loro stretto rapporto con l'establishment ecclesiastico avrebbe permesso loro di scegliere e infine monopolizzare i racconti che desideravano rappresentare. Il reverendo Cryer sostiene che accadde effettivamente qualcosa del genere. Le gilde dei muratori si sarebbero arrogate poco per volta la prerogativa di mettere in scena materiale particolarmente
attinente al loro lavoro altamente specializzato, come la costruzione del Tempio di Salomone. 23 E così il mitico dramma centrale della Massoneria - l'omicidio di Hiram Abiff - sarebbe stato rappresentato prima dai muratori in un miracolo.24
1 Philo-Roskelynsis, An Account of the Chapel of Roslin, p. 28. 2 Vedi il recente studio di Michael Bradley su questo argomento, Holy Grail Across the Atlantic. Altre discussioni sullo stesso argomento sono: Major, The Voyages of the Venetian Brothers Zeno to the Northern Seas in the Fourteenth Century e Pohl, Prince Henry Sinclair. 3 L'informatore di Sinclair, un pescatore, affermò che circa ventisei anni prima aveva fatto naufragio su un'isola del Nuovo Mondo. Durante i lunghi anni di prigionia, era stato portato a sud dove esisteva una grande civiltà: «...diventano più civilizzati verso sud-ovest, dove il clima è più mite, e hanno città, e templi dedicati ai loro idoli, in cui sacrificano uomini e dopo li mangiano. In quei luoghi conoscono l'oro e l'argento» (Major, op. cit., p. 14). Sinclair intendeva farsi accompagnare dal pescatore nel progettato viaggio in Atlantico. Sfortunatamente l'uomo morì poco prima della partenza. 4 Hay, Genealogie of the Sainteclaires of Rosslyn, p. 27. 5 Ibid. 6 Waite, A New Encyclopaedia of Freemasonry, vol. II, p. 28. Cfr. anche ivi, p. v. * Masonry in inglese significa 'muratura, arte muraria'e mason 'muratore'. (n.d.t.) 7 Hay, op. cit., p. 27. 8 Ivi, pp. 157-58. Questa carta è datata 1600-1601 ca. Vedi anche Thory, Acta latomorum, vol. II, pp. 15-17.
9 The Manuscripts of his Grace the Duke of Portland, vol. II, p. 56. Questa lettera non è firmata né datata, ma Rylands (Il mondo massonico: i conti di Roslin e la Massoneria) la pone nel 1678. 10 Pick and Knight, The Pocket History of Freemasonry, pp. 178-89. 11 Ivi, p. 179. Per una biografia di Schaw e altri Maestri massoni al servizio della Corona, vedi MacBean, I Maestri massoni al servizio della Corona di Scozia. Cfr. anche Stevenson, The Origins of Freemasonry, pp. 26-51. 12 Hay, op. cit., pp. 157-58. 13 Ivi, pp. 159-63; Thory, op. cit., vol. II, pp. 18-22. 14 Lyon, History of the Lodge at Edinburgh, p. 98. 15 MacRitchie, Scottish Gypsies under the Stewarts, p. 56. 16 Ivi, p. 63. 17 Hay, op. cit., pp. 135-36. 18 MacRitchie, op. cit., pp. 57-58. 19 Adamson, The Muses Threnodie, p. 32. 20 MacRitchie, op. cit., p. 57. 21 Barker Cryer, Drama and Craft. Questa fu presentata come la «Lezione Prestoniana» nel 1974 e stampata privatamente lo stesso anno. 22 Ivi, pp. 26, 33. 23 Ivi, pp. 35-37. 24 Sembra probabile che la rappresentazione scenica dell'omicidio di Giovanni Battista fosse uno dei motivi ispiratori del successivo dramma imperniato su Hiram Abiff. Vedi idem, p. 32.
9 La Massoneria: geometria del sacro
La Massoneria stessa è molto incerta sulle proprie origini. Nei circa quattro secoli di esistenza ufficiale, si è sforzata, a volte disperatamente, di stabilire una genealogia. Gli scrittori massonici hanno riempito numerosi libri con i loro tentativi di raccontare la storia della loro corporazione. Alcuni di questi tentativi non solo erano privi di fondamento, ma, tavolta, addirittura comici nella loro stravaganza, ingenuità e pio desiderio. Altri non solo erano plausibili, ma hanno aperto nuove importanti linee di ricerca storica. Tuttavia, quasi tutte queste ricerche hanno finito per culminare nell'incertezza; e, non di rado, hanno suscitato più interrogativi che risposte. Un problema è che gli stessi massoni hanno cercato troppo spesso un singolo retaggio coerente, una singola immutata matassa di tradizioni che vada dall'epoca pre-cristiana ai giorni nostri.
In realtà, la Massoneria somiglia a un gomitolo di filo ingarbugliato da un gattino giocoso. È composta da numerose matasse, che devono essere sbrogliate prima che si possano individuare le sue varie origini. La leggenda massonica afferma che la Massoneria, almeno in Inghilterra, discende dal re sassone Etelstano. Si dice che suo figlio si unisse a una confraternita di muratori già esistente, diventasse un muratore entusiasta e, in virtù del suo rango, ottenesse un "libero statuto" per i suoi confratelli. In seguito a questo riconoscimento reale, un conclave massonico si sarebbe riunito a York e avrebbe stabilito le regole che hanno formato la base della Massoneria inglese. Successivi storici massonici hanno esaminato accuratamente questo resoconto e sono tutti d'accordo che esistono poche o nessuna prova a sua conferma. Ma anche se fosse vero, lascerebbe senza risposta le domande più importanti. Da dove venivano i muratori che sarebbero stati protetti da Etelstano e da suo figlio? Dove avevano imparato il mestiere? Che cosa avevano di tanto speciale? Perché avrebbero dovuto ottenere la protezione della Corona, come viene riferito? Certi scrittori massonici hanno tentato di rispondere a queste domande invocando i cosiddetti "Maestri comacini". Secondo questi scrittori, esisteva, all'epoca del tardo Impero Romano, un collegio di architetti iniziato a quelli che poi si sarebbero chiamati misteri massonici. Dopo la caduta di Roma, il collegio, con sede sul lago di Como, sarebbe fuggito e avrebbe tramandato
segretamente i suoi insegnamenti attraverso successive generazioni; i suoi adepti, durante i secoli bui, sarebbero andati in vari centri dell'Europa, fra cui la corte di Etelstano. Nessuno di questi due resoconti è del tutto inverosimile. Un programma edilizio di qualche tipo sembra che sia stato effettivamente attuato durante il regno di Etelstano, come testimonia York. Era forse il più ambizioso del genere in Europa a quell'epoca e poteva benissimo richiedere un'abilità tecnica o tecnologica nuova o appena riscoperta. Inoltre, sono state trovate antiche Bibbie, che risalgono all'Inghilterra sassone e raffigurano Dio nel caratteristico ruolo massonico di architetto. E vi sono effettivamente prove dell'esistenza di un qualche tipo di collegio di architettura su un'isola nel lago di Como durante l'ultimo periodo dell'Impero Romano. È del tutto possibile che alcuni insegnamenti di questo collegio fossero preservati e poi sparsi attraverso l'Europa occidentale. Ma né Etelstano né suo figlio, né i Maestri comacini servono a spiegare uno degli aspetti più salienti della successiva Massoneria: il fatto che essa contenga un grosso nucleo di tradizione giudaica filtrata attraverso l'Islam. La raccolta di leggende fondamentali per la Massoneria - compresa, naturalmente, la costruzione del Tempio di Salomone - deriva in sostanza da materiale del Vecchio Testamento, sia canonico che apocrifo, oltre che da commentari giudaici e islamici sul materiale stesso. Vale la pena di esaminare in dettaglio la più importante di queste leggende: l'omicidio di Hiram Abiff. La storia di Hiram affonda le radici nel contesto del
Vecchio Testamento. Figura in due libri, I Re e II Croniche. Secondo I Re 5:1-6: Ora Hiram re di Tiro, avendo udito che Salomone era stato unto re in luogo di suo padre, gli mandò i suoi servitori; perciocché Hiram era stato amico di Davide. È Salomone mandò a dire a Hiram... «Perciò, ecco, io delibero di edificare un tempio... or dunque comanda che mi si taglino dei cedri del Libano...».1
Segue poi un resoconto dettagliato su come venne edificato il Tempio dai muratori di Salomone e da quelli di Hiram. Si dice che il reclutamento della mano d'opera necessaria per il progetto fosse affidato a un certo Adoniram: apparentemente una variante del nome dello stesso Hiram. Quando il Tempio è terminato, il sovrano israelita desidera adornarlo con due grandi colonne di bronzo e altri abbellimenti. Di conseguenza, in I Re 7:13-15 è scritto: Ora il re Salomone mandò a prendere Hiram di Tiro; era figlio di una donna vedova della tribù di Neftali, ma suo padre era un Tirio, fabbro di bronzo. Ed egli venne al re Salomone e fece tutto il suo lavoro. E gettò due colonne di bronzo...
In II Croniche 2:3-14 c'è un resoconto leggermente diverso: Poi Salomone mandò a dire a Hiram, re di Tiro [...] «Ecco io edifico una casa al nome del Signore Iddio mio [...] Or dunque mandami un uomo intendente nel lavorare in oro e in argento e in bronzo e in ferro e in porpora e in scarlatto e in violetto e che sappia lavorare d'intagli; acciocché
sia con gli uomini industriosi che io ho appresso di me...». [...] Hiram, re di Tiro, rispose... «Or dunque io ti mando un uomo industrioso e intendente, Huramabi, figlio di una donna delle figliole di Dan, ma suo padre era Tirio; che sa lavorare in oro e in argento, in bronzo, in ferro, in pietre e in legname... e fare qualunque sorta d'intaglio e di disegno di qualunque cosa gli sia proposta [...]».
Il Vecchio Testamento tratta il capomastro del Tempio in modo piuttosto superficiale. Ma la Massoneria, attingendo ad altre fonti e/o inventandone alcune, integra i pochi dettagli e li sviluppa in quella che, nella cornice di una religione tradizionale organizzata, costituirebbe una teologia compiuta e autosufficiente. La storia, quando appare nella sua forma definitiva, contiene piccole variazioni nei particolari, simili alle variazioni nei Vangeli; ma il tenore generale rimane costante da loggia a loggia, da rito a rito e di epoca in epoca. Il protagonista della leggenda è abitualmente noto come Hiram Abiff o Adoniram, probabilmente più esatto. Adoniram deriva chiaramente da Adonai, che in ebraico significa 'Signore', più o meno come 'Kaiser' e 'Czar' sono derivati da 'Caesar'. Il capomastro sarebbe quindi stato il Signore Hiram, anche se qualcuno ha sostenuto che 'Hiram' non era un nome proprio, ma un titolo, riferito forse al re o a una persona legata alla casa reale. Abiff deriva dalla parola 'padre'. Hiram Abiff poteva quindi essere il re stesso, padre simbolico del suo popolo, oppure il padre del re: l'ex re o il re a riposo, che poteva aver abdicato dopo un numero convenuto di anni. In ogni caso, il punto è che sembrerebbe unito da un vincolo di sangue alla casa
reale di Tiro Fenicia ed è ovviamente un 'maestro' versato nei segreti dell'architettura: i segreti del numero, della forma e della misura e la loro pratica applicazione attraverso la geometria. E la moderna ricerca archeologica conferma che il Tempio di Salomone, come viene descritto nel Vecchio Testamento, mostra una indubbia somiglianza con i veri templi costruiti dai Fenici. È possibile anche andare un po' più in là. I templi di Tiro furono eretti in onore della dea madre dei Fenici, Astarte (che, sottoposta a un cambio di sesso forzoso dai primi Padri della Chiesa, entrò nella tradizione cristiana come il demonio maschile Ashtaroth). Nell'antica Tiro, Astarte era nota con i soprannomi "Regina del Cielo" e "Stella del Mare" o "Stella Maris": formule che furono anch'esse rubate, naturalmente, dal cristianesimo e attribuite alla Vergine. Astarte era venerata tradizionalmente «negli alti luoghi»; le vette delle colline e le montagne (ad esempio, il monte Ermon) abbondavano di santuari dedicati a lei. E quale che fosse la sua nominale devozione al Dio d'Israele, Salomone era uno dei suoi adoratori. Così, in I Re 3: 3: Ma pur Salomone amò il Signore; camminando negli statuti di Davide suo padre, solo sacrificava e faceva profumi sopra gli alti luoghi.
I Re 11:4-5 è ancora più esplicito: Al tempo della sua vecchiezza avvenne che le sue donne sviarono il suo cuore dietro altri dii; e il suo cuore non fu intiero inverso il Signore Iddio suo come era stato il cuore di Davide suo padre. E Salomone andò dietro ad Astoret, dea dei Sidonii.
In effetti, il famoso Cantico di Salomone è esso stesso un inno ad Astarte e una sua invocazione: Vieni meco dal Libano, o mia promessa sposa, vieni meco dal Libano, vieni per la tua via. Abbassa il tuo sguardo dalla sommità di Amana; dalle vette di Senir e di Ermon.2
Tutto questo solleva interrogativi sul Tempio di Salomone, edificato da un capomastro fenicio. Era veramente dedicato al Dio d'Israele o era dedicato ad Astarte? In ogni caso, Hiram di Tiro, esperto di architettura, è chiamato da Salomone per dirigere i lavori di costruzione del Tempio, per cui, strettamente parlando, il «Tempio di Salomone» è in sostanza il «Tempio di Hiram». In realtà, l'immensa forza lavoro impegnata in un'impresa così ambiziosa doveva naturalmente consistere soprattutto, se non esclusivamente, di schiavi. Tuttavia, nel rituale e nella tradizione massonica almeno alcuni dei costruttori sono raffigurati come uomini liberi, o liberi muratori, presumibilmente professionisti di Tiro che vengono pagati per il loro lavoro. Sono organizzati in tre gradi o livelli: apprendisti, compagni e maestri. Poiché sono così numerosi, Hiram non può assolutamente conoscerli tutti personalmente. Di conseguenza, ad ogni grado o livello viene assegnata la propria parola d'ordine. Agli apprendisti viene assegnata la parola "Boaz", dal nome di
uno dei due immensi pilastri o colonne di bronzo che sostengono il portico del Tempio. Ai compagni viene assegnata la parola "Jachin", dal nome del secondo pilastro o colonna. Ai maestri, almeno inizialmente, viene assegnato il nome "Geova". Ognuna di queste tre parole è anche accompagnata da un particolare "segno" o posizione delle mani e da una particolare "presa" o stretta di mano. Quando vengono distribuite le paghe, ciascun operaio si presenta a Hiram, pronuncia la parola insieme al segno e alla stretta appropriati al suo rango e riceve il giusto salario. Un giorno, mentre Hiram prega nel recinto del suo edificio quasi terminato, è avvicinato da tre furfanti compagni, secondo alcuni resoconti, apprendisti secondo altri - che sperano di ottenere i segreti di un livello superiore a cui non hanno ancora diritto. Hiram è entrato dalla porta ovest e i furfanti gli bloccano l'uscita e pretendono da lui la parola segreta, il segno e la stretta riservati a un maestro. Quando lui rifiuta di rivelare l'informazione desiderata, lo assalgono. I resoconti non sono concordi su quale colpo egli riceva davanti a quale porta e quale attrezzo infligga quale ferita. A noi basti sapere che riceve tre colpi. Viene colpito al capo con una mazza o un martello. Viene colpito su una tempia con una livella e sull'altra con un piombino. Storicamente, i resoconti variano anche sulla successione di queste ferite: quale segna l'inizio dell'attacco e quale costituisce il colpo di grazia. La prima ferita gli viene inferta alla porta nord o sud. Versando sangue, che lascia una
ben visibile traccia sul pavimento, Hiram va barcollando da un'uscita all'altra, ricevendo ogni volta un nuovo colpo. In tutti i resoconti muore alla porta est. È qui che, in una loggia moderna, sta il Maestro quando officia e qui, naturalmente, è sempre situato l'altare di una chiesa. Mortificati da quello che hanno fatto, i tre furfanti si affrettano a nascondere il corpo del Maestro. Secondo quasi tutti i resoconti, viene nascosto su un vicino pendio di montagna, sepolto sotto un cumulo di terra smossa. Un ramoscello di acacia (la pianta sacra per la Massoneria) viene sradicato da una macchia adiacente e piantato sulla tomba per dare l'impressione che il terreno sia intatto. Ma sette giorni dopo, quando nove maestri in sottordine a Hiram si mettono a cercarlo, uno di loro si arrampica sul pendio e cercando un appiglio, si aggrappa al ramoscello di acacia che gli rimane in mano. Questo porta, naturalmente, alla scoperta del corpo dell'uomo assassinato. Rendendosi conto di ciò che è accaduto e temendo che Hiram abbia rivelato la parola del maestro prima di morire, i nove decidono di cambiarla e stabiliscono di comune accordo che la nuova parola consisterà in quello che scapperà detto a uno qualsiasi di loro nel dissotterrare il corpo. Quando la mano di Hiram viene afferrata per le dita e il polso, la pelle putrefatta scivola via come un guanto. Uno dei maestri esclama «Macbenae!» (o una di numerose varianti) che, in un linguaggio imprecisato, starebbe a significare 'La carne si stacca dalle ossa' o 'Il cadavere è putrefatto', o semplicemente 'La morte di un costruttore'. Questa diventa
la nuova parola del maestro. Successivamente, i tre furfanti vengono scoperti e puniti. Il corpo di Hiram, esumato dal pendio della montagna, viene riseppellito con grande cerimonia nel recinto del Tempio e tutti i maestri indossano grembiuli e guanti di pelle bianca per mostrare che nessuno di loro si è macchiato le mani con il sangue del morto.3 Come abbiamo detto, durante gli ultimi 250 anni, versioni alternative della storia hanno variato leggermente nella sequenza degli eventi o in alcuni dettagli specifici. Vi sono anche variazioni nel presunto comportamento di Salomone durante l'intera vicenda. A volte il suo ruolo è molto enfatizzato; altre volte è minimizzato. Ma nei punti essenziali, tutte le versioni della leggenda sono conformi allo schema tracciato sopra. Che cosa si celi dietro il racconto è un'altra questione che esula dall'ambito di questo libro e riguarda più propriamente lo studio dell'antropologia, della mitologia comparata e dell'origine delle religioni. Sulla scia del lavoro pionieristico di sir James Frazer in The Golden Bough (Il ramo d'oro), i commentari hanno proliferato. Alcuni studiosi, così come certi scrittori massonici, hanno sostenuto che tutta la storia di Hiram (al pari di molti altri racconti nell'antico mito e, quanto a quello, anche nella Bibbia) era una deliberata distorsione, un velo destinato a mascherare uno dei rituali più arcaici e diffusi: quello del sacrificio umano. Non era sicuramente insolito, nel Medio Oriente dell'epoca biblica, consacrare un edificio con un cadavere sacro: un bambino, una vergine, un re o qualche altro personaggio di sangue
reale, un sacerdote, una sacerdotessa, un costruttore. La tomba e il santuario erano spesso una cosa sola. In epoche successive, la vittima era già morta o veniva rimpiazzata con un animale; ma all'inizio, un essere umano veniva spesso ucciso deliberatamente, sacrificato nel corso di una cerimonia rituale per santificare un sito con il di lei o di lui sangue. La storia di Abramo e Isacco è soltanto una di numerose indicazioni che gli antichi israeliti approvavano simili pratiche. E in verità, residui di quella tradizione persisterono a lungo in epoca cristiana, quando le chiese venivano spesso costruite sui luoghi di sepoltura dei santi, o i santi venivano sepolti, se non addirittura uccisi, allo scopo di consacrare le chiese. Nel suo romanzo Hawksmoor, pubblicato nel 1984, Peter Ackroyd descrive una serie di chiese londinesi del primo Settecento che venivano costruite su luoghi di sacrifici umani. Quella che alcuni lettori e critici hanno considerato una fantasiosa storia dell'orrore, poggia in realtà su un principio accettato da lungo tempo. All'epoca descritta da Ackroyd, i massoni erano quasi certamente a conoscenza di questo principio, anche se non lo misero mai in pratica. In ogni caso, e quali che siano i residui in esso celati, il nocciolo della storia di Hiram non è un'invenzione recente, ma un racconto antichissimo. Come abbiamo notato, ve n'è appena un accenno nel Vecchio Testamento vero e proprio, ma vi sono elaborazioni e variazioni fra le più antiche leggende talmudiche e gli apocrifi giudaici. Perché sia diventato così importante in seguito - perché, in effetti,
Hiram abbia finito per assumere le proporzioni di una vera e propria immagine di Cristo - è, naturalmente un'altra questione. Ma, nel Medioevo, l'architetto o costruttore del Tempio di Salomone era già diventato importante per le gilde dei muratori "operativi". Nel 1410 un manoscritto collegato a una di queste gilde menziona il «figlio del re di Tiro» e lo associa a un'antica scienza che sarebbe sopravvissuta al Diluvio e sarebbe stata tramandata da Pitagora ed Ermes.4 Questi documenti scritti stanno ad attestare quella che doveva sicuramente essere una tradizione diffusa e molto più antica e potrebbe spiegare i paralleli fra il figlio del re di Tiro e quello di Etelstano: entrambi principi reali, entrambi con la reputazione di valenti architetti,5 capomastri e patroni dei muratori. Non è chiaro quando esattamente la storia di Hiram assunse un'importanza fondamentale per la Massoneria. Ma, quasi certamente, contribuì in qualche misura alla nascita dell'istituzione. Ricordando la Cappella Rosslyn di sir William Sinclair e la testa dell' "apprendista assassinato", è possibile vedere nella sua ferita una lesione identica a quella che sarebbe stata inferta a Hiram, mentre la testa di donna nella cappella è nota come "la Madre Vedova". Sono motivi tratti dalla storia di Hiram e molto antecedenti alla moderna Massoneria. Secondo scrittori massonici più recenti, il teschio e le tibie incrociate furono associati per lungo tempo ai Templari e al maestro assassinato. Esattamente per quanto tempo resta da scoprire. Durante il Seicento e il
Settecento, il teschio e le tibie incrociate venivano usati come simbolo per indicare la tomba di Hiram e, per estensione, la tomba di qualsiasi Maestro massone. Come abbiamo visto, la leggenda dice che Bruce, quando fu esumata la sua tomba, venne trovato sepolto con le ossa delle gambe incrociate sotto il teschio. Quel simbolo rappresentava anche una parte importante delle insegne del grado massonico noto come "Cavaliere Templare" e figura in moltissime tombe a Kilmartin e altrove in Scozia, insieme ad altri emblemi specificamente massonici. Nell'odierna Massoneria, la morte di Hiram viene rappresentata ritualmente da ogni aspirante al cosiddetto Terzo Grado, quello di Maestro muratore. Ma con un'aggiunta essenziale: il Maestro viene resuscitato. "Passare attraverso il Terzo Grado" significa morire ritualmente e rinascere. L'aspirante recita la parte di Hiram; diventa il Maestro e muore come lui; poi, secondo la fraseologia usata, viene "resuscitato" come Maestro muratore. C'è un'interessante eco di questo rito in un episodio riguardante il profeta Elia in I Re 17: 17-24. In occasione di una visita a Sidone, vicino alla porta della città, Elia trova una vedova che raccoglie legna per il fuoco e viene condotto nella sua casa. Mentre sta con lei, suo figlio - il "figlio della vedova" - si ammala e muore. Elia «si distese tre volte sopra il fanciullo», implorando il soccorso di Dio, al che «l'anima del fanciullo ritornò in lui ed egli rivisse». C'è una strana nota in calce a questa analisi della storia di Hiram. Fino al XVIII secolo, venne tenuta rigorosamente
segreta e sembra che facesse parte del sapere arcano, confidato soltanto ai fratelli iniziati. Ma intorno al 1737 in Francia, si scatenò la paranoia sulla Massoneria e i suoi segreti (che continua ancora oggi). Ne seguirono incursioni della polizia. Sembra che alcuni individui si fossero infiltrati nelle logge per riferire sulle attività che vi si svolgevano. Alcuni massoni defezionarono o lasciarono trapelare informazioni. Il risultato fu la prima di una serie continua di "denunce", che scaddero tutte nel banale. Nondimeno, portarono la leggenda di Hiram più o meno a conoscenza di tutti, la resero familiare anche ai non-massoni e la spogliarono di gran parte della sua mistica arcana. Nel 1851 il poeta francese Gérard de Nerval, di ritorno da un giro in quello che allora era un esotico Medio Oriente, pubblicò un ponderoso volume di 700 pagine, intitolato Voyage en Orient. In quest'opera, Nerval non soltanto racconta le sue esperienze (alcune un po' romanzate), ma include anche illustrazioni con relative didascalie, commenti su usi e costumi, leggende in cui si è imbattuto, storie e racconti popolari che ha udito. Fra queste ultime, vi è la più completa, dettagliata e suggestiva versione della storia di Hiram che sia mai stata pubblicata, prima o dopo. Nerval non soltanto espone i punti essenziali del racconto, come sono stati tracciati sopra. Ma divulga anche - per la prima volta, a quanto ci risulta - un viluppo di misteriose tradizioni mistiche associate nella Massoneria all'ambiente e alle origini familiari di Hiram.6 Particolarmente curioso è il fatto che Nerval non faccia alcun accenno alla Massoneria. Fingendo che la sua
narrazione sia una specie di fiaba popolare regionale, ignota in Occidente fino ad allora, afferma di averla udita dalla viva voce di un narratore persiano in un caffè di Costantinopoli. In un altro scrittore tanta apparente ingenuità potrebbe essere plausibile e non vi sarebbe particolare ragione di mettere in dubbio le sue asserzioni. Ma Nerval faceva parte di un circolo letterario che comprendeva Charles Nodier, Charles Baudelaire, Théophile Gautier e il giovane Victor Hugo, tutti imbevuti di arcano e di esoterico. Non è chiaro se Nerval fosse egli stesso un massone. Poteva non esserlo. Poteva avere altri legami nell'oscuro mondo sotterraneo delle sette occulte e delle società segrete. Ma, senza ombra di dubbio, sapeva quello che faceva, sapeva che il suo racconto (anche se ne aveva effettivamente udito una versione in un caffè di Costantinopoli) non era una pittoresca fiaba popolare mediorientale, ma il mito su cui si fondava la Massoneria europea. Perché Nerval decidesse di divulgarlo e di divulgarlo in quella maniera, rimane un mistero che affonda le radici nella complicata politica della "rinascita dell'occulto" a metà dell'Ottocento in Francia. Ma la sua strana, incubatica e suggestiva rievocazione della leggenda di Hiram è la più completa e dettagliata versione che abbiamo e mai potremo avere.
L'Architetto come Mago La leggenda di Hiram rappresenta un filone di tradizione
giudaica nella Massoneria. Tuttavia, in alcune delle sue versioni, compresa quella di Gérard de Nerval, contiene anche influenze ed elementi islamici; e, come abbiamo visto, Nerval asseriva di aver ottenuto la sua versione da fonti islamiche. Ma allora come giunse nel cuore dell'Europa cristiana medievale? E perché era così importante per i costruttori di edifici religiosi cristiani? Cominciamo ad analizzare la seconda di queste domande. Il giudaismo proibiva di eseguire immagini scolpite. L'islamismo ereditò e perpetuò quel tabù. Sia sotto il giudaismo che sotto l'islamismo, si sviluppò un'eredità culturale nemica dell'arte figurativa: di qualsiasi raffigurazione di forme naturali, compresa, naturalmente, quella dell'uomo stesso. Il tipo di decorazione che viene associato alle cattedrali cristiane non si trova nella sinagoga o nella moschea. In parte, questo divieto deriva dal fatto che qualsiasi tentativo di raffigurare il mondo naturale, compresa la forma umana, veniva ritenuto blasfemo: un tentativo dell'uomo di competere con il Creatore, persino di sostituirsi a Lui e usurpare il suo posto. Soltanto Dio possedeva la prerogativa di creare forme dal nulla, di creare la vita con l'argilla. Se l'uomo creava una replica di quelle forme e una replica della vita, con il legno, la pietra, il colore o qualsiasi altra sostanza, abusava della prerogativa divina e ne faceva, necessariamente, una parodia o una cattiva imitazione. Ma vi era anche una giustificazione teologica più profonda dietro questo dogma apparentemente ultra-
letterale, una giustificazione che si sovrapponeva all'antico pensiero pitagorico e poteva anche averne subito l'influenza. Dio, sia nel giudaismo che nell'islamismo, era Uno. Dio era un'unità. Dio era tutto. Le forme del mondo fenomenico, viceversa, erano numerose, molteplici, varie e diverse. Tali forme non testimoniavano la divina unità, ma la frammentazione del mondo temporale. Per discernere Dio nella creazione non bisognava cercarlo nella molteplicità delle forme, ma nei princìpi unificatori che ne costituivano il fondamento comune. In altre parole, si doveva discernere Dio nei princìpi della forma (determinata essenzialmente dai gradi di un angolo) e nei numeri. Era attraverso la forma e il numero, e non tramite la rappresentazione di forme diverse, che si manifestava la gloria di Dio. Ed erano gli edifici basati sulla forma e sul numero, piuttosto che sull'abbellimento figurativo, che dovevano ospitare la divina presenza. La sintesi di forma e numero è, naturalmente, la geometria. Attraverso la geometria, e la ricorrenza regolare di modelli geometrici, si realizza la sintesi di forma e numero. Attraverso lo studio della geometria, quindi, certe leggi assolute apparivano leggibili: leggi che attestavano come alla base di tutto vi fosse un ordine, un disegno, una coerenza. Questo piano generale era apparentemente infallibile, immutabile, onnipresente; e proprio in virtù di quelle qualità, poteva essere interpretato, abbastanza facilmente, come qualcosa di origine divina: una manifestazione visibile della potenza divina, della volontà divina, della perizia divina. E così la geometria, sia
nel giudaismo che nell'islamismo, finì per assumere proporzioni sacre e fu investita di un carattere misterioso trascendente e immanente. Verso la fine del I secolo a.C., l'architetto romano Vitruvio7 aveva enunciato quelle che sarebbero diventate alcune delle premesse fondamentali per i futuri costruttori. Aveva raccomandato, ad esempio, che fossero organizzati in società o collegio, di mutuo soccorso. Aveva insistito che «gli altari siano rivolti a oriente», come avviene, naturalmente, nelle chiese cristiane. Soprattutto, aveva stabilito che l'architetto è qualcosa più di un semplice tecnico. L'architetto, diceva, «dovrebbe essere... un abile disegnatore, un matematico, pratico di studi storici, un diligente studioso di filosofia, avere qualche nozione di musica... conoscere bene l'astrologia...»8. Per Vitruvio, in effetti, l'architetto era una specie di mago, che conosceva bene la somma del sapere umano e le leggi che stanno alla base della creazione. La più importante di queste leggi era la geometria, a cui l'architetto era obbligato ad attingere per costruire templi «con l'aiuto della proporzione e della simmetria...».9 Anche a questo riguardo il giudaismo e l'islamismo avrebbero quindi coinciso con il pensiero classico. Giacché l'architettura non era forse la suprema applicazione e attuazione della geometria: un'applicazione e un'attuazione che andavano persino al di là della pittura e rendevano la geometria tridimensionale? Non era forse nell'architettura che la geometria s'incarnava veramente?
Perciò era in strutture basate sulla geometria, senza abbellimenti che distraessero o sviassero la mente, che la presenza di Dio doveva essere accolta e venerata. La sinagoga e la moschea erano, quindi, basate entrambe non sulla decorazione, ma su princìpi geometrici, su astratti rapporti matematici. E l'unica ornamentazione permessa in quegli edifici era di tipo geometrico astratto: ad esempio, il labirinto, l'arabesco, la scacchiera, l'arco, il pilastro o la colonna e altre "pure" incarnazioni della simmetria, della regolarità, dell'equilibrio e della proporzione. Durante la Riforma, il tabù contro l'arte figurativa sarebbe stato adottato da alcune delle forme più austere di protestantesimo, specialmente in Scozia. Ma il cristianesimo medievale, sotto l'egemonia della Chiesa cattolica, non aveva simili inibizioni o divieti. Nondimeno, la Cristianità s'impadronì prontamente dei princìpi della geometria sacra e li utilizzò per incrementare i propri tentativi d'incarnare il divino e rendergli omaggio. Dall'epoca delle cattedrali gotiche in poi, la geometria sacra in architettura e nella decorazione architettonica procedette di pari passo con l'arte figurativa come componente integrale delle chiese cristiane. Nella cattedrale gotica, in effetti, la geometria era l'unico fattore predominante. Come abbiamo notato in riferimento alla Cappella Rosslyn, la costruzione di edifici del genere si svolgeva sotto la direzione del cosiddetto "Maestro dell'Opera". Ognuno di loro ideava la propria geometria personale con cui doveva armonizzare tutto il resto. Uno studio di Chartres ha rivelato l'impronta di nove diversi
maestri durante la sua costruzione.10 Quasi tutti erano essenzialmente artigiani e disegnatori provetti e le loro capacità erano interamente tecnologiche. Tuttavia, alcuni di loro - presumibilmente due sui nove impegnati a Chartres - erano ovviamente versati anche in altri campi.11 Il loro lavoro rispecchia un carattere metafisico, spirituale o, nel linguaggio della Massoneria, "speculativo" che testimonia un alto grado d'istruzione e di raffinatezza, testimonia che quegli uomini erano pensatori e filosofi oltre che costruttori. Come abbiamo notato, un manoscritto, datato 1410, parla di una «scienza» i cui segreti vennero riesumati dopo il Diluvio da Pitagora ed Ermes. Da riferimenti come questo appare chiaro che certi maestri, almeno, avevano accesso al pensiero ermetico e neoplatonico molto prima che tale pensiero diventasse di moda nell'Europa occidentale durante il Rinascimento. Ma prima di allora, un pensiero così eterodosso, che attingeva a fonti non-cristiane, sarebbe stato estremamente pericoloso per i suoi aderenti, che erano quindi costretti al segreto. Di conseguenza, una tradizione "esoterica" di maestri "iniziati" sarebbe sorta all'interno delle gilde di muratori "operativi". Qui, dunque, erano i semi di quella che più tardi si sarebbe chiamata Massoneria "speculativa". Nell'ambito di questa tradizione "esoterica" di maestri "iniziati", la geometria sacra era di primaria importanza: una manifestazione del divino, come abbiamo visto. Per quei maestri, una cattedrale era più che una "casa di Dio".
Era qualcosa di simile a uno strumento musicale, uno strumento accordato su un timbro particolare di elevata spiritualità, come un'arpa. Se lo strumento era accordato nel modo giusto, Dio stesso avrebbe risuonato per suo tramite e la Sua immanenza sarebbe stata avvertita da tutti coloro che entravano. Ma come fare per accordarlo nel modo giusto? Come e dove Dio indicava le Sue specifiche esigenze? La geometria sacra forniva i princìpi generali, le leggi fondamentali. Ma c'era un contesto nel Vecchio Testamento in cui si riteneva che Dio avesse specificamente istruito con molta precisione i Suoi adoratori, avesse disegnato il Suo progetto. Questo contesto era la costruzione del Tempio di Salomone. E così la costruzione del Tempio venne ad assumere un'immensa importanza per i muratori del Medioevo. Qui, Dio aveva effettivamente insegnato l'applicazione pratica della geometria sacra attraverso l'architettura. E il Suo migliore allievo, Hiram di Tiro, fu quindi scelto come il modello a cui ogni vero capomastro doveva aspirare.
Il sapere nascosto Ecco perché la storia di Hiram divenne tanto importante. Rimane da spiegare come la storia e i suoi vari abbellimenti giungessero nel cuore dell'Europa cristiana. Anzi, come prendesse la via dell'Occidente la geometria sacra nel suo insieme, una mescolanza di pensiero pitagorico, vitruviano, ermetico, neoplatonico, giudaico e islamico. Per rispondere a queste domande, bisogna
guardare ai periodi storici in cui queste raccolte d'insegnamenti potevano essere più efficacemente trasmesse e assimilate: periodi in cui il cristianesimo era maggiormente esposto a influenze "aliene" e le assorbi va, alcune volte deliberatamente, altre volte per una forma di osmosi. Il primo di questi periodi fu nel VII e nell'VIII secolo, quando l'islamismo, spinto dall'energia combattiva caratteristica dei militanti di una nuova fede, dilagò nel Medio Oriente, varcò la costa del Nord Africa, attraversò lo stretto di Gibilterra, invase la penisola iberica e avanzò in Francia. Il successivo dominio islamico in Spagna raggiunse la sua apoteosi nel X secolo e coincise quindi con il regno di Etelstano in Inghilterra. Sebbene non esista alcuna documentazione al riguardo, è sicuramente possibile che alcuni dei princìpi della geometria e architettura sacra filtrassero al Nord dalla Spagna e dalla Francia. Gli eserciti dell'Islam possono essere stati fermati da Carlo Martello alla battaglia di Poitiers nel 732, ma le idee sono sempre più difficili da respingere degli eserciti. Nel 1469 Ferdinando d'Aragona sposò sua cugina, Isabella di Castiglia. Da questa unione nacque la Spagna moderna. In un impeto di zelo apostolico, Ferdinando e Isabella s'imbarcarono in un programma di "purificazione", per cui i loro domini uniti dovevano essere sistematicamente purgati da tutti gli elementi "alieni", vale a dire, giudaici e islamici. Il risultato fu l'era dell'Inquisizione spagnola e dell'auto-da-fé. Come ha detto Carlos Fuentes, la Spagna, a questo punto, bandì la sensualità con i mori,
l'intelligenza con gli ebrei e si accinse a diventare sterile.12 Ma durante i sette secoli e mezzo intercorsi fra la battaglia di Poitiers e il regno di Ferdinando e Isabella, la Spagna era un vero ricettacolo di insegnamenti esoterici. In effetti, il primo grande esoterista nella tradizione occidentale fu il maiorchino Raimondo Lullo, o Lully, la cui opera doveva esercitare un'enorme influenza sui successivi sviluppi europei. Ma anche prescindendo da Lullo, era ormai stabilito che coloro che cercavano l'iniziazione esoterica o mistica dovevano recarsi in pellegrinaggio in Spagna. In Parzival, Wolfram von Eschenbach afferma che la sua storia deriva fondamentalmente da fonti spagnole. Si dice che Nicolas Flamel, probabilmente il più famoso degli antichi alchimisti occidentali, avesse appreso i segreti della trasmutazione da un libro trovato in Spagna. Per sette secoli e mezzo, la Spagna doveva quindi rimanere una fonte d'ispirazione esoterica. Da lì continuò a filtrare materiale nel resto d'Europa, a volte goccia a goccia, a volte a fiumi. Ma l'influenza spagnola, per quanto importante potesse essere, sarebbe stata presto eclissata da altri, più drammatici contatti fra la cristianità e le fedi rivali. Il primo di questi furono, naturalmente, le crociate, quando decine di migliaia di europei in Terra Santa s'intrisero proprio dei credi che erano venuti a estirpare. Durante le crociate, la corte siciliana dell'imperatore Federico II Hohenstaufen divenne un vero e proprio centro di smistamento delle correnti di pensiero giudaiche e islamiche. I Templari furono un altro canale importante -
forse il più importante - per tali correnti. Sebbene fossero nominalmente "Cavalieri di Cristo", i Templari, in pratica, mantenevano relazioni cordiali sia con l'islamismo che con il giudaismo e si dice che coltivassero persino l'ambizioso progetto di riconciliare il cristianesimo con le due fedi rivali. I Templari costruivano su vasta scala. Usando le loro squadre di muratori, edificavano i propri castelli e le proprie Case. La loro architettura era abitualmente bizantina nelle sue caratteristiche e rispecchiava influenze al di fuori dalla sfera di controllo di Roma. Come abbiamo visto, due tombe di capomastri templari vennero trovate ad Athlit in Israele: probabilmente le più antiche tombe "massoniche" conosciute al mondo. I Templari sponsorizzavano le loro gilde. Fungevano anche da patroni e protettori per altre gilde di operai specializzati e muratori e sembra che, occasionalmente, diventassero essi stessi membri di quelle gilde.13 Anche artigiani esperti venivano occasionalmente accolti come "associati" del Tempio. Vivevano in villaggi autonomi accanto alle Case templari e godevano di molti privilegi dell'Ordine, compresa l'esenzione da dazi e tasse. In Europa, i Templari si erano inoltre autonominati guardiani delle strade e assicuravano un tragitto senza rischi a pellegrini, viaggiatori, mercanti e costruttori. Data questa vasta gamma di attività, non stupisce che i princìpi della sacra geometria e architettura giungessero in Europa occidentale sotto i loro auspici. Ma se i Templari furono un canale per tali princìpi, lo poterono essere solo per un periodo di tempo limitato: non
più (e probabilmente meno) dei loro due secoli di vita. Né, come abbiamo sottolineato più volte, devono essere magnificati oltre misura. Alcuni funzionari dell'Ordine potevano effettivamente essere istruiti come, diciamo, i loro equivalenti nella gerarchia ecclesiastica; alcuni potevano essere effettivamente versati negli arcani della sacra geometria e architettura; ma la maggioranza dei Templari era fatta di semplici e rudi soldati, ignoranti e rozzi come quasi tutti i nobili dell'epoca. Dai loro superiori, quegli uomini potevano aver appreso che le gilde di muratori "operativi" possedevano segreti tecnologici degni di rispetto, ma non avrebbero saputo quali fossero quei segreti e ancora meno sarebbero stati capaci di comprenderli. Con la dissoluzione ufficiale dell'Ordine, molto andò indubbiamente perduto. Particolarmente in Scozia, ai Templari fuggiaschi, tagliati fuori dai loro antichi superiori, sarebbero rimaste solo forme vuote da osservare. Potevano guardare con deferenza all'arte muraria, ma per loro avrebbe avuto un significato più simbolico e ritualistico che pratico; è poco probabile che ne capissero molto. In verità, gli eventuali Templari sopravvissuti in Scozia avrebbero assomigliato a certi tipi successivi di Massoneria, che perpetuavano meccanicamente un insieme di tradizioni e di osservanze senza comprenderne realmente il significato. Ammesso che esistesse un legame fra i Templari e le gilde di muratori "operativi" in Scozia, si sarebbe comunque esaurito entro il XV secolo: si sarebbe consunto e diluito. Ma proprio a quel punto, vi fu una trasfusione di
nuova ispirazione dall'esterno, che rigenerò l'applicazione della sacra geometria all'architettura e impresse nuovo slancio ad entrambe. Nel 1453 Costantinopoli e gli ultimi resti ancora sopravvissuti dell'antico Impero Bizantino caddero in mano ai turchi. Il risultato fu un massiccio afflusso di profughi nell'Europa occidentale, insieme con i tesori delle biblioteche bizantine, accumulati durante il millennio precedente: testi sull'ermetismo, il neoplatonismo, lo gnosticismo, il cabalismo, l'astrologia, l'alchimia, la geometria sacra, tutti gli insegnamenti e le tradizioni nati ad Alessandria durante il I, II e III secolo e sempre accresciuti e aggiornati. E poi, nel 1492, come abbiamo visto, Ferdinando e Isabella di Spagna diedero inizio a una spietata estirpazione dell'islamismo e del giudaismo dai loro domini. Anche questa provocò un esodo di profughi che si diressero a est e a nord, portando con loro l'intero corpus dell'esoterismo iberico, che era filtrato poco per volta nella cristianità fin dal VII e VIII secolo. L'impatto di questi sviluppi fu immenso. Trasformò la civiltà occidentale. Studiosi e storici convengono che l'afflusso di idee da Bisanzio e dalla Spagna fu probabilmente il singolo fattore più importante che contribuì al fenomeno culturale ora noto come il Rinascimento. Il materiale bizantino giunse prima in Italia, dove uomini come Cosimo de' Medici lo afferrarono al volo. Vennero istituite accademie per studiarlo e diffonderlo. Vennero commissionate e divulgate traduzioni: la più antica e la più famosa è quella di Marsilio Ficino.14 Vennero scritte e
diffuse esegesi: ad esempio, quella di Pico della Mirandola. Dall'Italia, durante i cent'anni successivi, un'ondata di esoterismo si sarebbe sparsa nel resto dell'Europa. La geometria sacra, considerata ora una forma di "magia talismanica", non venne più applicata unicamente all'architettura, ma anche alla pittura: ad esempio, nelle opere di Leonardo e Botticelli. Ben presto avrebbe pervaso altre arti, fra cui la poesia, la scultura, la musica e, in particolare, il teatro. Non che l'architettura ne risultasse sminuita. Al contrario, acquistò un rango ancora più alto. La diffusione del neoplatonismo - i sindetici insegnamenti mistici che si erano fusi ad Alessandria nel periodo immediatamente post-cristiano - conferì una rinnovata importanza al più antico pensiero classico dello stesso Platone. E in Platone, gli studiosi rinascimentali, all'ansiosa ricerca di legami pertinenti, trovarono un principio essenziale per la successiva cristallizzazione della Massoneria. Nel Timeo di Platone, appare la più antica identificazione conosciuta del Creatore con l'"Architetto dell'Universo". Il Creatore, nel Timeo, viene chiamato tekton, che significa 'artigiano' o 'costruttore'. Arche-tekton sta quindi a indicare un maestro artigiano o capomastro. Secondo Platone, l'arche-tekton costruisce il cosmo per mezzo della geometria.15 Come abbiamo visto, la raccolta di materiale "esoterico" proveniente da Costantinopoli giunse inizialmente in Italia. Anche molto del materiale proveniente dalla Spagna quarantanni dopo arrivò in Italia, ma molto prese la via dei
Paesi Bassi, i domini spagnoli delle Fiandre e dell'Olanda. Qui, generò un Rinascimento fiammingo parallelo a quello italiano. E all'inizio del Cinquecento i filoni nati in Italia e nei Paesi Bassi si unirono sotto il patrocinio delle case di Guisa e Lorena. Così, ad esempio, la prima edizione francese dell'originale Corpus hermeticum, pubblicata nel 1549, era dedicata a Carlo di Guisa, cardinale di Lorena, fratello di Maria di Guisa, moglie di Giacomo V di Scozia e madre di Maria regina di Scozia. Le case di Guisa e Lorena erano già imbevute di esoterismo. In verità, l'interesse di Cosimo de' Medici per il materiale esoterico bizantino era dovuto in gran parte all'incoraggiamento del suo dotto amico, Renato d'Angiò, duca di Lorena a metà del Quattrocento, che aveva soggiornato in Italia e aveva favorito il trapianto del pensiero rinascimentale italiano nei suoi domini. La semplice vicinanza geografica aveva fatto sì che anche il materiale proveniente dalle Fiandre giungesse in quei domini. Così, all'inizio del Cinquecento e malgrado il loro ostentato cattolicesimo, le famiglie dei Guisa e Lorena erano diventate assidue sostenitrici delle opere di esoterismo europeo. Da lì - tramite il matrimonio di Maria di Guisa con Giacomo V, tramite la Guardia scozzese e tramite famiglie come gli Stuart, i Seton, gli Hamilton, i Montgomery e i Sinclair - il materiale sarebbe stato riportato in Scozia. Qui, dove l'antico retaggio templare aveva preparato il terreno e le gilde di muratori "operativi" sotto il patrocinio dei Sinclair stavano sviluppando i loro misteri, avrebbe trovato terreno fertile. E qui troviamo
Maria di Guisa che scrive a proposito di sir William Sinclair: [...] ci impegnamo [...] con il detto sir William, ad essere per lui padroni leali e sinceri e a tenere segreto il consiglio e il segreto a noi rivelato.16
Il sapere nascosto in Francia e in Inghilterra Le famiglie dei Guisa e Lorena, come abbiamo visto, erano ambiziose e senza scrupoli. Non soltanto erano state sul punto di conquistare il trono francese, ma avevano anche posto gli occhi sul papato e lo avrebbero sicuramente ottenuto se i loro intrighi e i loro grossolani errori nella politica francese non avessero compromesso la loro credibilità e prosciugato le loro risorse. Per favorire le loro mire sul trono di san Pietro, si sforzarono di apparire come un bastione dell'Europa cattolica: i "difensori della fede" contro la Riforma e la marea crescente del protestantesimo in Germania, Svizzera e nei Paesi Bassi. Di conseguenza, adottarono e perseguirono pubblicamente una politica di fervente cattolicesimo, spesso di un'intensità che rasentava il fanatismo. Una manifestazione di questa politica fu la famosa Lega Santa, un'alleanza di principi e potentati cattolici tesa ad estirpare il protestantesimo dal continente. Agli estranei, la Lega Santa sembrò una testimonianza della pietà dei Guisa e Lorena. Per quelle famiglie, invece, era semplicemente
una questione di convenienza politica: la bozza di una struttura che aveva come fine ultimo quello di soppiantare o inglobare il Sacro Romano Impero. E, naturalmente, aveva poco senso assicurarsi il controllo del papato se questo era impotente. Perché ne valesse la pena, bisognava rafforzarlo e restaurare, nei limiti del possibile, la sua antica egemonia medievale. Sfortunatamente per i Guisa e i Lorena, la politica e l'immagine pubblica che favorivano i loro disegni nel continente erano controproducenti in Gran Bretagna. Sia l'Inghilterra che la Scozia erano ormai diventate protestanti. Per l'Inghilterra, in particolare, la principale minaccia si sarebbe ben presto incarnata nella Spagna cattolica, il cui sovrano, Filippo II, avrebbe sposato Maria Tudor quattro anni prima della sua morte nel 1558. Qualsiasi cosa anche solo vagamente "papista" era detestata in Inghilterra e la Lega Santa era vista come una minaccia per il protestantesimo non soltanto nel continente, ma anche nelle Isole Britanniche. In virtù del loro zelante appoggio alla Chiesa, Francesco di Guisa e la sua famiglia divennero orchi minacciosi agli occhi inglesi, superati soltanto dal sovrano spagnolo. Il pensiero esoterico fu accolto con entusiasmo in Inghilterra. Venne abbracciato da poeti come Sidney e Spenser, ad esempio, e figura in Arcadia e The Faerie Queene; venne abbracciato anche da Mariowe e da Francis Bacon. Ma nella misura in cui era legato ai grandi casati cattolici in continente, non poteva essere esposto apertamente in pubblico. Veniva spesso discusso in modo
indiretto, allegorico. La sua esistenza era in larga parte clandestina, limitata a piccole conventicole di studiosi, a circoli aristocratici chiusi e a quelle che ora chiamiamo "società segrete".17 Queste organizzazioni militavano spesso contro i "papisti" e si opponevano attivamente alle sfacciate ambizioni politiche e dinastiche dei Guisa e Lorena nel continente. Ma allo stesso tempo erano impregnate del materiale esoterico che era filtrato nuovamente in Scozia e vi aveva trovato un terreno così fertile. La carriera del filosofo scozzese Alexander Dickson è un esempio del modo in cui quel materiale veniva trasmesso, in mezzo al complicato intreccio di tendenze politiche del periodo.18 Nato nel 1558, Dickson si laureò a Saint Andrews nel 1577 e trascorse i sei anni successivi a Parigi. Al suo ritorno, pubblicò un libro dedicato al favorito della regina Elisabetta, Robert Dudley, conte di Leicester. Questo libro derivava in larga misura dalle prime opere dell'eminente "esoterista" italiano, Giordano Bruno, che sarebbe salito sul patibolo nel 1600 per aver sfidato Roma e che, prima di morire, designò Dickson come suo successore.19 Eppure nel 1583, malgrado il suo stretto legame con Bruno, che Roma considerava un "arcieretico", e pur frequentando circoli molto vicini al trono di Elisabetta, Dickson era a Parigi dove proclamava a gran voce il suo appoggio alla regina Maria di Scozia e bazzicava personaggi legati alla Lega Santa. E sebbene la sua amicizia con Sidney appaia abbastanza sincera, Dickson
era anche una spia e forniva all'ambasciatore francese documenti segreti inglesi, compresi alcuni redatti da Sidney. Nel 1590 era nelle Fiandre, impegnato in missioni clandestine per potentati cattolici. Nel 1596 correva voce che lavorasse con James Beaton, ambasciatore scozzese in Francia, e con Carlo di Guisa, duca di Mayenne, allora capo della Lega Santa. A questo gruppo era legato anche lord George Seton, il cui figlio Robert fu fatto conte di Winton nel 1600 e sposò Margaret Montgomery, un'unione che doveva condurre, lungo un ramo cadetto della famiglia, alla contea di Eglinton. Beaton, già arcivescovo di Glasgow, aveva cospirato con i Guisa e i Lorena almeno dal 1560. Nel 1582, mentre Dickson era ancora a Parigi, Beaton ed Enrico, duca di Guisa, stavano tramando d'invadere l'Inghilterra con un esercito fornito dalla Spagna e dal papato. La notte prima della sua esecuzione nel 1587, Maria regina di Scozia nominò Beaton ed Enrico di Guisa fra i suoi esecutori testamentari. Alexander Dickson simboleggia il modo in cui i legami esoterici e politici si erano intrecciati, lavorando a volte in tandem, a volte in senso diametralmente opposto. Tuttavia, Dickson era una figura relativamente minore in confronto al vero "arcimago" dell'Inghilterra dell'epoca, il dottor John Dee. Eppure anche Dee dovette destreggiarsi fra le fazioni in lotta, gli interessi cattolici e protestanti, l'aspirazione alla conoscenza esoterica e le più pressanti esigenze di Stato. E non ne uscì incolume come Dickson. Sebbene la sua fedeltà alla causa protestante non venisse mai messa in dubbio, come per Dickson, fu più volte sospettato,
rinchiuso una volta in carcere e costantemente vessato. Nato in Galles nel 1527, medico, filosofo, scienziato, astrologo, alchimista, esperto di cabala, matematico, emissario diplomatico e spia, Dee fu uno degli ingegni più brillanti del suo tempo, l'epitome del cosiddetto "uomo del Rinascimento". È opinione diffusa che Shakespeare lo abbia preso a modello per Prospero nella Tempesta e la sua influenza, sia durante la vita che dopo, fu enorme. Fu Dee a raccogliere i diversi filoni esoterici e sintetizzarli in una maniera che aprì la strada ai successivi sviluppi. Fu grazie a Dee e alla sua opera che l'Inghilterra, durante il Seicento, divenne un importante centro di studi esoterici. E fu Dee che, di fatto, preparò la scena per la comparsa della Massoneria. Poco più che ventenne, Dee insegnava già i princìpi della geometria nelle università del Continente: ad esempio, a Lovanio e a Parigi. Durante il periodo critico dei complotti e controcomplotti dei Guisa e Lorena, girava liberamente per il continente, creandosi una reputazione in tutti gli ambienti. Nel 1585-86 era a Praga, divenuta il nuovo centro di studi esoterici sotto il sacro romano imperatore Rodolfo II, che aveva fama di liberale, pacifista ed "eccentrico". Protetto dall'imperatore, tornò in patria con materiale che avrebbe permesso all'Inghilterra di soppiantare Praga sotto quell'aspetto. Fra i suoi discepoli più importanti vi sarebbero stati Inigo Jones e Robert Fludd, che da giovane insegnò matematica e geometria all'allora duca di Guisa e a suo fratello. Dee contribuì attivamente a diffondere i princìpi di
architettura e matematica di Vitruvio. Tuttavia, nel 1570, quindici anni prima del suo viaggio a Praga, pubblicò una prefazione a una traduzione inglese di Euclide. In questa prefazione, esaltava la «supremazia dell'architettura fra le scienze matematiche».20 Parlava di Cristo come del «nostro Capomastro Celeste».21 Imitando Vitruvio, dipingeva l'architetto come una specie di mago: Io credo che nessuno possa giustamente considerarsi Architetto, tutto ad un tratto. Ma soltanto coloro che, dagli anni dell'infanzia, elevandosi attraverso questi gradi di conoscenza e migliorandosi con l'apprendimento di molte lingue ed Arti, sono giunti al sommo Tabernacolo dell'Architettura...22
E in un brano di vitale importanza per la futura Massoneria, invocava Platone: E il nome Architettura indica la supremazia di questa Scienza su tutte le altre Arti. E Platone afferma che l'Architetto dev'essere il Maestro superiore a tutti coloro che lavorano [...].23
Durante quasi tutta la vita di Dee, il pensiero esoterico in Inghilterra, come abbiamo visto, era rimasto clandestino o aveva trovato spazio soltanto in certi circoli rarefatti. In Scozia, aveva prosperato; ma a causa di Maria di Guisa e della regina Maria di Scozia, tutto ciò che era scozzese veniva guardato con sospetto dagli inglesi. Di conseguenza, Dee e gli altri sostenitori inglesi dell'esoterismo non poterono creare il legame decisivo con i suoi sviluppi in Scozia.
Ma, all'inizio del Seicento, la situazione era radicalmente cambiata. Nel 1588 l'Armada di Filippo II era stata definitivamente sconfitta e la Spagna rappresentava sempre meno una minaccia per la sicurezza inglese. La possibilità che i Guisa e Lorena s'insediassero in Gran Bretagna era molto diminuita con l'esecuzione di Maria Stuarda. E l'assassinio, un anno dopo, del giovane duca di Guisa e di suo fratello aveva praticamente estirpato il cuore della famiglia, ponendo fine alle sue ambizioni dinastiche e politiche. Nel Seicento era una forza ormai esaurita e anche la Lega Santa stava crollando. Inoltre, il pensiero esoterico non era più legato esclusivamente alle famiglie dei Guisa e Lorena e, quanto a quello, nemmeno agli interessi cattolici. Uno dei suoi nuovi patroni più importanti era, come abbiamo visto, il sacro romano imperatore Rodolfo II, che dichiarava di non essere né cattolico né protestante, ma cristiano;24 non perseguitò mai i protestanti, si allontanò sempre più dal papato e, sul letto di morte, rifiutò di ricevere gli ultimi sacramenti. Nel Seicento, in effetti, il pensiero esoterico era ormai in pieno rigoglio nei principati protestanti senza doversi più nascondere. In Olanda, nel Palatinato, nei regni di Württemburg e Boemia, sarebbe stato usato ben presto come strumento di propaganda contro Roma. Così purgato di ogni contaminazione dei Guisa e Lorena, potè tranquillamente affiorare in Inghilterra. Per di più, nel 1603, quando le famiglie dei Guisa e Lorena non furono più in grado di sfruttare la situazione,
Giacomo VI di Scozia un sovrano Stuart con sangue dei Guisa-Lorena nelle vene - divenne Giacomo I d'Inghilterra. A questo punto, nel momento in cui tutte le componenti storiche vanno al loro posto, noi posteri possiamo quasi udire un "clic". Con l'unione d'Inghilterra e Scozia sotto un unico sovrano, le famiglie nobili scozzesi cominciarono ad avere un ruolo negli affari inglesi e due di loro - gli Hamilton e i Montgomery - attraversarono il mare d'Irlanda per fondare la colonia dell'Ulster. Tramite queste famiglie, qualcosa dell'antica mistica templare e quella della Guardia scozzese cominciarono a filtrare in Inghilterra e in Irlanda. E non bisogna dimenticare che il nuovo re era un patrono e forse un membro delle gilde di muratori "operativi". Portò con sé dal Nord le loro tradizioni, come pure il retaggio esoterico dei suoi antenati Guisa-Lorena. Tutti questi elementi, uniti all'opera di John Dee e dei suoi discepoli, si sarebbero fusi nella Massoneria filosofica o "speculativa", come viene chiamata. Ormai erano tutti non solo rispettabili e legittimi, ma anche legati al trono. Infatti, la vecchia spada templare e la cazzuola del capo-mastro sarebbero stati aggiunti allo stemma degli Stuart. Vi sarebbe stata un'altra corrente di influenze prima che la Massoneria si cristallizzasse nella sua forma moderna. Nel continente, come abbiamo notato, l'insegnamento esoterico veniva ora promosso dai principi protestanti, specialmente in Germania, e veniva usato come strumento di propaganda contro i duplici bastioni del cattolicesimo: il papato e il Sacro Romano Impero. Ormai cominciava a chiamarsi "rosacrocismo" e Frances Yates ha denominato
questa fase della sua diffusione «l'Illuminismo rosacrociano».25 Cominciavano ad apparire opuscoli anonimi che magnificavano un "Collegio invisibile" ovvero una confraternita clandestina derivata presumibilmente da un mitico fondatore, Christian Rosenkreuz. Questi opuscoli attaccavano violentemente il nuovo sacro romano imperatore e il papa; esaltavano la gamma di insegnamenti "esoterici"; predicevano l'imminente avvento di una nuova Età dell'oro, in cui tutte le istituzioni sociali e politiche sarebbero state rigenerate e sarebbe iniziata un'epoca di utopistica armonia, libera dalla tirannia secolare e spirituale del passato. In Inghilterra, il principale esponente del pensiero rosacrociano era il discepolo di John Dee, Robert Fludd, che faceva parte, insieme a Francis Bacon, del conclave di studiosi incaricato da re Giacomo di tradurre la Bibbia in inglese. Ma, anche se Fludd può averle appoggiate, le idee rosacrociane non nascevano certamente da lui né risulta che abbia mai partecipato alla stesura degli anonimi Manifesti rosacrociani. Ora si pensa che quei manifesti siano stati compilati, in parte se non per intero, da uno scrittore tedesco del Württemburg, Johann Valentin Andrea.26 E si pensa anche che siano stati legati prevalentemente alla corte di Federico, elettore del Palatinato, a Heidelberg. Nel 1613 Federico sposò Elisabetta Stuart, figlia di Giacomo I d'Inghilterra. Quattro anni dopo, i nobili del regno di Boemia offrirono a Federico la corona del loro paese
che egli accettò, scatenando la guerra dei Trentanni, il conflitto più aspro e cruento mai combattuto sul suolo europeo prima del XX secolo. Nei primi anni di guerra, quasi tutta la Germania venne occupata dagli eserciti cattolici e il protestantesimo tedesco rischiò l'estinzione. Migliaia di profughi - fra cui i filosofi, gli scienziati e gli esoteristi che incarnavano l'"Illuminismo rosacrociano" fuggirono nelle Fiandre e in Olanda e da lì si misero al sicuro in Inghilterra. Per facilitare la loro fuga, Johann Valentin Andrea e i suoi colleghi in Germania crearono le cosiddette "Unioni cristiane".27 Queste Unioni, che costituivano una specie di sistema di logge, erano intese a serbare intatto il corpo della dottrina rosacrociana organizzando i suoi promulgatori in cellule e trasportandoli segretamente in salvo all'estero. Così, dal 1620 in poi, i profughi tedeschi cominciarono ad arrivare in Inghilterra portando con loro sia le idee rosacrociane che la struttura organizzativa delle Unioni cristiane. Al tempo di Giacomo I, come abbiamo visto, era già stato istituito all'interno delle gilde dei muratori "operativi" un sistema di logge che aveva cominciato a proliferare in tutta la Scozia. Alla fine della guerra dei Trent'anni, era filtrato in Inghilterra un sistema che nella sua struttura generale sembrava coincidere felicemente con quello delle Unioni cristiane di Andrea e che si dimostrò più che pronto ad accogliere l'afflusso di pensiero rosacrociano. I profughi tedeschi trovarono così una casa spirituale nella Massoneria inglese; e il loro apporto di idee rosacrociane fu l'ultimo ingrediente necessario per far emergere la
moderna Frammassoneria "speculativa". Negli anni che seguirono, gli sviluppi procedettero su due fronti. Il sistema di logge si consolidò e si diffuse ulteriormente, di modo che la Massoneria divenne un'istituzione stabile e riconosciuta. Al tempo stesso, alcuni dei suoi membri più attivi formarono una versione inglese del Collegio invisibile dei rosacrociani: un conclave di scienziati, filosofi ed "esoteristi" all'avanguardia delle idee progressiste.28 Durante la guerra civile inglese e il Protettorato di Cromwell, il Collegio invisibile - che ora includeva luminari come Robert Boyle e John Locke rimase tale. Tuttavia, nel 1660, con la restaurazione della monarchia, esso divenne la Royal Society sotto il patrocinio degli Stuart. Per i ventotto anni successivi, il Rosacrocismo, la Massoneria e la Royal Society non soltanto si sarebbero sovrapposti, ma sarebbero stati praticamente indistinguibili fra loro.
1 Tutte le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia, trad. da Giovanni Diodati, Roma, Deposito di Sacre Scritture, 1992. 2 Il Cantico dei Cantici (Il Canto di Salomone), IV: 8. 3 I rituali, le parole d'ordine, le strette, i segni e altri aspetti della pratica massonica sono indicati in almeno tre libri, due attualmente (1988) in stampa: Carlile, Manual of Freemasonry; Hannah, Darkness Visible; Dewar, The Unlocked Secret. Carlile è il primo in ordine di tempo ed apparentemente è stato la fonte principale per le due opere successive. 4 II Manoscritto Cooke. Cfr. Gould, The History of Freemasonry, vol. I, p. 84.
5 II Manoscritto n. 1 della Grande Loggia, riprodotto in Sadler, Masonic Facts & Fictions, pp. 199-208. Nel manoscritto si dice che l'architetto era il figlio di Hiram, re di Tiro. Viene chiamato Aynone, che è considerata una errata traduzione dell'ebraico Adonai e indica che il nome si riferiva ad Adoniram, con cui Hiram Abiff veniva spesso confuso. 6 Brani scelti pubblicati in inglese come Journey to the Orient, 1972. La storia dell'omicidio di Hiram (chiamato Adoniram da Nerval) è intitolata Makbenash alle pp. 204-209. 7 Vitruvio, De architectura, IV. c. IX. 8 Ivi, I. c. 1:3. 9 Ivi, III. c. I:9. 10 James, Chartres, p. 49. 11 Ivi, p. 111. 12 Rassegna libraria, in «New York Times», aprile 1974. 13 Aitken, I Cavalieri Templari in Scozia, p. 20. In Scozia le attività commerciali dei Templari erano arrivate al punto di minacciare il benessere dei membri della gilda dei mercanti. Venne approvata una legge la quale stabiliva che «nessun Templare doveva intromettersi nella compra-vendita di merci appartenenti alla gilda a meno che non fosse membro della gilda stessa». Siccome i Templari non ridussero le loro attività commerciali, ne consegue che alcuni dovettero entrare a far parte delle gilde interessate. 14 II miglior resoconto degli eventi e dello sfondo ermetico dell'arte rinascimentale si trova in Frances Yates, Giordano Bruno and the Hermetic Tradition, pubblicato a Londra nel 1964 e più volte ristampato. L'autrice spiega, ad esempio, che i maestri del Rinascimento stavano «tentando d'influenzare "il mondo" con gradevoli composizioni d'immagini celestiali, in modo da attirare gli influssi benefici ed escludere quelli nocivi» (edizione 1978, p. 75) e che molti esempi di arte rinascimentale costruiti per questi scopi eminentemente pratici erano «complicati talismani»: «... la Primavera di Botticelli è sicuramente un oggetto del genere, disegnato con quel preciso scopo» (edizione 1978, p. 77). 15 Platone, Timaeus, p. 179.
16 Lettera datata 3 giugno 1546. Vedi Hay, op. cit., p. 134. 17 Parecchie opere di Frances Yates riguardano questo periodo, in particolare The Occult Philosophy in the Elizabethan Age, The Art of Memory, Astraea e Giordano Bruno and the Hermetic Tradition. 18 Vedi Durkan, Alexander Dickson and S.T.C. 6823, e Yates, The Art of Memory, pp. 260-78. 19 Yates, The Art of Memory, p. 274. Dickson era uno dei più assidui divulgatori di Bruno. Quando questi si recò in Inghilterra nel 1584, incontrò due dei più intimi amici di Dickson: Fulke Greville, lord Brooke, e sir Philip Sidney. Dickson era quasi certamente presente. 20 Yates, Theatre of the World, p. XI. 21 Ivi, p. 192. 22 Ivi, p. 194. 23 Ivi, p. 196. 24 Evans, Rudolf II and His World, p. 84. 25 La migliore esplorazione di questo periodo è ancora una volta quella compiuta da Frances Yates, con questa frase come titolo: L'Illuminismo rosacrociano 26 Ivi, p. 58. 27 Ivi, pp. 179-96. 28 Ivi, p. 224.
Parte III Le origini della Massoneria
10 I primi massoni
Nella sua forma attuale la Massoneria ha inizio precisamente nel XVII secolo. In verità, è un prodotto esclusivo delle circostanze e del pensiero dell'epoca, una sintesi delle multiformi idee e percezioni suscitate dalle convulsioni religiose, filosofiche, scientifiche, culturali, sociali e politiche nel mondo occidentale. Il Seicento fu un periodo di mutamenti cataclismici e fu in risposta a questi mutamenti che la Massoneria si cristallizzò. Era una sorta di adesivo, un collante che doveva servire a tenere insieme, i diversi elementi e componenti di un mondo, di una visione del mondo che si stava frantumando e che la Chiesa cattolica non era più in grado di unificare. È al Seicento che la stessa Massoneria fa risalire generalmente le proprie origini, o almeno la prima comparsa della struttura che è filtrata fino a noi. Perciò, gli scrittori e gli storici massonici hanno scavato a fondo nelle vicende del XVII secolo nel tentativo di seguire la graduale
diffusione della rete di logge, di delineare il processo per cui certi riti ne generarono altri e varie illustri personalità vennero coinvolte. Noi dovremo necessariamente attingere allo stesso materiale, seppure in modo superficiale. Tuttavia, questo libro non si propone di compilare un simile catalogo. Non desideriamo sovrapporci a quello che si può trovare facilmente nelle lunghe e dettagliate storie della Massoneria e che è abbastanza interessante per chi è massone, ma irrilevante per chi non lo è. Il nostro scopo dev'essere quello di tentare una specie di "visione d'insieme": individuare la "molla principale", lo spirito e l'energia che animavano la Massoneria e il modo in cui pervasero e, a nostro avviso, finirono per trasformare la società inglese. Come abbiamo visto, la Massoneria, negli anni precedenti alla guerra civile inglese e al Protettorato di Cromwell, stabilì stretti legami con il Rosacrocismo. Abbiamo già citato (p. 130) alcuni versi di una poesia composta nel 1638 da Henry Adamson di Perth. Se si deve giudicare in base alla qualità artistica, Adamson poteva benissimo essere una preincarnazione di William McGonagall, noto maestro d'incultura. Stranamente, anche la poesia di Adamson riguarda il crollo di un ponte sul Tay. Vale la pena di citarla più dettagliatamente qui: Ora per l'appunto vediamo il ponte di Tay O felice vista davvero, era quel giorno; Un ponte così maestoso, con undici grandi archi, Che unisce il sud e il nord, e comune cammino è Verso entrambi, un ponte di pietra squadrata...
... e nell'anno settantatré Il primo crollo questo ponte qui subì, Per la rovina di tre archi vicino alla città Tuttavia furono ricostruiti. Poi vennero abbattuti Cinque archi nell'anno ottantadue... Prendo quindi coraggio, e spero di vedere Ancora costruito un ponte, benché io sia vecchio, Più maestoso, saldo, più sontuoso e più bello, Di qualsiasi paragone del passato: Così Gall mi ha assicurato che sarà, E il mio buon Genio ben lo sa; Poiché quel che prevediamo non è stolto, Poiché siamo fratelli della Rosa Croce; Abbiamo la parola massonica e la chiaroveggenza, Le cose avvenire possiamo predire esattamente; E mostreremo quale mistero abbiamo in niente, In bell'acrostico CAROLUS REX, è visto...1
Quindi, nel 1638 Adamson e altri sedicenti «fratelli della Rosa Croce» non esitavano ad arrogarsi «la parola massonica e la chiaroveggenza» e non risulta che alcun massone abbia mai trovato qualcosa da obiettare. Vale anche la pena di notare incidentalmente il rango attribuito dalla poesia a Carlo I. Mentre la guerra dei Trentanni scuoteva l'Europa e la vittoria cattolica minacciava di estinzione il protestantesimo continentale, la Gran Bretagna in generale e la monarchia Stuart in particolare apparivano sempre più come un bastione, un baluardo, un rifugio. Scacciato dalla
sua sede di Heidelberg, Federico, elettore del Palatinato, e sua moglie Elisabetta, figlia di Giacomo I, trovarono asilo all'Aia, dove installarono una nuova corte rosacrociana in esilio. I profughi tedeschi vi affluirono in massa e vennero smistati in Inghilterra, dove prima il padre e poi il fratello della loro protettrice Stuart apparentemente regnavano sicuri, protetti dal canale della Manica. Poi scoppiò la guerra civile in Inghilterra, il Parlamento si schierò contro la monarchia, un re venne giustiziato e venne instaurato l'austero Protettorato di Cromwell. Sebbene non fosse orribile come la guerra dei Trent'anni nel continente, il conflitto inglese (che può essere considerato una specie di derivato o tributario di quella guerra) fu sicuramente abbastanza traumatico. Anche se l'Inghilterra non rischiò di trovarsi nuovamente sotto l'egemonia cattolica, fu assoggettata a un'altra forma di controllo religioso, forse ancora più fanatico, certamente più intollerante, rigido e austero. In opere come il Paradiso perduto, Milton potè far passare un velato neoplatonismo (anche se entrò ripetutamente in conflitto con il regime). Ma nel clima del Protettorato, la Massoneria, con la sua vasta gamma d'interessi religiosi, filosofici e scientifici eterodossi, mantenne prudentemente un basso profilo. E il Collegio invisibile rimase tale. In seguito i massoni hanno sottolineato costantemente l'assenza di qualsiasi interesse o legame politico da parte dei loro predecessori. Continuano a ripetere che la Massoneria è stata apolitica fin dall'inizio. Noi sosteniamo, invece, che questa posizione è venuta in un secondo
tempo e che la Massoneria del XVII secolo - e di gran parte del XVIII - era politicamente impegnata. Affondava le sue radici in famiglie e gilde legate da un vincolo di antica fedeltà agli Stuart e alla monarchia Stuart. Era discesa dalla Scozia fino in Inghilterra sotto gli auspici di Giacomo I, un re scozzese che era egli stesso un massone. I vecchi Statuti Sinclair riconoscono esplicitamente il patronato e la protezione della Corona. E in un manoscritto della metà del Seicento, si richiede ai massoni: [...] di essere uomini fedeli al Re senza alcun tradimento o falsità e di non venire a conoscenza di alcun tradimento o falsità senza porvi riparo oppure darne notizia al Re.2
In virtù di questa ingiunzione, i massoni erano legati da un vincolo di fedeltà alla monarchia. L'assenza di clamorose dichiarazioni pro-Stuart durante i primi tre quarti del XVII secolo non può essere considerata una prova di apatia, indifferenza o neutralità politica da parte della Massoneria. Prima della guerra civile, non vi sarebbe stato bisogno di simili dichiarazioni: gli Stuart sembravano i legittimi detentori del trono d'Inghilterra e la lealtà verso la dinastia era troppo evidente, troppo scontata per richiedere un'esplicita dichiarazione. Durante il Protettorato, d'altro canto, qualsiasi dichiarazione formale di fedeltà agli Stuart sarebbe stata estremamente pericolosa. Particolari individui potevano, naturalmente, professare la loro adesione alla monarchia, purché non sfidassero l'autorità
del Parlamento o il regime di Cromwell; ma appare poco probabile che Cromwell avrebbe consentito a una rete semisegreta di logge di diffondere vedute politiche a lui contrarie. La Massoneria era già sospetta in virtù del suo atteggiamento rilassato, tollerante ed eclettico che contrastava con l'austero puritanesimo del governo. Dichiarare fedeltà agli Stuart equivaleva a un suicidio politico e i singoli massoni avrebbero attirato su di loro l'attenzione dei famigerati generali-cacciatori di streghe. Di conseguenza, la Massoneria, nella misura in cui la si può rintracciare durante il Protettorato, si mantenne accuratamente, persino strenuamente, nel vago. In breve, quindi, la Massoneria, durante la guerra civile e il Protettorato, non rinnegò mai la sua adesione alla monarchia Stuart. Si limitò a rimanere prudentemente in silenzio, ma dietro questo silenzio gli antichi vincoli rimasero intatti e ben saldi. E non è certo per coincidenza che nel 1660, con la restaurazione degli Stuart e l'ascesa al trono di Carlo II, la Massoneria - sia direttamente che attraverso la Royal Society - ebbe ciò che le spettava. Ma sebbene rimanessero fedeli alla monarchia Stuart, i massoni erano pur sempre capaci di protestare - con la forza delle armi se necessario - contro gli abusi degli Stuart stessi. Nel 1629 Carlo I aveva sciolto il Parlamento. Nel 1638, irritati dalle conseguenze dell'azione autocratica del re, i principali nobili, ministri e borghesi di Scozia redassero quello che chiamarono il National Covenant, che protestava contro il dominio arbitrario del monarca e riaffermava le prerogative legislative del Parlamento. I
firmatari s'impegnarono a difendersi a vicenda e cominciarono a radunare un esercito. Il conte di Rothes occupava un posto di particolare rilievo fra i cosiddetti covenanters. In un'annotazione nel suo diario, datata 13 ottobre 1637, troviamo il primo riferimento conosciuto alla «parola massonica».3 Nell'agosto 1639, un Parlamento controllato dai covenanters si riunì a Edimburgo. Contrariato da questo atto di sfida, Carlo mobilitò il suo esercito e si preparò ad avanzare contro la Scozia. Prima che potesse farlo, tuttavia, l'esercito scozzese al comando del conte di Montrose, mosse a sud, sconfìsse il contingente inglese e, nell'agosto 1640, occupò Newcastle. Venne conclusa una tregua, ma gli scozzesi rimasero a Newcastle fino al giugno 1641, quando venne firmata ufficialmente la pace.4 Sullo sfondo degli eventi del 1641, mentre l'esercito dei covenanters occupava Newcastle, accadde quella che gli stessi massoni considerano una pietra miliare nella loro storia: la prima iniziazione documentata sul suolo inglese. Il 20 maggio 1641, sir Robert Moray - il Molto Onorevole Signor Robert Moray, Quartiermastro Generale dell'esercito di Scozia - venne ammesso, a o nei pressi di Newcastle, nell'antica Mary's Chapel Lodge di Edimburgo.5 Il fatto che Moray venisse introdotto nella loggia indica, naturalmente, che la loggia stessa, anzi un qualche sistema di logge, esisteva già ed era pienamente operativo. Come abbiamo visto, le cose stavano effettivamente così da qualche tempo. Il generale
Alexander Hamilton, che era presente all'iniziazione di Moray, era stato a sua volta ammesso l'anno prima. 6 Nondimeno, Moray viene spesso considerato dai successivi commentatori come «il primo massone a pieno titolo». Ma, comunque, era certamente abbastanza importante da meritare l'attenzione degli studiosi e trarre la Massoneria fuori dall'ombra per metterla sempre più in luce. Sebbene non si conosca la data esatta, Moray nacque all'inizio del Seicento da una nota famiglia del Perthshire e morì nel 1673. Da giovane, prestò servizio militare in Francia presso un'unità scozzese - presumibilmente la Guardia scozzese resuscitata nel frattempo - e arrivò al grado di tenente colonnello. Nel 1643, un anno e mezzo dopo la sua iniziazione massonica, fu creato cavaliere da Carlo I, poi tornò in Francia e riprese la carriera militare, diventando colonnello nel 1645. Lo stesso anno, fu inviato segretamente a negoziare un trattato tra la Francia e la Scozia secondo il quale Carlo, deposto nel 1642, sarebbe stato rimesso sul trono. Nel 1646 fu implicato in un altro complotto per sottrarre il re alla custodia del Parlamento. Intorno al 1647 sposò Sophia, figlia di David Lindsay, lord Balcarres. Come i Sinclair, i Seton e i Montgomery, a cui erano legati, i Lindsay erano da lungo tempo fra le nobili famiglie scozzesi imbevute di tradizione "esoterica". Lo stesso lord Balcarres era noto come un ermetista e un alchimista praticante. Sua moglie era la figlia di Alexander Seton del ramo Seton-Montgomery della famiglia, che avrebbe poi avuto un ruolo chiave nella Massoneria. Fu in
questa cerchia che Moray entrò grazie al suo matrimonio, anche se è bene notare che la sua ammissione nella Massoneria precedette il suo matrimonio di circa sei anni. Dopo l'esecuzione di Carlo I, Moray riprese la sua carriera militare e politica in Francia. Era un intimo confidente del futuro Carlo II e occupò numerose cariche ufficiali sotto l'aspirante sovrano in esilio. Nel 1654 era con Carlo a Parigi, insieme a suo cognato, Alexander Lindsay, che aveva ereditato il titolo di lord Balcarres. Poi, fra il 1657 e il 1660, era in esilio a Maastricht dove dedicava la maggior parte del suo tempo alle «ricerche chimiche», come scrisse egli stesso. Poco dopo la Restaurazione, il fratello di Moray, sir William Moray di Dreghorn, divenne Maestro delle Opere ossia Maestro dei muratori "operativi" - alle dipendenze del re da poco reinsediato. Lo stesso Moray tornò a Londra e occupò varie cariche giudiziarie, sebbene non facesse parte della magistratura. Nel 1661 divenne Cancelliere dello Scacchiere per la Scozia e nel 1663 fu nominato Vice-Segretario. Per i sette anni successivi, lui, il re e il duca di Lauderdale avrebbero effettivamente governato la Scozia da soli, sebbene Moray mantenesse stretti rapporti anche con il ramo scozzese della famiglia Hamilton. Rimase, fino alla morte, uno dei più intimi consiglieri del re. «Carlo aveva grande fiducia in lui e i suoi consigli erano sempre improntati alla prudenza e alla moderazione».7 Il re si recava spesso a trovarlo in privato nel suo laboratorio a Whitehall e lo definiva il «capo della
sua chiesa».8 Fra i suoi amici dell'epoca, che parlavano tutti di lui in termini entusiastici, erano Evelyn, Huygens e Pepys. Secondo il Dizionario Biografico Nazionale, «il disinteresse e l'elevatezza dei suoi scopi erano universalmente riconosciuti. Era privo di ambizione; anzi "non era portato per gli impieghi pubblici", come soleva dire lui stesso».9 Secondo un altro contemporaneo, Moray era «un chimico rinomato, un grande patrono dei rosacrociani e un eccellente matematico».10 È soprattutto in questa veste che sarebbe passato ai posteri. Giacché non era soltanto uno dei fondatori della Royal Society, ma anche il suo spirito guida e, come dice Huygens, la sua «anima».11 Per usare le parole di Frances Yates, «Moray si adoperò probabilmente più di chiunque altro per promuovere la fondazione della Royal Society e persuadere Carlo II a patrocinarne l'istituzione...».12 Per tutta la vita, Moray avrebbe considerato la Royal Society forse il suo più grande successo e avrebbe «vegliato assiduamente sui suoi interessi». Dato il fatto che così pochi documenti della Massoneria seicentesca sono giunti fino a noi, possiamo dedurre i suoi interessi, le sue attività e il suo orientamento unicamente dagli illustri personaggi ad essa legati. Moray fornisce appunto un metro di valutazione. Sembrerebbe un tipico rappresentante della Massoneria del XVII secolo. Se lo è davvero, la Massoneria dell'epoca può essere definita una fusione di tradizioni filtrate attraverso la Guardia scozzese
e le famiglie nobili scozzesi come i Lindsay e i Seton; di "chimica" o "alchimia" e "rosacrocismo" filtrati oltremanica dal continente; e della gamma d'interessi scientifici e filosofici che prevalevano nel Collegio invisibile e successivamente nella Royal Society. Si potrebbe, naturalmente, sostenere che Moray era un'eccezione, un individuo estremamente eclettico e peculiare e non un tipico rappresentante della Massoneria. Ma gli annali massonici dell'epoca citano un'altra figura eminente, che mostra esattamente la stessa gamma d'interessi, influenze e preoccupazioni di Moray. Questa figura, forse oggi nota principalmente per il museo che porta il suo nome, era Elias Ashmole. Ashmole nacque a Lichfield nel 1617. Durante la guerra civile, si schierò con i realisti, poi, nel 1644, si ritirò nella sua città natale, dove il deposto Carlo I lo aveva nominato commissario alle imposte. I suoi doveri d'ufficio lo portavano frequentemente a Oxford. Qui, venne a trovarsi sotto l'influenza del capitano (poi sir) George Wharton, che gli instillò una grande passione per l'alchimia e l'astrologia durata tutta la vita. Nel 1646 Ashmole frequentava i circoli astrologici londinesi, ma manteneva stretti rapporti con il Collegio invisibile che cominciò a riunirsi a Oxford nel 1648 e a quell'epoca comprendeva Robert Boyle, Christopher Wren e il dottor John Wilkins (un altro membro fondatore della Royal Society).13 Ashmole aveva in suo possesso almeno cinque manoscritti originali di John Dee, fra cui un trattato di alchimia di cui curò la pubblicazione nel 1650, sotto lo
pseudonimo anagrammatico di James Hasolle. Seguirono altre opere ermetiche e alchemiche che influenzarono Boyle e più tardi Newton, mentre Ashmole stesso divenne un ben noto frequentatore dei circoli rosacrociani. Nel 1656 fu pubblicata una traduzione inglese di un importante testo «rosacrociano» tedesco con la dedica: «A... l'unico Filosofo dei nostri tempi:... Elias Ashmole».14 Carlo II nutriva un profondo interesse per l'alchimia e l'opera di Ashmole sull'argomento lo aveva molto colpito. Come primo provvedimento appena insediato sul trono, il nuovo re nominò Ashmole Araldo di Windsor. Il suo favore a corte aumentò costantemente e gli vennero conferiti molti altri incarichi. E ben presto ricevette anche riconoscimenti internazionali. Dal 1655 lavorava alla sua grande opera, una storia dell'Ordine della Giarrettiera e, per inciso, di tutte le altre istituzioni cavalleresche occidentali. Quest'opera, tuttora considerata come il massimo testo nel suo campo, fu pubblicata nel 1672 e ricevette immenso plauso non soltanto in Inghilterra ma anche all'estero. Nel 1677 Ashmole donò all'Università di Oxford la collezione di antichità che aveva ereditata da un amico e poi ampliata. Oxford, in cambio, era obbligata ad ospitare la collezione che, secondo una fonte contemporanea, riempì dodici carri. Oggetto di lodi e di panegirici smodati, acclamato come uno dei saggi del suo tempo, Ashmole morì nel 1692. Era stato iniziato come massone nel 1646, cinque anni dopo Moray. L'evento è annotato nel suo diario:
1646. Ott. 16. 4h30' p.m. Sono stato fatto massone a Warrington in Lancashire con il Col. Henry Mainwaring di Karincham in Cheshire. I nomi di coloro che allora appartenevano alla Loggia, Mr. Rich. Penket, Mr. James Collier, Mr. Rich. Sankey, Henry Littler, John Ellam, Rich. Ellam e Hugh Brewer.15
Trentasei anni dopo, nel 1682, Ashmole annota sul diario un'altra riunione, questa volta a Londra, nella Masons' Hall, e la lista degli intervenuti comprende parecchi eminenti gentiluomini della City. 16 Il diario di Ashmole attesta quindi varie cose: la sua costante adesione alla Massoneria per oltre trentasei anni, la diffusione della Massoneria in tutta l'Inghilterra e il calibro delle persone ad essa affiliate dal 1680 in poi. Frances Yates nota come un punto importante che «le prime due persone di cui sappiamo per certo che appartenevano a logge massoniche erano entrambe membri fondatori della Royal Society».17 Insieme a Moray, Ashmole era effettivamente uno dei fondatori della Royal Society. Durante tutta la guerra civile e il Protettorato di Cromwell, era stato, al pari di Moray, un fervente realista, tutto dedito alla restaurazione della monarchia Stuart. E molto più apertamente di Moray, Ashmole manifestava un vivo interesse per la cavalleria e gli ordini cavallereschi. Nella sua storia della Giarrettiera, rivolse la sua attenzione ai Templari e fu il primo scrittore conosciuto dopo la soppressione dell'Ordine a parlarne con favore. È attraverso Ashmole - noto studioso di antichità, esperto di
storia cavalleresca, eminente massone, membro fondatore della Royal Society - che si può comprendere quale doveva essere l'atteggiamento prevalente nel pensiero massonico e "rosacrociano" del Seicento riguardo ai Templari. Anzi, è con Ashmole che ha effettivamente inizio la loro "riabilitazione", almeno per quanto riguarda il grande pubblico. Ma Ashmole non era solo. Nel 1533, il mago, filosofo e alchimista tedesco Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim pubblicò per la prima volta la sua famosa opera, De occulta philosophia. Quest'opera è una delle pietre miliari della letteratura "esoterica" e consolidò la fama di Agrippa come il massimo "mago" del suo tempo: il vero modello per il personaggio di Faust nella tragedia di Marlowe e nel poema drammatico di Goethe, più di un Georg o Johann Faustus realmente esistito. Nell'originale latino della sua opera, Agrippa menziona di sfuggita i Templari. I suoi commenti rispecchiano quella che, in assenza di prove o tradizioni contrarie in Germania a quell'epoca, era l'opinione prevalente sulla «detestabile eresia dei Templari».18 Nel 1651 fu pubblicata la prima traduzione inglese dell'opera di Agrippa. Conteneva una breve dedica elogiativa in versi dell'alchimista e «filosofo naturalista» Thomas Vaughan - amico e discepolo, come vedremo, di Moray - e venne messa in vendita in una libreria nel recinto di Saint Paul. Nell'originale latino, il riferimento di Agrippa ai Templari consisteva di poche parole in un testo di oltre 500 pagine. Eppure l'anonimo traduttore inglese ne fu
offeso o imbarazzato abbastanza per cambiarlo. L'edizione inglese accenna, quindi, alla «detestabile eresia» non dei Templari, ma di «vecchi uomini di chiesa».19 Perciò è chiaro che nel 1651, due anni dopo la morte di Carlo I, la "riabilitazione" dei Templari era già in atto. In Inghilterra esistevano certi interessi, rispecchiati dal traduttore dell'opera di Agrippa e presumibilmente dai suoi futuri lettori, che non erano disposti a vedere diffamati i Templari, neppure di sfuggita, neppure da un augusto personaggio come l'arcimago di Nettesheim.
La Restaurazione degli Stuart e la Massoneria Se Moray era lo spirito guida e l'"anima" della Royal Society, il dottor John Wilkins era la sua forza motrice e la sua mente organizzativa. Wilkins era strettamente legato alla corte rosacrociana di Federico, elettore Palatino, e di Elizabeth Stuart. Successivamente, prestò servizio come cappellano addetto al loro figlio che fu mandato a scuola in Inghilterra. Alla fine, Wilkins divenne vescovo di Chester. Nel 1648, pubblicò la sua opera più importante, Mathematicall Magick (Magia matematica), che si rifaceva ampiamente all'opera di Robert Fludd e John Dee e li elogiava entrambi nella prefazione. In quello stesso anno, a Oxford, Wilkins cominciò a convocare le assemblee a cui la Royal Society fa risalire ufficialmente le proprie origini. Come abbiamo visto, fu appunto lì che
Ashmole fece la conoscenza di questo gruppo. Le riunioni a Oxford continuarono per undici anni, fino al 1659, dopo di che furono trasferite a Londra. All'atto della Restaurazione nel 1660, Moray si rivolse al sovrano per ottenere il patrocinio reale. La Royal Society venne regolarmente fondata nel 1661 con il re come patrono ufficiale e anche membro. Moray fu il primo presidente dell'organizzazione. Fra gli altri membri fondatori vi erano Ashmole, Wilkins, Boyle, Wren, il diarista John Evelyn e due profughi rosacrociani tedeschi particolarmente importanti, Samuel Hartlib e Theodore Haak. Nel 1672 Isacco Newton divenne un membro dell'istituto e nel 1703 fu eletto presidente, carica che conservò fino alla sua morte nel 1727. Durante e subito dopo la presidenza di Newton, la sovrapposizione della Royal Society alla Massoneria sarebbe stata particolarmente marcata. A quest'epoca la Royal Society comprendeva il famoso Chevalier Ramsay, che presto avrà un posto rilevante nella nostra storia. Comprendeva anche James Hamilton, lord Paisley e settimo conte di Abercorn, coautore dell'acclamato Treatise on Harmony (Trattato sull'armonia) e Gran Maestro della Massoneria inglese. Ma più importante di tutti era, forse, John Desaguliers, un intimo amico di Newton che diventò membro nel 1714 e poi Curatore dell'istituto. Nel 1719 Desaguliers divenne il terzo Gran Maestro della Grande Loggia d'Inghilterra e sarebbe rimasto una delle figure più eminenti della Massoneria inglese per il successivo ventennio. Nel 1731 avrebbe
iniziato Francesco, duca di Lorena, poi marito dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, e nel 1737 Federico, principe di Galles, di cui era cappellano.20 Ma la Royal Society, negli anni immediatamente successivi alla Restaurazione, fu semplicemente un canale per la Massoneria e il pensiero massonico. Nel Seicento la Massoneria abbracciava una gamma di attività che comprendeva la scienza, la filosofia, la matematica e la geometria, il pensiero ermetico, neoplatonico e rosacrociano. Gli stessi interessi sono manifesti nell'opera di alcuni dei letterati più importanti del periodo: i fratelli gemelli Thomas ed Henry Vaughan, ad esempio, e i cosiddetti "platonici di Cambridge", Henry More e Ralph Cudworth. Non rimane alcun documento a conferma che questi individui fossero effettivamente membri di particolari logge. Al tempo stesso, non potrebbero rispecchiare con più accuratezza e precisione il senso e l'orientamento degli interessi massonici. La cerchia di Henry More comprendeva l'illustre medico, scienziato e alchimista Francis van Helmont. Thomas Vaughan, noto alchimista e "filosofo naturalista", divenne un intimo amico personale, discepolo e protetto di sir Robert Moray. Durante la guerra civile Vaughan e suo fratello avevano militato dalla parte dei realisti. Sotto il Protettorato di Cromwell, Thomas Vaughan aveva tradotto - usando lo pseudonimo di Eugenius Philalethes - varie opere "esoteriche" ed ermetiche del continente, compresi i famosi "Manifesti rosacrociani". I suoi stretti rapporti con Moray indicano che, pur non essendo egli stesso un
massone, era vicino alla principale corrente di pensiero massonico; e i suoi interessi trovarono un'eco in suo fratello Henry che, per quanto riguarda i posteri, si è dimostrato il portavoce più eloquente. La poesia di Henry Vaughan, che sta alla pari di quella di Andrew Marvell e George Herbert, può essere considerata un sunto delle correnti e influenze caratteristiche della Massoneria seicentesca. Ma mentre More e i fratelli Vaughan lasciarono durevoli testamenti letterari, forse il più imponente monumento alla Massoneria del XVII secolo sopravvive ancora oggi nell'architettura di Londra. Nel 1666, il "grande incendio" distrusse l'ottanta per cento della vecchia città, comprese ottantasette chiese, e fu necessario ricostruire quasi completamente la capitale. Questo richiese un prodigioso e intenso sforzo da parte delle gilde dei muratori "operativi". Il pubblico prese così coscienza dell'arte muraria con la sua manualità e la sua maestria ben visibili in strutture maestose come Saint Paul, Saint James, Piccadilly e il Royal Exchange, l'antica Borsa. A mano a mano che la città nuova prendeva forma dinanzi agli occhi della popolazione, i suoi architetti e costruttori acquistarono un prestigio senza precedenti; e molto di questo si trasmise ai seguaci della Massoneria "speculativa", che si affrettarono a sottolineare la loro affinità con i fratelli "operativi". La figura più importante in questo contesto era, naturalmente, sir Christopher Wren. Come abbiamo visto, Wren era un habitué del Collegio
invisibile che si riuniva a Oxford e divenne poi un membro fondatore della Royal Society. Si suppone che diventasse il Gran Maestro della Massoneria in Inghilterra nel 1685.21 Al tempo stesso, non era soltanto un pensatore ma anche un architetto praticante. Costituiva così un anello essenziale forse l'anello essenziale - fra la Massoneria "speculativa" e le gilde "operative". Nel periodo immediatamente successivo alla Restaurazione la Massoneria conobbe quindi giorni felici nella filosofia e nella religione, nelle arti, nelle scienze e soprattutto in architettura. Ma oltre a prosperare, durante questo periodo esercitò anche un'influenza benefica e costruttiva. In verità, si potrebbe affermare che - con la sua diffusione e la sua natura sempre più pubblica - contribuì notevolmente a cicatrizzare le ferite della guerra civile. Ciò non vuol dire, naturalmente, che mancassero i detrattori. Nel 1676, ad esempio, «Poor Robin's Intelligence», un foglio satirico che ebbe vita breve, pubblicò il seguente finto annuncio: Questo per rendere noto che la moderna Cabala del nastro verde, insieme all'antica Confraternita della Rosacroce; gli Adepti ermetici e la Compagnia di massoni accettati, intendono pranzare tutti insieme il 31 novembre prossimo, al Toro Volante in via della Corona-Mulino a vento [ ...]22
Ma simili satire frivole e divertenti non potevano fare gran male alla Massoneria. Semmai, avevano la funzione delle moderne rubriche di pettegolezzi mondani,
stimolando l'interesse del pubblico e magari accrescendo proprio il prestigio che intendevano offuscare. Questo valeva anche per l'opera del dottor Robert Plot, conservatore dell'Ashmolean Museum a Oxford, che, nel 1686, pubblicò la sua Natural History of Staffordshire (Storia naturale dello Staffordshire). Plot intendeva deridere, se non proprio condannare, la Massoneria. Invece, le procurò proprio il genere di pubblicità che la rendeva più attraente e, al tempo stesso, fornì ai posteri non solo un prezioso testo a cui attingere, ma anche una testimonianza di quanto l'istituzione fosse divenuta influente: A questi si aggiungono i Costumi relativi alla Contea, fra cui quello di ammettere Uomini nella Società dei liberi-muratori, che nelle brughiere della Contea sembra più richiesto che altrove, sebbene io trovi il Costume diffuso più o meno in tutta la Nazione, giacché ho trovato persone di classe molto elevata che non disdegnavano di appartenere a questa Associazione. Né in verità ne abbisognavano se erano di quella Antichità e onore che si afferma in un grande volume di cartapecora che hanno loro, contenente la Storia e le Regole dell'arte della muratura. Le quali sono dedotte non soltanto dalla sacra scrittura, ma dalla storia profana, in particolare da quella che fu portata in Inghilterra da sant'Amphibal e comunicata per primo a sant'Albano, che stabilì i Compiti dei muratori e fu fatto Ragioniere generale e Direttore dei lavori del Re e assegnò loro i compiti e i modi come sant'Amphibal gli aveva insegnato. I quali furono poi confermati dal re Etelstano, il cui figlio minore Edwyn amava molto l'arte muraria, se ne assunse i compiti e ne apprese i modi e ottenne per loro da suo Padre un libero statuto. Dopodiché li fece riunire a York e portare tutti i vecchi Libri della loro arte, e ne trasse i compiti e i modi che ritennero giusti: i quali compiti nella suddetta Pergamena o Volume di cartapecora sono in parte dichiarati: e così l'arte muraria fu impiantata e confermata in Inghilterra. Ivi si dichiara anche che questi compiti e modi furono poi
esaminati e approvati da re Enrico VI e dal suo consiglio, riguardo sia ai Maestri che ai Compagni di questa eccellentissima arte.23
Il dottor Plot continua a descrivere diffusamente quello che sa dei rituali massonici, riunioni di logge e procedure d'iniziazione, nonché l'onestà con cui i muratori "operativi" svolgono il loro lavoro. Alla fine del suo resoconto, in un frammento di una frase estremamente involuta, lancia il suo attacco: [...] ma hanno alcune altre [pratiche] (a cui sono tenuti per giuramento alla loro maniera) che nessuno conosce tranne loro e che ho motivo di sospettare siano molto peggiori di queste, forse malvage come questa Storia dell'arte stessa; che è quanto di più falso o incoerente abbia mai incontrato.
È un modo piuttosto debole di sferrare un attacco. Non c'è da stupirsi se la maggioranza dei lettori di Plot ignorò, o non arrivò mai alla sua battuta finale e si appassionò invece a tutto ciò che la precedeva: l'antica e illustre genealogia vantata dalla Massoneria, il coinvolgimento di "persone di classe molto elevata", i vantaggi di farne parte, il mutuo soccorso, le buone opere, il prestigio annesso all'edilizia e all'architettura. Dopo tutto questo, la critica finale dovette sembrare un semplice accesso di stizza e forse di animosità per non essere stato accettato come massone. Come abbiamo visto, quindi, la Massoneria, nel periodo fra il 1660 e il 1688, si beò in una sorta di Età dell'oro. Si era già affermata, forse più saldamente della Chiesa
anglicana, come una grande forza unificatrice della società inglese. Aveva già iniziato a offrire un foro "democratico" dove "re e plebeo", aristocratici e artigiani, intellettuali e operai, potevano riunirsi e, nel chiuso della loggia, dedicarsi a questioni di mutuo interesse. Ma questa situazione non sarebbe durata. Entro un quarto di secolo, la Massoneria avrebbe subito le medesime traumatiche divisioni della società inglese stessa.
1 Adamson, The Muses Threnodie, p. 32. 2 Manoscritto Buchanan. Vedi Gould, The History of Freemasonry, vol. I, p. 98. 3 Rothes, A Relation of Proceedings Concerning the Affairs of the Kirk of Scotland from August 1637 to July 1638, p. 30. 4 Otto anni dopo, alla morte sul patibolo di Carlo I, Carlo II venne proclamato re di Scozia. Arrivò nel paese nel 1650, accettò il Covenant e, nel 1651, venne formalmente incoronato a Scone. Tuttavia, il suo esercito fu sconfitto da Cromwell e Carlo fu costretto ad andare di nuovo in esilio in Francia fino alla Restaurazione nel 1660. 5 Pick and Knight, The Pocket History of Freemasonry, p. 44. 6 II generale Hamilton (fratello del conte di Haddington) venne ammesso nella Mary's Chapel Lodge di Edimburgo il 20 maggio 1640. Vedi Lyon, History of the Lodge of Edinburgh, p. 86. 7 Vedi Dictionary of National Biography, alla voce Murray. 8 Ibid. Vedi anche Stevenson, The Origins of Freemasonry, pp. 166-89. 9 Ibid. 10 Ivi (cita Wood in Athenae Oxon., ed. Bliss, vol. II, p. 725). 11 Ivi (cita Birch in History of the Royal Scoiety, vol. I, pp. 508 e 510).
12 Yates, The Rosicrucian Enlightenment, p. 254.. 13 Ivi, p. 226. 14 Maier, Themis Aurea: The Laws of the Fraternity of the Rosie Grosse. Questa dedica è firmata da N.L., T.S. e H.S. 15 Pick and Knight, op. cit., p. 45, citazione dal diario di Ashmole. 16 Ibid. 17 Yates, The Rosicrucian Enlightenment, p. 254. L'autrice conclude inoltre: «Abbiamo... una catena di tradizioni che va dal movimento rosacrociano agli antecedenti della Royal Society» (p. 224). 18 Agrippa, De occulta philosophia libri tres, c. XXXIX. 19 Agrippa (trad. J.F.), Three Books of Occult Philosophy, cap. XXXIX, p. 77. 20 Pick and Knight, op. cit., pp. 73-74. 21 Anderson, New Book of Constitutions of the Freemasons, p. 106. L'asserzione deve considerarsi non confermata. Nell'anno in cui morì Wren (1723), Anderson pubblicò il suo primo Book of Constitutions, nel quale menzionava due volte sir Christopher Wren, ma non diceva mai che era un massone. Viceversa, nel "Nuovo" Book of Constitutions del 1738, Anderson afferma che Wren era Gran Maestro della Confraternita. Dal che si deduce inevitabilmente che questo fatto non era stato menzionato nel 1723 perché i colleghi di Wren, ancora vivi, lo avrebbero contestato. Tuttavia, sembra possibile che Wren fosse effettivamente un membro della Confraternita. C'è una nota di pugno di John Aubrey (un amico di Ashmole) sul retro del foglio 72 del manoscritto della sua National History of Wiltshire, in cui afferma che quello stesso giorno, 18 maggio 1691, doveva esserci una grande riunione di massoni a Saint Paul per iniziare Wren come membro. Cfr. Hamill, The Craft, p. 36. 22 Hamill, op. cit., pp. 34-5. 23 Plot, The Natural History of Staffordshire, pp. 316-.18. La storia leggendaria della Massoneria e del re Etelstano è stata analizzata a fondo da Alex Home nel suo The York Legend in the Old Charges e l'autore conclude che c'è poca verità storica.
11 Il visconte Dundee
Verso il 1661 il fratello minore di Carlo II, Giacomo, duca di York, si convertì al cattolicesimo. Lo fece in sordina, senza squilli di tromba, e di conseguenza non vi furono obiezioni molto energiche. Ma nel 1685 Carlo II morì e suo fratello ascese al trono come Giacomo II. Immediatamente, il nuovo sovrano cominciò a fare proseliti e a diffondere la sua religione. Vennero conferiti favori ai gesuiti. Vennero offerti compensi a personaggi altolocati se si convertivano. L'establishment statale, giudiziario e militare fu riempito di funzionari e ufficiali cattolici. Inoltre Giacomo, come capo della Chiesa d'Inghilterra, potè nominare vescovi filocattolici o, se lo desiderava, lasciare le sedi vacanti. Prima del 1688 Giacomo aveva avuto due figlie, Maria e Anna, entrambe allevate nella fede protestante. Si presumeva che una o l'altra delle due sarebbe diventata la sua erede e che l'Inghilterra avrebbe avuto di nuovo una sovrana protestante. Sulla base di tale presupposto, il
cattolicesimo di Giacomo era tollerato come una fase transitoria: sgradevole, ma preferibile al traumatico rivolgimento interno avvenuto quarantanni prima. Tuttavia, nel 1688 Giacomo ebbe un figlio maschio, che, per diritto di successione, avrebbe avuto la precedenza sulle due eredi femmine; e così l'Inghilterra si trovò di fronte alla prospettiva di una dinastia cattolica. Per di più, tre anni prima in Francia, Luigi XIV aveva revocato l'Editto di Nantes, che aveva garantito la libertà di culto ai protestanti. Dopo essere stati lasciati in pace per quasi un secolo, i protestanti francesi subirono improvvisamente nuove persecuzioni e deportazioni. Temendo l'eventualità di un analogo destino, i protestanti inglesi vennero indotti a opporre resistenza. L'attrito fra il Parlamento e il re aumentò. Poi Giacomo pretese che il clero anglicano leggesse una dichiarazione di tolleranza verso i cattolici e altri dissenzienti e sette vescovi si rifiutarono di obbedire. Il re decretò che venissero rinviati a giudizio per la loro disobbedienza, ma furono assolti in palese affronto alla sua autorità. Lo stesso giorno il Parlamento offrì il trono a Maria, figlia di Giacomo e fervente anticattolica, e a suo marito Guglielmo di Orange. Il principe olandese accettò l'invito. Il 5 novembre 1688 sbarcò a Torbay per diventare il nuovo re d'Inghilterra. I timori che scoppiasse una nuova guerra civile in piena regola sul suolo inglese si rivelarono fortunatamente infondati. Giacomo decise di non combattere e il 23 dicembre partì alla chetichella e andò in esilio in Francia.
Nel marzo del 1689, tuttavia, sbarcò in Irlanda con truppe e consiglieri militari francesi. Qui convocò il proprio Parlamento e reclutò un esercito fra i suoi sudditi cattolici irlandesi al comando di Richard Talbot, conte di Tyrconnell. Seguirono sporadici combattimenti. Londonderry fu cinta d'assedio dalle truppe cattoliche di Giacomo il 19 aprile e resistè fino al 30 luglio, quando venne liberata. Ma fu solo un anno dopo che gli eserciti di Guglielmo e di Giacomo s'incontrarono in una battaglia campale. Sul fiume Boyne, il primo luglio 1690, Giacomo subì una disastrosa disfatta e andò per sempre esule in Francia. I suoi sostenitori continuarono a combattere per un altro anno, fino al 12 luglio 1691, quando vennero sconfitti nuovamente nella battaglia di Aughrim. Le forze cattoliche in rotta ripiegarono su Limerick, furono assediate e infine, il 3 ottobre, capitolarono. Così finì la "Gloriosa Rivoluzione" inglese e, con essa, il dominio della dinastia Stuart. Secondo uno storico, durante tutte le vicende che gli erano costate il trono, Giacomo «aveva dato prova di un'inettitudine politica di proporzioni quasi epiche».1 Se di "rivoluzione" si trattò, quella del 1688 fu ragionevolmente civilizzata. Strettamente parlando, fu piuttosto un colpo di stato e per di più incruento, almeno per quanto riguardava l'Inghilterra vera e propria. Nondimeno, lacerò drammaticamente la società britannica come la guerra civile anni prima. Per la seconda volta, in meno di cinquantanni, un re Stuart era stato deposto e questo indusse la gente a fare un esame di coscienza, sia individuale che collettivo. Quali che fossero state le
trasgressioni di un particolare sovrano, in Inghilterra erano in molti a ritenere che la monarchia Stuart possedesse una legalità, una genealogia autoctona, una "britannicità" intrinseca che la casa olandese di Orange - nemica giurata della Gran Bretagna appena un quarto di secolo prima non possedeva. In Scozia, la fedeltà all'antica casa regnante passava sostanzialmente avanti a tutte le affiliazioni religiose. In Irlanda, naturalmente, la conversione di Giacomo al cattolicesimo lo aveva reso particolarmente caro alla popolazione. Le fratture che si crearono tra le famiglie nobili scozzesi, tanto coinvolte nella nostra storia, rispecchiavano quelle che si erano create nella società inglese. All'assedio di Londonderry, ad esempio, vi erano degli Hamilton in tutti e due i campi. Lord James Sinclair rimase "fedele alla Corona", chiunque la portasse, mentre suo fratello era in prigione e suo figlio, ufficiale della Guardia scozzese, morì nella battaglia del Boyne. In Scozia, la causa degli Stuart sarebbe stata difesa principalmente da John Grahame di Claverhouse, creato primo visconte Dundee da Giacomo II nel 1688. Come molte altre famiglie nobili scozzesi, i Grahame di Claverhouse potevano vantare un legame di sangue con gli Stuart e quindi si consideravano discendenti di Bruce: nel 1413 sir William Grahame aveva sposato la sorella di Giacomo I di Scozia, bisnipote di Marjorie Bruce e di Walter lo Stewart. In seguito, un membro della famiglia aveva sposato la sorella del cardinale Beaton, il grande cospiratore e difensore degli interessi dei Guisa e Lorena. Tuttavia, per la maggior parte, la storia della famiglia era
banale: «una serie di persone insignificanti dotate di sufficienti mezzi di sussistenza».2 John Grahame di Claverhouse, visconte Dundee, nacque nel 1648. Era un uomo istruito, avendo conseguito la laurea in lettere all'Università di Saint Andrews nel 1661. Successivamente, avrebbe prestato servizio sotto Carlo II e Giacomo II. Fra il 1672 e il 1674, sarebbe andato volontario in Francia con il duca di Montmouth e con John Churchill, poi duca di Marlborough. Nel 1683 era alla corte d'Inghilterra con Carlo e, due anni dopo, con Giacomo. Nel 1684 ricevette in dono dal re la tenuta di Dudhope Castle e sposò lady Jeane Cochrane, figlia di lord William Cochrane, un eminente massone. Nel 1686 fu promosso maggior-generale di cavalleria. Uno dei suoi più intimi amici era Colin Lindsay, terzo conte di Balcarres, nipote dell'alchimista. Nell'aprile 1689, mentre gli eserciti cattolici in Irlanda stavano assediando Londonderry, Claverhouse, avendo chiamato a raccolta le forze stuardiste in Scozia, alzò lo stendardo di re Giacomo a Dundee. Il 27 luglio le sue truppe incontrarono quelle di Guglielmo, comandate dal maggior-generale Hugh Mackay, al passo di Killiecrankie, a una trentina di miglia da Perth. Vi furono molte manovre preliminari, ma la battaglia, quando ebbe finalmente inizio, durò circa tre minuti. I soldati di Mackay riuscirono a sparare una sola raffica prima di essere sopraffatti dalla carica di Claverhouse. Nel momento in cui lo schieramento nemico si disintegrava, Claverhouse, galoppando alla testa
dei suoi uomini vittoriosi, cadde da cavallo, colpito a morte da una pallottola all'occhio sinistro: una curiosa eco del colpo di lancia con cui Gabriel di Montgomery aveva ucciso Enrico II di Francia un secolo e un quarto prima. Morto Claverhouse, la causa degli Stuart in Scozia vacillò per mancanza di una guida. L'esercito avanzò faticosamente fino a Dunkeld, dove fu sconfitto. Nel maggio dell'anno seguente, una seconda sconfitta a Cromdale pose fine alla resistenza organizzata in Scozia, almeno per una generazione. Secondo uno storico, «sussiste tuttora la tradizione che a Killiecrankie Dundee fosse vittima di un delitto».3 In effetti vi sono prove a sostegno della tesi che Claverhouse non morì "in battaglia", ma fu deliberatamente assassinato, nella confusione della carica, da due emissari di re Guglielmo che si erano arruolati nel suo esercito e si erano infiltrati nel suo stato maggiore. Questo fatto di per sé non avrebbe nulla di straordinario. Al contrario, sarebbe stato perfettamente conforme agli usi dell'epoca assassinare un nemico pericoloso. Ai fini della nostra indagine non interessa appurare se Claverhouse morisse in combattimento o per mano di un assassino, ma il fatto che, a quanto si racconta, aveva addosso una croce templare, quando il suo corpo venne trovato sul campo.
Maestro dei Templari scozzesi? Secondo lo storico esoterico A.E. Waite:
Si è detto che [...] Dom Calmet ha prestato l'autorità del suo nome a tre importanti affermazioni: che John Claverhouse, visconte Dundee, era Gran Maestro dell'ORDINE DEI TEMPLARI in Scozia; che quando cadde a Kiliecrankie il 27 luglio 1689, portava la Gran Croce dell'Ordine; che questa croce venne data a Calmet da suo fratello. Se questa storia è vera, ci troviamo ad un tratto in presenza di una sopravvivenza e di una restaurazione dei Templari che non deve nulla ai sogni o alle realtà del Chevalier Ramsay [...] e nulla [...] alla Massoneria stessa... Sappiamo che mancano esaurienti prove della presunta perpetuazione dell'antico Ordine templare in rapporto alla Massoneria e che le leggende di tale perpetuazione hanno tutta l'aria di essere state inventate... Ma se una Gran Croce del Tempio fu effettivamente e incontestabilmente trovata sul corpo del visconte Dundee, è certo che l'ORDINE DEL TEMPIO era sopravvissuto o resuscitato nel 1689.4
Waite scrisse queste parole nel 1921, molto prima che gran parte delle prove qui indicate si rendesse disponibile. Ad esempio, non sapeva che la Guardia scozzese poteva essere una depositaria di tradizioni templari. Ignorava anche l'intricata rete di legami familiari attraverso cui tali tradizioni potevano essere state preservate. Nondimeno, il tenore della sua affermazione rimane valido. Se Claverhouse portava un'autentica croce templare, realmente anteriore al 1307, ciò costituirebbe una valida prova che l'Ordine era ancora operante, o era stato resuscitato, in Scozia nel 1689. Purtroppo, Waite non indica alcuna fonte per la storia che cita e dobbiamo cercarla altrove. Nel 1920, un anno prima del resoconto di Waite, il seguente riferimento apparve nel giornale dei Quatuor
Coronati, la prima loggia di ricerca massonica nel Regno Unito: Nel 1689, alla battaglia di Killiecrankie... lord Dundee perse la vita come leader del partito stuardista scozzese. Secondo la testimonianza dell'Abbé Calmet, si dice che sia stato Gran Maestro dell'Ordine del Tempio in Scozia.5
Quest'affermazione si può trovare anche prima, quando un ricercatore e studioso della Massoneria, John Yarker, scrive nel 1872: [...] e che lord Mar era Gran Maestro dei Templari scozzesi nel 1715, essendo succeduto al visconte Dundee, che fu ucciso a Killiecrankie nel 1689, portando indosso la Croce dell'Ordine, come ci dice Dom Calmet.6
Prima di Yarker, la storia apparve in un libretto pubblicato nel 1843. L'autore è anonimo, ma potrebbe essere stato il poeta e accademico scozzese, W.E. Aytoun: Apprendiamo, dalla testimonianza dell'Abbé Calmet, che egli aveva ricevuto da David Grahame, visconte titolare di Dundee, la Gran Croce dell'Ordine portata dal suo prode e sfortunato fratello nella battaglia di Killiecrankie. «Il étoit», dice l'Abbé, «Grand Maitre de l'Ordre des Templiers en Ecosse».7
Rimangono tre interrogativi cruciali. Chi era lord Mar, succeduto a Claverhouse come Gran Maestro dei Templari scozzesi, secondo Yarker? Chi era l'Abbé Calmet, che
sembra la fonte principale della storia? Chi era il misterioso fratello di Claverhouse, David, che avrebbe consegnato la croce del fratello morto all'abate francese? John Erskine, conte di Mar, era un ben noto leader giacobita. Divenne conte nel 1689, l'anno di Killiecrankie. Inizialmente, era contrario alla causa degli Stuart e nel 1705 rappresentava ancora la Corona come Segretario di Stato per la Scozia. Durante il decennio successivo, cambiò partito così spesso da meritarsi il soprannome di «Bobbing John», Giovanni Andirivieni. Nel 1715, tuttavia, si era finalmente schierato con gli esuli Stuart e, in quell'anno, ebbe un ruolo importante nella rivolta in loro favore. Quando la rivolta fu repressa, perse le sue proprietà e andò in esilio a Roma con Giacomo II. Nel 1721 venne nominato "ministro giacobita presso la corte francese": cioè, ambasciatore degli Stuart in Francia. A Parigi, divenne intimo amico del cavalier Ramsay: uno dei principali propagatori della Massoneria settecentesca, come vedremo. Dom Augustin Calmet era uno dei più famosi e stimati studiosi e storici del suo tempo, noto particolarmente per la sua versatilità nelle lingue. Nato nel 1672, divenne monaco benedettino nel 1688, all'età di sedici anni. Nel 1704 occupò una carica importante nell'abbazia di Münster, sulla sponda francese del Reno. Nel 1718 divenne abate di Saint Léopold, a Nancy, e nel 1728 abate di Senones, dove morì nel 1757. Le sue opere erano molto voluminose. Comprendevano commentari su tutti i libri del Vecchio e Nuovo Testamento, una ponderosa storia della Bibbia nel
suo insieme, una storia della Chiesa in Lorena, un'introduzione alla prestigiosa Histoire ecclesiastique del cardinale Fleury e, in una bizzarra digressione da così eccelse fatiche, un testo fondamentale sui vampiri. Dalle lettere di Calmet che sono state pubblicate, appare chiaro che fra il maggio 1706 e il luglio 1715 viveva a Parigi e frequentava assiduamente i circoli degli esuli giacobiti.8 David Grahame, il fratello minore di Claverhouse, è decisamente più difficile da rintracciare. Si sa che combatté a Killiecrankie e sopravvisse alla battaglia, ma fu preso prigioniero tre mesi dopo. Nel 1690, tuttavia, riuscì in qualche modo a sfuggire ai suoi catturatoli e comparve poi in Francia, dove Giacomo II gli conferì il titolo di visconte Dundee detenuto prima da suo fratello. Con quel titolo è citato nel ruolino di un reggimento della Brigata scozzese in servizio a Dunquerque nel giugno 1692 agli ordini dei maggior-generali Buchan e Canon. Fra gli altri ufficiali in questa lista figurano sir Alexander M'- Lane, padre di sir Hector Maclean; John Fleming, sesto conte di Wigtoun; James Galloway, terzo barone Dunkeld; e James Seton, quarto conte di Dunfermline. L'ultimo di questi era stato particolarmente vicino a Claverhouse, aveva comandato la sua cavalleria a Killiecrankie ed era uno di quelli che avevano segretamente portato via dal campo, e probabilmente sotterrato, il corpo del comandante morto. David Grahame compare in un altro ruolino dell'esercito francese del 1693. L'ultimo riferimento conosciuto si trova in un pamphlet anti-giacobita pubblicato a Londra nel 1696. Secondo questo pamphlet, lui e altri esuli illustri
avevano ricevuto importanti incarichi nell'esercito francese. Dopodiché, David Grahame scompare semplicemente dalla storia. «Questo è curioso», osserva uno storico, «giacché, come terzo visconte, doveva essere una persona importante!».9 Quando ci siamo rivolti all'Ufficio storico dell'esercito francese, abbiamo ricevuto una risposta dal generale Robert Bassac, che c'informava di non aver trovato alcun riferimento ad un David Grahame. Aveva, tuttavia, trovato: [...] un certo visconte Graham di Dundee, ufficiale nel reggimento D'Oilvy [cioè Olgivie, conte di Airlie] nel 1747. Questo reggimento era stato reclutato da David, conte d'Airley, ed era formato dai resti dei corpi sconfitti a Culloden. Forse era un figlio o un nipote.10
La Brigata scozzese di stanza a Dunquerque nel 1692 può forse fornire un altro indizio sul destino di David Grahame. In maggio di quell'anno: [...] gli ufficiali scozzesi, considerato che, a causa della perdita della flotta francese, la restaurazione di re Giacomo sarebbe stata rimandata di qualche tempo e che loro erano di peso al re di Francia, essendo di guarnigione a paga piena senza svolgere alcun servizio... pregavano umilmente re Giacomo di ridurli a una compagnia di sentinelle private e scegliere fra di loro gli ufficiali comandanti.11
L'unità venne ricostituita in conseguenza. La lista degli ufficiali comprendeva due Ramsay, due Sinclair, due Montgomery e un Hamilton. Inizialmente fu trasferita nel Sud della Francia, poi, nel 1693, in Alsazia, non lontano
dall'Abbazia di Müster. Nel 1697 era di nuovo impegnata in combattimenti nei pressi di questa abbazia, dove, nel 1704, Dom Calmet venne nominato sotto priore. Vi erano dunque due contesti in cui Calmet poteva plausibilmente essere venuto a contatto con Grahame. Il primo era in Alsazia fra il 1693 e il 1706. Il secondo era a Parigi dopo il maggio 1706, quando Calmet frequentava i circoli giacobiti della capitale. Basandosi su tutte queste informazioni, vale la pena di esaminare di nuovo la storia. I punti essenziali sono i seguenti: 1. John Claverhouse, visconte Dundee, era Gran Maestro di qualche tipo di organizzazione templare o neo-templare in Scozia, che era sopravvissuta, in forma coerente, almeno fino al 1689; 2. dopo la morte di Claverhouse a Killiecrankie, il conte di Mar gli succedette nella carica di Gran Maestro; 3. quando il corpo di Claverhouse venne prelevato dal campo di Killiecrankie, si scoprì che indossava o portava una specie d'insegna templare originale (cioè, anteriore al 1307) designata come "la Gran Croce dell'Ordine"; 4. questa insegna, essendo passata nelle mani di suo fratello David, fu poi affidata all'Abbé Calmet.
Se la storia così delineata è vera, costituisce la più importante prova di una sopravvivenza templare in Scozia dal tardo Cinquecento, quando si dice che l'inafferrabile David Seton chiamasse a raccolta l'Ordine intorno a sé dopo che le sue terre erano state illegalmente liquidate da sir James Sandilands. La storia pone, tuttavia, alcuni interrogativi. Se i Templari
scozzesi erano veramente affiliati alla causa degli Stuart, perché il successore di Claverhouse come Gran Maestro fu il conte di Mar, che apparentemente, a quell'epoca era un sostenitore del Parlamento inglese e non divenne un giacobita convinto fino al 1715? E perché, se l'insegna templare era davvero importante, non fu passata al successivo Gran Maestro, chiunque egli fosse, anziché a un prete, studioso e storico francese? Per rispondere a queste domande bisogna ricorrere a ipotesi e congetture. Eppure, se la storia della croce templare di Claverhouse fosse stata inventata di sana pianta, non conterrebbe, con tutta probabilità, le contraddizioni che contiene. L'immaginazione e l'inventiva, a differenza della storia, sono libere di eliminare simili contraddizioni. In ogni caso, e quali che siano le domande da essa poste, la storia è certamente plausibile. Dom Calmet non avrebbe avuto nulla da guadagnare inventandola, tranne forse come favola da raccontare a pranzo e a cena; e se così fosse stato, l'avrebbe sfruttata meglio. Calmet, per di più, è generalmente considerato un testimone assolutamente attendibile. Se Claverhouse aveva effettivamente una croce o qualche altra insegna di origine templare, sarebbe passata molto probabilmente nelle mani del fratello; e suo fratello, come abbiamo visto, aveva sufficienti opportunità di affidarla al prete francese. Non sarebbe stato insolito che una delle insegne templari originali fosse sopravvissuta. Noi stessi abbiamo personalmente visto e maneggiato altri pezzi del genere, che erano stati conservati con amorosa cura in Scozia: ab
biamo visto e toccato un regolo originale dell'Ordine, che risaliva a prima del 1156. La semplice esistenza di questi oggetti è un'eloquente testimonianza di quanto sia sfuggito alle ricerche degli storici. Ma c'è un altro essenziale frammento di prova che conferma la storia della croce templare di Claverhouse. Come abbiamo visto, il patrimonio templare in Scozia sopravvisse intatto nell'Ordine di San Giovanni fino al 1564, quando sir John Sandilands, nominato suo amministratore, riuscì a farne una sua proprietà personale secolare. Nel XV secolo, l'antenato di Claverhouse, Robert Grahame, aveva sposato la figlia del Connestabile di Dundee, ed era diventato cognato di John Sandilands, nonno di sir James. Le famiglie Grahame e Sandilands erano perciò legate; e un oggetto custodito dalla seconda poteva benissimo essere arrivato nelle mani della prima.
1 Lenman, The Jacobite Cause, p. 29. 2 Terry, John Grahame of Claverhouse, p. 2. 3 Ivi, pp. 352-54. 4 Waite, A New Encyclopaedia of Freemasonry, vol. II, p. 223. 5 Tuckett, Il dottor Begeman e il presunto Capitolo templare a Edimburgo nel 1745, p. 46, citando Begeman. 6 Yarker, Notes on the Scientific and Religious Mysteries of Antiquity, p. 124. 7 Statutes of the Religious and Military Order of the Temple, p. XV. C'è chi sostiene che l'autore di questa Notazione storica fosse W.E. Aytoun,
professore di retorica e belle lettere all'Università di Edimburgo. Vedi Chetwode Crawley, Le leggende templari nella Massoneria, p. 232. Aytoun compare nell'opera succitata come Gran Prelato dell'Ordine templare scozzese. Aveva certamente accesso ai primi archivi della Massoneria e del Templarismo scozzese grazie ai suoi legami con Alexander Deuchar, che riformò l'Ordine in Scozia nel tardo Settecento. Aytoun acquistò gli statuti «Saint Clair» del primo Seicento, che erano in possesso di Alexander Deuchar, e li donò alla Grande Loggia di Scozia, dove si trovano ancora oggi. 8 Maggiolo, Mémoire sur la correspondance inédite de dom Calmet.... 9 Barrington , Grahame of Claverhouse, Viscount Dundee, p. 409. 10 Lettera datata 14 agosto 1987. 11 Memoirs of the Lord Viscount Dundee, pp. 52-53.
12 Lo sviluppo della Grande Loggia
È difficile dire con precisione quanto la Massoneria, così come si sviluppò in Scozia, dovesse all'antica eredità e alle tradizioni templari. All'inizio del XVIII secolo, qualunque legame potesse esservi stato fra loro era andato perduto da molto tempo e nessun legame nuovo si era ancora formato. La Massoneria non aveva ancora tentato di rivendicare pubblicamente una discendenza dai Templari. E mentre è molto probabile che Claverhouse e suo fratello fossero massoni, non esiste alcun documento che lo confermi. Se una croce templare passò effettivamente da Claverhouse a suo fratello e da lui all'Abbé Calmet, potrebbe essere una prova che i Templari erano in qualche modo sopravvissuti, ma non costituisce un collegamento diretto con la Massoneria. Quando la mistica templare riaffiorò nuovamente, ciò avvenne principalmente in
Francia, come vedremo. Nel frattempo, la Massoneria aveva assunto un ruolo molto più importante nelle vicende inglesi. Sotto Guglielmo e Maria, il protestantesimo riconquistò la supremazia in Inghilterra. Con un atto del Parlamento che vale ancora oggi, tutti i cattolici vennero esclusi dal trono, come pure chiunque avesse sposato un cattolico. In tal modo si riuscì ad evitare che si ripetessero le circostanze che avevano scatenato la rivoluzione del 1688. Nel 1702, otto anni dopo sua moglie, Guglielmo d'Orange morì. Gli succedette la regina Anna, sua cognata e figlia minore di Giacomo II. A sua volta, le succedette nel 1714 Giorgio I, nipote di Elisabetta Stuart e di Federico, elettore Palatino. Quando Giorgio morì nel 1727, il trono passò a suo figlio, Giorgio II, che regnò fino al 1760. Per sessantanni dopo l'ascesa al trono di Guglielmo nel 1688, gli Stuart in esilio si aggrapparono tenacemente al sogno di riconquistare il trono perduto. Il deposto Giacomo II morì nel 1701 e gli succedette suo figlio, Giacomo III, il cosiddetto "vecchio pretendente". A lui succedette, a sua volta, il figlio Carlo Edoardo, "Bonnie Prince Charlie", detto il "giovane pretendente". Sotto questi tre sovrani in esilio, i circoli giacobiti del continente avrebbero continuato ad essere focolai di cospirazione e d'intrigo politico. E non si limitarono a quello. Nel 1708 fu progettata e organizzata un'invasione stuardista della Scozia con l'appoggio di truppe e navi da trasporto francesi. L'Inghilterra, con la maggior parte delle sue truppe impegnate nella guerra di successione spagnola, non era in grado di fronteggiare
questa minaccia e l'invasione sarebbe molto probabilmente riuscita se non fosse stato per una combinazione di sfortuna, tentennamenti giacobiti e inerzia francese. Di fatto, l'intero progetto fallì, ma sette anni dopo, nel 1715, la Scozia si sollevò in una grande rivolta capeggiata dal conte di Mar, che, come abbiamo visto, era il presunto successore di Claverhouse come Gran Maestro dei moderni Templari. Alla ribellione si unì anche lord George Seton, conte di Winton. Come conseguenza, il titolo venne confiscato, la contea si estinse e lui venne condannato a morte. Tuttavia, nel 1716, fuggì dalla Torre di Londra e raggiunse i pretendenti Stuart in esilio in Francia. Continuò a militare nelle file giacobite per il resto della vita e nel 1736 divenne Maestro di una importante loggia massonica giacobita a Roma.1 La rivolta fu repressa, ma a caro prezzo e gli Stuart esiliati sarebbero rimasti una minaccia per altri trent'anni. Soltanto dopo l'invasione e le operazioni militari su vasta scala del 1745-46 tale minaccia sarebbe finalmente cessata. La rivoluzione del 1688 aveva introdotto numerose riforme moderne molto necessarie, non ultima per importanza una legge sui diritti dei cittadini: il Bill of Rights. Al tempo stesso, però, la società britannica era stata gravemente lacerata. Né era semplicemente questione di una fuga in massa dei sostenitori degli Stuart fuori dal paese che veniva lasciato interamente in mano ai loro rivali. Al contrario, gli interessi degli Stuart continuavano ad essere ben rappresentati negli affari inglesi. Non tutti gli
stuardisti erano disposti ad approvare l'uso della forza. Non tutti erano pronti a sfidare il Parlamento. Molti, malgrado i loro vincoli di fedeltà, si sarebbero dimostrati coscienziosi servitori dello Stato sotto Guglielmo e Maria, sotto Anna, sotto gli Hannover. Così fu, ad esempio, per sir Isaac Newton. Ma se Guglielmo e Maria, e poi Anna erano abbastanza amati, non così gli Hannover; e in Inghilterra erano molti quelli che pubblicamente, sfacciatamente, senza scivolare nel tradimento vero e proprio, inveivano contro gli odiati sovrani tedeschi e si agitavano per un ritorno degli Stuart, che consideravano la legittima dinastia del paese. Fu fra questi simpatizzanti degli Stuart che nacque e si maturò il moderno partito conservatore. I Tories del primo Settecento provenivano dalla vecchia classe realista anteguerra civile e avevano fatto la loro comparsa poco prima del 1680. Erano quasi tutti membri della Chiesa alta anglicana o anglo-cattolica, e quasi tutti proprietari terrieri che cercavano di concentrare il potere nelle mani dei possidenti. Praticamente tutti ritenevano la Corona superiore al Parlamento e insistevano sul diritto ereditario degli Stuart di sedere sul trono. Anche i loro oppositori, soprannominati Whigs, si erano messi in luce intorno al 1670. Il loro partito era formato in massima parte dalle classi mercantili e professionali che si erano affermate di recente e operavano attivamente nel commercio, nell'industria, nella finanza e nelle banche, nell'esercito. I Whigs incoraggiavano la diversità religiosa e comprendevano molti dissenzienti e liberi pensatori.
Esaltavano il potere del Parlamento sopra quello della Corona. E, come dice Swift, «preferivano... l'interesse monetario a quello fondiario».2 Sottoscrivevano, in modo implicito ed esplicito, l'«etica di lavoro puritana» e rappresentavano la classe media che stava emergendo trionfalmente e che, guidando prima la rivoluzione commerciale e poi quella industriale, avrebbe deciso il corso della storia britannica e instaurato il denaro come arbitro supremo. Non nutrivano un particolare affetto per gli Hannover, ma erano disposti a tollerare i sovrani tedeschi come prezzo del loro crescente successo. Le spaccature nella società britannica si sarebbero riflesse nella Massoneria. Secondo documenti ancora esistenti, dopo la rivoluzione del 1688 tutto continuò naturalmente come prima. Le logge continuarono non soltanto a riunirsi, ma anche a proliferare. È probabile che molte logge più vecchie, o i membri più anziani delle logge più nuove, fossero stuardisti o Tory, ma niente indica che la Massoneria, a questo punto, servisse effettivamente da veicolo per lo spionaggio, la cospirazione o la propaganda giacobita. Sembra che, nei limiti del possibile, la maggioranza delle logge in Inghilterra rimanesse - o cercasse di rimanere - distaccata dalla politica. E inevitabilmente, a mano a mano che salivano alla ribalta in numero sempre crescente e assumevano incarichi importanti negli affari sociali e commerciali del paese, i Whigs penetrarono nel sistema delle logge e impressero il loro marchio filo-hannoveriano sulla Massoneria. Come abbiamo visto, tuttavia, la Massoneria era stata
inestricabilmente legata agli Stuart fin dall'inizio. I massoni, durante il XVII secolo, non erano soltanto tenuti ad "essere fedeli al re", ma anche a scovare e denunciare attivamente i cospiratori, diventando così, in effetti, parte dell'apparato e della macchina amministrativa degli Stuart. Simili vincoli di fedeltà erano molto profondi. Non deve sorprendere, quindi, che il nucleo principale della Massoneria rimanesse legato alla dinastia Stuart, la seguisse in esilio e, dall'estero, lavorasse per favorire i suoi interessi in Inghilterra. Durante il primo trentennio del XVIII secolo, le logge massoniche potevano essere Whigs o Tory, hannoveriane o giacobite; ma erano i Tories in Inghilterra e i giacobiti all'estero i principali depositari della storia e dell'eredità dell'istituzione. Costituivano la corrente principale, mentre gli altri sviluppi erano semplici affluenti. In Inghilterra, eminenti massoni come il duca di Wharton erano anche giacobiti dichiarati. All'estero, la maggioranza dei leader giacobiti - ad esempio, il generale James Keith, il conte di Wharton (Alexander Seton) e i conti di Derwentwater (prima James, poi il fratello minore Charles, Radclyffe) - non soltanto era massone, ma contribuì anche attivamente alla diffusione della Massoneria in tutta l'Europa. Dopo la repressione della rivolta del 1745, vari illustri massoni vennero condannati a morte per aver servito la causa giacobita: Derwentwater, che era stato Gran Maestro della Massoneria francese, e i conti di Kilmarnock e Cromarty, che erano stati Gran Maestri della Massoneria scozzese. Soltanto questi ultimi sfuggirono all'esecuzione nella Torre di Londra.
Secondo uno storico: Non vi è dubbio che i giacobiti avessero un'influenza determinante sullo sviluppo della Massoneria: a un punto tale, in verità, che successivi testimoni arrivarono a definire la Massoneria una gigantesca cospirazione giacobita.3
Noi sosteniamo che i giacobiti non ebbero semplicemente «un'influenza determinante sullo sviluppo della Massoneria», ma che essi furono, almeno inizialmente, i suoi principali custodi e propagatori. E la creazione della Grande Loggia (che sarebbe divenuta poi la principale depositaria della Massoneria inglese) fu in larga misura un tentativo dei Whigs o degli hannoveriani di spezzare quello che era stato fino allora un virtuale monopolio giacobita.
L'accentramento della Massoneria inglese La Grande Loggia d'Inghilterra venne creata il 24 giugno 1717: il giorno della festa di san Giovanni, che un tempo i Templari consideravano sacro. Inizialmente, a Londra vi erano quattro logge che, in una palese spinta verso l'accentramento, decisero di amalgamarsi in una sola organizzazione e di eleggere una Grande Loggia come organo direttivo. Attirarono rapidamente altre logge nel loro gruppo e nel 1723 le quattro logge originarie erano diventate cinquantadue.4 La spiegazione abituale per la formazione della Grande
Loggia è sorprendentemente banale o menzognera. Secondo uno scrittore, «nacque con lo scopo apertamente sociale di offrire un'occasione d'incontro ai membri di alcune logge londinesi».5 Ci viene anche detto che era un periodo di generale entusiasmo per i club e le società e che la diffusione e la proliferazione della Massoneria inglese erano una conseguenza di questo entusiasmo. Eppure non vi è un'analoga tendenza all'accentramento fra i vari club dove si beveva e si cenava all'epoca, o fra le società antiquarie, bibliografiche e scientifiche che stavano germogliando. È specificamente nella Massoneria che si pone l'accento non soltanto sulla proliferazione, ma anche e soprattutto sull'accentramento. Così, ad esempio, delle cinquantadue logge che formavano la Grande Loggia nel 1723, almeno ventisei sembra che fossero antecedenti alla sua fondazione nel 1717. Il loro ingresso nel libro della storia, in altre parole, non è dovuto alla loro proliferazione, ma alla loro disponibilità ad accentrarsi. J.R. Clarke, uno storico massone, scrive nel 1967: «Ritengo che nel 1717 vi fosse una ragione molto più seria per la collaborazione: essa fu resa necessaria dalle condizioni politiche del paese».6 Clarke sottolinea quindi le calorose dimostrazioni di fedeltà agli Hannover avvenute nel corso della riunione inaugurale della Grande Loggia: brindisi a re Giorgio, canti di devozione al sovrano. E conclude giustamente che uno sfoggio così esagerato di fervore patriottico dev'essere visto come un tentativo di dimostrare che i massoni non erano giacobiti: sfoggio che
non sarebbe stato necessario se non vi fosse stata qualche ragione di sospettare il contrario. Gli storici odierni tendono a considerare la ribellione scozzese del 1715 e la fondazione della Grande Loggia nel 1717 come due eventi distinti e separati da due interi anni. Ma, di fatto, la ribellione del 1715 non venne repressa in modo completo e definitivo fino all'esecuzione dei lord Kenmuir e James Derwenwater nel febbraio 1716, e i progetti per la fusione da cui nacque la Grande Loggia furono fatti molto prima dell'evento: durante la precedente estate o autunno del 1716.7 Fra la ribellione scozzese e la fondazione della Grande Loggia non vi fu, quindi, un intervallo di due anni, ma di sei od otto mesi appena. E tutto fa pensare che vi fosse un rapporto di causa ed effetto fra i due eventi: come se l'establishment hanoveriano, invidioso della rete fornita dalla Massoneria ai suoi rivali giacobiti, cercasse deliberatamente d'incoraggiare la creazione di una propria rete parallela e di competere con loro secondo lo spirito intraprendente e liberista dell'Inghilterra del primo periodo georgiano. Né la Grande Loggia disdegnava di appropriarsi di materiale dei suoi rivali allo scopo di accrescere la propria attrattiva. Questo risulta evidente nella dibattuta, complicata e controversa questione dei "gradi" massonici, o di quelle che si possono chiamare fasi d'iniziazione. Oggi la Massoneria è divisa in tre gradi "corporativi" e in un certo numero di "gradi superiori" facoltativi. I tre gradi "corporativi" - apprendista, compagno e maestro muratore - sono sotto la giurisdizione della Grande Loggia Unita
d'Inghilterra. Quelli superiori, invece, sono sotto la giurisdizione di altri organi massonici, come il Supremo Consiglio di rito scozzese antico e accettato o il Grande Capitolo dell'Arco Reale. Oggi la maggioranza dei massoni inglesi passa attraverso i tre gradi offerti dalla Grande Loggia, poi prosegue scegliendo a suo piacere fra i vari gradi superiori: più o meno come uno studente, dopo essersi laureato in letteratura inglese presso un'università, può andare a studiare in un'altra università per conseguire la laurea in letteratura francese o tedesca. Ma dall'inizio alla metà del XVIII secolo, questo non era permesso. Se un massone inglese dell'epoca desiderava che non venisse messa in dubbio la sua lealtà verso la Corona, aveva a disposizione soltanto i gradi offerti dalla Grande Loggia e non i gradi superiori, riservati quasi esclusivamente ai giacobiti. Le autorità massoniche che li offrivano venivano considerate sospette nella migliore ipotesi, traditrici nella peggiore. La questione è ancora oggetto di accanite discussioni, ma oggi è opinione generale che quelli chiamati attualmente gradi superiori non solo sono nati nella Massoneria giacobita, ma di fatto sono sempre esistiti. In altre parole, non sembra che siano stati inventati in un secondo tempo, ma che facessero parte di una «Riserva di Leggenda, Tradizione e Simbolismo molto vasta» di cui la Grande Loggia, nel 1717, scelse soltanto una porzione.8 E, secondo uno storico massone: [...] ciò che i nostri fratelli giacobiti fecero fu di prendere altre porzioni della stessa Riserva, adattandole in una maniera che a loro sembrava
perfettamente giustificabile, al servizio di quella Causa che per loro era Sacra [...] La Causa [...] non c'è più, ma, liberi da tutti i legami politici, molti dei Gradi rimangono.9
In altre parole, sembra che i gradi superiori implicassero aspetti del rituale, della tradizione e della storia massonica che non erano noti o disponibili alla Grande Loggia, o che sarebbe stato troppo esplosivo accogliere e quindi dovettero essere ripudiati per motivi politici. Tuttavia, dopo il 1745, quando gli Stuart avevano finalmente e definitivamente cessato di essere una minaccia e gli Hannover sedevano ormai saldamente sul trono, la Grande Loggia, sia pure a malincuore, cominciò a riconoscere i gradi superiori. Anzi, finì per appropriarsi di certi aspetti di quei gradi, ormai purgati da tutti gli elementi potenzialmente controversi, e incorporarli in estensioni del proprio sistema. Da tutto questo, che comportò una fusione con una Grande Loggia parallela e rivale, nacque infine, nel 1813, la Grande Loggia Unita.10 Quasi tutta l'odierna storia massonica inglese è stata scritta da studiosi che lavorano sotto gli auspici della Grande Loggia Unita. Presentano la Massoneria giacobita e la proliferazione dei gradi superiori come scismatiche ed eretiche: deviazioni dalla corrente principale che loro stessi rappresentano. Ma, di fatto, questo sembrerebbe l'esatto contrario di ciò che accadde veramente: in origine la Massoneria giacobita era la corrente principale e la Grande Loggia la deviazione, che, per effetto delle circostanze e vicissitudini storiche, finì per diventare essa
stessa la corrente principale. Tutto ciò richiama alla mente le origini del cristianesimo e il processo attraverso cui il pensiero paolino, originariamente uno scisma o deviazione eretica dagli insegnamenti di Gesù, soppiantò quegli insegnamenti e divenne la nuova ortodossia, mentre il pensiero nazzareno, depositario originale degli insegnamenti, venne bollato come una forma di eresia. Come il pensiero paolino, la Grande Loggia iniziò apparentemente come una deviazione dalla corrente principale. Come il pensiero paolino, scalzò la corrente principale e prese il suo posto. Ma come il pensiero paolino, non ebbe sempre vita facile e continuò ad essere sospetta agli occhi dell'autorità secolare che cercava di ammansire. Come osserva uno storico massone: «Essere membri della Confraternita dei frammassoni in quel periodo era un invito a sospettare che si fosse anche giacobiti...».11
L'influenza della Massoneria inglese Il duca di Wharton, Gran Maestro della Grande Loggia nel 1772, fece poco per accrescere la fiducia pubblica o ufficiale. Non soltanto si proclamava a gran voce un giacobita: tre anni prima, era stato uno dei fondatori del famoso (o famigerato) Hell Fire Club, che originariamente si riuniva nella Greyhound Tavern vicino a Saint James. In questa impresa era stato affiancato da un altro personaggio che avrebbe occupato ben presto un posto
importante nella Massoneria: George Lee, conte di Lichfield, il cui padre era morto combattendo per gli Stuart sul Boyne e la cui madre, Charlotte Fitzroy, era una figlia illegittima di Carlo II. Lo stesso Lee aveva quindi sangue Stuart nelle vene ed era cugino di altri due nipoti illegittimi di Carlo II, James e Charles Radclyffe, poi conti di Derwentwater. Non deve sorprendere, perciò, che anche lui avesse un ruolo attivo negli affari giacobiti. Nel 1716 aveva organizzato la fuga di Charles Radclyffe e altri tredici dalla prigione di Newgate, dove erano stati rinchiusi per la parte avuta nella ribellione del 1715. James Radclyffe era già stato giustiziato. Abbastanza prevedibilmente le autorità dettero un giro di vite. Nel 1721 venne emanato un editto contro «certi club e società scandalosi». L'Hell Fire Club fu chiuso alla chetichella, sia pure in via temporanea. Consapevole di attirare sospetti, la Grande Loggia si sentì obbligata ad assicurare o confermare al governo che era "innocua". Nel 1722: [...] un gruppo scelto della Società dei liberi muratori si recò... dal visconte lord Townsend [cognato del primo ministro Robert Walpole]... per informarlo che, essendo obbligati dalla loro Costituzione, a tenere un'Assemblea Generale ora a metà estate, secondo un Costume annuale, speravano che l'Amministrazione non si adombrasse per tale Convocazione, giacché erano tutti fervidamente affezionati alla Persona e al Governo di Sua Maestà. Sua Signoria accolse questa Notificazione in Maniera molto affabile, dicendo loro che non dovevano temere alcuna Molestia da parte del Governo, purché continuassero a non fare niente di più pericoloso che custodire gli antichi segreti della società; i quali dovevano essere di Natura molto innocua, poiché, per quanto l'Umanità
ami il Male, nessun Sodalizio li aveva mai denunciati.12
Eppure fu in questa assemblea del 1722 - fra accuse d'irregolarità - che Wharton riuscì a farsi eleggere Gran Maestro. Successivamente, fu accusato di tentare di «impadronirsi della Massoneria per i giacobiti».13 L'anno seguente gli succedette il filo-hannoveriano conte di Dalkeith e Wharton se ne andò bruscamente, «senza alcuna cerimonia».14 Se esistevano verbali relativi al periodo del Gran Magistero suo o dei suoi predecessori, sono scomparsi. Ufficialmente, i verbali della Grande Loggia iniziano il 25 novembre 1723, sotto il Gran Magistero di Dalkeith. Nel settembre 1722 venne scoperto un complotto giacobita ambizioso, anche se un po' sciocco, che si proponeva di fomentare un'insurrezione a Londra, impadronirsi della Torre e tenerla fino a quando una forza d'invasione proveniente dalla Francia si sarebbe potuta unire ai ribelli. Fra i cospiratori coinvolti in questo complotto vi era il dottor John Arbuthnot, un eminente massone ed ex medico personale della regina Anna. Gli amici più intimi di Arbuthnot comprendevano numerosi altri insigni massoni, fra cui Pope e Swift che, sebbene non fossero coinvolti nel progetto, ne subirono in certa misura le conseguenze negative per associazione. Il complotto di settembre demolì molta della credibilità che la Grande Loggia era riuscita a costruirsi all'inizio dell'anno e rese necessarie nuove assicurazioni.
Nel 1723, quasi a dissipare una volta per tutte ogni sospetto di attività politica sovversiva, apparve la famosa Costituzione di James Anderson. Ministro della Chiesa scozzese a Saint James e cappellano del conte di Buchan, fedele sostenitore degli Hannover, Anderson era un membro della Horne Lodge, che aveva un'immensa influenza e comprendeva pilastri dell'establishment come il duca di Queensborough, il duca di Richmond, lord Paisley e, dal 1725, il collega di Newton, John Desaguliers.15 Simili credenziali e relazioni ponevano Anderson assolutamente al di sopra di ogni sospetto. Per di più, nel 1712 aveva dato alle stampe alcuni virulenti sermoni anticattolici, esaltando la regina Anna e invocando Dio: perché Egli possa deludere le vane speranze dei nostri comuni Avversari portando avanti la Religione protestante riformata in mezzo a noi, e assicurando ancora in avvenire la Successione protestante alla Corona nella Linea e Casa di Hannover.16
In seguito, nel 1732, Anderson avrebbe pubblicato un'altra opera filo-hanoveriana, intitolata Royal Genealogies (Genealogie reali) e sottoscritta, fra gli altri, dal conte di Dalkeith, dal conte di Abercorn, dal colonnello (poi generale) sir John Ligonier, dal colonnello John Pitt, dal dottor John Arbuthnot, da John Desaguliers e da sir Robert Walpole. L a Costituzione di Anderson divenne, in pratica, la Bibbia della Massoneria inglese. Enuncia quelli che sarebbero diventati alcuni dei princìpi ormai noti e
fondamentali della Grande Loggia. Il primo articolo, nella sua assoluta vaghezza, rimane a tutt'oggi oggetto di dibattiti, interpretazioni e controversie. Nel passato, i massoni erano stati obbligati a dichiarare fedeltà a Dio e alla Chiesa d'Inghilterra, ma, scrive Anderson, «ora si è ritenuto più opportuno obbligarli a quella religione a cui tutti gli uomini aderiscono, lasciando loro le proprie opinioni personali...».17 Il secondo articolo dichiara esplicitamente: «Un massone... non deve mai essere implicato in Complotti e Cospirazioni contro la pace e il benessere della Nazione».18 Secondo il sesto articolo, nessun dibattito riguardante la religione o la politica dev'essere consentito nella loggia. La Costituzione non dissipò interamente ogni sospetto. Ancora nel 1737 apparve una lunga lettera in due giornali londinesi, dove si avvertiva che la Massoneria era pericolosa per la società inglese perché serviva segretamente la causa degli Stuart. Venivano fatte sinistre allusioni a certe logge "speciali" che erano a conoscenza di informazioni vitali e le celavano ai normali massoni. Si diceva che queste logge - che «ammettono... persino giacobiti, papisti e persone che rifiutano di prestare giuramento di fedeltà al re» - stessero reclutando gente per conto degli Stuart. L'autore anonimo ammetteva che molti massoni erano fedeli sostenitori della Corona, ma poi chiedeva: «Come possiamo essere sicuri che le persone note per i loro leali sentimenti vengano messe a parte di tutti i loro misteri?».19
Ma ormai questi atteggiamenti paranoici erano l'eccezione e non la regola. Con la Costituzione di Anderson, la Grande Loggia divenne rispettabile, un accessorio sociale e culturale sempre più inoppugnabile del regime hannoveriano che, col tempo, si sarebbe esteso fino al trono. In Scozia, in Irlanda e nel continente, continuarono ad esistere altre forme di Massoneria, come vedremo. In Inghilterra, invece, la Grande Loggia instaurò quasi un monopolio; e la sua ortodossia politica non sarebbe più stata messa seriamente in dubbio. Anzi, la Grande Loggia si era integrata nella società inglese al punto tale che la sua terminologia aveva già cominciato a permeare il linguaggio e sussiste ancora oggi. Espressioni c o m e standing foursquare (letteralmente essere squadrato, ossia ben saldo), on the level (a livello, ossia onesto, in buona fede), taking a man's measure (prendere le misure a un uomo, ossia giudicarlo), sottoporre una persona al "terzo grado" e molte altre derivano certamente dalla Massoneria. Intorno al 1730 la Grande Loggia aveva cominciato a mostrare un crescente interesse per il Nordamerica e ad "autorizzare" nuove logge laggiù, ossia a sponsorizzarle come proprie affiliate. Nel 1732, ad esempio, il generale James Oglethorpe fondò la colonia della Georgia e, due anni dopo, divenne Maestro della prima loggia massonica della Georgia. Le tendenze politiche di Oglethorpe erano ambigue. La maggioranza dei suoi familiari era giacobita. Tre sue sorelle si battevano attivamente per la causa degli
Stuart, al pari di suo fratello maggiore, esiliato per attività sediziosa. Nella ribellione del 1745, lo stesso Oglethorpe comandava le truppe britanniche in campo e mostrò una tale inerzia nelle sue operazioni da essere sottoposto a corte marziale. Sebbene venisse assolto, sembra indubbio che condividesse le simpatie della sua famiglia. Nondimeno, la sua avventura in Georgia incontrò l'approvazione sia del regime hannoveriano che Oglethorpe della Grande Loggia. Non soltanto quest'ultima autorizzò la loggia che aveva fondato, ma «raccomandò energicamente» che tutti i suoi membri inglesi facessero «una generosa colletta» a favore della loro propaggine e affiliata georgiana.20 Così, nel terzo decennio del XVIII secolo, la Massoneria inglese, sotto gli auspici della Grande Loggia, era diventata un baluardo dell'establishment sociale e culturale e comprendeva, fra i suoi confratelli più illustri, Desaguliers, Pope, Swift, Hogarth e Boswell, nonché Carlo di Lorena, futuro marito dell'imperatrice austriaca Maria Teresa. Come abbiamo visto, era iniziata come una deviazione dalla corrente principale e poi, almeno per quanto riguardava l'Inghilterra, era divenuta essa stessa la corrente principale. Sotto alcuni aspetti, la Massoneria della Grande Loggia poteva essere "meno completa" di quella dei giacobiti, meno addentro agli antichi segreti, meno legata alle tradizioni originarie. Ciò nonostante, o forse proprio per questo, svolse una funzione sociale e culturale che le sue rivali non svolsero.
La Grande Loggia permeò tutta la società inglese e impresse i suoi valori nel tessuto stesso del pensiero inglese. Insistendo su una fratellanza universale che trascendeva le frontiere nazionali, la Massoneria inglese avrebbe esercitato una profonda influenza sui grandi riformatori del Settecento: su David Hume, ad esempio, su Voltaire, Diderot, Montesquieu e Rousseau in Francia, sui loro discepoli in quelli che sarebbero divenuti gli Stati Uniti. È alla Grande Loggia, e al clima filosofico generale da essa incoraggiato, che si può ascrivere gran parte di quanto vi è di meglio nella storia inglese dell'epoca. Sotto l'egida della Grande Loggia, l'intero sistema di caste in Inghilterra divenne meno rigido, più flessibile che altrove nel continente. La «mobilità ascendente», per usare il gergo dei sociologi, divenne sempre più possibile. Le critiche contro il pregiudizio religioso e politico servirono ad incoraggiare non soltanto la tolleranza, ma anche quello spirito egualitario che tanto colpiva i visitatori venuti dall'estero: Voltaire, ad esempio, divenuto poi lui stesso un massone, era così entusiasta della società inglese da esaltarla come il modello a cui tutta la civiltà europea avrebbe dovuto aspirare. L'antisemitismo fu più screditato in Inghilterra che altrove in Europa e gli ebrei non soltanto divennero massoni, ma ebbero anche accesso alla vita sociale, politica e pubblica: accesso che fino ad allora era stato loro negato. La nascente classe media ottenne spazio e libertà di manovra e potè espandersi più che altrove, catapultando quindi la Gran Bretagna all'avanguardia del progresso commerciale e industriale.
Le opere benefiche, compresa l'assistenza spesso enfatizzata alle vedove e agli orfani, diffusero un nuovo ideale di responsabilità civica e spianarono la strada a molti successivi programmi di previdenza sociale. Si potrebbe persino sostenere che la solidarietà della loggia, insieme alla sua evocazione delle gilde medievali, anticipò molti aspetti del successivo sindacalismo. E infine, il processo attraverso cui i maestri e i gran maestri venivano eletti impresse nel pensiero inglese una sana distinzione fra l'uomo e la carica, che avrebbe presto dato frutti in America. Sotto tutti questi aspetti, la Massoneria inglese costituì una specie di collante, che teneva insieme il tessuto della società settecentesca. Fra le altre cose, contribuì a creare un clima più moderato di quello del continente, dove le lagnanze sarebbero infine culminate prima nella Rivoluzione francese e poi nei tumulti del 1832 e del 1848. Come vedremo, questo clima si sarebbe esteso alle colonie britanniche del Nordamerica e avrebbe avuto un ruolo determinante nella fondazione degli Stati Uniti. Così, la forma di Massoneria promulgata dalla Grande Loggia avrebbe soppiantato le sue stesse origini, e nel far ciò, sarebbe emersa come uno dei fenomeni veramente più importanti e influenti del secolo, il cui peso è stato fin troppo spesso trascurato dagli storici ortodossi.
1 Seton, A History of the Family of Seton, vol. I, p. 274; cfr. Hughan, The
Jacobite Lodge at Rome 1735-37 per maggiori dettagli su questa loggia. George Seton, conte di Winton, fu eletto Grande Maestro il 23 aprile 1736; cfr. ivi, p. 23. 2 Trevelyan, England under the Stuarts, p. 471, citando Swift. 3 McLynn, The Jacobites, p. 140. 4 I verbali della Grande Loggia, p. 5f. 5 Grande Loggia Unita d'Inghilterra, Grand Lodge 1717-1967, p. 50. 6 Clarke, L'istituzione della Prima Grande Loggia, p. 5. 7 Pick and Knight, The Pocket History of Freemasonry, pp. 68-9; Anderson, New Book of Constitutions of the Freemasons, p. 109. 8 Tuckett, L'origine dei gradi supplementari, p. 5. 9 Ivi, p. 25. 10 Nel 1751 una Grande Loggia rivale, formata da massoni principalmente seguaci della Grande Loggia irlandese, sosteneva di operare secondo gli antichi usi e costumi. I suoi membri venivano chiamati gli "Antichi" e quelli della Grande Loggia del 1717 venivano chiamati i "Moderni". A differenza dei "Moderni", gli "Antichi" conferivano i gradi superiori, in particolare quello detto Royal Arch, Arco Reale. Nel 1813 i due sistemi si riconciliarono e si fusero formando la Grande Loggia Unita d'Inghilterra, che esiste ancora oggi. 11 Waples, Introduzione all'Harodim, p. 120. 12 Robbins, I primissimi anni della Massoneria inglese organizzata, pp. 70-71, citazione dal «London Journal» del 16 giugno 1722. 13 Wharton venne accusato pubblicamente di essere il capo dei giacobiti e certamente, appena lasciò l'Inghilterra, aderì alla causa giacobita. 14 Gould, The History of Freemasonry, vol. IV, p. 375. 15 I verbali della Grande Loggia, pp. 5-6. 16 Anderson, A Sermon Preached in Swallow-street, p. 16. Sembra probabile che ancora prima del 1717 Anderson fosse un massone: un attacco contro di lui in No King-Sellers lo definisce un «Maestro di Arti» (p. 10) e aggiunge che i suoi «Fratelli nel Ministero, come li chiama lui, hanno
più di un Ufficio di Informazioni nell'Exchange (la Borsa) dove si riuniscono spesso» (p. 14). L'Exchange era la sede di almeno due delle prime logge massoniche; la Crown Tavern Lodge veniva dopo l'Exchange nella lista delle logge del 1723, come pure la Ship Tavern Lodge. 17 Anderson, The Constitutions of the Freemasons, p. 50. 18 Ibid. 19 Tuckett, L'origine dei Gradi Supplementari, p. 20. 20 I verbali della Grande Loggia, p. 235 (13 dicembre 1733).
13 La causa massonica giacobita
Mentre la Grande Loggia prosperava, le logge filogiacobite in Inghilterra venivano spinte sempre più nella clandestinità. Alcune certamente perduravano specie nel nord-est, intorno a Newcastle e ai possedimenti della famiglia Radclyffe a Derwentwater;1 ma il clima dominante concedeva loro poco spazio per espandersi o svilupparsi. Lo stesso valeva per la Scozia, dove molti documenti relativi alla Massoneria fra il 1689 e il 1745 andarono perduti, deliberatamente o meno, nel tumulto degli eventi. In Irlanda, invece, la situazione era diversa. Lì, la Massoneria era ben nota fin dal 1688. In quell'anno, un oratore di Dublino, per catturare l'attenzione del suo uditorio, fece riferimento a un uomo «massonizzato nella nuova maniera», sottintendendo, naturalmente, che
esisteva anche una «vecchia maniera».2 Nello stesso anno, vi fu un piccolo scandalo quando un losco individuo di nome Ridley, noto come spia e delatore anti-cattolico, fu trovato morto con quello che venne definito un «marchio massonico» sul corpo, sebbene non vi siano indicazioni di quale fosse questo marchio, come fosse stato applicato o impresso, o se avesse qualche rapporto con la morte dell'uomo.3 La documentazione storica sugli inizi della Grande Loggia d'Irlanda è frammentaria, giacché tutti i verbali anteriori al 1780 e tutti gli archivi anteriori al 1760 sono andati perduti. Le poche informazioni che si possono ottenere provengono da fonti esterne, tipo lettere e resoconti di giornali. Le prove disponibili indicano che la Grande Loggia irlandese venne formata intorno al 1723 o 1724, sei o sette anni dopo la sua rivale inglese. Il primo Gran Maestro fu il duca di Montague, che, nel 1721, aveva presieduto la Grande Loggia d'Inghilterra. Montague era un figlioccio di Giorgio I e un fedele sostenitore degli Hannover. Data la profonda e diffusa devozione degli irlandesi verso gli Stuart, non deve sorprendere che la sua nomina irritasse parecchie persone e che la Grande Loggia irlandese fosse afflitta da lotte intestine. Fra il 1725 e il 1731, vi è una totale lacuna nella sua storia e successivi commentatori hanno concluso che doveva essere irrimediabilmente divisa fra sostenitori degli Hannover e giacobiti. Nel marzo 1731 sembra che si consolidasse un poco
sotto il Gran Magistero del conte di Ross. Un mese dopo, a Ross succedette Lord James Kingston. Anche lui, nel 1728, aveva presieduto la Grande Loggia d'Inghilterra, ma dopo il 1730, quando questa ratificò alcuni cambiamenti imprecisati, «riservò il suo zelo alla Massoneria irlandese».4 Kingston avrebbe impersonato l'orientamento della Grande Loggia irlandese. Aveva un passato giacobita e veniva da una famiglia giacobita. Suo padre era stato un cortigiano di Giacomo II e aveva seguito il re spodestato in esilio, tornando in Irlanda nel 1693 per essere prima perdonato, poi arrestato con l'accusa di reclutare personale militare per la causa degli Stuart. Nel 1722 analoghe accuse vennero rivolte allo stesso Kingston.5 La Grande Loggia irlandese sarebbe così rimasta la depositaria di aspetti della Massoneria che la Grande Loggia d'Inghilterra ripudiava o sconfessava. Ed era con la Massoneria della Grande Loggia irlandese che i numerosi reggimenti britannici di passaggio o di guarnigione nel paese sarebbero venuti a contatto. Quando la rete di logge reggimentali "da campo" cominciò ad espandersi nell'esercito britannico, la maggioranza, almeno inizialmente, ebbe l'imprimatur della Grande Loggia irlandese. Questo fatto avrebbe avuto un'immensa importanza, ma i suoi effetti si sarebbero manifestati solo dopo un quarto di secolo. Nel frattempo, la corrente principale originaria della Massoneria si era trasferita in continente con gli esuli
Stuart. In Francia sarebbero avvenuti gli sviluppi più importanti, nel periodo immediatamente precedente al 1745. E in Francia la Massoneria giacobita si sarebbe integrata - o forse reintegrata - con l'antico retaggio dei Templari.
Le prime logge Sembra che la Massoneria giungesse in Francia con i contingenti dell'esercito giacobita sconfitto fra il 1688 e il 1691. Secondo un resoconto del XVIII secolo, la prima loggia francese risale al 25 marzo 1688 e venne istituita da un reggimento di fanteria, il Reale irlandese, che era stato formato da Carlo II nel 1661, lo aveva accompagnato in Inghilterra alla sua restaurazione e poi era andato nuovamente in esilio con Giacomo II. Successivamente, nel XVIII secolo, questa unità divenne nota come il "Regiment d'Infantrie Walsh" dal nome del suo comandante. 6 I Walsh erano un'illustre famiglia di armatori irlandesi esuli. Un membro della famiglia, il capitano James Walsh, fornì la nave che portò Giacomo II in salvo in Francia. In seguito, Walsh e i suoi familiari fondarono un grande cantiere a Saint Malo, che si specializzò nella costruzione di navi da guerra per la marina francese. Allo stesso tempo, rimasero appassionatamente fedeli alla causa giacobita. Due generazioni dopo, il nipote di Walsh, Anthony Vincent Walsh, insieme a Dominic O'Heguerty, un altro influente mercante e armatore, avrebbe fornito a Carlo Edoardo
Stuart i bastimenti per lanciare la sua invasione dell'Inghilterra. In riconoscimento di questo servizio, Anthony Walsh fu fatto conte dagli Stuart esiliati e il suo titolo venne riconosciuto ufficialmente dal governo francese. In Francia, i militari irlandesi responsabili del trapianto della Massoneria frequentavano, com'era abbastanza naturale, gli stessi circoli dei profughi scozzesi stuardisti, come David Grahame, fratello di quel John Claverhouse, visconte Dundee, che si presumeva fosse stato trovato dopo Killiecrankie con una croce templare addosso. Se in precedenza la Massoneria aveva perso momentaneamente il contatto con la matassa di tradizioni templari, quel contatto venne ristabilito in Francia durante il primo quarto del XVII secolo. E la Francia avrebbe offerto un terreno fertile sia per la Massoneria che per la mistica templare. Sotto molti aspetti, era stato un francese, René Descartes, a incarnare per primo, all'inizio del Seicento, quella che sarebbe diventata la mentalità dominante del Settecento. In Francia, tuttavia, le pressioni congiunte della Chiesa e dello Stato lo avevano osteggiato e il pensiero cartesiano era dilagato in Inghilterra, dove si manifestava attraverso uomini come Locke, Boyle, Hume e Newton, nonché attraverso istituzioni come la Royal Society e la stessa Massoneria. Era quindi all'Inghilterra che i pensatori progressisti francesi, come Montesquieu e Voltaire, guardavano per attingere nuove idee. Loro e i loro compatrioti si sarebbe dimostrati particolarmente aperti
alla Massoneria. Ma se la Massoneria giunse per la prima volta in Francia nel 1688, dovevano trascorrere circa trentacinque anni prima che venisse istituita la prima loggia originale francese sicuramente documentata. Venne formata nel 1725 secondo la maggioranza delle fonti, nel 1726 secondo un'altra fonte che potrebbe essere più attendibile.7 Il suo principale fondatore fu Charles Radclyffe, conte di Derwentwater, il cui fratello maggiore, James, era stato giustiziato per aver partecipato alla ribellione del 1715. Gli altri fondatori comprendevano sir James Hector MacLean, capo del clan MacLean; Dominic O'Heguerty, il ricco mercante e armatore espatriato che, insieme ad Anthony Walsh, fornì i bastimenti per la spedizione di Carlo Edoardo Stuart nel 1745; e un uomo poco noto, presunto ristoratore, che figura nei documenti superstiti sotto il nome di «Hure» o «Hurc». Uno scrittore ha avanzato la convincente teoria che questo nome potrebbe essere un'alterazione di «Hurry».8 Sir John Hurry era stato decapitato a Edimburgo nel 1650 per la sua fedeltà agli Stuart. La sua famiglia era rimasta attivamente giacobita ed era stata nobilitata da Carlo II; e potrebbe darsi benissimo che uno dei suoi figli o nipoti esiliati abbia fondato la prima loggia francese, insieme a Radclyffe, MacLean e O'Heguerty. Nel 1729 le logge francesi stavano già proliferando all'interno della struttura massonica specificamente giacobita. Per non essere battuta dalla "concorrenza", la
Grande Loggia d'Inghilterra cominciò, in quell'anno, a istituire le proprie logge affiliate in Francia. Per un po', i due distinti sistemi massonici seguirono linee di sviluppo rivali e parallele. Pur non riuscendo mai a imporre un monopolio, il sistema giacobita prese gradatamente il sopravvento. Da esso alla fine si sviluppò, nel 1773, il più importante organo massonico in Francia: il Grande Oriente. Una delle più eminenti logge giacobite francesi era la Loge de Bussy. La strada dov'era situata, la rue de Bussy (ora rue de Buci), sbucava nella piazza antistante Saint Germain-des-Prés. L'altra strada che sbucava nella piazza era la rue de Boucheries, dove si trovava la loggia fondata da Radclyffe. Le due logge, in altre parole, erano a pochi metri di distanza l'una dall'altra e il quartiere era praticamente un'enclave giacobita. I giacobiti francesi avrebbero presto gettato le loro reti più lontano. Nel settembre 1735, ad esempio, la Loge de Bussy iniziò lord Chewton, figlio del conte di Waldegrave, ambasciatore britannico in Francia (lui stesso membro della «Horn» Lodge dal 1723) e il conte de Saint Florentin, Segretario di Stato di Luigi XV. 9 Fra i presenti vi erano Desaguliers, Montesquieu e il cugino di Radclyffe, il duca di Richmond.10 Più avanti in quello stesso anno, il duca di Richmond istituì la propria loggia nel suo castello di Aubigny-sur-Nère. Sebbene Radclyffe fosse uno dei fondatori della prima loggia francese documentata, non era il Gran Maestro.
Secondo i più antichi documenti arrivati fino a noi, il primo Gran Maestro, nominato nel 1728, altri non era che l'ex Gran Maestro della Grande Loggia d'Inghilterra, il duca di Wharton.11 Divenuto ancora più attivo nella sua militanza giacobita, Wharton, dopo essere stato soppiantato nella Grande Loggia, era andato a Vienna, nella speranza di convincere gli Asburgo austriaci a organizzare un'invasione dell'Inghilterra per conto degli Stuart. Le successive peregrinazioni lo portarono a Roma e poi a Madrid, dove fondò la prima loggia in Spagna.12 Durante il suo soggiorno a Parigi, sembra che fosse ospite della famiglia Walsh per un periodo. Quando tornò in Spagna, gli succedette come Gran Maestro della Massoneria francese sir James Hector MacLean, il collega di Radclyffe. Nel 1736 MacLean fu rimpiazzato a sua volta da Radclyffe, l'eminenza grigia che uscì dalle quinte per prendere il suo posto al centro della scena.13 Radclyffe fu uno dei due personaggi più importanti nella diffusione della Massoneria in Francia. L'altro era un individuo eclettico, peri-patetico, chiamato Andrew Michael Ramsay. Nato in Scozia negli anni 1680, da giovane aderì a una società semi-rosacrociana chiamata i "Filadelfi" e studiò con un intimo amico di Isaac Newton.14 In seguito si accompagnò ad altri amici di Newton, fra cui John Desaguliers. Era anche un amico particolarmente intimo di David Hume e i due s'influenzarono a vicenda. Nel 1710 Ramsay era a Cambrai dove studiava con l'uomo che considerava il suo mentore, il filosofo liberale
mistico cattolico François Fénelon. Alla sua morte nel 1715, Ramsay si recò a Parigi. Qui, divenne intimo del reggente francese, Filippo d'Orléans, che lo introdusse nell'Ordine neo-cavalleresco di San Lazzaro;15 da allora in poi, Ramsay fu noto come "Chevalier". Non si sa quando conobbe esattamente Radclyffe, ma nel 1720 era affiliato alla causa giacobita e prestò servizio, per un periodo, come precettore del giovane Carlo Edoardo Stuart. Nel 1729, nonostante le sue relazioni giacobite, Ramsay tornò in Inghilterra. Qui, malgrado un'evidente mancanza di requisiti, venne subito ammesso nella Royal Society. Divenne anche membro di un'altra prestigiosa organizzazione, il Gentlemen's Club of Spalding che era di gran moda e comprendeva il duca di Montague, il conte di Abercorn, il conte di Dalkeith, Desaguliers, Pope, Newton e Francesco di Lorena. Nel 1730 era di ritorno in Francia, sempre più attivo per conto della Massoneria e sempre più legato a Charles Radclyffe. Il 26 dicembre 1736 - data in cui Radclyffe assunse il Gran Magistero della Massoneria francese - Ramsay tenne un discorso che sarebbe diventato una delle principali pietre miliari nella storia della Massoneria e una fonte d'interminabili controversie.16 Questo discorso, che fu ripetuto per il grande pubblico in una versione leggermente modificata il 20 marzo 1737, divenne noto come l'«Orazione» di Ramsay. 17 Dietro vi era un recondito motivo politico. A quel tempo la Francia era retta da Luigi XV, che aveva allora ventisette anni. Tuttavia, il vero potere
di governo del paese, come nel caso di Richelieu un secolo prima, era in mano al principale consigliere del re, il cardinale André Hercule de Fleury. Stanco della guerra, Fleury era ansioso di stipulare una pace duratura con l'Inghilterra. Di conseguenza, era ostile al focolaio di cospirazioni anti-hannoveriane che era divenuta la Massoneria giacobita in Francia. Gli Stuart, dal canto loro, speravano di distogliere Fleury dalla desiderata distensione e di mantenere la Francia, tradizionale sostenitrice della casa reale scozzese, saldamente vincolata al loro sogno di riconquistare il trono inglese. L'«Orazione» di Ramsay mirava, almeno in parte, a dissipare l'antipatia di Fleury per la Massoneria e ad accattivarselo con lo scopo ultimo di porre i massoni francesi sotto il patronato del re. Sperava d'iniziare Luigi XV. Coinvolto così il re, la Massoneria avrebbe costituito un fronte unico franco-scozzese e si sarebbe potuta contemplare un'altra invasione dell'Inghilterra, un altro tentativo di restaurare gli Stuart sul trono inglese. Questi obiettivi spinsero Ramsay a rivelare gli atteggiamenti e gli orientamenti della Massoneria giacobita del primo Settecento e, al tempo stesso, a divulgare la sua presunta storia più di quanto avesse fatto chiunque altro in precedenza. In un'asserzione presa quasi alla lettera da Fénelon, Ramsay dichiarava: «Il mondo non è altro che un'immensa repubblica di cui ogni nazione è una famiglia e ogni individuo un figlio».18 Quest'asserzione non fece molta impressione su Fleury, cardinale cattolico nazionalista
monarchico che non amava comunque Fénelon. Ma avrebbe esercitato un'enorme influenza sui futuri pensatori politici, non soltanto in Francia, non soltanto nel resto dell'Europa, ma anche nelle colonie americane. Ramsay continuava: «Gli interessi della Confraternita diventeranno quelli dell'intera razza umana».19 E condannava la Grande Loggia, come pure le altre forme non-giacobite della Massoneria, in quanto «eretiche, apostate e repubblicane». Ramsay sottolineava che le origini della Massoneria risiedevano nelle scuole e sette misteriche del mondo antico: La parola "libero muratore" [frammassone] non deve quindi essere presa in senso grossolanamente letterale e materiale, come se i nostri fondatori fossero stati semplici scalpellini, o uomini puramente curiosi e geniali che desideravano perfezionare le arti. Non solo erano abili architetti, desiderosi di consacrare i loro talenti e i loro beni alla costruzione di templi materiali, ma anche prìncipi religiosi e guerrieri che intendevano illuminare, edificare e proteggere i Templi viventi dell'Altissimo.20
Ma, asseriva Ramsay, anche se potevano essere derivati dalle scuole misteriche dell'antichità, erano ferventi cristiani. Naturalmente, nella Francia cattolica del tempo, sarebbe stato imprudente designare i Templari per nome. Ma Ramsay metteva in evidenza il fatto che la Massoneria era nata in Terra Santa, fra «i crociati»: Al tempo dei crociati in Palestina molti prìncipi, signori e cittadini si
associarono e giurarono di restaurare il Tempio dei cristiani in Terra Santa, e di adoperarsi per riportare la loro architettura alla sua prima istituzione. Si accordarono su parecchi antichi segni e parole simboliche attinti dal pozzo della religione al fine di riconoscersi in mezzo ai pagani e saraceni. Questi segni e parole venivano comunicati soltanto a coloro che promettevano solennemente, e talvolta persino ai piedi dell'altare, di non rivelarli mai. Questa sacra promessa non era quindi un giuramento esecrando, com'è stato chiamato, ma un vincolo rispettabile che doveva unire i cristiani di tutte le nazionalità in una sola confraternita. Qualche tempo dopo il nostro Ordine formò un'intima unione con i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme. Da allora le nostre logge presero il nome di Logge di San Giovanni.21
Inutile dire che i Cavalieri di San Giovanni, così com'erano all'inizio del XVIII secolo, non ammisero mai alcuna affiliazione del genere. Se fossero sopravvissuti come pubblica istituzione accreditata, i Templari lo avrebbero forse fatto. Ramsay, dal canto suo, tracciando la presunta storia della Massoneria, tornava velocemente dalla Terra Santa in Scozia e al regno celtico immediatamente precedente a Bruce: Al tempo delle ultime crociate, molte logge erano già sorte in Germania, Italia, Spagna, Francia. James, lord Steward di Scozia, era Gran Maestro di una loggia istituita a Kilwinning nella Scozia occidentale, MCCLXXXVl, poco dopo la morte di Alessandro III, re di Scozia, e un anno prima che John Baliol salisse al trono. Questo lord accolse come massoni nella sua loggia i conti di Gloucester e Ulster, uno inglese e l'altro irlandese.22
E infine, in un indubbio riferimento alla Guardia scozzese, Ramsay dichiarava che la Massoneria «serbava il suo splendore fra quegli scozzesi a cui i re di Francia
affidarono per molti secoli la salvaguardia delle loro regali persone».23 Analizzeremo fra breve le implicazioni e l'importanza dell'«Orazione» di Ramsay. Per il momento, basterà notare che il tentativo di conquistare la simpatia e l'appoggio del cardinale Fleury ebbe un effetto contrario. Due anni prima, nel 1735, la polizia aveva agito contro la Massoneria in Olanda. Nel 1736 aveva fatto lo stesso in Svezia. Ora, pochi giorni dopo la seconda «Orazione» di Ramsay, Fleury diede ordine alla polizia francese di seguire l'esempio degli olandesi e degli svedesi. Venne ordinata un'immediata indagine sulla Massoneria. Quattro mesi dopo, il primo agosto 1737, la polizia aveva completato il suo rapporto. La Massoneria venne scagionata dall'accusa di «indecenza», ma dichiarata potenzialmente pericolosa «per via dell'indifferenza dell'Ordine verso le religioni».24 Il 2 agosto la Massoneria venne proibita in Francia e il Grande Segretario fu arrestato. In una serie d'incursioni della polizia, furono confiscati numerosi documenti e liste di membri. Fleury e i suoi consiglieri furono sicuramente scioccati dallo straordinario numero di nobili ed ecclesiastici d'alto rango che figuravano già fra i massoni. Ad esempio, il cappellano della Garde du Corps, la Guardia del corpo del re, risultò essere un membro della Grande Loggia giacobita BussiAumont, come veniva allora chiamata la vecchia Loge de Bussy. Così pure il quartiermastro della Guardia. In verità, praticamente tutti i membri della loggia erano ufficiali,
funzionari o intimi della corte.25 Roma era già allarmata e indubbiamente Fleury fece pressione sui suoi colleghi e superiori ecclesiastici. Ancora prima che l'indagine in Francia fosse terminata, papa Clemente XII agì. Il 24 aprile 1738 una bolla pontificia, «In eminenti apostolatus specula», proibì a tutti i cattolici di divenire massoni, pena la scomunica. Due anni dopo, negli Stati Pontifici, l'appartenenza a una loggia era punibile con la morte. Secondo un'autorità sull'argomento, il primo effetto della bolla di Clemente può essere stato la rimozione forzata di Ramsay dalla carica di Gran Maestro della Massoneria francese.26 Nel giro di un anno, venne rimpiazzato da un aristocratico francese, il duca d'Antin. Al duca succedette nel 1743 il conte de Clermont, un principe di sangue. È quindi chiaro che la bolla pontificia ebbe un effetto assai limitato e non valse a dissuadere i cattolici francesi dal diventare massoni. Al contrario, dopo la sua promulgazione, alcuni dei più illustri nomi di Francia entrarono a far parte della Massoneria e sembra che persino il re fosse sul punto di diventare membro di una loggia.27 Il papa, apparentemente, non ottenne alcun risultato, tranne quello di rovesciare i giacobiti dalla loro posizione di supremazia negli affari della Massoneria francese. Dal tempo della bolla pontificia in poi, i giacobiti avrebbero avuto un ruolo sempre meno determinante e cessarono completamente di influire sull'evoluzione e lo sviluppo della Massoneria francese. Alla fine, come
abbiamo notato, il Grande Oriente sarebbe emerso come principale depositario della Massoneria in Francia. In alcuni ambienti, l'atteggiamento della Chiesa dovette sembrare - e deve sembrare tuttora - sconcertante. In fin dei conti, quasi tutti i leader giacobiti erano nati cattolici o si erano convertiti. Perché, dunque, il papa avrebbe dovuto agire contro di loro, specialmente quando ciò significava che la Massoneria avrebbe subito sempre più l'influenza anti-cattolica della Grande Loggia inglese? Con il senno di poi, la risposta a quella domanda è molto più chiara di quanto lo fosse probabilmente allora per molta gente: cattolici, massoni o entrambi. Il punto è che Roma temeva, non senza qualche ragione, che la Massoneria, come istituzione internazionale, avesse una ragionevole possibilità di offrire un'alternativa filosofica, teologica e morale alla Chiesa. Prima della Riforma luterana, la Chiesa aveva costituito, con un certo limitato successo, una specie di foro internazionale. Potentati e principi, anche se le loro nazioni si potevano combattere, erano pur sempre cattolici di nome e agivano sotto l'ombrello della Chiesa; i loro sudditi potevano peccare, ma peccavano secondo il contesto e la definizione stabiliti da Roma. Finché l'ombrello della Chiesa era rimasto al suo posto, aveva fatto sì che i canali di comunicazione fra i belligeranti restassero aperti e che Roma, almeno in teoria, potesse fungere da arbitro. Con la Riforma, naturalmente, la Chiesa non aveva più potuto svolgere tale funzione, avendo perduto la sua autorità fra gli Stati protestanti dell'Europa settentrionale. Ma godeva
ancora di un considerevole credito in Italia, nella Germania meridionale, in Francia, in Spagna, in Austria e nei domini del Sacro Romano Impero. La Massoneria minacciava di offrire il tipo di foro internazionale che Roma aveva fornito prima della Riforma: un'arena per dialogare, una rete di comunicazioni, un progetto di unità europea che trascendeva la sfera d'influenza della Chiesa e la privava della sua importanza. La Massoneria minacciava di diventare, in effetti, qualcosa di simile alla Lega delle Nazioni o alle Nazioni Unite del suo tempo. Vale la pena di ripetere l'affermazione di Ramsay nella sua «Orazione»: «Il mondo non è altro che un'immensa repubblica di cui ogni nazione è una famiglia e ogni individuo un figlio». La Massoneria può non essere riuscita a favorire l'unità più della Chiesa, ma sicuramente non meno. Alcuni anni dopo la bolla di Clemente, ad esempio, l'Austria e la Prussia erano in guerra fra loro. Sia Federico il Grande, re di Prussia, che Francesco, imperatore d'Austria, erano massoni. In virtù di questo legame comune, la loggia offrì un'opportunità di dialogo e almeno una prospettiva di pace. Fu nel tentativo d'impedire tali sviluppi (tentativo, di fatto, vano e, si potrebbe sostenere, addirittura controproducente) che Roma agì contro la Massoneria. I giacobiti e la Massoneria giacobita sul continente furono vittime accidentali di considerazioni molto più vaste. E in conclusione, la loro decadenza costò probabilmente a Roma più di quanto le sarebbe costato lasciare intatto il loro prestigio.
Come abbiamo visto, la bolla pontificia intesa ad escludere i cattolici dalla Massoneria si dimostrò manifestamente inefficace. In effetti, fu precisamente nella sfera d'influenza romana che la Massoneria, durante il cinquantennio successivo, si diffuse con maggior vigore e assunse alcune delle sue forme più folli, esotiche e stravaganti. Fu patrocinata dai potentati cattolici Francesco d'Austria, ad esempio - con più entusiasmo di chiunque altro. E si dimostrò più influente pro-pio all'interno di baluardi dell'autorità romana come l'Italia e la Spagna. Assegnando alla Massoneria il ruolo del cattivo, Roma di fatto la trasformò in un rifugio e un punto di raccolta per i proprio avversari. In Inghilterra, la Grande Loggia si distaccò progressivamente sia dalla religione che dalla politica. Incoraggiò uno spirito di moderazione, tolleranza e flessibilità, e spesso lavorò in stretta collaborazione con la Chiesa anglicana, che contava molti massoni nel proprio clero e non era divisa fra due contrastanti vincoli di fedeltà. Nell'Europa cattolica, d'altro canto, la Massoneria divenne la depositaria del sentimento anticlericale e antiestablishment e infine il centro dell'attività rivoluzionaria. Vero è che molte logge rimasero baluardi del conservatorismo, persino della reazione. Ma molte di più ebbero un ruolo vitale nei movimenti radicali. In Francia, ad esempio, eminenti massoni come il marchese de Lafayette, Filippo Égalité, Danton e Sieyès, agendo in conformità agli ideali massonici, furono fra i principali promotori dei fatti del 1789 e di tutto ciò che seguì. In
Baviera, in Spagna, in Austria, la Massoneria avrebbe fornito un centro di resistenza ai regimi autoritari e avrebbe svolto una funzione molto importante nei movimenti culminati con le rivoluzioni del 1848. L'intera campagna che portò all'unità d'Italia - dai rivoluzionari del tardo Settecento, attraverso Mazzini e Garibaldi - si potrebbe definire essenzialmente massonica. E dai ranghi della Massoneria europea dell'Ottocento emerse una figura che avrebbe gettato l'ombra sinistra del terrorismo non soltanto sul suo tempo, ma anche sul nostro: un uomo chiamato Mikhail Bakunin.
1 Vedi i due articoli di Waples sul curioso grado Harodim; vedi anche Barker Cryer, Guardare l'Harodim con occhi nuovi. 2 11 luglio 1688; cfr. Tuckett, La famiglia franco-irlandese dei Walsh, p. 190. 3 Ibid. 4 Lepper and Crossle, History of the Grand Lodge of Free and Accepted Masons of Ireland, vol. I, p. 147. 5 Ivi, p. 147, nota 1. 6 Cfr. Tuckett, op. cit. e Lepper, Il povero soldato semplice, pp. 151-53. Nel 1772 la loggia militare operante in questo reggimento dell'esercito francese chiese al Grande Oriente francese di essere riconosciuta come la «più anziana» loggia di Francia. Apparentemente la richiesta era appoggiata da prove sufficienti per essere accettata per deliberazione del Grande Oriente nel 1777. La loggia rivendicava la "primogenitura" in quanto esisteva nel reggimento fin dal 25 marzo 1688. Cfr. Tuckett, p. 195; Lepper, p. 152.
7 La più antica storia scritta sulle origini della Massoneria in Francia è quella dell'astronomo Joseph Jerome de Lalande, che nel 1773 scrisse che la prima loggia venne fondata a Parigi nel 1725 dal conte di Derwentwater, ossia Charles Radclyffe, che, fino alla morte del suo nipote più giovane, non portò effettivamente il titolo. Cfr. Gould, The History of Freemasonry, vol. V, pp. 136-37; Thory, Acta latomorum, vol. I, pp. 21-22, ripete questi dati. Chevallier, in Histoire de la franc-maçonnerie française, vol. I, p. 5, scrivendo nel 1974, indica la possibilità che la loggia di Radclyffe intitolata a Saint Thomas (apparentemente in onore di Thomas Becket) fosse stata fondata il 12 giugno 1726. Ammette, tuttavia, che senza un'ulteriore documentazione non si può sapere la verità. 8 Moss, La Massoneria in Francia nel 1725-1735, parte 2, p. 91. 9 I verbali della Grande Loggia, p. 6. 10 Tunbridge, Il clima della Massoneria europea 1730-1750, p. 97. 11 Chevallier, op. cit., vol. I, p. 7. 12 Pick and Knight, The Pocket History of Freemasonry, p. 84. Indicano il 1728 come la data di questa fondazione 13 Chevallier, op. cit., vol. I, p. 7. 14 Henderson, Chevalier Ramsay, p. 20. La società dei Filadelfi era stata fondata dal dottor Francis Lee nel 1696 ed era impegnata in «speculazioni neo-Boehme». 15 A quanto dicono, fu il reggente, Filippo d'Orléans, a presiedere alla ricostituzione dell'Ordine del Tempio nel 1705 e a far redigere i nuovi Statuti dell'Ordine: quelli ora usati dall'Antico e Sovrano Militare Ordine del Tempio di Gerusalemme. Vedi p. 86 di questo volume. 16 Chevallier, op. cit., vol. I, p. 18. 17 Questa seconda versione è tradotta in Gould, op. cit., vol. V, pp. 84-89. 18 Ivi, p. 85. 19 Ibid. 20 Ivi, p. 87. 21 Ivi, pp. 87-88.
22 Ivi, p. 88. 23 Ibid. 24 Chevallier, op. cit., vol. I, p. 25. 25 Ivi, pp. 11-13. 26 Ivi, p. 38. 27 II 30 dicembre 1739 si fa menzione per la prima volta all'ammissione di nuovi fratelli nella "Loggia del re" (cfr. ivi, p. 41). I membri di questa loggia sono ignoti, ma Chevallier osserva che a un precedente ricevimento tenuto quello stesso mese all'Hotel de Bussy erano presenti Radclyffe, Maurice de Saxe, il duca d'Antin e altri nove, fra cui altri due duchi. Chevallier si chiede se fossero questi i membri della "Loggia del re" e nota (pp. 42-43) che dei tredici intimi di Luigi XV che cenavano con lui, otto erano noti massoni, uno probabile e un altro, il conte di Noailles, era Maestro di una loggia a Versailles nel 1744. Di questi intimi commensali, tre erano presenti al ricevimento all'Hotel de Bussy con Radclyffe. È chiaro che i massoni potevano benissimo aver influenzato Luigi XV tanto da indurlo a pensare seriamente di aderire all'Ordine. Sembra chiaro che non lo fece, ma sembra altrettanto chiaro che occasionalmente espresse il desiderio di farlo, anzi di diventare Gran Maestro dei massoni francesi. Cfr. ivi, pp. 43, 100-106.
14 Massoni e Cavalieri Templari
Malgrado le ingiunzioni papali, la Massoneria giacobita seguì il suo corso, sempre incrollabilmente fedele alla causa degli Stuart e al sogno di rimetterli sul trono britannico. Più esplicitamente che mai, i giacobiti cominciarono a usare la Massoneria, e la rete di logge che proliferavano nel continente, prima per reclutare e poi per aiutare gli sfortunati fratelli esiliati dopo la sconfitta. Nel 1746, ad esempio, un giacobita inglese arrivò in Francia recando lettere che pregavano tutti i massoni di venire in suo aiuto.1 Ma, oltre a sfruttare la Massoneria per scopi politici, i giacobiti vi reinserirono pubblicamente elementi delle sue origini e della sua eredità: elementi che erano stati "espunti" dalla Grande Loggia. Influenzato da Fénelon, Ramsay reinvestì la Massoneria giacobita di un carattere
mistico. Soprattutto, reintrodusse, nella sua «Orazione», una dimensione specificamente cavalleresca, mettendo in risalto il ruolo dei crociati. In seguito, avrebbe parlato del tentativo di restaurare gli Stuart come di una vera e propria «crociata».2 In uno scambio di lettere fra le logge dell'epoca, si parlava molto di «innovazioni introdotte... che miravano a trasformare la Confraternita da un "Ordre de Société" a un "Ordre de Chevalerie"».3 I pamphlet e persino i rapporti di polizia cominciarono a parlare dei «nuovi cavalieri» e di «quest'ordine cavalleresco».4 Se la Grande Loggia stava diventando un collante sociale, la Massoneria giacobita aspirava a qualcosa di assai più drammatico, più romantico, più grandioso: una nuova generazione di cavalieri e guerrieri mistici incaricati dell'alta missione di rivendicare un regno e rimettere una sacra linea di sangue sul suo trono. I paralleli con i Templari erano troppo evidenti per essere ignorati ed era solo questione di tempo prima che i cavalieri venissero invocati esplicitamente come i precursori della Massoneria. Non è chiaro quando esattamente i legami fra la Massoneria e i Templari vennero palesati per la prima volta nel segreto delle logge i cui archivi, se mai esisterono, sono andati perduti da lungo tempo. Molto probabilmente ciò avvenne fin dal 1689, quando David Claverhouse arrivò in Francia presumibilmente con la croce templare trovata sul corpo di suo fratello e la passò all'Abbé Calmet. Ma mentre si possono soltanto fare delle congetture al riguardo, non vi è dubbio che intorno al 1730
l'eredità templare veniva promulgata sotto gli auspici di Radclyffe e Ramsay. Nel 1738, poco dopo l'«Orazione» di Ramsay, il marchese d'Argens pubblicò un articolo sulla Massoneria, in cui parlava di logge giacobite che tentavano di arrogarsi una specifica genealogia templare.5 E durante il decennio successivo, i Templari - almeno per quanto riguardava tutte le forme di Massoneria diverse dalla Grande Loggia - divennero sempre più il centro dell'attenzione. Ad esempio, si ritiene che nel 1743 venisse introdotto a Lione un nuovo grado, la cosiddetta "Vendetta" o "Kadosh": vendetta che la Massoneria doveva esigere per la morte dell'ultimo Gran Maestro dei Templari, Jacques de Molay. 6 Abbiamo già osservato quanto potente sarebbe divenuta questa motivazione. Il principale responsabile della divulgazione dell'eredità templare in seno alla Massoneria fu un nobile tedesco, il barone Karl Gottlieb von Hund. Divenuto membro di una loggia a Francoforte, Hund, che era decisamente un uomo di mondo, viaggiò molto nei circoli massonici. Fra il dicembre 1742 e il settembre 1743 era a Parigi. Intorno al 1750 cominciò a reclamizzare una forma ostensibilmente "nuova" di Massoneria che rivendicava, in modo molto specifico, un'origine templare. Spinto a giustificarsi, Hund dichiarò di essere stato introdotto alla «Massoneria templare» durante il suo soggiorno di nove mesi a Parigi. Era arrivato sei mesi prima della morte di Ramsay e tre anni prima di quella di Radclyffe. Disse di essere stato iniziato ai «gradi superiori» e soprannominato «Chevalier
Templier» da un "ignoto superiore" indentificato soltanto con l'appellativo di «Eques a Penna Rubra» (Cavaliere dalla Penna Rossa). Dichiarò che questa cerimonia si era svolta alla presenza, fra gli altri, di un certo lord Clifford (probabilmente il giovane lord Clifford di Chudleigh, parente acquisito di Radclyffe) e del conte di Kilmarnock. Non molto tempo dopo la sua iniziazione, disse Hund, era stato presentato a Carlo Edoardo Stuart in persona, che, a quanto lo avevano indotto a credere, era uno degli «ignoti superiori», se non addirittura il Gran Maestro segreto, di tutta la Massoneria.7 La forma di Massoneria a cui Hund era stato introdotto sarebbe divenuta poi nota sotto il nome di "Stretta Osservanza". Tale nome derivava dal giuramento che esigeva: un giuramento di costante e cieca obbedienza ai misteriosi "ignoti superiori". Il principio basilare della Stretta Osservanza era che discendeva direttamente dai Cavalieri Templari. I suoi membri ritenevano di potersi definire a buon diritto Cavalieri del Tempio. Con suo grande imbarazzo, Hund, quando gli fu richiesto di fornire ulteriori informazioni e prove, non fu in grado di convalidare le sue asserzioni. Di conseguenza, molti dei suoi contemporanei lo trattarono da ciarlatano e lo accusarono di aver inventato il resoconto della sua iniziazione, il suo incontro con "ignoti superiori" e con Carlo Edoardo Stuart e il suo incarico di diffondere la Stretta Osservanza. A queste accuse, Hund potè solo rispondere tristemente che i suoi "ignoti superiori" lo avevano abbandonato. Avevano promesso di mettersi di nuovo in
contatto con lui, protestò, e di dargli nuove istruzioni, ma non lo avevano mai fatto. Per tutta la vita, continuò ad affermare la sua integrità, sostenendo di essere stato abbandonato dai suoi sponsor originari. Riesaminando i fatti col senno di poi, appare chiaro che Hund fu una vittima non tanto di un deliberato tradimento quanto di circostanze che sfuggivano a qualunque controllo. Era stato iniziato nel 1742, quando i giacobiti avevano ancora molto credito, quando gli Stuart godevano di considerevole prestigio e influenza in continente, quando la prospettiva di rimettere Carlo Edoardo sul trono britannico sembrava ancora ragionevole. Ma, nel giro di tre anni, tutto ciò sarebbe cambiato. Il 2 agosto 1745 Bonnie Prince Charlie, senza l'appoggio che i francesi gli avevano originariamente promesso, sbarcò in Scozia. In un consiglio di guerra fu deciso per un voto di avanzare a sud e le forze giacobite intrapresero una marcia che doveva portarle a Londra. Entrarono a Manchester e il 4 dicembre raggiunsero Derby. Ma pochi volontari si unirono a loro - appena 150 uomini a Manchester - e le previste sollevazioni spontanee in loro favore non avvennero. Dopo due giorni, a Derby, divenne dolorosamente chiaro che l'unica scelta era la ritirata. Inseguiti dalle truppe degli Hannover, i giacobiti ripiegarono e la loro situazione, durante i quattro mesi successivi, continuò a peggiorare. Infine, il 16 aprile 1746 furono intrappolati a Culloden dall'esercito del duca di Cumberland e, in meno di trenta minuti, furono praticamente annientati. Carlo Edoardo Stuart fuggì di
nuovo in ignominioso esilio e trascorse il resto della vita nell'oscurità. Degli illustri giacobiti sopravvissuti alla battaglia, molti furono deportati, banditi o spinti in volontario esilio. Alcuni, compreso il conte di Kilmarnock, furono giustiziati. Così pure Charles Radclyffe, catturato a bordo di una nave francese a largo del Dogger Bank. Il sogno giacobita di rimettere gli Stuart sul trono britannico svanì per sempre. Non c'è da stupirsi, quindi, se gli "ignoti superiori" di Hund, che erano tutti eminenti giacobiti, non si misero più in contatto con lui. Erano quasi tutti morti, in prigione, in esilio o se ne stavano ben nascosti. Non rimaneva più nessuno che avesse sufficiente prestigio per aiutarlo a convalidare le sue asserzioni e fu lasciato da solo a promulgare la Massoneria di Stretta Osservanza. Ma sicuramente non sembra che fosse un ciarlatano o che avesse inventato il resoconto dalla sua iniziazione alla "Massoneria templare". Anzi, sono venute alla luce solo di recente valide prove in suo favore.
L'identità del maestro segreto di Hund Una parte delle prove addotte da Hund riguardo alla genealogia della Stretta Osservanza consiste in una lista di Gran Maestri dei Cavalieri Templari originari dalla loro nascita nel 1118.8 Fino a pochissimo tempo fa, esistevano parecchie liste del genere, tutte discordanti fra loro e tutte accademicamente sospette. Soltanto nel 1982 noi fummo
in grado di presentare quella che ora può essere considerata una lista definitiva dei primi Gran Maestri (fino alla caduta di Gerusalemme).9 Questa lista è stata compilata con l'aiuto di informazioni e documenti che non erano disponibili o accessibili all'epoca di Hund, per cui lui non può assolutamente aver attinto alle nostre stesse fonti. Eppure, a parte l'ortografia di un solo cognome, la sua lista, presumibilmente ricevuta dagli "ignoti superiori", concorda esattamente con la nostra. La lista di Hund poteva provenire solo da "fonti interne": fonti che conoscevano effettivamente la storia e/o gli archivi dei Templari come nessun outsider a quell'epoca poteva conoscere. Una seconda prova particolarmente importante a favore di Hund riguarda l'identità del Cavaliere dalla Penna Rossa, che, a suo dire, lo aveva soprannominato Cavaliere del Tempio nel 1742. Finora, l'identità di questo individuo è rimasta un mistero e in alcuni ambienti è stato considerato una pura invenzione. Lo stesso Hund, come abbiamo visto, pensò dapprima che il Cavaliere dalla Penna Rossa fosse Carlo Edoardo Stuart. Altri commentatori hanno ipotizzato che fosse il conte di Kilmarnock, Gran Maestro della Massoneria giacobita in Francia a quell'epoca; ma nell'avanzare questa ipotesi, hanno dimenticato o deciso di ignorare l'asserzione di Hund secondo cui Kilmarnock era presente nella stanza contemporaneamente all'individuo che si celava sotto quello pseudonimo. Noi stessi, in una precedente opera, abbiamo suggerito che il Cavaliere dalla Penna Rossa poteva essere Radclyffe, che Hund non
citava fra i presenti. Ora, tuttavia, è possibile stabilire quasi con certezza chi egli fosse veramente. Nel 1987 potemmo accedere ai documenti di un gruppo chiamato Stella Templum, che aveva conservato per oltre duecento anni un archivio di materiale giacobita templare.10 Conteneva una lettera datata 30 luglio 1846: diciannove giorni prima del centesimo anniversario dell'esecuzione del conte di Kilmarnoch nella Torre di Londra il 18 agosto 1746. La firma in calce alla lettera sembra quella di un certo "H. Whyte" e sotto c'è un sigillo di cera a forma di croce templare. Il destinatario è chiamato semplicemente "William". Il testo si riferisce a certe insegne, fra cui, sembrerebbe, la spada con cui Hund venne effettivamente iniziato: Nota che la lama e gli altri oggetti sono ora affidati a te. Il conte non ha potuto prenderli. Il signor Grills e io pensiamo che la cosa migliore sia affidarli alle tue cure. Il povero vecchio Kilmarnock (Dio lo benedica) ricevette la lama da Alexander Seton/il Cavaliere dalla Penna Rossa. Non so che cosa accadrà ora, Dio volendo tu e Gardner camperete 100 anni. Ricorda K. il 18 del mese prossimo.11
Se questa lettera è degna di fede - e non vi è alcuna ragione di dubitare della sua autenticità - lo scrivente sapeva che il Cavaliere dalla Penna Rossa era un certo Alexander Seton. Alexander Seton era meglio conosciuto come Alexander Montgomery, decimo conte di Eglinton. Nel 1600 Robert Seton era stato creato primo conte di Winton e aveva
sposato Lady Margaret Montgomery, figlia ed erede di Hugh Montgomery, terzo conte di Eglinton. Il titolo era stato ereditato dal minore dei loro figli e i suoi discendenti avevano assunto il cognome Montgomery. Perciò l'Alexander Seton in questione era di fatto Alexander Montgomery, che era particolarmente attivo nella Massoneria giacobita in continente. Quando il Chevalier Ramsay morì nel 1743, ad esempio, il suo certificato di morte venne firmato da Alexander Montgomery (conte di Eglinton), Charles Radclyffe (conte di Derwentwater), Michael de Ramsay (cugino del Chevalier), Alexander Home e George de Leslie.12 Perché dovrebbe essere stato Alexander Montgomery (Seton), anziché Radclyffe, Ramsay, Kilmarnock, Carlo Edoardo Stuart o chiunque altro, a soprannominare il barone von Hund "Cavaliere del Tempio"? Indubbiamente perché discendeva dalla famiglia attorno a cui, nella persona dell'inafferrabile David Seton, si erano raccolti i superstiti orginari dei Templari in Scozia quando le loro terre erano state illecitamente liquidate da sir James Sandilands nel 1564. E se l'informazione avuta da un membro contemporaneo della famiglia è esatta, un "Ordine del Tempio" esiste ancora oggi fra i Montgomery. Nel periodo immediatamente successivo alla ribellione del 1745, la Massoneria giacobita come tale, con il suo specifico orientamento politico e la sua devozione alla stirpe degli Stuart, praticamente scomparve. Tuttavia, variazioni purgate del contenuto politico e temperate dalla
moderazione della Grande Loggia d'Inghilterra sopravvissero in parte attraverso i cosiddetti "gradi superiori" offerti da istituzioni come la Grande Loggia irlandese. Ma soprattutto sopravvissero entro la Stretta Osservanza promulgata da Hund, che aveva come grado più alto quello di Cavaliere Templare e si sarebbe diffusa in tutta Europa. Ma, quel che più conta, avrebbe trovato terreno fertile fra i colonizzatori - molti dei quali erano profughi o deportati giacobiti - dei futuri Stati Uniti d'America.
1 Chevallier, Histoire de la franc-maçonnerie française, vol. I, p. 70. 2 Una nuova crociata per restaurare il vero monarca della Gran Bretagna, ivi, p. 23. 3 Ivi, p. 14. Si diceva che la fonte di questi cambiamenti fosse Charles Radclyffe. 4 Ivi, p. 15. 5 Tuckett, L'origine dei gradi supplementari, p. 10. 6 Thory, Acta latomorum, vol. I, p. 52. 7 Le Forestier, Lafranc-maçonnerie templière, pp. 109, 135-36 8 Von Hund riuscì a esibire pochissimi documenti "originali". Uno era questo elenco, esibito alla convenzione tenuta a Wilhelmsbad. È pubblicata in Thory, op. cit., vol. I, p. 282. 9 Baigent, Leigh, Lincoln, The Holy Blood and the Holy Grail, pp. 413-14, nota 20. Questa lista risale fino alla morte di Ridefort nel 1190. Anche il resto della lista di von Hund differisce notevolmente da quelle usuali e, naturalmente, la sua insiste anche su una continuità dell'Ordine attraverso la Scozia. Sulla validità di queste sezioni successive non possiamo dire
nulla, se non che sono state chiaramente alterate e mal tradotte, pur essendo basate su valide informazioni storiche. 10 Questo gruppo, Stella Templum, risale al tardo Settecento, quando Alexander Deuchar orchestrò un revival templare scozzese. Ma Deuchar aveva accesso a molto dell'antico materiale che ancora restava sia sul templarismo giacobita che sulla massoneria scozzese. Gli Statuti Saint Clair, ad esempio, erano in suo possesso. È in seno all'Ordine di Deuchar che compare per la prima volta la poesia di David Seton, sebbene ormai il gruppo fosse stato praticamente assorbito dalla Massoneria e Deuchar stesso estromesso dalla sua direzione. Lo scopo del gruppo Stella Templum era, ed è tuttora, quello di raccogliere e conservare tutto il materiale riguardante le tendenze nascoste della cultura e dell'eredità scozzese. Di conseguenza, i suoi membri hanno assiduamente raccolto tutti gli scritti, le insegne, i manufatti, le lettere e le storie orali sapendo che in caso contrario, questi aspetti "esoterici" sarebbero stati assorbiti dalla cultura inglese dominante. 11 Archivi «Stella Templum». 12 Henderson, Chevalier Ramsay, p. 197.
Parte IV La Massoneria e l'indipendenza americana
15 I primi massoni americani
Non è sorprendente, forse, che vi siano più miti, leggende e dicerie che non fatti certi o informazioni attendibili sulle origini della Massoneria in America. Secondo alcune tradizioni, una forma di Massoneria o proto-Massoneria arrivò nel Nuovo Mondo fin dall'epoca dell'insediamento di Jameston nel 1607 e si installò in Virginia, dove si dedicò alla promozione del tipo di società ideale delineata vent'anni dopo da Francis Bacon in opere c o me The New Atlantis (La nuova Atlantide). Questa possibilità non è da escludere completamente. I pensatori rosacrociani del primo Seicento erano ossessivamente consapevoli delle opportunità offerte dall'America di realizzare i progetti sociali che occupavano un posto tanto importante nella loro opera. Lo stesso vale per i membri del Collegio invisibile che alla fine divenne visibile sotto forma della Royal Society. Sarebbe davvero stupefacente se almeno qualcosa delle loro idee non fosse arrivato oltre
Atlantico. In ogni caso, i primi trapianti della Massoneria in America, quando e dovunque avvenissero, sarebbero stati inevitabili, automatici, prevedibili e, inizialmente, privi di grandi conseguenze come il trapianto di altri atteggiamenti e istituzioni inglesi. Nessuno poteva prevedere l'importanza che avrebbero rapidamente assunto. Per quanto riguarda la documentazione ufficiale, il primo massone stabilitosi nelle colonie americane di cui si ha notizia fu un certo John Skene. È elencato come membro di una loggia di Aberdeen nel 1670 e nel 1682 emigrò in Nordamerica.1 Si stabilì in New Jersey, dove divenne poi vice governatore. Ma la Massoneria che portò con sé doveva avere il vuoto intorno. In New Jersey non c'erano confratelli con cui Skene avrebbe potuto associarsi, nessuna struttura massonica preesistente in cui si sarebbe potuto inserire. Né lui ne creò una propria. Comunque non rimane alcun documento che provi il contrario. Skene era diventato massone prima ancora di andare in America. Il primo vero colono americano a diventare massone fu Jonathan Belcher che, durante un viaggio in Inghilterra nel 1704, fu iniziato in una loggia inglese.2 Belcher tornò nelle colonie un anno dopo, diventando a suo tempo un ricco mercante e infine, nel 1730, governatore del Massachusetts e New Hampshire. A quell'epoca, la Massoneria cominciava a insediarsi solidamente nelle colonie e il figlio di Belcher avrebbe contribuito attivamente alla sua diffusione. Dovettero esserci molti casi analoghi a quelli di Skene e
Belcher: uomini che erano già massoni quando emigrarono nelle colonie, uomini già stabiliti nelle colonie che, in occasione di viaggi in Inghilterra, vennero ammessi in logge massoniche. E nel 1719 si ha anche notizia di una nave chiamata II Massone che esercitava il cabotaggio lungo le coste americane.3 Ma non esiste alcuna traccia di logge fondate in America prima della fine del 1720. L'8 dicembre 1730 Benjamin Franklin pubblicò nel suo giornale, «The Pennsylvania Gazette», il primo resoconto documentato sulla Massoneria nel Nordamerica. L'articolo di Franklin, che tracciava un quadro generale della Massoneria, iniziava con l'affermazione: «Vi sono parecchie Logge di FRAMMASSONI erette in questa Provincia...».4 Franklin stesso divenne un massone nel febbraio 17315 e Gran Maestro Provinciale della Pennsylvania nel 1734. Quello stesso anno, fece stampare il primo libro massonico pubblicato in America, un'edizione della Costituzione di Anderson. Nel frattempo, era stata fondata a Filadelfia la prima loggia americana che figura negli archivi. I suoi primi documenti giunti fino a noi ed etichettati come il "secondo" libro dei verbali, data dal 1731, per cui il primo libro, ammesso che esistesse, doveva coprire almeno l'anno precedente.6 Molte delle prime logge americane - comprese, molto probabilmente, alcune di cui non esistono più gli archivi e di cui non possiamo quindi sapere nulla - erano "irregolari", per usare il termine proprio della Massoneria. Per
diventare "regolare" o "regolarizzata", una loggia doveva essere "autorizzata": ossia doveva ricevere uno statuto da un organo dirigente superiore, una Grande Loggia o, per così dire, una loggia madre. Così, ad esempio, la Grande Loggia d'Inghilterra avrebbe rilasciato autorizzazioni alle proprie propaggini, o nuove logge, nelle colonie americane. Ma le autorizzazioni potevano essere rilasciate anche da altri organi, come la Grande Loggia d'Irlanda che offriva i cosiddetti "gradi superiori" e altri elementi caratteristici della Massoneria giacobita che, dopo il 1745, era stata spogliata del suo orientamento specificamente politico e stuardista, ma serbava la sua qualità precipuamente cavalleresca. La prima loggia che risulta autorizzata o istituita ufficialmente in America è la Saint John's Lodge di Boston, fondata nel 1733 su autorizzazione della Grande Loggia d'Inghilterra.7 Nello stesso anno, come abbiamo visto, la Grande Loggia stava anche raccogliendo denaro da inviare ai suoi confratelli nella colonia di Oglethorpe in Georgia, sebbene non si abbia notizia di specifiche logge autorizzate o meno prima del 1735, quando ne venne istituita una a Savannah. Frattanto, il Massachusetts, nel 1733, aveva già autorizzato una Grande Loggia Provinciale, sotto il Gran Magistero di Henry Price. Il vice Gran Maestro era Andrew Belcher, figlio del Jonathan Belcher che era stato iniziato in Inghilterra nel 1704.8 Fra il 1733 e il 1737, la Grande Loggia d'Inghilterra autorizzò Grandi Logge Provinciali in Massachusetts, New York,
Pennsylvania e South Carolina. In Georgia, New Hampshire e altri futuri Stati, vi erano una o più logge locali ma nessuna Grande Loggia Provinciale. Per quanto riguarda la Virginia, tutta la documentazione è andata perduta, ma si presume che vi fossero logge autorizzate non dalla Grande Loggia d'Inghilterra, ma dalla Grande Loggia semi-giacobita di York.
Le logge militari Mentre la Massoneria (quasi esclusivamente sotto gli auspici della Grande Loggia d'Inghilterra) si diffondeva nelle colonie, avvenne un altro sviluppo che avrebbe avuto un effetto molto più profondo sulla storia americana. Dal 1732 la Massoneria era andata diffondendosi anche nell'esercito britannico sotto forma di logge reggimentali «da campo». Queste logge erano mobili e trasportavano le loro insegne e le loro suppellettili in bauli insieme alle bandiere del reggimento, all'argenteria e ad altri accessori prettamente militari. Spesso, il colonnello comandante presiedeva in qualità di maestro originario della loggia e in seguito poteva essere sostituito da altri ufficiali. Le logge reggimentali avrebbero avuto un profondo effetto sull'esercito nel suo complesso. Rappresentavano, come vedremo, un canale di comunicazione per riparare i torti. E proprio come le logge civili riunivano uomini di diversi ambienti e classi sociali, così le logge da campo riunivano ufficiali e uomini di truppa, subalterni e comandanti più anziani. Di conseguenza venne a crearsi un clima in cui i
soldati giovani e dinamici - come James Wolfe, ad esempio - potevano mettersi in luce, a prescindere dalla casta. La prima loggia nell'esercito britannico fu creata nel 1° fanteria, che prese poi il nome di Royal Scots, nel 1732.9 Nel 1734 vi erano cinque di queste logge. Nel 1755 ve n'erano ventinove. Fra i reggimenti che possedevano le proprie logge da campo vi erano quelli noti poi come i Royal Northumberland Fusiliers, i Royal Scots Fusiliers, i Royal Inniskilling Fusiliers, il Gloucestershire Regiment, il Dorset Regiment, il Border Regiment e il Duke of Wellington's (West Riding). Particolarmente significativo è il fatto che queste logge non erano state autorizzate dalla Grande Loggia d'Inghilterra, ma dalla Grande Loggia irlandese, che offriva i gradi superiori caratteristici della Massoneria giacobita. Inoltre, queste logge erano state autorizzate prima del 1745, quando i gradi superiori cominciarono ad essere purgati del loro orientamento giacobita. Allo stesso tempo, naturalmente, la Massoneria si era insediata anche negli alti comandi militari e negli alti gradi dell'amministrazione civile e comprendeva alcune delle figure più eminenti del tempo. Il duca di Cumberland, ad esempio, figlio minore di Giorgio II, era massone. Così pure, sembra, il generale sir John Ligonier, il più importante comandante militare britannico intorno al 1740. Durante la ribellione giacobita del 1745, Ligonier comandava l'esercito britannico nelle Midlands. Un anno
dopo, venne trasferito in continente, dove ebbe un ruolo determinante nelle operazioni durante la guerra di successione d'Austria. Le esatte affiliazioni massoniche di Ligonier non sono state stabilite con sicurezza, ma egli figura, fin dal 1732, nella lista di sottoscrittori dell'opera di James Anderson, insieme ad alcuni illustri massoni come Desaguliers, il conte di Abercorn e il conte di Dalkeith, tutti e tre ex Gran Maestri della Grande Loggia. Fra i subordinati di Ligonier vi era l'uomo che sarebbe emerso come il comandante britannico forse più importante del suo tempo, il futuro lord Jeffrey Amherst, che avrà un posto di primo piano in questa narrazione. Amherst ottenne il brevetto di ufficiale nel 1 ° Foot Guards (ora Grenadier Guards) agli ordini di Ligonier, che lo nominò suo aiutante di campo. Prima di passare a più alti incarichi in America, prestò servizio con Ligonier in Continente durante la guerra di successione austriaca. Nel 1756 divenne tenente colonnello del 15° fanteria (poi East Yorkshire Regiment), dove la loggia da campo, istituita due anni prima, continuò a funzionare sotto i suoi auspici.10 Successivamente sarebbe diventato colonnello del 3° fanteria (i Buffs o East Kent Regiment) e del 60° fanteria (noto allora come i Royal Americans, poi come il King's Royal Rifle Corps e ora come i Royal Greenjackets). In entrambe le unità, vennero istituite logge da campo sotto la sua egida.11 Lo sponsor di Amherst - l'uomo che aveva pagato il suo brevetto - era un amico di famiglia, Lionel Sackville, primo
duca di Dorset, compagno del duca di Wharton insieme a cui divenne cavaliere della Giarrettiera nel 1741. Sackville aveva due figli. Il maggiore, Charles, conte di Middlesex, fondò una loggia massonica a Firenze nel 1733.12 Insieme con sir Francis Dashwood, fondò anche la Società dei Dilettanti, che contava molti massoni fra i suoi membri. Nel 1751 sia lui che Dashwood facevano parte di un'importante cerchia di massoni legata alla corte di Federico, principe di Galles, che era lui stesso un massone.13 Il figlio minore di Sackville, George, si occupava anch'egli attivamente di questioni massoniche. Nel 1746, era colonnello del 20° fanteria (poi Lancashire Fusiliers) e s'interessò particolarmente alla loggia del reggimento, diventando persino il suo Maestro ufficiale.14 Uno dei suoi due reggenti era il tenente colonnello Edward Cornwallis (fratello gemello di un futuro arcivescovo di Canterbury), che nel 1750 fu nominato governatore della Nuova Scozia e vi fondò la prima loggia. Fra i sottordine di Cornwallis vi era il giovane capitano James Wolfe, che si era già fatto la fama di ufficiale brillante e audace sotto il duca di Cumberland, poi sotto sir John Ligonier in continente. In seguito, naturalmente, lavorando in stretto accordo con Amherst, Wolfe avrebbe avuto un ruolo decisivo nel corso della storia nordamericana. Nel frattempo, lo stesso George Sackville era diventato Gran Maestro della Grande Loggia irlandese nel 1751.15 Otto anni dopo, durante la guerra dei Sette anni, sarebbe stato accusato di codardia
nella battaglia di Minden, sottoposto a corte marziale ed esonerato dal servizio. Tuttavia, il suo rapporto di amicizia con Giorgio III gli permise di conservare il suo rango negli ambienti governativi. Nel 1775, col titolo di lord Germain, fu nominato Segretario per le Colonie. Fu in questa veste che prestò servizio durante la guerra d'indipendenza americana.
La guerra franco-indiana Gli eventi avrebbero ben presto accomunato la Massoneria americana con quella dell'esercito inglese come mai prima di allora. Notevoli contingenti di truppe regolari britanniche, sia ufficiali che soldati, avrebbero ben presto lavorato in stretto accordo con i coloni, istruendoli nelle procedure, addestrandoli alle operazioni militari e trasmettendo loro, nel contempo, anche altre cose: non ultimo il corpus della Massoneria "di grado superiore" (ex giacobita). E questa Massoneria sarebbe stata un canale ideale per il tipo di rapporto e senso di fratellanza che tende generalmente a svilupparsi fra i compagni d'armi. Naturalmente, vi erano già state operazioni militari in America, dove gli interessi britannici e francesi si erano scontrati fin dall'inizio del XVIII secolo. Durante la guerra di successione spagnola (1701-14), un attacco congiunto franco-spagnolo contro Charleston, in South Carolina, venne respinto con successo. Vi furono anche piccole scaramucce fra coloni britannici e francesi intorno al confine canadese e il territorio francese chiamato Acadia
venne conquistato e ribattezzato Nuova Scozia. Un quarto di secolo dopo, durante la guerra di successione austriaca (1740-48), vi furono nuove operazioni in America, questa volta su scala leggermente più vasta. Nel 1745 coloni del New England espugnarono la fortezza francese di Louisbourg a Cape Breton Island, che presidiava l'imboccatura del San Lorenzo. Ma anche in questo caso le operazioni nel Nordamerica erano periferiche, semplici postille alle campagne più importanti che venivano condotte in Europa. Impegnavano numeri ridottissimi di truppe regolari, ufficiali di grado relativamente basso ed erano poco più che scaramucce.
La guerra franco-indiana (1754-1760).
Nel 1756, tuttavia, scoppiò la guerra dei Sette anni in Europa; e questa volta le operazioni militari e navali su vasta scala si allargarono molto di più, estendendosi non soltanto fino all'America, ma addirittura all'India. Le truppe britanniche sarebbero state impegnate nuovamente in campagne nel continente, ma in numero relativamente modesto al confronto delle forze francesi, austriache e prussiane. Il principale teatro di operazioni dell'esercito britannico sarebbe stato il Nordamerica; e i fiumi e le foreste del Nuovo Mondo avrebbero assistito a scontri fra eserciti europei di considerevoli dimensioni, altamente
addestrati e ben collaudati su una scala che sarebbe stata inconcepibile mezzo secolo prima. Fra il 1745 e il 1753 la popolazione inglese del Nordamerica era cresciuta a dismisura e non soltanto per l'arrivo di esuli o profughi giacobiti. Fin dal 1754, Benjamin Franklin aveva presentato un progetto per unire tutte le colonie che il governo inglese aveva respinto. Se l'accentramento politico era stato negato, tuttavia l'organizzazione, le comunicazioni e il commercio si sviluppavano rapidamente e il bisogno di espandersi a ovest diveniva sempre più pressante. Ma quando i coloni della Virginia cominciarono a trasferirsi nella valle dell'Ohio nella Pennsylvania occidentale, minacciarono di tagliare il collegamento fra il territorio francese in Canada, sul San Lorenzo, e quello sul Mississippi; e quando un contingente della milizia coloniale agli ordini del giovane George Washington fu inviato nella regione a costruire un forte, scoppiarono violenti combattimenti. I primi quattro anni di guerra furono segnati da disastri militari, alcuni dei quali abbastanza gravi da ripercuotersi fino in Inghilterra. Nell'aprile 1755 una colonna britannica - composta di truppe regolari e coloniali - al comando del generale Edward Braddock cadde in un'imboscata tesa dalle truppe francesi e dai loro alleati indiani vicino a Fort Duquesne. La colonna fu praticamente annientata, Braddock fu ferito a morte e Washington, suo aiutante di campo, si salvò a stento. Seguì una serie di ulteriori disfatte. Uno dopo l'altro, i forti britannici nel nord dell'attuale Stato di New York caddero in mano nemica e un massiccio attacco generale
in stile europeo teso a riconquistare Fort Ticonderoga venne respinto con perdite spaventose. Fra i caduti vi erano lo stesso comandante, generale James Abercrombie, e lord George Howe, uno dei giovani ufficiali più promettenti dell'esercito britannico a quell'epoca. Prima della sua morte, Howe era stato uno dei principali innovatori ed esperti del tipo di guerra irregolare che avrebbe caratterizzato le operazioni in Nordamerica. Insieme ad Amherst e Wolfe, aveva aiutato validamente l'esercito ad adattarsi alla tattica più flessibile e moderna imposta dai fiumi e dalle foreste delle regioni selvagge in cui ora doveva combattere, abbandonando le rigide manovre dei campi di battaglia europei. Secondo un eminente storico militare: [Howe] gettò al vento tutto l'addestramento e i preconcetti della caserma, si unì agli irregolari nelle loro scorribande... adottò l'abbigliamento dei suoi rudi compagni e divenne uno di loro. Dopo essersi ben istruito, cominciò a impartire le lezioni che aveva imparato [...] Fece buttare via a uomini e ufficiali... tutti gli impacci inutili; tagliò loro i capelli e le falde delle giubbe, brunì le canne dei loro moschetti, rivestì i loro arti inferiori di gambali per proteggerli dai rovi e riempì gli spazi vuoti nei loro zaini con trenta libbre di carne, in modo da renderli autosufficienti per settimane [...].16
La morte di Howe a Ticonderoga privò l'esercito britannico di una delle sue figure più intraprendenti, fantasiose e audaci, un uomo che mostrava di avere la stoffa di un grande comandante. Ma Ticonderoga sarebbe stata l'ultima grave disfatta britannica della guerra. In
Inghilterra, William Pitt, poi conte di Chatham, era diventato Segretario di Stato e aveva intrapreso un massiccio rimpasto dell'esercito e della Royal Navy. Gli ufficiali antiquati, dottrinari e dalla mente ristretta vennero congedati, retrocessi o scavalcati, e i comandi vennero affidati a una schiera di uomini più giovani, più dinamici, più duttili e più innovatori. In Nordamerica, i più importanti di questi erano James Wolfe, allora trentunenne, e Amherst, di dieci anni più anziano, che, dietro consiglio del suo vecchio superiore, sir John Ligonier, venne nominato maggior generale e comandante in capo. Fra i più validi subordinati di Wolfe e Amherst vi erano Thomas Desaguliers, figlio dell'illustre massone, e William Howe, fratello minore di George e poi figura centrale nella guerra d'indipendenza americana.17 Come comandante in capo, Amherst aveva più possibilità di quanto ne avesse avute lord George Howe d'introdurre nuove tecniche e tattiche nell'esercito. Adottò le innovazioni di Howe e ne creò parecchie altre: reggimenti di fucilieri o tiratori scelti vestiti di verde scuro, reparti di rangers per operazioni di perlustrazione e di guerriglia, fanteria leggera. Un reggimento di fanteria leggera, destinato specificamente alla perlustrazione e alle scaramucce, portava giubbe marroni scure senza falde, trine o guarnizioni di alcun genere. Alcune truppe erano persino vestite alla maniera indiana. Numerosi ufficiali coloniali impararono il mestiere da Amherst: ufficiali che in seguito si sarebbero distinti nella guerra d'indipendenza americana. Fu da Amherst che
uomini come Charles Lee, Israel Putnam, Ethan Alien, Benedict Arnold e Philip John Schuyler appresero sia la disciplina del soldato di professione che la tattica specificamente adatta alla guerra in Nordamerica. E sebbene a quell'epoca Washington avesse già dato le dimissioni, anche lui conosceva Amherst e ne fu profondamente influenzato. Nel luglio 1758 Amherst e il suo seguito di giovani e brillanti subordinati riconquistò Louisbourg, conquistata inizialmente durante la guerra di successione austriaca e poi perduta. Tre mesi e mezzo dopo, un'altra colonna britannica conquistò Fort Duquesne, lo rase al suolo e lo ricostruì come Fort Pitt, dove ora sorge Pittsburgh. Durante l'anno seguente, Amherst avanzò a nord di New York, catturando un forte dopo l'altro, compreso Ticonderoga. Nel settembre 1759 Wolfe, con William Howe al comando della colonna avanzata, compì una delle più audaci imprese della storia militare, risalendo il San Lorenzo a bordo di navi, poi scalando le pareti a strapiombo delle alture di Abraham fuori della cittadella di Quebec con 4000 uomini. Nella battaglia che seguì, Wolfe e il comandante francese, il marchese de Montcalm, morirono, ma ormai la marea aveva girato. Operazioni sparse continuarono per un altro anno; poi, nel settembre 1760, Montreal, assediata da Amherst e William Howe, capitolò e la Francia cedette le sue colonie nordamericane alla Gran Bretagna. L'afflusso di soldati regolari britannici in Nordamerica portò con sé un afflusso di Massoneria: in particolare quella di "grado superiore" autorizzata dalla Grande
Loggia irlandese. Dei diciannove reggimenti di linea al comando di Amherst, non meno di tredici avevano logge da campo in funzione.18 Il tenente colonnello John Young che comandava un battaglione del 60° fanteria, uno dei reggimenti agli ordini di Amherst sia a Louisbourg che a Quebec - era stato nominato, fin dal 1736, Vice Gran Maestro della Grande Loggia di Scozia da sir William Saint Clair di Rosslyn.19 Nel 1757 era diventato Gran Maestro Provinciale di tutte le logge scozzesi in America e nelle Indie Occidentali. Nel 1761 Young venne sostituito al comando del 60° fanteria dal tenente colonnello (poi maggior generale) Augustine Prevost. Nello stesso anno, Prevost divenne Gran Maestro di tutte le logge dell'esercito britannico autorizzate da un altro organo massonico, il Rito scozzese antico e accettato.20 Nel 1756 un certo colonnello Richard Gridley fu autorizzato «a raccogliere tutti i liberi massoni accettati nella spedizione contro Crown Point [successivamente conquistato da Amherst] e formare una o più logge». 21 Quando Louisbourg cadde nel 1758, Gridley formò lì un'altra loggia. Nel novembre 1759, due mesi dopo la conquista di Quebec da parte di Wolfe, le sei logge da campo delle truppe che occupavano la cittadella si riunirono in assemblea. Fu deciso che «essendovi tante logge nella guarnigione di Quebec», dovevano formare una Grande Loggia ed eleggere un Gran Maestro.22 Di conseguenza, il tenente John Guinet del 47° fanteria (poi Lancashire Regiment) fu eletto Gran Maestro della
Provincia di Quebec. Gli succedette un anno dopo il colonnello Simon Fraser, comandante del 78° fanteria, i Fraser Highlanders.23 Particolare abbastanza significativo, Fraser era figlio di lord Lovat, che, in qualità di eminente giacobita, aveva avuto un ruolo importante nella ribellione del 1745 e aveva meritato il dubbio onore di essere l'ultimo uomo giustiziato a Tower Hill. Nel 1761 Thomas Span del 47° fanteria succedette a Simon Fraser come Gran Maestro Provinciale di Quebec e fu sostituito a sua volta, nel 1762, dal capitano Milborne West dello stesso reggimento, che, nel 1764, divenne Gran Maestro Provinciale di tutto il Canada. Uno degli aspetti più interessanti di tutto questo è che gli uomini chiamati a occupare cariche così elevate erano di grado relativamente basso, di origini modeste e generalmente oscuri. In massima parte non erano aristocratici, non salirono mai alla ribalta pubblica, non fecero nemmeno una brillante carriera nell'esercito. Dalle nomine di persone come il tenente Guinet e il capitano West, si può capire un po' come funzionassero le logge reggimentali da campo, come permeassero l'intera catena gerarchica militare e perché godessero di tanta popolarità. Un subalterno come il tenente Guinet sarebbe stato in contatto quotidiano con la truppa, che, nell'ambito della loggia, poteva trattarlo da eguale. Al tempo stesso, come Gran Maestro Provinciale di Quebec, sarebbe stato a capo di ufficiali che, nella gerarchia militare, erano molto superiori a lui. Le logge da campo creavano così una fluidità d'interazione e di comunicazione che, nel contesto
dell'epoca, era un fenomeno sociale straordinario e probabilmente unico. Non è sorprendente che la Massoneria, così presente nell'esercito di Amherst, fosse trasmessa agli ufficiali e ai reparti coloniali che lo affiancavano. I comandanti e il personale americano afferravano al volo qualsiasi opportunità di diventare non soltanto compagni d'arme, ma anche fratelli massoni. Legami fraterni si formarono così fra le truppe britanniche regolari e i loro colleghi coloniali. Le logge proliferarono, i gradi e i titoli massonici vennero conferiti come medaglie o come promozioni. Uomini come Israel Putnam, Benedict Arnold, Joseph Frye, Hugh Mercer, John Dixon, David Wooster e, naturalmente, lo stesso Washington non si guadagnarono soltanto gli allori militari. Furono anche introdotti nella Massoneria, se non ne facevano già parte.24 E anche quelli che non divennero massoni praticanti erano costantemente a contatto con la Massoneria che dilagò fuori dall'esercito britannico e si mescolò con le giovani logge già istituite nelle colonie. In questo modo, la Massoneria avrebbe permeato tutta l'amministrazione, la società e la cultura coloniale. Ma non era soltanto la Massoneria in sé: non erano soltanto i suoi riti, i suoi rituali, le sue tradizioni, le sue opportunità e i suoi benefici. La Massoneria serviva anche a trasmettere con particolare efficacia un'atmosfera, una mentalità, una gerarchia di atteggiamenti e di valori. A quel tempo era la depositaria di un idealismo fantasiosamente stimolante e potente, che riusciva a diffondere in una
maniera tutta sua. La maggioranza dei coloni non leggeva direttamente Locke, Hume, Voltaire, Diderot o Rousseau più di quanto li leggesse la maggioranza dei soldati britannici. Tuttavia, attraverso le logge, le correnti di pensiero legate a quei filosofi divennero accessibili a tutti. Fu in larga misura attraverso le logge che i "semplici" coloni vennero a conoscenza di quella nobile premessa chiamata «i diritti dell'uomo». Fu attraverso le logge che appresero il concetto di perfettibilità della società. E il Nuovo Mondo sembrava offrire una specie di lavagna vuota, una specie di laboratorio in cui gli esperimenti sociali erano possibili e i princìpi gelosamente custoditi dalla Massoneria potevano essere messi in pratica.
1 Cerza, in Cook (a cura di), Colonial Freemasonry, p. 106. 2 Ivi, p. 107. 3 The Boston Newsletter, 5 gennaio 1719; cfr. Transactions of the American Lodge of Research, vol. IV, 1942-47, p. 130. 4 Heaton, in Cook, op. cit., p. 153. 5 La Fontaine, Benjamin Franklin, p. 5. 6 Heaton, in Cook, op. cit., p. 156. 7 Cerza, La Massoneria coloniale negli Stati Uniti d'America, pp. 224-25; cfr. anche Sherman and Sanford in Cook, op. cit., pp. 72-74. 8 Sherman and Sanford in Cook, op. cit., p. 74. 9 Gould, The History of Freemasonry, vol.VI, p. 401. Questa era la Loggia n. 11 sulla lista della Grande Loggia irlandese, autorizzata il 7 novembre 1732 e soppressa con restituzione dell'autorizzazione da parte del
colonnello Maunsell nell'aprile 1847; cfr. Crossle, Irish Masonic Records, p. 22. 10 Loggia n. 245, Registro irlandese, autorizzata nel 1754; cfr. Gould, op. cit., vol. VI, p. 401. 11 Loggia n. 170, Grande Loggia degli Antichi, istituita nel 3° fanteria nel 1771; e Loggia n. 448, Grande Loggia inglese, istituita nel 60° fanteria nel 1764; vedi Gould, ivi, pp. 401, 402. 12 Cfr. Lepper, Il conte di Middlesex e la Loggia inglese a Firenze, p. 6. 13 I massoni alla corte di Federico erano: Robert Nugent, Sovrintendente della Real Casa, Junior Grand Warden, Grande Loggia d'Irlanda nel 1732; Arthur Saint Leger, visconte Doneraile, Gran Maestro della Grande Loggia d'Irlanda nel 1740; Charles Sackville, conte di Middlesex, fondatore della Loggia a Firenze nel 1733, presumibilmente legata alla Grande Loggia irlandese; Joseph Sirr, Scudiero, poi nel 1773 e 1774, rispettivamente Junior Grand Warden e Senior Grand Warden nella Grande Loggia d'Irlanda; Henry Brydges, marchese di Carnarvon, Gentiluomo di Camera, nel 1737 Gran Maestro della Grande Loggia d'Inghilterra; e il cappellano di Federico nel 1727, l'onnipresente dottor John Desaguliers, che nel 1719 era stato Gran Maestro della Grande Loggia d'Inghilterra e poi occupò varie alte cariche nell'Ordine. Fu Desaguliers a iniziare lo stesso Federico nel 1737. 14 Una loggia venne autorizzata inizialmente nel 20° fanteria fra il novembre 1736 e il febbraio 1737. Tuttavia, sembra che questa autorizzazione andasse perduta, giacché lord George Sackville stesso nel dicembre 1748 ottenne un «Ordine di Conferma» per la Loggia n. 63 (Grande Loggia irlandese). I suoi due reggenti erano il tenente colonnello Edward Cornwallis e il capitano Milburne; cfr. Rogers, Logge militari nei reggimenti Lancashire, p. 106. 15 Lepper, History of the Grand Lodge of Free and Accepted Masons of Ireland, pp. 182-83. 16 Fortescue, A History of the British Army, vol. II, p. 323. Howe era il colonnello del 55° fanteria che, nel 1743, aveva la prima loggia militare autorizzata dalla Grande Loggia di Scozia; cfr. Gould, op. cit., p. 402 17 Thomas Desaguliers servì sotto Wolfe a Louisbourg come colonnello
del 3° battaglione della Royal Artillery e divenne tenente generale nella Royal Artillery e scudiero di Giorgio III. Si sa che era un massone attivo, ma manca la documentazione sulla sua carriera nella Massoneria; cfr. Gould, op. cit., vol. IV, p. 350, che ritiene che lui fosse probabilmente ammesso nella Loggia Horn. Certamente, nel 1738, è elencato come massone nella seconda edizione delle Constitutions di Anderson (p. 229). 18 Cfr. Appendice 1. 19 Gould, op. cit., vol. V, p. 51. 20 Ivi, pp. 59-60. 21 Ivi, vol. VI, p. 410. Il colonnello Richard Gridley era il fratello minore di Jeremy Gridley, Gran Maestro Provinciale del Nordamerica dal 1755, con sede a Boston. Richard Grisley venne promosso Maestro massone il 4 aprile 1746, nella Loggia di Saint John a Boston. Nel 1769 era Vice Gran Maestro della Grande Loggia di Saint John. Terminò la carriera militare col grado di maggior generale di artiglieria nell'esercito continentale. 22 Rogers, op. cit., p. 108. 23 Per maggiori particolari sulla Grande Loggia di Quebec, cfr. ivi, e Milborne, La Loggia nel 78° reggimento (Fraser Highlanders). 24 I sottoindicati erano massoni prima, durante o subito dopo la guerra franco-indiana e arrivarono al grado di generale nell'esercito continentale: generale Benedict Arnold, prima del 1765; generale Joseph Frye, prima del 1760; generale Richard Gridley, 1746; generale Hugh Mercer, 1761; generale John Nixon, prima del 1762; generale Israel Putnam, 1758; generale George Washington, 1752; generale Richard Montgomery, accettato nel 1775, presumibilmente aderì alla Loggia nel 17° fanteria durante la guerra franco-indiana, ma non resta alcuna documentazione; generale David Wooster, Maestro della Hiram Lodge n.l, New Haven, 1750, ma non si conosce la data di ammissione. Cfr. Heaton, Masonic Membership of the Founding Fathers e Denslow, 10.000 Famous Freemasons.
16 Emergono i leader massonici
Uno degli interrogativi fondamentali sulla guerra d'indipendenza americana è come e perché la Gran Bretagna riuscì a perderla. Giacché la guerra non fu tanto vinta dai coloni americani quanto persa dagli inglesi. La Gran Bretagna da sola, indipendentemente dagli sforzi dei coloni, aveva la capacità di vincere o perdere il conflitto; e mancando la determinazione di vincere, la guerra fu persa più o meno per omissione. In quasi tutti i conflitti - la guerra di successione spagnola, ad esempio, la guerra dei Sette anni, le guerre dell'epoca napoleonica, la guerra di secessione americana, la guerra franco-prussiana, le due guerre mondiali del nostro secolo - la vittoria o la sconfitta dell'uno o l'altro contendente può essere spiegata in termini militari. Nella maggioranza di quei conflitti, lo storico può indicare
uno o due fattori specifici: certe decisioni tattiche o strategiche, certe campagne, certe battaglie, certe considerazioni logistiche (come le linee di rifornimento o il volume della produzione industriale), o il semplice processo di logoramento. Uno qualsiasi di questi fattori, può affermare lo storico, singolarmente o in combinazione con altri, provocò il crollo di uno dei combattenti, o lo mise nell'impossibilità di continuare a combattere. Ma nella guerra d'indipendenza americana non vi sono fattori che lo storico possa validamente indicare. Persino le due battaglie considerate abitualmente decisive - Saratoga e Yorktown - si possono considerare tali solo in termini di morale americano, o forse, col senno di poi, in termini di "spartiacque" ideali. Nessuno dei due scontri annientò, o ridusse drasticamente la capacità della Gran Bretagna di continuare a combattere. Entrambi coinvolsero solo in minima parte le truppe britanniche dislocate in Nordamerica. La guerra sarebbe continuata per quattro anni dopo Saratoga e durante quel tempo la sconfitta britannica fu compensata da una serie di vittorie. E quando Cornwallis si arrese a Yorktown, il grosso delle forze britanniche in Nordamerica era ancora intatto, ancora ben piazzato per continuare le operazioni altrove, ancora in una posizione di vantaggio strategico e numerico. Non vi fu, nella guerra d'indipendenza americana, una vittoria conclusiva paragonabile a Waterloo, nessuna "svolta" ineluttabile paragonabile a Gettysburg. Sembra quasi che tutti fossero semplicemente stanchi, annoiati, avessero perso interesse e deciso di fare i bagagli e tornarsene a
casa. Nei libri di storia americani, certe spiegazioni standard vengono abitualmente presentate come spiegazioni militari della sconfitta britannica poiché, naturalmente, tali spiegazioni equivalgono a un attestato del valore americano in campo. Così, ad esempio, viene spesso suggerito, se non apertamente dichiarato, che tutte le colonie nordamericane si levarono in armi e la Gran Bretagna dovette affrontare un intero continente ostile: una situazione simile a quella di Napoleone o Hitler quando invasero la Russia e un intero popolo si unì per respingere l'aggressore. Ancora più spesso, si sostiene che l'esercito britannico si trovava fuori dal suo elemento nelle regioni selvagge del Nordamerica ed era impreparato e inadatto per il tipo di guerriglia irregolare praticato dai coloni e imposto dal terreno. E spesso si afferma in generale che i comandanti britannici erano incompetenti, inetti, pigri, corrotti, inferiori al nemico per astuzia e abilità di manovra. Vale la pena di esaminare queste asserzioni una per una. Di fatto, l'esercito britannico non si trovò di fronte un continente o un popolo appassionatamente unito contro di esso. Dei trentasette giornali pubblicati nelle colonie nel 1775, ventitré erano favorevoli alla ribellione, sette erano fedeli alla Gran Bretagna e sette erano neutrali o indifferenti. Ammettendo che questa suddivisione rispecchiasse gli atteggiamenti della popolazione, un buon 38 per cento non era disposto a lottare per l'indipendenza. In realtà, un cospicuo numero di coloni rimase attivamente fedele a quella che considerava la madrepatria. Facevano
volontariamente la spia, fornivano volontariamente informazioni, ospitalità e viveri alle truppe britanniche. Molti di loro presero effettivamente le armi e scesero in campo contro gli altri coloni, a fianco delle unità regolari britanniche. Nel corso della guerra, vi furono non meno di quattordici reggimenti "lealisti" affiliati all'esercito britannico. Né si può sostenere che l'esercito britannico era inadatto e impreparato per il genere di guerra che veniva condotto in Nordamerica. In primo luogo, e contrariamente a un'impressione diffusa, la campagna di guerra non era basata in prevalenza su combattimenti irregolari. Predominavano gli assedi e le battaglie convenzionali uguali a quelle combattute in Europa, proprio del tipo in cui eccellevano l'esercito britannico e i mercenari che ne facevano parte. Ma anche quando si ricorreva alla guerriglia, le truppe britanniche non erano in svantaggio. Come abbiamo visto, Amherst, Wolfe e i loro subordinati, appena trent'anni prima, avevano impiegato esattamente quel tipo di guerra per strappare il Nordamerica alla Francia. In verità, l'esercito britannico era stato un pioniere del genere di combattimento imposto a volte dalle foreste e dai fiumi in cui le tecniche e le formazioni del campo di battaglia europeo erano fuori luogo. I mercenari potevano effettivamente trovarsi a malpartito di fronte a simili tattiche, ma le unità britanniche come il 60° fanteria (il vecchio reggimento fucilieri di Amherst) potevano battere (e spesso battevano) i coloni al loro stesso gioco: un gioco che, dopo tutto, quasi tutti i capi militari dei coloni avevano
appreso dai comandanti britannici. Rimane l'accusa d'incompetenza e d'inettitudine da parte dei comandanti britannici. Per quanto riguarda uno di quei comandanti - sir John Burgoyne - l'accusa è probabilmente valida. Ma per quanto riguarda i tre principali comandanti - sir William Howe, sir Henry Clinton e lord Charles Cornwallis - non lo è. Anzi, Howe, Clinton e Cornwallis erano competenti tanto quanto i loro omologhi americani. Tutti e tre riportarono più vittorie che sconfitte contro i coloni, e vittorie più grandi e importanti. Tutti e tre avevano già dimostrato la loro abilità e avrebbero avuto occasione di dimostrarla di nuovo. Howe, in particolare, aveva avuto un ruolo di primo piano nella guerra contro i francesi vent'anni prima, aveva appreso la tattica irregolare dal fratello morto a Ticonderoga, aveva servito sotto Amherst a Louisbourg e Montreal, aveva guidato le truppe di Wolfe sulle alture di Abraham a Quebec. E fra il 1772 e il 1774 era stata sua l'idea d'introdurre compagnie di fanteria leggera nei reggimenti di linea. Clinton era nato a Terranova, era cresciuto lì e a New York, aveva prestato servizio nella milizia locale prima di arruolarsi nella Guardia e andare a combattere in continente dove la sua ascesa nella gerarchia militare era stata definita «meteorica». Anche Cornwallis si era distinto durante la guerra dei Sette anni. Successivamente, durante i combattimenti nel Mysore, aveva riportato una serie di vittorie che aveva assicurato alla Gran Bretagna il controllo dell'India meridionale e, nel contempo, era stato il mentore del giovane sir Arthur Wellesley, poi duca di Wellington. E
durante la ribellione del 1798 in Irlanda, Cornwallis si dimostrò non soltanto un abile stratega, ma anche un uomo saggio e umano, che doveva moderare continuamente la brutalità dei suoi troppo zelanti subordinati. In breve, questi comandanti non erano inetti o incompetenti. Ma se l'alto comando britannico durante la guerra d'indipendenza americana non era incompetente o inetto, era stranamente dilatorio, sconnesso, apatico, persino torpido in una misura mai spiegata in modo soddisfacente dagli storici. Venivano scioccamente ignorate opportunità che sarebbero state colte al volo da uomini molto meno efficienti. Le operazioni venivano condotte con fare apatico, quasi da sonnambuli. La guerra, insomma, non veniva condotta con la fredda determinazione necessaria per vincere: la determinazione dimostrata dagli stessi comandanti contro avversari diversi dai coloni americani. In effetti, la Gran Bretagna non perse la guerra in Nordamerica per ragioni militari, ma per altri fattori del tutto diversi. Era una guerra profondamente impopolare, più o meno come lo sarebbe stata la guerra combattuta in Vietnam dagli Stati Uniti due secoli dopo. Era sgradita al pubblico britannico, alla maggioranza del governo, a quasi tutto il personale impegnato direttamente nelle operazioni: soldati, ufficiali e comandanti. Clinton e Cornwallis combattevano entrambi sotto costrizione e con estrema riluttanza. Howe era ancora più duro ed espresse a più riprese la sua collera, il suo disagio e la sua frustrazione per essersi dovuto addossare quel comando. Suo fratello, l'ammiraglio Howe, la pensava come lui. I coloni, dichiarò,
erano «i più oppressi e disgraziati della terra».1 La posizione di Amherst era ancora più bellicosa. Allo scoppio delle ostilità, aveva cinquantanove anni: quindici più di Washington, dodici più di Howe, ma era ancora perfettamente in grado di condurre le operazioni. In seguito ai suoi successi nella guerra dei Sette anni, era diventato governatore della Virginia e aveva ulteriormente sviluppato la sua esperienza di guerra irregolare durante la ribellione indiana guidata dal capo Pontiac. All'inizio della guerra d'indipendenza americana, era comandante in capo dell'esercito britannico e mordeva il freno, irritato dalla burocrazia e dal tedio del suo incarico "sedentario". Se Amherst avesse assunto il comando in Nordamerica e (insieme al suo antico sottordine, Howe) avesse condotto la campagna con il vigore dimostrato contro i francesi vent'anni prima, gli eventi avrebbero indubbiamente seguito un altro corso. Ma Amherst manifestò lo stesso disgusto di quelli che scesero malvolentieri in campo; e in virtù del suo grado più elevato, potè concedersi il lusso di rifiutare. La prima offerta venne nel 1776 e Amherst la declinò. Nel 1778 lo avvicinarono di nuovo. Questa volta non venne nemmeno interpellato. Il re, Giorgio III, lo nominò comandante in capo in America e gli ordinò di assumere la direzione della guerra laggiù. Minacciando di dare le dimissioni, Amherst rifiutò di obbedire all'ordine diretto del re. Tentativi di convincerlo da parte di membri del governo risultarono ugualmente vani. Per Amherst, per Howe, per quasi tutti gli altri comandanti britannici, come per la maggioranza del
pubblico britannico in generale, la guerra d'indipendenza americana era una specie di guerra civile. In effetti, si trovarono, con loro sconcerto, a dover combattere contro avversari che erano inglesi come loro, a cui erano spesso legati non soltanto dalla lingua, dal retaggio comune, dagli usi e costumi, ma anche, in molti casi, da veri e propri vincoli di parentela. Ma c'era dell'altro. Come abbiamo visto, la Massoneria, nell'Inghilterra del Settecento, era una rete estesa in tutta la società e specie nelle classi colte: i professionisti, i funzionari e gli amministratori statali, gli educatori, gli uomini che modellavano e determinavano la pubblica opinione. Aveva creato anche un clima psicologico e culturale diffuso, un'atmosfera che permeava la mentalità dell'epoca. Questo era vero soprattutto in campo militare, dove le logge da campo costituivano un collante che legava gli uomini alle loro unità, ai loro comandanti e fra di loro. E questo era ancora più vero fra i soldati semplici, che non avevano i legami di casta e di famiglia esistenti nella classe degli ufficiali. Durante la guerra d'indipendenza americana, quasi tutti i comandanti e gli uomini impegnati in entrambi i campi erano massoni praticanti o erano imbevuti degli atteggiamenti e dei valori della Massoneria. La mera prevalenza delle logge da campo faceva sì che anche i non massoni fossero costantemente a contatto con gli ideali dell'istituzione. Non poteva sfuggire il fatto che molti di quegli ideali erano incarnati in ciò per cui combattevano i coloni. I princìpi in nome dei quali essi dichiararono l'indipendenza e poi lottarono per conquistarla, erano - forse accidentalmente,
ma pur sempre diffusamente - massonici. Perciò, sia l'alto comando britannico che la truppa erano impegnati in una guerra non soltanto contro dei compatrioti, ma anche contro dei fratelli massoni. In simili circostanze era spesso difficile essere spietati. Con questo non vogliamo insinuare, naturalmente, che i comandanti britannici fossero colpevoli di tradimento. Erano, dopo tutto, soldati professionisti ed erano pronti a compiere il proprio dovere, sia pure con riluttanza. Ma si sforzavano di delimitare tale dovere il più strettamente possibile, senza fare nulla di più.
L'influenza delle logge da campo Purtroppo non vi sono ruolini, liste di membri o altre forme di documentazione che attestino in modo certo chi fossero i massoni praticanti nell'alto comando britannico. Di regola, quasi tutti i militari venivano inizialmente introdotti nelle logge da campo e queste trascuravano notoriamente di tenere un archivio e di inviare gli eventuali documenti alla loro loggia madre. Una volta costituita o autorizzata, una loggia da campo tendeva abitualmente a perdere contatto con il suo sponsor. Questo valeva soprattutto per le logge autorizzate dalla Grande Loggia irlandese che aveva già abbastanza guai con i propri archivi; ed era stata proprio quella loggia, come abbiamo visto, ad autorizzare la maggioranza delle prime logge da campo. Inoltre, in alcuni casi, le logge da campo ne autorizzavano altre senza informare la loggia madre
originaria. E quando i reggimenti venivano sciolti o amalgamati, le logge da campo emigravano, mutavano, si trapiantavano, a volte ottenevano nuove autorizzazioni da sponsor diversi. Anche al di fuori del campo militare, la documentazione era spesso terribilmente frammentaria. Si sa, ad esempio, che tutti e tre i fratelli di Giorgio III erano massoni; uno di loro, il duca di Cumberland, divenne poi Gran Maestro della Grande Loggia inglese. Tuttavia, è documentata soltanto l'iniziazione di Enrico, duca di Gloucester, il 16 febbraio 1766. 2 Non vi è alcuna indicazione di quando, dove e da chi fosse stato iniziato il duca di York, che a quell'epoca era già massone, sebbene uno storico accenni che era stato «iniziato all'estero».3 Se i dati sono così confusi e frammentari nel caso di un principe reale, tanto più lo sono nel caso di comandanti militari. Non è sorprendente, quindi, che non si possa accertare se Howe, Cornwallis e Clinton fossero realmente massoni praticanti. Tuttavia, vi sono sicuramente ampi motivi per concludere che lo erano. Dei quattro reggimenti in cui Howe servì prima di diventare generale, tre avevano logge da campo; e come colonnello, avrebbe dovuto consentire, se non presiedere, le loro attività. Come abbiamo visto, Howe servì inoltre sotto Amherst e Wolfe, in un esercito dove la Massoneria era dilagante. Durante la guerra d'indipendenza americana, le sue dichiarazioni e i suoi atteggiamenti concordavano perfettamente con quelli di noti massoni. E dei trentuno reggimenti di linea sotto il suo comando in Nordamerica, ventinove possedevano logge
da campo.4 Anche se Howe personalmente non era massone, non poteva non aver assorbito qualcosa dell'influenza massonica. Lo stesso vale per Cornwallis, che aveva un rapporto particolarmente stretto con Howe. Prima di diventare generale, servì in due reggimenti e fu il colonnello comandante di uno dei due. Entrambi avevano logge da campo. Come abbiamo visto, lo zio di Cornwallis, Edward, poi tenente generale, era diventato governatore della Nuova Scozia e nel 1750 vi aveva fondato una loggia. E in verità, l'intera famiglia Cornwallis, durante il XVIII e XIX secolo, occupava un posto di primo piano nella Massoneria inglese. Nel caso di Clinton, le prove sono un po' più ambigue. Prima di diventare generale, non servì in reggimenti di linea, ma nelle Guardie, che all'epoca non avevano logge da campo. D'altro canto, durante la guerra dei Sette anni, era aiutante di campo di Ferdinando, duca di Brunswick, uno dei massoni più attivi e influenti del suo tempo. Ferdinando era stato iniziato a Berlino nel 1740. Nel 1770 divenne Gran Maestro Provinciale per il ducato di Brunswick, sotto gli auspici della Grande Loggia inglese. Un anno dopo, divenne membro della Stretta Osservanza. Nel 1776 fondò una loggia prestigiosa ad Amburgo insieme al principe Karl di Hesse. Nel 1782 promosse il Convegno di Wilhelmsbad, un grande congresso di tutta la Massoneria europea. Come aiutante di campo di Ferdinando, Clinton doveva essere stato indiscutibilmente a contatto con la Massoneria e i suoi ideali. Inoltre, rimane
il resoconto di una «Festa di San Giovanni» celebrata dal Maestro e dai fratelli della Loggia n. 210 il 25 giugno 1781, mentre l'esercito britannico occupava New York. Secondo questo resoconto, i convenuti brindarono: Al re e alla corporazione, Alla regina... con le mogli dei massoni A sir Henry Clinton e a tutti i leali massoni All'ammiraglio Arbuthnot... e a tutti i massoni in difficoltà Ai generali Knyphausen e Reidesel... e ai fratelli ospiti Ai lord Cornwallis e Rawdon... con l'Antica Fratellanza.5
La Massoneria permeava, quindi, sia l'esercito britannico che le colonie ribelli. Tuttavia, a questo punto bisogna sottolineare che le prove che seguono non attestano l'esistenza di una "cospirazione massonica" coerente e organizzata di alcun tipo. Quasi tutti gli storici della guerra d'indipendenza americana hanno avuto la tendenza a dividersi in due gruppi per quanto riguarda la Massoneria. Alcuni scrittori estremisti, ad esempio, hanno cercato di raffigurare la guerra esclusivamente come un «evento massonico»: un movimento progettato, orchestrato e condotto da cabale di massoni secondo un grande disegno accuratamente calcolato. Questi scrittori citano spesso lunghe liste di massoni, il che prova unicamente o quasi che hanno lunghe liste di massoni da citare, e sicuramente tali liste non scarseggiano. D'altro canto, la maggioranza degli storici tradizionali aggira completamente l'aspetto massonico del conflitto. Filosofi
come Hume, Locke, Adam Smith e i philosophes francesi vengono evocati abbastanza regolarmente; ma viene trascurato l'ambiente massonico che spianò la strada a quei pensatori, che agì come una specie di fluido amniotico per le loro idee, le diffuse e le rese popolari. Di fatto, non vi era alcuna cospirazione massonica. Fra i cinquantasei firmatari della Dichiarazione d'Indipendenza, si possono identificare con sicurezza soltanto nove massoni, più altri dieci possibili. Fra i generali dell'esercito continentale, vi erano, a quanto risulta dai documenti, trentatré massoni su settantaquattro.6 D'accordo, i massoni noti erano, di regola, più importanti dei loro colleghi non affiliati e contribuirono in misura maggiore a determinare il corso degli eventi. Ma nemmeno loro agivano di concerto per attuare un grande disegno prestabilito. Non ne avrebbero avuto la possibilità. Il movimento che culminò con l'indipendenza americana era, in effetti, un esercizio costante e continuato d'improvvisazione e di quello che oggi si chiamerebbe una specie di "limitazione dei danni" ad hoc. Inattesi fatti compiuti dovevano essere affrontati, accettati, contenuti e messi a frutto passo a passo, fino a quando il successivo fatto compiuto imponeva una nuova serie di correzioni e adattamenti improvvisati. In questo processo, la Massoneria tendeva, nel complesso, a servire da freno e ad esercitare un'influenza moderatrice. Nel 1775, ad esempio, numerosi radicali militanti si agitavano già per recidere completamente i legami con la Gran Bretagna.
Come massone, il generale Joseph Warren, poi comandante delle truppe coloniali a Bunker Hill, emanava invece dichiarazioni di sfida al Parlamento, ma di fedeltà alla Corona, che anticipavano quelle degli odierni unionisti dell'Ulster. Washington era esattamente nella stessa posizione; e nel dicembre 1777, un anno dopo la Dichiarazione d'Indipendenza, Franklin era ancora disposto a rinunciare a qualsiasi idea d'indipendenza se i torti che avevano causato la guerra fossero stati riparati.7 È quindi sciocco parlare di "cospirazioni massoniche" così come ignorare del tutto il ruolo della Massoneria. Alla fine, le correnti di pensiero diffuse dalla Massoneria si sarebbero rivelate più decisive e più penetranti della Massoneria stessa. La repubblica che emerse dalla guerra non era, in senso letterale, una "repubblica massonica": non era, cioè, una repubblica creata dai massoni per i massoni in conformità agli ideali massonici. Ma incarnava effettivamente quegli ideali; ne era profondamente influenzata e doveva molto più a quegli ideali di quanto venga generalmente ammesso o riconosciuto. Come ha scritto uno storico massonico: [...] la Massoneria ha influito sulla costituzione e sullo sviluppo di questo governo [americano] più di qualsiasi altra singola istituzione. Né gli storici generici né i membri della Confraternita dal tempo delle prime Convenzioni Costituzionali si sono resi conto di quanto gli Stati Uniti d'America debbano alla Massoneria e quale ruolo importante essa abbia avuto nella nascita della nazione, contribuendo a porre le pietre miliari di quella civiltà...8
1 A letter from Cicero, the Right Hon. Lord Viscount H-E, Londra, 1781 ca., p. 19. 2 Gould, The History of Freemasonry, vol. IV, p. 344. 3 Ivi, p. 344, nota 2. Il terzo fratello del re, il duca di Cumberland, fu ammesso il 9 febbraio 1767; ivi, p. 344, nota 4. 4 Cfr. Appendice 2. 5 La Fontaine, Benjamin Franklin, p. 31, citazione da «Gaine's Mercury», 2 luglio 1781. 6 Heaton, Masonic Membership of the Founding Fathers, p. XVI. 7 Fra le carte di William Eden, lord Auckland - che dirigeva una rete di spionaggio per Giorgio III - vi è un rapporto di un agente inglese, il capitano Hynson, che dice: «sarete sorpreso di apprendere che il dottor Franklin afferma che nel momento in cui la Gran Bretagna si mostrasse disposta alla pace, lui sarebbe il primo a rinunciare a questa indipendenza. Ha detto che il signor Dean aveva fatto la stessa affermazione. Ma il dottor Franklin ha detto di sapere che loro non avevano intenzione di fare la pace, ha detto, il signor Lee viveva più lussuosamente di quanto avesse mai fatto prima ed era molto orgoglioso e quindi avrebbe voluto continuare così, perciò era l'unico che sarebbe stato contrario a rinunciare all'indipendenza ma ha dichiarato che l'idea sarebbe stata abbandonata non appena l'Inghilterra si fosse mostrata disposta alla pace...» (lettera 10 dicembre 1777, British Library. Add. Mss. 34414, f. 406). 8 Heaton, op. cit., p. IV.
17 La resistenza alla Gran Bretagna
Come abbiamo visto, la forma ortodossa o ufficiale della Massoneria inglese, esemplificata dalla Grande Loggia, offriva al massimo i primi tre gradi del "mestiere". Inizialmente i cosiddetti "gradi superiori", da quanto si è potuto stabilire, esistevano esclusivamente nella vecchia Massoneria giacobita. Dopo la ribellione del 1745, la Massoneria di "grado superiore" non scomparve. Perse semplicemente il suo orientamento specificamente giacobita e politico e continuò a funzionare. Purgata dalle sue affiliazioni agli Stuart, non era più considerata sovversiva dalla Grande Loggia che cominciò, sia pure a malincuore, a riconoscere ufficialmente i gradi superiori. Ben presto divenne sempre più decoroso per i leali, onesti e buoni cittadini inglesi sforzarsi di raggiungere, attraverso uno studio specializzato, i gradi superiori come il Mark
Degree, il Royal Arch o il Royal Ark Mariner. Lo facevano sotto vari auspici, fra cui la Grande Loggia d'Irlanda, la Grande Loggia di Scozia e la Stretta Osservanza creata dal barone von Hund. Come abbiamo visto, Hund fu il primo, almeno per quanto riguarda i pubblici archivi, ad asserire che la Massoneria discendeva dai Templari. Prima della guerra dei Sette anni (o franco-indiana), la maggior parte della Massoneria in Nordamerica era filohannoveriana ortodossa, autorizzata dalla Grande Loggia. Ma, durante la guerra, la Massoneria di "grado superiore", tramite le logge reggimentali da campo, venne trapiantata su larga scala nelle colonie americane e attecchì rapidamente. Boston - il terreno da cui sarebbe scaturita la rivoluzione americana - è un esempio del processo di trapianto e dell'attrito che talvolta ne derivava.
La Loggia di Saint Andrew a Boston La Massoneria era iniziata in Massachusetts nel 1733, quando Henry Price, con l'autorizzazione della Grande Loggia d'Inghilterra, era divenuto Gran Maestro della Grande Loggia Provinciale del Massachusetts, la Saint John. Il suo vice Gran Maestro, come abbiamo visto, era Andrew Belcher, figlio del governatore della provincia. Nel 1750 vi erano altre due logge con sede a Boston. Entrambe queste logge e la loro loggia madre, la Saint John, si riunivano in una taverna chiamata "Il Grappolo d'uva", all'incrocio delle odierne State e Kilby Streets; e anche le logge dei reggimenti britannici autorizzate dalla
Grande Loggia si riunivano in quel locale. Successivamente, la Saint John avrebbe autorizzato oltre quaranta logge sue protette. Frattanto, nel 1743, la Grande Loggia d'Inghilterra aveva nominato un certo Thomas Oxnard, distinto mercante di Boston, Gran Maestro Provinciale del Nordamerica.1 Così Boston divenne, in pratica, la capitale massonica delle colonie britanniche di oltreatlantico. Ma, nel 1752, si scoprì che una loggia "irregolare", senza autorizzazione ufficiale, operava in un'altra taverna, Il Drago verde, ribattezzata Freemason's Hall (Sala dei Massoni) nel 1764. Quando i membri della Saint John protestarono scandalizzati, la loggia "irregolare" fece debita richiesta di autorizzazione, ma non alla Grande Loggia d'Inghilterra, bensì alla Grande Loggia di Scozia, che offriva gradi superiori. La ottenne solo nel 1756, quando le truppe britanniche e le loro logge reggimentali da campo, autorizzate dalla Grande Loggia irlandese e da quella scozzese, cominciarono a giungere in America. La loggia "irregolare" venne allora autorizzata sotto il nome di loggia Saint Andrew. 2 Ma ben presto cominciò ad autorizzare essa stessa nuove logge e rivendicò, quindi, per sé il rango di Grande Loggia Provinciale, sotto l'autorità della Grande Loggia di Scozia. A Boston vi erano così due Grandi Logge Provinciali rivali fra loro: la Saint John, sotto l'egida della Grande Loggia d'Inghilterra, e la Saint Andrew, sotto l'egida della Grande Loggia di Scozia.
Com'era prevedibile, i rapporti divennero astiosi, gli animi si scaldarono, si sviluppò una situazione del tipo "noi e loro" e scoppiò una guerra civile in miniatura con scambio d'insulti massonici. La Saint John guardava con sospetto la Saint Andrew e, con passione vendicativa, «approvò ripetute risoluzioni contro di essa». Qualunque cosa imponessero, queste risoluzioni non ebbero alcun effetto e la Saint John continuò a tenere il broncio, vietando con petulanza ai suoi membri di recarsi in visita alla loggia rivale, la Saint Andrew. Alcuni dei più eminenti cittadini di Boston spesero parecchio tempo, energia e passione in questi battibecchi. Ignorando le critiche, la Saint Andrew continuò a riunirsi e a fare nuove reclute, sottraendole talvolta alla Saint John. E il 28 agosto 1769 la Saint Andrew conferì, per la prima volta in tutto il mondo, un nuovo grado massonico, denominato specificamente il Grado di Cavaliere Templare.3 La sua esatta provenienza non è chiara. Sebbene non esista una documentazione certa, si crede che sia stato portato a Boston dal 29° fanteria, poi 1° battaglione del reggimento Worcestershire, la cui loggia da campo era stata autorizzata dalla Grande Loggia d'Irlanda dieci anni prima. In ogni caso, la discendenza templare rivendicata dai giacobiti e promulgata da Hund ora cominciava a trovare sostenitori al di là dei loro riti particolari. Da Boston, il grado massonico di Cavaliere Templare sarebbe stato riportato in Inghilterra e in Scozia. Ma il conferimento del primo grado di Cavaliere Templare conosciuto non sarebbe stato l'unico segno
distintivo della Saint Andrew. Nel 1773 la loggia aveva assunto una posizione di avanguardia negli eventi che ormai subivano una rapida escalation. A quel tempo, il suo Gran Maestro era Joseph Warren, che la Grande Loggia di Scozia aveva nominato Gran Maestro per tutto il Nordamerica. Fra gli altri membri della loggia vi erano John Hancock e Paul Revere.4 Per circa otto anni prima del 1773, l'attrito fra la Gran Bretagna e le sue colonie americane era andato assumendo proporzioni sempre più minacciose. Ridotta praticamente alla bancarotta dalla guerra dei Sette anni, la Gran Bretagna aveva cercato di rimpinguare le casse dello Stato a spese delle colonie, imponendo una serie di misure fiscali sempre più severe. Ognuna di queste misure aveva naturalmente provocato nuova resistenza e rabbiosa opposizione nelle colonie. Nel 1769 l'Assemblea della Virginia, spinta da Patrick Henry e Richard Henry Lee (entrambi presunti massoni), aveva formalmente condannato il governo britannico ed era stata sciolta dal governatore provinciale. Nel 1770 era avvenuto il famoso "massacro di Boston", quando una sentinella britannica e i suoi compagni, circondati da una folla ostile, avevano sparato una raffica in mezzo ai dimostranti, uccidendo cinque persone. Nel 1771 le truppe avevano dovuto reprimere una rivolta in North Carolina e tredici ribelli erano stati condannati a morte per tradimento e giustiziati. Nel 1772 due eminenti massoni, John Brown e Abraham Whipple, avevano attaccato una nave della dogana a largo
del Rhode Island e l'avevano incendiata.5 La situazione giunse alla crisi decisiva con il Tea Act passato per salvare la Compagnia delle Indie Orientali dalla bancarotta. In virtù di questa legge, la Compagnia era autorizzata a scaricare la sua enorme eccedenza di tè nelle colonie, senza pagare dogana. Questo le permetteva di vendere la sua merce a un prezzo molto inferiore a quello praticato dai commercianti legali e dai contrabbandieri coloniali e quindi monopolizzare il mercato del tè. In pratica, i coloni erano costretti a comprare soltanto il tè della Compagnia delle Indie e in quantità maggiore del voluto o del necessario. Il 27 novembre 1773 la prima delle tre navi mercantili della Compagnia, il Dartmouth, arrivò a Boston con un immenso carico di tè. Il 29 e 30 novembre si tennero riunioni di massa per protestare e il Dartmouth non potè scaricare. Per oltre quindici giorni, la nave rimase bloccata in porto. Poi, nella notte del 16 dicembre, un gruppo di coloni (stimati variamente fra sessanta e duecento) si mascherarono alla meglio da indiani Mohawk con intento chiaramente provocatorio, abbordarono la nave e gettarono l'intero carico - 342 casse di tè del valore di circa 10.000 sterline - nelle acque del porto di Boston. Era il famoso "Boston Tea Party", una burla più che un atto rivoluzionario. Non vi furono più vere sparatorie per altri quattordici mesi. Tuttavia, il "Tea Party" segna effettivamente l'inizio della guerra d'indipendenza americana.
A quell'epoca, la loggia di Saint Andrew si riuniva regolarmente in quella che era chiamata la "Stanza lunga" del Freemason's Hall, ex taverna del "Drago verde". La loggia divideva la stanza e molti dei suoi membri con un numero crescente di società segrete politicamente orientate e di confraternite semi-massoniche impegnate nella lotta contro la legislazione fiscale britannica. Fra le organizzazioni che si riunivano in quella sala c'erano il Club della Stanza lunga (che comprendeva il Gran Maestro della Saint Andrew, Joseph Warren), il Comitato di corrispondenza (che comprendeva Warren e Paul Revere e sincronizzava l'opposizione locale con quella di altre città americane come Filadelfia e New York) e il "Caucus del North End" (che comprendeva parecchi fratelli massoni, fra cui Warren). 6 Un'altra organizzazione, ancora più militante, erano i Figli della Libertà e il loro nucleo interno, i cosiddetti "Leali Nove", che erano a favore della violenza e avevano fomentato sommosse, dimostrazioni e altre forme di disobbedienza civile fin dal 1765. Fra i Figli della Libertà spiccava Samuel Adams che, a quanto sappiamo, non era massone. Né i Figli della Libertà si riunivano nella Stanza lunga del Freemasons' Hall. Ma, di nuovo, questa organizzazione era composta da persone che appartenevano anche alla loggia di Saint Andrew. Paul Revere, ad esempio, era particolarmente attivo fra i Figli della Libertà. Almeno tre dei Leali Nove erano anche fratelli massoni della loggia di Saint Andrew.7 Il resoconto delle riunioni della loggia di Saint Andrew
immediatamente precedenti al Boston Tea Party è rivelatore. Il 30 novembre 1773, ad esempio, il secondo giorno di protesta di massa per l'arrivo del Dartmouth, la loggia si riunì, ma soltanto sette membri erano presenti. Secondo il libro dei verbali, venne «presentata e appoggiata la proposta di aggiornare la riunione della loggia al prossimo giovedì sera dati i pochi fratelli presenti. N.B. I fratelli erano occupati con i consegnatari del Tè».8 Il giovedì stabilito, 2 dicembre, quindici membri e un visitatore erano presenti alla riunione della loggia e furono eletti i funzionari per l'anno seguente. Una settimana dopo, 9 dicembre, la data fissata per la consueta riunione mensile, erano presenti quattordici membri e dieci visitatori, ma le questioni ufficiali vennero rimandate alla settimana seguente, 16 dicembre. Quella fu la notte del Boston Tea Party. Solo cinque membri intervennero alla riunione. Sotto i loro nomi nel libro dei verbali è scritto: «Loggia chiusa (a causa dei pochi membri presenti) fino a domani sera».9 Contrariamente ad alcune successive asserzioni e leggende, sembra che il Tea Party non fosse stato progettato dalla loggia di Saint Andrew, ma piuttosto da Samuel Adams e dai Figli della Libertà. Tuttavia, non vi è dubbio che almeno dodici membri della loggia fossero implicati nel famoso "Party". Non solo: altri dodici partecipanti divennero poi membri della loggia di Saint Andrew.10 Inoltre, il Tea Party non poteva avvenire senza l'attiva collusione di due distaccamenti della milizia coloniale che
avrebbero dovuto sorvegliare il carico del Dartmouth. Di questi uomini, il capitano del primo distaccamento, Edward Proctor, era membro della loggia di Saint Andrew fin dal 1763.11 Tre dei suoi uomini - Stephen Bruce, Thomas Knox e Paul Revere - erano pure membri della loggia e altri tre facevano parte dei Leali Nove. Nel secondo distaccamento della milizia, altri tre uomini erano membri della Saint Andrew. Sappiamo che, in totale, diciannove sui quarantotto componenti dei due distaccamenti della milizia collaborarono a gettare in mare il tè del Dartmouth. Di questi diciannove, sei, compreso il comandante del distaccamento, erano membri della loggia di Saint Andrew e altri tre appartenevano ai Leali Nove.12
L'esercito continentale Il giorno dopo il Tea Party, Paul Revere andò a cavallo fino a New York, dove la notizia dell'accaduto venne pubblicata e fece il giro delle altre colonie con gaudio generale. Quando arrivò a Londra tre mesi dopo, la reazione fu rapida e incautamente drastica. Venne approvata una legge, il Boston Port Bill, che poneva un embargo su tutto il commercio con Boston e il porto venne praticamente chiuso. La città - e, per estensione, l'intero Massachusetts - fu tolta agli amministratori civili e posta sostanzialmente sotto legge marziale. Un militare, il generale Thomas Gage, venne nominato governatore del Massachusetts. Un anno dopo, nel 1775, Gage ricevette
ingenti rinforzi di truppe regolari britanniche agli ordini di sir William Howe. La lentezza delle comunicazioni transatlantiche ostacolava ancora lo sviluppo degli eventi che, tuttavia, avevano già cominciato a muoversi spontaneamente. Il 5 settembre 1774 il Primo Congresso Continentale si riunì a Filadelfia sotto la presidenza di Peyton Randolph, illustre avvocato e Gran Maestro Provinciale della Virginia.13 I delegati di Boston comprendevano Samuel Adams dei Figli della Libertà e Paul Revere. Ma, contrariamente alla successiva tradizione, non vi era unanimità di vedute o di obiettivi. A questo punto, pochi rappresentanti desideravano, o anche solo contemplavano, l'indipendenza dalla Gran Bretagna. Le misure approvate dal Congresso erano essenzialmente economiche, non politiche. Erano anche estremamente provvisorie, una combinazione di tappabuchi e di bluff. Così, ad esempio, venne formata la "Associazione continentale", destinata in teoria a interrompere o limitare tutto il commercio con la Gran Bretagna e il resto del mondo, sigillare l'economia coloniale e renderla interamente autosufficiente. Tale disegno era difficilmente attuabile in pratica; ma si poteva ragionevolmente prevedere che la sua enunciazione avrebbe galvanizzato il Parlamento. Tuttavia, il Parlamento, che era distante 3500 miglia e poco capiva o s'interessava alla realtà della situazione, reagiva invariabilmente agli stimoli nella maniera sbagliata, con le misure sbagliate. La situazione continuò a deteriorarsi e quando il Congresso provinciale del
Massachusetts si riunì nel febbraio 1775, annunciò piani di resistenza armata. Il Parlamento rispose dichiarando il Massachusetts in stato di ribellione. In mezzo alla retorica sempre più infiammata che seguì, Patrick Henry, parlando all'Assemblea provinciale della Virginia, fece la sua famosa dichiarazione: «Datemi la libertà, o datemi la morte».14 Ma la crisi stava già oltrepassando il campo della retorica e anche dell'azione civica o economica. Il 18 aprile 1775 700 soldati britannici furono inviati a confiscare un deposito di armi della milizia a Concord, fuori Boston. Paul Revere intraprese la sua famosa cavalcata per avvertire della loro avanzata e i soldati britannici furono affrontati a Lexington da settantasette coloni armati. Seguì una scaramuccia - «lo sparo udito in tutto il mondo» - e otto coloni rimasero uccisi, dieci feriti. Sulla via del ritorno a Boston con le armi confiscate, la colonna britannica fu bersagliata da circa 4000 tiratori scelti e perse 273 uomini fra morti e feriti. I coloni ne persero novanta. Il 22 aprile il Terzo Congresso Provinciale del Massachusetts si riunì sotto la presidenza di Joseph Warren, Gran Maestro per il Nordamerica della Grande Loggia di Scozia. Warren autorizzò la mobilitazione di 30.000 uomini. Al tempo stesso, scrisse nel suo «Indirizzo alla Gran Bretagna»: Le truppe al comando del generale Gage hanno infine iniziato le ostilità in questa colonia... Questi, fratelli, sono i segni della vendetta ministeriale contro questa colonia per aver essa rifiutato, con le colonie sorelle, di
sottomettersi alla schiavitù; ma non ci hanno ancora distaccati dal nostro regale sovrano. Ci professiamo suoi leali e deferenti sudditi... nondimeno, alla persecuzione e alla tirannia del suo crudele ministero non ci sottometteremo docilmente.15
La maggioranza dei non massoni fra i coloni ribelli uomini come John e Samuel Adams - stava già reclamando misure più radicali. Come abbiamo notato, Warren, nel dichiarare la sua immutata fedeltà alla Corona, se non al Parlamento, esprimeva invece la posizione della maggioranza dei massoni. E fu questa a prevalere quando, il 10 maggio 1775, il Secondo Congresso Continentale si riunì - prima sotto la presidenza di Peyton Randolph, poi, alla sua morte, sotto quella di John Hancock della loggia di Saint Andrew - e autorizzò il reclutamento di un esercito in piena regola. George Washington, un eminente massone sotto il Gran Magistero di Randolph in Virginia, venne nominato comandante in capo. Almeno uno storico ha asserito che la sua nomina era dovuta ai suoi legami massonici.16 Certamente erano disponibili militari più esperti, sebbene anch'essi fossero praticamente tutti massoni. In effetti, all'inizio della guerra, l'alto comando dell'esercito continentale era dominato dai massoni. Vale la pena di fare una piccola digressione per esaminare, sia pure brevemente, alcune delle loro biografie. Fra coloro che avrebbero potuto benissimo essere designati al posto di Washington vi era il generale Richard Montgomery. Nato in Irlanda, vicino a Dublino, aveva servito come ufficiale di carriera nell'esercito britannico agli
ordini di Amherst durante la guerra franco-indiana. All'assedio di Louisbourg, era nel 17° fanteria, poi reggimento Leicestershire, che faceva parte della brigata di Wolfe. Stabilitosi nelle colonie dopo la guerra, Montgomery sposò la figlia di Robert R. Livingston, che nel 1784 sarebbe diventato Gran Maestro della Grande Loggia Provinciale di New York e che nel 1789 fece prestare giuramento a Washington come primo presidente degli Stati Uniti. Si pensa che Montgomery venisse ammesso nella loggia da campo del 17° fanteria durante la campagna di Louisbourg. Certamente la sua condizione di massone era ben nota fra i suoi contemporanei. «Warren, Montgomery e Wooster!» era un brindisi molto usato dai massoni per commemorare tre illustri fratelli che sarebbero stati fra i primi a morire nel conflitto.17 Il generale David Wooster era stato colonnello, poi generale di brigata durante la guerra franco-indiana. Aveva servito sotto Amherst a Louisbourg e si crede che sia entrato in una loggia da campo con lord Blayney, poi Gran Maestro della Grande Loggia inglese. Fin dal 1750, Wooster aveva organizzato la Hiram Lodge n. 1 a New Haven ed era diventato il suo primo Maestro.18 Il generale Hugh Mercer aveva servito come aiuto medico nell'esercito giacobita ribelle di Carlo Edoardo Stuart. Dopo Culloden, fuggì a Filadelfia dove, dieci anni più tardi, servì sotto Braddock e fu ferito a Fort Duquesne. Un anno dopo, era nel 60° fanteria fortemente massonico. Quando Fort Duquesne venne ricostruito come Fort Pitt,
Mercer fu nominato comandante col grado di colonnello. Massone di vecchia data, era membro della stessa loggia di Washington a Fredericksburg.19 Il generale Arthur Saint Clair era nato a Caithness e discendeva da sir William Sinclair, il costruttore della Cappella Rosslyn. Come Montgomery, Saint Clair si arruolò nell'esercito britannico, servì nel 60° fanteria durante il 1756-57, poi nella brigata di Wolfe agli ordini di Amherst a Louisbourg. Un anno dopo, era con Wolfe a Quebec. Nel 1762 dette le dimissioni e si stabilì nelle colonie. Sappiamo che era massone, sebbene nessun dettaglio della sua iniziazione o loggia di appartenenza sia giunto fino a noi.20 Il generale Horatio Gates aveva servito anche lui come ufficiale di carriera nell'esercito britannico. Anche lui aveva combattuto sotto Amherst a Louisbourg. Era uno dei più intimi amici di Washington e sposò la figlia del Gran Maestro Provinciale della Nuova Scozia. Le sue esatte affiliazioni massoniche sono incerte, ma si sa che era un habitué della Grande Loggia Provinciale del Massachusetts.21 Il generale Israel Putnam aveva servito sotto lord George Howe ed era con lui alla sua morte nel disastroso assalto frontale a Fort Ticonderoga. Successivamente, Putnam servì sotto Amherst. Era massone fin dal 1758, quando era entrato in una loggia da campo a Crown Point poco dopo la cattura del forte da parte di Amherst.22 Il generale John Stark aveva combattuto, insieme a lord
George Howe, nel reparto di guerriglieri noto come i "Roger's Rangers". Successivamente, era con Howe a Ticonderoga, poi con Amherst. Potrebbe essere diventato massone a quell'epoca, ma non esiste alcuna prova sicura della sua affiliazione anteriore al 1778.23 Questo è un campione di quella che somiglia, in realtà, a una litania. La lista si potrebbe allungare facilmente. Il generale John Nixon era con lord George Howe a Ticonderoga, poi con Amherst a Louisbourg, al pari del generale Joseph Frye. Il generale William Maxwell era con George Howe a Ticonderoga, poi con Wolfe a Quebec, al pari del generale Elias Dayton. Erano tutti massoni. Un uomo che si risentì molto per la nomina di Washington - tanto che alla fine fu spinto al tradimento - fu Benedict Arnold. Anche lui aveva servito sotto Amherst e si pensa che sia diventato massone a quell'epoca. Nel 1765 entrò nella Hiram Lodge n. 1 di David Wooster a New Haven.24 L'amico di Arnold, il colonello Ethan Alien, aveva servito con George Howe a Ticonderoga, poi con Amherst. Nel luglio 1777 ricevette il primo grado, quello di "apprendista", da una loggia nel Vermont, ma apparentemente non andò oltre.25
1 Sherman and Sanford, in Cook, Colonial Freemasonry, p. 76. 2 Ivi, p. 77. 3 Cameron, Sull'origine e il progresso della Massoneria cavalleresca nelle
Isole Britanniche, p. 157. Cfr. Cameron, Note sui primi riferimenti al grado di Cavaliere Templare massonico, p. 79, dove si menziona che la Loggia n. 296, Registro della Grande Loggia irlandese, venne autorizzata nel 1758. Il grado di Cavaliere Templare è menzionato nel regolamento, che purtroppo non è datato; può darsi che il grado esistesse fin dal 1758. La Loggia non era più operante nel 1791. 4 Una lista completa dei membri della loggia di Saint Andrew dal 1756 al 1906 si può trovare in The One Hundred and Fiftieth Anniversary of the Lodge of Saint Andrew, pp. 273-301. Paul Revere venne ammesso il 4 settembre 1760; John Hancock a Quebec prima del 1762. 5 Abbott, in Cook, op. cit., p. 169. 6 Cfr. Labaree, 6. Cfr. Labaree, The Boston Tea Party, pp. 141-42, per Joseph Warren; Griswold, The Boston Tea Party, p. 61, per Paul Revere; e Jaynes, Il Boston Tea Party, in Bassler, Military Masonic Hall of Fame, p. 222, per il Caucus del North End. 7 Una lista dei Leali Nove figura in Griswold, op. cit., p. 19. I tre membri dei Leali Nove che appartenevano anche alla Loggia di St Andrew a Boston, erano: Thomas Chase, ammesso nel 1767; Thomas Crafts, ammesso nel 1761; Henry Welles, ammesso nel 1760. 8 Cerza, Il Boston Tea Party e la Massoneria, p. 208. 9 Ibid. 10 Non esiste una lista definitiva dei partecipanti al Boston Tea Party. Vi presero parte oltre 200 persone. Nel 1835 sette partecipanti ancora in vita aiutarono a compilare una lista, inoltre vennero esaminati i documenti di famiglia. Il risultato fu un elenco di 110 nomi; vedi Griswold, op. cit., pp. 141-43. Possiamo aggiungere a questo elenco i nomi dei Leali Nove che sicuramente vi parteciparono. La fonte per i membri della Loggia di Saint Andrew è quella indicata sopra, nella nota 4. Warren, Webb e Hancock sono stati aggiunti in Bassler, op. cit., p. 222. Partecipanti al Tea Party che erano anche membri della Loggia di Saint Andrew Stephen Bruce massone dal 1767 Edward Proctor massone dal 1763
Thomas Chase massone dal 1767 Paul Revere massone dal 1760 Adam Collson massone dal 1762 Thomas Urann massone dal 1760 Thomas Crafts massone dal 1761 Joseph Warren massone dal 1761 John Hancock massone dal 1762 Joseph Webb massone dal 1760 Samuel Peck massone dal 1756 Henry Wells massone dal 1760 Partecipanti al Tea Party che divennero poi membri della Loggia di Saint Andrew David Bradlee membro dal 1777 Samuel Cooper membro dal 1795 Robert Davis membro dal 1777 Samuel Gore membro dal 1778 Abraham Hunt membro dal 1777 Daniel Ingersoll membro dal 1782 Amos Lincoln membro dal 1777 Eliphalet Newell membro dal 1777 Henry Purkitt membro dal 1795 William Russell membro dal 1777 James Swan membro dal 1777 Nathaniel Willis membro dal 1779 11 The One Hundred and Fiftieth Anniversary of the Lodge of Saint Andrew, p. 293. 12 I turni di guardia per la sera del 29 novembre e la mattina del 30 novembre 1773 si trovano in Griswold, op. cit., p. 144. Sono indicati quelli che parteciparono agli eventi del 16 dicembre 1773. Un membro della Loggia di Saint Andrew e della Guardia nazionale, Thomas Knox, non sembra implicato nel Tea Party. 13 Heaton, op. cit., p. 57. 14 Webster's Guide to American History, p. 56.
15 Ivi, p. 57. 16 Mansfield Hobbs, The Contribution of Free Masonry and Free Masons to the Success of the American Revolution, p. 17. 17 Heaton, op. cit., p. 45. 18 Ivi, p. 79. 19 Ivi, p. 44. 20 Ivi, pp. 59-60. 21 Ivi, pp. 85-86. 22 Ivi, pp. 53-54. 23 Ivi, pp. 61-62 24 Ivi, pp. 2-3. 25 Van Gorden, Modem Historical Characters in Freemasonry, p. 320. Van Golden osserva che il fratello di Ethan era un massone, membro della Loggia n.l del Vermont.
18 La guerra d'indipendenza
Lo stesso giorno in cui si riunì il Secondo Congresso Continentale, Ethan Alien, insieme ad Arnold, che era allora il suo luogotenente, sferrò un attacco a sorpresa al Forte Ticonderoga, così accanitamente conteso una generazione prima. Vennero catturate grandi scorte di armi e munizioni, compresi pezzi di artiglieria. Cinque settimane dopo, i coloni, lavorando in segreto durante la notte, sventarono i piani britannici di fortificare Boston attestandosi su due alture che sovrastavano la città, Breed's Hill e Bunker Hill. Il loro comandante nominale era il generale di brigata Artemus Ward, un altro veterano della guerra franco-indiana, ma il loro spirito guida era Joseph Warren della loggia di Saint Andrew. Il generale Thomas Gage sarebbe stato successivamente biasimato per quello che accadde poi, ma il vero responsabile fu sir William Howe, che aveva il comando sul campo. Era lui ad avere l'autorità di revocare
il piano di battaglia o attenervisi e pagare l'inevitabile prezzo, una volta capito quale era la situazione. Per un veterano che aveva servito agli ordini di Amherst e Wolfe, Howe si comportò in modo davvero strano. Malgrado il caldo soffocante, ordinò ai suoi uomini di avanzare a ranghi serrati, carichi di tutto l'equipaggiamento che pesava oltre cinquanta chili, sotto il tiro diretto dei coloni e di prendere d'assalto le postazioni nemiche con la baionetta. Le scariche di fucileria ben disciplinate, che i coloni avevano appreso dall'esercito britannico durante la guerra franco-indiana, erano micidiali e i soldati di Howe dovettero tornare all'assalto quattro volte per conquistare la posizione. Quando vi riuscirono - a prezzo di 200 morti e quasi 800 feriti su circa 2500 uomini impegnati - erano poco disposti alla mitezza. Warren morì trafitto da una baionetta britannica e quelli dei suoi compagni che non fuggirono vennero annientati. I coloni persero oltre 400 uomini.
La guerra d'Indipendenza americana con la campagna del 1777.
Bunker Hill è importante perché fu il primo scontro faccia a faccia fra coloniali e truppe regolari britanniche. Fu anche la prima vera grande battaglia della guerra, a differenza delle scaramucce di Lexington e Concord. Ma è importante
anche per lo strano comportamento di Howe e per il modo come condusse l'azione. Bisogna ricordare che aveva appreso la tattica irregolare da suo fratello maggiore George, da Amherst e da Wolfe. Durante tutta la sua carriera militare, sia prima che dopo Bunker Hill, evitò sempre il cruento e costoso assalto frontale contro una posizione trincerata: il tipo di assalto in cui, dopo tutto, era morto suo fratello maggiore a Ticonderoga nel 1758. A Bunker Hill, aveva dinanzi varie alternative. Avrebbe potuto forse scacciare i coloni dalle loro postazioni con il fuoco d'artiglieria. Avrebbe potuto certamente isolarli e aspettare con calma che soccombessero alla fame, alla sete e alla mancanza di munizioni. Probabilmente avrebbe potuto schierare le sue compagnie di granatieri e la sua fanteria leggera nella maniera fantasiosa che aveva appreso da Amherst e Wolfe vent'anni prima e che avrebbe usato in successive occasioni nel corso della guerra. Inoltre, avendo combattuto a fianco delle truppe coloniali durante la guerra franco-indiana, Howe sapeva, meglio di qualunque altro ufficiale britannico di stanza a Boston a quell'epoca, quanto quelle truppe potevano essere dure, disciplinate e ben addestrate nelle tecniche di fuoco a raffica proprie dell'esercito britannico. Facendo ciò che fece a Bunker Hill, sembra quasi che Howe, avendo ripetutamente espresso la sua riluttanza a combattere contro i coloni, volesse inviare un segnale ai suoi superiori a Londra: «Volete che combatta? Benissimo, combatterò. Ma questo è il prezzo che pagherete. Questo è il pasticcio in cui ci caccerete. Volete
veramente insistere in questa follia?». Non sarebbe stato cinismo da parte di Howe. Né avrebbe sacrificato inutilmente mille uomini solo per far valere la sua tesi. Al contrario, sapendo benissimo in quale ginepraio si stava cacciando la Gran Bretagna, Howe avrebbe pensato in termini strategici. E pensando in termini strategici, avrebbe potuto benissimo concludere che valeva la pena di sacrificare mille uomini se, così facendo, poteva evitare di perderne molti di più in successivi scontri. Ma anche se era questa la lezione che Howe cercava di trasmettere a Londra, non venne recepita. È vero, potrebbe aver pensato inizialmente di averla spuntata: non fu ritenuto responsabile delle ingenti perdite subite a Bunker Hill; venne incolpato Gage e l'esercito britannico evacuò Boston. Ma poi Howe si trovò a occupare la posizione che meno desiderava, quella di Gage: gravato delle responsabilità di comandante in capo e obbligato a continuare le operazioni contro i coloni. Non avrebbe mai più sprecato truppe come a Bunker Hill. Al contrario, più volte, nelle campagne che seguirono, fece di tutto per risparmiare le vite sia dei suoi uomini che dei coloni. Ma il suo comportamento sarebbe stato non meno equivoco, non meno ambiguo.
La rete di spionaggio britannica Malgrado il sangue sparso a Bunker Hill, o forse a causa di esso, i coloni, guidati in larga parte dai massoni presenti
nelle loro file, cercarono ancora di evitare una completa rottura con l'Inghilterra. Il 5 luglio, il Congresso Continentale rivolse la cosiddetta "Petizione del ramo d'ulivo" a Giorgio III, appellandosi al sovrano per una pacifica composizione delle controversie. A questa fece seguito il giorno successivo un'altra risoluzione in cui si dichiarava che le colonie non desideravano l'indipendenza ma non avrebbero «ceduto alla schiavitù». Ma il 23 agosto la Petizione del ramo d'ulivo venne respinta in blocco e il re dichiarò che le colonie britanniche del Nordamerica erano in aperta ribellione. Gli eventi avevano così assunto un impeto loro proprio e stavano assumendo proporzioni superiori a quelle previste o desiderate da tutte le principali fazioni. Il 9 novembre, un comitato speciale - il Comitato del Congresso per la corrispondenza segreta - venne incaricato di stabilire una rete di contatti fra «i nostri amici all'estero». Ne facevano parte Robert Morris, John Jay, Benjamin Harrison, John Dickinson e Benjamin Franklin.1 Doveva operare largamente attraverso i canali massonici e portare alla creazione di un'elaborata rete di spionaggio. Allo stesso tempo, e per pura coincidenza, si sarebbe sovrapposta a una rete di spionaggio britannica parallela che operava anch'essa attraverso canali massonici. Entrambe le reti avrebbero avuto la loro base principale a Parigi, che divenne il centro di una vasta ragnatela di spionaggio, intrighi e mutevoli alleanze. Franklin, come abbiamo visto, era un massone di
vecchia data, essendo stato iniziato quasi mezzo secolo prima, nel 1731. Nel 1734, e di nuovo nel 1749, era stato Gran Maestro di Pennsylvania. Nel 1756 era stato ammesso nella Royal Society, all'epoca ancora fortemente orientata verso la Massoneria. Fra il 1757 e il 1762, e di nuovo fra il 1764 e il 1775, aveva trascorso parecchio tempo all'estero, in Inghilterra e in Francia. Nel 1776, quando il conflitto nelle colonie divenne una vera e propria guerra d'indipendenza, Franklin divenne, in pratica, l'ambasciatore americano in Francia e avrebbe conservato tale incarico fino al 1785. Nel 1778, a Parigi, sarebbe diventato membro di una loggia francese particolarmente importante, Neuf Soeurs o Nove Sorelle, che avrebbe incluso anche luminari come John Paul Jones (iniziato per la prima volta in Scozia nel 1770) e Voltaire. Un anno dopo, il 21 maggio 1779, Franklin divenne Maestro di Neuf Soeurs, incarico a cui venne rieletto nel 1780.2 Nel 1782 divenne membro di un conclave massonico ancora più elusivo e misterioso, la Royale Loge des Commandeurs du Tempie a l'Ouest de Carcassonne (Regia Loggia dei Comandanti del Tempio a Ovest di Carcassonne).3 Dal anni 1750 fino al 1775, Franklin era stato vice ministro delle Poste per le colonie americane. In questa veste, era diventato particolarmente amico dei suoi omologhi, i due ministri delle poste britanniche, sir Francis Dashwood e il conte di Sandwich. Non è chiaro se Dashwood fosse affiliato alla Massoneria. È probabile che fosse un membro della loggia fondata a Firenze nel 1733
dal suo intimo amico, Charles Sackville, conte di Middlesex. Sia lui che Sackville erano anche membri della combriccole di massoni legati a Federico, principe di Galles. In seguito, avrebbe creato quella che era praticamente una loggia massonica sua personale.4 Nel 1732 Dashwood fondò insieme ad altri una società semi-massonica, i Dilettanti. Mentre viaggiava all'estero fra il 1739 e il 1741, frequentò i circoli giacobiti, diventando intimo amico e, per un periodo, convinto sostenitore di Carlo Edoardo Stuart. Questo lo portò a contatto con illustri giacobiti inglesi, come George Lee, conte di Lichfield, che aveva aiutato suo cugino, Charles Radclyffe, a fuggire dalla prigione di Newgate e che, insieme al duca di Wharton, un altro fervente giacobita e influente massone, aveva fondato l'originario Hell Fire Club. Nel 1746 Dashwood creò, insieme al conte di Sandwich e ad altri due, quello che fu ironicamente denominato l'Ordine di San Francesco, che divenne poi noto agli storici e al pubblico con lo stesso nome della precedente organizzazione di Wharton e Lichfield. In verità, è Dashwood che ora viene generalmente associato per errore con l'Hell Fire Club, sebbene i suoi "francescani" fossero effettivamente impegnati più o meno nello stesso genere di attività orgiastiche neo-pagane. Nel 1761 Dashwood divenne deputato al Parlamento britannico per Weymouth e Melcombe Regis. Nel 1762, era Cancelliere dello Scacchiere sotto il conte di Bute. Un anno dopo, divenne lord le Despencer e luogotenente del Buckinghamshire, oltre che comandante della milizia della
contea, dove uno dei suoi sottordini era John Wilkes, un altro deputato dissidente già famoso. Divenne ministro delle Poste nel 1766. Il suo primo collega in questo incarico fu Willis Hill, lord Hillborough, uno dei fondatori dell'originario Hell Fire Club, insieme al duca di Wharton e al conte di Lichfield. A Hill succedette poi il conte di Sandwich. Sandwich aveva conosciuto Dashwood intorno al 1740 e i due erano diventati amici per tutta la vita. Non stupisce, quindi, che divenisse membro prima dei Dilettanti di Dashwood, poi dell'Ordine di San Francesco. Rimase ministro delle poste fino al 1771, quando divenne primo lord dell'Ammiragliato, carica che mantenne durante quasi tutta la guerra d'indipendenza americana. Espletò le sue funzioni con una inettitudine così vistosa da indurre persino una fonte cauta e misurata come l'Enciclopedia Britannica a dichiarare: «L'amministrazione Sandwich è unica nella storia della Marina britannica per corruzione e incapacità».5 Durante le estati del 1772,1773 e 1774, Franklin fu ospite di Dashwood nella sua residenza di West Wycombe.6 I due collaborarono a un'edizione ridotta del Rituale della Chiesa anglicana: Il Prefazio e i Servizi furono redatti da Dashwood e riveduti da Franklin, il Catechismo e i Salmi furono redatti da Franklin e riveduti da Dashwood. Il testo finito venne stampato a spese di Dashwood [...]7
E Franlkin - quell'«ometto color tabacco» come lo definì
D.H. Lawrence, farisaico autore del Poor Richard's Almanac, che invitava alla temperanza, frugalità, industriosità, moderazione e pulizia ed esortava in tono moralistico i suoi lettori a non «praticare lussuria» divenne membro dei "francescani" di Dashwood. Modello di rettitudine morale in patria, Franklin, in Inghilterra, si lasciava apparentemente andare e le cantine sotto la residenza di Dashwood a West Wycombe divenivano un boudoir riservato ai giochi lascivi dei ministri delle poste. A giudicare da una lettera inviata da Sandwich a Dashwood nel settembre 1769, non avevano molto altro da fare: Mi vergogno quasi di scriverti riguardo a questioni di ufficio dopo essere stato così ozioso per tutta l'estate; ma in verità vi sono così poche faccende che richiedono la nostra attenzione e abbiamo la fortuna di essere in così perfetto accordo su tutto ciò che richiede un'opinione, che vi sono pochissime occasioni in cui ci dovremmo scomodare per occuparcene di persona.8
Ma, in realtà, non si trattava solo di questo. Poiché la carica gli consentiva di accedere praticamente a tutte le lettere, a tutte le comunicazioni, il ministro delle Poste era tradizionalmente anche il capo di un servizio di spionaggio. E durante la guerra d'indipendenza americana, la loro esperienza di ministri delle Poste sarebbe stata molto utile sia a Dashwood che a Franklin. Nel duplice ruolo di capo di una rete di spie e ambasciatore coloniale in Francia, Franklin stabilì il suo centro operativo a Parigi. Era accompagnato da altre due
persone designate dal Comitato del Congresso per la corrispondenza segreta, Silas Deane e Arthur Lee. Il fratello di Lee era di base a Londra. Così pure la sorella di Franklin, ritenuta anche lei una componente della rete di spionaggio. Era una vecchia e buona amica del fratello di Howe, l'ammiraglio lord Richard Howe, comandante delle operazioni navali nel teatro coloniale. Nel 1774 aveva fatto incontrare Franklin e l'ammiraglio con il pretesto di giocare a scacchi, e avevano discusso spesso le lagnanze dei coloni.9 Nel 1781 venne pubblicata una lettera aperta di un certo "Cicero", che accusava i fratelli Howe di appartenere a una «fazione» che aiutava in segreto i coloni a conquistare l'indipendenza. «L'intera condotta di Washington», sosteneva "Cicero", «...dimostrava una sicurezza che non poteva derivare altro che da una fondata conoscenza».10 Accusava esplicitamente l'ammiraglio Howe di «avere intrighi segreti con il dottor Franklin».11 L'ammiraglio replicò in un giornale, dichiarando: «"Cicero" ha perfettamente ragione riguardo al fatto, sebbene le sue deduzioni non siano del tutto esatte».12 Ma, allo stesso tempo, ammetteva di non aver informato l'alto comando navale dei suoi incontri con Franklin, il che fa pensare che potesse avere effettivamente qualcosa da nascondere. Uno dei più importanti agenti dei coloni in Inghilterra era John Wilkes, ex amico, collega parlamentare e compagno di club di Dashwood. Wilkes era diventato un massone attivo nel 1769 e nel 1774 era sindaco di Londra. In questa veste, sosteneva a gran voce e pubblicamente la causa dei
coloni. Ma fin dagli ultimi anni 1760 era anche il rappresentante britannico segreto dei Figli della Libertà che avevano avuto un ruolo così cruciale nel Boston Tea Party.13 Durante tutta la guerra, Wilkes raccoglieva clandestinamente fondi per l'esercito continentale e li consegnava a Franklin a Parigi. Da lì venivano inviati in Nordamerica o usati per comprare armi e materiale. Stranamente, una lettera del 1777 indica che sebbene la rete di Wilkes fosse stata scoperta, non fu mai preso alcun provvedimento.14 La rete di spionaggio britannica, anch'essa gestita da Parigi, era ufficialmente sotto gli auspici di William Eden, lord Auckland, un altro uomo illustre di cui si ignora la storia massonica. Nel 1770 era diventato Gran Steward della Grande Loggia, ma non esistono dettagli di quando, dove o da chi fosse stato iniziato.15 La rete di Auckland operava in larga misura attraverso comandanti delle navi che facevano la spola fra la Francia e il Nordamerica: compresi quelli che portavano i dispacci di Franklin al Congresso e viceversa. Ancora il 10 dicembre 1777 uno di questi comandanti di nome Hynson, originario del Maryland, riferì ad Auckland a proposito di Franklin che «nel momento in cui la Gran Bretagna si fosse mostrata disposta alla pace, lui sarebbe stato il primo a rinunciare a questa indipendenza».16 Secondo Franklin, Silas Deane era della stessa opinione. Hynson disse che Franklin nutriva, invece, dubbi riguardo ad Arthur Lee, che «viveva più lussuosamente di quanto avesse mai fatto prima ed era
molto orgoglioso».17 Lee non avrebbe voluto perdere il proprio rango ed era contento che la guerra continuasse. A parte i suoi agenti marittimi, lord Auckland ne aveva uno particolarmente importante a Parigi. Era il dottor Edward Bancroft, un illustre naturalista e chimico. Prima della guerra, Bancroft era stato intimo amico di Franklin, che nel 1773 aveva appoggiato la sua candidatura a membro della Royal Society. Era anche intimo amico di Silas Deane. Ignorando che Bancroft era un agente britannico, Deane, inviato a Parigi, lo mandò subito a chiamare. Bancroft o i suoi superiori finsero che lui fosse costretto a "fuggire" dall'Inghilterra per raggiungere Deane in Francia. Qui divenne non soltanto il confidente di Deane, ma anche di Franklin.18 Nel 1777 era diventato persino il segretario privato di quest'ultimo! E nel 1779 divenne membro della prestigiosa loggia Neuf Soeurs di cui Franklin quell'anno era Maestro.19 Attraverso Bancroft, il governo britannico era tenuto al corrente non soltanto delle attività dei coloni, ma anche dei piani francesi per entrare in guerra. In teoria, almeno, la Gran Bretagna avrebbe potuto quindi prevedere e bloccare sviluppi quali il contributo francese alla vittoria dei coloni a Yorktown. Ma con lord Sandwich come primo lord dell'Ammiragliato e l'ammiraglio lord Richard Howe al comando della flotta nelle acque nordamericane, la Royal Navy (la marina da guerra britannica) tardò ad agire come l'alto comando dell'esercito. A posteriori, è chiaro che le informazioni fornite da
Bancroft erano esatte. Nel 1785 il Parlamento lo avrebbe ricompensato concedendogli un periodo di monopolio sull'importazione di una certa tintura vegetale usata per stampare la tela di cotone con un procedimento da lui introdotto. Nondimeno il re, che leggeva personalmente tutti i rapporti del servizio informazioni, non si fidava di lui e lo sospettava di lavorare anche per i coloni.20 Di natura particolarmente dubbia era una missione clandestina compiuta da Bancroft in Irlanda nel 1779. Nel marzo 1780, lord Stormont, ambasciatore britannico in Francia, scrisse al re che una delegazione segreta irlandese, formata da cattolici e indipendentisti alleati, era arrivata a Parigi il dicembre precedente e aveva incontrato Luigi XVI. Secondo Stormont: [...] propongono che l'Irlanda diventi un regno indipendente, con una specie di Parlamento, ma senza re, che la religione protestante sia la religione di Stato... ma che i cattolici godano della massima tolleranza. I delegati sono strettamente legati a Franklin e il mio informatore ritiene che egli tenga una corrispondenza tramite sua sorella (di Franklin), una certa signora Johnstone ora a Londra, che ha un piccolo alloggio a Fountain Court nello Strand.21
Da questi semi, una ventina d'anni dopo, sarebbe germogliata una nuova organizzazione semi-massonica, la Società degli Irlandesi Uniti, sotto l'egida di uomini come lord Edward Fitzgerald e Wolfe Tone. Le loro attività sarebbero culminate con le ribellioni irlandesi del 1798 e 1803. Nel frattempo, la rete di spionaggio britannica sotto lord
Auckland continuò a penetrare - ma non a sfruttare - quella dei coloni. In questo processo, sir Francis Dashwood, come ministro delle poste, fu di particolare importanza. Dashwood intercettò ripetutamente la corrispondenza e i comunicati dei coloni e li passò ad Auckland. Ma la cosa più straordinaria è che, durante tutto questo tempo, Dashwood e Franklin rimasero apparentemente in contatto tramite i loro canali di comunicazione segreti. Così, ad esempio, uno degli agenti di Dashwood, un certo John Norris, riferisce in una lettera datata 3 giugno 1778: «Trasmesse oggi con eliografo informazioni del dottor Franklin da Parigi a Wycombe». Almeno un commentatore ne ha dedotto che Franklin era in realtà un agente britannico! 22 Ma, se così fosse, qualcosa dei contatti fra Dashwood e Franklin sarebbe indubbiamente affiorato fra i documenti di lord Auckland, o fra quelli di qualche altra autorità britannica, o magari del re. Il fatto che non ne esista traccia induce a pensare che i contatti non fossero autorizzati da, o noti al servizio segreto britannico. Molto probabilmente, Dashwood e Franklin - che erano, dopo tutto, vecchi amici e colleghi - erano impegnati in un loro innocente gioco personale, scambiandosi pettegolezzi, chiacchiere senza importanza e/o semplice disinformazione. Sebbene Dashwood fosse contrario alla guerra, nulla indica che tradisse il proprio paese. Al contrario, sembra che svolgesse i suoi compiti abbastanza coscienziosamente, sia pure nella misura minima che gli veniva richiesta. Sotto questo aspetto, il suo comportamento è straordinariamente simile a quello dei
comandanti militari e navali britannici.
La Dichiarazione In Nordamerica il corso degli eventi aveva subito una brusca accelerazione. Quando venne formato il Comitato del Congresso per la corrispondenza segreta, i coloni si erano già imbarcati in un'offensiva ambiziosa e incauta. Una cospicua forza agli ordini del generale Richard Montgomery tentò d'invadere il Canada. Il 13 novembre 1775 riuscì a conquistare Montreal. Ma a quel punto Montgomery, pur avendo servito sotto Wolfe e Amherst, commise l'errore di tentare di prendere d'assalto Quebec. L'attacco dei coloni venne respinto con pesanti perdite, il contingente fu decimato e lo stesso Montgomery fu ucciso. Ma il comandante britannico in Canada, sir Guy Carleton, era un amico intimo di Howe e condivideva i suoi dubbi sulla guerra. Non soltanto non si preoccupò d'inseguire le forze coloniali in rotta, ma rilasciò anche i prigionieri che aveva catturato. All'inizio del 1776 le fazioni più moderate di orientamento massonico prevalevano ancora nel Congresso continentale. La loro posizione era stata nuovamente esposta il dicembre precedente, quando il Congresso aveva sfidato di nuovo il Parlamento, ma riaffermato la sua fedeltà alla Corona. Ma ora l'umore cominciò a mutare ed elementi più radicali cominciarono a prendere il sopravvento. Il pamphlet di Thomas Paine,
intitolato Buon senso, contribuì molto a polarizzare gli atteggiamenti e a convertire molti finora leali coloni al principio dell'indipendenza dalla madrepatria. Il 7 giugno, il fratello di Arthur Lee, Richard Henry Lee, propose ufficialmente che le colonie divenissero «Stati liberi e indipendenti». Ormai anche l'ambasciata di Franklin aveva cominciato a dare frutti. Luigi XVI di Francia aveva promesso un milione di franchi in munizioni e la Spagna, l'altra grande antagonista continentale della Gran Bretagna, aveva preso un analogo impegno. Questi contributi avrebbero rifornito l'esercito coloniale per quasi due anni. L' 11 giugno, il Congresso nominò un comitato per redigere una dichiarazione d'indipendenza. Dei cinque componenti di questo comitato, due - Franklin e il suocero di Richard Montgomery, Robert Livingston - erano massoni e si presume che lo fosse anche un terzo, Roger Sherman, sebbene la cosa non sia confermata.23 Gli altri due Thomas Jefferson e John Adams - non lo erano, anche se poi si è asserito il contrario. Il testo della dichiarazione fu composto da Jefferson. Venne sottoposto al Congresso e approvato il 4 luglio 1776. Ora si è potuto stabilire che i nove firmatari sicuramente massoni e i dieci probabili comprendevano personaggi influenti come Washington, Franklin e, naturalmente, il presidente del Congresso, John Hancock.24 Inoltre, l'esercito rimaneva quasi interamente in mano ai massoni. Come abbiamo visto, i massoni nel Congresso e i militari si opposero inizialmente alla totale indipendenza. Ma una volta che il dado era stato tratto, si
adoperarono perché i loro particolari ideali venissero racchiusi nelle istituzioni della nascente repubblica. Come vedremo, è soprattutto nella Costituzione che si percepisce l'influenza della Massoneria. Quando venne promulgata per la prima volta, la Dichiarazione d'Indipendenza dovette apparire un gesto donchisciottesco e una vana speranza. Certamente la situazione dei coloni a quell'epoca era tutt'altro che incoraggiante e ben presto sarebbe diventata ancora più deprimente. In marzo, Howe aveva effettivamente evacuato Boston, solo per sbarcare, il 22 agosto, a New York. Nella battaglia di Brooklyn (chiamata talvolta la battaglia di Long Island) morirono 65 dei suoi e 255 rimasero feriti, mentre gli avversari persero oltre 2000 uomini. Invece di inseguire i coloni sconfitti, tuttavia, li lasciò scappare. Nella campagna che seguì mostrò la stessa inerzia. Ad Harlem Heights, ad esempio, di fronte al luogo dove ora sorge la Columbia University, temporeggiò per quattro settimane prima di ordinare l'attacco ed espugnare la posizione dei coloni. Quando venne catturato Fort Washington, i mercenari tedeschi cominciarono a colpire i prigionieri con la baionetta e Howe s'infuriò. Ma nemmeno il comportamento da gentiluomo di Howe poteva risparmiare all'esercito coloniale quello che seguì. Costretto a evacuare Brooklyn, Washington si ritirò a Manhattan, solo per essere scacciato anche da lì, e il 15 settembre Howe occupò New York. Successivi scontri costrinsero Washington a ritirarsi attraverso il New Jersey, poi oltre il Delaware in Pennsylvania. Ormai l'esercito
continentale si era ridotto da 13.000 uomini a 3000. Solo a Fort Lee, aveva perso 140 cannoni. Ma, ancora una volta, Howe mostrò una curiosa titubanza, riuscendo a temporeggiare e a segnare il passo mentre la sua preda sfuggiva all'accerchiamento. È significativo che durante l'anno seguente - l'anno delle più gravi sconfitte di Washington - fosse sempre lui all'offensiva e non Howe. Howe non lo cercava; era lui a cercare Howe. Quando lo trovava, Howe reagiva in modo meccanico: quasi come un uomo che scaccia una mosca e poi torna a dormire. Così, il 26 dicembre 1776 Washington compì la famosa traversata del Delaware e piombò di sorpresa su un reparto di mercenari a Trenton. Poi, il 3 gennaio 1777, evitando il grosso delle forze britanniche agli ordini di Cornwallis, riportò una seconda vittoria a Princeton contro un contingente più piccolo. Tuttavia Howe, che disponeva di un esercito enormemente superiore per uomini e mezzi, invece di reagire, abbandonò semplicemente il New Jersey e passò in Pennsylvania. L'11 settembre respinse facilmente l'attacco di Washington a Brandywine. Ma, invece d'inseguirlo, andò ad occupare Filadelfia - da dove il Congresso continentale era fuggito in tutta fretta - e vi stabilì i suoi quartieri d'inverno. Tre settimane dopo, il 4 ottobre, Washington attaccò di nuovo a Germantown. Di nuovo Howe lo respinse, infliggendogli questa volta perdite particolarmente ingenti. L'esercito continentale era duramente provato dalle malattie, dalla diserzione, dal morale basso e dalla mancanza di rifornimenti e Washington si ritirò nei suoi quartieri invernali a Valley
Forge. Con signorile sportività, Howe lo lasciò tranquillo a leccarsi le ferite e ricostituire il suo esercito scompaginato. In questo processo di ricostruzione, la Massoneria avrebbe avuto un ruolo particolarmente significativo. Attirati dai sogni che la Massoneria aveva contribuito ad inculcare, soldati stranieri di professione traversarono l'Atlantico e si schierarono dalla parte dei coloni. C'era, ad esempio, il barone Friedrich von Steuben, un veterano prussiano reclutato da Franklin e Deane, che divenne il capo istruttore di Washington. Portando con sé la disciplina e la professionalità dell'esercito di Federico il Grande, Steuben, quasi da solo, trasformò le rozze reclute coloniali in un'efficiente forza combattente. C'era anche il francese Johann de Kalb, un altro veterano dei campi di battaglia europei, che sarebbe diventato forse il più competente e fidato dei comandanti in sottordine di Washington. C'era Casimir Pulaski, un polacco votato alla causa, destinato a morire a seguito delle ferite riportate nell'assedio di Savannah. Dalla Polonia veniva anche Tadeusz Kosciuszko, che costruì le elaborate fortificazioni di West Point e divenne il principale architetto e ingegnere militare dei coloni. Infine c'era, naturalmente, il ventenne marchese de Lafayette. Il suo rango e la sua personalità carismatica compensavano la mancanza di esperienza militare e avevano uno straordinario effetto sul morale, mentre la sua attività diplomatica si sarebbe rivelata cruciale. In effetti, fu probabilmente lui il principale artefice dell'entrata in guerra della Francia, che, a sua volta, rese possibile la vittoria finale a Yorktown. Ad eccezione di Kosciuszko, di cui non
si sa nulla, tutti questi uomini erano noti o probabili massoni. Lafayette e Steuben in particolare erano convinti di contribuire alla fondazione della repubblica massonica ideale.
La disfatta di Saratoga Con le sconfitte subite a Brandywine e Germantown e il deprimente inverno a Valley Forge, il 1777 fu un anno particolarmente disastroso per Washington. Al nord della sua sfera di operazioni, tuttavia, avvenne quello che si sarebbe dimostrato, col senno di poi, lo scontro più critico della guerra. Washington non vi prese parte e neppure Howe. Ma, proprio in virtù di questo, Howe dimostrò di nuovo la curiosa titubanza e inerzia che lo caratterizzò durante tutto il conflitto. In verità, le prove indicano che, in questo caso, stava forse dimostrando qualcosa di più. Come abbiamo visto, la guerra era estremamente impopolare. Era sgradita ai comandanti britannici in Nordamerica - i fratelli Howe, Cornwallis e Clinton - ed era sgradita ai membri di entrambi i partiti in patria. Edmund Burke, ad esempio, si era espresso in modo chiaro ed eloquente contro la repressione nelle colonie. Così pure Charles Fox. William Pitt, conte di Chatham, che aveva diretto le operazioni quando il Nordamerica era stato strappato ai francesi vent'anni prima, pronunciò numerosi discorsi appassionati in Parlamento invitando alla conciliazione - e morì mentre ne stava concludendo uno. Il figlio di Pitt, che al momento prestava servizio in Canada
come aiutante di campo di sir Guy Carleton, aveva avuto ordine dal padre di dare le dimissioni piuttosto che combattere contro i coloni. Anche il conte di Effingham si dimise. L'ammiraglio Augustus Keppel, succeduto a Sandwich come primo lord dell'Ammiragliato, dichiarò pubblicamente che non si sarebbe mai impegnato in operazioni contro uomini che considerava suoi compatrioti. Non risulta che George Rodney, il più grande ammiraglio del suo tempo, facesse un'analoga dichiarazione pubblica; ma è chiaro che la pensava allo stesso modo: infatti, evitò accuratamente qualsiasi azione in acque americane fino a che la guerra non fu decisa e soltanto allora si spostò nei Caraibi per infliggere una grave sconfitta alla flotta francese. E, come abbiamo visto, anche Amherst, comandante in capo dell'esercito e riconosciuto maestro di campagne militari in Nordamerica, si rifiutò di scendere in campo. In Canada, sir Guy Carleton condivideva la titubanza del suo amico, sir William Howe. Fra i ranghi più alti dell'establishment britannico, militare, navale e civile, l'opposizione alla guerra era praticamente unanime, come l'antipatia per il suo principale sostenitore in Inghilterra, lord George Germain. C'era una sola eccezione degna di nota, un uomo che cercava di accattivarsi il favore di Germain e auspicava una spietata repressione dei coloni: sir John ("Gentleman Johnny") Burgoyne. Dandy e commediografo minore in Inghilterra, Burgoyne, prima dello scoppio delle ostilità nel 1775, non aveva mai prestato servizio in Nordamerica. Per lui, unico fra i comandanti britannici, quello era un mondo sconosciuto.
Durante la guerra dei Sette anni, era stato di base in Inghilterra e aveva partecipato a una serie di svogliate incursioni sulla costa francese. Successivamente, aveva formato il proprio reggimento di cavalleria leggera e aveva portato i suoi uomini in Portogallo, dove avevano combattuto come volontari nella guerra fra quel paese e la Spagna. Dopo aver sbaragliato le forze spagnole a Villa Velha nel 1762, Burgoyne era tornato in Inghilterra con la reputazione di uomo audace e intraprendente. Non divenne mai massone. All'epoca di Bunker Hill, serviva sotto Howe a Boston. Poi, nel febbraio 1776, venne nominato comandante in seconda di sir Guy Carleton a Quebec e partecipò ai combattimenti in Canada durante la fallita invasione di Richard Montgomery. Burgoyne disapprovava energicamente l'apparente "titubanza" con cui Carleton conduceva le operazioni, al pari di Howe nel Sud. Come abbiamo visto, Carleton rilasciò i prigionieri catturati nell'assalto a Quebec. In un'altra occasione, rilasciò altri 110 uomini dell'esercito coloniale, compreso un generale, dette loro viveri e scarpe e li rimandò a casa. Almeno una volta emanò deliberatamente ordini che permisero ai coloni in ritirata di fuggire. Per Burgoyne, un simile comportamento era imperdonabile. Disprezzava qualsiasi persona o cosa «straniera» e, solo fra i comandanti britannici, applicava quell'aggettivo ai coloni. Li considerava una via di mezzo fra individui nocivi e bambini viziati che avevano un gran bisogno di quella che in epoca successiva sarebbe stata definita «una breve scossa
violenta». Sdegnosamente insensibile alle loro lagnanze, non si peritava di sopprimerli con tutta la spietatezza consentita dalle circostanze. A suo avviso, non meritavano il trattamento da gentiluomini di Carleton e Howe. Nel novembre 1776 Burgoyne tornò in Inghilterra, dove cercò ancora di accattivarsi il favore del suo amico e protettore, lord George Germain. Attraverso i suoi buoni uffici, Burgoyne divenne anche un confidente personale del re. Questo gli permise di agire all'insaputa dei suoi superiori in Nordamerica e fare accettare il suo piano ambizioso per terminare la guerra in un colpo solo. Lo avrebbe attuato personalmente e mietuto la gloria che ne sarebbe derivata. Il piano richiedeva un'elaborata orchestrazione, coreografia e coordinazione. Una grossa colonna britannica al comando dello stesso Burgoyne doveva puntare a sud dal Canada e scendere verso Albany superando i vecchi forti a Ticonderoga e Crown Point: il terreno collinoso e coperto di dense foreste dove Amherst e Wolfe si erano aperti la strada combattendo vent'anni prima, ma che Burgoyne non conosceva affatto. Frattanto, Howe sarebbe stato praticamente privato della sua indipendenza di comando. Avrebbe condotto le sue forze, allora dislocate intorno a Manhattan, a nord per congiungersi con Burgoyne ad Albany. Così: [...] due eserciti, uno dal Canada a nord e l'altro dal sud, dovevano marciare verso un punto d'incontro, tagliando le colonie in due parti separate, che si potevano poi conquistare singolarmente.25
In effetti, tutto il New England sarebbe stato tagliato fuori dalle colonie al sud. Secondo un commentatore, Burgoyne era certo di «assicurarsi... gloria, onore, posizione e un posto privilegiato nella storia».26 Il suo piano era certamente ambizioso. Forse in mani più competenti sarebbe potuto riuscire; ma anche se fosse riuscito, i risultati sarebbero stati trascurabili, dal momento che nel 1777 i principali teatri di operazioni si erano spostati molto più a sud e il New England era diventato strategicamente irrilevante. Nondimeno, Germain e il re si lasciarono convincere. Sir Guy Carleton doveva essere sostituito da Burgoyne come comandante in capo delle forze britanniche in Canada e ne fu informato nel marzo 1777. Si dimise subito ma rimase a Quebec abbastanza per equipaggiare Burgoyne e vederlo partire. Dopo i loro precedenti litigi, Burgoyne fu sorpreso della pronta collaborazione di Carleton. Sir Guy, scrisse Burgoyne, «non avrebbe potuto mostrare... più zelo nel facilitare ed esaudire le mie richieste e i miei desideri».27 In realtà, Carleton non vedeva l'ora di toglierselo dai piedi e scaricarsi di dosso tutta la faccenda. Ma si rendeva anche conto, come vedremo, che più presto Burgoyne intraprendeva la sua marcia, più sicuramente sarebbe andato incontro alla sua rovina. Sapendo benissimo quello che doveva accadere, Carleton non facilitava il successo dell'impresa di Burgoyne, ma il suo inevitabile fallimento. La riuscita del piano di Burgoyne dipendeva
sostanzialmente dalla collaborazione di Howe, che in quel momento era impegnato in operazioni intorno a Manhattan. Perché il piano avesse successo, Howe doveva fare la sua parte muovendo a nord con il suo esercito e congiungendosi con Burgoyne ad Albany. Burgoyne presumeva che lord Germain, suo amico e protettore in Inghilterra, avrebbe emanato gli ordini necessari costringendo Howe a obbedire, malgrado le sue obiezioni personali. Certamente quella responsabilità spettava a Germain ed è quindi a lui che viene generalmente addossata la colpa dei successivi eventi. Indubbiamente, Germain fu parzialmente responsabile, parzialmente colpevole di negligenza. Secondo la versione generalmente accettata, era ansioso di andare in vacanza. Non volendo far attendere la sua carrozza giù in strada, firmò frettolosamente gli ordini di Burgoyne; ma quelli di Howe non erano stati ancora copiati a dovere e lui, semplicemente, li ignorò. Almeno così scrisse il conte di Shelburne, in quello che è diventato uno degli atti d'accusa standard contro Germain: Fra le molte eccentricità, detestava in particolare di essere disturbato in qualsiasi occasione; aveva stabilito di recarsi in Kent o in Northamptonshire a una certa ora e di passare dal suo ufficio strada facendo per firmare i dispacci destinati a questi due generali e già tutti predisposti. Per sbaglio quelli per il generale Howe non erano stati copiati bene e siccome lui si spazientiva, l'ufficio, che era molto negligente, promise di inviarglieli in campagna, mentre spediva gli altri al generale Burgoyne, ritenendo che i secondi potessero essere spediti prima che partisse la nave con i primi. Ma la nave, per errore, salpò senza di essi e il vento ritardò il bastimento che doveva portare il resto degli ordini. Da
questo derivarono la sconfitta del generale Burgoyne, la dichiarazione francese e la perdita delle tredici colonie. Può sembrare incredibile se il suo stesso segretario e i funzionari più degni di fiducia non me lo avessero assicurato; la migliore conferma sta nel fatto che non esiste altra spiegazione possibile.28
Su questo punto, lord Shelburne non ha del tutto ragione. Ciò che accadde può essere spiegato in un altro modo, o per lo meno in un modo che integra la versione di Shelburne. Infatti, se Germain trascurò effettivamente di firmare gli ordini di persona, nondimeno essi vennero firmati e inviati a Howe. Li firmò un certo D'Oyley, sottosegretario al Ministero della guerra. Si sa che Howe li ricevette il 24 maggio 1777.29 II fatto che Germain non li avesse firmati di suo pugno non conta. In teoria, Howe avrebbe avuto ugualmente l'obbligo di attenervisi. Per di più Howe sapeva già che cosa avrebbe dovuto fare: Pur ammettendo che era difficile provare rispetto o simpatia per un uomo come lord George, nondimeno la sua imperdonabile negligenza per non essersi accertato che i suoi ordini arrivassero a sir William a New York, è soltanto un lato del disastroso errore [...] L'altro lato era la certezza assoluta del generale Howe che mentre Burgoyne marciava a sud, gli americani lo stavano accerchiando.30
In effetti, Howe ne era così certo da informarne Burgoyne. Howe: disse a Burgoyne che l'esercito nordamericano stava per essere rinforzato con 2500 truppe fresche. Howe sapeva anche... che il generale ribelle Israel Putnam, con altri 4000 uomini, era a Peeksill, fra Clinton a New York
City e Burgoyne a Fort Edward.31
Un breve esame dell'esatta successione degli eventi rivela il modo in cui Howe e Carleton riuscirono congiuntamente ad assicurare l'insuccesso di Burgoyne e, grazie anche all'inatteso ausilio della negligenza di Germain, ad addossargliene tutta la colpa. All'inizio del 1777, Howe, come abbiamo visto, decise di abbandonare il New Jersey a Washington e mosse verso la capitale coloniale, Filadelfia. Notificò le sue intenzioni a Germain, che, il 3 marzo, dette la sua approvazione. Il 26 marzo, tuttavia, avvenne il contrattempo descritto più sopra. Germain dette ufficialmente ordine a Burgoyne di marciare a sud e a Howe di riunirsi con lui ad Albany. Secondo il Ministero della guerra, questi ordini vennero inviati, con la firma di Germain, a Burgoyne e, con la firma di D'Oyley, a Howe, che li ricevette il 24 maggio.32 Ma sette settimane prima, il 2 aprile, Howe aveva già scritto a Carleton in Canada che non sarebbe stato in grado di fornire molto aiuto a Burgoyne «giacché sarò probabilmente in Pennsylvania».33 In altre parole, Howe, sette settimane prima di ricevere i suoi ordini, sapeva già quello che avrebbe dovuto fare e aveva già deciso di non farlo. Carleton ricevette la lettera di Howe prima che Burgoyne iniziasse la sua avanzata da Quebec verso sud il 3 giugno. Ma, non soltanto trascurò di avvertire Burgoyne, ma ne affrettò persino la partenza con uno "zelo" che il compiaciuto Burgoyne trovò sorprendente. È quindi chiaro
che Howe e Carleton, approfittando della lentezza delle comunicazioni e della generale vaghezza degli ordini, riuscirono a discolparsi pur lasciando che Burgoyne marciasse verso una sconfitta scontata. E Germain, da parte sua, continuando a essere vago, li aiutò inconsapevolmente ad autoassolversi dopo. Il 18 maggio Germain scrisse a Howe. Stranamente, approvò l'avanzata di Howe su Filadelfia, «fidando, tuttavia, che qualunque cosa lei possa meditare, verrà effettuata in tempo perché lei possa collaborare con l'esercito che ha l'ordine di procedere dal Canada...».34 È stupefacente che Germain potesse essere così ingenuo da pensare che Howe potesse avanzare a sud in Pennsylvania e poi riuscire a marciare a nord in tempo per congiungersi con Burgoyne. Howe stesso non era così ingenuo. Non finse nemmeno di affrettarsi. Al contrario, si mosse in maniera decisamente lenta. Quando ricevette la lettera di Germain il 16 agosto, era a bordo di una nave nella baia di Chesapeake, in rotta per Filadelfia. Lo stesso giorno, i mercenari tedeschi che formavano l'avanguardia di Burgoyne si scontrarono con i coloni a Bennington e vennero annientati: Quando Howe decise di abbandonare Burgoyne... è difficile immaginare come pensasse che Burgoyne sarebbe riuscito ad arrivare ad Albany... c'è poco da dubitare che, con o senza gli ordini di Germain, sir William Howe avesse qualche sentore che Burgoyne stava marciando diritto verso guai molto seri, eppure non fece nulla per evitare che venisse duramente battuto e persino annientato.35
Il 30 luglio Burgoyne, avanzando attraverso le selvagge foreste a nord di New York, aveva inviato una lettera preoccupata a Germain in cui lamentava di non avere idea delle intenzioni di Howe. Sembra che questa fosse la sua prima avvisaglia di pericolo. Il 20 agosto, quattro giorni dopo la sconfitta a Bennington, inviò una seconda lettera. A quel punto, Howe era già entrato in Pennsylvania. Il 30 agosto scrisse chiaro e tondo a Germain che non aveva «la minima intenzione di aiutare Burgoyne».36 L' 11 settembre, come abbiamo visto, sconfisse Washington a Brandywine. Il 27 settembre, occupò Filadelfia e, una settimana dopo, il 4 ottobre, batté ancora più duramente Washington a Germantown. Frattanto Burgoyne affondava sempre più nel pantano in cui si era cacciato da solo. Il 7 ottobre, tre giorni dopo Germantown, la sua colonna si scontrò con il grosso delle forze coloniali al comando del generale Horatio Gates. Respinto con pesanti perdite, Burgoyne si ritirò nel suo campo di Saratoga, solo per esserne sloggiato dal contrattacco di Gates. Infine, il 17 ottobre, completamente circondato, con tutte le vie di ritirata ormai tagliate e senza speranza di assistenza o soccorso, Burgoyne si arrese con quasi 6000 uomini. Cinque giorni dopo, Howe, al sicuro nei suoi quartieri d'inverno a Filadelfia, scrisse a Germain, facendo riferimento alla sua lettera del 2 aprile (e prendendosi qualche libertà retrospettiva con la sua fraseologia): «Io menzionai chiaramente che non era possibile fornire alcuna assistenza diretta all'esercito meridionale».37
Da questa successione di eventi, risulta chiaro che Howe, fin dal marzo, aveva deciso di non andare in aiuto di Burgoyne. Lo scrisse anche nella sua lettera a Carleton. Tuttavia, nessuno dei due, pur sapendo benissimo quali sarebbero state quasi sicuramente le conseguenze, tentò in alcun modo di evitarle. Howe, che era ovviamente contrario alla spedizione di Burgoyne, non cercò mai di protestare con i suoi superiori a Londra, non usò mai la sua autorità di comandante in capo per obiettare che il piano era mal concepito. E Carleton, affrettando la partenza di Burgoyne, addirittura favorì la conclusione finale. Entrambi si poterono discolpare approfittando della lentezza delle comunicazioni e della nota incompetenza di Germain, nonché rispondendo con deliberata vaghezza all'involontaria vaghezza degli ordini ricevuti. Nel dramma doveva esserci un altro protagonista che i successivi storici hanno completamente ignorato. Bisogna ricordare che Amherst era il comandante in capo dell'esercito all'epoca. Aveva combattuto proprio sul terreno che Burgoyne si proponeva di attraversare; poteva facilmente valutare i pericoli e l'inettitudine di Burgoyne. Non soltanto era l'ex comandante di Howe sul campo, ma anche un suo vecchio amico e avrebbe sicuramente ascoltato con simpatia qualsiasi lamentela di Howe. Tutti gli ordini, in teoria, sarebbero dovuti passare per le mani di Amherst. Anzi, strettamente parlando, avrebbe dovuto emanarli lui anziché Germain. Come minimo, sarebbe dovuto essere a conoscenza di ciò che stava accadendo. Eppure sembra che Amherst, durante tutta la successione
di eventi che culminò con Saratoga, si fosse volatilizzato. Non risulta che Howe si lamentasse con lui, né, se per quello, che si scambiassero lettere di alcun genere. Non vi è traccia di un suo commento, un suo suggerimento, un suo consiglio. Non risulta che emanasse ordini di alcun tipo. È proprio la sua invisibilità ad attirare l'attenzione. Se davvero Howe e Carleton erano tacitamente pronti ad assistere all'insuccesso di Burgoyne, anche Amherst doveva essere coinvolto o, come minimo, acquiescente. In ogni caso, e quale che fosse il ruolo o non-ruolo di Amherst, le conclusioni sono inevitabili. Appare indubbio che Howe e Carleton volevano che Burgoyne fallisse. La vera questione è perché. Era semplice animosità personale nei confronti di Burgoyne, un maligno desiderio di vederlo screditato? È molto improbabile. D'accordo, sia Howe che Carleton nutrivano una violenta antipatia per Burgoyne e probabilmente con ragione. Ma è difficile credere che avrebbero favorito il sacrificio di un esercito per soddisfare un risentimento personale: dato specialmente che quel sacrificio sarebbe servito soltanto a rendere più difficili i loro rispettivi compiti. Quali che fossero i loro sentimenti personali nei riguardi di Burgoyne, non lo avrebbero abbandonato al suo destino a meno che non fosse utile su un piano più vasto: utile nell'ambito di una visione politica generale della guerra. E dato come Howe e Carleton vedevano la guerra, ecco che il loro comportamento ha una sua logica. Gli storici tendono a vedere l'abbandono di Burgoyne da parte di Howe come un mostruoso errore risultante da segnali contraddittori, o
come un atto di vergognosa e sconcertante negligenza. Ma, in realtà - e questo è un punto cruciale - era perfettamente conforme al modo in cui Howe (e Carleton e Cornwallis) avevano, e avrebbero, condotto le operazioni durante tutto il corso del conflitto. Il disastro di Burgoyne dette anche a Howe un'opportunità che cercava da tempo: una scusa per dimettersi dal suo comando senza alcun demerito personale. Lo fece entro un mese dalla battaglia di Saratoga. Un mese dopo, suo fratello, ammiraglio Richard Howe, seguì il suo esempio. In termini puramente militari, Saratoga, come abbiamo osservato, non fu di per se stessa decisiva. Non arrestò lo sforzo bellico britannico. Non ridusse drasticamente le truppe disponibili nei principali teatri di operazioni. Non impedì agli altri comandanti britannici di continuare a combattere. Al contrario, le forze di Howe erano ancora intatte e la situazione strategica complessiva non era peggiore di prima. Se avesse voluto, Howe avrebbe ancora potuto schiacciare Washington. Ma in termini non militari, Saratoga fu effettivamente decisiva e segnò il vero punto di svolta nella guerra d'indipendenza americana. In primo luogo, infuse una grande fiducia nei coloni proprio quando ne avevano un disperato bisogno. In secondo luogo, indusse la Francia non soltanto a riconoscere le colonie ribelli come una repubblica indipendente, ma anche ad entrare in guerra dalla loro parte con conseguenze decisive sul piano
strategico. L'intervento della Francia avrebbe portato truppe regolari francesi in Nordamerica. Avrebbe contrapposto alla Royal Navy una flotta di uguale forza nelle acque nordamericane e quindi sfidato, sia pure temporaneamente, il blocco navale britannico. Inoltre, lo spettro della guerra nel continente avrebbe bloccato in Inghilterra una quantità di truppe che, almeno in teoria, si sarebbero potute inviare nelle colonie. Avrebbe costretto la Gran Bretagna a protendersi fino a Gibilterra, Minorca e l'India. Insomma, avrebbe spremuto le risorse britanniche militari, navali ed economiche - a un punto tale da rendere la guerra sempre più controproducente. Ma queste conseguenze non si fecero sentire subito. Nel frattempo il conflitto continuò per ben quattro anni. L'8 gennaio 1778 Franklin, Silas Deane e Arthur Lee a Parigi stipularono un trattato formale di alleanza con la Francia. Ma in Nordamerica la situazione dei coloni rimase disperata. In maggio Howe venne sostituito da sir Henry Clinton; lord Cornwallis era tecnicamente in sottordine, ma esercitava spesso un comando autonomo. L'esercito di Washington divenne sempre più debole dopo due inverni rigidi come quello trascorso a Valley Forge e i conseguenti, disastrosi ammutinamenti. Tuttavia, né Clinton né Cornwallis tentarono di sfruttare la situazione. Frattanto, il centro delle operazioni si spostò a sud. Nel dicembre 1778 forze britanniche conquistarono Savannah e la difesero contro un vigoroso attacco dei coloni nell'ottobre dell'anno successivo. Per quasi tutto il 1779 non vi furono operazioni importanti, ma nel maggio
1780 Clinton conquistò Charlestown in South Carolina, infliggendo ai coloni la più dura sconfitta della guerra. Allo stesso tempo, Benedict Arnold avviò trattative segrete con Clinton per cedere agli inglesi West Point e la valle dell'Hudson. Il 16 agosto 1780 Cornwallis si scontrò con Horatio Gates, il vincitore di Saratoga, a Camden, nel New Jersey meridionale. I coloni furono nuovamente sconfitti e il barone de Kalb, comandante in seconda di Gates, morì nella battaglia. Gates stesso abbandonò il campo e non riuscì a sopravvivere all'ignominia. Con l'eccezione di un'ulteriore vittoria britannica a Guilford Courthouse il 15 marzo 1781, la guerra degenerò in semplici azioni di guerriglia. Infine, il 7 agosto 1781, Cornwallis, che aveva scorrazzato per la Virginia, stabilì la sua base a Yorktown e si fece bloccare lì. Il 30 agosto una flotta francese strappò temporaneamente agli inglesi il controllo degli accessi alla costa e vi sbarcò nuove forze al comando di Lafayette e del barone von Steuben. Circa tre settimane dopo, arrivò l'esercito di Washington, e Cornwallis, con 6000 uomini, si trovò assediato da 7000 coloniali e quasi 9000 francesi. Resistè fino al 18 ottobre, poi si arrese, sebbene Clinton, con 7000 rinforzi, fosse a meno di una settimana di marcia. È ovvio che ormai l'alto comando britannico aveva perso ogni interesse nella guerra. Quando i soldati di Cornwallis si arresero, il loro comandante, in un impeto di ironico, bizzarro buon umore, ordinò alla banda di suonare un pezzo intitolato II mondo a rovescio. Era come dire, con un mesto sorriso, «Onore al merito!». Come Saratoga, Yorktown non fu di per sé decisiva sul
piano militare. L'esercito di Clinton era ancora intatto e nell'aprile 1782, l'ammiraglio Rodney intrappolò la flotta francese nelle Indie Occidentali e la distrusse completamente. Se la Gran Bretagna avesse voluto continuare la guerra, avrebbe potuto bloccare l'invio di ulteriori aiuti francesi in Nordamerica. Ma il 27 febbraio, il Parlamento aveva già bocciato ogni ulteriore azione contro i coloni e le trattative di pace ebbero inizio. Durarono quasi un anno e in quel periodo tutte le operazioni furono sospese, eccetto quelle navali contro i resti della flotta francese. Finalmente, il 4 febbraio 1783, il nuovo governo britannico proclamò ufficialmente la fine delle ostilità. Il 3 settembre fu firmato il Trattato di Parigi, che riconosceva le colonie ribelli come repubblica indipendente: gli Stati Uniti. A novembre, gli ultimi contingenti dell'esercito britannico si erano ormai ritirati dal territorio della nuova nazione e l'esercito continentale era stato congedato. Il 23 dicembre Washington dette le dimissioni da comandante in capo.
1 Einstein, Divided Loyalties, p. 3. 2 Amiable, Une loge maçonnique d'avant 1789, la R.L. Les Neuf Soeurs, pp. 136 e 145. 3 La Fontaine, op. cit., p. 17. 4 Towers, Dashwood: The Man and the Myth, pp. 157-60. Questo passaggio si riferisce alla Sala del Capitolo a Medmenham Abbey e ai riti che vi venivano celebrati. 5 Encyclopaedia britannica, Chicago, 1947, vol. XIX, p. 940, articolo su
John Montagu, quarto conte di Sandwich. 6 McCormick, The Hell Fire Club, p. 107. 7 Towers, Dashwood: The Man and the Myth, p. 220. 8 Kemp, Alcune lettere di sir Francis Dashwood, p. 219, lettera datata 28 settembre 1769. 9 Gruber, The Howe Brothers and the American Revolution, p. 54. 10 A Letter from Cicero to the Right Hon, lord Viscount Howe, Londra 1781, p. 26. 11 Ivi, p. 5. 12 Ivi, p. 6, citazione dal «Morning Post». 13 Wilkes era effettivamente il loro rappresentante a Londra. Nel 1775 e 1776 era a stretto contatto con Arthur Lee (fratello di Richard Henry Lee), che si trovava a Londra. In seguito, Lee raggiunse Franklin e Deane a Parigi. Wilkes inviava denaro al commediografo Beaumarchais, che a sua volta lo inviava nelle colonie americane; vedi Maier, From Resistance to Revolution, p. 256. 14 Lettera del reverendo John Vardill a William Eden, 14 dicembre 1777: «Mr. Lupton e il dottor Bancroft sono a Londra. Mr. Lupton e Mr. Petré hanno trascorso la serata di ieri con Mr. Wilkes, Hartley, ecc.» (cfr. British Library, Add.Mss 34414, f. 427). 15 Dati in archivio presso la Grande Loggia Unita d'Inghilterra, Londra. 16 Vedi capitolo 16, nota 7, supra. 17 Ibid. 18 Per un curriculum vitae di Bancroft, cfr. Einstein, op. cit., pp. 4-15. 19 Amiable, op. cit., p. 253. A quell'epoca, a parte Franklin e Bancroft, pochissimi altri membri di questa loggia non erano francesi. Gli anglofoni erano George Forster, il naturalista che accompagnò il capitano Cook nei suoi viaggi, uno scozzese di nome Campbell, non meglio identificato, e l'ufficiale di marina scozzese che combatteva per i coloni americani, John Paul Jones. C'era anche un certo Bingley, non meglio identificato, presumibilmente inglese o americano. Le altre nazionalità erano rappresentate da sei italiani, due spagnoli e un russo, un polacco, uno
svedese e un tedesco. 20 Giorgio III, scrivendo a lord North, si dice convinto che Bancroft sia «interamente americano e che ogni parola da lui usata in quest'ultima occasione fosse ingannevole...»; cfr. The Correspondence of King George the Third, vol. III, p. 532, lettera n. 2132, 31 dicembre 1777. 21 Ivi, vol. V, p. 24, lettera n. 2952, primo marzo 1780, lord Stormont a Giorgio III. 22 Deacon, A History of the British Secret Service, pp. 112-13. 23 Heaton, Masonic Membership of the Founding Fathers, pp. 100-101. 24 Ivi, p. XVI. 25 Paine, Gentleman Johnny, p. 75. 26 Ivi, p. 85. 27 Ivi, p. 84. 28 Fitzmaurice, Life of William, Earl of Shelburne, vol. I, pp. 247-48. 29 Adams, The Papers of lord George Germain, p. 29. In questa data Howe ricevette una copia del dispaccio che ordinava a Burgoyne di andare a sud e congiungersi con lui ad Albany. Non sappiamo se questo dispaccio ordinasse anche esplicitamente a Howe di andare a nord e incontrarsi con Burgoyne. Quello che è sicuro è che Howe sapeva che Germain e Burgoyne si aspettavano che lui andasse a nord. Howe asserì di non aver ricevuto gli ordini. Il Ministero della guerra asserì che erano stati inviati, ma né Germain né D'Oyley furono in grado di esibire una minuta del dispaccio e quindi non poterono mai provare che era stato effettivamente inviato. O non lo fu, o Howe o qualche altra persona interessata riuscì a far sparire la minuta prima di un'eventuale indagine. 30 Paine, op. cit., p. 118. 31 Fortescue, A History of the British Army, vol. III, p. 207. 32 Vedi nota 29. 33 Robertson, England Under the Hanoverians, p. 513. 34 Ibid. 35 Paine, op. cit., p. 119.
36 Adams, op. cit., p. 31. 37 Robertson, op. cit., p. 514.
Interludio Lealtà massoniche
L'influenza della Massoneria sul corso della guerra d'indipendenza americana fu sia diretta che indiretta, generale e particolare. In alcuni casi, servì da tramite per l'attività politica, persino rivoluzionaria. Così, ad esempio, la loggia di Saint Andrew ebbe un ruolo importante nel "Boston Tea Party" e fornì anche un presidente al Congresso continentale nella persona di John Hancock. La Massoneria trasmise i suoi atteggiamenti e i suoi valori all'esercito continentale di nuova formazione e può benissimo aver avuto qualcosa a che fare con la nomina di Washington a comandante in capo. Costituiva, inoltre, un vincolo fraterno preesistente con i volontari stranieri come Steuben e Lafayette. In maniera meno diretta e meno quantificabile, contribuì a creare un'atmosfera generale, un ambiente o un clima psicologico che aiutò a modellare il pensiero non soltanto dei fratelli attivi come Franklin e Hancock, ma anche dei
non massoni. Senza la Massoneria del XVIII secolo, i princìpi al centro del conflitto - libertà, uguaglianza, fraternità, tolleranza, i "diritti dell'uomo" - non avrebbero avuto tanta diffusione. È vero che quei princìpi dovevano molto a Locke, Hume, Adam Smith e les philosophes in Francia. Ma la maggioranza di quei pensatori, se non tutti, erano massoni, frequentavano circoli massoni o erano influenzati dalla Massoneria. Ma la Massoneria filtrava anche in basso, al livello popolare. Non soltanto contribuì a modellare gli ideali che erano alla base della guerra d'indipendenza americana. Non soltanto influenzò il pensiero dei politici e degli statisti, i pianificatori e i responsabili delle decisioni ad alto livello. Non soltanto colorò gli atteggiamenti di uomini come Howe, Carleton, Cornwallis, Washington, Lafayette e Steuben. Impregnò anche la "bassa forza" della guerra, i soldati semplici che trovarono in essa un legame comune e un principio di solidarietà. Questo valeva soprattutto per l'esercito continentale dove, in assenza di tradizioni reggimentali, la Massoneria formava la base dello slancio vitale dello spirito del corpo. Ma anche nell'esercito britannico la Massoneria creava legami non soltanto fra i soldati, ma anche fra i soldati e i loro ufficiali. Così, ad esempio, la loggia da campo del 29° fanteria, poi Worcestershire Regiment, includeva due tenenti colonnelli, due tenenti e otto soldati semplici.1 La loggia del 59° fanteria, poi East Lancashire Regiment, includeva un tenente colonnello, un maggiore, due tenenti, un medico, un
maestro di banda, tre sergenti, due caporali e tre soldati semplici.2 Né l'influenza della Massoneria era limitata al personale dei due eserciti in campo. Esisteva anche fra avversari. La guerra d'indipendenza americana abbonda di aneddoti che attestano come le lealtà massoniche condizionassero, e talvolta persino trascendessero, tutte le altre. I Mohawk, sotto il loro famoso capo Joseph Brant, erano fra i più stretti alleati indiani dell'esercito britannico durante la guerra. La sorella di Brant, prima del conflitto, aveva sposato sir William Johnson, Gran Maestro Provinciale di New York e amico di Amherst. Durante una visita a Londra nel 1776, Brant venne a sua volta iniziato come massone. Più tardi in quello stesso anno, durante la fallita invasione del Canada da parte dei coloni, un certo capitano McKinstry venne catturato da alcuni uomini della tribù di Brant, legato a un albero e contornato di sterpi a cui gli indiani stavano per appiccare il fuoco. Quando McKinstry fece un "appello massonico", Brant lo riconobbe e ordinò che venisse liberato. Venne poi consegnato a una loggia britannica a Quebec, che lo rimandò in patria.3 Fra i prigionieri di guerra catturati da Howe nella conquista di New York c'era un massone locale di nome Joseph Burnham. Questi riuscì a evadere e, fuggendo a piedi, si rifugiò una notte sulle assi di legno che formavano parte del soffitto di una loggia locale. Non essendo inchiodate, le assi cedettero e Burnham piombò di schianto nella stanza sottostante in mezzo al conclave di
ufficiali britannici stupefatti. Vennero scambiati segni di riconoscimento e gli ufficiali britannici «versarono un generoso contributo per il fratello Burnham, che fu trasportato prontamente e in segreto sulla costa del Jersey».4 In un'altra occasione, Joseph Clement, un massone britannico dell'8° fanteria (poi Liverpool Regiment), prestava servizio in un reparto di rangers quando vide un indiano accingersi a scotennare un prigioniero coloniale dopo una scaramuccia. Facendo un segno massonico a Clement, il prigioniero chiese la sua protezione. Clement ordinò all'indiano di andarsene, poi fece trasportare il prigioniero in una fattoria vicina, dove venne curato e poi inviato a casa. Alcuni mesi dopo, a nord di New York, Clement fu a sua volta catturato e rinchiuso in una prigione locale. Risultò che il suo carceriere era proprio l'uomo a cui aveva precedentemente salvato la vita e quella notte «un amico venne da lui e gli lasciò intendere che all'alba la porta della prigione non sarebbe stata chiusa a chiave e fuori avrebbe trovato un cavallo ad aspettarlo per fuggire oltre frontiera».5 Se questo tipo di rapporto esisteva fra ufficiali e uomini, esisteva anche fra comandanti. Il 16 agosto 1780, Cornwallis, come abbiamo visto, si scontrò con le forze coloniali agli ordini di Horatio Gates e del barone de Kalb nella battaglia di Camden. Quando la posizione coloniale crollò, Gates fuggì più in fretta delle sue truppe. Kalb, ritenuto tradizionalmente un massone, era mortalmente
ferito. Fu trovato dal comandante in seconda di Cornwallis, Francis Rawdon, conte di Moira, che, un decennio più tardi, divenne vice Gran Maestro della Grande Loggia d'Inghilterra. Kalb venne portato nella tenda di Moira, che lo assistè personalmente per tre giorni. Quando Kalb morì, Moira organizzò un funerale massonico.6 In entrambi gli eserciti, la Massoneria fungeva un po' da corte d'appello per ottenere favori e riparare i torti. Per citare un esempio postbellico, la loggia da campo del 14° dragoni nel 1793 redasse una petizione in cui chiedeva alla Grande Loggia d'Irlanda, sua loggia madre, di «intercedere presso il Luogotenente o il Comandante in capo» in favore di un certo J. Stoddart, quartiermastro del reggimento. La petizione venne quindi inviata al colonnello Craddock, comandante del reggimento e fratello massone, «con la richiesta di questa Grande Loggia che egli gentilmente usi la sua amichevole e fraterna influenza a favore del sullodato fratello Stoddart».7 Durante tutta la guerra d'indipendenza americana, ci sono resoconti di documenti e insegne di logge da campo catturati da una parte o dall'altra e puntualmente restituiti. In un caso, le insegne del 46° fanteria - poi 2° battaglione di fanteria leggera del duca di Cornwall - vennero catturate da truppe coloniali. Su ordine di George Washington, furono rimandate indietro, sotto bandiera bianca, con il messaggio che lui e i suoi uomini «non facevano la guerra a istituzioni benefiche».8 In un'altra occasione, fu catturato il certificato del 17° fanteria - poi Leicestershire Regiment - e
anch'esso venne restituito con una lettera del generale Samuel Parsons. Questa lettera esprime eloquentemente lo spirito istillato dalla Massoneria in entrambi gli eserciti e a tutti i livelli: Fratelli, quando l'ambizione dei monarchi, o gli interessi contrapposti di Stati in lotta, chiamano i loro sudditi alla guerra, come massoni siamo privi di quel risentimento che spinge a un'indistinta devastazione e, ovunque ci conducano i nostri sentimenti politici nella disputa pubblica, siamo sempre fratelli e (a parte il nostro dovere professionale) dovremmo promuovere la felicità e favorire il benessere reciproco. Accettate, quindi, dalle mani di un Fratello, la Costituzione della Loggia «Unità, n.18» presso il 17° reggimento britannico che le vostre recenti disgrazie mi hanno dato la possibilità di restituirvi.
Il vostro Fratello e obbediente servitore, Samuel H. Parsons9
1 Milborne, Logge militari britanniche nella guerra d'indipendenza americana, p. 50. 2 Ivi, p. 67. 3 Pick and Knight, The Pocket History of Freemasonry, p. 251 e Gould, vol. VI, p. 415. 4 Gould, Massoneria militare, pp. 47-48. 5 Milborne, Logge militari britanniche nella guerra d'indipendenza americana, pp. 31-32. 6 Green, in Cook (a cura di), Colonial Freemasonry, p. 53. De Kalb era presumibilmente un membro della Loggia n. 29 dell'esercito continentale, che venne formata nel 1780; tuttavia, mancano prove certe. Cfr. Heaton, Masonic Membership of the Founding Fathers, pp. 84-85, e Mackey,
Encyclopaedia of Freemasonry, vol. I, pp. 514-15. È improbabile che, a quell'epoca, Moira fosse un massone; cfr. Hamill, Il conte di Moira, p. 32. 7 Lepper, Il povero soldato semplice, p. 156, citazione dai Verbali della Grande Loggia d'Irlanda, 5 settembre 1793. 8 Milborne, Logge militari britanniche nella guerra d'indipendenza americana, p. 61 e Chetwode Crawley, «Il generale George Washington e la Loggia n. 227 (LC.)», p. 96. 9 Milborne, op. cit., pp. 37-38.
19 La Repubblica
Nel novembre 1777, poco dopo Saratoga, il Congresso continentale aveva convenuto, almeno in linea generale, sulla forma di governo da adottare per la giovane repubblica. Doveva essere una federazione di stati, ciascuno dei quali doveva ratificare formalmente gli Articoli di Confederazione proposti. Dispute sui confini ritardarono il processo e gli Articoli di Confederazione furono ratificati dalle tredici colonie solo all'inizio del marzo 1781, sette mesi prima della resa britannica a Yorktown. Ma dovevano trascorrere altri sei anni prima che le cose facessero un importante passo avanti. Fra il 1783 e il 1787 vi fu una lacuna, come se i coloni, stupefatti dai risultati ottenuti, avessero bisogno di una pausa per riprendere fiato e valutare la situazione. Risultò che la loro popolazione era diminuita di circa 211.000 unità rispetto a prima della guerra. Questa diminuzione era dovuta in massima parte alla fuga in Inghilterra, o più
spesso in Canada, dei coloni fedeli alla corona. Finalmente, il 25 maggio 1787 la Convenzione costituzionale si aprì a Filadelfia e si mise al lavoro per elaborare il meccanismo di governo della nuova nazione. La prima voce influente a farsi sentire fu una voce tipicamente massonica: quella di Edmund Randolph. Quasi tutta la famiglia di Randolph era rimasta fedele alla Corona ed era tornata in Inghilterra nel 1775. Ma lui, che faceva parte di una loggia di Williamsburg, era diventato l'aiutante di campo di Washington. Successivamente, sarebbe diventato Attorney General (ministro della Giustizia), poi governatore della Virginia e Gran Maestro della Grande Loggia della Virginia.1 Durante la presidenza di Washington, sarebbe stato il primo Attorney General degli Stati Uniti, poi il primo Segretario di Stato. Durante la Convenzione costituzionale, Washington, sebbene eletto presidente dell'assemblea, non partecipò ai dibattiti ed è probabile che Randolph, almeno in certa misura, fungesse da suo portavoce o mandatario. Randolph propose che la Convenzione non si limitasse a rivedere o modificare gli Articoli di Confederazione - che, fino allora, avevano tenuto insieme le colonie appena divenute indipendenti - ma stabilisse una nuova base per un governo centrale. La sua proposta venne accettata e i delegati si misero al lavoro per fondere la fluida confederazione di ex province in un'unica nazione. La storia aveva, naturalmente, già visto altre repubbliche. In verità, il concetto di repubblica risaliva all'epoca classica: all'antica Grecia e a Roma prima dell'Impero. Ma,
come i delegati sapevano anche troppo bene, tutte le precedenti repubbliche andavano soggette a problemi cronici quanto quelli che affliggevano le monarchie. Primo fra questi era forse la propensione dei governi repubblicani a cadere nelle mani di individui o dinastie dittatoriali, che poi divenivano tirannici al pari di qualsiasi sovrano o casa reale, e talvolta anche di più. In virtù di questa propensione, il concetto stesso di repubblica aveva perso molto credito fra i filosofi sociali del XVIII secolo. Anche i pensatori più illuminati dell'epoca nutrivano profondi dubbi sulla forza vitale della repubblica come forma di governo. Hume, ad esempio, l'aveva scartata come una «pericolosa novità».2 Per quanto odiosa potesse essere la monarchia assoluta, diceva, era pur sempre preferibile.3 Ora i delegati alla Convenzione costituzionale dovevano affrontare questi problemi e lo fecero formulando ed enfatizzando due princìpi che, presi insieme, costituivano uno sviluppo unico nelle istituzioni politiche del tempo. Il primo di questi princìpi era che il potere veniva conferito alla carica, non all'uomo, e l'uomo sarebbe stato sostituito nella carica a intervalli regolari con il voto. Un individuo poteva occupare una carica politica o governativa, adempiere ai doveri e assumere le responsabilità ad essa connessi, ma non poteva diventare inseparabile dalla carica stessa. D'accordo, questo principio non era certo nuovo. Ma, per quanto desiderabile potesse apparire in teoria, era stato così spesso violato in pratica da essere ormai screditato. Specialmente nelle
questioni di governo, la teorica separazione dell'uomo dalla carica si era rivelata troppo spesso e troppo vistosamente falsa per ispirare altro che cinismo. Uomini come Locke, Hume e Adam Smith non si degnavano nemmeno di menzionarla. Eppure la Massoneria era una delle poche istituzioni del XVIII secolo in cui quel principio funzionava bene e godeva di un certo credito. I maestri e i gran maestri venivano eletti fra e dai loro pari per un periodo stabilito. Non esercitavano un potere autocratico. Al contrario, potevano essere, e spesso erano, chiamati a rispondere dei loro atti. E quando venivano giudicati indegni della carica a cui erano stati eletti, potevano essere incriminati o destituiti, non con una rivoluzione, una "congiura di palazzo" o altri mezzi violenti, ma attraverso i meccanismi amministrativi previsti. E la dignità della carica non ne risultava diminuita.4 Allo scopo di assicurare la separazione dell'uomo dalla carica, la Convenzione costituzionale formulò il secondo dei suoi princìpi direttivi, che rappresentava un contributo unico alla storia politica dell'epoca. Secondo un sistema di cosiddetti «controlli ed equilibri», il potere doveva essere ugualmente distribuito fra due organi di governo distinti e autonomi: l'Esecutivo sotto la forma della Presidenza e il Legislativo, sotto la forma delle due camere del Congresso. In virtù di questa autonomia, ognuno di questi due organi sarebbe stato in grado di prevenire qualsiasi eccessiva concentrazione di potere nelle mani dell'altro. E la separazione dell'uomo dalla carica sarebbe stata garantita da regolari elezioni obbligatorie per legge, simili
a quelle in vigore nel sistema delle logge. Nel XVIII secolo tali elezioni non erano rare, ma venivano applicate soltanto al ramo legislativo del governo, che era spesso impotente e agiva in larga misura come un semplice fantoccio dell'esecutivo. Nella nuova repubblica americana, invece, il principio venne applicato anche all'esecutivo, al capo dello Stato. Anche qui è evidente l'influenza della Massoneria. Non vi è dubbio che la Massoneria contribuì in qualche modo a formare le strutture e i meccanismi del nuovo governo americano. In effetti, quelle strutture sono marcatamente diagrammatiche, marcatamente geometriche nel loro disegno, richiamano alla mente gli ingegnosi modelli meccanici prodotti dal Collegio invisibile e dalla Royal Society un secolo prima. Rispecchiano un'applicazione alla politica del "metodo sperimentale" così caro al Collegio invisibile e alla Royal Society. Rispecchiano anche un'applicazione alla politica di princìpi specificatamente architettonici. Ma se la Massoneria influenzò le strutture del governo americano, ebbe un influsso ancora maggiore sul modello complessivo di quel governo: Sebbene liberi, non eravamo ancora uniti. I generici Articoli di Confederazione non ci davano un governo nazionale forte, una moneta comune o un sistema giudiziario coerente. Uomini avveduti capirono che bisognava fare un altro passo perché la debole Confederazione di Stati Americani diventasse una nazione forte e unita. Ancora una volta la Massoneria fornì il modello ideologico e formale. Dal momento che il sistema massonico di organizzazione federale era l'unico efficiente in ciascuna delle Tredici Colonie originarie, era naturale che i patriottici
fratelli tesi a rafforzare la giovane nazione prendessero a modello l'organizzazione base della Corporazione. A prescindere dalle altre forze che influirono sulla stesura della Costituzione durante la Convenzione costituzionale nel 1787, rimane il fatto che il federalismo instaurato nel governo del paese creato dalla Costituzione è identico al federalismo del sistema di governo massonico della Grande Loggia creato nella Costituzione di Anderson del 1723.5
Questa affermazione viene da uno scrittore massonico americano ed è al tempo stesso esagerata e semplicistica. La realtà era molto meno nitida, molto più complicata ed emerse gradualmente da un dibattito molto vivace. Tuttavia, in linea generale, l'asserzione rimane sostanzialmente valida. La Massoneria fornì effettivamente un modello ben collaudato di sistema federale efficiente: forse l'unico modello del genere esistente a quell'epoca. Questo fatto appariva molto più evidente ai delegati alla Convenzione costituzionale di quanto appaia a noi oggi, quando i sistemi federali esistono in numerose istituzioni e sono dati quasi per scontati. Nel Settecento, la Massoneria era una chiara prova che un sistema federale poteva funzionare. Costituiva un precedente quanto mai necessario. Se un sistema del genere si dimostrava attuabile nella Massoneria, c'era almeno un prototipo a cui riferirsi per la sua applicazione al governo.
L'influenza massonica sulla Costituzione Come abbiamo visto, i primi eventi della guerra d'indipendenza americana - diciamo, dal Boston Tea Party
alla Dichiarazione d'Indipendenza - seguirono il loro corso inarrestabile. Quasi ogni giorno gli uomini si trovavano di fronte a fatti compiuti che dovevano sfruttare al meglio e su cui dovevano basarsi. Questo richiedeva una continua improvvisazione in cui erano coinvolte numerose organizzazioni: non soltanto la Massoneria, ma anche confraternite come i radicali Figli della Libertà. E solo una parte delle persone che avevano ruoli importanti all'epoca era massone. La Massoneria aveva esercitato un'influenza moderatrice; ma non era l'unica e non aveva né l'autorità né la libertà d'azione necessaria per modellare le cose interamente secondo i suoi ideali. Eccettuata parte della retorica e della fraseologia, la Dichiarazione d'Indipendenza, ad esempio, non potrebbe essere definita un documento massonico. La Costituzione degli Stati Uniti, viceversa, può essere definita tale in senso reale. Quando la Convenzione si riunì per redigere la Costituzione, le influenze massoniche avevano prevalso ed erano indiscutibilmente dominanti. Altre organizzazioni, come i Figli della Libertà, avevano servito allo scopo ed erano state sciolte. Anche l'esercito continentale era stato congedato. All'epoca della Convenzione costituzionale, la Massoneria non soltanto era l'unica organizzazione "rimasta in pista", ma anche l'unico vero apparato organizzativo di qualsiasi tipo operante attraverso i confini di Stato, in tutte le colonie di fresca indipendenza. Nella sua forma finale, naturalmente, la Costituzione era il prodotto di molte menti e di molte mani, non tutte
massoniche. La prosa del documento era di Thomas Jefferson che, probabilmente, non era massone, sebbene talvolta asserisse di esserlo. Ma c'erano fondamentalmente cinque spiriti guida dietro la Costituzione: Washington, Franklin, Randolph, Jefferson e John Adams. Di questi, i primi tre non soltanto erano massoni in servizio attivo, ma uomini che prendevano la Massoneria molto sul serio: uomini che aderivano con fervore ai suoi ideali e il cui intero orientamento era stato modellato e condizionato da essa. E la posizione di Adams, sebbene non risulti che lui fosse massone, era praticamente identica alla loro. Quando divenne presidente, inoltre, nominò un eminente massone, John Marshall, primo presidente della Corte Suprema.6 Fu Marshall che successivamente pose la Corte sullo stesso piano del Congresso e della Presidenza. Nei dibattiti e nelle discussioni che infine culminarono nella Costituzione, Adams - sebbene non fosse presente al momento - era d'accordo con Washington, Franklin e Randolph. Soltanto Jefferson era "fuori dal coro". E fu Jefferson che alla fine cedette, allineandosi sulla stessa posizione dei massoni. La nuova repubblica, quando emerse con la Costituzione, era conforme alla loro immagine ideale e quell'immagine rispecchiava gli ideali della Massoneria.
La leadership massonica di Washington
Il 17 settembre 1787 il testo della Costituzione venne accettato, approvato e firmato da trentanove dei quarantadue delegati presenti. Fra il 7 dicembre e il 25 giugno dell'anno seguente, ogni Stato lo ratificò individualmente. Il Maryland cedette dieci miglia quadrate (circa venticinque chilometri quadrati) del suo territorio al Congresso, come specificato dalla Costituzione, e questo pezzo di terra - il Distretto di Columbia - divenne la sede della nuova capitale federale. Il 4 febbraio 1789 Washington fu eletto primo presidente degli Stati Uniti e John Adams suo vice presidente. L'assunzione dei poteri avvenne il 30 aprile. Il neo eletto prestò giuramento nelle mani di Robert Livingston, Gran Maestro della Grande Loggia di New York e suocero del defunto generale Richard Montgomery. Il maestro di cerimonie era un altro massone, il generale Jacob Morton, e Washington era scortato da un terzo massone, il generale Morgan Lewis.7 La Bibbia usata per il giuramento era quella della Saint John's Lodge n.l di New York. A quell'epoca Washington stesso era Maestro della Loggia n. 22 di Alexandria, in Virginia.8 Tredici giorni prima dell'insediamento, Franklin era morto e mezza Filadelfia era intervenuta al suo funerale. Cinque giorni dopo, gli Stati Generali francesi si riunirono a Versailles e il 17 giugno formarono un'Assemblea Nazionale, dichiarandosi i veri rappresentanti del popolo francese, a posto del re. Il 14 luglio, a Parigi, una folla di rivoltosi prese d'assalto la Bastiglia. Il 14 dicembre
Alexander Hamilton presentò le sue proposte per l'istituzione di una Banca Nazionale. Jefferson si oppose, ma Washington le firmò. Sulla banconota americana venne stampato il "Grande Sigillo" degli Stati Uniti. È inequivocabilmente massonico: un occhio onniveggente in un triangolo sopra una piramide con quattro lati e tredici gradini, e sotto una pergamena che proclama l'avvento di un «nuovo ordine secolare», uno degli antichi sogni della Massoneria. Il 18 settembre 1793 venne posata ufficialmente la prima pietra del Campidoglio. La Grande Loggia del Maryland presiedette alla cerimonia e Washington fu invitato a fungere da Maestro. Erano presenti tutte le logge sotto la giurisdizione del Maryland, come pure la loggia di Alexandria, Virginia, a cui apparteneva Washington. Vi fu un grande corteo, che comprendeva anche una compagnia di artiglieria. Poi venne una banda, seguita dallo stesso Washington e da tutti gli ufficiali e membri delle logge in alta tenuta. Quando arrivò al fosso in cui era posata la pietra angolare di sud-est, a Washington venne offerto un vassoio d'argento che commemorava l'evento e recava incise le designazioni di tutte le logge presenti. L'artiglieria sparò una salva. Washington scese quindi nel fosso e depose il vassoio sulla pietra. Intorno ad essa, depose recipienti pieni di frumento, vino e olio: normali accessori simbolici del rituale massonico. Tutti i presenti si unirono in preghiere e canti massonici e l'artigliera sparò un'altra salva.
Washington e il suo seguito si spostarono quindi a est della pietra angolare, dove il presidente salì su un tradizionale podio massonico a tre scalini e pronunciò un'orazione. Seguirono altri canti massonici e una salva finale di artiglieria.9 Il martelletto, la cazzuola d'argento, la squadra e il filo a piombo usati da Washington per la cerimonia sono conservati oggi dalla Potomac's Lodge n.5 del Distretto di Columbia. Il grembiule e la fascia da lui indossati sono custoditi dalla sua stessa loggia, la n. 22 di Alexandria. In seguito, il Campidoglio e la Casa Bianca sarebbero diventati i punti focali della capitale nazionale, pianificata secondo una elaborata geometria. Ideata originariamente da un architetto di nome Pierre l'Enfant, questa geometria fu poi modificata da Washington e Jefferson in modo da creare specifici disegni ottagonali che incorporavano la particolare croce usata come emblema dai Templari massonici. Sei anni e tre mesi dopo, nel dicembre 1799, Washington morì. Venne sepolto nella sua residenza a Mount Vernon, con tutti gli onori massonici, dalla Loggia n. 22 di Alexandria e il suo feretro fu portato dai membri di quella stessa loggia.
1 Heaton, Masonic Membership of the Founding Fathers, p. 56.
2 Hume, Dei primi Princìpi di Governo, in Watkins, ed., Theory of Politics, p. 152. 3 Hume, Se il Governo britannico propenda più verso la Monarchia Assoluta o verso una Repubblica, ivi, p. 167. 4 Mentre Anderson nel 1738 ancora non vede motivo per stabilire una regola specifica in questo caso, è chiaro che più avanti nel secolo i membri di una loggia erano in grado di incriminare il loro maestro e di destituirlo. In tale eventualità il reggente anziano lo sostituiva nelle sue funzioni fino alla successiva elezione il giorno della festa di san Giovanni. 5 Clausen, Masons Who Helped Shape our Nation, p. 82. 6 Marshall era membro della Loggia n.13 a Richmond, Virginia. Dal 28 ottobre 1793, fu Vice Gran Maestro della Virginia e servì brevemente come Gran Maestro. Cfr. Mackey, Encyclopaedia of Freemasonry, vol. II, p. 627. 7 Morgan Lewis, cognato di Robert Livingston e del generale Richard Montgomery, era Gran Maestro della Grande Loggia di New York dal 1830 al 1843. Era massone dal 1777. Cfr. Case, Roll of American Union Lodge, p. 380. Jacob Morton era Maestro della Saint John's Lodge n. 1, New York, nel 1788 e sostituì Livingston come Gran Maestro della Grande Loggia di New York nel 1801, carica che conservò fino al 1805. Cfr. Denslow, 10.000 Famous Freemasons. 8 Cerza, La Massoneria coloniale negli Stati Uniti d'America, p. 227. 9 Denslow, Freemansory and the Presidency, p. 18-20, citazione dal «Mirror» del Distretto di Columbia e dalla «Gazette» di Alexandria, 23 settembre 1793.
Poscritto
Nella guerra d'indipendenza americana, la Massoneria fu sostanzialmente apolitica, o solo incidentalmente politica. Vi erano massoni nei due schieramenti e fra le fazioni radicali e conservatrici da ambo le parti. La Massoneria costituiva, per lo più, una voce ispirata alla temperanza e alla moderazione, ma alcuni singoli massoni erano rivoluzionari militanti e altri irriducibili conservatori. Questo tipo di distribuzione sarebbe continuato per tutto il Settecento e anche nell'Ottocento. Ma nella mente di molti, la Massoneria era ormai così strettamente legata alla rivoluzione e all'indipendenza americana che cominciò ad acquistare un'immagine sempre più radicale. Inutile dire che quell'immagine sarebbe stata rafforzata dalla Rivoluzione francese. La Massoneria ebbe sicuramente un ruolo importante negli eventi in Francia. Lafayette, ormai un massone di alto rango e di vecchia data, era ansioso d'importare nel proprio paese gli ideali che aveva visto realizzati in America. Molti dei principali giacobini - Danton, ad
esempio, Sieyès e Camille Desmoulins - erano massoni attivi. In tutta la Francia, alla vigilia della Rivoluzione, la Massoneria fornì ai cospiratori militanti una preziosa rete d'informazioni, reclutamento, comunicazione e organizzazione. In quel senso, stava già diventando un ideale bersaglio. Nel 1797 un prelato ultra-conservatore francese, l'Abbé Augustin de Barruel, pubblicò un libro, Mémoires pour servir a l'histoire du jacobinisme, che sarebbe divenuto una nefasta pietra miliare nella storia del pensiero sociale e politico occidentale. In effetti, il libro di Barruel attribuiva interamente la Rivoluzione francese a un complotto massonico diretto contro l'autorità secolare costituita e contro la Chiesa. Quest'opera avrebbe scatenato un'ondata d'isterismo, generato un corpus di letteratura analoga sempre crescente e sarebbe divenuta una vera e propria bibbia per i sostenitori della teoria del complotto. Dal testo rabbiosamente paranoico di Barruel derivò la stereotipata immagine ottocentesca, promulgata ancora oggi, della Massoneria come una vasta cospirazione internazionale, rivoluzionaria e attivamente anticlericale, tesa a rovesciare le istituzioni esistenti e ad instaurare un «nuovo ordine mondiale». Per colpa di Barruel, nebulose e nevrotiche paure sarebbero state proiettate non soltanto sulla Massoneria, ma anche sulle società segrete in generale, durante tutto l'Ottocento e buona parte del Novecento. Grazie a Barruel, la società segreta divenne uno spettro che ossessionava l'opinione pubblica e minacciava di minare le fondamenta stesse della società
civile: uno spauracchio di statura analoga a quella attribuita oggi, con un po' più di giustificazione, al terrorismo internazionale. Non stupisce, forse, che l'opera di Barruel divenisse, talvolta, una sorta di profezia confermata dai fatti. Attratti dal fascino romantico della colorita immaginazione di Barruel, certi individui - Charles Nodier in Francia, ad esempio, e l'arcicospiratore Filippo Buonarroti - si facevano un dovere d'inventare, poi scrivere, parlare e spargere informazioni su società segrete del tutto fittizie. Con fervore inquisitorio, le autorità reagivano di conseguenza e persone assolutamente innocenti venivano tormentate e perseguitate per la loro presunta appartenenza a queste inesistenti organizzazioni clandestine. Per difendersi, le povere vittime formavano una vera società segreta sul modello di quella fittizia. Così nacquero numerosi quadri rivoluzionari segreti, alcuni massonici o semi-massonici. Così, una volta ancora, il mito generò la "storia". Indiscutibilmente, la Massoneria, o le sue derivazioni parteciparono a vari movimenti rivoluzionari nell'Europa del XIX secolo. Sia Mazzini che Garibaldi, ad esempio, erano massoni attivi e il ruolo della Massoneria nell'unità d'Italia soprattutto attraverso la cosiddetta Carboneria - fu ancora più importante che nella fondazione degli Stati Uniti. Anche in Russia la Massoneria veniva considerata sovversiva e a volte lo era. Puškin, ad esempio, scrive della sua appartenenza a una loggia a Kishinev, che partecipò alla rivolta decabrista del 1825, provocando la messa al bando
di tutte le logge del paese. Inutile dire che il provvedimento si rivelò inattuabile, ma spinse numerosi radicali russi ad andare in esilio all'estero, dove stabilirono stretti legami con la Massoneria straniera. Dostoevskij racconta questo processo ne I demoni. L'equivalente dei rivoluzionari di Dostoevskij nella vita reale era, naturalmente, Bakunin. Ma, in sostanza, la realtà della situazione era più complessa e meno chiaramente definibile. Se i massoni erano attivi nei movimenti rivoluzionari dell'Europa ottocentesca, erano altrettanto attivi in regimi quali l'Austria di Metternich, ad esempio, o la Prussia di Federico Guglielmo III e IV. Qui la Massoneria era intrecciata con l'establishment come in Inghilterra, dove la Grande Loggia continuava a incarnare le virtù vittoriane della sobrietà, della temperanza e della moderazione. Persino in Francia, i massoni conservatori erano tanti quanti i radicali e i rivoluzionari. Una lista dei massoni europei dell'Ottocento è illuminante semplicemente per la sua incoerenza. Da un lato, comprende figure come Mazzini, Garibaldi, Bakunin, il giovane Alekandr Kerenskij in Russia, Daniel O'Connell ed Henry Grattan in Irlanda. Dall'altro lato, comprende anche due re di Prussia del XIX secolo, tre presidenti francesi (Doumer, Faure e Gambetta) e quella nemesi dell'instabilità politica che era Talleyrand. In Gran Bretagna, la lista dei massoni dell'Ottocento comprende Giorgio IV, Guglielmo IV, Edoardo, principe di Galles (poi Edoardo VII), Canning, lord Randolph Churchill, il marchese di
Salisbury e Cecil Rhodes. Quasi tutti i marescialli di Napoleone erano massoni; ma lo erano anche i loro principali avversari: Nelson, Wellington e sir John Moore in Gran Bretagna, Kutuzov in Russia, Blücher in Prussia, come pure Sharnhorst e Gneisenau, i fondatori dello Stato Maggiore Generale prussiano. Nelle arti, i massoni inglesi comprendevano sir Walter Scott, Rider Haggard, Bulwer Lytton, Conan Doyle, Trollope, Kipling e Wilde. Nel continente, la Massoneria radicale di Puškin in Russia si contrapponeva a quella dell'ultra-conservatore Johann Wolfgang von Goethe in Germania. Questa lista è necessariamente selettiva e non certo definitiva. Serve, tuttavia, a dimostrare che è impossibile attribuire un orientamento politico, o almeno una coerenza politica, alla Massoneria. E quello che vale per l'Europa, vale anche altrove. Nell'America Latina, ad esempio, come in Spagna, in Italia e in altri paesi cattolici, la Massoneria era un centro di opposizione alla stretta soffocante della Chiesa. Di conseguenza, quasi tutte le figure legate all'indipendenza latino-americana, come Bolivar, San Martin e poi Juàrez, erano massoni attivi. Ma lo erano anche i viceré, gli aristocratici e i possidenti spagnoli a cui strapparono le loro giovani repubbliche, accuratamente modellate sull'esempio degli Stati Uniti. In Brasile, tanto l'impero di Pedro II quanto la repubblica che lo soppiantò erano dominati dalla Massoneria. Al Nord, almeno dodici presidenti americani, a parte Washington, erano sicuramente massoni: Monroe, Andrew Jackson, Polk, Buchanan, Andrew Johnson, Garfìeld,
Theodore Roosevelt, Taft, Harding, Franklin D. Roosevelt, Truman e Ford. In Texas, la guerra d'indipendenza dal Messico fu effettivamente diretta da massoni come Sam Houston. Davy Crockett, Jim Bowie e gli altri difensori di Alamo erano tutti membri della stessa loggia di Stretta Osservanza. Durante la guerra di secessione americana, la Massoneria era prevalente in entrambi i campi, ma ebbe un ruolo particolarmente importante nelle istituzioni, e specialmente nell'esercito, della Confederazione. Ma creare un cliché da tutto questo è un'altra storia. Lo stesso vale per le origini massoniche del Ku Klux Klan, che inizialmente non era la famigerata organizzazione divenuta in seguito, ma un'istituzione benefica, destinata a proteggere le vedove e gli orfani dalle rapine dei carpetbaggers, i piccoli trafficanti nordisti. E in America che la nostra storia torna al punto di partenza, giacché è lì che i Cavalieri Templari hanno ricevuto l'omaggio pubblico più smaccato mai tributato loro nel mondo. Questo omaggio prende la forma di un'organizzazione giovanile sponsorizzata dalla Massoneria, l'Ordine di de Molay. Istituito a Kansas City, Missouri, nel 1919, da un certo Frank S. Land, l'Ordine: prende il nome da Jacques de Molay, l'ultimo Gran Maestro dei Cavalieri Templari medievali, che fu arso sul rogo in un'isola sulla Senna vicino alla cattedrale di Notre Dame il 18 marzo 1314 per la sua integrità e fedeltà ai membri del suo Ordine.1
L'Ordine di de Molay conta circa ottantacinque capitoli
nei cinquanta Stati dell'Unione, nel Distretto di Columbia e in dodici paesi esteri. Ha il suo quartier generale a Kansas City ed è retto da un Consiglio Supremo Internazionale che opera sotto gli auspici della Grande Loggia della Florida ed è composto di 250 «eminenti massoni provenienti da tutto il mondo». Ogni capitolo locale dev'essere sponsorizzato da un organo massonico e l'organo direttivo, o Comitato Consultivo, di ogni capitolo deve essere composto di Maestri massoni. I membri dell'Ordine sono ragazzi di età compresa fra i quattordici e i ventuno anni. De Molay, tramite l'iniziazione, insegna sette virtù; esse sono: Amore filiale (amore per i genitori), Reverenza (reverenza per le cose sacre), Cortesia, Cameratismo, Fedeltà, Pulizia (pulizia di pensiero, parola e azione) e Patriottismo.2
Non si può fare a meno di chiedersi che cosa venga insegnato ai giovani membri dell'Ordine sulla persona di Jacques de Molay, sui Templari e sulle particolari colpe di cui venivano accusati. Per quanto ne sappiamo, non se ne fa menzione alcuna nella letteratura dell'Ordine, che, tuttavia, spiega i suoi obiettivi, sia pure con qualche errore di sintassi: L'Ordine di de Molay si propone d'integrare gli insegnamenti ricevuti a casa, in chiesa e a scuola. Preparando, così, meglio un giovane ai doveri di cittadinanza, che è la sua legittima eredità. De Molay è irrevocabilmente contrario a una chiesa, una scuola e la sede del governo riunite sotto lo stesso tetto. Ritiene che queste tre Libertà sono la causa della grandezza della nostra Patria e devono ergersi sulle proprie fondamenta e sotto tetti
separati.3
A quanto ci risulta, non vi è nulla di dannoso nell'Ordine di de Molay. Al contrario, svolge un'opera abbastanza lodevole e probabilmente offre un correttivo più o meno sano per alcuni dei mali a cui va soggetta l'America, come il fondamentalismo militante. Ma è molto distante dai mistici-guerrieri ammantati di bianco, che volevano conquistare il cielo con le loro spade settecento anni fa. E forse c'è una reminiscenza di Garcia Màrquez nell'esistenza stessa di questa organizzazione, scaturita dal cuore dell'"America media" e tesa a incoraggiare le virtù personali e civiche nelle generazioni di giovani americani, che tuttavia porta il nome di un cavaliere medievale francese giustiziato per empietà, eresia, sodomia, necromanzia e varie altre forme di perversione che avrebbero fatto invidia persino agli Ewing di Dallas, ai Carrington di Denver e a tutti i depravati cittadini di Peyton Place. Si è tentati d'immaginare il vecchio barbuto Gran Maestro dei Templari intento a contemplare dall'alto - o dal basso - l'organizzazione che oggi porta il suo nome. Sarebbe commosso, lusingato, divertito o semplicemente sconcertato?
1 Hollis, Allied Masonic Groups and Rites, p. 19. 2 Ivi, p. 20.
3 Ivi, pp. 19-20.
Appendice 1 Logge massoniche da campo nei reggimenti di linea agli ordini del maggior generale: America, 17581
REGGIMENTO 1° fanteria 15° fanteria 17° fanteria 22° fanteria 27° fanteria 28° fanteria 35° fanteria 40° fanteria 42° fanteria 43° fanteria
LOGGIA n. 11, Grande Loggia irlandese n. 245, Grande Loggia irlandese n. 136, Grande Loggia irlandese Nessuna loggia (poi, nel 1767, Loggia n. 132, Grande Loggia scozzese) n. 24, Grande Loggia irlandese n. 35, Grande Loggia irlandese (capitano Span, novembre 1760, Gran Maestro, Quebec) n. 205, Grande Loggia irlandese n. 42, Antica Grande Loggia n. 195, Grande Loggia irlandese Nessuna loggia (poi, nel 1769, Loggia n.
43° fanteria 44° fanteria 45° fanteria 46° fanteria 47° fanteria 48° fanteria 55° fanteria 58° fanteria 60° fanteria Fraser Highlanders (poi 78° fanteria)
156, Grande Loggia scozzese) Nessuna loggia (poi, nel 1784, Loggia n. 467, Grande Loggia inglese) Nessuna loggia (poi, nel 1766, Loggia n. 445, Grande Loggia irlandese) n. 227, Grande Loggia irlandese n. 192, Grande Loggia irlandese (1759, tenente Guinet, Gran Maestro, Quebec) n. 218, Grande Loggia irlandese 1a Loggia militare scozzese; non c'è numero Nessuna loggia (poi, nel 1769, Loggia n. 466, Grande Loggia irlandese) Nessuna loggia (poi, nel 1764, Loggia n. 448, Grande Loggia inglese) Loggia n. ignoto, ma il colonnello Fraser nel luglio 1760 fu nominato Gran Maestro di Quebec
1 Fonti: Gould, The History of Freemansory, vol. VI, pp. 400-408; Milborne, «La Loggia nel 78° Reggimento», pp. 23-24; Fortescue, A History of the British Army, vol. II, pp. 296, 300, 316, note 2, 323, 325, 361.
Appendice 2 Logge da campo massoniche nei reggimenti in America 1775-77 (escluso il Canada)1
Il comandante in capo era sir William Howe che aveva, come membro del suo Stato Maggiore, il generale di brigata Augustine Prevost che, dal 1761 circa, era il capo dell'Antico & Accettato Rito scozzese per l'esercito britannico. REGGIMENTO COMANDANTE LOGGIA Col. John 16° dragoni Nessuna Burgoyne Col. John n. 478, Grande Loggia 17° dragoni Preston d'Irlanda Col. S. n. 147, Grande Loggia di 4° fanteria Hodgson Scozia n. 86, Grande Loggia 5° fanteria Col. Earl Percy d'Irlanda n. 231, Grande Loggia
7° fanteria
Col. R. Prescott n. 231, Grande Loggia d'Irlanda
10° fanteria
Col. E. Sandford
15° fanteria 16° fanteria 17° fanteria 22° fanteria 23° fanteria 26° fanteria 27° fanteria 28° fanteria 33° fanteria 35° fanteria 37° fanteria
{ n. 299, Grande Loggia
d'Irlanda | n. 378, Grande Loggia d'Irlanda Col. Earl of n. 245, Grande Loggia Cavan d'Irlanda Col. J. Gisborne n. 293, Grande Loggia d'Irlanda Col. R. n.136, Grande Loggia Monckton d'Irlanda n. 251, Grande Loggia Col. T. Gage d'Irlanda Col. sir W. n. 137, Grande Loggia di Howe Scozia Col. lord n. 309, Grande Loggia Gordon d'Irlanda Col. E. Massey n. 205, Grande Loggia d'Irlanda n. 35, Grande Loggia Col. C. Grey d'Irlanda Col. Earl n. 90, Grande Loggia Cornwallis degli Antichi Col. H.F. Nessuna Campbell Col. sir E. n. 52, Grande Loggia
37° fanteria 38° fanterìa 40° fanteria 42° fanteria 43° fanteria 44° fanteria 45° fanterìa 46° fanteria 49° fanteria
Coote
degli Antichi n. 441, Grande Loggia Col. R. Pigot d'Irlanda Col. R. Hamilton n. 42, Grande Loggia degli Antichi Col. lord J. n.195, Grande Loggia Murray d'Irlanda n. 156, Grande Loggia di Col. G. Cary Scozia n. 14, Grande Loggia Col. J. Abercrombie Prov. di Quebec2 Col. W. n. 445, Grande Loggia Haviland d'Irlanda Col. J. Vaughan n. 227, Grande Loggia d'Irlanda Col. A. Maitland n. 354, Grande Loggia d'Irlanda
52° fanteria
Col. J. Clavering
54° fanteria
Col. M. Frederick
55° fanteria
Col. J. Grant
57° fanteria
{ n. 370, Grande Loggia d'Irlanda | n. 226, Grande Loggia d'Irlanda
Nessuna
n. 7, Grande Loggia di New York Col. sir J. Irwin n. 41, Grande Loggia
57° fanteria 60° fanteria 60° fanteria 63° fanteria 64° fanteria 71° fanteria
Col. sir J. Irwin
degli Antichi Col. Dalling (3 Nessuna batt.) Col. A. Prevost Nessuna nota ma forse (4 batt.) un Rito A&A.3 n. 512, Grande Loggia Col. F. Grant d'Irlanda n. 106, Grande Loggia di Col. J. Pomeroy Scozia Col. S. Fraser n. 92, Grande Loggia di Scozia
1 Fonti: A List of the General and Staff Officers and of the Officers in the Several Regiments Serving in North America, New York, 1778 Gould, The History of Freemasonry, vol. VI, pp. 400-403; Milborne, Logge militari britanniche nella guerra di indipendenza americana, in «Transactions of the American Lodge of Research», vol. X, n. 1, pp. 22-85. 2 44° fanteria: Loggia fondata nel 1760 a Quebec e ripristinata come n. 18 nel 1784. La sua posizione nel 1775-77 è incerta. 3 Nel 60° fanteria, 1° battaglione, vi era la Loggia n. 448, Grande Loggia d'Inghilterra.
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Ringraziamenti Come sempre, desideriamo ringraziare Ann Evans per aver svolto, in un modo da far invidia ad agenzie più trascendenti, le funzioni della Provvidenza. Per averci cortesemente aiutati ad accedere a materiale
difficilmente accessibile, desideriamo ringraziare particolarmente Robert e Lindsay Brydon, Neville Barker Cryer, Jenny Hall, John Hamill, Robert Hankamer e Steven Patrick. Desideriamo ringraziare anche Colin Bloy, Brie Burkeman, Marion Campbell, Tony Colwell, Judith e Andrew Fisken, Denis Graham, Joy Hancox, Chris Horspoll, Julian Lea-Jones, Ben Lewis, Pat Lewis, Alison Mansbridge, Tom Maschler, Joy Mouir, George Onslow, John Saul, Lucas Siorvanes, James Watts, Pamela Willis, Anthony Wolseley, Lilianne Ziegel, il personale del British Library Reading Room e, inutile dire, le nostre signore.
Indice
Introduzione Preambolo PARTE I. ROBERT BRUCE EREDE DELLA SCOZIA CELTICA 1. Bruce e la sua lotta per il potere 2. Monaci militari: i Cavalieri Templari 3. Arresti e tortura 4. La scomparsa della flotta templare 5. La Scozia celtica e le leggende del Graal PARTE II. LA SCOZIA E UNA TRADIZIONE NASCOSTA
6. L'eredità dei Templari in Scozia 7. La Guardia scozzese 8. Rosslyn 9. La Massoneria: geometria del sacro PARTE III. LE ORIGINI DELLA MASSONERIA 10. I primi massoni 11. Il visconte Dundee 12. Lo sviluppo della Grande Loggia 13. La causa massonica giacobita 14. Massoni e i Cavalieri Templari PARTE IV. LA MASSONERIA E L'INDIPENDENZA AMERICANA 15. I primi massoni americani 16. Emergono i leader massonici 17. La resistenza alla Gran Bretagna 18. La guerra d'indipendenza
Interludio. Lealtà massoniche 19. La Repubblica
Poscritto Appendice 1 Appendice 2 Bibliografia