Università di Roma "La Sapienza" Dipartimento Dipartimento di Economia Pubblica
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN ECONOMIA POLITICA P OLITICA
TEORIA DELLA CRESCITA Modelli esogeni e endogeni per il lungo periodo
Anno accademico 2005-2006
Enrico Marchetti
1. Introduzione
Lo scopo di questo breve corso introduttivo è quello di presentare in maniera sintetica alcune teorie della crescita economica partendo dall’analisi neoclassica standard, il cui modello prototipico è stato sviluppato da Solow (1956), fino ad arrivare alla discussione di alcuni modelli paradigmatici della ”nuova” teoria della crescita endogena, emersa sul finire degli anni ottanta. Introduciamo per prima cosa alcune definizioni e concetti essenziali. Nel seguito di queste dispense assumeremo un approccio essenzialmente aggregato alla crescita; pertanto verrà descritto lo sviluppo nel tempo di un’economia isolata che produce un singolo bene, che chiameremo Y (t ). ). Esso rappresenta il valore reale del prodotto complessivo all’istante di tempo t . In questa economia la produzione avrà luogo tramite una tecnologia che sarà variamente descritta; le ipotesi al riguardo, come la natura e il numero degli inputs impiegati, la forma della funzione di produzione, ecc., saranno differenti e spesso costituiranno il discrimine tra i vari modelli e teorie della crescita che via via esamineremo. Tutte queste differenti analisi saranno però accomunate da un fenomeno basilare: l’accumulazione di capitale. Assumeremo che uno degli aspetti fondamentali del processo di sviluppo quantitativo e dinamico di quest’economia sia dato dal fatto che il capitale può variare ed essere accumulato nel tempo. Il capitale fisico disponibile al tempo t , indicato con K (t ) è un input necessario alla produzione di Y , e può essere pensato come costituito dallo stesso bene omogeneo che rappresenta il prodotto finale. Avremo pertanto, in tutti i modelli esaminati, una concezione della produzione secondo cui l’output del sistema può essere ottenuto tramite l’impiego di una quota dello stesso bene che rappresenta il prodotto. Inoltre assumeremo sempre che sia necessario anche un altro input per generare il prodotto, un input non riproducibile e/o accumulabile: il lavoro. Indicheremo con ), ovvero l’occupazione L(t ) la quantità di lavoro impiegata per ottenere Y (t ), 1 complessiva del sistema , e con N (t ) l’ammontare disponibile di forza lavoro al tempo t (pertanto sarà L(t ) ≤ N (t ) ∀t ). Assumeremo inoltre perfetta conoscenza (e previsione) da parte di ogni agente economico, ovvero un ambiente del tutto deterministico.
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Ipotizzando la stabilità del tempo di lavoro medio complessivo.
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2. Il modello di Solow La crescita bilanciata Come si ricorderà, la teoria della crescita economica degli anni 40-50 era stata elaborata a partire dalle analisi di breve periodo di Keynes da Harrod (1939) e Domar (1946). Il modello che porta il loro nome procedeva in questo modo: in primo luogo si cerca di stabilire (in un ottica keynesiana) il tasso di crescita del reddito compatibile con le condizioni di offerta (relative alla produzione); in secondo luogo si cerca di stabilire le equivalenti condizioni per il tasso di crescita dal lato della domanda. L’ipotesi di base è che la produzione sia caratterizzata da un rapporto & = vY &. capitale/prodotto K / Y = v fisso. Cioè K = vY , e derivando rispetto a t : K Inoltre è anche K = vY = vAN , dove A è il progresso tecnico (esogeno e, in prima istanza, coincidente con l’accumulazione delle conoscenze) e N la forza lavoro 2
(esogena) ; i loro tassi di crescita sono:
A& A
=a e
& N N
& = vY & per = n . Dividiamo K
& & & = v( A& N + A N & ) , otteniamo: K = Y = a + n . Questo è il K = vY ed, essendo Y K Y cosiddetto “tasso naturale”. Le conclusioni del modello Harrod-Domar dipendono, tra le altre cose, dall’ipotesi che il rapporto capitale/prodotto fosse fisso L’analisi neoclassica della crescita parte proprio dall’abbandono di quest’ipotesi; si assume cioè che gli input siano perfettamente sostituibili tra loro, e non rigidamente impiegabili in proporzioni fisse. Ciò equivale ad ipotizzare una tradizionale funzione di produzione aggregata di tipo neoclassico Y (t ) = F ( K (t ), A(t ) L(t )) al posto della tecnologia con proporzioni fisse. Il modello di Solow (1956), come tutti gli altri schemi analitici impiegati nella teoria della crescita, si fonda su una serie di ipotesi di base che da un lato cercano di individuare gli aspetti fondamentali e i fenomeni principali della crescita, e dall’altro consento quella semplificazione d’analisi necessaria per procedere alla formulazione e allo studio di un modello formale. Lo sviluppo iniziale della teoria neoclassica della crescita da parte di Solow (1956; 1957) e di Swan (1956) negli anni ’50 si poneva un duplice obiettivo; da un lato cercava di rendere conto di alcuni fatti empirici di carattere generale propri del quadro di sviluppo e di crescita delle economie capitalistiche in quel periodo; d’altra parte essa era parte integrante del processo di generale riassorbimento degli spunti teorici originali di Keynes nell’ambito della teoria tradizionale, ovvero era parte integrante del progetto della “sintesi neoclassica”. Questi due obiettivi implicavano un critica ed una riformulazione della precedente teoria della crescita di Harrod e Domar. A tal fine, veniva sottolineato un aspetto delle esperienze concrete della crescita in quegli anni che in qualche modo appariva problematico all’interno dello schema interpretativo di Harrod e Domar: la capacità delle principali economie industrializzate industrializzate di manifestare sostenuti tassi di crescita nelle principali variabili aggregate (gli anni 50 e 60 sono quelli della cosiddetta “golden age” del capitalismo). Questa crescita era in parte legata alla contingenza 2
Si ricordi che si assume in tal caso che l’intera forza lavoro N lavoro N sia sia impiegata, cioè L=N cioè L=N .
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postbellica, ovvero a un contesto fortemente segnato dalle necessità di ricostruzione e riaccumulazione lo stock di capitale andato perduto durante la guerra soprattutto, in Europa e Giappone. Si trattava però anche di un processo di crescita di diffusione notevole e per economie, come almeno quelle europee, che comunque potevano ormai considerarsi mature, il cui sviluppo industriale datava più di un secolo. Questi fatti sembravano non particolarmente in sintonia con l’attenzione rivolta dalla teoria Harrod-Domar al problema della “lama di rasoio”, cioè alla difficoltà di garantire stabilmente all’economia la possibilità di crescere al tasso naturale, che consente il costante pieno impiego della forza lavoro. Inoltre, sembrava comunque necessario ridimensionare il ruolo dell’accumulazione del capitale come forza trainante dell’intero processo di sviluppo a lungo termine dell’economia. Infatti Solow (1957) notava come una parte assai consistente del tasso di crescita USA per il periodo 1909-1949 fosse da imputarsi al progresso tecnico, un termine che in essenza racchiudeva quei fattori di produzione non generalmente riconducibili al maggior impiego del lavoro o del capitale. Sebbene una buona parte di quella imputazione fosse in realtà dovuta ad imprecisioni nella stima empirica dei vari fattori produttivi (e all’omissione di alcuni di essi), appariva comunque sempre più verosimile l’idea che fattori diversi dall’accumulazione del capitale fossero responsabili della sostenuta crescita delle economie avanzate. La teoria neoclassica della crescita cercherà proprio ottenere in modo sintetico questa conclusione; il motore principale della crescita delle variabili aggregate viene ad essere individuato in fenomeni di carattere demografico o tecnologico. Similmente, la principale variabile prescelta come indicatore del progresso materiale di un paese, il tasso di crescita del prodotto procapite, è interamente determinato dal livello di sviluppo e dalla dinamica del progresso tecnologico. Chiaramente, il fenomeno della crescita è, come ogni altro fenomeno economico importante, una realtà dalle molte sfaccettature, complessa ed articolata. Il compito della teoria sarà quello di isolare in questa complessità (tramite una qualche argomentazione plausibile che costituirà però parte essenziale delle ipotesi della teoria) pochi aspetti essenziali che possono essere considerati interessanti e ricchi di significato esplicativo riguardo al fenomeno fenomeno in oggetto. Lo sviluppo di un modello formale semplificato e la sua successiva verifica empirica saranno pertanto dipendenti dalle ipotesi e dalle assunzioni teoriche che hanno precedentemente isolato i fattori ritenuti interessanti. Il modello di Solow non dovrebbe pertanto essere giudicato in base alla sua semplicità ed essenzialità, ma piuttosto in base ai risultati che esso consente di ottenere. Questa perlomeno è la giustificazione metodologica che è stata principalmente fornita dai teorici neoclassici della crescita. In effetti il modello di Solow appare davvero conciso e semplice, non solo per quel che riguarda la rappresentazione stilizzata del sistema economico, ma anche per ciò che concerne il meccanismo stesso della crescita: una singola equazione differenziale in una variabile di stato cruciale sarà in grado di racchiudere gli aspetti fondamentali del processo di sviluppo quantitativo dell’economia. Ciò traspare dalle ipotesi di base stesse del modello, che possono essere ricomprese in tre gruppi:
1) Concorrenza perfetta
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Si assume che l’economia sia caratterizzata da mercati perfettamente concorrenziali. Ciò implica che in ogni istante di tempo l’occupazione sia sempre quella di pieno impiego: tutte le forze di lavoro disponibili sono occupate senza ∂ F possibilità di sprechi. Pertanto sarà L(t ) = N (t ) ∀t , e = r (t ) ∀t ovvero le ∂ K imprese sceglieranno K in modo da eguagliare in ogni istante di tempo la produttività marginale del capitale al tasso di rendimento relativo a quel periodo. Occorre notare che (in base alle ipotesi su F illustrate in seguito), r (t ) coincide col saggio generale medio di profitto per l’economia. L’ipotesi di mercati in equilibrio implica poi che in ogni istante di tempo risparmi ed investimenti siano sempre uguali:
I (t ) = S (t )
∀t
2) Esogenità del progresso tecnico e della dinamica della popolazione Lo sviluppo nel tempo di A e di N è un dato per l’analisi; in particolare abbiamo che:
& (t ) = N (t ) N
e
A& ( t ) = A ( t ) a
ovvero i tassi di crescita della popolazione e dell’efficienza tecnica del lavoro, & (t ) / N (t ) = n e A& ( t ) / A (t ) = a , sono dati e costanti nel tempo N
3) Tecnologia a rendimenti costanti che soddisfa le condizioni di Inada La funzione di produzione Y (t ) = F ( K (t ), A(t ) L(t )) contempla due input: il capitale fisico K e il lavoro in unita di efficienza tecnica AL (ricordiamo che A è un parametro che indica l’impatto del progresso tecnico sull’efficienza dei lavoratori3) La funzione F è in primo luogo a rendimenti di scala costanti. Ciò significa che possiamo moltiplicarla per un parametro ed ottenere la stessa rappresentazione della tecnologia; per esempio, varrà l’eguaglianza:
K ,1 ; = F AL AL Y
y = f ( k )
ovvero possiamo esprimere il prodotto procapite y come funzione di un solo input: il livello di capitale per unità di efficienza del lavoro k . La funzione F è well behaved ; ovvero le sue derivate parziali sono di questo tipo:
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Questo tipo particolare di progresso tecnico è detto “labour “labour augmenting ”: ”: si assume che il progresso delle conoscenze influisca solo sul livello della produttività del lavoro; Nel caso Y = F ( AK , L) avremmo avuto progresso tecnico capital augmenting , cioè che influenza solo la produttività del capitale. Se infine fosse
Y = AF ( K , L) , il progresso tecnico verrebbe detto
Hicks neutral .
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∂ F ∂ 2 F > 0; <0 ∂ K ∂ K 2
e
∂ F ∂ 2 F > 0; <0 ∂ AL ∂( AL) 2
ovvero le produttività marginali sia del capitale che del lavoro sono strettamente decrescenti. In virtù dei rendimenti di scala, tale andamento vale anche per la K derivata di f . Infatti, essendo Y = ALF ,1 si ha che: AL
∂Y ∂Y ∂k ∂ F 1 = = AL = f ′(k ) ∂ K ∂k ∂ K ∂k AL Ovvero f ′( k ) coincide con la produttività marginale del capitale
∂ F . Le ∂ K
condizioni di Inada, un’ipotesi tecnica ma di cruciale importanza, implicano un particolare comportamento al limite per la f ′(k ) ; deve essere: lim f ′(k ) = ∞ e k → 0
lim f ′( k ) = 0 . In pratica non occorre solo che la produttività marginale del k → ∞
capitale sia decrescente, ma anche che lo sia in modo molto sostenuto: deve essere elevatissima per valori piccoli di k e praticamente nulla per valori molto grandi. In Figura 1 è illustrato un esempio di funzione f che soddisfa le condizioni di Inada:
y f (k )
k Figura 1 Queste tre ipotesi delineano completamente le caratteristiche di fondo del modello. Resta da specificare ancora un aspetto importante riguardante il comportamento degli agenti. Analizzando la dinamica dell’economia rispetto all’accumulazione di capitale in un ottica neoclassica, risulta infatti essenziale ipotizzare una qualche regola di comportamento degli agenti riguardo le decisioni di risparmio, tramite cui l’accumulazione di capitale stessa è finanziata. Anziché sviluppare esplicitamente un’analisi delle scelte di allocazione intertemporale di consumi e risparmi da parte delle famiglie, Solow adotta un approccio che appare di sapore più keynesiano che neoclassico: egli assume che in
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ogni istante di tempo le famiglie risparmino una quota fissa di reddito, di modo che:
S = sY ;
S / AL = sf ( k )
e quindi
E’ immediato notare come la condizione precedente in un modello macroeconomico standard della sintesi neoclassica (ad es. uno schema AD-AS) individua via legge di Walras l’equilibrio nel mercato dei beni. In effetti si può pensare l’analisi di Solow come uno schema walrasiano in cui il livello del prezzo dell’output è parametrizzato all’unità e i prezzi dei fattori svolgono un ruolo implicito di equilibrio nei rispettivi mercati. Tutto ciò emergerà più chiaramente nelle sezioni successive, quando analizzeremo esplicitamente dei modelli di equilibrio generale dinamici. Questi modelli di crescita ottimale mostreranno infatti come l’ipotesi sul risparmio non incida sui risultati finali: le stesse conclusioni di fondo del modello di Solow possono essere ottenute anche considerando esplicitamente il problema di ottimo intertemporale delle famiglie. Infine, la dinamica vera e propria del sistema sarà data semplicemente da una condizione che in pratica è quasi una tautologia: la legge di sviluppo del capitale fisico nel tempo:
& = I − τ K K
(1)
secondo la quale la variazione nel tempo dello stock di capitale è pari all’investimento lordo meno il rimpiazzo dei beni capitali esistenti, che si sono logorati al tasso di ammortamento costante ed esogeno τ . Derivando k nel tempo abbiamo:
&= k
d ( K / AL) dt
=
& K AL
−
K ( AL) 2
( A& L + A L& ) =
& K
K A& L&
& K + = − k (a + n) AL AL A L AL
−
Sostituendo la (1) e ricordando che I = S = sY , otteniamo:
&= k
sY − τ K AL
− k (a + n) = sf (k ) − (a + n + τ )k
(2)
che è l’equazione fondamentale del modello di Solow: essa esprime la dinamica del sistema in funzione di una sola variabile endogena: il capitale per unità di efficienza di lavoro k . Si tratta di un’equazione differenziale non lineare in k , che possiede una soluzione unica (il livello iniziale di ogni variabile endogena è un dato per la teoria). Essa afferma in sostanza che la crescita del rapporto k nel tempo sarà positiva ogni volta che il termine sf (k ), ), che rappresenta il risparmio, sarà superiore al termine ( a + n + τ ) k , che rappresenta in sostanza la quantità di capitale da rimpiazzare: sia a causa del progresso tecnico (che aumenta la produttività del lavoro rispetto al capitale), sia a causa della crescita della popolazione, sia per il naturale ammortamento. Dato che il prodotto y dipende solo dal livello di k , se quest’ultimo cresce allora anche y aumenterà nel tempo.
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