Brani tratti da
L'abbandono di di
Martin Heidegger:
"L'abbandono di fronte alle cose e l'apertura al mistero si appartengono l'uno all'altra. Essi ci offrono la possibilità di soggiornare nel mondo in un modo completamente diverso, ci promettono un nuovo fondamento, un nuovo terreno su cui poterci stabilire, su cui poter sostare senza pericolo" (p. 39). "Maestro: [...] Io voglio il Non-volere. Scienziato: [...] Quest'espressione ci è risultata ambigua. Erudito: Da un lato, infatti, Non-volere indica ancora un volere, ma un volere in cui è all'opera un Non, che si determina addirittura nel senso di un Non, il quale, a sua volta, si rivolge al volere stesso e lo revoca. Quindi Non-volere significa: revocare volontariamente il volere. Dall'altro lato, l'espressione Non-volere indica ancora ciò che resta completamente al di fuori da ogni forma di volontà. S: Quindi quest'ultimo senso di Non-volere non potrà mai essere attuato o raggiunto attraverso un volere. M: Ma forse potremo avvicinarci di più ad esso attraverso quella forma di volere che abbiamo determinato come il primo senso di Non-volere. [...] S: [...] Lei vuole un Non-volere inteso nel senso di revoca del de l volere perché, attraverso di esso, a noi sia possibile venir ricondotti [...] all'essenza del pensare da noi cercata, che non è un volere. [...] M: [...] Inabituale è perdere l'abitudine alla volontà. E: Alla volontà, Lei dice [...]. S: e così manifesta un'esigenza stimolante stimolante in tutta tranquillità. M: Se soltanto possedessi già l'appropriato abbandono, potrei senz'altro fare a meno di perdere l'abitudine a volere. [...] M: [...] Non è in nostro potere risvegliare in noi stessi l'abbandono. S: Altrove è dunque ciò che lo produce. M: Non: lo produce, bensì: be nsì: lo lascia essere. E: [...] Presentisco vagamente che esso si risveglia quando il nostro essere è disposto a lasciarsi ricondurre a ciò che non è un volere. [...] Forse in questo lasciare, nell'abbandono, si cela un senso dell'agire
ancora più elevato di quello che attraversa tutte le azioni del mondo e l'agitarsi dell'umanità... M: un agire ancora più elevato che però non è affatto un'attività. E: Perché l'abbandono non rientra affatto nell'ambito della volontà. S: Passare dalla volontà all'abbandono mi sembra la cosa più difficile" "Scienziato: [...] Cos'ha a che fare l'abbandono con il pensare? Maestro: Nulla, se intendiamo il pensare in senso tradizionale, come rappresentare. Ma forse l'essenza del pensare [...] è ricondotta all'abbandono. S: Con tutta la mia buona volontà non riesco a rappresentarmi questa essenza del pensare. M: Perché glielo impediscono proprio la sua buona volontà e quel modo di pensare che è il rappresentare. S: Allora cosa debbo mai fare? Erudito: Me lo domando anch'io. M: Non dobbiamo fare nulla, soltanto restare in attesa. E: È una ben misera consolazione. M: [...] Non dobbiamo aspettarci alcuna consolazione, e proprio questo facciamo ancora se ci facciamo prendere dallo sconforto. S: Di cosa dobbiamo restare in attesa? E dove? Quasi non so più dove sono e chi sono. M: Noi tutti non lo sappiamo più, non appena tralasciamo di farci delle illusioni. E: Ma non resta ancora il nostro cammino? M: Certamente. Tuttavia, se ce ne dimentichiamo troppo in fretta, rinunciamo alla possibilità di pensare" (pp. 50-51). "Erudito: [...] Non appena ci rappresentiamo o ci facciamo un'idea di qualcosa, già non siamo più in attesa. Maestro: Nell'attesa lasciamo aperto ciò di cui siamo in attesa. E: Per qual motivo? M: Perché l'attesa si lascia ricondurre all'Aperto stesso [...] M: E nella prossimità ad esso l'attesa raggiunge la permanenza in cui può soggiornare
Scienziato: Ma soggiornare è un ritornare. E: L'Aperto stesso sarebbe allora il solo di cui potremmo veramente restare in attesa. S: Ma l'Aperto stesso è la contrata... M: in cui noi, restando in attesa, siamo ricondotti quando pensiamo. S: Pensare sarebbe dunque: giungere-nella-vicinanza di ciò che è lontano. [...] S: Io ho soltanto riassunto quanto abbiamo appena detto, senza rappresentarmi nulla. M: E nondimeno Lei ha pensato qualcosa. S: Più precisamente, in realtà, sono rimasto in attesa di qualcosa senza sapere di che cosa. [...] S: Io debbo ancora dire in che modo sono giunto all'attesa e in che direzione sono riuscito a far luce sull'essenza del pensare. Dato che, se restiamo in attesa senza rappresentarci nulla, veniamo ricondotti all'Aperto, ho cercato di liberarmi da ogni sorta di rappresentare. Dato che la contrata è ciò che apre dell'Aperto, ho cercato, liberatomi dal rappresentare, di affidarmi soltanto alla contrata e di permanere in essa. M: Quindi, se la mia supposizione è corretta, Lei ha tentato di farsi ricondurre all'abbandono. S: A dir la verità, non ho propriamente pensato a questo [...]. Invece, ha fatto in modo che fossi ricondotto all'attesa [...] più l'andamento dell'intero colloquio che la rappresentazione dei singoli oggetti di cui abbiamo discorso. E: Non potremmo pervenire all'abbandono in un modo migliore di questo, cioè facendo in modo di lasciarci ricondurre ad esso" (pp. 56-57).