Massimo Venuti Simbologia, mitologia e musica
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Prima edizione ebook, formato PDF: luglio 2012 ISBN: 978-88-534-4049-5 Per segnalazioni o suggerimenti relativi a questo volume scrivere al seguente indirizzo:
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Massimo Venuti, Professore ordinario di Semiotica della musica e di Estetica della musica presso il Conservatorio di Milano e l’Istituto Pontificio Ambrosiano di Musica Sacra, ha pubblicato diversi libri tra i quali, in àmbito filosofico, La retorica del Logos presentato alla Buchmesse di Francoforte e in varie città italiane, e Il Vangelo e la storia (prefazione di V. Mathieu, Accademico dei Lincei). In àmbito musicologico, tra gli altri, Musikgeist e mondo moderno, Il teatro di Dallapiccola, Stravinsky, Simbolismo e retorica nelle "Szenen aus Goethes Faust" di Robert Schumann. Ha tenuto corsi presso l’Università di San Pietroburgo ed è stato chiamato a elaborare “La carta intellettuale” (1994) presso il Palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra, nonché il “Projecting culture: the language of music”, 38th University Congress, Roma 2005. È critico musicale da venticinque anni.
LA MUSICA DELLE SFERE
Il concetto di musica delle sfere, o musica mundana, è tra i più suggestivi e persino citati nella storia dell'estetica musicale, eppure, la raffigurazione che ne abbiamo - l'orbita circolare dei pianeti cui corrisponde un suono -, non è proporzionale alla quantità di implicazioni che la visione ha suggerito nel corso dei secoli. C'è da dire che le descrizioni furono sempre vaghe. La principale, di gran lunga più minuziosa, è quella che ci fornisce Platone nella descrizione del mito di Er: in essa, gli uomini che intraprendono l'ardito cammino, andarono «... a mettersi in via nell'ottavo giorno, per arrivare quattro giorni dopo in un luogo donde vedevano una luce dritta, come una colonna che, discendendo dall'alto, si distendeva tra il cielo e la terra (...) e nel mezzo di questa luce, videro tese dal cielo l'estremità delle sue catene; perché questa luce era il legame del cielo, fatto a somiglianza del lavoro che compiono i canapi che si avvolgono intorno alle triremi, e tiene avvinta tutta la sfera girante; e dall'estremità di queste catene pendeva il fuso di Ananke, per mezzo del quale girano tutte le sfere» (Platone, Repubblica 615). Tra la Terra e il cielo (la sfera girante), c'è il fuso. Il fuso intero ruotava su se stesso d'un moto uniforme; ma nella rotazione dell'insieme «i sette cerchi interni giravano lentamente in senso contrario al tutto. Di tutti il più rapido era l'ottavo; seguivano per rapidità il settimo (...). Il fuso stesso girava sulle ginocchia di
Ananke; sull'alto di ciascun cerchio c'era una Sirena che girava con esso e faceva sentire la voce e il tono che le erano propri, e tutte queste otto voci riunite formavano un'unica armonia. E Cloto, con la destra sul fuso, faceva girare ad intervalli determinati il cerchio esterno; Atropo, con la sinistra, allo stesso modo i cerchi interni; e Lachesi, a volta a volta gli uni e gli altri, ora con la destra e ora con la sinistra» (ibidem 617 d-e). Cioè il passato, il presente e l'avvenire. Una rapida ispezione a questi due passi, letti nella loro interezza, ci mostra una visione ben più complessa del semplice movimento di astri secondo cerchi concentrici, da un polo all'altro dell'emisfero. È questa la semplicistica immagine, descritta in realtà da Filolao (Filolao DK 44 A 8, DK 44 B 6, in Diels Hermann, Die Fragmente der Vorsokratiker, von Walther Kranz, Berlin
1951)
che
campeggia
quasi
invariabilmente
nell'immaginario e nella iconografia, per esempio nella pur altro splendida incisione de «La musica delle sfere» della Pratica musicae di F. Gafurius (1496). Pubblicata in origine come frontespizio della Pratica, la xilografia fu poi ristampata nel 1518, con un commento, in F. Gafurius, De Harmonia musicorum instrumentorum IV, xii, fol. 94 (cfr. A. Warburg, Die Erneureung der heidnischen Antike, pp. 412 sgg., pp. 429 sgg; E. Windt, Misteri pagani del Rinascimento, Adelphi, Milano 1986, pp. 323327).
I cerchi, qui, sono sette, da quello più vicino alla Terra a quello più lontano: Luna (fatta corrispondere al modo ipodorico e alla nota Re), Mercurio (ipofrigio, nota Mi), Venere (ipolidio, nota Fa), Sole (dorico, nota Sol), Marte (frigio, nota La), Giove (lidio, nota Si), Saturno (misolidio, nota Do). In più l'aggiunta del Cielo delle stelle fisse, l'ipermisolidio (la teorica nota Re, dunque l'ottava), che rappresenta l'armonia delle sfere, l'inudibile armonia che Gaffurio apprese dal De Musica IV, xvi sg. di Boezio, sull'autorità di Tolomeo. L'immagine è elegante, razionale, e piacevolmente simmetrica. Ma la fonte primaria, platonica, parla di una situazione molto più mobile e complessa: si parla di una luce dritta che va dal cielo alla Terra, di catene che legano il cielo, e che lo fanno ruotare intorno al fuso intorno al quale girano anche i pianeti, gli dèi e le note musicali dell'armonia universale. I pianeti-note non girano pertanto intorno alla Terra, supposta come un disco piatto, ma intorno al fuso, il quale impiantato nella Terra va a svasare verso l'alto intorno a un punto nero, immaginario, dell'universo: l'asse del fuso, inoltre, è mobile, non fisso. Cosa significa tutto questo? Era noto che sia il movimento degli astri, sia quello del Sole avessero differenti eclittiche, che è il loro moto apparente visto dalla Terra. Poiché, tuttavia, la Terra si comporta come una trottola, ossia possiede anche un movimento oscillatorio verticale, il fuso - cioè l'asse ideale tra la Terra e il cielo attorno al quale ruotano i pianeti, e dunque le note musicali - non è fisso, ma
ondulatorio, e descrive a sua volta un piccolo movimento rotatorio nello spazio: da tale movimento, come è noto, deriva l'alternanza delle stagioni. Il prolungamento di tale albero, l'axis mundi, descrive un punto immaginario nell'universo attorno al quale ruota il tutto. Attraverso quel punto immaginario - che sembra sfondare l'universo - si identificherà nelle varie tradizioni la Porta che di volta in volta servirà a raggiungere l'iperuranio (Platone), o il Walhalla (tradizione eddica), o, nella traduzione cristiana, l'Eden di cui Pietro ha le chiavi, simbolo pontificio mutuato dalla tradizione arcaica. La Porta infatti è l'apertura alla Rivelazione, Cristo è la Porta della Salvezza (Gv. 10,1-10), accesso alla realtà superiore (Mc. 13,29; Ap. 3,20). Dio apre le porte per manifestarsi in Gn. 28,17; Sal. 78,23, e in molti altri luoghi. La Porta è anche Giano, l'initiator per eccellenza, come dice S. Agostino nel De Civitate Dei 4,11; 7,3. Ma non è finita. Per avere un'idea del complesso dobbiamo aggiungere quella che noi chiamiamo Precessione degli Equinozi, che pur essendo stata scientificamente dimostrata da Keplero, era stata già scoperta da Ipparco nel 127 a.C. Le grandi età arcaiche erano determinate da quel lentissimo spostamento per il quale gli astri, e il sistema musicale ad essi collegato, sorgono e tramontano in un punto sempre diverso in una successione regolare. L'eclittica incontra pertanto l'equatore in un punto che si sposta lungo la fascia dei segni zodiacali, le costellazioni, compiendo un giro completo intorno all'orizzonte terrestre ogni 26.400 anni.
«La rotazione dell'asse polare non deve essere disgiunta dai cerchi massimi che si spostano assieme ad essa nel cielo: l'armatura viene immaginata come un tutt'uno con l'asse (...). L'idea astratta, e oggi così naturale, di un semplice asse terrestre, non era affatto così logica per gli antichi, che pensavano sempre alla rotazione intorno alla terra di tutta quanta la macchina del cielo: una linea ne implicava sempre molte altre in una struttura. Bisogna perciò, a quanto pare, accettare l'idea che ciò che tiene assieme il mondo sia un implesso» (G. de Santillana-H.von Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi, Milano 1984, pp. 280281).
SIMBOLO E MITO
Le catene di cui parla Repubblica che tengono il cielo e la sfera girante, sono in realtà i punti equinoziali dell'alba e tramonto del Sole e, in verticale, il punto più a nord raggiunto dal Sole nell'eclittica, cioè il solstizio d'estate, e quello più a sud, quello invernale. È noto che in quello estivo il Sole viene «colpito a morte» e torna a scendere (Macrobio, Saturnalia I, 17, 63; Ovidio, Metamorfosi 2, 83). La festa di S. Giovanni decollato cade appunto il 24 giugno. Giovanni, come il Sole, è decapitato, come aveva prefigurato lui stesso: «Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui (...). Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3, 25-30). (Un interessante studio sulla festività del solstizio estivo è in A. Cattabiani, Calendario, le feste, i miti, le leggende e i riti dell'anno, ed. Mondadori, Milano 2003, pp. 227-244). Ambedue le coppie di punti sono mobili e snodi delle fasciature che reggono il cosmo. I pianeti-note, pertanto, facendo parte di un implesso che potremmo definire una sfera armillare, si comportano ben altro che fasce di suono orizzontale: più corretto vederle in un moto a spirale secondo orbite ellittiche che s'intersecano obliquamente, ma anche verticalmente tra loro, esattamente come negli ingranaggi di un mulino. Ciò non toglie la possibilità che, nel momento della maggiore vicinanza tra i
pianeti, si possano calcolare i rapporti di distanza tra essi e farne un fondamento numerologico sia della creazione del cosmo, sia della scala musicale greca (Timeo VIII 34-36). La mitica immagine del mulino, negli effetti, era una vera macchina del tempo musicale che scandiva i moti apparenti degli astri,
sia
nel
loro
lentissimo
spostamento
orizzontale
(Precessione) sia in quello verticale (l'eclittica): lo vediamo nei poemi scaldici islandesi: «Si dice, canta SnaebjØn, che al largo, oltre quel capo laggiù le Nove Fanciulle del Mulino dell'Isola rimestano con veemenza la macina degli scogli crudele alle schiere - loro che nelle passate età macinarono la farina di Amleto...» (I. Gollancz, Hamlet in Iceland, Northern Library, London 1898, vol. III, p. 49. Cfr il poema finnico Kalewala, poi messo in musica da J. Sibelius) Lo vediamo nei poemi eddici norvegesi, quando il re Frǿdi cerca le due Fanciulle che facciano funzionare il Mulino magico del tempo, e in Odissea, quando Ulisse approda a Itaca. È notte. Egli prega Zeus che gli mandi un segno, e il segno gli viene dato attraverso il Mulino del tempo, che macina la vita e la morte, e che sta per scandire una nuova era. Odisseo ne gioisce: «Parole parlò dalla casa una donna alla macina (...) vi badavano attivamente dodici donne in tutto a fare farina d'orzo e di grano, midollo degli uomini. Dormivano le altre, avendo già macinato la loro parte di grano; una soltanto non aveva finito: la più debole era. I
pretendenti oggi per l'ultima volta, d'Odisseo nella casa godano l'allegro banchetto» (Odissea XX, 103-119). Il porto di Itaca, il delizioso antro delle Ninfe dove le api costruiscono i favi e le Naiadi tessono manti del cupo colore del mare, sembra un piacevolissimo luogo di soggiorno, ma l'antro ha due porte: una è vòlta a Borea, la porta dalla quale scendono gli uomini, l'altra invece è a Noto, ed è destinata agli dèi, perché non la varcano gli uomini, ma solo il cammino degli immortali (Odissea XIII, 102-119): si capisce che siamo ancora di fronte all'antro-cosmo musicale. Il fuso è sempre uno, ma indica due porte: una al solstizio d'estate, per mezzo del quale gli uomini scendono alla Terra, l'altra più in basso, al solstizio invernale, accesso per accedere agli stadi superiori, ma che può essere percorsa solo dagli dèi. Il cosmo musicale è infatti un luogo iniziatico (cfr Porfirio, De abstinentia 2, 46) dove ci sono due vie, una delle quali - a destra - conduce al cielo, e l'altra - a sinistra all'Ade (Platone, Repubblica X 614c-615e; Dike prende la destra per raggiungere la Verità nel Poema di Parmenide, v.22).
IL MITO E WAGNER
Se la vòlta celeste è un'apparente semicupola, e l'asse mobile che la regge rappresenta il passaggio verso il cielo e allo stesso tempo è il perno del sistema musicale rotante, non è un caso che Ulisse (Odissea XXIII) si faccia costruire la camera da letto, e la casa intera, intorno a un tronco d'ulivo, simbolo dell'axis mundi attorno al quale viene fondato il cosmo. Cosa che avverrà anche in altre tradizioni, come in quella sciamanica, che costruisce l'abitazione intorno a un tronco, e in ogni caso ha un foro sulla sommità perpendicolare al centro, o quella eddica che sarà ripresa nell'epopea
nibelungica:
Wagner,
probabilmente
senza
conoscerne le profonde ragioni, riprende un modello intatto di simbologia mitologica universale quando, nel I Atto della Walküre, fa incontrare Siegmund e Sieglinde, la coppia incestuosa che incrocia cielo e terra, all'interno di un'abitazione costruita intorno a un robusto tronco di frassino, che sta nel centro; la medesima disposizione della camera di Ulisse. È una sala in legname. A destra, sullo sfondo, il focolare e dietro la dispensa. Da quel medesimo tronco di frassino - l'axis mundi il padre degli dèi Wotan aveva ricavato la sua regale lancia sulla quale aveva inciso le leggi runiche che regolavano la vita del mondo e dell'universo. Wagner, in questo senso, è stato unico. Infatti il tema della lancia verrà ripreso in tutta la sua potenza simbolica in Parsifal. Parsifal,
santificato attraverso varie prove iniziatiche e attraverso il sacrificio, userà quella stessa lancia per guarire le ferite di Amfortas, dopo che il malvagio Klingsor l'aveva usata malamente per evirarsi. Ma qui occorre un chiarimento: l'evirazione di Klingsor, un retaggio del mito della castrazione di Urano da parte di Crono-Saturno (ovvero Urano, il cielo delle stelle fisse, lascia il potere al successore Saturno, il più lontano dei pianeti, cfr Esiodo, Teogonia
154-210;
si
tratta
della
scoperta
dell'obliquità
dell'eclittica, nell'ambito di un mondo dove realmente abitano dèi, musica e pianeti, cfr Platone Fedone 111b, Timeo 37c; mondo di eccelsa bellezza, cfr Filone, De aeternitas mundi III,10, il più sacro dei templi, Cicerone De natura deorum II,37,95). Malamente,
perché
Klingsor,
attraverso
la
castrazione,
interrompe volontariamente il proprio rapporto con gli dèi pur di fabbricare da solo il proprio potere: è un fabbro, come il malvagio Alberich, infatti la forgiatura dei metalli è il mestiere fondato da Caino (Gen. 4, 22). Se Klingsor può vedere da lontano l'avvicinarsi di Parsifal è perché usa la propria negromanzia, come fa la strega che attraverso lo specchio vede Biancaneve da lontano. Tali mezzi artificiosi e peccaminosi sono resi musicalmente da note cromatiche e alterazioni d'ogni tipo. Wagner usa qui la musica ficta, che indica l'artificio dell'uomo dannato, rispetto ai modi naturali che garantiscono l'amicizia con gli dèi. Le basiliche cristiane e bizantine saranno costruite in modo che l'abside dorata o azzurra, popolata da stelle, angeli, musicanti, o
santi, sia simbolo della volta del cielo, e la lucerna (la foratura aperta, simbolo dell'axis mundi posta sulla sommità della cupola) sia disposta perpendicolarmente all'altare, di modo che solo attraverso il sacrificio di Cristo l'uomo può salire e accedere, oltre la volta stellata, alla Porta dei cieli.
MUSICA, SIMBOLO, PARADISO
È appunto con il cristianesimo che l'implesso cosmico viene ripreso più esplicitamente in termini musicali. In S. Agostino esso viene descritto come armonia, ossia concordissima differentia (S. Agostino, De vera religione XXX 55), oppure nel suo aspetto più pratico e per così dire omiletico (Confessionum X, 33). Ma è il razionalissimo e non certo ortodosso Boezio - De institutione musica, cap. V - a coniare un termine di suprema sintesi ed eleganza: musica mundana.
Il termine non è subito accettato universalmente. Cassiodoro, seguendo S. Agostino, divide la musica in Scienza armonica, ritmica e metrica (M. A. Cassiodoro, Institutiones, cap. V "De Musica") ed è ripreso pedissequamente dal conforme Isidoro di Siviglia (Sententiae de Musica cap. IV).
La divisione di Boezio sarà invece evidenziata da un altrettanto poco ortodosso Aureliano Reomensis (lo si vede nell'ironica Praefatio), nella cui Musica Disciplina sottopone finalmente le tres partes, harmonica rhythmica metrica, ai tria sint genera mundana, humana, instrumentis (Aureliani Reomenisis, Musica Disciplina, Caput III, «Quod Musicae tria sine genera»).
Chi, invece, mostra non solo di avere le idee molto chiare, ma che anche riassunse e sviluppò in modo arditissimo l'armonia prestabilita-musica mundana, attraverso le sue due autentiche collocazioni (l'albero-fuso e il mulino cosmico), fu una delle più grandi menti che la Storia ci abbia consegnato: Dante. Nella Commedia egli colloca la musica humana e instrumentalis nell'imperfetto mondo del Purgatorio, sia per la loro tentazione edonistica (Casella, Purg. II, 106-133), sia per l'inferiore uso degli strumenti, che indicherebbe la pigrizia dell'intelletto ad assurgere alla musica superiore, infatti Belacqua, il costruttore di liuti, è collocato nel girone dei pigri o dei negligenti (Purg. IV, 115-135). Quella mundana, invece, è nel Paradiso. Per raggiungerla, tuttavia, egli deve arrivarci al Paradiso, e lo fa avvalendosi della giusta via, quella del fuso di Ananke, ovvero, cristianamente, l'Albero della vita, che ha le radici in terra, il fusto proiettato verso il Cielo, e che attraverso la Porta (il buco nero dell'universo attorno al quale gira il tutto) sostiene i rami e i frutti nel Paradiso. Il fuso-albero simbolico, anticamente, veniva periodicamente
abbattuto,
quando
le
ere
cambiavano
in
coincidenza con il passaggio da uno zodiaco all'altro: dopo Cristo, però, Dio ha santificato l'albero, perché è Lui, ora, il padrone del tempo: oggi, dice Dante, nessuno può più schiantare l'albero, perché il tempo non avrà più diverse ere, ma solo quella voluta da Dio, il vero inizio, la vera fine del mondo.
«chiunque ruba quella o quella schianta, con bestemmia di fatto offende Dio, che solo all'uso suo la creò santa» (Purg. XXXIII, 5860; cfr v. 61 sgg.).
Dopo la sua purificazione, e l'immersione nel Lete e nell'Eunoé, «io ritornai dalla santissim'onda/ rifatto siccome piante novelle/ rinnovellate di novella fronda, puro e disposto a salire alle stelle» (Purg. XXXIII, 142-145). Nel Paradiso, il grande canto dedicato alla luce, ai colori, alla rotazione e all'armonia mundana è il decimo. Qui c'è l'esaltante ritratto di Boezio (Par. X, 124-129), e l'elogio di San Tommaso nei confronti dell'eretico averroista Sigieri di Brabante: cantando in coro le lodi a Dio, Tommaso e Sigieri risolvono nell'armonia le dissonanze che li avevano divisi nella vita terrena. Le antinomie dell'inferiore dialettica logica si compongono nella superiore concordia discordantium canonum. I cerchi si muovono in armonia intellettuale che è anche musicale, dove nota, e rota suggeriscono la circolarità della perfezione. «Così vid'io la gloriosa rota/ muoversi e render voce a voce in tempra/ ed in dolcezza ch'esser non più nota/ se non colà dove gioir s'insempra» (Par. X, 142-145). C'è chi ha messo in relazione la circolazione dei cerchi con gli ingranaggi dei primi orologi, le cui prime attestazioni risalgono al 1336, cfr L. Spitzer, L'armonia del mondo, ed. Il Mulino, Bologna
1963, p. 260, e addirittura al 1306, anno in cui Dante li avrebbe conosciuti, cfr M. Croese, La Commedia come partitura bachiana, ed. ETS, Pisa 2001, p.93n).
Quello che a noi per lo più interessa in questo luogo è la seconda tradizione
essenziale
dell'armonia
prestabilita
che
Dante
rivivifica: quella del mulino. Il riferimento all'obliquità dell'eclittica e alla Precessione è chiarissima: «come da indi si dirama/ l'obliquo cerchio che i pianeti porta, per sodisfare al mondo che li chiama. E se la strada lor non fosse torta, molta virtù nel ciel sarebbe invano/ e quasi ogni potenza quaggiù morta: e se dal dritto più o men lontano/ fosse il partire, assai sarebbe manco/ e giù e su dell'ordine mondano» (Par. X, 13-21). Ciò prepara la strada al grande attacco del canto XII: «È tosto come l'ultima parola/ la benedetta fiamma per dir tolse/ a rotar cominciò la santa mola; e nel suo giro tutta non si volse/ prima ch'un'altra di cerchio la chiuse, e moto a moto e canto a canto colse» (Par. XII, 1-6).
Certamente, i grandi cerchi sono concentrici, ma all'interno del cerchio della musica mundana, dove la santa mola fabbrica, sotto l'amore di Dio, la musica e il tempo, le ruote che s'intersecano sono una perpendicolare l'altra, come le ruote di una macina.
L'eventuale orologio non è piatto come i nostri, ma è un cubo simile alle sfere armillari del tempo. Ergo, la musica mundana non è polifonica nel senso delle molte voci parallele e armoniosamente
discordi,
ossia
bidimensionale,
ma
tridimensionale e prospettica, per così dire timbrica: l'interno del cerchio non è lineare, ma è spaziale, ut totus ordo impleatur. Dante fa qualcosa di fondamentale nella storia dell'armonia prestabilita: innesta le due prospettive pagane, l'axis mundi e il mulino musicale che il Medioevo aveva dato per scontate o sottaciute, e le inserisce a pieno titolo nella prospettiva cristiana, pur mantenendone integri gli assunti originari.
MITO SIMBOLO ARTE
Tale grandiosa visione armonica e di bellezza rotante, che a cercare di immaginare fa venire i brividi, viene ripresa via negationis da una delle raffigurazioni più deliranti della storia. La faccia interna dello scomparto laterale di destra del Trittico delle delizie, dipinto intorno al 1504 da Hieronymus Bosch, s'intitola "Inferno musicale". Come la macina crea bellezza e l'implesso del cosmo, quella stessa macina, priva dell'ordo divini, tritura e smembra, così che la sua musica ne diventa il disordine stritolante della disarmonia: l'arpa, il liuto e l'organo a manovella si trasformano in strumenti di tortura. L'Albero della Vita diventa qui l'uomo-albero, al centro del dipinto, che s'appoggia vacuamente su ondeggianti barche sulla putride nera. L'uomo si sostituisce a Dio, come l'Ulisse dantesco, vuole raggiungerlo con le proprie forze e, sostituendosi all'Albero, diventa un mostro piegato e spezzato (in un mezzo uovo rotto, simbolo di eresia). Le figure del dipinto sono disposte in ellissi che le chiudono e che s'intersecano ora obliquamente, ora verticalmente, come gli ingranaggi di una mola infernale. E infatti eccolo lì, in alto, memore dantesco e arcaico, il piccolo mulino le cui pale sono ormai getti di fuoco rovente, il deus discordiae. Quasi contemporaneamente, il giovane Tiziano dipingeva un Concerto che darà inizio a una lunga serie di "Concerti" molto diffusi nel Cinquecento, nei quali raramente qualcuno suona. È
una tela importante per capire la ricezione della musica mundana nel figuralismo musicale cinquecentesco, per la quale la critica artistica tradizionale pare relativamente impreparata (L. BorgeseR. Cevese, L'arte classica e italiana,vol. III, ii, ed. Garzanti, Milano 1973, p.329). Innanzitutto, Tiziano era un profondo umanista. Si era formato, attraverso Bellini e Giorgione, alla scuola che aveva fondato Vittorino da Feltre (1379-1446), di matrice neoplatonica. Là aveva studiato il Libro de Natura de Amore M. Equicola, i Dialoghi di Amore di Leone Ebreo, le opere di M. Ficino, che aveva tradotto i Dialoghi di Platone nel 1477 e le Enneadi di Plotino nel 1492. Era amico di Pietro Bembo, che in quell'anno pubblicava i platonici Asolani, e di Ariosto, che persino lo cita nell'Orlando furioso. Ma soprattutto, gli era perfettamente noto uno dei pilastri di quella scuola, il De institutione musica di Boezio.
Il quadro di Tiziano del 1506 ne è un'allegoria. Come in quasi tutti i Concerti veneziani del tempo, (le quattro versioni di Venere e gentiluomo, il Concerto di Tintoretto, la Vita tripartita di Veronese e via dicendo), chi suona l'organo non guarda mai la tastiera. La figura centrale, che pare un sacerdote, rappresenta la musica mundana. Non guarda la tastiera perché è lui stesso l'allegoria dell'armonia: non gli serve suonare, in quanto attraverso la tastiera dà ordine e proporzione al mondo, in realtà emette suoni senza suoni. Non ha nulla di febbricitante o di sofferente, al contrario, è sereno e ha un leggero sorriso: significa che darà risposta al frate, qui gerarchicamente inferiore, che lo guarda in modo interrogativo e chiede la sua attenzione toccandogli la spalla. Ha già il manico di un liuto in mano, perché è la musica humana, qui, che chiede ispirazione all'armonia prestabilita,
all'Amor,
per
collocare
in
musica
sensibile
l'intuizione: in un certo senso è il compositore in procinto di mettersi al lavoro, dopo il dialogo spirituale. Tale dialogo silenzioso tra i due è il vero concerto (cfr M. Venuti, "Un concerto di Tiziano", in Studi Cattolici, anno XLVII, ottobre 2003, n. 512) che si sta svolgendo, e il sorriso della figura centrale significa che la richiesta avrà accoglimento. Ora, pare che tutto questo non interessi la figura di sinistra, che però è assolutamente essenziale per la composizione allegorica. E si capisce: il paggio rappresenta la musica instrumentalis. Egli è ben vestito per il teatro, e guarda in faccia il pubblico
cercandone l'applauso, o in ogni caso l'approvazione, e non pare interessato alla composizione in quanto tale, allo spiritus che può animarla: il suo compito è solo di eseguire, di mostrare il meglio, e più che guardarvi vi scruta, cercando di cogliere i vostri umori, e capire se lo spettacolo avrà successo.