Patrizia Villani
“The Schooner Flight ” di Derek Walcott, viaggio senza fine nell’immaginazione nell’immaginazione
In una lettura di poesie tenuta a Roma qualche anno fa, Derek Walcott aveva dichiarato: “La scrittura poetica è una vela che solca l’orizzonte”, rendendo ancora più esplicito quanto espresso in precedenza precedenza dai versi della breve breve poesia “Map of the new world”, in cui sono evidenti il parallelo fra l’arcipelago greco e quello caraibico, e l’interpretazione della figura del poeta, che non può ispirarsi ad altri se non a Omero: At the end of this sentence, rain will begin. At the rain’s edge, a sail. Slowly the sail will lose sight of the islands… … A man with clouded eyes picks up the t he rain and plucks the first line of the Odyssey.
(“Map of the new world”, p. 413) 1 Il mito dell’eterno viaggiatore (lacerato dalla nostalgia di un ritorno imposs impossibi ibile) le) rappre rappresen senta ta da secoli secoli la person personifi ifica cazio zione ne dell’i dell’imma mmagin ginazi azione one poetica ed è una costante dell’opera omnia di Walcott, profondamente convinto che l’identità — individuale e di un intero popolo — esista soltanto come work in progre progress ss e mai elemento elemento dinamico dinamico,, work mai semp sempli lice ce prod prodot otto to o stas stasi.i. Ne
consegue quindi che la ricerca instancabile e il lungo processo di costruzione di tale identità individuale e collettiva da parte del poeta non possano prevedere altro che un viaggio infinito che non contempla alcun approdo, se non la morte. 1
In Derek Walcott, Collected Poems 1948-1984, Farrar, Straus & Giroux, New York, 1986
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“The Schooner Flight” (La goletta Flight) è un poema narrativo di circa cinquecento versi che appartiene alla raccolta The Star-Apple Kingdom, pubblicata nel 1979. Il narratore e protagonista Shabine incomincia il suo racconto in medias res, e con l’uso frequente di flashback, mescolando spunti autobiografici alla
narrazione di questa Odissea, descrive gli eventi che lo hanno costretto a lasciare l’isola di Trinidad e ad imbarcarsi sulla goletta Flight, che nel suo viaggio toccherà Barbados, Saint Lucia e Dominica. Marinaio occasionale e poeta per convinzione, il mulatto Shabine ha una vita complicata: ha lasciato moglie e figli per l’amante, che poi abbandona, e lavora nel contrabbando di whisky, ma quando il traffico viene scoperto e l’inchiesta affidata proprio al politico che era a capo della faccenda, Shabine, disgustato dalla corruzione e rimasto a terra senza un soldo, tenta la fortuna con con il recu recupe pero ro dei dei reli relitt tti.i. Dura Durant ntee le im imme mers rsio ioni ni cade cade però però pred predaa di allucinazioni e vede nei coralli e nella sabbia sul fondo del mare le ossa degli schiav schiavii africa africani ni morti morti durant durantee le traver traversat satee triste tristemen mente te famose famose del Middle Passage:2
…but this Caribbean so choke with the dead that when I would melt in emerald water, whose ceiling rippled like a silk tent, I saw them corals: brain, fire, sea-fans, dead-men’s-fingers, and then, the dead men. I saw that the powdery sand was their t heir bones ground white from Senegal to San Salvador…
(“The Schooner Flight”, p. 349)3 Si concretizza in queste parole del marinaio quanto Walcott ha più volte affermato, ossia che nei Caraibi la storia non esiste se non sotto forma di vestigia distrutte di un impero, con l’ovvio corollario di morte e violenza; è il mare, qui metafora del naufragio (“… choke with the dead”), che diventa
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S’intende S’intende per Middle Passage tappa più lunga del percorso percorso che le navi navi negrie negriere re compiv compivano ano Passage la tappa nell’oceano Atlantico fra la costa occidentale dell’Africa e le West Indies, nel viaggio di trasporto degli schiavi nel Nuovo Mondo. 3 In Derek Walcott, Collected Poems 1948-1984, cit.
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memoria collettiva di un popolo e testimonianza di sofferenze senza voce: “the sea is History” 4. Abbandonato da tutti, Shabine viene ricoverato all’ospizio dei marinai, e infine s’imbarca sulla goletta Flight, dove ha visioni di navi negriere fantasma, deve usare la violenza suo malgrado per farsi rispettare dai marinai che lo deridono per la poesia che scrive, e riesce infine a sopravvivere a una terribile tempesta, tutte prove che ricordano molto da vicino le traversie dell’ Odissea (e che sembrano riecheggiare le parole dell’Ulisse di Tennyson, che sente di essere divenuto parte dei mondi che ha incontrato e non può scacciare il desiderio di riprendere il viaggio 5). Il poema, inutile dirlo, non prevede ritorno e si conclude in alto mare, con il protagonista che studia le stelle e assume volontariamente e consap consapevo evolme lmente nte il ruolo ruolo di portav portavoce oce del suo popolo popolo,, mentre mentre il viaggi viaggioo continua. “The Schooner Flight” non è il primo testo walcottiano che tratta del viaggio, anzi, i temi connessi a questo argomento e all’esilio spirituale sono nati in Walcott insieme alla decisione stessa di scrivere poesia, quindi più di mezzo secolo fa; questo tuttavia è il primo testo a porsi come esempio compiuto di poema epico-narrativo con un eroe che intraprende un pellegrinaggio pellegrinaggio spirituale e creativo in continuo divenire e che prefigura ciò che il poeta realizzerà in seguito su scala più vasta con Omeros. Fin dagli inizi Walcott si è posto un programma ambizioso: cantare (come i poeti classici) le bellezze della propria isola, celebrare la vastità e l’importanza del mare, simbolo di libertà e di apertura verso l’orizzonte e del viaggio verso scoperte che si attuano in primo luogo nella propria interiorità, nell’elaborazione faticosa e sofferta di una personalità matura, sganciata dalle oppressioni coloniali e dallo sguardo dell’Altro, del dominatore. A tutt’oggi il poeta segue il percorso che si è scelto, e continua ad esplorare il paesaggio 4
“The Sea Is History” è il titolo di una poesia, appartenente alla raccolta The Star-Apple Kingdom (1979), di cui la prima strofa recita: “Where are your monuments, your battles, martyrs?/Where is your tribal memory? Sirs, /in that grey vault, the sea. The sea/has locked them up. The sea is History.”, Collected Poems 1948-1984, p. 364. 5 Mi riferisco in particolare ai versi 6-32 della poesia “Ulysses” di Tennyson, monologo lirico di grande intensità: …I cannot rest from travel; I will drink/ Life to the lees. All times I have enjoyed/ Greatly, have suffered greatly…/ I am become a name;/For always roaming with a hungry heart/Much have I seen and known…/ I am a part of all that I have met…/ How dull it is to pause, to make an end,/ To rust unburnished, not to shine in use!/And this gray spirit yearning in desire/ to follow knowledge like a sinking star,/ Beyond the utmost bound of human thought…
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umano, storico e naturale dell’arcipelago dell’arcipelago delle Indie Occidentali, scavando nella propria identità, e cercando di riconciliare i vari retaggi che compongono l’umanità dei Caraibi con l’obiettivo di (ri)costruire un universo mitico e poetico che recuperi e si serva di tutto ciò che su quelle coste e tra quelle isole ha fatto naufragio. Ha quin quindi di risc riscri ritt ttoo e tras trasfor forma mato to la “mar “margi gina nali lità tà”” dell dellaa posi posizi zion onee caraibica in un nuovo parametro per una visione prospettica globale e non più eurocentrica del mondo, e ha fatto dell’ibridità culturale e razziale una fonte inesauribile di energia creativa 6 nella quale la scrittura assume su di sé la funzione del viaggio e diviene movimento inarrestabile verso un orizzonte che è sempre oltre, che si sposta continuamente più in là, concretizzandosi via via in nuove raccolte poetiche e, nel caso specifico, nei versi e nella struttura narrativa del poema “The Schooner Flight”. “Flight”: fuga, o chissà, volo, nome rivelatore per la goletta che diventa la nuova realtà del narratore che lascia la sua terra, e per un testo che può essere interpretato come un monologo drammatico (un messaggio in bottiglia come nel più classico dei racconti marinari) scritto nel tipico inglese caraibico dal ritmo ritmo melodi melodico co e cantil cantilena enante nte del marina marinaioio-poe poeta ta Shabi Shabine, ne, voce voce cre creola ola e autoritratto non troppo velato dell’autore reale: I’m just a red nigger who love the sea, I had a sound colonial education, I have Dutch, nigger, and English in me,
and either I’m nobody, or I’m a nation. (“Schooner Flight”, p. 346)
Si percepisce inequivocabilmente il sorriso ironico di Walcott dietro la concretezza priva di romanticismo di questo ritratto: le parole crude, l’epiteto 6
Vedi le seguenti affermazioni in Bill Ashcroft et al., The Empire Writes Back. Theory and Practice in Routledge, London & New York, 1989, a proposito proposito dell’ibridità dell’ibridità linguistica linguistica e Post-Colonial Literatures, Routledge, culturale: “…cultural syncreticity is a valuable as well as an inescapable and characteristic feature of all post-colonial societies and indeed is the source of their peculiar strength.”, p. 30; e “[Derek Walcott and others] others] …espouse …espouse a cultural cultural syncretism syncretism which, while not denying ancestral ancestral affiliations, affiliations, sees AfroCaribbean destiny as inescapably enmeshed in a contemporary, multi-cultural reality.”, p. 31.
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“nigger” su cui si insiste, quel duro “nobody” che ci ripropone le figure degli eredi di schiavi spossessati di tutto, anche delle proprie memorie ancestrali. Ma proprio da questi “nessuno” (ancora un’eco di Ulisse che si insinua d’istinto nel pensiero), da questi naufraghi della Storia, si arriva ad un intero popolo, ad una nazione, ai Caraibi. Walcott in viaggio all’interno di sé e della sua storia s’incarna con naturalezza nell’eroe solitario del Nuovo Mondo, quel castaway che da derelitto approdato miracolosamente su un’isola deserta si tramuta al di fuori del flusso della Storia in un nuovo Adamo, il cui impulso primigenio di dare il nome alle cose per possederle ci riporta al compito più vitale ed essenziale del poeta — di ogni poeta —: restituirci la fede nella realtà delle cose che ci circondano, regalarci la capacità di vedere con occhi nuovi e cogliere lo straordinario nel quotid quotidian iano, o, accom accompag pagnan nandoc docii nel viaggi viaggioo dell’i dell’imma mmagin ginazi azione one a compie compiere re questo atto sacrale di percezione che affonda le radici nella nostra stessa umanità7. Forma particolare e originale di diario di bordo, “The Schooner Flight” è composto da undici sezioni di lunghezza variabile che rappresentano le tappe di un difficile viaggio, al tempo stesso dentro e fuori di sé, che ha luogo simultaneamente su più livelli sovrapposti e incrociati: – sul piano geografico toccando varie isole dell’arcipelago in un continuum spazio spazio-te -tempo mporal ralee e cultur culturale ale che sottol sottoline ineaa le tradiz tradizio ioni ni comuni comuni,, quasi quasi si trattasse di sfaccettature di un’unica realtà; – sul piano puramente cronologico correlando il tempo personale e lineare delle vicende del protagonista (delle quali non si specifica comunque la durata e che rimangono pertanto volutamente indefinite) al tempo storico degli eventi nel Nuovo Mondo, che coprono alcuni secoli ma vengono interpretati in senso circolare nel loro continuo riproporsi alla memoria individuale e collettiva, fardello di cui non ci si può liberare: 7
William Baer, Conversations with Derek Walcott , Mississippi University Press, 1996, p. 99: “…I have never separated the writing of poetry from prayer. …I felt this sweetness of melancholy, of a sense of mortality, or rather of immortality, a sense of gratitude both for what you feel is a gift and for the beauty of the earth, the beauty of life around us.”.
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…but we live like our names and you would have to be colonial to know the difference, to know the pain of history words contain… (“Schooner Flight”, pp. 353-354)
– sul piano etico-filosofico penetrando l’interiorità del protagonista attraverso le parole e i pronunciamenti della voce narrante (sdoppiata, come spesso accade in Walc Walcot ott, t, anch anchee in voce voce auto autori rial alee che che inte interv rvie iene ne im impl plic icit itam amen ente te nell nellaa narrazione in veste di co-protagonista degli eventi interiori) e smontando abilmente i meccanismi psicologici del personaggio, mostrandoci un uomo che deve fare i conti con i laceranti conflitti scatenati in lui dalle vicende della vita, dagli errori che ha commesso e dalle debolezze intrinseche al proprio carattere, che gli conferiscono status di eroe tragico ed emblematico pur nella sua umiltà: …if loving these islands must be my load, out of corruption my soul takes wings… (“Schooner Flight”, p.346)
– e infine sul piano poetico, perché il marinaio Shabine, più di ogni altra cosa, è poeta armato della sola parola, alter ego dell’autore reale, voce disincantata ma passionale di Walcott, che usa questa “tight-fitting mask” 8 per costruire e decostruire al tempo stesso il suo viaggio peculiare nella poesia, che si specchia infine in ciò che ha generato. Il poema “The Schooner Flight” è un viaggio; o meglio il viaggio senza ritorno nell’immaginazione, esemplificato e condensato in versi: è il poema di un’intera vita e come tale infinito pur nel suo tempo umano e determinato. Interpretazione questa che pare confermata anche dalle tematiche riprese Fortunate Traveller Traveller (1981), in quasi tutte le successive raccolte e poemi: The Fortunate Midsummer (1984), Omeros (1990), The Bounty (1996) e i più recenti Tiepolo’s Hound (2000) e The Prodigal (2004), tutti legati dal filo rosso del viaggiatore senza 8
Ho scelto questa definizione per indicare la “maschera”, o persona, dietro cui la voce autoriale in genere si cela. In questo poema, in modo particolare, la maschera è tight-fitting , ossia calza così strettamente all’autore da divenire un velo molto sottile tra il poeta e il personaggio (la sua voce), che si somigliano e parlano con lo stesso inconfondibile accento appassionato e ironico.
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meta definitiva, a volte Ulisse intrappolato tra il desiderio di avventura e la nostalgia del ritorno e degli affetti, a volte anonimo essere umano che riflette sulle difficoltà dell’esistenza e sul trascorrere inesorabile del tempo, o scrittore caraibico che trova nell’esilio e nel viaggio all’interno della dimensione dell’arte l’ambito che più gli è congeniale per realizzare pienamente la propria creatività e risanare quelle divisioni interiori che sono il segno più evidente dell’eredità coloniale9. La partenza del protagonista avviene da Trinidad e Shabine — per inciso, nel patois delle isole, quest’ultimo nome indica comunemente un mulatto dagli
occhi chiari, una sorta di Everyman rappresentativo per la mescolanza di sangue e la doppia eredità genetica e culturale di cui è involontario portatore — se ne va, imbarcandosi nell’avventura del mare perché disgustato e stanco della corruzione, dei problemi sociali dell’isola e dei suoi conflitti familiari, e già perseguitato dai sensi di colpa e dal rimorso dell’abbandono. E le parole iron ironic iche he del del cond conduc ucen ente te di taxi taxi,, veic veicol oloo mate materi rial alee di ques questo to abba abband ndon ono, o, pref prefig igur uran anoo già già un inqu inquie ieta tant ntee “non “non rito ritorno rno”, ”, l’id l’idea ea che che l’ass l’assen enza za poss possaa diventare definitiva: “This time, Shabine, like you really gone!” (“Schooner Flight”, p. 345)
Nel momento in cui si volta indietro, verso la vita che sta lasciando, vede infatti un suo doppio (o il suo fantasma) che soffre e piange per l’isola intera, per l’esilio volontario a cui si sta condannando, per la fuga ( flight) che lo attende. … and I look in the rearview and see a man exactly like me, and the man was weeping for the houses, the streets, that whole fucking island. (“Schooner Flight”, p. 345) 9
Derek Walcott, What the Twilight Says. Essays, Faber & Faber, London, 1998, p. 4: “…one could lead two lives: the interior life of poetry, the outward life of action and dialect. Yet the writers of my generation were natural assimilators. We knew the literature of empires, Greek, Roman, British… If there was nothing, there was everything to be made. With this prodigious ambition one began.”
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Coerente con questa affermazione è la manifestazione ambivalente di nostalgia e rabbia (che con il violento aggettivo “fucking” la voce narrante proietta al di fuori di sé, attribuendo tutta la negatività dell’emozione all’isola, traditrice di quell’amore che il marinaio vi aveva riposto) che rivela lo stato d’animo del narratore ma in modo non diretto, attraverso l’espediente del “doppio”, di un alter ego che offusca i confini tra voce autoriale e personaggio.
Poche dense parole per raffigurare un’esperienza universale, emozioni provate da chiunque sappia che cosa significa non solo partire ma lasciare chi resta, resta, e al tempo tempo stesso stesso esper esperien ienza za specif specifica ica dell’a dell’arti rtista sta caraib caraibico ico,, che nel viaggio verso nuovi orizzonti, in un esilio che potremmo definire “fisiologico” 10 , trova, mediante il sacrificio dell’abbandono, lo spazio indispensabile alla realizzazione delle proprie potenzialità, assumendo il ruolo di portavoce per coloro che la Storia ha condannato nei secoli al silenzio: Though my Flight never pass the incoming tide of this inland sea beyond the loud l oud reefs of the final Bahamas, I am satisfied if my hand gave voice to one people’s grief. (“Schooner Flight”, p. 360)
La voce voce del narrat narratore ore rie riesce sce a trasme trasmett ttere ere un’int un’intens ensità ità e un poter poteree drammatico che in questi versi sono connotati specificamente da vari elementi: in primo luogo quel possessivo “my Flight” in cui scivola la voce narrante, sdoppiandosi di nuovo impercettibilmente nella voce autoriale, perché chi possiede la Flight (goletta e poema insieme) è il poeta Walcott, e non soltanto il marinaio Shabine, anche se la fuga in realtà sembra essere di quest’ultimo. Sono da notare pure quei due termini così evocativi di eternità: “never” e “final”, che sembrano circoscrivere all’arcipelago lo scenario fisico della rotta della Flight e al tempo stesso togliere ogni confine temporale al suo viaggio, destinato a 10
R. E. Fox, “Derek Walcott: History as Dis-Ease”, Callaloo, Vol. 0, Issue Issue 27 (Spring (Spring 1986), pp. pp. 331340: “The West Indian has been deprived of a meaningful kinship with his origins and has sought relief in sheer movement — dance, cricket, Carnival, activist religion, migration itself.”
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ripete ripetersi rsi all’inf all’infini inito, to, cic ciclic licame amente nte,, ad ogni ogni nuova nuova lettur lettura, a, propri proprioo come come il percorso delle navi fantasma f antasma della visione. Questa Questa intens intensità ità e dramma drammatic ticità ità sembra sembrano no in contra contrasto sto con il tono tono colloquiale e sciolto, ironico e a volte sarcastico, usato nella narrazione e indi indica cano no espl esplic icit itam amen ente te nuov nuovee poss possib ibil ilit itàà di espr espres essi sion onee mesc mescol olan ando do caratteristiche dell’oralità ad un linguaggio letterario, ciò che Walcott intende quando si autodefinisce “a mulatto of style, a mongrel 11”. La combinazione di ques questa ta inte intens nsit itàà dell dell’i ’imm mmag agin inaz azio ione ne poet poetic icaa con con un tono tono semp sempli lice ce da conversazione quotidiana è l’elemento distintivo che caratterizza il timbro di voce (o meglio il tono) che riconosciamo anche in altre poesie come peculiare di Walc Walcot ott, t, terr terrib ibil ilme ment ntee seri serioo ma capa capace ce di bona bonari riaa iron ironia ia e legg legger erez ezza za insospettata. La distanza geografica e psicologica dell’esilio consente al poeta e al narratore di vedere con chiarezza, comprendere, soppesare e infine distillare quegli elementi che costituiscono lo spirito delle Indie Occidentali, arcipelago di isole che parlano lingue diverse con una voce unica: è questa voce che Derek Walcott ha scelto di diventare, e la responsabilità di evocare e rappresentare il dolore storico di questo popolo è l’opera di una vita intera, una vocazione nata dal coraggio del rifiuto di luoghi comuni ma soprattutto dall’amore per la propri propriaa terra terra (per (per quanto quanto sentim sentiment entale ale ed ecces eccessiv sivoo questo questo termin terminee possa possa sembrare a noi europei): I loved them, my children, my wife, my home; I loved them as poets love the poetry that kills them, as drowned sailors the t he sea. … when I write this poem, each phrase go be soaked in salt, I go draw and knot every line as tight 11
In più occasioni Walcott ha sottolineato questa doppia eredità linguistica e culturale, talvolta come sintomo di una divisione interiore, come nella poesia “A Far Cry from Africa”: …where shall I turn, divided to the vein?. Tuttavia queste definizioni di “mulatto of style” e “mongrel” (bastardo, ibrido) hanno sempre una connotazione d’ironia e orgoglio insieme, perché il poeta non dimentica neppure per un istante che questa pluralità di stimoli culturali e linguistici è una ricchezza specifica della letteratura delle West Indies.
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as ropes in this rigging; in simple speech my common language go be the wind, my pages the sails of the schooner Flight. (“Schooner Flight”, p. 347)
Intuiamo
qui
nuovamente
che
l’avventura
intrapresa
da
Shabine/Walcott sarà priva di approdo finale. Chi sceglie questo percorso s’imbarca in un viaggio senza uscita nei labirinti dell’immaginazione, crea con le proprie mani uno spazio sconfinato dal quale non si torna, compone con gli strume strumenti nti scelti scelti l’ogge l’oggett ttoo e il sogge soggetto tto insie insieme me della della propri propriaa conosc conoscenz enzaa profonda: la poesia è impegno di tutta una vita, è una vocazione assoluta fatta di abbandono totale alla voce interiore e alla direzione che questa indica. I versi appena citati, e in particolare le isotopie metaforiche legate al duplice piano linguistico del vocabolario marinaresco e della retorica poetica propria dello scrittore, incarnano in modo significativo l’intento del poetanavigatore, che costruisce pezzo per pezzo il veliero-poema e ce ne lascia intravvedere a tratti la composizione, puntando costantemente alla massima efficacia espressiva e scegliendo come strumento — quel vento che gonfia le vele-pagine dello “Schooner Flight” — la lingua parlata quotidianamente nelle isole, quell’inglese creolo che le Indie Occidentali condividono, pur con le diverse varianti locali legate alla storia delle singole dominazioni. Si tratta appunto di quel “plain style” che Walcott ricerca da sempre, che esalta di volta in volta gli elementi linguistici legati alla realtà dei parlanti nativi ma non perde di vista le forme dell’inglese cosiddetto “standard” (o meglio lett letter erar ario io)) arri arricc cchi hito to di sens sensib ibil ilit itàà poet poetic icaa e dota dotato to di gran grande de pote potenz nzaa comunicativa. Lingua che bene si trova in bocca al narratore Shabine, che adotta consap consapevo evolme lmente nte (come (come Walcot Walcott) t) il ruolo ruolo di poeta poeta orale, orale, di “story “story-te -telle ller” r”,, alternandolo però a riflessioni filosofiche che nulla hanno d’ingenuo, né di primitivo. Ma la ricerca esistenziale, l’esilio e il viaggio hanno valore poetico ed embl emblem emat atic icoo solt soltan anto to quan quando do attu attuat atii e rapp rappre rese sent ntat ati,i, se veng vengon onoo cioè cioè materializzati come in questa domanda che suona come una preghiera, in versi 10
che devono dar voce anche al dolore della solitudine, al desiderio di un approdo impossibile e alla disamina di tutto ciò che si è lasciato per la poesia: Where is my rest place, Jesus? Where is my harbour? Where is the pillow I will not have to pay for, and the window I can look from that frames my life?
… I had no nation now but imagination. (“Schooner Flight”, p. 350)
In questi pochi versi il senso di quiete, il bisogno di una casa e forse di una famiglia, il desiderio di un luogo definitivo dove fermarsi, sono indicati dall’uso di termini semplici e quotidiani: “rest place”, “pillow”, “the window … that frames my life”, resi però irreali e irraggiungibili dall’accorata invocazione iniziale “Jesus” e dal verso successivo, che incomincia una nuova sezione del poema e apre bruscamente una prospettiva vertiginosa sullo spazio infinito del mare e del tempo davanti a sé. Questa solitudine, questa sofferenza, non può che essere destino comune degli scrittori e artisti caraibici, la conseguenza inevitabile di una scelta che deve tener conto del fardello della storia e dei suoi orrori, colonialismo e impe im peri rial alis ismo mo con con il loro loro coro coroll llar ario io di schi schiav avit itù ù e dias diaspo pora ra.. Sono Sono piag piaghe he inguar inguaribi ibili, li, che questi questi intel intellet lettua tuali li deside desidera rano no ardent ardentem ement entee “sigi “sigilla llare” re” e lasciarsi finalmente alle spalle per poter continuare il viaggio senza la zavorra di una Storia fatta da altri. Nelle sezioni centrali del poema Shabine rivive infatti, in una sorta di catarsi storica e onirica al tempo stesso, episodi salienti della storia passata e presente dell’arcipelago, dalle vicende degli indiani Caribi che nel 1651 scelsero il suicidio di massa piuttosto che arrendersi alla dominazione francese, ai fantas fantasmi mi delle delle navi navi negrie negriere re con i loro loro equipa equipaggi ggi di morti morti-in -in-vi -vita ta (chiar (chiaroo rimand rim andoo alla alla fasci fascinaz nazion ionee dell’A dell’Anci ncient ent Marin Mariner er di Coleri Coleridge dge e ad alcuni alcuni racconti inquietanti di Poe, “Descent into the Maelstrom”, “Manuscript found 11
Arthurr Gordon Gordon Pym)12, per finire con la realtà in a Bottle”, e la narrativa Arthu
contemporanea della corruzione politica e dei nuovi potenti che controllano il comme commerci rcioo e il contra contrabb bband andoo con la conniv connivenz enzaa delle delle autori autorità, tà, squall squallida ida parodia di ciò che il progresso porta in queste isole. Soltanto dopo aver rivissuto i traumi della Storia in una sorta di acting out psicologico ed essere sopravvissuto indenne alla tempesta reale e simbolica
della sua vita, il poeta marinaio può finalmente riconciliarsi con il mare e affrontare l’incertezza del futuro, accettando il compito che il destino gli riserva: proseguire il viaggio con la sola compagnia delle stelle, unica indicazione possibile della rotta da tracciare e di un’identità da costruire giorno per giorno con infinita pazienza, legata indissolubilmente ai versi eloquenti che scrivono le pagine della sua vita, le vele bianche della Flight. … I have only one theme: The bowsprit, the arrow, the longing, the lunging heart – the flight to a target whose aim we’ll never know, vain search for one island that heals with its harbour and a guiltless horizon… (“Schooner Flight”, pp. 360-361)
Il viaggio (talvolta ricerca di un introvabile Eden) è sempre un flusso ininterrotto di esperienze, l’idea di una trama che s’intreccia all’infinito, così come la storia o la tradizione poetica e la relazione che ogni singolo poeta ha con questa tradizione. Penso in particolare a quanto affermato da Eliot 13, e a quanto dichiara lo stesso Walcott in “The Muse of History”: 12
Questi testi sono caratterizzati dalla presenza di elementi comuni e ricorrenti: il mare, il viaggio, la tempesta e incontri misteriosi o inspiegabili con navi ed equipaggi fantasma. Tali punti cardine della narrazione sono fortemente simbolici e incarnano di volta in volta una colpa oscura e il desiderio di espi espiaz azio ione ne (“The (“The Rime Rime of the the Anci Ancien entt Marin Mariner er”), ”), il fasc fascin ino o morb morbos oso o per per gli gli abis abissi si mari marini ni e il rischi rischio/d o/des esider iderio io di morte morte (“Des (“Descen centt into into the Maelst Maelstrom rom”” e “Manus “Manuscri cript pt Found Found in a Bottle Bottle”) ”) o la navigazione avventurosa verso l’ignoto e una serena accettazione del proprio destino, quale che sia ( Arthur Gordon Pym). “The Schooner Flight ” conserva tracce inequivocabili di questi testi che il lettore non può fare a meno di rilevare (come l’autore ben sa), inglobando quindi nella propria percezione del poema questo “sottotesto” di influenze deliberatamente scelte per accrescere l’effetto psicologico della rappresentazione del viaggio della goletta Flight e sottolineare la circolarità degli avvenimenti storici, presentati con pennellate rapide ma efficaci e suggestive. 13 Nel saggio critico “Tradition and the Individual Talent”, cfr. quanto Eliot afferma a proposito del rapporto inscindibile quanto controverso fra scrittore e tradizione letteraria.
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… there is no beginning but no end. The new poet enters a flux and withdraws, as the weaver continues the pattern…14
La scri scritt ttur uraa post postco colo loni nial alee si è mani manife fest stat ataa fin fin dai dai suoi suoi iniz inizii come come modalità di (ri)appropriazione e integrazione di un io diviso, di mediazione obbligata con la presenza dell’Altro, soggetto e padrone di una Storia fatta di soprusi nella quale l’abitante dei Caraibi non ha mai avuto voce in capitolo. In questo percorso teso alla ricostruzione di una realtà dignitosa e possibile per tutti, la poesia di Walcott costituisce un’esperienza risanatrice e portatrice di sign signif ific icat ato, o, che che cons consen ente te di dare dare un sens sensoo ai conc concet etti ti di “int “integ egri rità tà”” e consapevolezza attraverso la creazione di nuovi miti — o la riscrittura dei vecchi. Walc Walcot ottt ha più più volt voltee dich dichia iara rato to che che l’un l’unic icaa ered eredit itàà acce accett ttab abil ilee che che l’Impero britannico ha lasciato alle ex-colonie è la lingua inglese, proprietà comune e strumento duttile che nelle sue mani si è trasformato in una poesia di valore universale che ha saputo trascendere i confini dell’arcipelago e ha contribuito a sovvertire le nozioni tradizionalmente accettate di “centro” e “margini”, spostando il baricentro delle valutazioni critiche. È l’unica eredità che il poeta marinaio Shabine si sente di lasciare a chi ha amato, a chi verrà dopo di lui: … I have kept my own promise, to leave you the one thing I own, you whom I loved first: my poetry. (“Schooner Flight”, p. 354)
In realtà è una scelta quasi obbligata, perché questo è l’unico strumento che h a a disposizione, insieme ad un perenne vagabondare alla ricerca di ciò che ha senso, per compensare le delusioni del mondo in cui ha vissuto. Il narratore usa qui parole improvvisamente forti, immagini che evocano combattimenti antichi, duelli d’eroi che ricordano le vicende di Ulisse al suo ritorno in patria: 14
“The Muse of History”, in Derek Walcott, What the Twilight Says. Essays, p. 47.
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I shall scatter your lives like l ike a handful of sand, I who have no weapon but poetry and the lances of palms and the sea’s shining shield! (“Schooner Flight”, p. 358)
Questi elementi sono stati ripresi successivamente e sviluppati anche in Omeros, l’opera che realizza compiutamente un’epica caraibica e nella quale
Walcott si fa personaggio, intrecciando esplicitamente la sua presenza e la sua voce con le vicende dei protagonisti dell’isola di St. Lucia, modellati su figure reali dotate di una tragica grandezza, pur nella loro semplicità. Anche il testo di Omeros si dipana in forma di viaggio — questa volta con numerosi eroi le cui
vicende s’intersecano in generazioni diverse e in vari momenti della Storia — attraversando liberamente le dimensioni del tempo e dello spazio come piani simultanei o correnti di un flusso ininterrotto che ben si lega a quel concetto di tempo circolare che appartiene alle tradizioni africana e amerindia, il substrato della cultura composita delle popolazioni antillane. In “The Schooner Flight” l’influenza di questi miti e archetipi profondi entra nella dicotomia tra vita interiore della poesia e vita reale di parola e azione che si tenta di ricomporre nella figura bifronte di Shabine/Walcott, pers person onag aggi gioo ambi ambigu guoo che che riun riunis isce ce in sé elem elemen enti ti inte intern rnii ed este estern rnii alla alla narrazione, continue sovrapposizioni dell’autore reale e di quello implicito, costruendo senza che il lettore se ne avveda un sistema di rimandi e un gioco di specchi che in più punti creano una confusione strategica sulla reale identità della voce narrante, lasciandoci il fascino del dubbio, costringendoci a rileggere e interpretare senza poter decidere in un senso o nell’altro. È quanto suggerisce l’ambiguità di questi versi, amare affermazioni dal sapore autobiografico che potr potreb ebbe bero ro esse essere re attr attrib ibui uite te tant tantoo all’ all’au auto tore re quan quanto to al suo suo pers person onag aggi gio, o, entrambi protagonisti di un rapporto d’amore intenso e conflittuale con la patria e la storia caraibica, eredi di una tradizione di sofferenze ma proiettati verso la speranza e la rinascita:
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…After the white man, the niggers didn’t want me when the power swing to their side. The first chain my hands and apologize, “History”; the next said I wasn’t black enough for their pride. (“Schooner Flight”, p. 350)
…Progress is history’s dirty joke. Ask that sad green island getting nearer. Green islands, like mangoes pickled in brine. In such fierce salt let my wound be healed, me, in my freshness as a seafarer. (“Schooner Flight”, p. 356)
È a questo punto, dopo aver fatto tutto il possibile per decifrare il complesso codice di comunicazione dissimulato dai vari livelli semantici e linguistici del poema, che ci accorgiamo leggendone proprio gli ultimi versi (come accade per ogni messaggio in bottiglia che si rispetti) che questa voce incorporea, questa lettera al mondo che viene dal fondo del mare non ci darà nessun nessunaa indica indicazio zione ne precis precisaa e defini definitiv tivaa sulle sulle coordi coordinat natee del suo autore autore,, soprattutto nel momento in cui questi ha deciso che il mare e le stelle saranno le sue uniche consolazioni nel destino che lo attende, la speranza di proseguire il viaggio e la poesia che ne verrà: My first friend was the sea. Now, is my last. I stop talking now. I work, then I read, … I try to forget what happiness was, and when that don’t work, I study the stars. … Shabine sang to you from the depths of the sea. (“Schooner Flight”, p. 361)
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Bibliografia
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