Sapienza, Università Università di Roma Dipartimento Medicina Sperimentale Tesi del Master in Posturologia Anno accademico 2007-2008
LA RIFLESSOLOGIA AUTOGENA un dolore autogeno contro un dolore reale BASI FILOSOFICHE FILOSOFICHE E CENNI DI APPLICAZIONE APPLICAZIONE KINESIOLOGICA KINESIOLOGICA DI UNA TECNICA SOMATOPSICHICA (M. Ferraro) ASPETTI E PRESUPPOSTI PSICOSOMATICI E BIOENERGETICI (M.Pretto)
Relatore prof. MARCELLO MARASCO Candidati: PRETTO MASSIMO e FERRARO MATTEO
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RIFLESSOLOGIA AUTOGENA UN DOLORE AUTOGENO CONTRO UN DOLORE REALE BASI FILOSOFICHE E CENNI DI APPLICAZIONE KINESIOLOGICA KINESIOLOGICA DI UNA TECNICA SOMATOPSICHICA
"A partire da Galileo, non c'è una cosmologia, una visione del mondo capace di sostenere le scoperte scientifiche. Giustamente la scienza moderna rifiuta di avere una cosmologia. Ma quando non si ha altro, si proiettano le descrizioni scientifiche in una visione della realtà che è l'estrapolazione scientifica del mondo scientifico." (R. Panikkar) CARATTERISTICHE DELLA SPERIMENTAZIONE Non appena nel logos la psiche è unita al corpo ne scaturisce un terzo aspetto che ci impone una visione diversa da quella bipolare. È la relazione senza la quale non nasce poi il movimento e l’azione. Non esiste persona che non sia relazione. Il movimento non può che nascere dalla complessità di queste tre dimensioni: relazione (l’altro, l’immaginazione, il fine, l’energia, la motivazione, la realtà), percezione (il soma, la forma, l’informazione, il sé, la corporeità), induzione (la psiche, l’ordine, l’etica, l’estetica). La riflessologia autogena è quindi una delle diverse tecniche utili a rieducare una delle diverse funzione che non utilizzate si vanno perdendo. Parlando della nostra tecnica ci perdonerà Shultz se prendo in prestito un suo termine, ma autogeno rende più chiaramente quello che intendiamo intendiamo e cioè una riflessologia riflessologia che si genera da se. Mi perdonino anche i riflessologi se parlo di riflessologia evidenzio tecniche diverse dal consueto, ma spero che con la lettura si capisca l’irrinunciabilità di tali termini. L’aspetto della riflessologia autogena preso in considerazione in questo breve lavoro è il più semplice: solo una delle funzioni dei riflessi, cioè quella di relazionare la parte destra con la sinistra del corpo che pur diverse da loro devono mantenersi esternamente esternamente uguali come in uno specchio. Si è partiti da questo punto perché più facile da esaminare, comprendere, analizzare e perché ci è sembrato un buon ingresso per interessarsi al metodo nel suo complesso. complesso. Se una percentuale di persone riesce tramite il dolore indotto mentalmente ad eliminare il dolore reale è perchè questi meccanismi possono essere riportati alla luce. Con la capacità di percepire, ascoltare e sapersi muovere nasce un dialogo con il proprio corpo che diventa dialogo con l’altro. Non si può indurre senza prima ascoltare, e non ha senso ascoltare senza mai agire, o agire senza capire anche quello che è attorno. Ecco perché con il metodo scientifico dell’evidenza dimostriamo un assioma brevissimo avvalendoci del minimo input culturale. Nel nostro caso cioè, semplicemente aver accennato la possibilità di eliminare un dolore immaginandone un altro nel lato opposto del corpo. 2
La ricerca scientifica può evolversi in più sensi tanti quanti neanche la mente può immaginare. E’ necessario concentrarsi sulla particolare questione senza tralasciare tutto il resto e scegliere i modi, i tempi e i temi che nel dato momento in quanto non solo osservatori prediligiamo e focalizzatili confrontarli con le esigenze e le opportunità della realtà non solo nostra. Introdurremo questo studio dal nostro personale punto di vista di chi adotta questa tecnica tra le altre nell’ambito di una kinesiologia che tenga conto in misura sempre maggiore degli aspetti psicosomatici e delle tecniche somatopsichiche. Tra le tante tecniche utilizzate l’efficacia di una singola tecnica non è facilmente isolabile e quindi comprovabile perciò ci avvarremo di un introduttivo e breve studio del caso (la riflessologia autogena nel contesto e con i mezzi che conosciamo e abbiamo a nostra disposizione e l’individuazione delle sue diverse applicazioni). Premettiamo delle note sulla terminologia poiché le parole hanno sempre più significati ed anche qualora ci fossero delle persone concordi sulla definizione di alcuni termini ci saranno sempre altri gruppi che li intenderanno diversamente. L’accettazione del linguaggio dell’altro è importantissima perché apre la mente alla comprensione di ambiti scientifici diversi che utilizzano identici termini per cose a volte simili ed altre addirittura opposte. Infatti la comunicazione è il più caotico dei sistemi. I nuovi concetti di comunicazione introdotti dalla psicologia più recente (l’ipnosi, la programmazione neurolinguistica ed altro) tendono a sfruttare e manipolare la parola dando più importanza al significante rispetto al significato contestuale e riscoprono l’importanza di questa nella modulazione delle sensazioni e delle emozioni. Va precisato che tale modulazione non avviene sempre allo stesso modo per le sensazioni e le emozioni poiché non è in maniera consecutiva che le sensazioni si trasformano in emozioni. Chiariamo quindi che in questa tesi saranno utilizzati termini in modo interculturale in quanto non possiamo trattare argomenti non nostri con il nostro sistema esclusivamente scientifico. Ad esempio l’oriente spicca oggi come sistema non scientifico più di ogni altro. Anche le religioni possono essere viste come sistemi non scientifici se per scientifico intendiamo un sistema che includa solo quello che la scienza come un grande specchio della realtà può “riflettere”. Ma la realtà non è e non sarà mai quello specchio. Come per la ricerca internet diffonde maggiore informazione includente anche disinformazione, il computer si è inserito prepotentemente nella previsione degli eventi avvicinando e considerando sempre più il concetto di informazione-disinformazione nel sistema delle probabilità a panneggio di maggiori variabili e calcolando con sistemi matematici quanto un tot di informazioni approssimate possa interferire con la previsione. Nel nostro caso ad esempio abbiamo ritenuto indispensabile cercare dei parametri che a nostro parere fossero significativi e correlabili e perciò non ci siamo avvalsi solo del classico gruppo di confronto ma abbiamo preferito anche ricavare più dati proponendo la tecnica al maggior numero possibile di soggetti anche se in maniera diversificata. Centriamo l’argomento di questo studio ossia la somatopsichica, concepita come la parte più pratica della psicosomatica, nella quale la tecnica va inquadrata. La mente e il corpo sono uniti in maniera indivisibile nell’essere e presupponiamo ogni tipo di divisione solo formale ed utilitaria. In tal senso è ulteriormente separabile la psiche dalla mente (D.Winnicott), intesa come la parte più alta della nostra capacità di pensare, calcolare, scegliere, in definitiva essere e non già solo mente ma anche anima con capacità di tipo etico, politico, filosofico in definitiva spirituali. La mente ha i suoi processi che divengono nella fisiologia sempre più schematici man mano che sono isolati in materia e da insondabili si riportano in nervi, ossa, organi, insomma in evidenze. A scopo sperimentale seguiamo questa divisione e sul percorso neurologico dalle sensazioni arriviamo alla percezione che avviene nella parte più alta della corteccia dove diveniamo coscienti e agiamo in senso opposto. Con le tecniche somatopsichiche agiamo in primis più su questi processi e solo di conseguenza sugli altri che vanno dalle emozioni alla personalità all’essere sociale ed infine eterno. 3
Gli orientali intendono tali concetti diversamente e il nostro sforzo per andargli incontro è riconoscere nel nostro modello preminentemente matematico uno dei miti che ci allontanano e districarlo fin dove è possibile. D’altra parte accettare un sistema non confacente alle nostre radici sarebbe erroneo.
UNA SEMPLICE TECNICA IN UN QUADRO COMPLESSO Questa premessa introduce ad alcune questioni riguardanti l’applicabilità e la sperimentabilità della tecnica in questione. Procurarsi autogenamente o meno un dolore sembrerebbe di per se una cosa innaturale se prima non si smonta il termine dolore e lo si ricompone diversamente in significati intellettualmente più critici. Quello che infatti andiamo ad indurre o provocare autogenamente in che senso può essere definito dolore? E’ una domanda che ci sembra particolarmente aperta e valida in un quadro di educazione alla percezione fatta nell’ambito dell’educazione alla corporeità in cui l’educatore fisico diviene un terapeuta particolare che nessun altro professionista della salute può essere. In tale ambito sanitario l’educazione che si occupa di movimento umano diviene non solo prevenzione ma anche mezzo per conoscersi, rivelare malfunzionamenti e prendersi cura di sè. Questo a patto che abbia la risoluzione di considerare l’analisi dei processi somatopsichici (percettivo-immaginativo-induttivi) e il loro utilizzo come opportunità per il cambiamento. E’ questo oggi uno degli indirizzi dell’esperto di attività motorie che si occupa in ginnastica adattata e preventiva: avvalersi delle scoperte fatte in ambito psicologico, somatopsichico, neurologico, posturologico, eccetera e fornirsi di strumenti utilizzabili. Anche altre discipline devono compiere lo stesso passo: per non lasciare tutto al libero spontaneo fiorire, i germogli vanno curati, e i campi dotati di nuovi recinti, fatti di siepi più che di cemento, dove curare metodi e tecniche. Anche nell’ambito della posturologia possiamo delineare una situazione simile: il soggetto deve essere reso partecipe del cambiamento. Per questo proponiamo un’educazione alla percezione come rinforzo del cambiamento. Tale percezione può intendersi su vari livelli sull’asse sensitivo-cognitivo ma in ogni caso riguarderanno sempre il motorio. Il movimento è alla base della percezione e muoversi in maniera diversa favorisce infatti un certo tipo diverso di percezione. Questo è il gradino somatopsichico, spesso processo mancante non considerato, anello di congiunzione della kinesiologia con le altre materie nell’ambito della medicina. La nostra tecnica, e il tipo di movimento che ne deriva, ha questo grosso margine confinante con la psicosomatica. Dalla kinesiologia 1, infatti, scaturisce l’attività motoria intesa come tecnica studiata da una scienza e proposta all’uomo di oggi, inteso come uomo che ha bisogno di recuperare una maniera più giusta di muoversi. Questa scienza, che rende l’uomo, soggetto o oggetto di ricerca, e paziente protagonista del proprio cambiamento, se è legato alla psicosomatica lo è ancor più immediatamente alla somatopsichica dall’insieme di quelle metodologie e tecniche che contribuiscono ad affinare il modo di muoversi partendo appunto dalla capacità di analizzare, verificare, modulare tramite una unica grande capacità di percezione-immaginazione-induzione (con un accento particolare all’immaginazione tanto bistrattata da anni di educazione fisica militare e sportiva con l’auspicio a coinvolgerla di più). Non per dare un limite scientifico alla immaginazione, illustriamo che comprende qualità come la figurazione, la progettazione, la proiezione, e per essa procede quel senso che qualcuno ha chiamato sesto ed qui con altri chiamo intuito 2. A questo processo immaginativo segue, nella pratica 1
Quando parliamo di kinesiologia intendiamo lo studio del movimento umano la mia idea è proprio quella di un movimento più intuitivo. Chi opera nel settore kinesiologico educativo sa come i soggetti patiscono di una specie di stoltezza di movimento…Il compito dell’educatore più che imporre degli esercizi e 2
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l’induzione (intesa come capacità autogena di procurarsi una sensazione dalla quale far scaturire un tipo di movimento particolare). L’esigenza di inquadrare questi termini nasce dal comune denominatore che le ultime novità in ambito di scienze delle attività motorie portano con sé. Le varie tecniche orientali e le metodologie legate alla psiche, senza tralasciare i metodi basati sul concetto di catene muscolari e fascia, hanno nell’immaginazione e nel carattere somatopsichico o meglio olistico un terreno sul quale progredire unite. Si pensi anche agli studi che dimostrano anche come l’interazione tra ipnosi e kinesiologia possano dare risultati inaspettati 3. In questo lavoro analizzeremo un unico momento di una tecnica semplice iscritta in un metodo che va comunque inquadrato nel contesto più ampio che abbiamo tentato di illustrare. Punto cruciale quindi è se possiamo suggerire al corpo una sensazione di dolore in un punto opposto simmetricamente ad un dolore reale, se tale sensazione modificherà il corpo nella sua struttura, posizione, mobilità e motilità e se in alcuni casi questi cambiamenti determineranno la fine del dolore o una sua attenuazione. Per conclusione della premessa che forse bisogna sottolineare è come lo studio del concetto di dolore e del dolore come fatto, siano strettamente legati e non appartengano ad una scienza o materia ben definita ma, per quanto è grande l’argomento, debbano essere affrontati nella maniera più completa. Quindi, a motivo di questa grande variabilità dei punti di vista, è stato importante isolare e definire il più possibile l’aspetto specifico oggetto di questo studio e il suo paradosso ovvero la tecnica del mutamento del dolore da una dimensione fittizia paradossalmente più sentita, ad una reale più accettabile ed immersa nella capacità di movimento dalla quale emerge come dato da esaminare nell’ambito kinesiologico. Le inevitabili relazioni con l’ambito psicosomatico fanno parte dello sfondo nel quale lavoriamo, non quello su cui vogliamo focalizzare la nostra attenzione e questo anche per non invadere il campo della psicologia. Ci interessiamo sì di una funzione ma soprattutto di un sistema che non sarebbe possibile definire nocicettivo se non ce ne fosse un altro erogeno (induttivo). Tale funzione dell’organismo, è integrata in altri sistemi ed ha una sua grande utilità; qui supponiamo che lo scopo del dolore ha un suo aspetto particolare nella funzione percettiva, in quella cognitiva ed in quella induttiva e di conseguenza motoria e posturale e nell’organizzazione degli engrammi. Tutta la teoria del training autogeno trova un suo risvolto nelle attività motorie dove l’imagery è una tecnica che progetta il gesto competitivo comprendendone i sentimenti, le emozioni e le sensazioni. La percezione delle sensazioni ci riporta a contatto con la perduta corporeità. La discriminazione della molteciplità delle sensazioni impedisce alla mente di focalizzarsi sul dolore, il quale comunque viene vissuto a più livelli e per la sua parte inevitabile deve tuttavia essere accettato. L’accettazione del dolore (che non equivale a volerselo tenere passivamente senza far niente per capirlo e possibilmente allontanarlo) è accettazione dell’esperienza negativa che per vivere pienamente siamo tenuti ad affrontare. Rendere il dolore tollerabile, riuscire a modulare i traumi, che il nostro corpo ma anche la nostra anima hanno subito, è un pareggio che vale una vittoria. Un compenso che il corpo costruisce in risposta al dolore, non sempre può essere eliminato ma sempre può essere reso meno rigido. Per questo, per l’importanza che abbiamo attribuito alla discriminazione del dolore, sono state utilizzate misurazioni qualitative come il McGill Pain Questionnaire che si propone di quantificare il dolore attraverso il rapporto verbale. Riteniamo tale obbiettivo non sempre raggiungibile e non inquello di dare degli imput che consentano al soggetto la costruzione dell’esercizio adatto. 3 Potremmo ad esempio rimandare alla seguente ricerca effettuata presso il Centro di Psicologia dello Sport della S.U.I.S.M. (Scuola Universitaria Interfacoltà in Scienze Motorie ) di Torino – “Valutazione dell'efficacia di un comando\segnale post-ipnotico mediante monitoraggio eeg”
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tendiamo farne un’interpretazione di tipo propriamente valutativo. La cosa interessante di tale scala è proprio la difficoltà di introspezione che necessita che sempre fa in modo che la persona venga messa di fronte alla sua capacità di comunicare il dolore e quindi di portarlo alla coscienza. E’ difficile costringere qualcuno a farne un uso attento e per questo ci offre più che la misura del dolore, l’approccio che si ha con esso. Se pensiamo a quanto i nuovi studi sull’ernia discale e altre patologie abbiano rivalutato l’importanza del movimento in fase acuta, dobbiamo anche afferrare un importante concetto: ascoltare i propri dolori può e deve condurre ad un tipo di movimento giusto per il soggetto che per questo diviene protagonista del proprio miglioramento. Per tale motivo questa educazione al movimento adattato è terapia in maniera del tutto caratteristica e completamente diversa ad esempio da come la intende il fisioterapista, al quale è riservata la competenza di agire, la maggior parte delle volte dall’esterno, sul punto del dolore, a volte insopportabile, ed in maniera sempre legata alla patologia. Quella del kinesiologo è terapia di ordine preventivo, distinta in quanto fatta di percezione, gestione e modulazione, poiché l’esercizio fisico non deve fermarsi di fronte alla patologia ma deve essere adatto ad essa. Muoversi con un mal di schiena insomma, presuppone una maggior consapevolezza ed un maggior limite che può essere però procrastinato sia nelle varie possibilità di ritmo, ampiezza, tempo, velocità sia nelle varie possibilità alternative di movimento tutto in funzione del soggetto e del suo particolare dolore. La stretta connessione tra mobilità e motilità, il miglior funzionamento dell’organismo, fanno sperare che in taluni casi possano verificarsi fenomeni di autoguarigione. CENNI DI ANALISI E APPLICAZIONE DELLA TECNICA Se generiamo mentalmente un dolore in una parte del corpo inizieremo ad avvertire dei movimenti conseguenti apparentemente sconnessi e perciò definibili riflessi che man mano divengono più o meno volontari nel senso che noi stessi, come suggerisce la tecnica, li assecondiamo per riuscire a fare l’esperienza della fine del dolore promessa, ma appunto rispondono a riflessi, di prevalenza posturali, causati dall’aggiustamento che il corpo compie in funzione del dolore indotto e che provocano appunto movimento inizialmente di tipo analitico e segmentario che non riusciremmo a compiere con la sola volontà motrice. Esistono in ogni caso altri punti di vista di analisi della tecnica che pur essendo fuori dal nostro am bito specifico non possiamo fare a meno di considerare. Quando si parla di dolore infatti è difficile farne una questione di disciplinarietà sapendo che meccanismi sottili varcano facilmente i fittizi sigilli che la scienza e non i sistemi dell’organismo hanno creato. Invero nell’indurre autogenamente un dolore andiamo a tirare in ballo, ma solo per portarli alla luce, gli stessi meccanismi alla base del disturbo somatoforme, nel quale non esistono cause organiche fisiopotologiche chiare ed accertate. Parlando fisiologicamente la nostra tecnica ha i presupposti del suo funzionamento soprattutto nel sistema nervoso dove giunge a considerarsi nella teoria del gate-control di Melzack e Wall secondo la quale esistono fibre nervose la funzione delle quelli è di modulazione dello stimolo nelle lamine della sostanza gelatinosa del corno posteriore del midollo sulle afferenze al fascio spino-talamico, deputato a convogliare lo stimolo a livello superiore. Anche le vie discendenti talamo spinali giocano un ruolo importante su tale modulazione. I processi che mettono in azione o impediscono i fenomeni di somatizzazione , partendo o arrivando dalle interazioni tra aree cerebrali, passano per queste stesse vie e quindi inquadriamo la nostra tecnica anche in una chiara idea della gestione e del controllo della somatizzazione. Può essere fatta un’ipotesi ulteriore di coinvolgimento talamico e neuro-umorale secondo la teoria del Ground System di A.Pischinger che ipotizza un ulteriore sistema periferico che coinvolge anche il tessuto connettivo e i capillari sanguinei. Congrua l’osservazione che indirizzando la nostra attenzione su un emisoma siamo in grado di percepirlo maggiormente e aumentarne il grado di ri6
lassatezza. A conferma di tale ipotesi si potrebbe analizzare la frequenza di dolori dallo stesso lato del corpo. In ogni caso, lo studio asimmetrico del dolore, considerata la morfologia del sistema nervoso, potrebbe portare nella sperimentazione clinica, o meglio nel nostro caso di educatori empirica, buoni risultati. Infatti essendo limitati i punti di incontro delle due parti destra e sinistra, nel mare delle interazioni che avvengono nei processi nervosi, è sicuramente una buona traccia da seguire per intuirne il funzionamento e fare ulteriore chiarezza come si è tentato in questo lavoro. Le vie discendenti del dolore, insomma, sono intese non solo come sistema nervoso, e modulano il dolore stesso non in un unico modo . Ma ora la nostra indagine scientifica, riflettendo come già l’oriente sia giunto ad importanti scoperte sul dolore prima e senza la nostra scienza, e avendo riconosciuto l’importanza di tali scoperte legate a metodi diversi dai nostri, deve osare nel ritenere l’intuizione, la sensibilità corporea, l’emozione, quindi l’introspezione come metodo, compatibile con i suoi criteri numerici e positivistici. Nel modello orientale di conoscenza è inclusa una dimensione spirituale che manca all’occidente. Il filo di unione tra l’uomo interpretato dalla scienza e l’altro letto dalla teologia nel nostro sistema è dato dalla filosofia che spesso però ha ovviato a questo compito cadendo negli errori oggi a noi noti. Dalle correnti della più interculturale antropologia filosofica provengono i concetti di un sano olismo dal quale far partire una concezione unitaria dell’uomo e dell’umanità. L’unità è alla base di tutto, piccolo o grande che sia, e rivendica la priorità etica. Il concetto di olismo, che appartiene in ogni modo alla nostra scienza, è destinato a lasciare spazio al suo sinonimo più spirituale di unità, nominato eccezionalmente perché alla base. L’olismo nasce a motivo della grande frammentazione del sapere. Per questo è importante che la medicina non sia un dominio di pochi e che come sistema si impegni ad integrare questo orientamento olistico e a potare tutte quelle divisioni più che altro formali per creare in loro vece un sistema di ruoli ritagliati epistemologicamente. Certo sarebbe un male non prendere in considerazione tutto quello che riguarda le caratteristiche di basso costo, non invasività e approccio terapeutico 4 che vanno a vantaggio di tale orientamento dando l’idea di una maggiore genuinità offerta. In un simile imbarazzo va posta ad esempio ogni tipo di educazione all’autoipnosi ed in tale quadro definita la sua positività nei diversi ambiti. La ginnastica, come la posturologia ma anche tutta la medicina, sono ormai arrivate ad un punto di svolta dove urge riallacciarsi con la psicologia che, in quanto branca filosofica, unisce l’uomo oggetto di studio scientifico all’uomo soggetto spirituale del proprio cambiamento. Così la forma, cioè l’esercizio, il trattamento o il farmaco, assume un senso più personalizzato. In altre parole l’esercizio può rimanere invariato formalmente ed assumere diversità nella modalità di esecuzione, nei processi di somministrazione, nelle modalità di finalizzazione, tutte sottese dai processi psicosomatici che andiamo a considerare. Tale ipotesi di lavoro non è solo estremamente legata a quello che andiamo ad analizzare, ovvero se è possibile e giusto avvalersi di un dolore immaginario per allontanare, se pur temporaneamente, ma a volte definitivamente, un dolore reale ma anche ne rende vero il paradosso ossia che con un dolore reale ne andiamo a rimuovere uno immaginario. Ipotesi innovativa perché di fatto che non esistono, secondo le nostre ricerche, metodi che si avvolgono del dolore autogeno. Con l’introduzione delle tecniche somatopsichiche nelle attività motorie ci si muove verso una maggiore presa di coscienza della percezione corporea ed una maggiore influenza sui processi psicosomatici. Il rischio che ciò comporta è la similitudine di tale dell’atteggiamento con quello del soggetto rivolto perennemente alla sua percezione corporea in talune forme di ipocondria nelle quali tale coscienza diviene disturbo. Si capisce ora come in questa tesi tutto un apparato viene tirato in ballo e la valutazione dell’intervento sui tre criteri di genuinità sopraccitati può essere giusta solo nel lunghissimo termine e nell’ambito di un’analisi completa. Tuttavia è una strada non solo percorribile ma auspicabile e per tanto continuiamo la nostra indagine poco scontata. 4
Ispirato all’articolo “Posturologia: dalla dinamica non lineare alla transdisciplinarietà” (Fabio Scoppa, Otoneurologia 2000/numero 15/settembre-dicembre 2003)
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Come si arriva a capire che il dolore prodotto in un lato del corpo possa eliminarne uno reale nell’altro lato? La metodica può anche partire dallo studio delle asimmetrie del proprio corpo in quegli atteggiamenti che definiamo cerimoniali, e cioè quella serie di azioni che abbiamo memorizzato e che compiamo in maniera più o meno automatica con gesti, posizioni e atteggiamenti quanto più automatici tanto più ripetuti e semplici. Intrecciare le mani, le braccia, le gambe, masticare da un solo lato, preferire una gamba d’appoggio. Individuatele non bisogna sforzarsi di acquisire un atteggiamento diametralmente opposto ma, in ambito di seduta kinesiologica, percepire le sensazioni che assumere un atteggiamento inusuale diametralmente opposto comporta. Non è solo una questione di percezione posturale (ossia della diversa postura o forma assunta nello spazio) né solo di esterocezione, ma di energia. Se parliamo per esempio di mani intrecciate, essa è percepibile nel contatto tra la pelle delle mani, sul quale andremo a focalizzare l’attenzione. Quindi, con tanto buon senso e pazienza, incrociando le mani nella maniera inusuale, andremo alla ricerca dei muscoli contratti inutilmente e renderemo il contatto un contatto leggero, il più leggero possibile. In questa maniera andremo a creare come dei canali di energia (che per capirci possiamo definire psicosomatica) che andranno ad incidere sui patterns posturali così che con degli aggiustamenti e una respirazione profonda possiamo arrivare a compiere micromovimenti articolari al limite, esplorando rapporti articolari inediti. Ciò lo si capisce anche dalle sensazioni che si provano che possono anche essere di piacevole “dolore”. Apriamo ora un piccola necessaria parentesi sul fatto che il dolore può risultare a volte naturalmente piacevole come ad esempio succede durante un lavoro gratificante o nell’esperienza sessuale. La emotivizzazione del dolore è infatti legata anche alla possibilità di gestirne la durata e quindi la sopportazione e altresì al fine che tramite il dolore ci si prospetta: soffrirò volentieri se so che questo dolore alla fine provocherà uno stato di benessere. Esperienza di questo genere è il dolore causato nei muscoli dalla fatica di un buon esercizio come quello che tramite le nostre tecniche, qualsiasi esse siano, vogliamo ottenere. Per capire meglio il lavoro sulle asimmetrie, che certamente influiscono su alcuni tipi di dolore conseguenza dei disequilibri e delle usure da esse provocati 5, e come il corpo possa cambiare posturalmente sfruttando i piccoli input acuti che con la tecnica possiamo indurre, proviamo delle torsioni del busto con le braccia incrociate prima nella maniera usuale poi in quella inusuale facendo attenzione a ciò che si prova (i movimenti lenti facilitano questa forma di attenzione). Ci accorgeremo presto della differenza della difficoltà di esecuzione. Un’altro modo ancor più interessante per esercitare la qualità propedeutica di saper discriminare le sensazioni corporee è dividere mentalmente il corpo in due parti destra e sinistra e concentrarsi solo su di una per esempio dopo un esercizio asimmetrico. Ad ogni modo non è necessaria una propedeuticità, poiché queste capacità di percepire, distinguere e agire mentalmente sono comunque nelle potenzialità dell’individuo altresì non abbia compiuto alcun tipo di esercitazione specifica come dimostrato anche in questo stesso lavoro. Per farci un idea di come la tecnica di indurre piccoli stimoli per riportare alcune simmetrie e modificare il movimento possa funzionare anche nella forma più fine, cioè quella autogena, possiamo immaginare un dolore alla pianta del piede mentre camminiamo ed osservare come cambia la nostra andatura. Continuiamo fino a quando avvertiamo delle differenze a livello dell’articolazione temporo-mandibolare. L’osso della mandibola è simmetrico e gestisce una certa funzione d’equilibratore destro-sinistro. Dei denti poi, conosciamo sia la loro particolare sensibilità, sia la loro familiarità con il dolore. Oltre alla pianta dei piedi un altro punto dove facilmente può essere prodotto una tensione o un dolore è l’articolazione temporo-mandibolare.
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si veda a proposito “ UN’ASIMMETRIA MORFOSTATICA PUO PROVOCARE O INDUIRE DEI DOLORI DEL SISTEMA LOCOMOTORE ?”
Dr. Dominici, Dr. Chambon, Dr. Meunier-Guttin-Cluzel, Dr. Mouysset, Dr. Bricot.
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Tutto ciò dimostra che non è insensato ma naturale servirsi di un particolare dolore indotto per riuscire a compiere movimenti altrimenti impensabili poiché questa è una strategia di compenso, o se preferiamo aumento della capacità di compenso, che il corpo utilizza di per se. Per quanto riguarda l’utilizzo della funzione dei riflessi non ci prolungheremo poiché crediamo esistano già parecchi metodi sperimentati che si avvalgono di tale funzione per produrre movimenti anche volontari ma condizionati. E’ fondamentale per la valutazione del metodo considerare cosa succede nella percezione alterata dell’individuo odierno non adeguatamente educato al giusto movimento corporeo. Tutto si appiattisce e non si è più in grado di interagire con le proprie sensazioni. La scala qualitativa di valutazione del dolore non è stata di facile somministrazione per questo motivo anche se il suo carattere educativo facilmente intuibile ci spinge a continuare con questo tipo di sperimentazione che fa in modo che la persona venga a porsi le stesse domande del terapeuta tipo queste che ora noi ci poniamo: la persona riesce a legare il dolore con quello che gli sta accadendo? La varietà di forme di dolore che possiamo percepire servono ad autovalutare cosa c’è di rotto nell’organismo? Riusciamo per esem pio a distinguere un dolore muscolare da uno osseo? Percepiamo solo quello che c’è o anche quello che non c’è? Il fantasma per esempio come immagine è un fenomeno ben noto. L’uomo lo utilizza spesso per vari motivi. Con il fantasma erotogeno ci si procura piacere. Tutti l’hanno provato almeno qualche volta. Dobbiamo però distinguere tra fantasie utili per cambiare e capire la realtà e fantasmi che hanno un senso negativo e spesso fanno soccombere l’individuo che finisce per perdere il senso della realtà. Quello che avviene per l’immagine avviene anche la percezione. La realtà nocicettiva può essere così alterata. Basti pensare a quanto è facile che accada un cambiamento di umore e come un cambiamento di umore comporta in termini di percezione. La realtà nocicettiva può così non corrispondere alle esigenze della persona. Ma il fenomeno del dolore fantasma è noto anche oltre la dimensione caratteriale, nell’ arto fantasma” dove appunto per cause fisiologiche più o meno evidenti, pur mancando l’arto vi è ugualmente la sensazione di dolore nell’arto. Nella riflessologia autogena il processo di autogenerazione del dolore viene portato alla luce: vedere il processo che genera il fantasma a volte significa prendere coscienza che determinati dolori non hanno significato e possono essere vinti. Questa per così dire, è la parte propriamente educatica della tecnica. Infatti per riprodurre a specchio il dolore bisogna prima sentirlo, ascoltarlo, ma anche vederlo, nella sua totalità come se fosse materiale…Localizzarlo: organo, osso, muscolo, pelle, nervi. Decifrarlo, come un dato dell’organismo ossia chiedersi a quale funzione risponde (tira, taglia, comprime, ecc). In ultimi, bensì, della massima importanza, viverlo. Questo avviene grazie all’ azione, che ci porta oltre il sentimento della morte, che senza dubbio racchiude il dolore più grande, diverso dagli altri e legato al gelo ed all’immobilità. 6 In questa dimensione il dolore è il filo conduttore del lavoro di tutti. A questo punto emerge chiara la questione principale: la riflessologia autogena è un meccanismo naturalmente adottato o un invenzione scientifico-culturale giusta o sbagliata che sia? E l’altra domanda: la riflessologia autogena come l’abbiamo intesa in queste pagine è applicabile? Per esempio aggiungerei questa considerazione: è naturale che un male insopportabile, come una scossa, ci faccia digrignare i denti. E proprio in questa parte del corpo si trovano dei potenti riflessi che danno un ritmo ulteriore all’emisoma. Il fatto che masticare abbia un ritmo, che la mandibola abbia quella specifica forma e posizione appunto fanno in modo che questi riflessi siano importanti sul piano della simmetria. Se mastichiamo da un solo lato finiamo per occludere più da un lato o compromettere l’articolazione e perfino, come dimostrano studi che relazionano la depressione con i disturbi dell’articolazione temporo-mandibolare 7, alterare i ritmi che sottendono alla vita e al movimento incluso quello muscolo-scheletrico. Nei movimenti più o meno coordinati dei due emisomi 6
Vedi Reumatismo, 2007; 59(2):173-183 Dante, l’Inferno e il McGill Pain
Questionnaire 7 Atti Del XVII Congresso Nazionale Di Omeopatia, Omotossicologia E Medicina Biologica
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(tipo camminare, gattonare, correre) la mancanza di ritmo contrazione-rilassamento nei muscoli della masticazione compromette la sensibilità e la ricettività del sistema dei riflessi dentali che in questa zona ha sì il compito di proteggere i denti, ma anche, come possiamo ragionevolmente supporre, quello posturale, ossia di mettere il corpo in grado di non nuocere ai denti interagendo con il meccanismo ascendente che entra il funzione quando, ad esempio camminando con un dolore al ginocchio, si possono verificare cambiamenti che giungono fino all’occlusione. Per questo motivo, tornando alla tecnica, se col la mente cerchiamo di riprodurne un dolore uguale dal lato opposto, inevitabilmente innescheremo dei meccanismi che riprogrammeranno le nostre tensioni muscolari fino a modificarle e se siamo bravi nel continuare il nostro esercizio ne sentiremo gli effetti anche sull’occlusione. Del resto è un buon esercizio prendere coscienza delle proprie tensioni mascellari e saperle gestire anche in maniera asimmetrica. Il punto più alto di questo meccanismo di simmetria sta nel chakra tra i due occhi, quello così detto del terzo8. Non parleremo di quel che non conosciamo bene, ma abbiamo comunque il dovere di citare la medicina cinese e lo Yoga, e di dialogare con chi, ormai diventato nostro vicino, fa parte di quelle culture che sono parte di questo cambiamento e ci interessa per le forti correlazioni col tutto il nostro discorso che partono e arrivano con esso al concetto di unità. Tale concetto è quello che poi in definitiva si contrappone, e che noi contrapponiamo, al dolore, tramite lo strumento tecnica, e proponiamo, al posto della frammentarietà, nella medicina occidentale. Il terzo occhio apre la strada ai sistemi più alti che riguardano le scelte spirituali della persona. Qui incontriamo i veri limiti del nostro lavoro per motivi di formazioni e competenze frammentarie, ma anche il terreno fertile da seminare. Lo yoga e la medicina orientale pur mantenendo lo loro dimensione mitologica inaccettabile scientificamente, pur mantenendo quindi, una diversa identità, ci danno, a motivo di ciò, un punto di vista diverso sul quale riflettere. Bisogna cercare di capire in nome del legame che ogni sapere stabilisce col Sapere che rimane patrimonio dell’umanità. L’oriente non è il centro, né bisogna accettare il gioco della contrapposizione con l’occidente allo stesso modo che avviene all’interno della Scienza tra le scienze. E mi torna in mente un bel simbolo: una barca comune 9 che accoglie tutti i professionisti, ma anche i pazienti, che navigano sull’unico mare del dolore universale, allo stesso modo, tutti partecipi della salute di ognuno, vista come ben-essere e valore. Siamo responsabili dell’altro. Questo il senso della ricerca. Se la tecnica viene applicata in un conteso diverso, quello che possiamo constatare è semplicemente il breve termine a volte illusorio. Avere in mente questo è la qualità del terapeuta. Questa scelta consiste anche nell’avvicinare il proprio metodo arricchendolo della cultura degli altri. La conoscenza dell’osteopatia non è una buona cosa solo per gli osteopati, ma si può da kinesiologi cambiare il proprio modo di far ginnastica considerando meglio ad esempio la fascia e le sue correlazioni nervose. In fondo il dolore è un’infiammazione in senso lato del nervo. La funzione di toccarsi è nella funzionalità e nella forma del corpo stesso come anche la funzione di automassaggiargi spontaneamente (a volte per riflesso?). Siamo in grado di rivolgerci a noi stessi: siamo fatti anche per ascoltarci e se è il caso manipolarci. A conferma proponiamo l’esperienza di posare una mano sulla spalla opposta e ci concentrarsi sul contatto. Avvertiamo così una corrente che si genera. Non distinguiamo più bene quello che sente la mano da quello che avverte la spalla. Rimanendo su questo contatto sentiremo l’energia che si diffonde fino ad arrivare in determinate strettoie dove scaturirà in sensazioni diverse. Questa scarica essendo generata da noi stessi è già una maniera di manipolarci. Continuando questa esperienza si può cercare di visualizzare il tessuto connettivo che avvolge e sostiene il corpo. Questo è un caso nel quale la conoscenza influirà sull’esercizio in maniera positiva poiché ne facciamo scaturire molti esercizi di un tipo di movimento diverso e spontaneo. Alla fine possiamo fare in modo che tutto il corpo partecipi alla distensione della fascia. I metodi che utiliz Milano, 1 giugno – Roma, 8 giugno 2002. Correlazioni documentate fra atm, occlusione e
depressione. 8 Adriano Montorsi Oltre il palato Il metodo Solet-Besombes 9
Bassorilievo donato come ricordo dalla Classe al Coordinatore del Master prof. F.Scoppa.
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zano questo tipo di movimento sono ormai diffusi. Lavorare in questa maniera favorisce l’omeostasi anche tra gli emisomi. Credo che un buon modo per l’attività motoria di legarsi all’osteopatia sia aumentare la capacità di compenso quando lo stesso non può essere eliminato. Infatti l’attività motoria può agire più o meno bene sia sulla salute della fascia che su quella del sistema craniosacrale. L’applicazione della nostra tecnica è legata sicuramente al grado di educazione alla percezione, alla capacità immaginativa e al sapere di conseguenza agire sul proprio corpo. La conoscenza scientifica e razionale per un momento lascia il campo a quello che sentiamo nel nostro corpo per poi ritrovarsi nel sapere agire. Se infatti è facile indurre una sensazione di caldo, pesantezza o freschezza, indurre dolore riesce più difficile. Per questo è buono, in caso di dolore riutilizzare la stessa matrice sul lato opposto, sicuramente sfruttando anche le qualità di trasmissione della fascia. Le catene muscolari vengono condizionate a ristabilire una simmetria. Questo meccanismo a nostro parere è più attivo in situazioni di movimento percettibile nell’interezza dell’essere, ossia quel tipo di movimento non condizionato dalla competizione o da obiettivi altri e che quindi possiamo gestire con tutte le nostre capacità emozionali. Un movimento più lento ad esempio può favorire la percezione completa e unitaria. Altri autori partendo da ambiti e punti di vista differenti hanno trovato vari modi e tecniche con il minimo comune denominatore di rivolgere la finalità a riportare il corpo verso la mente e viceversa. Per questo possiamo definire le tecniche che ne scaturiscono somatopsichiche. Una tecnica utile al nostro scopo ad esempio è quella, abbiamo detto, di dividere e percepire singolarmente i due emisomi. Se dopo un esercizio che agisce nel senso della distensione della fascia andremo a perce pire e discriminare e confrontare i due emisomi rimarremo stupiti dalle differenze di sensazioni. Ma anche (rimarremo stupiti) da come queste sensazioni benefiche aumentino percependole e con esse il nostro rilassamento. Ora la questione è se questa tecnica non è forse una piccola elaborazione cognitiva di quello che abitualmente e senza che nessuno ce lo insegni, siamo abituati a compiere per esempio dopo uno sforzo asimmetrico. In realtà la riflessologia autogena ci aiuta a capire come recuperare le nostre simmetrie perché il dolore ci da un punto di riferimento e traccia una mappa lungo le catene muscolari. Se si presuppone che la concordanza tra i punti metamerici e somatotopipci possa sfruttare il sistema del “Ground System” e che i riflessi servano per la regolazione internoesterno bisogna quindi analizzare la relazione tra riflessi, fascia e ritmo craniosacrale. Portare una sensazione sulla pelle vuol dire portarla alla coscienza: perché quindi l’organismo dovrebbe portare alla coscienza questi punti utili all’omeostasi se non anche per indurre cambiamenti autogenamente? Se vogliamo eliminare un dolore, sfruttando tale mappa per ricrearne un altro nel lato opposto del corpo, dobbiamo coinvolgere, per riuscirci meglio, il nostro corpo e la nostra respirazione. La respirazione aumenta il livello di coscienza. Ma in che maniera dobbiamo condizionarla? Potremmo anche qui rifarci a varie metodiche ma quel che vogliamo sottolineare è come possiamo sfruttare il movimento della respirazione o meglio la conoscenza di esso, per poter entrare in contatto con zone del nostro corpo più interne e dimenticate. Ma continuiamo appunto l’analisi di questo punto di vista introspettivo. Se imparo ad ascoltare il mio corpo, la mia respirazione, i rumori e movimenti dei processi corporei che prescindono la mia volontà, imparo il silenzio. Questo avviene solo quando riesco ad osservarmi cercando di non im porre la volontà alla corporeità. È l’esperienza del vuoto, della calma, dell’essere se preferiamo. In questa assenza di obbiettivi e di desideri si intensifica l’ascolto e l’azione si tiene fuori per non interferire sulla conoscenza dei processi. In tale stato l’idea di perfezione nell’essere porta la coscienza alla ricerca della propria simmetria. Così si partecipa al meccanismo di omeostasi che diminuendo i contrasti dà l’aumento totale dell’energia come intuitivamente possiamo immaginare. Tale energia favorisce di ritorno l’ingresso di informazione alla coscienza che matura l’azione. L’accresciuta capacità percettiva del dolore consente all’uomo di conoscere il suo stato, la sua condizione e produrre dei cambiamenti in sè come avviene nella riflessologia autogena. Emerge a questo punto quanto tutto sia più complesso e di come si possa parlare quindi di più livelli di applicazione della tecnica secondo il grado di consapevolezza acquisita e il proprio stato iniziale delle cose. La nostra indagine conferma che ci sono stati soggetti ai quali è stato semplicemente det11
to di trasferire il dolore dall’altro lato per farlo passare perché questo passasse realmente. Che poi si stia parlando di placebo o meno è ovvio che l’ importanza di tale quesito riguarda più che altro il funzionamento della tecnica e cioè se le modificazioni corporee sono effettive e profonde oppure solo di ordine umorale. Sicuramente qualcosa è successo e questo qualcosa collegato con le nostre capacità di consapevolezza ha comunque la sua importanza. E i refrattari? Quelli ai quali la tecnica non è servita? I dati ci portano a sospettare che la sua pratica introdotta nell’attività motoria svolta porterà ognuno a ricevere alla lunga i propri benefici.
ASPETTI E PRESUPPOSTI PSICOSOMATICI E BIOENERGETICI
" IL NOSTRO IO E' IL NOSTRO CORPO" (S. FREUD)
DOLORE MUSCOLARE, SENSAZIONI ED EMOZIONI.
Pensiamo che per parlare di dolore muscolare, sia esso cronico o momentaneo, si debba parlare e quindi si debbano chiarire anche i termini di sensazione e emozione; per noi strettamente correlate con il primo termine, il dolore in generale e il dolore muscolare , di cui andremo a trattare qui. Anche se apparentemente, non c'è un'immediata correlazione tra i tre termini qui esposti, i tre termini , secondo noi sono sempre correlati e sequenziali. Dobbiamo anche dire che per noi i termini di sensazioni e d emozioni, adoperati nella 'vita e nel linguaggio di tutti i giorni' come sinonimi, in termine scientifico, non lo sono. Anche se sono interdipendenti. Hanno significati qualitativamente differenti. Possiamo affermare, senza sbagliare di molto che anche un dolore muscolare , di qualsiasi intensità è pur sempre visto e interpretato da noi , dall'io-corpo, come un trauma che ci colpisce e ha i suoi effetti più o meno negativi a seconda del nostro vissuto corporeo, cioè del nostro vissuto. Questo perchè viene correlato, agganciato, al nostro passato, attraverso la memoria corporea. Il dolore muscolare, sia cronico che momentaneo e/acuto, proveniente apparentemente da un trauma vicino nel tempo, è anche, grazie alla memoria corporea, produce un cambiamento di stato della nostra postura, che come sappiamo, è l'indice immediato del nostro essere al mondo, riflettendo il 'come siamo', compresi i nostri traumi interiori. Analizzare un dolore muscolare è anche analizzare la nostra postura, cioè noi stessi, con le nostre emozioni. Una memoria può nasconderne un'altra. Cominciamo qui , dalle difficoltà che si possono incontrare nel concepire un dolore, dargli attraverso la parola , un senso, per far venire a galla da una sensazione una emozione correlata al dolore, in questo caso, dolore muscolare “ Se il concetto di memorizzazione del dolore è metaforico, lo è anche la parola “memoria”. In tal caso la parola va usata nella sua globalità, e non nel suo significato fonetico, di cui conviene appena far notare, come una strizzatina d'occhio a qualcuno, che essa comincia con “meme”, da cui “m'aime” (meme: la stessa cosa, m'aime : mi ama .n.d.t). Vorrei quindi sviluppare in questa sede quello che abitualmente noi clinici e i nostri pazienti spontaneamente comprendiamo nella parola “memoria”. Come ho scritto in un lavoro precedente (Dousse, 2003), dove ho parlato del corpo reale, così come viene inteso dai pazienti e dai medici, mi sembra importante che tutti noi abbiamo in mente che quello che includiamo nel concetto di “memoria” non è quello che intendono i pazienti “. (Emozione e memoria: il corpo e la sofferenza – Eliane Ferragut- Koiné ed.).
Quindi qui è messo subito in evidenza , che per quanto riguarda il concetto di memoria, cioè di 1
cosa si ricorda e come si ricorda, c'è una discrepanza, ci può essere una differenza, non di poco conto, tra il significato dato dal paziente, dall'utente e dal medico, dallo specialista. Ciò è per noi importante quando somministriamo dei test e quindi come questi test e le risposte ai medesimi, vengono elaborati e interpretati. Quindi è molto importante anche nel contesto delle batterie di test somministrati per questa ricerca. Detto questo, dovremmo domandarci che cosa è un'emozione. Ma che cosa è un'emozione in sostanza ? “ Secondo Sartre (1939), l'emozione è un modo di esistere della coscienza, è un incidente di coscienza . Di fatto l'emozione è un modo di percepire un evento. Lo stato di coscienza fluttua in funzione della natura e dell'intensità dell'evento stimolante. L'emozione è necessariamente una dimensione psichica; è una misura soggettiva dell'impatto psicologico dell'evento percepito. In tal senso l'emozione è parte integrante della reazione di stress che di solito viene descritta come una oscillazione di intensità variabile generata da uno stimolo (bisogno, vitale oppure no, ma percepito come tale), o da soddisfacimento. Ma l'emozione non è che la qualificazione cosciente dello stress. Anche ridotta a questa dimensione psicologica cosciente, l'emozione, come ogni evento psichico, ha la capacità di attivare una reazione di stress. (...). La percezione è, a priori, cosciente come il dolore o l'angoscia, ma si sa che essa è soltanto conscia. Infatti è dimostrato che una partecipazione inconscia è possibile prendendo vie differenti, tra cui il sistema nervoso attraverso il sistema simpatico, il reticolato, ma anche attraverso alcuni mediatori infiammatori come le citochine. Questi livelli non coscienti spiegano la reazione di stress durante un atto chirurgico nonostante lo stato di incoscienza indotta dall'anestesia. In compenso l'emozione suppone uno stato cosciente e questa dimensione psichica può essere esclusiva (reazione di paura ) oppure amplificatrice se vi è associato un trauma fisico. Questo relè tra evento e reazione di stress integra la dimensione individuale . Oltre ai profili di personalità (tipo A, tipo B, Big Five, etc), la nozione di competenza emotiva (alcuni parlano di intelligenza emotiva ), il vissuto e l'esperienza del paziente (nozione di resilienza) condizionano l'ampiezza della risposta alla percezione dell'evento. Si capisce allora , il potenziale ruolo di amplificatore di questa tappa; uno stesso evento può condurre a una reazione di stress di intensità variabile a seconda degli individui “ . (Emozione e trauma : il corpo e la parola. Eliane Ferragut. Koinè ed.).
E questo significa anche, per quanto riguarda le nostre ricerche sul dolore e la sua individuazione personale, soggettiva, quanto sia importante l'emozione in tutto ciò e quanto sia difficile per il soggetto 'sentire' il dolore, percepirlo, e addirittura riconoscerlo 'oggettivamente'. Nella nostra disamina del concetto del dolore e della memoria ad esso correlato, dobbiamo introdurre ora anche il concetto di memoria corporea, che è correlata sia alla memoria in generale, che alla sensazione dei dolore e sia alle emozioni e affettività in generale. IL corpo e la memoria corporea. Per introdurre il concetto di memoria corporea, dobbiamo fare un lungo viaggio nella storia della correlazione psiche -corpo e quindi dentro il viaggio teorico e clinico intrapreso in questo senso, dagli studi di origine psicoanalitica. Per fare questo dobbiamo ritornare sulla particolare storia del ' corpo in psicoterapia' E per farlo , dobbiamo andare al 1920, e quindi a Wilhem Reich, piscanalista tedesco , padre delle concezioni bioenergetiche e della psicologia di massa. Facciamo parlare Luciano Rispoli in merito ( Luciano Rispoli, Esperienza di base e esperienza del Se, ed. Franco Angeli ): “ Erano gli anni '20 quando Wilhem Reich proponeva le prime ipotesi sull'esistenza di interconnessioni tra lo psichico e i somatico talmente profonde e com-
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plesse da considerare necessario, indispensabile, che in psicoterapia si intervenisse anche sul versante corporeo” Anche Freud aveva per la verità formulato l'importanza la necessità di correlare i processi psichici con quelli corporei, ma delimitava alla teoria delle pulsioni e al processo evolutivo del bambino. W. Reich andava oltre e come dice L.Rispoli “ Però il corpo non poteva essere considerato importante solo in relazione alla storia infantile dell'individuo (...) . Il esiste nei silenzi, nel tono di voce, nei movimenti, nelle posizioni che il terapeuta assume rispetto al paziente nel setting . Con il corpo si parla e si agisce anche se in modo implicito o inconsapevole. E nella terapia ci sono ben presenti sia il corpo del paziente che quello del terapeuta. Ecco perchè l'importanza del corpo è stata in fondo sempre riconosciuta nella storia della psicologia clinica, anche se spesso in modo non dichiarato. L'interesse per il corporeo è sempre stato vivo, e ha spinto numerosi studiosi ad affacciarsi su questo affascinante spazio (...). Reich rimane comunque colui che teorizzò l'approccio diretto, profondo e sistematico al corporeo in terapia. Il suo concetto di identità tra psiche e soma apre alla grande scoperta che anche nel nostro corpo è scritta tutta la storia delle nostre emozioni e dello sviluppo della nostra vita sin da quando nasciamo “ . Da quando W.Reich ha cominciato ad occuparsi dell'identità corpo-mente, psiche e soma, molti altri ricercatori e scienziati si sono occupati del corpo e del suo significato. Possiamo citare tra i tanti : i gruppi di lavoro su questo aspetto degli anni 60 e 70 in California sotto la spinta di Schutz o anche Lowen, Liss, Raknes, Estrada, Levine, per citarne alcuni e chi si è occupato del corpo costruendo metodi come L'Antiginnastica di Gerda Alexander o introducendo in occidente le tecniche yoga o altre discipline orientali o chi ha sviluppato tecniche di danza-movimento, etc. “ In un primo tempo si è approfondita l'influenza del psichico sul somatico (lo psicosomatico); successivamente si è passati ad approfondire l'inverso, il 'somatopsichico' (...). Ci si è accorti che , poi, assumere posture determinate induceva stati d'animo corrispondenti, anche se in quel momento tali emozioni erano assenti nella vita dei soggetti. Un viso triste crea uno stato d'animo di tristezza; spalle accasciate danno una sensazione strisciante di avvilimento. Spesso , massaggi molto intensi condotti da fisioterapisti smuovevano , con loro stupore , emozioni irrefrenabili nei pazienti ( pianti, tristezza, gioia ). Ora tra i tanti apporti che lo studio del corpo ha dato alla psicoterapia , uno dei più importanti è stata la scoperta di una vera e propria memoria corporea, o meglio di una complessa e articolata memoria periferica , che ha una sua vita, spesso indipendente da quella della memoria centrale. La memoria periferica è costituita da tracce di eventi del passato, soprattutto di eventi che hanno ostacolato uno sviluppo pieno del sé del bambino, interferendo con al soddisfazione dei suoi bisogni fondamentali, e con la protezione necessaria per arrivare in modo pieno e armonico alla vita adulta. (...) . Le tracce sono costituite essenzialmente da alterazioni permanenti di alcune Funzioni psicorporee, cioè da l fatto che i valori di queste Funzioni permangono nel tempo sempre orientati in una medesima direzione , limitati ad una medesima polarità: una tensione muscolare di base prevalentemente ipertonica o ipotonica, posture prevalentemente 'chiuse', un respiro quasi sempre toracico. A tutt'oggi abbiamo individuato le seguenti Funzioni come componenti della memori periferica: 1.Tono muscolare di base; 2. Soglie percettive (tattili e dolore ; 3. Posture ; 4. Respirazione ; 5 . Movimenti abituali ; 6. Percezioni cenestetiche e propriocezioni.” ( L .Rispoli, op.cit).
Da queste Funzioni elencate, che sono alla base della Psicologia Funzionale, ne estraiamo, per il nostro lavoro e per il nostro canovaccio teorico, alcune, che tratteremo in maniera più analitica. Le voci che estrapoliamo da quelle sopra elencate e che sono, ripetiamo, mutuate dalla Psicologia Funzionale sono in sostanza il Tono muscolare, le Soglie percettive e le Percezioni cenestetiche e propriocezioni. Ma andiamo per gradi. Tono muscolare di base. Nella definizione data dalla Psicologia Funzionale di Tono muscolare si afferma che “ Si può eseguire un medesimo movimento con un tono di base differente. Maggio1
re o minore a seconda del reale sforzo da compiere. Posso alzare fino ad davanzale di una finestra un bicchiere di carta o un pacco di libri: l'accorciamento del muscolo è lo stesso, ma il tono di base è molto diverso. Questo tono di base può perdere, in varie zone del corpo, la proprio modularità, la capacità cioè di cambiare in base alle necessità; può rimanere cronicamente troppo alto o troppo basso, inadatto alle varie situazioni. Un tono di base alterato produce stati d'animo ed emozioni inconsapevoli; senso di rabbia soffuso per tensioni alle braccia, senso di sconfitta per la flaccidità delle spalle, paura che si diffonde da un torace indurito. Una gola serrata crea una voce sofferente e triste, oppure una voce debole e fragile. “
Passiamo alla nozione di Soglie percettive che si ricollega a quella sopra espressa di Tono muscolare di base in quanto rientrano nel quadro delle Soglie percettive c oncetti come emozione, , dolore, e propriocezioni che sono alla base delle nostra ricerca . Affermiamo , sempre con i concetti espressi dalla Psicologia Funzionale (L. Rispoli. op.cit) che “ Ci sono persone che sono diventate ipersensibili al tocco e provano dolori a volta insopportabili alla minima pressione su gran parte della superficie del loro corpo. La sensazione diffusa che ne deriva non può che essere di fragilità, di vulnerabilità. Al contrario, altri soggetti hanno modificato le soglie del dolore rendendole molto alte ed arrivando a una notevole insensibilità anche a un tocco forte. Ciò produce un'impressione interiore di poter resistere alle , ma al contempo induce una difficoltà notevole a percepire sensazioni di qualsiasi tipo sulla pelle, anche quelle piacevoli di carezze tenere “.
Quanto detto , riportandolo al nostro lavoro sul dolore e sulla percezione del dolore nelle sue sfaccettature, ci fa capire che il lavoro intrapreso ha una sua difficoltà intrinseca derivata dalla storia personale, che determinano, come abbiamo scritto, le soglie del dolore otre che il tono muscolare di base e quindi anche la postura di cui andremo a parlare tra poco sempre in questo ambito. Le Posture. “Le posture possono perdere la loro duttilità e flessibilità originaria e diventare nel tempo ripetitive. L'abitudine a determinare posture inconsapevoli, il ricadere sempre nei medesimi atteggiamenti del corpo, produce un effetto molto intenso sia sull'interlocutore sia sul soggetto stesso. Ci sono persone che 'sostengono sulle spalle' pesi eccessivi, altri che mantengono sempre la testa abbassata in una evidente remissività , altri che tengono le braccia tropo vicine al corpo con una eccessiva difficoltà ad occupare lo spazio intorno a sé. Le posture abitudinarie rappresentano una grave limitazione nella duttilità delle relazioni e una fonte inconsapevole di malessere.” . E questo malessere si traduce come sappiamo dagli studi di
Bioenergetica , da W.Reich a Lowen, in costruzione di una corazza caratteriale che è principalmente una corazza muscolare con un tono muscolare alterato, rigido, irrigidito, in cui le contrazioni dei muscoli, ripetute nel tempo si trasformano in contratture stabili nel tempo con tutte le conseguenze del caso. In questo caso anche le percezioni cenestetiche le propriocezioni subiscono un alterazione considerevoli e “ trasmetterci una serie di messaggi che non hanno più a che fare con la realtà esterna attuale. Sensazioni di sbandamento nel camminare ci comunicano fragilità e incapacità di controllo; una leggerezza eccessiva non ci permette di avvertire il peso della nostra presenza nel mondo; e viceversa sensazioni di peso eccessivo ci fanno sentire difficoltà nello slancio e nella vitalità. Delle viscere che si muovono troppo ci danno disgusto della vita; un flusso di vuoto che dal bacino scende alle gambe provoca paura e fragilità; la gola chiusa ci rende difficile far arrivare all'esterno la voce; una corrente nelle gambe può far crescere rabbia e nervosismo “ Per finire momentaneamente questo paragrafo, ma per aprirne un altro passiamo a delle momentanee conclusioni che sono “ Il permanere di tutti questi tipi di alterazioni rappresentano un vero e proprio ricordo di eventi trascorsi . Ma non è un ricordo inteso in senso tradizionale, legato a scene precise del passato, bensì è un ricordo che agisce nel presente, che condiziona il funzionamento complessivo della persona, e quasi sempre a sua insaputa. Una rabbia incapsulata nel tono muscolare ci darà un sottile e costante sottofondo rancoroso; una sensazione di dolore troppo intensa ci mette in allarme continuo; un respiro troppo sottile ci impedisce di vere sensazioni vitali adeguate; una postura con le spalle piegate in avanti ci comunicherà tristezza e solitudine”. (L.Rispoli, op.cit)
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Il significato delle emozioni. Nelle righe precedenti stavamo parlando della rabbia, che è incapsu-
lata nel tono muscolare che ci da un sottofondo rancoroso . La rabbia è un sentimento, un'emozione. Ma quale è il significato delle emozioni ? Cerchiamo, seppur brevemente, di cogliere il significato. “ IL termine emozione deriva dal latino ex-movere e sta ad indicare un movimento verso l'esterno, un intento. I primi apprendimenti nel corso dello sviluppo ontogenetico si fondono sulla capacità percettiva e consentono una memoria “emozionale figurativa ( Vygotskij, 1932). il sistema limbico è importante nella sopravvivenza evolutiva e nella affermazione degli ominidi. La stimolazione del sistema limbico genera comportamenti con chiari connotati emotivi quali paura, difesa e attacco. (Hess, 1954) (....). Il sistema limbico è importante per al modulazione delle emozioni, per la messa in atto di risposte viscerali e motorie inerenti alla difesa e la riproduzione (sopravvivenza dell'individuo e della specie ) e per la regolazione dei processi mnesici. La corteccia è direttamente connessa alle strutture sottostanti in particolare all'amigdala, secondo modalità di influenza reciproca. In tutti i mammiferi nel momento evolutivo attuale, l'influenza dell'amigdala sulla corteccia è superiore a quella della corteccia sull'amigdala stessa. Anche nell'uomo l'eccitazione emotiva riesce a dominare e a controllare il pensiero per cui i pensieri attivano facilmente le emozioni ma non riescono a placarle altrettanto facilmente ( LeDoux, 1996). “ Complessità del movimento- Maria Vittoria Meraviglia- ed . Franco Angeli , 2004).
Per tornare all'inizio del nostro argomento, cioè al dolore e al concetto di dolore, dobbiamo dire di nuovo che il dolore produce una emozione , o forse è meglio dire che il dolore è una emozione. La difficoltà in cui ci possiamo trovare ad immaginare con il pensiero una emozione (il dolore) può essere derivata anche dal fatto che il pensiero ha difficoltà a placare le emozioni e anche a riconoscerle. Comunque nonostante ciò, noi dobbiamo provare ad “immaginare” questo dolore. Possiamo immaginare veramente il dolore e farlo scaturire alla coscienza attraverso il pensiero ? Pensiamo di si. Ora però cercheremo di sviluppare come avviene la formazione dell'immagine , anche del dolore , dentro di noi, cioè come si forma una ”imagery” in noi. Prima di addentrarci nel cuore dell'elemento teorico che farà da supporto alla nostra tesi sperimentale, dobbiamo dire ancora lacune cose che riguardano le contratture muscolari definite anche come contratture croniche e il ruolo del meccanismo dell'inibizione in tale ambito. Questo perchè, dalle contratture muscolari si dipana il concetto del dolore e si sviluppa anche la parte centrale della nostra tesi e delle nostre ipotesi. Partiamo dal concetto di inibizione e poi ci addentreremo in quello di contratture muscolari , con riferimento a quelle croniche. Affermiamo con Vezio Ruggeri che “ A questo punto noi ipotizziamo, anche sulla base di osservazioni provenienti da altri ambiti della psicologia (specialmente da alcuni settori della psicologia clinica ed in particolare dalla scuola reichiana) l'insorgenza di altri meccanismi fisiologici di tipo inibitorio. Tali meccanismi inibitori hanno si un immediato significativo adattivo ma anche , nel lungo periodo, un significato altamente disadattivo per l'organismo. Mi riferisco alla contrattura muscolare che noi interpretiamo in rapporto alla contrazione isometrica cronica. La contrattura rappresenterebbe una ”risposta” riequilibrante (in senso omeostatico) che abbasserebbe il livello di arousalattivazione proprio di una tensione isometrica protrattesi nel tempo. Infatti abbiamo più volte sottolineato come l'attivazione comporti, secondo noi, un incremento di tensione miografica isometrica , che prepara la risposta cotrattile e ne facilita per via riflessa la comparsa : la contrattura muscolare costituisce dunque la risposta definitiva a tale attivazione e rappresenta un segnale di stop retroattiva per i centri nervosi da cui partono i comandi per la contrazione. Tale segnale di stop artificiale (contrattura che so sostituisce alla contrazione fasica ) ridurrebbe anche il livello di eccitazione centrale. La contrazione cronica in un determinato distretto muscolare, provocherebbe una relativa inibizione della programmazione centrale che si riferisce a quegli stessi muscoli. Questa
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ipotesi si basa sul fatto che le contrazioni muscolari in quanto realizzano un programma , rappresentano uno dei più importanti segnali di stop retroattivi . In altri termini se dai centri nervosi partono impulsi per la contrazione muscolare, una volta che la contrazione si è realizzata, non è più necessario l'invio di ulteriori impulsi contrattili. La periferia dunque segnala ai centri l'avvenuta contrazione attraverso le afferenze di ritorno dei muscoli. (...). Del resto abbiamo già abbastanza sottolineato le diverse funzioni del sistema muscolare nei processi di eccitazione-inibizione: bassi livelli di tensione miografica sono presenti nella veglia rilassata mentre livelli più elevati possono essere espressione di elevati livelli di eccitazione centrale. Inoltre elevati livelli di tensione miografica a riposo potrebbero esercitare alcuni effetti di inibizione retroattiva su componenti emozionalpercettive quali per esempio la sensibilità tattile al solletico (Ruggeri et al. 1983) “ ( Vezio Ruggeri, Mente, corpo, malattia. Il pensiero scientifico editore). La contrazione muscolare protrattasi nel tempo, come detto precedente , attiva meccanismi psicofisiologici che portano alla contrazione isometrica cronica e poi alla contrattura muscolari croniche. Ma come affermato, anche questi livelli di tensione miografica legate alla contrattura muscolare, fanno affiorare la Fissazione e la cronicizzazione delle emozioni, complicando il tutto, dicendoci che il dolore, per esempio, che è una emozione o che disvela una emozione, non può essere considerato soltanto dal punto di vista biomecanico e fisiologico. Non si può trattare il problema del dolore, e in in questo caso specifico , del dolore muscolare cronico o momentaneo, solo dal punto di vista biomeccanico e fisiologico perchè nel meccanismo , o per meglio dire, nel processo (visto che è una sedimentazione che avviene nel tempo e ha una sua storia) dell'insorgenza del dolore la componente emotiva ci appare principale. Questo perchè “La modificazione cronica del tono miografico riveste inoltre un notevole interesse clinico perchè induce una serie di modificazioni somatiche più generali. Infatti un'emozione cronicamente fissata crea interferenze nella statica e nell'organizzazione dell'equilibrio producendo caratteristiche deviazioni negli atteggiamenti posturali del corpo (sia nel corpo nel suo insieme che nei singoli distretti ) modificando per esempio i rapporti reciproci tesa-collo; collo-tronco, tronco-arti, etc ). Il muscolo contratto cronicamente può infatti esercitare una trazione (cronica) sulle strutture viciniori, assumendo un significato morfogenetico nel senso di produrre particolari quadri clinico-fenomenologici che toccherà allo psicologo clinico riconoscere e decodificare. E' interessante pensare che gli atteggiamenti corporei presentati dall'individuo maturo siano espressione non solo dello sviluppo somatico legato ai sistemi di crescita (genetico-ereditari, ormonali, etc) ma anche dalla specifica storia individuale del soggetto; dalle proprie tematiche imtrapsichiche narcisistiche che rappresentano la forma concreta assunta dai rapporti di eccitazioneinibizione (...) . Rilevare in un determinato soggetto la presenza costante di atteggiamenti propri di un comportamento fasico trasformato in un “segno” stabile in un volto, consente di ipotizzare il descritto fenomeno della fissazione cronica di un pattern emozionale (V. Ruggeri, op. cit).
A questo punto, chiarito il rapporto tra emozioni, patterns muscolari, contratture muscolari e sensazioni oltre a collegare a questi aspetti la sensazione-emozione del dolore muscolare, non ci resta che entrare nel merito dell'immaginazione di un dolore , cioè dell'imagery del dolore, che a noi serve per spiegare il punto centrale della nostra tesi : il dolore autogeno, autoprodotto. Imagery e conversione isterica. Che centra l'Imagey con la conversione, e la conversione isterica con quanto vogliamo puntualizzare riguardo il 'dolore autogeno ' ? Andiamo per gradi. “ I processi descritti dunque rientrano nell'ambito dei comportamenti normali. Ma questa materia è stata da noi esaminata al fine di poter cogliere il passaggio da processi cosiddetti normali a comportamenti cosiddetti patologici. Senza una precisa conoscenza dei processi fisiologici normali e dei meccanismi di inibizione è praticamente impossibile poter cogliere
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tale “passaggio”. Il punto chiave del discorso è (...) nel particolare atteggiarsi dei meccanismi di inibizione nel loro modo di modificare i processi fisiologici fondamentali (V.Ruggeri,op,cit). Per far questo, prendendo in prestito i suggerimenti teorici dell'autore citato, dobbiamo rivedere brevemente i concetti freudiani di conversione isterica ed equivalente d'angoscia che sono “ancora oggi centrali in psicosomatica “ (V. Ruggeri., op.cit).
La conversione isterica come affermava Freud nel 1933, viene collocata nell'insieme delle nevrosi da transfert con l'isterismo d'angoscia e la nevrosi coatta. La 'malattia' di queste persone interessate da queste psicopatologie è sempre secondo Freud un rifiuto imposto a loro dalla realtà esterna (rapporti, relazioni, etc) alla realtà dei bisogni e desideri di tipo sessuale. Che provocano la comparsa di sintomi, sotto forma di soddisfazioni fittizie, sostitutive e quindi atte a spostare la soddisfazione primaria, di quelle reali mancate. Conversione isterica.
Mal di schiena. Prosegue Freud : “ nel caso di un mal di schiena di carattere isterico, l'analisi ci mostra che questo dolore è diventato una sostituzione di soddisfacimento per una intera serie di fantasie o di ricordi libidinosi e ciò a mezzo di condensazioni e di spostamenti. Ma anche questo dolore era una volta reale ed era un sintomo tossico-sessuale diretta espressione somatica di un'eccitazione libidinosa (Freud, 1933. In V.Ruggeri, op.cit). Il mal di schiena del soggetto con 'carattere isterico' di cui parla Freud, mal di schiena che ovviamente produce dolore,
che è anche una emozione, è un sintomo di processi inconsci di spostamenti somantici e di fissazioni sulla funzione somatica, che sfocia per forza di causa maggiore nella via somatica. Cioè,
con le parole di Vezio Ruggeri affermiamo che " Pertanto la conversione isterica "esagera" una via di scarica, cioè la via somatica. (...). Infatti se consideriamo l'emozione (e/o il comportamento istintivo) come una configurazione di eventi che si svolge contemporanemente a più livelli, diventa centrale il discorso sia del blocco espressivo di un livello (inibizione parziale, per esempio delle componenti soggettive delle emozioni) che dell'enfatizzazioni dell'altro livello, cioè di quello somatico. "(V.Ruggeri , op.cit). Cioè, e questa è la cosa che più interessa a noi, per il nostro schema di lavoro, "In altri termini una eccitazione mentale che potrebbe essere una una immagine o una rappresentazione mentale (diretta o mnestica) è normalmente orientata verso innervazioni somatiche" (V. Ruggeri, op.cit). E qui, che entra prepotentemente in gioco, il concetto di Imagery o immaginazione e anche di "Lavoro immaginativo" come lo ha chiamato Vezio Ruggeri nel suo lavoro , in collaborazione con M.E. Fabrizio dal titolo " La problematica corporea nell'analisi e nel tratamemento dell'anoressia mentale". Ricordiamo che ci sono tutta una serie di ricerche che correlano l'immaginazione e
attivazione somatiche, corporee e vegetative a cominciare da quelle più eloquenti quali l'attività cardiaca, quella respiratoria, muscolare-miografica, quella che interessa la pelle con la sudorazione, etc. Diversi studiosi hanno correlato (studi del 1972 e 1969) hanno rilevato principalmente lo stretto legame, in questo contesto, esistente tra immaginazione ed emozione. Dagli studi effettuati da Johnson e Jones nel 1978, e' scaturito il fatto che la " possibilità di immaginare è parallela , ed in alcuni casi è causa (iniziale) di intense esperienze emozionali " ( V. Ruggeri, op.cit). Altri autori hanno affermato, nei loro studi sul campo che " le risposte fisiologiche che compaiono durante il processo di immaginazione, sono molto strettamente relate alla rappresentazione di "attività" piuttosto che alla valenza emozionale dell'immagine" (V.Ruggeri, op. cit).
Questi autori hanno determinato con le loro osservazioni, il fatto che con l'inizio di una attività , c'è un immediato aumento , per esempio, della frequenza cardiaca, respiratoria e del tono muscolare. Il "Lavoro Immaginativo" e la possibilità di modificazione delle tensioni muscolari attraverso questo lavoro. Come affermato nelle pagine precedenti, quando si ha un "dolore" per esempio
muscolare, in quasiasi parte del corpo, questo è il sintomo di un blocco emozionale, che si fissa su un muscolo, o su distretti muscolari. Questo blocco emozionale è anche un blocco muscolare, dato da tutta una serie di contrazioni ripetute nel tempo, che poi si cronicizzano, diventando contratture che possono essere coscientemente dolorose, permanenti. Anche se mi posso permettere, per motivi 1
psicologici inconsci, e' probile, che il soggetto non 'riconosca' questo dolore, perchè lo ha spostato, deviato, nascosto e che sia andato a circoscriversi nella sua corrazza caratteriale che è anche e soprattutto una corrazza muscolare. Il blocco emozionale che porta alla costruzione della corazza muscolare o somatica induce anche la costruzione di una Immagine del Corpo e dello Schema Corporeo distorto"incarcerato" in questa corazza caratteriale-muscolare. Infatti "secondo la concezione reichiana, poichè la contrazione dell'organismo non è sempre percepita, non si ottiene una rappresentazione e un contatto obiettivo del sé e del loro, ma una loro immagine distorta e proiettiva " ( Il corpo e la vergogna, E. Mattei, V. Craia. ed.scientifiche Magi).
Con Reich affermiamo a proposito della corazza caratteriale questo : “ Abbiamo scoperto che l'eccitazione sessuale e l'angoscia sono due correnti opposte l'una all'altra. Quale è il rapporto funzionale dell'odio verso questi due affetti primordiali ?Partiamo dalla clinica dell'armatura caratteriale . Questo concetto è stato creato per comprendere in modo dinamico-economico la funzione di fondo del carattere. Secondo la concezione sessuo-economica l'Io dell'individuo durante il conflitto fra pulsione ( essenzialmente bisogno libidinoso ) e paura della punizione , assume una determinata struttura. Per realizzare la limitazione della pulsione imposta dal mondo attuale e per padroneggiare l'ingorgo di energia che ne risulta, l'Io deve modificarsi; noi ci esprimiamo in termini finalistici ma intendiamo un processo che è interamente causale. L'Io, la parte esposta della persona, si indurisce, come diciamo noi, quando si viene a trovare continuamente nella stessa o in un'analoga situazione conflittuale fra bisogno e mondo esterno minaccioso; acquista dunque um modo reattivo cronico che funziona automaticamente, cioè acquista il suo “carattere”. E' come se la personalità affettiva si corazzasse, come se i colpi provenienti dal mondo esterno e le esigenze dei bisogni interiori si appiattissero e si indebolissero urtando contro la dura scorza dell'armatura (... ). Si tratta dell'identità funzionale fra armatura caratteriale e ipertonia muscolare o rigore muscolare. Ogni aumento del tono muscolare verso la rigidità è un segno che un'eccitazione vegetativa, l'angoscia o la sessualità è stata legata (W. Reich, Analisi del carattere, Sugarco edizioni).
Come possiamo fare in modo per modificare concretamente lo stato di tensione dei muscoli, che sono il substrato reale dei blocchi emotivo-percettivi di cui dicevamo più sopra ? " Anche se potrà sembrare strano, attraverso l'immaginazione. Se infatti invitiamo un soggetto a rappresentarsi mentalmente uno stato di tensione muscolare attraverso vissuti immaginativi di contrazione/rilassamento, tensione/detensione, pesantezza/leggerezza, di fatto si produce un'attività corticale che, attraverso le ben note vie discendenti neurologiche , può modulare, anche se in modo non macroscopicamente evidente, il tono muscolare (...). Il lavoro immaginativo può, secondo la nostra esperienza, modificare tali condizioni estreme. Il nostro intervento si fonda sulla concezione del rapporto tono muscolare di base, immagine e schema corporeo. L'immagine corporea, come abbiamo detto nel capitolo III, si costruisce in modo circolare, sulla base di informazioni afferenti di attività muscolari che essa stessa evoca attraverso le vie neurologiche efferrenti (...) . Pertanto il primo compito dello psicologo clinico è di ridurre le tensioni recuperando le attività di base. Per fare questo ricorriamo ad esercizi di autoinduzione immaginativa . Abbiamo infatti più volte sostenuto che la rappresentazione immaginativa crea una sorta di induzione periferica. In altri termini la periferia realizza, anche se in modo appena accennato , un programma che emerge dalle rappresentazioni immaginative (V.Ruggeri-M.A Fabrizio - La problematica corporea nell'analisi del trattamento dell'anoressia mentale, Ed. Univeritarie Romane ). Questa autoinduzione
immaginativa , che permetterebbe lo sviluppo della rappresentazione immaginativa, lo sviluppo e l'uso dell'immaginario per scopi terapeutici, ha come effetto che la serie di informazioni che si crea " si riverbera tra sistema nervoso e periferia corporea in cui anche elementi culturali e antropologici legati al rispecchiamento sociale entrano a far parte. Tale meccanismo è alla base della produzione del modo di essere del corpo, dell'immagine di Sè e del processo di costruzione dell'Identità " (V. Ruggeri, Sara Della Giovampaola; Il Collo e le sue rughe. Nuova biblioteca di Arti e Terapie. ).
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Vogliamo, rafforzare ancora le nostre convinzioni rispetto ai concetti di Autoinduzione immaginativa e rappresentazione immaginativa, che si lega a sua volta al meccanismo del Riflesso autogeno, sempre dal punto di vista teorico, portando come esempi pratico-teorici , i risultati sperimentali svolti negli anni da diversi autori , compreso Vezio Ruggeri, e ripresi dal medesimo autore, nel libro “ Il collo e le sue rughe” , da noi citato, che ha dato anche un supporto teorico alle definizioni che noi stiamo cercando di spiegare e di concretizzare verso la nostra ricerca pratica sul campo.Parlando del Torcicollo spastico, i vari autori che ne hanno trattato il problema hanno affermato che “ Nel loro dettagliato lavoro Smith e De Mario elencano le soluzioni adottate per il trattamento del torcicollo spastico: le terapie comporamentali (come il biofeedback, l’ipnosi o semplicemente il training per il riaggiustamento conscio della posizione del capo) paiono più innovative (...). Per quanto riguarda i risultati otenuti con il training di biofeedback mediante elettromiografia garantirebbe secondo alcuni autori migliori risultati rispetto agli approcci clinici (Spencer, Goetsch et al.. 1991). Ma che cosa significa biofeedback ? Sembra trattarsi di un meccanismo magico che coinvolgendo l’attività riflessa permette a un certo punto al soggetto di automodulare le proprie tensioni. Ma su quali processi interviene a livello centrale ? dal nostro punto di vista parlare intorno a un distretto corporeo, come guardarsi quel distretto allo specchio, percepirlo cinesteticamente o immaginarselo visivamente significa modulare le tensioni periferiche di quel distretto stesso. Si può verificare cioè una modificazione centrale che si riflette sul gioco muscolare . Così come la sollecitazione periferica dall’esterno con un contatto particolare con un’altra persona può sollecitare per via afferente modificazioni corticali. In entrambi i casi l’esito è il cambiamento. Ma allora che cosa succede alla persona di fronte ad una macchina che gli indica l’attività elettrica di un pezzo di un suo stesso corpo ? Intanto si siede, e si guarda, si siede e si tenta di comprendere qualcosa e piano piano avviene ciò che ci si aspetta. Affinchè questo tipo di intervento dia qualche risultato si parla infatti di un training di centinaia di biofeedback necessari per ridurre l’ipertrofia del muscolo strernocleidomastoideo (Leplow, 1990) e il dipartimento di psicologia dell’università di Kiel ha messo a punto anche un setting sperimentale in cui confrontare i risulati tra di loro di trattamenti del torcicollo spatico con biofeedback. Si trattava, infatti, di osservare eventuali differenze fra la condizione di biofeeback indipenentemente dal biofeedback stesso. . I risutati mostrarono che l’attività muscolare osservata elettromiograficamente decresceva maggiormente nella condizione in cui il biofeedback era affiancato da un training di istruzioni specifiche. Lo studio apre sostanzialmente la via a considerazioni circa la complessa interazione fra gli effetti specifici del biofeedback, gli effetti aspecifici del setting terapeutico e i processi cognitivi e attentivi attraverso cui il soggetto si focalizza su zone del corpo. Chi pratica il biofeedback pensa dunque che il soggetto impari a ridurre le tensioni nel distretto segnalato, questo è indiscutibile. Ma ciò che in sostanza avviene dal nostro punto di vista è che impara ai fini dela riduzione di pressione in quel distretto, a utilizzare altri supporti posturali di riduzione delle tensioni che ne riduce la concentrazione in quel unico distretto. Per questo il biofeedbck è sempre una sollecitazione riorganizzativa che reinquadra più globamente la postura ( V. Rugger- Sara Della Giovanpaola , op.cit).
Le istruzioni specifiche che erano insite nel training e che accompagnavano il biofeedback, sono istruzioni verbali, cioè sono un insieme di parole. Per finire quindi la nostra ricerca dobbiamo dire alcune cose sulla ‘ magia della parola, del linguaggio. ‘. Lo facciamo sviluppando brevemente facendo parlare dell'argomento, uno degli scienziati più importanti nell'ambito della neuropsicologia e della neurolinguistica, uno dei padri fondatori di questa disciplina. Stiamo parlando di A.R. Lurjia, russo, che assieme a Vygotsky , Leontiev, Anokin e altri, faceva parte della scuola Storicistica russa di psicologia, neurolinguistica , pedagogia, di cui L.S Vygotsky era il punto di riferimento più importante, nonché il responsabile scientifico. A proposito del linguaggio e della sua importanza per lo sviluppo della coscienza e della autocoscienza, Lurija, tenendo in estrema considerazione i lavori di L.S. Vygotsky ( per 2
esempio prendendo spunto dalle tesi avanzate in Pensiero e Linguaggio ) e anzi partendo da questi presupposti veniva ad affermare quanto segue “ Non c'è alcun dubbio che tutto questo processo (parlando della formazione della coscienza nel bambino, ndt) non è affatto il risultato di una semplice maturazione dei neuroni o di uno sviluppo spontaneo senza scosse (come a un tempo pensavano alcuni teorici dello sviluppo psichico come Buhler). Fin dalle prime fasi lo sviluppo psichico del bambino avviene non solo sotto l'influsso della relatà concreta (che è a sua volta il risultato della storia della società ) ma anche sotto la costante influenza del rapporto del bambino con gli adulti. E' proprio questo rapporto realizzato con la stretta partecipazione del parlare che forma nel bambino il linguaggio, il quale provoca una trasformazione radicale di tutta la struttura dei suoi processi psichici. Impadronendosi del linguaggio degli adulti e poi formando il proprio linguaggio, il bambino con il suo aiuto, incomincia a transcodificare le informazioni che giungono fino a lui, dando un nome agli oggetti e classificandoli in base a un sistema verbale che non per caso I.P Pavlov definiva il “secondo sistema di segnalazione della realtà”, egli incomincia ad analizzare e a sistematizzare in modo nuovo le impressioni ricevute dal mondo esterno e a rielaborare le informazioni le informazioni che gli giungono. Sorge la percezione mediata dal linguaggio; si forma una nuova struttura della memoria che acquista un carattere logico e volontario ; sorgono nuove forme di attenzione volontaria e nuove forme di percezione emotiva della realtà. Infine, come hanno mostrato le ricerche degli ultimi due decenni, proprio in base al linguaggio si formano i complessi processi di regolazione della propria azione e quindi, il linguaggio che era inizialmente un mezzo di relazione tra il bambino e l’adulto, diventa gradualmente una forma di organizzazione di vita psichica dell’uomo. Vi sono tutte le ragioni per credere che tale analisi potrà aprire nuove vie all’approccio scientifico di un problema così complesso come il problema della coscienza dell’IO , o autocoscienza (…). Questa tesi hanno permesso a Vigotsky di giungere alla conclusione che , nelle varie fasi di sviluppo , la coscienza dell’uomo non ha soltanto una diversa struttura semantica, ma si realizza anche con diversi sistemi di processi psichici; mentre nelle prime fasi della sua formazione l’immediata impressione emozionale ha un ruolo essenziale nella struttura della coscienza, nelle fasi successive questo posto decisivo è occupato anzitutto dalla complessa percezione concreta e dall’azione, e nella fasi finali di un sistema di codici astratti fondati sulla funzione di astrazione e generalizzazione del linguaggio. (…) Perciò Vigotsky aveva pienamente ragione di far notare con insistenza che la parola, come elemento del linguaggio, non è tanto un correlato del pensiero, quanto un correlato della coscienza, essendo l’unità fondamentale della coscienza dell’uomo “. (A. R. Luria, Neuropsicologia e Neurolinguistica. Editori Riuniti). Per concludere questa breve , ma importante inclusione del concetto della parola e
del linguaggio per la formazione dell’autocoscienza umana, e anche per arrivare ad una sintesi del nostro lavoro, che è partito dal tentativo di far ‘venire fuori’ , alla coscienza, la sensazione del dolore fisico reale attraverso l’elicitazione di un dolore autogeno, siamo arrivati al nodo della Parola nella formazione di questa immagine del dolore autogeno e della importanza della parola nella presa di coscienza del dolore e delle parti del nostro corpo. Importanza di cui non si finisce mai di ribadirla con forza ma che deve essere la via maestra per tutte le attività motorie-sportive perché “ tutta l’attività cosciente nel suo divenire è implicata nello sviluppo della parola. Di fatto gli esperimenti attuali dimostrano continuamente che la parola ha una funzione di primo piano nella coscienza considerata nel suo insieme e nelle sue funzioni singolarmente prese. La parola è nell’ambito dell’attività cosciente, quello che per dirla con una espressione di Feuerbach , è assolutamente impossibile per uno solo ed possibile per due. Essa è l’espressione più pura della storicità essenziale della coscienza umana. La coscienza si riflette nella parola come il sole in una piccola goccia d’acqua. La parola sta alla coscienza come un piccolo mondo a uno grande, come una cellula organica al suo organismo, come l’atomo al cosmo. Essa è il microcosmo della coscienza umana ( Lev. S. Vygotsky, Pensiero e linguaggio. Giunti ed.).
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Con la parola, il terapeuta di biofeedbck esorta il paziente a ‘immaginare’ le sue parti del corpo, come affermato da V. Ruggeri; con la parola il Kinesiologo e anche chi si occupa di ginnastica percettiva o anche l’insegnante di ed. fisica, per non palare dello psicoterapeuta e dello psicanalista, di analisi bioenegetica, provoca un feddback con il soggetto che gli sta davanti, lo esorta a sentirsi, a percepirsi , a crearsi un’immagine interiore, che provoca la fuoriuscita, al livello di coscienza, delle emozioni, delle sensazioni incoscie, compreso la sensazione del dolore per cominciare a riconoscerlo e a gestirlo e forse anche a ‘guarire’ attraverso il suo uso.
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RISULTATI DELLA SPERIMENTAZIONE SULLA TECNICA PROPOSTA
La tecnica è stata proposta a circa 100 persone alle quali è stata poi consegnata e spiegata una scheda per con il McGILL PAIN QUESTIONNAIRE (76 definizioni del dolore divise in 20 gruppi più un gruppo aggiunto formato da altri 10 aggettivi riferiti alla percezione della funzione alterata dal dolore), il disegno della sagoma di uomo sul quale segnare il sito dei dolori, una VAS, una scala di valutazione dei sintomi psicosomatici, un riquadro di valutazione dell’effettuazione della tecnica indicante le varie fasi, che ci ha permesso di capire fino dove e per quanto tempo i soggetti hanno provato la tecnica. A tutti è stato proposto di provare ad eliminare un proprio dolore immaginandone un altro in un area del corpo simmetricamente (o diametralmente) opposta, specificato che si trattava di prestare la loro gentile collaborazione per uno studio su una tecnica non ancora sperimentata. Le schede riconsegnate compilate sono state 57. Abbiamo lavorato in due modalità: 70 soggetti appartengono a 4 gruppi che svolgono ginnastica dolce ai quali non è stata data ulteriore informazione sulla tecnica se non qualche esempio per comprendere cosa dovevano fare. Ad un gruppo di 30 persone, quello selezionato, tra i più recettivi, sono stati proposti degli esercizi propedeutici basati sulle teorie e le tecniche descritte ampiamente in precedenza. La prima cosa che è balzata agli occhi è stata l’enorme differenza di percentuale di successo 4 su 15 in quest’ultimo gruppo (quasi un terzo) rispetto ai 6 su 42 (uno su 7) dell’altro. Questo dato può anche essere correlato sia all’impegno stimolato che alla guida offerta. Abbiamo ottenuto dall’analisi dei risultati 5 grossi gruppi il primo dei quali è formato da coloro che non hanno riconsegnato la scheda, dopo 2 settimane di tempo, nella quantità di 43 soggetti su 100. Questa percentuale può essere più o meno indicativa di coinvolgimento ma non è possibile oggettivare il dato per l’alto numero dei fattori entrati in gioco. Le caratteristiche che delineano gli altri 4 gruppi ci sembrano significative. Su 57 schede riconsegnate spiccano le 15 compilate saltando a piè pari il riquadro sulla tecnica, nonostante questo riquadro fosse il nocciolo e offrisse la possibilità di segnare i vari casi di insuccesso della tecnica (non credo possa funzionare su di me, non riesco ad immaginare un dolore, ho paura e non voglio immaginare nessun dolore, non riesco a concentrarmi.) Abbiamo trovato indicativa in questo gruppo la compilazione della VAS. Su 14 valori segnati in totale, la metà (7) sono dei 6; poi ancora 4 gli 0 (assenza di dolore) ed infine un 5, un 7, e un 8. Assenza di dolore o un dolore quindi ritenuto sopportabile e accettato oppure si potrebbe attribuire al dato, in maniera ipotetica e forse pretenziosa, un significato di superficialità nella valutazione del proprio dolore, dovuta forse ad una considerazione sufficiente del dolore in genere legata alla negazione del proprio in particolare. Negazione e sopportazione. Non si sono proprio applicati nella tecnica o perché ritengono il dolore non degno di considerazione o per una improbabile assenza di dolore. Il terzo gruppo è formato da 24 persone su 57, è il più numeroso tra coloro che hanno riconsegnato il questionario, ed è formato da coloro i quali hanno dichiarato di avere avuto difficoltà e insuccesso nell’applicazione della tecnica. 4 hanno dichiarato di credere che la tecnica non potesse funzionare su di loro. 4 di non riuscire ad immaginare alcun dolore 2
o di non volere indurre alcun dolore. 6 Hanno dichiarato di non riuscire a concentrarsi 4 hanno segnato di essere riusciti ad immaginare il dolore ma non ad indurlo 10 di non riuscire ad indurre alcun dolore solo 2 però hanno risposto alla domanda per quanto tempo hai provato la tecnica (poco uno 5 minuti l’altro). E’ significativo come questo gruppo abbia focalizzato la propria attenzione sul riquadro indicante l’autovalutazione dell’attività svolta e del proprio sonno. 24 sogetti hanno segnato 40 volte (rispetto a 10 soggetti 11 volte, 15 sogetti 19 volte, 8 soggetti10 volte, degli altri gruppi). Hanno giudicato la propria attività buona 16 soggetti su 21 (proporzione notevolmente più alta rispetto agli altri gruppi). Altro dato che caratterizza questo gruppo è che 7 volte è stato definito osseo e contro le 2 muscolare (negli altri gruppi questo dato e ribaltato). Volendo correlare il loro insuccesso con questi dati ipotizziamo un gruppo con un concetto di salute più rigido legato ad una medicina più curativa che preventiva (a conferma il riquadro dei farmaci utilizzati è il più variegato e segnato rispetto agli altri gruppi) o ad una effettiva patologia di tipo più organico. Ad ulteriore conferma una tendenza a dare minori indicazioni riguardo i propri sintomi psicosomatici. Nessuno ha dichiarato di aver paura
Il quarto gruppo è composto dalle 8 persone che hanno effettuato la tecnica senza risultati sul dolore riuscendo comunque ad indurre autogenamente il dolore riflesso, cioè coloro che hanno ottenuto un successo parziale. In particolare 4 soggetti hanno indotto il dolore ma non sono riusciti a tenerlo abbastanza, 3 hanno specificato che il dolore indotto ha prodotto dei movimenti corporei, 2 hanno specificato che il dolore è tornato perché non sono riusciti a tenere quello indotto, altri 2 sono riusciti a tenere il dolore ma quello reale non è scomparso. L’eccezione che questo gruppo ha mostrato rispetto agli altri è la quantità di termini utilizzati per descrivere il dolore con la McGill, ossia 68 descrittori per 8 soggetti, pari ad una media di 8,5 termini per soggetto contro le medie pressoché simili tra loro degli altri gruppi (4,8 uno 5,5 gli altri due). Di questi 8 soggetti ben 6 hanno anche precisato la propria sintomatologia psicosomatica (rispetto ai 16 su 24, i 7 su 15 e i 4 su 10 degli altri gruppi). Certo numeri così piccoli sono poco indicativi, come del resto lo sono quasi tutti gli altri numeri di questo studio e senza azzardare alcuna altra ipotesi, notiamo solo che tali dati correlati farebbero pensare a persone con coscienza più chiara dei meccanismi psicosomatici. Si precisa che nel tipo di aggettivi e sintomi specificati non si riscontrano dissomiglianze con il resto del campione. Infine arriviamo al gruppo di coloro che immaginando ed inducendo un dolore a specchio sono riusciti ad eliminare il dolore reale, composto da 10 soggetti sui 57 che hanno riconsegnato la scheda (maggiore di 1 su 6, in percentuale il 17,5%). Rispetto ai cento soggetti ai quali è stata proposta la tecnica rappresentano il 10%. Dai dati rilevati dalle loro schede, con nostra sorpresa, non siamo riusciti ad estrapolare alcuna differenza con gli altri gruppi.
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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